NèuraMagazine#9

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Numero 9 29 novembre 5 dicembre 2012

Nèura Magazine Non È Una Rivista d’Arte

Nuovi mo[n]di d’arte Eunomia MILANO_Stati Generali dei Professionisti del Patrimonio Culturale| SAVONA_La Galleria Conarte chiude In copertina: Marc Quinn, Love Painting (2009)

“Fiato d’artista” MILANO_Il ritorno di Fluxus| Un mare di ceramica allo Spazio Nibe

Nèurastenie Appuntamenti dal 29 novembre al 5 dicembre: #cioccolato

Logo ©Cristiano Baricelli


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Nèura Magazine - 29 novembre 2012

Editoriale Nuovi mo[n]di d’arte

Vi siete mai chiesti se lanciare proposte corrisponde, in automatico, all’ingresso in un contesto nuovo, segnato da un orizzonte diverso? Sembrerebbe di no, ma almeno è un tentativo di spingersi verso qualcosa di inesplorato. Sì, avete capito bene, inauguriamo l’editoriale di questa settimana con un quesito aperto, diamo il via all’intro di un numero dedicato ai Nuovi mo[n]di d’arte con un punto interrogativo. E (perché non siamo mai contenti) eccone, subito a seguire, un altro: quali sono le modalità, creative e istituzionali, possibili in un momento delicato e difficile come quello presente: alcuni ceramisti riescono a far arrivare il mare a Milano, insieme a un’ondata di colore e luminosità che irrompe nel grigiore autunnale, mentre altri decidono di costituirsi in una cooperativa per fronteggiare la chiusura di un’importante galleria – nel caso specifico, Conarte di Savona. Il milanese Spazio Oberdan decide di essere più nostalgico, rievocando l’indiscutibile innovazione di Fluxus, in una serata che parla di Maciunas e Yoko Ono. Infine, insieme a tante parole, per fortuna arriva anche qualche proposito dagli Stati Generali dei Professionisti del Patrimonio Culturale, la prima convention del MAB (Musei, Archivi, Biblioteche). Sentiamo che cosa hanno da dirci tutti loro. E poi sguazziamo in un mare di #cioccolato, il tema delle Nèurastenie di questa settimana – film, musei e opere d’arte a tema. Dopo la lettura, sapremo anche noi trovare una risposta(?). Buona settimana La Nèuraredazione

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Indice Numero 9

Editoriale Nuovi mo[n]di d’arte

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Eunomia Stati Generali dei Professionisti del Patrimonio Culturale: parole, soltanto parole? Le gallerie chiudono? Avviamo una cooperativa di artisti

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“Fiato d’artista” Fluxus 1962-1970, o della realtà tout court

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A Milano c’è il mare. Sogni, bisogni e desideri in ceramica nella città del cemento

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Nèurastenie - #cioccolato

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Eunomia Stati Generali dei Professionisti del Patrimonio Culturale: parole, soltanto parole? Silvia Colombo

Marc Quinn, Love Painting (2009)

Il 22 e il 23 novembre, a Milano, si sono aperte le danze dei primi Stati Generali dei Professionisti del Patrimonio Culturale promossi dal MAB, l’associazione di Musei, Archivi e Biblioteche. Parole o fatti? La risposta ai lettori. L’impressione, quando si partecipa a incontri istituzionali di grande risonanza, che pretendono di tirare le fila di problematiche spinose e complesse, è all’incirca la stessa: una grande quantità di parole. L’esordio degli Stati Generali dei Professionisti del Patrimonio Culturale, promossi dal MAB (Musei Archivi Biblioteche), tenutosi gli scorsi 22 e 23 novembre tra Palazzo Lombardia e sedi della cultura diffuse sul territorio di Milano, sembra in parte attestarsi – ahimè – sulla stessa linea. 7


