SalutePiù - Febbraio 2011

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benessere cultura costume

LABRO...borgo incantato Archeologia a Monterotondo

CELIACHIA

un problema sottostimato PREVENZIONE:

PROSTATA CUORE

L’OTITE NEI BAMBINI


benessere cultura costume

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Il Medico dello Sport

Hanno collaborato con noi la medicina

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Il Medico dello Sport - Quale sport scegliere?

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Il Cardiologo - A proposito di prevenzione cardiovascolare

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Il Biologo Nutrizionista - Celiachia

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L’Ortopedico - Torna lo sci: attenti alle mani

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Il Ginecologo - Piccole malformazioni uterine

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L’Urologo - Il tumore della prostata

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L’Otorinolaringoiatra - L’otite nel bambino

Celiachia

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in sabina

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In Sabina – Eretum, antico centro sabino

i borghi più belli d’italia

numero

febbraio 2011

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Labro: un borgo incantato

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L’Architetto: Preserviamo i nostri borghi

Direttore Responsabile Fabrizio Sciarretta

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Segreteria di Redazione

le interviste

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anno II

Paolo Togninelli - Archeologia a Monterotondo

Filippa Valenti valenti@laboratorionomentano.it T 06 90625576

Art director e impaginazione: Alessia Gerli Editore

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“I Borghi più Belli d’Italia”

Laboratorio Clinico Nomentano Srl Via dello Stadio 1 00015 Monterotondo (RM) Iscritto al registro della stampa e dei periodici del Tribunale di Tivoli n. 97/2009

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Graffietti Stampati S.n.c. S.S. Umbro Casentinese km.4.500 01027 Montefiascone (VT)

Per la pubblicità su questa rivista rivolgersi a: GERLI COMUNICAZIONE gerlicomunicazione@gmail.com T 0774 608028


L Fabrizio Sciarretta Direttore Responsabile

abro è un luogo unico dove il tempo si è fermato. L’impegno di SalutePiù per la salvaguardia dei nostri borghi non poteva che partire da qui, perché, come ci ha detto il suo sindaco, Gastone Curini, Labro testimonia come “la bellezza dei luoghi uniti all’entusiasmo ed alla competenza degli uomini possano invertire la rotta di un destino che sembrava segnato”. Si tratta di una storia importante, che dimostra come il declino possa essere battuto quando alla cultura ed al gusto si affianchi la capacità di fare, invece che solo di parlare. Godetevi le stupende foto di questo borgo e lasciatevi tentare dall’idea di fargli visita ! Il nostro impegno non può però fermarsi ad indicare un esempio da seguire: è anche necessario ragionare su come farlo. Per questo abbiamo chiesto all’architetto Stefano Eleuteri, professionista reatino che dedica la sua attività al recupero dei centri storici ed ai loro piani urbanistici, di proporci un quadro di riferimento che possa essere fatto proprio da quelle amministrazioni locali che si cimentano o si cimenteranno con l’argomento. Ne è emerso un sistema basato su sedici punti chiave che rappresentano una linea guida importante a cui ispirare le scelte urbanistiche relative ad un centro storico. Certo, quello che l’architetto Eleuteri cortesemente non dice, ma io si, è che questa linea guida a poco servirà se non troverà, nei gestori della cosa pubblica, sensibilità e cultura. Certo, per incoraggiare lo sviluppo di una cultura della preservazione dei centri storici nella nostra classe politica, è anche importante non fare sconti a chi dimostra di non averla quando veniamo chiamati alle urne. Parlare di borghi storici significa parlare tout court di storia, di origini, di percorsi: questo è il senso dell’intervista che SalutePiù dedica a Paolo Togninelli, archeologo e direttore del Museo Archeologico di Monterotondo. Dovremmo ricordare tutti dai tempi della scuola, quanto antica sia la presenza dell’uomo in Sabina e quanto abbia “contato” la Sabina nello sviluppo di Roma (antica). Orbene, la Sabina è ricca di queste vestigia e di piccoli, valorosi musei che vogliono raccontare questo grande passato. Noi vogliamo, viceversa, raccontarvi di loro e far loro tutta la pubblicità che possiamo. Partiamo da Monterotondo, ma vedrete che gireremo parecchio ! Capisco che l’editoriale di una rivista che si chiama SalutePiù, dovrebbe parlare di salute ! Lo faccio senz’altro. Innanzitutto vi incoraggio a leggere l’articolato approfondimento sulla celiachia: una patologia largamente sottostimate, se è vero che in Italia a fronte di 100.000 celiaci “acclarati” ve ne sono circa 500.000 che non sanno di esserlo, ma che stiamo iniziando a contrastare bene fornendo al paziente celiaco una qualità di vita sempre più vicina alla normalità come ci racconta Silvio Moretti, biologo nutrizionista e membro del Gruppo di Lavoro “Celiachia” del Ministero della Salute. Poi, vi sottolineo la nostra continua attenzione al tema della prevenzione: in questo numero la facciamo occupandoci di cuore e di quei “fattori di rischio” sui quali è possibile intervenire e di prostata – un tema sul quale dai cinquant’anni in su noi uomini dovremmo stare attenti – ospitando il prestigioso punto di vista del Professor Antonino Gatto, primario chirurgo dell’Ospedale SS. Gonfalone di Monterotondo. Infine – più che di prevenzione qui si tratta di buon senso – prendete in considerazione i consigli di Rita Leonardi, medico dello sport, su come scegliere la disciplina da praticare voi o da far praticare ai vostri figli: eviterete così di dovervi, poi, recare dal medico per rimediare a qualche imprudenza !!

“L’OTITE NEI BAMBINI”

“QUALE SPORT SCEGLIERE”

Dott.ssa MARZIA RUGGERI

Dott.ssa RITA LEONARDI

La Dott.ssa Marzia Ruggieri si è laureata in Medicina e Chirurgia e si è specializzata in Otorinolaringoiatria e Chirurgia Cervico-Facciale presso l’Università di Roma La Sapienza Dal 2003 al 2006 ha lavorato presso la Divisione di Otorinolaringoiatria e Chirurgia Cervico Facciale dell’Istituto Tumori di Roma “Regina Elena”. Attualmente svolge attività libero professionale presso diverse strutture sanitarie ed è Responsabile della Branca di Otorinolaringoiatria del Poliambulatorio Specialistico Nomentano. Sta svolgendo inoltre un Dottorato di Ricerca in “Tecnologie avanzate in Chirurgia” presso l’Università di Roma” La Sapienza”, Dipartimento di Otorinolaringoiatria, Audiologia e Foniatria “G. Ferreri.”

La Dott.ssa Rita Leonardi si è laureata in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” e successivamente ha conseguito la Specializzazione in Medicina dello Sport presso l’Università degli Studi de L’Aquila. Ha sviluppato la sua esperienza sia nella medicina dei servizi presso ASL che nella medicina generale. Svolge inoltre attività di Volontario Medico della Croce Rossa Italiana. Esercita la sa attività di Medico dello Sport presso il Poliambulatorio Specialistico Nomentano.

“A PROPOSITO DI PREVENZIONE CARDIOVASCOLARE” “L’ECOGRAFIA NELLA DIAGNOSI DEL TUMORE ALLA PROSTATA” Dott. FRANCESCO VULTERINI

HANNO COLLABORATO

“PRESERVIAMO I NOSTRI BORGHI”

“TORNA LO SCI: ATTENTI ALLE MANI”

“PREVENIRE IL TUMORE DELLA PROSTATA”

Arch. STEFANO ELEUTERI

Dott. FABIO SCIARRETTA

Dott. ANTONINO GATTO

L’Arch. Stefano Eleuteri è nato e risiede a Rieti, dove svolge prevalentemente la propria attività professionale. Si è laureato all’Università di Roma con Laurea in Architettura - Tutela e Recupero del Patrimonio Architettonico con relatore il Prof. Enrico Guidoni. Ha collaborato con la cattedra del Prof. Cesare Feiffer per la redazione di Tesi di Laurea di Restauro. La sua attività lavorativa si rivolge prevalentemente al recupero dei centri storici, alla redazione di piani urbanistici ed alla progettazione e consolidamento di edifici storici monumentali

Il Dott. Fabio Sciarretta è specializzato in Ortopedia e Traumatologia presso l’Università di Roma “La Sapienza”. Chirurgo ortopedico, ha prestato servizio in qualità di dirigente sanitario presso l’Ospedale San Giovanni Battista di Roma, presso il Reparto di Ortopedia e Traumatologia dell’Ospedale Civile di Velletri e presso l’Ospedale Israelitico di Roma. Svolge attualmente la sua attività professionale presso diverse case di cura romane. E’ stato relatore in oltre 40 congressi nazionali ed internazionali ed ha al suo attivo 38 pubblicazioni.

Il Professor Antonino Gatto, Primario Chirurgo del Presidio Ospedaliero SS. Gonfalone della ASL RMG; è specialista in Chirurgia d’Urgenza e Pronto Soccorso, in Urologia ed in Chirurgia Plastica e Ricostruttiva. Nell’ambito della Scuola di Specializzazione in Chirurgia Generale dell’Università degli Studi di Tor Vergata di Roma è titolare dell’insegnamento di Chirurgia d’Urgenza. E’ autore di oltre 60 pubblicazioni scientifiche di interesse chirurgico e la sua la sua casistica operatoria consta di oltre 6.000 interventi chirurgici di media ed alta chirurgia generale, vascolare, toracica, urologia e plastica.

Esercita la sua attività presso diverse case di cura ed ambu latori specialistici della Capitale nonché nell’ambito del Servizio di Radiologia del Poliambulatorio Specialistico Nomentano per quanto attiene l’ecografia ginecologia ed ostetrica.

il Celiaco del Laboratorio Nomentano di Monterotondo.

Laureato in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” con il massimo dei voti, il dottor Francesco Vulterini si è specializzato presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma in “Scienza delle Immagini - Radiologia Diagnostica”. Ha operato prima presso la USL RM 30 nei presidi di Colleferro-Valmontone e dal 1996 presso il polo ospedaliero Palestrina-Zagarolo della USL RMG. Dal 1999 presta servizio presso l’Ospedale Nuovo Regina Margherita di Roma nel reparto di Radiologia. Consulente radiologo dell’IPA, l’istituto di previdenza per i dipendenti del Comune di Roma e della Clinica Mater Dei, è Responsabile del Servizio di Radiologia del Poliambulatorio Specialistico Nomentano.

