Il Provinciale e il Rosone OGGI - 1/2019

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ANNO XXX

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2019 FONDATO DA FRANCO MARASCA

Leccese, 44 anni, il più giovane d’Italia

Il «fenomeno» Greta Thunberg e i cambiamenti climatici

Il prof. Limone nuovo rettore dell’Università di Foggia

Segnale di una nuova sensibilità o soltanto exploit mediatico?

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entre il mondo continua a essere scosso da avvenimenti negativi che sembrano sfuggire alla capacità di risoluzione (o alla volontà…) dei potenti della terra, si profila, inatteso, all’orizzonte del nostro tempo, una ragazzina svedese che con il piglio della Giovanna d’Arco formato terzo millennio, assume i panni dell’eroina capace di dominare gli eventi. O, comunque di indirizzarli. Greta Thunberg – è di lei che stiamo parlando – studentessa svedese di sedici anni, si è fatta carico dei guasti ormai incontrollabili causati dai cambiamenti climatici indotti dall’uomo e, supportata dal clamore mediatico di cui ha goduto, ha prodotto un fragore universale che ha contagiato istituzioni e Stati come mai prima era avvenuto. Greta, vegana per scelta e figlia di una cantante d’opera e di un attore, ha temporaneamente abbandonato la scuola che frequenta a Stoccolma, intraprendendo un tour di promozione e sensibilizzazione che l’ha portata a partecipare ai lavori della COP24 dell’ONU, indirizzando ai leaders mondiali intervenuti parole pesanti: «Voi parlate soltanto di un’eterna crescita dell’economia verde poiché avete troppa paura di essere impopolari. Voi parlate soltanto di proseguire con le stesse cattive idee che ci hanno condotto a questo casino, anche quando l’unica cosa sensata da fare sarebbe tirare il freno d’emergenza. Non siete abbastanza maturi da dire le cose come stanno. Lasciate persino questo fardello a noi bambini». Ha incontrato Papa Francesco, ha presenziato al forum mondiale di Davos e in numerose altre città europee, ha parlato al Parlamento di Bruxelles. I media di tutto il mondo l’hanno seguita, le hanno concesso spazio e tempo come mai prima era accaduto per le problematiche connesse ai cambiamenti climatici e ai comportamenti dissennati degli uomini e dei governanti. Greta ha compreso che intorno al peggioramento climatico si muovono interessi enormi, che per rompere il cerchio di disattenzione e di complicità occorreva un gesto eclatante che la inducesse a calarsi in un ruolo in grado di fare scalpore e e di attirare su di sé attenzioni, critiche e simpatie. Così è stato, infatti. È inevitabilmente diventata un personaggio che fa discutere e che nell’immaginario popolare ha assunto, al tempo stesso, i panni di salvatrice della patria ambientalista e di intrusa presuntuosa in un campo che (apparentemente) non le appartiene. Sembra aver affrontato e assorbito tutto con celata tranquillità e senza mai perdere il piglio e la determinazione che la stanno accompagnando in tutta questa vicenda. L’opinione pubblica del pianeta l’ha ascoltata, sorpresa dal coraggio e dalla spregiudicatezza della ragazzina, ed anche dalla singolarità di una battaglia combattuta con le armi della parola e della faccia pulita, piuttosto che con le argomentazioni mai abbastanza univoche dei potenti del mondo. Quanta credibilità possiamo concedere all’iniziativa di una ragazzina che abbiamo conosciuto come tutt’altro che sprovveduta? Possiamo assumere Greta come modello di una generazione di giovani che stanno maturando una sensibilità diversa e propositiva rispetto alle problematiche ambientali e della qualità della vita più in generale? Il «sistema Greta Thunberg» è il segnale che si sta facendo strada una metodologia nuova, che parta dal basso, per la risoluzione dei problemi del mondo, laddove governanti e addetti ai lavori non riescono, o non vogliono, arrivare? Interrogativi a cui soltanto gli anni a venire potranno dare risposta. Intanto, il popolo di Greta non demorde e propone la sua beniamina per il Premio Nobel per la Pace. Duilio Paiano

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ull’onda delle 223 preferenze ricevute, il professor Pierpaolo Limone – direttore del Dipartimento di Studi Umanistici, Lettere, Beni culturali e Scienze della Formazione – è stato eletto nuovo Rettore dell’Università di Foggia. L’altro candidato, il prof. Lorenzo Lo Muzio, direttore del Dipartimento di Medicina clinica e sperimentale, ha invece ottenuto 212 voti. «Un onore poter servire la mia Università per i prossimi sei anni – è stato il primo commento del professor Limone, subito dopo lo spoglio delle schede –. Mi impegno a essere il Rettore di tutti e a portare l’Ateneo oltre le sue divisioni. Questa è la vittoria degli studenti, del loro senso civico e della loro maturità. A questo Ateneo servono unità e un po’ più di umiltà, da parte di tutta la Comunità accademica. Adesso ritroviamoci, lavoriamo tutti insieme per fare una grande università». A proclamare la sua elezione è stata la presidente di seggio, prof.ssa Patrizia Resta. Per poter essere eletti al primo turno, occorrevano un minimo di 222 voti. L’affluenza è stata record, probabilmente la più alta di sempre col 95,38%. Dei 693 aventi diritto al voto (343 docenti, 42 studenti e 308 unità del personale tecnico-amministrativo) hanno espresso la propria preferenza 334 docenti, 42 studenti e 285 unità del personale tecnico-amministrativo. Per la ufficializzazione definitiva dell’esito del voto non resta che il vaglio della Commissione elettorale per la ratifica e la successiva comunicazione al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Il prof. Pierpaolo Limone segue i

mandati dei suoi predecessori proff. Antonio Muscio (1999-2002; 20022005; 2005-2008), Giuliano Volpe (2008-2013) e dell’attuale Rettore in carica professor Maurizio Ricci, che resterà alla guida dell’Università di Foggia fino al 31 ottobre 2019. Dall’1 novembre 2019 ne assumerà il governo, appunto, il professor Pierpaolo Limone. Leccese di origine ma da anni trasferitosi a Foggia, 44 anni, sposato e padre di due figli, il prof. Pierpaolo Limone è ordinario di Pedagogia sperimentale. Una volta in carica sarà il Rettore più giovane d’Italia. I capisaldi del programma elettorale del professor Limone – scritto in collaborazione con il prof. Agostino Sevi – sono stati: servire il territorio; il patrimonio umano; studenti e alunni; ricercatori, docenti e ruolo dei dipartimenti; ricerca scientifica e terza missione; offerta formativa e innovazione didattica; accoglienza e inclusione; semplificazione amministrativa e ICT; ascolto, partecipazione e comunicazione; questioni di genere e pari opportunità; relazioni internazionali; policlinico di Foggia; biblioteche; orientamento formativo e occupabilità; sostenibilità.


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Anno XXX - n. 1 Giugno 2019

AttuAlità & Commenti

Svoltosi a Torremaggiore lo scorso dicembre

Pubblicati gli Atti del VI Convegno di Studi su Federico II di Svevia

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ubblicati, a cura delle Edizioni del Rosone, gli Atti del VI Convegno Nazionale di Studi su Federico II di Svevia, svoltosi a Torremaggiore il 15 dicembre scorso. Già negli anni precedenti si sono tenuti nella cittadina dell’Alto Tavoliere degli interessanti convegni di studi, dedicati all’epoca sveva e, in generale, alle problematiche della storia, macro o micro che sia. A tal fine, sono stati valorizzati i collegamenti con storici e italianisti di varie università, a partire da quelle di Foggia e di Bari. Ora, dopo questa fase, perseguendo la volontà di aumentare l’offerta culturale, si è inteso portare a conoscenza degli studiosi e dell’opinione pubblica sensibile ai temi culturali i risultati a cui è giunta la sesta edizione del Convegno di Torremaggiore, attraverso la canonica pubblicazione degli Atti. Il Convegno è stato moderato dal presidente del Centro Attività Culturali Don Tommaso Leccisotti, prof. Salvatore D’Amico. La prima relazione, sul tema La scuola poetica siciliana: Federico II e il canone delle origini. Una riflessione didattica, è stata tenuta da Sebastiano Valerio, professore ordinario di Letteratura Italiana presso l’Università di Foggia. Nell’ambito dei suoi interessi un posto importante è occupato, oltre che dai lavori sull’Umanesimo, dagli studi su Dante e il Duecento, e in questo contesto si inserisce alla perfezione anche il contributo presentato al Convegno.

Valerio ha posto l’accento sul ruolo di Dante Alighieri, il quale nelle sue opere delinea un quadro della letteratura delle origini che in sostanza si ritrova ancora nei manuali in uso nelle scuole superiori italiane e che non manca di una sua profonda giustificazione, anche se presenta un percorso ideale che non sempre trova riscontro negli approfondimenti dei critici, specie negli ultimi decenni. Basti pensare che da questo cammino viene escluso tutto il filone di poesia religiosa duecentesca, così vitale. È stato poi il turno di Gaetano Mongelli, storico dell’arte, che ha insegnato per molti anni nella Facoltà di Lettere dell’Università di Bari. Il contri-

del 1250 ha reso Fiorentino una presenza importante in tutti i testi che parlano di Federico II. Dopo aver ricordato le principali vicende storiche della città, lo studioso ha fatto riferimento alla Fiorentino della profezia del fiore, in cui, senza riferimenti realistici, si respira un’atmosfera tra il sospeso, l’allucinato e il drammatico. Poi, entrando più direttamente nel vivo della trattazione, ha parlato degli scrittori che, come Leandro Alberti, hanno posto in evidenza la desolazione della città, ormai ridotta a pochi ruderi. Un altro elemento edvidenziato è il legame tra la domus di Federico II a Fiorentino e la mensa dell’altare maggiore della cattedrale di Lucera. Questo nesso rivela dei precisi significati, sui quali porranno l’attenzione, nel Novecento, scrittori come Riccardo Bacchelli e Giuseppe Ungaretti. Va ricordato, ancora, che negli anni Ottanta del secolo scorso, nasce ufficialmente a Torremaggiore il Centro Attività Culturali Don Tommaso Leccisotti. Il Centro viene costituito ufficialmente nel 1987 ed è intitolato al padre benedettino Tommaso Leccisotti, nato a Torremaggiore nel 1895 e scomparso a Montecassino nel 1982. Don Tommaso, al secolo Domenico, paleografo, bibliotecario, archivista e storico, nei molti anni trascorsi a Montecassino, in un luogo simbolo della civiltà occidentale, ha lasciato un segno significativo della propria operosità intellettuale, oltre che spirituale, come ricorda Guido Gregorio Fagioli Vercellone nella scheda a lui dedicata, nell’ambito del Dizionario Biografico degli Italiani della Treccani. Autore di moltissimi testi, fondatore e direttore della rivista di studi «Benedictina», don Tommaso ha lasciato un vivo ricordo anche nella città che gli ha dato i natali. F.G.

Tra queste segnaliamo un’iniziativa editoriale destinata ai giovani dell’I.C. «Virgilio-Salandra», compiuta con la decisiva collaborazione delle Edizioni del Rosone di Foggia che proprio a Troia hanno le loro radici per il tramite del suo fondatore Franco Marasca. Troia, 1019-2019, tra storia e avventura è, infatti, la pubblicazione che la Casa editrice foggiana ha prodotto con il fattivo contributo degli alunni delle classi IIA, IIB e IIC dell’istituto troia-

no, dei docenti ma anche dell’Amministrazione comunale. Sono stati proprio questi studenti a raccontare ai coetanei e agli adulti della loro comunità i mille anni di storia della cittadina. L’hanno fatto attraverso un testo narrativo in cui quattro giovani protagonisti, lasciandosi travolgere dal vortice del sapere vanno alla ricerca degli Exultet, rotoli di pergamena custoditi dalla memoria storica dei troiani, rubati dall’imperatore Costante II che, nel 683 d.C., distrusse Aecae con l’intento di cancellarne il ricordo. Straordinaria l’avventura raccontata nella prima parte del libro che ha riassunto nei profili di alcuni personaggi il cammino di Troia nei secoli; di grande impatto le pagine della seconda parte. Sempre rispondendo a un solo convincimento: le radici, gli sviluppi, il cammino nel tempo, la direzione e le scelte, il tutto curato dalla scuola che da agenzia educativa qual è si è aperta al territorio e ha portato gli studenti a vivere responsabilmente il 2019, anno in cui si celebrano anche i novecento anni della Cattedrale in stile romanico pugliese. La manifestazione di presentazione del libro e di messa in scena di alcuni dei suoi brani si è svolta presso il Cine-tatro Cimaglia. F.M.

