Demo provinciale marzo 2015

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ANNO XXVII

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2015 FONDATO DA FRANCO MARASCA

La sorte della Biblioteca Magna Capitana

Una copia € 2,00 Sped. in abb. post. 50%

Assegnata nel corso di una cerimonia svoltasi a Milano

Troia bandiera arancione del Touring Club Italiano

«Un assordante, vergognoso silenzio»

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l declassamento delle Province italiane a enti di secondo livello ha comportato anche la sottrazione di un certo numero di competenze. Alcune delle quali di vitale importanza per i territori interessati. Il destino di tali competenze non è ancora del tutto definito – diciamo che in alcuni casi è addirittura incerto – e fa registrare allarmi e preoccupazioni non soltanto nel personale direttamente interessato, quanto anche nelle popolazioni coinvolte. È il caso della cultura che, da sempre considerata la cenerentola tra i vari settori amministrati, ai diversi livelli, si vede sottratta alla Provincia per una destinazione a tutt’oggi ignota o nebulosa. Ci riferiamo, in particolare per la Capitanata, al pregevole e diversificato sistema museale, ai teatri, soprattutto alla Biblioteca provinciale «Magna Capitana». La Biblioteca foggiana, forte di una storia e di una tradizione di prim’ordine, ha saputo, negli anni, crearsi un ruolo fondamentale, continuando ad arricchirsi in patrimonio librario (pur nella progressiva ristrettezza delle risorse finanziarie), perfezionando e migliorando la qualità del servizio offerto all’utenza, diventando centro di riferimento per la rete bibliotecaria dell’intero territorio. Merito dell’appassionato e competente lavoro svolto dai direttori che, negli anni, si sono susseguiti, fino all’attuale Franco Mercurio, che hanno guidato la struttura bibliotecaria non già come un ufficio da dirigere ma con l’ardore degli appassionati. Oggi si può affermare che tra le quattro Biblioteche provinciali pugliesi (Bari, Foggia, Brindisi e Lecce), la «Magna Capitana» si pone in un’encomiabile posizione di eccellenza. Che fine farà? Chi se ne occuperà quando il distacco dall’Ente Provincia diventerà operativo? La preoccupazione, si dice da più parti, riguarda relativamente il personale impiegato (poco più di cinquanta unità) che non rischia il posto di lavoro ma dovrà affrontare una possibile fastidiosa mobilità, quanto il deprecabile indebolimento del servizio reso al pubblico. Forse se ne prenderà carico la Regione, unitamente alle strutture di Brindisi e Lecce, mentre quella di Bari verrebbe «assorbita» dalla Città metropolitana. Una proposta che ha tra i sostenitori anche il professor Saverio Russo, docente universitario foggiano e presidente della Fondazione Banca del Monte: appare la soluzione più utilmente praticabile, purché la «Magna Capitana» continui ad essere gestita con la competenza e la passione di cui ha goduto in questi anni. Nel frattempo, la sensibilità popolare ha messo in moto iniziative di coinvolgimento dell’opinione pubblica e delle istituzioni. Queste ultime sembrano le grandi assenti sulla scena dove potrebbe consumarsi un imperdonabile «crimine» culturale. Non ci rassicura l’attenzione che i nostri amministratori – fatte salve le pur lodevoli eccezioni – hanno riservato alla cultura nel corso degli anni. Lo affermiamo forti dell’osservatorio privilegiato dal quale, ormai da lustri, predichiamo la necessità di una complessiva diffusione e fruizione della cultura, capace di «fare» economia. Abbiamo vissuto documentabili ma avvilenti e deludenti esperienze in questo senso. Vorremmo che il patrimonio che Palazzo Dogana si appresta a lasciare in eredità venisse affidato a mani e menti capaci di rafforzare la tradizione piuttosto che infiacchirla. Vorremmo, soprattutto, poter registrare nei nostri amministratori, a tutti i livelli, tensione morale e mobilitazione in grado di confortarci sul futuro di quello che rappresenta pur sempre un capitolo fondamentale per la storia di questa Terra. Invece, come continua a scrivere Filippo Santigliano sulle pagine della Gazzetta di Capitanata, dalla politica giunge soltanto «un assordante, ingiustificato, vergognoso, silenzio». Duilio Paiano

enerdì 27 marzo, nel corso di una cerimonia svoltasi al Castello Sforzesco di Milano, il Touring Club Italiano ha assegnato a Troia la Bandiera arancione, marchio di qualità turistico-ambientale, per il triennio 2015-2017. Presenti per il Comune dauno l’assessore al turismo, Margherita Sara Guadagno, e l’assessore all’ambiente, Antonietta Capozzo. La Bandiera arancione è un marchio importantissimo, un riconoscimento di altissimo profilo per la qualità dell’accoglienza e del patrimonio storico e culturale di Troia, che il Toruing Club Italiano ha voluto tributare per sottolineare l’eccellenza dell’offerta turistica troiana. L’ottenimento del marchio avviene in base a diversi criteri, quali: la valorizzazione del patrimonio culturale, la tutela dell’ambiente, la cultura dell’ospitalità, l’accesso e la fruibilità delle risorse, la qualità della ricettività, della ristorazione e dei prodotti tipici. Il marchio è temporaneo e subordinato al mantenimento dei requisiti nel tempo; la verifica avviene ogni tre anni con una tempistica fissata da TCI a livello nazionale, valida per tutti i Comuni a prescindere dall’anno di assegnazione del riconoscimento. La Bandiera arancione è uno degli strumenti con il quale il Touring Club garantisce ai turisti qualità e accoglienza e alle località uno strumento di valorizzazione. Il Programma territoriale Bandiere arancioni, in coerenza con i principi sui cui si fonda il TCI, promuove la conoscenza di luoghi poco conosciuti ma di grande pregio e stimola il viag-

giatore a visitare questi luoghi assaporandoli, ma al tempo stesso avendone cura proprio perché preziosi. «Non posso che salutare il riconoscimento con profonda soddisfazione – ha sottolineato il sindaco di Troia, Leonardo Cavalieri –; è un riconoscimento di assoluta importanza, che qualifica il lavoro svolto in poco meno di un anno per migliorare la qualità complessiva della nostra offerta turistica. Un marchio di qualità quello del Touring Club Italiano, che attirerà ulteriormente buyers e turisti, con la possibilità di impiego ed ulteriore richiesta di operatori turistici locali». La Bandiera Arancione sarà per Troia un ulteriore stimolo alla crescita sociale ed economica, attraverso il rafforzamento di forme sostenibili di turismo. Con quella assegnata a Troia, sono in tutto tredici le bandiere arancione riconosciute alla Puglia. Di queste, ben sette appartengono a Comuni della provincia di Foggia: Alberona, Bovino, Orsara di Puglia, Pietramontecorvino, Rocchetta S. Antonio, Sant’Agata di Puglia.


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ATTUALITÀ & COMMENTI

Il dialogo necessario tra le civiltà

L’armonia nella diversità: occorre il massimo impegno

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sattamente quattro anni fa (marzo 2011) i talebani sbriciolarono a colpi di cannone i giganteschi Buddha afgani, patrimonio dell’umanità, provocando l’esecrazione del mondo intero. Nei mesi scorsi gli islamisti del sedicente califfato dell’Isis, dopo l’orrore suscitato dalla barbara decapitazione in diretta di tanti poveri malcapitati, hanno proseguito nella devastazione del patrimonio culturale mediorientale, con un’accelerazione incredibile nelle ultime settimane. Con una voluttà selvaggia i nuovi barbari, armati di mazzole e trapani hanno distrutto opere custodite nel Museo archeologico di Mosul, radendo al suolo anche il Parco archeologico di Ninive, mentre operatori diligenti riprendevano con accuratezza professionale le scene affinché il mondo potesse apprezzare le loro gesta gloriose. È anche sorprendente che la furia iconoclasta si sia abbattuta non su reperti di una civiltà appartenente a potenze straniere dominatrici, ma su opere realizzate in quei territori dalle gloriose civiltà che nei millenni li hanno popolati. La loro avversione è pertanto estesa a qualunque forma di espressione artistica del passato, quasi a sottolineare che ora ci sono solo loro e che siamo all’anno zero dell’era islamista. In questo quadro amaro è consolante apprendere che il 28 febbraio il Primo ministro Haider el-Abadi ha inaugurato a Bagdad il nuovo Museo dell’Iraq, dopo la devastazione di 12 anni fa in occasione dell’intervento americano. La riapertura è stata anticipata proprio per dare una risposta alle devastazioni islamiste. Qualcosa dunque si muove, ma guai ad abbassare la guardia. Qualcuno ha evocato la calata dei Goti ai tempi dell’impero romano d’occidente, ma gli islamisti sono di ben altra pasta. Benedetto Croce ha recuperato in un testo di Paolo Diacono la storia di Droctulft, guerriero che Alboino, re dei Longobardi, aveva inviato in avanscoperta a Ravenna. Quel «barbaro» rimase tanto abbagliato dalla bellezza della città che passò addirittura nel campo avverso, trovando la morte nella difesa della città contro la quale avrebbe dovuto combattere. Esempio luminoso – osserva il Croce – di «poesia che alza il capo dove meno si aspetterebbe». I ravennati riconoscenti dedicarono al guerriero un epitaffio in cui si esaltava oltre alla prestanza fisica l’umanità dell’alemanno. Quanta differenza con i barbari di oggi! Verrebbe da constatare amaramente che 1500 anni siano passati invano.

