SalutePiù Febbraio 2013

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SALUTE PIU benessere cultura costume

ARTROSI DELL’ANCA

la nuova frontiera delle infiltrazioni cellulari

TUMORE DELLA MAMMELLA l’importanza della diagnosi precoce

LA TIROIDE

l’utilità di prevenire

COLLEVECCHIO

MENOPAUSA

OLIO EXTRA VERGINE DI OLIVA ELISIR DI LUNGA VITA 1


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Sommario 6

La tiroide: l’utilità di prevenire

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Tumore della mammella: l’importanza della diagnosi precoce

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La cataratta: quando la vista diventa annebbiata

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Tenere d’occhio i linfonodi

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Artrosi dell’anca: la nuova frontiera delle infiltrazioni cellulari

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Olio extra vergine di oliva: elisir di lunga vita

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Menopausa

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Nutrizione e diabete mellito

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Museo Civico Archeologico di Fara Sabina

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Modello sanità: intervista al Prof. Federico Spandonaro

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Collevecchio

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Intervista a Carlo Grappa, Sindaco di Collevecchio

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SALUTE PIÙ - BENESSERE CULTURA COSTUME Anno IV - Num. 17 - Febbraio/Marzo 2013

Direttore Responsabile Fabrizio Sciarretta Segreteria di Redazione Filippa Valenti valenti@laboratorionomentano.it T 06 90625576 Art director e impaginazione Alessia Gerli Editore Laboratorio Clinico Nomentano Srl Via dello Stadio 1 00015 Monterotondo (RM) Iscritto al registro della stampa e dei periodici del Tribunale di Tivoli n. 97/2009 Stampa Graffietti Stampati S.n.c. S.S. Umbro Casentinese km.4.500 01027 Montefiascone (VT) Per la pubblicità su questa rivista rivolgersi a: GERLI COMUNICAZIONE a-gerli@libero.it T 338 5666568

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TUMORE DELLA MAMMELLA Prof. ANTONINO GATTO

ARTROSI DELL’ANCA Dott. FABIO SCIARRETTA

Il Professor Antonino Gatto, Primario Chirurgo del Presidio Ospedaliero SS. Gonfalone della ASL RMG; è specialista in Chirurgia d’Urgenza e Pronto Soccorso, in Urologia ed in Chirurgia Plastica e Ricostruttiva. Nell’ambito della Scuola di Specializzazione in Chirurgia Generale dell’Università degli Studi di Tor Vergata di Roma è titolare dell’insegnamento di Chirurgia d’Urgenza. E’ autore di oltre 60 pubblicazioni scientifiche di interesse chirurgico e la sua la sua casistica operatoria consta di oltre 6.000 interventi chirurgici di media ed alta chirurgia generale, vascolare, toracica, urologia e plastica. Il Professor Gatto svolge la sua attività specialistica anche presso lo Studio Medico Polispecialistico Cappuccini

Il Dott. Fabio Valerio Sciarretta è specializzato in Ortopedia e Traumatologia presso l’Università di Roma “La Sapienza”. Chirurgo ortopedico, ha prestato servizio in qualità di dirigente sanitario presso l’Ospedale San Giovanni Battista di Roma, presso il Reparto di Ortopedia e Traumatologia dell’Ospedale Civile di Velletri e presso l’Ospedale Israelitico di Roma. Svolge attualmente la sua attività professionale presso diverse Case di cura romane. Ha curato l’edizione italiana di oltre 20 trattati di Ortopedia e Traumatologia americani ed internazionali ed è stato relatore in oltre 100 congressi nazionali ed internazionali. Ha al suo attivo 50 pubblicazioni. Il suo interesse professionale è concentrato verso la Chirurgia del Ginocchio e l’Artroscopia, in particolare sulle tecniche di ricostruzione del legamento crociato e di riparazione delle lesioni del menisco e, successivamente, verso la Chirurgia della Cartilagine, dedicandosi alle diverse tecniche di ricostruzione del danno cartilagineo nelle articolazioni. Nell’ultimo decennio si e’ in particolar modo dedicato allo studio dei sostituti sintetici della cartilagine. E’ Responsabile della Branca di Ortopedia del Poliambulatorio Specialistico Nomentano

LA CATARATTA Dott. ALDO CANZIO

Il Dr. Aldo Canzio si è laureato in Medicina e Chirurgia e si è specializzato in Oculistica presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università “LA SAPIENZA” di Roma. È Dirigente Medico di I Livello presso l’Ospedale San Giovanni Addolorata di Roma dove svolge la sua attività professionale e dove è il responsabile della sezione di diagnostica retinica con l’O.C.T. È responsabile della Branca di Oculistica dello Studio Medico Cappuccini di Monterotondo.

LA TIROIDE L’UTILITÀ DI PREVENIRE Dott.ssa LARA GUERRINI

La Dott.ssa Lara Guerrini si è laureata in Medicina e Chirurgia e specializzata in Endocrinologia e Malattie del Ricambio con il massimo dei voti presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. E’ autrice di diverse pubblicazioni scientifiche in ambito endocrinologico. E’ Responsabile della Branca di Endocrinologia presso lo Studio Medico Polispecialistico Cappuccini.

MENOPAUSA Dott.ssa MANUELA STEFFÈ

Medico, specialista in Ostetricia e Ginecologia, la dr.ssa Manuela Steffè da quindici anni svolge la sua attività principale nell’ambito dell’infertilità, della diagnosi alle terapie di 1° e di 2° livello. Co-autrice di 27 lavori originali pubblicati su riviste nazionali ed internazionali. Ha partecipato, quale relatrice, ad 11 congressi presentando lavori originali, tutti di interesse ostetrico-ginecologico. E’ responsabile del Centro per la Procreazione Medicalmente Assistita di 1° Livello presso il Laboratorio Clinico Nomentano.

NUTRIZIONE E DIABETE MELLITO Dott.ssa MAYME MARY PANDOLFO

La Dott.ssa Mayme Mary Pandolfo si è laureata in Medicina e Chirurgia e specializzata in Scienza dell’Alimentazione presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” con il massimo dei voti. Responsabile del Programma di Educazione Terapeutica Strutturata (ETS) in Diabetologia presso la UOC Diabetologia, Dietologia e Malattie Metaboliche dell’Ospedale “Sandro Pertini” di Roma ove svolge anche attività di ricerca in campo diabetologico. Esercita, inoltre, la sua attività professionale presso diverse strutture mediche della Capitale. E’ co-autrice di diversi articoli scientifici pubblicati su riviste mediche internazionali ed ha presentato relazioni in congressi nazionali ed internazionali. E’ Responsabile della Branca di Scienza dell’Alimentazione presso lo Studio Medico Polispecialistico Cappuccini.

TENERE D’OCCHIO I LINFONODI Dott.ssa BARBARA MONTANTE

Barbara Montante si è laureata in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II” con il massimo dei voti e presso il medesimo ateneo ha ottenuto la Specializzazione in Ematologia. Ha successivamente conseguito il Master Universitario di II livello in Ematologia pediatrica. Ha al suo attivo pubblicazioni su riviste scientifiche italiane ed internazionali. Opera attualmente presso l’UOC Ematologia, Ematologia Pediatrica e Trapianto di Cellule Staminali dell’Azienda Ospedaliera San Camillo Forlanini di Roma e presso il Centro FCSA per la Terapia Anticoagulante del Laboratorio Clinico Nomentano.

OLIO EXTRA VERGINE DI OLIVA: ELISIR DI LUNGA VITA Dott. ANTONIO SAPONARO

LA TIROIDE L’UTILITÀ DI PREVENIRE Dott.ssa CLAUDIA ANNOSCIA

Il Dr. Antonio Saponaro è laureato in Medicina e Chirurgia presso l’Università di Roma “Tor Vergata” e specializzazato in Cardiologia presso la seconda Facoltà di Medicina dell’Università “Sapienza” di Roma. E’ in servizio presso il reparto di cardiologia del Policlinico Militare “Celio”. Svolge la sua attività professionale presso il Poliambulatorio Specialistico Nomentano ed in altri ambulatori romani. Ha al suo attivo alcune pubblicazioni sul Giornale di Medicina Militare e su Minerva Cardiologica.

