Luglio dicembre 2015

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ANNO XXXVIII – N. 2

Il Rosone

Luglio-Dicembre 2015

PERIODICO PUGLIESE DI CULTURA E INFORMAZIONI

Editore: Associazione Culturale «Il Rosone», Milano – Sede Pugliese: Via Zingarelli, 10 – 71121 Foggia – Tel. & Fax 0881 / 687659 – E-mail: edizionidelrosone@tiscali.it Presidente: Domenico Zambetti – Registrazione: Tribunale di Milano n. 197/1978 – Stampa: Arti Grafiche Favia, Modugno (Ba) Spedizione Abb. Post. 50% – Redazione Milano: Franco Presicci – Direttore Responsabile: Duilio Paiano

Significativa cerimonia a Roma

Il Premio Famiglia Dauna 2015 alle Edizioni del Rosone - Franco Marasca

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onferito alle Edizioni del Rosone-Franco Marasca il Premio Famiglia Dauna di Roma, edizione 2015. Il riconoscimento, consistente in una targa d’argento, è stato consegnato a Roma nel corso del pranzo sociale di fine Anno, nelle mani della responsabile della Casa editrice foggiana, Marida Marasca. Nell’annunciare il conferimento del Premio, il presidente della Famiglia Dauna di Roma, professor Paolo Emilio Trastulli, così ha scritto: «Accogliendo con convinto e fervido consenso la mia proposta, gli amici del Consiglio Direttivo hanno con me inteso individuare e riconoscere nelle Edizioni del Rosone una tra le Il professor Paolo Emilio Trastulli più vive e feconde realtà culturali operanti ed operose in Capitanata, tale che altamente ne onora e sempre più ne diffonde il nome e la storia». Di seguito riportiamo una sintesi degli interventi della stessa Marida Marasca e del giornalista Duilio Paiano, direttore de «Il Provinciale» e de «Il Rosone». L’intervento di Marida Marasca Buongiorno ai presenti tutti e grazie per la calorosa partecipazione. Grazie, anche a nome di tutto lo staff delle Edizioni del Rosone, al prof. Trastulli e alla famiglia Dauna di Roma, per il riconoscimento di cui oggi ci fate dono. È un grazie particolarmente sentito, che va oltre il normale sentimento di gratitudine che si prova in occasioni del genere. Il riconoscimento che oggi riceviamo ha, infatti, un valore aggiunto abbastanza particolare ed è per noi l’ennesimo sprono a continuare per la strada che il fondatore della Casa editrice, Franco Marasca, mio padre, ha intrapreso circa quarant’anni fa. Questo premio è anche suo, ecco perché nell’accettarlo con gioia, non posso fare a meno di ricordarlo e, dunque, di ricordare il percorso delle Edizioni del Rosone dalla sua nascita ad oggi. Era una sera di marzo del 1978, quando in un ristorante del capoluogo lombardo, «La Porta Rossa», a pochi passi dalla stazione centrale, Franco Marasca battezzava il suo primo periodico, Il Rosone, che avrebbe rappresentato un filo rosso tra due mondi molto più vicini di quanto si pensi, Milano e la Puglia. Da allora molta acqua è passata sotto i ponti. Il Rosone ha tagliato il nastro dei 37 anni, serbandosi fedele ai suoi contenuti culturali, intendendo il termine «cultura» nel senso più ampio e costruttivo di partecipazione, di presenza nella società. È cresciuto anche l’altro periodico, Il Provinciale, che è giunto al suo ventisettesimo anno di pubblicazione affidandosi a firme prestigiose, come quella di Duilio Paiano, che oggi è il direttore delle due testate, nonché autore di diverse pubblicazioni. A questi periodici poi va affiancata l’attività della Casa editrice. Una delle prime collane è stata Prove nata per dare voce a chi scrive per la prima volta; oggi vantiamo, e lo dico con orgoglio, un catalogo di circa 60 collane e una collaborazione in pianta stabile con la scuola e con il mondo accademico. Un’attività, anche questa, avviata con lungimiranza da Franco Marasca, che ha trovato in mia madre, docente come lui, un’abile continuatrice. Nel 2001 abbiamo raccolto il testimone, lo abbiamo raccolto insieme ai tanti collaboratori che in questi quarant’anni hanno continuato a riempire di articoli le colonne dei nostri periodici e di titoli il nostro catalogo. E insieme a loro abbiamo condiviso e condividiamo speranze e sogni, mantenendo fede alle idee di forza del fondatore. Una su tutte: l’idea che la crescita culturale di un territorio, di una comunità, non sia un fiore all’occhiello, ma, al contrario, un elemento costitutivo di qualsiasi sviluppo, anche economico, anche civile. a cura di Stefania Paiano (continua in seconda pagina)

Verso il 2016...

L’impegno di tutti, tutti insieme, per migliorare il mondo

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ncora una volta siamo alla fine di un anno, ancora una volta guardiamo a un anno nuovo, sforzandoci di archiviare quanto non ci è piaciuto e di partire da quanto invece ci fa fare buoni propositi. Certo non esiste una ricetta che cancelli all’istante ciò che non ci serve ricordare, né esiste una ricetta che per incanto porti a mete straordinarie. Così scriveva Einstein: La follia sta nel continuare a fare le stesse cose ed aspettarsi risultati differenti. A noi piace molto l’uso del termine «follia» ma non trascuriamo l’importanza del lavoro che ciascuno di noi deve far su di sé per pianificare con gli altri strategie efficaci, non lamentarsi ed esprimere negatività. Ciò spegne i neuroni e con essi ogni possibilità di trovare soluzione ai problemi. «La negatività – ha precisato Fabio Scarsato in una risposta a una lettera, lo scorso ottobre – contagia come un’influenza, disillude, toglie fiducia, insomma paralizza chi ci sta intorno. Imparare a non lamentarsi non è istintivo e non è facile. È arte da equilibristi della vita, è cadere e rialzarsi, è cercare speranza anche quando è tempesta, è capacità di percepirsi come parte di un tutto. Chi ha fede è facilitato, ma il bisogno di fiducia, di una parola posi-

tiva, travalica le confessioni religiose. È fatto umano… L’antidoto è impegnarsi insieme, a tutti i livelli e ogni volta che possiamo, per migliorare prima il nostro metro quadro di mondo e poi il mondo intero. Oltre ogni limite, oltre ogni disincanto. L’ideale culturale del nostro tempo sembra essere l’individuo autonomo, autosufficiente, che si è fatto da sé, che se ne sta per conto suo e senza obblighi verso niente e nessuno. «Eppure – precisa lo scrittore Albert Nolan – uno fra i segni importanti di questa nostra epoca, è quello di una crescente consapevolezza che l’individualismo narcisista è psicologicamente, socialmente, politicamente, economicamente, spiritualmente ed ecologicamente distruttivo». Le conclusioni di più ricerche sugli effetti psicologici dell’individualismo sono impressionanti: parlano di alienazione, solitudine, mancanza di amore, infelicità, aumento dell’aggressività e della criminalità, depressione, dipendenze, mancanza di senso del futuro che genera un intrappolamento nel presente, che ha radici profonde nella crisi della relazione con l’altro… Marida Marasca


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Anno XXXVIII – n. 2 Luglio-Dicembre 2015

il Rosone

Attualità

Periodico pugliese di cultura e informazioni

Il Premio Famiglia Dauna alle Edizioni del Rosone

(dalla prima pagina)

Dare voce alla Daunia e alla Puglia tutta è stato e rimane il progetto di vita e l’ambizione delle Edizioni del Rosone, che proprio nel Rosone (di Troia e non solo) ravvisano la ricchezza storica di questa nostra bella terra e la necessità di divulgarla, non per vanagloria ma per impegno di studio e di conoscenza. A ciò si aggiunge la consapevolezza che perché la cultura riesca ad essere davvero un propellente per il futuro, occorre che sia sorretta dal fare impresa, e che produca essa stessa impresa. E poi un ideale, quanto mai necessario in questo nostro tempo: quello di andare incontro ai sogni delle nuove generazioni e alla loro creatività. I giovani rappresentano la nostra più grande occasioni di fronteggiare le crisi: quella di determinare rottura, innovazione, cambiamento. E il nostro ruolo di promotori culturali sta proprio nel cercare di fornire loro i mezzi più idonei per esprimersi. L’eredità più bella che ci ha lasciato papà è proprio questa sua tenacia, questa sua incrollabile perseveranza che l’ha portato ad essere imprenditore di cultura sul terreno più improbo. E se ci vuole coraggio a mettersi a produrre libri, riviste, giornali in una terra che detiene indici di lettura tra i più bassi di Europa, ci vuole persino follia a non smettere, ad andare avanti. Dunque stringiamo più forte il testimone che papà ci ha consegnato, per condurre le Edizioni del Rosone ancora e ancora avanti, con lo stesso spirito e la stessa spinta che nel 1978 le generarono. L’intervento di Duilio Paiano «Buongiorno a tutti voi. Desidero subito manifestarvi il mio immenso piacere per essere qui, questa mattina, tra di voi che rappresentate la Daunia e ne siete un’espressione importante e significativa. Come ho già avuto modo di affermare in altre occasioni, vi considero come degli ambasciatori della nostra terra cui è affidato il compito di rappresentarla e illustrarla al meglio, con la testimonianza del vostro impegno e delle capacità manifestate attraverso il ruolo che ciascuno di voi occupa nella società. Tutto ciò è avvenuto, e avviene ancora oggi, ai massimi livelli. Per questo non posso che essere onorato di essere in vostra compagnia, ritrovando in alcuni di voi amici – posso dire così? – che ho imparato a conoscere e apprezzare negli anni, in altre manifestazioni e circostanze a Foggia o in provincia. Desidero anche manifestarvi l’orgoglio per avermi chiamato a interpretare oggi il ruolo di relatore su una delle più belle ed edificanti realtà culturali che la nostra provincia possa vantare: le Edizioni del Rosone-Franco Marasca. Il ringraziamento va a tutti voi ma, in particolare, al carissimo Paolo Emilio Trastulli, persona amabilissima e di eccelsa cultura, e anche, naturalmente, a Falina e Marida Marasca che hanno voluto che fossi io a parlare della loro esaltante avventura. Di una vera e propria avventura si tratta cominciata nel lontano 3 maggio del 1978, con la nascita de “Il Rosone – Periodico di cultura e informazioni”, fondato a Milano da Franco Marasca e Giuseppe Palumbo all’interno dell’Associazione culturale omonima. Il nome è chiaramente

Duilio Paiano e Marida Marasca al momento della premiazione

ispirato all’elemento architettonico che caratterizza la cattedrale di Troia, paese d’origine di Franco Marasca, ma, nello stesso tempo, intende richiamare tutti i rosoni delle numerose cattedrali romaniche disseminate per le contrade di Puglia e che ne nobilitano la storia e arricchiscono il patrimonio artistico. Lo scopo della testata è duplice: diffondere ovunque la cultura pugliese; dare ai tanti pugliesi residenti a Milano e in Lombardia la possibilità di mantenere il legame con la terra di provenienza. Marasca si trasferisce a Milano negli anni Sessanta. Nella metropoli lombarda comincia a lavorare presso l’Azienda dei Telefoni di Stato, quindi consegue la laurea in Lingue e letteratura straniere e, forte di questa competenza, soprattutto della conoscenza della lingua russa che parla con grande dimestichezza, per la stessa azienda comincia a girare l’Italia e il mondo, consolidando e aggiornando ulteriormente il bagaglio delle sue conoscenze. Non pago, trova anche il tempo di assecondare la sua passione per il giornalismo, frequentando una scuola di comunicazione e di collaborare con testate prestigiose quali “Il Popolo”, “Avvenire”, “Il Giorno” ed anche con riviste scientifiche ed economiche. A Milano Franco Marasca frequenta tutti gli ambienti e le comunità di pugliesi, con l’obiettivo di lenire la nostalgia per la sua terra ma, soprattutto, nell’intento di tenere uniti le migliaia di immigrati attraverso il culto delle tradizioni, della storia, della cultura della regione di provenienza. La seconda fase della vita e dell’attività di Franco Marasca inizia nell’anno 1984, con il rientro a Foggia: la motivazione alla base di questa decisione è essenzialmente figlia di una riflessione secondo la quale per realizzare compiutamente l’aspirazione di lavorare per la propria terra d’origine, avvalendosi soprattutto delle armi della cultura, è più utile rientrare, ripercorrendo all’inverso l’itinerario che lo aveva portato da Troia a Milano negli anni della giovinezza. Lo strumento per mantenere i rapporti con le comunità pugliesi a Milano e in Lombardia esiste già ed è “Il Rosone”. Per Franco Marasca la cultura ha sempre rappresentato l’anima di un popolo e di una comunità, la sola strada capace di affrancare dall’ignoranza e dall’isolamento sociale in cui la storia e la poca avvedutezza degli uomini avevano condotto il territorio. Le prime avvisaglie della Casa editrice – per la quale decide di mantenere il nome di “Edizioni del Rosone” – si erano già palesate qualche mese prima

del rientro a Foggia con la pubblicazione del volume di Vincenzo Bombacigno “Miti e credenze della Puglia antica”: era il mese di novembre del 1983. Con il trascorrere degli anni, le Edizioni del Rosone si offrono come un ricercato cenacolo culturale ruotante intorno alla personalità ed alla sagacia di Franco Marasca. E affinché l’offerta sia la più ampia ed efficace possibile, ai libri affianca una serie di periodici specifici che ne fanno un punto di riferimento ineludibile per tutti gli intellettuali della provincia di Foggia e dell’intera regione. “Il Provinciale” porta la data di nascita del 24 marzo 1990. Seguono “Carte di Puglia”, “Impegno Forense”, “Le Rotisseur” periodico della Chaine des Rotisseurs, “Percorsi grafologici” nata all’interno della Scuola Superiore di Grafologia «Moretti», “Agorà” dell’omonima associazione fondata e diretta dal compianto Lucio Miranda e, solo da pochi anni “Educazione Democratica” rivista di pedagogia politica che si avvale della collaborazione di valenti e prestigiosi docenti universitari italiani e stranieri. Con gli anni, le Edizioni del Rosone crescono e si affermano, diventano punto di riferimento indifferibile per tutti i fermenti culturali della provincia di Foggia. Nascono le prime collane, “Prove” ne è l’antesignana, creata da Marasca per dare ai giovani talenti del territorio l’occasione di mettersi alla prova, appunto, sottoponendosi al confronto con i lettori e la critica. Dopo la sua prematura scomparsa, avvenuta l’11 novembre 2001, Falina e Marida decidono di continuare nell’avventura culturale che ha dovuto necessariamente assumere i connotati di un’azienda, abbandonando i tratti pionieristici e romantici del suo fondatore per confrontarsi con il mercato e con i tempi che sono, inevitabilmente e rapidamente cambiati. Non è stato facile e non è facile ancora oggi, ma i risultati testimoniano dell’impegno, della sagacia, delle competenze e della padronanza acquisite negli anni fino a fare delle Edizioni del Rosone la punta di diamante dell’editoria di Capitanata, tra le realtà più stimate in ambito regionale. Oggi le Edizioni del Roson vantano decine di collane, quasi tutte destinate alle storie e alla storia del territorio, ai personaggi che le hanno animate, alle tradizioni, all’arte, alla poesia, alla narrativa, alla valorizzazione dei talenti più giovani e aperte al contributo degli intellettuali più affermati. Ciascuna di

