Il Provinciale - Giugno 2017

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ANNO XXIX

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2017 FONDATO DA FRANCO MARASCA

Il Sentiero dell’Anima ha fatto 13!

Nativi digitali e cultura La situazione è grave ma non è seria

Successo di pubblico per l’affermato Premio letterario di primavera

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enza «appesantirci» troppo nelle riflessioni – siamo ormai alle soglie dell’estate e i pensieri volano altrove – ma una provocazione «leggera» mi sento quasi obbligato a farla, adesso che le scuole si sono chiuse e gli esami di stato vivono i loro ultimi, accalorati giorni. I giovani di oggi vengono definiti «nativi digitali»s (definizione che sembra ormai superata da «residenti digitali» e «visitatori digitali»), con chiaro riferimento al loro disinvolto uso di tutti quei mezzi tecnologici che vanno dal pc allo smartphone, dall’ipad al tablet, e chi più ne ha più ne metta. Si tratta di strumenti che hanno creato un mondo a parte, che agli adulti e ai più anziani appare quasi avulso dalla realtà, dalla quotidianità, certamente lontano dalla tradizione Di questo mondo i nostri giovani sono assolutamente padroni e in grado di attraversarlo con sicurezza che a volte sfiora la protervia. Primo aspetto: il collegamento di questi mezzi di comunicazione con la scuola. Ho da fare delle ricerche (qualcuno deve ancora spiegarmi l’utilità di questa pratica ridotta ormai ad una pura e semplice formalità informatica)? Bene, strizzo l’occhio a internet e con la complicità di un provvidenziale «copia e incolla» ho risolto il mio problema. Mi viene affidato il compito di impostare e organizzare una tesina su un qualunque argomento, per quanto strano e inusuale esso sia? Niente paura, basta rivolgersi all’amico «mostro» e in men che non si dica tutto lo scibile umano relativo all’argomento in questione si materializza sul magico schermo, pardon screen. Ma di questo passo – diciamo tra dieci-venti anni – i docenti, gli impagabili maestri di una volta, saranno ancora indispensabili? E avranno spazio nel panorama professionale del pianeta? La trasmissione del sapere, che molti (troppi) credono costruita solo con una sequenza logica di parole, ha invece bisogno di espressione del viso, di gesti, di sguardi, di toni della voce, di umanità, di sentimento, di trasporto, di amore verso il discente. Può la fredda razionalità di internet garantire tutto questo? E come si può definire la massa, praticamente infinita, delle nozioni e notizie scaricate da internet? È un puro e semplice, per quanto importante, processo di conoscenza di fatti, personaggi e fenomeni o può fregiarsi della più pregnante definizione di cultura? Già, definizione di cultura. Tra le tante, cito quella riportata dal Dizionario Enciclopedico Treccani: «profonda rielaborazione, non solo intellettuale ma anche spirituale, delle nozioni acquisite nei vari rami del sapere, che si risolve da un lato nella formazione della personalità morale dell’uomo e dall’altro nell’educazione del gusto». Insomma, siamo in presenza di una situazione seria, tanto più se concordiamo con l’affermazione inserita in un articolo letto qualche tempo fa sul quotidiano «la Repubblica»: la cultura rende liberi, critici e consapevoli. La cultura, aggiungo, è anche il volano della crescita individuale e collettiva. Ma davvero coloro che governano questi processi tecnologici, ma anche coloro che in maniera subliminale ci invogliano a farne uso, desiderano vederci liberi, critici e consapevoli? «La situazione è seria ma non è grave», diceva Ennio Flaiano con riferimento al mondo politico (niente di nuovo sotto il sole italico…). E allora, consoliamoci con l’ironica e provocatoria constatazione dello scrittore e giornalista abruzzese per non perdere l’ultimo filo di speranza cui aggrapparci. Buona estate a tutti. Duilio Paiano

Una copia € 2,00 Sped. in abb. post. 50%

n un fresco e piacevole pomeriggio di fine maggio ha avuto luogo la premiazione della tredicesima edizione del Premio nazionale di poesia Il Sentiero dell’Anima. La kermesse letteraria si svolge nel Parco artisticoambientale omonimo, sul Gargano, a breve distanza da San Nicandro Garganico. Il Premio è stato ideato e portato avanti grazie alla scommessa di Falina Marasca delle Edizioni del Rosone e a Filippo Pirro, creatore dell’originale spazio culturale. Un bel pubblico, piacevole e variegato, ha partecipato all’evento che come ogni anno si è avvalso della collaborazione di associazioni e fondazioni del territorio. Quest’anno, oltre al Centro culturale «Il Sentiero dell’Anima» e all’Edizioni del Rosone, organizzatori principali del concorso, ha fattivamente collaborato il FAI – Fondo Ambiente Italiano Delegazione di Foggia (che, per il secondo anno consecutivo, ha voluto fregiare questa edizione con un partenariato così importante) e c’è stato il patrocinio della Fondazione «Siniscalco-Ceci» del Banco del Monte di Foggia, che dai primissimi tempi continua in questo sodalizio, e della Fondazione «Pasquale e Angelo Soccio». Notevole il numero dei partecipanti in gara nelle sezioni: silloge edita in italiano, poesia inedita in italiano, poesia inedita in dialetto, poesia inedita di giovani autori. I partecipanti che hanno concorso provenivano dalle più svariate regioni italiane, a conferma del buon appeal e della certa notorietà che il Premio sta ottenendo anche al di fuori della nostra provincia. La giuria ha avuto un compito estremamente arduo nello stabilire una graduatoria di merito. Ogni lirica o silloge giunte in concorso sono state valutate da una commissione presieduta dall’ottimo Angelo Marino, presidente del Consorzio Pro Loco Gargano e

instancabile difensore del nostro territorio. Una scelta molto efficace visto il tema del concorso: Identità e tradizione, prendendo come stimolo la tematica 2017 scelta dall’ONU sul turismo sostenibile. Hanno introdotto i lavori i saluti di Falina Marasca, purtroppo assente per un’indisposizione, ma molto ben sostituita da Daniela Pirro che ha fatto da moderatrice, seguiti dall’intervento di Nico Palatella, capo della Delegazione FAI di Foggia, sull’importanza della sostenibilità per il nostro territorio, non risparmiando alcune gustose sferzate polemiche contro le pubbliche amministrazioni. È poi intervenuto il professor Matteo Coco, portavoce della Fondazione «Pasquale e Angelo Soccio», ricordando l’importanza letteraria del nostro territorio e del Gargano in particolare, rimarcando la vicinanza sentimentale che accomuna i luoghi del Sentiero a quelli vicini del grande Pasquale Soccio, «…che a pochi chilometri da qui, in questa stessa natura, ha conosciuto la sua età più feconda e forse più bella». Ha preso quindi la parola il dott. Michele Merla, primo cittadino di San Marco in Lamis, presente e partecipe insieme con le consigliere dott.ssa M. Nardella e avv. L. Leggieri per quasi tutta la manifestazione. Il sindaco si è complimentato per la bellezza del luogo e per la piacevolezza della situazione letteraria e si è congedato con un arrivederci alla prossima edizione. Infine, ha letto la sua relazione critica il presidente Angelo Marino, soffermandosi sul bisogno di creare una rete che unisca i tanti scenari poetici possibili all’interno della Capitanata e sot-

Toni De Leo (continua a pag. 12)



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AttuAlità & Commenti

La FIDAPA di Foggia in un convegno

Lo spreco degli alimenti, problema economico ma anche ambientale

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n campo nella lotta contro gli sprechi alimentari. È il tema affrontato in un recente convegno dalla FIDAPA di Foggia che ha sancito anche la conclusione del biennio di presidenza della professoressa Antonietta Narciso. Tema di grande attualità, sviscerato in tutti i suoi aspetti – normativi, etici e legati alla quotidianità – dal professor Domenico Viti, titolare della cattedra di Diritto alimentare internazionale e comparato nell’Università di Foggia. L’esperienza «sul campo» è stata offerta ai presenti dalla testimonianza appassionata di don Francesco Catalano, responsabile Caritas diocesana di Foggia. La presidente Narciso, nel suo intervento di saluto e di introduzione dei lavori, ha richiamato la «Carta di Milano» divenuto punto di riferimento ineludibile per quanti, enti pubblici e privati e cittadini, intendano attuare comportamenti virtuosi in tema di limitazione dello spreco in campo alimentare. Il recupero degli alimenti, secondo la presidente FIDAPA di Foggia, consente benefici economici, in termini di sostenibilità ambientale e di educazione. Punti sui quali ha convenuto anche la professoressa Anna De Sanctis, vice presidente FIDAPA, che ha aggiunto come il 30% del cibo viene sprecato e nuoce anche alla terra, pur riconoscendo che la crisi economica degli ultimi anni ha ridotto lo spreco del 57%, costringendo ad una maggiore accortezza nell’impiego degli alimenti. Secondo Anna De Sanctis i punti nodali attraverso cui passa la risoluzione del problema sono la donazione e la distribuzione. «Il problema della donazione degli alimenti e degli sprechi – ha affermato

Un’estate triste nel ricordo degli amici che non ci sono più

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riste e piacevole al tempo stesso il compito che in questa stagione ci attende: ricordare con l’affetto e la stima di sempre amici che ci hanno accompagnato lungo l’impervio cammino che porta alla promozione culturale della Capitanata. Amici che non ci sono più da qualche anno ma che continuano a rimanere vivi nel nostro ricordo. Ognuno di loro ha contribuito allo sviluppo del nostro territorio con le armi appassionate, ma non sempre efficaci, della cultura e delle iniziative culturali. Nella stagione estiva se ne sono andati Enzo Lordi (luglio 2003), Stefano Capone (maggio 2007), Peppino De Matteis (giugno 2013), Mario Pernice (giugno 2015). A loro giunga ancora una volta la riconoscenza per quanto hanno realizzato e per l’amicizia di cui ci hanno gratificati.

il professor Viti – è soprattutto un problema delle grandi industrie alimentari», spostando così il focus dalla quotidianità delle famiglie all’organizzazione e alla sagacia delle multinazionali e delle grandi aziende nazionali. Un aspetto collegato allo spreco alimentare è quello della fame nel mondo. «La normativa europea –ha aggiunto Viti – è efficace sul primo versante ma non ha alleviato il drammatico stato della fame». Così come la domanda di alimenti è «anelastica», cioè indipendente dal calo dei costi e dall’aumento dei salari. Insomma, non si mangia di meno (o

non si mangia affatto…) perché aumentano i costi degli alimenti, così come non ci si nutre più abbondantemente in seguito all’aumento dello stipendio. Il professor Viti ha disquisito in modo interessante sull’adeguamento delle grandi industrie e delle imprese della grande distribuzione che stanno imparando a modulare meglio la loro produzione, evitando di gettare nei rifiuti grandi quantitativi di alimenti rimasti invenduti che per lungo tempo hanno creato grossi problemi di ordine ambientale a causa dello smaltimento dei rifiuti. Don Francesco Catalano ha offerto una suggestiva relazione per immagini. Si è chiesto, sull’onda della quotidiana esperienza a contatto con gli ultimi e più disperati: chi rovista nei cassonetti, e perché lo fa? Chi butta il cibo, e perché lo fa?