Dott. ANTONIO SAPONARO

Il Dr. Antonio Saponaro è laureato in Medicina e Chirurgia presso l’Università di Roma “Tor Vergata” e specializzazato in Cardiologia presso la seconda Facoltà di Medicina dell’Università “Sapienza” di Roma. E’ in servizio presso il reparto di cardiologia del Policlinico Militare “Celio”. Svolge la sua attività professionale presso il Poliambulatorio Specialistico Nomentano ed in altri ambulatori romani. Ha al suo attivo alcune pubblicazioni sul Giornale di Medicina Militare e su Minerva Cardiologica.

“MALFORMAZIONI UTERINE E FERTILITÁ”

Dott.ssa ANTONELLA CARNEVALE

La Dr.ssa Antonella Carnevale, si è laureata in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli studi di Roma “La Sapienza”, e successivamente si è specializzata in Ginecologia ed Ostetricia nel medesimo ateneo con il massimo dei voti.

“ERETUM, ANTICO CENTRO SABINO” Dott. SALVATORE G. VICARIO

Salvatore G. Vicario, medico e scrittore, è specialista in Ostetricia e Ginecologia, giornalista pubblicista, saggista. E’ stato professore di Psicoprofilassi Ostetrico-Ginecologica presso l’Istituto Superiore di Educazione Fisica di Roma; collaboratore dell’Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani per il “Dizionario Biografico degli Italiani” e del Centro Studi Filologici e Linguistici Siciliani, Opera del Vocabolario Siciliano; i suoi saggi più significativi sono raccolti in Fascina (Roma 1991). Siciliano, ha lasciato la sua Terra Natale al compimento del ciclo universitario, portandone sempre dentro la nostalgia: ha suggerito l’inserimento del paese nativo, Galati Mamertino, a Virginio Sabel nel programma televisivo Questa nostra Italia, Sicilia e, nel volume della Storia dell’arte italiana (vol. 8, 1981), a Federico Zeri, suo amico per trentasei intensi anni.

“LA CELIACHIA” Dott. SILVIO MORETTI

Silvio Moretti, laureato in Scienze Biologiche presso l’Università di Roma “La Sapienza”, ha da sempre indirizzato il suo percorso professionale verso l’approfondimento scientifico nel settore biomolecolare e nutrizionale, acquisendo una vasta esperienza nella sicurezza alimentare, ambientale e dei luoghi di lavoro ed applicando visioni innovative nella consulenza nutrizionale. Effettua continuativamente docenze nei campi della nutrizione, delle intolleranze alimentari, dei rischi chimici e biologici. E’ membro del Gruppo di Lavoro “Celiachia” del Ministero della Salute per la redazione delle “Linee-guida della Malattia Celiaca” e Referente Regionale AFC per l’ Associazione Italiana Celiachia.Nella sua qualità di Biologo Nutrizionista è responsabile della Sezione Nutrizione per il Celiaco del Laboratorio Nomentano di Monterotondo.


Quale sport scegliere? Dott.ssa Rita Leonardi Specialista in Medicina dello Sport Poliambulatorio Specialistico Nomentano

IL MEDICO DELLO SPORT

La consapevolezza dei danni associati ad una vita sedentaria ha portato nel tempo, come naturale conseguenza, una crescente diffusione della pratica sportiva, sia tra i bambini e gli adolescenti che in età adulta con ottimi risultati in termini di miglioramento dello stato di salute generale e di prevenzione di patologie specifiche.

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nfatti, per i più giovani che si trovano nella cosiddetta “età evolutiva”, all’esigenza di mantenere lo stato di salute si aggiunge quella di favorire uno sviluppo fisiologico ottimale ed un’attività fisica scarsa o irregolare può causare lo sviluppo di diversi quadri clinici definiti “paramorfismi” (modificazioni). Quelli tipici dell’età evolutiva (ipercifosi dorsale, iperlordosi lombare, atteggiamento scoliotico, ecc.), dipendono generalmente da una ridotta funzionalità dell’apparato muscolo-scheletrico. Per gli adulti, invece, lo sport previene le patologie “cronico-degenerative” di quell’età (obesità, diabete, ipertensione, malattie cardiovascolari, ecc.). Ma quale sport scegliere? Non tutti gli sport sono uguali e, soprattutto, non tutti gli sport vanno bene per tutti. Chi non ha mai praticato con regolarità un’attività fisica o si appresta a iniziarla per la prima volta (di solito per motivi di salute), si trova a dover risolvere alcune questioni preliminari, per

esempio quale attività scegliere, quali e quanti esercizi eseguire, come e quando allenarsi. Bisogna tener presente che, l’attività sportiva per essere utile deve essere graduale, continuativa e certamente proporzionale al livello di allenamento dello “sportivo” dilettante. Lo sport scelto deve piacere, non è possibile considerarlo una “punizione” da scontare per ottenere un qualche vantaggio fisico o estetico. Ovviamente, è meglio praticare attività sportiva in ambiente salubre. In età adulta, la scelta del tipo di attività fisica o sportiva è condizionata principalmente dalle preferenze individuali, dallo stato di salute (presenza di eventuali patologie), dalle capacità fisicomotorie (livello di efficienza fisica) e da altre variabili legate ad impegni di lavoro e familiari. Ciò che va però in ogni caso attentamente considerato e gestito è il rapporto tra età dello sportivo e tipologia di attività svolta. In altre parole, tra i 20 e i 30 anni si raggiunge il massimo della prestazione sportiva sia nelle attività di resistenza cardiovascolare che in quelle di forza: in questa fascia d’età è indicata qualsiasi disciplina sportiva, sia individuale che di squadra. Tra i 30 e i 40 anni il mantenimento di una buona forma fisica è legato alla regolarità e alla correttezza del programma di allenamento seguito; specialmente se negli anni precedenti ci si è mantenuti fisicamente attivi, si possono ancora raggiungere buoni livelli nella prestazione sportiva. Dopo i 40 anni, i programmi di attività fisica e/o sportiva si modificano non tanto nei contenuti (che devono prevedere, in-

nanzitutto, un allenamento di resistenza cardiovascolare, di forza e di flessibilità) quanto piuttosto nella distribuzione dei carichi di lavoro (intensità, durata e frequenza) e nelle modalità di esecuzione. Dopo i 60 anni un programma di ricondizionamento motorio idoneo deve prevedere esercizi che non creino sollecitazioni eccessive sulla colonna vertebrale e sull’apparato muscolo-scheletrico e che, in generale, non pongano l’organismo in condizioni di stress molto intenso, col rischio di compromettere il livello delle capacità di adattamento al lavoro tipiche di questa età. Tuttavia,

è necessario che le proposte operative siano comunque in grado di indurre adeguate sollecitazioni meccaniche, a loro volta capaci di produrre effetti positivi sull’aumento della densità ossea, sul miglioramento del tono e del trofismo muscolare, sulla funzionalità cardiocircolatoria e respiratoria e sulla flessibilità. In tal senso sono consigliati gli sport aerobici (ginnastica aerobica, jogging, nuoto, camminata), le attività con i pesi, gli esercizi di stretching, di rilassamento e di educazione respiratoria. Per quanto riguarda i più giovani, è importante scegliere, in primo luogo, uno sport che sia adatto all’età, alle dinamiche di sviluppo e alle capacità fisiche e motorie del bambino e che rispetti i suoi gusti, realizzando le sue aspettative di relazione e di confronto sociale. In considerazione della grande disponibilità al movimento tipica dell’età infantile e giovanile, una scelta adeguata consente al bambino non soltanto di mantenere un ottimale livello di abilità

fisica, ma anche di effettuare un migliore approccio all’attività fisica e sportiva vivendo lo sport in maniera piacevole e divertente. E’ necessario scegliere una disciplina sportiva in grado di correggere, o modificare, la postura dei bambini, di esaltarne le potenzialità, di sviluppare lo spirito di gruppo, la socializzazione, la relazione con gli altri, senza dimenticare l’autostima. E’ evidente che, svolgere una regolare attività fisica, anche di moderata intensità, favorisce uno stile di vita sano, con notevoli benefici sulla salute generale della persona. Nella scelta dello sport,

è necessario considerare, con l’aiuto di un medico dello sport, le caratteristiche proprie di ogni attività e, se non si è più tanto giovani o si è affetti da qualche patologia, concordare un piano di allenamento che possa dare tutti i benefici senza correre rischi.

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A proposito di... Perché su diversi fattori di rischio per le malattie del cuore e dei vasi si può e si deve intervenire

prevenzione cardiovascolare Dott. Antonio Saponaro Specialista in Cardiologia Poliambulatorio Specialistico Nomentano

Ricetta per un cuore sano! Pasta e ceci

Le malattie cardiovascolari rappresentano la prima causa di morte nei Paesi occidentali. In Italia 240 mila persone (110 mila circa uomini e 130 mila donne) muoiono ogni anno per malattie dell’apparato cardiovascolare. In particolare, l’ infarto miocardico, presenta una prevalenza maggiore nel sesso maschile, mentre l’ictus cerebri e le malattie cerebrovascolari colpiscono con maggiore frequenza il sesso femminile.