queste collane si distingue per una sua specifica personalità, per l’attenzione che viene riservata ai contenuti, certamente importanti, ma senza trascurare il gusto e la sobrietà della veste grafica, della copertina in particolare. Un’attenzione particolare le Edizioni del Rosone riservano alle scuole di ogni ordine e grado. Il coinvolgimento dei giovani scolari e degli studenti non avviene soltanto proponendo libri idonei all’età e agli studi frequentati, ma anche attraverso percorsi formativi predisposti con i docenti che tendono ad avvicinare i giovani alla lettura facendo loro conoscere i meccanismi dell’editoria. Sempre più frequentemente autori che hanno pubblicato con le Edizioni del Rosone sono invitati ad incontrare gli allievi per parlare della loro esperienza, oltre che del contenuto dei loro scritti. La sinergia con le agenzie culturali del territorio non si ferma alla collaborazione con la scuola ma rivolge un’attenzione particolare anche all’Università. Con sempre maggiore frequenza singoli docenti o i Dipartimenti nel loro complesso si rivolgono alle Edizioni del Rosone per pubblicazioni di carattere didattico ma anche per la diffusione dei risultati di ricerche scientifiche su aspetti particolari del territorio. Altrettanto proficui sono i rapporti di collaborazione con la Fondazione Banca del Monte, benemerita istituzione che contribuisce ad animare la vita culturale di Foggia e della Capitanata, oltre a promuovere eventi e manifestazioni nei vari campi della cultura. Da un’idea di Falina Marasca è nato “Buck Festival della Letteratura per ragazzi” che nello scorso mese di ottobre ha celebrato la sua quinta edizione. Un’altra manifestazione di cui la Casa editrice va fiera è certamente il Concorso letterario Il Sentiero dell’anima – anche in questo caso sono coinvolte le scuole di ogni parte d’Italia, oltre che gli adulti – destinato a poeti che trovano nel Concorso l’occasione per cimentarsi con i sentimenti che la poesia ispira e confrontarsi con colleghi di ogni regione italiana. Non poteva rimanere senza una testimonianza concreta anche il ricordo di Franco Marasca cui è stato intestato un Premio in collaborazione con il Liceo “Bonghi” di Lucera, istituto dove, forse, in maniera più profonda e pregnante si è svolta buona parte dell’azione educativa del fondatore della Casa editrice, nel ruolo di docente di Lingua inglese. Assecondando un’iniziativa che già Franco Marasca aveva avviato, le Edizioni del Rosone sono presenti alle massime manifestazioni nazionali dedicate al libro e alla lettura, dalla “Fiera Internazionale del libro” di Torino al “BookCity” di Milano e alle altre manifestazioni nazionali di maggior rilievo. È un modo intelligente per crescere, rifuggendo dall’autoreferenzialità. Incitare alla cultura. In ciò si riassume la mission delle Edizioni del Rosone. Una mission ereditata da Franco Marasca e che per Falina e Marida è diventata una religione, una fede. Con la mente ben aperta ai fermenti e agli orizzonti di largo respiro, ma con l’attenzione ben puntata al territorio, alla sua promozione, soprattutto valorizzando le risorse più giovani cui è affidata la speranza più convinta di un futuro migliore del nostro presente». A cura di Stefania Paiano


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Attualità

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La riflessione

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La guerra del clima e la Conferenza dell’ONU

’Italia è il Paese dell’Unione europea nel quale si registra il maggior numero di morti prematuri a causa dell’inquinamento dell’aria. È quanto emerge dal rapporto (Air Quality in Europe 2015) pubblicato il 30 novembre 2015 dall’Agenzia europea dell’ambiente. Nel dettaglio, nel 2012, in Italia si sono registrati 84.400 decessi “prematuri” su un totale di 491 mila a livello Ue. Sempre secondo quanto si apprende dai dati diffusi dall’Aea alla base del primato vi sarebbero tre cause: le micro polveri sottili (Pm2.5), il biossido di azoto (NO2) e l’ozono, quello nei bassi strati dell’atmosfera (O3), a cui lo studio attribuisce rispettivamente 59.500, 21.600 e 3.300 morti premature in Italia. Il clima è influenzato, anzi determinato dal sole. Pochi sanno però che lo stesso clima può essere modificato per via elettromagnetica dalla mano armata dell’uomo. La manipolazione climatica della biosfera è un’arma per il dominio del mondo, vietata, almeno sulla, carta dalla convenzione internazionale Enmod dell’Onu, entrata in vigore nel 1978. Che singolare coincidenza: proprio a Parigi, sotto il naso dei più efficienti servizi di sicurezza del mondo, i soliti terroristi realizzano una strage di civili, esattamente dove mandano in onda dal 30 novembre all’11 dicembre 2015 la XXI Conferenza delle Parti (COP 21) della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC). L’obiettivo ufficiale della conferenza è quello di concludere, per la prima volta in oltre 20 anni di mediazione da parte delle Nazioni Unite, un accordo vincolante e universale sul clima, accettato da tutte le nazioni. Nel programma si ritrovano le tradizionali indicazioni: la messa a punto di un accordo internazionale entro il 2015, dotato di una efficacia giuridica costrittiva, che contenga impegni e obiettivi per le parti a partire dal 2020; ciò in accordo con la limitazione progressiva delle sovranità nazionali per aprire la strada al governo mondiale. Attenzione, però, in realtà, Gaia non si sta surriscaldando. Addirittura si sostiene che un aumento accettabile della temperatura media superficiale della Terra non deve superare i due gradi rispetto ai livelli preindustriali. Se si fa un confronto con il Periodo Caldo Medioevale, in cui le temperature erano di circa 2-3 gradi superiori a quelle attuali, si propone, in pratica, che il riscaldamento debba essere limitato tanto che la temperatura risulti inferiore a quella già verificatasi nel Medioevo (e in molte epoche precedenti) quando non sono avvenute tutte le catastrofi che puntualmente ci vengono preannunciate. Nel 1980, l’IPCC (Intergovernmental Panel On Climate Change), gestito da uno sparuto gruppo di sostenitori del riscaldamento globale, forzando alcuni elementi di prova, ha fatto credere che l’umanità deve affrontare una catastrofe dovuta ad un riscaldamento globale causato dalle emissioni antropiche di anidride carbonica. Tutto questo

promette di essere il più costoso errore scientifico della storia. È stato, inoltre, propagandato il mito che la teoria del riscaldamento globale sia supportata dal consenso quasi unanime dei climatologi. Ma le variazioni climatiche, insieme alle conoscenze che si hanno sulla storia del clima, mostrano che i fattori fisici che influenzano il clima sono molteplici e complessi. Quelli di origine naturale sono conosciuti e legati a cause astronomiche come ad esempio l’attività del Sole con la variazione delle macchie solari, le irregolarità dell’orbita terrestre che producono effetti ciclici e ripetitivi nel corso di migliaia di anni o di decine o di centinaia di migliaia di anni, ed inoltre al fatto stesso che la Terra gira su se stessa ed ha un mare, un’atmosfera ed una copertura nuvolosa e quindi il clima deve necessariamente variare. Tutti aspetti noti qualitativamente ma difficili da correlare quantitativamente. Le cause di origine antropica vengono ricondotte quasi esclusivamente alle emissioni di anidride carbonica conseguente l’utilizzo dei combustibili fossili, ma questa rappresenta soltanto il 5 per cento dell’anidride carbonica presente in atmosfera (una frazione irrilevante in rapporto a quella sciolta negli oceani ed a quella presente nei sedimenti sotto forma di carbonati o di bicarbonati). Oltre all’ipocrisia della veste scientifica, la politica che è scaturita dal protocollo di Kyoto ha prodotto dei riflessi economici notevolissimi, sia incidendo fortemente sulle produzioni industriali, sia imponendo degli strumenti finanziari che si sono aggiunti a quelli già presenti sullo scenario mondiale, dando adito a speculazioni. Vi sono stati dei vantaggi economici notevoli anche per tutti i soggetti che hanno partecipato ai mercati che, direttamente o indirettamente, ruotano intorno alle emissioni di anidride carbonica: banche, compravendita di titoli di credito di carbonio, produzioni cosiddette sostenibili, energie rinnovabili. In ogni caso, il cambiamento climatico indotto dall’uomo annienta la vita. Non è un’illazione, bensì il risultato della recente indagine delle Nazioni Unite (Ufficio ONU per la riduzione dei rischi da disastro: UNISDR), intitolata The Human Cost of Weather related Disasters (1995-2015). In media, ogni giorno, negli ultimi 20 anni, più di 82 persone sono morte a causa di catastrofi

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ambientali, per un totale di 600 mila vittime. Molta di più, però, la quota di popolazione colpita da alluvioni, tempeste, ondate di caldo e siccità, scatenate dagli esperimenti bellici, ordinati dal governo di Washington, ed eseguiti da Pentagono, Nasa e Nato. Oltre 4,1 miliardi di uomini, donne e bambini hanno perso la casa e le attività lavorative, altri sono stati feriti. Secondo l’Organizzazione internazionale delle migrazioni, entro il 2025 - così come stabilito dai piani bellici di Washington ordinati dal potere finanziario - tra 50 e 200 milioni di persone potrebbero essere costrette a lasciare la propria terra e a trasferirsi per le avversità ambientali; ovviamente, indotte artificialmente. Il caso dei cosiddetti “profughi ambientali” è tuttora controverso: non rientrano nella definizione standard di “rifugiato” tutelata dall’alto commissariato Onu preposto, dunque non hanno riconoscimento giuridico. Eppure, solo tra il 2008 e il 2014, 157 milioni di esseri umani sono stati obbligati a migrare, a causa di condizioni climatiche estreme.

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La statistica registra un netto aumento dei disastri ambientali. Negli ultimi due decenni l’UNISDR ne ha contati 6.457 che hanno flagellato particolarmente Cina, India, Indonesia, Filippine ed Europa. Al dramma delle vite spezzate si sommano l’alterazione della biosfera ed enormi perdite economiche: fra i 250 e i 300 miliardi di dollari all’anno, stima l’ONU. Richard Lindzen, considerato attualmente il maggior fisico dell’atmosfera, proclamato climate scientist nel 2007 ha dichiarato: «Le generazioni future si chiederanno, con perplesso stupore, come mai il mondo sviluppato degli inizi del XXI secolo è caduto in un panico isterico a causa di un aumento della temperatura media globale di pochi decimi di grado. Si chiederanno come, sulla base di grossolane esagerazioni di proiezioni altamente incerte di modelli matematici, combinate con improbabili catene di interferenze, è stata presa in considerazione la possibilità di ritornare all’era pre-industriale». Gianni Lannes

Golosaria a Milano ricorda Dino Abbascià

n amico lo riconosci perché c’è, ti segue, ti sorride, ti invoglia ad andare avanti. Per me era questo Dino Abbascià: un amico sincero». Con queste parole Paolo Massobrio, giornalista, patron di Golosaria a Milano, parla di una persona cara ricordato il primo giorno della manifestazione in programma a Fieramilanocity dal 17 al 19 ottobre. «Era socio benemerito del Club di Papillon - ricorda ancora Massobrio – ed ogni anno veniva a Golosaria; arrivava inaspettato, come un amico che si sentiva a casa propria con la qualità. Mi seguiva ogni mattina leggendo la Notizia del giorno, la mia rassegna stampa commentata; credo che leggesse uno ad uno gli espositori che venivano a Milano per Golosaria e che andava poi a trovare. Con lui, un anno, lanciammo l’idea del cavolo, ossia l’alleanza fra i piccoli commercianti di città e le cascine. L’idea di integrare le professionalità adottandosi a vicenda. Quando gliela proposi fu subito entusiasta e venne a Golosaria con tutta la sua famiglia... e

i suoi prodotti fantastici. Per questo è stato bello ritrovarsi in tanti a Golosaria, Fieramilanocity, per ricordare un uomo che ha dato tanta amicizia: alle persone, a Milano». Ha ritirato la targa in suo ricordo la moglie, Maria Teresa Delle Rose. Il ricordo di Dino Abbascià è stato affidato anche al professor Francesco Lenoci, vicepresidente dell’Associazione Regionale Pugliesi di Milano.

Incontro con Alain Goussot

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niti e diversi, diversità di opinione, inclusione, solidarietà – Le nuove sfide educative. È il tema che verrà affrontato nel corso di un incontro in programma il prossimo 14 gennaio nell’auditorium della Biblioteca provinciale di Foggia «Magna Capitana», organizzato dal Liceo «C. Poerio» in collaborazione con SFI, Società Filosofica Italiana, e le Edizioni del Rosone. Dopo l’introduzione della dirigente scolastica dell’istituto foggiano, Enza Maria Caldarella, seguiranno gli interventi del professor Alain Goussot, docente di Didattica e Pedagogia speciale presso l’Università di Bologna; Domenico Di Iasio, presidente della Società Filosofica Italiana, sede di Foggia; Leonardo Scopece, docente di Italiano e Storia, giornalista e scrittore. Modererà Daniela Sardone, docente di Filosofia del Liceo «Poerio».


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Solidarietà

uro: sostantivo maschile; plurale: muri o mura. Il semplice suono di questa parola evoca una varietà di pensieri, ricordi, immagini, emozioni. Per quella generazione la cui formazione culturale e politica è stata contraddistinta da quel simbolo indelebile della storia mondiale che è stato il Muro di Berlino, questo termine non rappresenta solo una «struttura muraria verticale, con funzione portante o divisoria» come recitano i vari dizionari, ma è soprattutto simbolo di divisione, talora anche di protezione e sostegno, ma rimane comunque una barriera, una delimitazione che può assumere contorni illegittimi e tetri. Tale era infatti il Muro di Berlino “muro della vergogna”, considerato l’emblema stesso della cortina di ferro, ossia la linea di confine che tra il 1961 ed il 1989 divideva non solo Berlino e la Germania, ma l’intera Europa tra le zone di influenza sovietica e statunitense, ma soprattutto spartiva in due un unico popolo che aveva la stessa lingua, le stesse origini e tradizioni, la stessa religione e lo stesso tragico trascorso storico. Con la caduta del Muro, tutte le previsioni e le speranze erano che non ci fossero più cortine di ferro e che l’Europa tornasse una ed una sola e che questo potesse essere un buon viatico per una stabilizzazione mondiale. Oggi, possiamo dire che fu un enorme errore di valutazione: in un’epoca di globalizzazione e di web esistono e nascono un po’ dappertutto nel mondo migliaia di chilometri di cemento e filo spinato che dividono e separano popoli, famiglie, regioni, stati. Muri che hanno avuto e, talora, ancora hanno una notevole influenza sulla storia dei popoli, sul contesto socio-politico o anche sulla configurazione ambientale dei luoghi in cui sono stati innalzati; si tratta quasi sempre di muri eretti per separare, delimitare e quindi escludere. Esistono, comunque, muri che hanno segnato la storia antica con una funzione prettamente difensiva (il Vallo di Adriano in Britannia, e la Grande Muraglia Cinese); muri della memoria, costruiti per ricordare o per celebrare: in questo caso il muro assume il valore del monito, del sostegno e del simbolo di un passato che non si cancella (Muro del Pianto e Yad Vashem Holocaust Museum a Gerusalemme, Sinagoga di Pinka a Praga, Muro della memoria a Santiago del Cile, The Wall a Washington). Accanto a questi ci sono, tuttavia, muri di divisione (Peace Lines nell’Irlanda del Nord, Linea verde a Cipro, Barriera del 38° parallelo tra le due Coree, Muro di Villa Hermosa a Lima) e muri di esclusione (Muro messicano tra USA e Messico, Muro di Ceuta e Melilla in Marocco, Barriera di Sicurezza tra Israele e Cisgiordania) e tanti altri ancora…. Nuovi «muri della vergogna» che sanno di ignoranza e paura, muri di carattere razzista, religioso, economico o politico, muri che, una volta caduti, spalancano alla speranza ma intanto si aprono su scenari di povertà e miseria, muri eretti tutti con fini simili: difendere confini, annettere territori, combattere l’immigrazione e il terrorismo – e che questi due fenomeni spesso siano trattati insieme è già sintomatico di come la paura troppo spesso vinca sulla razionalità e la solidarietà. Tuttavia l’unico risultato concreto che sino ad ora hanno saputo raggiungere è quello di dividere il mondo.

