RECOVER magazine n. 47

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Poste Italiane Spa - Sped. in a.p. - D. L. 353/2003 cov. in L. 46/2004, art1, c1 - CB-NO/Torino - Anno 12 n. 47 - ISSN 2421-2938 DEA edizioni s.a.s. Corso Tassoni 79/4 - 10143 Torino

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G I U G N O 2019

www.recoverweb.it

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PR IMO

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PI AN O

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S O M M A R I O S OM M A R I O

RUBRICHE

News 6 Nad 75 Vetrina 77 Libri 78 Appuntamenti 79

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Riciclare è meglio che produrre

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di Maria Beatrice Celino

di Maria Beatrice Celino

SPECIALE

PRIMO PIANO

I rifiuti sono un’opportunità industriale

di Maeva Brunero Bronzin

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ATTUALITÀ

Automazione, la strada del futuro

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Biometano, risorsa rinnovabile

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di Laura Veneri

di Maeva Brunero Bronzin

Miniere urbane, risorse da recuperare, pericolosità, sviluppo diretto e indotto

di Emilio Guidetti

Stati Generali delle Demolizioni di Massimo Viarenghi

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Nuovo record: nel 2018 avviato a riciclo il 78,6% degli imballaggi in acciaio

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di Bruno Vanzi

di Roccandrea Iascone

Ambiente Lavoro 2019: la salute è un lavoro di squadra di Laura Veneri

di Maria Beatrice Celino

Piccole e grandi novità

Demolire per rinascere

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Il rifiuto organico: una risorsa preziosa

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Diamoci un taglio

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di Bruno Vanzi

di Laura Veneri

PROGETTI E TECNOLOGIE

Geofiltri tessili tubolari per la disidratazione e la bonifica di fanghi di dragaggio

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Caratterizzazione, risanamento e recupero di vecchie discariche

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di Lorenzo Frigo e Marco Zausa

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di Fabio Ermolli e Andrea Guerini

PANORAMA AZIENDE

Trituratori che trasformano rifiuti in combustibile alternativo

WORK IN PROGRESS

di Laura Veneri

Macchine movimento terra, il mercato è in crescita

di Maria Beatrice Celino

Tecnologie per la compressione dell’aria nella depurazione dei reflui

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NORMATIVA

L’abbandono di rifiuti e l’obbligo di rimozione in capo ai proprietari dell’area

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Sfalci e potature, rifiuti urbani?

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di Rosa Bertuzzi

di Cinzia Silvestri

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MACCHINE MOVIMENTO TERRA: I DATI RIPORTANO UNA CRESCITA PER IL MERCATO ITALIANO E BUONI RISULTATI PER LE ESPORTAZIONI. NEL 2019 CI ASPETTA UN RALLENTAMENTO MA DAL 2020 UNA NUOVA RIPRESA

20 RINASCE ZINGONIA. INIZIATA LA DEMOLIZIONE DELLE TORRI DEL QUARTIERE IN PROVINCIA DI BERGAMO COSTRUITE NEGLI ANNI SETTANTA A SCOPO RESIDENZIALE E OGGI DIVENUTE SIMBOLO DEL DEGRADO DELL’AREA

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GEOFILTRI TESSILI TUBOLARI PER LA DISIDRATAZIONE E LA BONIFICA DI FANGHI DI DRAGAGGIO: SEMPLICITÀ IMPIANTISTICA, BASSI CONSUMI E POSSIBILITÀ DI RIUTILIZZO NELL’APPLICAZIONE AL LAGO DI OCCHITO

59 SFALCI E POTATURE SONO O NON SONO RIFIUTI URBANI? INTERVIENE LA LEGGE COMUNITARIA 2018 CERCANDO DI PORRE FINE AL PRECONTENZIOSO CON LA COMUNITÀ EUROPEA E A ULTERIORI PROCEDURE DI INFRAZIONE

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RUBR I C H E

NEWS

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ISPRA DENUNCIA: BONIFICHE SOLO SU 1/4 DEI GRANDI SITI INQUINATI

COMMISSIONE AMIANTO: PRIMO OBIETTIVO RIFORMARE LA NORMATIVA

Il Presidente di Ispra Stefano Laporta in audizione alla Commissione Ecomafie martedì 7 maggio 2019 con l’affermazione “la situazione dei Sin non è brillante” ha reso noto che 2/3 dei Siti di interesse nazionale italiani (Sin) sono fermi alla caratterizzazione. Gli interventi di bonifica sono stati avviati o completati solo su 1/4 dei 41 grandi siti contaminati individuati dal Ministero sul territorio italiano, i cui nomi echeggiano frequentemente sulle pagine dei quotidiani: Bagnoli, Brescia Caffaro, Casale Monferrato, Cengio e Saliceto, Crotone, Gela, Porto Marghera, Porto Torres, la valle del fiume Sacco. Su 2/3 di questi siti, sono state fatte soltanto le analisi preliminari. Per una superficie totale di 171.268 ettari a terra e di 77.733 ettari a mare (esclusi 6 siti con caratteristiche peculiari) ad oggi la caratterizzazione di suoli e acque sotterranee è stata completata per il 66% delle superfici. Gli interventi di bonifica o messa in sicurezza risultano approvati per il 12% dei suoli e il 17% delle acque sotterranee, mentre queste attività si sono concluse per il 15% dei suoli e il 12% delle acque sotterranee. Le problematiche che rallentano o arrestano le procedure o portano a fasi di stasi sono state individuate nella frammentazione e nei cambiamenti di proprietà dei terreni, che rendono difficile risalire ai responsabili degli inquinamenti, e nella normativa farraginosa e contraddittoria con sovrapposizioni di competenze. Il presidente della Commissione Ecomafie, il deputato Stefano Vignaroli (M5S) incoraggia: “Di bonifiche nelle aree Sin la Commissione si è occupata anche nella scorsa legislatura, e continua a mantenere alta l’attenzione sul tema. In gran parte delle nostre inchieste, infatti, stiamo incontrando aree Sin: approfondiremo lo stato delle procedure di ripristino ambientale e le cause dei ritardi. Questa audizione rientra in un più ampio rapporto di preziosa collaborazione con Ispra, che comprende anche la fornitura di dati e informazioni tecniche”.