Non riteniamo tuttavia che sia utile piagnucolare sugli eventi che ci assediano ogni giorno. Dopo lo sdegno, l’orrore, lo sconcerto, potrebbe essere più utile superare le emozioni e tentare un ragionamento articolato, partendo da qualche riflessione sul significato di civiltà e barbarie. Civiltà e barbarie La prima deriva dalla radice indoeuropea che richiama al senso di abitare, dimorare, per cui è civis chi ha stabile dimora in un paese. La barbarie nasce in ambito greco, col significato di straniero, che parla una lingua incomprensibile, che diventa quasi balbuziente con il raddoppiamento del suono «bar». Più tardi lo straniero assume la connotazione di persona ostile, da schernire e viene associato alle popolazioni germaniche o comunque abitanti oltre l’Eufrate. Su queste basi gli europei dell’Occidente hanno ritenuto di essere depositari dell’unica civiltà, quella propria, di eredità greco-romana-cristiana e si sono assunti la missione intellettuale di «esportarla» con la democrazia, come se si trattasse di una merce qualunque. In questa ottica si colloca l’espansione coloniale europea che è giunta fino al 1914, giustificata con la convinzione di portare anche con la forza ai popoli «arretrati» la civilizzazione, facendo finta di ignorare che dietro le baionette si celavano mire di potenza politica e interessi mercantili. Non dimentichiamo che al seguito delle esplorazioni oceaniche del XVI secolo, c’è stato chi si è domandato seriamente se gli indiani avessero un’anima e che ci sono voluti diversi pontificati per rispondere al quesito. È questa la cultura dell’etnocentrismo, che nega l’interculturalità e assegna il primato assoluto alla propria civiltà. Giunge poi il tempo in cui altre realtà politiche fanno irruzione sullo scenario mondiale. Pensiamo a quelle slavo-ortodosse, induiste, confuciane e, soprattutto, a quella islamica, rilevante per la sua vocazione sovranazionale. Cambia così il concetto stesso di civiltà, intendendo ciò che un qualunque popolo crea nel tempo lungo con usanze, tecniche di lavoro, credenze religiose, concezioni filosofiche e scientifiche. Quella occidentale non è pertanto l’unica civiltà, perché in altre latitudini altri popoli hanno maturato esperienze diverse di vita, meritevoli comunque di rispetto e di pari dignità. Forti della superiorità tecnologica,

non è stato facile per gli etnocentrici accettare questa nuova realtà e aderire al concetto di «civiltà paritarie» che ne deriva, tanto che il politologo Samuel P. Huntington ha teorizzato paure apocalittiche. Il suo libro, Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, pubblicato nel 1996, gli ha conferito grande notorietà soprattutto dopo l’attentato dell’11 settembre 2001 alle Torri gemelle. Il suo pensiero è stato variamente interpretato e criticato e meriterebbe una trattazione specifica. In questa sede osserviamo come sembra che tutto sia centrato soltanto sul grande conflitto tra l’Occidente e l’Islam. La realtà è molto più complessa, perché oltre che tra i due blocchi citati le tensioni si annidano dentro le stesse civiltà. Pensiamo alla tragedia dei due conflitti mondiali del secolo scorso, maturate nell’ambito occidentale; pensiamo alle lotte fratricide che da anni oppongono sunniti a sciiti nel Medio Oriente, senza contare il recente emergere del califfato che in maniera trasversale infiamma un’area esplosiva che condanna milioni di persone alla morte, alla disperazione, alla fuga. In tempi di globalizzazione e di reti informative avanzate i diversi sistemi culturali dovrebbero essere estremamente permeabili, ma questi sono processi che richiedono tempi lunghi che non è facile, né opportuno accelerare. Questioni di predominio politico ed esigenze mercantili spingono invece a una fretta che si rivela controproducente, specie se intesa come imposizione. Accade infatti che una civiltà che si sente minacciata, o si chiude a riccio a difesa della propria identità o reagisce violentemente troncando ogni rapporto. Il dialogo indispensabile Viviamo oggi una realtà densa di incognite, assediati da due estremismi, il fondamentalismo islamico e lo scontro di civiltà. In mezzo naviga la massa enorme e indistinta dei moderati che in tanti anni non sono riusciti a riannodare i fili di un dialogo che era necessa-

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Giornale di opinione della provincia di Foggia

rio e che ora è diventato indispensabile per tutta l’umanità, visto che nessuno – ovunque sia nel pianeta – può chiamarsi fuori. Ma il dialogo presuppone la disponibilità ad ascoltare le ragioni dell’altro, nella convinzione di averne qualcosa da imparare. Sbandierare i propri vessilli e attendere che gli altri si adeguino non è propriamente un esercizio di disponibilità alla trattativa. Chi si dispone sinceramente all’incontro non può definire a priori le caratteristiche dell’interlocutore, né può fissare preventivamente i paletti oltre i quali non si può andare. L’uomo non è un prodotto finito, ma un compito da realizzare giorno dopo giorno. Sappiamo bene che nel processo di mescolamento in corso non è facile conciliare la civiltà di appartenenza con la necessità e disponibilità a modificarla. Le proprie origini dovrebbero essere un punto di partenza, non un territorio da recintare. Un’area così definita assicurerebbe una certa protezione, ma sarebbe anche una prigione. Se queste sono le premesse, tocca alla platea dei moderati delle parti in causa moltiplicare gli sforzi per realizzare una sintesi accettabile per tutti, che non vuol dire tendere verso l’unanimismo di un appiattimento globale – peraltro di difficile realizzazione – ma vuol dire cantare in coro. Si realizzerebbe in questo modo il miracolo dell’armonia della diversità, alla quale ognuno collabora senza rinunciare completamente alla propria identità. In un mondo sempre più piccolo e affollato quella del dialogo multiculturale non è una opzione tra le tante, ma un percorso obbligato, perché in fondo – se ci fermiamo un attimo a riflettere – ognuno di noi prima di appartenere a una civiltà è un essere umano. Ce lo insegna Elbert Einstein che al funzionario americano della dogana che lo interrogava per identificarlo, quando gli chiese a quale razza appartenesse rispose imperturbabile «Razza umana!». Vito Procaccini

Il Gruppo Telesforo celebra l’universo femminile

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o scorso 8 marzo, il Gruppo Telesforo ha voluto celebrare la donna con un incontro dibattito dedicato all’universo femminile: i camici della struttura sanitaria foggiana si sono tinti di rosa in occasione di un’iniziativa in cui si è parlato di prevenzione, informazione e benessere. Il dibattito è corso sul filo dell’attenzione di ogni aspetto della vita quotidiana, in compagnia della dietologa Anna Maria Conte, della psicologa Ines Panessa e della radiologa Giuseppina Di Miscio, promotrice dell’evento. Patologie, esami e visite da effettuare sono il primo step di un percorso che la donna deve intraprendere, ha sottolineato la dott.ssa Di Miscio. E visto che il benessere passa anche attraverso l’adozione di corretti stili di vita da adottare a tavola, via libera a degustazioni free di centrifugati carichi di vitamine proposti dall’esperta culinaria Letizia Consalvo. Mauro Galantino


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ATTUALITÀ & COMMENTI

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Organizzato dalla FIDAPA di Foggia