Nel racconto degli studenti l’orgoglio di appartenere a una vicenda singolare ille anni di storia, mille anni di avvenimenti che hanno fatto di Aecae, prima, e di Troia, dopo, una cittadina e una comunità che ha avuto un ruolo importante nelle vicende dell’intera Capitanta. La città ha antichissima fondazione e prima di essere colonizzata dai Romani era conosciuta come Aika (poi latinizzato in Aecae), ma il centro ebbe un forte sviluppo socio-economico solo in epoca imperiale quando si trovò ad essere attraversato dalla via Traiana nel tratto compreso fra i borghi di Aequum Tuticum e Herdonia. Fu in quell’epoca che venne istituita la diocesi di Eca ad opera dei tre vescovi Marco, Eleuterio (patrono di Troia) e Secondino. Dopo le distruzioni operate dalle invasioni barbariche, il borgo rinasce col nome attuale nel 1019. Assediata dai Saraceni e poi trasformata in roccaforte dai bizantini, Troia fu soggetta a numerosi assedi: da quello di Enrico II, a quello dell’imperatore Federico II

di Svevia. La città sorgeva infatti, in posizione strategica lungo la medievale via Francigena (erede della via Traiana e attestata in territorio di Troia nel Privilegium baiulorum imperialium del 1024[3]). Nel 1093, Urbano II, il Papa delle crociate tenne il primo concilio di Troja, cui seguirono altri tre, rispettivamente nel 1115 (Papa Pasquale II), nel 1120 (Papa Callisto II) e nel 1127 (Papa Onorio II). La città si schierò prima con gli Angioini, poi con gli Aragonesi e, più recentemente, con i Borbone, cui restò fedele fino al crollo della loro monarchia. All’atto dell’invasione piemontese, nel 1860, Troja insorse e i sabaudi per piegarla sistemarono diversi cannoni nelle strade per domarne gli spiriti patriottici. Questa sintetica storia della cittadina ne fissa la nascita, con l’attuale nome, al 1019, il che giustifica la celebrazione del millennio che in queste settimane è articolato in numerose iniziative e manifestazioni.

Provinciale

buto presentato a Torremaggiore trova il suo incipit in una pubblicazione, Castel del Monte. Otto capitoli per un racconto, data alle stampe nel 1994, in occasione dell’VIII centenario della nascita di Federico II. Nel saggio presentato al convegno di Torremaggiore, intitolato Ars sine scientia nihil est. Castel del Monte e la vesica piscis: da simbolo del potere al potere del simbolo, Mongelli ha approfondito le risultanze di studi condotti tra l’Italia, la Francia e l’Egitto, relativamente alla vexata quaestio della vesica piscis. Ciro Panzone, socio ordinario della Società di Storia Patria per la Puglia. ha scritto vari lavori sul periodo svevo in Capitanata e sta procedendo alla pubblicazione di una storia in più tomi di Torremaggiore, di cui ha finora dato alle stampe i primi due. Panzone, sin dal titolo del suo contributo, Federico II e la sua prediletta Capitanata, non ha nascosto il suo giudizio decisamente positivo sull’imperatore svevo, ricordando l’attenzione che ha dedicato alla Capitanata, attestata dai suoi soggiorni, dagli interessi per l’arte venatoria, dallo sviluppo edilizio, dall’incentivazione del commercio e della prosperità economica in genere. In questo territorio Federico II portò avanti una strategia militare che, incentrata sulla reggia di Foggia, ebbe il suo baricentro difensivo nella piazzaforte di Lucera, intorno a cui si dispiegavano a raggiera numerose fortezze. Panzone, dunque, sulla scorta di studiosi come Corsi e Calò Mariani, ha concluso ribadendo la valenza positiva del periodo svevo in Capitanata, di cui sono rimasti testimonianze e ricordi indelebili. Francesco Giuliani, professore liceale e docente a contratto di Letteratura Italiana Contemporanea presso l’Università di Foggia, ha preliminarmente sottolineato che il ferale evento

Troia celebra i suoi mille anni di storia

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Giornale di opinione della provincia di Foggia


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La XV edizione de Il Sentiero dell’anima nell’incomparabile scenario del Gargano

Un nuovo successo di partecipazione conferma il bisogno di poesia

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strema aspirazione della poesia / è di compiere il miracolo nelle parole, / d’un mondo resuscitato / nella sua purezza originaria / e splendido di felicità». Con queste parole del grande Ungaretti, la professoressa Falina Marasca, delle Edizioni del Rosone di Foggia, ha aperto la premiazione del XV Premio nazionale di poesia Il Sentiero dell’Anima. Un premio-adolescente, quindi, in piena giovinezza, che, dalla sua casa, il parco artistico-ambientale situato nei pressi della dolina carsica Pozzatina tra San Marco in Lamis e San Nicandro Garganico, grazie al sogno di Filippo Pirro e della sua famiglia, dispiega le sue ali e va oltre il Gargano e la Capitanata, coinvolgendo tanti poeti provenienti da ogni parte del nostro Paese, per offrire a tutti la poesia come salvagente cui aggrapparsi quando tutto intorno sembra svanire. Il concorso, promosso dal Centro Culturale omonimo e dalle Edizioni del Rosone, con il patrocinio della Fondazione dei Monti Uniti, del FAI Delegazione Foggia e della Fondazione Soccio, «negli anni ha risposto al bisogno della scrittura in versi di stare con la gente, tra i giovani e i meno giovani, tra i colti e i meno colti – continua Marasca – con una scrittura che non si limita a fotografare i fatti, ma li rivede sotto una prospettiva nuova, li colora e li trasforma attraverso le esperienze del quotidiano». La premiazione si è aperta con la sezione C, dedicata ai giovani poeti che hanno aderito inviando lavori ricchi di freschezza, ma anche carichi di sentimento e insospettabile profondità per penne tanto giovani. Il tema proposto quest’anno era «Migrazioni e diritti umani», argomento che i giovani poeti hanno affrontato con immagini affatto scontate e con sentita partecipazione, tracciando argomenti che andavano dal migrante di ieri a quello odierno, dalla ragazza siriana al giovane cervello in fuga, in un affresco del fenomeno che ha coinvolto la nutrita platea. Per la sezione dedicata alle scuole,

numerosi sono stati i riconoscimenti della giuria e bellissimi si sono rivelati i lavori che ogni ragazzo ha declamato, con la partecipazione di scuole giunte da più parti della provincia ed anche fuori regione. Il premio speciale «Poeti in erba» è andato al testo collettivo delle classi 4A e 5A «A. Del Re», I. C. «L. Bianchi» di San Bartolomeo in Galdo (BN) ed al testo collettivo delle classi 4^ sez. C-D «I. C. Tancredi-Amicarelli» di Monte Sant’Angelo. Primo premio ex aequo hanno meritato Gaia Scaramuzzi dell’«I. C. «Dante-Galiani» di San Giovanni Rotondo, Leonardo Traisci del Liceo Scientifico «A. Olivetti» di Orta Nova e Francesca Vocale della Scuola Secondaria di I grado «Padre Pio» di Torremaggiore. Numerosi altri riconoscimenti, poi, hanno meritato altri piccoli poeti, colorando di speranza nuova la prospettiva del futuro. Quanti sono giunti ad ascoltare i versi in concorso e a lasciarsi emozionare dal luogo, si sono mossi – poi – lungo un breve tratto del percorso artistico-letterario del parco, sofferman-

riusciranno a cancellare i lutti quotidiani che non ci fanno piangere perché non ci appartengono». Ponendo l’accento proprio sul tema proposto per questa edizione, Antonio Pirro ha voluto scomodare le coscienze, analizzando il fenomeno migratorio da una prospettiva certo scomoda, ma vera e intensa. «Immemori di quanto siamo stati e ancora siamo: popolo di emigranti, da Enea alla ragazza odierna con un biglietto Flixbus tra le mani. Diventeremo – ha continuato Pirro - forse molto più presto di quando ci ostiniamo a pensare, un immenso popolo di migranti senza patria, anche a casa nostra. I diritti sempre più cancellati e proprio per questo sempre più evidenti dichiarano il fallimento del nostro essere uomini d’occidente». Quasi tutte liriche e le sillogi giunte in concorso hanno toccato un topos tanto delicato e difficile, interponendo momenti di afflato e commozione ad acuta analisi e verità. Proprio la verità è stato il perno su cui la giuria ha fatto leva nell’analisi e nella valutazione,

dosi sul nuovo monumento polimaterico dedicato al Paese, che reca – dipinta su una sua parete - una poesia del paesologo Franco Arminio. La premiazione ha poi inaugurato il momento dedicato alle due sezioni dedicate agli adulti. Antonio Pirro, co-fondatore del parco del «Sentiero dell’Anima», ha citato il filosofo belga Pascal Chabot e la sua metafora di un muro con una finestra al centro, per descrivere il nostro attuale ordine mondiale. «Da una parte del muro ci sono le persone protette, quelle fortunate, diciamolo chiaramente, tutti noi; dall’altra parte ci sono gli esclusi, gli emarginati, i poveri che però, attraverso la finestra vedono cosa succede dall’altra parte del mondo. La finestra e il suo vetro rendono possibile il paradosso dell’esclusione e dell’apertura, come un recinto trasparente. Le attuali migrazioni bibliche bussano da anni a questa finestra, a questa finestra che per noi europei ha una lastra liquida di Mediterraneo. Le bugie, vecchie di secoli, che continuiamo a raccontare alle nostre giovani generazioni non

verità che si fa urgenza, sguardo acuto, istinto dell’anima. «Offrire agli uomini uno sguardo nuovo, la possibilità di una diversa angolatura, colori di cui non conoscono il nome, strappargli un sorriso che non si aspettano è un atto politico rivoluzionario. Inventare il mondo per chi ci leggerà, per chi nemmeno conosciamo, è un atto politico rivoluzionario. (r)Esistere su un territorio giorno dopo giorno, farlo più bello coltivando bellezza, è un atto politico rivoluzionario. Piantare alberi è un atto politico rivoluzionario, e qui,

addirittura si parla di appenderci poesie…». Ha aperto così il suo intervento Stefania Marrone de «La Bottega degli Apocrifi», presidente di giuria per l’edizione 2019, sottolineando come la bellezza sia un atto rivoluzionario. Per la sezione dedicata alla poesia edita in lingua e in dialetto, il primo premio è stato assegnato ad Antonella Corna con la silloge Bagagli al seguito. Menzione speciale ha meritato Diciassette di Raffaele Giannantonio. Primo premio ex aequo hanno meritato – per gli inediti - Michele Totta con Vénte liggìteme e Regina Loredana Pozzo con Angelino. Hylan di M. Zona è stato insignito dalla giuria di una menzione speciale ed il premio speciale «Presenza viva» è andato a Simona Pironi. Tanti, ancora, i poeti segnalati dalla giuria che hanno emozionato gli astanti con i loro versi, tutti racchiusi nel volume antologico che ogni anno pubblica tutti i lavori meritevoli, corredati del giudizio critico della commissione esaminatrice. Le opere vincitrici sono state riprodotte su pirografie artistiche che saranno installate in permanenza lungo l’antologia poetica en plein air presente ne Il Sentiero dell’Anima, arricchendo e nutrendo, così, il parco e la sua oasi di poesia e bellezza. Emozioni, incontri, sorrisi, commozione, passi, versi… il 25 maggio scorso, tornando a citare la presidente di giuria Stefania Marrone, in un parco letterario nel bosco, nel cuore del Gargano, un Premio di Poesia giunto quest’anno alla sua quindicesima edizione, ancora una volta, ha smentito le convinzioni secondo cui, oggi, la società non abbia più sete di poesia e ha sfidato le leggi di gravità, rendendoci tutti più leggeri! Nell’antologia, infine, sono presenti le seguenti categorie: Poeti stellati: coloro che partecipano da più edizioni al Premio, già insigniti di riconoscimento nelle edizioni precedenti: Poeti meritevoli della «cittadinanza onoraria»: coloro che, ricevuti tutti i riconoscimenti, continuano a partecipare al Premio. Poeti a cui va il premio speciale «presenza viva» con la dedica di un albero lungo il parco artisticoambientale «Il Sentiero dell’Anima». Marida Marasca