La Dott.ssa Claudia Annoscia si è laureata in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” con il massimo dei voti e nel medesimo ateneo ha conseguito la specializzazione in Endocrinologia e Malattie del Ricambio presentando una tesi sperimentale dal titolo “Obesità ed Osteoporosi: Quale Relazione?”. Ha successivamente conseguito un Master in Prevenzione e Assistenza al Sovrappeso, Obesità e Disturbi dell’Alimentazione. Ha collaborato con la Cattedra di Endocrinologia e Medicina Interna dell’Università di Roma “La Sapienza“ presso il Policlinico Umberto I ed altre strutture della Capitale. Attualmente svolge la sua attività professionale presso il Centro disturbi del comportamento alimentare ”Villa Pia” – Italian Hospital Group – di Guidonia e nell’ambito della Branca di Endocrinologia dello Studio Medico Polispecialistico Cappuccini di Monterotondo.

L’ECOGRAFIA DELLA TIROIDE Dott. FRANCESCO VULTERINI Laureato in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” con il massimo dei voti, il dottor Francesco Vulterini si è specializzato presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma in “Scienza delle Immagini - Radiologia Diagnostica”. Ha operato prima presso la USL RM 30 nei presidi di Colleferro-Valmontone e dal 1996 presso il polo ospedaliero Palestrina-Zagarolo della USL RMG. Dal 1999 presta servizio presso l’Ospedale Nuovo Regina Margherita di Roma nel reparto di Radiologia. Consulente radiologo dell’IPA, l’istituto di previdenza per i dipendenti del Comune di Roma e della Clinica Mater Dei, è Responsabile dela Branca di Radiologia del Poliambulatorio Specialistico Nomentano.

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l’utilità di prevenire Dott. ssa Lara Guerrini Responsabile della Branca di Endocrinologia Studio Medico Polispecialistico Cappuccini Dott. ssa Claudia Annoscia Branca di Endocrinologia Studio Medico Polispecialistico Cappuccini

La tiroide è una ghiandola situata alla base del collo appena sotto la cartilagine tiroidea (il cosiddetto pomo d’Adamo) la cui funzione è fondamentale per la nostra salute e il nostro stato di benessere. E’ una ghiandola endocrina: ciò significa che produce degli ormoni, detti tiroidei, che entrando nel circolo sanguigno regolano il metabolismo, ossia il meccanismo mediante il quale il nostro corpo utilizza le sostanze nutritive e regola alcune funzioni come ad esempio il battito cardiaco, la forza muscolare, il ciclo mestruale, la temperatura corporea, i livelli di colesterolo, il peso corporeo…

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olte sono le patologie che possono colpire la tiroide nella struttura (come le infiammazioni dette tiroiditi, i noduli, il gozzo, i tumori) o nella funzione (sia in eccesso che in difetto come si verifica nell’iper e nell’ipotiroidismo) e sono presenti in circa il 10-12% della popolazione italiana (ossia un italiano su dieci). Ad essere più colpite, con il 70% dei casi, sono le donne, la maggior parte delle quali tra i 20 e i 50 anni, ma in alcune aree 6

del Paese questi disturbi arrivano a colpire più del 20% della popolazione giovanile. Malattie come il gozzo, cioè l’aumento di volume della tiroide, a differenza di ciò che si possa pensare, sono ancora frequenti nelle zone d’Italia dove c’è carenza di iodio come le regioni montane. E’ per questo che da diversi anni sono state condotte campagne di informazione circa l’uso di sale da cucina addizionato con iodio (disponibile nei comuni negozi di alimentari) la cui efficacia nel prevenire la for-

mazione di noduli alla tiroide è tanto maggiore quanto più precocemente viene iniziata; non ha controindicazioni a meno che non ci si trovi in presenza di un ipertiroidismo. E’ bene ricordare che il sale iodato ci mette anni ad agire, quindi è opportuno inserirlo nella dieta delle donne in gravidanza (il cui fabbisogno di iodio aumenta per fare fronte alle richieste dell’embrione) e fin da bambini in funzione protettiva. Tuttavia, nonostante la percentuale di popolazione interessata da queste patologie sia ancora elevata, si riscontra una scarsa attenzione al problema; spesso la diagnosi di una malattia della tiroide avviene casualmente effettuando accertamenti sui vasi del collo o durante un check-up di controllo prescritto per problemi di peso o per episodi di palpitazioni. Entriamo quindi nel vivo del problema descrivendo in che modo una tiroide “malata” può dare segno di sé. L’Ipertiroidismo (legato ad un eccesso di funzione) si associa a sintomi quali: · Alterazioni del ciclo mestruale (flussi ridotti o assenti), calo della fertilità e del desiderio sessuale · Calo di peso nonostante l’aumento di appetito; sudorazione, cute calda ed

intolleranza alle alte temperature - Aumentata frequenza respiratoria, nervosismo, ansia - Debolezza muscolare, tremori alle mani - Palpitazioni, aumentata frequenza cardiaca, aritmia, ipertensione - Occhi sporgenti (oftalmopatia) In caso di Ipotiroidismo (quando la tiroide funziona poco) i sintomi possono essere: · Depressione, sonnolenza, stanchezza eccessiva (astenia), aumento peso corporeo · Cute fredda ed intolleranza alle basse temperature, tendenza alla caduta dei capelli e fragilità delle unghie · Riduzione frequenza cardiaca · Crescita ridotta e difficoltà di apprendimento nei bambini. · Anomalie flusso mestruale Un collo ingrossato diffusamente può essere sintomo di gozzo mentre una tumefazione circoscritta al collo può essere l’unica manifestazione clinica di un nodulo. Spesso però le malattie della tiroide hanno una sintomatologia aspecifica per cui è difficile arrivare ad una diagnosi precoce. Per tale motivo diventa necessaria la prevenzione soprattutto per chi ha familiarità per patologie della tiroide tanto

più che si tratta di patologie curabili: anche nel caso dei tumori la sopravvivenza arriva a sfiorare il 98%. Uno screening periodico con esami del sangue (TSH, FT4,FT3) ed un’ecografia tiroidea sono due semplici accertamenti che consentono poi allo specialista endocrinologo di individuare e, quindi, trattare con le opportune terapie, le eventuali patologie riscontrate. La campagna di prevenzione promossa da Laboratorio Clinico Nomentano e Studio Medico Cappuccini attra-

verso lo studio ecografico, il dosaggio degli ormoni tiroidei nel sangue e la visita di uno specialista endocrinologo mira a definire proprio lo stato di salute della tiroide e eventualmente ad identificare quanto più precocemente possibile le sue alterazioni. Le patologie tiroidee colpiscono 1 persona su dieci e spesso all’interno della stessa famiglia si riscontrano più casi: una diagnosi precoce e un’attenta valutazione nel tempo consentono di identificare e limitare nel tempo la comparsa di patologie più gravi.