A proposito del fenomeno migrazione

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La solidarietà al posto dei «muri della vergogna» Ed ora per ultimo (ma per quanto?) è arrivato il Muro di Orban, opera di un premier che è soprattutto discendente di una lunga genìa di reazionari di vario colore politico che hanno costellato la storia ungherese: Horthy, dopo la Prima guerra mondiale; Rakosi, dopo la Seconda; Kadar, il capo del socialismo al goulash degli anni Sessanta e Settanta. Dimentico della diaspora di migliaia di suoi connazionali durante il regime nazista, nel 1947 dopo l’avvento dei comunisti al potere sotto l’occupazione staliniana e nel 1956 dopo la rivolta soffocata dall’Armata Rossa, Orban ha eretto un muro al confine con la Serbia, muro di filo spinato che evoca tristemente quello dei campi dell’Olocausto, per respingere alla frontiera i profughi che premono sui Balcani dal tormentato Mediterraneo e dal Medio Oriente. Eppure in Ungheria Orban ha consenso. Un Paese sempre timoroso di aprirsi agli altri appoggia la politica nazionalistica e anti-immigrati di un primo ministro che trasforma i migranti in nemici e se ne serve per raccogliere consensi intorno ad un progetto che appare sempre più chiaramente reazionario ed a tratti autoritario. Un Paese che, sopraggiunta la crisi economica, ha visto spalancarsi l’incubo della perdita del relativo benessere di questi anni e soprattutto della propria identità. A che punto dello scorso decennio, in buona parte del discorso pubblico il termine migrante è diventato sinonimo di criminale? Difficile dirlo, ma l’evoluzione verso una mentalità gretta e razzista, la retorica xenofobica, islamofoba e, ovviamente, contro i migranti ormai imperversa ovunque. Mentre a Calais si accumulano i cadaveri e nel Mediterraneo i migranti continuano a morire, i ministri di numerosi Paesi europei non si preoccupano di moderare il loro linguaggio definendo i profughi uno sciame, predatori stranieri a cui bisogna impedire di arrivare qui perché potrebbero mettere a rischio il nostro «tenore di vita» e «modo di vivere». Anche se indubbiamente il tenore di vita è peggiorato in tutta la zona euro, questo ha ben poco a che fare con l’immigrazione; lo scorso anno i nuovi arrivi di immigrati hanno costituito solo lo 0.027% della popolazione europea, e sono numerosi gli studi e i dossier che, dati alla mano, mostrano che il contributo economico degli stranieri residenti in Europa è superiore ai trasferimenti di welfare verso di loro. Ma, allora, se è stato dimostrato che l’immigrazione rappresenta una risorsa anche economica per noi, perché non possiamo assolutamente permettere che continuino a venire? Secondo le teorie di Laurie Penny del Guardian, «l’Europa ha bisogno, oggi più che mai di un nemico comune, ed è per questo che la presenza dei migranti, lo spauracchio prescelto, viene presentata come un paradosso, proprio come nel caso degli ebrei negli anni Trenta». Ma se così stanno le cose, allora i «muri della vergogna» non sono solo

Un tratto del «muro» di Orban

quelli di cemento, mattoni, filo spinato, che possono essere abbattuti, scavalcati o aggirati; ma anche quelli che, sono dentro gli individui: barriere ataviche di pregiudizio ed intolleranza, diffidenza ed indifferenza, incomunicabilità. Già nel 1939 Jean-Paul Sartre nella sua raccolta di cinque racconti Il muro distingueva un muro reale al quale il protagonista (Pablo) del primo racconto immaginava di essere fucilato, da muri immaginari dovuti all’incapacità di guardare in faccia ed affrontare l’esistenza, la ricerca di una fuga dalla propria precaria esistenza, fermati però da un muro, simbolo evidente del fatto che fuggire l’esistenza significa ancora una volta tentare di esistere (Angela Migliore). Sono proprio queste barriere insormontabili che, al pari dei precedenti muri, rendono la vita quotidiana dei migranti un impossibile percorso ad ostacoli. Secondo la tesi, largamente condivisibile, di Stephan Faris, cofondatore di Deca, il sistema che si vorrebbe creare di confini chiusi, limiti all’immigrazione, controllo dei passaporti, condurrebbe ad un mondo in cui un singolo fattore determina il destino di un uomo: la bandiera del Paese in cui è nato. La nazionalità, tuttavia, è un tratto distintivo puramente artificiale. Ci siamo talmente abituati a questo modo di ragionare da non accorgerci di quanto sia moralmente indifendibile la separazione degli abitanti della terra tra ricchi e poveri, fortunati e svantaggiati, vittime e sopravvissuti, il tutto secondo un criterio largamente arbitrario e totalmente fuori dal controllo degli individui. Un’esperienza che forse ricorda qualcosa a molti cittadini italiani è quella dell’Albania negli anni ’90, dopo la fine della dittatura comunista: i volontari italiani che andarono a prestare assistenza medica e sociale in quel Paese si trovarono di fronte una situazione sconvolgente sia dal punto di vista politico-economico che socio-sanitario, con alti livelli di corruzione ed impres-

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sionanti sacche di povertà. Era quindi facile capire cosa spingesse gli Albanesi a continui tentativi di immigrazione con imbarcazioni precarie e perché, nel 1991, 20.000 «disgraziati» avessero rischiosamente sovraccaricato una nave (la Vlora) pur di lasciare il loro Paese. Una persona si lacera dentro quando è costretta a fuggire da suo Paese; ma forse per loro la «patria è il tempo che abbiamo perduto» come avrebbe detto lo scrittore iraniano Said, per decenni in esilio in Germania. Qual è quindi il merito di essere nati a pochi chilometri di distanza, al di là dell’Adriatico ed aver avuto un destino completamente diverso? Ma, come sostenuto da Faris in Homelands, «considerato che la cittadinanza non è diversa da un club privato con misteriosi criteri di ammissione, dobbiamo chiederci se sia ancora possibile permettere che il colore del passaporto (per chi lo ha) determini il destino di milioni di persone». Il filosofo Joseph Carens, professore di scienze politiche all’Università di Toronto ed autore di The ethics of immigration scrive: «Abbiamo costruito un mondo in cui le possibilità di un individuo dipendono soprattutto dal Paese in cui nasce. Il pianeta è organizzato in stati molto disuguali tra loro che non possono esistere senza un sistema di frontiere. Noi diamo questa realtà per scontata, ma è il frutto della volontà umana. Certo, nessuno si è seduto ad un tavolino per crearla, ma allo stesso tempo non è naturale», paragonando di fatto l’attuale sistema globale di restrizioni frontaliere a quanto avveniva nel medioevo feudale con i privilegi acquisiti per nascita, anche se non sembra necessario tornare così indietro nel tempo ma semplicemente fermarsi all’apartheid sud-africano. Anche se non dovrebbe essere difficile da immaginare un mondo senza barriere, assistiamo invece agli effetti di quella miscela di tradizionalismo, nazionalismo, chiusura in se stessi, paura se non avversione per l’altro, che ancora una volta sta soverchiando l’intelligenza, la cultura, la vivacità intellettuale di gran parte di noi. Nella maggior parte dei casi per gli immigrati è importante vivere in città, paesi che accolgono, senza pregiudizi, gli stranieri; in quei posti dove ci si sente «a casa», non in «patria» spesso ormai definitivamente persa, e questo per molti di loro è più che sufficiente (Hertha Mϋller. Nobel 2009 per la letteratura). Ed è semplicemente questo ciò che noi dovremmo dare loro. Per fortuna, ai tanti esempi recenti di intolleranza si contrappongono anche molti casi di solidarietà: negli ultimi mesi sono stati numerosi i cittadini europei che si sono impegnati in prima persona per portare aiuti materiali e sostegno morale alle centinaia di migliaia di rifugiati provenienti da Africa e Medio Oriente, spesso in aperta polemica con i governi dei propri Paesi. Se i numeri di statistiche e sondaggi ci dicono che queste persone sono, ad oggi, una minoranza, per tutti i motivi che abbiamo descritto in questo articolo, il loro esempio ha però un valore nell’indicare, per l’Europa, una strada diversa da quella della chiusura e della costruzione di nuovi «muri della vergogna», e basata invece sul rispetto e la solidarietà reciproca. Gaetano Scotto Angelo Scotto


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Cartoline dal passato

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Anno XXXVIII – n. 1 Luglio-Dicembre 2015

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Da Milano alla Puglia

Personaggi scomparsi, mestieri perduti le voci di un tempo che fu O

gni tanto penso alle mie città lontane: Taranto, «’a nàche», la mia culla; San Severo, scelta per piacere. Ma penso anche a Milano, che mi ha adottato. Rivedo i luoghi trasformati, i personaggi scomparsi, i mestieri perduti con le loro voci: ascoltate o apprese a suo tempo dai vecchi e dai libri. Una delle prime figure che incontrai nella terra del poeta Umberto Fraccacreta, San Severo appunto, fu «papà Nicola», che a ottant’anni, per 10 lire a viaggio, riempiva il suo barilotto alla fontana pubblica e andava a riversare l’acqua nelle giare delle massaie che non avevano l’acquedotto in casa, dando in escandescenze quando il numero dei trasporti gli veniva contestato. Era l’epoca del ballo della mattonella; di «Grazie dei fior» e di «Buongiorno tristezza», che avevano vinto il Festival di Sanremo: il primo brano, nel ’51, con la voce di Nilla Pizzi; il secondo, nel ’55, con quelle di Claudio Villa e Tullio Pane. È ai vecchi mestieri che va spesso il mio pensiero. «Sciure, el moletta…», si spolmonava nelle strade l’arrotino per attirare l’attenzione, spingendo il suo «laboratorio» ambulante. Gli facevano eco lo spazzacamino; il «magnan», riparatore di tegami, scaldini, chiavi; «el cadregatt», sedie ; «el gamberèe», venditore di gamberi. «Quell di cuni», provenendo da Cuneo, proponeva castagne al forno infilate in uno spago, portato appeso al collo a mo’ di collana. Uno spilungone novantenne con una macchia di neve sulla testa sentiva ancora i richiami dell’ometto con la cesta colma di pere cotte; dello «strascèe», lo straccivendolo, urlone più di tutti, tanto da ispirare il detto: «Te voset come on strascèe» (il più conosciuto «el Borella» di piazza Sant’Ambrogio). Non da meno gli ombrellai, ai quali a Gignese, un paesino con un migliaio di abitanti tra Stresa e il Mottarone, hanno dedicato un museo. Meritato, vista la loro storia secolare. Tra l’altro stavano mesi lontani dalle famiglie (molti, i «lusciat», sparsi per il mondo) e, parlando tra di loro, usavano una specie di gergo chiamato «tarùsc». L’uomo del cannocchiale se ne stava invece in silenzio e in paziente attesa quasi all’uscita della Galleria Vittorio Emanuele, affittando per pochi soldi lo strumento ai curiosi della bellezza delle guglie del Duomo. A pochi passi da lui, la vecchietta che smerciava lumini per i morti Tanti disegni, foto, cartoline ritraggono «el «lattèe», il contadino arrivato dalla cascina con gli ovini da mungere sotto gli occhi degli avventori; il «pedocca», il chiamacarrozze dietro compenso per conto dei clienti; il cantastorie, che, accompagnandosi con la chitarra, raccontava i fatti più clamorosi. Il primo della classe il Barbapedana («el gh’aveva on gilè/ senza el denanz cont via el dedree…»), al secolo Enrico Mulaschi, che con il suo repertorio di antiche canzoni popolari e di versi di sua produzione, si esibiva soprattutto nelle osterie. Il Berto preferiva il «trani» (trattoria) di Precotto, uno dei tanti aperti dagli immigrati originari dell’omonima città pugliese e oggi soltanto un ricordo delle persone anziane (Vincenzo Pappalettera ha scritto un libro: «Il trani di via Lambro»).

Sono così numerosi, i vecchi mestieri, che solo a menzionarli occorrerebbe uno spazio ampio quanto un lenzuolo. Ma non posso tralasciare il «custod di Navili», il controllore dei canali. Una quarantina di anni fa feci una chiacchierata con l’ultimo dei «paron», timoniere delle chiatte in navigazione sul «Ticinello». I suoi predecessori, controcorrente, si avvalevano della «rozza»: cavalli vecchi, stanchi, macilenti, che tiravano dall’alzaia, una delle due sponde del corso d’acqua, amato dal poeta Alfonso Gatto, dal giornalista Gaetano Afeltra, dallo scrittore Carlo Castellaneta, da fotografi del livello di Falvio Roiter e Mario De Biasi, dall’architetto Empio Malara, che non si stanca di battersi per fare scoperchiare quelli sepolti… Adoro queste vie liquide; gli studi dei pittori del vicolo dei Lavandai, dove un ricciolino d’acqua scorre tacito sotto la tettoia sfuggendo al Naviglio Grande; le case di ringhiera; gli artigiani rimasti a lavorare nei cortili, che ospitarono gli atelier di Guido Bertuzzi, Sarik, Formenti, Aldo Cortina… due spazzacamini e nonna Radice, che aveva fornito la lisciva alle donne che sciacquavano i panni nel «rezzulin». Lo confesso. Non mi è simpatica la figura dell’accalappiacani, che sbucava all’improvviso per sorprendere i randagi, spesso messi in allarme dai ragazzini. La mia simpatia va al lustrascarpe, abile nel rendere brillanti i calzari dei signori nella Galleria delle Carrozze della stazione Centrale. E al ciabattino con il deschetto. Per tanto tempo lo cercai, a Milano, ricevendo il premio nel settembre nell’87, in via Giangiacomo Mora, al civico 7. Mi fermai ad osservarlo davanti alla porta, se ne accorse e m’invitò ad entrare. Sembrava uscito da una vecchia stampa della Raccolta Bertarelli. «Ha fatto appena in tempo – mi disse -. Qui le case sono state vendute e io devo sloggiare. Mi ritiro, dopo 30 anni di lavoro in questo buco». Si chiamava Luigi Luca, aveva 67 anni, era siciliano di Bronte, «il paese dei pistacchi destinati a tutta l’Europa». Aveva cominciato a praticare il mestiere quando era ancora un bamboccio, la mattina a scuola e il pomeriggio in bottega, sottocasa, dal maestro che lo aveva esortato. Divenne bravo, si trasferì nel capoluogo lombardo, si fece un nome. Tra i suoi clienti, Walter