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Le eccedenze della ristorazione – altro aspetto controverso che non è sempre condizionato dalla più o meno buona volontà delle persone ma risente anche di una normativa farraginosa – perché non si riesce a farle arrivare sulle mense dei poveri? Poveri che, almeno a Foggia, nell’ultimo anno sono aumentati del 40%. «Come Caritas – ha concluso don Francesco – al di là della organizzazione delle mense che già facciamo da anni, possiamo intercettare i destinatari mettendo in contatto esercenti e bisognosi». In definitiva, un convegno davvero interessante, in sintonia con la vocazione della FIDAPA, che ha svelato sfaccettature che sfuggono ai comportamenti individuali (che, pure, rimangono determinanti) per assumere dimensioni nazionali e internazionali. Duilio Paiano



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territorio

Troia, Premio Bojoannes: vince Alessandro Melilli Assegnato ad Alessandro Melillo per la tesi di dottorato il Topografia antica dal titolo Contributi alla carta topografica di Aece. I.G.M. F 163 II SO (Troia), conseguito presso l’Università di Salerno, il Premio Bojoannes. Il Premio, concepito per celebrare i mille anni di storia della Città di Troia, nasce dalla collaborazione di Skantinato 58 Bibliocafè, Edizioni del Rosone, A.c.t! Monti Dauni – Associazione Culturale e Turistica e Pro Loco di Troia per le migliori tesi che contribuiscano alla conoscenza e alla valorizzazione della Città di Troia. Il Premio porta il nome del catapano bizantino d’Italia Basilio Boioannes, «fondatore» di Troia nel 1019. Il riconoscimento, conferito alla memoria del dott. Giuseppe Beccia, medico condotto e appassionato bibliofilo troiano, consiste in un contributo di 1000 € a cui si aggiunge la pubblicazione della tesi da parte delle Edizioni del Rosone in una collana ad hoc. Numerose le candidature, giunte da ogni parte d’Italia. Premiazione e presentazione della tesi vincitrice avverranno nel corso di una manifestazione allestita nel corso dell’estate a Troia.

La scomparsa di Ugo La Cava Un grave lutto ha colpito la Famiglia Dauna di Roma. È scomparso lo scorso 10 giugno, all’età di 85 anni, il dottor Ugo La Cava che del sodalizio capitolino era stato presidente e ne era rimasto presidente onorario. «Con animo angosciato ed attonito comunico la dolorosa scomparsa di Ugo La Cava – ha affermato Paolo Emilio Trastulli, presidente della Famiglia Dauna – dilettissimo amico sempre disponibile ed affabile, dal sorriso pronto e generoso, dal gentile garbo nel tratto, dalla parola buona ed intelligentemente mediatrice, da più decenni autorevole ed ascoltatissimo presidente onorario e decano tra i soci della Famiglia Dauna di Roma». Alla famiglia La Cava, agli amici della Famiglia Dauna di Roma, ed al suo presidente Paolo Emilio Trastulli, giungano i sentimenti di cordoglio e partecipazione delle Edizioni del Rosone che sempre hanno potuto godere della vicinanza e della stima di Ugo La Cava.

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Foggia: ancora un successo per «Libando» 2017 Svolta a Foggia la IV edizione di Libando Viaggiare Mangiando - evento promosso e organizzato dal Comune di Foggia, Assessorato alla cultura, in collaborazione con l’associazione Di terra di mare, l’impresa creativa Red Hot e Streetfood Italia. La manifestazione, cresciuta negli anni, è arrivata a coinvolgere ben sei piazze, alle quali si è aggiunta anche via Duomo. Quest’anno, infatti il villaggio gastronomico oltre a piazza Cattedrale, piazza Mercato, piazza Purgatorio e piazza Cesare Battisti, ha coinvolto piazza Municipio e piazza Martiri Triestini che ospitato la pizza napoletana, grande novità dell’edizione 2017. Tutte le attività hanno ruotato intorno al tema scelto Grani di Puglia: dalla mostra multimediale a cura di Gianfranco Piemontese intitolata «Dal grano alla pasta», all’omonimo convegno che ha visto la partecipazione di esperti del settore. Numerosi i seminari che hanno esplorato il tema di questa 4^ edizione di «Libando».

Lucera: Club UNESCO celebra Giornata della Poesia Il Club per l’UNESCO di Lucera ha celebrato la Giornata Mondiale della Poesia. Sono stati premiati i vincitori della XII edizione del concorso regionale Una Poesia per la Pace, riservato agli studenti delle Scuole Superiori e delle Scuole Medie Inferiori dell’intera regione Puglia. L’evento si è avvalso del patrocinio del Comune di Lucera - Assessorato alla Cultura e P.I., e dell’Ufficio Scolastico Regionale per la Puglia. Presidente della giuria il poeta prof. Michele Urrasio. La serata è arricchita dagli interventi musicali di Rosalia Angelilli (cantante ed interprete, diplomata presso il Centro Europeo di Toscolano -frazione di Avigliano Umbro-, fondato e presieduto dal grande Mogol), del M° prof. Giuseppe Marzano al pianoforte, e del M° prof. Vincenzo Manna. Il Direttore Generale dell’UNESCO, Irina Bokova, nel suo messaggio di quest’anno ha dichiarato tra l’altro: «La poesia non è un lusso. È alla base di ciò che siamo: donne e uomini che oggi vivono insieme, godono del patrimonio delle precedenti generazioni, custodi del mondo per i nostri figli e nipoti».

Sara Lori e Luigi Aquilino, mostra a Palazzo Dogana

Diventa film romanzo di Davide Grittani Il romanzo E invece io scritto da Davide Grittani (Robin Edizioni – Biblioteca del Vascello; pagg. 220; prezzo 12,00 euro) e ambientato in larga parte a Foggia, diventerà un film. Per adesso un mediometraggio (40’ circa). Tuttavia non è escluso che, prima o poi, veda la luce anche la trasposizione cinematografica integrale del romanzo, la cui suggestiva ambientazione si svolge tra Padania, Tavoliere e Pampa (Argentina). Il volto e il disincanto di Alberto Arioli – il giornalista che nel libro si rende protagonista di una incosciente ma riuscita – saranno affidati al talento di Michele De Virgilio, attore che ha accettato di interpretare un ruolo che lo riporterà nella sua città d’origine ma che soprattutto ha accettato di condividere le aspettative di un progetto culturale che si annuncia ambizioso. Il resto del cast è in corso di definizione, cercando di rispettare il timbro e la personalità dei personaggi raccontati nel libro. «Racconteremo una Foggia insolita e soprattutto molto più autentica degli stereotipi che la affliggono da generazioni – dichiara il regista Roberto Moretto – racconteremo l’ironia e la ferocia del libro, ma anche la naturale tendenza al riscatto che un uomo riesce a trovare solo dentro se stesso».

Biccari: Riso alla foggiana, vignette di Maurizio DeTullio Dopo il successo di partecipazione registrato nella prima uscita, a fine marzo, a Parco San Felice a Foggia e con il “Bis!” concesso a fine maggio presso la Biblioteca Provinciale di Foggia, la mostra di vignette satiriche Riso alla foggiana, realizzate in quasi 35 anni da Maurizio De Tullio, è stata ospitata a Biccari, in occasione della Quattro Giorni della Festa Nazionale dei Borghi Autentici d’Italia (B.A.I.), quest’anno celebrata proprio nella graziosa e accogliente cittadina dei Monti Dauni. Riso alla foggiana mette in mostra 130 vignette, realizzate da Madetù (è questa la sigla in calce ai singoli disegni) tra il 1983 e il 2017. Maurizio De Tullio è noto ai più in veste di giornalista, scrittore e bibliotecario della ‘Magna Capitana’, certamente non di disegnatore satirico, una passione coltivata a livello dilettantistico. Tanti gli avvenimenti e, soprattutto, i personaggi presi di mira dal disegnatore foggiano: da De Mita, Andreotti e Craxi a Berlusconi, Grillo, Renzi e Salvini; dalle miserie della cronaca nera nazionale all’arroganza della mafia foggiana, per finire con qualche vignetta dedicata all’ambiente calcistico nazionale e locale.

Sara Lori e Luigi Aquilino dal 30 maggio al 10 giugno hanno presentato le loro opere a Palazzo Dogana a Foggia, nella mostra dal titolo «Armonie delle architetture». A presentare l’evento la storica dell’arte Filomena Continiello, esperta e sensibile studiosa dell’arte in tutte le sue forme, nonché restauratrice, che ha prestato la sua opera nelle città di Roma e Firenze. Il tema della mostra sono le architetture viste attraverso gli occhi dell’artista che spazia nel tempo e osserva le condizioni di vita degli uomini tra periferie, città industriali e centri storici. Luigi Aquilino è andato formandosi artisticamente dal 1970 frequentando artisti e pittori dauni e partecipando a diverse manifestazioni artistiche collettive e non. La sua produzione pittorica è essenzialmente orientata ai paesaggi e alle nature morte che svolge attraverso l’uso sapiente di tecniche diverse: dagli olii agli acquerelli alle serigrafie. Sara Lori nata a Serramazzoni (Mo), ha trascorso l’infanzia e la giovinezza a Milano dove ha compiuto gli studi, frequentato la Scuola Superiore d’Arte annessa al Castello Sforzesco ed ha iniziato a insegnare nella scuola primaria. Dal 1974 vive a Foggia ed ha partecipato a numerose collettive ed eventi. Nel 2013 ha presentato i suoi lavori nella personale «My way», cioè «A modo mio’». La sua pittura esprime la voglia di non avere schemi vincolanti, manifesta il desiderio di libertà ed il bisogno di rifugiarsi in una realtà sublimata fatta di colore e ricca di movimento.

Ischitella: riuscita tre giorni poetica Tre giorni poetica a Ischitella in occasione del XX anniversario di pubblicazione della rivista di poesia «Periferie». I direttori della rivista, Manuel Cohen e Vincenzo Luciani, hanno offerto infatti l’opportunità di soggiornare per la prima volta o di ritornare ad Ischitella ai poeti di ogni parte d’Italia che hanno avuto rapporti con la rivista e con il Premio «Ischitella-Pietro Giannone», partecipando a una tre giorni di incontri con amici poeti delle «altre lingue» che sono affluiti nella piccola città della poesia. Tutti gli intervenuti hanno avuto la possibilità di godere delle bellezze artistiche, ambientali ed anche enogastronomiche di cui è ricco il territorio. A questo scopo sono stati coinvolti operatori turistici del territorio, Amici del Premio «Ischitella-Pietro Giannone», i quali hanno aderito con entusiasmo. La Pro Loco di Ischitella ha garantito il suo sostegno all’iniziativa.





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Inserto al n. 1 - Giugno 2017

Sta per concludersi un anno ricco di soddisfazioni e di successi per l’Ateneo foggiano. Numerose sono state le iniziative didattiche e culturali che hanno portato la struttura formativa dauna ad aprirsi al territorio e a superare brillantemente i confini del nostro Paese, proponendosi sempre più come una eccellenza europea e internazionale. Non soltanto sul piano dei numeri – seconda in Italia per incremento delle immatricolazioni – ma anche sul versante delle proposte di studio.