Nuovi mo[n]di d’arte

Si è parlato di ottimismo, di come sia necessario coinvolgere i giovani nelle attività professionali di settore, senza tenere conto che, forse, una generazione di ‘junior’ preparati e pronti a intervenire già c’è ma, nella maggior parte dei casi, rimane fuori dai giochi. Si è detto che siamo in un periodo difficile: “c’è crisi, grossa crisi” – un’affermazione che sembra entrata a far parte dello slang corrente, un po’ come “non esistono più le mezze stagioni”. Bene, c’è crisi, ma i propositi fattivi per fronteggiarla quali sono? Si è denunciata la necessità di introdurre la gratuità nei musei, seguendo il virtuoso modello inglese, quando (solo per citare un esempio) nel 2004 Alessandra Mottola Molfino, all’interno del libro L’etica dei musei, si era già soffermata sull’argomento in maniera piuttosto esaustiva. A quasi dieci anni di distanza, niente è cambiato, anzi, se ne riparla. Stesse frasi, medesime espressioni. Ancora, la digitalizzazione archivistica è stata definita “un processo ormai inarrestabile”, quando sappiamo – se ci guardiamo onestamente negli occhi – che la realtà dei fatti è ben diversa: gli archivi, talvolta, hanno a disposizione scarse postazioni per la consultazione, presentano indici incompleti, faldoni contenenti documenti malconci, fogli “affetti” da fenomeni di pitting e di degrado conservativo. Purtroppo, nella maggior parte dei casi, questo avviene a causa di un organico ridotto, con scarse risorse economiche, che non può farsi carico nemmeno delle mission primarie. La digitalizzazione, in un tale contesto, dove sta? Fortunatamente si distanzia da questo clima l’intervento di Daniele Lupo Jallà, rappresentante dell’Executive Council dell’ICOM, il quale si è soffermato sull’esigenza di riscrivere la Carta delle professioni museali, approvata e firmata nel 2005. Un periodo che, seppur vicino a noi, per condizioni economico-sociali, tecnologiche, imminenza di un ricambio generazionale (con annessa trasmissione delle competenze), è profondamente diverso. Siamo in una lenta fase di transizione, l’istituto museale sta cambiando e noi, nonostante tutte le difficoltà, dobbiamo essere capaci di recepire e rilanciare un accenno di mutamento. Di nuovo, si è rivelata piuttosto interessante una delle sessioni parallele organizzata al Museo della Scienza e della Tecnologia, in tema di Risorse per la cultura: fiscalità, fund raising, parternariato pubbli8


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Milano, Piazza del Duomo

co-privato – relatori Vittorio Ponzani dell’AIB, Luigi Contegiacomo, Direttore dell’Archivio di Stato di Rovigo, e l’avvocato Marco Parini (Presidente di Italia Nostra e qui rappresentante di ICOM Italia). In sintesi, il dibattito dall’orizzonte più limitato, la chiarezza dei relatori e l’ambiente “ristretto” hanno favorito la messa in luce di alcune tematiche sensibili. Si è discusso del cambiamento connesso alla sponsorship, che da un mero scambio di denaro e di visibilità del logo si sta trasformando in una collaborazione più serrata tra realtà di natura differente, interessate a produrre servizi e a lavorare unitariamente a un unico progetto. Si è affrontato il discorso delle difficoltà legali e fiscali incontrate da chi dovrebbe emettere erogazioni liberali, della situazione precaria in cui versano le amministrazioni pubbliche, strette tra il patto di stabilità e la spending review e della conseguente necessità di creare partenariati tra società pubbliche e private. Che qualcosa cambi, perlomeno nell’immediato, sembra poco probabile, ma che qualcosa invece inizi a muoversi pare evidente. Che siano solo Parole parole… non lo sappiamo ancora dire con certezza. Ma ci auguriamo di no.

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Informazioni Stati Generali dei Professionisti del Patrimonio Culturale. Archivi, biblioteche e musei: agenda per un futuro sostenibile. Milano, Palazzo Lombardia, 22-23 novembre 2012 sito web. www.mab-italia.org


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Le gallerie chiudono? Avviamo una cooperativa di artisti Sonia Cosco

Savona, Galleria Conarte - Claudio Carrieri, Odalische e Osmunde (2010)