Si è riunita per la prima volta il 15 maggio in sede ministeriale la Commissione Amianto, istituita da Sergio Costa nel marzo scorso. La commissione è presieduta da Raffaele Guariniello - ex procuratore di Torino che ha istruito e seguito il processo Eternit e dedicato tutta la vita alla lotta contro l’amianto e contro i crimini ambientali - ed è formata dal presidente dell’Osservatorio Amianto, Ezio Bonanni, dal capo della segreteria tecnica del Ministero, Tullio Berlenghi, e dagli esperti Giampiero Cardillo, Stefano Massera e Franco Maroni. In Italia ci sono 150 milioni di edifici che contengono amianto per 32 milioni di tonnellate secondo la stima Cnr-Inail, 40 milioni di tonnellate stimati invece dall’Ona e l’unico modo per limitare i casi di mesotelioma è eliminare l’esposizione. Secondo i ritmi odierni di bonifica, è stato calcolato che servirebbero 60 anni per rimuovere tutto il materiale pericoloso. Questi sono i dati che hanno allarmato e portato all’istituzione della neonata Commissione. Gli obiettivi definiti durante questo primo incontro sono: • la presentazione di una proposta di riforma della normativa in materia entro tre mesi, per colmare i buchi normativi e fare chiarezza sulle 450 leggi, fra statali e regionali, che regolano l’amianto, spesso in contrasto fra di loro; • il monitoraggio delle bonifiche e il coordinamento degli interventi con gli altri due ministeri competenti in materia, quello della Giustizia e quello della Salute, per far fronte alla mancanza di discariche che inibisce in partenza i monitoraggi che non vengono effettuati perché poi nasce il problema di dove poter smaltire. “Voglio una Commissione che sia inclusiva - ha detto il ministro Costa -. Mi impegno a incontrare periodicamente tutte le associazioni che si occupano di amianto”.


FIRMATO IL PRIMO DECRETO END OF WASTE PER IL RICICLO DEI PAP Il Ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, ha firmato il 15 maggio 2019, il decreto End of Waste per il riciclo dei Pap, Prodotti assorbenti per la persona, come i pannolini e gli assorbenti igienici. I decreti End of Waste regolano il riciclo e fissano i criteri per i quali un rifiuto può essere definito materia prima seconda.

Secondo le parole del Ministro il decreto “permetterà di far decollare un’industria tutta italiana, creando tantissimi nuovi posti di lavoro. Si potranno quindi recuperare e non mandare a incenerimento o discarica ben 900 mila tonnellate l’anno di rifiuti. Questi sono i passi giusti per un futuro sostenibile e un’economia circolare che coniughi posti di lavoro e tutela ambientale, dando piena realizzazione alla gerarchia dei rifiuti, come fissata dall’Unione europea”. Il primo impianto per il riciclo dei pannolini in Italia si chiama FaterSmart e si trova a Lovadina di Spresiano, nel Trevigiano. Attivato nel 2017, l’impianto pilota sarà in grado, una volta a regime, di trattare ogni anno circa 10mila tonnellate di prodotti assorbenti per la persona usati, l’equivalente dei rifiuti prodotti da un milione di persone e consente il recupero al 100%, differenziato, di plastiche, cellulosa e polimeri super assorbenti. Il processo di recupero e riciclaggio si basa su un’innovazione tecnologica riconosciuta dalla Commissione Europea come Eco-Innovation nel 2011 (RECALL - ECO/11/304440) e prevede la raccolta porta a porta, il lavaggio e sterilizzazione e la separazione in serie, attraverso un sistema di cilindri rotanti, di cellulosa, plastica e polimero super assorbente, che una volta rigenerati tornano a nuova vita. L’azienda ha ricevuto il Premio Sviluppo Sostenibile per il settore rifiuti e risorse a Ecomondo 2018. Prossimamente, al termine di un iter che prevede anche un parere della Commissione europea, verranno firmati i decreti End of Waste per il recupero degli pneumatici, di carta e cartone, delle plastiche miste e dei rifiuti da costruzione e demolizione.


RUBR I C H E

NEWS LE DIVERSITÀ DEI TERRITORI ITALIANI OSTACOLANO LA STRADA VERSO LA SOSTENIBILITÀ L’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS), proseguendo il lavoro iniziato con il Rapporto 2018, pubblica l’analisi sottoscritta il 25 settembre 2015 da 193 Paesi, Italia inclusa. L’indagine, illustra, attraverso dati raccolti fino alla fine dell’anno 2017, l’evoluzione dei territori italiani rispetto al raggiungimento dei 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile previsti dall’Agenda 2030. Dai dati emergono i punti di forza e di debolezza delle Regioni e delle Province autonome nel percorso verso la piena sostenibilità economica, sociale, ambientale e istituzionale. Enrico Giovannini, Portavoce dell’ASviS, spiega il lavoro e gli obiettivi della ricerca e ne commenta i risultati: “Che nessuno venga lasciato indietro è il motto dell’Agenda 2030. Per questo l’ASviS monitora il percorso del Paese verso la sostenibilità guardando anche alle disuguaglianze territoriali. Misurare l’andamento dei diversi territori rispetto a tutte le dimensioni della sostenibilità consente ai decisori di disegnare in modo efficace le proprie Strategie Regionali di sviluppo sostenibile e ai cittadini di valutare i risultati raggiunti. L’Italia è indietro nel percorso di transizione verso lo sviluppo sostenibile e poiché molte politiche sono di competenza delle Regioni e delle Province autonome spetta anche a loro adottare i provvedimenti necessari per accelerare questo processo”. Il monitoraggio della condizione dei diversi territori italiani rispetto al programma dell’Agenda 2030 attuato da ASviS rientra in un più ampio progetto volto ad accompagnare Regioni e Province autonome nell’elaborazione di nuove progettualità in linea con gli Obiettivi di sviluppo sostenibile. “La collaborazione già instaurata con alcune Amministrazioni regionali”, nota il Presidente dell’ASviS, Pierluigi Stefanini, “dimostra i vantaggi del coinvolgimento della società civile nei processi di valutazione e di programmazione, anche in vista dell’adozione dell’Agenda 2030 come quadro di riferimento del bilancio europeo per il periodo 2021-2027. Le Regioni che avranno già orientato le proprie politiche allo sviluppo sostenibile saranno maggiormente in grado di proporre progetti finanziabili dai fondi comunitari”. L’attenzione ai diversi territori che compongono il nostro Paese, pienamente coerente con la Strategia Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile (SNSvS) - approvata dal

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Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica nel dicembre del 2017 -, è giustificata dalla loro eterogeneità. La strategia prevede che le Regioni e le Province Autonome approvino le proprie Strategie Regionali di sviluppo sostenibile entro un anno dalla sua approvazione, tenendo conto delle specificità che ogni ambito territoriale presenta. Inoltre, prevede la necessità di assicurare il coordinamento degli indicatori scelti e di garantire un coordinamento metodologico dei processi di definizione delle singole strategie di sostenibilità.

