M48 - Motom | Brand Magazine

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CONTRIBUTI

Direttore Responsabile Martina Bonetti

Art Director Davide Comuzzi

Redazione Salvatore Cannata

Photo Editor Tomaso Carbone

Ufficio Grafico Bartolomeo Balleggi

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EDITORIALE

Dobbiamo essere fieri della nostra Italia e di noi italiani. Questo magazine vuole ricordare a tutti le grandi icone del nostro Paese perché non dobbiamo mai scordarci chi siamo, cosa abbiamo fatto e cosa possiamo fare. Ripercorreremo insieme le loro storie, le nostre storie. Persone, brand, luoghi, film, libri e ancora molto altro. Gli argomenti sono molteplici e diversi fra loro. Resta sempre però un filo conduttore, con dei caratteri quasi genetici, che contraddistingue gli italiani. Dall’imprenditoria allo sport, dai posti più caratteristici alle pellicole più emozionanti. Questa rivista è un’occasione per ricordare e scoprire, per informarsi ed emozionarsi. Quasi un dizionario biografico degli italiani perché possiamo trarre fiducia dalla storia di ciò che è successo. Siamo molto di più di ‘pasta, pizza e mafia’. Lo sappiamo bene.

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SOMMARIO IN COPERTINA

Coppi e Bartali Un duello leale Alfonso Bialetti Il caffè coi baffi La Vespa Viaggiare con stile APPROFONDIMENTI

Vezzali e Zöggeler Gli alfieri invincibili Adriano Olivetti L’Italia industrale RUBRICHE

Film Fellini, ‘La strada’ Libri Bettinelli, ‘In vespa’ Eventi EXPO 2015 M48

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LO SPECIALE

I VINCENTI D’ITALIA

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no degli elementi che più di qualunque altro rappresenta i caratteri e i valori di spirito nazionale, sicurezza e tenacia dell’Italia e degli italiani nel mondo è lo sport. Nonostante un contesto sociale differente, lo sport italiano trova e crea allo stesso tempo solida unità durante le manifestazioni sportive della nazionale italiana, rappresentando i colori italiani identificati con l’azzurro e la bandiera tricolore. La tradizione sportiva italiana è lunga quasi quanto la sua storia: in quasi tutti gli sport, sia individuali sia di squadra, l’Italia può vantare molti successi; risultati tali da rendere gli atleti delle icone capaci di portare in alto il nome della nostra nazione.Partendo dal ciclismo e dalla rivalità storica di Coppi e Bartali, campioni indiscussi di tutti i tempi, discuteremo di come gli italiani fin dalla fine della seconda guerra mondiale hanno guardato allo sport come “simbolo dello sforzo e della volontà degli uomini che cercavano di costruirsi un futuro di gloria e di serenità”, arrivando poi fino ai giorni nostri e guardando a grandissimi campioni olimpici quali sono Maria Valentina Vezzali e Armin Zöggeler, entrambi portabandiera nelle ultime Olimpiadi (rispettivamente nel 2012 e nel 2014) e unici vincitori italiani di 5 medaglie in 5 edizioni olimpiche consecutive.

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COPPI E BARTALI Un duello leale Tour de France, 1945

A dieci anni dalla morte di Gino Bartali e a cinquanta da quella di Fausto Coppi, due grandi ciclisti che hanno segnato la storia d’Italia, non solo quella sportiva, due grandi uomini, prima che atleti, resta sempre attuale il loro esempio di correttezza e sportività. Nella rivalità fra Bartali e Coppi forse Pindaro non vedrebbe altro che il simbolo delle lotte, delle sofferenze, dei sacrifici e delle speranze che le nostre generazioni offrono alla libertà, alla pace, alla felicità degli uomini e delle nazioni. Curzio Malaparte, Coppi e Bartali, 1949

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al 1940 al 1954 i due corridori hanno vinto, tra l’altro, otto Giri d’Italia (cinque Coppi, con ventidue tappe, e tre Bartali, con diciassette tappe), quattro Tour de France (due Coppi e due Bartali) e sette Milano-Sanremo (quattro Bartali e tre Coppi). Per capire il significato della rivalità tra Coppi e Bartali bisogna contestualizzarla nel