Il Rosone CULTURA E INFORMAZIONE PUGLIESE

La manifestazione culminerà con il «concertone» di Melpignano del 24 agosto

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Torna la Notte della Taranta intrigante appuntamento con la «pizzica»

orna anche questa estate, per la XXII edizione, l’atteso appuntamento con la «Notte della Taranta», considerato il più grande festival della musica popolare italiana. La Notte della Taranta è un festival itinerante dedicato alla riscoperta e alla valorizzazione della musica tradizionale salentina e alla sua fusione con altri linguaggi musicali, dalla world music al rock, dal jazz alla musica sinfonica, che coinvolgerà diversi centri salentini per poi approdare al Melpignano, la notte del 24 agosto prossimo, per il «concertone» conclusivo. Un evento, questo, che richiama decine di migliaia di appassionati e numerosi artisti dei generi musicali più disparati che amano esibirsi e confrontarsi con linguaggi musicali diversi. Ad accompagnarli sarà l’Orchestra Popolare della Notte della Taranta, guidata ogni anno da un maestro concertatore diverso, scelto tra i più grandi nomi del panorama musicale contemporaneo (Ludovico Einaudi, Goran Bregovic, Stewart Copeland, Andrea Mirò, sono alcuni maestri degli ultimi anni). Quest’anno toccherà al Maestro Fabio Mastrangelo, nato a Bari, direttore musicale della Russian Philharmonic di Mosca, primo pugliese nella storia della Taranta a dirigere l’Orchestra Popolare. Fabio Mastrangelo è un protagonista della scena culturale in Russia, dove vive da 20 anni; è stato ospite di tutte le più prestigiose istituzioni musicali russe dalla Filamornica di Mosca al teatro Bolshoy. Nell’annunciare la nomina del Maestro Mastrangelo il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, ha dichiarato: «Oggi La Notte della Taranta rappresenta la metafora dello sviluppo culturale della regione. Il suo brand acquista posizioni nello scenario internazionale ed è determinato da un’alleanza che stiamo portando avanti con impegno e determinazione tra istituzioni, enti pubblici e privati, imprese culturali e creative, perché la cultura è motore di sviluppo sociale ed economico a scoprire la bellezza della musica e della danza di tradizione». «Una nomina inaspettata ma gradita – ha spiegato lo stesso Mastrangelo –. Sono orgoglioso da pugliese di collaborare con il Festival della Taranta, una delle eccellenze culturali del Mezzogiorno che ha cercato di praticare un doppio movimento, la riscoperta delle radici ma nello stesso tempo la loro proiezione nel mondo globale. Il mio compito sarà quello di far abbracciare due mondi musicali diversi, la musica colta e la musica popolare». Tanti gli ospiti del Festival, star italiane e del panorama musicale internazionale, ma è la pizzica la vera attrazione dell’intera manifestazione, con i suoi connotati di genere musicale popolare e dalla forza liberatoria. Si tratta di una danza molto vivace e movimentata che ritrova le sue origini nell’antico metodo di guarigione dai morsi delle tarante, piccoli ragni facilmente rinvenibili nei campi durante il periodo della mietitura.
 Il morso di questo insetto provocava uno stato di malessere generale della persona che si riprendeva soltanto ascoltando la musica popolare. Scendendo nei particolari, i malati che erano prevalentemente donne, nel momento in cui sentivano la musica, iniziavano a ballare muovendosi sul dorso e agitando le gambe, con dei movimenti che sembravano del tutto simili a

Particolarmente caratteristico è il ballo durante il quale i due ballerini si avvicinano continuamente fino a sfiorarsi ma senza toccarsi mai.

quelli di un ragno. Questa sorta di danza proseguiva per alcuni giorni e provocava ai malati una forte sudorazione, fino a che non si ristabilivano completamente. Ai giorni nostri poco o niente è rimasto di quell’identità culturale. Le ultime tarantolate, così infatti venivano identificati i balli dei malati, risalgono più o meno agli anni Sessanta. L’unica testimonianza culturale che è rimasta è data dalla rappresentazione culturale della taranta e del ballo del pizzica-pizzica.

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La prima edizione del festival risale al 1998. Nell’agosto del 2008 nasce la fondazione «La Notte della Taranta» con l’obiettivo di definire indirizzi e scelte strategiche e gestionali, promuovendo iniziative autonome e coordinando l’azione dei soci per la valorizzazione e la tutela del territorio salentino. In particolare, sostiene lo studio del patrimonio etnografico favorendo manifestazioni culturali, musicali, sociali e di comunicazione, e progetti di sostegno e sviluppo della ricerca sul fenomeno del tarantismo, delle tradizioni grike e salentine, con specifico riferimento alla musica popolare. Oggi la Fondazione cura l’organizzazione e la produzione del Festival «La notte della Taranta» ed è impegnata in diversi progetti condotti in sinergia con le principali Università italiane e straniere e i centri di ricerca di usi sul territorio salentino, con il fine di studiare e approfondire le tradizioni e le molteplici culture locali. (Wikipedia)

I trulli, meraviglia del mondo da tutelare

l 7 dicembre del 1996, nella seduta del Comitato del Patrimonio Mondiale, svoltasi a Merida (Messico), l’Unesco inseriva «I Trulli di Alberobello» nella lista delle meraviglie del mondo da tutelare e conservare con la motivazione: «I trulli di Alberobello rappresentano un sito di valore universale ed eccezionale in quanto sono l’esempio di una forma di costruzione ereditata dalla preistoria e sopravvissuta intatta, pur nell’uso continuativo, fino ai nostri giorni». Dunque, questa originale costruzione che costella le campagne (e non solo) della Puglia meridionale, in particolare della Valle d’Itria, rappresenta un patrimonio culturale riconosciuto a livello mondiale e meritevole di essere conservato e conosciuto. È, soprattutto, la città di Alberobello ad essere assurta a simbolo mondiale dei trulli, benché altri paesi pugliesi possano vantare la presenza nel loro tessuto urbano di queste caratteristiche costruzioni. Per conoscere meglio queste singolari strutture abitative ricorriamo proprio alla descrizione che ne fa il sito www.unesco.it. I trulli, tipiche abitazioni in pietra calcarea di Alberobello nel sud della Puglia, sono esempi straordinari di edilizia in pietra a secco a lastre, una tecnica risalente all’epoca preistorica e tuttora utilizzata in questa regione. Sono delle tradizionali capanne in pietra a secco con il tetto composto da lastre incastonate a secco. Generalmente servivano come ripari temporanei o come abitazioni permanenti dai piccoli proprietari terrieri o lavoratori agricoli. Tali costruzioni hanno la caratteristica struttura rettangolare con tetto conico in pietre incastonate. I muri imbiancati dei trulli sono edificati direttamente sulle fondamenta in pietra calcarea e realizzati con la tecnica della muratura a secco, senza malta o cemento. Sui muri a doppio rivestimento con nucleo incoerente si apre una porta e piccole finestre. Un focolare interno e delle alcove sono incastonati nelle spesse mura. Anche i tetti sono a doppio strato: un rivestimento interno a volta in pietre di forma conica, culminante in chiave di volta, ed un cono esterno impermeabile costituito da lastre di pietra calcarea, note come chianche o chiancarelle. I tetti delle costruzioni recano spesso iscrizioni in cenere bianca dal significato mitologico o religioso, e terminano con un pinnacolo decorativo che aveva lo scopo di scacciare le influenze maligne o la sfortuna. Circa mille anni fa (1.000 a.C.), l’area della attuale Alberobello era cosparsa di insediamenti rurali. Gli insediamenti si svilupparono fino a formare gli attuali rioni di Aia Piccola e Monti. Verso la metà del XVI secolo il distretto di Monti era occupato da una quarantina di trulli, ma fu solo nel 1620 che l’insediamento avviò la sua espansione. Nel 1797, verso la fine del dominio feudale, venne adottato il nome di Alberobello, e Ferdinando IV di Borbone, re di Napoli, conferì alla località il titolo di città regia. Dopo tale periodo, l’edificazione di nuovi trulli cadde in declino. Tra il 1909 e il 1936, alcune parti di Alberobello furono designate come monumenti protetti del patrimonio culturale.


il Rosone

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Cultura e informazione pugliese

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Biblioteca metropolitana di Bari «Gennaro De Gemmis»

a Biblioteca Provinciale di Bari è nata nel maggio 1960 grazie alla donazione del bibliofilo barese Gennaro De Gemmis alla Provincia di Bari delle sue raccolte librarie ed archivistiche. Il suo patrimonio, ricco di fondi di storia pugliese, è andato arricchendosi negli anni grazie ad una politica di acquisti e di donazioni che hanno contribuito a delineare un’identità propria dell’istituzione. Collocata al suo nascere nella Corte del Catapano, all’interno della cittadella della Basilica di San Nicola, poi in altri locali del quartiere murattiano, la Biblioteca ha trovato la sede definitiva nell’ex convento di Santa Teresa dei Maschi, posto nel cuore dell’antica città medievale, fra antichi palazzi, chiese e case torri. Il complesso conventuale di Santa Teresa dei Maschi, costruito assieme all’attigua chiesa, fra il 1671 ed il 1690, ad opera dei Carmelitani Scalzi, è stato uno dei centri religiosi più significativi di Bari fino alla sua soppressione, avvenuta nel 1806. In epoca borbonica fu adibito a caserma militare, quindi a carcere femminile e nella prima metà del ‘900 ad assistenziario dei figli dei detenuti. Sull’ingresso principale dell’ex convento campeggia ancora l’emblema dell’Ordine carmelitano formato da tre stelle e una croce. Al di sotto si legge: «Domine susceptor meus es tu – et refugium meum – sempre in te sperabo». Grazie ad un pregevole lavoro di restauro, finanziato con fondi dell’Unione Europea, essa si propone oggi come centro pilota dell’intera provincia barese, in grado di dare vita e continuità alle molte potenzialità che dai libri nascono e che conducono sulle strade infinite della cultura, da quelle della storia, dell’arte, della letteratura, fino alla musica, al cinema, alla fotografia. L’intero complesso è stato ripensato come «biblioteca seducente», i cui ambienti - sale di lettura, sale di consultazione, spazi espositivi, auditorium, caffetteria - respirano e si illuminano della luce del chiostro seicentesco, dei grandi finestroni, delle terrazze sulle quali si trova il teatro all’aperto sul quale passano i colori mutevoli del mare. In tale contesto hanno trovato definitiva sistemazione sia il patrimonio bibliotecario, consultabile anche attraverso il polo informatico in «Terra di Biblioteca comunale «Giovanni Bovio» – Trani La Biblioteca comunale di Trani nasce nel gennaio del 1870, per deliberazione della civica Amministrazione, ed ha come suo primo fondo librario parte della raccolta bibliografica della soppressa comunità religiosa dei Domenicani. Inizialmente ubicata in un ambiente del palazzo di città, solo nel 1924 viene trasferita nei locali dello storico palazzo Vischi e adeguatamente allestita. Nel 1928 è intitolata a Giovanni Bovio (1837-1903), filosofo e uomo politico tranese e, grazie alle donazioni D’Agli, Vischi, Giuliani e Scocchera, il patrimonio librario raggiunge le 14741 unità. Nel luglio 1949 viene assicurata alla Biblioteca la raccolta dello storiografo tranese Giovanni Beltrani (1848-1932) costituita da oltre 8000 unità bibliografiche e conservata in un’artistica scaffalatura ottocentesca di stile rinascimentale. Il complesso librario costituisce la parte più preziosa di questo Istituto per le opere di interesse storico locale, il ricco nucleo delle edizioni pugliesi del sec. XVII, la raccolta di giornali politici meridionali del Risorgimento e 191 manoscritti di rilevanza storica per Trani e la Terra di Bari, riordinati successivamente da Benedetto Ronchi, direttore della Bovio nel periodo 1952-1978. Successive donazioni degne di menzione provengono dall’avv. Cataldo Trombetta, dell’avv. Guido Maffuccini e dai fratelli Gaetano e Adolfo Quercia. La Biblioteca attualmente possiede circa 110000 volumi di cui 5000 antichi; conserva 2 incunaboli, 209 cinquecentine e 40 edizioni pugliesi del sec. XVII stampate dalla tipografia Valeri, la prima stabile in Puglia. Rilevante è il fondo manoscritti

Bari», comprensivo delle sezioni speciali Storia del Regno di Napoli, Storia del Mezzogiorno, Archivio Storico De Gemmis, Archivi del ‘900, e i settori di Scienze Umane e Sociali, Storia della Moda e del Costume., Storia delle Donne, Fototeca e Cartografia storica, che le esperienze di ricerca e di produzione culturale che hanno contraddistinto la Biblioteca negli ultimi trent’anni. Non vanno dimenticati infatti i progetti speciali realizzati fin dal 1977 con la mostra «Documenti di cultura popolare in Italia meridionale Puglia ex voto», «Puglia Emigrazione»….oltre le tante produzioni condotte in collaborazione con istituzioni culturali ed universitarie. La nuova e definitiva sede della Biblioteca, rinnovata anche nelle sue vocazioni maturate attraverso la conoscenza del territorio pugliese, riprende ad operare per offrire servizi e prospettive sempre qualificanti per la ricchezza e la conoscenza della cultura. A seguito della emanazione della Legge 7 aprile 2014, n. 56 «Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni», la Biblioteca De Gemmis fa capo alla Città Metropolitana di Bari. Il fondatore della Biblioteca è Gennaro de Gemmis

appartenente ad un’antica e nobile famiglia terlizzese. Nacque a Bari il 19 novembre 1904. Diversi membri della sua famiglia avevano ricoperto, in epoche storiche, incarichi di grande prestigio negli alti gradi dell’amministrazione borbonica; altri si erano distinti nella cultura, negli studi giuridici, economico-politici, nella gerarchia ecclesiastica. Laureato in Ingegneria, si dedicò sin da giovane alla ricerca di documenti, a stampa e manoscritti, che riguardavano la storia della Puglia e del Regno di Napoli. I contatti con collezionisti privati, con librai antiquari italiani e stranieri, con bibliofili di fama internazionale, produssero una cospicua corrispondenza, testimonianza di una dedizione che si configura subito in un progetto di salvaguardia dalla dispersione di fonti storiche. In un primo tempo ordinò le sue collezioni nella sua casa barese, in piazza Garibaldi. Gli eventi bellici lo costrinsero a trasferire tutto in una villa di campagna, detta Torre di San Giuliano, sita nei pressi di Terlizzi. Nei primi anni ’50 del 1900, Torre San Giuliano divenne per molti studiosi italiani e stranieri, attratti dall’importanza del materiale conservato, e dalla personalità del proprietario, una sorta di tappa obbligata nei viaggi in Puglia. D’altra parte, il de Gemmis si adoperò infaticabilmente nella promozione ed organizzazione di congressi, convegni ed iniziative culturali che lo videro animatore e protagonista distinto e munifico. Il protrarsi di tale febbrile attività, i numerosi incarichi ricoperti in prestigiose istituzioni storiche, l’onerosa ed impegnativa gestione di un contenitore culturale così complesso, indussero tuttavia il barone a cedere alla Provincia di Bari il suo patrimonio bibliografico e manoscritto. Il 18 febbraio 1957 il Consiglio provinciale deliberava di accettare la donazione dell’intera raccolta che trovò sistemazione dello storico complesso architettonico annesso alla Basilica di San Nicola, detto Corte del Catapano. Il 15 maggio 1960 la Biblioteca Provinciale «Gennaro De Gemmis» fu ufficialmente inaugurata nella nuova veste di istituto di pubblica lettura, guidata dallo stesso barone che si spense il 23 marzo 1963.

