Diario Tuscia Medievale e la sua natura

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Un tuffo nella Tuscia medievale e la sua natura

DOMENICA 20 OTTOBRE 2013


Appuntamento sul piazzale della Faggeta di Soriano al Cimino e tutti allegri cominciamo la nostra salita sul Monte Cimino per raggiungere la sua vetta di 1053 metri di altezza. La passeggiata tra i faggi maestosi è spettacolare, i colori dell’autunno, il silenzio assoluto e i piccoli ciclamini selvatici che incontriamo sul nostro cammino, rendono tutto molto magico. Un breve racconto sulla storia di questa faggeta e dei suoi “abitanti” e poi continuiamo a passeggiare fino alla torretta sulla cima e poi alla scoperta degli antichissimi domi ricoperti di muschio. Qualcuno si perde nel bosco e nell’attesa del ritrovamento la nostra Maestra di Yoga ci intrattiene con alcuni esercizi di respirazione. Ma è già l’ora di pranzo e allora riprendiamo le auto per raggiungere il Centro TusciaDoc che ci aspetta e

delizia con mille specialità gastronomiche tipiche di questa zona. Ci attardiamo molto seduti al nostro tavolo, tra chiacchiere, bicchieri di vino rosso e bianco, battute e delizie varie. Alzarci è faticoso ma ci aspetta la Sagra della Castagna a S. Martino al Cimino, la sua splendida Abbazia cistercense e il pittoresco borgo medievale. Passeggiamo beati tra bancarelle, profumo di caldarroste e vino rosso, musica e artigiani per poi salutarci tra baci, abbracci e suggerimenti per le prossime gite….. Ringrazio tutti i partecipanti per aver festeggiato con noi il 1° anniversario della Associazione culturale “Andar per Arte”. Ad maiora !!!


SAN MARTINO AL CIMINO. La chiesa e il borgo. L’ Abbazia - storia La prima notizia di un edificio di culto sui monti Cimini (monte Fogliano) risale all’anno 838, e si trova in un documento da cui risulta la donazione all’abate di Farfa appunto di una chiesa dedicata a San Martino, posta in un sito impervio e non salubre. I monaci benedettini probabilmente spostarono la chiesa nell’attuale collocazione, e diedero avvio ad un’opera di bonifica impiantando diverse colture e soprattutto vigneti. Intorno alla metà del sec. XII° risulta però una certa difficoltà economica dei monaci, motivo per il quale fu ritenuto da Papa Innocenzo III° (legato alla Francia per aver studiato teologia a Parigi) di affidare la gestione del monastero ai monaci cistercensi direttamente provenienti dalla casa madre di Pontigny. Questo perché il Papa riteneva, in un momento in cui l’unità della Chiesa era scossa da movimenti eretici, che gli ordini monastici popolari e mendicanti, potessero riavvicinare la Chiesa stessa al popolo. I monaci presero quindi in affidamento la chiesa e la ricostruirono trasformandola in abbazia, ovvero in una struttura molto più ampia ed articolata, che poteva ospitare quei servizi così importanti per le persone che vivevano intorno ad essa: una biblioteca (ovvero qualcuno che sapesse leggere e scrivere), una infermeria, locali per l’ospitalità dei pellegrini, la protezione per il popolo. La abbazia divenne quindi, grazie a questi interventi, una delle più originali ed importanti testimonianze di gotico cistercense in Italia. Venne consacrata nel 1225, anche se non era ancora completata.


Successivamente però i monaci vennero cacciati (13171323) ad opera di Silvestro Gatti, un signore di Viterbo a loro ostile. Nel 1329, alla morte del Gatti, i monaci tornarono a prendere possesso dell’abbazia, il monastero però cadde in rovina, e fra alterne vicende i monaci abbandonarono l’abbazia sembra definitivamente verso il 1461. Subito dopo il complesso venne affidato al Cardinal Piccolomini, futuro Papa Pio III, che fece effettuare alcuni restauri, e probabilmente fece realizzare la finestra centrale nella facciata ( fu forse la apertura della grande finestra che causò la instabilità e la successiva realizzazione delle due torri in facciata). Nel 1564 la abbazia viene affidata allo stesso organo che gestiva la Basilica di San Pietro, e quindi al Vaticano. Nella prima metà del ‘600 l’edificio, forse a causa della spinta delle volte bilanciata in modo insufficiente dai contrafforti, fu danneggiato e si dovette intervenire ricostruendo la parte centrale della chiesa (come risulterebbe dall’esame della muratura e dei capitelli); sugli autori e le date dei lavori non ci sono certezze anche se gli studiosi pensano che furono conclusi nel 1647, come dimostrerebbe una lapide commemorativa all’interno dell’edificio.


