Provinciale dicembre 2013

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ANNO XXV

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2013 FONDATO DA FRANCO MARASCA

Una copia € 2,00 Sped. in abb. post. 50%

Inaugurato a Faeto Museo Civico del Territorio

Graduatorie di fine anno

Memoria, beni culturali, economia per lo sviluppo dei Monti Dauni

Come al solito in chiaroscuro il bilancio della provincia di Foggia

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ome ogni anno di questi tempi, siamo alle prese con le graduatorie e le classifiche che le diverse agenzie ci propongono per tentare una sintesi dell’andamento di Comuni e provincie italiane in alcuni settori della quotidianità. È chiaro che le graduatorie, affidate essenzialmente a numeri e punteggi, vanno sapute interpretare, avendo il difetto ineliminabile di voler affidare alla sintesi delle cifre una serie di fenomeni che sono molto articolati e dipendenti da fattori i più vari e diversi tra di loro. Tuttavia, una tendenza, la sensazione di un trend, riescono a darla. Cominciamo dalle notizie buone, o quasi. Del resto, tutto è relativo e bisogna sapere prendere il verso più incoraggiante delle situazioni. Il tradizionale dossier de Il Sole 24 Ore sulla qualità della vita, relativo all’anno che sta per finire, pone la provincia di Foggia al 67^ posto per quanto riguarda la presenza delle librerie, con 408 punti. Massa Carrara, per dire, che si piazza al primo posto, di punti ne può vantare 1000. Una bella differenza che la dice lunga sull’atteggiamento che i cittadini delle due provincie prese in esame manifestano nei confronti dei libri, della lettura e della cultura più in generale. Tuttavia, siccome ogni situazione può essere letta da angolazioni diverse (è un po’ la storia del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, a seconda delle convenienze o degli stati d’animo del momento…), il 67^ posto garantisce alla Capitanata un margine di ben quaranta posti rispetto all’ultima classificata, Isernia, che di punti ne ha solo 65 e che occupa il gradino numero 107. Per un surplus di relativa soddisfazione (si sa che, per tradizione, i foggiani guardano sempre con occhio attento a ciò che avviene a Bari, per alimentare un improbabile e quasi sempre sterile confronto) possiamo anche sottolineare come il capoluogo regionale si trovi ben 11 posti sotto Foggia, con 372 punti. Quella delle librerie è, tra le 36 classifiche parziali che Il Sole 24 Ore ha utilizzato per formulare la graduatoria generale, una delle più favorevoli. Restando nel campo del tempo libero, scopriamo con qualche sorpresa ed un certo disappunto, che sul versante del volontariato stiamo messi ancora peggio: 98^ posto e 164 punti, a fronte dei 1.000 di Bolzano, prima in classifica. Anche in questo caso Bari, ma anche Brindisi tra le provincie pugliesi, segue Foggia. Sul volontariato, per la verità, avremmo scommesso in una classifica migliore: le forme di solidarietà verso il prossimo in difficoltà sono molteplici, soprattutto a Foggia, e sono modello edificante di grande generosità. Quello del volontariato è un mondo che opera quasi sempre in sordina, lontano dai riflettori, con lodevole caparbietà e partecipazione di giovani. È organizzato in associazioni e gruppi, ma frequentemente si affida alla sensibilità dei singoli. Probabilmente, la graduatoria di cui ci stiamo occupando, ha tenuto conto solo delle forme di volontariato organizzate ed ufficializzate. In ogni caso, al di là dei due parametri presi in esame, la classifica della Capitanata è da livelli medio-bassi: 99^ posto su 107, facendo il mix dei trentasei parametri presi in esame e raggruppati nei sei settori tenore di vita, servizi & ambiente, affari & lavoro, ordine pubblico, popolazione e tempo libero. Da un dossier ad un altro, anche per rientrare nel campo delle notizie incoraggianti. Lo ha proposto Legambiente, considerando i Comuni pugliesi in funzione della loro capacità di riciclare i rifiuti. Buone nuove per alcuni centri virtuosi di Capitanata: Troia si colloca al terzo posto, migliorando il quarto dello scorso anno e la percentuale del 65,9, tra i Comuni compresi tra 5.000 e 20.000 abitanti. Nella top ten anche Ascoli Satriano e Apricena. Passando ai piccoli Comuni, quelli al di sotto dei 5.000 abitanti, inserimento nella top ten anche per Candela e Anzano. Ma anche altri centri dauni si sono segnalati in questa particolare graduatoria di Legambiente: Casalnuovo Monterotaro e Casalvecchio hanno raggiunto l’obiettivo minimo fissato dalla Regione Puglia per il 2013, ovvero il 57% di rifiuti riciclati. Bene anche San Severo.

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l territorio della Capitanata si è arricchito di una struttura museale d’avanguardia: un regalo di Natale che Amministrazione comunale di Faeto e Soprintendenza per i Beni Archeologici della Puglia hanno inteso consegnare alla collettività del paese più alto della regione ed al territorio nel suo complesso. Il Museo Civico del Territorio – MuCiViTe sotto forma di originale acronimo – è stato inaugurato lo scorso 13 dicembre, ospitato nella storica Casa del Capitano, ed ha le sembianze di una Mostra che va sotto il nome di «L’Alta Valle del Celone – …in montibus vicatim habitantes… Questa nuova opportunità culturale si propone come un’operazione della memoria non fine a se stessa, se si pensa che può diventare polo di attrazione (per il momento isolato, in attesa di essere seguito da altre iniziative organiche tra di loro) per una più completa fruizione in chiave turistica delle risorse che Faeto ed i paesi dell’Alta Valle del Celone sono in grado di offrire. Non va, poi, sottovalutata la valenza per così dire culturale/sentimentale,

che un così perentorio richiamo della memoria può significare. Una memoria che è stratificata in ognuno dei faetani di oggi e che si pone come conoscenza e come presenza: la conoscenza di una storia assolutamente singolare, quale quella che accomuna Faeto e Celle nelle origini provenzali; la attualizzazione di un periodo storico che ha avuto un ruolo determinante nell’evoluzione della civiltà e della società in questa singolare e suggestiva landa della provincia di Foggia. Il Museo, quindi, diventa occasione perché questa storia riviva a beneficio soprattutto dei più giovani che attraverso un moto di presa di coscienza imparino a conoscere e rispettare le origini di cui andare orgogliosi. Un aspetto, questo, che è riecheggiato anche nel corso della sobria cerimonia di inaugurazione. «La Mostra allestita all’interno dei locali della Casa del Capitano – si legge nella brochure predisposta per l’occasione e curata dall’archeologo Duilio Paiano (continua a pagina 2)


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ATTUALITÀ & COMMENTI

Fondazione Banca del Monte: saggio di Renata De Lorenzo

Borbonia Felix: il Regno delle Due Sicilie alla vigilia del crollo Q

uesta sera è di scena la storia con uno di quei capitoli che lasciano il campo a polemiche e risentimenti, che non si sono placati neppure in occasione della ricorrenza dei 150 anni dall’unità d’Italia. Il vivace dibattito, seguíto alla relazione, lo conferma ampiamente. La pubblicistica d’occasione spesso non ha resistito alla tentazione del pamphlet, accostandosi ai vari aspetti della questione più con una vis polemica fine a se stessa che con argomentazioni documentate. Il libro di questa sera, «Borbonia Felix. Il Regno delle Due Sicilie alla vigilia del crollo» (Salerno editrice, Roma), si colloca nella scia dei 150 anni, ma affronta il tema con rigore assoluto e con competenza specifica. Lo sostiene in modo perentorio il prof. Saverio Russo (nella duplice veste di docente di Storia nella nostra università e di presidente della Fondazione), presentando l’autrice, prof.ssa Renata De Lorenzo, titolare di Storia contemporanea e Storia dell’Ottocento presso l’università Federico II di Napoli. Ce n’è quanto basta per attendersi una trattazione illuminata, e in effetti l’autrice esordisce ricordando come le interpretazioni del passato derivino dalle circostanze dell’oggi. È accaduto anche in occasione della ricorrenza del cinquantenario e del centenario e allora come oggi si sono evidenziati i lati deboli di una unificazione piuttosto improvvisata. Le difficoltà postunitarie non sono dunque una «scoperta» della pubblicistica odierna, perché erano state subito individuate, mettendo a confronto la situazione dei due Stati italiani, il Regno delle Due Sicilie e il Regno di Sardegna, che avrebbero potuto ospitare all’unificazione.

Agli inizi del secolo i Borboni reintegrati al trono hanno l’intelligenza di mettere a frutto quanto di buono era stato fatto nel decennio francese, confermando in ruoli importanti gli uomini nuovi che erano stati formati dai francesi. Si registra così una interessante vivacità intellettuale, aperta alle novità, apertura che non si rileva nel Piemonte, dove veniva favorito, soprattutto dal mondo ecclesiastico, un puro e semplice ritorno al passato. Come è avvenuto nel giro di pochi decenni il ribaltamento delle posizioni? Una prima responsabilità dei Borboni sta nel non aver recepito l’esigenza di una Costituzione, che era ormai avvertita in tutta Europa. Altra problematica è quella dell’accentramento del potere nella figura del re-primo ministro. Ciò ha comportato il mancato rinnovamento dei ranghi dirigenziali, sicché al momento del crollo del regno erano ancora al potere quelli che all’inizio del secolo, durante il decennio francese, erano giovani. A fronte di queste manchevolezze i nostalgici dei Borboni sottolineano con vigore il trasferimento forzato in Piemonte delle risorse che il regno

aveva presso il Banco di Napoli. Questo tipo di rivendicazioni è una risposta agli atteggiamenti separatisti della Lega e su questa scia ricompare anche lo spinoso dossier del brigantaggio. Sono stati più feroci i militari o i briganti? L’autrice propende per una risposta di buon senso, che si richiama alla crudeltà che pervade ogni azione militare, dal momento che le tecniche belliche sono universali. La questione dei «primati» Oltre alla floridezza finanziaria (alla quale, per la verità, faceva riscontro una grave carenza di infrastrutture) vengono ascritti ai Borboni alcuni «primati». Si tratta della famosa prima ferrovia in Italia, da Napoli a Portici, di una certa vivacità delle riviste culturali, dell’abbozzo di una industria, del primo ponte in ferro che fu costruito sul Garigliano. La civiltà di un popolo – osserva però l’autrice – non si misura in rapporto ai primati, ma dal livello medio. Non si progredisce se il primato non tende a generare normalità. Questa posizione, condivisibile, ci richiama alla mente la preghiera di Robert Browning, poeta e drammaturgo inglese dell’Ottocento: Non ci mandare più “giganti”, o Signore, ma solleva il livello di tutta quanta l’umanità. Se non si riesce a migliorare il livello medio generale, si corre il rischio di scivolare nella mediocrità. Aggiungeremmo a tutto questo una postilla sulla funzione fondamentale che possono comunque esercitare i «giganti», ed è quella di fare da traino, di indicare la via, la direzione verso cui tutti gli altri possono cimentarsi e migliorare. Tornando alla ferrovia, c’è chi insinua che la Napoli-Portici fu realizzata più per il «trastullo» della corte che per la popolazione e, comunque, anche se così non fosse, come ignorare che soltanto dieci anni dopo la pianura padana era attraversata in lungo e in largo dalla ferrovia? E che dire, oggi, dell’attuale penoso collegamento ferroviario tra due «capitali» del Sud, Bari e Napoli? Per l’ammodernamento di questa tratta si rimanda al 2028, ma gli ultimi aggiornamenti fanno slittare

Museo Civico di Faeto Antonio Melilli - costituisce un viaggio a ritroso nel tempo che illustra l’evoluzione storica ed insediativa del settore più settentrionale della Puglia, la porzione pre-appenninica della Capitanata, tra la preistoria e l’epoca moderna, attraversando l’epoca romana e il medioevo. Viene presentato un quadro ricostruttivo delle vicende che hanno interessato l’Alta Valle del Celone negli anni intercorsi tra le prime attestazioni di una frequentazione stagionale di questi luoghi da parte dell’uomo durante il Neolitico fino alla nascita e allo sviluppo dei moderni abitati. La Mostra costituisce l’occasione per definire in maniera puntuale alcuni aspetti fondamentali della trasformazione territoriale quali: la geomorfologia, l’evoluzione della viabilità e la determinazione delle dinamiche d’insediamento». «La determinazione dell’Amministrazione comunale – ha affermato il sindaco di Faeto, avvocato Antonio Melillo – a finanziare con proprie risorse questo primo allestimento, nelle more delle procedure previste dal bando pubblico della Regione Puglia … fa sì che il Museo Civico di Faeto costituisca la prima sede museale che, sia pure con una mostra temporanea,

in attesa del completamento dell’istruttoria per il deposito dei reperti archeologici di proprietà statale, si inaugura nel territorio dei Monti della Daunia. La “nascita” di un Museo è certamente sempre motivo di soddisfazione, perché esprime la volontà di crescita della comunità basata sui valori, come quello della cultura, non effimeri». La casa del Capitano costituisce l’immobile che vanta maggiore antichità all’interno del centro urbano di Faeto. Essa sorge in un’area che nella topografia urbana del piccolo borgo medievale doveva rivestire certamente un ruolo strategico. Si tratta di un immobile che, almeno per i corpi di fabbrica che ne costituiscono il nucleo originario, risulta databile al XV secolo. Il Capitano era un magistrato eletto dai cittadini con il compito di comandare una guardia armata, di fornire armi al popolo e di difendere il Podestà durante le lotte politiche. Al centro della facciata prospiciente Via Vittorio Emanuele spicca la bellissima bifora risalente alla seconda metà del XV secolo. Cerimonia essenziale, prima della visita alla Mostra che ha inaugurato anche il MuCiViTe, aperta dall’inter-

vento del sindaco Antonio Melillo. Il soprintendente ai Beni Archeologici della Puglia, dottor Luigi La Rocca, ha promesso che «il finanziamento regionale consentirà l’arricchimento in sale ed in materiale del Museo di Faeto» ed ha auspicato un benefico ritorno economico legato all’iniziativa. Il dottor Alberto Casoria, presidente del Gal Meridaunia – Agenzia di sviluppo dei Monti Dauni – ha evidenziato il progressivo spopolamento dei paesi di questo territorio, auspicando che intorno al nuovo Muaseo «si manifesti, forte, la voglia del paese di esserci ancora». Il dottor Massimiliano Colonna, responsabile del Servizio Musei della Regione Puglia, ha sottolineato come nei programmi della Regione Puglia vi sia la volontà di investire in un settore, come questo dei beni culturali, che presenta enormi potenzialità anche sul versante del ritorno economico ed occupazionale. Tutti molto realistici nei loro interventi, ma tutti ugualmente accomunati dalla soddisfazione di aver inaugurato un percorso che promette di essere lungo e arricchito da altre iniziative, non soltanto per Faeto. Duilio Paiano