Molino, il famoso illustratore, che mosse i primi passi nel ’35 collaborando con «L’intrepido» e «Il monello», continuò con il «Bertoldo», il «Marc’Aurelio», il «Candido» di Giovannino Guareschi; e prese il posto, nel gennaio del ’41, di Achille Beltrame nella realizzazione delle copertine de «La Domenica del Corriere». «Lo sa che mi ha promesso una caricatura?», mi rivelò con orgoglio. Prima di congedarmi, Luigi, unico sopravvissuto della categoria, mi regalò una chicca. «Un cliente mi ordinò un lavoro particolare: un alloggiamento nel tacco di un mocassino, che doveva contenere un coltello per un suo amico rinchiuso nel carcere di San Vittore. Gli risposi che non sapevo farlo». Dopo anni l’ho nuovamente cercato, Luigi Luca. Invano. Scoprii un suo collega in via Lorenteggio, Nicola Sardone, pugliese, ma lui l’armamentario da antiquariato lo teneva in esposizione come testimonianza del suo passato. Lo usava solo qualche volta per sfizio. I ciabattini hanno avuto precedenti illustri. San Crispino e san Crispiniano tra una preghiera e l’altra ridavano dignità alle calzature. Anselmo Ronchetti prese a occhio le misure dei piedi di Napoleone, che stava attraversando corso Venezia diretto a Palazzo Serbelloni; e durante la notte confezionò un paio di stivali. Li consegnò, soddisfacendo appieno il destinatario, che lo raccomandò alla sua corte e ai suoi amici sparsi in Europa. Michele Lamantea (nella foto) non ha avuto una notorietà così estesa, ma era certamente nel cuore degli abitanti di Brera, dove, all’angolo di via Fiori Chiari, di fronte al Bar Giamaica (che a suo tempo era frequentato da personaggi famosi, da Carrà a Ibrahim Kodra; da Fontana a Tadini; da Salvatore Quasimodo a Giulio Gonfalonieri…), ogni mattina alle 10 allestiva il suo punto vendita, sul marciapiede. Compariva in sella ad un triciclo con un cassoncino pieno di pezzi unici (busti in bronzo, lampade liberty, medaglioni, cornici, quadri…) e iniziava la sua giornata. Taciturno, riservato, basso, magro, cappello a cilindro in testa, la sera del 4 dicembre 2002, dopo aver riscosso una piccola vincita al lotto al vicino tabaccaio prima di rincasare, fu investito da un’auto e il 25 gennaio, vigilia del suo compleanno, morì in ospedale. Durante la cerimonia

funebre nella chiesa di San Marco, alla quale parteciparono quasi tutti i cittadini della zona, i commercianti e gli studenti dell’Accademia, il primo violoncello della Scala, Sandro Laffranchini, suonò la suite 2 di Bach, invitato dal baritono Giuseppe Zecchillo, che, affranto, mi disse: «Con Michele se ne va un altro pezzo del quartiere». E indicò il libro «Gente di Brera», che assieme a tanti ritratti eseguiti da Federica Berner di personalità della cultura contiene quello di Michele Lamantea Un regista promise di girare un film sulla sua vita. Era l’ultimo rigattiere di Milano, aveva 77 anni, era nato a Barletta. Eh, la Puglia. Ero un marmocchio quando a Taranto passavo ore a guardare «’u conzagràste», un maestro nel rimettere insieme i cocci degli oggetti in terracotta, servendosi del trapano a mano; «’u ‘mbagghiasègge», «’u cadaràre»… Spuntavano pubblicizzando la propria specialità, come il giovanotto delle «pampanèdde», quagliato servito in un pampino. Era il più mattiniero: dava la sveglia alle 7. Assediato il chioschetto «d’u gràtta-gràtte», una bibita al limone o alla menta o all’orzata ottenuta raschiando un blocco di ghiaccio con un pialletto che le dava il nome. «’U conzalume» si presentava ogni giorno alla stessa ora, e all’occorrenza di quella fonte di luce sostituiva «’ u bècche», da cui usciva «a gazzettèlle», «’u tùbbe», che poteva avere forme diverse: panciuto, affusolato… (in ogni casa c’era una piccola riserva di combustile che si acquistava dal carbonaio). Ad alcune di queste figure Diego Fedele ha dedicato versi divertenti, a volte maliziosi. Rileggiamo «’U caggiunìere», che in piedi «sus’u traìne» con le ruote cigolanti correva da «le Caggiùne» a Taranto vecchia con ortaglie fresche «ca stennève ‘ndèrre» giù alla dogana, sulla riva del Mar Piccolo, e intonava la sua sinfonia: «’Uagnè, v’hàgghie purtàte ‘u rafanìjdde’…». Mio padre mi parlava «de le crapàre» che quando lui era giovanotto spremevano per strada le mammelle delle bestiole che lo seguivano «d’u zucàre», il cordaio, che aveva come garzone «’u geratòre», addetto a girare la ruota. «’Nno ère àrta còmete» per Cataldo Acquaviva. Ho visto all’opera, tra gli altri, «’u pezzàre, ca scève gerànne» strillando in cerca di stracci; e l’ambulante che aggiustava i manici e le stecche dei parapioggia. Qualche mestiere era un’arte, come quella del bisso, la cui materia prima era fornita «d’a paricèdde». Ne ho viste, di «paricèdde», ai tempi che Berta filava. Ho visto «’a ‘ngègne» (la noria) con il cavallo che facendo ruotare, bendato, un’asta, permetteva all’acqua del pozzo di salire; e «mèsta Rònze», attempata proprietaria di un orto in cui coltivava «’a gnète» , subito dopo via Giovan Giovine, confine tra la città e la campagna. «Mèste Fiorènze», in via Nettuno, nell’androne di uno stabile cosparso di segatura e «farfùgghie», lavorava al bancone con sega, raspa, pialla, morse, mentre i ragazzi giocavano alla livoria, «’o spezzìedde» (la lippa) o alla morra sul marciapiede di fronte, più largo della strada.. Franco Presicci


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Anno XXXVIII – n. 2 Luglio-Dicembre 2015

Sintesi dei testi della serata conclusiva

Scene di teatro Ogni giorno uno scrittore si alza e sa che deve scrivere, plasmare qualcosa di nuovo, di unico e stimolante. Parola dopo parola deve condurre il pubblico sul filo dei suoi pensieri… Ogni giorno un attore si alza e sa che dovrà imparare un testo, provare, trasmettere emozioni, conoscere l’autore, mediarne il pensiero e il desiderio, discutere col regista, seguire i suoi disegni, non deluderlo… Ogni giorno un regista si alza e sa che dovrà preparare uno spettacolo, leggere un testo, capirne i contenuti, digerirli per il pubblico, scegliere l’interprete… Ogni giorno uno spettatore si alza e sa che dovrà assistere a uno spettacolo, cercare distrazione, riflessione, divertimento, vita reale… Ogni giorno io mi alzo. Non so scrivere, non so leggere e non so interpretare. Se è per questo, non so neanche cucinare, ma ho voglia anch’io di un piatto unico, appetitoso e che mi sazi quel tanto che basti da volerne ancora. Autore: Francesco Giordano Interpreti: Claudio Mione Christian di Furia Giorgio Castriota Skanderbegh Massimo Iannantuoni Francesco Giordano Da Est a Ovest Marzo. Giorno indefinito. Luogo: Fortezza a Est. Sembra di stare un po’ dentro al cielo, per quel che c’è da vedere quassù. C’è luce tutto intorno. La percepisce anche la mia compagna che prende il violino e suona. Prova a intonare l’Ederlezi. Il canto dei gitani. Ederlezi è anche una festività. Tutti i gitani la conoscono, specialmente nei Balcani; la festa di San Giorgio. Deriva da una parola turca “Hidirellez”. Indica la rinascita della natura, il ritorno della primavera. Io la sento dappertutto. Qui in alto, ovunque mi esponga, c’è l’Ederlezi. qualcosa che a Ovest non ho mai incontrato. Qualcosa a cui non smetto di pensare. Qui c’è la mia rinascita. Che strano! Non ci sono gitani in questo posto. Siamo per lo più viaggiatori, emigrati dalle nostre debolezze… Eppure tutti assecondano questa musica, questo ritmo frenetico, di aggregazione, di comunità odiate, di raminghi… Autore: Angelo Comanzo Interprete: Giorgio Castriota Skanderbegh Siamo chi siamo Mani giunte, persone che camminano. Qualcuno, ogni tanto, balza in piedi e consuma il corridoio di pensieri. Forse, in silenzio, si aggrappa alle preghiere. Luce rossa, operazione in corso. Volti scavati nella pietra… I protagonisti cambiano, ma la situazione è sempre la stessa. Del resto, cosa ci si può aspettare da una sala d’attesa… Autrice e interprete: Gabriella Paolicelli Operazione cappuccino E’ notte. Fa freddo. Esci e ti avvii per la strada che porta al campo di battaglia. Lì troverai Mary, la donna che dirige questa folle compagnia contro l’esercito nemico. Quando arrivi, Franco e Andrea sono già lì. I tuoi compagni di ventura. L’atmosfera è tesa… E ancor prima di rendervene conto, il delirio ha inizio: “un caffè” “un cappuccino” “due cornetti vuoti”

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Teatro

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Teatro dei Limoni di Foggia

Workshop di scrittura creativa a cura di Leonardo Losavio “un decaffeinato, un orzo, tre cornetti al cioccolato, due alla marmellata” “un succo di frutta” “un caffelatte, con il caffè caldo e il latte tiepido”… Autore: Emanuele Mascaro Interprete: Giorgio Castriota Skanderbegh Flora È un’estate che non ricordavo bene… e poi Flora, gonna viola color prete. Quell’anno ci svezzò tutti. Tranne Franco, che scappò via non appena gli fece toccare i seni. Ancora corre. L’ho incontrato l’altro giorno per strada che andava di fretta… Saliva sugli alberi, Flora. Come una gatta. Rubava ciliegie che ci lanciava dritte in bocca. Aveva sempre tre anni in più di ciascuno di noi e le gambe graffiate dai rovi falciati mentre correva. Nessuno riusciva a starle dietro… Ve la ricordate Flora? Non l’ho immaginata… Ve la ricordate Flora? Non ditemi che l’ho sognata... Ve la ricordate Flora? Ditemi che non l’ho inventata… è solo un’estate che non ricordavo bene. Autore: Giuseppe Todisco Interprete: Claudio Mione Con altri occhi Il Grande Freddo è vicino. Le persone iniziano a coprirsi, sfuggono al gelo, camminano più in fretta… Un passero si ferma sul ramo. È solo, vuole compagnia. Allora gli chiedi di narrarti una storia… Un tavolo viene occupato. Lei ordina un caffè. Molti lo amano di pomeriggio. Il cameriere fa in fretta. Lei beve con calma, tira fuori dalla borsa un blocchetto di fogli e ti guarda. Ti legge dentro… Passano i minuti, dieci poi venti… Lei strappa qualche foglio, ti sorride, ti si avvicina e li lascia nell’incavo della corteccia. Tiene premuta la mano contro di te. Poi si volta leggera e se ne va… Il Grande Freddo non è più così freddo. Senti un calore nuovo. Autrice e interprete: Daniela d’Amito Pistacchio La classica serata padre-figlia dei film. Eventi che non ti sembrano veri fin quando non ti capitano… Sorriso idiota. Adesso sta entrando. Pianifica: glielo dici mentre sta mangiando il gelato o dopo?... Le prime slinguazzate. Sorriso idiota. Perché ti preoccupi? Capirà poco o nulla di quello che stai per dirle. - E mamma dov’è?... - Papà, ma perché tu e mamma urlate sempre?... - Perché, quando due persone si conoscono da tanto tempo, può capitare che non sempre siano d’accordo su tutto. Anzi, stavamo pensando, per l’appunto - vai col paraculevole - di stare meno insieme per un periodo, in modo da apprezzarci meglio dopo. Potrei dormire qualche notte fuori e poi vedere come vanno le cose. Pausa. P.S. sei un mito. Ti sei tolto la questione dalle palle, che abbia capito o meno. Anzi, speriamo che non abbia capito un cazzo così ci pensa la madre a… Autore: Piergiorgio Maruotti Interprete: Christian di Furia

Funerali Io odio i funerali, eppure non oppongo mai una vera e propria resistenza, quando mi si presentano eventi di questo tipo… Ah, ecco: Il finale. La parte migliore. Quando si avvicinano, s’inginocchiano. Con il tempo mi sono fatto diverse ipotesi su ciò che potrebbero pensare in quei dieci secondi, con gli occhi chiusi. Secondo Mario, che è un matematico mio collega, sottraggono l’età del morto alla loro, per vedere, più o meno, quanto tempo gli resta. In quanto a me, io non penso a niente. Se muovessi troppo la faccia, qualcuno si accorgerebbe davvero che non sono morto. Aspetto solo che usciate, aspetto di liberarmi di voi, ipocriti, falsi, bugiardi. Di voi: gli unici morti presenti. Autore: Piergiorgio Maruotti Interprete: Christian di Furia Hard B È il 13 agosto, il sole penetra le persiane. Mi brucia le gambe come acido… Mi alzo dal divano, guardo intorno. Riconosco la stanza. Sì, è quella di Axel, ha trovato rifugio in un angolo riparato dal sole. Bastardo… Lo stomaco mi bussa: “Prima di risvegliare l’ulcera è il caso di ficcarci qualcosa dentro”. “Ok, ok. Vado.” Vedo la bottiglia di gin. Gli regalo

due, tre sorsi e la scaglio addosso ad Axel... Esco… Entro nel bar affianco… vado in bagno. Mi lavo, sistemo la camicia, sigaretta e vado… Il barista non vende alcolici fino alle 12:00. Credevo fosse succo di pomodoro… Lo mando a quel paese ed esco. Mentre cammino do il bentornato alla mia ulcera. Mi fermo a prendere un quotidiano e lì, a due passi, riconosco la mia Chevrolet. Cerco le chiavi, eccole! Sputo la cicca ed entro. Sì, parte. Di colpo si apre lo sportello ed entra una biondina niente male, vestita di raso e un cappello con le piume… Un’amica di Axel… All’improvviso sparano. Uno dei colpi prende la fiancata… La tipa comincia a eccitarsi… Dopo un po’ accosto… Lei scende, mi raggiunge e mi stampa un bacio da infarto. Wow! Poi prende un fazzoletto dalla borsetta e me lo passa. C’è qualcosa dentro… Sono i codici per affrontare il boss di questo livello! Autore e Interprete: Giuseppe Salvagno Nano da giardino Ed eccomi qua! Un’altra meravigliosa giornata nel giardino. Il sole splende alto e... ok, forse “splende” è un parolone, visto che siamo a Novembre. Diciamo che splende alto da dietro quelle splendide nuvole lassù… Questo sole si vede anche da dietro queste erbacce che per me sono una giungla per quanto sono alte!... Il verde fa bene, dopotutto. Di cosa si dovrebbero nutrire gli animaletti che passano di qua?... E’ il cerchio della vita. Tutto viene e tutto va… Autore: Giovanni Marchesino Interprete: Massimo Iannantuoni

Tusiani compie 92 anni Buon compleanno Joseph!

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oseph Tusiani il 14 gennaio scorso ha toccato la soglia ragguardevole dei 92 anni. Le gambe gli creano qualche problema ma, in compenso, il cervello continua a funzionare a pieno regime se in grado di creare versi che sembrano appartenere a un trentenne tanta è la freschezza ma

anche l’acutezza delle sue intuizioni. Si susseguono le gratificazioni e i riconoscimenti che gli arrivano da diverse parti e anche da luoghi istituzionali molto prestigiosi. È di questi giorni il conferimento che gli è arrivato dal Governatore Cuomo della più alta onorificenza degli Stati Uniti. E tra pochi giorni uscirà, sempre a New York, un volume contenente le liriche in lingua inglese scritte in quest’ultimo anno e si sta preparando un altro volume che verrà pubblicato in Italia da Bompiani. Come si vede, fervono le iniziative attorno al grande poeta e scrittore di San Marco in Lamis ed egli si mostra capace, come mente e come cuore, di farvi fronte con spirito giovanile che è in cerca di nuove intuizioni e di nuove scoperte. Con molti e sentitissimi auguri da parte dell’intera famiglia del Rosone. Marida Marasca

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empo di festa, di riflessione e di rigenerazione. I versi che seguono, opera di Armando Perna, ci aiutano a vivere questo tempo «forte» spiritualmente ma precario sul piano sociale. Non ho scorie

Non ho scorie, che non voglio nel fluttuar dell’onda mattutina, ma brama di cieli infiniti, nella danza breve dell’alba, che appena traspare. A Te m’innalzo, oh Dio!, e palpiti ed empiti nuovi trasumano l’anima chiara!