Tour de France, 1945

periodo storico in cui è nata, considerando anche la particolare importanza che aveva lo sport da loro praticato. Negli anni successivi al secondo dopoguerra il ciclismo era visto dalla nazione come il riscatto dalle sofferenze subite. L’importanza che il ciclismo aveva per l’Italia è testimoniata anche dal fatto che le “penne buone” erano mandate ad affiancare i cronisti sportivi durante le tappe dei giri. Alcuni nomi: Vasco Pratolini, Giovanni Mosca, Orio Vergani, Dino Buzzati, Nantas Salvalaggio, Indro Montanelli. E dal fatto che i suoi campioni erano visti dalla gente come degli eroi. Raccontare le tappe di quegli incontri sportivi significava per quegli scrittori raccontare l’Italia, con i suoi paesaggi, con le sue macerie che si cercava di ricostruire. Gli italiani che vivevano nel dopoguerra sognavano, prima leggendo, e poi ascoltando per radio, quei meravigliosi racconti di sport, ma anche del loro Paese, descritto con passione nel tentativo di rianimarsi dopo le tante violenze subite. Il ciclismo, inoltre, soprattutto a quei tempi, era il simbolo dello sforzo della ricostruzione, della gloria ottenuta con lo sforzo e la volontà degli uomini che cercavano di costruirsi un futuro di gloria e di serenità. Uno sport fatto di fatica e di impegno, di metodo e di intelligenza, che permetteva di viaggiare e di correre solo grazie alle proprie forze, per questo emblema soprattutto della ricostruzione post-bellica, ma anche della vita.

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La prima occasione che i due campioni ebbero per confrontarsi fu al Giro d’Italia del 1940, in cui gareggiavano nella stessa squadra”la Cicli Legnano”. Coppi era solo un gregario che ad appena venti anni vinse il suo primo Giro d’Italia. Bartali cadde durante una tappa e mentre gli altri gregari si fermarono a soccorrerlo i tecnici della squadra dissero a Coppi, che prometteva bene, di continuare. Bartali poi si complimentò con Coppi, ironizzando sul fatto che in seguito si sarebbe trovato in difficoltà nelle tappe di montagna. Coppi, infatti, era uno scattista e un velocista, mentre a Bartali erano più congeniali i lunghi sforzi e le salite. Queste certo non erano le uniche differenze tra i due campioni. Coppi era laico, credeva principalmente in sé stesso, era un libero pensatore che credeva nel progresso, Bartali era un uomo di fede, cattolico praticante. Coppi fece scandalo per la sua relazione con la cosiddetta Dama Bianca, la moglie del suo medico, che, per questo motivo, andò anche in prigione. In un paese come il nostro, di Guelfi e Ghibellini, secondo la definizione di Gianni Mura, fu fatale la nascita di due nuovi partiti. I loro due differenti modi di essere e di pensare furono strumentalizzati. La loro rivalità fu strumentalizzata.Il Coppi di sinistra e il Bartali di destra in realtà non esistevano. Entrambi furono ricevuti dal Papa, entrambi vitavano per lo stesso partito di centro. Ma come scrisse Curzio Malaparte: il loro

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Giro d’Italia, 1940

antagonismo non è così personale come si crede, io non ci credo affatto. Gino e Fausto sono due bravi ragazzi, pieni di lealtà e buonsenso. Non c’è odio nella loro rivalità. Perché dovrebbero odiarsi? Lo sport non è politica.

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Tour de France, 1945

“il loro antagonismo non è così personale come si crede … Io non ci credo affatto … Gino e Fausto sono due bravi ragazzi, pieni di lealtà e buonsenso. Non c’è odio nella loro rivalità. Perché dovrebbero odiarsi? Lo sport non è politica”

Diversi nello stile di vita e nel pensiero, diversi anche nello stile di correre, rivali nello sport, non portavano odio l’uno per l’altro. Emblematica è la famosa fotografia, di cui tanto negli anni successivi si è discusso, scattata durante una tappa del Tour de France del 1952, tra Losanna e Alpe d’Huez, in cui i due campioni si scambiavano la borraccia. Nessuno seppe

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chi dei due la passò all’altro, anche perché nessuno dei due lo rivelò. Coppi morì nel 1960 a causa della malaria, non riconosciuta dai medici che

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lo curarono e che gli diagnosticarono una semplice influenza. Come scrisse Gianni Brera: “gli eroi non possono invecchiare”.

Tour de France, 1952

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VEZZALI E ZÖGGELER Gli alfieri invincibili Valentina Vezzali

Due atleti formidabili, due personalità differenti, Maria Valentina Vezzali e Armin Zöggeler sono il simbolo della vittoria nello sport agonistico. Il mondo delle olimpiadi ha continuamente regalato grandi soddisfazioni a questi campioni italiani, vincendo medaglie su medaglie e arrivando al record italiano di cinque podi in cinque edizioni consecutive dell’evento. Questo loro enorme successo ha dato loro il grande onore di essere gli alfieri, i portabandiera della Nazionale alle ultime olimpiadi: Valentina Vezzali lo è stato per i Giochi di Londra nel 2012, Armin Zöggeler lo sarà invece per i prossimi Giochi Invernali di Sochi nel 2014.