SCAMPIA, DOPO 16 ANNI RIPARTE LA DEMOLIZIONE Riparte il piano pluridecennale di riqualificazione di Scampia, con l’avvio, nel maggio 2019, delle opere di demolizione della Vela A detta anche Verde, cui seguirà l’abbattimento delle Vele C e D, la Gialla e la Rossa. Il piano era stato avviato nel 1997 con la demolizione di una prima Vela, seguita da una seconda nel 2000 e una terza nel 2003. Poi l’attesa durata 16 anni. I lavori ricominciano con la bonifica dei rifiuti speciali. La demolizione avverrà senza esplosivo, con l’utilizzo di mezzi cingolati dotati di pinze capaci di frantumare le strutture. Seguirà la riqualificazione per la quale sono disponibili 20,6 milioni, ottenuti dal Comune di Napoli partecipando al Bando Periferie indetto nel 2016 dal Governo Gentiloni su iniziativa del ministro Graziano Delrio. 4,3 milioni sono destinati alla demolizione delle tre Vele A, C, D, 15 milioni alla riqualificazione di alloggi temporanei nella Vela Celeste, un milione sarà utilizzato per la sistemazione delle aree esterne e 350mila euro per indire un concorso internazionale di idee per la ricostruzione dell’area liberata, il Lotto M. A eseguire le demolizioni sarà l’impresa D&D Costruzioni Generali di Pozzuoli di Raffaele Durzo. Le sette Vele di Scampia, costruite con la legge 167 del 1962 e progettate dall’architetto Franz Di Salvo, su incarico della Cassa del Mezzogiorno, dovevano essere un esempio di innovazione e sperimentazione urbanistica. Ispirati ai princìpi di Le Corbusier gli edifici “a Tenda” prevedevano una serie di attrezzature collettive che, però, non vennero mai realizzate e il progetto fallì. Negli anni ’90 la Giunta Bassolino istituì un Ufficio per le Periferie e cominciò la lotta per la demolizione. Il primo risultato si ebbe nel 1993 quando la Finanziaria stanziò 160 miliardi di vecchie lire per la demolizione delle Vele e la ricostruzione di nuove case. E riprende solo oggi.


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P I A N O

I RIFIUTI SONO UN’OPPORTUNITÀ INDUSTRIALE SERVONO NUOVI IMPIANTI, NUOVI INVESTIMENTI E UNA STRATEGIA NAZIONALE di Maeva Brunero Bronzin

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l grido dall’allarme è lanciato da più parti. Associazioni, Federazioni, Gruppi industriali chiedono a gran voce che si investa nell’economia circolare per chiudere il ciclo dei rifiuti creando nel contempo risorsa. Rapporti, convegni e seminari sono concordi nel dire che si debba fare molto di più: aumentare la raccolta differenziata, incrementare le percentuali di

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riciclo, limitare l’uso della discarica, ricorrere maggiormente alla termovalorizzazione, ecc. FISE Assoambiente, l’Associazione delle imprese di igiene urbana, riciclo, recupero e smaltimento di rifiuti urbani e speciali e attività di bonifica, ha presentato ad aprile il Rapporto “Per una Strategia Nazionale dei rifiuti” in cui si ipotizza che “servano 10 miliardi di

euro di investimenti nei prossimi 15 anni per raggiungere gli obiettivi della circular economy”. Qualche giorno prima, Utilitalia, la Federazione delle imprese di acqua, ambiente ed energia, aveva presentato il “Rapporto sul Recupero Energetico da rifiuti in Italia” in collaborazione con Ispra in cui dichiarava: “Occorrono nuovi impianti per ridurre lo smaltimento in discarica. Inoltre è necessaria una strategia nazionale che limiti il trasporto fra diverse regioni e le esportazioni, abbattendo le emissioni di CO2”. La normativa europea indica l’economia circolare come la soluzione per una crescita sostenibile. Oggi la nostra economia si basa su un modello lineare che non è più perseguibile data la sempre minore disponibilità di materie prime. Realizzare l’economia circolare non è un passaggio semplice ma è necessario avviarlo attraverso passi precisi che ci permettano di chiudere il cerchio della gestione dei rifiuti, aumentando il riciclo e il recupero energetico per minimizzare l’uso


CHICCO TESTA, PRESIDENTE DI FISE ASSOAMBIENTE “Il nostro Paese, necessita di una Strategia Nazionale di gestione dei rifiuti che, al pari di quella energetica, fornisca una visione nel medio-lungo periodo (almeno ventennale) migliorando le attuali performance. Fare economia circolare significa disporre degli impianti di gestione dei rifiuti con capacità e dimensioni adeguate alla domanda. In Italia servono impianti di recupero (di materia e di energia) capaci non solo di sostenere il flusso crescente in particolare delle raccolte differenziate di rifiuti, ma anche di sopportare fasi di crisi dei mercati esteri; servono anche impianti di smaltimento finale (discariche), capaci di gestire i rifiuti residuali quali gli scarti generati dal processo di riciclo e quelli che non possono essere avviati a recupero o a trattamenti. Un investimento complessivo che richiederà 10 miliardi di euro. […] Serve una cabina di regia nazionale che sotto il coordinamento della Presidenza del Consiglio, con responsabilità condivise del Ministero dell’Ambiente e del Ministero dello Sviluppo Economico, coinvolga tutti gli attori istituzionali e industriali, con l’obiettivo di gestire rifiuti urbani e speciali nella logica dell’economia circolare e rafforzare ulteriormente quello che già oggi è il principale distretto del riciclaggio d’Europa”. delle discariche. Secondo gli ultimi dati ISPRA, in Italia si producono 135 milioni di tonnellate di rifiuti speciali (2016) e circa 30 milioni di rifiuti urbani (2017), di cui avviamo a riciclo, rispettivamente, il 65% (92 milioni di ton) e il 47% (15 milioni di ton). Non c’è economia circolare senza impianti, ci dice lo studio di Fise Assoambiente: “Fare economia circolare significa disporre degli impianti di gestione dei rifiuti con capacità e tipologie di dimensioni adeguate alla domanda”. In Italia servono impianti di recupero (di materia e di energia) capaci non solo

di sostenere il flusso crescente in particolare delle raccolte differenziate di rifiuti, ma anche di sopportare fasi di crisi dei mercati esteri; servono anche impianti di smaltimento finale (discariche), capaci di gestire i rifiuti residuali quali gli scarti prodotti dal processo di riciclo e quelli che non possono essere avviati a recupero o a trattamenti.