Conarte, la storica galleria d’arte contemporanea di Savona, si deve arrendere alla crisi, come purtroppo tante altre realtà in Italia. Forse, è giunto il momento di ripensare al rapporto tra arte, gallerista, fruitore e da Savona arriva una proposta. Questa è la storia di una fine e di un inizio. Conarte, galleria d’arte contemporanea tra le più importanti di Savona e provincia, chiude il 31 dicembre e ha messo all’incanto il magazzino. Triste passare da via Brignoni e notare l’aria dismessa dei locali che per anni sono stati occupati dalle raffinatezze bronzee di Arnaldo Pomodoro o le inquietudini su tela di Emilio Scanavino. Sono stati tanti gli artisti, noti o meno noti, ma sempre di altissimo livello, che hanno fatto sosta presso Conarte, che non era solo una galleria, 11


Nuovi mo[n]di d’arte

ma un luogo di relazioni, uno spazio di incontri, un propulsore di iniziative rivolte alla città. Conarte portava, anche grazie all’assidua collaborazione con l’amministrazione comunale, l’arte fuori dalle sue mura, in piazza, nelle strade. Curiosità, interesse, scetticismo. Qualsiasi fosse la nostra reazione di fronte alle gigantesse bronzee di Carin Grudda in piazza Sisto o la fauna pneumatica di Serge Van De Put che aveva colonizzato le strade del centro, l’importante era vivere l’esperienza dell’arte, quel contatto diretto, non mediato che educa al senso estetico, alla meraviglia, alla critica. Carmen Cona che ha gestito la galleria (tra cambi di sedi, nome e proprietà fino all’acquisto da parte dell’imprenditore Giancarlo Bruzzone nel 2007) per trent’anni, è pronta a rimboccarsi le maniche, perché la passione e la professionalità non devono chiudere e soprattutto possono trovare formule alternative per proporsi. «Fare il gallerista è la cosa più difficile al mondo» commenta con un groppo alla gola, «abbiamo cercato di resistere fino alla fine, ma la crisi ha colpito anche noi». Cona ricorda il suo percorso, da adolescente ‘garzonetta’ affascinata dalle cornici del negozio in cui lavorava, dal sogno di un’attività in proprio e l’avvio della sua attività come gallerista, fino al primo grande successo nel 2007 con la mostra di Arnaldo Pomodoro a cui hanno fatto seguito le personali di Mario Rossello, Emilio Palladini, Omar Galliani, Gaspare Gisone, Serge Van De Put, Sandro Lorenzini, Matthias Brandes, Claudio Carrieri, Davide Puma, Willy Verginer, Angelo Accardi, Crash Toys, Paolo Fresu, Claudio Malacarne, Carin Grudda. Ma il mercato dell’arte è terreno impervio. La crisi insabbia il potere d’acquisto della classe media che, pur entro certi limiti, investiva in questo settore. Le vendite calano. I costi si gonfiano sempre più e si arriva alla decisione che si respirava già nell’aria, ma è stata confermata solo in questi giorni. Carmen Cona però non ha fatto passare troppo tempo dalla fine di una storia all’inizio di un’altra, accogliendo con entusiasmo la proposta dell’artista Carlo Carrieri che vuole rappresentare un’alternativa alle gallerie private: creare una cooperativa di artisti. «Uno degli obiettivi della cooperativa è abbassare i prezzi, mantenendo alta la qualità» dichiara Carrieri, promotore del progetto, 12


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Savona, Galleria Conarte - Interni

«che vuole essere una risposta per contrastare un mercato impoverito, che ha seguito troppo a lungo i criteri del liberismo». Gli stessi criteri che in altri tempi hanno permesso all’arte di svilupparsi, oggi tolgono ossigeno a tutti quegli artisti che non appartengono all’Olimpo degli eletti e sono sempre più isolati. Siamo nella fase di start up, ma esiste già un manifesto e gli intenti che animano il progetto sono chiari: scegliere spazi espositivi pubblici, creare contatto diretto tra artista e collezionista, facilitare l’accesso ai materiali per la costruzione e promozione delle opere, abbassare i prezzi delle opere, per poter arrivare a maggiori fruitori. Insomma, unire le forze, collaborare per un progetto che vuole essere più un segnale politico che estetico, verso un nuovo modo di fare e concepire l’arte. Conarte è solo una delle tante gallerie che scompaiono nel silenzio e lasciano sempre più vuote le nostre città. Da parte degli operatori del settore, degli artisti e degli stessi galleristi è importante che si attivino delle riflessioni su possibili strategie per sviluppare anticorpi contro la recessione. Chissà che la cooperativa di artisti, non possa essere una di queste.