Convegno sull’agricoltura nel segno dell’ottimismo

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volezza dell’importanza del suolo per la sicurezza alimentare e far comprendere quali siano le funzioni essenziali degli ecosistemi. Avviandosi alla conclusione del suo intervento Antonia Torchella ha evidenziato la positiva, nuova tendenza nuova tendenza da parte di giovani che dopo l’università tornano al lavoro dei campi esplorando paesaggi naturali, alcuni struggenti, proprio nei loro Paesi che ad un occhio poco attento non dicono granché. «Sarà la grande sfida dei prossimi anni – ha concluso – soprattutto per il nostro territorio e noi dobbiamo crederci». Il prof. Pasquale Pazienza, del Dipartimento di Economia dell’Università di Foggia, si è soffermato sulla situazione concreta dell’agricoltura del nostro territorio mettendo in evidenza i punti di criticità che ne impediscono la crescita. La mancanza di innovazione, di organizzazione e di investimenti fanno si che la Provincia di Foggia resti in una situazione di ristagno nonostante il territorio sia vocato all’agricoltura da sempre. L’avv. Massimiliano Arena, responsabile dell’Associazione «Avvocato di strada», ha evidenziato le gravi problematiche degli immigrati che vivono nel ghetto più grande d’Italia, alle porte della nostra città e di come si sia pro-

messo di dedicarsi a queste persone che giungono da terre lontane certe di poter vivere una vita migliore, ma le cui condizioni non possono dirsi civili, forse nemmeno umane. Il dottor Michele Lo Storto, esperto in Ricerca industriale in cerealicoltura, ha affrontato diverse tematiche inerenti il ruolo potenziale delle Associazioni in agricoltura. Si è discusso di nuovi modelli agronomici in grado di contrastare le importazioni dai mercati esteri, di una agricoltura che deve essere sostenibile e rispettosa dell’ambiente e nello stesso tempo innovativa. Il punto più saliente si è occupato dell’eventuale impiego di nuovi sistemi colturali, come nel caso dalla seminatrice Seminbio, marchio registrato dal Cra-Cer Istituto per la Cerealicoltura di Foggia, brevetto realizzato, come ha spiegato lo stesso dott. Lo Storto, da una lunga sperimentazione condotta dal dott. Pasquale De Vita e dal dott. Salvatore Colecchia. Tale Seminatrice SeminBio è in grado di eliminare l’impiego del diserbo apportando vantaggi ambientali,

economici e soprattutto sul piano della sicurezza alimentare. Si è inoltre parlato dell’eventuale uso di droni in agricoltura, per aumentare l’efficienza delle concimazioni e il controllo delle malattie delle coltivazioni e di sistemi agricoli capaci di utilizzare di mezzi scientifici di precisione. Molto articolato e vivace il dibattito che è seguito. Tra gli altri, il professor Costanzo Natale si è soffermato sull’importanza dell’Università di Foggia da lui fortemente voluta e per la quale si è impegnato perché la sua istituzione divenisse realtà a favore di tutti i ragazzi che desideravano una formazione e un futuro migliore senza essere costretti ad allontanarsi da casa. «Questa sera – ha detto – sono felice di vedere i frutti di un grande lavoro portato avanti con dedizione: docenti e giovani laureati della nostra Università sono qui a parlarci con generosità e competenza dei problemi e di cosa sia meglio per la nostra terra». Marida Marasca

Il CRA-CER di Foggia recupera i semi conservati nelle fosse granarie

colta georeferenziata dei luoghi di recupero dei materiali genetici, l’allevamento di un campo catalogo e di conservazione; la caratterizzazione morfologica, agronomica, tecnologica

e nutrizionale, delle varietà antiche e/o obsolete, la realizzazione di schede descrittive e la definizione di strategie di conservazione in nel luogo di origine.

Agricoltura del Tavoliere: sviluppo, imprenditoria giovanile, immigrazione e diritti». Questo l’attualissimo tema affrontato nel corso di un convegno svoltosi nella Sala Rosa del palazzetto dell’Arte e organizzato dalla Fidapa Bpw Italy, Sezione di Foggia, dall’Assessorato alle Attività Economiche e alle Politiche giovanili del Comune di Foggia (presente con l’assessore Eugenia Moffa) e dall’Associazione «Avvocato di strada». La Presidente della Fidapa, Antonia Torchella, dopo i saluti di rito ha illustrato il tema dell’incontro. «Nella nostra programmazione a livello nazionale – ha esordito Torchella – l’agricoltura è presente da più punti di vista, in quanto mai come in questo momento è importante avere le mani ben piantate dentro la realtà per scegliere il modello di sviluppo che difenda il nostro territorio e permetta di credere nel futuro. L’agricoltura è la base dello sviluppo dell’uomo e direi nata dall’amore e dall’attenzione della donna, che sin dagli albori della storia è stata capace di osservare e imparare a conoscere le piante utili alla famiglia mentre l’uomo, cacciatore, andava in cerca di cibo». La presidente Fidapa ha poi sottolineato come anche l’ONU ha inteso indire l’anno 2015 come l’«Anno Internazionale dei Suoli» con la finalità di promuovere ed aumentare la consape-

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el corso dell’incontro organizzato dal Centro di Ricerca per la Cerealicoltura di Foggia a San Nicandro Garganico, nel mese di gennaio, presso la Fondazione Zaccagnino, sono state presentate le attività del progetto di «Recupero, caratterizzazione, salvaguardia e valorizzazione di leguminose e cereali da granella e foraggio in Puglia» denominato SaveGrainPuglia. Il progetto, finanziato dalla Regione Puglia e coordinato a livello regionale dall’Istituto di Bioscienze e BioRisorse del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Bari (CRN-IBBR), vede impegnato il Centro di Ricerca per la Cerealicoltura in una importante operazione di recupero, catalogazione, caratterizzazione e conservazione delle principali specie e varietà di cereali della provincia di Foggia ormai abbandonate e non più coltivate.

L’incontro ha aperto un ciclo di appuntamenti destinati a presentare l’iniziativa e le possibili ricadute che da esse potrebbero derivare in seguito allo sfruttamento dei risultati del progetto. «L’intervento si è reso necessario – spiega il dott. Pasquale De Vita, ricercatore e responsabile scientifico del CRA-CER, – in quanto nel nostro territorio, gran parte delle risorse genetiche accumulate nel corso dei secoli sono andate perse. Prima, e appena dopo la seconda guerra mondiale nella penisola italiana si stimava la presenza di oltre 400 varietà di frumento mentre nell’ultimo ventennio, la presenza di vecchie varietà si è ridotta al 1%. La nostra provincia, da tutti nota come il granaio d’Italia, ha risentito in modo particolare del drastico impoverimento varietale e della perdita di biodiversità». Il progetto SaveGrainPuglia ha l’obiettivo di recuperare le risorse genetiche a rischio di erosione, caratterizzarle dal punto di vista morfoagronomico, creare banche dati e promuovere la conservazione sia in situ (nelle aziende agricole) che ex situ (nelle banche del germoplasma). Le attività sui cereali sono condotte dal CRA Centro di Ricerca per la Cerealicoltura di Foggia, è sono focalizzata sull’analisi storica del territorio, la rac-

Università di Foggia, inaugurazione Anno accademico Ospite d’onore il giornalista Furio Colombo

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arà Furio Colombo l’ospite d’onore della Cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico 2014/15 dell’Università di Foggia, fissata per giovedì 16 aprile 2015 presso l’aula magna Valeria Spada del Dipartimento di Economia. Giornalista, scrittore, intellettuale, politico, insignito dell’onorificenza di Grand’ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana, è stato a lungo corrispondente dagli Stati Uniti d’America dei quotidiani La Stampa e La Repubblica prima di diventare collaboratore e commentatore per New York Times e New York Review of Books: già docente di giornalismo alla prestigiosa Columbia University di New York e già direttore dell’Istituto italiano di cultura di New York, tra i fondatori del movimento intellettuale Gruppo 63 e del DAMS di Bologna (dove dal 1970 al 1975 ha insegnato Linguaggio radiotelevisivo), è ritenuto uno tra i più grandi giornalisti italiani di sempre. Tra gli altri argomenti, la sua riflessione si soffermerà anche «sulle speranze riposte nelle nuove generazioni, sul coraggio dei giovani che sono i soli che potrebbero scongiurare il conflitto di civiltà in atto», ovvero sui rapporti tra Oriente e Occidente, su come sono cambiati dopo l’11 settembre 2001 e su come sono destinati a inasprirsi dopo gli ultimi episodi di fondamentalismo Islamico registrati in Europa. «Siamo onorati dalla sua presenza – dichiara il Rettore dell’Università di Foggia, prof. Maurizio Ricci – poiché si tratta di un personaggio di assoluto prestigio nel panorama culturale e politico italiano e internazionale. Gli racconteremo l’Università di Foggia, i suoi sforzi e le sue ambizioni, osservate dall’angolo visuale di una comunità che si sforza di stare dentro una visione del mondo ormai sempre più globale ed estrema». Furio Colombo, oltre che uno dei più grandi e rispettati giornalisti italiani, è stato impeccabile cronista nel corso degli anni più bui e incerti della Repubblica Italiana. Fu resa proprio e solo a lui, che all’epoca lavorava per La Stampa, l’unica testimonianza oculare di chi aveva assistito al delitto di Pier Paolo Pasolini la notte tra l’1 e il 2 novembre 1975. Testimone diretto delle guerre degli USA in Vietnam (dov’è stato inviato più volte) e Iraq (da commentatore e giornalista residente in America), Furio Colombo porterà a Foggia quella visione realistica ma anche quel disincanto cronista che ne hanno fatto uno degli interpreti delle vicende italiane più apprezzato negli Stati Uniti d’America.


