Il Provinciale e il Rosone OGGI -2/2018

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ANNO XXIX

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2018 FONDATO DA FRANCO MARASCA

Un Natale tra incertezze e contraddizioni nazionali e globali

Ecco la Grotta atollo di pace P

uò partire da mille presupposti diversi – e tutti altrettanto validi – una riflessione sul Natale ormai alle porte. Argomenti vecchi e nuovi potrebbero arricchire l’approfondimento di un avvenimento della storia dell’umanità che ha certamente contribuito a cambiarla. La nascita del Bambinello in una mangiatoia, o in una grotta – fors’anche in una capanna, ma non cambia molto rispetto all’immaginario collettivo che vuole il lieto evento accaduto in un contesto di povertà e di umiltà – ci riporta ogni anno di questi tempi a un salutare confronto con noi stessi, con i nostri comportamenti, con la nostra coscienza. E si offre come un’occasione imperdibile per una professione di rinnovamento che faccia bene sul piano personale ma anche a livello collettivo. E tra i mille modi possibili per riflettere sul Natale, abbiamo privilegiato quello che si affida alla poesia, un’arte che difficilmente fallisce perché parla la lingua del cuore e adopera parole che sono sentimenti e sanno suscitare emozioni. Abbiamo pensato a Liliana Di Dato – amica e collaboratrice delle Edizioni del Rosone di vecchia data ma anche poetessa raffinata e sensibile, scomparsa il 14 novembre scorso nella sua Livorno – e ai suoi intensi versi dedicati al Natale. Li offriamo ai nostri lettori unitamente a quelli di Sandro Palumbo, animo dall’elevata sensibilità, capace di emozionarsi e di emozionare al ricordo dell’Evento che da Betlemme ha segnato per sempre la storia della cristianità. (d.p.) Ecco la Grotta Ecco La Grotta atollo di pace ultima speranza del viandante in cammino. Ecco la Grotta impastata nel fango delle colline franate nel letto dei fiumi impazziti, nelle strade rabbiose d’acqua, nelle lacrime di chi ha perso tutto. Ecco la Grotta eremo d’amore ostinata speranza riscoperta nelle favelas del mondo, in paesi di guerra nel dolore universale, nel canto di libertà che scaturisce da ogni illusione.

la Tenerezza del Dio bambino. Nel deserto del mondo sperduto il pastore errante sospinto dal vento e tempeste cerca riparo al naufragio del cuore. Ed ecco la grotta scavata tra terra e cielo pietra di speranza dove la Storia s’intenerisce al vagito di un Bimbo e si imprime nel tessuto dell’uomo. Solo qui lontano da ogni pianto di guerra, è possibile deporre, con mani disarmate di nuova innocenza, questa nostra sofferta umanità…

Manipolammo la carta con gesti rapidi e sicuri; spruzzammo i colori con consumata maestria.

Sopra di noi nel cielo blu cobalto resiste l’incredibile luce della stella cometa!

S’era nel mezzo dell’avvento e il Natale ancora lontano ci consigliò di deporre il Santo.

Liliana Di Dato Tenerezza del Dio bambino Accarezzando un sogno di pace torniamo alla soglia del tempo stringendo forte nel pugno

Scomparsa Liliana Di Dato, donna virtuosa e raffinata poetessa

Ci lascia versi di respiro universale intensi e di forte spiritualità

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ercoledì 14 novembre si è fermato l’orologio della vita terrena di Liliana Di Dato. Da qualche anno era tornata a Livorno, la sua Itaca, terra dei suoi avi, per riallacciare un discorso che le vicende della vita avevano interrotto: il matrimonio con Alfonso Ventriglia, alto funzionario della Polizia di Stato, i trasferimenti di questi per servizio dal Nord al Sud, tre splendidi figli – Gaetano, Silvia, e Francesca – il suo impegno come maestra a Foggia, ultimo suo approdo prima del ritorno. Di Livorno mi decantava la bellezza dell’incantevole terrazza Mascagni, meta delle sue passeggiate sul lungomare, dove non si stancava mai di ammirare le magiche tonalità del blu del mare e del cielo. Quando me ne parlava avvertivo in lei una forte emozione e nei silenzi che seguivano immaginavo che ella rincorresse i propri ricordi, le speranze, il vissuto in quel suggestivo angolo della sua città.

Viaggiare è la poesia di Fernando Pessoa che più coinvolgeva Liliana Di Dato, una poesia che sentiva sua per le affinità intellettive che ella aveva col grande poeta portoghese. Viaggiare! Lasciare paesi! / Essere altri costantemente, / perché l’anima non ha radici, /per vivere per vedere soltanto! / Non appartenere neppure a me! / Andare avanti, andare indietro / l’assenza di avere un fine / e dell’ansia di raggiungerlo! / Viaggiare così è viaggio. / Ma lo / faccio senz’aver di mio / altro che il sogno del passaggio. / Il resto è solo terra e cielo.

Liliana Di Dato

Ecco la Grotta Rifugio della nostra vita, tra le braccine aperte. del Dio bambino.

È tornato l’inverno e le nostre case temono la rabbia del vento. Ci rode un’antica dimenticanza. Perché non nascesti nei nostri cuori? Sandro Palumbo

Una copia € 2,00 Sped. in abb. post. 50%

Liliana ha intrapreso il grande viaggio e senz’altro è approdata al cielo dei poeti dove declamerà le sue meravigliose poesie all’Eterno.

E il suo capolavoro: la silloge Vertigini che presentò a Foggia nel 2008, se ricordo bene, nell’auditorium di Santa Chiara. Volle che la sua presentazione fosse introdotta dalla musica di una canzone che amava tanto: Amapola. E a proposito di Amapola voglio raccontare di una telefonata che le feci circa tre settimane prima del triste evento. Da qualche tempo Liliana aveva difficoltà a rispondere alle chiamate, ma, stranamente, quel mattino aprì il telefonino e con voce esile ed affaticata mi salutò: «Ciao Mimmo…» ed io: «Liliana non parlare, ascolta» e con la mia tastiera eseguii Amapola. Alla fine Liliana, piangendo, mi disse «Grazie, Mimmo». Fu l’ultima volta che la sentii. Con Vertigini Liliana Di Dato ha confermato, se ancora ce ne fosse stato

Giucar Marcone continua a pag. 8


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AttuAlità & Commenti

il

Provinciale

Giornale di opinione della provincia di Foggia

Tribunale di Foggia, consegna delle toghe d’oro

Un impegno che dura da cinquant’anni in un ruolo irrinunciabile per la società

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ignificativa cerimonia nell’aula Gabriele Consiglio del Tribunale di Foggia per la consegna delle toghe d’oro agli avvocati del Foro di Foggia che hanno compiuto cinquant’anni nella professione. Presenti il presidente del Tribunale, dott. Corrado Di Corrado, il Capo della Procura, dott. Ludovico Vaccaro, il presidente dell’Ordine degli avvocati presso il Tribunale di Foggia, avvocato Stefano Pio Foglia, l’allora presidente della Provincia, Francesco Miglio, il sindaco del capoluogo Franco Landella. Sono intervenuti Andrea Mascherin per il Consiglio nazionale forense, l’avvocato Antonio Leone, presidente del Consiglio di presidenza della Giustizia tributaria, Antonio Rosa dell’Organismo congressuale forense. Questi gli avvocati destinatari del prestigioso riconoscimento: Paolo Agostinacchio, Michele Casalino, Giuseppe Cascavilla, Antonio D’Astoli, Ercole Di Biase, Marcello Di Staso, Nazario Nargiso, Alessandro Palumbo, Gianfranco Savino, Pasquale Tonti e Antonio Vidone. Proponiamo ai nostri lettori l’intervento di saluto che nella circostanza ha portato l’avvocato Sandro Palum-

bo, nostro carissimo e apprezzato collaboratore. «Prendo brevemente la parola per formulare un ringraziamento e un auspicio. Comincio da mia madre che mi ha fatto il dono della vita accompagnato da mille sacrifici. Un grazie ancora lo rivolgo al mio maestro, l’avvocato Pasquale D’Angelo. E ai tanti giovani che hanno fatto con me pratica perché mi hanno spinto a studiare di più per aiutarli e formarsi. Infine, a tutti voi, Consiglio dell’Ordine, autorità, colleghi, amici e parenti che ci onorate con la vostra presenza affettuosa. Cinquant’anni fa a Foggia eravamo 360 avvocati, ora siamo 3.465. E la quantità, purtroppo, non sempre va di pari passo con la qualità. Quando ho preso a varcare la soglia di questo Tribunale, la gente comune, per avvalorare una verità, diceva: «L’ha detto il giudice!» e ancora più spesso: «L’ha detto il mio avvocato!». Ora, purtroppo, l’autorevolezza ha fatto un passo indietro. E bisogna ricostruirla. Oggi festeggio anche i cinquant’anni di iscrizione ai Giuristi Cattolici. Per decenni sono stato il segretario del compianto dottor Montanino che

Documento inviato al ministro della Pubblica Istruzione

Per un rafforzamento delle Soprintendenze uniche

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i invia in allegato un documento sottoscritto da alcuni archeologi, storici dell’arte, architetti del mondo delle università e della ricerca insieme a tecnici che hanno operato e operano nel MiBAC con il quale si sollecita il ministro Alberto Bonisoli a rafforzare e migliorare il sistema delle soprintendenze uniche territoriali, introdotto nel 2016, risolvendo i vari problemi che inevitabilmente una riforma così complessa ha comportato, evitando, al contempo, il ritorno al passato di frammentazione di competenze nel campo della tutela. I sottoscrittori invitano anche a evitare un nuovo ‘muro contro muro’ e una divisione nel mondo dell’archeologia e dei beni culturali e a cercare insieme le forme per migliorare un approccio integrato alla ricerca, tutela e valorizzazione del patrimonio culturale. Di seguito riportiamo il testo del documento.