L’ecografia della Tiroide Dott. Francesco Vulterini Radiologo - Responsabile servizio di Radiologia Poliambulatorio Specialistico Nomentano

La ghiandola tiroide si trova nella parte anteriore del collo al di sotto del pomo d’adamo. La sua valutazione ecografica si esegue con l’impiego di una sonda lineare ad alta frequenza (7.5 – 10 Mhz.). Si tratta di una metodica indicata per la valutazione di patologie tiroidee, di tipo degenerativo o nodulare con possibilità spesso di distinguere tra patologie benigne e maligne. Specificamente, l’ecografia della tiroide è impiegata per valutare la volumetria della ghiandola, la sua struttura ,valutare la presenza e la natura di formazioni focali (noduli) e monitorarne successivamente l’evoluzione. I noduli possono anche essere esaminati con l’ausilio dell’eco color Doppler per verificarne la vascolarizzazione: un’eccessiva vascolarizzazione potrebbe infatti essere sintomo, insieme ad altri reperti, di possibile malignità. Durante l’ecografia della tiroide vengono usualmente ricercati anche eventuali linfonodi aumentati di volume delle stazioni localizzate ai lati del collo. I linfonodi sono organi appartenenti al sistema linfatico a cui fa capo l’importante funzione di ostacolare agenti patogeni quali germi e cellule tumorali. E’ per questo motivo che la valutazione di eventuali linfonodi patologici diviene importante nel valutare lo stato di salute complessivo della tiroide. Nel caso in cui sia necessario chiarire patologie sospette a carico della tiroide, si potrà procedete ad eseguire un agoaspirato con biopsia ovvero il prelievo di un campione di tessuto dalla ghiandola (attraverso un apposito strumento e sotto la guida dell’immagine ecografica) da sottoporre ad esame istologico a mezzo di esami strumentali e/o di analisi al microscopio. 7


Tumore della mammella

l’importanza della diagnosi precoce

In Italia il carcinoma della mammella è il tumore maligno più frequente nella donna con una incidenza di circa 1 caso ogni 9 donne ed un aumento di incidenza soprattutto nella fascia di età di 35-55 anni. La diagnosi precoce è determinante per trattare la malattia nella sua fase iniziale, quando le possibilità di guarigione sono più elevate anche con interventi non demolitivi ed esteticamente accettabili. 8

Prof. Antonino Gatto Specialista in chirurgia d’urgenza e pronto soccorso Specialista in urologia - Specialista in chirurgia plastica e ricostruttiva - Primario chirurgo del presidio ospedaliero di Monterotondo della ASL RMG. Resp. branca di Chirurgia Generale ed Urologia Studio Medico Polispecialistico Cappuccini Mammografia con evidenza di tumore

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lla diagnosi precoce si arriva attraverso un iter costituito da visita senologica, ecografia mammaria, mammografia e, se occorre, anche risonanza magnetica (sempre più utilizzata per evidenziare tumori multipli) a seconda dell’età e della predisposizione. La diagnosi definitiva, in caso di esame mammografico e/o positivo, si fa con l’esame citologico (agoaspirato) o istologico (agobiopsia o tramite asportazione chirurgica della lesione). Dal punto di vista anatomico, la mammella e’ un organo ghiandolare, presente in entrambi i sessi, ma molto più sviluppata nella donna. E’ costituita da 15-18 lobi, ognuno dei quali contiene più lobuli e un dotto galattoforo principale, che si apre nel capezzolo e consente il passaggio del latte. I tumori della mammella possono essere benigni (fibroadenomi) o maligni (carcinomi) spesso asintomatici, a volte si manifestano con un nodulo (non dolente) o con secrezione ematica dal capezzolo. In termini di sintomatologia, va anche

ricordata la cosiddetta Malattia di Paget: si tratta di un raro tumore che si manifesta con una lesione del capezzolo di natura eczematosa, con prurito, arrossamento e secrezione sierosa o sieroematica del capezzolo che spesso induce le pazienti a rivolgersi al dermatologo anziché al chirurgo.

I fattori di rischio I principali fattori di rischio nel tumore della mammella sono: • età (il rischio aumenta con l’età) • precedente tumore ad una mammella • casi di tumore in famiglia • fattori ereditari • esposizione a radiazioni • obesità • inizio della menopausa in tarda età (dopo i 55 anni) • aver avuto il primo figlio dopo i 35 anni • terapia ormonale sostitutiva per trattare i disturbi della menopausa • abuso di alcool.

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La Terapia Oggi, rispetto al passato, abbiamo molte armi, sia di natura chirurgica che non, per curare questa tipologia di tumore. Possiamo sia avvalerci dell’ausilio di vari presidi terapeutici quali chemioterapia (farmaci antitumorali), radioterapia (utilizzo di radiazioni), ormonoterapia (farmaci su base ormonale) che di diversi tipi di interventi chirurgici. Questi vanno dalla semplice asportazione del nodulo all’asportazione dell’intera mammella con il muscolo pettorale ed i linfonodi ascellari. Naturalmente, tra questi due estremi si colloca tutta una serie di altri interventi meno demolitivi che vengono effettuati a seconda dello stadio della malattia. Per quanto riguarda le mastectomie limitate all’asportazione della sola ghiandola mammaria, soprattutto in donne giovani, si posizionano sotto il muscolo pettorale protesi che permettono di ripristinare il volume della mammella.

Sezione anatomica della mammella

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La “cataratta” è generata da un processo di opacizzazione di quella “lente naturale” di materiale fisiologico, presente in tutti gli occhi umani, chiamata “cristallino”, la quale ha il compito di riflettere sul fondo dell’occhio i raggi di luce che passano attraverso la cornea. Se i raggi non vengono più riflessi adeguatamente sulla retina, allora il paziente percepisce le immagini annebbiate o sfocate.

Dott. ALDO CANZIO Responsabile Branca di Oculistica Studio Medico Polispecialistico Cappuccini

al punto di vista delle cause che la determinano, la cataratta si divide in primitiva e secondaria. La cataratta primitiva (cioè non conseguenza di altre malattie) è tipicamente un processo senile legato all’invecchiamento e specificamente dovuto all’ossidazione delle proteine che formano il cristallino. Esistono però anche varie forme di cataratte primitive non senili quali la cataratta giovanile o congenita che può ma-

nifestarsi nel bambino a seguito di alcune malattie contratte dalla mamma in gravidanza (quali la rosolia) e la cataratta ereditaria dovuta a malattie del metabolismo. Ulteriori cause di cataratta (dette cataratte secondarie, in quanto conseguenti ad altre patologie) possono essere i traumi (ad es. colpi ricevuti sull’occhio) e patologie quali diabete, uveiti (infiammazioni interne dell’occhio) e la prolungata assunzione di farmaci quali il cortisone che causano la cosiddetta cataratta “iatrogena”. La cataratta può essere o “nucleare” o “corticale”. Nel primo caso si opacizza il nucleo del cristallino, cioè la parte interna, che diventa giallo. Nel secondo caso si opacizza la corteccia del cristallino, cioè la parte esterna, ed in questo caso il riflesso è biancastro. A seconda dei casi cambia la vista del paziente: nel caso di cataratta nucleare si tende a diventare miopi mentre, nel caso della cataratta corticale, ipermetropi.

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I sintomi della cataratta sono un calo della vista graduale ed inesorabile; un offuscamento delle immagini (il paziente riferisce “vedo annebbiato”); il fastidio conseguante all’esposizione a fonti di luce (Fotofobia) e la visione doppia in un solo occhio (diplopia monoculare) La diagnosi viene fatta attraverso la visita dell’oculista e l’impiego della lampada a fessura. La terapia è solo chirurgica. Si procede alla “facoemulsificazione” ovvero si frammenta il cristallino tramite una sonda ad ultrasuoni che ne effettua una successiva emulsificazione per poi aspirarne le masse frammentate. Il cristallino catarattoso è poi sostituito poi con un cristallino artificiale trasparante detto IOL (Intra Ocular Lens). L’intervento chirurgico è ormai diventato di routine: si esegue in anestesia locale in regime di day hospital con tagli piccolissimi (microincisioni) e senza successivamente applicare punti di sutura. La durata dell’intervento è di circa 10-15 minuti.

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Tenere d’occhio i linfonodi Dott.ssa BARBARA MONTANTE Specialista in Ematologia presso il Centro FCSA per la Terapia Anticoagulante del Laboratorio Clinico Nomentano

Per linfoadenomegalia si intende l’ingrandimento patologico di uno o più linfonodi. Questi ultimi fanno parte del sistema linfatico (un circolo presente in tutto il corpo, parallelo a quello del sangue) che serve al drenaggio della linfa.