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ATTUALITÀ & COMMENTI

Foggia vista dai foggiani: una città dalle due facce

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na domanda. «Ti piace la tua città?», potremmo chiedere ad un passante qualunque. «Sì, perchè no?», ci risponderebbe il foggiano medio. O ancora: «Per niente, fa schifo». Oppure: «È a megghj, n’men jess mj da qua!» (tradotto: è la migliore, non me ne andrei mai da qui). Risposte soggettive, si potrebbe dire. Certo, logico, legittimo anzi. Quel dettaglio chiamato limite sottile, che divide soggettivo da oggettivo, si sta assottigliando negli ultimi tempi. E non poco. Le due metà facenti parte dello stesso nucleo cittadino risentano delle paure e dei pregiudizi che assalgono la popolazione, e non solo, del capoluogo. Foggia, insomma, piace? Non piace? Inutile disperarsi, ci sarà sempre quel qualcuno pronto ad esprimere una propria personalissima insoddisfazione sottolineando solo ciò che manca e non anche quello che c’è. Ah, non dimentichiamo i raffinati commenti di alcuni! Foggia è distratta,

Foggia è un’idea. Foggia è nullafacenza che dorme sugli allori in attesa di chi? Di che cosa? Ma questa melanconica città è anche altro, perchè non vederlo? Foggia è pianura, Foggia è verde… Foggia è la vita, quella della zona pedonale, dei più miti e frizzanti sabati sera o delle gelide serate prenatalizie che le strade illuminate riempiono di gente. Quella delle fiere, delle mostre, delle serate a elogio di ospiti noti o

Foggia, Giornata nazionale del Braille

Ogni cittadino ha il diritto di realizzare le proprie capacità

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attinata di grande interesse quella trascorsa presso il Dipartimento Studi Umanistici dell’Università di Foggia, lo scorso 20 febbraio, per la celebrazione della giornata nazionale del Braille. Aprono l’incontro i saluti e i ringraziamenti da parte del dott. Michele Corcio, presidente dell’Unione italiana Ciechi e Ipovedenti, sezione di Foggia e della prof.ssa Cinnella a nome del Magnifico Rettore dell’Università di Foggia. Subito dopo prende la parola la prof.ssa Isabella Loiodice del Dipartimento di Studi umanistici dell’Università, la quale si sofferma sull’importanza dell’inclusione non solo scolastica ma anche, e forse, soprattutto sociale. In questo si vede la capacità della società, quella di assicurare spazi di vita adeguati ad ogni cittadino, riducendo al minimo le disparità che portano alla discriminazione, quindi all’esclusione che tocca le fasce deboli di ogni cittadinanza, nello specifico, coloro che non vedono, ha detto la prof. Loiodice, professore ordinario di pedagogia generale e sociale. Di qui il compito delle Istituzioni di mettere in grado tutti i cittadini di operare nel rispetto del diritto di poter esprimere e realizzare le proprie capacità indipendentemente da ogni differenza.

Di qui il grazie all’Associazione dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti che lavora per dare a milioni di persone cieche, dignità, libertà e autonomia. Di fronte al sistema braille «la parola che si tocca», ha detto l’assessore alla Pubblica istruzione del comune di Foggia, la dott.ssa Calabrese, viene spontaneo applaudire a ciò che l’uomo è capace di fare e impegnarsi, come istituzione, a seguire il percorso dell’Associazione dei ciechi del territorio, collaborando a trasformare in risorse la disponibilità. Della didattica del Braille ha parlato la dott.ssa Beatrice Ferrazzano, responsabile del Centro di Consulenza tiflodidattica di Foggia - Federazione nazionale Istituzioni pro Ciechi, sottolineando l’importanza di trasformare in risorsa la disabilità: imparare a leggere e a scrivere, ha detto la relatrice, è essenziale per poter esprimere le proprie potenzialità. Delle possibilità didattiche del libro Braille ha parlato la dott.ssa Annarita Gentile, educatrice tiflologica e coordinatrice servizio trascrizioni braille – Società Cooperativa Sociale «Loris Braille». Oggi, grazie all’informatizzazione, ha spiegato la Gentile, è più semplice per i non vedenti avvicinarsi a un testo scritto. E, tra i servizi, è sicuramente uno dei più importanti quello di offrire consulenza alle scuole, agli educatori, agli alunni, alle famiglie, con l’obiettivo di far giungere chi ha problemi di vista all’autonomia. Naturalmente un grande ruolo in

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Provinciale

Giornale di opinione della provincia di Foggia

poco noti, delle bancarelle e dei fuochi pirotecnici del quindici agosto. É la Foggia che non si arrende. «Fuggi da Foggia, non per Foggia ma per i foggiani», si dice. Ma se proprio bisogna scappare e andar via, almeno si ammetta che si scappa dalle persone e non dal luogo, da una terra che potrebbe dare tanto ma che fatica a destarsi. «Di grazia, perché provare a lottare se c’è chi fa per me?». Certo, però chi fa per sé fa per tre, c’è anche questo da dire. No signori, la persona, che ha deciso di battere questa sequenza di lettere nell’articolo che è sotto i vostri occhi, non ama bere al punto da avere in seguito idee poco chiare; vuole semplicemente ricordare che detti del genere non sono buttati a caso, hanno un loro perché. Vuole semplicemente ricordare quanto c’è di buono, a partire dagli spazzini, coraggiosi e audaci anche solo nell’affrontare l’umido ghiaccio del primo mattino invernale o il caldo torrido delle fiamme estive, dall’arma dei Carabinieri, dalla Polizia, che ogni giorno fa il diavolo a quattro per togliere «le armi» di mano a chi quel giorno, preso dalla disperazione, commette atti che nulla hanno a che fare con la dignità propria dell’es-

sere umano. Per arrivare poi a coloro che credono di essere furbi e si comportano poco correttamente proprio mentre si lamentano di quanto sia invivibile la loro comunità. Una Foggia colorata, non c’è che dire. A rifletterci bene, chi sa meglio dei suoi abitanti cosa vuole dalla propria città? Dalla propria gente? E sì, propria. Perchè per quanto pesanti siano le accuse e per quanto blasfeme siano le bestemmie di alcuni, per quanti chilometri si possano frapporre tra questa e la prossima meta e per quanto si benedica il giorno in cui si è deciso di scappare, rimane sempre il luogo della memoria. Chiaroscuri, questi, di una Foggia dalle due facce. Certo, andare via può giovare all’individuo che decida di allontanarsi, senza sapere che da lontano riuscirà a guardare la sua terra con altri occhi, riuscirà a riconoscere con orgoglio le sue potenzialità, i suoi pregi. Di qui la visione più obiettiva di quanto il proprio territorio sia in grado di offrire, di quanto si possa fare per crescere e farlo crescere. Questo nella consapevolezza che sempre vigerà un limite sottile tra le virtù e le debolezze della nostra città. Un dettaglio, certo, non di poco conto però. Cinzia Brancaccio

questo è affidato all’ambiente in cui vive il non vedente che va sostenuto a raggiungere la consapevolezza del limite e il coraggio di affrontarlo. Alla domanda, infine, di un docente del Liceo Artistico di San Severo, circa la fruizione dell’arte pittorica da parte dei non vedenti, il dott. Corcio così ha risposto: «La bellezza di un’opera d’arte può

essere goduta da tutti, naturalmente ciascuno la può godere con i suoi personali strumenti. I colori parlano all’occhio, dunque bisogna affidarsi a un processo di trasposizione che deve curare i particolari giochi di chiaro-scuro». Serve, però, anche l’educazione del cieco, come per tutti, all’arte. Marida Marasca