Nel 2016, nel quadro di un complesso progetto di riforme del MiBAC Ministero dei Beni e delle Attività Culturali (allora anche con le competenze per il turismo), è stata introdotta una radicale innovazione nella amministrazione del patrimonio culturale italiano:

il passaggio dalle soprintendenze settoriali, basate sulle discipline (tre distinte per l’archeologia, l’architettura e il paesaggio, le arti) alle soprintendenze uniche territoriali (denominate ‘Archeologia, Belle Arti e Paesaggio’). Si è trattato di un cambiamento epocale, frutto di una riflessione che risale molto indietro nel tempo, già agli anni ‘70-‘80 dello scorso secolo, quando questa era una delle proposte avanzate dai settori più aperti e dinamici della politica e della cultura. Si è finalmente realizzata, in tal modo, una unificazione a livello operativo delle attività di tutela che prende atto della unitarietà e organicità dell’intero patrimonio culturale di ogni parte del territorio italiano. Com’è, infatti, possibile separare ciò che è indissolubilmente e organicamente legato nelle realtà stratificate delle nostre città e campagne? Se il patrimonio italiano è un unicum per complessità e diffusione, com’è possibile separare i muri dai rivestimenti pittorici o pavimentali, le opere d’arte mobili dagli edifici che le contengono, le stratigrafie del sottosuolo da quelle degli elevati, la cultura materiale da quella immateriale? È il paesaggio italiano con tutti i suoi tesori, prodotto dell’azione millenaria degli uomini in rapporto alla natura e al mutarsi delle

Preghiera dei giuristi O Dio che sei il solo giusto / Ti ringraziamo per aver inculcato / nei nostri cuori l’amore per la giustizia. / Ogni giorno ci confrontiamo / con le nostre perplessità, / con le nostre miserie / e con la nostra inadeguatezza; / ogni giorno sentiamo imperioso /

il bisogno del Tuo soccorso. / Abbiamo compiti diversi: / tra noi c’è chi è chiamato ad accusare, / chi a difendere, chi a giudicare: / aiutaci, Ti preghiamo, / a cercare in ogni occasione la verità / per essere costruttori di pace / e di giustizia. / Fa’ che il nostro lavoro sia illuminato / dalla fede / e dalla partecipazione compassionevole con chi soffre e con chi ha fatto soffrire; / che il nostro sguardo non si annebbi mai / di viltà o di odio. / Concedici che il grido del povero «Fammi giustizia» / non trovi mai la nostra indifferenza o il nostro rifiuto. / Allontana da noi l’orgoglio per le vittorie / e il rancore per le sconfitte. / Fa’ che lo studio, il discernimento / e la preghiera / precedano ogni nostra decisione; / che nessuno pianga per i nostri errori; / che l’alba e il tramonto si concludano / sempre con la lode a Te che ci guidi / nei sentieri del tempo alla carità / perfetta del Regno. Amen. Marida Marasca

civiltà, che costituisce un forte elemento identitario del nostro Paese e delle comunità che hanno vissuto e vivono in ogni territorio, ad essere in tale nuova visione l’elemento unificante per quella salvaguardia attiva del patrimonio culturale, prevista tra i principi fondamentali della Costituzione (art. 9) e bisognosa di un approccio finalmente contestuale, multidisciplinare ed organico? Le nuove soprintendenze uniche, nelle quali operano archeologi, architetti, storici dell’arte, demoetnoantropologi (ma sarebbero necessarie anche altre professionalità) finalmente rappresentano un interlocutore unico per i cittadini, gli enti locali, le imprese, i professionisti, capace di parlare con una voce sola superando quella frammentazione di pareri e di prescrizioni, non raramente in contraddizione tra di loro, in precedenza espressione di tre diversi uffici, non senza rischi di contenziosi e di ricorsi, a tutto svantaggio dello stesso patrimonio culturale. Le soprintendenze unificate rappresentano quindi realtà potenzialmente più radicate nei territori e più vicine alle comunità locali. Com’era prevedibile in una riforma così complessa, che ha previsto anche la riforma del sistema museale nazionale e molto altro, i problemi non sono mancati, dettati soprattutto, oltre che dai cronici deficit di mezzi, risorse e personale (solo in parte colmati con la recente assunzione di oltre mille funzionari tecnico-scientifici), dalla mancanza di consuetudine al lavoro comune interdisciplinare, dalle difficoltà di

rapporti tra componenti dello stesso ministero, e da oggettive questioni logistiche (gli archivi, i magazzini dei reperti archeologici, i laboratori), aggravati anche dalla necessità per i soprintendenti di ripensare profondamente il proprio ruolo. Chi chiede il ripristino delle vecchie soprintendenze archeologiche dimostra di guardare nostalgicamente ad un passato, che ignora le evoluzioni metodologiche della stessa archeologia che in questo ultimo mezzo secolo ha individuato proprio nel dialogo con le altre discipline l’acquisizione di quelle conoscenze, che sole garantiscono una più efficace conservazione e tutela di un patrimonio così complesso, qual è quello italiano. Si auspica, pertanto, che il ministro Alberto Bonisoli non voglia tornare indietro, con un ripristino delle soprintendenze settoriali che provocherebbe non solo una regressione di tipo metodologico-culturale ma anche e soprattutto un ulteriore deleterio scossone organizzativo con ripercussioni gravissime sulla tutela. Ci auguriamo, al contrario, che il Ministro, come ha anticipato lui stesso in varie occasioni, preferisca consolidare il nuovo assetto, riservando la sua attenzione e sensibilità ai meccanismi di applicazione di questa riforma promossa dal suo predecessore, risolvendo i problemi logistici segnalati dai tecnici del MiBAC, incrementando il personale tecnico e le attrezzature, sviluppando un’attiva azione di formazione del personale, che favorisca la collaborazione con il mondo dell’università e della ricerca.

dell’associazione era il presidente. Anche con questa esperienza ho imparato molto e ho fatto del mio meglio per testimoniare una coerenza aggregante tra i colleghi. L’auspicio per il recupero di autorevolezza lo colgo e lo propongo con una mia preghiera scritta due decenni fa e che il decano degli avvocati di Matera, l’avvocato Calculli, ha voluto riportare in un suo libro. Il contenuto può essere condiviso anche dai non credenti e dai non praticanti. Perché recupera l’intento di servire la giustizia con umiltà, coerenza e amore per il prossimo. Leggo e concludo».


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Provinciale

AttuAlità & Commenti

Giornale di opinione della provincia di Foggia

Curata da Vincenzo Luciani per Cofine

Antologia che raccoglie composizioni del Premio Ischitella per la poesia

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erché quarantatré autori di varie parti d’Italia hanno scritto poesie dedicate a un piccolo centro nel Parco Nazionale del Gargano come è Ischitella? La risposta immediata è che Ischitella da quattordici anni è sede di un concorso nazionale di poesia in dialetto, il “Premio Città di Ischitella-Pietro Giannone”, concepito dal compianto Achille Serrao, portato ad effetto negli anni dall’ischitellano-romano Vincenzo Luciani, e intestato al nome non solo della cittadina in questione ma anche dell’illustre giureconsulto che vi nacque. Lo stesso Luciani ha raccolto i testi in una antologia pubblicata nelle sue Edizioni Cofine di Roma, 43 poeti per Ischitella (2016), che si avvale dell’introduzione di Rino Caputo, membro della giuria. In pratica tutti i poeti di questa silloge sono stati coinvolti o nel premio in sé

o nelle letture poetiche di cornice a ogni edizione; ed evidentemente presi dalla suggestione del luogo, ne hanno scritto nei termini che qui leggiamo. Ad aprire involontariamente il filone è stato Franco Pinto, dalla vicina Manfredonia, quando si presentò in prima edizione con un componimento (qui a pagina 41) in cui riprendeva un modo di dire del proprio dialetto: “Tu devi essere di Ischitella”, equivalente a “Devi essere matto”, rovesciandone il senso proprio in virtù del premio. La campionatura fa emergere in pieno la tempra dei versi giunti finalisti e vincitori a Ischitella. Infatti, devo dire che coinvolto fin dall’inizio nella giuria del premio, ho avuto modo di saggiare ormai nel corso degli anni una produzione dialettale che spazia dalle Alpi alla Sicilia e Sardegna, e constatare certe qualità basi-

Per Francesco Giuliani, Salvatore Castrignano e Duilio Paiano successi e riconoscimenti a livello nazionale

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ltro riconoscimento per il libro Bandiere e Primavere di Salvatore Castrignano, che ha preso parte al Premio letterario Milano International 2018, organizzato dall’Associazione Pegasus con il patrocinio della Regione Lombardia, la cui serata di premiazione si è svolta a Milano il 24 novembre scorso. La giuria del Premio letterario, al termine delle valutazioni, ha assegnato un Diploma d’onore al libro, decisione scaturita dal fatto che, «pur non risultando vincitore, si tratta di un’opera di sicuro rilievo». Lo stesso libro è risultato vincitore al Premio letterario «Vinceremo le malattie gravi», VI edizione 2018. *** Riconoscimento anche per Francesco Giuliani e il suo La parola pesante (Edizioni del Rosone, 2018) che si è classificato al secondo posto alla V edizione del Premio Michele Picardi, organizzato dal Centro Italiano Filatelia Tematica. *** È stato un anno ricco di soddisfazioni per il nostro direttore, Duilio Paiano, che in veste di scrittore e di poeta ha meritato diversi riconoscimenti in Premi e Concorsi letterari di livello nazionale e internazionale. Con il racconto Il ritorno ha vinto il Premio letterario nazionale «Umberto Bozzini» di Lucera, mentre l’altro racconto Il paese che non c’è ha meritato il secondo posto al prestigioso Concorso nazionale «Antonio Fogazzaro» di Jenne (Roma). Ancora un racconto, L’aquilone Mario, è stato premiato con una menzione d’onore, con medaglia e pergamena, al Premio Città di Grottammare e inserito nell’antologia del Concorso.