che consta di 386 unità archivistiche di alto interesse storico e culturale. Dal 2003 la Biblioteca è situata al centro della città, in piazzetta San Francesco, nella sede dell’ex convento francescano, oggi completamente ristrutturata, e dal 2012 è sede capofila del neo-nato Polo SBN della Provincia BAT. Da: www.internetculturale.it Biblioteca Civica «Pietro Acclavio» - Taranto Il primo a concepire una Biblioteca Pubblica a Taranto fu Tommaso Nicolò D’Aquino (1665-1721) che per amore del sapere mise a disposizione degli studiosi tarantini tutti i suoi libri. Un secolo dopo nel 1797, l’arcivescovo di Taranto Giuseppe Capecelatro, istituì vantandosi di essere primus Tarenti, una pubblica biblioteca ospitandola nei locali dell’Episcopio. Comunque la prima vera e propria biblioteca fu istituita dall’erudito notaio e poeta Gaetano Portacci nella seconda metà dell’Ottocento. Con la morte di Gaetano Portacci e dopo un breve periodo sotto la direzione di Giuseppe Galasso, la biblioteca scompare. Il 26 febbraio 1891 muore Pietro Acclavio che nel suo atto testamentario destina alla città di Taranto tutto il patrimonio della sua biblioteca. L’apporto di questa donazione modificò talmente la fisionomia della biblioteca che prese il nome di Pietro Acclavio e si parlò di una rifondazione della stessa. Il prestigio della biblioteca si afferma pienamente con la nomina a direttore di Vito Forleo nel 1910, che resta in carica fino al 1949. L’attuale sede, individuata come Palazzo

della cultura, è stata inaugurata nel 1997. È costituita da una struttura in stile moderno con i piani superiori di forma circolare, realizzata su cinque livelli. Le sale di lettura ospitano anche le enciclopedie, i dizionari enciclopedici e le grandi opere di carattere generale, oltre ai libri in braille, libri a grandi caratteri e quelli del Centro di documentazione educativa, a scaffale aperto. L’intera area è wi-fi. Il patrimonio della biblioteca è costituito da oltre 160 mila fra volumi e opuscoli, antichi e moderni, CD musicali, audiolibri e altro materiale multimediale. È in atto un profondo rinnovamento del suo patrimonio documentario sia per i contenuti che per l’acquisizione di documenti e supporti multimediali. Tutti gli spazi della Biblioteca Acclavio sono privi di barriere architettoniche. Dispone, inoltre, di alcuni ausili tecnici per favorire le esigenze di persone con disabilità diverse. Da: www.internetculturale.it


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Provinciale

Giornale di opinione della provincia di Foggia

Pianeta Università

Inserto al n. 1 - Giugno 2019

Bilancio più che positivo per l’Anno Accademico 2018-2019 dell’Università di Foggia. La struttura culturale e formativa più importante della Capitanata continua con sicurezza il suo consolidamento sul territorio e la sua funzione di guida e di riferimento per istituzioni e cittadini. Intanto «tiene» brillantemente sul versante delle immatricolazioni e incrementa il suo appeal in campo internazionale e nel rapporto con enti di studio e di ricerca. E tra qualche mese verranno celebrati i primi venti anni di attività.

UN NUOVO RETTORE PER LO SPRINT DECISIVO LUNGO UN PERCORSO GIà INTRAPRESO «Un onore poter servire la mia Università. Mi impegno a essere il Rettore di tutti e a portare l’Ateneo oltre le sue divisioni». L’orgoglio e l’impegno del professor Pierpaolo Limone.

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bbiamo riferito in prima pagina il puro dato di cronaca: il prof. Pierpaolo Limone sarà il nuovo rettore dell’Università di Foggia a partire dal prossimo 1 novembre, in sostituzione dell’uscente prof. Maurizio Ricci. Riportiamo, in questa pagina, alcune delle dichiarazioni più significative rilasciate dal neo rettore nell’immediato dopo elezioni. Vi si ritrovano anche le linee programmatiche che caratterizzeranno l’attività del prof. Limone.

«Un onore poter servire la mia Università per i prossimi sei anni. Mi impegno a essere il Rettore di tutti e a portare l’Ateneo oltre le sue divisioni. Questa è la vittoria degli studenti, del loro senso civico e della loro maturità. A questo Ateneo servono unità e un po’ più di umiltà, da parte di tutta la Comunità accademica. Adesso ritroviamoci, lavoriamo tutti insieme per fare una grande università. L’Università di Foggia è una presenza vitale per il territorio. Un’interazione creativa fra Università e territorio, fra scenari locali e internazionali, può favorire l’incontro e l’alleanza di intelligenze, capaci di rigenerare i saperi, le conoscenze, le relazioni sociali e i fattori produttivi – ha affermato Limone, raccontando la sua idea di ateneo mondo –. Il nostro territorio e la nostra epoca hanno bisogno di una cultura e di un sapere inclusivo, democratico, pluralistico, che possano contrastare la cultura della faziosità e del conflitto, dell’illegalità diffusa e della violenza, della prepotenza e della chiusura verso l’altro, il diverso, l’estraneo. In tale direzione, l’Università getta il “cuore oltre l’ostacolo”, impegnandosi nella costruzione di un patrimonio di conoscenze e di saperi condivisi, indipendenti, liberi, incardinati sui valori della democrazia. Giustizia, dignità dei soggetti, esercizio della cittadinanza sono l’unica possibilità di riscatto per questo territorio, che vede tragicamente crescere la criminalità e la povertà. Dobbiamo sostenere la crescita di generazioni capaci di esercitare un pensiero critico costruttivo, creativo e rigenerativo. Ma non c’è trasformazione se, ancor prima, non ci sono un sogno e un progetto. E in tal senso, l’Università ha una condizione privilegiata, perché dialoga con le giovani generazioni,

che a noi si rivolgono per la loro formazione professionale, per acquisire strumenti di lettura della realtà, e che nel loro percorso sviluppano competenze relazionali ed emotive: per questo i progetti che riguardano il rapporto con il territorio vanno fissati in un orizzonte di cambiamento, capace di tracciare percorsi di sostenibilità nel tempo. La nostra idea di cura e attenzione al territorio, in questo quadro di riferimento simbolico e conoscitivo, incorpora e sviluppa i nuovi paradigmi di rete democratica della conoscenza, di produzione di patrimoni culturali condivisi, di comunità solidale, di corresponsabilità. La nostra è l’idea di un’Università diffusa capace di intercettare i bisogni della città e del territorio ampio entro cui è inserita, che travalica i confini regionali per

di crescita e di sviluppo, e lo deve fare in spirito di servizio, secondo la logica dell’accoglienza e dell’inclusione. Gli studenti e gli alunni, cioè la comunità dei laureati – ha continuato il neo rettore – sono la risorsa più preziosa dell’Ateneo. In questi ultimi anni il nostro Ateneo, applicando politiche europee, ha attribuito una concreta centralità allo studente universitario nei processi di assicurazione della qualità, garantendo un sistema di rappresentanze negli organi di governo, la partecipazione attiva alle Commissioni paritetiche, al Presidio e al Nucleo di valutazione. Si tratta di un primo essenziale passo avanti per realizzare un effettivo cambio di mentalità: dobbiamo imparare ad accogliere la creatività degli studenti nei principali processi di governo dell’Ateneo.

contribuire a una progressiva rigenerazione del tessuto culturale, sociale e imprenditoriale. In una realtà come la provincia di Foggia, la seconda più estesa territorialmente d’Italia, l’istituzione universitaria non può attendersi dal contesto di riferimento speciali aiuti e straordinari supporti, ma proprio per questo siamo ancora più motivati a cercare nuove piste d’azione, perché è sempre possibile organizzarsi meglio, per imparare a offrire risorse, sollecitazioni e margini di potenziale sviluppo. Dobbiamo credere che mai come in questo momento storico, il sapere è potere e può dunque mettere in moto convenienti processi di sviluppo: faremo in modo che il sapere si configuri come potere e si determini come volere, ossia come operosa ricerca di proposte e di allestimento di progetti. L’università può e deve collocarsi alla guida dei processi

Per ideare e monitorare i servizi agli studenti noi collaboreremo direttamente con le rappresentanze e con tutta la popolazione studentesca, applicando una metodologia di progettazione partecipata. Abbiamo la responsabilità di dimostrare che è possibile governare una piccola comunità informando e ascoltando tutti, sarà un esercizio di democrazia che avrà un importante valore formativo per ciascuno di noi. Dobbiamo garantire una didattica di qualità e un ecosistema di azioni di sostegno per rendere più spedita la carriera degli studi, dobbiamo offrire più vaste sollecitazioni culturali e agevolare l’accesso al mercato del lavoro. Gli studenti non sono una categoria astratta, sono migliaia di individui che hanno concretamente diritto a servizi di qualità, all’altezza delle loro aspettative. L’Università si dovrà impegnare, in sinergia con la Regione

e con l’Adisu, per migliorare radicalmente tutti i servizi agli studenti finanziando un piano di miglioramento triennale. Si dovranno aumentare i posti letto, migliorare e incrementare le mense, aumentare il numero e la tipologia di borse di studio e offrire nuove opportunità di inserimento lavorativo post-laurea. I ricercatori e i docenti – ha concluso il prof. Limone – svolgono la propria attività prevalentemente nei dipartimenti che sono il cuore dell’Università, il luogo dove la nuova conoscenza viene creata, trasmessa agli studenti e trasferita al territorio. Tutti i dipartimenti hanno il diritto e il dovere di giocare un ruolo attivo nell’Ateneo, senza presunte differenze di peso, di prestigio o di rilevanza economica. I dipartimenti devono quindi contribuire attivamente alla definizione degli obiettivi strategici dell’Università e alla loro realizzazione con l’autonomia garantita dallo Statuto e con la responsabilità dettata dal perseguimento dell’interesse dell’Ateneo. I dipartimenti devono poter programmare in autonomia e con responsabilità l’allocazione delle risorse per il reclutamento del personale docente, sia pure nell’ambito di una programmazione strategica di Ateneo e nel quadro più ampio di una valorizzazione del merito scientifico e dell’armonico soddisfacimento delle esigenze didattiche. La qualità del reclutamento determinerà le entrate legate all’FFO sia per la quota legata al costo standard sia per quella legata alla VQR e alle politiche di reclutamento. Sarà quindi realizzato un nuovo sistema di distribuzione dei punti organico che si baserà sulla qualità e sull’efficacia delle azioni poste in essere da ogni dipartimento e che considererà anche i cambiamenti avvenuti di anno in anno, influenzando positivamente e gratificando sempre più chi lavora. La distribuzione dei punti organico ai dipartimenti dovrà essere fatta sulla base di tutti i fattori che concorrono a determinare l’FFO. Quindi, non solo la VQR e le politiche di reclutamento, ma anche la didattica. Occorre offrire a ogni ricercatore, a ogni professore associato, una reale prospettiva di crescita e il rispetto, l’apprezzamento per il lavoro svolto nell’Ateneo».