Per altezze irreali s’attarda il pensiero nei suoi vortici infiniti… e il Tutto abbraccia ed in sé comprende in estensione d’Amore…, il cor di sublime s’inonda e verso gli altri lieto tracima…, in Luce di Fede. Armando Perna


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Cronache della cultura

A proposito dell’antologia Scrigno di emozioni

La forza espressiva del dialetto la storia e le tradizioni N on manca mai di esaltare la potenza espressiva del dialetto; di celebrare il valore estetico della poesia vernacolare; di leggere e di scrivere, per esempio, di Joseph Tusiani e dei suoi poemetti Na vote è ‘mpise Cola, Li quatte staggione, Lu deddù; o la composizione che riguarda l’asino afflitto per il soprannome di «ciucce». Francesco Lenoci - a lui mi riferisco -, economista eccellente (sulla materia ha pubblicato oltre 30 libri) e buon letterato (parlerebbe per ore di Luigi Capuana, del marchese di Roccaverdina e del verismo), sul dialetto m’incalza, mi esorta: appena gli fornisco l’occasione, mi fa in privato una conferenza su Francesco Paolo Borazio, recitando quasi a memoria Nu porce delli mamme. È appassionatissimo del dialetto, e io lo ammiro, anche perché stando a Milano riesco ad usare la lingua «d’a

nàche» soltanto con mia moglie. E questo limite mi crea irrequietezza; mi fa sentire mutilato. Il dialetto possiede la nostra anima, è un bene culturale da proteggere; è la nostra patria. Spesso con Lenoci abbiamo discusso in dialetto, lui il suo, io il mio, intendendoci senza alcuna difficoltà, essendo io figliastro di Martina e lui cultore di Taranto. Continuiamo a farlo, mettendo in risalto i vocaboli onomatopeici, icastici; la forza evocativa, l’immediatezza, il fascino, del dialetto. Ed è stato ogni volta come respirare aria pura. È stato lui a farmi conoscere Tusiani e a spingermi a visitarlo: un invito a nozze. Io gli ho parlato dei tarantini Alfredo Lucifero Petrosillo, che tra l’altro ha scritto il poemetto U travagghie d’u mare; Alfredo Nunziato Majorano, di cui rileggo spesso Tàrde vècchie mjie

Ispirato alla musica del compositore tedesco

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Un orafo sammarchese ha creato il gioiello di Bach

a sempre la musica è fonte di ispirazione sia di sentimenti, sensazioni, emozioni, sia di riflessioni e meditazioni. Ascoltare musica, da quella colta a quella popolare è, per una persona che abbia un minimo di sensibilità, un’occasione davvero di ristoro mentale e psicologico che può anche innescare un processo di catarsi interiore. Ma la musica è anche fonte di ispirazione creativa e artistica sicché la persona che abbia una certa propensione o, meglio, una spiccata tendenza alla creatività, è in grado di ricavare dall’ascolto di certa musica invenzioni e creazioni straordinarie, ricche di implicazioni concettuali che conducono a esplorare zone impervie della intelligenza. Entro questa cornice riflessiva nasce l’idea di ricavare un gioiello, gioiello in senso proprio, dalla musica di J. S. Bach. Si sa che il musicista tedesco ha composto una sterminata varietà di musica, che rappresenta poi lo spartiacque tra il periodo che occupa tutta l’età rinascimentale e barocca e il periodo che lungo il ‘700 arriva fino ai nostri giorni. In tale vasta produzione musicale spiccano brani che sono il vertice assoluto della musica di tutti i tempi. Ed è in virtù di queste partiture che Bach ancora oggi è in grado di suscitare sensazioni ed emozioni che portano l’uomo a percepire la soglia della trascendenza. È lo stesso Bach, del resto, che rivela il segreto dell’incastro di quattro note che gli consente di creare una musica che oltrepassi i confini del mondo. «Quella formula musicale – dice Bach – mi era stata donata da Dio perché io ne facessi buon uso nelle mie invenzioni musicali. Ma alla mia morte ho dovuto restituirla al Dio Creatore che mi aveva

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(Ddo’ pummedòre appìase e sècule de stòrie…; Alfredo Marturano, di cui ai tempi dell’università e della festa della matricola recitai in teatro ’U cuèrne de Marjie ‘a canzirre, Diego Fedele (‘U rafanìedde, brillante, ricca di allusioni fatte con ironia garbata e divertente…) .... Adesso lui, Lenoci, ha scritto la prefazione per l’antologia Scrigno di emozioni (uscirà dopo Natale), curata da Teresa Gentile di Martina Franca, in cui sottolinea che nel Novecento sono stati i poeti, in Russia, in Grecia, in Francia, in America Latina e in molti altri luoghi «ad esprimere i grandi temi essenziali collettivi e al tempo stesso l’intimità più profonda del cuore dell’uomo», enfatizzando che è stata la poesia a cogliere «meglio di ogni altra cosa i grandi valori, primo fra tutti quello della libertà». Dice anche che a Palazzo Sormani a Milano, dove nella biblioteca ha assistito alla presentazione di «Poesia e Conoscenza», la nuova rivista diretta dalla sua amica Donatella Bisutti, e a Palazzo Recupero a Martina Franca, «dove l’infaticabile e dolcissima Teresa Gentile riunisce il salotto letterario, predominano valori e ideali che si

somigliano molto, per cui è davvero il caso d’impegnarsi». A Palazzo Recupero trovano lo spazio che meritano poeti come Cinzia Castellana e Giovanni Nardelli, Benvenuto Messia e altri, tutti cari a Francesco e a me. Perché sono bravi, artisti veri. In questa sua prefazione Lenoci giura che non si stancherà mai di ripetere che «se si affievolisce la vitalità del dialetto, la conseguenza è la scomparsa di un bagaglio di saggezza unico al mondo: la nostra identità culturale». Ancora: «Il dialetto è un’esplosione di gioia». E ricorda che un amico, universitario a Firenze andava a trovarlo a Siena per poter parlare con lui in dialetto. Ricorda anche che nonostante i suoi cinquant’anni ancora oggi in casa lo chiamano «u peccinne». E rende omaggio a Teresa Gentile e al suo Scrigno di emozioni. E al dialetto come lingua di dentro. Amato dialetto, peccato che soltanto in tarda età ho trovato il coraggio di scrivere filastrocche con il tuo aiuto. Senza ovviamente sentirmi Claudio De Cuia, che oltre a donare belle poesie, ha scritto anche una grammatica del vernacolo tarantino.

Sicché mi sono assunto il compito non facile ma allo stesso tempo gradito di chiarire il rapporto che ci può essere tra la musica di Bach e un gioiello. Sappiamo che certi gioielli per come sono fatti sprigionano l’idea della bellezza che è un insieme di eleganza e di raffinatezza, in cui confluiscono intuizioni legate allo stile, al colore, alla forma. Alla fine è una bellezza un po’ misteriosa che un certo gioiello è in grado di emanare. Se questo è vero, la musica di Bach può giocare un ruolo decisivo nel creare magia e mistero, fascino e seduzione nel momento in cui essa suggerisce sfumature e gradazioni di luce che non si

possono precisare ma che rappresentano il filo rosso che richiama il desiderio e il piacere femminile di prediligere quel gioiello. E allora sarà un privilegio possedere una creazione orafa come questa, in cui convergono semplicità e complessità, razionalità e irrazionalità, particolarità e universalità. Il gioiello di Bach sarà unico perché unica è la musica di Bach. Raffaele Cera

Franco Presicci

Lucera, Festival della Letteratura Mediterranea

Pasquale Torelli

concesso il privilegio di usarla». Ascoltare la Passione secondo Matteo oppure il Magnificat o ancora il Concerto in la maggiore o infine la Kantata per basso solista e orchestra con oboe, ascoltare queste composizioni con la giusta predisposizione dell’intelligenza e del cuore significa scoprire il senso profondo della magia universale che porta la persona a penetrare nei misteri della vita. In considerazione di tali certezze mi è venuto di suggerire all’amico Pasquale Torelli l’idea di cimentarsi nella creazione del gioiello di Bach. Pasquale Torelli appartiene a una famiglia di orafi sammarchesi che hanno legato il loro nome alla tradizione illustre della oreficeria di San Marco in Lamis. Egli però è figlio del nostro tempo e quindi ha la capacità di capire gusti, tendenze, predilezioni e aspirazioni che fanno parte della personalità di una donna di oggi, che proietta l’amore per l’antico nella dimensione psicologica della vita di oggi. Pasquale appena ha sentito la mia idea è stato come folgorato e mi ha chiesto di spiegargli meglio il suo significato.

Anno XXXVIII – n. 1 Luglio-Dicembre 2015

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Stile ostile - Donne e scrittura

ormai diventato una attesa e apprezzata tradizione il Festival della Letteratura Mediterranea, giunto alla sua XIII edizione, organizzato dall’Associazione «Mediterraneo è cultura» di Lucera. Anche quest’anno non sono mancati il successo e la partecipazione del pubblico. Dal 16 al 20 settembre, le piazze più suggestive della cittadina federiciana si sono proposte come palcoscenico unico e suggestivo degli incontri tra alcuni dei più noti scrittori e dei Paesi del Mediterraneo e il pubblico interessato a questa singolare manifestazione. Il tema scelto da «Mediterraneo è Cultura» per l’edizione 2015 del Festival è stato di grandissima attualità: «Stile ostile – Donne e scrittura». Sono state narrate storie di scrittori provenienti dall’Albania, dalla Palestina, dal Marocco, dall’Italia con il comune denominatore di raccontare una realtà trasversale che è costituita da donne che non riescono ad affermare in pieno la propria dignità, ancora mortificate, che cercano la legittima affermazione dei propri diritti. Esattamente nel solco del grande dibattito che interessa l’opinione pubblica di tutto il mondo. Di particolare rilievo la partecipazione agli eventi previsti dal programma degli studenti delle diverse scuole di Lucera. La manifestazione, in ogni caso, non ha proposto solo letteratura. Durante il periodo del Festival si sono svolti una mostra di pittura, uno spettacolo di danze tradizionali, un concerto di melodie mediterranee e sonorità multietniche. L’Associazione «Mediterraneo è Cultura» è nata nel 2003 per iniziativa di uomini e donne interessati alla cultura nelle sue diverse espressioni con l’intento di avvicinare e unire per il suo tramite persone lontane fisicamente ma vicine sul piano spirituale. «L’Associazione – recita il sito internet – promuove la creatività e la diffusione della cultura, riconoscendo ad essa il ruolo difficile di integrare le diverse culture su territori sempre più globalizzati». Marida Marasca


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Anno XXXVIII – n. 2 Luglio-Dicembre 2015

Concorsi e premi letterari

Premio Lupo, edizione 2015

Successo di partecipazione e salto di qualità

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’era una volta… No, la favola non inizia proprio così: oggi c’è il Premio Lupo. Sulla rivista «Fortore», edita dal Circolo Culturale Roseto 88, nell’aprile 2015 veniva pubblicato un mio articolo che riassumeva la conferenza stampa, tenutasi presso l’Amministrazione Provinciale di Foggia lo scorso 12 marzo 2015 e l’appuntamento culturale del 18 marzo, presso il Circolo Unione di Lucera. Nell’articolo già si anticipavano gli appuntamenti dell’ottava edizione. Premetto che ogni attività è stata possibile grazie alla collaborazione di molti; ad elencarli occuperemmo spazi non concedibili, per cui mi limito a rivolgere a ciascuno di loro il mio più vivo e profondo ringraziamento. Non posso però fare a meno di nominare i Comuni, gli Enti sovra comunali e le Associazioni che, aderendo all’iniziativa, hanno offerto il proprio valido contributo. È proprio da questi ultimi che inizia il racconto della favola dell’ottava edizione. Al progetto 2015, oltre alla Regione Puglia – Assessorato alla Cultura – e l’Amministrazione Provinciale di Foggia, hanno aderito sette Comuni dei Monti Dauni: Roseto Valfortore (capofila), Alberona, Castelluccio Valmaggiore, Faeto, Motta Montecorvino, Pietramontecorvino e Volturino (cinque in più rispetto all’edizione 2014). La prima fase del progetto è stata dedicata alla promozione dei bandi di concorso, pubblicati su vari siti, nonché su www.premiolupo.it appositamente dedicato, sul quale è possibile documentarsi relativamente ad ogni attività che è stata svolta nel corrente anno e nelle precedenti edizioni, esclusa la sesta edizione 2011, di cui, ad oggi, purtroppo non siamo in grado di fornire alcuna informazione. Veniamo ai numeri dell’ottava Edizione. Il progetto nel 2015 è stato articolato in tre sezioni concorsuali: pittorica letteraria e Video (corti). La sezione di pittura Terminata con la manifestazione dello scorso 3 ottobre 2015, svoltasi a Volturino, si è conclusa con la premiazione degli artisti: Domenico Ingino da Serino (AV) – Lydia Cuevas Posadas di Siviglia (Spagna) – Daniele Lasalandra da Genova. Un premio speciale è stato conferito dal pubblico, sommando i

voti espressi sul registro visite durante le sette mostre itineranti, realizzate nei Comuni aderenti al progetto, nonché cliccando il «mi piace» sulla pagina Facebook appositamente dedicata; il premio del pubblico è stato assegnato a Vito Moreno da Faeto (FG). Particolare rilevanza ai fini conoscitivi del progetto ha avuto il sistema di voto su Facebook. Difatti il numero visite contabilizzate è stato impressionante: nei primi due mesi ben oltre quarantamila i visitatori, che statisticamente si traducono in circa 6000 persone che almeno per una volta hanno visitato la pagina del Premio Lupo. È stato questo un grande risultato di promozione, non solo per la sezione di pittura, ma per tutte le attività del progetto e soprattutto per il brand «Monti Dauni». La sezione letteraria Il bando 2015 ha visto protocollate 150 opere provenienti da tutta l’Italia (due dall’estero: Stati Uniti d’America e Macedonia). Lo scorso 7 novembre, a Castelluccio Valmaggiore i premi sono stati così conferiti: per la contestualizzazione al racconto Il giorno in cui le fiamme toccarono il cielo di Gianfranco Foglia da Troia (FG); terzo posto al racconto Una tenue traccia di rosso di Maria Gabriella Licata da Corsico (Milano); secondo posto Il maestro Varca di Massimo Brusasco da Fubine (Alessandria) e il primo a Di carbone e di stelle di Giovanna Nieddu da Ovaro (Udine). Inoltre, sono state assegnate menzioni speciali a Dario Nincheri da Cantagallo (Pordenone), a Roberto Vaccari da Modena; a Marco Di Pinto da Bisceglie (BAT); ad Alessandro Marchi da Bologna e ad Anna Rita Martire da Lucera (FG). La sezione video Ultima arrivata delle attività inserite nel Progetto, ha conseguito anch’essa, come prima edizione, un buon risultato: 31 sono stati i video pervenuti alla Società Cooperativa giornalistica REC24 di Foggia, media partner del Premio Lupo per la sezione video. I premiati, in ordine dal primo posto, sono stati: Marco Balzano di Bovino, Pietro Piacquadio di Pietramontecorvino, Giuseppe Amoroso di Ascoli Satriano, Amalio Iannantuono di Pietramontecorvino e Stefano Amoroso di Lucera. Tutti i filmati sono disponibili sui siti www.rec24.it e www.premiolupo.it Questi numeri attestano che il Premio