Nel 1645 San Martino fu ceduto dai canonici di San Pietro a Donna Olimpia Maidalchini Pamphilij, cognata di Innocenzo X, in cambio di denaro e di altri terreni nel Lazio. La nobildonna fece eseguire degli importante lavori di rinnovamento di tutto il borgo, fece costruire Palazzo Pamphili distruggendo una parte della abbazia fra cui il chiostro e inglobandone alcuni locali, e fece realizzare su disegno di Borromini, le due grandi torri campanarie sormontate da cuspidi piramidali, che dovevano fungere da contrafforti per impedire lo slittamento in avanti della facciata della chiesa. Donna Olimpia è una figura molto nota a Roma, e rimasta nella memoria popolare. Di origini viterbesi, aveva sposato un ricco proprietario terriero ed era rimasta vedova molto presto, a vent’anni. Era una donna ambiziosa, che voleva farsi strada nella società romana. Sposò quindi in seconde nozze Pamphilio Pamphili, nobile non particolarmente ricco ma molto ben introdotto. Da questo momento si dedicò, manifestando grande intelligenza e scaltrezza, ad accrescere il prestigio e la ricchezza della famiglia Pamphili. In particolare contribuì alla carriera ecclesiastica del fratello del marito, Giovanni Battista, che fu nominato prima nunzio a Napoli, poi cardinale e legato presso la corte di Francia, e infine, nel 1644, Papa, con il nome di Innocenzo X. Divenne quindi una vera potenza: gestiva nomine, affari, riconoscimenti. Uno dei suoi meriti è quello di aver gestito il nuovo assetto architettonico di piazza Navona: la ristrutturazione del Palazzo Pamphili, accanto alla costruzione della chiesa di Sant’Agnese e il posizionamento al centro della piazza la Fontana dei 4 fiumi del Bernini. Era però molto malvista dal popolo, e non solo. Il suo potere finì per essere ritenuto eccessivo persino dal Papa, che verso la fine del 1650 decise di allontanarla da Roma relegandola a San Martino, che era già di sua proprietà. Della abbazia restarono quindi, oltre alla chiesa, la sala capitolare (ad unica navata in tre campate), il refettorio (due navate di 4 campate con copertura a crociera e tre colonne centrali polilobate), inglobate nel palazzo Pamphili, e i pochi resti del chiostro. Nel periodo barocco la chiesa fu oggetto di interventi di arricchimento secondo il gusto dell’epoca, pare per iniziativa del Principe Girolamo Pamphili, e vennero inseriti in quell’occasione, lungo le navate, molti altari con pale d’altare ed altri elementi decorativi tipici dello spirito dell’epoca. L’opulenza degli interventi, la dominanza di oro e rosso, trasformarono completamente la austera chiesa cistercense. Verso la fine del 1800 la chiesa fu ancora una volta oggetto di un’opera di restauro che portò alla eliminazione degli altari barocchi con quasi tutte le loro suppellettili e quadri, nonché alla rimozione degli strati di intonaco che rivestivano le murature. Va detto che questa operazione avvenne anche per lo scarso favore che viveva in quel momento l’arte barocca, definita quasi come degenere, rispetto alla purezza delle linee medievali. Gli altari e gli elementi barocchi eliminati in quell’occasione sono da qualche anno comunque oggetto di studio. Il termine barocco deriva da un'antica parola portoghese, barrueco, usata per definire una perla irregolare, asimmetrica, non armonica. Un’altra scuola fa risalire il termine barocco al francese baroque, attestato in Francia nel XVII sec. nel significato di .

Il gotico Dalla fine del XII° secolo in poi, con il declino dell’Impero d’Oriente e il defluire delle invasioni musulmane, si formano culture nazionali nel mondo neolatino. Il centro di questa cultura che verrà chiamata “gotica” è la Francia, ma con caratteri propri esisteranno il gotico tedesco e italiano. La nuova realtà urbana, l’aumento della capacità economica, la fiducia nella tecnica, la possibilità di “ideare“ la architettura portano a questo modo di costruire dinamico, con strutture leggere ed ardite. Tutto tende verso l’alto, verso Dio.