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Giornale di opinione della provincia di Foggia

di qualche decennio l’ultimazione dei lavori. È cosa che riguarda i nostri figli o, meglio ancora, i nostri nipoti. Se tutte queste sono le condizioni del Regno delle Due Sicilie alla vigilia dell’unificazione, come meravigliarsi per un crollo così improvviso? C’è chi sostiene la tesi complottista delle grandi potenze, Francia e Inghilterra, ma – secondo l’autrice – la causa principale è stato un collassamento dall’interno di un sistema che è stato incapace di rinnovarsi e di cogliere i segni dei tempi. La storia, come si vede, è complessità e rifugge da giudizi massimalisti che condannano inesorabilmente alcuni per assolvere altri; è costruita, invece, vagliando tutti gli elementi utili per giungere non ad una spiegazione univoca, ma quanto più completa e vicina al vero. Vito Procaccini

Foggia, dibattito sulla tossicodipendenza

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ltimo monito di Papa Francesco è in tema di «Dea tangente», annoverando questo malcostume quale nuova droga. Si tratta di una nuova dipendenza di carattere psicologico il cui inizio è dato da una minuta «bustarella», e quanti praticano questa azione offrono da mangiare ai propri figli «pane sporco». Questa riflessione di Papa Francesco viene all’indomani del convegno sugli stupefacenti tenutosi a Foggia presso Palazzo Dogana che ha registrato gli interventi di Gianluca Ursitti e Luigi Follieri, avvocati penalisti, con il contributo di Concetta Ferrone del Sert. Fuori dall’ambito del rigido tecnicismo e lontano dalle aule penali del Tribunale, gli operatori di giustizia hanno messo in risalto la personalità e la storia individuale e familiare del tossicomane. Prima la modica quantità; in seguito, la partecipazione a un programma di trattamento terapeutico rappresentano una via di salvezza per gli assuntori di droga. Il carcere non costituisce più una soluzione a difesa della società, in quanto il tossicodipendente non è una persona da paragonarsi al delinquente. Sia concesso, a questo punto, il passaggio dalla scienza giuridica a quella medica, esprimendo una riflessione. Si tende a paragonare il tossicomane al malato psichiatrico, facendosi strada la teoria della «doppia diagnosi». Niente di più sbagliato. L’assunzione di stupefacenti porta con sé conseguenze inimmaginabili. Si potrebbero anche presentare sintomi legati alla psichiatria, ma tutto questo non si può stabilirlo aprioristicamente. Tanti i soggetti fuori dal tunnel della droga. Alcuni di essi hanno costituito una famiglia, altri hanno intrapreso con successo un’attività scolastica e lavorativa. In realtà, non bisognerebbe abbandonare la speranza né, tanto meno, attendere inesorabilmente il tramonto di valori ed ideali. Massimo Torraco


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Manfredonia: felice esperienza di giovani studenti

Incontro con l’arte e la storia del territorio E se, per caso, ripensassimo la scuola superiore come luogo di apertura alla storia, all’arte, alla cultura locale? Nell’era di Internet tale obiettivo sembra oltremodo lontano. Bombardati da una quantità enorme di informazioni di ogni tipo, noi giovani, legati come siamo ad un fin troppo avvincente presente, risultiamo distratti rispetto ad una linea evolutiva storica che ci proietti nel passato e nel futuro. Specie, però, in questi ultimi anni del nostro percorso al Liceo, abbiamo sentito affacciarsi prepotente in noi il bisogno di capire ciò che è accaduto, le forme in cui il resoconto del passato ci è giunto e viene presentato alla nostra attenzione, qual è il lavoro dello storico e come si perviene ad una moderna ricostruzione storica. Il primo incontro con l’arte e la storia del nostro territorio è avvenuto negli anni del biennio, quando abbiamo partecipato ad un progetto avente come finalità la conoscenza di beni artistici locali. Oggi, dopo altre esperienze come «giornalisti» per La Gazzetta del Mezzogiorno su alcuni aspetti della realtà della nostra città, siamo ancor più convinti che abbiamo bisogno di conoscere il passato di ciò che ci è vicino per conoscere noi stessi e progettare il nostro futuro. In occasione del convegno Manfredonia nell’800, organizzato dal Centro di Documentazione storica di Manfredonia nel 2013, abbiamo ascoltato gli interventi degli studiosi Pasquale Corsi, Giuseppe Poli, Michele Ferri, Tommaso Prencipe, Nicola Grasso, su temi riguardanti l’economia, la società e la cultura. In particolare, dagli interventi di Poli, Ferri e Prencipe è emerso che il centro sipontino era caratterizzato nel XIX secolo da un’economia statica, prevalentemente fondata sull’agricoltura e le attività marinare, su cui il mare, però, incideva poco, offrendo il vantaggio esclusivo dei trasporti. L’industria era praticamente inesistente, se si eccettua quella legata alla trasformazione dei prodotti agricoli: opifici che lavoravano la pasta morbida, mulini, frantoi. La condizione economica era il riflesso di una situazione politica ancora feudale, a conduzione baronale: poche famiglie detenevano il potere locale, mentre il resto della popolazione era soggetto al pagamento di decime a baroni ed ecclesiastici e viveva in condizioni di miseria, alquanto precarie anche per le cattive condizioni igieniche. Imperversavano malaria, a causa delle paludi circostanti, e malattie infettive endemiche dovute anche alla scarsa pulizia delle cisterne dove si raccoglieva l’acqua piovana, sporca di erbacce ed escrementi che provenivano dai terreni di pastura. L’alto tasso di mortalità era dovuto, altresì, alla primitività dell’arte medica che non permetteva di sopravvivere neanche ad una polmonite. Ad essere colpiti: soprattutto i bambini da zero a sette

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anni. Di contro, il tasso di natalità raggiungeva vette anche del quaranta per mille. L’unico ospedale aperto, con disponibilità di trenta posti-letto, era destinato ad accogliere soprattutto soldati e mendicanti. Un’affermazione di Francesco Saverio Sipari, in Lettera ai censuari del Tavoliere (del 1865), ci ha particolarmente colpiti: «Il contadino non ha casa, non ha vigna, non ha campo, non ha bosco, non ha armento, non possiede che un metro di terra... al camposanto: tutto gli è stato tolto». Questo malinconico quadro sociale trova riscontro in un libro davvero singolare: il romanzo storico Viscardo da Manfredonia di Francesco Provenzano, nativo di Manduria, morto a Napoli nel 1909. L’opera, che può essere considerata il «Promessi sposi» garganico, fu pubblicata nel 1854. Essa instaura l’identico, interessante confronto tra il secolo in cui l’autore visse e il sec. XVII. Il medesimo immobilismo sociale travaglia una terra funestata dallo strapotere nobiliare, un mondo in cui solo i baroni fanno la storia e i poveri non contano nulla. Il dramma dell’amore contrastato tra Gabriella, figlia del Barone di M. S. Angelo, e Viscardo Alderani, conte di Manfredonia, si svolge tra i rispettivi castelli. Il truce padre di lei vorrebbe darla in sposa ad Ugo, duca di S. Giovanni Rotondo, sperando di ottenere da questo matrimonio il potere su tutto il feudo garganico. Il romanzo, dal non lieto fine, la cui bella vicenda non ha mancato di catturare la nostra attenzione, ricostruisce efficacemente l’alterigia e la prepotenza dell’universo nobiliare ed offre uno spaccato complessivo molto interessante sui luoghi, la società, i costumi del tempo. Quale non è stato il nostro stupore di fronte ad una descrizione, offerta con dovizia di particolari, della fiera che si svolgeva l’8 maggio nella città montanara in occasione della festa dell’Arcangelo! Una curiosità: oltre agli animali si potevano trovare copie della Divina Commedia e dell’Orlando furioso! La nostra piccola «immersione» nelle radici della storia e della cultura locale si è conclusa con l’intervento del benemerito nonché amato professor Michele Ferri, che ha voluto poi incontrarci a scuola per illustrare il rapporto intercorrente tra magia, arretratezza culturale e immobilismo sociale nel Gargano tra Otto e Novecento. La sua ricerca fa luce su un quadro particolarmente desolante: alla miseria e alla malattia imperanti non

pone certo argine la scienza medica, incapace di vincere l’ignoranza e la superstizione. Non essendo in grado di dare una spiegazione a ciò che gli accadeva, il malato cadeva in uno stato di completa prostrazione, che attribuiva ad una sorta di punizione divina o a malefici imputabili agli uomini. Unici rimedi concepibili erano: l’espiazione della colpa, attraverso confessioni e penitenze, partecipazione a novene e pellegrinaggi oppure il sottoporsi ai riti della bassa magia. Quasi mai si faceva ricorso alla medicina ufficiale, preferendo rivolgersi a quella popolare. Neanche il rapporto con la religione era semplice. Come afferma Grazia Galante nella sua opera, La religiosità popolare di S. Marco in Lamis, le classi subalterne hanno vissuto da sempre in modo inconsueto il rapporto con la religione ufficiale, avvertito come freddo e distante. A tale mancanza esse cercavano di sopperire con una religione personale, di famiglia o di gruppo. Il passo verso i riti divinatori e la magia nera è breve. Pullulavano allora visionari, veggenti e guaritori. Per tutto il corso dell’800 e parte del ‘900, fino al fenomeno mamma Lucia, sul nostro Gargano risultavano famosi i

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nomi de la santa voce, don Giuseppe Roberti, M’chél nda la terra, Matteo u ndivinator, Donato Manduzio. I luoghi in cui questi mistici, santoni e quant’altro operavano erano i Comuni di Sannicandro, innanzitutto, ma anche Vico, Monte S. Angelo, S. Marco, Peschici. Il prof. Di Nola parla delle insicurezze e tendenze autolesionistiche di chi è soggiogato e si sente oggetto di una iettatura. Vi è in questi fenomeni la sopravvivenza di un pensiero magico primitivo con la manifestazione di uno iato nella conoscenza umana, che porta al senso di abbandono e al disorientamento. Tale stato si unisce ad un’assenza di ethos sociale, da cui deriva il familismo amorale, che porta a calpestare gli interessi degli altri in vista del proprio esclusivo tornaconto. Ringraziamo i professori Michele Ferri e Tommaso Prencipe per il privilegio offertoci di compiere un viaggio evocativo alla ricerca delle nostre radici. M. Antonia Cassa Elisabetta Iaconeta Chiara Scarano Classe V C – Liceo Scientifico «G. Galilei»- Manfredonia

A dodici anni dalla scomparsa

Franco Marasca è ancora la nostra stella polare

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ovembre è il mese delegato al ricordo dei defunti, con la necessità che viene dall’anima di dedicare alle persone care che non ci sono più un pensiero più intenso rispetto al resto dell’anno. Nel caso delle Edizioni del Rosone, novembre è anche il mese di un triste anniversario: quello della scomparsa di Franco Marasca che delle Edizioni del Rosone è stato l’inventore e l’animatore fino all’ultimo giorno di vita. Sono trascorsi dodici anni da quando Franco ci ha lasciati nello sconforto più assoluto: sul piano affettivo familiare – Falina e Marida che hanno dovuto inventarsi un’altra vita – e su quello delle amicizie. Dodici anni durante i quali ci si è rimboccati le maniche nel tentativo di assecondare al meglio il suo progetto culturale, pur nella consapevolezza di essere inadeguati. I valori che Franco ci ha lasciato in eredità sono la stella polare che orienta ogni nostro pensiero e ogni azione:

la promozione del territorio, il culto delle radici, il rispetto per il lavoro, la sacralità dell’amicizia. Nel faticoso cammino della quotidianità Franco rimane il punto di riferimento indifferibile, sempre cercato e amato. Un altro anniversario novembrino desideriamo ricordare ai nostri lettori, riferito ad un uomo che aveva fatto della cultura, e della sua diffusione, una ragione di vita, prima come docente poi come delegato della «Dante Alighieri», infine come presidente dell’associazione «Amici del Museo di Foggia». È il professor Nicola Spagnoli, scomparso nel novembre del 2007 (nella foto in basso). Non ha mai cercato le luci della ribalta, si è imposto con la forza della discrezione, della modestia, della signorilità di tratto. Marito e padre esemplare, ha intessuto la sua vita di alti valori morali che gli hanno procurato rispetto e affetto. (d.p.)


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FIDAPA di Foggia: inaugurato il nuovo biennio

Rinnovato il direttivo, esaltato il ruolo delle associazioni femminili L

’atmosfera è stata quella di una festa, la location perfettamente in sintonia con le protagoniste e le finalità della manifestazione. Si è svolta con queste premesse la cerimonia inaugurale del biennio 2013-2015 della Fidapa di Foggia (Federazione Italiana Donne Arti Professioni e Affari), ospitata nella suggestiva cornice della Sala del Tribunale di Palazzo Dogana. Sala gremita, uditorio attento e partecipativo composto prevalentemente da fidapine, ma non solo. Numerosi i rappresentanti dell’altro sesso, a testimoniare che le finalità dell’associazione non vanno nella direzione dell’autoreferenzialità. Tutt’altro. Ha coordinato e condotto i lavori con l’equilibrio e il brio che le sono abituali Gloria Fazia, direttrice del Museo Civico di Foggia C’era da «aprire» ufficialmente un nuovo biennio - legato ad un tema che è stato scelto per essere sviluppato da tutte le strutture diffuse sul territorio nazionale: «Ruolo e finalità delle Associazioni femminili in una società in rapida evoluzione» - ma è stata anche l’occasione per formalizzare il passaggio di consegne al vertice dell’associazione foggiana: la storica presidentessa Flora Vassallo Di Giorgio ha idealmente consegnato il testimone della massima responsabilità associativa ad Antonia Torchelli.