Due eventi dedicati a Umberto Giordano

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ue manifestazioni importanti in forma di Conferenza–Concerto, a pochi giorni di distanza, hanno reso lustro al nostro concittadino Umberto Giordano. La prima: «L’Opera verista di Umberto Giordano» si è tenuta sabato 7 marzo presso l’aula magna dell’Istituto Secondario di I grado «Giovanni Bovio» di Foggia; la seconda, «La personalità femminile nell’opera di Umberto Giordano», si è svolta nell’Auditorium di Santa Chiara il 9 marzo, con il patrocinio del Soroptimist di Foggia, sotto la presidenza della dott.ssa Gigliola De Filippo. In entrambe le manifestazioni si sono esibiti i giovani cantanti dell’Associazione Musicale «Insieme per la lirica», accompagnati dal pianista Ernesto Pulignano, con l’organizzazione artistica della Presidente dell’Associazione prof.ssa Angela Rosa Ricco, e la preparazione lirica del maestro

Maria Paola De Luca, docente di canto del Conservatorio «U.Giordano». Entrambi i concerti sono stati arricchiti da una guida all’ascolto ed una presentazione storico-musicale della prof.ssa Gabriella Laura Del Vecchio che, utilizzando anche immagini e filmati d’epoca, ha saputo condurre il pubblico in maniera accattivante in un viaggio ideale nel Verismo musicale e nell’universo giordaniano. La manifestazione del 9 marzo, inoltre, ha avuto come ospite d’onore la giovane danzatrice e coreografa foggiana Maria Giovanna Delle Donne, laureata presso la scuola di Pina Bausch di Essen in Germania, la quale, nel panni della Carmen di Bizet, sulle note della famosa Habanera, ha piacevolmente sorpreso il pubblico introducendo in maniera singolare ed innovativa la serata. Positivi i consensi del pubblico presente in entrambi gli appuntamenti culturali. M.M.



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IMMAGINARIO COLLETTIVO

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La bancarella di Ventura

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ello scorso numero abbiamo parlato (e celiato...) della verità: elencando diversi modi di dire della sua relativa fraseologia. E oggi vogliamo fermarci su un altro detto, Essere la bocca della verità: riferito – di solito ironicamente – a chi pretende di dire sempre la verità o comunque di parlare con onestà, senno e fondatezza. Ma, soprattutto, nell’immaginario turistico, la Bocca della verità è una scultura, un bassorilievo a forma di disco: ed ha sede a Roma, dove c’è addirittura la Piazza Bocca della verità. Nelle immediate adiacenze sorge la chiesa di Santa Maria in Cosmedin: che è preceduta da un pronao (un porticato), all’interno del quale, nella parete sinistra, è murato un enorme mascherone rotondo in marmo pavonazzetto (cioè di un colore grigio, marezzato di quell’azzurro che si vede nella coda del pavone), che rappresenta un volto maschile; barbuto; occhi, naso e bocca (un’apertura, una buca) forati e cavi; comunemente conosciuto come la Bocca della verità, per la credenza popolare che poteva morsicare la mano dei bugiardi (specialmente degli spergiuri). Questo mascherone era probabilmente un tombino, un chiusino di fogna o di pozzo: se non proprio di marmo, di pietra. Nell’antica Roma, i tombini erano sparsi in tutta la città: con quel faccione, che spesso aveva le sembianze di un fauno urlante o di qualche divinità fluviale (o di Giove Ammone o del dio Oceano); e quei fori (agli occhi, al naso e alla bocca) servivano per far defluire l’acqua piovana. E chi fece la bella pensata di far costruire quel simulacro e di farlo murare nella parete del portico della chiesa? Nel Medioevo si fece strada la leggenda che fosse stato un certo Virgilio Marone, detto il Grammatico: un erudito del VI secolo; che dagli addetti ai lavori è conosciuto come autore di 15 epitomi (commenti ad opere classiche) e di 8 epistole, di argomento grammaticale e metrico. Il quale (e sono sempre tutte fantasticherie) intendeva portare un grosso contributo al problema sui dubbi riguardanti la fedeltà dei mariti e delle mogli. In che modo? Inventando (e facendo spargere la voce con storielle all’uopo adattate) che solo le persone sincere potevano infilare una mano nella bocca della scultura e tirarla fuori senza conseguenze: se invece uno aveva detto il falso, il mostro gliela morsicava o gliela mangiava o – addirittura – gliela mozzava, tranciandogliela di netto con un’affilatissima spada. Tutte fandonie? Però chissà quale trappola, quale diavoleria poteva esserci sotto... E comunque cominciò a circolare un aneddoto: diventato poi celeberrimo.

La giovane moglie di un patrizio romano fu accusata di avere tradito il marito: e di avere un amante. Tentò in tutti i modi di discolparsi: piangendo a calde lacrime, assicurò al marito di essergli sempre stata fedele; e giurò più volte sulla sua innocenza. Ma il presunto cornuto non le credette: e la costrinse a sottoporsi alla prova fatale di quella sorta di odierna macchina della verità. Il giorno fissato per il giudizio pubblico, la donna uscì di casa: e s’incamminò tra due ali di folla per raggiungere il terribile mascherone. Il marito la stava già aspettando: la folla berciava. Lei – disperata – cercò di scappare. Corse fra la gente: finendo tra le braccia di un uomo, al quale s’avvinghiò, implorandogli aiuto. Ma ne fu strappata: e trascinata davanti al mostruoso simulacro. Singhiozzando, dovette infilare la mano in quella bocca spalancata e gridò: «Giuro davanti a Dio che nella mia vita, all’infuori di mio marito e dell’uomo a cui ho chiesto di aiutarmi, mai e poi mai ho tenuto fra le mie braccia un altro uomo». La folla, ammutolita, bramava

avrebbe goduto di un’immensa fortuna) solo se avesse restaurato il culto degli dèi pagani. Comunque quest’imperatore è stato ampiamente riabilitato: in realtà fu molto tollerante verso qualsiasi religione. Ma, leggende a parte, la Bocca della verità gode tuttora di un’immensa fama. Anzi è considerata uno dei più noti simboli di Roma nel mondo: per merito soprattutto di un film (in bianco e nero, girato in Italia, proprio nella capitale, nel 1953) del regista americano William Wyler: Roman Holiday (Vacanze romane). Protagonisti: Audrey Hepburn e Gregory Peck. Rinfreschiamoci un po’ la memoria. Lei è Anna, una giovane principessa, erede al trono nel regno immaginario di una nazione non specificata: è arrivata a Roma per trascorrere una vacanza insieme con i genitori e il seguito; e risiedono nella loro ambasciata. Lui è Joe Bradley: un giornalista americano, che lavora in un’agenzia di stampa. Un giorno Anna si sottrae alla soffocante sorveglianza dei dignitari di corte, preposti all’osservanza della rigida eti-

la sentenza del mascherone: ma non successe nulla. La donna tirò sana e salva la mano fuori dall’orribile bocca. E il marito le si avvicinò, l’abbracciò con amore e, felice, la riportò a casa: dove vissero senza più problemi. Perché né il marito né alcun altro seppero mai che l’uomo, fra le cui braccia la donna era finita nel suo tentativo di fuga, era proprio il suo amante. Un’altra leggenda coinvolse addirittura l’imperatore romano Flavio Claudio Giuliano: detto l’Apostata; perché abiurò la fede di Cristo e ripristinò il paganesimo; però – solo assai raramente – adottò verso i cristiani dei provvedimenti persecutori; l’unica misura che suscitò più risentimento fu il divieto ai professori cristiani di insegnare i classici (feriti al portafoglio...). Ma cosa inventarono i suoi detrattori? Che Giuliano avesse truffato una donna: per cui fosse stato costretto a giurare la propria innocenza, introducendo una mano nella bocca del mascherone. Però lì dietro s’era nascosto il diavolo, con le sembianze di Mercurio, il dio protettore dei commerci e – non a caso – degli imbroglioni: il quale afferrò la mano dell’imperatore, la trattenne a lungo; e la lasciò solo a patto che sarebbe stato riscattato da quell’umiliazione (e che