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Informazioni Conarte - Galleria d’Arte sito web. www.galleriaconarte.it


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Fluxus 1962-1970, o della realtà tout court

Roberto Rizzente

Pieter Vanderbeck, Five o’clock in the morning (1966)

Nella presente epoca, Fluxus rappresenta un paradosso e una provocazione insieme. Perché, nella sua relativamente breve parabola (il nome compare per la prima volta nel 1961, in occasione delle tre conferenze “Musica antiqua et Nova” organizzate da George Maciunas), senza bisogno di tesaurizzare le idee e quindi storicizzarsi, di volta in volta ignorando le tentazioni del mercato, ha saputo sopravvivere alle tristi profezie di “morte dell’arte”. Attraversando la storia senza farsene assorbire. È il 23 novembre. A Milano, in una sala Oberdan piena all’inverosimile, Achille Bonito Oliva omaggia così un movimento essenziale alla nostra epoca, che ha ridisegnato le coordinate del fare arte. Perché questo, Fluxus, ha rappresentato: ha raccolto con “serena cleptomania” il portato delle avanguardie storiche (dadaismo e futurismo in primis), ha rivendicato l’intrinseca artisticità dei gesti comuni, ha ridisegnato i confini tra l’estetico e l’etico, attraendo artisti di ogni ordine e grado, in nome del confronto e della coralità. Ci sono film per tutti i gusti, nella Fluxus Film Anthology 196270 (37 i titoli), presentata dalla Fondazione Mudima. Zen for film di Nam June Paik (1962-1964), il padre della video-art, è uno 15


Nuovi mo[n]di d’arte

schermo bianco alla Guy Debord (cfr. Hurlements en faveur de Sade del 1952), punteggiato di rumori d’ambiente. Sullo stessa linea Blink di John Cavanaugh (1966), imprimendo un movimento accelerato allo schermo. Più complessa la struttura imbastita da George Brecht in Entrance to Exit (1965), con la segnaletica annunciata dal titolo ad aprire e chiudere la visione, spalancata sul nulla. Indulge all’astratto 9 minutes di James Riddle (1966), con la sua numerazione progressiva, scandita ossessivamente in sala dal magistrale accompagnamento di Benjamin Patterson e Hans W.Koch. E prossimo alla optical art sembra Artype di George Maciunas (1966), con quella fantasia, blasonatissima, di cerchi concentrici, alla Gottlieb. Come pure, ascrivibile al genere, è Five o’clock in the morning di Pieter Vanderbeck (1966), costruito a partire dalla disposizione geometrizzante di oggetti naturali su Fluxus Anthology 1962-1970 fondo neutro. Dedicati al problema del linguaggio, Sears Catalogue 1-3, Dots 1&2, Wirst Trick, Unrolling Event e Word Movie di Paul Sharits, composti tra il ’65 e il ’66, documentano l’anima più concettuale di Fluxus, avendo chiari e inoppugnabili punti di contatto col cinema strutturalista. Condividendo in parte l’avversione di Peter Gidal per la finzione, dalla quale neppure il cinema cosiddetto impegnato riesce a liberarsi, queste opere perseguono, nell’azzeramento di ogni volontà narrativa e l’ostentazione della “macchina filmica”, una chiara finalità politica, contro la spettacolarizzazione in atto. Radicate nella realtà sono invece le bocche di Dick Higgins (Invocation of Canyons and Boulders (for Stan Brakage), 1966) e Mieko Shiomi (Disappearing Music for Face, 1966), o l’occhio, con memoria buñueliana, di Yoko Ono (Eye Blink, 1966). Il richiamo a quanto, negli stessi anni, stava facendo la Factory di Andy Warhol è evidente. Si pensi solo all’irresistibile parata di sederi in Four (1967), di 16