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Inserto al n. 1 - Giugno 2019

Pianeta Università

••• CSR - Corporate Social Responsability un incontro al Dipartimento di Economia •••

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a responsabilità sociale delle imprese cresce anche in Italia, e sembra mettere radici sempre più solide all’interno delle organizzazioni, che sempre più numerose si impegnano su questo terreno. Tra le opzioni che potrebbero rendere più stabili gli investimenti in CSR (Corporate Social Responsibility), la più referenziata è la creazione di un marchio di distinzione per quelle aziende che operano in maniera responsabile. Secondo i dati dell’Osservatorio Socialis, presentati all’Università degli Studi di Foggia nel corso dell’incontro La CSR in Italia: un quadro d’insieme degli obiettivi conseguiti e dei ‘sentieri’ da esplorare, promosso dal CSR Lab del Dipartimento di Economia, diretto dal prof. Mauro Romano, nel 2018, il 52% delle aziende italiane che ha implementato attività di CSR e sostenibilità ha dichiarato che l’esistenza di un elemento distintivo che attesti le proprie buone pratiche porterebbe ad una stabilizzazione degli investimenti in CSR. L’VIII edizione del Rapporto sulla CSR in Italia di Osservatorio Socialis registra il progredire della cultura e della pratica della responsabilità sociale d’impresa tra le aziende italiane di medie e grandi dimensioni (più di 80-100 dipendenti): delle 400 aziende protagoniste dell’indagine l’85% dichiara di impegnarsi in CSR (era il 42% nel 2001) e tra queste il 52% lo farebbe con maggiore costanza se avesse un marchio ad attestarlo, come pure l’emanazione di una norma che dia la possibilità di ottenere detrazioni fiscali sarebbe un incentivo alla stabilizzazione degli investimenti - auspicata dal 50% del campione. «La CSR da strumento accessorio e poco considerato è diventata un valore essenziale e necessario per le imprese – ha spiegato Roberto Orsi, Direttore dell’Osservatorio Socialis – Un cambio di passo significativo, che premierà sul mercato chi sarà in grado di seguire un percorso definito per integrare i comportamenti socialmente responsabili con l’organizzazione aziendale, le aspettative dei consumatori e la filiera produttiva». «Le aziende moderne - ha dichiarato il prof. Mauro Romano, prorettore dell’Università di Foggia e professore ordinario di Economia Aziendale – hanno il dovere di affrontare i propri rischi e di calibrare le proprie scelte di gestione nella direzione di una estrema attenzione ai profili socio-ambientali e di trasparenza e correttezza dei processi di governo. La nuova sfida per chi gestisce un’azienda è la sostenibilità, cioè quella condizione di sviluppo economico che sia in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente, senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri. In questa prospettiva – ha continuato il prof. Romano -, la sostenibilità deve essere considerata vincolo imprescindibile per tutte le decisioni aziendali; un ruolo culturale primario dovranno certamente avere gli economisti, gli economisti d’azienda in particolare, se sapranno portare, prima all’interno delle nostre aule, ai nostri studenti, artefici delle aziende del futuro, e poi all’interno della comunità scientifica, delle autorità legislative e regolatorie e dei board, umanità, sensibilità, visione, innovazione, cultura e responsabilità d’impresa”.

••• Italian Tech Week a Torino 5 progetti dell’Università di Foggia •••

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i è svolto a Torino l’Italian Tech Week (ITW), che ha coinvolto protagonisti italiani ed europei del mondo della tecnologia, della cultura e dell’innovazione. Il primo evento dell’ITW è stato il Techshare Day (TSD), iniziativa a cura del Politecnico di Torino e dell’Università di Torino, in collaborazione con il Netval e il MISE-UIBM (Ufficio Italiano Brevetti e Marchi), ideata per presentare ad aziende ed investitori le invenzioni nate e i prototipi sviluppati all’interno degli Atenei e per dare visibilità alle attività di trasferimento tecnologico. Oltre 300 inventori da 30 università e centri di ricerca di tutta Italia, hanno esposto 140 tecnologie selezionate dall’eccellenza tecnologica made in Italy. Tutte le cinque tecnologie dell’Università di Foggia che si sono candidate all’evento sono state selezionate e hanno rappresentato l’Ateneo foggiano in questa vetrina nazionale e internazionale dell’innovazione tecnologica. In particolare sono state presenti le seguenti tecnologie: Linea cellulare di carcinoma renale e suo uso (Brevetto concesso in Italia, in Europa dove è stato nazionalizzato in Francia, Germania, Gran Bretagna, Belgio e Norvegia, e in U.S.A.) rappresentato dalla sua inventrice, prof.ssa Elena Ranieri (Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche). Nuovo Biomarcatore di infertilità (Brevetto dal titolo «Uso di anticorpi contro la proteina PLAC 1 come biomarcatori di infertilità, kit diagnostico per la rilevazione della risposta immunitaria contro PLAC1 e uso della proteina PLAC1 in campo terapeutico e contraccettivo», concesso in Italia e in Europa dove è stato nazionalizzato in Francia, Germania, Spagna, Regno Unito, Monaco), rappresentato dal prof. Arcangelo Liso, anche a nome della prof.ssa Maria Matteo (entrambi del Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche).

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Provinciale

Giornale di opinione della provincia di Foggia

Metodo per la produzione di biofilm microbici probiotici e relativi usi, brevetto concesso in Italia e domanda di Brevetto estesa in Europa e in U.S.A., rappresentato dal prof. Arcangelo Liso (Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche), anche a nome della prof.ssa Maria Rosaria Corbo e della dott.ssa Barbara Speranza (Dipartimento di Scienze Agrarie, degli Alimenti e dell’Ambiente). Metodo di produzione e stabilizzazione di filetti di pesce di V gamma, brevetto concesso in Italia, rappresentato dalla dott.ssa Anna Pina Fiore anche a nome della prof.ssa Carla Severini e del dott. Antonio Derossi (Dipartimento di Scienze Agrarie, degli Alimenti e dell’Ambiente). Sostituto di grassi in composizioni alimentari (Brevetto dal titolo «Associazione a base di inulina e suo impiego come sostituto dei grassi in composizioni e formulazioni alimentari»), concesso in Italia e domanda di brevetto estesa in Europa e ad Hong Kong, rappresentato dalla dott.ssa Anna Pina Fiore, anche a nome della prof.ssa Carla Severini (Dipartimento di Scienze Agrarie, degli Alimenti e dell’Ambiente).

••• Studi sul mandorlo pubblicati dalla prestigiosa rivista Science •••

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a prestigiosa rivista scientifica internazionale Science lo scorso 14 giugno ha pubblicato un report dal titolo Mutation of a bHLH transcription factor allowed almond domestication, frutto della stretta collaborazione che il Dipartimento di Scienze agrarie, degli Alimenti e dell’Ambiente dell’Università di Foggia ha avviato con l’Università «Aldo Moro» di Bari, l’Università di Copenaghen e il centro ricerca CEBAS-CSIC di Murcia (Spagna). I ricercatori delle 4 istituzioni accademiche hanno focalizzato i loro studi sul mandorlo, una specie appartenente alla famiglia delle Rosaceae la cui parte edibile è il seme. Originariamente le mandorle erano amare, ma l’uomo – con la domesticazione della specie – ha selezionato il seme dolce. La domesticazione di molte specie vegetali ha spesso implicato l’eliminazione da organi della pianta di composti di difesa dal sapore sgradevole o addirittura tossici per l’uomo. Un eccellente esempio, a riguardo, è dato dal mandorlo, le cui specie selvatiche producono semi amari e letali anche se assunti in modeste quantità. Lo studio pubblicato da Science evidenzia come il genoma del mandorlo, dislocato su 8 cromosomi e di dimensioni di circa 250 milioni di basi nucleotidiche, contenga circa 28.000 geni. Attraverso la ricerca è stato possibile identificare la proteina (fattore di trascrizione) che regola la biosintesi dell’amigdalina e caratterizzare una mutazione responsabile del sapore dolce dei semi, selezionata dall’uomo nel primo Olocene (circa 10.000 anni fa) nella regione della Mezzaluna Fertile. «Questa mutazione – ha affermato la prof.ssa prof.ssa Concetta Lotti, associata di Genetica agraria al Dipartimento di Scienze agrarie, degli alimenti e dell’ambiente – consiste nel cambiamento di una sola base nella sequenza del fattore di trascrizione sarebbe determina il cambiamento di un solo aminoacido nella sequenza della proteina corrispondente». I risultati scaturiti dagli studi di sequenziamento del DNA del mandorlo e di isolamento del gene responsabile dell’amarezza, rivestono notevole rilevanza sia perché forniscono informazioni relative alle basi genetiche della domesticazione del mandorlo sia per il futuro miglioramento genetico della drupacea, specie che è coltivata a livello mondiale su quasi 2 milioni di ettari e diffusissima nelle regioni meridionali d’Italia, determinando grande interesse anche da parte dell’agro-industria. Per il Dipartimento di Scienze agrarie, degli alimenti e dell’ambiente dell’Università di Foggia la ricerca è stata appunto condotta dalla prof.ssa Concetta Lotti e dalla dott.ssa Francesca Ricciardi , mentre per l’Università «Aldo Moro» di Bari è stata condotta dai proff. Luigi Ricciardi e Stefano Pavan e dalla dott.ssa Rosa Mazzeo. È la prima volta che il Dipartimento di Scienze agrarie, degli alimenti e dell’ambiente «finisce» su Science (considerata dai ricercatori di tutto il mondo una specie di «vangelo laico» della scienza, della sperimentazione e dell’innovazione tecnologica) per una propria ricerca, un risultato a suo modo storico che la prof.ssa Lotti commenta così: «Condivido con tutto il Dipartimento questo importante risultato che testimonia l’eccellenza scientifica della nostra ricerca e del nostro Ateneo».


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Anno XXX - n. 1 Giugno 2019

CronAChe dellA CulturA

Pontano poeta di Francesco Tateo

Umanista col pregio di scrivere latino proposto con modernità e accessibilità

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rancesco Tateo, per molti anni docente di Letteratura Italiana nella Facoltà di Lettere di Bari, che ha guidato a lungo come preside, ha da poco dato alle stampe un nuovo, stimolante volume dedicato all’umanista Giovanni Pontano. Lo studioso, com’è noto, ha concentrato i suoi interessi proprio sul periodo umanistico-rinascimentale e una nota del volume in questione ricorda che i suoi interventi pontaniani risalgono già al 1969, quando ha curato un’edizione critica del De magnanimitate, per l’Istituto Nazionale di studi sul Rinascimento. Ora, dunque, con questo Pontano poeta, che reca un esplicativo sottotitolo, Carmi scelti e frammenti con traduzione italiana, ha aggiunto un’altra

tessera al mosaico dei suoi studi. In questo modo, ha messo in gioco non solo la sua indiscussa perizia di studioso, ma anche il suo orecchio di traduttore e di versificatore, affrontando una sfida non semplice. Pontano è un nome fondamentale dell’Umanesimo meridionale, di quel mondo che ha trovato il suo centro intorno alla corte di Napoli, in un periodo storico tra l’altro denso di eventi storici, alcuni dei quali decisamente dirompenti. Il suo pregio e insieme il suo difetto per gli uomini d’oggi è quello di aver scritto quasi esclusivamente in latino, una lingua che purtroppo non trova quasi più ospitalità neppure in Italia, e questo rende l’umanista nativo di Cerreto, in Umbria, un autore da guardare da lontano, con diffidenza, riservato solo agli addetti ai lavori. Ma proprio intorno a questo punto centrale ha lavorato Tateo, realizzando un volume che offre i necessari sussidi alla comprensione e che, nello stesso tempo, porta allo scoperto la modernità e, comunque, la proficua accessibilità del latino del Pontano. Il volume è preceduto da un’introduzione nella quale viene ripercorsa la fortuna critica di Pontano, assestatosi nel Novecento come un minore, nel quadro della letteratura italiana, studiato per le sue liriche, ma anche per i suoi trattati in prosa, che qualcuno ha persino anteposto alle prime. Tateo pone l’accento sul poeta con l’obiettivo di tradurlo in versi, e in questo modo si distanzia da un importante precedente, rappresentato dalle tradu-

zioni di Liliana Monti Sabia, contenute nel quindicesimo volume della Letteratura italiana della Ricciardi, del 1964, riprese poi in due volumetti editi dalla Einaudi, apparsi nel 1977. La Monti Sabia nella sua corposa e preziosa antologia ha optato per la traduzione in prosa, anche se alcune parti sono state rese in versi, seguendo dei criteri non sempre in verità inattaccabili. Tateo, da parte sua, così motiva la sua scelta: «Poiché la nostra intenzione […] è di esemplificare la poesia pontaniana nella varietà e proprietà dei suoi generi, che implicano una scelta metrica, si è esclusa la traduzione in prosa, la quale può avere il pregio di essere al servizio del testo latino in senso essenzialmente contenutistico, e riservare talora la possibilità di una maggiore corrispondenza della ‘lettera’, ma tradisce uno dei maggiori impegni del poeta, che nel nostro caso è uno straordinario studioso della varietà metrica e della resa ritmica[…]». Di qui il ritorno, come si legge nelle pagine di Nota sulla traduzione, alla metrica barbara, ai criteri di trasposizione della metrica quantitativa in accentuativa, che sostengono l’operazione di Tateo. Certo, in effetti la prosa può in qualche passaggio risultare più chiara e diretta, specie per chi non conosce il latino del testo originale, che in ogni caso viene doverosamente affiancato alla traduzione; ma il lettore più attento ed esperto potrà senza sforzo gustare e apprezzare il senso delle scelte poetiche di Tateo, la capacità di imitare, umanisticamente parlando, il modello prescelto, senza stravolgere l’orizzonte di riferimento, come ad affermare una volta di più la valenza dei precetti umanistici. Si pensi, ad esempio, ai distici elegiaci, per i quali non si può non pensare all’esempio carducciano, con i quali si apre la prima parte dell’antologia. L’eleganza