Incontro all’Università di Foggia

Educazione e disabilità

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iornata intensa quella del 16 novembre scorso a Foggia, in mattinata presso il Dipartimento Studi Umanistici dell’Università degli Studi di Foggia, dove si sono riuniti esperti e rappresentanti di Enti e Associazioni del territorio introno al tema Educazione e disabilità percorsi possibili di emancipazione. Hanno aperto l’incontro i docenti universitari Anna Grazia Lopez e Alberto Greco, sottolineando l’importanza dell’iniziativa per gli studenti di Scienze della Formazione, presenti, numerosi, insieme a studenti degli istituti superiori della città. Tutti gli interventi sono stati seguiti con grande attenzione dal pubblico presente, tutti i relatori hanno parlato con passione del rapporto necessario tra educazione e disabilità. La prima parte della giornata si è conclusa con l’intervento del dott. Matteo

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lari ormai acquisite nel filone dialettale. Non solo la sua estensione a tutta la penisola, ma il suo brulicare pressoché in ogni centro – così verrebbe da dire pensando all’esempio della capillare ricerca compiuta dallo stesso Luciani nei comuni del Lazio, e disponibile in volume nelle sue stesse edizioni – a smentita di quanti insistono su una generica, non precisata scomparsa dei dialetti. Bisogna dire, al contrario, che negli ultimi quarant’anni il dialetto scritto ha visto un incremento mai prima registrato, anche nei casi di lingue locali ristrettissime e in via di sparizione per il venir meno dei parlanti. Altro carattere che emerge dai testi di Ischitella (questi qui presenti, come quelli vincitori e finalisti nelle varie edizioni) consiste nella convinzione ormai acquisita da parte degli autori, e anche dei lettori e degli addetti, che il dialetto non deve essere a tutti i costi lo specchio della comunità dialettofona. Esso va considerato una lingua a tutti gli effetti, e perciò capace di esprimere una varietà di sensazioni, emozioni, impressioni, memoria, esperimenti linguistici, alla stregua dell’italiano e di ogni altro idioma.

Anche quando l’autore vuole esprimere (perché no?) l’attaccamento al proprio luogo dialettofono, è assodata l’idea di tenersi ben lontani dalle viete forme tradizionali, dal lamento del tempo che passa, dal corrucciarsi perché la lingua cambia e cambiano i comportamenti. Infatti, come ogni organismo, la lingua e quindi il dialetto hanno una loro fisiologia, e mutano col mutare del tempo, col mutare dei parlanti, e al contatto con altre parlate. In questa antologia a tema, dunque, al di là dei non molti, e comunque suggestivi brani in lingua sia poetici che prosastici, ritroviamo il profilo più accreditato della produzione dialettale italiana, alluso del resto dallo stesso prefatore Rino Caputo: versi talora incastonati in un sapiente fraseggio metrico, ma anche scardinati da ogni metrica; grande varietà tematica, cifra stilistica caratterizzata da toni discorsivi, magma linguistico denso, dal forte impatto emotivo, a veicolare momenti di accesa fantasia e metafore abilmente escogitate; un esito complessivo, insomma, di forza creativa e grande intensità d’espressione e rappresentazione. Cosma Siani

Faberi, psicologo, istruttore e rieducatore uditivo del metodo A.I.T. Berard, il quale ha sottolineato con gioia il rapporto tra la qualità reale della percezione del mondo sonoro esterno e il modo di essere, di agire, di reagire. Buone prassi: udito=comportamento è stato il tema intorno a cui ci si è raccolti il pomeriggio presso «Il Sorriso», in Viale degli Aviatori a Foggia, occasione questa in cui il dott. Faberi ha illustrato il programma di rieducazione uditiva AIT partendo dal volume Udito uguale comportamento che egli stesso ha tradotto dall’Inglese «HEARING EQUALS Behavior Updated and Expamdes di Guy Berard e Sally Brockett». «Spero – ha concluso il dott. Faberi – che tanti professionisti possano acco-

gliere e rendere vivo il testimone lasciatoci dal dott. Berard, di cui noi riportiamo uno stralcio del testo con cui conclude la sua opera, quasi a testamento spirituale. ‘L’essere umano è un’entità straordinariamente complessa. Il funzionamento del sistema umano richiede un’armoniosa interazione tra la sua energia ed ognuna delle sue componenti. … È compito del medico cercare tutte le possibile cause di debolezza, per trovarle, identificarle e rimediare per quanto possibile. … Al di là del ‘mio’ metodo, esiste una verità universale, la vera essenza dell’organismo umano, della sua fisiologia, dei suoi difetti e della semplice osservazione: esiste una correlazione tra un’anomalia ed il suo effetto…’». F. M.

Ida e Franco Marasca

La riconoscenza della memoria che non si attenua

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da, mai avremmo immaginato di doverti ricordare insieme allo zio Franco: uno scorcio di anno vi ha portati via entrambi, ogni scorcio di anno vi ricorda entrambi a noi tutti. Ma noi abbiamo voluto tornare indietro, e rivedervi nei momenti felici, quando il vostro vivere seminava futuro. La nostra umanità vorrebbe vedervi tra noi nel pezzo di vita che stiamo vivendo, purIda con Lorenzo e i loro ragazzi, Gabriele e Simone troppo senza di voi, ma ci facciamo forza tenendo a cuore tutto quello che ci avete donato e che continuate a donare ogni volta che qualcuno o qualcosa ci ricorda di voi. Gli ultimi mesi dell’anno, come si può capire, riportano la nostra memoria al ricordo di Franco Marasca, che non possiamo non collegare al movimento culturale della Capitanata, all’interno del quale ha tracciato un itinerario virtuoso lungo il quale continuiamo a muoverci e che ha giovato alla promozione e alla conoscenza di questo territorio anche al di fuori dei confini della regione. Ma anche a quello della nipote Ida, figlia di Anastasio, scomparsa prematuramente nel 2016. Ricordiamo entrambi con stes1995. Lucera, «Liceo Bonghi». sa intensità e uguale rimpianto. Il prof. Marasca con gli studenti della IV A


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Provinciale

Giornale di opinione della provincia di Foggia

StoriA del territorio

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La naturale conseguenza della guerra del 1866

L’adesione giovanile di Manfredonia al movimento irredentista L

a nascita del movimento irredentista fu la naturale conseguenza della guerra del 1866, dopo la quale l’Italia, alleata della Prussia contro l’Austria, ottenne il Veneto, Mantova e una parte del Friuli, ma subendo l’umiliazione di ricevere i nuovi territori per il tramite della Francia. L’esponente repubblicano Matteo Renato Imbriani, che aveva combattuto in quel conflitto, fu il primo a parlare di terre irredente con riferimento soprattutto al Trentino e alla Venezia Giulia, che, popolate da abitanti di lingua italiana, continuavano a rimanere soggette all’Impero Austro-Ungarico ed è noto il suo impegno politico per l’annessione all’Italia di quelle regioni e dell’Alto Adige perché la Penisola avesse i suoi confini naturali rappresentati dalle Alpi. Nella visione di Imbriani, di formazione mazziniana, che aveva già combattuto da volontario contro l’Austria nel 1859 e con i garibaldini nel 1860, l’irredentismo era connesso non solo con le aspirazioni del Risorgimento, ma anche con la rivendicazione del ruolo egemonico che l’Italia avrebbe dovuto avere nell’Adriatico. Si potrebbe notare un vago nazionalismo in quella visione, che, tuttavia, nulla aveva a che fare con l’espansionismo militarista. All’irredentismo, animato nel Trentino da Cesare Battisti, aderì anche Gabriele D’Annunzio. Dopo l’inizio delle ostilità nell’estate del 1914, in seguito alla dichiarazione di guerra da parte dell’Austria alla Serbia, l’Italia rimase neutrale poiché l’alleanza aveva un carattere difensivo. Fu in quel periodo che militaristi, nazionalisti, irredentisti, dannunziani e futuristi, inscenarono varie manifestazioni di piazza, specie a Milano e a Roma, al fine di determinare nel Paese un clima più favorevole per l’interventismo, ovviamente contro l’Austria. A proposito del futurismo, si noti che da tempo Marinetti aveva esaltato la guerra: Noi vogliamo glorificare la guerra – sola igiene del mondo – il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna1.

Come è noto, la maggioranza della popolazione era contraria alla guerra e Giovanni Giolitti, che ben conosceva l’impreparazione dell’esercito, aveva cercato in tutti i modi di persuadere gli esponenti del governo e la monarchia ad avviare delle trattative con l’Austria al fine di ottenere concessioni territoriali. Ma ormai si era fatta strada l’idea che il conflitto sarebbe durato qualche mese ancora e che l’Italia, vittoriosa, avrebbe ottenuto quanto era previsto dal Patto di Londra e anche qualcosa in più. La grande proletaria avrebbe fatto dimenticare le cocenti sconfitte subite a Custoza e Lissa nel 1866 e ad Adua nel 1896. Dopo l’inizio delle ostilità le comunità italiane del Trentino, dell’Istria e della Venezia Giulia divennero l’epicentro del dramma che sarebbe durato per l’intero conflitto e oltre, anche perché i giovani di quelle province irredente furono arruolati nelle forze armate austro-ungariche e quindi costretti a combattere contro gli Italiani. Alcuni di loro disertarono e scel-

sero di combattere con l’esercito italiano. La loro scelta fu sicuramente lacerante per le loro famiglie, rimaste in territori controllati da autorità straniere. Alcuni di loro furono catturati e condannati a morte fin dal 1916: tra gli altri, Damiano Chiesa, Cesare Battisti, Fabio Filzi e Nazario Sauro. Il loro patriottismo non poteva non suscitare profonda commozione in tutta Italia e, in particolare, ai nomi di Cesare Battisti e a Nazario Sauro furono intitolati anche a Manfredonia delle associazioni giovanili tra il 1916 e il 1919. Ma di questo diremo dopo.