chetta rituale: e se ne va, in incognito, a vagabondare, prima da sola, poi in compagnia di Joe (che le fa da cicerone), per la città eterna. Si spostano a bordo di un motorino, uno dei primi modelli di Vespa, simbolo tutto nostrano del miracolo economico italiano (il boom degli scorsi anni Cinquanta-Sessanta...): ma sorvoliamo sui tanti altri particolari. E rimaniamo al tema di oggi: la Bocca della verità, tappa fissa (imperdibile...) nell’itinerario turistico della capitale; lì c’è la fila dei visitatori, per farsi scattare una foto ricordo con la mano infilata nella bocca del mascherone. Arrivano anche Anna, Joe e un fotografo. Joe: «Ecco la bocca della verità: secondo la leggenda, se uno mentisce, il simulacro gliela morde». Anna: «Che cosa orribile...». Joe la invita a provare. Anna esita, allunga la mano: ma la ritrae. E dice a Joe che tocca a lui. Joe finge un attimo d’indecisione. Ma poi ci sta: e introduce la mano dentro la bocca del mascherone; che gliela ingoia, con tutto il braccio. Anna, spaventatissima, si lancia in suo aiuto: lo tira, riesce a staccarlo dal mostro. Joe è salvo, ma il braccio è uscito monco: la mano è stata amputata; e Joe la fa rispuntare dalla manica solo quando vede veramente

scioccata la ragazza; che gli si avventa contro, dandogli dell’imbroglione. Stringiamo ulteriormente. E andiamo alla fine del film: con la ragazzina (presunta ribelle), nuovamente rinchiusa nella gabbia dorata del piattume protocollare della sua ambasciata. Come succede molto frequentemente in Italia, la trama di Vacanze romane ha figliato nel 1981 un altro film, dal titolo Innamorato pazzo: protagonisti Adriano Celentano e Ornella Muti; registi la coppia Franco Castellano e Pipolo (pseudonimo di Giuseppe Moccia). E questa Bancarella dovrebbe essere chiusa. Però le vie del condizionale sono infinite. A bozze già corrette, mi accorgo (dannazione...) che la domanda nascerebbe spontanea: «Come, siamo a Foggia, qui si pubblica il Provinciale, giornale di opinione del capoluogo della Capitanata, e tu vorresti liquidare così un personaggio del calibro di Celentano?». Il fatto è che, tra il sottoscritto e gli ugulatori, non corre molto buon sangue: però neanche con tutti gli altri protagonisti del mondo dello spettacolo (ma non è questa la sede per eventuali polemiche. E speriamo comunque che un refuso birichino non venga a fare qualche scherzetto con quella g...). Però sarebbe necessario approfittare dell’occasione di oggi (forse irripetibile...) per aggiungere almeno qui due o tre altri particolari, che accomunano Celentano e Foggia. Mi dicono persino che c’è una chicca, da non lasciarsi assolutamente sfuggire: una canzone di Celentano in dialetto foggiano (duettata con Mina). Perciò? Ci vorrà un’altra Bancarella. Oggi però non possiamo non ricordare che uno dei 2279 sonetti di Gioachino Belli era dedicato proprio alla Bocca della verità. Eccolo (nella grafia originale): La-bbocca-de-la-verità In d’una cchiesa sopra a ’na piazzetta / un po’ ppiú ssù dde Piazza Montanara / pe la strada cche pporta a la Salara, / c’è in nell’entrà una cosa bbenedetta. // Pe ttutta Roma cuant’è llarga e stretta / nun poterai trovà ccosa ppiú rrara. / È una faccia de pietra che tt’impara / chi ha ddetta la bbuscia, chi nnu l’ha ddetta. // S’io mo a sta faccia, c’ha la bbocca uperta, / je sce metto una mano, e nu la striggne, / la verità dda mé ttiella pe ccerta. // Ma ssi fficca la mano uno in buscía, / èssì sicuro che a ttirà nné a spiggne / cuella mano che lli nnun viè ppiú vvia. (In una chiesa sopra a una piazzetta un po’ più su di Piazza Montanara per la strada che porta alla Salaria [l’antico deposito del sale sul Tevere], c’è nell’entrare una cosa benedetta. Per tutta Roma quant’è larga e stretta non potrai trovare una cosa più rara. È una faccia di pietra che t’impara [t’insegna] chi ha detto la bugia [e] chi non l’ha detta. Se io adesso a questa faccia, che ha la bocca aperta, vi ci metto una mano, e non la stringe, la verità da me tienila per certa. Ma se ficca la mano uno in bugia, sta sicuro che né a tirare né a spingere quella mano lì non viene più via). Antonio Ventura


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STORIA E STORIE DI CAPITANATA

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Il fascismo in Capitanata

Da «Andare verso il popolo» a «Venite incontro al prefetto»

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urante il fascismo viene diffusa tra i cittadini la parola d’ordine di Mussolini di «andare decisamente verso il popolo, realizzare concretamente la nostra civiltà economica, che è lontana dalle aberrazioni monopolistiche del bolscevismo, ma anche dalle insufficienze stradocumentate dell’economia liberale» (Mussolini, Opera omnia, 35 voll., Firenze, La Fenice, 1951-1963, vol. XXV, p. 50). Anche in Capitanata molti cittadini sono convinti, o sono costretti ad esserlo, che solo Mussolini può capire veramente le difficoltà della vita quotidiana, fare giustizia quando ricevono dei torti, stando dalla parte dei poveri e degli operai, come emerge da quanto riportato in numerose lettere con le quali si chiedono sussidi di varia natura all’Ente Comunale di Assistenza o ad altre istituzioni: «nulla ha mai trascurato, venendo invece sempre incontro al suo popolo, e specialmente quella parte di esso più bisognosa», ha compassione per i poveri e universale umanità, ama gli operai ed i figli del popolo, e così via. A lui si chiede un lavoro anche in terre lontane come in Africa Orientale Italiana, a Tripoli o in Albania. Un giovane balilla, bravo scolaro della quarta classe della scuola elementare di Torremaggiore, in una lettera scritta con l’evidente influenza del maestro, chiede un lavoro per il padre partecipe della marcia su Roma e da anni iscritto al Fascio «avendo appreso dalla bocca del mio maestro che lei ha un grande cuore ed anche che sa considerare ed aiutare i poveri, mi permetto […]. Dio possa farlo essere il nostro capo per lungo tempo e di dare alla sua famiglia, salute, pace e lunga vita. Duce ai suoi ordini per oggi e sempre». È una testimonianza che, come in tutto il territorio nazionale, anche la scuola è impegnata in attività di propaganda già dalla tenera età, per creare non un adulto maturo, responsabile del proprio destino, ma un cittadino-soldato che obbedisce alle leggi e alle istituzioni fasciste (L. Pellegrino, Il fascismo in Capitanata. Il consenso dei poveri dell’Ente Comunale di Assistenza 1937-1943, Foggia 2014, pp. 30-37). Contribuiscono a diffondere tale convinzione alcune biografie apologetiche della vita di Mussolini: di umili origini, è figlio di un fabbro e di una maestra emigrati in Svizzera dove svolgono lavori pesanti e sopportano enormi sacrifici (M. Sarfatti, DUX, Milano, 1926, p.18). Neppure l’evoluzione della guerra, la paura per le possibili incursioni aeree nemiche avvertite con il suono delle campane delle chiese o con le sirene elettromeccaniche installate nella maggior parte delle città, preoccupano le autorità ancora convinte di andare verso il popolo anche quando nelle zone bombardate le conseguenze sono gravi per i morti, feriti e sinistrati, la perdita della casa e dei beni, le