«C’è bisogno che nuove e giovani leve prendano le redini dell’associazione», ha affermato Flora Vassallo nel suo commosso saluto di commiato e nel rendicontare «a braccio» le attività svolte nel biennio appena trascorso. Commiato solo formale, se è vero che dalle intenzioni dell’interessata e dalle manifestazioni di acclamazione delle fidapine presenti, è chiaramente emerso che l’esperienza e la saggezza della presidente uscente rimarranno ancora a disposizione della benemerita associazione. Antonia Torchelli, all’interno del tema citato, ha illustrato le linee guida lungo le quali intende muoversi unitamente al nuovo comitato direttivo nel corso del biennio operativo appena avviato: recupero e valorizzazione delle testimonianze storiche presenti sul territorio; il protagonismo della donna nel processo di cambiamento; sensibilizzazione sull’attualissimo tema del femminicidio; coinvolgimento della scuola sulle tematiche legate all’universo femminile. Di grande significato anche l’intervento della presidente FIDAPA nazionale uscente (past presidente) Eufemia Ippolito, che si è brevemente soffermata sulla diversità come valore, incoraggiando le giovani generazioni ad avvicinarsi all’associazione come occasione di coinvolgimento nel processo di

Presentata alla Biblioteca Provinciale di Foggia

Made in Capitanata, antologia con profili di dauni illustri P

resentata, nel corso di una cerimonia svoltasi nell’auditorium della Biblioteca provinciale di Foggia, la terza edizione della pubblicazione Made in Capitanata, antologia che propone i profili dei dauni illustri destinatari negli anni più recenti del Premio Internazionale Daunia organizzato dall’Associazione culturale «Icaro». La memoria è conoscenza di ciò che è avvenuto, ma è anche riportare alla presenza comportamenti e stili di vita che attraverso il ricordo permangono sempre attuali. Lo scorrere delle pagine della rivista – tra un anno o tra cinquanta – si trasforma in un’operazione culturale che fa diventare la memoria presenza e conoscenza al tempo stesso. Un percorso, insomma, capace di rendere imperituro, al riparo dall’usura e dall’oblio indotti dal tempo, l’impegno profuso per affermare se stessi e, indirettamente, anche la collettività di provenienza. Vi sono importanti sfumature di ordine sociale e antropologico in questa operazione brillantemente messa in atto dall’Associazione «Icaro» e dal suo presidente Giancarlo Roma. Soprattutto, emergono con evidenza gli aspetti umani che sempre accompagnano le vicende di ognuno di noi, a qualunque latitudine ed in qualunque contesto si sia chiamati ad operare. Se poi si scopre che il comune denominatore di queste affermazioni è dato

mutamento in atto nella società. La dottoressa Ippolito ha anche consegnato a Flora Vassallo una targa che ha valore di riconoscimento di «socio onorario» per la qualità delle iniziative svolte e per l’incidenza che queste hanno avuto all’interno della FIDAPA nazionale ed anche nel più generale dibattito sociale e politico del nostro Paese. «Il riconoscimento – ha affermato la Ippolito – va a tutta la sezione FIDAPA di Foggia ma viene consegnato alla sua presidente come simbolo di unità e di sinergia che hanno caratterizzato la struttura foggiana». La serata ha visto anche la presenza del commissario straordinario della Provincia di Foggia, prefetto Fabio Costantini, il quale ha ripercorso in breve la storia della FIDAPA fin dalle sue origini americane ed ha sottolineato il legane che lo lega, in particolare, alla sezione di Foggia, fin dagli anni in cui è stato prefetto nel capoluogo dauno. Anche il sindaco Gianni Mongelli

non è sottratto alla cerimonia, nonostante un’agenda ricca di impegni ed appuntamenti, manifestando orgoglio per la presenza sul territorio di una così agguerrita e valida pattuglia fidapina e sollecitando la collaborazione di tutti, al di là e al di sopra delle diversità di genere, alla collaborazione per la rinascita della città. La FIDAPA di Foggia è stata costituita nel 1968 – ha quindi da poco compiuto i primi 45 anni di vita – e, come scritto da Flora Vassallo nella pregevole pubblicazione che ne celebra l’anniversario, «ha cercato in ogni modo di mettere in atto le finalità previste dallo statuto della Fidapa: “valorizzare le competenze e la partecipazione delle socie, incoraggiare le donne ad una consapevole partecipazione alla vita sociale, amministrativa e politica, favorire rapporti amichevoli, reciproca comprensione e proficua collaborazione fra le persone di tutto il mondo”». Duilio Paiano

anche per chi, dall’interno delle istituzioni, trovi l’illuminazione per convincersi che le risorse umane e culturali ci sono tutte, occorre lavorare per creare le condizioni utili al loro dispiegamento. «L’antologia “Made in Capitanata” - ha affermato il presidente Giancarlo Roma - nelle intenzioni dell’Associazione Icaro, si propone come occasione di riflessione e approfondimento rispetto a valori assoluti di cui i premiati sono portatori fieri e orgogliosi, con il valore aggiunto di avere “radici” nobili quali quelle daune. Potremmo definirla un’antologia “didattica”, che ci piacerebbe fosse letta e approfondita nelle scuole, a beneficio dei giovani studenti che si accingono a misurarsi con la dura e

complicata realtà del mondo del lavoro, affinché ne traggano incoraggiamento ed esempio. Con questi intendimenti l’Associazione Icaro sottopone alla pubblica attenzione “Made in Capitanata” 2013, nella speranza che il certosino e capillare lavoro di ricerca e individuazione delle personalità da premiare, oggi consegnato alle pagine di questa pubblicazione, possa diventare stimolo per quanti, tutt’altro che condizionati dalle origini, trovino proprio in queste la forza per uno scatto di orgoglio». Numerosi i sindaci dei Comuni di origine dei premiati presenti alla manifestazione che hanno consegnato agli interessati o, in assenza, ad un loro delegato, le copie della rivista. Stefania Paiano

Quattordici anni dalla tragedia di viale Giotto

S dall’origine dauna, la riflessione diventa più accattivante e l’approccio alle prospettive più pensoso e non privo di rammarico. C’è una predisposizione, quasi una predestinazione, negli uomini e nelle donne di questa terra ad essere portatori di valori importanti che soltanto in poche occasioni si ha la possibilità di mettere a disposizione del proprio territorio d’origine. Made in Capitanata si vuole assumere questo compito: memoria, da un lato; stimolo per i più giovani ma

ono trascorsi quattordici anni dalla tragica notte dell’11 novembre 1999, allorquando una palazzina di viale Giotto, nel capoluogo, crollò, collassando letteralmente e portandosi con sé i corpi di 67 persone che in quel momento erano presenti nel condominio. Tutti colti nel sonno. Si salvarono solo in pochi che, per favorevole fatalità o perché impegnati altrove, non erano in casa al momento della tragedia. La piaga che colpì la città mise in moto una gara di solidarietà senza precedenti: vigili del fuoco, forze dell’ordine, personale sanitario, decine di cittadini volontari lavorarono per giorni, senza sosta, nella rimozione delle macerie e per il recupero delle vittime, nella speranza di trovare qualche sopravvissuto. A quattordici anni dall’avvenimento si è svolta presso il Memoriale del cimitero di Foggia una cerimonia, organizzata dall’Amministrazione comunale e dall’Associazione parenti delle vittime. Autorità civili e religiose, alla presenze di numerosi parenti, hanno deposto una corona di fiori. «E’ nostro dovere civico – ha affermato il sindaco Gianni Mongelli nel corso del suo intervento - preservare e alimentare la memoria storica di eventi dolorosi come quello vissuto dalla nostra comunità, affinché sia di stimolo costante ad adoperarsi con il massimo impegno per la tutela ed il benessere della collettività. Ed è nostro dovere di donne e uomini essere vicini ai sopravvissuti ed ai parenti delle vittime per confortarli e infondere loro il coraggio e la forza d’animo necessari ad andare avanti. Infine, è nostro dovere di amministratori operare anche con l’obiettivo di prevenire e impedire il ripetersi di simili tragedie». Vito Galantino


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TERRITORIO

Università di Foggia: nuova squadra per il rettore

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resentata la nuova squadra di delegati del neo rettore dell’Università di Foggia, professor Maurizio Ricci. Diverse le novità apportate rispetto al precedente organigramma: si è passati, infatti, da 13 a 20 deleghe, a conferma di quanto affermato dal rettore al momento del suo insediamento: «Ritengo che sia opportuno assegnare deleghe confacenti alle caratteristiche umane e scientifiche dei loro destinatari». Oltre all’aumento delle deleghe, la novità più interessante riguarda la loro distribuzione: su 20 deleghe, ben 11 sono state assegnate a docenti di genere femminile. Un orientamento che segue la nomina del Prorettore dell’Università di Foggia, la professoressa Milena Sinigaglia, che è stata la prima donna, nella breve storia dell’Ateneo, a ricoprire un ruolo all’interno del suo organigramma. «Abbiamo introdotto – ha commentato il rettore Ricci - molto più che un sistema paritario nel metodo di assegnazione. Per la prima volta abbiamo dato vera e assoluta fiducia alle donne, contando sul loro talento e sulla loro preparazione. Ma vorrei chiarire che non si è trattato di una scelta di genere, bensì di una scelta ponderata e basata sul valore delle competenze maturate da ciascuna di loro. Con questo gruppo penso che si possano raggiungere ottimi traguardi, sia sul piano della crescita che su quello dello sviluppo della ricerca. Mi sono circondato di gente molto capace, profili di primo piano, alcuni dei quali anche molto giovani, che porteranno oltre a un po’ di rinnovamento anche molta speranza e pervicacia all’interno del nostro ateneo».

Troia «comune riciclone» anche per il 2013

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ella sesta edizione di «Comuni Ricicloni», tradizionale manifestazione di Legambiente, premiato ancora una volta il Comune di Troia per aver avviato un modello di gestione dei rifiuti orientato al recupero, con oltre il 65% di raccolta differenziata. Con il 65,9% nel 2012, il centro preappenninico, che conta 5.827 abitanti, si aggiudica il premio di Prima Categoria, unico in provincia di Foggia, nella quale sono stati assegnati, invece, 3 riconoscimenti di Seconda categoria e due Menzioni Speciali. Anche quest’anno l’edizione pugliese di «Comuni Ricicloni», storica iniziativa nazionale di Legambiente che dal 1994 premia comunità locali, amministratori e cittadini che hanno ottenuto i migliori risultati nella gestione dei rifiuti e nelle buone pratiche, conferisce il prestigioso riconoscimento alla Città del Rosone, che si conferma nella Top Ten dei comuni di media dimensione. Legambiente Puglia, con il contributo dell’Assessorato alla Qualità dell’Ambiente della Regione Puglia e il patrocinio di Anci Puglia, ha elaborato le classifiche incrociando i dati provenienti dalle Amministrazioni locali (12 report mensili inviati alla Regione) e dal Servizio Ciclo dei Rifiuti e Bonifica della Regione Puglia, già pubblicati sul Portale Ambiente della Regione Puglia. In risalto il comune di Troia, che ha saputo avviare un modello di raccolta differenziata spinta ‘porta a porta’ raggiungendo obiettivi importanti in termini di efficacia ed efficienza del sistema di gestione dei rifiuti. Soddisfatto il vice sindaco Matteo Cuttano, che ha ritirato il premio, accompagnato, per l’occasione, dal funzionario del comune di Troia, Alfonso Martinazzo.

Orsara: Giornata della Cultura Popolare

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a partecipato anche Orsara di Puglia, venerdì 13 dicembre, alla Giornata Nazionale della Cultura Popolare. Nel «paese dell’Orsa» si è svolta la settima edizione di «Suono Vivo», iniziativa organizzata dal Club Unesco di Deliceto. Le manifestazioni sono state organizzate dal sodalizio delicetano con la collaborazione delle Amministrazioni comunali di Deliceto e Orsara di Puglia. L’evento ha goduto dei patrocini di Regione Puglia, Provincia di Foggia, Rete Nazionale di Cultura Popolare, e della partecipazione dell’Associazione Zampogne d’Abruzzo. Nell’aula consiliare del Comune di Orsara di Puglia si è tenuta la conferenza sul tema «Tra Puglia e Abruzzo: sulle orme dei transumanti». «Suono Vivo» è nata sette anni fa per definire nuovi percorsi di riscoperta e di valorizzazione di un’identità collettiva e territoriale in continua evoluzione. Il tema di quest’anno, la Transumanza, è un filo conduttore di storie e culture capace di unire la Puglia ad altre regioni del Mezzogiorno d’Italia. Nell’ambito della manifestazione anche la mostra intitolata «Li chiamavano pifferai»: con l’esposizione di 32 pannelli fotografici, l’obiettivo è ricostruire la presenza dei pastori-musicisti seguendoli negli itinerari del passato, contribuendo alla conoscenza di un immenso patrimonio culturale che resta ancora da riscoprire. La mostra è stata promossa, senza l’aiuto di contributi pubblici, dall’Associazione Zampogne d’Abruzzo (www.zampognedabruzzo.it) con il patrocinio di Italia Nostra (sezione di Pescara).

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Dalla Provincia a cura di Vito Galantino Biccari: Crescendo Leggendo Ha avuto luogo venerdì 13 dicembre scorso la quarta edizione del «Crescendo Leggendo», il progetto dell’Amministrazione comunale di Biccari che festeggia i neo diciottenni, donando loro un libro su Ralph de Palma. Scopo dell’iniziativa è spronare le nuove generazioni a considerare la lettura un piacere capace di arricchire la mente. «Si vuole donare al futuro della società - ha spiegato il sindaco Gianfilippo Mignogna - uno strumento utile per diffondere conoscenza, cultura e per promuovere la crescita e lo sviluppo della personalità. Mirata è la scelta del libro da donare: si valuta l’attinenza alla realtà del nostro territorio, perché stimoli una maggior conoscenza dell’ambiente socio-culturale e alimenti il senso di appartenenza alla propria terra».

Orsara di Puglia: Presepi in vetrina Fino al 6 gennaio 2014, i negozi del centro storico orsarese ospiteranno «Presepi in Vetrina»: ogni esercizio commerciale farà spazio a una diversa rappresentazione della natività realizzata con materiali e tecniche differenti. L’iniziativa, patrocinata dal Comune di Orsara e dalla Regione Puglia, è organizzata da un gruppo di volontari unitosi intorno alla Parrocchia di San Nicola di Bari, con il contributo fondamentale di alcuni sponsor privati che hanno deciso di sostenere anche materialmente l’idea. Quest’anno, il tema di «Presepi in vetrina» è «Gesù nasce fra gli ultimi». I presepi saranno esposti lungo le strade principali del paese. Il cuore dell’itinerario dei presepi sarà Piazza Municipio.