Dopo la guerra Trento e Trieste tornarono all’Italia e fu ottenuto, inoltre, il confine naturale delle Alpi con le regioni del Trentino - Alto Adige e della Venezia Giulia. Non si ebbe la città di Fiume, abitata da una popolazione italiana, ma si ebbe l’Alto Adige, con popolazione austriaca. I negoziatori italiani a Versailles si rifiutarono di ammettere che il principio di nazionalità, se valeva per noi, non poteva non valere anche per gli altri, tra i quali Croati e Sloveni, che, dopo la dissoluzione dell’Impero Austro-Ungarico, rivendicarono la loro indipendenza. Fiume era abitata da Italiani, ma il territorio circostante era popolato da Slavi. I nazionalisti più esagitati miravano non solo a ottenere Fiume, ma anche a fare dell’Adriatico un lago italiano. Si cominciò a parlare di “vittoria mutilata” e in quel clima maturò l’impresa dannunziana, che ancora una volta accese la passione per “la più grande Italia”, specialmente tra gli universitari e i giovani studenti, che divennero i più entusiasti fautori dell’irredentismo post-bellico. Questa premessa era necessaria per comprendere perché si ebbe nella pacifica Manfredonia di allora la vibrante adesione di un numero di giovani al movimento irredentista e poi all’impresa di Fiume nel 1919. Ne parla nei suoi Ricordi e frammenti Mario Simone: L’estate di quel ‘19 mi trovò tutto una fiamma (febbre di adolescenza alimentata dalla psicosi dell’irredentismo e del dannunzianesimo) e mi vide abbandonare la scuola diseducatrice, sdegnoso del piccolo mondo borghese che la esprimeva. A Manfredonia chiamai a raccolta i più fedeli e nello stesso fondaco di mio padre al Corso Manfredi (oggi farmacia Centrale), che il 1916 aveva ospitato il Circolo studentesco «Cesare Battisti», costituii la Unione sportiva «Naza-

rio Sauro», prima e unica del genere in Capitanata a imprimere alla sua attività agonistica uno spirito politico di intransigenza che, in relazione ai tempi e all’educazione dei giovani di allora, è sembrato un segno anticipatore del fascismo... Doveva essere, secondo il mio disegno, una cellula di quel movimento rinnovatore nazionale che da qualche tempo presagivo attraverso la stampa, ma io ero un capo troppo giovane per impormi all’ambiente dominato da mentalità e psicologia bizantina2.

Il giovane Mario Simone, nel commemorare l’irredentista Nazario Sauro, che tre anni prima era stato condannato per alto tradimento e giustiziato dalle autorità austriache, volle affermare in maniera solenne la fisionomia politica dell’associazione da lui fondata e, dopo il discorso tenuto al teatro Eden in Manfredonia, si recò in corteo con un folto gruppo di giovani fino all’estremità del porto per lanciare in coro il grido di guerra di Gabriele D’Annunzio affinché idealmente esso giungesse ai fratelli dalmati “come una promessa, come una speranza”3. Qualche tempo dopo giunse la notizia della Marcia di Ronchi con D’Annunzio alla testa di alcuni reparti di fanteria e artiglieria dell’esercito e, dopo aver letto i giornali, il giovane studente sipontino decise di raggiungere il Comandante. Si mise in contatto con qualche esponente del patriottismo massonico foggiano e

venne a sapere che si stava preparando una grande spedizione a Fiume con l’intervento di una numerosa rappresentanza delle forze armate. Il piano consisteva nell’occupare un piroscafo della società di navigazione “Puglia” e arrivare a Fiume, ma il tentativo fu sventato dalla Questura, come spiega Simone. Anche la successiva idea di assumere, con la complicità del timoniere, del radiotelegrafista, che facevano parte dell’equipaggio, il controllo di una regia nave vedetta che si trovava in porto, fallì. Come si concluse la storia è raccontato direttamente da Mario Simone: Ammaestrato dalle difficoltà delle partenze in grande stile, decisi di ridurre il programma alle originarie modeste proporzioni. Erano in quel tempo in corso i lavori del Porto Varano. A Manfredonia il Genio Marino che li eseguiva era allogato nel Castello e aveva come fiduciario un mio affiliato, Michele Cafarelli di Carlo. Con questo misi l’occhio su un rimorchiatore d’alto mare capitanato da un di Romagna, autentico lupo di mare, col quale però non si riusciva

mai a imbastire un ragionamento perché era o fingeva di essere sempre ubriaco. Decidemmo dunque di agire con la violenza. Imbavagliata la guardia di Finanza del faro, non sarebbe stato difficile raggiungere la nave e obbligare i marinai eventualmente ostili a sbarcare e il capitano a guidarci a destinazione. E saremmo certamente partiti se proprio il giorno stabilito non fosse apparso a Manfredonia il comandante la tenenza Carabinieri di Foggia. Io e Cafarelli ci trovavamo appunto in Castello allorquando quello venne a chiederci di poter telefonare a Foggia. – Pronto! pronto! nessuna novità. Qui tutto bene. E l’indomani di nuovo tutto male perché alla sorveglianza del porto furono addetti anche i Carabinieri4.

L’ultimo progetto, che consisteva nel raggiungere il lago di Varano via terra, insieme con gli elementi foggiani, per assumere il controllo del rimorchiatore e dirigersi a Fiume, naufragò e svanì nel nulla, evitando a quei giovani ardimentosi di mettersi in guai seri. Ma rimase intatto in loro lo spirito di euforia e di esaltazione per l’impresa dannunziana, che fu celebrata a Foggia il 19 dicembre 1920 da Mario Simone, nella sede dell’Università Popolare, alcuni giorni prima del Natale di Fiume, con una laude in cui, per la verità, non manca l’enfasi retorica5.

Manifestazioni di quel genere si ebbero un po’ dappertutto in Italia, specie nelle grandi città, e l’esaltazione per D’Annunzio, il poeta-soldato, il vate, il veggente, giunse al parossismo. E non a caso, Mario Simone ricorda, nelle sue memorie, di aver vissuto, come tanti altri giovani studenti, la psicosi del dannunzianesimo. Michele Ferri 1 F. T. MARINETTI, Fondazione e Manifesto del futurismo, Firenze 1914. Il Manifesto era già apparso in francese nel «Figaro» di Parigi nel 1909. 2 Mario Simone: una vita per la cultura. Introduzione e scelta di scritti a cura di A. Celuzza, Foggia 1977, p. 19. 3 La sez. sportiva “Nazario Sauro”, «il Foglietto» (Lucera), a. XXII (1919), n. 32 (24 agosto), p. 3. 4 Mario Simone: una vita per la cultura, op. cit., pp. 21-22. 5 Cfr. Mario SIMONE, La proclamazione (laude), Foggia 1920.

Foto tratte da Biblioteca Provinciale di Foggia, Archivio Simone, c.lla 41, b. 934 (anno 1919).


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I versi universali di Liliana Di Dato

ture: è poesia intimistica, ma anche universale in quanto richiede una profonda riflessione, un soffermarsi sui suoi versi per accorgersi della loro bellezza; è poesia intensa per gli argomenti affrontati, per il suo soffermarsi sui tragici eventi che hanno segnato momenti negativi dell’umanità; è poesia spirituale e religiosa che afferma il disegno divino dell’amore e della speranza. Rileggendo la silloge Vertigini mi sono soffermato sulla poesia L’ultima

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valle, versi profetici con cui concludo questo mio ricordo di Liliana Di Dato: Datemi / un pugno di semi / da spargere all’ultima valle. / Io vado via, / raccogliete / spighe di speranza / nell’orto solitario / e fate lievitare pane / per chi / ha fame di Dio. Arrivederci Liliana, signora della poesia! Giucar Marcone

Presentato L’innocenza ritrovata-Paralipomeni di R. Cera Liliana Di Dato con i figli e Giucar Marcone bisogno, di essere uno dei poeti più interessanti nell’universo della poesia italiana, dimostrando ancora una volta di essere portatrice di forme stilistiche originali, che ben si conciliavano con la sua tensione espressiva, foriera di versi indimenticabili. Da questa silloge la delicata poesia, intrisa di tristezza, Gabbiani: Sospesa / tra miseria / e innocenza / cerco / in lidi deserti / la terra mia. / Vagabonda / cercatrice d’amore / tesso / grappoli / di ricordi / nei violenti / colori del tempo. / In percettibili spazi / liberi gabbiani / gridano al giorno / di non morire… La sua poesia è memoria e la memoria è vita vera filtrata dal tempo in cui ogni parola è metafora. La poesia della nostra indimenticabile amica, pur partendo dal suo vissuto, si è sviluppata dal confronto diretto con la realtà, con la conoscenza, capace di tendersi al di là della semplice oggettività diaristica. Ricordi, suoni, paesaggi, desiderio dell’immenso sono gli ingredienti che hanno colorato la sua poesia. Liliana Di Dato era nata a L’Aquila il 12 dicembre 1941, ma di origine livornese. Per molti anni ha vissuto a Foggia dove ha dato forma al suo amore per la poesia partecipando a conferenze e a salotti letterari. Si è affermata con successo al Premio letterario internazionale «Emily Dickinson» 2000-2001 e al Premio letterario «Angela Storace», entrambi a Napoli. Prima di Vertigini era stata pubblicata nel 2002 la sua prima raccolta di poesie, Fiori Di Campo. Non ricordo quando, ma una sera si presentò nei locali delle Edizioni del Rosone un anziano signore con una cartellina contenente poesie alla rinfusa scritte a mano. Rivolgendosi all’editore disse: «Queste sono state scritte da mia moglie, vorrei pubblicarle in un volumetto». Il signore era Alfonso Ventriglia, marito di Liliana Di Dato. Voleva fare un regalo, anzi una sorpresa alla sua compagna. Il libro fu pubblicato, inserito nella collana «Foglie d’erba». Scrisse il figlio Gaetano nella presentazione: «È difficile e facile parlare delle poesie di Liliana Di Dato: leggerle è facile e difficile. Se le leggi con attenzione, più volte, ti accorgi che dietro una grande semplicità c’è qualcosa che resta inespresso, un qualcosa che va oltre le parole e che non si vuole dire: un pudore che è anche una grande, istintiva intuizione di poeta». E in Fiori di campo, la poesia che apre la raccolta è A mio padre, scritta nel 1978, e accanto a suo padre Liliana ha voluto essere sepolta nel cimitero di Livorno: Ti ho coperto di rugiada / e ti lavo / con le dita del tempo / che snodano sul tuo corpo / una preghiera nuova. / Anche tu sei nuovo. / Ti ho lavato il viso / e le