IMPIANTI E RECUPERO DI ENERGIA

La termovalorizzazione consente il risparmio di risorse energetiche, riducendo per quota parte la dipendenza in

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materia del nostro Paese da fonti fossili e contribuisce anche alla riduzione delle emissioni di gas climalteranti: da 1 tonnellata di rifiuto urbano, residuo rispetto alla raccolta differenziata, si possono produrre 750 kWh di energia elettrica equivalenti a 5 m2 di pannelli fotovoltaici e, inoltre, fino a 1.500 kWh di energia termica impiegabile ad esempio per riscaldamento di edifici, equivalenti a 150 m3 di metano (dati Fise Assoambiente). Sul recupero di energia scende nel dettaglio Utilitalia con il “Rapporto sul Recupero Energetico da rifiuti in Italia”.

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P RI MO

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Sono oltre 180 gli impianti tra inceneritori e digestori anaerobici della frazione organica e dei fanghi di depurazione presenti sul territorio italiano, che nel 2017 hanno prodotto 7,6 milioni di MWh di energia, un quantitativo in grado di soddisfare il fabbisogno di circa 2,8 milioni di famiglie. Dallo studio emerge come il recupero di energia da rifiuti sia essenziale per il conseguimento degli obiettivi fissati dalle direttive europee sull’economia circolare. In Italia, soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno, si registra una carenza impiantistica e se non si inverte questa tendenza, il nostro Paese continuerà a ricorrere in maniera eccessiva allo smaltimento in discarica: attualmente ci attestiamo al 23%, mentre le direttive UE impongono di scendere sotto al 10% entro il 2035. Aumentare la capacità di trattamento degli impianti è quindi necessario per chiudere il ciclo dei rifiuti, perché la raccolta differenziata produce scarti che vanno smaltiti nella maniera ambientalmente più corretta e perché il recupero energetico evita lo smaltimento in discarica. Nel 2017 erano operativi 39 impianti di incenerimento (attualmente ridotti a 37 per la chiusura di Colleferro e Ospedaletto), così dislocati: 26 al Nord, 7 al Centro e 6 al Sud. Al loro interno sono stati trattati 6,1 milioni di tonnellate di rifiuti, 5,3 dei quali di rifiuti urbani, una tendenza in leggera diminuzione rispetto ai 5,6 milioni del 2015. Tali impianti sono ormai saturi e non si prevedono nuove aperture nei prossimi anni. L’85% delle scorie prodotte sono state avviate a riciclaggio, un dato in crescita rispetto all’ultima rilevazione del 2013 (82%); con la revisione delle direttive europee previste nell’ambito del Pacchetto per l’economia circolare, i metalli recuperati dalle scorie di incenerimento concorrono inoltre al raggiungimento dei target di riciclo. Per quanto riguarda invece il controllo delle emissioni in atmosfera, per diversi inceneritori i limiti applicati risultano più stringenti rispetto a quelli determinati dalla normativa vigente, soprattutto per quanto riguarda le polveri, gli ossidi di zolfo ed il monossido di carbonio, ci rassicura Utilitalia.

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Nel 2017 erano operativi nel nostro Paese 55 impianti di digestione anaerobica della frazione organica dei rifiuti urbani - 47 al Nord, 2 al Centro e 6 al Sud - che hanno trattato 6,1 milioni di tonnellate di rifiuti. Nei prossimi anni saranno operativi altri 31 impianti. L’organico, con 6,6 milioni di tonnellate raccolte, rappresenta il 41,2% dei rifiuti urbani che entrano nel circuito della raccolta differenziata, con una crescita media annua dell’8%. Per quanto riguarda invece la digestione anaerobica dei fanghi di depurazione nel 2017 erano operativi 87 impianti: 45 al Nord, 17 al Centro e 25 al Sud. Gli impianti di digestione anaerobica hanno prodotto 1,2 milioni di MWh e gli inceneritori 6,4 milioni di MWh, tra produzione elettrica e termica. Il 100% dell’energia prodotta dagli impianti di digestione anaerobica e il 51% di quella prodotta dagli inceneritori, inoltre, è energia rinnovabile: contribuisce pertanto, sostituendo l’utilizzo di combustibili fossili, alla riduzione delle emissioni di gas climalteranti e alla lotta ai cambiamenti climatici. Si tratta inoltre di energia prodotta localmente che contribuisce a ridurre la dipendenza dall’estero. Il 38% dell’energia prodotta dagli inceneritori è stata oggetto di incentivi, ma questa percentuale si ridurrà progressivamente nei prossimi 10 anni; nel 2017, 18 dei 39 impianti non hanno usufruito di forme di incentivazione. Come emerge dal Rapporto, l’Italia ha urgentemente bisogno di nuovi impianti soprattutto per il trattamento della frazione organica, in mancanza dei quali sarà impossibile mantenere lo smaltimento in discarica al di sotto del 10%; anche perché nei prossimi anni è previsto un considerevole aumento delle percentuali di raccolta differenziata, che si tradurrà in un incremento degli scarti di lavorazione e dei rifiuti organici da trattare.

COSA SERVE PER RAGGIUNGERE GLI OBIETTIVI EUROPEI?

Il pacchetto delle Direttive europee sulla Circular Economy individua al 2035 obiettivi ambiziosi per la gestione dei rifiuti urbani: 65% di riciclo, 10% in discarica. Una quota residuale im-

portante, 25%, dovrà essere avviata a valorizzazione energetica. Per raggiungere questi obiettivi (in presenza di una produzione dei rifiuti urbani stabile) Fise Assoambiente sostiene che dovremo riciclare circa 19 milioni di rifiuti urbani, quindi quasi 6 milioni in più rispetto al risultato attuale e, considerato il tasso di resa (dato dal rapporto tra quantità di ma-

FILIPPO BRANDOLINI, VICEPRESIDENTE DI UTILITALIA “Il problema non è solo quantitativo, ma soprattutto geografico. Senza impianti di digestione anaerobica e senza inceneritori non si chiude il ciclo dei rifiuti e non si potranno raggiungere i target UE. Serve una strategia nazionale per definire i fabbisogni che operi un riequilibrio a livello territoriale, in modo da limitare il trasporto fra diverse regioni e le esportazioni, abbattendo le emissioni di CO2. […] Dal rifiuto organico si produce compost e biometano; per quest’ultimo, un carburante pulito realizzato in perfetta ottica di economia circolare, manca ancora un quadro normativo certo e stabile”.