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Yoko Ono, o le gambe nude e la vagina a tutto campo in Trace#22 #23 (1965) di Robert Watts, con tanto di simulazione fallica. Orientate all’happening vero e proprio – di cui Fluxus è stato inventore, oltre che mentore - sono invece Jeff Perkins, Shout2 (1966) le azioni di Ben Vautier, che, con un’estetica da cinema Lumière, mantenendo la telecamera fissa, di volta in volta attraversa il porto di Nizza a nuoto (La Traversée du port de Nice à la nage, 1963), solleva un mobile, calcolando il tempo dello sforzo fisico (Faire un effort, 1969), o siede in piazza, attirando le reazioni stupite della gente (Regardez-moi, cela suffit, 1962), in una fusione completa, ormai irreprensibile, tra arte e vita. Ma le opere che meglio sintetizzano lo spirito di Fluxus sono Smoking (1966) di Joe Jones, con il rallenty mirabile del fumo di una sigaretta, attirando i colpi di tosse divertiti del pubblico in sala, e Shout 2 (1966) di Jeff Perkins, che doppia in diretta l’assurdo vociferare di due uomini con richiami di uccelli. L’atto creativo, di per sé banale, irrompe in sala, nel flusso della vita quotidiana. La comunicazione si fa bidirezionale, acefala e libertaria. E, a ben pensare, anYoko Ono, Four (1967) che questo è un atto di rifondazione politica. Come sognava Maciunas.

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Informazioni Fluxus sito web. www.fluxus.org


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A Milano c’è il mare. Sogni, bisogni e desideri in ceramica nella città del cemento Anna Castellari

Stanchi della vita metropolitana? Voglia di mare in mezzo al grigiore della città lombarda? Allora andate allo Spazio Nibe, dove la ceramica artistica è di casa. Vi si aprirà un mondo. E scoprirete, tra una barca a vela e un pesce palla, che anche a Milano può esserci il mare! 19


Nuovi mo[n]di d’arte

Cinzia Ronchi, Creti

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Si apre come una piccola oasi in mezzo alle auto e al rumore della città, lo Spazio Nibe. La gallerista, Gabriella Sacchi, lo tiene aperto ormai da dieci anni. E organizza corsi di ceramica artistica da prima, ormai dal 1981. Non solo: nello spazio si tengono anche mostre dedicate agli artisti storici della ceramica, dagli anni cinquanta in poi. Il tocco della sua titolare è davvero inconfondibile: nel minuscolo spazio, infatti, c’è un retrobottega ricolmo delle sue opere. Sono “fogli” in ceramica cosparsi di parole, lettere, fraseggi. L’autrice ha lavorato da sempre con questi materiali. In passato è stata docente di educazione artistica e ha contribuito insieme a Bruno Munari alla stesura di un libro di didattica per gli allievi.


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Oggi, entrando in questo luogo, si ha la sensazione di essere altrove, come un’isola di pace e di bellezza nel caos cittadino. Pur essendo molto piccolo, lo spazio raccoglie spesso mostre collettive, e la sua curatrice riesce a valorizzare ognuno degli artisti. Divertenti e ironiche sono le opere presentate. Questa volta, oltre alle barche a vela scolpite dalle mani di Gabriella, a rappresentare un “mare dei migranti, il mare che da un Enrica Campi e Massimo Voghera, po’ di anni, anche quando Pinocchio e Bagnante siamo in vacanza, ci parla di una realtà in continuo cambiamento”1, e intitolate Dove stiamo andando, ci sono le opere di altri sei artisti. Inaugurata il 22 novembre, l’esposizione A Milano c’è il mare è davvero variegata. Ognuno di questi lavori, a modo proprio, è contraddistinto da una cifra molto precisa: la leggerezza, una certa naïveté e una volontà di esprimere in maniera mai banale “l’amore di molti di noi per il mare, la nostalgia che, a vacanze terminate, si accende e ci fa pensare alla prossima occasione di trasferimento marino, la ricerca artistica intorno al tema dell’acqua, degli organismi minerali, vegetali, animali che in essa dimorano...”2. Colpisce Cinzia Ronchi, artista che ripensa alle vacanze con la sua Rimini e un campo di bocce costruito in miniatura, pieno di una sabbia bianca e palle di ceramica. È un mare pieno di ricordi, di amicizie, quello delle nostre infanzie, dei primi amori e dei nonni che passano le ore a giocare a bocce. 1 2