IL CARDIOLOGO

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e malattie cardiovascolari sono principalmente conseguenza dell’aterosclerosi che è una malattia che colpisce la parete delle arterie attraverso la formazione di placche a contenuto lipidico, causandone un restringimento (stenosi), che nei casi più gravi, può causare la loro occlusione. Le stenosi possono ostacolare il flusso di sangue (e quindi l’apporto di ossigeno e sostanze nutritive) agli organi, soprattutto in condizioni in cui è richiesto un aumento del flusso (come, ad esempio, al cuore in corso di sforzo fisico). Esse, inoltre, possono complicarsi improvvisamente (rottura della placca), e quasi sempre imprevedibilmente, con la formazione di un trombo, che occlude rapidamente il vaso, determinando l’interruzione completa del flusso di sangue. Questa occlusione, se prolungata, e’ responsabile dell’infarto, cioè la morte delle cellule. I meccanismi responsabili dell’aterosclerosi e delle sue complicanze sono molteplici. Più che delle cause specifiche, tuttavia, possiamo considerare che esistono una serie di fattori, detti fattori di

rischio cardiovascolare, che ne favoriscono lo sviluppo e le complicanze, aumentando, quindi, il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari (rischio cardiovascolare globale). I principali fattori di rischio cardiovascolare possono essere suddivisi in modificabili e non modificabili. I fattori di rischio non modificabili (su cui, cioè, non possiamo intervenire) comprendono l’età, il sesso maschile e la familiarità per malattie cardiovascolari. I classici fattori di rischio modificabili (su cui si può intervenire) comprendono l’aumento dei livelli di colesterolo nel sangue (ipercolesterolemia), l’aumento della pressione arteriosa (ipertensione), il diabete, il fumo di sigaretta, l’inattività fisica, l’aumento dei livelli ematici di trigliceridi, l’obesità. L’abolizione, o almeno la drastica riduzione, di questi fattori di rischio, da perseguire fin dall’età pediatrica, rappresenta uno dei mezzi più efficaci per ridurre il rischio di sviluppare un infarto o un ictus cerebrale e costituisce l’obiettivo principale della prevenzione delle malattie cardiovascola-

ri. E’ pertanto fondamentale uno stile di vita adeguato, con un’attenta alimentazione, che prediliga frutta, verdura e pesce, l’abolizione completa del fumo (due sigarette al giorno raddoppiano il rischio di infarto), una regolare moderata attività fisica (almeno 30 minuti 5 volte a settimana), ed il mantenimento del peso entro limiti ottimali (indice di massa corporea, cioè rapporto tra peso in Kg e quadrato dell’altezza in m2, inferiore a 25). Da notare che recentemente è emerso che ancora più importante del contenimento dell’indice di massa corporeo è mantenere la circonferenza del girovita a valori inferiori a 102 cm nell’uomo e a 88 cm nella donna. Un uso moderato di vino (massimo due bicchieri al giorno) è consentito e può anche avere effetti benefici sulla circolazione, verosimilmente in virtù del suo potere antiossidante, ma è fortemente sconsigliata una quantità superiore di alcool, che ha effetti deleteri a lungo termine. In diversi casi, tuttavia, per alcuni fattori di rischio (ipercolesterolemia, ipertensione, diabete) è necessario ricorrere ad un appropriato trattamento farmacologico. Ricordiamo

qui che, in soggetti apparentemente sani, viene considerato attualmente ottimale un valore di colesterolo LDL nel sangue inferiore a 150 mg/dL. I valori di colesterolo totale ed LDL vanno tenuti più bassi (sotto i 130 mg/dL) nei pazienti che hanno altri fattori di rischio, e ancora più bassi (sotto i 100 mg/dL) in quelli affetti da diabete o che abbiano già avuto un infarto o ictus. Riguardo alla pressione arteriosa, ricordiamo che sono oggi ritenuti ottimali valori inferiori a 130/85 mmHg. I fattori di rischio tradizionali spiegano circa il 90% delle malattie cardiovascolari. In almeno il 10% dei pazienti che vanno incontro ad infarto o ictus, tuttavia, non è possibile riscontrare alcun fattore di rischio classico. Ciò ha stimolato la ricerca di ulteriori fattori di rischio in grado di colmare questa lacuna. Tra i fattori di rischio cardiovascolare emergenti, i più rilevanti e studiati in anni recenti sono gli indici di infiammazione nel sangue, di cui il più semplice e facilmente misurabile è la Proteina C Reattiva. Anche la sindrome metabolica costituisce una nuova entità che individua soggetti

Lasciate i ceci a bagno in abbondante acqua tiepida per un’intera notte. Scolateli, metteteli in una pentola con circa due litri d’acqua salata, portate a ebollizione e cuocete coperto, a fuoco basso, per circa 3 ore. A metà cottura toglietene tre mestoli, frullateli e poi versate di nuovo nella pentola. In un tegame insaporite un po’ d’olio, l’aglio schiacciato e il rosmarino, quindi aggiungete i pomodori. Dopo 10 minuti spegnete, eliminate l’aglio e versate questa salsa nella pentola dei ceci. Mescolate e regolate, se necessario, il sale. Spezzettate le tagliatelle e cuocetele insieme ai ceci. A cottura ultimata versate nella zuppiera, conditela con un cucchiaio d’olio, il formaggio grattugiato e il pepe.

con un rischio particolarmente aumentato di sviluppare malattie cardiovascolari. Essa è data dalla combinazione, nello stesso individuo, di alcuni dei tradizionali fattori di rischio: 1) ridotta tolleranza al glucosio; 2) circonferenza addominale superiore a 102 cm nell’uomo o a 88 cm nella donna (quindi soprappeso o obesità) 3) bassi livelli di colesterolo HDL, “il cosiddetto colesterolo buono” (<40 mg/dL nell’ uomo e <50 mg/dL nella donna); 4) trigliceridemia >150 mg/dL; 5) pressione arteriosa >130/85 mmHg.


effettuerà un test istologico di conferma che consiste in una biopsia intestinale per verificare il danneggiamento e l’atrofia dei villi intestinali. Data la sua caratteristica di malattia genetica, è opportuno effettuare uno screening dei parenti di primo grado del malato ed eventualmente estendere la ricerca verso nipoti e cugini, soprattutto se evidenziano patologie che suggeriscano il rischio di celiachia.

Dott. Silvio Moretti Biologo Nutrizionista Responsabile Sezione Nutrizionale per il Celiaco del Laboratorio Clinico Nomentano

IL BIOLOGO NUTRIZIONISTA

500.000, secondo l’Associazione Italiana Celiachia, è il numero degli italiani che sono celiaci ma non lo sanno, perché uno dei problemi di questa patologia che ancora conosciamo poco è la sottostima del numero di coloro che ne sono affetti. Purtroppo, poi, gli studi più recenti mettono in luce come l’intolleranza al glutine compaia sempre più spesso in età adulta o addirittura da anziani. Infatti, secondo i ricercatori del Center for Celiac Research dell’Università di Baltimora, il numero delle nuove diagnosi fra gli over 60 è raddoppiato in 15 anni. Fattori ambientali, ad esempio il consumo abbondante e pressoché esclusivo di grani molto ricchi della frazione tossica del glutine, sono probabilmente alla base della patologia in età avanzata. In altre parole, i dati sembrano dimostrare come all’aumentare dell’età cresca anche l’incidenza della celiachia: si ribalterebbe così la teoria tradizionale secondo la quale l’intolleranza al glutine si manifesta per lo più nell’infanzia. Dunque celiaci non si nasce (necessariamente), ma è più che possibile diventarci con il passare degli anni.

Che cos’è la celiachia?

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a celiachia è una malattia digestiva di origine genetica attivata dall’ingestione del glutine, proteina presente nella cariosside del grano e quindi contenuta nelle pietanze a base di frumento, orzo o segale quali pasta, pane, biscotti, pizza. I celiaci reagiscono all’assunzione di tali alimenti con una reazione auto-immunitaria abnorme a livello dell’intestino tenue, determinata dalla frazione tossica del glutine. Tale reazione genera un’infiammazione cronica, danneggia i tessuti dell’intestino tenue e porta alla scomparsa dei villi intestinali, fondamentali per l’assorbimento dei nutrienti e degli oligo-elementi. Il celiaco quindi non è in grado di assorbire sostanze nutritive in quantità sufficienti e perciò rischia la malnutrizione. Inoltre, in caso di mancato trattamento, la celiachia, può portare allo sviluppo di altre malattie tra le quali forme di cancro intestinale; osteoporosi, per lo scarso assorbimento del calcio; aborto e malformazioni congenite, poiché in gravidanza, l’apporto di sostanze nutritive è cruciale per la buona salute del feto; bassa statura, poiché in età infantile la celiachia non permette l’assorbimento adeguato dei nutrienti per la crescita; convulsioni o attacchi epilettici, derivati da calcificazioni formatesi nel cervello per carenza di acido folico per scarso assorbimento.

I sintomi e la diagnosi

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a celiachia è una malattia genetica, di cui si può determinare la predisposizione dell’individuo. Esistono però occasioni di stress acuto che possono favorirne l’insorgenza (gravidanza, interventi chirurgici, parto, infezioni virali, ecc.) come anche fattori relativi al tipo di alimentazione e alla quantità di glutine introdotto nella dieta. I sintomi possono essere numerosi ma il problema sta nel fatto che essi sono simili a quelli di altre malattie anche di interesse dell’intestino (dolori addominali, diarrea cronica, perdita di peso, feci chiare, anemia, produzione di gas, dolori alle ossa, cambiamenti comportamentali, crampi muscolari, stanchezza, crescita ritardata, dolori articolari, insensibilità agli arti, ulcere dolorose nella bocca, irritazioni della pelle, danneggiamento dello smalto e del colore dei denti, irregolarità dei cicli mestruali). Inoltre, in una certa percentuale di casi, la celiachia non sviluppa alcun sintomo evidente. Pertanto, la diagnosi passa principalmente per alcune analisi del sangue di primo livello finalizzate a determinare il livello di anticorpi specifici Antigliadina (IgA, IgG), Antiendomisio (EMA) ed Anti-Transglutaminasi (tTG IgA), prodotti nel sangue in risposta alla presenza di glutine. Nel caso si registri un risultato positivo, si

Il trattamento della celiachia e la consulenza nutrizionale

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l trattamento della celiachia richiede una dieta priva di glutine, onde ricostituire i tessuti intestinali: se la malattia è all’inizio, il funzionamento normale dell’intestino, con riscostituzione dei villi, può avvenire in 3-6 mesi. In adulti malati da tempo, possono occorrere fino a due anni. Seguire una dieta priva di glutine significa eliminare gli alimenti derivati da grano, orzo e potenzialmente altri cereali (pasta, pane, pizza, merendine e torte). Carne, verdure, riso, mais, prodotti caseari che non contengano glutine possono invece entrare nella dieta. Sono inoltre disponibili prodotti sostitutivi (a dicitura “gluten free”) ed è possibile utilizzare farine e derivati delle patate, del riso, della soia o di altri legumi. Occorre altresì predisporre una corretta sequenza nutrizionale per evitare, nel nuovo assetto dietetico, carenze od eccessi, come lo sbilanciamento verso i carboidrati contenuti negli alimenti gluten-free (forniti gratuitamente al celiaco) o come la presenza del nichel ad alte concentrazioni nel mais e nelle farine derivate. Va detto però che attraverso la conoscenza di ricette e prodotti alternativi e di nuovi procedimenti di preparazione, anche chi è affetto da celiachia, con una corretta organizzazione e con le giuste informazioni specialistiche, può tornare a mangiare con gusto proprio come prima.