PAOLA NUGNES, MEMBRO DEL SENATO DELLA REPUBBLICA “C’è necessità di un cambio di paradigma ma non si può fare dall’oggi al domani. Se non si adegua il mercato, se non si adeguano i consumi, in transizione si devono utilizzare gli inceneritori”.


ANDREA FLUTTERO, PRESIDENTE DI FISE UNICIRCULAR “È importante parlare di una strategia per la gestione dei rifiuti e di economia circolare, un percorso che l’Europa ha immaginato di transizione verso un nuovo modello economico. Il periodo che stiamo vivendo conferma che manca una strategia seria per la gestione dei rifiuti, e questi dati lo confermano. È inutile illudere i cittadini che siamo in piena economia circolare. Noi produciamo in economia lineare. In una parte dell’Italia la gestione dei rifiuti funziona bene, in altre parti non funziona bene. Prima di arrivare all’economia circolare è necessario arrivare a un livello ottimale di gestione dei rifiuti. Poi potremmo affrontare il passo successivo, un passo epocale perché bisogna partire anche dalla progettazione degli oggetti. Io ci credo molto e rappresento aziende che vorrebbero non più occuparsi di rifiuti ma di riuso e riciclo di prodotti post consumo. Non vogliamo essere considerati come riciclatori di rifiuti ma come produttori di beni”. teriale in entrata nei processi di riciclo e la quantità in uscita) della raccolta differenziata, la stessa raccolta differenziata dovrà intercettare 6-8 mln di ton di rifiuti in più. È necessario un approccio razionale e coerente alle esigenze del Paese con politiche e azioni adeguate ed essenziali come quelle attuate dai Paesi Nord europei spesso citati come riferimento, afferma l’Associazione. Servono impianti (di riciclo, recupero e smaltimento), non slogan. Risulta necessario avviare un sistema integrato e con una adeguata prospettiva temporale per la gestione dei rifiuti in grado di rispondere alle esigenze ambientali, industriali e di crescita del nostro Paese. Volendo azzerare l’export di rifiuti combustibili, ridurre il conferimento in discarica, e raggiungere (per i rifiuti urbani) gli obiettivi del Pacchetto della

Circular Economy sarà necessario realizzare: • 22 impianti di digestione anaerobica per produzione di biometano e compostaggio da 90.000 ton anno ciascuno; • circa 24 impianti di termovalorizzazione, nell’ipotesi di azzeramento dell’esportazione di rifiuti urbani combustibili, e di una gestione alternativa alla discarica dei fanghi da depurazione trattati (qualora non più utilizzati in agricoltura) e degli scarti non riciclabili; • circa 53 impianti di discarica con una capacità di 200.000 m3/a per rifiuti non pericolosi e pericolosi e per gestire i flussi di scarti del riciclaggio e di ceneri da incenerimento. Discorso a parte merita il riciclo che vede oggi il 55% delle imprese concentrate al Nord Italia, il 20% al Centro e il 25% al Sud e nelle Isole. Per raggiungere quota 65% sarà necessario realizzare più di una ventina di impianti per le principali filiere del riciclo: • 5-6 piattaforme per riciclare 0,7 mln di ton in più rispetto a oggi di carta e cartone; • 3-4 impianti di riciclo degli imballaggi in vetro per gestire 0,5 mln di ton aggiuntive; • 4-5 impianti di selezione e valorizzazione per gli imballaggi in plastica (+0,5 mln di ton); • 2-3 impianti di valorizzazione di metalli (+0,2 mln di ton); • 2-3 impianti di riciclo del legno (+0,2 mln di ton); • 4-5 impianti di selezione e valorizzazione dei RAEE per i +0,3 mln di ton aggiuntivi. Nel complesso tra riciclo, valorizzazione energetica e nuove discariche saranno necessari investimenti per 10 miliardi di euro. Anche i viaggi dei rifiuti devono essere limitati, sia che si parli di import/ export da e per l’Italia, sia entro i limiti nazionali. I traffici di rifiuti da e per l’Italia movimentano ogni anno 9,5 mln di tonnellate (circa 6 in entrata e 3,5 in uscita): una diseconomia che, per carenza di impianti, produce una perdita di potenziale di materia ed energia. Inoltre è necessario riconsiderare la

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gestione delle discariche, facendo riferimento solo a impianti moderni e sostenibili cui destinare esclusivamente le frazioni residuali opportunamente trattate. Oggi la capacità residua ha un’autonomia limitata: tra circa 2 anni sarà esaurita la capienza delle discariche del Nord del Paese, tra meno di un anno lo stesso destino toccherà al Centro, mentre diverse aree del Sud sono già oggi in emergenza. Infine, lo studio di Fise evidenzia come per raggiungere questi obiettivi occorreranno anche strumenti economici a sostegno dell’utilizzo dei materiali riciclati e per l’uso di sottoprodotti e materiali End of Waste, oltre a un quadro normativo chiaro per il settore che semplifichi le procedure di autorizzazione, spinga investimenti e competizione fra imprese, consentendo di realizzare tutti gli impianti necessari.

MARIA ALESSANDRA GALLONE, MEMBRO DEL SENATO DELLA REPUBBLICA “I sistemi di termovalorizzazione sono necessari e producono energia termica ed elettrica. Senza impianti si stanno moltiplicando le discariche abusive”.