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linfonodi rappresentano delle “stazioni” lungo tale circolo linfatico ed hanno normalmente un importante ruolo nella difesa dalle più comuni infezioni. Le stazioni linfonodali superficiali principali sono quelle del collo, dell’inguine, delle ascelle. Linfonodi profondi sono presenti in addome e nel mediastino (situato dietro lo sterno). In condizioni non patologiche i linfonodi non sono palpabili. In situazioni patologiche invece i linfonodi aumentano di volume e diventano palpabili e a volte molto voluminosi e dolenti. In questi casi può essere molto importante discriminare i linfonodi cosiddetti reattivi ad un quadro infettivo/infiammatorio dai linfonodi tumorali. In particolare un linfonodo di più di 2 cm di diametro merita un approfondimento diagnostico. La presenza di sintomi di accompagnamento (dolore, arrossamento della sede coinvolta) non è un indice di malignità, anzi i linfonodi benigni, infiammatori, in genere sono dolenti. Se il paziente ha mal di gola, tonsillite oppure una infezione del cavo orale (quale un ascesso dentario) è normale che i linfonodi del collo siano aumentati di volume. Se vi è una infezione agli arti inferiori (ad es. una puntura di insetto

che provoca pus o una depilazione che crea infiammazione) è normale che i linfonodi dell’inguine siano aumentati di volume. Tale accrescimento indica solo che il linfonodo sta facendo il suo lavoro, cioè sta cooperando con gli altri componenti del sistema immunitario per combattere l’infezione. Individuata la causa, il medico dovrà solo curare l’infezione stessa e prescrivere antiinfiammatori per i sintomi, ove necessario. Una linfoadenomegalia benigna non può trasformarsi in maligna, tenderà a regredire nel tempo. Il colloquio e la visita del paziente sono fondamentali per individuare febbricola, un calo ponderale inspiegato, sudorazioni notturne, stanchezza intensa. Tali sintomi indicano la necessità di approfondire i controlli. L’ematologo a questo punto prescrive degli esami per individuare eventuali infezioni non diagnosticate, quali mononucleosi, citomegalovirus, herpes simplex, rosolia, toxoplasmosi, HIV, esclude malattie del sistema immunitario, come la sarcoidosi. Vanno inoltre eseguiti esami di routine tra cui l’emocromo e l’LDH per escludere altre malattie ematologiche, come la leucemia acuta o cronica. Una infezione benigna e più rara che può dare linfoadenomegalia è la Bartonella, ovvero la malattia da graffio di gatto, che può dare l’ingrandimento del linfonodo, in genere ascel-

lare, come unico sintomo. In questo caso la diagnosi è facilitata da una corretta anamnesi ed è confermata mediante un prelievo di sangue. Ma se non si riesce ad individuare una causa evidente di linfoadenomegalia è consigliabile effettuare ulteriori esami. L’ecografia è l’indagine di primo livello: innanzitutto ci dice con precisione le dimensioni dei linfonodi, poi ci fornisce dati morfologici. Se i linfonodi sono superiori ai 2 cm, tondeggianti, confluenti e con un sovvertimento della normale struttura, bisogna essere sicuri di individuarne la causa scatenante. Va eseguita una ecografia addominale per escludere il coinvolgimento dei linfonodi profondi e della milza, una radiografia del torace per escludere un coinvolgimento dei linfonodi del mediastino. Altro organo da studiare in caso di linfoadenomegalie del collo è la tiroide. La tiroidite può provocare un modico ingrandimento dei linfonodi latero-cervicali. Nei casi clinici in cui non si riesca ad individuare la causa della linfoadenomegalia e quando quest’ultima persista o aumenti nel giro di poche settimane e comunque in tutti i casi in cui per il quadro clinico vi è forte sospetto di linfoadenomegalia maligna, vi è l’indicazione ad asportare il linfonodo patologico per escludere con certezza, attraverso un esame istologico, che esso sia sede di una infiltrazione tumorale. Alla luce della loro potenziale malignità, è buona regola non trascurare le linfoadenomegalie, anche asintomatiche. 13


LA NUOVA FRONTIERA DELLE INFILTRAZIONI CELLULARI

Dott. Fabio Sciarretta Chirurgo Ortopedico, Responsabile Branca di Ortopedia Poliambulatorio Specialistico Nomentano

L’artrosi è la progressiva usura della cartilagine articolare, tessuto soffice ma allo stesso tempo compatto, che riveste le nostre ossa all’interno delle articolazioni. Tale processo progredisce fino a lasciare completamente “nude” le superfici articolari, causando per contrapposto anche la formazione, a livello dei margini articolari, di esuberi di osso, i cosiddetti “osteofiti”.

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l danno della cartilagine e dell’osso segue la retrazione delle strutture capsulo-legamentose. Il danno progressivo della cartilagine, la deformazione articolare e la retrazione dei tessuti determina da un punto di vista clinico, un dolore sempre più accentuato durante il movimento ed una progressiva rigidità articolare con crescente disabilità, difficoltà nella deambulazione e zoppia. La localizzazione all’anca dell’artrosi è secondaria in frequenza solo a quella del ginocchio. Attualmente, la terapia più comune per l’artrosi prevede la prescrizione di farmaci anti-infiammatori, i cosiddetti FANS, la perdita di peso e la riabilitazione muscolare, per il recupero di un valido sostegno gluteo e quadricipitale ed il mantenimento del range di movimento. Nelle forme più avanzate esige, invece, la soluzione chirurgica artroscopica o a “cielo aperto” mediante la sostituzione protesica dell’anca. Tra queste possibili soluzioni si è, tuttavia, sempre più fatta strada una terza possibilità: quella delle infiltrazioni intra-articolari. Inizialmente si e’ utilizzata una molecola, a tutti nota anche per altri suoi usi, che è sintetizzata dalle cellule della membrana sinoviale che riveste l’articolazione ed e’ responsabile delle proprietà viscoelastiche del liquido sinoviale che bagna

le superfici articolari: l’acido ialuronico. L’iniezione intraarticolare dell’acido ialuronico, detta “viscosupplementazione”, e’ stata inizialmente per molti anni effettuata a livello del ginocchio per poi essere estesa anche a livello dell’anca. Perché ? Soprattutto per il fatto che l’anca è una articolazione più profonda e più difficile da raggiungere. Infatti, all’inizio le infiltrazioni nell’anca venivano eseguite solamente in sala operatoria sotto guida fluroscopica, ma con il passare del tempo sono state sviluppate tecniche che hanno consentito di effettuare più facilmente tali puntu-

re in ambulatorio sotto la guida dell’ecografia e, io aggiungerei, con la preziosa collaborazione di un radiologo esperto in tale tipo di procedura ecografica. Infatti, mediante la guida ecografica si è assolutamente sicuri di raggiungere e penetrare nell’articolazione, visualizzando passo passo sia il procedere dell’ago che la penetrazione del prodotto iniettato durante l’infiltrazione. Tale tipo di procedura e’ certamente una garanzia di sicurezza in due sensi: in primo luogo si e’ in grado di identificare ed evitare i vasi sanguigni ed, in secondo luogo, si e’ certi che la sostanza iniettata raggiunga