Il prof. Korinman a San Marco in Lamis

Geopolitica e ambiente, con un occhio ai problemi del Parco del Gargano

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Borgo Celano, una frazione di San Marco in Lamis ai piedi del Monte Celano e a ridosso del Santuario di San Matteo, è stato allestito un ampio Parco partendo da alcune impronte pietrificate risalenti all’epoca ormai lontanissima, quando l’area era popolata da dinosauri. Il Parco offre, oltre ad alcune riproduzioni artificiali del dinosauro, anche un complesso che ospita un Museo, un’Aula multimediale e un Auditorium dove si è tenuto un convegno di grande interesse. Il tema coniugava due temi non sempre in sintonia tra loro, la politica e l’ambiente. Relatore d’eccezione, il professor Michele Korinman, docente di Geopolitica presso l’Università Sorbona di Parigi. A fare gli onori di casa il sindaco di San Marco in Lamis Michele Merla, il sindaco di Cagnano Varano Claudio Costanzucci, in qualità di vice presidente del Parco nazionale del Garga-

no, la dottoressa Villani in rappresentanza della Provincia di Foggia. Conduttore e moderatore della manifestazione il dottor Sacha Di Giovanni. Il professor Karinman ha sviluppato una relazione imperniata su talune idee centrali riguardanti la situazione politica generale del momento e gli effetti e che ne scaturiscono in riferimento ad alcuni Paesi che sono i protagonisti principali dell’attuale momento storico. In particolare ha sottolineato la complessità delle relazioni internazionali, la tendenza sempre più marcata allo scontro più che al dialogo tra le parti, riflessi che incidono sulla difficoltà a trovare alcune soluzioni imprescindibili in riferimento al clima e all’ambiente, soprattutto in riferimento ad alcune aree del pianeta terra. Lo studioso ha fatto spesso riferimento alla politica della Francia e dell’Italia perché di queste egli conosce

meglio storia e vicende e politiche attuali. Di rilievo assoluto è stato l’auspicio che di educazione al dialogo e alla negoziazione si faccia carico l’azione formativa della Scuola che deve abituare gli alunni, che saranno poi i cittadini protagonisti del prossimo futuro, all’utilità di mettere a confronto i propri punti di vista e a trovare le possibili intese e convergenze, evitando contrasti e rotture. Il dibattito che ne è seguito ha riguardato temi più legati all’ambiente e al Parco nazionale del Gargano. Diversi gli interventi che, pur nella loro necessaria brevità, hanno richiamato alcune carenze che riguardano la gestione del Parco, in primo luogo l’assenza, che dura ormai da anni, del

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delle scelte, le inversioni preziose, persino certe concessioni alle necessità della metrica, tutto converge verso l’armonia complessiva e sostiene il senso dell’operazione, dimostrando come la poesia di Pontano abbia ancora una sua vitalità e una sua ragion d’essere, anche al di là del mero quadro della letteratura italiana ufficiale. Il latino umanistico, con i suoi tanti e vitali richiami alla tradizione classica, da Catullo a Orazio, da Properzio a Virgilio, comunica ancora, sia pure in un’indispensabile veste linguistica ‘volgare’, la gioia dell’amore e dell’abbandono ai sensi, ma anche il valore della famiglia e degli affetti. Il riferimento è alle liriche del De amore coniugali, che Pontano dedica alla moglie, con le celebri Nenie, capolavori composti in un latino che diventa lingua degli affetti, dei vezzi e delle azioni di ogni giorno, senza però perdere la sua sostanziale compostezza. La ninna nanna al piccolo Lucio ha ancor oggi un suono dolcissimo, che ammalia il lettore. La Monti Sabia ha preferito a suo tempo cedere temporaneamente al fascino del verso, traducendo i distici con dei doppi ottonari; Tateo invece resta fedele alla sua scelta complessiva, diversificando la resa dell’esametro e del pentametro nei versi doppi italiani, e ci sembra una soluzione più organica e coerente. Quello che è certo è che il piccolo Lucio, destinato a morire prematuramente, rivive ancora mirabilmente per i lettori del terzo millennio, e questo risultato dovrebbe spingere molti a rivedere i propri pregiudizi sui poeti umanistici e sulla loro capacità di trasmetterci ancora la loro lezione. Francesco Giuliani Francesco Tateo, Pontano poeta Edizioni del Rosone, Foggia, 2017 suo presidente. Tale assenza non permette l’esplicazione delle grandi possibilità che ha il Parco per dare al territorio sviluppo e crescita. In particolare, è stata richiamata l’assenza assoluta di segnaletica informativa all’interno dell’area che non consente al visitatore di orientarsi e di conoscere bene il patrimonio, soprattutto della flora garganica. Altro limite è dato dalla scarsa vigilanza in quelle che sono le azioni inquinanti compiute all’interno del Parco, oltre al taglio indiscriminato degli alberi per ricavarne legna da vendere illegalmente. C’è stato anche un intervento piuttosto deciso di un rappresentante dei proprietari e allevatori che vivono all’interno del Parco per evidenziare la politica vessatoria dell’Ente che, a loro dire, penalizzerebbe la loro attività. Su tutte queste problematiche sono arrivate le risposte del dottor Costanzucci che, come detto, svolge le funzioni di presidente. In sintesi, si è trattato di un incontro molto interessante che ha bisogno, però, di registrare un seguito che possa consentire un esame più approfondito e puntuale di quelle che sono le questioni aperte dell’intera area del Parco. Raffeale Cera


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Chi racconterà il mio domani, silloge di D. Paiano

Versi scritti con candore ricco di pathos, sentimenti scanditi dalla dittatura del tempo

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uilio Paiano è un affermato giornalista del nostro territorio. Autore di romanzi e saggi interessanti, mai aveva pubblicato sino ad oggi una silloge poetica. Ora questa lacuna è stata

colmata da Chi racconterà il mio domani…, una raccolta composta da 53 componimenti nella quale il poeta ha sviluppato con grande sensibilità i suoi pensieri, i suoi moti d’animo, per raccontare in versi, riflessioni, sensazioni e sentimenti che hanno sottolineato il suo peregrinare in questo mondo così controverso. Non mi ha colto di sorpresa questa silloge. Paiano in suoi precedenti lavori aveva scritto pagine di vera poesia anche se mascherate dalla prosa, basta rileggerne alcune tratte da alcuni suoi libri (Come un aquilone - Utopia, il viaggio della speranza) per comprendere ed apprezzare l’intensità del suo afflato poetico. In questa raccolta di poesie di Paiano si avverte il succedersi dei sentimenti più profondi nei vari periodi della sua vita, scanditi dalla dittatura del tempo. Le sue intuizioni talvolta salgono dall’inconscio, ma spesso derivano anche dalla conoscenza e dalla realtà in cui come novello Ulisse

Il Gargano segreto di Pasquale Soccio

Prose ricamate di poesia, ricche di storia, mitologia, ecologia...

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apevo della eccellente versatilità alla scrittura del professor Pasquale Soccio, sapevo della sua profonda passione per gli studi letterari e storici, ma leggere un suo libro, questo Gargano segreto (Mario Adda Editore), è un’altra cosa. Qui è l’anima dello scrittore raffinato, sensibile, poetico che emerge da ogni pagina, insieme alla dottrina e alla filosofia dell’uomo. Qui le descrizioni sono prose ricamate di poesia: una poesia ricca di storia, di letteratura, di mitologia, botanica, ornitologia, ecologia… I luoghi gli rubano l’anima e lui mette l’anima nel descriverli. I luoghi sono gemme che la sua penna magica rende più preziose; terra, cielo, mare, grotte, caverne, doline, declivi, campi, boschi si colorano d’incanto, producendo nel lettore emozioni forti e indimenticabili. I luoghi descritti si fanno visibili e persino la gente garganica appare viva e vera nella sua identità arcaica e fascinosa, colta di una cultura antica, poggiata su usi e tradizioni unici e speciali. Gli ulivi e i mandorli sono emblemi di bellezza paesaggistica che appaiono qua e là, a punteggiare di poetica fioritura il paesaggio che scorre dinanzi agli occhi del lettore in sequenze fotografiche. «Ulivi dalla pallida bellezza e mandorli che fioriscono come il miracolo di una preghiera vegetale» nelle zone aride e petrose, dove aleggia «la pallida santità degli ulivi e la grazia leggiadra dei mandorli in fiore» (pag. 42).

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I santuari hanno sempre dato e continuano a conferire al Gargano una profonda impronta di religiosità, capace di calamitare personaggi straordinari (Santi, pontefici, re…) e persone comuni di tutto il mondo. Col passare degli anni si è perduto il fascino degli antichi pellegrinaggi a piedi o sui carri, superati ormai dai rumorosi mezzi dell’attuale turismo religioso, che affolla e consuma. Comunque, tuttora «ha voce mistica la goccia che cade sul capo scoperto del pellegrino nella grotta dell’Angelo» (pag. 120). Allo scrittore bambino e ai suoi compagni sembrava «naturale che sulle mani di un frate fiorissero un giorno le stimmate». E i riti? Sanno anch’essi di antico e di arcano, fortemente vissuti nell’ardore dei fuochi e dei cuori; riti raccontati con il vigore delle parole giuste, azzeccate quant’altre mai. Un figlio, Pasquale Soccio, incantato e affascinato dalla propria madreterra, lieto di raccontarla al lettore con artistico piglio. La descrizione del pancotto è un vero capolavoro. Il pancotto sammarchese ha davvero «amore», un amore-sapore associato all’odore di una mamma: «Odore di pane e di madre: i primi doni della vita». Da eccelso scrittore Pasquale Soccio offre pennellate preziose e veraci quando descrive il paesaggio del suo luogo natio, di cui sono parte integrante, caratterialmente e fisicamente, gli abitanti che lo vivono. Un Gargano

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naviga senza meta alla ricerca della verità. La poesia di Paiano contiene germi di grande serenità, mai di disperazione, e di convinta consapevolezza soprattutto nell’affrontare temi delicati come nella lirica Testamento dove con assoluta chiarezza delinea il proprio futuro dopo l’inevitabile passaggio da questo mondo «…Polvere / voglio tornare / ad essere / per riprendere / a danzare / nell’infinito / da dove sono venuto», versi scritti con un candore ricco di pathos, sottolineati da un linguaggio che non lascia dubbi ma che denotano una non superficiale cultura filosofica. Anche la nostalgia è protagonista di alcune liriche del nostro autore, nostalgia che non vuol essere rimpianto del passato, ma che accetta come compagna nel suo peregrinare su questa terra, nostalgia che è uno sprone perché è la forza per affrontare le tante sfide. Ogni sfida una scalata da affrontare senza tirarsi mai indietro come metaforicamente il poeta confessa, pensando al tramonto della vita, «La montagna mi attende / lassù / quasi irraggiungibile. / Mi arrampico a fatica, / lentamente, / per impervi sentieri. / … Ora, / fiaccato nel fisico / robusto nella saggezza / sto per raggiungere / la vetta». (da Scalata).

Certamente le poesie di Paiano sono genuine, essenziali, sono una confessione intima, un dialogo con se stesso, tappe di un viaggio all’interno del suo animo che hanno come traguardo l’umanità. Non è una esagerazione, ma ogni poesia, dopo la pubblicazione, non appartiene esclusivamente al suo autore, ma ad ogni essere umano che potrà farla sua interpretandola secondo il proprio sentire interiore. Questo è un altro merito del nostro poeta che con l’efficacia del suo linguaggio e la bellezza del verso sa incunearsi negli animi dei lettori più sensibili. Concludo questa mia recensione soffermandomi sul titolo della raccolta: Chi racconterà il mio domani … che si avvale della prestigiosa nota critica di Michele Urrasio definito dal critico Barberi Squarotti «voce poetica dal respiro internazionale». Chi racconterà il mio domani è l’interrogativo senza risposta che il poeta si pone nell’ultima strofa di Suspence. Ma per un poeta il tempo non ha senso, ieri oggi e domani sono aspetti inscindibili del cammino umano e sono convinto che quanto prima sarà il nostro autore a raccontarci il suo domani.