I numeri della celiachia

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01 mila celiaci in Italia; circa 10.000 nuove diagnosi ogni anno nel nostro Paese; 1 su 100 è l’incidenza dei celiaci in Italia e nel mondo; 500.000 i celiaci in Italia che non sanno di esserlo; oltre 2.000 strutture di ristorazione in Italia che possono ospitare celiaci in sicurezza; circa 2.000 i prodotti senza glutine contenuti nel registro Nazionale degli Alimenti; 150 milioni di euro la spesa complessiva in Italia per gli alimenti senza glutine; 2005 è l’anno a partire dal quale la legge garantisce ai celiaci il diritto di avere un pasto senza glutine in tutte le mense pubbliche; FONTE: Associazione Italiana Celiachia - AIC

Il LABORATORIO NOMENTANO grazie ad una Sezione dedicata alla Malattia Celiaca – offre ai Pazienti ed ai loro Medici Curanti un supporto specifico in grado di accompagnare il paziente nel percorso che, dal momento della diagnosi della malattia, attraverso le corrette indicazioni nutrizionali, porterà al recupero di una vita normale. Infatti, obiettivo della Sezione Nutrizionale per il Celiaco è di seguire il Paziente in tutte le problematiche connesse alla dieta senza glutine. In dettaglio, la Sezione svolge le seguenti attvità: • educazione sanitaria nei confronti di Pazienti già diagnosticati come celiaci, per istruirli a ridurre al minimo l’esposizione al glutine e quindi la possibilità di recidive della malattia; • supporto tecnico al Medico Curante, in caso di sospetto diagnostico, per l’esecuzione dei primi accertamenti laboratoristici a conferma della diagnosi, per il successivo invio dei casi positivi presso il Centro ospedaliero in cui verrà continuato l’iter diagnostico specialistico per la conferma della diagnosi; • diagnosi precoce delle recidive attraverso l’Analisi Nutrizionale, che una volta individuate saranno puntualmente segnalate al Medico Curante e prontamente indirizzate al Centro Ospedaliero di riferimento; • preparazione di diete personalizzate per celiaci; • preparazione di diete per pazienti celiaci affetti anche da altre patologie, per le quali è indicato uno specifico regime dietoterapico. • formazione in materia di celiachia degli addetti alla ristorazione collettiva; • profilassi del disagio psicologico del paziente e del suo nucleo familiare; • agevolazione dell’informazione nelle collettività scolastiche, sportive e lavorative; • preparazione e aggiornamento professionale del personale sanitario.

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Torna lo SCI:

attenti alle mani L’ORTOPEDICO

E’ arrivato l’inverno e molti di noi hanno ripreso la pratica dello sport molto amato e atteso per tanti mesi: lo sci.

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Marco

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ome molti sanno e’ uno sport praticato da un elevatissimo numero di persone, in condizioni climatiche del tutto diverse da giornata a giornata e pertanto talvolta in situazioni meteorologiche negative e spesso senza che si sia portato avanti un adeguato e preventivo programma di allenamento muscolare che consenta di affrontare le difficolta’ che si possono incontrare in discese magari piu’ difficili di quanto previsto. In questo breve scritto vorrei focalizzare l’attenzione su tre diverse patologie in modo da non scontentare nessuno: discesisti, fondisti e snowboardisti. L’attenzione dei primi voglio concentrarla sulle mani: forse non tutti sanno che la scorretta impugnatura dei bastoncini puo’ causare lesioni importanti a livello del

Dott. Fabio Sciarretta Chirurgo Ortopedico

pollice danneggiando il legamento collaterale ulnare dell’articolazione metacarpofalangea, cioe’ il legamento che tiene unite e da’ stabilita’ all’ultimo ossicino del palmo della mano e alla prima falange del dito, consentendo al pollice di eseguire una presa stabile e forte. Essa si verifica molto spesso quando il pollice rimane intrappolato nel cinturino della racchetta. La lesione e’ il prodotto di una caduta sulla mano aperta che tiene il bastoncino da sci e produce una forzata apertura del dito. Nei casi piu’ comuni si tratta di una lacerazione parziale del legamento che guarisce in maniera adeguata immobilizzando il pollice per

tre settimane in una stecca metallica od in tutore ortopedico facilmente reperibile in commercio. Nel caso, invece, in cui il legamento sia completamente rotto e sia quindi responsabile di una “lassita’ dell’articolazione” si deve procedere alla sua riparazione diretta mediante sutura o alla sua reinserzione sulla base della falange del pollice introducendo in quest’ultima una piccola ancoretta da sutura. Al termine dell’intervento si immobilizza il dito in un tutore, che consente dopo le prime due settimane di cominciare gli esercizi di mobilizzazione al fine di evitare noiose rigidita’ articolari e di poter rapidamente riprendere adeguatamente “protetti” l’amata attivita’ sportiva.

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MALFORMAZIONI UTERINE E INFERTILITÀ Dott.ssa Antonella Carnevale Specialista in Ginecologia ed Ostetricia

L’ infertilità di coppia, la poliabortività, le complicanze ostetriche, rappresentano argomenti di sempre maggiore attualità e di interesse sociale per l’aumentata frequenza con cui si verificano e per l’impatto emotivo ed economico sulla coppia che desidera concepire un figlio. Le cause che possono portare ad una di queste condizioni sono molteplici e la loro diagnosi spesso richiede costi importanti ed attese estenuanti, quindi, è certamente consigliabile, prima di effettuare indagini impegnative, iniziare con l’escludere la presenza di anomalie dell’apparato genitale femminile.

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IL GINECOLOGO

nfatti, esso può essere sede di numerose malformazioni che possono interessare diversi distretti anatomici e, quindi, comprendere malformazioni vaginali, cervicali, uterine e tubariche (fig. 1). Ognuna di queste anomalie può interferire in misura diversa con la fertilità della donna. Fortunatamente il loro riscontro è piuttosto raro.

di alterazioni della capacità riproduttiva e di complicanze ostetriche, includendo infertilità, aborti ripetuti nel primo e secondo trimestre di gravidanza, parti prematuri, posizioni fetali anomale all’interno dell’utero. Se immaginiamo l’utero come una cavità virtuale, queste piccole malformazioni sono caratterizzate dalla presenza

Foto 1 Esistono, invece, minime anomalie della cavità uterina che spesso non vengono considerate come responsabili di fallimenti di fecondazioni medicalmente assistite o di poliabortività o di infertilità sia perché non diagnosticate, sia perché sottovalutate se paragonate a malformazioni maggiori. In realtà i piccoli difetti uterini, come l’utero setto parziale e/o l’utero arcuato (che descriveremo tra un attimo) oltre ad essere piuttosto frequenti, risultano spesso associati ad una più alta incidenza

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di una protuberanza fibrosa chiamata ”setto” che si estende dal fondo uterino verso l’interno della cavità stessa. Si parla perciò di utero arcuato se il grado di estensione del setto nella cavità uterina è minimo e di utero setto parziale o sub-setto, se il setto si estende fino alla metà della cavità uterina (distinguendolo dal setto completo che interessa tutto l’utero dividendolo esattamente in due emicavità). Il meccanismo per il quale la presenza del setto interferisce con la gravidanza ha diver-

se cause. L’ingombro offerto dalla presenza del setto può ostacolare i movimenti del feto e predisporre a posizioni fetali anomale all’interno dell’utero. Il rischio di abortività sembra riconducibile invece ad un deficit di irrorazione sanguigna del fondo uterino, area privilegiata per l’attecchimento dell’embrione, avendo il setto stesso una struttura completamente fibrosa e priva di vasi sanguigni. Il deficit vascolare comprometterebbe quindi il regolare annidamento dell’embrione sul fondo dell’utero ostacolandone il suo regolare sviluppo e quindi contribuendo al rischio di abortività soprattutto nel primo trimestre di gravidanza. La presenza del setto, inoltre, sembrerebbe avere un ruolo determinante anche nelle condizioni di sterilità essendo il tessuto che lo riveste, non idoneo all’impianto dell’embrione per la sua ridotta sensibilità all’azione degli ormoni che si modificano in gravidanza. La diagnosi di utero arcuato e di sub-setto è ottenibile oggi con diverse metodiche tra di loro complementari ma non sempre ben tollerate da parte delle pazienti e costose come l’isterosalpingografia, l’isteroscopia, la laparoscopia, la risonanza magnetica. Per la sua rapidità, non invasività e costi contenuti, l’ecografia, per via transaddominale o transvaginale, rappresenta una valida alternativa a queste metodi-

Foto 2 che. Quest’indagine, in presenza di utero setto, permette di visualizzare un’area al centro dell’utero corrispondente al setto, di cui è possibile valutare lunghezza e spessore (fig. 2). Una volta posto il sospetto ecografico della malformazione uterina, si può poi procedere ad un esame di secondo livello: l’isteroscopia che è un esame endoscopico, poco invasivo, rapido, eseguibile ambulatorialmente senza alcuna preparazione, capace di dare una visione diretta e atraumatica della cavità uterina e quindi di accertare la presenza, l’aspetto e l’estensione del setto. Dopo aver effettuato l’isteroscopia diagnostica, è possibile, nelle pazienti con una storia clinica di poliabortività o di sterilità protratta oppure nelle pazienti destinate a procedure di fecondazione assistita, effettuare l’intervento di correzione chirurgica chiamato “metroplastica isteroscopica”. L’intervento può essere eseguito in regime di day hospital, prevede una rapida convalescenza e ridotte complicazioni post-operatorie. Numerosi studi hanno sottolineato il successo del trattamento chirurgico isteroscopico e mostrato come la percentuale di gravidanza si possa elevare con tale metodica, dal 5-20% all’ 81-91%. Si è inoltre dimostrato l’incremento dei successi di fecon-

dazioni medicalmente assistita unitamente alla riduzione di abortività del primo trimestre. Certamente le piccole malformazioni uterine rappresentano una delle innumerevoli cause di ostacolo alla gravidanza. E’ doveroso quindi effettuare gli esami che il ginecologo curante riterrà opportuno prescrivere; può però capitare che a volte, e fortunatamente, un attento e semplice esame ecografico, renda possibile regalare alla coppia la felicità di realizzare il desiderio di diventare finalmente genitori!