la posizione voluta all’interno dello spazio articolare. Sulla base di questa esperienza e dei buoni risultati ottenuti, oggi come oggi la terapia infiltrativa dell’artrosi dell’anca può ricorrere anche alle cosiddette “soluzioni biologiche”, cioè alla infiltrazione dei cosiddetti fattori di crescita piastrinici oppure alla infiltrazione delle cellule progenitrici/staminali. Nel primo caso, si esegue un normale prelievo di pochi cc. di sangue venoso, la cui provetta viene quindi introdotta in un’apposita centrifuga che consente di ottenere un concentrato delle piastrine contenute nel sangue. Le piastrine contengono e possono, quindi, rilasciare numerosi fattori di crescita in grado di stimolare la riproduzione di numerosi tipi di cellule (mesenchimali, staminali, condrociti, osteoblasti...) e di aderire sui tessuti infiammati o danneggiati stimolandone il processo di riparazione. Tutto ciò a bassi costi, con un’assoluta sicurezza (visto che si tratta di sangue proprio del paziente) e facilità di preparazione e con l’assenza di effetti collaterali. Nel caso delle cellule progenitrici/staminali, recenti studi hanno dimostrato che tali cellule prelevate molto più facilmente dal grasso dell’addome hanno le stesse caratteristiche e la stessa capacità d’azione delle cellule staminali mesenchimali (tradizionalmente prelevate dal midollo osseo) e quindi soprattutto la capacità di trasformarsi e stimolare la riproduzione di nuove cellule cartilaginee, tendinee, muscolari ed ossee. La tecnica prevede che, in anestesia locale, si estraggano, tramite una semplice procedura di aspirazione effettuata con un ago da biopsia a punta smussa specificamente creato, 50 cc. di tessuto midollare dal grasso dell’addome. Tutto viene effettuato in sala operatoria in massima sterilità : dalla siringa di aspirazione il tessuto prelevato viene inserito nella sacca di prelievo del kit monouso da cui in pochi minuti si ottiene la cosiddetta frazione vascolare stromale, che contiene le diverse cellule progenitrici, separando-

la dagli adipociti maturi e dalla componente acquosa cell-free. La frazione stromale ottenuta contiene circa 250.000 cellule per grammo di tessuto, molte più’ di quelle contenute nel midollo osseo. Il concentrato di cellule ottenuto viene poi direttamente, ed immediatamente, infiltrato nella articolazione sempre in anestesia locale oppure,

in caso di interventi chirurgici, applicato su uno scaffold che consente la riparazione dei difetti della cartilagine. Come vedete i progressi in Ortopedia sono sempre presenti e costanti ! E’, tuttavia, opportuno per poter usufruire dei consigli più aggiornati, recarsi in una struttura all’avanguardia e da specialisti qualificati e studiosi

delle più recenti possibilità terapeutiche, i quali in ambulatorio, potranno di volta in volta, specificamente consigliare ed, eventualmente anche subito eseguire, la procedura più adatta per la soluzione del problema di cui si soffre.

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n Italia circa il 40% del totale dei decessi che si verificano ogni anno avviene a causa di malattie cardiovascolari, mentre un’altra grossa quota, il 33%, è causato dalle neoplasie maligne. In entrambe queste condizioni patologiche la dieta svolge un grande ruolo eziologico, come è stato più volte dimostrato da studi diversi che hanno preso il via già agli inizi degli anni 60 e che sono stati condotti se-

ti delle nostre arterie. Per questo, tutti gli alimenti che incrementano i trigliceridi, il colestrolo LDL o diminuiscono il colesterolo HDL sono oggi ritenuti rischiosi e viceversa. In particolare, il consumo di grassi di tipo saturo, e tra questi soprattutto il laurico, il miristico ed il palmitico tutti abbondanti nella carne e nei prodotti di origine animale (p.e. burro), fa aumentare il colesterolo LDL. D’altro canto, il consu-

ruolo protettivo, tra gli altri, dei condimenti vegetali. L’attenzione si focalizzo immediatamente sull’olio di oliva. Negli anni successivi, si sono andate accumulando prove che il ruolo protettivo dell’olio di oliva rispetto alle malattie cardiovascolari sarebbe mediato non solo dal suo contenuto in acido oleico e dai benefici effetti sul colesterolo ematico, ma anche dalla presenza di alcune altre sostanze contenute in trac-

clinico-nutrizionale, promosso e sponsorizzato dalla Comunità Europea sui fondi del V Programma Quadro, rivolto ad analizzare gli effetti a breve e lungo termine dell’olio di oliva e dei suoi componenti fenolici sull’assetto lipidico, sui danni ossidativi dei lipidi e sulla prevenzione dell’ossidazione delle LDL. I dettagli scientifici dello studio esulano dallo scopo di questo articolo, ma vale la pena di analizzare i risultati. I risultati principali di impatto pubblico dello studio sono stati: 1) Il contenuto in polifenoli condiziona la capacità dell’olio di oliva di aumentare la quantità di colesterolo HDL circolante, ovvero del cosiddetto “colesterolo buono” (maggiore il contenuto di polifenoli e maggiore la crescita dell’HDL, con parallela riduzione del rapporto di rischio colesterolo totale/HDL);

condo metodi diversi: studi clinici sperimentali sull’uomo, studi in laboratorio su animali e studi epidemiologici Dott. Antonio Saponaro in popolazioni. Tra questi, in Specialista in Cardiologia particolare, sono numerosi Poliambulatorio Specialistico gli studi di correlazione geoLab. Cl. Nomentano grafica in base ai quali si confrontano abitudini alimentari e frequenza di malattie in una data popolazione. Il rischio di sviluppare malattie del cuore e delle arterie in generale è fortemente correlato in maniera positiva con i livelli di colesterolo e trigliceridi circolanti. In particolare, ad essere coinvolto è il colesterolo LDL più noto con il termine di “colesterolo cattivo”. Più colesterolo cattivo nel sangue e più probabilità di avere danni al sistema cardiovascolare. Al contrario, il colesterolo HDL detto anche “colesterolo buono” risulta essere protettivo nei confron16

mo dei cosiddetti grassi monoinsaturi, come l’acido oleico di cui è ricchissimo l’olio d’oliva, fa diminuire il colesterolo LDL e tenderebbe a far aumentare il colesterolo HDL oltre che ad abbassare i trigliceridi. I grassi polinsaturi, distinti in omega-6, prevalenti negli oli vegetali, ed in omega-3, abbondanti nei pesci ed in noci, nocciole e mandorle, tendono a ridurre il colesterolo LDL. L’olio d’oliva, rispetto a tutti gli altri tipi di grassi, sembra favorire le migliori condizioni per il giusto profilo lipemico antiaterosclerotico. Già i primi studi epidemiologici nutrizionali degli anni ‘60 suggerirono il minor rischio di malattie cardiovascolari cui erano esposte le popolazioni mediterranee rispetto ai paesi nordeuropei e nordamericani e subito si sospettò il

ce e da vitamine che hanno attività prevalentemente antiossidante. Queste sostanze impedirebbero al colesterolo LDL di ossidarsi, ostacolando uno dei principali passaggi nella catena degli eventi che porta alla formazione della placca aterosclerotica. In particolare è stato documentato l’elevato potere antiossidante dei cosiddetti fenoli. Un consumo costante dei polifenoli dell’olio di oliva risulta associato ad una serie di effetti benefici sulla salute come la riduzione del rischio di cardiopatia ischemica, insorgenza del carcinoma mammario ed anche un miglior controllo della pressione arteriosa. E’ in questo contesto che si situa il progetto Eurolive (The effect of olive oil consumption on oxidative damage in European populations), studio

2) Il contenuto in polifenoli condiziona la capacità dell’olio di oliva di ridurre i marcatori plasmatici di stress ossidativo (maggiore il contenuto di polifenoli e minore il livello dei biomarkers di ossidazione); 3) Il consumo dell’olio di oliva di per sé, indipendentemente dal contenuto fenolico, modifica la composizione in acidi grassi delle LDL, incrementando in modo assolutamente significativo il loro contenuto in acido oleico e acido palmitico: in termini di contenuto relativo di acidi grassi nelle LDL, questo corrisponde in un aumento nel rapporto acidi grassi monoinsaturi (MUFA)/acidi grassi polinsaturi (PUFA) in grado di ridurre l’ossidabilità delle LDL e di conseguenza la loro aterogenicità (al contrario le LDL arricchite in acido