Gabriella Sacchi nella presentazione della mostra. Ibidem. 21


Nuovi mo[n]di d’arte

Gabriella Sacchi, Dove stiamo andando

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Vicino a un mondo infantile è anche il lavoro di Tonino Negri, che riporta con le sue creature marine a un mondo fatto di favole, a Pinocchio e alla balena che lo inghiottì, a un Pesce palla. Durante la vernice, i partecipanti sono stati invitati a giocare con le opere facendosi fotografare, interagendo giocosamente con l’arte e con i messaggi dati dagli artisti. Anche i lavori di Karin Putsch-Grassi sono molto particolari, realizzati con la tecnica raku – che crea effetti sempre diversi. Karin declina i suoi lavori in modi vari, come pesci della stessa forma lavorati


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differentemente. Nella sua vita, scrive Gabriella Sacchi nella presentazione, l’artista ha creato “interi branchi di pesci”, ispirata dal fascino degli animali quali granchi, polipi, delfini. Margrieta Jeltema, da parte sua, sembra rappresentare invece le sue opere – come tazze e piatti – quasi fossero “immobiMargrieta Jeltema, Il mare sotto il divano lizzate” nel tempo, in una specie di schiuma marina. Come L’écume des jours (la schiuma dei giorni), che ha lo stesso titolo di un visionario romanzo di Boris Vian. Infine, i lavori di Enrica Campi e Massimo Voghera ricordano mini scenografie per spettacoli teatrali, con personaggi colorati realizzati anche con materiali di recupero e scatole di latta, o pezzi di legno. Scenari marittimi, questi, allegri e scanzonati, di cui è facile immaginare le storie, ma che potrebbero fare da sfondo a storie d’autore. La mostra, che ha inaugurato il 22 novembre, rimarrà aperta fino al 21 dicembre 2012. Accompagna l’esposizione un calendario con le fotografie degli artisti e delle loro opere, in vendita nello spazio.

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Informazioni A Milano c’è il mare Spazio Nibe, fino al 21 dicembre 2012 Orari. Lunedì-sabato dalle 15 alle 19 e al mattino su appuntamento. Chiuso il 7 e l’8 dicembre. sito web. www.spazionibe.it e-mail. info@spazionibe.it tel. 02710621 - 02740676


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Nèurastenie - #cioccolato

Silvia Colombo Il tema di questa settimana è un classico. È vero, calza a pennello con il Natale alle porte, ma è anche una dedica a tutti i peccatori di gola. Perciò, ecco cinque flash sul #cioccolato, per i golosi d’Italia, ma anche per gli amanti del viaggio.

#Italia

Siamo pronti a iniziare il nostro itinerario da una città situata nel cuore dell’Italia, madrepatria dell’Eurochocolate, nonché sede di una delle storiche aziende di cioccolato: stiamo parlando di Perugia, dove si trova la Casa del cioccolato Perugina. Inaugurata nel 2007, in occasione del centenario della casa di produzione, essa racchiude una storia in bilico tra il passato della tradizione dolciaria e il presente imprenditoriale del marchio. A scelta, si può effettuare il percorso completo – il Museo storico, la fabbrica, la Scuola del Cioccolato e il gift shop – oppure una selezione personalizzata.

Dove e quando

Info e contatti

San Sisto (Perugia), Casa del cioccolato Perugina

Orari. da lunedì a venerdì 9-13/ 1417.30 sito web. www.perugina.it info. Per tutte le info che vi occorrono, contattate il numero telefonico: 075 5276796 25


Nuovi mo[n]di d’arte

#Svizzera

Parlare di cioccolato e non menzionare la Svizzera sarebbe un paradosso imperdonabile. Perciò ecco il Museo del cioccolato del marchio Alprose, non lontano da Lugano. All’interno dell’edificio viene presentato un percorso espositivo-didattico che delinea la storia del dolciume, dalle origini a oggi, racconta le diverse fasi produttive e conduce infine nello spaccio aziendale, cui attingere a piene mani e dare sfogo alla propria golosità. Nei giorni feriali si può inoltre effettuare la visita negli spazi della fabbrica e la degustazione, of course, è inclusa. Infine, se i più piccoli vorranno cimentarsi nell’impresa, potrete iscriverli a un corso organizzato nel Choco Studio.