Lucera: Abbracciamo il castello con il Club Unesco Il Club UNESCO «Federico II» ha deciso di affrontare una grande scommessa: un’iniziativa culturale e civile dal titolo “Abbracciamo il Castello”, volta a sollecitare interventi efficaci per conservare, tutelare e valorizzare il nostro Castello. A tal fine ha chiesto a tutti i cittadini, ed in particolare agli studenti, di darsi appuntamento il 30 novembre scorso sotto le mura della Fortezza per stringerci tutti insieme in un grande abbraccio. Un abbraccio simbolico e al tempo stesso fisico, con cui dimostrare il nostro affettuoso attaccamento ad un bene comune di grande interesse storico e artistico per l’intera umanità. Momento culminante della manifestazione è stato il grande girotondo davanti alla Fortezza medievale, un abbraccio da Guinness dei primati.

Orta Nova: Natale insieme alle scuole del territorio In occasione delle festività natalizie la Scuola Secondaria di 1° grado «Sandro Pertini», l’Istituto di Istruzione Superiore «A. Olivetti», i Circoli Didattici e con il patrocinio del Comune di Orta Nova propongono un concerto, dal titolo Natale Insieme, per diffondere attraverso il canto il più tradizionale spirito natalizio. Il percorso musicale intrapreso ha visto coinvolti gli alunni delle classi quinte dei due circoli didattici presenti sul territorio nella formazione del coro, accompagnati dall’Orchestra Giovanile Sandro Pertini della Scuola Secondaria di 1° grado e dagli alunni musicisti dell’ I.I.S. A. Olivetti. Tutti i ragazzi hanno accolto con grande entusiasmo questo percorso, seguendo gli studi proposti attraverso la metodologia della vocalità funzionale con creatività, leggerezza e la giusta dose di gioco.

Torremaggiore: riapertura della biblioteca comunale In occasione della riapertura al pubblico della Biblioteca comunale «Michele De Angelis» di Torremaggiore sono stati programmati incontri che si sono svolti dal 30 novembre al 6 dicembre. L’insieme degli incontri, denominati «Un castello di libri», ha visto la presenza di autori, reading letterari, letture animate, laboratori artistici ed artisti di strada. La manifestazione, aperta alla partecipazione della cittadinanza, è stata particolarmente dedicata ai ragazzi ed ai giovani. Significativa, in questo senso, la partecipazione degli studenti delle scuole della cittadina e dei componenti del Consiglio comunale delle ragazze e ragazzi.

Troia: A.c.t.! Monti Dauni apre tesseramento 2014 A.c.t! Monti Dauni ha aperto, in piazza Cattedrale a Troia, il tesseramento per il 2014 e ha offerto in omaggio la maglietta «Figlio di Troja» a tutti coloro che hanno aderito all’associazione. Ai soci sostenitori A.c.t! Monti Dauni ha donato anche la sua ‘Guida alla Cattedrale di Troja’ scritta da Giuseppe Beccia e presentata lo scorso maggio con l’autorevole studiosa del romanico-pugliese Pina Belli d’Elia e una Visita alla Cattedrale in audioguida. La T-shirt riporta questa scritta accompagnata dalle parole «di patria ma non di madre» e, sulla parte posteriore, le parole «Figlio di Puglia». L’espressione sulla quale ha giocato l’organizzazione turistica dei Monti Dauni fa riferimento ad una nota vicenda che vide protagonista Antonio Salandra, celebre statista troiano.


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IMMAGINARIO COLLETTIVO

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La bancarella di Ventura

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ella precedente Bancarella abbiamo parlato dei due santi considerati i protettori contro i morsi di serpenti velenosi: san Paolo e san Domenico abate. E oggi ripetiamo che quest’ultimo è patrono di Cocullo (un piccolo borgo abruzzese dell’Aquilano), nonché della limitrofa Villalago: che la sua festività cade il primo maggio (o il primo giovedì del mese); è considerata addirittura la più importante di tutto il calendario folcloristico abruzzese; e vi si celebra la processione con i serpi, nella quale la statua del santo viene fatta sfilare completamente coperta da serpenti (vivi) attorcigliati. Naturalmente (come abbiamo scritto tante altre volte) anche la festa di san Domenico abate è uno dei numerosissimi casi di continuità con il paganesimo: anzi è una cerimonia che si celebrava già duemila anni fa in onore di Angitia (Angizia); un’antica divinità italica, venerata dai Marsi soprattutto (ma guarda...) come protettrice contro i veleni, specie quelli dei serpenti. Ma ovviamente quella statua non poteva non stuzzicare nel sottoscritto, inguaribile letterato (adesso pare quasi uno spregiativo...) una famosissima reminiscenza classica: il mito di Laocoonte, arcinoto a tutti gli studiosi di mitologia greca e – soprattutto – dell’Eneide di Virgilio. Nel secondo libro di questo poema epico se ne parla diffusamente: però noi ne facciamo un riassunto (stringatissimo). Dopo 10 anni di inutile assedio a Troia, i greci – seguendo un piano ideato da Ulisse su ispirazione della dea Minerva – finsero di rinunciare alla conquista della città. Invece costruirono un enorme cavallo di legno, nel quale entrarono i loro più valorosi guerrieri: lo abbandonarono sulla spiaggia e si nascosero dietro un’isoletta di nome Tenedo. I troiani fecero entrare quel cavallo dentro le loro mura, nonostante l’opposizione di Laocoonte (sacerdote di Apollo) e della profetessa Cassandra (figlia del re Priamo e di Ecuba). Anzi Laocoonte venne sbranato, insieme con i suoi due figli, da una coppia di serpenti (due mostri marini), inviati da Minerva. Durante la notte i greci uscirono dal cavallo, aprirono le porte della città, entrò il resto dell’armata: la popolazione – immersa nel sonno – fu sopraffatta; e Troia venne data alle fiamme. In epoca ellenistica la morte del sacerdote troiano ispirò una scultura marmorea, diventata celebre col nome di gruppo del Laocoonte: opera monumentale, barocca, di 3 scultori di Rodi (Atenodoro, Agesandro e Polidoro). Conservata nei musei vaticani (esattamente nel Museo Pio-Clementino), fu restaurata dallo scultore fioren-

tino Baccio Bandinelli (pseudonimo di Bartolomeo Brandini): il quale ne eseguì una delle copie, che ora è nel palazzo Medici Riccardi, a Firenze. Fra le sue altre opere più note, il gruppo Ercole e Caco: sempre a Firenze, in piazza della Signoria. Delle tante altre copie del gruppo del Laocoonte, una fu sistemata nel posto d’onore al Louvre: e fu una delle fonti del neoclassicismo in Francia. Secondo coloro che danno delle manifestazioni della vita un’interpretazione rivelatrice del loro vero significato recondito, sia la statua di san Domenico che il gruppo marmoreo del Laocoonte sono delle allegorie. Per il santo, si tratterebbe (ripetiamo) dell’eterna contrapposizione fra i pericoli della natura e l’umanità sempre in lotta per sopravvivere. Per il Laocoonte, il discorso è molto più complesso: i mostri marini, che fanno scempio di lui e dei suoi due figli, sono inviati da una dea (Minerva) per dare compimento all’imperscrutabile volere del Fato; e gli scettici, i pessimisti ad oltranza hanno la ferma convinzione che la divinità sia non solo spettatrice indifferente dell’umanità martoriata, ma a volte addirittura sadica artefice delle sevizie inflittele. Al riguardo, concordano i detti e i proverbi popolari, più o meno uguali in tutto il mondo. Il sottoscritto ne trascrive solo un paio – abbastanza esilaranti pur nella loro drammaticità – del suo dialetto (quello di Troia, dov’è nato): Aiùt’t’ ke Ddìj’ t’aiùt’: ogni ppass, na cadut’... (Aiutati che Dio t’aiuta, ogni passo una caduta...); Ki cerk aiùt’, trov’ sd’rrùp’ (Chi cerca aiuto, trova sdirrupi [dirupi, precipizi]). E, dato che stiamo parlando dell’Eneide, proprio in quel secondo libro c’è il verso Heu nihil invitis fas quemquam fidere divis! (Ahimé, nessuno può trovare aiuto se gli dèi sono contrari!). Ma, sempre in dialetto troiano, a volte si va ben oltre tutti i limiti dell’empietà: ’O cavall c’cat’, Crist c’ mann ’a mosk... (Al cavallo cecato [cieco], Cristo gli manda la mosca...);

Quann mor’, n’ nvògl a Ccrist, ma na suc’tà d’ sucialist... (Quando muoio, non voglio Cristo, ma una società di socialisti...). Naturalmente la mosca di cui sopra non è quella comune: noiosa, fastidiosa, ma innocua. Si tratta invece della mosca cavallina: con termine zoologico, Hippobosca equina. E quel bosca non ha nulla a che vedere con selve e foreste: c’entra il verbo greco bòskein = nutrire, e ippos = cavallo; quindi ippobosca = che si nutre col cavallo. Ma, siccome siamo nel Foggiano, il cerignolano Zingarelli prese una cantonata mica da ridere, riportando l’etimologia di ippoboscós = che pasce il cavallo: e aggiungiamo che non poche altre perle giapponesi (zingarellesi, anzi – meglio – cerignolesi) sono disseminate in quel vocabolario; però non è questa la sede per infierire. Inoltre ricordiamo che la mosca cavallina è una sorta di sanguisuga (mignatta, la popolare sanguetta), dotata di una piccola proboscide, un pungiglione (un succhiatoio) capace di forare il mantello del cavallo per abbeverarsi del suo sangue. Precisiamo pure che quella società di socialisti (e non di comunisti) si spiega col fatto che il detto troiano nacque prima della fondazione del partito comunista italiano. E ovviamente i non pochi troiani – diciamo, timorati di Dio – ti mettono in guardia contro il pericolo dell’irriverenza e dell’empietà: Si sput’ ngél’, mbacc t’ vèn’ (Se sputi in cielo, in faccia ti viene). In analogia con un passo biblico dell’Antico Testamento (è nell’Ecclesiastico), che recita: Qui in altum mittit lapidem, super caput eius cadet (Chi scaglia in alto una pietra, essa cadrà sul capo di lui); insomma è un boomerang (ti rovini con le tue stesse mani...). Ma vogliamo concludere con queste tristezze? Non sia mai detto... Gli ottimisti (beati loro...) sono tanti: Questo è il migliore dei mondi possibili ... che esprime l’armonia prestabilita dall’opera creatrice di Dio (Leibniz dixit...); la vita è una cosa meravigliosa; non bisogna mai arrendersi di fronte alle avversità, mai disperare e restare sempre giovani. Ricordate l’attore americano Clifton Webb (pseudonimo di Webb Parmalee Hollenbeck), che ebbe una certa notorietà verso la fine degli scorsi anni Quaranta? Un anzianotto arzillo dal fisico asciutto: e dritto come un fuso. Fu scelto per un film nel quale interpretava un personaggio di nome Mister Belvedere, che ebbe un insperato successo: al punto che ne seguirono altri due. E perché ne parliamo? Per una scena, nella quale lui era davanti allo specchio e si preparava a farsi la barba: sapone, pennello e rasoio (lui usava il rasoio a lama libera, non quello cosiddetto di sicurezza, con la lametta né – tantomeno – quello elettrico; e la schiuma da barba spray non era ancora stata inventata). Intorno a lui, altri coetanei curiosi: ma, i più, vecchi cadenti, incartapecoriti, veramente malridotti. Cominciò a insaponarsi. Uno dei vecchietti meno decrepiti lo guardava, ammirato. E a un certo punto gli chiese quale fosse il

segreto per mantenersi sempre in così grandissima forma. Mister Belvedere gli parlò soprattutto della necessità di affidarsi sempre alla fantasia. Finì di insaponarsi, gli mostrò il pennello pieno di abbondante schiuma bianca e proseguì: «Ti faccio un esempio, sai che cos’è questo?». Il vecchietto sorrise (lo sapeva...): «Un pennello pieno di schiuma di sapone». E lui sentenziò: «Sbagliato, sbagliato... Questo è un cono di panna montata». Lo portò alla bocca e se lo succhiò... Allora? Accontentiamoci del paradosso? Questo passa oggi il convento? Però, un momento: nei conventi – così pare – si mangia molta cipolla (che purifica e scarcagnifica...). E, come diceva quel tale: «La vita è una cipol-

la: che si sfoglia piangendo... ». Ma chi piange non è la cipolla... E, ancora in tema di conventi, è un ingenuo chi s’illude che quello (il poco...) che passa il convento sia gratuito. Anzitutto c’è l’antica facezia proverbiale Frate Piglia è nel convento, ma frate Dà non è più dentro. Poi – si sa – nessuno dà mai niente per niente. Tuttavia il sarcasmo dei troiani è molto più impietoso: P’ tt’ mangia u pan’ d’ stu cummend, tè fa u cul’ cum’ ’e nu mànd’c’ (Per mangiarti il pane di questo convento, ti devi fare il culo come un mantice). Quindi devi lavorare, lavorare, lavorare... Ma riecco il troiano, dissacratore di tutte le retoriche ipocrite sempre pronte all’uso: Ki tand fat’iaj’, ind a nu fóss s’ truvaj’ (Chi tanto faticò, dentro un fosso si trovò [il fosso: per antonomasia...]). Ma stiamo entrando nel problema veramente più drammatico dell’attuale crisi mondiale: il lavoro. Risulterebbe che in Italia la percentuale di disoccupazione sia salita al massimo livello storico (c’è sempre una prima volta...). Ma comunque in questa nostra rubrica non invaderemo mai il seminato dei politici e degli economisti (bla bla bla...). In questo momento lo spazio stringe: e quindi ci fermiamo. Solo se sarà il caso, vedremo cosa si potrà aggiungere, ma unicamente da un punto di vista – diciamo – filologico: e privilegiandone esclusivamente il lato ironico, umoristico, satirico, mordace, principali peculiarità del vero spirito popolare. Antonio Ventura


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Istituto Superiore «Giannone» di S. Marco in Lamis