Oltre a tenere a bada i livelli di colesterolo è indicato per contrastare l’invecchiamento cellulare. Ottimo quando utilizzato a crudo, rappresenta il condimento ideale per i piatti della Dieta Mediterranea

I

linoleico sono più vulnerabili all’ossidazione mediata dai radicali liberi); 4) Tutti gli oli di oliva migliorano l’equilibrio tra le forme ridotte e ossidate di alcune molecole che aumentano il meccanismo endogeno di protezione cellulare contro gli stress ossidativi, indipendentemente dal contenuto in fenoli; 5) Il consumo dell’olio di oliva di per sé sembra essere associato ad una lieve ma significativa riduzione della pressione arteriosa sistolica (3%), indipendentemente dal contenuto in fenoli. Dunque il consumo di extravergine rappresenta un ottima fonte di quei preziosi elementi utili al benessere del nostro organismo. Ma quali sono le giuste quantità di olio da assumere? Crudo o come alimento di cottura? Sicuramente per una dieta sana ed equilibrata non vanno su-

perate le dosi di tre cucchiai al giorno. E’ importante ricordare infatti che l’olio non è un farmaco, un eccessivo consumo non fa abbassare il colesterolo ma, al contrario, lo innalza! Per quanto riguarda invece il modo in cui lo si utilizza, il consiglio è quello di preferirlo a crudo. Va però anche detto che l’extravergine non è dannoso nei cibi cucinati. Per la sua alta percentuale di acido oleico, l’olio d’oliva ha un elevato punto di fumo ed è stabile alle alte temperature: il mix ideale tra resistenza al calore e contenuto di antiossidanti che lo rende ottimo anche per la cottura.

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Per “menopausa fisiologica” s’intende un particolare momento nella vita di ogni donna in cui avviene la scomparsa spontanea del ciclo mestruale (ovvero il fenomeno inverso del menarca, cioè la comparsa della prima mestruazione). Si tratta dunque di uno specifico “momento” che avviene, tipicamente, tra i 45 ed i 52 anni.

A

lle volte, invece, il termine “menopausa” viene usato impropriamente per indicare tutto il periodo del climaterio: quest’ultimo infatti è un “periodo” (e non un momento) variabile fino ad un massimo di 10 – 12 anni che si colloca a cavallo del momento della menopausa e che è caratterizzato da irregolarità mestruale ed ormonali, fertilità estremamente ridotta, alterazioni dell’umore e mutamenti dovuti all’invecchiamento dei tessuti. I primi sintomi dell’incipiente menopausa sono principalmente di natura vasomotoria (quali vampate di calore) e psicologica (sonno disturbato, ansia, depressione). Nella post menopausa, invece, i sintomi sono legati all’invecchiamento dei tessuti (secchezza della cute e delle mucose, capelli meno forti e lucenti) e, pian piano, si fanno evidenti le alterazioni metaboliche le quali rap-

Dott. ssa Manuela Steffè Responsabile del Centro per la Procreazione Medicalmente assistita di I livello presso il Laboratorio Clinico Nomentano

presentano le conseguenze a lungo termine dello stato menopausale (ipercolesterolemia, insorgenza del diabete, ipertensione, aterosclerosi, osteopenia, osteoporosi, ecc.). Un variabile rilevante – e specifica di ogni singola donna – nel determinare quali conseguenze si verranno veramente a manifestare è legata allo stile di vita adottato fino al momento della menopausa, a caratteristiche e predisposizioni ereditarie per le singole patologie ed al carattere ed alle peculiarità psicofisiche della persona. La buona notizie dunque è che non tutte le patologie descritte si manifesteranno necessariamente in ogni donna ma che addirittura potrebbero non manifestarsi

Menopausa

affatto o farlo in modo limitato. Ciò detto, come fronteggiare al meglio questa fase così particolare nella vita di ogni donna? Lo stile di vita adottato è fondamentale: riduzione del fumo (in quanto accelera un invecchiamento dei tessuti in generale), alimentazione corretta intesa come “normocalorica” prediligendo frutta, verdure e zuccheri complessi e intensificazione dell’attività fisica, sono i cardini fondamentali. Quest’ultimo è un accorgimento spesso sottovalutato ma che è invece di primaria importanza in quanto la giusta elasticità e tono muscolari sollecitano le ossa a mantenersi in buona salute ed a perdere meno massa ossea possibile riducendo il rischio di osteopenia. Il consulto con il proprio ginecologo, magari in occasione dei controlli annuali, può essere utile per valutare – in base al quadro clinico individuale ed alle personali esigenze terapeutiche, diverse da donna a donna – l’eventuale vantaggio nell’avviare una terapia adiuvante non ormonale (supplementazione di calcio, isoflavoni, ecc.) oppure una terapia ormonale sostitutiva. Quest’ultima soluzione è stata a lungo demonizzata ritenendo che la somministrazione di tali farmaci comportasse un aumento del rischio di tumori post menopausali (mammella in particolare). L’evidenza attuale ci dice invece che tali terapie, se condotte per periodi limitati ed in casi ben selezionati, possano essere di notevole vantaggio rispetto ai disturbi vasomotori e psicologici riducendo e ritardando nel contempo l’insorgenza dell’invecchiamento tissutale e delle alterazioni metaboliche. 19


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Museo Civico Archeologico di Fara Sabina

Dal belvedere della Piazza del Duomo a Fara Sabina lo sguardo corre veloce verso gli antichi Sette Colli di Roma, ora come allora. Allora, quasi venti secoli fa, la valle creata dal Tevere avrebbe rivelato la presenza dei villaggi di quella parte del popolo sabino che aveva scelto di insediarsi lungo il fiume e che oggi chiamiamo i Sabini del Tevere.

P

iù vicino, sui colli a sinistra del corso del torrente Corese (nei pressi dell’odierna Talocci), Cures, che i romani consideravano la capitale dell’intera sabina, luogo natale di Numa Pompilio ed Anco Marzio e che, abitata sin dal IX secolo a.C., era certamente un punto di riferimento per tutti i sabini. Più lontano, ma non molto, su un’altura lungo il Tevere, Eretum. Più piccola, ma strategicamente importante perché, al confine del territorio dei Latini, 22

rappresentava un baluardo rispetto all’espansionismo romano. Proprio a Cures ed Eretum è dedicato il Museo Civico Archeologico di Fara in Sabina che raccoglie, appunto, i reperti rinvenuti durante gli scavi archeologici effettuati a partire dagli anni ’70. Scavi fortunati - caratterizzati dall’essere stati finalizzati nel caso di Cures all’abitato e nel caso di Eretum alla necropoli -che hanno consentito di ricostruire componenti importanti della vita e della cultura dei Sabini, dominatori di questa parte di Lazio dalla seconda metà dell’VIII secolo a.C. fino alla conquista romana circa cinquecento anni dopo (III sec. a.C.). Così Palazzo Brancaleoni e l’antico palazzetto del Monte Frumentario ospitano reperti ma anche un percorso audiovisivo fortemente didattico (e fortunatamente divulgativo) in grado di far vivere in prima per-

sona la vita quotidiana di quel popolo, le usanze, il grande livello di civiltà raggiunta (… del resto, dall’altra parte del Tevere vivevano gli Etruschi). Fin qui la ragione, la razionalità. Poi c’è l’emozione, perché il Museo di Fara custodisce un oggetto unico, incredibile: il trono di terracotta rosata tornato alla luce nel 2006 ad Eretum. La più grande tomba a camera ritrovata in Italia (37 metri di lunghezza complessiva) con al suo interno preziosi oggetti votivi, il carro da guerra del re e, soprattutto, il suo trono. Oggi è ospitato nella sala del Monte Frumentario, in un’ambientazione magnifica che consente al visitatore di lasciarsi catturare da un “viaggio nel tempo” multimediale meraviglioso. Sono pochi, anche tra i grandi musei di archeologia, quelli che permettono di vivere emozioni così profonde. Chi era questo re guerriero? Non conosciamo il suo nome,

forse non lo conosceremo mai. Certo, dovette compiere grandi imprese: forse si erse eroicamente a difesa dell’indipendenza sabina contro la conquista romana, e vinse. Siamo intorno al 500 a.C., i Sabini domineranno le loro terre ancora per due secoli. Torniamo alla “ragione”: vi è un’ultima cosa da dire, un merito da attribuire. Il Museo Archeologico non è una “cattedrale nel deserto” ma, al contrario, una tappa di un percorso particolare: quello dei musei della Valle del Farfa, realizzati dai comuni dell’area a metà degli anni ’80. Così, terminata la visita del Museo Archeologico, potrete accedere, proprio accanto, al Museo del Silenzio, ospitato nel Convento (di clausura) delle Clarisse. Poi, scendendo per pochi chilometri fino all’Abbazia di Farfa, il Museo di quest’ultima, dedicato al periodo medievale ed infine, a Castelnuovo di Farfa, il Museo dell’Olio. Un percorso prezioso, capace di narrare in poche selezionate pagine le storie ed i valori più profondi di questa terra.