Piacevole affresco sulle tradizioni sammarchesi

mani bianchissime / hanno sfiorato il mare. / Non c’è più salmastro. / L’acqua si è tinta di rosso, / poi di bleu, poi di viola. / Poi si è tinta / del colore del tempo. / Anche tu sei il tempo. / Ti ho coperto di rugiada / e ti ho lavato. / Babbo! Liliana Di Dato ha offerto la sua preziosa collaborazione a importanti riviste del nostro territorio, in particolar modo ha curato la rubrica «La magia della poesia» per il periodico «Il Provinciale» dove si riprometteva di parlare del «rapporto quasi devozionale, quasi religioso che si creava tra il poeta e la poesia stessa». La volli nella redazione di «Pianeta Cultura», rivista da me diretta e il cui nome figura ancora tra i redattori nella speranza che ella potesse riprendere a scrivere saggi sui poeti più importanti a livello internazionale, anche se sapevo che ciò non sarebbe più stato possibile. Liliana Di Dato, colonna della ANTEAS (associazione di volontariato di Foggia), era una donna brillante, una virtuosa pianista, amava il teatro, amore che ha trasmesso a due suoi figli (Gaetano e Francesca), amava il cinema: amava la cultura della vita e della speranza. Diversi anni fa Gaetano presentò a Foggia una versione in dialetto dell’«Amleto» e Liliana, fonte inesauribile di versi, scrisse in questa occasione la poesia L’abito di scena (Amleto): Ha un cuore che batte / l’abito di scena. / Nella notte si anima / al sipario rosso. / E’ un sogno inquietante / d’amore e dolore / delirio di tenerezza / e pazzia / nel ricordo / del padre ucciso / e tradito. / Si strappa / l’abito di scena / nel cuore di stoffa / e sangue, / piange lacrime vere n/ per l’assenza del padre, / come quelle / di un ragazzo di periferia / che rivive il dramma dell’uomo / nell’eterna storia di Amleto, / solitario principe… Liliana Di Dato con innata sensibilità traeva ispirazione dalla quotidianità, dalla sofferenza, dalla natura, dalle tragedie di questo nostro mondo così controverso che ha smarrito il senso della solidarietà. Di fronte a un rudere antico si commuoveva perché rappresentava una tappa del faticoso cammino dell’uomo. E tutto si faceva poesia, acqua sorgiva che saliva ininterrotta dal suo animo. Amava questa nostra «incredibile» terra, dove …dopo brevi strade / inerpicate in alto / si aprono / all’incredulo sguardo / improvvise ombrose / foreste / dove il sole al tramonto / appare e scompare / nella fitta trama / di alberi ad alto fusto / e non si sa / se sia cielo/ o terra o fuoco / che ti divampa / al cuore / e ti urla nel petto / che ancora ancora / è possibile / respirare / e vivere … (da Terra Daunia). Ho tentato di cogliere l’essenza della poesia di Liliana Di Dato e mi sono convinto che essa presenta diverse sfaccetta-

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resso il teatro del Giannone di San Marco in Lamis è stato presentato il volume L’innocenza ritrovata – Paralipomeni (Edizioni del Rosone) di Raffaele Cera. Alla presenza di un pubblico numeroso e qualificato ha condotto la cerimonia il prof. Pietro Villani, Direttore dei Corsi della locale Associazione UNITRE, che ha promosso e organizzato la manifestazione con il patrocinio del Comune e dell’Istituto «Giannone». Un filmato con fotografie della San Marco del primo Novecento ha introdotto la serata, cui ha fatto seguito l’intervento di Ciro Iannaccone che, accompagnato dalla sua chitarra, ha cantato alcune canzoni della tradizione popolare sammarchese. Vi è stato quindi l’indirizzo di saluto del sindaco Michele Merla, il quale ha sottolineato l’importanza della manifestazione nella quale viene evidenziata la specificità della comunità sammarchese, che vanta un patrimonio storico-culturale di tutto rispetto. Ha preso poi la parola Antonio Cera, fratello dell’autore del volume, che si è soffermato sul valore della memoria e sulla necessità di conservare il patrimonio storico che riguarda soprattutto le piccole Comunità. Egli ha inoltre ricordato la ricchezza delle attività artigianali e commerciali

della San Marco del passato ed ha auspicato che la cittadina possa recuperare almeno una parte di quella ricchezza. Ha fatto seguito l’intervento di Gino Caiafa, sammarchese trapiantato a Foggia da molti anni, il quale ha letto un brano del volume, la qual cosa ha consentito ai presenti di pregustare il tipo di narrazione che sostiene l’intero volume. Matteo Coco ha successivamente ripreso l’analisi di alcuni aspetti dell’opera di Raffaele Cera puntando sui capitoli dedicati agli odori e ai sapori, ai toponimi e ai soprannomi, per dimostrare la caratteristica di una Comunità sorta in una valle che si snoda lungo due Santuari di grande valore storico, come Santa Maria di Stignano e San Matteo. Quindi ha ripreso la parola Gino Caiafa leggendo un altro brano del volume, nel quale l’autore ricorda le tappe fondamentali del suo percorso formativo, dalla Scuola elementare fino alla laurea, con il ricordo di taluni insegnanti e personalità che hanno dato un contributo decisivo al suo itinerario di crescita e di formazione. A questo punto la parola è passata all’autore, che ha ringraziato gli attori della serata e il pubblico che ha voluto onorare con la sua presenza la cerimonia della presentazione di un volume che riveste per lui un particolare significato. Cera ha altresì sottolineato la specificità della Comunità sammarchese, soprattutto in rapporto alla sua fede religiosa, al suo artigianato e al ruolo che gli intellettuali hanno svolto in tanti momenti della sua storia. Un tale patrimonio va riportato all’attenzione delle nuove generazioni, che ignorano quasi del tutto le loro radici e il loro passato. La serata si è chiusa brillantemente con il canto e la chitarra di Ciro Iannacone, che ha offerto al pubblico ancora una celebre canzone del repertorio tradizionale sammarchese. Marida Marasca

Lutto del professor Gaetano Caricato Si è recentemente spenta a Roma, all’età di 89 anni, la signora Luisa Dianda, adorata consorte del professor Gaetano Caricato, originario di Foggia e affermato docente universitario e scienziato, una delle eccellenze della nostra Terra che ha onorato con serietà, impegno, sagacia e straordinaria professionalità. Al professor Caricato, prestigioso esponente della Famiglia Dauna di Roma, nonché amico da sempre della nostra Casa editrice, giungano i sentimenti di cordoglio e di vicinanza delle Edizioni del Rosone e di tutti i suoi collaboratori. La scomparsa di Marilena Di Salvio La prof.ssa Marilena Di Salvio non c’è più. Abbiamo perso una donna e una docente di grande valore, di eccezionale autorevolezza. Le Edizioni del Rosone, nel ricordo di Franco Marasca, affezionato collega al rinomato Liceo Bonghi di Lucera, di Marilena, che tanto impegno ha profuso nella progettazione e nella realizzazione del Premio Marasca, sono vicine, con tutto l’affetto possibile, al marito Ilio Carlantuono, alla figlia Ilenia, al genero Mario de Simone, ai nipotini Marta e Aurel, alla famiglia tutta.


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Presentato Gargano mio reale e ideale di M. Totta

Paesaggi, case, mare, alberi e persone che generano emozioni

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nche la scorsa estate le Edizioni del Rosone, in collaborazione con l’Amministrazione comunale di Rodi Garganico, hanno organizzato una serie di manifestazioni culturali che sono ormai diventate un appuntamento imperdibile per gli abitanti della cittadina garganica e per i turisti che la animano. Tra queste, anche la presentazione della silloge poetica Gargano mio reale e ideale di Michele Totta. A beneficio dei nostri lettori riportiamo un ampio stralcio della relazione svolta nella circostanza da Guseppe Pellegrino