Armin Zöggeler

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Maria Valentina Vezzali Valentina Vezzali

È

la donna italiana più vincente della storia: è stata per 12 anni al primo posto nella classifica mondiale del fioretto femminile e ha vinto, oltre alle altre cose, ben 11 edizioni della Coppa del Mondo. Ha iniziato a praticare la scherma all’età di 6 anni nella categoria “prime lame” da quel giorno non ha più smesso di vincere, collezionando una serie infinita di titoli e medaglie in ogni tipo di competizione. Dal 1999 fa parte del Gruppo Sportivo Fiamme oro, il che le ha donato il soprannome di “poliziotta con il fioretto”. Caparbia, forte talento, dal carattere vincente e determinato, ha superato momenti difficili nel corso della sua carriera riuscendo come solo una fuoriclasse è in grado di fare. Fuori dalla pedana ha inanellato diverse partecipazioni istituzionali e non, partecipando a premiazioni e programmi televisivi, ricevendo gli onori e la simpatia del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Oltre alla sua brillante carriera da sportiva è anche mamma a tempo pieno di due splendidi bambini. Nel 2013 si candida alle elezioni politiche nella lista Scelta Civica di Mario Monti, divenendo parlamentare. Fa parte della Commissione cultura, scienza e istruzione per le Marche, dove ha presentato sette disegni di legge.

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n un mondo completamente diverso da quello di Valentina Vezzali, quello dello slittino, si ritrova comunque ad occupare una posizione di primatista: è considerato uno dei più grandi e vincenti in questo sport. Ha iniziato a praticarlo fin da bambino, utilizzando lo slittino per scendere dal maso in cui abitava con la famiglia fino a valle dove era situata la scuola. Ha partecipato a cinque edizioni dei Giochi olimpici invernali, salendo sempre sul podio ed eguagliando il primato del tedesco Georg Hackl. Grazie al suo impressionante palmarès gli sono stati attribuiti diversi soprannomi nel corso degli anni: da il “cannibale” fino a lo “Schumacher del ghiaccio”, per l’alta velocità con la quale affrontavano le piste nei rispettivi sport, la loro meticolosità e i record di vittorie che durante gli anni 2000 li accomunavano. Nel 2014 sarà il terzo slittinista nella storia azzurra ad essere portabandiera. Come dichiarato dallo stesso presidente della comitato olimpico italiano, questa scelta “onora e gratifica l’intero Paese”. A 36 anni, 2 ori, un argento e 1 bronzo olimpico, 9 coppe del mondo, 5 campionati del mondo non è ancora sazio di vittorie. Quale è il suo segreto? “Appena taglio il traguardo penso già alla prossima gara”.

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Armin Zöggeler

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ALFONSO BIALETTI Il caffè coi baffi Moka, 1933

Moka, 2013

La storia di un uomo che con un lampo di genio ha cambiato la percezione della industria italiana. La sua Moka e le pubblicità durante il Carosello sono sicuramente una fetta di cultura italiana. L’affermazione di eccellenza di Bialetti Industrie S.p.A. si esprime nella sua filosofia: “Più valore alla vita quotidiana”. Si racconta che al signor Alfonso Bialetti, proprietario di un’officina di semilavorati d’alluminio, l’idea gli sia venuta guardando la moglie che faceva il bucato. A quello spettacolo un’idea frullò nella mente del Bialetti: farne una caffettiera di concezione affine alla macchina da caffé a vapore comune nei bar italiani. Gilberto Coretti, 2011

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ialetti nasce nel 1919 quando Alfonso Bialetti apre a Crusinallo un’officina per la produzione di semilavorati in alluminio. Spinto dallo spirito imprenditoriale, trasforma la sua Officina - Alfonso Bialetti & C. Fonderia in Conchiglia - in un atelier per la progettazione e produzione di prodotti finiti, pronti per il mercato. Con l’intuizione geniale di Alfonso Bialetti, nel 1933, viene alla luce Moka Express – dal design Art Decò – che rivoluziona il modo di preparare il caffè a casa e permette all’azienda, grazie anche all’ambizione del figlio Renato, di affermarsi immediatamente tra i principali produttori italiani di caffettiere. L’idea di come costruire una caffettiera gli venne guardando fare il bucato in casa. In quest’epoca, per lavare i panni, si usa la “lisciveuse”, una grossa pentola munita di un tubo cavo con la parte superiore forata. L’acqua, messa nel recipiente insieme alla biancheria ed al sapone, bollendo sale per il tubo e ridiscende sul bucato. Una grande intuizione tecnica e stilistica, accompagnata dalla capacità di comprendere l’importanza degli investimenti pubblicitari. La caffettiera porta ad un cambiamento radicale nelle abitudini di consumo di caffè tra le mura domestiche, ma fino al secondo dopoguerra, la Moka rimane sempre concepita come un prodotto artigianale con una distribuzione all’ambito locale.