Lupo non è più una favola, ma un’evidente e bella realtà dei Monti Dauni. È univoco e tangibile asserire che il Premio Lupo ha varcato i propri confini, affermandosi in un panorama molto più ampio di quello di propria pertinenza territoriale. Ma quali sono le sue finalità, visto che nel vasto panorama italiano sono presenti numerosi concorsi letterari e pittorici? A parte l’aspetto culturale, insito nel progetto, una delle finalità che lo stesso ha sin dalla sua origine è perseguire, attraverso la condivisione, l’unione simbolica fra i vari soggetti preposti alla rappresentatività del territorio, favorendo di fatto il contagio su comuni problematiche socio-amministrative. Inoltre, tali intenti favoriscono automaticamente un altro risultato: la promozione turistica dei Monti Dauni. Edizione 2016 Nona per la sezione letteraria – terza per la pittorica – seconda per i video. Posso anticipare, salvo imprevisti, che nei primi di gennaio 2016 saranno approvati e pubblicati i nuovi bandi di

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il Rosone

Periodico pugliese di cultura e informazioni

concorso che, pur ricalcando quanto già effettuato nelle precedenti edizioni, riserveranno piccole ma sostanziali novità. Ciò che maggiormente ci entusiasma è il crescere della partecipazione e delle adesioni. Alle numerose associazioni già presenti si uniranno: la Compagnia Teatrale «la Formica» di Castelnuovo della Daunia e l’Associazione «La Melagranata» di Troia, mentre ai Comuni già presenti, si aggiungeranno Casalvecchio di Puglia, San Marco la Catola e Baselice. Altri soggetti stanno valutando la loro adesione. L’ultimo dei Comuni sopra riportato, Baselice (BN), si trova in territorio campano; ebbene: il progetto da regionale si trasforma in progetto interregionale? «Andiamo avanti», ha detto il sindaco di Roseto Valfortore (comune capofila) Lucia Maria Luisi. A me non resta che dire: ad maiora. Pasquale Antonio FRISI Responsabile e coordinatore del progetto Premio Lupo

Ottava edizione del Premio Letterario Nazionale «A. Fogazzaro»

a presente edizione del Premio si articola nelle seguenti Sezioni:: a) Prosa inedita Un racconto in lingua italiana, a tema libero, che non superi dieci cartelle dattiloscritte, formato A4, di 30 righe ciascuna. b) Poesia edita Una silloge poetica in lingua italiana pubblicata da una Casa Editrice nell’ultimo quinquennio (2011-2015), inviata dall’Autore, oppure dall’Editore col consenso scritto dell’Autore. c) Studi dedicati alla figura o all’opera di Fogazzaro 1) Tesi di Laurea o di Dottorato, discussa in una Università italiana nell’ultimo quinquennio (a. a. 2011-2015) 2) Saggio pubblicato in Italia nell’ultimo quinquennio (2011-2015) 3) Articolo comparso su un Giornale o Periodico italiano nell’ultimo quinquennio (2011-2015) d) Poesia inedita in vernacolo Da una a tre composizioni inedite, a tema libero, di non più di 30 versi ognuna (con traduzione in italiano) nel dialetto di uno dei paesi della X Comunità Montana della Regione Lazio. e) Sezione giovani Riservata agli alunni dell’ultimo anno di Scuola secondaria superiore appartenente all’area della X Comunità Montana della Regione Lazio per un elaborato d’argomento storico o letterario, scelto dal Consiglio di classe, che affronti tematiche legate al territorio. I partecipanti dovranno inviare il plico contenente le loro opere in nove copie, specificando la Sezione scelta. Una sola di tali copie dovrà contenere (insieme alla dichiarazione d’essere autore dell’opera e, quando richiesto, che la medesima è inedita) nome, cognome, indirizzo postale e telematico, oltre al recapito telefonico dell’autore. I plichi, inviati per posta o consegnati a mano, dovranno improrogabilmente pervenire entro il 30 giugno 2016 al seguente indirizzo: Centro Studi “A. Fogazzaro” - via Rodolfo Ciccarelli n. 5 - 00020 Jenne (Rm). Per i plichi postali raccomandati farà fede la data di spedizione effettuata entro il termine sopra indicato. Per la Sezione Fogazzaro, tesi di laurea o di dottorato, e saggio pubblicato, si richiede l’invio di una sola copia cartacea del lavoro ed otto repliche su CD. La Giuria, unica per tutte le Sezioni, è così composta: prof. Gaetano Caricato, prof. Giulio Cecili; prof. Piero Chiaradia; prof. Walter Fratticci; dott.ssa Angela Mantella (Segreteria); prof. Don Gaetano Saccà; prof. Cosma Siani; prof. Paolo Emilio Trastulli Appolloni Figliola (presidente). Il giudizio della Giuria è insindacabile ed inappellabile. Le opere inviate non saranno restituite. La partecipazione implica la piena accettazione del presente Bando. Vincitrici, vincitori ed eventuali meritevoli di menzione riceveranno un Diploma con relativa motivazione. La Giuria potrà inoltre assegnare Premi in denaro nel modo seguente: a) Prosa inedita, euro 250.b) Silloge di poesia edita, euro 500.c) Studi sulla figura o l’opera di Fogazzaro: 1) euro 800.- 2) euro 500.- 3) euro 250.d) Poesia inedita in vernacolo, euro 200.- e pubblicazione su un periodico specialistico di cui al premiato viene offerto l’abbonamento per un anno. e) Elaborato di studente, euro 200.- (ed adeguata selezione di libri). Vincitrici, vincitori ed eventuali meritevoli di menzione riceveranno l’invito a partecipare alla Cerimonia di Premiazione che si svolgerà in Jenne il giorno 30 luglio 2016 nella sede che verrà loro indicata in occasione dell’invito e con comunicazione resa pubblica per tutti gli eventualmente interessati ad intervenire. In assenza dei destinatari, i Premi in denaro saranno incamerati ed utilizzati per la successiva edizione del Premio. Prof Gaetano Caricato Presidente del Centro di Studi “A. Fogazzaro”


il Rosone

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l sottotitolo di questo libro così recita: «Una storia qualunque… una storia di tanti». Già, ma quanti davvero conoscono la propria storia e quella della nostra città? Siamo assorbiti dal presente, un tran-tran che non ci dà tregua, che ci costringe all’afasia, impedendoci di respirare il ricordo del passato e tarpando le ali che dovrebbero proiettarci verso il futuro. Viviamo a Foggia in queste condizioni di difficoltà, che generano sfiducia, pessimismo e un senso di rassegnazione che serpeggia subdolo e paralizzante. È una situazione di stallo che il nostro Autore non accetta e che fronteggia da tempo con la lucidità dell’osservatore esterno, sin da quando, provenendo dal Salento, si è trasferito nella nostra città, che è oramai anche la sua. Ce lo conferma nella dedica indirizzata alla gentile consorte che, «con la seduzione dei sentimenti mi ha catturato all’amore per questa città». Duilio Paiano è dunque dei nostri e ce lo dimostra raccontando la storia di Francesco, un giovane foggiano che con coraggio ed entusiasmo, con la valigia piena di titoli di studi conseguiti presso la nostra Università, parte per Londra, dove lo attende un lavoro di qualità. Il culto della tradizione Buona parte del suo successo di studente e ora delle sue prospettive di vita è da attribuire alla sua famiglia, che lo ha educato ai valori della tradizione. Mamma Carmela è originaria di Faeto, il ridente paesino dei Monti Dauni, e si è trasferita a Foggia, città di papà Pasquale, nativo di Borgo Croci, cuore storico della città. I genitori si sono sforzati di trasmettere ai figli l’amore per la propria terra, con l’impegno a salvaguardare il patrimonio di conoscenze e di esperienze che va sotto l’etichetta della tradizione, intesa nel senso autentico dal latino tradere, come trasmissione, consegna nel tempo. È questo il valore del culto della tradizione che l’Autore intende come «custodia del “fuoco” che ogni uomo dovrebbe portarsi dentro per non perdere mai il senso della propria esistenza in un mondo incline a rincorrere l’effimero». Ci viene in mente un pensiero del compositore Gustav Mahler, il quale un secolo fa osservava che coltivare la tradizione non significa fare la guardia alle ceneri, ma vigilare perché il fuoco non si spenga. In questo modo il passato non è più la tomba dei ricordi, in cui le speranze scolorano in nostalgia; è invece la radice che prospera sotto la terra e che consente all’albero di cantare alla vita con la esplosione nel futuro delle foglie e dei frutti. Oggi la tradizione è associata ad un mondo che ha fatto il suo tempo, che non avrebbe nulla da insegnare all’umanità del XXI secolo, proiettata senza rimpianti verso un futuro che si preannuncerebbe luminoso. Per muoversi verso questa meta – sostengono i più avventurosi – occorre viaggiare leggeri e allora via l’inutile ingombro del passato che diventerebbe una tara insopportabile. Questo slancio prometeico verso il futuro può forse essere utile per un rapido exploit individuale, ma è poco funzionale per il progetto umano di una crescita collettiva. Ce lo conferma

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Libri e scrittori di Puglia

Anno XXXVIII – n. 1 Luglio-Dicembre 2015

Come un aquilone, nuovo libro di Duilio Paiano

fragile nel presente». È un invito (o un monito?) a fare altrettanto, senza cadere nella sterilità del disfattismo e dell’autocommiserazione. Il messaggio è diretto soprattutto alla famiglia e alla scuola, e per vincere ulteriori ritrosie, l’Autore propone in appendice una traccia preziosa per ricerche e approfondimenti su temi svariati, ma importanti per la conoscenza delle nostre radici. Francesco, così corazzato contro superficialità e improvvisazione, pur emozionato per questo battesimo della vita, può ora spiccare il volo per Londra, dove lo raggiungerà la fidanzata. È una tappa della sua formazione, perché si considera cittadino del mondo, capace di cogliere gli aspetti positivi della globalizzazione, senza sentirsi schiacciato nell’anonimato. Il suo non è biglietto di sola andata. Tornerà nella sua terra, con la maturità dell’adulto e arricchito professionalmente. C’è dunque un orizzonte di ottimismo, per il quale lasciamo la parola conclusiva all’Autore. Ogni ulteriore chiosa turberebbe l’aura poetica che vi si respira: «l’aereo che lo sta trasportando a Londra assume sempre più le sembianze di un aquilone. Egli stesso si riconosce in un aquilone. E immagina il filo invisibile, ma robusto, che lo governa e lo sostiene all’altro capo, saldamente ancorato alla sua città. L’aquilone si allontana, è vero, ma in qualunque momento il filo si potrà riavvolgere, riportandolo nello stesso luogo da cui si è librato nell’aria». Vito Procaccini

Periodico pugliese di cultura e informazioni

La ricerca possibile di un senso di appartenenza

un proverbio africano: «Se vuoi correre veloce vai da solo, se vuoi andare lontano devi farlo insieme». In volo verso il futuro Il nostro Francesco parte da solo, ma in realtà porta con sé il suo passato, la

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sua famiglia, la sua terra, un bagaglio che gli consentirà di andare lontano non nel senso fisico, ma sul piano di una crescita equilibrata e responsabile. Il suo passato non è zavorra, ma arricchimento armonico a cui ha contribuito il suo ambiente di vita, familiare e scolastico. Le radici culturali in senso lato si trovano alle falde dei Monti Dauni e nell’humus storico della città, ambiente che ha imparato ad amare perché i genitori e la scuola gli hanno insegnato a conoscerli. È qui la chiave del sistema, perché non si può amare senza conoscere, e la conoscenza vera è proprio quella che si perde quando siamo sommersi – come accade oggi – da una massa infinita di informazioni che ci disorientano, perché non siamo in grado di classificarle per individuare il movimento di fondo. Francesco, pur nella modestia delle condizioni familiari, è stato educato a coltivare quella curiositas che gli ha consentito di acquisire un senso di appartenenza, che recherà con sé ovunque le vicende della vita lo porteranno. L’Autore lo segue nella sua iniziazione culturale, aprendo qua e là finestre sulla nostra città, «forte nella storia e

Una partenza che non sa di abbandono della storia

’è un sottile filo che unisce l’opera di Duilio Paiano, Come un Aquilone (Edizioni del Rosone, 2015), al capolavoro del Verismo italiano I Malavoglia; in tutte e due le opere abbiamo un giovane che abbandona la sua terra di origine per cercare fortuna in luoghi diversi e lontani. Nel libro di Verga è il giovane ‘Ntoni a lasciare Aci Trezza, deluso del luogo e della vita che lì conduce, amareggiato per la sua condizione esistenziale, frustrato dall’impossibilità di realizzare i suoi sogni; la sua partenza presuppone un abbandono definitivo e il superamento di quel mondo pre-moderno che gli sta stretto e che non condivide. Anche Francesco, il protagonista foggiano del romanzo di Paiano, lascia la sua terra natia in cerca di realizzazione in altre contrade e in terre differenti, eppure quanta differenza notiamo dalla partenza dell’altro componimento narrativo! Qui vi è tutta la sofferenza e il dolore della separazione, confortata da una convinzione di fondo: non è un abbandono definitivo, non è un legame che va a spezzarsi per non essere mai più annodato. Il giovane, all’inizio della sua avventura nella realtà londinese, si porta dietro tutto un patrimonio culturale e affettivo di cui è geloso e che farà da sfondo alla sua nuova vita. La sua partenza presuppone un ritorno, vicino o lontano che sia nel tempo, perché è nella sua Foggia che il giovane vuol spendere e mettere a frutto le competenze che ha maturato

e l’entusiasmo che lo contraddistingue. La differenza dei due romanzi è tutta qui; nella diversa predisposizione d’animo dei due autori: il Verga è pessimista sull’opportunità che la sua terra, la Sicilia, possa riscattarsi dalla sua atavica indifferenza e passività; egli è, in fondo, ‘Ntoni che resta nella sua terra; non per cambiarla, perché non ha nessuna speranza in un possibile cambiamento. Francesco che parte, invece, è Paiano

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che non vuole andarsene; perché l’amore per la sua terra contraddistingue l’autore di questa bella storia dei nostri giorni, con la consapevolezza che è nelle radici di ognuno di noi che risiede la nostra forza e la speranza di un riscatto futuro. Radici antropologiche, sociali e famigliari. Francesco ama la sua terra, con tutte le sue contraddizioni e le delusioni che essa produce, perché la ama il suo autore. Lasciando Foggia, egli lascia i suoi nonni, i terrazzani paterni e quelli materni del Subappennino; lascia i suoi genitori, la sua Xenia, il suo Giannone; ma non lascia la sua storia. Anzi, se la porta nel suo bagaglio londinese. Giampasquale Lariccia

Premio Umanesimo della Pietra per la Storia al professor Pasquale Cordasco

i è svolta nella sala consiliare di Palazzo Ducale, a Martina Franca, la cerimonia di assegnazione del Premio Umanesimo della Pietra per la Storia, edizione 2015. Il Premio è stato assegnato al professor Pasquale Cordasco che nell’occasione ha tenuto una conversazione e ricevuto il multiplo d’arte in bronzo La Voce della Storia, realizzato nella fonderia del commendatore Giuseppe Bellucci. Pasquale CORDASCO è nato ad Acquaviva delle Fonti il 9 luglio 1949. È professore associato di Diplomatica presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Bari e dal 2011 è direttore del Centro Studi Normanno-Svevi dell’Università di Bari. Svolge la sua attività di ricerca soprattutto intorno alla produzione documentaria del Meridione medievale, provvedendo, anche, al riordino e alla sistemazione archivistica dei fondi conservati in numerosi archivi pugliesi. Fra i lavori scientifici più significativi si ricordano diverse edizioni critiche di documenti, inserite nel Codice Diplomatico Pugliese e nella raccolta delle Chartae Latinae Antiquiores. Negli ultimi anni ha prodotto alcuni studi su documenti inediti di età sveva e angioina dell’Archivio Arcivescovile di Trani. Il Premio Umanesimo della Pietra per la Storia, istituito nel 1998, viene annualmente assegnato da una Giuria popolare di oltre cinquecento componenti a uno studioso che nel corso della propria attività di ricerca abbia dato un notevole contributo alla conoscenza e alla divulgazione della storia di Puglia nei diversi campi d’indagine.