CONTINUA IL PERCORSO INNOVATIVO DELL’UNIVERSITà DI FOGGIA Per il prossimo Anno Accademico sarà avviato il Corso di laurea internazionale in Scienze e Tecnologie Biomolecolari, altamente specialistico e di elevata qualità. La soddisfazione del rettore, prof. Maurizio Ricci Un ruolo di sostegno allo sviluppo del territorio

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rocede spedita l’avventura dell’Università di Foggia. Spedita e impreziosita da traguardi che le stanno conquistando un posto di rilievo tra gli Atenei italiani, e non solo. Sono traguardi legati ai numeri – nell’ultimo Anno Accademico ha fatto registrare il secondo incremento nazionale di immatricolazioni – ma soprattutto al livello qualitativo dell’offerta formativa e della ricerca. L’ormai consueto focus che «Il Provinciale» dedica alla struttura foggiana in questa stagione registra momenti di costante e incoraggiante miglioramento del livello complessivo della giovane università daunia. Diventa sempre più apprezzata la presenza sulla scena nazionale e internazionale delle iniziative allestite, così come comincia a farsi sentire in misura sempre più determinante l’azione sul territorio della provincia. È esattamente il ruolo che ci si attende dall’Ateneo che deve mettersi al servizio del territorio e del suo sviluppo, impegnando risorse intellettuali e conoscenze in sinergia con le istituzioni pubbliche e private. È bene che l’Università si faccia pienamente e consapevolmente carico di questo ruolo e di questa mission perché la Capitanata, benché ricca di risorse e potenzialità, non è ancora riuscita a fare quel salto di qualità che le consenta una decisa e decisiva affermazione sociale, culturale ed economica trasformando in benessere non occasionale il potenziale umano, immateriale e materiale che la storia le ha generosamente assegnato. L’Università dimostra con sempre maggiore personalità di essere in grado di assumersi questo delicato ruolo. Le pagine che compongono questo inserto ne sono la dimostrazione più edificante e illuminata. (d.p.)

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tudiare a Foggia e sentirsi cittadini del mondo. Nell’universo globale della rete, delle comunicazioni senza confini e dei social media è diventata molto più che una possibilità, ciò nonostante l’Università di Foggia sta lavorando per offrire ai suoi iscritti l’occasione per interpretare concretamente e alla lettera l’headline della campagna di comunicazione dell’anno accademico 2017/18 (“Studia con noi. Abita nel mondo”). Presentato il nuovo Corso di laurea internazionale in Scienze e Tecnologie Biomolecolari: un corso internazionale perché garantirà al 20% degli studenti che si iscriveranno un’esperienza formativa all’estero, per studio e/o tirocinio; in secondo luogo perché, a partire dal terzo anno di corso, sarà possibile seguire lezioni e sostenere esami nel Regno Unito, presso la Wolverhampton University. «Questa opportunità consentirà ai nostri studenti – ha spiegato la coordinatrice scientifica del corso di laurea, prof.ssa Claudia Piccoli – di cogliere un’altra chance, ottenendo il doppio titolo di laurea. Si tratta dell’unico corso di laurea che in Italia offre questi vantaggi e assicura questa competitività didattica e scientifica a chi lo frequenterà». Inserito nell’Offerta formativa dell’Anno Accademico 2017/18, il nuovo corso di laurea in Scienze e Tecnologie Biomolecolari prevede 50 immatricolazioni (al massimo) per A.A.: si accederà unicamente attraverso test di ingresso, chi conseguirà il titolo di lau-

Il rettore prof. Maurizio Ricci rea potrà essere impiegato come tecnico in centri di ricerca sia pubblici che privati. «Il corso prepara, a sua volta, all’accesso ad un corso di laurea magistrale in Biotecnologie o scienze biologiche – ha completato il direttore del Dipartimento di Medicina clinica e sperimentale, prof. Lorenzo Lo Muzio – poiché, con il conseguimento della laurea di II livello, i biotecnologi sono equiparati ai biologi: ovvero hanno accesso alle scuole di specializzazione per biologi, possono lavorare in campo sanitario, nei laboratori di analisi o continuare nel campo della ricerca presso Università, CNR, industrie farmaceutiche, tossicologiche e altri centri di ricerca di varia natura».

Open day: l’Università si presenta

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ltre 1300 alunni – provenienti da diversi Istituti scolastici e/o Licei della nostra e delle province confinanti, accompagnati in città da bus e molti mezzi privati – hanno assistito, suddivisi in due giornate, alla presentazione dell’Ateneo. Il Rettore dell’Università di Foggia, prof. Maurizio Ricci, ha interpretato le difficoltà e gli interrogativi degli studenti di oggi, che devono decidere se, come e dove diventare le matricole di domani. «Mi rendo conto che il quesito di oggigiorno è addirittura relativo alla scelta, o meno, di iscriversi all’Università, qualunque essa sia – ha detto il Rettore –. Innanzi tutto voglio invitarvi a leggere le statistiche di occupazione di giovani con e senza laurea, che fino a prova contraria sono incontrovertibili. E in secondo luogo vorrei invitarvi anche a non avere dubbi, iscrivetevi all’Università: a quella di Foggia, se potete, che nella prossima estate compirà il suo diciottesimo anno di autonomia. A parità di condizioni e di corsi di laurea, qui avrete chance reali e una formazione degna dei migliori Atenei. Non abbiate dubbi, perché l’unica speranza di potercela fare risiede dentro voi stessi, nella vostra determinazione e nella vostra preparazione. Studiando qui avrete la certezza di essere seguiti – ha concluso il Rettore – non come in altri Atenei, in cui si partecipa a lezioni insieme ad altri tre o quattrocento studenti». Grande curiosità ha destato la presentazione del Corso di laurea in Scienze e Tecnologie Biomolecolari, coordinato dalla prof.ssa Claudia Piccoli e attualmente in fase di approvazione presso ANVUR (Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca) e MIUR (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca).

Infine la dimensione internazionale del nuovo corso è restituita, anche, dalla concreta possibilità di effettuare tirocini all’estero, a partire dal primo anno di studio. «Saranno interamente a spese dell’Università di Foggia – ha puntualizzato la prof.ssa Piccoli – che eroga borse di studio tra le più alte di tutte le Università italiane, con un’ampia scelta delle sedi grazie alle numerose collaborazioni che l’Università di Foggia ha instaurato con aziende pubbliche e private anche estere». «Abbiamo fortemente creduto in questo corso – ha affermato il Rettore, prof. Maurizio Ricci – poiché siamo convinti che, la preparazione didattica e scientifica che riuscirà a garantire ai suoi studenti, sarà all’altezza dei migliori corsi di laurea d’area medica sia a livello nazionale che internazionale. Avevamo in mente un corso di laurea altamente specialistico, che ci desse la possibilità di rispondere alla domanda sempre più specifica e settoriale dei nostri studenti ma al tempo stesso che ci offrisse occasione di mettere a frutto tutto il know-how dei nostri Dipartimenti di Area medica. I miei complimenti, espressi a nome di tutta la Comunità accademica che rappresento, vanno alla coordinatrice del corso prof.ssa Claudia Piccoli e a tutti coloro che hanno collaborato all’attivazione di un corso molto ben valutato dall’ANVUR (Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca, NdR) che ha rilevato numerosi punti di forza giudicando ottima la struttura e la progettazione. Siamo consapevoli che sarà un’avventura dura ma molto avvincente». «Abbiamo competenze e strutture – hanno concluso i professori Piccoli e Lo Muzio – per garantire un corso di laurea di elevata qualità. Abbiamo il Polo Biomedico, una struttura nuova con aule e laboratori di ricerca dotati delle più sofisticate attrezzature. Stiamo allestendo anche i laboratori didattici dedicati e riservati agli studenti, inoltre i docenti di Area medica hanno ottenuto eccellenti valutazioni dei prodotti della ricerca e quindi sono altamente qualificati, requisito di garanzia molto importante per una formazione di qualità nel campo delle scienze di base. Infine il Dipartimento di Medicina Clinica sperimentale è stato recentemente riconosciuto “Eccellente” per la ricerca. Esistono tutte le condizioni per poterlo sostenere, sia dal punto di vista logisticostrutturale sia dal punto di vista didattico-scientifico».





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Breve viaggio nel (?) noumeno dell’opera d’arte

Pagine inconsuete di Walter Scudero che si leggono con curiosità

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on la pubblicazione del Breve viaggio nel (?) noumeno dell’opera d’arte, appena apparso, per i tipi delle Edizioni del Rosone di Foggia, Walter Scudero ha da poco completato la sua dilogia dedicata ad un tema intrigante, ossia Sul limitare del limite. Si può dire, pertanto, che ha portato a termine l’impegno preso già nel 2014, quand’era apparso, sempre con lo stesso editore, il testo Pepe nero. Silloge di poesia-non poesia. Scudero, classe 1948, nato a Torremaggiore, ha esercitato fino a qualche anno fa la non facile professione di medico anestesista, occupando anche

ruoli di responsabilità nella sanità del nostro territorio. Ora, con il pensionamento, ha potuto dedicarsi con maggiore impegno a quelle che da sempre sono le sue passioni, i suoi svaghi prediletti. Di qui, dunque, la nutrita serie di pubblicazioni che ha dato alle stampe, che spaziano in ambiti molto diversi, com’è facile verificare leggendo le note biografiche accluse al secondo volume della dilogia. La sua curiosità, viene da dire, è onnivora, visto che si è occupato di storia dell’arte come di canzoni, di temi religiosi come letterari, fino alla pubblicazione di sillogi di racconti e di liriche da lui composte. Numerosi lavori sono legati alla sua Torremaggiore e al territorio limitrofo, ma non mancano anche spunti tratti da Napoli, la città in cui ha studiato a suo tempo medicina, da luoghi lontani e da personaggi appartenenti alla macrostoria, che lo affasciano allo stesso modo. Spesso l’occasione per una sua pubblicazione è offerta da una delle conferenze che tiene con regolarità, magari in una delle sale del castello di Torremaggiore, al termine delle quali è solito donare ai convenuti una copia cartacea del discorso, a futura memoria, per non disperdere il succo dell’incontro. Qualche mese fa, così, lo abbiamo ascoltato soffermarsi sulle funeste vicende del terremoto del 1627 in Capitanata, per poi distribuire ai convenuti un utile opuscolo. Ma veniamo ai due testi in questione, che trattano di poesia e di arte, con in comune la stessa volontà di affron-

Historia del Pubblico Fonte di Biccari di O.G. Lucera

Una ricerca che è anche un affresco sulla società di due secoli fa

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toria di un acquedotto e dei suoi… effetti collaterali, raccontati con puntigliosa meticolosità e con ricco corredo documentale da Osvaldo Giuseppe Lucera, ricercatore e studioso delle vicende di Biccari e della Capitanata con all’attivo una già congrua e pregevole serie di pubblicazioni. Il suo più recente impegno, che ha

visto la luce nel dicembre scorso, si occupa, appunto, dell’acquedotto di Biccari dal momento della sua gestazione fino al… parto e anche oltre. Infatti, il saggio storico Historia del Pubblico Fonte di Biccari, racconta gli avvenimenti collegati a questa importante opera sociale dal sorgere dell’idea e, andando avanti nel tempo, fino alla sua inaugurazione e ai successivi ammodernamenti e ampliamenti. Si comincia dai primi anni del 1800 per giungere fino al più recente periodo repubblicano o post II conflitto mondiale che dir si voglia. Il tutto nasce dall’intuizione di convogliare l’acqua che sgorga dalle sorgenti del territorio in apposite condotte capaci di trasportarla ad una fonte monumentale per la fruizione da parte della popolazione biccarese. La risorsa acqua è la protagonista del saggio di Osvaldo Giuseppe Lucera, ma in realtà le pagine del suo avvincente lavoro di ricerca ci offrono un panorama politico-sociale-amministrativo di grande interesse fatto di beghe, contrattempi e controversie, raccomandazioni, lettere di sollecito, bandi di gara più o meno regolari, finanziamenti promessi e venuti a mancare, infiltrazione di vario genere, tentativi di corruzione e quant’altro