La chiesa La facciata della chiesa è piuttosto solenne, sottolineata dalle due torri e dalla grande finestra, con il rosone centrale composto da otto petali, che richiama quella della Loggia dei Papi di Viterbo. Il portale di ingresso è molto semplice, presenta una lunetta con lo stemma di Innocenzo X° Pamphili (tre gigli e la colomba con il ramoscello d’ulivo), ed è sormontato da un arco a tutto sesto con colonnette laterali e capitelli con foglie di acanto. L’interno riflette la essenzialità della regola monastica cistercense, aliena da decorazioni e da qualunque elemento di risalto o “lusso”, ritenuto inopportuno, ed è quindi essenziale nelle linee e nella distribuzione degli spazi. La pianta è a croce latina, a tre navate. La navata centrale è suddivisa in quattro campate, ed ogni campata centrale corrisponde a due campate laterali. Pilastri polilobati (quadrati con addossate semicolonne), alternati a colonne, archi ogivali. Transetto a tre campate con quattro cappelle che affiancano l’abside. Le volte sono a crociera. L’aspetto della chiesa rivela nei particolari che la sua genesi non è stata unitaria: le murature sono diverse a tratti, i pilastri sono diversi tra loro, così come le finestre e le murature stesse. Anche i capitelli sono diversi: a “crochet”, con foglie angolari uncinate, con foglie terminanti a “bouquet”, a foglie d’acanto. Da segnalare che sopra al capitello della colonna meridionale nella prima campata orientale della navata centrale è visibile llo stemma del Cardinal Piccolomini. La navata centrale è molto alta, richiamando nel verticalismo gotico il desiderio dell’uomo di elevarsi verso Dio. All’incrocio fra la navata e il transetto c’era la torre campanaria, ancora visibile all’esterno. La navata centrale è molto luminosa dato che riceve luce dalla grande finestra della facciata e dall’abside, mentre quelle laterali sono più buie, dando un effetto scenografico e suggestivo. Nel transetto, a ovest troveremo in fondo la 'porta dei morti' che conduceva al cimitero dei monaci, che oggi è murata. Vi sono anche residui di affreschi. Sul lato opposto la porta di accesso al chiostro. All’inizio della navata destra, un fonte battesimale del Seicento con lo stemma della fabbrica di San Pietro, protetto da un’elegante cancellata barocca con insegne pamphiliane. Nella navata centrale, sul pavimento, una lapide del XVII secolo ricorda il cardinale Raniero Capocci, benefattore della costruzione, ed il cardinale Francesco Piccolomini (futuro Papa Pio III°), committente di concreti rifacimenti dell’abbazia nel XV secolo. Un’altra lapide marmorea, nel presbiterio, è posta sulla tomba di Donna Olimpia Maidalchini (1594-1657). Nel 1967 la Soprintendenza ai Monumenti di Roma e del Lazio ha provveduto al rifacimento del pavimento.

Esterno della chiesa L’esterno della chiesa è in peperino, pietra vulcanica di colore grigio, il cui nome deriva dal latino lapis peperinus derivato a sua volta da piper, ovvero pepe, per la presenza di particelle nere simili a grani di pepe. Sul lato sinistro della chiesa si trovava il chiostro, addossato alla stessa, ma di esso restano solo tre archetti che poggiano su colonnine singole e binate. E’ visibile una porta, murata, che era l'antico ingresso dei monaci alla chiesa dal chiostro, e che presenta un'incisione sulla lunetta: una croce gigliata da cui dipartono tralci di vite e grappoli d'uva, motivo che si riscontra in chiese cistercensi del XIII secolo ed analogo a quello dell'abbazia di Casamari, datato alla prima metà del 1200. All’esterno possiamo ammirare i contrafforti e l’abside poligonale (esempio unico in Italia), con un doppio ordine di monofore.


Via Francigena La via Francigena era una delle antiche vie che venivano percorse per i pellegrinaggi, soprattutto durante il medioevo, verso più importanti centri di spiritualità del Cristianesimo. Le destinazioni erano: la tomba dell’apostolo Pietro (quindi Roma), la tomba dell’apostolo Giacomo (quindi Santiago di Compostela), e naturalmente la Terra Santa (ovvero Gerusalemme). I pellegrini percorrevano, a piedi per motivi penitenziali, circa 20/25 km. al giorno. La Via Francigena, che attraversava la terra dei Franchi, ovvero la Francia, proveniva da Canterbury ed attraversava quindi buona parte della penisola per raggiungere Roma. Il passaggio continuo di pellegrini appartenenti a paesi diversi lungo questi percorsi ha permesso un eccezionale passaggio di segni, linguaggi, culture, forgiando la base economica, politica e culturale dell’Europa moderna. Goethe dice che la coscienza dell’Europa è nata lungo le vie dei pellegrinaggi.

Abitato e Palazzo Pamphilij. Il paesino nasce intorno al 1200, approssimativamente quando viene edificata la abbazia, ed è originariamente uguale a molti altri centri sorti in quel periodo.