Orari: Mattina - dal martedì alla domenica 9,00/13,00 Pomeriggio - venerdì 14,00/18,00 Giorno di chiusura: Lunedì Aperto su prenotazione: Mercoledì Biglietti: € 2,50 - entrata gratuita per tutti gli studenti ed ultrasessantenni Visite guidate per gruppi su prenotazione T. 0765-277321 museo@farainsabina.gov.it www.sabinideltevere.it www.principisabini.it

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Altre interviste ed approfondimenti su “MODELLO SANITÀ” puoi trovarle al sito

www.salutepiu.info

Intervista al Prof. FEDERICO SPANDONARO

Serve una programmazione sanitaria che risponda veramente alla domanda di salute dei cittadini e dei territori. Federico Spandonaro, Docente di Economia Sanitaria e Coordinatore scientifico del Rapporto Sanità del CEIS Università di Roma “Tor Vergata”, conduce da molti anni una costante ed attenta analisi del Sistema Sanitario Nazionale e della sua evoluzione. SalutePiù lo ha incontrato per raccogliere il suo parere di economista sulla complessa fase che sta vivendo il nostro sistema sanitario. 24

GALILEO FABRIZIO SCIARRETTA

Presenza di “fischi”?...Tosse? Sensazione di affanno?

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Porta Umbra

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Collevecchio da visitare

La nascita di Collevecchio possiede una “data certa” ma anche una sua piccola leggenda. Infatti, se da un lato Papa Innocenzo IV, al secolo Sinibaldo Fieschi dei Conti di Lavagna, nel 1253 concesse agli abitanti dell’insalubre Castrum Mozani di trasferirsi “ad locum qui Collis Vetulus vulgariter noncupatur”, dall’altro la storia popolare vuole che il nome Collevecchio nasca dal fatto che in quel luogo abitava un vecchio, di nome Cola, il quale, godendo di ottima salute, era l’invidia degli abitanti del Castrum Mozani i quali, alla fine, decisero di abbandonare la loro poco ospitale residenza per trasferirsi lì dove risiedeva Cola. Così, a metà del XIII secolo, Collevecchio inizia la sua storia come libero comune. Gli eventi lo spingono nella sfera d’influenza del comune di Narni che, a fronte di un tributo, si occupa della sua difesa. Nel XIV secolo, però, Collevecchio passa sotto la giurisdizione diretta della Santa Sede che, nel 1368 – pontifice Urbano V – lo concesse in feudo a Buccio e Francesco Orsini ed a questa famiglia restò per oltre due secoli tornando poi sotto la giurisdizione della Santa Sede nel 1580. A quel punto, Papa

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Gregorio XIII lo concesse a Valerio Orsini, abate commendatario di Fossanova, fino alla morte di quest’ultimo avvenuta nel 1594. Il passaggio del secolo, e precisamente il 1605, registra la fortunata evoluzione del destino di Collevecchio. In quell’anno a Papa Clemente VIII succede Paolo V e la tradizione vuole che Monsignor Paolo Coperchi, collevecchiano e Commissario della Reverenda Camera Apostolica, riuscì a influenzare la decisione che portò Paolo V ad insediare proprio qui la sede del Governatore Generale della Sabina. La sede qui rimase fino al 1816 quando, restaurato lo Stato Pontificio dopo l’invasione napoleonica, la Provincia di Sabina venne trasformata in Delegazione con sede a Rieti e suddivisa in sei Mandamenti (o Governi) e Collevecchio incluso nel Mandamento di Poggio Mirteto. Proprio all’elevazione a sede del Governatore, Collevecchio deve il suo bell’assetto urbanistico di impronta rinascimentale, che ammiriamo ancora oggi, ricco di palazzi patrizi ma anche di antiche vestigia medievali. Nel visitare il centro storico, partiamo proprio da queste ultime: Collevecchio si estende – con una forma ellittica – lungo due assi: Via Senatore Piacentini e Corso Umberto I. Via Piacentini, che parte dall’antica Porta Umbra, reca ancora le testimonianze della antiche opere di difesa fatte di archi posti in serie (perché ospitavano probabilmente più porte d’accesso in sequenza) sormontate da torri di guardia e difesa. L’esempio più evidente è proprio Porta Umbra, con la sua antica torre di guardia, a cui si è successivamente “addossato”, nel XVI secolo, Palazzo Menichini (XVI sec.). Curiosa la lapide posta all’interno della porta per ricorda l’esecuzione di un brigante e dove si legge: “Francesco Ceccani detto Moscante da Stimigliano per omicicidio in persona del vicepodestà e ferite al balivo di terra in odio di giustizia. Anno 1753”. Percorrendo Via Piacentini con Porta Umbra alle spalle, le costruzioni sulla vostra destra erano parte integrante delle antiche mura medievali. Tra tutte spicca il “retro” di Palazzo Coperchi (si riconosce dallo stemma costituito da una rosa orsiniana nella metà superiore ed uno scudo o coperchio in quella inferiore), il cui fronte potete ammirare da Via Roma. Dall’altro lato della strada, vi è un altro portone con lo stemma Coperchi: in questa casa si vuole sia nato l’umanista e vescovo Blosio Palladio. Palazzo Coperchi, attribuito alla scuola di Antonio da Sangallo il Giovane, è caratterizzato dal bel loggiato, un unicum in Sabina, sotto il

quale trovate lo stemma di papa Clemente VIII Aldobrandini (1592 - 1605) e l’iscrizione: “Benefactoribus Paulus Coperchius sacre aule concistoriales advocatus et camere apostolice commissarius generalis”, la quale ricorda proprio quel Monsignor Paolo Coperchi di cui abbiamo detto. Corso Umberto I è invece l’asse rinascimentale di Collevecchio, conseguenza sia delle esigenze di governo che di quelle residenziali private in un centro che attirava nuove presenze. Cosi, avendo a mano sinistra la chiesa parrocchiale della SS. Annunziata, a mano destra avrete Palazzo Floridi e, a seguire, quello che si vuole sia l’edificio più antico di Collevecchio e che è contraddistinto dai due architravi che recano incisa la frase “Vanitas vanitatum omnia vanitas 1598”. Di fronte il Palazzo Apostolico (XVII sec.) sede del Governatore Generale della Sabina e, nei seminterrati, le segrete dedicate a detenuti “politici”. Ad angolo fra la piazza principale e il corso è situato Il Palazzo del tribunale pontificio (XVII sec.), con le annesse carceri per i detenuti comuni, costruito per volere di Papa Paolo V. L’iscrizione posta sul lato verso la piazza ricorda il restauro delle carceri nel 1777. Se scendete nella traversa tra i Palazzo Apostolico e quello del Tribunale, vi troverete a Piazza dello Statuto, dove Porta Romana