che somiglia alla Grecia, specialmente quello raccontato a pagina 104, una delle tante pagine che si leggono in spirituale godimento e in poetica ammirazione. Un mondo che, in effetti, ha dell’olimpico, anche per la presenza di quell’albero di Minerva, che «spacca il sasso per donarti un frutto che è cibo e luce». Persino nella parlata garganica, «nella sintassi libera e armoniosa», è presente la Grecia e «nell’assiduo canto di donne non viste, felici di esprimersi e sicure ‘in chiuso ricetto’, si ascolta “il richiamo delle sirene”». «In una vaga azzurrità, tra mare e cielo, (la montagna, ‘materna montagna’) rimane sospesa, come un’iridescente bolla che al tocco svanirebbe d’incanto». (pag. 116) Quanta ricchezza di scrittura! Una prosa descrittiva che gronda di fresca rugiada. Quasi mi rattrista l’idea che non vi sono più pagine da leggere. Le rileggerò tutte, per cogliere qualche perla che può essermi sfuggita. Grazie, infinitamente grazie, prof. Soccio, insigne scrittore con nella mente e nel cuore tanta poesia! In questo libro, con anticipo e con fermezza, suona il richiamo ecologico: «L’irrequieto

uomo del cemento abbatte, divora, consuma e si consuma». E non poteva che concludersi, questo libro, con il pensiero alla povertà di San Francesco e con l’immagine di un fiore: «Basta poco, e che poi è tutto; perché per un cuore disincantato non c’è nulla di meglio che una rosa di Stignano». Mi pare opportuno chiudere queste note con le parole sempre attuali della scrittrice Iris Origo, dall’autore usate per introdurre il lettore alle pagine del suo lavoro d’amore per il Gargano, sua «zolla vivente e vagante»: In un’epoca di consumismi di massa, la bellezza fragilissima del paesaggio ha bisogno di segretezza per sopravvivere. L’impressione è che tra i lavori letterari di descrizioni paesaggistiche ed umane sia difficile trovarne uno che regga al confronto con questo lungo inno al Gargano e alla Puglia, «come Venere nata dal mare». Dovrebbe pertanto, questo libro, essere usato nelle scuole quale importante modello di scrittura per i giovani, perché superino finalmente il contagio dei ‘messaggini’ telematici, quasi sempre schematici e privi di umano calore. Grazia Stella Elia

Giucar Marcone

Periferie, rivista culturale sempre ricca di novità

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ome sempre molto interessanti i numeri di Periferie, trimestrale di cultura diretto da Bruno Cimino, Vincenzo Luciani e Manuel Cohen. Nel numero 88, ottobre-dicembre 2018, micro saggi sono dedicati al ruolo del dialetto e delle lingue locali e al ricordo di Achille Serrao, poeta e intellettuale scomparso ormai da sei anni. Notevole anche un saggio di Cosma Siani sulla nuova raccolta di poesie latine di Joseph Tusiani. Come di consueto, di rilevante significato le recensioni offerte ai lettori che segnalano alcuni dei più interessanti lavori pubblicati di recente. Il numero di gennaio-marzo 2019 è in gran parte riservato alla prima edizione della lettura poetica dedicata ad Achille Serrao. Dopo le note di lettura a cura di Manuel Cohen segue una serie di testimonianze poetiche nei dialetti più disparati con schede illustrative degli autori. Le pagine dedicate a «Ci hanno lasciato» ricordano autori di spessore quali Vito Moretti e Gianni Fucci. Intriganti le pagine destinate agli «Aperilibri», con la segnalazione che la collana si è arricchita di altri due volumetti: La veglia e il sonno di Maurizio Rossi e La statura della palma di Francesco Del Moro.


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Un libro di Francesco Barbaro su Roberto Curato

Primo presidente del Consorzio di Bonifica di Capitanata, progettista illuminato

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oberto Curato l’ingegnere bonificatore che sognava di trasformare il Tavoliere, questo il titolo di un volume biografico sul primo presidente del Consorzio di Bonifica di Capitanata che è stato presentato a Lucera nel salone di rappresentanza del Circolo Unione di piazza Duomo. Il volume, scritto da Francesco Barbaro – giornalista della «Gazzetta del Mezzogiorno» con all’attivo già diver-

se pubblicazioni a partire da Lucera la strage dimenticata - ed edito dalle Edizioni del Rosone di Foggia, racconta dei primi passi del Consorzio foggiano, nato nel gennaio del 1933 con un Regio Decreto che decise di unire i precedenti consorzi di bonifica locali formatisi a partire dal 1928. Il volume è stato illustrato da Paolo Emilio Trastulli, saggista e critico letterario. A dare il via alla presentazione, in un salone del Circolo Unione gremito, sono stati i saluti: dei presidenti del Circolo Unione onorevole Vincenzo Bizzarri, del Consorzio Studi per i Problemi Agricoli – che ha patrocinato il volume – Cristoforo Carrino; dell’Unione Agricoltori di Lucera Antonio De Luca; della Confagricoltura provinciale Filippo Schiavone. Roberto Curato, nato il 29 luglio del 1880 a Lucera, ebbe nella sua non lunga – morì il 30 settembre del 1935 - ma intensa vita tanti ruoli: imprenditore illuminato; abile pubblicista, autore di una lista di decine di saggi ed articoli, culminata nel lavoro editoriale Nuovi orizzonti economici mondiali scritto nel 1933 per la Treccani; oratore brillante, chiamato a rappresentare la Capitanata anche a Milano al Convegno nazionale sull’irrigazione del 1925 ed a Firenze nel maggio del

San Severo nella seconda guerra mondiale di A. Perna

Testimonianze di guerra destinate soprattutto alle giovani generazioni

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ncora una volta Armando Perna si presenta al pubblico dei lettori con un testo ricco di notizie e di significati, e ancora una volta il suo pensiero è rivolto soprattutto «ai giovani che non sanno», esplicitamente menzionati nella dedica iniziale. (…) Certo, mai come questa volta i giova-

ni hanno bisogno di sapere. Il 2018 appena trascorso è stato segnato dalle celebrazioni sul centenario della fine della prima guerra mondiale, l’inutile strage invano denunciata dal papa dell’epoca, che ha troncato l’esistenza di milioni di soldati. Molti di loro erano poco più che ragazzi, strappati al loro paesello, alle proprie famiglie, alle rosee speranze di un futuro migliore. Qualcuno gli ha messo in mano un fucile, gli ha riempito la testa di istruzioni e di avvertenze ipocrite, avviandoli verso sconosciute zone di montagna, da dove non hanno fatto più ritorno. Leggere le biografie di queste povere vittime, incluse nel libro di un altro studioso pugliese, è un’esperienza sconvolgente, che grida ancora vendetta. Dalla prima guerra alla seconda guerra il cammino è stato purtroppo rapido e senza deviazioni. Da un’inutile strage all’altra non c’è stato tempo per ripensamenti e sussulti di onestà, anzi solo per un raffinamento di malvagità. Il fuoco dell’ideologia e della retorica ha coperto l’aspirazione alla pace e all’amore di altri giovani, anche loro condannati a morte tra ghiacci e deserti.

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1934; sindaco e podestà di Lucera; accademico dei Georgofili; meridionalista attento, convinto della necessità che lo Stato investisse nel Sud d’Italia per creare infrastrutture ed innescare così un processo virtuoso di crescita. Curato fu tutto questo ed altro. Un uomo capace di intuire la validità di progetti innovativi, tanto da entrare a far parte, assieme ad Alberto Pirelli, nel 1917, nel comitato per la costruzione della Ferrovia Transbalcanica Roma, Valona, Istanbul; apprezzare gli embrionali esperimenti di genetica applicata all’agricoltura fatti in Nord America agli inizi del ‘900. Curato, però, fu soprattutto il primo commissario straordinario del Consorzio Generale di Bonifica di Capitanata, incaricato dal sottosegretario Arrigo Serpieri di calare nel Tavoliere la bonifica integrale voluta dal regime fascista. Per realizzare quell’incarico Curato redasse un piano di trasformazione che prevedeva centinaia di km di strade, linee elettriche e telefoniche, acquedotti, ponti, 5 nuove città e 98 borgate rurali. Siponto, Segezia, Borgo Mezzanone, Giardinetto: queste alcune delle borgate nate dal quel piano. Con quel piano, e con l’introduzione dell’allevamento bovino con stalle, Curato puntava a dare lavoro ai braccianti giornalieri e trasformarli in salariati fissi delle aziende agricole facendo salire le giornate lavorative annuali a 16 milioni, dalla cifra iniziale di 9 milioni e mezzo registrata nel 1933. Quella progettualità ambiziosa, meticolosa e articolata sopravvisse alla sua stessa precoce morte, fu raccolta dalla neonata Repubblica nell’immediato Secondo Dopoguerra e

vide l’azione del figlio, Francesco Paolo Curato che seppe proseguire le orme paterne divenendo accademico dei Georgofili e tecnico di prim’ordine. Il ruolo di commissario del Consorzio proiettò Curato sul panorama regionale e nazionale, portandolo anche a diretto contatto, nel gennaio del 1934 a Roma, con Mussolini, al quale illustrò di persona il piano di trasformazione di quello che era il più grande comprensorio di bonifica d’Italia. Fra i protagonisti di quella pagina di storia, che fu la bonifica integrale, raccontata in questo libro: Gaetano Postiglione, Giuseppe Pavoncelli, Domenico Siniscalco Ceci, Gabriele Canelli, Giuseppe Caradonna, Celestino Trotta, con i quali Curato discusse, collaborò, dialogò, si scontrò, nel comune desiderio di cercare di modernizzare e far crescere il Tavoliere creando occupazione per i braccianti e reddito per le aziende agricole. Il libro racconta, mediante le vicende di Roberto Curato, non solo le vicende della bonifica del Tavoliere ma anche un pezzo della storia di Lucera nel primo quarantennio del ‘900 con tanti uomini – Mario Prignano, Francesco Piccolo, Riccardo Del Giudice, Alfonso De Giovine, Alfonso De Peppo, Roberto De Peppo, Giuseppe De Peppo, Alberto Mastrolilli, Francesco Lastaria, Giambattista Gifuni – che segnarono le vicende politiche, culturali economiche della città in quel periodo storico ed ebbero rapporti di amicizia e collaborazione professionale con Roberto Curato.

E qui entra risolutamente in campo il nostri Perna, classe 1936, che all’epoca era un ragazzetto di setteotto anni, che si affacciava all’esistenza in tempi infausti, in cui le tragedie belliche erano quotidiane, più del pane e pomodoro e del pancotto. Per quelli che sono nati dopo, la guerra doveva, per fortuna, diventare una semplice parola, uno spettacolo da vedere in televisione o sullo schermo di un computer, mentre ci si distrae. (…) Perna ha opportunamente raccolto in questo libro il frutto delle proprie ricerche, che in parte hanno già trovato spazio in periodici e pubblicazioni locali, ma anche, per non dire soprattutto, il vivo ricordo delle proprie esperienze biografiche, alle quali si aggiungono le memorie di alcuni testimoni diretti. È un patrimonio di vita e di memoria davvero molto prezioso, che in questo modo viene salvato dall’inevitabile dispersione, quando i testimoni diretti di quegli eventi, distanti da noi oltre settant’anni, lasceranno la scena del mondo. Dunque Perna ha avuto un’ottima idea nel mettere insieme questo lavoro, in cui sono tanti i particolari che ci colpiscono, a partire proprio dal contrasto tra il mondo dei ragazzi, che aspirano legittimamente a divertirsi e a vivere nel migliore dei modi la loro età fiorita, e quello della guerra, che assume molteplici volti, sempre comunque negativi ed inquietanti. (…) C’è anche la volontà di ricostruire

storicamente il quadro degli eventi, in una San Severo ricca di aeroporti e cruciale punto di passaggio delle truppe alleate, dopo la figa dei tedeschi. A supporto di questo sforzo documentario Perna aggiunge una pregevole e preziosa appendice iconografica, una Antologia visiva, dedicata alla presenza delle truppe straniere in città. (…) Queste foto d’epoca partono mostrando gruppi di tedeschi. Osservando l’immagine di un reparto tedesco in posa nella Villa comunale di San Severo non si può non pensare al mistero del male che contagia l’uomo, corrompendolo in profondità. Presi uno per uno questi uomini, spesso questi giovani, non hanno nulla di temibile e c’è persino una foto che mostra un tedesco mentre guarda con premura e interesse un innocuo cagnolino, non uno di quei feroci doberman cari a certi gerarchi. Ci sono anche scene di amicizia tra tedeschi, sullo sfondo della città dauna, e magari sono gli stessi che hanno fatto saltare in aria ponti ed edifici mentre si apprestavano a ritirarsi più a nord. (…) Ai giovani, ma anche ai meno giovani, insomma, questo libro di Perna offre davvero molti spunti, ed è per questo motivo che ci sentiamo di raccomandarlo ai lettori, sperando, ovviamente, che la parola guerra resti sempre relegata nei libri di storia e nei documentari televisivi.

Marida Marasca

Francesco Giuliani (Dalla presentazione del libro)


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Con più arte la rincalzo. Percorsi compositivi nella Commedia di Dante

Il pregevole studio di Giuseppe Camerino nella interpretazione di Luca Mendrino

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cura delle Edizioni del Rosone è stato pubblicato nel 2016 il lavoro di Giuseppe Antonio Camerino, Con più arte la rincalzo. Percorsi compositivi nella Commedia di Dante. A beneficio dei nostri lettori riportiamo un ampio stralcio della recensione alla pregevole opera scritta da Luca Mendrino, dottore di ricerca in Lingue, letterature e culture moderne e classiche presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università del Salento.