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Omino coi baffi, 1955


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Alfonso Bialetti

Omino coi baffi

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Dalla matita di Paul Campani, sul finire degli Anni 50, nasce l’omino con i baffi che diventa uno dei più noti protagonisti di Carosello nonché simbolo del marchio Bialetti a livello mondiale. Il distinto personaggio caratterizzato da un elegante abito nero e papillon, il cappello tipo borsalino, il nasone ovale, i baffi neri, il collo e le lunghe braccia, rappresenta la stilizzazione grafica di un vero intenditore di caffè, ispirato – come riporta la tradizione – a Renato Bialetti. E le sue storie si concludono sempre con il solito ammonimento: “Eh sì, sì, sì... sembra facile (fare un buon caffè)!”. L’«Omino» da metà degli anni ‘50 viene applicato alla caffettiera Moka come elemento di originalità del prodotto e nel 1957, con l’arrivo di «Carosello», il personaggio viene animato. Oggi non solo tutti i prodotti sono firmati dal famoso «Omino coi baffi», a sinonimo di garanzia e qualità, ma dal 2002 lo stesso campeggia addirittura nel nuovo logo del gruppo Bialetti Industrie. Inoltre si può affermare che anche dopo 80 anni la Moka rimane un’icona della nostra tradizione culturale. Essa rappresenta infatti il “Bel Paese” nel mondo (la caffettiera piemontese ottagonale è ospitata nel Moma di New York oltre che nella Triennale del design di Milano), raccontando i valori della nostra tradizione attraverso

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Pubblicità in vignetta

un per corso emozionale che parla di casa, affetto e buon caffè. Nel 1947 a Coccaglio in provincia (BS), Francesco Ranzoni, nonno dell’attuale

Presidente, fonda un’azienda specializzata nella produzione di pentole realizzate in alluminio: Rondine Italia Negli anni ’80 la Società è tra le prime in Italia

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ad utilizzare il rivestimento antiaderente eintrodurre la serigrafia sui propri prodotti da cottura. Nello stesso periodo Rondine Italia raggiunge un altro importante traguardo con la creazione della linea di strumenti da cottura in alluminio antiaderente Trudi, che diviene un’ icona della produzione, grazie al mix vincente tra innovazione tecnica e stilistica con un eccellente rapporto qualità /prezzo, imponendo il marchio Rondine in Italia e oltre confine. Aziende dalla storia diversa, Bialetti e Rondine, ma accomunate alla medesima

PubblicitĂ su rivista

Logotipo BIALETTI INDUSTRIE

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Progetto Moka Express

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vocazione alla qualità e all’innovazione tanto da indurre l’attuale Presidente, Ranzoni, ad acquistare da Faema una partecipazione rappresentativa dell’intero capitale sociale dell’Alfonso Bialetti & C nel 1933. Una mossa imprenditoriale unica che, nel giro di pochi anni, ha originato tanti successi firmati dal mitico “omino coi baffi”. Il 2002 consacra la nascita dell’attuale Bialetti Industrie. Sono molti gli avvenimenti

Pubblicità Carosello

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per Brevetti Bialetti e per la creazione ed evoluzione del Gruppo: nel 2000 ha luogo l’acquisizione dell’azienda Presmetalcasalinghi, nel 2001 la volta del marchio Gb-Guido Bregna, leader nella produzione di caffettiere in acciaio e di accessori per la casa, nel 2003 continua l’espansione con l’assorbimento dell’azienda del capogruppo Bialetti Holding, che oggi distribuisce i marchi Bialetti, Rondine, Girmi,Aeternum e CEM. La volontà di essere ancor più competitivi nel mercato dei piccoli elettrodomestici porta nel 2005 all’acquisizione di un altro importante marchio storico, Girmi. Nello stesso anno, con l’obiettivo di porre le basi di un sito produttivo e commerciale a servizio dell’area est-europea e mediorientale, il Gruppo Bialetti acquisisce CEM, società attiva nella

produzione e commercializzazione di strumenti da cottura in alluminio antiaderente e con un marchio di forte riconoscibilità e tradizione in Turchia. E’ del 2006 l’acquisizione di Aeternum, lo storico marchio italiano leader nella produzione in acciaio. Dal 27-07-07 Bialetti Industrie è società quotata sul MTA di borsa italiana. Oggi Bialetti Industrie S.p.A è una realtà industriale leader in Italia e tra i principali operatori nei mercati internazionali. Alla Società fanno capo marchi di lunga tradizione e particolare notorietà in Italia, in Turchia e in Romania. L’affermazione di eccellenza di Bialetti Industrie deriva dalla capacità innata di associare ai suoi prodotti valori quali tradizione, qualità, durata nel tempo, design e sicurezza.