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tare questioni molto rilevanti, sulla scorta di non comuni conoscenze filosofiche di base. Scudero vuole programmaticamente sfuggire alla superficialità e alla banalità, trasportando il lettore in analisi e osservazioni che lasciano riflettere. In Pepe nero, così, si parte dal destino della poesia nella società contemporanea e dai suoi limiti. Per comprendere il suo punto di vista, è indispensabile leggere le pagine di prefazione, in cui Scudero mostra di apprezzare in modo particolare quella che chiama la «poetica dell’attimo», la poesia ermetica di Ungaretti e degli altri poeti che a lui si avvicinano. La poesia come illuminazione, però, deve fare i conti con i limiti della comunicazione, con l’impossibilità di trasmettere questa stessa illuminazione, rendendola stabile e permanente. Ecco, allora, la soluzione trovata da Scudero: «….una nuova vita per la poesia potrebbe consistere, nel momento attuale, proprio nella consapevolezza esperienziale sofferta e sincera di quella incapacità, da parte della stessa poesia, di esprimere e rivelare un ‘senso’ immutabile; in definitiva, l’incapacità identitaria di credere in sé. Se si vuole, una poetica della non-poesia». Insomma, la consapevolezza dei limiti della poesia, assunta apertamente, diventa un modo per aggirare l’ostacolo, giungendo lo stesso al traguardo. Questo, in sintesi, il senso dell’operazione di Scudero, il quale, passando dal discorso teorico a quello pratico, offre al lettore le liriche che formano la prima delle tre sezioni del volumetto, intitolata non a caso poesia-nonpoesia. La prima lirica, tra l’altro, nel finale dà anche conto del titolo complessivo del libro: «È solo un cadavere/ uno scritto di poesia:/ comunica memorie/ ma non ne ha più/ per sé…/ È come/ pepe nero/ che brucia

in bocca/ solo per l’attimo che brucia». Le liriche sono per lo più semplici, dirette, ma sempre segnate dai limiti della parola, da questo senso del fluire che si accompagna al sapore della sconfitta («No… Nemmeno ai poeti si fa palese,/ per più d’un attimo, quel senso…/ presto il verso annichilisce l’intuizione/ e la sincerità si fa studiata ipocrisia»). La seconda parte del libro si intitola vecchie cose…per dirla nel vecchio stile…, ed è una programmatica ripresa di versi sentiti ancora come validi e significativi, mentre l’ultima sezione porta come titolo scherzucci di dozzina, chiudendosi con una lirica, Opinio (epilogo), in cui si ritrovano i temi della prefazione. Scudero riflette tra l’altro sul bisogno di pubblicare le sue poesie, concludendo che non c’è nulla di male ad aggiungersi ai tanti poeti del nostro tempo: «Son tanti a scrivere bene, male… Oddio,/ tra tutti gli altri ci ho provato anch’io…». Nel volume da poco dato alle stampe, invece, nel cui titolo risuona un “noumeno” di kantiana memoria, noto a quanti hanno avuto a che fare con la filosofia, sui banchi di un liceo, Scudero, non senza precisazioni e adattamenti concettuali, cerca di andare a fondo dell’interpretazione di importanti opere d’arte, rivelando la sua solita curiosità. Si tratta di quadri di Leonardo da Vinci, di statue di Michelangelo, di lavori ricchi di incognite e di problemi, sui quali Scudero si sofferma, con il suo linguaggio forbito, la sua ricchezza di citazioni, le sue ipotesi di lavoro. Anche questo secondo lavoro, insomma, mostra il modo di lavorare del suo autore, gli obiettivi che si propone, offrendo delle pagine inconsuete, particolari, che si leggono sempre con piacere, seguendo il flusso continuo della curiosità. Francesco Giuliani

un’opera di così rilevante portata (sociale ma, soprattutto… finanziaria) reca con sé. Insomma, niente di nuovo sotto il sole! Infatti, a leggere il godibilissimo saggio di Lucera, facendo per un attimo astrazione dal contesto temporale cui esso è riferito, sembrerebbe di confrontarsi con una storia dei nostri giorni. Una delle tante storie di cronaca che le pagine dei quotidiani e i telegiornali ci propongono pressoché quotidianamente. Nella premessa è lo stesso autore che spiega le motivazioni alla base del suo saggio storico: «Il nostro territorio montano soltanto da pochi anni è stato ‘attenzionato’ e soggetto a una rivalutazione sia di tipo turistico che di rispetto dell’ambiente e della natura. È grazie, quindi, all’Amministrazione Mignogna che alcune realtà montane stanno acquisendo una nuova visibilità, contro decenni di buio e di abbandono. Ed è in questa logica amministrativa … che si innesta anche questa pubblicazione volta alla rivalutazione di un vecchio acquedotto la cui storia ci appartiene... Estrarre da un manufatto vecchio di circa due secoli aspetti turistico-culturali, rispettandone la storia e la sua antica funzione, che espleta ancora oggi, è un progetto che solo chi ha a cuore lo sviluppo turistico del proprio paese poteva includere nei locali percorsi formativi ed aggiungerlo alle altre realtà ormai già acquisite o in via di consolidamento, presenti nel nostro territorio». Dunque, una ripresa di interesse per un manufatto che si è rivelato decisivo

per il progresso e lo sviluppo del borgo dei Monti Dauni in piena realtà borbonica e che oggi, riscoperto, si offre come intrigante occasione di visita con risvolti turistici e culturali che promettono di apportare ulteriore beneficio alla comunità biccarese. La conferma viene da quanto affermato dal sindaco Mignogna nella prefazione: «… Abbiamo fortemente voluto la riapertura del vecchio acquedotto di Biccari… Per renderlo fruibile a storici e appassionati, per mostrarlo ai sempre più numerosi visitatori che frequentano la nostra montagna, per far aumentare le occasioni didattiche e culturali presenti in questa parte dei Monti Dauni». Per tornare al saggio di Osvaldo Giuseppe Lucera, si tratta di un’opera di agile e gradevole lettura, ben scritta e articolata, che ci introduce piacevolmente e con sorprendente efficacia didattica in una realtà sociale che ha subìto inevitabili evoluzioni nel corso degli ultimi due secoli. Historia del Pubblico Fonte di Biccari contribuisce ad arricchire il patrimonio di conoscenze sulla storia della comunità, ispirato al principio che non si può consapevolmente vivere il presente e utilmente progettare il futuro senza la conoscenza del nostro passato. Ultima, ma non secondaria annotazione: questo saggio ha il suo notevole valore aggiunto in una importante e corposa sezione documentale che riesce ad attualizzare e rendere più palpitante la descrizione operata dall’autore. Duilio Paiano


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Poeti cristiani latini dei primi secoli

Vincenzo Guarracino recupera autori e testi quasi dimenticati L’

antologia curata da Vincenzo Guarracino contiene autori e testi appartenenti a un periodo storico cruciale, quello che va dal 1° sec. al 7° sec. d.c., cioè alle soglie dell’alto Medioevo e alla vigilia della nascita del volgare e della poesia italiana. È, quindi, una preziosa opera di recupero di autori e testi in gran parte quasi dimenticati. Infatti, solo alcuni di essi sono stati sempre all’attenzione degli studiosi e degli amanti della letteratura latina dei primi secoli. E tuttavia, occorre subito mettere in evidenza il limite dell’antologia: mancano i testi originali in lingua latina e quindi il lettore è privato della possibilità di verificare sia la qualità della traduzione sia di gustare un latino che ha,

comunque, fascino e bellezza. Del folto gruppo di traduttori mi piace citarne alcuni che ci sono familiari, i pugliesi Lino Angiuli e Alfonso Lotito e soprattutto i sammarchesi Matteo Coco e Salvatore Ritrovato. Ho già detto che alcuni dei testi contenuti nell’antologia sono sempre stati presenti nella liturgia cattolica, per esempio il Pange Lingua di Venanzio Fortunato o il Magnificat o il Deus Creatordi Ambrogio. Ma è l’insieme sapienziale presente in tutti i testi che fa dell’antologia un corpus prezioso per scoprire o riscoprire concetti che dovrebbero essere ancora la base di una cultura che abbia a cuore il primato dell’uomo e il suo destino di salvezza e di eternità. I testi danno la misura di come la

Cenere in cielo, anime in terra di Lorenzo Pedone

Per ricordare Enrico per sostenere L’Amico Enrico

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orna con le sue poesie, fatte di versi carichi di pensieri, di memoria, Lorenzo Perrone che a poco più di due anni dal primo volume ce ne propone un secondo, altrettanto sofferto e appassionato. Cenere in cielo, anime in terra, questo il titolo della silloge che richiama quelli di due poesie in essa contenute, riprende un colloquio mai interrotto

con il figlio Enrico, tragicamente scomparso all’età di 15 anni. Un colloquio intenso, travagliato, permeato di sofferenza e costantemente innervato da un rifiuto alla rassegnazione pur nella consapevolezza che Enrico non tornerà. Ma c’è la quotidianità con cui fare i conti in ogni momento della giornata, ci sono i luoghi e le consuetudini, i gesti, le parole e i silenzi condivisi che oppongono una strenua resistenza e non sbiadiscono nella memoria, nonostante il trascorrere del tempo. E ne è trascorso, di tempo. Ormai sono cinque anni da quel terribile 18 luglio, eppure nella sensibilità e nella non rassegnazione di un genitore è come se fosse ieri. Anzi, no. È come se Enrico fosse uscito per la consueta pizza con gli amici, come se dovesse rientrare da un momento all’altro, potesse suonare

Caffè amore libertà di Delia Cristina Renghea

La morte si intreccia alla vita come nei romanzi di tradizione classica

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nche prima della fine della storia, in cui esplicitamente attraverso il titolo si comprende che dietro il protagonista si cela l’autrice, appare chiaro che Giorgio incarni Delia Renghea. Sorprende che l’autrice abbia scelto un protagonista di genere maschile che poi lungo la narrazione manifesta una

chiara sensibilità femminile, soprattutto quando scopre il fidanzamento di Gemma con lo sceicco e non esprime nessuna scenata di gelosia o alcuna contrarietà rispetto al fatto che l’amata gli abbia tenuto nascosta la verità. L’autobiografia del romanzo compare attraverso l’amore per l’arte e l’attenzione alla psicologia, alla filosofia di tipo orientale con riferimenti alla filosofia zen e allo shintoismo, che il protagonista trasmette anche a sua nonna attraverso i suoi libri. È evidente che l’impianto strutturale del romanzo tenga conto di ricorrenti digressioni artistiche in cui si esaltano le bellezze architettoniche di Roma e quelle paesaggistiche di San Giustino, borgo in cui il protagonista vive la sua infanzia. È chiara la sensibilità dell’autrice verso le bellezze artistiche