difficoltà stesse dello sfollamento che la povertà di mezzi amplifica. Il podestà, presidente dell’Ente Comunale di Assistenza di Manfredonia, nella relazione sull’attività assistenziale svolta nel periodo dal 1° luglio 1942 al 30 giugno 1943 (L. Pellegrino, L’Ente Comunale di Assistenza per i poveri di Manfredonia 1937-1978, Foggia 2012, p. 29), riporta che: «Tale assistenza con vero spirito di umana e fascistica solidarietà, ha sollevato così il morale di quelle famiglie le quali, a causa della guerra, superando qualsiasi sacrificio e disagi, si sono allontanate dalle loro abituali residenze per trovare asilo in luoghi più sicuri, di altre famiglie che traevano dalle rimesse dei loro congiunti rimasti in Africa e all’estero, i mezzi necessari per far fronte alle esigenze della vita, […] per realizzare, sul piano delle effettive esigenze spirituali e sociali, l’imperativo del Duce Andare verso il popolo». La presa di coscienza delle istituzioni è tardiva in quanto conseguente soltanto ai bombardamenti, come sono le lettere inviate dal pretore di Foggia Paternò il 24 luglio 1943 e quelle del questore in questa data ed il 20.8.1943 (Raffaele Colapietra, La Capitanata nel periodo fascista 1926-1943, Foggia, 1978, pp. 519-523). La crisi, le difficoltà ed il caos che coinvolgono la Capitanata emergono evidenti in una successiva lettera di Paternò del 27 agosto 1943 per le direttive per lo sfollamento nella quale, capovolgendo i ruoli, viene tra l’altro chiesto ai cittadini, al popolo di «andare incontro al Prefetto», alle istituzioni (Lorenzo Pellegrino. Il fascismo in Capitanata cit., pp. 41-42): «[…] Non chiedete zucchero, perché non ve ne è alcuna disponibilità e non sarà possibile averne. Per la farina e per la pasta ho disposto un servizio di rifornimento dai molini e pastifici a mezzo di autocarri: naturalmente ci saranno o potranno esserci dei ritardi. In tale ipotesi vi autorizzo a prelevare dagli ammassi locali, previo finanziamento, il grano occorrente, nei limiti strettamente necessari ed a farlo molire presso molini anche artigiani, anche non autorizzati, del Comune o dei Comuni viciniori. Vi autorizzo a prelevare l’olio, nella quantità strettamente necessaria previo finanziamento, dagli ammassi locali, oppure, qualora essi non esistono in loco, dagli ammassi dei vicini. … Le difficoltà, inevitabili, debbono essere superate dal vostro spirito di iniziativa. Io posso scusare gli errori, non mai l’inerzia o il disinteressamento che, in questi giorni tragici per la Provincia, parrebbero colpevoli. Non ho sapone; non appena mi perverrà, cercherò di farlo smistare presso i vari Comuni coi mezzi che riuscirò ad avere. Non preoccupatevi della eventuale temporanea mancanza di denaro, fatevi anticipare dall’esattore o anche da Enti e da privati le somme liquide occorrenti che io rim-

Effetti dei bombardamenti su Foggia nell’estate 1943

borserò nei limiti delle comprovate necessità. … Indi, si è dato il caso, che può anche ripetersi in seguito, che dai Comuni della Provincia pervengano sfollati presi dal panico ingiustificato. Nessuna assistenza di nessun genere va prestata a costoro che sottraggono in definitivo spazio ed alimenti ai sinistrati del Capoluogo. Debbono, costoro, far ritorno ai loro Comuni di origine coi propri mezzi e non debbono assolutamente ostacolare l’opera di assistenza e di soccorso degli uffici Comunali. La quasi totalità degli sfollati non hanno documenti di sfollamento. Superate per ora tale inadempimento che più che giustificato dalle circostanze occasionali, salvo ad

accertare in seguito la posizione di ciascuno. Le comunicazioni telegrafiche e telefoniche sono interrotte in gran parte. Ciascun Comune quindi appena ricevuta una mia comunicazione, qualora essa non si riferisca a casi particolari, la faccia pervenire con mezzo più celere, anche di fortuna, ai Comuni vicini. Non fate quesiti; non proclamate che il vostro Comune è saturo di sfollati e che la capacità ricettiva di esso è già superata; non sollevate eccezioni e difficoltà. Venite incontro al Prefetto con tutti i mezzi possibili ed a cuore aperto. Sono questi eventi nei quali si saggia la tempra e il cuore degli uomini». Lorenzo Pellegrino

La riflessione Sesso, donna, famiglia e valori

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l Corriere della sera del 07/02/2015 riporta il grido di suor Bonetti: Ogni mese in Italia 10 milioni di prestazioni sessuali a pagamento. Messaggio che ci sorprende davvero, non solo perché dettato da una suora, ma soprattutto perché degli uomini nominati non esclude quasi nessuno, monsignori e cardinali, professori e scienziati, poeti, musicisti, architetti, padri di famiglia, lamentando di seguito la schiavitù femminile, prima in italiano e poi in lingua inglese. Ebbene, faccio notare che la classe più responsabile non è stata messa in campo, quella politica. Tutti sappiamo che le case chiuse sono state abolite dietro insistenza caparbia di una senatrice, Lina Merlin. La prima a firmare fu proprio lei, l’anno 1958, il 2 febbraio, anche se diversi politici di allora si opposero, sottolineando che il fenomeno sarebbe peggiorato sia per le prostitute che per la società. Ci si può rendere conto di ciò osservando quello che accade oggi. La mia considerazione è questa: ci troviamo di fronte a un bivio e il grido di suor Bonetti ci suggerisce e ci avverte quale potrebbe essere la scelta giusta… Non è più possibile sopportare quanto ci accade intorno in ogni campo. Siamo in tanti a voler sopraffare il prossimo, senza alcun riguardo. Anziché usare il buon senso nelle varie divergenze, ci chiudiamo in una difesa prepotente che ci conduce alla discordia. La prepotenza prevale in tutti i sensi e non valuta il disastro che apporta: lo scontro non ha mai risolto i problemi. Le sperequazioni sociali sono giunte a un livello insopportabile: paga tasse e soprattasse chi non riesce nemmeno a sopravvivere, mentre in parlamento si continuano a fare leggi ingiuste. Oggi che il progresso scientifico ha toccato tutti i campi e le informazioni le possiamo attingere con molta semplicità, grazie al computer, credo che potremmo iniziare a ben sfruttare il cervello per debellare ogni tipo di guerra che, dopo tanti secoli, sin dall’origine, non ha fatto altro che scempio e distruzioni. In ultimo non posso fare a meno di pensare alla donna: rappresenta la maggioranza degli esseri umani. Dovrebbe e potrebbe valorizzare le sue enormi potenzialità liberandosi dei pettegolezzi e delle invidie reciproche. Non risulta facile tutto ciò, ma questa è la strada che porta al cambiamento della società in cui viviamo. Aggiungo, inoltre, che la famiglia rimane il pilastro della convivenza: il dialogo della coppia è in grado di smussare le divergenze. Ancora, dovrebbe finire il falso celibato, nonché la poligamia e si dovrebbe ritornare alla moderazione e all’onestà sessuale. La natura deve seguire il suo percorso, altrimenti si rimane nell’ipocrisia che svaluta ogni verità. Non serve camuffare la realtà e apparire casti e puri, mentre si scivola nella pedofilia o nel sesso a pagamento, come suggerisce suor Bonetti! Alfonso Nota





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Il convivio della felicità di Francesca De Luca

La vita al di là di ciò che viene semplicemente avvertito

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isponde all’esigenza forte di fermare, attraverso la scrittura, i propri ricordi e le sensazioni sulle esperienze altrui, il libro di racconti Il Convivio della felicità di Francesca De Luca (Ed. del Rosone, pp. 119, €

13,00). Per sottrarsi all’oblio del fluire eterno delle cose che sembra privare di significato il senso della vita dell’uomo di ogni tempo, giunge proficua la volontà dello scrittore di segnalare ai suoi simili, attraverso la narrazione, i dati esperienziali e immaginativi della sua inquietudine. Un concetto non molto distante dal ruolo che Italo Svevo, esplicitamente, e Luigi Pirandello, implicitamente, attribuivano alla scrittura, è possibile ritrovare nella volontà creativa di Francesca De Luca, docente di Filosofia presso il Liceo Bonghi di Lucera. Il titolo del libro, desunto da uno dei suoi racconti, racchiude, con evidenti accenti ironici, l’intenzione dell’autrice di manifestare i tanti drammi che la vita comporta. Un rilievo particolare assume l’ampia sequela di violenze e turbamenti vissuti dalle donne, raccontati e commentati con dolorosa consapevolezza, quasi con l’intento di spronare alla dolcezza e alla tenerezza l’altra metà del mondo, quello maschile, che troppe volte ignora l’imprescindibile necessi-