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Il Tumore della prostata Dott. Antonino Gatto Specialista in chirurgia d’urgenza e pronto soccorso Specialista in urologia Specialista in chirurgia plastica e ricostruttiva Primario chirurgo del presidio ospedaliero di Monterotondo della ASL RMG.

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L’UROLOGO

l Carcinoma della prostata è una neoplasia ad origine dal tessuto ghiandolare prostatico a lenta crescita che si manifesta clinicamente perlopiù dopo i 50 anni. La causa è tuttora ignota, ma sembrano aver un ruolo importante fattori genetici ed ormonali. La regione dove inizia a svilupparsi la neoplasia è la porzione più periferica della ghiandola prostatica a distanza dal passaggio attraverso la ghiandola delle vie urinarie. Proprio questa caratteristica rende del tutto prive di sintomi le fasi iniziali di sviluppo del tumore. In una fase più tardiva, anche ad anni di distanza dallo sviluppo iniziale della neoplasia, compaiono disturbi vaghi quali difficoltà ad urinare, stimolo ad urinare spesso e, in alcuni casi, sangue nelle urine. Alcune volte la neoplasia prostatica non si manifesta con alcun sintomo e viene riconosciuta solo tardivamente quando compaiono i dolori ossei dovuti alle metastasi. Dunque la diagnosi di tumori prostatici in fase iniziale, in assenza di sintomi, è fondamentale per il

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trattamento precoce e la guarigione dalla neoplasia. Nei paesi occidentali le campagne di sensibilizzazione dei medici di famiglia e lo screening sulla popolazione consentono oggi di riconoscere i tumori della prostata in fase precoce. Una peculiarità del tumore prostatico è quella di produrre grandi quantità di un antigene, il PSA o Antigene Specifico Prostatico, che può essere facilmente misurato nel sangue attraverso un semplice prelievo di sangue. Il dosaggio del PSA, effettuato almeno una volta l’anno, consente di riconoscere precocemente un segno di sospetto dello sviluppo della neoplasia prostatica. L’esame ecografico, eseguito per via transrettale, consente di riconoscere formazioni sospette nell’ambito della ghiandola prostatica Su indicazione clinica e dei reperti ecografici, può rendersi necessario eseguire biopsie multiple della ghiandola prostatica con esame istologico. Il trattamento chirurgico con asportazione della ghiandola prostatica è indicato nei pazienti con neoplasia localizzata, in alternativa si può sottoporre il paziente a radioterapia ed endocrinoterapia. Da quanto sino ad ora descritto, ed in considerazione della estrema semplicità degli esami di prevenzione da effettuare, non si può che raccomandare che la popolazione maschile dell’età compresa tra 50 ed 80 anni, si sottoponga almeno con cadenza annuale ad un protocollo di prevenzione composta da una visita urologica e dagli esami specialistici (PSA ed ecografia) più sopra descritti.

L’ecografia nella diagnosi del tumore alla prostata Dott. Francesco Vulterini Radiologo - Responsabile servizio di Radiologia Poliambulatorio Specialistico Nomentano

L’esame ecografico della prostata si esegue per via sovrapubica e per via trans rettale. L’organo in questione ha una forma vagamente sferica e può essere diviso in una porzione centrale ed in una periferica. La scansione preliminare sovrapubica, fornisce informazioni sulle pareti vescicali, sulla forma, sul diametro ed sui margini dell’organo. La successiva scansione con sonda trans-rettale, valuta in maniera definitiva i vari diametri della prostata: quello trasverso, quello antero-posteriore e quello longitudinale. Viene in seguito esaminata la porzione anteriore, nella quale è spesso presente un adenomioma (tumore benigno della prostata) di varie dimensioni. Lo studio della porzione periferica riveste poi particolare importanza, perché è qui che si formano principalmente i noduli neoplastici; la presenza di un nodulo ipoecogeno (scuro) di qualsiasi dimensione, è indicazione assoluta per l’intervento chirurgico di asportazione. Un’ulteriore applicazione di quest’esame, è valutare le cause di ritenzione urinaria o comunque di una minzione difficoltosa. E’ possibile infatti, eseguendo una scansione in fase minzionale, osservare se il collo vescicale si apre in maniera efficace e il grado di canalizzazione dell’uretra. Da quanto sino ad ora descritto, è auspicabile che la popolazione maschile dell’età compresa tra 50 ed 80 anni, si sottoponga almeno con cadenza annuale ad una visita ed esame specialistico.

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Forse perché pochi luoghi trasmettono così forte la sensazione del tempo che si è fermato, forse perché, d’inverno, lo spettacolo del borgo che si staglia contro il manto bianco del Terminillo da un’emozione unica, forse perché Labro, in cima al suo sperone ma, nel contempo, immerso nei boschi che lo circondano, sembra l’epitomo del fenomeno stesso che lo ha generato, cioè “l’arroccamento” delle popolazioni altomedievali. Comunque, Labro, una volta visto, non si dimentica più e spesso diventa forte la voglia di tornarvi. Fabrizio Sciarretta

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erò vi è dell’altro che rende questa gemma ancor più rara: l’esito felice di un esperimento che, negli anni ’60, ha salvato Labro da un’inesorabile decadenza e ce lo ha restituito intatto come ne godiamo ora. Ma di questo momento di

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svolta nella storia di Labro, parleremo nell’intervista con il suo Sindaco. Ora, prima di andarvi di persona, è certo utile saperne qualcosa di più. Come si è detto, la bellezza di Labro nasce anche da una posizione unica: infatti, dal suo colle domina la valle del Fuscello ed il lago di Piediluco mentre a sua volta, alle spalle, è sormontato dalla catena del Terminillo. Il paese, che ha conservato il suo impianto medievale fatto di stradine strette tra le case, regala di volta in volta squarci di questi paesaggi ed il rapporto con il lago è antico se, come sembra, il nome stesso proverrebbe dal latino “lavabrum” (vasca, bacino) poiché il lago di Piediluco, un tempo più esteso di oggi, doveva avvicinarsi di più ai bordi del colle. Quel che, invece, sappiamo per certo è che Labro fa la sua apparizione nella storia nel 956 quando l’Imperatore Ottone I - che in quegli anni teneva in scacco sia Roma che il papato - investe Aldobrandino de’Nobili della signoria di Labro e di altri

12 castelli situati tra il Ducato di Spoleto e Rieti e gli concede lo stemma con l’aquila coronata e il pesce, simbolo del dominio delle loro rocche sui laghi e sui fiumi. L’incastellamento di Labro si sviluppa così attorno ad una grande torre quadrata, che si vuole fosse altissima, intorno alla quale nasce un borgo, circondato a sua volta da mura munite di sette torri. I secoli passano ma la signoria della famiglia Nobili si dimostra longeva anche se, per la sua posizione di confine tra Stato della Chiesa ed Impero si trova coinvolta in continui scontri, soprattutto nei confronti dei vicini signori di Luco, filo-imperiali. Nel XIV secolo, come conseguenza di questi eventi, la famiglia Nobili perde la signoria di Labro e, alla fine del 1400, l’uccisione di un sacerdote avvenuta per mano di Giovanni de’ Nobili, porta alla scomunica da parte di Papa Sisto IV ed alla distruzione della grande torre e del borgo. Su parte delle fondamenta della torre fu costruita, nel 1498, una piccola chiesa, dal bellissimo portale,

ancora oggi in sito. Alla famiglia rimase solo la cinta delle mura del castello. Appoggiandosi a questa Giordano de’ Nobili, nel secolo successivo, edificò un palazzo fortificato, tutt’ora di proprietà della famiglia Nobili Vitelleschi. Infatti, nel 1575 Girolamo de’ Nobili aveva sposato Virginia Vitelleschi, ultima della sua famiglia che si sarebbe dunque estinta per mancanza di eredi maschi. Così, i figli di Girolamo e di Virginia aggiunsero al cognome Nobili quello Vitelleschi e unirono lo stemma con l’aquila e il pesce a quello con i gigli e i vitelli dei Vitelleschi. Per il visitatore è importante sapere che il paese degrada intorno al colle per fasce: la prima, più antica, è quella del castello e della torre, orientata verso est; la seconda è quella dei palazzi nobiliari, la terza quella delle case comuni. I tre livelli sono uniti fra loro da percorsi scavati nella roccia. La fortuna e la capacità dell’uomo ci permettono di ammirarli ancora così come sono nati.

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Invece, abbiamo una decina di operatori tra ristoranti, alberghi, agriturismi e bar che operano nel settore dell’accoglienza: per una zona di alta collina a 630 m. sul mare, a 18 km. da Rieti ed a 17 da Terni, non è male. Del resto la nostra forza è proprio questa: silenzio e serenità assoluti, umidità zero. Poi siamo ad un passo dalla cascata delle Marmore e sul Cammino di San Francesco. Consideri che le Marmore sono visitate da 500,000 turisti all’anno e Greccio da 200.000: Labro è dunque all’interno di un circuito storico-turistico particolare e ad un passo dall’Umbria, il che significa vicino ad un flusso turistico internazionale di particolare pregio. Pensi che quest’anno, nei fine settimana d’agosto, abbiamo avuto fino a 1.500 presenza per week end.

Sono venti anni che Gastone Curini si occupa in prima persona del suo paese natale: prima consigliere comunale, poi assessore, vicesindaco ed oggi, sindaco al suo secondo mandato. Dunque, un testimone storico delle dinamiche della sua comunità.