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parola del vecchio e del nuovo testamento sia la fonte primaria di un dettato poetico che è l’anello di congiunzione tra la classicità romana e il Medioevo. Trasuda in essi il fuoco interiore e un’ardente illuminazione spirituale, e quindi il mirabile inveramento della tradizione romana su un piano più elevato e con modi imprevisti e imprevedibili. Le stesse formule oratorie sono ravvivate e trasfigurate dal profondo valore della nuova esperienza spirituale. Per avere un’idea più precisa di quello che ho appena affermato basta leggere il testo attribuito a Gregorio Magno Virgo Parents nella traduzione di Matteo Coco. Leggendo ci rimbalza subito nella memoria l’incipit celeberrimo del XXXIII canto del Paradiso di Dante: «Vergine Madre, figlia del tuo figlio, / umile e alta più che creatura, / termine fisso d’eterno consiglio» Allora, se leggendo i versi di Gregorio Magno mi rimbalzano nella memoria quei versi di Dante significa che essi fanno parte della mia memoria perenne, del mio abito mentale, insie-

me ad altri imprescindibili riferimenti culturali acquisiti nel corso degli studi e che hanno plasmato in maniera decisiva la mia personalità. Sono questi studi, questi autori, le loro opere, quello che emana dal loro insegnamento, che è diventato patrimonio del mio essere uomo e persona e che guida il mio modo di essere, di pensare e di agire. Così voglio sperare che anche tanti versi che sono in questi testi facciano breccia nell’animo del lettore ed entrino nel suo perenne bagaglio culturale come orientamento di ordine etico ed estetico. È evidente che in quasi tutti i testi circola una cultura che appare, ad una prima lettura, anacronistica e inattuale. Ma qui mi soccorrono le pagine di Nuccio Ordine nelle quali sottolinea l’importanza di ciò che è inattuale e quindi a elabora la formula dell’attualità dell’inattualità. Ed è il caso del contenuto dei testi di questa antologia: sembrano anacronistici e inattuali ma ad un lettore più attento si rivelano interessanti e capaci di suscitare emozioni imprevedibili. Raffaele Cera

il campanello di casa per dire «Eccomi, sono tornato, e voi che già pensavate al peggio!». E la tensione dell’attesa si scioglie in un abbraccio salvifico e liberatorio. Eccola, la quotidianità banalizzata quando era possibile, improvvisamente diventata nostalgia, rimpianto, qualche volta rimorso: «Intravedo i nostri giorni disposti sul selciato: / come tessere di pietra quegli attimi di gioia / di quel tempo indimenticato colmo di affetti» (Il filo rosso); «Sotto l’Abete luccicante, seduto a terra / per niente assonnato stavi a contemplare / i doni portati dai tuoi devoti cari» (Sorpresa di Natale); «Del vuoto in cui mi hai lasciato, / mi chiedo se ti arriva eco o traccia, / se mi senti ancora fra i tuoi affetti. / Come lo eri dei miei in vita, e ora» (Pathos). Enrico, in realtà, continua ad esserci: in una forma diversa, con una presenza che non ha sembianze umane ma che non è meno significativa e incisiva: Enrico si è trasformato in un’Associazione che papà Lorenzo e mamma Alessandra hanno fortemente voluto per mettersi a disposizione delle famiglie e dei giovani. Affinché i disagi, le devianze, i disorientamenti

dell’infanzia trovino un approdo presso cui rifugiarsi, certi del sollievo e della soluzione. L’Amico Enrico porta una data di nascita significativa: il 18 luglio dell’anno successivo alla scomparsa di Enrico. Non è casuale ed è certamente un altro elemento che conferisce coraggio e forza per continuare sulla frontiera dei malesseri giovanili, affinché in ogni ragazzo rimesso sulla strada della serenità e della spensieratezza si ritrovi la bellezza e la purezza che furono di Enrico. Benché ancora giovane L’Amico Enrico è già diventata adulta e si muove con gambe e piglio sicuri. Si è data obiettivi chiari, struttura solida, organizzazione agile e moderna, perfino supportata da un sito al quale può essere contattata. La seconda silloge poetica di papà Lorenzo asseconda gli scopi della prima: nasce come un’esigenza dell’anima ma diventa strumento di sostegno per l’associazione. Il ricavato della vendita, infatti, funge da carburante per il suo motore, perché gli orizzonti operativi diventino sempre più ampi e la capacità di intervento sempre più efficace e profonda. d.p.

dell’Italia che la fa apparire conoscitrice del Bel Paese pur essendo di origini rumene. Questo attesta la conoscenza delle origini latine che sono alla base delle tradizioni del suo Paese d’origine che non a caso si chiama Romania. Non traspare la natura culturale più propriamente legata alle sue origini etniche e non perché la Renghea le disdegni ma perché è più esplicito il suo cosmopolitismo che la fa essere vicina anche alla civiltà africana, che non tanto vuol rappresentare il concetto di povertà in opposizione al modello consumistico occidentale quanto la possibilità per il tempo di fermarsi senza troppa preoccupazione per il benessere materiale. L’Africa è la possibilità di incontrare se stessi in una visione del mondo che restituisce all’esistenza dell’individuo la possibilità di essere realmente parte di un tutto in cui l’uomo è appunto tutto e niente allo stesso tempo. A tal proposito colpisce l’iscrizione scelta dalla nonna di Giorgio per la sua lapide: la forma è il vuoto e il vuoto è la forma.

In questo romanzo ci sono risonanze foscoliane quando Giorgio parla con la tomba della nonna e fa pensare al brontiano Cime tempestose quando ritiene che l’amore tra Giorgio e Gemma avesse l’intensità di una tempesta. La morte si intreccia alla vita in questo romanzo come nei romanzi di tradizione classica ma rimane ancora moderna la ricerca del senso dell’esistenza attraverso la scrittura, sia essa poesia o prosa, perché è l’unico strumento attraverso il quale lasciamo tracce a questo mondo materiale anche se svaniranno prima o poi e prenderanno chissà quale aspetto in natura, sotto la pressione del tempo. Dunque la Renghea ci dà una lezione di vita più che uno spaccato di letteratura, in cui come dice il titolo sono importanti il caffè inteso come scambio di un momento di piacere, l’amore che ci rende necessari gli uni agli altri e la libertà che ci rende uomini e donne consapevoli di combattere per un’esistenza utile a noi stessi e a agli altri. Antonietta Ursitti


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Nuova edizione de I soli spenti di Grazia Centra

La memoria, il silenzio, la parola gli spazi e gli orizzonti

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el primo romanzo ho parlato e scritto a suo tempo e se ne trova una testimonianza sintetica nello scritto che l’autrice ha voluto premettere alla nuova edizione. Il titolo I soli spenti trova la sua radice e la sua motivazione in un brano che è nel capitolo X della IV parte: «(Mita) era sola nella grande casa silenziosa, ma la solitudine e il silenzio, di solito graditi, spesso voluti, quel giorno erano devastanti: ripiegata su stessa risaliva lontananze mai dimenticate… Tore (Addio, piccola, non ti dimenticherò mai) e Piero (Sono arrabbiato come un cavallo pazzo, mio fragile fiore selvatico) e Leo (Mita, vieni a vedermi giocare, oggi?) e nonno Adriano che la prendeva per mano e la portava nella “defensa” a conoscere il gigantesco ulivo che spadroneggiava proprio sul limite della strada e nel cui generoso ventre cavo spesso trovavano rifugio i viandanti affaticati. E Stella e don Francesco e Santaredda e Michele e Claudia e Giustin… Quanti “soli” nella mia vita, grandi, unici, amatissimi! Tanti si sono spenti e tanti altri si sono spenti soltanto per me!». In questa nota desidero mettere in evidenza quelli che mi sembrano i pilastri su cui si regge la costruzione narrativa. Di essi, il primo è la memoria. La letteratura di tutti tempi e di tutte le latitudini è ricca di romanzi costruiti sulla memoria, cioè su vicende, personaggi, luoghi che arrivano all’autore da memorie lontane e remote e tuttavia capaci di suscitare suggestioni evocative e narrative. Perché una nuova edizione del romanzo? A proposito della prima edizione io ho parlato di poetica della lontananza e della rimembranza poiché l’autrice nello scrivere il romanzo è guidata dal mondo che emerge dai suoi lontani ricordi. Ma dopo la pubblicazione del romanzo nel 1995 l’onda memoriale non si è fermata e sono affiorati dagli interstizi più profondi e nascosti che a

poco a poco hanno premuto sulla volontà di Grazia fino a convincerla era necessaria una nuova edizione per inserire altri tasselli nel suo mosaico narrativo. Non è questo il momento di fare una comparazione fra i due testi e verificare punto per punto le novità della II edizione. Qui occorre prendere atto che l’attività memoriale della persona non si ferma mai e cerca solo le occasioni per estrarre ricordi anche remoti. Solo che non è semplice andare a toccare una costruzione narrativa elaborata nei minimi dettagli e intervenire su di essa. Grazia ha avuto coraggio nel compiere una tale operazione. Strettamente legato alla memoria vi è il tema del silenzio. Quando si parla di silenzio in genere si allude al silenzio esteriore che si ha quando cessano parole, rumori, suoni di varia natura che vanno a interessare le funzioni uditive di una persona. Ma vi è un altro silenzio, quello interiore, che è la condizione primaria perché la memoria possa funzionare bene e figure anche molto lontane nel tempo possano affiorare con grande nitidezza. Il silenzio interiore è un privilegio raro perché esso è sinonimo di una condizione di assoluta tranquillità e serenità. Talora ci può essere un silenzio esteriore assoluto ma un frastuono devastante nel mondo interiore di una persona. Un esempio illustre è quello propostoci dal Manzoni ne I Promessi sposi quando descrive l’angosciosa notte de l’Innominato che aveva fatto rapire Lucia. Terzo pilastro della costruzione narrativa de I soli spenti è la sinestesia, cioè l’incontro, l’incrocio, la sovrapposizione contemporanea di percezioni diverse che attengono alle facoltà sensitive della persona. Quando io dico «sento quel calore» oppure «sento quel profumo» o, ancora, «vedo lo scroscio dell’acqua», adopero delle sinestesie. Ebbene, la poesia, la narrativa, l’arte in genere si nutre di anestesie e di anestesie si nutre la memoria. Questo si è verificato anche nella memoria di Grazia e questo si è riversato nelle pagine del suo romanzo rinnovando ancora una volta la straordinaria esperienza che il grande Marcel Proust ha descritto in una memorabile pagina della sua Recherche, dove descrive l’effetto che provoca nella sua memoria l’assaggio di una «madeleine» nel latte. La parola è un altro pilastro fondamentale e imprescindibile del romanzo di Grazia. Tutto quello che la memoria può rievocare, tutto quello che si trasforma in un incredibile turbinio di pensieri, di emozioni, di umori, di stati d’animo ha bisogno della parola per esprimersi se ci accingiamo a fare un’operazione poetica e letteraria, così come ha bisogno delle note se è una composizione musicale, delle linee e dei colori, delle

luci e delle ombre se si crea un’opera di pittura o di scultura. Ma prima di farsi espressione d’arte, la parola opera come strumento di purificazione e di catarsi perché non sempre i ricordi sono sereni e felici, talora sono dolorosi e si placano attraverso la parola e le note musicali. E qui il rimando è alla tragedia greca che non solo per gli autori ma anche per gli spettatori diventava purificazione e catarsi. Il romanzo, dunque, ha bisogno della parola e chi scrive ne deve conoscere importanza, valore e sensi. Grazia possiede una tale padronanza e si muove a suo agio quando le situazioni che racconta hanno bisogno delle parole giuste che sappiano esprimere quello che lei ha nella testa. Ma la parola da sola non basta. Essa si deve incontrare con altre parole per dare vita a uno stilema che è il nucleo dello stile e del linguaggio. Dall’incontro di due parole si sprigionano risonanze semantiche diverse che riescono a tradurre sulla pagina l’intuizione concettuale dell’autore. Dalla parola allo stile, al linguaggio e, infine, al ritmo narrativo che è il pilastro che regge il romanzo. Il ritmo è elemento essenziale perché è quello che regala la cadenza del racconto, ne scandisce i tempi, accompagna il senso di quello che si narra e, in ultima analisi, gli dona misura ed equilibrio. Se un romanzo non ha il ritmo giusto fa sentire in chi legge dei contraccolpi mentali e psicologici che disturbano la lettura. Sotto questo profilo devo dire che il capitolo XV dell’ultima parte, dedicato alla visita fatta da Mita e Marco al santuario di Montevergine è un piccolo gioiello come ho già rilevato a com-