Manifesto 80 anni Bialetti

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LA VESPA Viaggiare con stile

Silla Gambardella

Reportage di Silla Gambardella, giornalista freelance, che nell’estate 2011 ha girato l’Europa in Vespa: da Milano a Copenaghen, andata e ritorno. 5000 km in 18 giorni, visitando 14 nazioni. È stato un viaggio “spartano” e lowcost che lo ha portato a scrivere un libro per condividere la sua esperienza con altri. Ci sono stati giorni in cui ho macinato oltre 450 chilometri, ma in sostanza è stato un viaggio doveho privilegiato la lentezza. Ed è stata questa lentezza a dare più valore al tempo, trasformando il viaggio fisico in un viaggio interiore. Nel suo procedere lentamente, la Vespa ha conciliato il sedimentarsi di ogni singola impressione vissuta in questo viaggio. Viaggiare in Vespa è una filosofia. Silla Gambardella, 2011

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’idea di un lungo viaggio in Vespa che attraversasse l’Europa mi venne in mente in una giornata di metà settembre, completamente all’improvviso. Tuttavia, dal momento in cui il pensiero mi balenò per la testa, ebbi la certezza che lo avrei realizzato. L’obiettivo era quello di toccare le maggiori capitali del continente e immergermi nella cultura di più paesi possibili. Ero interessato a dirigermi verso nord e così collocai il mio “giro di boa” a Copenaghen. Cominciai a ipotizzare un itinerario “ad anello” e da lì nacque il viaggio che mi ha portato a percorrere 5000 chilometri in 18 giorni, attraversando 14 nazioni e visitando 9 capitali

europee; gestendo ogni imprevisto e contrattempo, guasti meccanici compresi. Partito da Milano, ho fatto tappa a Bellinzona, Berna, Strasburgo, Saarbrucken, Lussemburgo, Bruxelles, Rotterdam, Amsterdam e Amburgo. Poi, una volta arrivato a Copenaghen, sono ridisceso nuovamente verso sud: ho attraversato il ponte sul mare che collega la Danimarca alla Svezia, fino a Malmo. Poi, da Trellesborg, traghetto fino a Sassznic. E da lì: Berlino, Poznan, Praga, Brno, Vienna, Ljubljana, Trieste, Asiago e ancora Milano. Sono cresciuto leggendo le imprese di Giorgio Bettinelli, così viaggiare su una Vespa mi è sembrata la scelta

Giorgio Bettinelli

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più adatta e divertente. Bettinelli mi aveva insegnato che era possibile percorrere i 24mila km che separano Saigon da Roma anche in sella a una 125 raffreddata ad aria e su strade che non erano proprio quelle europee. Ma lui era un vero e proprio temerario, io soltanto un turista in cerca di avventura. Perciò mi sono accontentato di viaggiare in sella alla più recente Gts 300 Super. La mia attrezzatura consisteva in uno zaino da montagna da 80 litri. Dentro, il minimo indispensabile per cavarsela in ogni situazione. Essenzialità ed efficienza: meno oggetti hai, e più ti senti libero. Il mio scopo era conoscere l’Europa vivendola, respirandola, parlando con le persone del posto. Dove possibile, ho evitato le autostrade, prediligendo strade secondarie e più panoramiche. Attraversando la Svizzera, ho superato il passo del San Gottardo e il Furkapass, a quota 2530 metri. Dopo una giornata di viaggio in salita, la Vespa ha accusato un piccolo problema alla pompa della benzina, un problema mai risolto e che

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Vespa di Bettinelli

Vespa di Gambardella

è stato riscontrato su alcuni di questi modelli quando il motore si scalda troppo. È bastato gestire i trasferimenti facendo riposare di tanto in tanto il mio mezzo per proseguire senza problemi. Da Bruxelles fino a Copenaghen e purtroppo anche da Copenaghen fino a Poznam, ho incontrato spesso la pioggia. Per questo, ad Amsterdam ho acquistato un parabrezza che mi è tornato decisamente utile. L’emozione più grande è stata quando ho raggiunto

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La Vespa all’Øresundbroen

Copenaghen, la meta prefissata. Mentre guido sulla strada che mi porta alla capitale danese, non distinguo se sto vivendo un sogno o la realtà. Uno dei momenti più difficili alla guida è stato l’attraversamento dell’Øresundbroen, il ponte che collega la Danimarca alla Svezia. Forti raffiche di vento laterale hanno minacciato la tenuta della Vespa e reso difficoltoso il sorpasso dei camion. Per evitare di essere risucchiati dal vuoto d’aria creato dai tir, ho dovuto affrontare i sorpassi già in piega... Ho imparato a conoscere le caratteristiche del mio mezzo e, ogni tanto, ad osare fino al limite. A Berlino sono riuscito a farmi fotografare con la Vespa davanti a Checkpoint Charlie, la ricostruzione fedele del più rinomato posto di blocco della Guerra

Fredda. Qui si respira ancora aria di Storia. Ho rischiato anche la pelle, in questo viaggio. Il giorno in cui stavo per raggiungere Poznan ho guidato per ore sotto l’acqua. A 120 chilometri orari, sotto il diluvio, la strada bagnata e raffiche di vento laterali; su due ruote piccole piccole che sorreggono un parabrezza enorme, la Vespa diventa un aquilone e il tuo equilibrio è appeso a un filo. Ci sono stati giorni in cui ho macinato oltre 450 chilometri, ma in sostanza è stato un viaggio dove ho privilegiato la lentezza. Ed è stata questa lentezza a dare più valore al tempo, trasformando il viaggio fisico in un viaggio interiore. Nel suo procedere lentamente, la Vespa ha conciliato il sedimentarsi di ogni singola impressione vissuta in viaggio. Viaggiare in Vespa è una filosofia.