Sindaco, qual’è la storia del recupero di Labro che lo ha reso quella perla che possiamo ammirare oggi? Effettivamente quella di Labro è una vicenda molto particolare che testimonia come il fascino del nostro passato, la bellezza dei luoghi uniti all’entusiasmo ed alla competenza degli uomini possano invertire la rotta di un destino che sembrava segnato. Infatti, negli anni ’50 e ’60, mentre l’economia italiana si sviluppava intorno ai centri urbani maggiori, Labro, come tante altre realtà simili, si andava spopolando e con l’abbandono delle abitazioni il tessuto urbano prendeva la strada di un lento disfacimento. Nel 1966, però, l’amicizia con la più importante e storica famiglia di Labro, i Nobili Vitelleschi, portava qui da noi l’architetto belga Ivan Van Mossevelde il quale intuiva che il particolare contesto ambientale di Labro e la sua posizione geografica così vicina, nel contempo, sia all’Umbria che a Rieti ed anche a Roma, ci rendeva potenzialmente interessanti per un turismo internazionale particolarmente

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sensibile ai valori della cultura. Partiva così il recupero di Labro: l’impianto urbanistico rimaneva intatto nel suo assetto altomedievale caratterizzato dal fenomeno dell’arroccamento ma si operava un importante consolidamento strutturale del paese ed al successivo recupero delle pavimentazioni pubbliche. Poi si passò al recupero delle abitazioni, utilizzando materiali tradizionali. Si è trattato di un’operazione che ha interessato il 90% dell’abitato. Infatti, l’opera così avviata portava all’emulazione anche da parte dei proprietari labresi e così, a poco a poco, siamo arrivati dove siamo oggi. Mi sembra di capire, quindi, che a Labro conviva una comunità diciamo così “tradizionale” labrese con una comunità internazionale? Esattamente. A Labro abbiamo concittadini belgi, inglesi, americani, persino norvegesi. Qualcuno viene a trovarci una volta l’anno, magari d’estate, altri invece sono molto più assidui. In realtà, la presenza di questa comunità internazionale ha generato anche un altro fenomeno, ovvero la disponibilità di immobili che è possibile utilizzare per offrire ospitalità. Così si è nato un albergo diffuso che definirei “naturale” ed a cui il visitatore può accedere attraverso il sito www.labro. gov.it che presenta l’intera offerta turistica di Labro. In tutto, i posti letto superano i 200. Quindi, il turismo, oltre ad aver salvato il borgo, è anche oggi la più importante risorsa economica? Diciamoci la verità, se lei a Labro cercasse un lavoro in un’azienda metalmeccanica, non credo troverebbe grandi opportunità.

E l’amministrazione comunale che ruolo ha avuto ed ha in questa storia così felice rispetto a quella di tanti altri borghi che, pur bellissimi, non riescono a trovare una loro valorizzazione? L’amministrazione è totalmente a favore ed opera a supporto di queste dinamiche, pur

con la limitatezza dei mezzi finanziari a disposizione di un comune di 400 abitanti. Il nostro impegno è, da un lato, quello di favorire lo sviluppo di un’offerta turistica di sempre maggior qualità e, dall’atro, di tutelare la nostra risorsa principale, cioè la bellezza del nostro borgo e della natura che lo circonda. In questo ambito, cerchiamo sia di completare il recupero di Labro che di sviluppare nuove iniziative o garantire continuità a quelle già in essere. Ad esempio, stiamo in contatto con la Curia per cercare di recuperare un suo immobile di pregio nel centro storico, oggi in abbandono e che, invece, potrebbe rappresentare una risorsa importante in termini di ricettività. Abbiamo definito un progetto “La Porta dell’Umbria” che ha come obiettivo, fornendo un’informazione adeguata ai visitatori, di intercettare i flussi turistici che vengono dall’Umbria per indirizzarli verso le mete turistiche del reatino perché bisogna capire che anche dal “piccolo” possono partire iniziative importanti e non solo viceversa. Poi, come Comune, sosteniamo quegli appuntamenti

labresi che ormai sono diventati tradizionali: penso al Labro Festival, un importante palcoscenico di musica, teatro e balletto, alla manifestazione enograstronomica Calici Sotto le Stelle, all’Art Monastry Project che vede un laboratorio artistico internazionale operare con continuità all’interno del Monastero “Colle di Costa” convento recuperato sapientemente dall’ Arch. Fabio Pitoni e che oggi è un importante punto di riferimento turistico ricettivo . A questo punto, Sindaco, quali saranno le vostre prossime mosse? Mi lasci dire, anzitutto, che per un piccolo comune la vita non è semplice: dalla riforma degli enti locali dei primi anni ’90 ad oggi, la tendenza è sempre stata quella della concentrazione, con l’obiettivo di creare comuni più gradi, unità di 12-15.000 abitanti, ben diverse dall’amministrazione comunale di Labro. Così, le risorse scarseggiano e fare da soli non è semplice. L’obiettivo, però, è chiaro: continuare a qualificare la nostra offerta turistica. Creare spazi espositivi permanenti per gli artisti, dotare il centro storico, esclusivamente pedonale, di parcheggi adeguati,

riaprire gli antichi sentieri, che possono essere utilizzati a fini escursionistici, come quello che conduce all’antica miniera di lignite in funzione all’inizio del ‘900. Infine, il progetto delle acque, visto che confiniamo con la sponda nord est del lago di Piediluco, con la realizzazione di un piccolo ormeggio per le barche in modo da poter meglio usufruire del tratto navigabile del Velino. Insomma, vogliamo far diventare Labro una metà sempre più attrattiva per un turismo che non sia solo quello di una visita di poche ore o di un fine settimana ma sia sempre più caratterizzato da una presenza continuativa.

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L’OTITE NEL BAMBINO Dott.ssa Marzia Ruggieri Responsabile Branca Otorinolaringoiatria Poliambulatorio Specialistico Nomentano

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L’OTORINOLARINGOIATRA

irca il 75% dei casi di otite media acuta (OMA) - detta così perché riguarda, appunto, l’ orecchio medio, cioè la parte del’orecchio che sta al di là del timpano verso l’interno - si verificano entro i 10 anni di vita e rappresenta una delle prime cause di ricorso alle cure del pediatra. L’otite nel bambino è dunque una patologia molto frequente la cui diagnosi, però, può essere resa più difficile dalla mancanza di correlazione tra segni clinici e sintomatologia del piccolo paziente. Infatti, può avvenire, che per l’assenza o la non rilevanza di segni clinici e sintomi, la diagnosi corretta venga effettuata solo al momento della comparsa delle complicanze (v. tabella).

Possibili complicanze di un’otite media acuta: • Perforazione della membrana timpanica • Cronicizzazione, con persistenza di essudato (muco o pus) nell’orecchio medio e conseguente compromissione dell’udito; • Mastoidite, cioè propagazione dell’infezione al processo mastoideo (parte dell’osso temporale), con dolore intenso, febbre elevata e compromissione dello stato generale; • Propagazione dell’infezione alle strutture vicine (orecchio interno che contiene il labirinto ed encefalo) Così, la valutazione da parte dell’otorinolaringoiatra viene generalmente richiesta o di fronte a questi ultimi casi “complicati” o quando il pediatra si trova di fronte ad un quadro di otite media acuta ricorrente (OMAR: cioè almeno 3 episodi nell’arco di 6 mesi o 4 episodi in 1 anno). La causa dell’ otite nel bambino è per circa il 90% di origine batterica ed i batteri più frequentemente imputati sono 3: lo Streptococcus Pneumoniae, l’ Aemophilus Influenzae e la

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Morexella Catarralis. La valutazione clinico-strumentale da parte dell’otorinolaringoiatra si basa sull’esecuzione di una otomicroscopia (cioè una valutazione dell’orecchio e del timpano attraverso delle lenti che ingrandiscono la visione) e di un esame audio-impedenzometrico (che rileva un eventuale abbassamento dell’udito e la presenza di catarro all’interno dell’orecchio medio). Questi esami sono completamente indolori, durano pochi minuti e sono generalmente ben accettati dal bambino. Un altro esame molto importante è l’endoscopia rinofaringea a fibre ottiche che consente di visualizzare direttamente la presenza delle adenoidi o disfunzioni della tuba di Eustachio. Questo esame consiste nell’utilizzo di un fibroscopio flessibile del diametro di circa 3-3,5 mm che, introdotto nel naso attraverso la narice, raggiunge il rinofaringe (quell’area dietro il naso non direttamente visualizzabile né dalla bocca e né dal naso) dove si trovano le adenoidi. L’esame dura pochi minuti, non richiede anestesia, provoca un accettabile “fastidio” durante il passaggio all’interno del naso, fatto trascurabile se comparato al beneficio diagnostico che consente di ottenere. Con questa metodica è possibile visualizzare direttamente l’ingombro causato dalle adenoidi. Quando queste sono troppo grandi (ipertrofiche)

chiudono più o meno completamente il passaggio di aria dal naso impedendo una corretta respirazione nasale. Ed è proprio questa la causa prima scatenante il processo infettivo a livello dell’orecchio medio: infatti, se viene meno la ventilazione nasale, allora anche la tuba uditiva (o tuba di Eustachio) risentirà di questo blocco venendo meno alla sua funzione di proteggere l’orecchio medio assicurando sia il ricambio d’aria nell’orecchio stesso che impedendo il passaggio dei batteri dalla gola all’orecchio. La visualizzazione diretta delle adenoidi quindi, ci permette non solo di documentare i casi che vanno risolti attraverso un intervento chirurgico (cioè adenoidi troppo grosse che ostruiscono completamente il passaggio di aria), ma anche di verificare i benefici della terapia medica valutando lo stato infiammatorio ed il volume delle adenoidi stesse prima e dopo la terapia. A tal proposito, la terapia per l’otite media acuta e ricorrente si basa sull’utilizzo di antibiotici e decongestionanti nasali data la fondamentale importanza della respirazione nasale per una corretta ventilazione dell’orecchio e la sua protezione dai batteri. Fattori molto importanti, soprattutto in presenza di episodi ricorrenti, dove non è possibile ricorrere continuamente agli antibiotici, sono la terapia

logopedica, le cure termali e la prevenzione. La terapia logopedica o Logopedia consiste in una serie di esercizi e movimenti che favoriscono una corretta respirazione nasale ed una rieducazione tubarica (cioè restituirle la sua funzione ventilatoria), le cure termali possono essere fatte tramite aerosol, docce nasali o Politzer. Infine la prevenzione viene effettuata tramite la rimozione (non sempre possibile) dei fattori di rischio che causano direttamente o indirettamente una disfunzione della Tuba di Eustachio (infezioni, allergie, reflusso faringo-laringeo). In conclusione, per affrontare in modo efficace l’otite media è necessaria una stretta collaborazione fra otorinoilaringoiatra e pediatra finalizzata ad integrare le informazioni cliniche per un corretto iter diagnostico-terapeutico riducendo al minimo gli episodi di “ricaduta” del bambino onde evitare la cronicizzazione della malattia e/o l’intervento chirurgico di adenoidectomia (cioè l’ asportazione delle adenoidi).