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mento della I edizione del romanzo. Esso condensa in un ritmo narrativo molto serrato concetti ed emozioni, gesti e movimenti che danno il senso preciso della fine di una straordinaria vicenda esistenziale. E, per concludere, due postille che non sono secondarie perché illuminano altri due aspetti del romanzo. La prima si riferisce agli spazi e agli orizzonti che si aprono talora nel racconto. Esso è ambientato in luoghi tutto sommato periferici e marginali, come può essere il Gargano e, con esso, San Giovanni Rotondo, San Marco in Lamis, il Tavoliere e la stessa Foggia. In questo spazio geografico si aprono talora scenari diversi come Roma, Tivoli, Taormina, Siviglia e alcune contrade del Nord Europa. E il racconto assume un respiro diverso e si apre ad altre realtà umane, storiche e culturali. L’altra postilla ha forse un valore ancora più pregnante perché riguarda le citazioni letterarie e musicali nelle quali rimbalzano i nomi prestigiosi di Dante, Manzoni, D’Annunzio, Ungaretti, Terenzio, Gacia Lorca, Hemingway ma, anche, di Mozart, Beethoven, Chopin che sono come perle la cui bellezza si riverbera sulla narrazione che si arricchisce così di decoro e nobiltà. In un contesto umano e sociale periferico, il cui tessuto quotidiano è fatto di tradizioni e di usi improntati alla semplicità del mondo contadino, alcuni protagonisti del romanzo mostrano una personalità che risente degli studi liceali e universitari ed è per questo che certe reminiscenze danno a queste pagine un sovrappiù di civiltà e di raffinatezza. Raffaele Cera

Presentato Dal Mare all’Amore di Andrea Prudente

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etteratura fresca e giovanile quella che il numeroso pubblico si è ritrovata di fronte nella straordinaria cornice della sala Fedora del Teatro Giordano per la presentazione del libro Dal Mare all’Amore di Andrea Prudente. Dagli anni Ottanta in poi, nelle pagine di autori alle prese con i loro primi scritti, accanto al recupero dell’impronta realistica, e purtroppo insieme ad un certo atteggiamento apocalittico, conseguenza naturale dello sguardo sulla società, c’è anche il gusto per la narrazione, per la lingua letteraria, per la musicalità della parola, segni, questi, di una nuova vitalità.

Di questa ben si nutre Andrea Prudente, che ricorre al mare, elemento misterioso e affascinante, sin dagli albori della civiltà uno dei topoi più utilizzati in letteratura. Non sempre è stato il soggetto principale, in senso proprio, di opere letterarie, ma, spesso, ha contribuito a determinare le vicende e la sorte dei protagonisti. È questo il ruolo che Andrea affida al mare nel suo scritto. «Mi piace paragonarlo quasi a Dio, e ritengo che l’acqua rappresenti la sapienza del mondo, pronta lì a rispondere a tutte le domande, per le quali, noi, conchiglie minuscole, bramose di sapere, cerchiamo risposte», egli scrive nella pagina introduttiva. Gaia e Francesco, due ragazzi del nostro tempo, un bello scorcio del Sud che abitiamo, incontri casuali e opportuni, vacanze-studio come quelle che si vivono oggi, amicizie forti e sentite, proprie della vita giovane, gli imprevisti a cui l’umanità è abituata da sempre: questa la storia che Andrea-Francesco ha raccontato, che così si chiude: «Personalmente, continuo a ricordare quella bella parentesi della mia esistenza così come l’ho vissuta, custodendo nel cuore le emozioni di quei bellissimi giorni e di quel viaggio che mi portarono dal Mare all’Amore». Marida Marasca


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Il Sentiero dell’Anima ha fatto 13! tolineando la grande riserva di speranza che una così alta presenza di giovani scrittori, quindi sognatori, ha per la nostra terra che non deve più essere una triste stazione delle partenze ma un luogo dove il lavoro e l’economia latu sensu devono riannodare i legami con la sostenibilità e con la legalità. Daniela Pirro ha quindi dato la parola a questi giovani e giovanissimi poeti, tributando anche i ringraziamenti necessari alle docenti che hanno preparato e accompagnato gli alunni nell’ideazione e nella stesura delle poesie. Dopo tanti anni in cui erano le scuole dei Monti Dauni a farla da padrone, questa tredicesima edizione ha visto la presenza massiccia delle scuole di Torremaggiore e di San Marco in Lamis, presenti, questi ultimi, con una vera e propria mini raccolta sul tema delle fracchie, le tradizionali torce infuocate, trascinate per le vie del paese nella processione del Venerdì Santo. Proprio per questo motivo, a premiare alcuni di questi componimenti, è stato Alfredo La Bella, presidente dell’Associazione culturale «Le Fracchie», che da pochissimo si occupa di promuovere, studiare e valorizzare tale tradizione. I premiati hanno ricevuto libri di autori affermati e piacevoli gadget donati da meritevoli sponsor privati (AutoTancredi di Antonio Tancredi, DG Sport point di Ivan De Giovanni, Amedeo Gioiellieri dal 1900, Fulgaro panificatori dal 1890, Maxi frutta, MGS cartotecnica di Giuseppe Siciliano, tutti di San Marco in Lamis e lo Studio Associato Notai Rosa Giuliani-Antonio Longo di San Giovanni Rotondo). Tre i primi premi ex-aequo della

Sezione E: Li Fracchie di Giovanni Stridente, Scuola Secondaria di I grado «De Carolis» San Marco in Lamis (FG); La mia terra di Riccardo Di Rocco, Scuola Secondaria di I grado «Padre Pio» Torremaggiore (FG); Perla di Puglia di Martina Bisogni, Scuola Secondaria di II grado I. C. «Bonghi-Rosmini» Lucera (FG). Al termine della premiazione dei ragazzi, i cui lavori sono stati anche insigniti di menzioni speciali e segnalazioni in una simpatica e allegra atmosfera di classe scolastica all’aperto, si è passati alle sezioni dedicate ai poeti senior. Per la sezione dedicata alla poesia edita, il primo premio se lo è aggiudicato la silloge A mani nude di Antonia Torchella, Edizioni del Rosone. A premiarla provveduto Giuseppe Savino, presidente dell’Hub rurale VaZ app che, con notevole e meritato clamore nazionale, sta intessendo relazioni tra chi lavora la terra e chi ha cura di essa. La poetessa ha preso la parola per ringraziare la giuria e ha evidenziato un piacevole connubio tra i suoi Monti Dauni e il Gargano. La poesia scelta per essere affissa permanentemente lungo l’antologia en plen air del Sentiero dell’Anima è stata la lirica Geometrie contadine. Per la sezione della poesia inedita in italiano, il primo premio è andato a Rosa canina di Maria Rosaria Surico, di Bari. Il presidente ha tratteggiato nella motivazione critica le qualità del verso e soprattutto il messaggio all’interno del testo. Per questa sezione erano presenti molti poeti giunti anche da luoghi lontani, tutti hanno letto e raccolto gli applausi per i loro lavori.

Quarta edizione del Premio letterario Umberto Bozzini

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onclusa la quarta edizione del Premio letterario dedicato alla memoria di Umberto Bozzini, organizzato dall’Associazione Mythos che ha coinvolto anche la Pro loco e il Club per l’Unesco di Lucera. Umberto Bozzini è stato soprattutto poeta e drammaturgo, nato nel 1876 e morto nel 1921, sempre a Lucera. La sua opera più famosa è stata Fedra, tragedia rappresentata per la prima volta a Roma nel 1909 e poi seguita da altri testi teatrali messi in scena dalle più importanti compagnie dell’epoca. Per l’occasione i premi in denaro sono assicurati dalla Fondazione Monti Uniti di Foggia (350, 250 e 150 euro ai primi tre classificati delle tre sezioni classiche), e dalle famiglie Dell’Osso, Trastulli Appolloni Figliola e La Cava (500 euro premio unico), ma sono stati previsti anche riconoscimenti minori. In effetti, oltre alle consuete tre sezioni in cui i partecipanti potevano cimentarsi tra testi teatrali, di narrativa o poesie, quest’anno era stata aggiunta quella relativa al cortometraggio. In quest’ultima sono stati premiati i lavori di Emanuele Faccilongo (menzione speciale Massimo Dell’Osso) e Umberto Mentana (menzione speciale Lucio La Cava).

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ConCorSi e premi letterAri

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In ultimo si è proceduto alla premiazione della sezione in dialetto, per la quale ha vinto il primo premio la poesia inedita L’addòure u ppene di Libera Filomena Taronna, di Monte Sant’Angelo. A premiarla è stato l’imprenditore Pascal Barbato della Fulgaro panificatori dal 1890, che sapientemente lavora i prodotti locali con materie prime sceltissime e a km zero. I versi della Taronna, letti in modo emozionante dall’autrice, hanno dato il suggello finale persistente e olfattivo alla lunga e interessante manifestazione. Di seguito l’elenco dei premiati e segnalati di questa edizione: Sezione A Primo premio: A mani nude di Antonia Torchella – Menzioni speciali: Radici di terra e di cielo di Adolfo Nicola Abate; Prendimi per mano di Sonia Vivona – Segnalazioni: Corpo e anima di Giuseppina de Luca; Viaggio al centro dell’oggi di Angelo Di Luca – Poeta stellato: Circostanze certe di Colomba Di Pasquale – Premio speciale: La vita è stupenda di Mauro Montacchiesi. Sezione B Primo premio: Rosa canina di Maria Rosaria Surico – Menzioni speciali: Come una ferula di Francesco Paolo Maria Giuliani; Occhi grandi di Regina Loredana Pozzo; * di Roberta Sireno – Segnalazioni: La tela del mio mondo di Mauro Spina; Circus di Delia Cristina Renghea; 8 marzo di Pietro De Leo; L’oro che racconta di Cesira Donatelli; La speranza della Sibilla di Piergiorgio Ciarlantini – Poeti stellati: Sei tu la pace di Silvana Santoro; La dipladenia di Selene Coccia – Cittadinanza onoraria: Cime tempestose di Simona Pironi; Puglia di Antonio Bicchierri; Il tempo di una canzone di Tina Ferreri Tiberio