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Anno XXXVIII – n. 2 Luglio-Dicembre 2015

Libri e scrittori di Puglia

Alberi, silloge poetica di Giuseppe Pellegrino

L’amore per la natura, la fede i ricordi del passato, l’ironia A

nche sulla copertina del libro Pensieri d’autunno, pubblicato nel 2012, vi è un albero, come nella raccolta attuale del Poeta Giuseppe Pellegrino, a titolo Alberi. Vi ritroviamo gli stessi motivi ispiratori: l’amore per la natura, i ricordi del passato, la fede in Dio ed anche un certa carica d’ironia. Ma c’è un’importante novità. Nell’albero rugginoso della precedente copertina vi è una metafora della nostra vita che cambia colore sul far dell’autunno. Nella copertina dell’ultima raccolta, anche se c’è ancora un singolo albero, come nel passato, esso non è un albero, ma è l’albero, cioè un archetipo di albero, che ingloba e rappresenta contemporaneamente tutti gli alberi del mondo. Ed in più, questo albero della nuova raccolta non ha concretezza, non mostra i suoi rami, che sono invece schizzati, confusi e si rivolgono come strali verso il cielo. E noi ci chiediamo il perché. Lo chiedo all’Autore affinché ne chiarisca la differenza. Da parte mia, seguendo la riflessione delle sue poesie, penso che mentre il filo della sua vita sembra srotolarsi sempre più, la proiezione dello sguardo poetico si rivolge ancor più verso l’alto, verso una realtà ideale che affascina e commuove, ed ancor più che in passato nel nuovo libro si avverte lo sguardo poetico rivolto al cielo. Ma passiamo alla letture delle sue poesie. Il primo tema, quello che attraversa ed illumina tutta la sua visione poetica, è l’amore per la Natura: gli alberi, l’acqua che s’apre percorsi nella terra e tra le pietre per riversarsi nel mare - com’è uguale questo riferimento metaforico alla vita del Poeta e di ciascuno di noi - e i prati, il vento, le montagne e i germogli d’albero, la rondine, le ultime foglie spente, il prato, una conchiglia, gli anfratti di roccia, il sole, il mare, la luna e perfino le radici, tutti elementi che colpiscono la fantasia dell’Autore in quanto ognuno di essi ricalca intensi significati della vita. E non risparmierà l’argento dei suoi capelli l’ombra del carrubo, anche se la sua «centenaria vita» vorrebbe ancora specchiarsi «nell’essenza infinita della natura». Nella narrazione poetica di questo libro si affastellano metafore sopra metafore, per esorcizzare il tempo che scorre; ma non è solo questo il significato delle poesie sulla natura, giacché ogni singolo respiro poetico è una spinta ad un abbraccio di natura e uomo. L’uomo, nell’ammirazione della natura, la trasfigura, la umanizza, la fa a propria misura. La natura, da parte sua, sensibile alla carezza del verso, del sospiro dolce della poesia si mostra in tutta la sua bellezza, non solo per quello che ha in sé, ma perché in un processo di trasfigurazione la Natura si fa creato. Purtroppo non sempre l’uomo sa attingere al filo luminoso che lega la natura a Dio, perché a volte, avendo indurito il suo cuore, egli preferisce spogliarsi della sua umanità per partecipare ad una distorta modernità. Allora, di fronte a questo, l’Autore insorge contro tutte le brutture che ci sono ancora nel mon-

do ed alla nostra capacità distruttiva dell’ambiente, allora ci chiede, a gran voce: «Dove sei tu uomo?». Egli in effetti è convinto, come papa Francesco, che l’egoismo, la distruttività umana, la mancanza di rispetto per la natura, il disordine che l’uomo moderno sta praticando, particolarmente negli ultimi secoli, sia frutto di un disordine morale, di un appannamento dell’umanità dell’uomo, che pensa che si debba vivere per il mercato e con la fede nell’onnipotenza tecnologica. Ma intanto il tempo scorre ed incombono i pensieri del passato, per trasportare il vissuto ed i palpiti di gente che non c’è più; così il pensiero del Poeta altalena tra il presente ed il passato ormai senza più vita. Il ricordo del padre, che lo conduceva per mano verso la foce della vita, i primi vagiti dei propri figlioletti, la sua gioventù, i sapori delle perdute stagioni, il fluire dei fatti avvenuti che via via s’allontanano, la sabbia dei ricordi che sfuggono tra le dita, il lontano suono delle campane, la gente diventata solo memoria, la madre avvolta nel suo mistero e i suoi «giorni tutti nel palmo di una mano». In questa’altalena di struggenti rimembranze il Poeta si perde, chiedendosi, come già fecero i grandi filosofi dell’idealismo nell’Ottocento: «Ricordo io o son ricordo anch’io?». Così, in questo «Caleidoscopio di sogni e realtà… E nello sfumar del tempo» egli dice «più non sai se hai vissuto o soltanto stai sognando». Sulla strada del Poeta non vi sono soltanto rocce, piante e vento, giacché nel disvelamento del fenomeno c’è il segno di qualcosa che rimanda ad un’entità superiore, ad un Motore immobile, autore di tanta bellezza. Perciò l’ammirazione di questa opera sterminata ed armoniosa, qual è la creazione, rimanda ad una suprema grandezza che l’ha creata. Ciò è la verità, ma non ancora tutta la verità. Nell’entità delle cose reali, non troviamo solo un rimando ad un Dio creatore, ma infusa nel creato stesso noi troviamo la stessa essenza divina. E ciò è dimostrato dalla constatazione che il giro dei mondi, ovverosia il cosmo, poteva impattare e

fondersi la terra e la stessa luna con il sole, ma questo non è avvenuto, giacché è prevalso un ordine superiore, un’armonia universale infusa nei corpi stessi da «Chi… le fila movea», cioè Dio. E, del resto, quel soffio creatore viene visto e riconosciuto non solo nel giro del creato, ma in tutte le manifestazioni della vita sulla Terra e perfino nello schiudersi di un piccolo «seme che s’apra alla vita». Intanto nei versi e nell’animo del Poeta incombono «germogli d’età avanzata… or che si srotola il gomitolo» della vita e sul quadro della sua esistenza si confonde il vissuto con il già vissuto ed in questo spaccato di un vissuto mutevole e multicolore spunta un «nuovo mestiere» da pensionato, se egli non vuole essere tacciato da uomo che sta «sta senza far niente». Questo nuovo mestiere è stare a giocare con gli specchi dei suoi versi. Ovverosia, il magistrato Giuseppe Pellegrino ha trovato infine «il nuovo mestiere che farò da grande». Ma si nota, anche, nelle sue poesie della maturità, di un diversamente giovane, anche tanta ironia, per la moglie che gli tiene tutto in ordine, perfino gli sistema la piega ai pantaloni e gli rimette i calzini nel cassetto; per i nipoti che gli rifilano bacchettate di rimprovero, dopo quelle ricevute dai figli. Perché questa voglia di poesia, che gli è presa in età avanzata non rimanga una semplice autoglorificazione, egli corre ai ripari. E così si affretta a dire: «Le mie parole, scritte fra spiragli di rami» sperano nel vento, perché le tolga dalla sue mani e «l’involi dove e a di chi non so». Non sarà, in tal modo, vana fatica; e faccia il vento come la terra che feconda le radici. Allora e solo allora le parole «flebili, eteree» del Poeta non saranno frutto di vana fatica, ma «balsamo per l’animo che l’attende». E preso slancio, il Poeta si rivolge a chi resterà quando egli non sarà più, offrendo loro il miglior modo per rivedere la sua immagine, per capire quello che Egli sia stato, le sue idee più autentiche, le speranze nel futuro, i sapori delle sue stagioni, l’amore per i germogli nati

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sul suo tronco, la forza e le debolezze, la fede profonda e gli orizzonti in cui ha creduto. Basterà aprire le pagine ingiallite dei suoi versi per ritrovare, d’incanto, gli antichi colori. Ma non si può chiudere la riflessione sulle poesie di Giuseppe Pellegrino, senza estendere la riflessione sull’analisi stilistica della sua versificazione. Questa raccolta di ottanta liriche è composta di 32 terzine a rima incatenata, ovverosia ogni singolo verso di una strofa ha la sua corrispondenza ritmica, dopo l’ultimo accento tonico, non con il verso che segue, ma su quello successivo. E vi sono 12 quartine a rima alternata, nelle quali cioè la corrispondenza ritmica avviene a sequenza ABAB. Tutte le altre liriche sono a verso libero, ma ciò non significa che non vi sia una certa musicalità interna alla stessa struttura delle poesie. Ed all’interno di tale impostazione poetica mi preme rilevare che un paio di poesie si orientano nel senso di una scarnificazione del verso, e faccio richiamo alle poesie Il soffio di Dio (pag. 39) e Pensiero Lontano (pag. 66) che hanno una stringatezza ed una capacità evocativa tipicamente ungarettiane. Queste due poesie, gettate come due semi tra le zolle della sua poetica, potrebbero aprire a Giuseppe Pellegrino, se coltivati con cura ed accuditi nella loro fase di crescita, ancora altri spiragli di un poesia spirituale, attraverso la inconsistenza della struttura metrica, la scarnificazione del verso, capace di fare transitare ad una condizione suggestiva che dia meno spazio alle parole e più luogo alla musicalità intensa e sottile proprie delle litanie, alle pause del non dire, più che all’esplicito significare. Insomma visto che tra la prima e la seconda silloge l’esigenza di esprimere un anelito spirituale è ancor cresciuta, io auspico, se trovano accoglimento nella aspirazione del nostro poeta, una ricerca in tal senso che ci possa dare nella prossima produzione, che spero possa essere ricca ed intensa, una svolta verso una poetica della spiritualità. Italo Magno

Nuovo numero di Periferie

ubblicato il nuovo numero 74-75, aprile-settembre 2015, di Periferie, trimestrale di cultura diretto da Vincenzo Luciani, che propone un ampio resoconto sull’esito del Premio Nazionale di Poesia nei dialetti d’Italia «Città di Ischitella-Pietro Giannone» 2015 con note critiche e biografiche sulle opere e gli autori. Completano l’interessante pubblicazione il saggio di Ombretta Ciurnellli Lingue a confronto che parte dall’analisi del libro curato da Piero Marelli e Maurizio Noris «Con la stessa voce», antologia di poeti dialettali traduttori, proponendo una significative riflessioni sulla ricchezza dialettale delle regioni italiane. Tra le «Recensioni e note», Canzune d’amore di Camillo Coccione; Racconto di un’amicizia di fine Millennio, di Ombretta Ciurnelli; Angela Bonanno e la metafora del pane, di Maria Gabriella Canfarelli.

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Annuario di Umanesimo della Pietra

ella Sala consiliare di Palazzo Ducale, a Martina Franca, è stato presentato il trentottesimo numero dell’annuario «Riflessioni-Umanesimo della Pietra». I dieci saggi proposti sono stati illustrati da Domenico Blasi, direttore della rivista, alla presenza degli autori e dei redattori.


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Libri e scrittori di Puglia

Nuovo libro di don Donato Allegretti

Il senso della vita: approdare ad una dimensione superiore

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ita sine proposito vaga est (La vita senza una meta è vagabondaggio): così scrive Seneca a Lucilio quasi duemila anni fa, ricordandogli (Epist. 95, 46) che nella direzione del «porto» da raggiungere l’uomo deve saper orientare ogni sua azione, ogni suo comportamento, ogni sua parola, al pari dei naviganti capaci di dirigere il loro corso, guardando a qualche stella. Il «sommo bene» di cui parla il filosofo di Cordova si è, però, nel tempo trasformato nella totale «assenza» di ogni riferimento valoriale nella società contemporanea, immersa in una sorta di frenesia del nulla ed orientata come non mai a consumare attimi di presente, in nome della grossolana filosofia materialista dell’ hic et nunc – concepita come una cattiva

versione modernista del carpe diem di memoria epicurea – con l’inevitabile conseguenza per l’uomo di scivolare sempre più verso la desertificazione del cuore e della mente. In questa prospettiva, ben sottolineata da don Donato Allegretti, parroco della BVM dell’Altomare di Orta Nova, nel suo libro I pozzi di significato. L’uomo e le sue sorgenti di senso (Foggia, Edizioni del Rosone, 2015), non può non determinarsi lo smarrimento del significato della vita quale portato inevitabile di un modo di agire improntato solo al possesso, alla manipolazione, all’uso e al consumo (cfr. il tasso di inquinamento della legalità, la corruzione, la violenza ad ogni livello dei tempi che stiamo attraversando): i valori che in passato costituivano, infatti, il naturale supporto della convivenza civile, sono divenuti progressivamente evanescenti e desueti, lasciando campo libero a paradigmi di stampo utilitaristico e a forme convulse di ricerca del piacere e del potere a tutti i costi (cfr. C. Taylor, Il disagio della modernità, Bari, Laterza, 1994). Perduti così i punti di riferimento di un tempo e i valori di appartenenza, la propria traiettoria esistenziale diventa davvero un continuo girovagare senza meta e senza scopo, perché ci si sente come immersi in un mare di nebbia, si procede lungo il cammino a casaccio, senza speranze, senza illusioni, senza nulla che conferisca bellezza e significato alle cose: tutto diventa opaco, liquido, incompiuto e insignificante, mentre nulla merita attenzione, nulla più trattiene il nostro interesse e soprattutto il nostro rispetto. Di tutto questo, cioè del degrado cui giorno dopo giorno assistiamo inerti ed impotenti, assuefatti e indifferenti al male che dilaga intono a noi, hanno

goscia dell’attuale condizione umana, trattando in modo chiaro e lineare temi dottrinali e complessi come la libertà e la responsabilità, la vita e la morte, la sofferenza, il lavoro, l’amore, la festa, Dio e la fede, da lui definiti «pozzi di significati» ai quali attingere i veri valori, quelli che danno un senso all’esistenza e per i quali vale la pena di vivere. Un libro, dunque, davvero coinvolgente quello di don Donato, che può, da un lato, favorire in ogni lettore una sorta di profonda metànoia, di rivoluzione interiore, di conversione del cuore e della mente, capace di far riflettere ogni uomo sul proprio posto nel mondo; dall’altro di promuovere un’espansione della coscienza tale da far comprendere, attraverso un atto di fondamentale umiltà e lealtà verso stessi, che la vita ha senso solo se si è in grado di andare al di là del mero soddisfacimento degli impulsi o della semplice ricerca del piacere, per approdare ad una dimensione superiore, agendo e muovendosi sul piano spirituale, per dirla con il medico-filosofopsichiatra Viktor Emil Frankl. In questa direzione ovviamente si muove il libro di don Donato Allegretti, che non solo merita di essere letto ma anche diffuso, perché ha in sé una grande vis attrattiva, quella di inserire il lettore all’interno di un orizzonte positivo, intessuto di veri valori e di significati superiori da attribuire alle nostre azioni e ai nostri pensieri, gli unici in grado di dare totale gratificazione all’uomo contemporaneo. Non si può, infine, non essere d’accordo con il giovane parroco di Orta Nova, anche perché, per dirla con Seneca, longa est vita, si plena est: impletur autem, cum animus sibi bonum suum reddidit et ad se potestatem sui transtulit (La vita è lunga se è piena ed è piena, quando l’animo ha saputo darsi il suo bene e prendere il governo di sé). È piena, aggiungo io, quando si ha la capacità di mettere al centro dell’attenzione non noi stessi e i nostri problemi, ma «qualcosa» o «qualcuno» che trascenda noi stessi e che dia finalmente risposte a quel forte bisogno di trascendenza che è in ogni uomo. Alfonso Maria Palomba