Sorge piuttosto in alto per motivi difensivi (560 m.), in un luogo paesisticamente molto bello e dominante il territorio della Tuscia, e vicino alla via Francigena, che passa al di sopra del borgo. Il passaggio dei pellegrini dava anche qualche vantaggio economico. Abbiamo visto che nel 1645 il borgo venne ceduto a Donna Olimpia Maidalchini Pamphili, che lo fa diventare Principato. A San Martino Donna Olimpia si diede molto da fare per ristrutturare il borgo, incaricando i grandi artisti del momento. Borromini intervenne sull’abbazia, realizzando le due torri della facciata, e Marc’Antonio Dè Rossi, architetto di grande prestigio che aveva eseguito importanti lavori a Roma (a Castel Sant’Angelo), di formazione militare, ideò il nuovo disegno del borgo, ed anche le mura perimetrali, la porta nella parte alta delle mura e le abitazioni, dando luogo ad un interessante esperimento di urbanistica, con echi scenografici barocchi. La bella porta nella parte bassa del borgo, verso Viterbo, realizzata nel 1654 su disegno del Borromini, è coronata dallo stemma dei Pamphili e da una targa commemorativa della rinascita del paese ad opera di questa famiglia.


La forma del borgo era approssimativamente ellittica ed era composta da due file di case, parallele, attaccate le une alle altre. E’ ben visibile dall’alto. Le case sono tutte uguali, a schiera, a due piani, con scala centrale, due locali al piano terra e due locali al primo piano, tetto a spioventi che segue degradando l’andamento del terreno. Quelle della fascia esterna sono addossate alle mura e ne formano il disegno. Donna Olimpia cercò anche di agevolare il popolamento del borgo concedendo alle giovani coppie che decidevano di risiedervi una abitazione, la dote nuziale e la esenzione dalle tasse per i primi cinque anni di residenza. Il borgo venne inoltre dotato di tutti i servizi: un teatro, osterie, spacci, lavatoi pu.bblici e fontane, e addirittura la casa del gioco della pallacorda. Testimonianza dell’assetto del borgo è un dipinto conservato nel museo dell’Abate di San Martino.

Palazzo Doria Pamphilij Dell’ampio progetto fece parte anche la realizzazione del Palazzo Doria Pamphilij, eretto incorporando (e distruggendo) parte della Abbazia, a cui sembra abbia lavorato anche il Bernini. Per la edificazione del palazzo vennero utilizzati parte dei materiali avanzati dalla ristrutturazione del palazzo di proprietà della famiglia Pamphilj sito a Roma in piazza Navona. Il Palazzo è collegato direttamente con la Abbazia, tramite una specie di corridoio costruito sopra un arco che collega il chiostro con la piazza retrostante la stessa Abbazia. Nella parte sottostante ci sono alcuni locali oggi sede della confraternita, all'interno dei quali, in una vela del soffitto di una piccola stanza, è raffigurato in un affresco, il castello di Montecalvello, feudo della famiglia Pamphili e successivamente, proprietà di Donna Olimpia. Donna Olimpia mori di peste nelle sue tenute di San Martino nel 1657 all’età di 63 anni ed è sepolta all’interno della Abbazia, nella navata centrale. Una lastra di marmo dalle chiare connotazioni barocche, al centro della zona absidale, ricorda lei e Girolamo Pamphili (suo discendente). Innocenzo X° era morto nel 1655.

San Martino. San Martino era un cavaliere romano, cristiano, vissuto nel IV° secolo d.C. Era nato in Pannonia (Ungheria) e suo padre, militare, oltre ad avergli dato un nome che lo dedicava al Dio Marte, lo aveva fatto arruolare nell’esercito imperiale. Prestò servizio in Gallia, dove avvenne l'episodio per cui ancora adesso è ricordato: - incontrato un povero viandante che tremava per il freddo, tagliò con la sua spada il mantello e gliene diede metà. Miracolosamente la giornata prima fredda divenne tiepidamente primaverile: l’estate di San Martino. La notte seguente sognò Gesù, che gli rivelò di essere lui stesso il viandante. Divenuto Vescovo di Tour, ebbe effettivamente fama di uomo santo, profondamente cristiano, vicino ai bisognosi e ai perseguitati, iniziatore di una grande opera di conversione dei Galli. Per il suo atto di carità è patrono dei medicanti, per il mantello dei sarti.


Associazione Culturale ANDAR PER ARTE Via dei Faggi 3 01015 Sutri (VT) Telefono: 340/3324511 - 0761/1767213 info@andarperarte.com www.andarperarte.com

Testo: Francesca Romana Targia Grafica: Maria Luisa Garabelli Fotografie: Giovanni Galotta


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