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La Vespa tra le Alpi

Gambardella al checkpoint Charlie

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ADRIANO OLIVETTI L’Italia industriale

Showroom di Bruxelles

Un uomo, vero, diverso, fuori dagli schemi, un imprenditore illuminato, un politico che credeva fermamente nei valori umani. Chi era Olivetti? Una persona speciale, di fronte alla quale è legittimo chiedersi: “si può essere industriali e rivoluzionari?”

Meccanismo

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driano Olivetti nacque a Ivrea l’11 aprile 1901, primo di sei fratelli, da Camillo e Luisa Revel. Il padre, ingegnere eclettico e geniale inventore, nel 1908 fondò a Ivrea la prima fabbrica italiana di macchine per scrivere. Adriano proseguì gli studi all’Istituto tecnico, indirizzo fisico-matematico, subendo in parte l’influenza paterna e pentendosi in seguito di non aver fatto il liceo classico per esprimere la sua inclinazione verso la cultura umanistica. Negli anni della formazione, fu molto attento al dibattito sociale e politico; frequentò ambienti liberali e riformisti, collaborò alle riviste L’azione riformista e Tempi nuovi ed entrò in contatto con Piero Gobetti e Carlo Rosselli. Suo padre era socialista. Durante il fascismo nascose nella casa di Ivrea Filippo Turati, ricercato dalla polizia e, insieme a Ferruccio Parri e a Sandro Pertini, lo aiutò a espatriare. Alla guida della vettura che portò il leader socialista fuori da nostro Paese c’era proprio Adriano Olivetti. Dopo aver conseguito la laurea in chimica industriale

Adriano Olivetti

al Politecnico di Torino, nel 1924, Olivetti iniziò l’apprendistato nell’azienda paterna come operaio. Ricordava con tristezza quel periodo: «Una tortura per lo spirito, stavo imprigionato per delle ore che non finivano mai,nel nero e nel buio di una vecchia officina». Dal suo apprendistato, trasse la convinzione che «occorre capire il nero di un lunedì nella vita di un operaio, altrimenti non si può fare il mestiere di manager, non si può dirigere se non si sa che cosa fanno gli altri».

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«occorre capire il nero di un lunedì nella vita di un operaio, altrimenti non si può fare il mestiere di manager, non si può dirigere se non si sa che cosa fanno gli altri»

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Ne giugno 1924 sposò Paola Levi, figlia del patologo Giuseppe e sorella di Natalia Levi Ginzburg e di Gino Levi Martinoli. Il momento più significativo nella vita del giovane Olivetti è rappresentato dal suo lungo soggiorno negli Stati

Olivetti a Ivrea

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Uniti, dal luglio 1925 sino al gennaio 1926, accompagnato da Domenico Burzio, fedelissimo collaboratore del padre. Una grande lezione gli venne dalla visita agli stabilimenti Ford di Highland Park, dove ebbe occasione di entrare in contatto con la filosofia fordista e di conoscere da vicino, direttamente, l’applicazione dei metodi di organizzazione scientifica del lavoro, rispetto ai quali elaborò una visione del tutto personale e fortemente innovativa. La riflessione sviluppata da Olivetti nel corso della sua esperienza negli Stati Uniti, anche attraverso lo studio intenso di una vasta produzione teorica, lo portò a una duplice consapevolezza. In primo luogo vi era la necessità impellente di passare da forme di apprendimento

del dato tecnico fini a se stesse a forme di apprendimento dotate di senso, basate, cioè, sulla comprensione delle connessioni non solo tra il dato tecnico e il contesto, ma inerenti anche le relazioni strutturali da cui dipendono tali molteplici connessioni. Un aspetto meno noto dell’esperienza americana di Olivetti è che visitò gli Stati Uniti esattamente nel periodo in cui venne avviato il ‘movimento per le relazioni umane’, il cui effetto fu una revisione degli aspetti più stereotipati e meccanicistici del taylorismo e che divenne noto come l’esperimento Hawthorne, dal nome di uno degli stabilimenti in cui ebbe origine la sperimentazione. Si trattò di una serie di esperimenti psicometrici, psicotecnici