Sono «cartoline» di ieri e di oggi che inducono a un moto di controllata nostalgia pur nella consapevolezza che il tempo non trascorre invano: il paese e i suoi abitanti mutano nell’aspetto e aggiornano stili di vita e comportamenti. I mestieri di una volta lasciano il posto ad attività meno faticose e più tecnologiche. Tuttavia, la immaginaria

cartolina illustrata in bianco e nero che richiama il paese dell’anima giovanile del nostro poeta non si rassegna a lasciare il posto ai colori e alla modernità che sono sotto i suoi occhi, offrendogli un paese certamente più ridente e più comodo da vivere ma, forse, più avaro di sentimenti e di emozioni. E tuttavia, Castelnuovo è capace di determinare quel tumulto interiore appagante e fonte di benessere, porto accogliente e rassicurante per ritrovare la pace interiore con se stesso e con gli uomini. Marcello Ariano anche in questa silloge, leggera nelle pagine ma corposa nei sentimenti, si conferma maestro impareggiabile nel trovare le parole per trasferire al lettore le sue sensazioni e le sue emozioni. Pochi, come il poeta nativo di Torremaggiore, riescono a comunicare il loro stato d’animo coinvolgendo completamente il lettore. In questa operazione Ariano è un maestro di assoluta bravura, sicuramente tra le voci più sensibili e delicate del movimento poetico pugliese contemporaneo, confermando la sua predilezione per i temi legati al culto delle radici, ai valori della civiltà contadina, all’importanza delle relazioni interpersonali. Duilio Paiano

Un atto d’amore per la sua terra intriso di consapevole nostalgia

arcello Ariano ci ha regalato l’ennesimo saggio partorito dalla sua bravura di generatore di emozioni. L’abilità a trasferirle dal suo animo al lettore è ormai riconosciuta e testimoniata dalle numerose pubblicazioni che, negli anni, hanno costellato la sua pregevole e significativa produzione poetica. Impresa non di poco conto, e tutt’altro che scontata, se si pensa alla funzione comunicativa della poesia e alla difficoltà di trovare gli strumenti idonei per riuscirci. Ariano lo fa alla grande e, se possibile, con intensità crescente rispetto alle precedenti esperienze. È il caso di questo recente, agile, accattivante volumetto – Cartoline dal Preappennino, Edizioni del Rosone – in cui adopera la tavolozza del cuore per rappresentare scorci, personaggi, atmosfere di Castelnuovo della Daunia, ameno paesino del Preappennino cui è

legato sentimentalmente e diventato, nel tempo, il rifugio dell’anima prediletto. Lungi dall’essere una poesia «di paese», viziata di campanilismo, questa di Marcello Ariano si presenta con tutta la dignità dell’universalità perché universali sono gli elementi con cui è costruita: il trascorrere del tempo (Nei rintocchi dell’orologio / il tempo che va il tempo che viene / misura che si dissolve…), le suggestioni delle stagioni (Qui la primavera ha un che di tenero / addolcisce i dorsi e i pruni / estate presto s’invola / tra ciuffi gialli di ginestre…), le voci e i «rumori» degli uomini (Al mattino presto / voci dai balconi aperti / in paese s’affaccendano ai mestieri / per il raccolto nuovo…), le meraviglie del Creato (Come ogni sera / chiamate a convegno / tornano le stelle / con addosso vesti lucenti / Come ogni sera / la luna pensile e pallida / prende posto in cielo…).

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parlato, presso la Parrocchia della BVM dell’Altomare di Orta Nova, Francesco Bellino (Università di Bari), S.E. mons. Felice di Molfetta e lo stesso autore del libro, che hanno presentato l’opera al pubblico intervenuto, sottolineandone gli aspetti più significativi. Don Donato Allegretti (classe 1971), alla cui penna si deve il libro, è un giovane sacerdote che, dopo il volume In mille immagini ti contemplo (2014), consegna oggi al lettore – alla città di Orta Nova e a quanti vogliano avviare al proprio interno un percorso di consapevolezza – una sorta di filo di Arianna per uscire fuori dal «vuoto esistenziale« dei nostri tempi, dominati da forme pervasive di idolatria di vario genere (il dio denaro, il potere, il piacere, il sesso, la droga e così via), non disgiunte da un marcato «spaesamento morale» che ormai ha aperto la strada alla confusione sociale e alla degenerazione morale (cfr. il caso della diciassettenne di Melito Porto Salvo, Reggio Calabria, che ha ucciso la madre, che le aveva vietato l’uso del computer e del telefono cellulare). L’horror vacui, la paura degli spazi vuoti, si è trasformata così in una situazione di passività, oltre che di «mancanza», generatrice a sua volta di una diffusa sensazione di perdita di senso nella vita e capace solo di stimolare pensieri sterili, che non portano a propositi o a progetti ma solo all’isolamento e al disorientamento. In un contesto del genere, reso sempre più marcato da una società munifica di gratificazioni illusorie ma avara di tensioni ideali, il «vuoto esistenziale» diventa davvero fastidioso, soprattutto quando viene percepito come «assenza» di qualcosa: in questo ha proprio ragione don Donato, quando afferma che la vita senza significato è il trionfo dell’irrequietezza e del disagio, una nave che anela il mare aperto, senza essere in grado di mollare gli ormeggi, una sorta di insignificante routine, segnata da ritmi sempre uguali a se stessi e, comunque, interiormente fragili ed inconsistenti. Di fronte al malessere diffuso nella società odierna ad ogni livello, Don Donato sa dare, però, risposte convincenti e sa indicare una via per uscire fuori dall’an-

Cartoline dal Preappennino di Marcello Ariano

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Anno XXXVIII – n. 1 Luglio-Dicembre 2015


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Anno XXXVIII – n. 2 Luglio-Dicembre 2015

Arte e Musica alla Pinacoteca della Città Metropolitana di Bari

rticolata in tre incontri, si è svolta a Bari, presso la Pinacoteca della Città Metropolitana, dal 4 ottobre al 22 novembre scorsi, la XIV edizione di Arte e Musica, dinamiche e tematiche affini nell’arte e nella musica. Si tratta di frequentatissimi matinées in cui si intrecciano conversazioni d’arte all’esecuzione di brani musicali, in omaggio alla formula sperimentata con successo negli anni precedenti. Il primo, che si è svolto domenica 4 ottobre, è consistito in una conversazione, tenuta da Clara Gelao, direttrice della Pinacoteca, e arricchita di immagini, sul tema: Cleopatra & le altre. Suicidio, eros e passione nella pittura italiana del Seicento. Domenica 25 ottobre il secondo appuntamento dedicato alla tematica della follia nell’arte e nella musica. La conversazione storico-artistica, dal titolo Arte e follia. Due punti di vista, tenuta da Clara Gelao, direttrice della Pinacoteca, è stata arricchita da numerose immagini che hanno permettesso di conoscere, attraverso un percorso dalla prima metà del Settecento alla metà del Novecento, le più significative rappresentazioni della follia da parte di artisti come Hogarth, Messerschmidt, Goya, Signorini, Van Gogh, Viani, Soutine e numerosi altri, nonché alcuni dei più celebri autoritratti di artisti notoriamente affetti da problemi psichici. Il successivo momento musicale ha

visto l’esecuzione di brani tematicamente affini tratti da opere liriche quali la Nina o sia la pazza per amore di Giovanni Paisiello, I Puritani di Vincenzo Bellini, la Lucia di Lammermoor di Gaetano Donizetti. I brani sono stati eseguiti dal soprano coreano Lee Go Eun, accompagnata al pianoforte da Emanuele Petruzzella. Domenica 22 novembre, infine, l’incontro è stato dedicato all’influenza della cultura spagnola nell’arte e nella musica in Europa tra Otto e Novecento. La conversazione storico-artistica, dal titolo La pittura “spagnola” di Edouard Manet, tenuta da Giacomo Lanzilotta, Ispettore della Pinacoteca, e arricchita da numerose immagini, ha permesso di conoscere un aspetto poco conosciuto del grande pittore francese, la sua passione per la Spagna, con la sua cultura e i suoi artisti. Il successivo momento musicale ha registrato l’esecuzione di una gitaneria spagnola, El amor brujo (L’amore stregone), del compositore Manuel de Falla, libretto di Gregorio Martìnez Serra e Maria Lejàrraga. L’opera, in due atti, nella versione originale per mezzosoprano e orchestra da camera, è stata eseguita dal Collegium Musicum con la partecipazione del mezzosoprano Andrea Trueba e sotto la direzione del maestro Rino Marrone. Stefania Paiano

Giornata dei Caracciolo Memorial Maruska Monticelli Obizzi

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romossa e organizzata dal Gruppo Umanesimo della Pietra, in collaborazione con l’Assessorato alle Attività Culturali del Comune di Martina Franca, si è svolta la XIII edizione della Giornata dei Caracciolo Memorial Maruska Monticelli Obizzi, manifestazione che intende onorare la memoria di Maria Beatrice Monticelli Obizzi, nota come donna Maruska. Il XIV anniversario della scomparsa di donna Maruska è stato ricordato nel 2014 come tributo alla memoria di una persona di vasta cultura e di profondo sentire, che nel corso della propria esi-

•• Abbonamenti 2016 ••

Gentili lettori, direttori di Biblioteche, responsabili di Enti pubblici e Associazioni, ogni annata de «Il Rosone», rivista diffusa solo per abbonamento - costituisce un documento storico-culturale-letterario, unico nel suo genere in tutta la Puglia. Alcuni di voi sono fedeli abbonati, altri ricevono solo alcune copie in omaggio. Vorremmo inviare a tutti regolarmente il nostro periodico. Abbonatevi e diffondete «Il Rosone», periodico pugliese di cultura e informazioni. Rinnovando l’abbonamento riceverete il libro scelto da voi e otterrete lo sconto del 30% su ogni volume del catalogo delle Edizioni del Rosone presente sul sito www.edizionidelrosone.it. Il Rosone Ordinario Sostenitore Benemerito

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Il Rosone + Il Provinciale + Carte di Puglia

stenza ha più volte manifestato sincera ammirazione nei confronti di Martina Franca, delle sue istituzioni e delle sue associazioni socio-culturali. Maria Beatrice Monticelli Obizzi, nata a Milano il 22 gennaio 1924, è spirata in una clinica di Roma, stroncata da un terribile male, il 14 dicembre 2001. Figlia del marchese Giannantonio Monticelli Obizzi e di donna Isabella de Sangro, donna Maruska era nipote ex sorore dell’ultimo duca di Martina, Riccardo de Sangro (1889-1978). Con estrema decisione seppe imporre agli altri coeredi del duca Riccardo il rispetto delle volontà dello zio defunto, il quale aveva più volte manifestato l’intenzione di donare al Comune di Martina Franca tutte le carte delle famiglie Caracciolo e de Sangro da due secoli conservate nel grande palazzo di Casa Isabella a San Basilio, in territorio di Mottola. Quest’enorme giacimento culturale,

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dichiarato dalla Soprintendenza Archivistica per la Puglia di notevole interesse nazionale, oggi informatizzato e messo in rete, è stato arricchito da donna Maruska nel 1997 con il versamento degli ultimi documenti riguardanti la più recente gestione del vasto latifondo di San Basilio, proprietà burgensatica dei duchi di Martina. Nel Refettorio dell’ex Convento delle Agostiniane Eremitarie di Martina Franca si è anche svolta la Giornata di Studio in memoria di Donna Maruska Monticelli Obizzi. Dopo i saluti di Antonio Scialpi, assessore alle attività culturali del Comune di Martina Franca, ha svolto la relazione Vittorio De Marco sul tema L’arcivescovo Tommaso Caracciolo (1637-1663) e il mondo religioso di Martina. Ha coordinato i lavori Domenico Blasi, direttore del Gruppo Umanesimo della Pietra. Marida Marasca

Intensa attività della Fondazione Carlo Perini

ntensa attività della Fondazione Perini che ha organizzato un nutrito programma di incontri sul tema della legalità. Il 22 ottobre, a Villa Scheibler a Quarto Oggiaro, Concerto di poesie, musica, legalità Villa Scheibler: lettura di poesie d’amore composte e recitate da Antonietta Dell’Arte, accompagnata da musiche di Beethoven, Schubert e Chopin. Il 27 ottobre, presso la ex Fornace Alzaia, Naviglio Pavese, presentazione del libro Giocati dall’azzardo: mafie, illusioni e nuove povertà della psicoterapeuta Cristina Perilli. Nell’occasione, il Teatro del Buratto ha presentato lo spettacolo Io me la gioco… I giovani e l’azzardo. Dal 4 al 30 novembre, a cura dell’Associazione AIVITER, è rimasta aperta al pubblico, presso l’ITIS «Giorgi», la mostra fotografica Anni di piombo – La voce delle vittime per non dimenticare, con testimonianze dei familiari delle vittime del terrorismo con docenti e studenti. Il 12 novembre la Compagnia «Ultimo Teatro» ha presentato lo spettacolo In ginocchio: storie di mafie, scritto e interpretato da Luca Privitera ed Elena Ferretti per la regia di Sergio Lo Verde. La stessa Compagnia teatrale, nella serata, ha rappresentato Restiamo umani sul volontario Vittorio Arrigoni strangolato a Gaza nel 2011 da un gruppo salafita. Il 24 novembre, presso Teatro Milano, incontro con l’ex magistrato di «Mani pulite» Gherardo Colombo che ha parlato sul tema Educare alla legalità e alla giustizia. Sabato 14 novembre, infine, presso l’Istituto penale per minorenni «Cesare Beccaria», è stato discusso il tema Periferie urbane nuova frontiera della legalità. Dopo la chiusura del convegno la Fondazione Carlo Perini, in collaborazione con il Coordinamento Comitati Milanesi e «Retebaggio» ha organizzato, al cinema-teatro della chiesa di San Giovanni Bosco, Musical per la legalità: fiori tra le rocce, a cura dell’Associazione «Work in progress». Stefania Paiano

Volumi omaggio per ogni tipo di abbonamento 1. Saggi, scrittori e paesaggi. Nuove occasioni letterarie pugliesi di F. Giuliani 2. Ho viaggiato con l’apostolo Tommaso di C. Serricchio 3. La macchia nell’occhio di L. Vecchiarino 4. Tracce-elementi di antropologia culturale di P. Resta Sottoscrivendo l’abbonamento si ha diritto ad una proposta a scelta dell’offerta, due proposte per i sostenitori, cinque per i benemeriti. Chi sottoscrive, oltre che per sè, un abbonamento per un amico, conoscente o familiare, riceverà in omaggio il volume: Racconti di Joseph Tusiani. Chi sottoscrive un abbonamento a due o a tre riviste (come pacchetti a destra) potrà scegliere un volume nell’elenco presente sul nostro sito. Per sottoscrivere l’abbonamento utilizzare il conto corrente postale n. 21664446 intestato a Edizioni del Rosone - Via Zingarelli, 10 – 71121 Foggia - Tel./Fax 0881/687659 E-mail: edizionidelrosone@tiscali.it - Sito: www.edizionidelrosone.it Nella causale è sufficiente indicare il numero relativo ai volumi scelti. Leggete «Il Rosone» on line sul sito www.edizionidelrosone.it


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