La silloge poetica di Michele Totta si compone di quattro sezioni: Geme e

col mare esulta pure l’anima mia sovrumana; L’imperdibile ascolto; Dediche; Commiato. Accomuna queste quattro sezioni la parola mio che appare già nel titolo. Mio, in quanto aggettivo possessivo, qui indica appartenenza, unione intima e profonda fra l’autore e il territorio: i paesaggi, le case, il mare, gli alberi, i mestieri sono fatti propri, interiorizzati, fino a immedesimarsene. Esprime bene tutto ciò sia il titolo della prima sezione: «Geme e col mare esulta pure l’anima nostra sovrumana», sia quando l’autore in «Arcipelago Tremiti» afferma: «Isole di vento, cretaccio e guglie magnetiche, torno a voi ad ogni aurora della marea umana che inquieta e mi sovrasta; torno all’alba quando gli uomini più ignari di nuova luce tramano l’inganno sopra la pupilla che naviga e sopra la bussola degli amanti; all’alba torno quando da purulenta voce il dialogo più propizio sciatto frana». Totta ama la sua terra, la porta nel cuore, la vuole bella e pura come Dio l’ha creata, qualifica le sue poesie come «un lungo colloquio in versi fra noi». Mette in evidenza come «cielo, mare, terra, uomini presentano con vanto il loro volto civile quasi intatto per il lungo isolamento dai grossi commerci, avendo evitato certa modernità dedita al cemento con l’era industriale tra otto e Novecento». Mi permetto di avere qualche riserva sul fatto che il Gargano abbia conservato la sua purezza, perché sversamenti in mare dai depuratori, campeg-

gi e alberghi sulle coste, ampie zone abusive, conseguenza anche di amministrazioni ignave che mai hanno emesso regolamenti edilizi, abitudini di pesca a strascico ne hanno spesso deturpato la bellezza. Ed infatti, in seguito, anche l’autore lancia il suo grido di allarme lamentando le ferite al suo ambiente ormai non più incontaminato. «Una terra che, per farsi amare, inventa il rigoglio delle stagioni, noi la sporchiamo, la rinneghiamo, noi stessi dimentichi di essere impasto di terra, portatori di un soffio di ragione. Alla terra dovremmo chiedere elemosine, onorarla, sfiorarla con la fronte come ogni giorno praticava il clemente scrittore indiano Tagore» (L’orto). E conclude: «Il core armeggia e preda rimane di ombre fosche, viene in aiuto l’arcana voce della poesia che conosce l’abisso e in piccolo bagliore al mio monte ti riveli vestita dell’accento delle muse». Nella sezione «L’imperdibile ascolto», Totta sogna il suo Gargano, rimastogli nel cuore anche quando è andato lontano. E si ritrova eterno bambino a Calinella «a cogliere coriandoli di spuma, farne medaglie accese, e biglie e idoli» (Al ventre di una conchiglia); a tornare «al fioco lume di mezzanotte a supplicare sotto l’ala di augusta basilica, intoccabile, ariosa, di spirito: aliterà, vorrà dettare il nume del mare i suoi statuti su quelle lande rese da noi desolate?». (Arcipelago Tremiti). Totta è in perenne imperdibile ascolto della natura, come si intitola la seconda sezione, nella memoria stretta di una conchiglia loquace, «come madre nuda senza età che ognora mi accoglie nel ventre suo dovizioso» (Al ventre di una conchiglia). Il sentire dell’autore, però, non è rivolto solo alle voci della natura nei diversi aspetti, bensì, anche, come

Rosso sangue di Maria Teresa Infante

Raffinata silloge di narrazione e denuncia della violenza di genere

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ive una stagione feconda, Maria Teresa Infante, che in questo 2018 ha aggiunto un’ulteriore perla alla sua ricca collana di pubblicazioni, una significativa silloge poetica – Rosso sangue, Oceano edizioni – che ha già meritato il Premio Books for Peace 2018 per la sezione Poesie tema violenza sulle donne. E affronta questo aspetto drammaticamente attuale della vita sociale del nostro Pese, e non solo, con determinazione, con la sensibilità propria della donna che vive con particolare coinvolgimento tutti gli aspetti di questo allarmante e odioso fenomeno. Il titolo, di grande ed efficace impatto emotivo, è la sintesi più idonea del contenuto della silloge: «Rosso, – scrive, tra l’altro, l’autrice nella presentazione – è il colore del sangue come linfa vitale, dell’amore e della passione, dell’istinto, della forza, delle pulsioni ancestrali, ma è anche indicatore di pericolo, violenza e aggressività. Un colore che impatta, forte e travolgente». Il rosso, infatti, sintetizza alla perfezione questo mix di amore e di dolore

che attraversa, alle volte fiducioso alle volte perfido, ogni verso della silloge. Non c’è né compiacimento né indulgenza alla commiserazione in questi versi di denuncia sociale della Infante, tutt’altro: esprimono consapevolezza convinta nell’esistenza del fenomeno e una vigorosa denuncia affinché qualcuno intervenga o qualche cosa accada per invertire il senso delle cose. Sono sentimenti espressi senza esitazioni e senza tentennamenti, con forza, con vigore, talvolta con crudezza che «fotografano» la drammatica realtà. Il tema della violenza, non soltanto sulle donne ma anche sui bambini, è da sempre uno dei cavalli di battaglia di Maria Teresa Infante: lo testimoniano le numerose pubblicazioni, quasi tutte sillogi poetiche ma non soltanto, che hanno fatto dell’autrice di San Severo una delle più accanite e implacabili paladine del riscatto femminile attraverso una globale azione di sensibilizzazione che la porta in giro per l’Italia, in un singolare tour di solidarietà veicolato attraverso i versi e le emozioni che questi sono capaci di

suscitare. A confermarlo sono le molteplici collaborazioni con riviste e l’impulso dato a progetti editoriali antologici. È un lodevole impegno sociale che si manifesta in maniera originale, attraverso la scrittura, mettendo in campo la straordinaria sensibilità di donna e un bagaglio di emozioni che riesce ad affidare alle parole con sagacia e con esperta avvedutezza. Per sua stessa ammissione, la fonte ispiratrice di questa fluida vena poetica va ricercata nei fatti di cronaca che hanno avuto per protagoniste donne che l’immaginario collettivo ha elevato al ruolo di eroine e di icone di sofferenza e riscatto. È il caso, ma soltanto per riportare alcuni esempi, di Lucia Annibali, aggredita e sfregiata con l’acido dal suo ex fidanzato; di Jessica Valentina Faoro, uccisa a soli 19 anni per essersi

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sostiene nelle «Dediche» a quelle che provengono dal passato che ritorna e chiede di essere ascoltato, rivissuto intimamente al fine di tornare a esistere. La vita, dunque, è una partita ancora tutta da giocare, è un continuo ricominciare a pugni stretti, sorretti dalla speranza che non è finita, perché è possibile realizzare aspirazioni e progetti, assaporare gioie. Fra le «Dediche» mi piace ricordare La voce di un caduto. Se c’è un modo per far capire ai giovani l’assurdità della guerra è leggere i versi che raccontano la voce del caduto sottotenente dei bersaglieri Michele Biancofiore a Montelungo l’8 dicembre 1943: «Al bruciore della mitraglia, ventenni al germanico fuoco, al fremito della bandiera nostra tricolore d’Italia. Chi dirà, si chiede, il martirio dei lamenti, la febbre dei fanti piumati, la via ferrata senza ritorni, i cammini e la ronda alla luna scarlatta per noi? I soldati sono ombre nel vento, non parlate di onori o viltà, non giudicate l’ardore, il dovere voce suprema, è tutto lucente. La guerra è serva dei servi del dominio, chi la decide per noi, l’odio delle razze sono spregevoli». Infine, nella raccolta «Commiato» ci ricorda che la terra garganica esercita forte richiamo con ritmi di vita lenta e pieni di senso. Quando ho letto per la prima volta il libro ho pensato a un comportamento tipico di tutti noi in veste di turisti e mi sono chiesto: quante volte, munito di guide turistiche per non perdermi niente ho osservato non solo i monumenti ma anche persone, nelle proprie situazioni di vita? Questo testo di poesie può essere una utilissima guida alla conoscenza a tutto tondo del Gargano, per amarlo, difenderlo e apprezzarlo come merita. Giuseppe Pellegrino rifiutata di acconsentire alle pretese dell’uomo che la ospitava; di Sara Scazzi, Pamela Mastropietro, Yara Gambirasio, Loredana Benincasa, Melania Rea e tantissime altre donne, italiane e non, che, loro malgrado, hanno contribuito a costruire questo rosario di sofferenza che oggi impone a tutti gli uomini di buona volontà una riflessione non più soltanto di facciata ma impregnata dal «rosso» del nostro sdegno, della nostra ribellione, del perentorio richiamo alla civiltà del rispetto. Maria Teresa Infante a questo sentimento di repulsione fornisce un contributo determinante, confermando ancora una volta come la poesia e l’uso sapiente delle parole intelligentemente mescolate tra di loro, riescano a svolgere un ruolo sociale indifferibile, rigettando la funzione di puro e semplice autocompiacimento, o mal concepito sentimentalismo, che permane ancora fortemente radicato nella considerazione popolare. Con questo suo Rosso sangue Maria Teresa Infante si conferma osservatrice attenta dei fenomeni sociali e interprete sensibile dei sentimenti e delle emozioni umane. Soprattutto, si conferma raffinata e volitiva autrice di versi che vanno dritto al cuore e alla coscienza del lettore. Una delle voci più autorevoli del panorama letterario contemporaneo nel nostro territorio. Duilio Paiano


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La rampicante, nuovo romanzo di Davide Grittani