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A T T U A L I TÀ

MINIERE URBANE, RISORSE DA RECUPERARE, PERICOLOSITÀ, SVILUPPO DIRETTO E INDOTTO TANTI CONCETTI DENTRO UNA SIGLA: I R.A.E.E. di Emilio Guidetti*

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on l’acronimo R.A.E.E. (W.E.E.E. nella stesura originale inglese) vengono definiti i rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche. Una vasta gamma di elettrodomestici, piccoli e grandi che, dopo averci accompagnato nella quotidianità con una presenza a volte invisibile a volte meno, si avviano verso il fine vita e devono essere intercettati, raccolti e riciclati. Durante il loro utilizzo quasi mai ci si interroga sulla loro pericolosità ambientale una volta che vengono dismessi. Le componenti pericolose utilizzate, soprattutto in anni passati, sono invece tali e tante da destare più di una preoccupazione nella loro gestione; quasi mai la pericolosità è da intendersi sotto il profilo igienico sanitario (almeno ad apparecchiatura integra) mentre merita grande attenzione quella ambientale legata ai gas ozono lesivi e/o climalteranti oppure a metalli pesanti come piombo, cadmio e mercurio largamente usati in tempi passati. La gestione dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroni-

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che, così come molti altri rifiuti gestiti a livello consortile, si basa sul concetto di responsabilità estesa del produttore che ha l’obbligo di finanziare la raccolta e l’avvio al recupero dei prodotti giunti a fine vita. Esiste, in Italia così come in Europa, un sistema di gestione che, attraverso i sistemi collettivi, creati dai produttori e coordinati dal Centro di Coordinamento R.A.E.E., si occupa della gestione di questo importante flusso di rifiuti che transitano dai centri di raccolta comunali (e dagli altri luoghi deputati) verso gli impianti di trattamento di primo livello. Vi sono sicuramente criticità nel settore, come peraltro in tutti, ma non si può nascondere che questo segmento della nostra economia sia pervaso anche da molte opportunità. Opportunità di carattere ambientale, economico e sociale che, estendendo il concetto di miniera urbana, tendenzialmente associata solo alla parte delle risorse da recuperare, ci fa capire come siano molteplici i benefici dello sviluppo della raccolta e l’incremento delle quantità.


DA OBBLIGO NORMATIVO A OPPORTUNITÀ

Le finalità con le quali vengono raccolti e avviati al trattamento i rifiuti elettrici ed elettronici sono essenzialmente le seguenti: • adempiere a un obbligo normativo regolato dal D.lgs. 49/2014; • intercettare e avviare al corretto trattamento le componenti pericolose; • recuperare risorse (metalli ferrosi e non ferrosi, plastiche, ecc.) dal loro trattamento. Ovviamente l’obbligo normativo è il principale volano per la messa in moto e la gestione del sistema; non solo in questo settore comportamenti virtuosi spontanei sono molto rari per non dire assenti. Certamente il livello normativo ha la sua importanza ma, sotto il profilo più generale, non possono essere dimenticati gli altri due capitoli che sono altrettanto importanti. Intercettare e avviare al corretto trattamento le componenti pericolose ha un valore ambientale inestimabile perché, in caso contrario, ci si troverebbe con elementi particolarmente dannosi a contaminare le matrici ambientali dovendo sostenere i costi della bonifica di acque, terreni o aria. L’inquinamento dell’aria è il principale responsabile dei mutamenti climatici con cui stiamo facendo i conti negli ultimi decenni e che vedono incrementarsi i fenomeni meteorologici estremi e opposti: siccità e alluvioni. Nel campo dei R.A.E.E. i principali responsabili dell’interferenza sul clima possono essere identificati nei gas del circuito ed espandenti utilizzati nella produzione di frigoriferi e congelatori: ozonolesivi in passato, climalteranti oggi. Un primo livello di opportunità da cogliere è legato quindi alla tutela dell’ambiente ex ante evitando gli enormi costi usualmente associati agli interventi ex post gestiti in emergenza e comunque non sempre risolutivi. È banale dirlo ma non sporcare è meglio che pulire. Un ultimo livello, ma solo per l’ordine cronologico in cui sono stati scritti, è rappresentato da quello legato al recupero di risorse dal trattamento di questa particolare tipologia di rifiuti. La presenza in queste apparecchiature di materiali come ferro, alluminio, rame, plastiche, cavi elettrici li rende particolarmente idonei a rappresentare il concetto dell’urban mining (le miniere urbane). Come sappiamo, e ritorniamo ancora una volta sul piano ambientale ed energetico, produrre l’alluminio dal minerale od ottenerlo dal materiale riciclato è ben diverso per l’enorme gap energetico associato, così come per altre tipologie di materiale che hanno quindi valori di mercato positivi e sostengono, sempre di più, il bilancio delle aziende di recupero. Vi sono poi materiali da recuperare che rivestono interesse strategico per il sistema Paese in quanto indisponibili sul mercato e/o decisamente onerosi e che possono essere oggetto di recupero da rifiuti. Superando quindi la fase dell’obbligo normativo sono racchiuse nei R.A.E.E. molte opportunità tecniche ed economiche che devono essere sfruttate.

EVOLUZIONE TECNOLOGICA E RECYCLING

Le A.E.E. (apparecchiature elettriche ed elettroniche) hanno vissuto un’accelerazione tecnologica, in tutti i segmenti, mol-

to importante e sono progettati e realizzati per offrire sempre maggiori performance (nel caso del frigorifero temperature adeguate per la conservazione) ma anche servizi (se pensiamo ai display che ci ricordano di fare la spesa). Questa evoluzione di prodotto e tecnologia è stata agevolata, tra le altre cose, dalla messa a disposizione dei produttori di materiali sempre più performanti e di tecnologie elettroniche ed informatiche in grado di controllare le performance e di offrire servizi all’utente come, a puro titolo di esempio, la connettività delle nuove smart TV. La sempre maggiore complessità dei materiali legata all’ottenimento delle performance richieste e che hanno visto l’evoluzione di leghe metalliche o la combinazione o il taglio di polimeri plastici hanno reso più difficile avviare al recupero i rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche che giungono a fine vita. La principale difficoltà è legata alla scarsa conoscenza dei materiali che compongono le A.E.E. e che, al contrario, farebbero parte dei presupposti della progettazione del riciclaggio delle stesse. Questa difficoltà, anche se lenita dall’eventuale collaborazione con i costruttori (elemento dibattuto in passato in un altro articolo su questa rivista) sarebbe incrementata dalla disomogeneità del conferimento che avviene per marche, tipologie, anni di produzione casuali che rende impossibile applicare riconoscimenti basati sulle informazioni acquisite dal produttore. Gran parte delle attività di recycling dei rifiuti elettrici ed elettronici sono composte da una o più fasi manuali seguite da operazioni di carattere meccanico di triturazione o granulazione che avviano il semilavorato a separazioni di tipo densimetrico, magnetico e/o, sempre più, ottico e/o robotico. La complessità del prodotto è quindi, insieme al target da dover raggiungere per potere avviare al recupero i materiali, il motore di un incessante (e molto interessante) processo di crescita e sviluppo per adottare le migliori tecnologie e/o adattare quelle disponibili al fine di ottenere il recycling rate necessario a restare all’interno del sistema consortile, quello che gestisce la grande maggioranza dei flussi verso gli impianti. Va riconosciuto al “sistema”, insieme a qualche difetto, anche la innegabile spinta di crescita qualitativa che si è resa necessaria dall’avere portato nel nostro Paese i risultati di esperienze e metodi che potevano rivestire le best practice a cui tendere.