«Dopo il recente commento alla Commedia (Napoli, Liguori, 20122014) Camerino raccoglie in volume nove contributi danteschi, di cui uno inedito su Pg. II. L’«arte» a cui si allude nel titolo – e a cui fa riferimento Dante in Pg. IX, 70-72: «Lettor, tu vedi ben com’io innalzo / la mia matera, e però con più arte / non ti maravigliar s’io la rincalzo» – è quella della retorica. Lo studioso si sofferma in particolare su quei «processi inventivi e compositivi condotti per figure stilistico-retoriche» (p. VII) frequentissimi nel poema dantesco, in modo particolare in quei canti ambientati in uno stesso luogo del poema (ma vengono individuati anche i «sorprendenti parallelismi [...] a distanza»). Va da sé che problemi così specifici debbano necessariamente essere ricondotti a un vero e proprio metodo di lavoro; quello che per esempio rivela «sorprendenti parallelismi [...] a distanza» (ibid.) e altre risorse di un’arte poetica da Dante esposta già nel Convivio, a cominciare dall’invito a ‘legare le parole’ su cui in questo studio si insiste molto in ciascuno dei nove capitoli complessivi che coinvolgono, non senza erudite integrazioni esegetiche, ben numerosi richiami da altri scritti dell’Alighieri, e non solo dalla Commedia (si veda nel volume il copioso Indice dei luoghi danteschi). D’altra parte, i canti presi in esame non sono mai studiati isolatamente, bensì in una continua correlazione di richiami nel poema, sia vicini sia pure lontani. Si tratta di un’indagine testuale la cui ampiezza è evidente sin dal primo capitolo in cui il canto di If. XXV è analizzato in continua corrispondenza con il precedente (If. XXIV), col quale rivela una comune «poetica dell’incompiutezza e della precarietà» (p. 15); poetica, si noti, che arricchisce il centrale tema della metamorfosi. Questo tema, infatti, viene anzitutto rivelato dallo studioso da raffinati paralleli stilistici e lessicali in If. XXIV; si pensi a termini come «vapor», «nebbia», «torbidi nuvoli» che già preannunciano un topos del canto successivo, quello del fumo. Non diversamente accade per il motivo dell’«ambascia», ovvero quel senso di angoscia che già viene preannunciato addirittura all’inizio di If. XXIV, dove non a caso compare il verbo cangiare (v. 13) come reggente di una prima metamorfosi. E angosciato sarà pure lo stesso Dante negli ultimi versi di If. XXV, a causa del «mutare e trasmutare» (v. 143) a cui sta assistendo. Inoltre, nei versi immediatamente successivi – fa

notare lo studioso –, è possibile trovare conferma della poetica dell’incompiutezza del linguaggio, come nel caso di lemmi come «abborra», «confusi», «smagato», «chiusi» disposti a fine verso (vv. 144-147) «a formare una banda semantica coerente» (p. 22). Dante stesso, del resto, sente la necessità di scusarsi con il lettore se ‘lo stile arranca’ nel suo estremo tentativo di descrivere i processi metamorfici attraverso tutta una serie di invenzioni linguistiche («e qui mi scusi / la novità se fior la penna abborra»). È la grande sfida della letteratura a cui Dante, come i grandi poeti classici, non si sottrae (anzi entra in competizione con essi): tentare ugualmente di rappresentare qualcosa di mai visto prima attraverso metafore e similitudini derivabili dall’esperienza sensibile. In merito a Pg. II lo studioso insiste sulla connotazione musicale di questo canto, sul motivo della lentezza e su quello dell’incertezza (‘incerti’ sono finanche Casella e Catone). Già prima della solenne melodia delle anime sulla navicella e dell’incontro con Casella è possibile individuare dei riferimenti ‘musicali’, come nel caso dei «grossi vapor» di Marte (v. 14) che vanno ricollegati ai «vapori del cuore» di cui Dante scrive nel Convivio (II XIII, 24) a proposito della musica. Il ritardo con cui il compositore e amico di Dante approda sulla riva del Purgatorio è dallo studioso interpretato in linea con la lentezza degli altri spiriti, non a caso rimproverati di negligenza da Catone. E ancora una volta, alla fine del capitolo, risultano molto evidenti puntuali simmetrie con i canti contigui sempre sul motivo della lentezza, come quando in Pg. III si legge di «una gente / d’anime, che movieno i piè ver’ noi, / e non pareva, sì venïan lente» (vv. 58-60). Nel capitolo su Pg. III va segnalato il rifermento di Virgilio alle sue spoglie mortali sepolte a Napoli (vv. 2527) che innesta un parallelismo con lo scempio del corpo di Manfredi raccontato dallo stesso figlio di Federico II nella parte finale del canto. Notevole pure l’individuazione di un preciso luogo tomistico nei versi in cui Virgilio espone il mistero del quia (vv. 3445) vista come «una puntuale chiosa ai sopra menzionati versi di Pg. III» (p. 53). Nel momento cruciale dell’esibizione delle sue ferite mortali Manfredi assume un’aura di martirio, vittima com’è di una duplice violenza, «quella della sua morte fisica e quella [...] della scomunica» (p. 60). Di questo terzo capitolo va infine ricordato il riconoscimento di una «stretta relazione che intercorre tra il rimpianto dello spirito del re svevo per aver trascorso un’intera vita nel peccato e nella lontananza da Dio e la necessità di non perdere assolutamente tempo sulla via della salvezza» (p. 45), che costituisce un originale e convincente criterio per un’interpretazione generale del canto medesimo. (…) «Per esser giusto e pio / [...]» (Pd. XIX, 13): così esordisce l’aquila formata dagli spiriti giusti nel sesto cielo di Giove, unendo in un solo verso due

temi – la giustizia divina e il sentimento di pietà («pio» è qui derivato da latino pietas, parola adottata sempre da Dante in Ep. V, 7) – che, convergeranno apertamente nel diciannovesimo canto del Paradiso. Diversamente dal precedente in questo settimo capitolo Camerino rinuncia a un’esposizione progressiva di Pd. XIX per chiarire per l’appunto i modi attraverso cui Dante instaura questa perfetta corrispondenza, in un canto percorso contemporaneamente da tutta una serie di radicali opposizioni. Lo studioso, che pure segnala un gran numero di citazioni bibliche e patristiche, denuncia il rischio di studiare Pd. XIX solo in funzione di queste fonti, la cui presenza va invece interpretata «in una duplice luce: come sostegno sul piano dottrinale e come sostegno per l’invenzione poetica» (p. 144). Se infatti Dante ne fa ora largo uso è in funzione di un assolutamente necessario rinnovamento stilistico, poiché negli ultimi canti del Paradiso dovrà trovare il modo di dar conto di qualcosa che «né fu per fantasia già mai compreso» (v. 9). Da segnalare, infine, come nel canto successivo ritorni la stessa similitudine sull’inacessibilità del fondo marino all’occhio umano, per giunta con le stesse parole-chiave (Pd. XX, 70-72: «Ora conosce assai di quel che ’l mondo / veder non può de la divina grazia, / ben che sua vista non discerna il fondo»), che in questo canto si legge ai vv. 58-63: «Però ne la giustizia sempiterna / la vista che riceve il vostro mondo, / com’occhio per lo mare, entro s’interna; / che, ben che da la proda veggia il fondo, / in pelago nol vede; e nondimeno / èli, ma cela lui l’esser profondo». E la stessa immagine, si fa ancora notare, ritornerà poi in Pd. XX, 119-120: «[...] mai creatura / non pinse l’occhio infino a la prima onda». Proprio questi richiami e queste simmetrie tra i due canti del Paradiso or ora indicati costituiscono uno dei motivi principali del capitolo su Pd. XX, a cominciare dalla similitudine iniziale che ha per protagonista il sole, non diversamente da quanto accadeva nel canto precedente (Pd. XIX, 4-6). I due canti, del resto, affrontano una stessa grande questione: quella dell’imperscrutabilità della giustizia divi-

na. A tal proposito la prova più ardua a cui è sottoposto Dante personaggio nel tentativo di comprendere i principi regolatori della giustizia divina è certamente la presenza del troiano Rifeo nel «tondo» dell’occhio dell’aquila insieme a Davide, Traiano, Ezechia, Costantino e Guglielmo il Buono (personaggi di ben altro spessore verrebbe da dire). Rifeo, «uomo di giustizia [...] e uomo di pietas» (p. 168), ha beneficiato per queste sue qualità dell’illuminazione della grazia divina, che gli ha permesso di comprendere il mistero di Cristo più di mille anni prima che il sacramento del battesimo fosse istituito; per questo è ora «la quinta de le luci sante» (v. 69). Non a caso, spiega lo studioso, il termine «grazia» è ripreso più volte e in modo anche ravvicinato nelle parole dell’aquila: «[...] per grazia che da sì profonda / fontana stilla [...]» (vv. 118-119) e «[...] di grazia in grazia, Dio li aperse / l’occhio a la nostra redenzion futura» (vv. 122123). L’ultimo capitolo del libro è riservato a Pd. XXIX. Il canto inizia con un’ampia perifrasi astronomica giudicata eccessiva da molti commentatori, ma non dal critico, il quale fa bene a sottolineare – per esempio – come il sole e la luna, che compaiono nella perifrasi iniziale del canto, ritornano non a caso più avanti (vv. 97-99), in un contesto completamente diverso, cioè nei versi di condanna della presunzione di teologi che tentarono di spiegare razionalmente il fenomeno dell’oscuramento della terra alla morte di Cristo (in contrasto con la parola del Vangelo). Nulla è casuale nella Commedia. Certamente si tratta di un canto bipartito già nell’ideazione architettata dal poeta: «da una parte la ricerca di raffinate similitudini e corrispondenze su motivi di luminosità [...] e dall’altra la ripresa di una polemica aspra» (p. 178) che presuppone inevitabilmente uno stile basso in contrapposizione a quello alto e ricercato del resto del canto, in cui il poeta arriva addirittura all’assunzione di un termine come «speculi» (v. 144), che si registra anche, nell’originaria forma latina di speculum, in una similitudine dell’Epistola a Cangrande; la stessa similitudine – questo l’elemento più interessante – è presente anche in due luoghi di Pg. XV (vv. 16 e 75), dove il termine compare però nella forma «specchio». Alla luce di questa illustrazione, sia pure sintetica, dei capitoli di cui si compone il volume, si è potuta notare, da parte dello studioso, un’attenzione veramente notevole ai complessi processi inventivi della lingua poetica di Dante, rivolta anzitutto a mettere a fuoco quella che il poeta chiama arte finalizzata a innalzare e a rincalzare la «matera» del suo canto. A tal proposito non si contano le analogie e le corrispondenze portate attentamente alla luce tra i vari canti da parte di Camerino, che in non pochi casi presentano rilevantissimi e meritori aspetti innovativi per un approccio quanto mai efficace alla Commedia». Luca Mendrino


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Anno XXX - n. 1 Giugno 2019

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Troia, a cura della «Fondazione Nuova Specie onlus»

Due settimane di sperimentazione avanzata nel campo del disagio psicotico

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a Fondazione Nuova Specie onlus di Troia (FG) ha messo a punto e collaudato una primizia nel campo del cosiddetto disagio psicotico: un trattamento che non prevede l’utilizzo di psicofarmaci e sostanze sostituive, ma si avvale di dinamiche di gruppi e metastoriche che coinvolgono anche il corpo e le emozioni. Nell’ambito della sperimentazione «Oltre le colonne d’Ercole», sono stati messi a punto una serie di progetti sperimentali di crescita per cosiddetti psicotici che partono dalla convinzione che sia possibile andare «oltre le Colonne d’Ercole» convenzionalmente fissate dalla psichiatria dominante. L’interpretazione e il trattamento adottati dalla psichiatria farmacologica risultano essere, infatti, una specie di «Colonne d’Ercole» oltre le quali non è possibile intravedere nessun’altra terra o punto di vista, inquadrando queste forme di disagio in prospettive croniche e senza possibilità di cambiamento. Il progetto Rainbow rientra nell’ambito delle «Conv.Inte» (Convivenze Intensive) quale settore specifico della Fondazione Nuova Specie onlus, insieme al progetto La Finestra di Babich (convivenza intensiva per sole donne), al progetto EVVIVA (convivenza intensiva per soli uomini), al progetto Home (convivenza intensiva fine settimanale nella propria abitazione), al progetto Mi ricovero a casa mia (convivenza intensiva per situazioni psicotiche nel proprio nucleo familiare), al progetto Fenice (convivenza intensiva estiva per situazioni psicotiche e non). È una interessante sperimentazione intensiva della durata di due settimane, in cui convivono situazioni cosiddette psicotiche e situazioni asintomatiche, inclusi anche bambini, pre-adolescenti e adolescenti, in quanto ogni individuo, anche se non presenta un sintomo evidente, ha dentro di sé parti “psicotiche” che vanno prevenute, elaborate e messe in dinamica, anche grazie al confronto-scambio con gli altri partecipanti, coinvolgendo tutti e tre i codici della vita personali. La sedicesima edizione, sul tema: «Donna Globale Euridice porta fuori dall’Ade il maschio Orfeo orfano», che si svolgerà a Troia (FG) dal 1 al 14 luglio, presenta interessanti novità: laboratori di teoria-prassi su «dinamiche metastoriche e cosiddetti psicotici» in collaborazione col gruppo SE.R.E.N.O. (Sessualità Ricerca Estesa Nuovi Orizzonti); la sperimentazione di riti globali in collaborazione col gruppo «Circorito»; momenti di sperimentazione di «Realtea» (teatro e realtà insieme); laboratorio di “Ricanti” per ricontattare la propria «teofondità».

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