Dove e quando

Info e contatti

Caslano-Lugano, Chocolat Alprose spa

Orari. da lunedì a venerdì 9-17.30 | sabato e domenica 9-16.30 Ingresso. 2.50 euro intero | 1 euro ridotto sito web. www.alprose.ch email. museum@alprose.ch

#Belgio

Altra tappa imprescindibile del nostro dolcissimo viaggio è il Belgio, con il suo Museo del Cacao e del Cioccolato. Aperto nel 2005 all’interno di un grazioso stabile di fine Seicento situato nel centro storico di Bruxelles, il museo offre un percorso a ritroso nella storia del cioccolato, ma anche un’iniziativa molto particolare. Presentatevi alle 9.30, puntuali, e potrete fare colazione a base di tè, caffè, cioccolata e croissant; al termine, prenderete parte a una visita guidata condita da una dimostrazione a opera di un maître chocolatier. Anche in questo caso la degustazione è, ovviamente, inclusa nella visita.

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Dove e quando

Info e contatti

Bruxelles, Museo del Cacao Orari. da martedì a domenica 10-16.30 | e del Cioccolato chiuso il lunedì Ingresso. 5.50 euro intero | 4.50 ridotto | 3.50 bambini | (con colazione e degustazione incluse) 15 euro adulti | 10 euro bambini sito web. www.mucc.be email. info@mucc.be

#Germania

Sì, per chi non lo sapesse, l’artista Dieter Roth (1930-1998), già negli anni sessanta – in barba a tutti gli scultori odierni – si dedicò alla realizzazione di opere d’arte in cioccolato. Alcune di esse, oggi, si trovano ad Amburgo, dove ha sede la Diether Roth Foundation, luogo in cui si conservano suoi documenti d’archivio e opere. Il tour che possiamo effettuare è anche e soprattutto virtuale, direttamente dal sito web, poiché una parte del museo è stata chiusa al pubblico nel 2004. Così, all’interno della Chocolate kitchen è possibile vedere alcune realizzazioni (busti in cioccolato), risultato della fusione a bagnomaria di tavolette al latte, fondenti o bianche, in seguito lavorate con stampi in silicone. Dove e quando

Info e contatti

Amburgo, Dieter Roth Foundation

Orari. solo su appuntamento Ingresso. visite guidate di 2 ore e mezzo circa per gruppi di 1-3 persone: 100 euro | 4-10 persone 150 euro | 11-20 persone 250 euro | giovani, studenti e pensionati: 10 euro a persona (minimo 10 persone) sito web. www.dieter-roth-foundation.com email. email@dieter-roth-foundation.com 27


Nuovi mo[n]di d’arte

#fuoritema

Fuori tema solo perché è qualcosa che non si può visitare ma – tranquilli – c’è sempre. È sufficiente prendere un dvd, inserirlo nel lettore, e far partire la storia. Consiglio scontato, certamente, ma quanto di più classico ci possa essere legato all’argomento. Sto parlando del film La fabbrica di cioccolato, in versione rigorosamente Tim Burton, però. Il lungometraggio del 2005 attinge a un immaginario sublime e al contempo decadente, secondo la poetica del regista che ha dato vita a mondi cinematografici indelebili, da Batman alla Sposa cadavere, da Alice a Edward mani di forbice. Si consiglia la visione con una dose di cioccolato a portata di mano, mentre si canticchiano i versi pungenti degli Umpa Lumpa.

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Dove e quando

Info e contatti

La fabbrica di cioccolato, regia di Tim Burton anno: 2005

Durata. 105 minuti Casa di produzione. Warner Costo. in formato dvd 10/12 euro circa info. www.imbd.com



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