Sezione D Primo premio: L’addòure u ppene di Libera Filomena Taronna – Menzioni speciali: I scyate d’a notte di Maria Rosaria Vera; L’Arche Piacc(e) di Anna De Mita – Segnalazione: Li fràcchje e la Madonna Addùlùrata di Anna Marca Di Carlo. Sezione E Primo premio ex-aequo: Li Fracchie di Giovanni Stridente; La mia terra di Riccardo Di Rocco; Perla di Puglia di Martina Bisogni – Menzioni speciali: Il mio paese di Chiara Ciuffreda; Il tempo di Onofrio Di Bari; Paese mio di Antonio Di Cesare; Alla mia mamma di Vito Fania, Ricordi di Nicole Giaconella; I jöc antic di Martina Latartara; Ode alla peranzana di Domenico Verdini – Menzioni: Il mio paese è molto bello di Gianpaolo De Florio; La bella Madonnina di Mariachiara D’Errico; Pianoforte... la mia passione di Andrea Celeste; Aria di festa di Tommaso Pio Di Ianni; Colori e sapori di Raffaele Pio Di Battista; Lo scrigno dei ricordi di Carlotta Cota; Vere emozioni di Annachiara Volgarino; Le fracchie di Anna Teresa Villani; Una bellissima festa d Serena Manna; La mia passione di Lorenza Iuso; Illusione di Marco Testa; La devozione delle fracchie di Giulia La Riccia; Le fracchie di Ilaria Tancredi e Maria Chiara Perta – Segnalazioni: Lo strumento amato di Lorenzo Volgarino; Fracchie infuocate di Maria Pia Villani; Le fracchie di Alessia Tantaro; Le fracchie di Anna Pia Motta; La processione delle fracchie di Anna Celeste Erbicella; Le fracchie di Giuseppe Soccio; La natura di Francesco Gentile; L’amicizia di Francesca Squeo; Primavera di Erika Fiorentino; A te che sei di Giulia Pazienza. Al prossimo maggio. Toni De Leo

Maria Borsoni di Ancona, seguito da Giulio Di Leo di Cerignola (vincitore lo scorso anno) e Silvia Zoffoli di Roma. Segnalato il lucerino Marco Terenzio Barbaro e Maria Natalia Iriti di Bova Marina. Nella sezione del saggio sull’opera di Bozzini (menzione speciale Pia Appolloni Figliola), ex aequo per i docenti universitari Francesco De Martino e Giovanni Oliva. Secondo i promotori, l’obiettivo del Premio è sempre quello di «promuo-

vere e consolidare la conoscenza delle opere e della figura dell’illustre letterato; incentivare la creatività di nuovi talenti esordienti; rinvigorire l’appellativo di ‘città d’arte e di cultura’ della propria Città». Le opere vincitrici verranno conservate nella Biblioteca comunale in forma cartacea o in versione elettronica, mentre la Pro loco realizzerà una pubblicazione sull’iniziativa e sull’esito del concorso. f.g.

Premio nazionale Poesie d’Amore

Menzione d’onore per Elena Barbarossa Significativo riconoscimento per la poetessa Elena Barbarossa che alla VIII edizione del Premio Nazionale Poesie d’Amore di Torino, è stata premiata con una menzione d’onore per la «Poesia n. 32» che di seguito riportiamo. Nella poesia edita ha vinto la lucerina Giusi Fontana (Con la prossima luna), seguita da Antonia Torchella di Foggia (A mani nude) e Paolo Maria Borsoni di Ancona (Poesia come meditazione). Segnalazioni per Katia Olivieri e Francesco Di Bari, detenuto nel carcere di Lucera. Nella poesia inedita ha vinto Franco Fiorini di Veroli, seguito da Bibiana Tangari di Terlizzi e Danilo Tavano di Bari. Segnalato il lucerino Franco Romice. Nei testi teatrali ha vinto Paolo

Amami ed inondami del tuo mare, cullami con la tua voce, rilassami. Nasco e muoio infinite volte tra le tue braccia. Sei una cosa sempre nuova allo stesso tempo conosciuta e in movimento col mio animo. Nel mio mostrarmi e nascondermi trovo il modo di sentire forte la tua presenza. La poesia è inserita in una silloge dal titolo A piccoli passi pubblicata dalle Edizioni del Rosone. A Elena Barbarossa le nostre congratulazioni.


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CronAChe dellA CulturA

Anno XXIX - n. 1 Giugno 2017

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Presente a un convegno nella sua Torremaggiore

Eugenio Tosto, esponente pugliese della Repubblica delle Lettere S

erata di struggenti emozioni quella dell’8 giugno scorso dedicata da Torremaggiore, e non solo, al prof. Eugenio Tosto e ai suoi due ultimi scritti: Dizionario etimologico del dialetto di Torremaggiore, con la dedica «Alla mia carissima Torremaggiore con grande affetto filiale» e Fiori dalle macerie dedicato «Ai miei genitori, ai miei nipoti». Ancora una volta Eugenio Tosto ha voluto consegnare al lettore il racconto del ritorno alle radici, in cui non solo è racchiuso il suo passato, ma anche ciò che entra nella dimensione pura del pensiero che lo rievoca, cioè gli echi di un tempo e di uno spazio che hanno rotto gli argini dell’esistenza e hanno invaso distese che non hanno misura. Sempre negli scritti del nostro autore risulta fortissimo l’elemento autobiografico, che attraversa tutte le pagine scandite da illuminanti flashback finalizzati a consentire, in primis a se stesso, di rivivere momenti significativi del passato che urgono alla coscienza e chiedono di diventare parola, immagine, figura. La memoria, però, in Tosto, non è solo conscia e/o inconscia nostalgia, è qualcosa di più, perché si trasforma in un lucido richiamo a quei lembi di coscienza, che, se tenuti lontani dal cuore e dalla mente, ci privano dell’identità, ma, una volta recuperati, ci aiutano a ritrovare noi stessi e il senso intero della vita all’interno del vociare della storia e al di là della fatuità degli accadimenti che si snodano nel convivio del tempo. Di qui la valenza dell’opera di Eugenio Tosto. M.M

Quando entrava in aula… Quando entrava in aula il professore Eugenio Tosto, non si sentiva volare una mosca, il che era già tanto, data la presenza in classe di ragazzi vivaci, a tratti turbolenti (e, tra quelli, c’era anche l’autore di questa nota). Ma il professore – è rimasto un mistero – sapeva suscitare e catturare il nostro interesse, stuzzicava la nostra curiosità: memorabili i suoi commenti del Carme foscoliano e del manzoniano Ei fu. E che dire del «suo» Dante, il poeta che «ricercò ed esaltò la perfezione umana nella pura contemplazione dei valori supremi»? Siamo stati fortunati ad avere avuto al «Fiani» di Torremaggiore il prof. Tosto come insegnante di Italiano, non abbiamo avuto bisogno di aspettare la lettura dantesca di Roberto Benigni in TV; con professionalità, passione e spirito partecipativo egli ci spiegava Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende e la Vergine Madre, figlia del tuo figlio. C’era silenzio durante la sua ora, ma altre voci si levavano nell’aula, accendevano fuochi nel nostro animo giovanile, quella pascoliana Quando brillava il vespero vermiglio o la dannunziana Piove su le tamerici salmastre ed arse e il folgorante ungarettiano milluminodimmenso. Era quello il suo modo di insegnarci il rispetto: rispetto per la nostra tradizione letteraria e la nostra cultura, rispetto per la nostra lingua. Oggi che si usa in modo inappropriato il ‘piuttosto’, il congiuntivo è uno sconosciuto e gli esercizi di analisi del testo sono ritenuti superati, quelli che appartengono più o meno alla mia fascia di età devono a professori come Eugenio Tosto il gusto del buon parlare e del bello scrivere, che, a rifletterci bene, sono forme di rispetto per la nostra lingua e per i nostri interlocutori. Ecco, è per questo che nutriamo riconoscenza e stima verso di lui, gli vogliamo particolarmente bene, perché lui sta lì, presidio certo e inamovibile, in quella terra di confine che è stata la nostra adolescenza/prima giovinezza, appartiene allo spazio e al tempo che abbiamo attraversato, e rappresenta, col suo insegnamento e la sua opera educativa, che non si sono mai interrotti, anche dopo il periodo scolastico, con la sua attività letteraria e il suo impegno di infaticabile ricercatore e studioso, un esempio, un sicuro e prezioso riferimento per i suoi ex alunni e per la comunità torremaggiorese. Come dimostrano proprio le sue numerose opere, tra cui il Dizionario Etimologico del dialetto di Torremaggiore e il romanzo breve Fiori dalle macerie, al centro della serata in suo onore nel Castello Ducale lo scorso 8 giugno. L’opera letteraria di Eugenio Tosto (mi riferisco in particolare ai romanzi Le sanguisughe di Torralta e a Fiori dalle macerie) da una parte è caratterizzata dal progressivo incarnarsi dell’ideale nella realtà, su cui l’Autore costruisce l’impianto narrativo entro cui colloca personaggi, ambienti e momenti storici dei suoi racconti, da un’altra parte dallo spessore del suo pensiero a cui consegue una scrittura densa e affabile allo stesso tempo. Sotto questo aspetto, Eugenio Tosto romanziere, per il suo ethos popolare e il vigoroso sentimento religioso e civile, può essere definito un erede della tradizione letteraria manzoniana. Pensiamo per un momento alla lezione e al messaggio de I promessi sposi: il gusto e il piacere del buon italiano, anzi, una vera e propria manifestazione di italianità, la ricerca della giustizia, l’amore per gli umili, non tanto in senso sociale, quanto come condivisione dal punto di vista esistenziale, il valore della coscienza individuale nelle umane vicende. Tutti questi temi hanno trovato in Eugenio Tosto - che non si dimentichi, è profondamente cattolico – un ammiratore, uno studioso e un osservante nella sua quotidiana opera didattica e nella sua attività di studioso e di scrittore. Ethos popolare e sentimento religioso e civile, cifra distintiva dei suoi romanzi, sono il filtro attraverso cui si manifesta di Eugenio Tosto la profonda umanità e il forte sentimento di rispetto per la persona, sono gli elementi che rendono interessanti e attrattivi i suoi romanzi che rappresentano, peraltro, uno snodo fondamentale per comprendere il suo percorso letterario di ricerca. In merito a Fiori dalle macerie, l’Autore costruisce l’impianto narrativo prendendo spunto da un fatto realmente accaduto, calandolo nella realtà storica dell’Italia fra il 1943 e i primi anni del dopoguerra. Anni difficili e tragici: conflitti, sofferenze, distruzioni, odio civile, grandi disillusioni e nascita di nuove speranze.