RICERCA, SVILUPPO, TECNOLOGIA

Quella che è stata dipinta, in prima istanza, come una difficoltà appare invece tramutarsi, sempre di più, in una opportunità di crescita e sviluppo. Molto spesso le difficoltà aguzzano l’ingegno dei più abili e/o producono importanti mutamenti in un intero settore o, ancora, mantengono il settore in uno stato costante di “allerta” tecnologica nel tentativo di progredire alla ricerca dell’efficienza del trattamento finalizzata alla migliore valorizzazione dei materiali. Questo processo di miglioramento continuo investe certamente le Università che si sono occupate in passato e oggi di caratterizzare i rifiuti oggetto di trattamento e comprenderne la composizione merceologica, prima che chimica, per valutare le migliori tecniche di riciclaggio. Università che hanno poi cercato nell’individuazione di strade di valorizzazione delle frazioni decadenti un altro spazio di mercato in cui investire personale e idee

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identificando diversi interessanti progetti su materiali come il vetro, le plastiche, le schiume poliuretaniche e altro ancora. Se il livello delle Università è accademico e di sviluppo precompetitivo, come viene usualmente definito dalla burocrazia, una rilevante spinta all’innovazione proviene dai fornitori di tecnologie che, sfruttando il know-how delle diverse installazioni, migliorano i loro prodotti e impianti per ottenere migliore separazione e maggiore efficienza produttiva contenendo i costi ad essa associati. In generale la spinta innovativa che viene dai fornitori è alta ma non patrimonio esclusivo dell’impresa destinataria dell’installazione; è la conseguenza della legittima aspirazione del fornitore di poter vendere un numero di impianti congruo alla sopravvivenza della propria impresa; se è vero che non costituisce patrimonio esclusivo di una singola impresa è altrettanto vero che la spinta dei fornitori contribuisce in modo efficace alla propulsione dell’intero settore del recycling verso migliorate forme di trattamento. Una propulsione indiretta allo sviluppo del settore viene certamente offerta anche dai clienti delle frazioni decadenti che possono valorizzare meglio alcuni materiali se processati in modo migliore o diverso. Non è inusuale ascoltare frasi come “se fosse più pulito potrei pagare di più”, “se migliorate la selezione lo valorizzo meglio” e via di questo passo. Non possiamo certamente parlare di contributo diretto perché non vi è un trasferimento tecnologico o di conoscenza ma vi è l’innesco di curiosità che serve per provare a lavorare in modo migliore o diverso. La spinta commerciale ed economica di un cliente nella valorizzazione delle c.d. frazioni innesca un volano positivo che coinvolge fornitori e centri di ricerca al fine di individuare le migliori tecnologie per il raggiungimento dell’obiettivo. Da un’analisi di contesto molto rapida quanto superficiale potremmo affermare che il segmento dei rifiuti elettrici ed elettronici, a differenza dei sistemi consortili sugli imballaggi, lascia ampio spazio di manovra al gestore dell’impianto sulla gestione e la qualità delle frazioni decadenti dal trattamento e generando quindi una positiva concorrenza per la migliore valorizzazione che non esiste laddove le filiere sono tutte verticalizzate sotto il

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controllo del sistema di governo. Senza dover giudicare quale sistema sia meglio è indubbio che dover valorizzare le frazioni in modo diretto e poco codificato offre spazi di manovra (e di fantasia nella ricerca) al gestore dell’impianto che induce uno sviluppo probabilmente più rapido del segmento di mercato.

OCCUPAZIONE DIRETTA E INDOTTA

Rispetto al più generale mercato della gestione dei rifiuti urbani in Italia quello dei R.A.E.E. ne rappresenta una fetta decisamente più contenuta ma certamente offre un contributo decisivo anche in termini di occupazione. Occupazione di livello professionale molto diverso tra loro passando da operatori da dedicare alla logistica e ai processi di disassemblaggio fino a ingegneri dei materiali in grado di migliorare i processi di riciclaggio e la valorizzazione delle materie prime che vengono prodotte a valle del trattamento. Una filiera di trattamento che comprendendo la fase di logistica primaria, gli impianti di trattamento terminando alla logistica di output occupa diverse centinaia di persone che sono lo strumento con il quale ottenere gli obiettivi descritti in merito alle finalità del trattamento. Un’occupazione che oltre alla filiera diretta dei RAEE deve comprendere quella indotta legata ai fornitori di tecnologie, ai centri di ricerca e Università che a vario titolo sono coinvolti. Un’occupazione che, se guardiamo il grafico relativo al raccolto confrontato con l’immesso al mercato è destinata a crescere proporzionalmente all’efficienza di raccolta e quindi al crescere delle quantità.

ELEMENTI DI PREOCCUPAZIONE

raccolto ex post. Il mercato potenziale è molto elevato ma il rischio di dispersione (furto, cannibalizzazione, danneggiamento), fin dai centri di raccolta è particolarmente elevato soprattutto in alcuni raggruppamenti o per parti di essi dove alcune delle componenti sono economicamente valorizzabili. Con l’incremento dei prezzi delle materie prime, tendenzialmente dei metalli, si assiste all’incremento indiscriminato dei fenomeni di cui sopra soprattutto in quelle aree del Paese dove i centri di raccolta assomigliano di più a un agglomerato di cassonetti che a un impianto di gestione dei rifiuti. Si associa al primo elemento di preoccupazione legato alla raccolta il secondo legato al trattamento; pur in presenza di una buona dotazione numerica di impianti non possiamo ancora parlare di un vero e proprio sistema industriale (non per colpa di chi intraprende) e alcune lavorazioni di secondo livello sono da effettuarsi in impianti esteri per ragioni che vanno da quella economica (pagano meglio e più rapidamente) a quella strategica (la filiera italiana non è ancora adeguatamente verticalizzata). Lo sentiamo per filiere di rifiuto ben più cospicue di questa ma la mancanza di una dotazione impiantistica diffusa e in grado di rappresentare un riferimento per il settore rischia di penalizzare non solo sul piano economico ma anche strategico il Paese. Non possiamo pensare che il problema dei rifiuti si possa risolvere allontanandoli dalla nostra sfera di influenza e interferendo con quella di altri/e. Non è pensabile che un Paese, tradizionalmente manifatturiero e di avanguardia, abdichi il proprio ruolo strategico perché in Italia la costruzione di impianti è impossibile o quasi. Se portiamo all’estero i rifiuti portiamo all’estero opportunità che non ci vengono restituite, quando parliamo dei vincoli europei