Da una storia vera tra Medioevo e Terzo millennio

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i siamo meritati tutto ciò che abbiamo avuto? È l’interrogativo che resta al termine della lettura de La rampicante, secondo il parere della scrittrice Dacia Maraini, tra le tante personalità della cultura che hanno sottolineato il valore di questo romanzo incentrato sull’importanza del dono e sulla perversa casualità della fortuna. Si tratta di una storia realmente accaduta (agli inizi degli anni Novanta) che l’autore ha ricostruito recuperando per intero fatti e misteri, mescolando con cura una trama d’altri tempi a personaggi e circostanze dei nostri giorni: una tragedia pop dai tratti shakespeariani, definita dal critico Furio Colombo come un «gioco straordinario di situazioni, frasi, parole». Nelle Marche, sospese tra Medioevo e terzo Millennio, la storia di una famiglia apparentemente come tante. Riccardo è un figlio che si ribella alle logiche del branco; Edera è una «bambina rampicante» che sente delle voci (nella testa) e inconsapevolmente dispensa saggezza; Sor Cesare è un padre che esercita la propria egemonia comprando l’affetto di chi lo circonda. La rampicante è un viaggio dentro se stessi che sovrappone tutti gli strati della tragedia shakespeariana: la verità, l’amore, l’inganno, l’avidità, la paura, la vendetta. Un crescendo di emozioni che, spiando dentro la scatola nera di una famiglia qualsiasi, scortica le deformazioni di una società, fatta di ipocrisia, che ignora il proprio destino. Fino a quando «la rampicante» riporta le cose al loro posto. Davide Grittani ha scritto un romanzo sull’importanza del dono, su com’è difficile riconoscerlo, su com’è arduo meritarlo e infine su com’è categorico dimenticarlo. Una trama fitta e avvincente sull’incapacità, degli uomini, di rendersi conto del privilegio che gli è stato concesso attraverso la vita: un argomento prezioso, espresso attraverso una scrittura autentica. Davide Grittani, nato a Foggia, è giornalista e scrittore. Dal 2006 al 2016 ha curato la prima mostra internazionale della letteratura italiana tradotta all’estero, Written in Italy, che ha raccolto ed esposto (in 16 Paesi di tutti i Continenti) una biblioteca di oltre 3200 traduzioni in rappresentanza di 800 autori italiani dal 200 ad oggi, 56 lingue e 24 alfabeti: per Written in Italy si è aggiudicato il Premio Maria Grazia Cutuli 2010. Ha pubblicato i romanzi Rondò. Storia d’amore, tarocchi e vino (Transeuropa 1998) e E invece io (Biblioteca del Vascello 2016, Torino) presentato in concorso al Premio Strega 2017.

il Provinciale Giornale di opinione della provincia di Foggia fondato da Franco Marasca inserto IL ROSONE Cultura e informazione pugliese

euro 15,00

Anche per il 2019 ognuna delle uscite sarà accompagnata da un volume:

DIRETTORE RESPONSABILE Duilio Paiano

1 (Giugno 2019) Le parole di Danilo Dolci di M. RAGONE 2 (Dicembre 2019) Viaggi letterari nella pianura di F. GIULIANI Sottoscrivendo l’abbonamento si ha diritto ad un terzo volume: “In forma di messaggi - Dante e altri” di D. Cofano. Riceverà il libro chi ha sottoscritto l’abbonamento e chi lo acquisterà con il giornale, a soli 3,00 Euro in più presso:

REDAZIONE Marcello Ariano – Mariangela Ciavarella – Silvana Del Carretto – Corrado Guerra – Lucia Lopriore – Marida Marasca – Stefania Paiano – Vito Procaccini – Leonardo Scopece – Michele Urrasio

De Benedittis A.F. - Edicola V. Di Vittorio 25 (Fg) Per sottoscrivere l’abbonamento effettuare un bonifico utilizzando l’IBAN: IT98O0558415700000000060846 o un vaglia postale intestato a EDIZIONI DEL ROSONE - VIA ZINGARELLI, 10 - 71121 FOGGIA - Tel. 0881/687659 Email: info@edizionidelrosone.it – Sito: www.edizionidelrosone.it Leggete «il Provinciale» on line sul sito www.edizionidelrosone.it

HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO Sofia D’Angelico – Michele Ferri – Mimmo La Viola – Giucar Marcone – Filomena Martino – Giorgio Migliavacca – Alfonso Palomba – Giuseppe Pellegrino – Cosma Siani La collaborazione a questo giornale è gratuita e su invito della Direzione. Gli articoli, le foto e le illustrazioni, anche se non pubblicati, non vengono restituiti.

STAMPA Arti Grafiche Favia - Modugno (Bari)


Il Rosone CULTURA E INFORMAZIONE PUGLIESE

Bari, lo storico teatro Margherita ritorna alla fruizione dei pugliesi

Trasformato in prestigioso contenitore culturale ospita una mostra dedicata a Van Gogh

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0 febbraio 1980-6 dicembre 2018. Questo l’intervallo di tempo – oltre 38 anni – durante il quale lo storico Teatro Margherita di Bari è stato negato alla fruizione dei cittadini pugliesi perché bisognoso di interventi di restauro. Interventi che sono stati avviati nel mese di dicembre del 2016 e che hanno consentito di restituire la prestigiosa struttura alla vita culturale della città, e non solo. La cerimonia di riapertura è avvenuta, significativamente, il 6 dicembre, giorno in cui la città capoluogo regionale festeggia il suo patrono San Nicola, e all’insegna dell’arte internazionale e della multimedialità. In coincidenza con questo avvenimento, infatti, è stata inaugurata la mostra «Van Gogh Alive - The Experience» che approda negli spazi del rinnovato Margherita dopo aver superato le 500.000 presenze in Italia e registrato numeri da record anche negli Stati Uniti, in Australia e Russia. La tappa barese della mostra si sviluppa come un viaggio nei luoghi diventati fonti di ispirazione per le opere più celebri di Van Gogh e consente al visitatore di immergersi in un ambiente illuminato dalle immagini del grande maestro, mostrate in maniera nitida e reale per coinvolgere emotivamente il visitatore e farlo sentire totalmente inserito nel contesto delle opere. Per ottenere il massimo risultato possibile in funzione della godibilità da parte dei visitatori vengono utilizzati 50 proiettori ad alta definizione, una grafica multi-canale e un suono surround. Inoltre, una colonna sonora creata con le musiche di Vivaldi, Lalo, Schubert, Bach, Saint-Saëns, Debussy, Tchaikowskij e Handel accentua la suggestione delle immagini creando un’atmosfera magica all’interno delle sale espositive. L’itinerario della mostra segue quello creativo del

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l periodo natalizio esalta la vocazione del nostro periodico al trattamento dei temi relativi all'immigrazione. Abbiamo sempre dedicato uno spazio del giornale ad argomenti relativi ai grandi movimenti umani che caratterizzano le società odierne, anche attraverso testimonianze di addetti ai lavori o riportando dati e riflessioni tratti dal Rapporto annuale della Caritas. In questo numero ci affidiamo ai versi e alla sensibilità di Sofia D’Angelico che interpreta con la delicatezza che le è propria una delle tante storie che la cronaca sottopone alla nostra attenzione da qualche anno ormai con cadenza quasi quotidiana. Sono parole che vanno direttamente al cuore e difronte alle quali è difficile rimanere indifferenti.

Piccolo fiore dalla pelle vellutata Chi sei tu, piccolo fiore dalla pelle nera, che vedesti la luce del mondo col cuore d’innocente ma col pianto di protesta per paura dell’incognito che t’aspetta? Per nove lune tranquillo ti nutristi

pittore, soffermandosi con particolare cura sul decennio che va dal 1880 al 1890, durante il quale Van Gogh viaggiò da Parigi a Saint-Rémy fino ad Auvers-sur-Oise. Nel corso delle cerimonia di riapertura del Margherita sono intervenuti il sindaco di Bari Antonio Decaro, il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano, l’assessore regionale alla cultura Loredana Capone, l’assessore comunale Silvio Maselli, il curatore della mostra Giancarlo Bonomo, l’amministratore di Cube Comunicazione Daniele Quarto e i rappresentanti degli sponsor. «Oggi - ha dichiarato il sindaco di Bari, Antonio De Caro - abbiamo uno spazio completamente riqualificato e rifunzionalizzato, che diventa uno degli snodi del Polo contemporaneo delle arti - musica, danza, teatro, arti

figurative e visive - un luogo polifunzionale a disposizione della città che riapre con una mostra high tec su Van Gogh che sarà un regalo di Natale non solo per i baresi ma anche per tante persone che verranno da fuori regione per ammirarla. Abbiamo vinto una sfida importante in collaborazione con la Regione e il Ministero dei Beni e delle Attività culturali e abbiamo dimostrato che quando facciamo squadra riusciamo a centrare obiettivi straordinari. Il Margherita - ha continuato De Caro - è perno culturale della città intorno al quale ruoteranno le altre attività culturali all’interno dei contenitori già riaperti, penso all’auditorium Nino Rota, al Castello svevo, al Museo archeologico di Santa Scolastica e al Museo civico, e di quelli che riapriremo a breve: il 31 dicembre il Teatro Piccinni e subito dopo l’ex Mercato del pesce, altro spazio del Polo contemporaneo delle Arti». Edificato tra il 1912 ed il 1914, occupato dagli angloamericani nel 1943 e danneggiato da un bombardamento a dicembre di quello stesso anno, il Margherita, come sottolineato dal sindaco De Caro, si aggiunge ai già esistenti snodi del Polo contemporaneo delle arti: musica, danza, teatro, arti figurative e visive. La riapertura del Margherita avviene a dieci anni da quella del Teatro Petruzzelli, ricostruito dopo l’incendio e inaugurato il 6 dicembre del 2008. Si potenzia e si completa, in tal modo, uno spazio determinante per gli eventi culturali della città che può contare anche sui vicini Teatri Petruzzelli e Piccinni. Senza dimenticare la prossima riqualificazione della vicinissima area dell’ex Mercato del pesce, la Sala Murat e il poco distante Kursaal, di proprietà regionale. La mostra «Van Gogh Alive - The Experience» resterà visitabile per due mesi.

nel grembo di tua madre che con amore ti portò e, nato a vivere ti baciò.

e di tanti altri come te volle come fonte per guadagni di denaro sporco.

Libero e bello crescesti nella terra del sole ardente che di nero vellutò la tua pelle. Scolpì sul tuo viso, dai grandi occhi neri, un candido sorriso, uno sguardo dolce di bambino che chiede amore e dà amore a chi gli sta vicino.

Scaraventato nel mare in tempesta non toccasti da vivo la terra che sognavi, mentre le onde pietose del mare adagiarono il tuo piccolo corpo senza vita sulla bianca sabbia di una spiaggia deserta.