I sintomi che compaiono in presenza di otite media acuta (OMA): • mal d’orecchio (otodinia) • febbre • irritabilità • riduzione dell’udito (ipoacusia) • perforazione spontanea del timpano con secrezione (otorrea) • disturbi dell’equilibrio Fattori di rischio per l’OMA • Fumo passivo • uso del succhiotto • frequenza asilo nido (dove facilmente avviene la diffusione di batteri responsabili dell’OMA favorendo quindi le recidive) Valutazione dell’Otorinolaringoiatra • Otomicroscopia (od otoscopia semplice) • Esame audioimpedenzometrico • Fibroscopia nasale

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ERETUM, ANTICO CENTRO SABINO Storicamente ha fatto parte, sempre, della diocesi di Nomentum

Con l’intervista a PAOLO TOGNINELLI, SalutePiù inizia il suo viaggio tra i musei della Sabina: opportunità preziose per conoscere le radici più antiche del nostro passato Fabrizio Sciarretta

IN SABINA

Salvatore G. Vicario Medico e Scrittore

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o voluto scrivere questo testo perché, se non lo avessi scritto, mentre percorro il mio nono decennio di vita, avrei lasciato una mia iniziativa non portata a conclusione (onde evitare ripetizioni, gli interessati consultino il sito www.salvatorevicario.com oppure Salvatore G. Vicario, Eretum a Casacotta? Una incertissima certezza, Ed. Zuccarello, S. Agata Militello 2010). Infatti, ho iniziato le ricerche su Monterotondo nel 1968 pubblicando la monografia Monterotondo in Sabina (ed. La Rondine, Roma 1970) il cui capitolo iniziale tratta di Eretum, un insediamento sabino posto sulla via Salaria e che, per tradizione consolidata nei secoli, sorgeva presso Monterotondo, nella diocesi di Nomentum. Chiedendomi quale fosse la collocazione di Eretum, compii una disamina quasi clinica delle quattro tesi allora in discussione ed optai per l’ipotesi Eretum = S. Anzino. Nello stesso periodo un gruppo di studiosi, insediato presso il CNR sulla via Salaria, in una campagna scavi, si era imbattuto in un cospicuo numero di tombe a Colle del Forno. Il gruppo pensò di essere sulle tracce di Eretum e, posto l’argomento come ipotetico, in qualche anno, citando l’uno l’ipotesi dell’altro, trasformò l’ipotesi che il sito fosse a Casacotta, in assoluta certezza. Quella certezza non mi convinse allora e non mi convince oggi. I dati archeologici e archivistici che non mi persuadono li ho esposti nel testo sopra citato. Oltre ad essi vi sono notizie storiche inconfutabili che inficiano la “certezza” Eretum = Casacotta e che mai, dai cattedratici, sono state tenute in considerazione. Esse sono: • non vi è notizia, presso alcun autore latino, che tramandi la possibilità che Eretum possa aver cambiato sito nei lunghi secoli della sua esistenza: concordemente gli storici dicono che Eretum fu centro sabino importante dal secolo VIII a.C. e tale rimasto sino all’epoca repubblicana romana; poi

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si spopolò, sino a diventare un vicus (quella che oggi chiameremo una “frazione”, un agglomerato di case); non poteva scomparire come sito, poiché fu un luogo di sosta del cursus publicus: diventato cioè un vicus, “il nome restò legato a una stazione sulla via Salaria” (Giuseppe Lugli); con l’inizio dell’era cristiana troviamo il toponimo Eretum fra le diocesi sabine; le diocesi paleocristiane della bassa Sabina furono tre: Cures, Forum Novum e Nomentum; concordemente le fonti storiche tramandano Eretum come appartenente alla diocesi di Nomentum; l’aggregazione dei territori delle diocesi paleocristiane di Nomentum, di Cures e di Forum Novum si completò solo nel secolo X; ancora sino a tale secolo il “vicus” Eretum fece parte della diocesi di Nomentum; sappiamo infine quanto i presbiteri, già sin dagli albori del cristianesimo, fossero rigorosi nel rispetto dei confini delle singole diocesi e mal sopportassero invasioni di campo. Pertanto, in base a questi dati, non vi è dubbio che, se effettivamente Eretum fosse stato situato nel territorio oggi inteso Casacotta, vocabolo in catasto appartenente al comune di Montelibretti, sarebbe stato di assoluta e indiscutibile pertinenza della diocesi di Cures.

Questi sono i dati che pongo all’attenzione degli studiosi dell’argomento anche se non credo che gli archeologi “togati” dell’Urbe li prenderanno in considerazione. Inserisco quindi la mia ipotesi di lavoro nel grande libro internet e nella stampa locale affinché gli studiosi indipendenti svolgano le loro ricerche, avendo coscienza come sull’argomento vi siano ancora dei dubbi da sciogliere.

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ottor Togninelli, forse non tutti i nostri lettori conoscono in modo puntuale l’attività archeologica che da molti anni interessa il territorio di Monterotondo e le istituzioni ad essa preposte. Può iniziare raccontandocene la storia? L’impegno dell’amministrazione comunale in campo archeologico nasce nel 2002 quando a Monterotondo venne organizzata la mostra “Archeologia Ferita” dove erano esposti i reperti di scavo trafugati dai cosiddetti “tombaroli” e recuperati nel nostro territorio dalle Forze dell’Ordine. L’aggettivo “ferita” voleva proprio evidenziare l’irreparabilità del danno che è causato dagli scavi clandestini i quali compromettono per sempre la possibilità di ricostruire i nostro passato, che è il fine ultimo dell’archeologia. Tornando però alla mostra, questa riscosse un grande successo e portò il Comune alla decisione di renderla stabile creando il Museo Archeologico. Si trattò di una decisione particolarmente felice in considerazione del fatto che ancora oggi esiste una ridotta conoscenza delle antiche modalità abitative e delle fasi storiche di questo territorio e che un museo, lungi dall’essere un inerte deposito dove gli oggetti sopravvivono decontestualizzati dal loro uso quotidiano, si pone proprio come istituzione deputata alla ricerca ed alla diffusione di quanto scoperto.

Dunque possiamo dire che l’idea era anche quella di sviluppare una “coscienza archeologica” nel territorio eretino? Direi proprio di si. Le attività di un museo sono fondamentalmente tre: sviluppare progetti educativi, acquisire reperti e conservarli. Per quanto riguarda il primo punto, abbiamo avuto una grande riscontro con un’attività didattica dedicata anzitutto alle scuole dove, addirittura, era necessario prenotare con sei mesi d’anticipo le visite guidate al museo. A quest’attività rivolta ai più giovani, abbiamo affiancato un’attività di convegni e di visite guidate, anche di siti esterni al museo, rivolta agli adulti che ha fatto spesso registrare il tutto esaurito. Per quanto riguarda l’acquisizione dei reperti, siamo partiti con un primo nucleo proveniente dalla mostra “Archeologia Ferita” che abbiamo poi arricchito con campagne di scavo finanziate dal Comune e dedicate a Crustumerium, dove abbiamo individuato tombe del VII e VI secolo, ed a Cretone, dove abbiamo individuato tombe risalenti al VI secolo. Parallelamente si è sviluppata la campagna di scavi che l’Archeoclub di Monterotondo ancora conduce nell’area di Tor Mancina, in relazione al tracciato romano della Via Nomentana, e che ha consentito il rinvenimento anche di tombe patrizie romane. Questi materiali sono stati restaurati e studiati e sono entrati a far parte del patrimonio del museo. Bisogna anche evidenziare come anni di campagne di scavo e di studio ci hanno consentito di realizzare una “mappa archeologica” del nostro territorio, di cui non si disponeva,

L’INTERVISTA

Archeologo e Professore di Archeologia all’Università Americana “John Cabot”, Direttore del Museo Archeologico Territoriale di Monterotondo, Responsabile del Servizio Cultura, Turismo, Politiche Giovanili e Tempo Libero del Comune di Monterotondo, Paolo Togninelli è certamente la persona giusta con cui avviare un percorso alla scoperta delle molte, imporanti ma spesso poco conosciute testimonianze archeologiche di cui è ricco il territorio sabino e, in questo caso, più specificamente, eretino. Testimonianze, queste, che Paolo Togninelli conosce come pochi altri essendo anche autore di numerosi articoli scientifici su questi territori nell’antichità.