Inaugurazione dell’anno scolastico nel ricordo di Filippo Pirro

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i è svolto a San Marco in Lamis presso l’I.S.S.S. “P. Giannone” l’inaugurazione dell’a.s. 2013-2014. Protagonista Filippo Pirro, l’artista scomparso alcuni mesi fa, che presso l’IPSIA dello stesso Istituto ha insegnato per 13 anni. La cerimonia ha avuto un prologo alle 11 della mattina quando presso lo stesso IPSIA è stata inaugurata una perete in cui sono stati collocati, ben incorniciati, i disegni originali realizzati da Pirro nel 1996 raffiguranti ciascuno un modello dell’abitato tipico e tradizionale di tutte le Regioni d’Italia. Su tali disegni gli alunni della sezione moda dell’Istituto hanno poi realizzato degli abiti indossati e fatti sfilare nel 1° Meeting della Moda organizzato dalla scuola. È stata una bella iniziativa che ha consentito di recuperare disegni molto belli e che ora si offrono alla vista del visitatore che voglia conoscere queste opere non secondarie dall’artista. Nel pomeriggio dello stesso giorno presso il Teatro del “Giannone”, si è avuta la cerimonia ufficiale dell’inaugurazione dell’anno scolastico con gli interventi introduttivi del nuovo dirigente del “Giannone” Stefano Marrone e dell’ex dirigente Antonio Cera che ha lasciato il servizio il 31 agosto u.s. È seguita la consegna delle due borse di studio che dall’anno scorso sono state istituite per volontà dell’avv. Angelo Ciavarella di San Marco in Lamis ma residente a Milano, il quale ha voluto onorare in questo modo la memoria dei suoi genitori Luigi Ciavarella e Rosa Palatella. Le borse di studio sono riservate a due alunni dell’ultimo anno del «Giannone» che in un gruppo di altri studenti selezionati sulla base delle votazioni conseguite durante il triennio finale, vengono dichiarati vincitori da una giuria che valuta gli elaborati svolti su un tema individuato dalla stessa commissione. Le borse di studio, del valore di 4000 euro ciascuno, sono andate alle alunne Raffaella Cursio e Mariangela Di Vincenzo. Nel suo breve intervento l’avvocato Ciavarella ha voluto sottolineare il significato morale e culturale dell’iniziativa, che ha lo scopo di premiare l’impegno, lo studio, la capacità dei giovani che costruiscono il loro futuro in maniera limpida e facendo leva sul sacrificio e sul lavoro. Ha fatto seguito l’intervento del prof. Raffaele Cera, che ha tratteggiato la personalità artistica di Filippo Pirro, parlando di «la vita come arte, l’arte come vita» (del quale proponiamo una sintesi in questa stessa pagina) e mettendo in evidenza quelli che sono stati i principi ispiratori che hanno guidato l’artista nella concezione e nella realizzazione della sue opere. Il prof. Cera ha ricordato la poliedricità del percorso artistico di Pirro, che ha spaziato dalla pittura alla scultura, dalla poesia alla musica, sempre

La vita come arte, l’arte come vita

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Filippo Pirro nel suo «Sentiero dell’Anima» tenendo fermi i pilastri che hanno improntato la sua esistenza: la fede, la famiglia, il lavoro, la sua terra e in modo particolare la sua città, San Marco in Lamis. Ha preso, poi, la parola la figlia di Filippo, Daniela, che ha illustrato in maniera chiara ed efficace l’opera che l’artista ha voluto realizzare per farne dono all’istituto «Giannone», una Meridiana, che adesso fa bella mostra nella parete principale dell’edificio che ospita il teatro e la palestra della scuola. Per affrontare quest’opera complessa, Filippo ha dovuto studiarne e risolvere tanti problemi, in particolare quelli legati alla posizione della scuola nel contesto di San Marco in riferimento alla linea che segue la luce del sole durante il giorno e nella variazione delle stagioni. Ne è venuta fuori un’opera che fa onore all’artista e che è una ulteriore prova del profondo legame che univa Filippo sia alla sua San Marco sia alla sua scuola. Prima di procedere, all’interno del teatro, allo scoprimento e all’inaugurazione della Meridiana, con un ulteriore intervento di Daniela Pirro, si è avuta l’esibizione dei due giovani cantanti Daniel ed Elena Polignone, che sono alunni del «Giannone» e che hanno dimostrato sensibilità e doti artistiche, e in chiusura la «performance» di due affermati musicisti come Claudio Bonfitto al sax e Nunzio Aprile al pianoforte, i quali hanno eseguito in maniera brillante due trascrizioni di celebri brani di J.S. Bach con scroscianti applausi finali. R. C.

ilippo Pirro ha vissuto la sua vita all’insegna dell’amore per l’arte perché gli stessi pilastri su cui egli fondò l’esistenza – la fede, la famiglia, la propria terra, il proprio paese San Marco, il lavoro – e la storia che a tali pilastri si connette, sono stati interpretati come fonte di ispirazione e quindi di arte. Ciascuno di questi pilastro – che dettero forza e senso alla sua esistenza e di cui mai egli osò dubitare perché erano impresse nella sua carne – era materia vivente e pulsante per le sue creazioni artistiche ed egli ne parlava con gioia ed entusiasmo. Più di una volta il nostro dialogare e il nostro colloquiare toccavano temi profondi – dalla fede alla famiglia, per finire alla nostra identità garganica, che trovava e trova legami enormi in una storia nobile della nostra comunità – e il volto di Filippo si illuminava di una luce viva, che sembrava provenisse da altezze e orizzonti soprannaturali. Questo era il valore che attribuiva all’uomo e al destino che egli era chiamato a vivere, un traguardo di trascendenza e di immortalità. Ed è per questo che egli concepì l’arte come vita, e pertanto noi non possiamo capire la sua esistenza senza capire la sua produzione artistica. Se consideriamo che egli coltivò diverse forme d’arte, dalla poesia alla pittura, dalla scultura alla musica, e che ciascuna di queste espressioni artistiche per lui erano non divagazione o distrazione o pause, nel processo dinamico della sua esistenza, ma vissuto quotidiano e realizzazione concreta del suo Io, perché la fonte ispiratrice era sempre la vita nella straordinaria varietà delle sue manifestazioni, anche di quelle minime e apparentemente insignificanti, ci rendiamo conto del nesso incredibile che in Filippo si costituì subito tra vita e arte. Con ciò siamo di fronte a una mediazione moderna e contemporanea, caratterizzata in tutta la sua potenzialità evocativa, del principio tecnico che è alla base della concezione romantica della vita che diventa arte e dell’arte che si fa vita. Questa di Filippo è il risultato di una convinta concezione dell’esistenza come esperienza etica e spirituale e di una visione dell’arte come espressione vera e definitiva di un modo di vivere e di realizzare se stessi. La sintesi di tutto questo è nel «Sentiero dell’anima», non a caso identificato in un bosco, che è uno degli archetipi della storia di San Marco e del Gargano. Archetipo è simbolo di un modo di intendere l’esistenza, dove da secoli l’uomo si è intrecciato con la natura e l’ambiente, accompagnandosi all’albero e all’animale per tessere il suo fatidico destino, divenendo così parte integrante attraverso il lavoro e il sudore ma anche l’applicazione della sua intelligenza e in certi casi del suo genio. Nel crogiuolo di vite, di esistenze, di destini Filippo vedeva sempre la sentinella del Divino, il respiro vivificatore dell’Essere supremo, misericordioso nel dare alle sue creature, a tutte indistintamente, la possibilità della salvezza e della gloria eterna. Questa stigma del Divino è ravvisabile in tutte le sue opere, e non solo in quelle che hanno un tema religioso, ma anche in quelle che possono dirsi più laicamente concepite e generate. In quel bosco del «Sentiero», egli ha voluto che s’incontrassero le sue creature e in quel luogo volle anche inventarsi un concorso di poesie perché se ne celebrasse ogni anno l’esaltazione e il trionfo. Se queste sono le premesse teoriche su cui si può fondare un discorso che possa tratteggiare la personalità e l’opera di Filippo Pirro, avremmo bisogno di tempo sufficiente per analizzare aspetti ed esiti alla luce delle diverse tipologie e della grande varietà delle soluzioni stilistiche e formali attraverso cui egli ha elaborato le sue creazioni artistiche. Ma non abbiamo questo tempo e pertanto riassumerò sinteticamente alcune riflessioni, partendo anzitutto da quella che mi sembra fondamentale nel valutare il percorso artistico di Filippo Pirro. Egli, credendo profondamente nell’arte come ricerca della verità intima della vita e dell’uomo che ne è il protagonista, utilizza il linguaggio più semplice e radicale che è racchiuso nelle parole, nel colore, nella linea geometrica o nella nota musicale. Quando, talora, si allontana da una tale semplicità cade nell’artificio formale, che s’impregna di significati metaforici che approdano ad esiti che contraddicono la premessa teorica. Ecco perchè la parte migliore della sua produzione, a mio parere, è quella che gli consente di attingere, per dirla con George Steiner, le radici primigenie e amorali da cui nasce l’avventura dell’uomo sulla terra. Così nei poemi, pitture, sculture che ci danno il dono della grazia, dell’innocenza, della verità, e indicano una possibile esistenza fatta di bellezza e un possibile destino di salvezza. Siamo in una dimensione di letizia francescana in cui la povertà diventa ricchezza e Filippo ci aiuta a ritrovare questo percorso perduto. E allora la sua arte ritrova una sua interna coerenza e unità. Per questo ha ragione Joseph Tusiani quando presentando le prime prove poetiche di Filippo dal titolo «La casa del bosco», dice: «Filippo Pirro è poeta: Lo dimostra, anzitutto, la sua a volte miracolosa capacità di redimere il “notum” in “novum”; lo prova l’accorata sensibilità con cui guarda le cose vissute fin a quel momento da altri trascurate; lo attesta la delicatissima innocenza con cui vaglia e valorizza oggetti e particolari fino a quell’istante creduti amorfi e insignificanti, e lo grida con gioia, ogni immagine nata dalla sua stessa meraviglia di sognatore. Filippo ha lasciato un vero e proprio patrimonio artistico. Parte è custodito dalla famiglia, parte è collocato in luoghi diversi, a San Marco e altrove. È responsabilità della famiglia farne un tesoro per tutti, ma è responsabilità della comunità di San Marco farne memoria, studiarlo e valorizzarlo per consegnarlo alle generazioni future. Raffaele Cera


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San Severo, seminario di studi leopardiani

Una giornata dedicata al poeta molto amato dai giovani U

na platea attenta, formata per lo più da studenti e docenti delle scuole di San Severo, Torremaggiore e Serracapriola, ha seguito il Seminario di Studi leopardiani, intitolato «Raggio divino al mio pensiero apparve…», tenutosi a San Severo nell’Auditorium del Teatro Comunale. La manifestazione, organizzata dal Comune di San Severo, dalla Provincia di Foggia, dalla Biblioteca Comunale «Minuziano», dal Club Unesco e dal Centro Nazionale di Studi Leopardiani di Recanati, ha riportato in primo piano un poeta, come Leopardi, molto amato dai giovani. Al tavolo, insieme alla dottoressa Vincenza Cicerale, dirigente del settore cultura, e alla dottoressa Concetta Grimaldi, direttrice della Biblioteca comunale, i quattro relatori: il frate cappuccino Luciano Cardella, la dottoressa Carmen Antonacci, collaboratri-

ce della «Minuziano», il professor Francesco Giuliani, docente a contratto di Letteratura italiana contemporanea all’Università di Foggia, e il professor Sebastiano Valerio, docente associato di Letteratura italiana alla stessa Università. Ha moderato i lavori il giornalista Michele Princigallo, portavoce del Comune di San Severo e presidente del Club Unesco. Dopo i saluti della dirigente Cicerale e della direttrice Grimaldi, si è entrati nel vivo dei lavori, con l’intervento di padre Luciano Cardella, che vive nel convento di padre Pio, a San Giovanni Rotondo, sul tema «In ricordo di Domenico». Si tratta, per la precisione, di Domenico Cardella, nipote del cappuccino, scomparso tragicamente nel 1991, alla cui memoria è stato dedicato il convegno. Uno studente brillante, con i suoi progetti e i suoi sorrisi, che frequentava l’ultimo

X Giornata nazionale degli «Amici del Museo»

Visita guidata al lapidarium del Museo civico di Foggia S

otto l’alto Patronato del Presidente della Repubblica e con il patrocinio del Ministero dei Beni e delle Attività culturali è tornato il prestigioso appuntamento della Giornata nazionale degli «Amici del Museo». Tema: Un Museo, un’identità. La nostra identità si configura nel Lapidarium dove sono raccolte oltre alla tomba della Medusa ed a quella dei Cavalieri, tutta una serie di reperti: fregi ornamentali, stemmi, epigrafi provenienti da chiese e case gentilizie che nel tempo hanno segnato la storia di Foggia. Attraversando queste silenziose sale si è rapiti dal fascino che emanano le testimonianze lapidee: cesellati portali, angeli, acquasantiere, stemmi gentilizi di vecchi casati. Una visita guidata dalla studiosa Lucia Lopriore e dal presidente degli Amici del Museo, Carmine de Leo, ha consentito ad un pubblico interessato di ripercorrere questo viaggio nel passato alla riscoperta della nostra identità. Nel Lapidario batte il cuore dell’antica Foggia. Il Lapidario è collocato al piano terra del Museo, costituisce una sezione di nuova istituzione essendo stato allestito per la prima volta nel 2006. Comprende opere in pietra dal VI al XIX secolo e racconta la storia della città partendo proprio dai materiali esposti per la gran parte ricoverati nel Museo all’indomani dei tragici bombardamenti del 1943 che distrussero vaste aree della città. Il nucleo di maggiore interesse è quello medievale. Da segnalare un pluteo con croce del VI secolo. Il pluteo riutilizzato alla fine del Seicento come supporto per un’epigrafe visibile a tergo, rivela la sua provenienza dalla Chiesa dell’Annunziata, un archivolto frammentario (fine XII-XIII secolo), un capitello di età federiciana, due statue marmoree raffiguranti San Paolo e San Matteo (seconda metà del secolo XIII), una testina coronata duecentesca. Al periodo barocco risalgono alcuni elementi decorativi provenienti da edifici distrutti durante il secondo conflitto mondiale. Di particolare interesse uno stemma della città di Foggia riportante un’antica iconografia dell’arma civica, due statue in pietra raffiguranti San Michele Arcangelo. Maria Teresa Masullo Fuiano

anno del locale Liceo Scientifico, con il quale, però, la sorte è stata matrigna. È rimasto, però, il ricordo della sua passione leopardiana, dei suoi interessi culturali, che sono stati rievocati dallo zio, nel suo intenso intervento. Dopo l’applaudito intervento di padre Luciano è stata la volta della dottoressa Carmen Antonacci, che si è soffermata su uno dei grandi idilli leopardiani. Il tema, «La simbologia della luce lunare in Leopardi: il Canto notturno di un pastore errante dell’Asia». La relatrice è partita da una citazione di Italo Calvino, per il quale Leopardi ha tolto il peso alle parole, rendendole più lievi. Leopardi, ha ricordato Antonacci, è stato un uomo dai vivi interessi scientifici, che aveva un desiderio di conoscenza che si estendeva in ogni ambito. I suoi interessi scientifici diventano tutt’uno con quelli umanistici, per cui la luna è anche una protagonista fissa delle sue opere. È stata poi la volta del professor Francesco Giuliani, che ha parlato de «I colori dei Canti leopardiani». Il suo intervento è partito dalla proiezione di alcuni francobolli italiani e sammarinesi, che vanno dal 1932 al 1998, dedicati proprio a Leopardi. Essi hanno offerto al relatore la possibilità di parlare della fortuna di Leopardi in Italia e dei suoi ritratti, che risalgono, in sostanza, a due modelli, quello realizzato dal pittore napoletano Domenico Morelli, dopo la morte del poeta, e quello di Luigi Lolli, che risale agli anni Venti dell’Ottocento. Entrambi si ritrovano nei francobolli in questione, che sono dedicati anche ad alcune celebri liriche, come «L’Infinito» e «Il sabato del villaggio». Questi francobolli sono colorati, ma Leopardi, in verità, usava pochissimo i colori. Nello Zibaldone, il suo ponderoso quaderno di studi, si legge della sua preferenza per i colori non forti, sfumati. In realtà, ha evidenziato Giuliani, i colori nelle sue poesie si avvertono, si