Sulle rotte dell’aquila di Francesco Giuliani

Un viaggio affascinante attraverso i francobolli

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n autore vorrebbe sempre che l’ultima sua opera fosse migliore di quelle precedenti; forse per stabilire il suo personale record di «miglioramento», giocando con i termini, in questo caso, proprio in corso d’opera. Ma con Francesco Giuliani pare sia effettivamente così. Quest’ultimo suo volume suscita ancora maggiore interesse e, nonostante la lunga militanza di scrittore, Giuliani ha evidentemente molte frecce ancora di riserva per il suo arco («…e promesse da mantenere / miglia da fare prima di dormire…»), diremmo con il poeta Robert Frost. Prendiamo un semplice pezzo della sua introduzione, ad esempio: «Aquila, insomma, è, o dovrebbe essere, anche una nazione che possiede i due

terzi dei beni artistici del mondo, che ha dato i natali a personaggi che hanno arricchito l’umanità con le loro scoperte e le loro opere. Ma la nostra Italia, a differenza del re degli uccelli, ha scelto da tempo di volare basso, bassissimo, nella valorizzazione delle proprie ricchezze, tagliando senza pietà i fondi per la cultura e la scuola, azzerandone nelle biblioteche le spese per l’acquisto di riviste e aggiornamenti biobibliografici, lasciando in mano ai tombaroli e ai vandali monumenti e reperti di inestimabile rilievo…». Questo è un monito importante, ma la bellezza e la scrittura appassionata che coinvolge il lettore la troviamo nella descrizione dei francobolli. Sì, proprio i francobolli, eterno «vizio» di Giuliani. Per questo autore ogni scusa è buona per parlare di letteratura. Dello scorso anno è il suo volume «Il canone dei francobolli - Gli scrittori italiani nella filatelia». Quel volume, come questo, inserito nella prestigiosa collana «Studi e testi» diretta dal professor Sebastiano Valerio dell’Università di Foggia, con un prestigioso comitato scientifico. Collana ovviamente referata e con manoscritto sottoposto a peer-review. Così l’autore ci fa vivere per esempio l’incanto e il mistero dell’incontro tra Dante e Beatrice all’angolo di un ponte sull’Arno. Meraviglie apparse nella serie di francobolli paraguaiani e dell’Ecuador, una delle quali è una riproduzione del grande Holiday. Il viaggio letterario che ci fa compiere Giuliani attraverso i francobolli è

tà che la vita fluttui nell’alveo della «forza» e dell’amore delle donne. È il caso di una delle protagoniste di uno dei racconti della De Luca, Fiorina, donna e madre, picchiata ripetutamente dal marito Bruno che troppo tardi comprende l’assurdità dei suoi atti … «E forse due anni non gli bastarono per rimediare e riscattarsi davanti agli occhi di Fiorina che silenziosamente e sorridente, come aveva sempre vissuto, gli venne meno tra le braccia». Il pentimento e la crisi di coscienza porteranno l’uomo a togliersi la vita per … «la disperazione di non poter più tramutare i soprusi in benevoli attenzioni». Di analoga stridente suggestione la «vita» di Viorika Polijak (All’angolo della strada) prostituta, costretta ad «… ingoiare l’umiliazione di un compenso non gratificante, per niente capace di addolcire l’amaro di una scelta obbligata, di un’indesiderata professione … un mare da bere fino in fondo, uno scempio per la coscienz». Una vita senza aspettative che finirà … «carbonizzata ai bordi del fiume». Nei venti racconti pubblicati, la De Luca si sofferma anche su tematiche che portano il lettore a non fermarsi su ciò che appare in superficie. Non c’è brano che non costringa alla riflessione e che non produca effetti positivi sulla maturazione morale di chi legge. È il caso, tra gli altri, del tema delassolutamente affascinante. Ricca di spunti, la sua prosa pare svolgersi attraverso i colori splendidi di questi quadratini e rettangoli di carta gommata, che raccontano opere mirabili e vite straordinarie racchiuse in quei pochi centimetri che, paradossalmente, accrescono il mistero di quelle stesse esistenze. In più l’autore, squadernando le impressionanti serie straniere che illustrano i nostri maggiori personaggi letterari, e non solo, ci da l’idea dell’imponente e imperiosa cultura prodotta dal nostro paese. È certo che una sicura continuità caratterizza le opere di Francesco Giuliani; opere dalle quali si trae, forse più di ogni altra cosa, una forte tendenza dell’autore a porsi dinanzi alle immagini di luoghi, fatti e persone, elementi naturali, come uno spettatore attento ad ogni particolare e pronto ad elaborare il tutto con un tono gradevole e

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l’ipocondria, dell’abbandono degli animali (Addio senza rancore), della perenne presenza dell’idea della morte … (L’attesa), o della rivisitazione – con accenti malinconici – di speranze ed illusioni giovanili legate a dimensioni ludiche e sentimentali in cui, a tratti, si fondono motivi intriganti (Il diavolo alla fermata). Per Marcel Proust «..di tutte le nostre sensazioni, nessuna uguaglia quella del dolore come rivelatrice del nostro io profondo … prova decisiva che ci mette di fronte alla realtà … e ci fornisce materiali preziosi per la nostra opera … amare significa , essenzialmente, soffrire per l’essere che si ama»1 In queste parole del grande scrittore francese ritroviamo certamente la motivazione e il fine che hanno mosso Francesca De Luca a ideare e pubblicare il suo libro di racconti. Attraverso Il convivio della felicità l’autrice ha voluto fornire, soprattutto ai giovani, uno strumento in grado di penetrare la «vita» oltre ciò che della stessa viene semplicemente avvertito, per favorire un approccio alla realtà in grado di abbracciare la dimensione «sentimentale» di ogni uomo. Leonardo Scopece 1 SCHIROSI F., Approcci su alcuni romanzieri francesi dell’Ottocento e del Novecento, Bari 1987, p. 56.

rigoroso. Facendo inoltre ricorso ad un bagaglio emozionale e genuino che senza dubbio contraddistingue l’autore medesimo, con in più una naturale predisposizione ad uno stile al contempo descrittivo e rievocativo. Frequente è poi il ricorso ad una precisa e ricercata terminologia che esalta di sicuro il patrimonio letterario di cui Giuliani dispone. Si augura, pertanto, a questo autore di proseguire ancora nel suo cammino di scrittore-critico-saggista, donando così a tutti noi la piacevole lettura di sue nuove fatiche letterarie. Enrico Fraccacreta Francesco Giuliani, «Sulle rotte dell’aquila – Gli scrittori italiani nella filatelia mondiale», Edizioni del Rosone – Foggia – 2015 Pagg. 250 con tavole filateliche, € 18,00.

Il Carnevale degli uomini di Alfonso Graziano i è tenuta a Foggia, lo scorso 28 febbraio, presso la Sala Mazza del Museo Civico di Foggia, l’anteprima nazionale dell’ultima raccolta di poesie di S Alfonso Graziano Il carnevale degli uomini (ovvero dell’amore e della morte). L’evento, voluto e organizzato dal Club Unesco di Foggia, si è avvalso del patrocinio del Comune di Foggia. La raccolta è stata presentata dal giornalista-scrittore Nino Abate, mentre ha dato voce ad alcune poesie l’attrice Rosa D’Onofrio. Nato nel 1962 a Foggia, Alfonso Graziano ha iniziato a scrivere presto unendo lo studio della musica classica ai primi testi per canzoni. Accantona la scrittura per qualche anno riprendendola in maniera costante dal 2009. Ha collaborato con la rivista internazionale di poesia diretta da Elio Pecora. Vinto il primo concorso con successiva pubblicazione nell’antologia «In linea» con la poesia nel 2010. Pubblica su quotidiani locali nel 2011. Nel 2012 la prima silloge «Nelle meditate attese» per i tipi di Rupe Mutevole Edizione. A settembre, sempre nel 2012, finalista con menzione speciale al concorso «L’incontro», presidente lo scrittore Alberto Bevilacqua. Inizia la collaborazione con la Fondazione Alfonso Gatto di Salerno. Nel luglio del 2014 finalista nel Premio Letterario «Spiragli di poesia», 4^ edizione, aggiudicandosi il terzo posto. Scrive quotidianamente sul suo blog graalf.wordpress.com Poesia in Terra. È di questo gennaio l’uscita della sua nuova fatica «Il carnevale degli uomini ovvero dell’amore e della morte» per i tipi di Divinafollia e la presenza nella antologia «Hic sunt leones» per Limina Mentis edizioni. Floredana Arnò Presidente Club Unesco Foggia



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