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ECOGRAFIA IN GRAVIDANZA

e che rappresenta non solo uno strumento basilare per l’archeologo ma che potrebbe costituire anche un prezioso supporto per la gestione urbanistica di Monterotondo. Oggi l’attività espositiva del Museo si è interrotta in attesa che sia pronta la nuova prestigiosa sede costituita dalle sale affrescate di Palazzo Orsini. Quali opportunità si apriranno per l’istituzione? Certamente avremo finalmente un Museo Archeologico che si potrà avvalere di una sede non solo splendida ma anche in grado di valorizzare al meglio la collezione archeologica inserendole in un contesto di assoluta bellezza. Di questo dobbiamo anzitutto rendere merito al nostro Sindaco che, fin dai primi momenti del suo insediamento, ha deciso di rinunciare ad una sede particolarmente importante per i suoi uffici rendendo viceversa possibile a tutta la cittadinanza di ammirare la parte più bella di Palazzo Orsini. Si tratta di una decisione che si riverbera positivamente sia sul Museo Archeologico, che nelle sale affrescate ospiterà i reperti di Crustumerium, che per gli affreschi stessi, dovuti al Siciolante ed al Brill, che oltre a venir restaurati, potranno in futuro godere di ambienti in cui il microclima sarà attentamente gestito in modo da garantirne la conservazione ottimale. Il nostro obiettivo, adesso, è di terminare l’allestimento e di rendere nuovamente disponibile al pubblico il museo entro il 2011. Il “volontariato” gioca ruoli sempre più rilevanti in tutti i campi della no-

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stra società. Credo che Monterotondo questo fatto emerga fortemente. Sì, non c’è dubbio: l’Archeoclub di Monterotondo collabora con il museo e la sua attività di scavo è fondamentale per il suo sviluppo. Poi c’è l’Associazione Micologica Eretina che ci ha dato un supporto imprescindibile per l’organizzazione delle attività culturali, soprattutto quelle legate alle visite esterne al museo. In realtà un piccolo museo non può far a meno dei volontari per gestire le sue attività: ipotesi diverse si scontrerebbero con costi insostenibili. Poi vi è un valore morale intrinseco nell’attività dei volontari perché sono cittadini che testimoniano con la loro presenza l’importanza che la sua storia deve avere per un territorio. Un ultima domanda: Monterotondo ha un suo complesso di catacombe, quello di San Restituto, purtroppo non scavato né aperto al pubblico. Ce ne racconta la storia? Esiste una possibilità che ne diventi possibile la fruizione pubblica? Effettivamente, nella zona cosiddetta dei Cappuccini, sotto la villa che fu dell’aviatore Fausto Cecconi, esiste una catacomba di epoca tardo imperiale, del III – IV secolo d.C.. La catacomba è stata solo in parte esplorata dal Professor Fiocchi Nicolai che ha poi pubblicato il frutto dei suoi studi. Purtroppo siamo di fronte ad un problema tipico per il nostro patrimonio archeologico e che nasce dal combinato disposto di tre fattori: la scarsità di fondi disponibili, l’abbondanza di beni archeologici sia noti che ancora da scavare e la sovrapposizione delle competenze. Pensi che, trattandosi di una catacomba, oltre alle competenze proprie della Soprintendenza per i Beni Archeologici, questa è sottoposta all’autorità della Pontificia Commissione per l’Archeologia Sacra ed in più si trova in una proprietà privata. Certo, per il nostro territorio lo scavo delle catacombe di San Restituto sarebbe un fatto di rilevante importanza. Temo però che, anzitutto, ci si debba domandare se, visti gli attuali chiari di luna, sia prudente – ammesso di trovare i fondi e superare la burocrazia – pensare di scavare un sito che poi non sappiamo se saremo in grado di mantenere e gestire.

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PRESERVIAMO I NOSTRI Arch. Stefano Eleuteri

16 semplici regole a cui ogni sindaco si dovrebbe attenere

In questi ultimi anni, grazie al lavoro svolto dagli organi preposti alla tutela dei centri storici, stiamo assistendo ad una forte crescita della sensibilità per il bene pubblico e alla consapevolezza del valore che essi rappresentano per il patrimonio collettivo.

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nche se la normativa vigente non garantisce la totalità dell’edilizia storica e non riesce ad inserire gli elementi sufficienti ad innescare uno sviluppo abitativo indispensabile per il mantenimento in vita di tanti piccoli centri, l’instancabile presenza della Soprintendenza e le sollecitazioni della Regione Lazio con gli interventi sui Centri Storici e con i contributi del nuovo PTPR Regionale (Piano territoriale paesistico Regionale), stanno portando risultati importanti. Le esperienze maturate sul territorio rilevano una diversa visione dei nuclei storici, caratterizzati fino a qualche anno fa da deterioramenti e crolli, omologati sempre più a un gusto “moderno” di periferia, per divenire un simbolo prestigioso per le comunità che

orgogliosamente rivendicano le proprie radici storiche. Purtroppo sono ancora interventi singoli che cercano di contrastare un processo di ammodernamento dilagante, il cui risultato è spesso un continuo degrado dell’immagine e delle strutture, causato anche dal disinteresse di alcuni organi locali di tutela e dalla disinformazione dei cittadini spesso imprevidenti. Ma il ritardo nello sviluppo di alcuni territori permette ancora di intervenire per salvare il salvabile, solo preservando l’autenticità dei centri storici e recuperandone l’immagine si otterrà anche una crescita di valore e un riconoscimento dei cittadini. Un importante contributo al dibattito è stato portato recentemente dal Prof. Enrico Guidoni che nel confronto sul recupero del centro storico di Vetralla ha codificato elementi di riflessione. Innanzitutto l’esigenza di considerare anche l’intorno del centro storico, inteso come fascia di ”protezione” esterna, indispensabile per preservare il carattere omogeneo del territorio e del costruito. Parallelamente la necessità di adottare un regolamento per la salvaguardia dell’ambiente urbano, senza tralasciare 1’ambiente naturale circostante gli antichi insediamenti, spesso caratterizzati da vedute e belvederi . L’edilizia storica deve essere considerata nella sua totalità ed inte-

rezza, attribuendo pari valore ad ogni elemento che nelle diverse fasi di sviluppo del centro hanno contribuito alla sua costruzione. Si tratta quindi di tutelare non solo le emergenze monumentali, ma anche l’edilizia privata non vincolata che subisce i più pesanti rimaneggiamenti, le pavimentazioni, l’illuminazione, le insegne ed il verde. Nel Luglio 2003 lo stesso di Enrico Guidoni in collaborazione con Daniela Corrente e Giada Lepri ha codificato i punti salienti in un “Regolamento per l’Ornato e Parchi Suburbani” articolandoli come segue.

Prescrizioni relative alla tutela del centro storico: 1. Massima cautela nel creare parcheggi sia interni che esterni alle mura 2. Blocco delle nuove lottizzazioni a ridosso dei centri.

Borghi 3. Perimetrazione dell’area da tutelare integralmente nelle sue qualità ambientali; 1’eventuale ripristino arboreo avverrà con essenze locali o da tempo naturalizzate. 4. Salvaguardia delle piantumazioni, dei giardini e dei viali già esistenti e loro integrazione. 5. Sistemazione dell’area con riattivazione di antichi percorsi pedonali e con il massimo rispetto per le componenti naturalistiche e per il rapporto visivo con il centro storico.

Prescrizioni relative all’edilizia storica: 1. Utilizzo di materiali originari della regione evitando materiali estranei alla tradizione locale. 2. Utilizzo di intonaco di calce e tinte a calce per la finitura delle facciate, evitando le tinte al quarzo e le resine epossidiche. 3. Utilizzo di essenze lignee come il castagno ed il rovere per gli infissi e le strutture di copertura, evitando 1’alluminio anodizzato e materiali plastici. 4. Conservazione delle pavimentazioni originarie, da integrare se eventualmente mancanti e da riutilizzare anche se fessurate. 5. Utilizzo di coperture in coppi, evitando tegole di materiale alla marsigliese o di materiale diverso dal laterizio. 6. Ogni intervento sulle facciate dovrà tener conto dell’insieme degli elementi che le compongono quali infissi, porte, portoni,

decorazioni esterne e cornicioni. 7. Se possibile si cercherà di mantenere 1’intonaco esistente e le riprese, anche se parziali dovranno risultare il più possibile vicine all’originale. La pittura dovrà essere a base di calce, evitando le tinte al quarzo ed epossidiche. 8. Negli edifici medievali sufficientemente conservati si dovrà lasciare la muratura a vista e senza intonaco, evitando di intervenire con stilatura e cementificazione dei giunti. 9. Le membrature architettoniche (zoccolature, cornicioni, decorazioni) se costituite in malta ma originariamente dipinte ad imitazione della pietra vanno ripristinate con identica tecnica e colore. 10. I cavi di impianti pubblici e privati dovranno essere messi sotto traccia (salvo che nelle superfici in pietra a vista), mentre si prevede l’utilizzo del rame per discendenti e canne fumarie. 11. Gli infissi tradizionali come le persiane se in buono stato e originali vanno mantenuti ed in nessun modo sostituiti con altri serramenti. La tutela dell’originalità si estende ad ogni altra parte accessoria come davanzali, scale esterne, elementi in ferro e ghisa come comignoli, lampioni, ringhiere e inferriate, chiusini, fontanelle ecc.

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I NOSTRI BORGHI

Pavimentazioni

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e pavimentazioni rappresentano la “faccia orizzontale” della città e come le facciate degli edifici storici, vanno tutelati come beni storici e architettonici. Le disposizioni della legge n. 1089 del 1939 prevedevano, fra l’altro, la conservazione nei centri storici delle pavimentazioni originarie, le quali, anche ai sensi del D.L.vo n. 42/2004 (Codice dei Beni culturali e del paesaggio) un patrimonio da conservare, restaurare e valorizzare. Esse nonostante le lacune e lo stato di degrado, ove ancora leggibili, costituiscono uno degli elementi caratterizzanti i centri storici: purtroppo, invece, si è proceduto e si procede, per ignoranza e per precisi interessi economici, a sostituzioni con selci spesso importati da paesi esteri, costituiti da materiale scadente e che comporta facile frantumazione soprattutto dal passaggio di auto e mezzi meccanici. Di fronte al pericolo di queste perdite irreparabili dell’identità e di un patrimonio di tradizioni, nasce l’esigenza di fare proprio delle

antiche pavimentazioni - che tra pochi anni saranno una vera e propria rarità, un punto di forza del recupero dei centri storici. Il Comune di Rieti, ad esempio, dopo aver provveduto a dotarsi di un Regolamento per l’ornato, sta tentando la difesa delle antiche pavimentazioni, dei vicoli come delle arterie principali. Occorre restaurare (eventualmente smontando e rimontando) le parti deteriorate, completare secondo le antiche tecniche i tratti mancanti, verificando lo stato delle vie coperte dal battuto di cemento o asfalto; impiegare soltanto pietre

della tradizione locale e mettere al bando ogni sia pur minima distruzione dell’esistente. In alcuni centri anche le pavimentazioni in ciottoli, pur considerate scomode, vengono conservate ed, eventualmente, smontate e rimontate addirittura numerando i pezzi, come si fa per l’anastilosi degli edifici monumentali, esse sono considerate un vanto di cui andare giustamente orgogliosi e su cui fondare il recupero della propria autenticità.

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CONVENZIONI SANITARIE CASPIE DAY MEDICAL EUROPASSISTANCE FASDAC FISDE FONDO EST NEWMED PREVIMEDICAL SARA ASSICURAZIONI UNISALUTE UNIVERSITA’ POPOLARE ERETINA

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