Operaia al lavoro

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e psicologici sulle condizioni di lavoro che coinvolse due grandi stabilimenti industriali della Western Electric. Il 1932 segnò una svolta decisiva nel percorso di Adriano. Il 4 dicembre di quell’anno, infatti, la nuova assemblea degli azionisti ratificò la sua nomina a direttore generale, rendendo possibile il pieno dispiegamento della sua visione innovativa, il cui successo imprenditoriale fu favorito, in ambito internazionale, anche da alcuni fattori storici: tra questi, la trasformazione di varie industrie di macchine da scrivere tedesche in industrie belliche, voluta da Adolf Hitler, dopo la sua ascesa politica del 1933, fatto che permise all’Olivetti di espandersi sul mercato tedesco. La nuova organizzazione fece aumentare

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in maniera significativa la produttività della fabbrica e le vendite dei prodotti. Adriano introdusse in Olivetti il Servizio pubblicità, con la forte collaborazione di importanti artisti e designers. Cominciò cosi a delinearsi quella che si sarebbe consolidata come ‘la matrice olivettiana’, una sintesi organizzativa a carattere insaturo e dinamico che aveva al centro una progettualità in costante evoluzione, non solo rispetto all’impresa, ma anche rispetto alle persone che in essa operavano, attraverso un processo di costante attraversamento-integrazione di competenze professionali specialistiche. Ciò permise a Olivetti di far emergere forme di professionalità di raccordo che a loro volta erano in grado di fertilizzare l’ambiente dell’impresa,

Showroom Olivetti

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configurandolo in modo tale che le doti, le intelligenze, lo spirito creativo dei singoli potessero estrinsecarsi nel modo più libero. In questo modo Olivetti poté creare una riserva preziosa di uomini, di ideee di percorsi ad alto potenziale innovativo che si realizzarono, ma che non furono certo privi di forze contrastanti, anche all’interno della sua stessa famiglia, la quale contava diversi azionisti. Uno dei momenti catalizzatori del suo orientamento riformatore fu la creazione nel 1954, all’interno della fabbrica di Ivrea, del Servizio di ricerche sociologiche e studi sull’organizzazione. Questo servizio permise non solo l’impiego sistematico di psicologi e sociologi nello sviluppo delle politiche aziendali, ma anche la realizzazione di un esperimento volto all’integrazione tra il principio della formazione come addestramento tecnico con quella tipologia di lavoro. La poliedrica personalità di Olivetti lo portò a impegnarsi non solo nel campo industriale e imprenditoriale. A Ivrea, avviò la progetta

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Studio 44

zione e costruzione di nuovi edifici industriali, uffici, case per dipendenti, mense, asili nido, organizzando così un sistema articolato ed evolutivo di servizi sociali, che vennero progressivamente integrati nell’impresa di Olivetti. Nel 1956 l’Olivetti ridusse l’orario di lavoro da 48

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a 45 ore settimanali, a parità di salario, in anticipo sui contratti nazionali di lavoro, con i sabati liberi e tre settimane di ferie estive; inoltre i salari dei lavoratori erano tra i più alti in assoluto e a essi si aggiungevano i benefici indiretti, creati dall’assistenza e dai servizi di tutela medico-sanitaria dei lavoratori. Altra iniziativa di rilievo fu la concessione di un premio ferie, basato su un’alta percentuale (circa il 60%) degli utili annuali. Uno fra i tratti distintivi dell’impresa olivettiana fu di coniugare lo sviluppo industriale più avanzato col rispetto delle tradizioni contadine: agli operai venivano concessi permessi per coltivare i campi, vendemmiare, curare il fieno. Il processo d’industrializzazione non doveva cioè risultare un’imposizione dall’alto che si sovrapponeva alle tradizioni esistenti,

ma doveva armonizzarsi con esse, senza sovvertirle. Il rispetto della persona e il suo pieno compimento, attraverso il lavoro, inteso non come alienazione, ma come realizzazione dell’essere umano nella sua completezza furono al centro dei progetti di Olivetti e riguardarono tutte le funzioni della società, incluse quelle più elevate, come la formazione delle élites dirigenti. Davanti alle prime crisi di sovrapproduzione Olivetti, fedele a quanto gli aveva insegnato il padre, prese una decisione controcorrente: non chiuse le fabbriche, né licenziò gli operai ma, al contrario, fece crescere la struttura commerciale, puntando in modo particolare, sulla formazione dei venditori, figure professionali fino ad allora dequalificate, di cui colse invece l’importanza strategica. Nel 1959 concluse un accordo per l’acquisizione della Underwood, un’azienda con quasi 11.000 dipendenti a cui Camillo Olivetti si era ispirato quando nel 1908 aveva avviato la sua prima iniziativa imprenditoriale.