Come per incanto, all’alba radiosa di un mattino, catapultato ti trovasti in mezzo a tanti su di un barcone nel mare aperto verso una meta lontana da te mai scoperta. Soffristi la fame, la sete, il freddo, la violenza di chi servirsi di te

Povero piccolo angelo nero senza colpa! Hai spiegato le tue ali verso l’infinito per quella felicità che sulla terra tra gli uomini non hai trovato, ma che hai creduto di scoprire e di godere in un mondo migliore accanto al tuo Dio che ti ha creato. Sofia D’Angelico


il Rosone

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Cultura e informazione pugliese

La parola pesante di Francesco Giuliani

Recensione in lingua inglese sulla prestigiosa rivista Fil-Italia R

iportiamo la recensione al libro di Francesco Giuliani La parola pesante (Edizioni del Rosone, marzo 2018) pubblicata in lingua inglese sulla rivista Fil-Italia, volume XLIV, n. 4, dell’autunno 2018, a cura di Giorgio Migliavacca. È un prestigioso riconoscimento all’impegno di Giuliani che da appassionato filatelico non è nuovo a iniziative editoriali di questo livello, avendo al suo attivo altre pubblicazioni che scandagliano da angolazioni diverse l’affascinante mondo dei francobolli. A frequently mentioned centenarian adage reminds us that “a picture is worth a thousand words”. In 90 percent of the instances this idiom is compelling, but there are exceptions, especially when we try to adopt it for a miniature format such as postage stamps. Indeed, for obvious reasons, stamps leave a rather limited space for words. In fact even a single word on a stamp may have a weight and an impact that range from minimalist caption to heavy, the latter is intended as significant and considerably effective. The volume starts with an in-depth preface by the renowned linguist Rosario Coluccia, member of the prestigious Accademia della Crusca. After a review of the stamp issues of the years before the 1861 unification of Italy we learn a lot about the use of the word ‘francobollo’ (postage stamp) on the early stamps of the mid-1800s. Even the most informed specialist may well admit: “I did not know that!” The author chronologically introduces almost all of the Italian stamp issues, from those of the Italian States to our days; in doing so, he goes to the point and examines the usefulness of the words embedded in the design, their role, weight and impact. At the same time the role of the design and the creativity of the stamp designer are thoroughly scrutinised. The quality and effectiveness of the finished product might have been affected by the interference or input of emperors. monarchs, politicians, prime ministers. ministers of the posts and bureaucrats, including: Franz Joseph of Austria, Count Cavour, Quintino Sella, Gabriele D’Annunzio and Mussolini, to name a few. This aspect of the story is very difficult to substantiate and it is better left to some time-consuming investigations of other philatelic detectives. Giuliani prefers to move into more thought-provoking directions. Given the unavoidable ‘romanitas’ (Roman-ness) that surfaces on the wordings of the stamps from 1911 to date, Giuliani fittingly points out that the use of Latin succeeded in freezing out the vast majority of the philatelic and general public. Even the use of Roman numerals dates is deemed pedestrian and stodgy. There are other snobbish aspects; for example, the 40 cents stamp of the 1921 set celebrating Dante, in an effort to impress the public and honour the great poet resorted to this quote, “MOSTRÒ CIÒ CHE PO / TEA LA LINGUA NOSTRA” (He showed what our language could do). Apart from the ugly hyphenation of “PO / TEA” (co — uld) the quote from “Purgatory” may register with an élite, but it is unpalatable to the masses. Two years later new stamps saluted the first anniversary of the March on Rome and replaced the wording ‘Poste Italiane’ with ‘ITALIA’ - as unexpected as this new wording was, it was short-lived like the one swallow that does not make a summer. In 1929, when the boastfully labeled ‘Imperiale’ definitive series, duly seasoned with ‘romanitas’ and Latin privileged historical figures like Caesar while the soon-to-be new emperor found himself with an Italian inscription “VITTORIO/EMANUELE III/RE”, while the two values portraying him frontally do not even bother to say who he is. Oh well, no big deal, the stamps depicting the Capitoline She-wolf and those featuring the somewhat too macho allegory of Italy wearing a turreted crown (Italia turrita) dispensed with any caption whatsoever. Furthermore the supplementary 2 cents issued in 1930 has no inscription describing the nation’s newest coat of arms; the acronym “FERT” is part of the coat of arms and refers to the motto of the royal house of Savoy-Sardinia and Italy: Foedere et Religione Tenemur (Latin: “We are bound by treaty and by religion”). The situation improved in 1930 when the famous

painter, scenographer and sculptor Corrado Mezzana made his debut on the philatelic stage with the series commemorating the two thousandth anniversary of the birth of Virgil masterfully executed by the great artist but unfortunately overburdened with Latin quotes. As Giuliani points out: “who does not know the language of our forefathers is lost”. The other philatelic celebrations of the 1930s saluting two thousandth anniversaries follow the same pattern. In 1908 the first foreign language peeked out on an Italian stamp, the French “EXPRÈS” in flaming red on a specific stamp for express mail sent to a foreign destination; the use of French was a prerequisite dictated by the U.P.U.; as a result we find the inscription “UNIONE POSTALE/UNIVERSALE”, also in red, above “EXPRÈS”. During the twenty years of the fascist regime, Mussolini himself manipulated the philatelic medium using Mezzana’s talent: a very well pondered choice of the inscriptions echoing the slogans and vivid rhetoric of the Duce: “CREDERE” (believe), “SE AVANZO SEGUITEMI!...” (if I advance follow me!) made their impact using stamps. Such propaganda was disseminated all over Italy and her colonies where, however, it is very difficult to imagine the lower class peeling their eyes to read the mottos and inscriptions that adorned the national and colonial stamps. As pointed out by Giuliani, the inscriptions, quotes and wordings on stamps have repeatedly been compromised, especially by the hyphenation attempts. The author states that the best inscriptions are those that clearly indicate the issuing country, the face value, and a telegraphic mode wording about the reason for issuing the stamp and/or about the vignette. Furthermore, there must be harmony between the image and the word; therefore, while fulfilling its postal purpose, ideally, the stamp must make emotional eye contact in order to generate dreams, fuel imagination and open new cultural horizons. Occasionally, stamps have been described as ambassadors of their issuing countries; this facet cannot be underestimated because there are many foreigners who give a close look at stamps on covers from other countries. In this respect the stamp becomes a block of a mosaic consisting of other impressions and perceptions that will form an overall opinion about a given country. Indeed, there are countries that have capitalized on the communicational potential of stamps, both at national and global levels. Freedom, family and justice are the fundamental values depicted on the “Democratica” definitive series which made its debut in 1945 when the country was still in the midst of a monarchy versus republic dilem-

ma. The wording “REPUBBLICA ITALIANA” first appeared some seven years later, in 1952, on a stamp commemorating opera composer Vincenzo Bellini; in a series of variations it survived until 1955, when “POSTE ITALIANE” made its come back. The “Siracusana” definitive series depicting Italy with a turreted crown continued undauntedly with “REPUBBLICA ITALIANA”. The two 1954 stamps paying tribute to Marco Polo feature inscriptions in Italian, Latin and Chinese. The uncaptioned “Siracusana” had massive use between 1953 and 1961; during the early months of the latter the “Michelangiolesca” definitive took centre stage. Armed with good intentions, the new series focusing on Michelangelo’s masterpieces offered a very tiny space to them, smaller than half a passport photo. Can you imagine what a pass card photo for Leonardo’s Mona Lisa or Botticelli’s Venus would look like? Giuliani is also passionless for the lack of captions which would help to place these treasures in their perspective; the average stamp user would, somehow, figure out that the this definitive is about Michelangelo, Adam and Eve and some stunningly portrayed figures: hurrah! In 1979 the symbol of the antique Italian currency was wiped out from the stamp designs, possibly to create room for the higher tariffs caused by inflation; twenty years later, as a prelude to the dawning of the European currency, Italian stamps featured two currencies: the lira and its equivalent in euros; then, from 1 January 2002 the traditional and historic currency stepped down passing her scepter to the Euro whose precursor — the ECU — alongside the Lira at an exchange rate of 1 ECU = 500 Lire was featured on a stamp saluting the third general elections of the European Parliament. ECU is the acronym for European Currency Unit, an accountancy currency introduced by the European Union in 1979. At the twilight of the old millennium we could observe some oddities, including “PIANERE” instead of ‘paniere’ (bread basket); the new millennium started with an increasing use of foreign languages, among which English shines. In 2017 we visited the bloopers garden where errors that could possibly not fit that category pop up on stamps; it is the case of “BACALÀ” used as a caption to describe in vernacular style the famous gourmet dish of Vicenza. Oddly enough it would seem that the fish used for the speciality is not “BACCALÀ” (Italian spelling) or salted cod but “STOCCAFISSO”, dried cod. The stamp design instead of whetting our appetite does not help at all as it contributes to the argument since two unmistakeable “stoccafissi” are featured on the side of the casserole. At the end of the first part of this book, the author confirms that “the word found on stamps has proved to be weighty and meaningful, quite like a voice asking to be listened to because it has a lot to say.” Part Two, aptly titled Inside the stamps mine winds on 103 pages where Giuliani zooms on literary themes that have links with Italian stamps. May be his next book can expand on these aspects. Chapter Two focuses on printed books starting with the pioneer years of Aldo Manuzio: “the printed book, after all, is like a stamp, son of its time and therefore a resource that calls for safeguarding...simply because it is a huge treasure chest filled with culture and humanity,” says Giuliani. The ensuing chapters feature a fabulous Giacomo Leopardi, both in poetry and on stamps; Umberto Eco in the philatelic wonderland, the forgotten anniversaries ranging from Dante and Calvino to the foreign languages, Virgil, winding up with a linguistic controversy of 1879 about the hobby’s name (Francobollomania or Timbrofilia). The book ends with a very useful index of names and a general index which remind us that the books we read from cover to cover in a few days are not many, and this volume on The ’heavy’ word fits into that petite few, happy few club. Giuliani’s book is truly remarkable and will surely be welcome on many philatelic bookshelves because it highlights a firmly grounded cultural depth of philately: a treasure trove bypassed by many other scholars. Reviewed by Giorgio Migliavacca


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