vedono, con un po’ d’immaginazione, anche se l’autore è molto «avaro» nella scelta dei suoi termini. Il colore che lo tenta di più, e che troviamo espresso con una maggiore forza, è l’azzurro. Infine, è stata la volta del professor Sebastiano Valerio, che ha relazionato su «Il sacerdote della irreligione. Il dialogo di Giovanni Pascoli con Leopardi». Valerio è partito dalla necessità di sgombrare il campo da alcuni luoghi comuni relativi a Leopardi, che viene studiato all’inizio dell’ultimo anno delle superiori per le sue risonanze novecentesche. Certe deformazioni, però, ci impediscono di comprenderlo in profondità, per cui bisogna sempre ritornare ai suoi tempi e alla cultura della sua epoca. Il relatore è poi entrato nel cuore del tema, ricordando che Pascoli si è interessato subito e a più riprese di Leopardi. Nei suoi interventi di fine Ottocento, in particolare, Pascoli non manca di criticare il celebre collega, accusandolo di cadere nell’errore dell’indeterminatezza. A proposito del «mazzolin di rose e di viole» del «Sabato del villaggio», Pascoli, che amava la campagna e ne conosceva tutti gli aspetti, nota che i due fiori non nascono nello stesso periodo, e quindi la «donzelletta» non poteva tenere nella mano un tale mazzolino di fiori. Leopardi resta nel vago, accusa Pascoli, ma questi caratteri della sua produzione oggi sono molto apprezzati. Pascoli gli rivolge delle accuse ingiuste, anche se non manca di ritenerlo un grande poeta. Valerio si è poi soffermato anche sui caratteri dell’analisi pascoliana de «La ginestra». Di sicuro, l’attualità di Leopardi, ha concluso l’italianista dell’Università di Foggia, consiste proprio nel fatto che ognuno, di fronte ai suoi versi, sente vibrare qualcosa nel proprio animo. Vito Galantino

Associazione musicale «Bel Canto»

Riconoscimento alle Edizioni del Rosone È stato assegnato alle Edizioni del Rosone il Premio «Bel Canto», VI edizione. La cerimonia si è svolta lo scorso 29 novembre nel corso di una serata sul tema «La magia del pianoforte» che ha registrato l’applaudita esibizione del pianista Nunzio Aprile con l’introduzione del professor Raffaele Cera. È stata Marida Marasca, titolare della Casa editrice foggiana, ad intervenire per ringraziare per il riconoscimento ottenuto e mettendo in evidenza il ruolo che la struttura culturale svol-

ge per la più complessiva affermazione della cultura sul territorio. La serata era inserita nel cartellone allestito dall’Associazione «Bel Canto», presieduta dal Maestro Davide Longo, e diretta artisticamente dalla notissima ed affermata soprano, professoressa Gabriella Cianci. L’Associazione Musicale e Culturale «Bel Canto» città di Foggia è stata costituita nel marzo del 1996 per volontà del direttore Artistico professoressa soprano Maria Gabriella Cianci.


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Giornale di opinione della provincia di Foggia

Una idea e una esperienza di scuola di Raffaele Cera

Cronaca umana e professionale di un’esaltante avventura educativa

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ono trascorsi quaranta anni dalla istituzione del Liceo scientifico «E. Fermi» di San Marco in Lamis. La ricorrenza è stata onorata con l’allestimento di un incontro nel corso del quale è stato presentato il recente volume del professor Raffaele Cera, già preside della struttura scolastica sammarchese, «Una idea e una esperienza scolastica», Edizioni del Rosone, 2013. Nella circostanza il professor Italo Magno ha recensito il volume che ripercorre l’esperienza dell’autore alla guida del «Fermi», con riflessioni sull’istituzione scuola più in generale.

*** Dopo aver letto i due precedenti libri di Raffaele Cera, in cui egli rende omaggio ai Maestri che ha incontrato nella vita ed hanno forgiato la sua personalità sul piano religioso, politico, letterario, musicale, eccetera, l’Autore si fa egli stesso Maestro per esprimere la sua personale visione di scuola, nel volume «Una idea e una esperienza di scuola» Edizioni del Rosone, € 13,00. Occorre subito dire che il libro si legge d’un fiato, essendo scritto in maniera semplice, ma mai banale, e molte delle esperienze contenute e delle riflessioni si fanno specchio nelle esperienze e nelle considerazioni di tanti altri che hanno come lui attraversato negli ultimi decenni una scuola in continua trasformazione, ma non sempre positiva e per lo più frammentaria, in cui le motivazioni occupazionali e la spinta statale al risparmio hanno spesso avuto aggio sulle finalità pedagogiche e formative. Via via che la narrazione procede, si sente nel libro di Raffaele Cera tutta la consapevolezza del docente di avere nelle proprie mani tante anime ed il futuro dei cittadini di domani. E questa responsabilità l’Autore l’ha sperimentata fin da giovane universitario, quando gli è capitato d’insegnare presso il Liceo di San Marco in Lamis. Ricorda l’eccitazione che lo assalì mentre accettava l’incarico, eccitazione che non lo ha più abbandonato, né da docente né da dirigente scolastico. Lavorando nella scuola egli sente il brivido di avere in sé stesso

L’anno in versi di Emilia Rossi

La poesia come armonia dell’anima ed impegno educativo E

milia Rossi, nata con la vocazione alla poesia intesa come armonia ed impegno educativo, ha dato alla stampa il libro «L’anno in versi» edito dalle Edizioni del Rosone, inserito nella Biblioteca del Club dell’Unesco di Foggia. Il libro, presentato nell’ampio salone dell’Istituto Marcelline della Città, è stato illustrato da qualificati docenti dell’Università degli Studi di Foggia quali Sebastiano Valerio, Annamaria Petito, Rosanna Russo e da Floredana Arnò. Emilia Rossi in De Bellis, che ha sempre coltivato l’amore verso gli studi umanistici, ha finalmente coronato la sua vocazione artistica ed educativa. «L’anno in versi» si presenta come un manuale elegante pluricolorato, rivestito da una bella copertina illustrata da Wilma, Giulia e Donato De Bellis, figli dell’autrice. L’autrice nel suo appassionato intervento, ha spiegato come la sua poetica è ispirata all’ingenuo sentire del cuore dei bambini e al loro stupore di fronte alle \piccole e grandi cose. Il Poeta non deve sentirsi il superuomo o il Vate, ma una persona che gioisce nel meditare e scoprire eventi e magie genuine. In quest’ottica la poesia diventa pedagogia ed impe-

gno educativo; in tal senso la poesia di Emilia, pur avvicinandosi alla «poetica del fanciullino» di pascoliana memoria, si differenzia dal decadentismo perché priva di contenuti astratti o simbologi. Non a caso la poetessa per favorire la rinascita degli antichi sentimenti, in

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Del resto una legislazione sempre più adattata alla sistemazione dei precari, di uno Stato che dà basse retribuzioni e s’accontenta di ricevere poco, mette in cattedra docenti non sempre preparati, sia sul piano specifico che didattico, i quali spesso promuovono gli alunni per non essere bocciati dai genitori. Gli ultimi dati dell’OCSE dicono proprio questo, che vi sono in cattedra docenti non motivati, anche se non si può sottacere che non tutto dipende dagli insegnanti e gran parte delle responsabilità ricadono su un’organizzazione della scuola fallimentare. Di questo si rende ancor più consapevole Cera, quando da docente passa a fare il preside e si dibatte, pur nelle ristrettezze strutturali e finanziarie, per assicurare alla scuola il massimo di funzionalità, senza per questo rinunciare ad esercitare quel ruolo di guida morale e culturale di cui la scuola ha tanto bisogno. Un bel giorno, però, «io e i miei colleghi capi d’istituto di ruolo ci troviamo ad essere non più presidi ma dirigenti sco-

lastici», accorgendoci ben presto che la modifica tanto attesa non riesce a portare quello che ci si aspettava ed il dirigente scolastico da «guida intellettuale, culturale, didattica e umana sia per docenti che per gli alunni» si è ritrovato un «burocrate che ha a che fare soprattutto con incombenze giuridiche» dimenticando che «obiettivo primario proprio di una scuola (è) educare, formare, orientare gli alunni». Il libro di Cera affronta tanti temi legati al processo educativo e scolastico, non possiamo richiamarli tutti, ma quello che riguarda il ruolo dei genitori è tra i più coinvolgenti. Genitori protettivi, genitori distratti, genitori deleganti, genitori assenti, genitori che nascondono in una malintesa «modernità» e nell’ostentata amicizia col proprio figlio il laisser faire, laisser passer, l’abdicazione al proprio ruolo educativo. Mi ha fatto ridere e un po’ pensare il quasi rimpianto dell’Autore per il buon tempo antico, della «ferla» e delle altre pene corporali, anche se egli poi ammette che oggi vi sono altri metodi, che fanno riferimento alla «idea che occorra adoperare soprattutto la ragione». Dopo i tanti stimoli e le diverse riflessioni ivi contenute, il libro non lascia il lettore prima di avergli fatto intravedere scenari futuri ed il concetto di una scuola migliore, che ancor più punti sull’efficacia del rapporto educativo, mettendo in campo docenti che sappiano affrontare il difficile compito dell’educere fuori dai propri limiti il discente, magari avvalendosi del carisma e della propria capacità di dialogo. Si tratta in poche parole di portare sulla cattedra insegnanti veri. È stato un errore quarant’anni fa decidere di immettere nei ruoli personale privo di adeguate capacità. «La scuola vera ha bisogno di insegnanti veri… Da essi può dipendere il futuro non solo dei singoli ma dell’intera comunità nazionale». Italo Magno

«Beata Poesia» in rime alternata e baciata così esordisce: /… /non me ne vogliano i signori utenti, se a trionfar sono i più antichi sentimenti, per quel che è una dolce melodia /… /che da secoli i colti chiaman poesia /… «L’anno in versi» non è un tomo impegnativo o saccente, quanto piuttosto un libro/quaderno che si snoda, come un calendario, pagina dopo pagina lungo l’arco delle 4 stagioni, invitando il bambino a riflettere sulle date più coinvolgenti della vita. Sfogliando le pagine, la poetessa, da gennaio a dicembre, scrive 19 componimenti poetici, da Capodanno ed Epifania, al festoso Carnevale di febbraio, alle svolazzanti farfalle di marzo, alla festa del papà e alla Pasqua in aprile; da «La carezza di una madre» del maggio profumato alla festa della Repubblica del 2 giugno, dai versi di «Tempo d’estate» di luglio all’autunno con le stupende poesie «Gli Angeli Custodi» e «Il Poverello d’Assisi», «Novembre addormentato» e «La Carta del fanciullo», per chiudere a dicembre con «Ti racconto il Natale». Per coinvolgere gli alunni, il libro dopo ogni poesia del mese, riserva pagine bianche per «tirare fuori il poeta che è in voi». Tutto ciò lascia ben sperare per

l’uso del libro nelle scuole primarie. Le finalità del lavoro della neopoetessa vanno in direzione della riscoperta dei valori morali, artistici, storici e religiosi dei giovanissimi con il coinvolgimento dei genitori, forse oggi troppo compromessi con una società materialista e nichilista. La docente Rosanna Russo, non a caso, nella sua introduzione, segnala che «L’anno in versi», tra le varie finalità, ha quella di «promuovere l’interazione tra bambino e adulto perché l’uno possa insegnare all’altro e viceversa». Nella poesia moderna si fa spesso ricorso al verso libero che ignorando lo schema metrico non produce musicalità. Al contrario, Emilia Rossi riesce ad esprimere al meglio l’arte della metrica, passando con buona padronanza dalle rime baciate a quelle incrociate o alternate. Per semplificare, nella poesia «La Pasqua di Gesù», la poetessa nei 18 versi con strofe di 9 distici e rime baciate così si esprime: /… / tradito con un bacio e tre volte rinnegato /… / All’ora nona ormai il suo capo chinò /… / e in quell’istante solo al Padre ritornò /… /. Il distico con rime baciate riappare nei 16 versi dedicati agli Angeli Custodi: /… / insieme a questi azzurri Cherubini /… ricordo i grandi nonni Serafini /… / di certo immensamente buoni e cari /… / si tratta di compagni molto rari… Insomma, i temi che coglie l’autrice, spaziano dagli eterni sentimenti religiosi, a quelli storici, civili, familiari, artistici e fiabeschi capaci di coinvolgere ragazzi e adulti. Gilberto Regolo

«lo stato di grazia dell’insegnante…», capace di modificare entità in fieri e farne dei cittadini ben inseriti nella società. Tutto può cambiare nella scuola, tutto può mancare, ma la base del buon insegnamento è l’atto educativo cioè il vicendevole coinvolgimento dell’insegnante e dell’alunno, come sosteneva il filosofo Giovanni Gentile, per il quale il processo educativo si presenta come un rapporto strettissimo tra insegnante e allievo, nel quale la dualità dei due protagonisti si risolve nell’unicità dell’atto educativo, allorché la mente dell’insegnante e quella dell’allievo divengono una mente sola. Nello stesso tempo che afferma la forza della reciprocità, Cera non si esime dal denunciare i limiti gravi che a volte sviliscono il rapporto educativo, indicati nell’individualismo, l’autoreferenzialità, l’autoritarismo ed il lassismo educativo.