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troverete il Teatro, costruito nel 1810 in stile neoclassico. Il restauro in epoca liberty, lo ha ornato di un dipinto del reatino Antonino Calcagnadoro, raffigurante lo stemma di Collevecchio retto da due muse alate. Corso Umberto I scende elegante verso Porta Romana, ornato dei portoni dei palazzi patrizi con i loro stemmi. L’ultimo palazzo del Corso, che lo chiude trasversalmente è Palazzo De Rossi, la sua corte ha come uno dei lati Porta Romana. Una curiosità: la porta attuale è cinquecentesca, quella che vedete alla sua destra (guardando da fuori) è l’antica Porta Romana un tempo murata ma successivamente riaperta a scopo di ornamento.

del secolo XVII che rappresenta due angeli, la Madonna e San Giovanni (questi ultimi due dipinti sugli sportelli di un armadio reliquiario posto dietro il crocefisso). Nella cappella a sinistra dell’altare è invece esposta una deposizione eseguita nel 1435 da un pittore fiammingo, copia di un originale di Roger Van der Weyden, (1399 – 1464). Nell’abside sono ricordati due illustri collevecchiani: a destra dell’altare il busto, attribuito al Bernini, di Marcantonio Cerbelli, morto nel 1630, figlio di una sorella di Monsignor Paolo Coperchi, il quale, come ci dice lo Sperandio nella sua “Sabina Sacra e Profana”, fu “dotto e piisimo prelato della Curia Romana” e sulla sinistra un medaglione ottocentesco con il profilo di don Vincenzo Petrarca. Se girate l’angolo della collegiata e scendete per Via Menichini (l’arco sopra la vostra testa con-

Chiesa di Sant’Andrea Palazzo Menichini

Chiesa Madonna del rifugio

La Collegiata dell’Annunziata a Collevecchio Probabilmente coeva della fondazione di Collevecchio, la troviamo citata nel 1343 nel noto Registrum Iurisdictionis Episcopatus Sabinensis da cui apprendiamo che la chiesa principale era all’epoca Sant’Andrea, dotata di un arciprete e cinque canonici, mentre la SS. Annunziata era “capellam sancte Marie positam in predicto castro”. Dunque si trattava di una “cappella”, ove quindi non risiedeva un sacerdote, al servizio del castrum. Nel ‘400 venne innalzata a “collegiata”, ovvero come sede di residenza di un “collegio” di canonici che viveva sotto un’unica regola e che costituiva il “capitolo”. Il portale della chiesa è del XV secolo mentre nel 1550 l’edificio venne restaurato completamente come ricorda la lapide sulla sua facciata. Il campanile romanico con doppio ordine di bifore fu danneggiato da un fulmine intorno al 1780 e ricostruito. L’interno della chiesa ha invece una configurazione barocca risalente al XVIII secolo. La SS. Annunziata conserva soprattutto due opere che meritano la visita. Nella cappella alla destra dell’altare, un crocefisso ligneo policromo, probabilmente alto medievale, di stile bizantino, proveniente dalla cappella di San Valentino e ancor prima dalla chiesa del castello di Mozzano. Il crocefisso è posto all’interno di una pala 28

sentiva il passaggio diretto ed “interno” tra il palazzo apostolico e la chiesa della SS. Annunziata) troverete sulla vostra sinistra il portale dell’antica cappella di San Pietro, Essa veniva utilizzata per consentire ai carcerati di partecipare alla Messa percorrendo un tratto di strada brevissimo dalla carceri. L’architrave reca due scritte sovrapposte. La prima, più antica, legge: “DIVO PETRO DICATAM”. La più recente, al di sopra, legge: “S. PETRO APOSTOLORUM PRINCIPI AD MDCCII”.

Per approfondimenti sulla Sabina vai su:

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INTERVISTA A CARLO GRAPPA SINDACO DI COLLEVECCHIO

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di questa importante testimonianza architettonica del nostro territorio.

Sindaco, Collevecchio può certamente vantare un impianto urbanistico particolare, con palazzi e chiese di pregio …. Si, il centro storico di Collevecchio ha certamente tratto grande vantaggio dal lungo periodo, secoli XVII e XVIII, in cui è stato sede del Governatore Generale della Sabina. La presenza di questa importante istituzione ha, infatti, portato con se la necessità di realizzare edifici pubblici per le varie funzioni cui era destinata: il Palazzo Apostolico, il tribunale, le carceri, eccetera. Inoltre, l’arrivo del governatore e del suo seguito, diede anche grande impulso allo sviluppo urbanistico dell’abitato, con la costruzione di numerose residenze signorili. Tra gli edifici civili spiccano senz’altro Palazzo Coperchi, attribuito alla scuola di Antonio da Sangallo il Giovane e Palazzo Menichini, attribuito alla scuola del Vignola. Un discorso a parte merita il Teatro Comunale, unico nel suo genere in Sabina, il cui impianto attuale risale agli inizi del ‘900, ma è

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senz’altro riferibile ad una pre-estistente struttura di inizio ottocento. Tra gli edifici religiosi, va senz’altro menzionata la chiesa parrocchiale della Santissima Annunziata più volte ristrutturata nel corso dei secoli, che conserva al suo interno pregevoli opere d’arte. Il territorio di Collevecchio comprende anche le frazioni di Cicignano, che conserva ancora il caratteristico impianto castrale medievale, e di Poggio Sommavilla nei cui pressi è situata un’importante area archeologica di epoca pre romana. Come state intervenendo per conservare questo importante patrimonio architettonico? Per quanto riguarda gli edifici civili, tra breve terminerà il restauro dell’ex scuola elementare di Cicignano, che oltre a riqualificare il centro storico del piccolo borgo, assolverà anche alle funzioni di centro socio-culturale, in funzione di allestimenti di mostre ed esposizioni, nonché luogo di aggregazione per gli abitanti. Più complessa è la situazione del patrimonio religioso in cui sussiste un’emergenza importante rappresentata dalla seicentesca chiesa della Madonna del Rifugio, ormai da anni chiusa al culto perché pericolante. Stiamo cercando di intervenire in sinergia con la Curia, proprietaria dell’edificio, per metterlo in sicurezza e poterlo successivamente riaprire al culto. A proposito di edifici religiosi, va segnalato l’accurato restauro dell’ex Convento dei Cappuccini che ha permesso la conservazione

Immagino che data la sua storia Collevecchio possieda un archivio storico importante? Effettivamente l’Archivio Storico Comunale è ricco di documenti riguardanti la storia non solo del nostro comune ma di tutta la Sabina e quindi rappresenta una risorsa significativa per tutti coloro che vogliano studiarne la storia, naturalmente soprattutto per i due secoli in cui qui aveva sede il governatorato. Conserviamo fondi importanti e con piacere accogliamo gli studiosi che li vogliono consultare. E per quanto riguarda la vita culturale cittadina e le sue iniziative? Avendo un bellissimo teatro, che tra breve ci apprestiamo a restaurare, cerchiamo di utilizzarlo il più possibile con rappresentazioni di vario genere, che spaziano dal teatro classico al dialettale, dalla musica al ballo e via dicendo. Con un certo orgoglio, ricordo che sul nostro palco si sono esibiti artisti che abitualmente calcano le scene dei più importanti teatri italiani: Iaia Forte, Catherine Spaak e Massimo Wertmuller. Naturalmente esistono numerose associazioni che organizzano opportunità di valorizzazione dei nostri centri storici e dei prodotti del nostro territorio. Tra queste vanno ricordate la Pro Loco, che tra le altre iniziative organizza la Sagra del Panpepato, un dolce natalizio caratteristico del nostro paese e la Festa dell’Olio che ha lo scopo di valorizzare il prodotto più conosciuto della Sabina e la banda musicale cittadina, un’istituzione con oltre due secoli di vita, promotrice del Festival Sabino delle Bande di Strada che anno dopo anno ha raggiunto un grande successo che ha ormai travalicato i confini della nostra provincia.

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