Eugenio Tosto, non diversamente dal Manzoni, si preoccupa di «realizzare il suo ideale – morale e religioso – nella storia; il problema è allora come mantenerlo inalterato senza falsificare la verità dei fatti». Tra la Storia, cioè il Reale, e l’Ideale c’è uno iato che può essere superato dall’invenzione artistica e dalla formula letteraria che hanno per oggetto il possibile; invece, come si sa, «la Storia esibisce la certezza dei fatti avvenuti». È l’Autore stesso a ricordarcelo quando a un certo punto del romanzo scrive: «Reale e ideale si confondono e il secondo riveste il primo di piena luce e vividi colori». Le vicende raccontate nei Fiori dalle macerie si svolgono a Torrefiore, che sorge su una «amena collina». Facile intuire che si tratta di Torremaggiore, individuabile in alcuni suoi ‘topoi’: l’asilo infantile delle Suore del Sacro Cuore; il forno di Gregorio; il vicolo storto, accanto alla Chiesa Matrice; la stazione del tram, presso il monumento ai Caduti; la fornace e la cava poste fuori del paese; il Convento, e così via. Dopo A rùchë Torrëvècchië, Le sanguisughe di Torralta, il Dizionario Etimologico del dialetto, Fiori dalle macerie è un altro tassello di quel mosaico di torremaggioresità che il Nostro ha composto nel corso del tempo come testimonianza di amore verso Torremaggiore, la sua terra; è un omaggio alla generosità e semplicità della sua gente, alla cordialità dei gesti di una umanità che non si lascia corrompere dalle avversità e dalla tragicità degli eventi, mantenendo intatti i buoni sentimenti. Il filo conduttore nella matassa del racconto è lo spirito di bontà e carità che anima i vari personaggi, da Lauretta, la quale si prodiga con la sua giovane esistenza in una incessante azione altruistica, ad Assunta che pratica il messaggio d’amore e di solidarietà cristiana prendendosi cura di piccoli orfani, a zio Pasqualino, detto l’Americano, che smania di far del bene, fino a Vincenzo, altro personaggio, che «trovò in sé il coraggio e sentì affiorare in sé, come fresca polla d’acqua sorgiva, la fiducia nella forza più nobile dell’uomo: la bontà». Tanti i valori di riferimento, dunque, proposti nel romanzo: l’amore per la terra natia, lo spirito di sacrificio, la spontanea bontà disarmante, lo slancio d’amore che accomuna uomini e donne, che senza dar peso a giudizi e pregiudizi, si dedicano agli altri, sono questi il «fiore che cresce» sulle macerie prodotte dal conflitto (macerie che sono un po’ la metafora delle contraddizioni delle umane sorti). Su tutto e su tutti – e, qui, Tosto si ricongiunge alla più genuina lezione manzoniana – la «Provvidenza che sempre vigila sugli uomini». Dopo la distruzione e le sofferenze della guerra, è l’amore risorsa e soluzione per dare un senso nuovo all’umanità: mi pare questo il messaggio sostanziale che emerge dalla lettura del romanzo Fiori dalle macerie. Marcello Ariano

Dall’intervento del professor Antonio D’Amico (…) Nessuno può escludere che Eugenio Tosto abbia scelto Firenze per continuare nella sua carriera di docente proprio per la sua passione per la lingua. Firenze, come città di origine della nostra grande tradizione letteraria ha avuto per lui la funzione di un potente magnete, che attrae, come la calamita l’ago, e che a un certo punto della sua carriera di studioso egli non ha potuto più evitare: un’attrazione fatale! Ma la seconda patria lo costringeva anche a un doloroso silenzio, poiché non gli permetteva di ascoltare e di articolare quei suoni che lo avevano accompagnato fin da bambino: quelli della lingua materna. La lingua di Torremaggiore, come ben sa chi è costretto a viverci lontano, e come ogni lingua materna originaria, genera il desiderio di ascoltarla e di parlarla così come forte desiderio e nostalgia può generare il privarsi per lunghi periodi di certi suoni o profumi o sapori! (…) Nel corso dei lunghi anni fiorentini E.Tosto sentiva sempre più forti quei suoni della lingua torremaggiorese che non facevano più parte della sua vita quotidiana, ma che proprio per questo reclamavano in modo prepotente la sua attenzione e rivendicavano una propria presenza come i personaggi in cerca dell’autore. Da qui la prima pubblicazione nel 2002 nell’Annuario nel Liceo Ginnasio «Nicola Fiani» del racconto in dialetto torremaggiorese, A ‘nzal’ ata ricce. I racconti dell’infanzia, i proverbi, le espressioni più usuali, le metafore si facevano strada da soli, prendevano corpo, rivendicavano una propria vita autonoma. In un primo momento hanno prevalso gli ambienti, i personaggi, i luoghi della terra nativa, e ne è scaturito il romanzo Le Sanguisughe di Torrealta, scritto in lingua italiana. In seguito però il fiume sotterraneo della lingua materna è affiorato ed ha preso corpo nella raccolta di racconti ‘A Rùche Torrevecchie – (Fatte, vusanze e cchestume de na vote). Questo testo ha forse posto per la prima volta Eugenio Tosto di fronte ad un «corpus» linguistico che richiedeva una sua precisa codificazione, anche ortografica, data la scarsissima tradizione precedente. (…) Il Dizionario di E.Tosto è preceduto da un piccolo apparato introduttivo di fonologia e di ortografia, oltre che da una nota sulle abbreviazioni, il che mette chiunque in condizione di usarlo con facilità. Esso può diventare un mezzo di consultazione e di approfondimento. Procuratevelo, leggetelo, fatevi anche qualche risata al suono di certi termini arcaici della nostra lingua dialettale, ma abbiate sempre la consapevolezza che per un popolo, la propria lingua materna non è semplice epidermide, ma sangue che porta la vita a tutti gli organi del corpo,e che dà ad ogni persona la fierezza della propria identità. Ed è per questo, per aver riacceso l’interesse su una materia così viva e pulsante come il dialetto che siamo debitori verso lo studioso Eugenio Tosto di un tributo di enorme gratitudine!




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Salute & tempo libero

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cronache del cIneMa

Fortunata di Sergio castellitto

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asmine trinca è Fortunata, di nome, non di fatto. È una giovane madre separata che cresce da sola la figlia di 8 anni subendo i maltrattamenti dell’ex marito (edoardo Pesce), guardia giurata destroide, violento e razzista. È una donna ottimista e combattiva Fortunata, che per campare fa la parrucchiera, in nero, mentre insegue il sogno di aprire un negozio tutto suo dove poter fare messe in piega e shatush alle donne della zona, torpignattara, un quartiere difficile della periferia romana. condivide questo sogno con er «chicano» (Alessandro Borghi), l’amico di sempre, un tatuatore sfigato, bipolare e strafatto, che vive con la madre, ex attrice di teatro, divorata dall’Alzheimer e dal mito di Antigone. Sarà il «buon» Patrizio (Stefano Accorsi), il premuroso ma scostante psicologo dell’infanzia, incaricato di valutare le condizioni della bambina per l’affidamento dopo il divorzio, a fare illudere la donna sulla possibilità di una vita migliore, il cui unico sia pur grande apporto, sarà quello di aiutare la ragazzina a recuperare la fiducia in se stessa. Ad inquadrare dall’alto in basso la quotidianità di Fortunata, c’è una roma un po’ sorrentiniana e un po’ neorealista, o meglio, iperrealista, folle, fuori natura e bruciante. tutto, dai dialoghi alla scenografia, alla sceneggiatura dei personaggi è oltremodo forzato e sopra le righe, surreale, spesso anche volutamente. come la presenza ricorrente del tema di Antigone, introdotto tramite l’espediente narrativo della madre del chicano, (la svolazzante hanna Schygulla), ribadito ogni tre per due nel corso del film. ovviamente con tanto d’interpretazione psicologica e sociale della tragedia greca di Sofocle, in cui Antigone è un’eroina che si ribella al patriarcato. e così anche Fortunata, che tra un fallimento e l’altro non si perderà d’animo e ritroverà la sua libertà dopo aver risolto i conflitti con gli uomini della sua vita e, finalmente affrancata dal patriarcato, sarà libera di crescere sua figlia. Il duo Mazzantini–castellitto confeziona un melodramma in cui si coglie un’evidente incapacità di uscire da uno schema che preveda i drammi esistenziali, la descrizione stereotipata di realtà sociali difficili, i diritti. Ne vien fuori un film che finge soltanto di sporcarsi nei territori brulli e aridi della periferia romana, ma che non poggia davvero lo sguardo. tuttavia, la semplificazione del dispositivo drammatico permette grandi prove d’attore e la bambina (Nicole centanni), e la trinca, ma anche i bravissimi Alessandro Borghi ed edoardo Pesce, hanno una forza che per certi aspetti spacca il film in due. l’effetto finale è una questione di prospettive e un film così ha il diritto di trovare il suo pubblico e i suoi Festival perché riesce a creare un immaginario, testimonia cioè un’idea di racconto e messa in scena. Ma ha anche il dovere di accettare le critiche, in particolare l’accusa di voler sembrare popolare come un film italiano degli anni ’50, ma che risulta a tratti un po’ troppo teatrale e caricaturale, insomma surreale. Marida Marasca

Gentili lettori, il tempo che stiamo vivendo costringe a non pochi sacrifici quanti continuano a promuovere la cultura della nostra terra. La forza che rimane è quella che ci viene da chi ancora studia e si impegna perché ciò avvenga… Per questo non vogliamo che cambi la missione de il Provinciale, giornale di opinione della provincia di Foggia fondato da Franco Marasca nel 1989, con l’intento di mettere al servizio dell’informazione e della cultura di Capitanata un organo aperto, indipendente, in grado di proporre e ospitare dibattiti sugli aspetti dello sviluppo e della promozione del territorio. Chi legge i giornali oggi, però, ama farlo anche cercando le notizie online. Di qui la nostra proposta per l’anno che verrà: il Provinciale, cartaceo e non, diventerà semestrale e come sempre punterà l’occhio sulla terra di Capitanata.

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Anche per il 2017 ognuna delle uscite sarà accompagnata da un volume: 1 (Giugno 2017) dall’Unità alla crisi dello stato liberale - L’avvento del fascismo di N. D’APolIto 2 (Dicembre 2017) dalla Macchia nell’occhio di l. VecchIArINo Sottoscrivendo l’abbonamento si ha diritto ad un terzo volume: Foggia per un tracciato antico di M. t. MASullo. chi sottoscrive l’abbonamento al Provinciale e al rosone avrà diritto a scegliere uno dei volumi tra questi proposti di seguito: - La storia sui muri di V. SAlVAto - La sultana di V. SAlIerNo - Una “lunga fedeltà” Aspetti e figure della Puglia letteraria contemporanea di G. De MAtteIS riceverà il libro chi ha sottoscritto l’abbonamento e chi lo acquisterà con il giornale, a soli 3,00 euro in più presso: Edizioni del Rosone - Via Zingarelli (Fg) Bianco - Edicola 25 - V. Di Vittorio (Fg) D’Errico - Emilcart - C. M. della Libera (Rodi G.co) Notarangelo - Cartolibreria/Giornali - P. Repubblica (San Severo)

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DIRETTORE RESPONSABILE Duilio Paiano reDAZIoNe Marcello Ariano – Mariangela ciavarella – Silvana Del carretto – corrado Guerra – lucia lopriore – Marida Marasca – Stefania Paiano – Vito Procaccini – leonardo Scopece – Michele urrasio hANNo collABorAto A QueSto NuMero Marco Bonni – raffaele cera – toni De leo – Giucar Marcone – Filomena Martino – Massimiliano Monaco – Armando Perna – Antonietta ursitti La collaborazione a questo giornale è gratuita e su invito della Direzione. Gli articoli, le foto e le illustrazioni, anche se non pubblicati, non vengono restituiti.

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