Logotipo Olivetti

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Armando Testa per Olivetti pg 46, Manifesto Lettera 32 pg 49, Manifesto Tetractys sopra, Manifesto Lettera 22 a fianco, Manifesto Studio 44 pg 51, Manifesto Macchine contabili

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Alla ristrutturazione di questa azienda Olivetti intendeva affidare l’espansione e il consolidamento organizzativo e di mercato dei settori emergenti che per lui e per il figlio Roberto rappresentavano il futuro dell’impresa: l’elettronica e l’informatica. All’improvviso però, il 27 febbraio 1960, sul treno Milano-Losanna, fu colpito da una trombosi cerebrale che gli fu fatale. Lasciava un’azienda presente in tutti i mercati internazionali, con oltre 45.000 dipendenti, di cui 27.000 all’estero, guidata da dirigenti e tecnici di elevato profilo professionale. L’impresa possedeva un potenziale di progettualità innovativa, fondata sulla sintesi creativa tra cultura tecnico scientifica e cultura umanistica, unico in Europa, e un ineguagliabile capitale umano e tecnico-scientifico. Trovò, tuttavia, ostacoli insormontabili in una società caratterizzata da un basso potenziale di cultura industriale e da una scarsissima propensione alle riforme istituzionali e sociali.

«Ogni società possiede, in un dato momento, uno slancio che la spinge oltre la sua condizione attuale, una dinamica propria che può essere bloccata, ma che anche in quel caso costituisce un elemento intrinseco della sua struttura». Norbert Elias, 1939

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LE RUBRICHE Spazio ai consigli Film Fellini, La strada

Libri Bettinelli, In vespa

Eventi Milano, EXPO 2015

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a Strada è un importante film del 1954 diretto da Federico Fellini, che nel 1957 vinse l’Oscar al miglior film straniero alla prima edizione in cui fu istituita tale categoria di premio. Il film è stato selezionato tra i cento film italiani di sempre da salvare. Zampanò è un rozzo saltimbanco che viaggia attraverso le realtà più sparute dell’Italia ancora contadina ed ingenua degli anni cinquanta, esibendosi in improbabili prove di forza. Gelsomina sostituisce la sorella, morta improvvisamente, come compagna di viaggio e lavoro del rude Zampanò, e si accoda all’artista straccione al fine di imparare un mestiere, per trovare “la strada”. Il livello della poesia in questo film è all’apice e temi come la solitudine, l’amore, la disillusione vengono trattati in un modo così universale e “vero” che penetrano nel cuore di chi osserva. Zampanò, uomo buono trasformato dalla vita in una persona sola e cinica (ma con un inferno enorme dentro di se), è uno dei personaggi più belli ed intramontabili di tutta la storia del cinema di sempre.

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FILM


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n libro che fa sicuramente sognare gli incalliti viaggiatori e gli amanti della mitica Vespa. Mentre leggiamo questo libro, ognuno di noi vorrebbe inforcare un motorino e perdersi per il mondo! Durante un soggiorno in Indonesia Giorgio Bettinelli riceve in regalo una vecchia Vespa. Fino ad allora non aveva mai guidato un veicolo a due ruote. Dopo il suo “apprendistato scooteristico” attraverso l’Indonesia, decide di tornare in Italia per intraprendere un viaggio da Roma a Saigon, con la sua ormai inseparabile Vespa. Percorre 24000 chilometri, attraverso 10 paesi. Ciascun capitolo del libro è ambientato in una delle diverse nazioni e narra di strade in pessime condizioni, di paesi “difficili” o tormentati da conflitti e guerriglie interne, ma anche di momenti di sfrenata libertà, di paesaggi indimenticabili e incontri con le persone più svariate, sullo sfondo di un’Asia misera e opulenta, tragica ed esilarante. Se adorate i viaggi e sopratutto le due ruote questo volume fa per voi.

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EVENTI

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l 31 Marzo 2008 a Parigi, Milano è stata scelta come sede dell’Esposizione Universale

del 2015 con 86 voti a favore contro i 65 della rivale Smirne. La sfida per portare in Italia l’Expo nasce a fine Ottobre 2006, quando il Governo italiano decide di candidare Milano ad ospitare questo grande evento internazionale con il tema “Feeeding the Planet, Energy for Life”. Il grande gioco di squadra e l’impegno profuso a tutti i livelli hanno permesso il trionfo di Milano su Smirne con ben 21 voti di scarto. Con questa vittoria è cominciata la nuova sfida: fare di Expo 2015 un evento unico e straordinario. Oltre tutti gli scopi nobili del caso, accelera un processo di “ristrutturazione” della città. Milano come tutte le città che l’hanno preceduta, si rifà il trucco. Potenziando le strutture e infrastrutture, cercando di rendere la città più vivibile, bella e curiosa agli occhi dei milioni di turisti da tutto il mondo che parteciperanno a questa manifestazione. È quindi importante anche perché attiva notevoli circuiti economici che donano nuova linfa economica a migliaia e migliaia di famiglie e lavoratori del nostro Paese.

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