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La bellezza del bruco, romanzo di Giovanna Irmici

Storia di una giovane italiana alle prese con l’aristocrazia britannica

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a bellezza del bruco è un romanzo realista, nel senso che affresca uno scorcio della società tipica della fine degli anni ‘80, in cui i personaggi sono donne e uomini contemporanei, con le incertezze, le sfumature dai toni ora chiari ora scuri di vite trascorse tra sentimenti ora definiti, ora velati, alla fine svelati. La protagonista è una donna di ventiquattro anni che possiamo definire personaggio a tutto tondo, uguale a se stessa dall’inizio alla fine della storia. Un romanzo che è un tributo alla migliore narrativa come quella della Austen, che l’autrice ringrazia apertamente nelle pagine conclusive del libro. E l’autrice non deve ringraziare solo Jane Austen, ma anche Emily Bronte, Virginia Wolf, Marcel Proust, Italo Svevo, per citare gli autori più recenti, ma molto deve a Dante, a Petrarca e ancora a Catullo, che tra le righe dei brevi capitoli cita apertamente, e che sono l’essenza sottostante la trama del romanzo. Fin dal titolo l’autrice ci offre metafore, quando fa riferimento alla favola del bruco che non vuole diventare farfalla, poiché sceglie la semplicità quale forma di massima espressione della complessità e l’imperfezione opposta alla perfezione, più completa perché più reale. E a proposito di farfalle l’autrice ci riferisce di una specie molto aggressiva che nutrendosi della crisalide uccide la farfalla prima del suo nascere, dunque è preferibile restare il bruco che coltiva tanti sogni e affronta tutte le difficoltà pur di vederli realizzati. Il nostro bruco è la protagonista Lorenza, una studentessa che diventa docente universitaria di Letteratura, non solo in Italia ma anche in Inghilterra, la patria del liberismo di Adam Smith, il luogo ideale per creare l’incontro tra l’economia e la letteratura, che altro non è che il contenuto del suo progetto e della sua tesi finale. Un sogno che sembra irrealizzabile ma che alla fine si realizza. Dunque possiamo dire che la visione dell’autrice sia positiva nel senso di vedere realizzato un sogno in cui la letteratura si coniuga con lo sterile mondo econo-

mico, dando le risposte mancanti in una società affogata dal materialismo. Lorenza affronta l’arroganza della City con l’emozione che soltanto il mondo letterario può dare e convince anche coloro che la esaminano ad Oxford premiandola col massimo dei voti. Lorenza è una giovane donna che proviene da un mondo semplice, tipico del ceto medio italiano e da buona italiana ha un fortissimo legame con la sua famiglia di origine in cui ritrova se stessa eppure non disdegna di affrontare le difficoltà di un mondo non solo straniero ma assai diverso per prerogative e prospettive come quello in cui vivrà per molti mesi in Inghilterra, presso il Manor, il castello in cui verrà ospitata dal suo allievo George. Lorenza è una donna semplice, che non cura il suo abbigliamento né alcun aspetto estetico eppure affascina molto chi è tanto diverso da lei, tra cui lo stesso George, alcuni suoi colleghi e dulcis in fundo Lord William Marlborough, proprietario del Manor, nonché genitore di George, premio Nobel dell’Economia, che da suo maestro, la consulterà come collaboratrice quando quasi a quattro mani scriveranno un libro sull’economia unita alla letteratura. Come in ogni romanzo è presente una storia d’amore, che viene vissuta da William e Lorenza al livello ideale, quasi rispettando i canoni dell’amor cortese, benché sia viva la componente psicologica dei personaggi come nei migliori romanzi del Novecento. Anche Manzoni pose la storia di Renzo e Lucia al centro dei Promessi Sposi rispettando uno dei canoni della sua poetica, ossia l’interessante per mezzo, per rendere più accattivante l’opera che più facilmente avrebbe reso comprensibile l’utile. L’utile della bellezza del bruco lo ritroviamo negli episodi storici cui l’autrice fa riferimento, come la caduta del muro di Berlino, la guerra del Golfo, il tacherismo visto nel suo svolgimento positivo fino alla sua parabola discendente, in Italia la DC di Andreotti. Dunque si tratta di un romanzo completo composto di 19 brevi capitoli per un totale di 323 pagine. E in questi numeri c’è il tre e il suo multiplo nove, la perfezione della trinità ancora questa di dantesca memoria. Ogni capitolo inizia con una massima di autori importanti dai più antichi a quelli contemporanei, in linea col contenuto dei capitoli, e non manca mai di iniziare con una descrizione paesaggistica, in cui l’autrice sfodera tutte le sue abilità scrittorie, traducendole in momenti di pura poesia. In questo alquanto manzoniana, se ricordiamo «quel ramo del lago di Como» del capolavoro del grande scrittore lombardo, ma lo stesso avviene in ogni buon romanzo dell’800 e del 900. L’autrice ci regala atmosfere lievi e profumi dei più svariati come le specie di fiori che cita e che si ha l’impressione di vedere e odorare. Non manca la musica, dalla classica alla più moderna, che fa da sottofondo ai pensieri e alle azioni dei personaggi, come fa Quest’amore è una camera a gas di

Gianna Nannini, e si ha l’impressione di sentirla cantare. Ogni capitolo ha un titolo che lo sintetizza bene, dunque scelto con molta cura come ogni citazione. Accurata persino la scelta del carattere tipografico che cambia ogni volta che muta il punto di vista, a volte della protagonista femminile o del protagonista maschile o di un narratore esterno, testimone dei fatti. L’uso del neretto per calcare il concetto molto funzionale allo scopo di catturare l’attenzione del lettore. Frequenti flashback che interrompono per poi ricomporre la fabula con l’intreccio. Le digressioni che l’autrice ci regala con le descrizioni accurate dei luoghi volta per volta vissuti dai protagonisti che ci consentono di essere loro accanto e di visitarli come nemmeno la migliore delle guide turistiche saprebbe fare. Vediamo Oxford, La Cornovaglia, Stonhenge. Ma la squisita sorpresa della bellezza del bruco è un finale tanto inatteso quanto commovente quando il protagonista finalmente dichiara il suo amore a Lorenza chiedendole di sposarlo, nel momento in cui ovviamente la protagonista non può accettare la proposta. Ma non è un finale da

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romanzo rosa, anzi è un finale più che realistico, se non pessimista, poiché è già chiaro che non può trattarsi di un lieto fine. L’autrice ha scelto la maniera in cui secondo Ian McEwan dovrebbero finire tutti i romanzi, con la domanda Mi vuoi sposare? Ma già sapendo e facendo capire a noi lettori che la risposta non può che essere negativa. Dunque una visione non positiva dell’amore o comunque si tratta di un amore faticoso fino all’impossibile, anche quando le premesse potrebbero essere tutte positive come quelle del rapporto che lega Lorenza al suo fidanzato italiano Bruno. Quello di cui dobbiamo far tesoro noi lettori è il messaggio che questo romanzo vuole lasciarci ossia che la risposta positiva ai problemi dell’umanità risiede nella letteratura, qui la salvezza dell’umanità, proprio come ci ha insegnato Dante, che nella Poesia quella con la P maiuscola trovava le risposte agli interrogativi esistenziali. Dalle dichiarazioni della stessa Giovanna Irmici sappiamo che La bellezza del bruco fa parte di una trilogia, dunque non possiamo che attendere con ansia l’opera successiva e intanto leggere con gusto il suo primo romanzo. Antonietta Ursitti

Nel tempo degli dei e degli uomini, di Marcello Ariano

La nostalgia del passato si espande fino al tempo della classicità

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a poesia delle radici» ha connotato da sempre la produzione letteraria di Marcello Ariano. La civiltà contadina, la civiltà dei padri sono state il motivo conduttore delle sue intense liriche che hanno cantato il borgo, gli affetti familiari, il paesaggio dauno, i tratturi, le placide greggi. La nostalgia del passato si espande e si dilata fino a raggiungere il tempo arcaico della classicità nel suo ultimo lavoro «Nel tempo degli dei e degli uomini». In questa evoluzione artistica, l’autore si è voluto riappropriare dell’infanzia del tempo, ritrovando la dimensione onirica celata in lui, l’esigenza primaria di bellezza, d’amore, di leggiadria, che si fa mito e poesia. Una nostalgia vitale e rigeneratrice aiuta l’uomo postmoderno a superare la disumanizzazione crescente e dilagante di questa società. Un ritorno alle radici della cultura

classica, al mitos che diviene così il modello etico alla base di ogni conoscenza. I personaggi mitici che hanno popolato gli studi della nostra giovinezza, sono rimasti gli archetipi di coraggio, amori, storie spesso crudeli, guerre epiche e passioni, viaggi nel tempo, avventure oltre i limiti dell’impossibile. Nei frammenti ed epigrammi di Ariano, ritroviamo la levità, la leggiadria, quel vagheggiamento d’amore che ci coinvolge ed affascina col suo potere catartico e creativo. «Il folle e insolente Eros che come fanciullo gioca, sfiorando il sommo dei fiori» (Esiodo) è il motivo conduttore dei sonetti di Ariano. Ma, come ha già affermato il professore Raffaele Cera nella prefazione al libro, è più che altro un pretesto per esprimere in poesia una sorta di sogno idillico, un «innamoramento dell’amore», un’accostarsi agli dei dell’Olimpo per sconfiggere, forse, quel senso di solitudine esistenziale e di precarietà che ci opprime nella vita. «Dolce è il tuo giogo/ divino Eros, a te/ s’abbandona l’animo mio». E così Ariano si lascia ammaliare: Afrodite, Ciprigna, Cleo, la rossa Aracne, Dafne dai ricci capelli, Briseide dalla chioma ribelle… popolano i suoi sogni, investono il suo essere teso all’eterno… ed ancora, l’immagine gioiosa di Leda che gioca alla fonte «Odorosa come un narciso nei suoi quindici anni verginali». «finché puoi/ almeno tu conserva memoria che t’amai/…… e il nostro breve tempo insieme/ sarà simile abbastanza all’eternità». E così, «Con questa minuscola fiaccola sul nostro cammino… insieme calcammo la terra..». Liliana Di Dato


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Presentato a Torremaggiore libro di Antonio de Vito

Cronaca di una serata al Castello in compagnia di un sovversivo

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l Castello è il Palazzo Ducale di Torremaggiore, l’appuntamento pubblico è alla «Sala del trono». Era il maniero dei Di Sangro, ricordate la figura di Raimondo, scienziato e trituratore di ossa e alchimista e mago, napoletano? Si dice che fosse il maestro di Cagliostro. Qui siamo, dove Lui nacque. L’occasione è che il cronista di questa serata fra le vecchie mura, abbia scritto un libro, «il sovversivo col farfallino. Destinazione Ponza”, dedicato al padre Giuseppe e agli altri diecimila disgraziati che l’ex rivoluzionario Mussolini spedì al confino di polizia, alle isole, Tremiti, Lipari, Ustica, Ponza, Ventotene. Lui a Ustica, nel 1927, come Gramsci. E poi subito dopo, nel 1928, a Ponza, come tanti altri, alcuni nomi per tutti, Giorgio Amendola e Sandro Pertini. Giuseppe De Vito, Peppino per tutti, era quel sovversivo, un oppositore e basta. Il fascismo si difendeva confinando, azzittendo, maltrattando. La serata al Castello è per presentare il libro del figlio giornalista e (già) un po’ scrittore. Padre e figlio di Torremaggiore, pugliesi della Daunia. Anche l’editore è dauno, foggiano. E il Comune, di cui il sovversivo fu in anni lontani vicesindaco, ha promosso il volume, dopo avergli intitolato una strada, proprio dove abitava. Bella serata, arriva al Castello tanta gente. C’è interesse, partecipazione. Anche commozione, al ricordo, poiché tutto si svolge nella data, 29 novembre, la stessa del 1949, quando gli scelbini uccisero a freddo due braccianti, Antonio Lavacca e Giuseppe Lamedica, durante uno sciopero. La democrazia era un po’ zoppicante. Chi era povero e disgraziato e magari socialista e comunista, se lo prendeva in quel posto «pure assettato», pure da seduto, come dicono a Napoli. La serata comincia con il saluto del sindaco, seguito da un ex sindaco che la mena per una eternità. Poi vengono letti dalla dirigente della Cultura comunale passi del libro. Soprattutto le lamentele e le richieste dei confinati al ministero (il libro e’ un compendio di racconti di storici, di notizie attinte dai siti), oltre che delle indefesse registrazioni degli spioni di Stato, delle scartoffie di polizia, carabinieri e prefetture sul sovversivo «pericoloso» per la sicurezza dei cittadini. Del libro parla l’editore, appassionatamente, come è doveroso. Legge una pagina del libro, commenta, chiosa. Con belle parole. Introducendo così la rela-

zione del prefatore, un ex onorevole manco a dirlo comunista, nella piacevole atmosfera retrò, molto d’antan, tra facce contadine conosciute, giovanotti di ottant’anni, insieme a figli e qualche nipote, e tanti che il sovversivo Peppino l’avevano conosciuto. Il figlio, l’autore, non poteva che essere contento, delle parole e degli sguardi e delle interruzioni e dei ricordi. A fianco a lui sedeva un veterano di mille battaglie contadine, c’era nel giorno infausto dell’eccidio, quel 29 novembre 1949, quando lo scrivente a causa dei tragici fatti davanti alla Camera del lavoro, fu tenuto prigioniero in classe, alla prima media, non si poté uscire per molte ore, fino a sera, a causa dell’ordine pubblico. Il carabiniere che sparò e uccise venne assolto, il facinoroso (ex deputato e senatore, Domenico De Simone, 87 anni), allora giovane bracciante, si fece tredici mesi di carcere per (non) aver lanciato delle pietre alle forze dell’ordine, come stabilì la successiva sentenza. Ricordando quei giorni e le vecchie lotte fatte assieme al sovversivo Peppino, Domenico si accalora, cita persone e fatti. Alla fine della intensa serata, conclude l’autore, il «paesano» Antonio De Vito. Che ringrazia soprattutto il pubblico che si è mosso da casa per un libro. Per rendere omaggio al sovversivo protagonista del racconto e al sovversivo come persona fisica di cui non si è spento il ricordo a Torremaggiore, dopo tanti anni. L’eccidio del ‘49 è ormai storia, quel periodo fu molto difficile e sofferto, povero e insanguinato. Produsse una lunga scia di dolore e tragedie personali e collettive. Il libro, aggiunge l’autore, è storia ancora più antica dell’eccidio del ‘49, tratta della stagione del fascismo e del confino, e della sopraffazione sfociata nella terribile congerie della guerra. L’Italia subito dopo si è riscattata, ma a quale prezzo. Si, è stata anche guerra civile, ma c’era chi stava dalla parte giusta e chi no. Il revisionismo storico adesso è di moda, la faccenda era terribile, non era come spesso la si racconta ora. Di un altro ventennio racconta in parte il libro, su questo sovversivo e sui tanti De Vito mandati in esilio doloroso. I libri devono parlare da sé, raccontano pagina dopo pagina, documento dopo documento, foto dopo foto, così fa questo sull’ebanista pugliese oggetto della serata, non c’è bisogno di aggiunte, basta prendere conoscenza dei fatti, ragionarci su e imparare, se si vuole. L’autore - ha aggiunto l’autore che qui fa la cronaca della serata al Castello - è un giornalista, non uno storico di professione. Anche di vicende come questa può scrupolosamente fornire solo la nuda cronaca, fatti, documenti, con corredo di foto. Così il sovversivo si racconta, questo col farfallino in particolare, ma anche gli altri di tutta Italia che loro malgrado vissero questa esperienza. Nel libro il lettore può trovare ampio materiale relativo alle sofferenze dei confinati, da Gramsci, ad Amendola, a Pertini. E anche dei tanti resistenti sconosciuti, che, come Peppino De Vito, non si piegarono, non dando mai «segni di ravvedimento». C’era bisogno di raccontarla questa storia a distanza di tanti anni? Sì perché molti, troppi, di queste cose non conoscono nulla, molti non sanno da dove veniamo tutti. E la scuola da parte sua non fa molto.

Imparare è sempre utile. Non dimenticare, però, è essenziale. Ecco il perché del libro, un omaggio al padre, ma soprattutto un contributo alla comprensione di un po’ della nostra storia. La libertà ha sempre a che fare con la nostra vita, con il nostro futuro. Ma i protagonisti della libertà oggi come negli anni ‘30 e ‘40 del mussolinismo, e del confino, sono gli uomini. Ecco. Il tema è la libertà. L’autore che qui scrive della serata al Castello, di libertà ha parlato conclusivamente nella Sala del trono. Ha citato Francesco Nitti, «La libertà», e Luigi Sturzo, «La libertà in Italia», due libretti entrambi editati da Piero Gobetti nel 1925, un anno prima di morire per le percosse di facinorosi fascisti. Scriveva Nitti: «Noi assistiamo a una crisi della democrazia e dei partiti liberali. È un fatto grave, ma che era facile prevedere dopo la grande guerra che ha insanguinato l’Europa e disordinato l’economia mondiale. Ma noi abbiamo, ciò che è molto più grave, una crisi della libertà». E scriveva Sturzo: «La libertà è come la verità: si conquista; e quando si è conquistata, per conservarla si riconquista; e quando mutano gli eventi e si evolvono gli istituti, per adattarla si riconquista.

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È un perenne giuoco dinamico, come la vita... Ma non è certo la libertà di fare indifferentemente il bene e il male... La libertà è così alto dono della vita umana, che purtroppo ognuno vuole per sé e nega agli altri. Lo sforzo della società, sforzo perenne e progressivo, è quello di equilibrare la libertà di ciascuno in unico e vero regime di libertà. ....Ma non è possibile fermare il sole, e non sarà fermato neppure in Italia... Per noi l’attuale battaglia per la libertà è come un secondo Risorgimento: ha le sue fasi e le sue difficoltà, e avrà il suo epilogo; non sappiamo quando né come, ma abbiamo fede che lo avrà; non può mancare, e l’epilogo sarà la riconquista della libertà». Cosi avvenne, dopo un ventennio. Anche i confinati, compreso il sovversivo di Torremaggiore, conquistarono la libertà alla fine, per se stessi e per gli altri. Ma le basi erano in quella storia antica dei sovversivi perseguitati. Perciò abbiamo bisogno di non dimenticare la storia, quella storia e quelle storie di singole opposizioni al fascismo. Quegli uomini tracciarono la strada. Soffrirono anche per noi, perciò dovremmo farne tesoro. E ringraziarli. Antonio De Vito

Presentata a Panni ristampa del volumetto Ave Stella Maris

La devozione per la Madonna del bosco in un poemetto di fine Ottocento P

resentata a Panni, nella sala teatro San Giuseppe, la ristampa curata da Alfonso Rainone di un singolare libretto dal titolo Ave Maris Stella, il cui sottotitolo chiarisce bene l’argomento: storia della Madonna del Bosco nel racconto in versi dell’Arciprete Giuseppe Bianchi. Nelle intenzioni del curatore si tratta della riproposizione moderna di un progevole poemetto, scritto alla fine dell’Ottocento, dove con l’aiuto di preziosi disegni, un’introduzione critica e alcune note a pie’ di pagina si ripercorrono le tappe del racconto popolare della devozione alla Madonna del Bosco, protettrice di Panni. Lo stesso curatore nella prefazione dell’opera spiega le motivazioni della riedizione del testo ottocentesco, di cui ormai si era persa ogni traccia: «affinché il libretto possa continuare a circolare a testimonianza di una serie di eventi che hanno segnato la storia di Panni e tutti ne possano godere sia l’eleganza estetica sia il pregio storico». L’evento è rientrato nel continuum delle manifestazioni culturali estive, che ormai da quattro anni si susseguono a Panni per far conoscere e rendere sempre più accessibile il ricco patrimonio storico, culturale e religioso, che si riferisce alla piccola comunità. Non si può omettere di sottolineare che la manifestazione si è ben collocata all’interno dell’anno della Fede, esaltando nella Madonna, Colei che ha vissuto di fede e per fede tutta la Sua esistenza. Alla realizzazione della serata hanno contribuito con il loro patrocinio il Comune di Panni, l’A.C.A.P. di Prato, il centro studi Diomede di Castelluccio dei Sauri, il Centro Studi Joseph Tusiani di San Marco in Lamis, l’Osservatorio scientifico del patrimonio autobiografico Mediapolis di Roma; il tutto con gli auspici della Società di Storia patria della Puglia. Tra i convenuti il dottor Costantino Postiglione - responsabile della sezione trasfusionale dell’ospedale F. Lastaria di

Lucera –, che ha illustrato gli episodi principali del racconto dell’arciprete, con tredici bellissime tavole, realizzate ad acquerello in delicate sfumature di blu, colore tipicamente mariano. Al tavolo dei relatori il sindaco di Panni, Pasquale Ciruolo, sempre attento e presente alle manifestazioni culturali del paesello, nonché fattivo sostenitore di questo progetto, ha fatto gli onori di casa. La responsabile delle Edizioni del Rosone, Falina Martino Marasca, ha sottolineato la presenza della sua Casa editrice nelle variegate tematiche del territorio di Capitanata e soprattutto a Panni, come dimostrano le diverse pubblicazioni di libri scritti o curati da pannesi. Centro dell’evento la relazione della professoressa Anna Conte, docente di Lettere, che ha riguardato Il Poemetto Popolare Italiano nella stampa di pregio. A conclusione è intervenuto anche il curatore della ristampa, il professore Alfonso Rainone, conosciuto come esperto di storia locale e curatore di diverse manifestazioni culturali, organizzate a Panni negli anni passati, tra cui Alcuni momenti di storia pannese nelle carte d’archivio, La partecipazione dei pannesi al movimento risorgimentale, Intellettuali pannesi tra ‘800 e ‘900, e recentemente Antonio Calitri: un pannese a New York. Avvalendosi di interessanti slides sulla storia della Madonna del Bosco la sua relazione ha ripercorso la storia della Madonna del Bosco nella documentazione d’archivio. Ave Maris Stella nella nuova edizione a tiratura limitata in due colori, giallo ocra e carta da zucchero, si presenta come un libriccino elegante e prezioso. È un tascabile, di cui ogni pannese dovrebbe avere una copia per non dimenticare, per custodire e per tramandare la ricchezza di un patrimonio che gli appartiene. Giusy Lembo


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SALUTE E TEMPO LIBERO

Provinciale

Giornale di opinione della provincia di Foggia

CRONACHE DEL CINEMA

Sole a catinelle di Gennaro Nunziante e Checco Zalone artiamo dal titolo, “Sole a Catinelle”, che sta per l’elemento meteorologico, sempre presente nei film di Luca Medici, alias Checco Zalone. Interrogato su una possibile consulenza con il Colonnello Giuliacci, per la scelta dei titoli delle sue pellicole, il comico pugliese ha scherzato: « Certo! In fin dei conti il tempo porta fortuna, in realtà questo film dovrebbe chiudere la triologia del tempo, prima del passaggio ai film drammatici…» È il film italiano più visto di sempre, a mio avviso racchiude il meglio delle due produzioni precedenti. Quello che ha incassato di più. E pazienza per chi non si capacita di come folle oceniche, in tempi di pochi spettatori in sala, soprattutto per le pellicole di casa nostra, si siano riversate al cinema. Pazienza per chi ricorda che nomi come Rossellini, Fellini, Leone o Monicelli, siano altra cosa rispetto a una commedia carognesca sull’Italia di oggi, perché seppur lontano dall’arguzia sottile e raffinata della commedia all’italiana, Zalone si conferma un mattatore assoluto e divertente. Quella che ci racconta è una storia atta più a svagare che a indignare e a riflettere, anche se, letta con occhi attenti, sa di melanconico. Gioca sulla parodia il regista di Capurso, mescola il sarcasmo e la semplicità con l’ignoranza, o meglio, la spaccia per tale. Mette in scena una crisi familiare, specchio di una crisi più allargata, e invita all’ottimismo. Quella di “Sole a Catinelle “ è la più nitida fotografia dell’italiano medio e di tutto il circondario, dalla sinistra vegana e miliardaria “affranta” dai problemi dell’Africa, alle beghe economiche e finanziarie dei protagonisti, sfiorando soltanto la politica. Un“cafone”, non ce ne voglia il signor Luca Medici, che ha compreso perfettamente lo spirito del nostro tempo, senza letteralismi di sorta. C’è qualche battuta o scena di troppo, è vero, ma ciò che colpisce è proprio il fatto che, abituati a una tv sempre più degradata, quasi non ci si accorge di due parolacce buttate lì. Dice di lui Paolo Ruffini: « Checco è riuscito sdoganare con grande eleganza e modernità un certo modo di comicità. Un nuovo Totò ». Uno di noi, che fa ridere. Storia di un papà un po’ cialtrone che promette al figlio una vacanza da sogno se prenderà tutti 10 a scuola. La pagella perfetta arriva, deve allora mantenere la promessa. Inizia così l’avventura di Checco e Nicolò (il bravissimo Robert Dancs) che raggiungono il Molise, saranno ospiti (indesiderati) dell’avara zia Ritella. I due viaggiano attraverso l’Italia, da quella povera a quella ricca e supercafona facendo breccia nella crisi economica che attanaglia il nostro paese, trovandone i rimedi con la simpatia e con quell’ironia pungente tipica di Zalone, il quale sembra essere in perfetta sintonia con il paese che intende raccontare e con chi lo abita. Pur giocando su molti stereotipi, la pellicola, come ormai un marchio di fabbrica, riesce nell’intento di far ridere in maniera genuina e le battute di Checco scandiscono in velocità il ritmo dell’intera pellicola, fino all’atteso lieto fine: in fin dei conti c’è bisogno anche di questo, di un happy ending, senza compromessi, almeno al cinema, anche se forse poco realistico. Non mancano le canzoncine melodiche che lo hanno lanciato a Zelig. Da sottolineare come, mentre scorrono i titoli di coda, Checco/Luca voglia “presentare” al suo pubblico la piccola Gaia, con una canzone in sottofondo scritta per lei…cuore di papà! Marida Marasca

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2014 PER UN ABBONAMENTO: 5 LIBRI! ✦

Gentili lettori, direttori di Biblioteche, responsabili di enti pubblici e Associazioni, il tempo che stiamo vivendo costringe a non pochi sacrifici quanti continuano a promuovere la cultura della propria terra. La nostra forza è quella che ci viene da chi ancora studia e lavora perché ciò avvenga, …da chi ci legge. Per questo non è cambiata e non cambia la missione la «missione» de Il Provinciale il periodico fondato da Franco Marasca nel 1989 con l’intento di mettere al servizio dell’informazione e della cultura di Capitanata un organo aperto, indipendente, in grado di proporre e di ospitare dibattiti sugli aspetti dello sviluppo e della promozione del territorio. Una vocazione che per noi delle Edizioni del Rosone resta ineludibile e obbligata. Anche per il 2014 ognuna delle uscite sarà accompagnata da un volume: 1° (marzo 2014) Per un tracciato antico di M.T. MASULLO 2° (giugno 2014) Pensiero non violento di A. VIGILANTE 3° (settembre 2014) Tempi di D. PAIANO 4° (dicembre 2014) La macchia nell’occhio di L. VECCHIARINO Sottoscrivendo l’abbonamento si ha diritto ad una proposta a scelta dell’offerta, due proposte per i sostenitori, cinque per i benemeriti. Chi sottoscrive, oltre che per sè, un abbonamento per un amico, conoscente o familiare, riceverà in omaggio il volume: Il Gargano di A. BELTRAMELLI. Chi sottoscrive un abbonamento a due o a tre riviste (come pacchetti a destra) potrà scegliere un volume nell’elenco presente sul nostro sito. Riceverà il libro chi ha sottoscritto l’abbonamento e chi lo acquisterà con il giornale, a soli 3,00 Euro in più presso le edicole di seguito in elenco: Carapelle: Vallario - Edicola - L. della Rimembranza. Deliceto: Tarallo - Edicola - C. Umberto. Foggia: Bianco - Edicola 25 - V. Di Vittorio; Di Liso - Edicolè - P. Duomo; Montanari - V. Oberdan. Lucera: Finelli - Edicola - V. Di Vagno; Catapano Libreria - V. Dante. Manfredonia: Guarino - Il Papiro - C. Manfredi. Orsara: Del Priore - Edicola - C. V. Emanuele. Ortanova: Tamburro - Cartolibreria/Edicola - Via V. Veneto. Rodi G.co: D’Errico - Emilcart - C. M. della Libera. San Severo: Notarangelo Cartolibreria/Giornali - P. Repubblica. S. Marco in Lamis: Soccio - Edicola - P. M. delle Grazie. Stornara: Iagulli - Edicola - P. della Repubblica. Troia: Sepielli - Cartolibreria - C. R. Margherita. Per sottoscrivere l’abbonamento utilizzare il conto corrente n. 21664446 intestato a: Edizioni del Rosone - Via Zingarelli, 10 - Foggia - Tel./Fax 0881.687659 E-mail: edizionidelrosone@tiscali.it - Sito: www.edizionidelrosone.it Indicare nella causale indicare il numero relativo ai volumi scelti. Leggete «Il Provinciale» on line sul sito www.edizionidelrosone.it

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