ci dimentichiamo, per scelta, che vi sono anche delle opportunità europee. Una opportunità è rappresentata dagli impianti di trattamento esteri che consentono al sistema Italia di risolvere, non senza dolore, il problema di alcune, o forse molte, tipologie di rifiuto. In assenza di questi impianti il sistema industriale italiano avrebbe serie difficoltà a gestire i propri scarti.

RIFLESSIONI FINALI

Tipicamente, noi italiani, tendiamo a evidenziare i nostri difetti e a rappresentarci come peggiori degli altri. Non possiamo certo dire che nel settore dei R.A.E.E. siamo i primi in Europa in termini di raccolta e forse nemmeno di tecnologie. Possiamo però affermare che a distanza di 10 anni circa dall’inizio del sistema di gestione consortile c’è un sistema di impianti che è in grado di assorbire i flussi, che può certamente migliorare i processi e ridurre l’impatto ambientale. Una volta tanto diciamo che siamo stati se non bravi “bravini”. Se consideriamo poi che visitando altri impianti in Europa la tutela dell’ambiente e del lavoro non rappresenta evidentemente una priorità ci sentiamo ancora più bravi, certi che possiamo sempre migliorare ma, per una volta, non siamo nemmeno i peggiori. Servirebbe una politica che, nel rispetto del libero mercato, non disperdesse il potenziale di crescita di questo settore e degli aspetti economici e occupazionali ad esso correlati. Una politica che dovrebbe garantire lo sviluppo interno perché abbiamo risorse, capacità e inventiva. Per una volta sono fiducioso e convinto che possiamo migliorare per sfruttare in pieno le miniere urbane in termini di materiali, occupazione, ricchezza prodotta e tutela dell’ambiente. *Ecoproject S.a.s. Correggio (RE)

Con l’avvento dell’open scope si rischia di vedere incrementato il gap tra immesso e raccolto perché la previsione normativa introduce A.E.E. di piccola dimensione la cui dispersione incontrollata potrebbe rappresentare un elemento di criticità. Pur in presenza dell’allargamento di quella che in termini fiscali potrebbe essere definita come base imponibile corriamo il rischio di incrementare il quantitativo di immesso al mercato da contabilizzare ma di non avere pari risposta in termini di

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STATI GENERALI DELLE DEMOLIZIONI A NOVEMBRE DURANTE LA FIERA ECOMONDO LA DECIMA EDIZIONE DEL CONVEGNO SULLE DEMOLIZIONI E IL DECOMMISSIONING di Massimo Viarenghi

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ancano pochi mesi agli Stati Generali delle Demolizioni, il convegno annuale per eccellenza sul mondo delle demolizioni civili e industriali, che rappresenta il punto di incontro tra domanda e offerta di un settore di mercato che negli anni si è evoluto e consolidato diventando una vera e propria filiera che conta al suo interno moltissime eccellenze. In questa 10a edizione gli Stati Generali delle Demolizioni, ospitati all’interno della manifestazione Ecomondo il 6 novembre, si farà il punto su un settore che dopo alcuni anni di flessione vede un trend positivo grazie alla spinta del mercato immobiliare in crescita e ai piani di recupero industriale in atto nel nostro Paese. In un contesto globale sempre più attento all’economia circolare, alla riduzione dei rifiuti e alla massimizzazione del recupero le imprese dovranno rivedere i processi demolitivi nei propri cantieri rendendoli più efficienti ed efficaci in termini di riduzione dei disturbi prodotti, delle emissioni e della produzione di rifiuti. Il decennio passato ha visto il consolidarsi di tecnologie e procedure di lavoro sempre più sicure e performanti grazie alla ricerca, all’impegno degli operatori del settore, dei produttori di attrezzature e macchinari e dell’ingegneria a supporto delle demolizioni. Nei prossimi anni le sfide saranno diverse, si punterà a consolidare i risultati raggiunti nella sicurezza grazie anche al maggior utilizzo di tecnologie robotizzate e a controllo remoto, e a rafforzare l’intera filiera del recupero e riutilizzo delle frazioni del demolito partendo proprio dai cantieri. Anche quest’anno imprese, stakeholder, professionisti e le più importanti associazioni del settore si confronteranno durante la manifestazione per trovare le riposte e definire le prossime sfide che caratterizzeranno il mercato delle demolizioni civili e industriali. Non resta che aspettare Ecomondo e partecipare agli Stati Generali delle Demolizioni!

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MACCHINE MOVIMENTO TERRA, IL MERCATO È IN CRESCITA PER L’ITALIA QUINTO ANNO DI CRESCITA CONSECUTIVO. BENE ANCHE L’EXPORT. NEL 2019 UN RALLENTAMENTO MA DAL 2020 UNA NUOVA RIPRESA di Bruno Vanzi

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con gli occhi ancora pieni dell’effervescenza che abbiamo visto al bauma che presentiamo gli ultimi dati forniti da Prometeia per il SaMoTer Outlook 2019, l’osservatorio di settore presentato in occasione della 5a edizione del SaMoTer Day a Veronafiere, una delle tappe di avvicinamento alla 31a edizione di SaMoTer, il salone internazionale sulle macchine per costruzioni in programma alla Fie-

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ra di Verona dal 21 al 25 marzo 2020. I dati che leggiamo denotano un cauto ottimismo, ma vogliamo credere che si possa fare ancora meglio, complice l’entusiasmo e i commenti delle aziende che hanno partecipato alla fiera più importante del settore del movimento terra e che si sono detti ottimisti per l’inizio di un nuovo percorso. Negli ultimi 5 anni, dal 2013 al 2018, il mercato delle macchine per il movi-

mento terra in Italia ha fatto registrare un trend positivo consecutivo. L’Italia si posiziona al quarto posto nel mercato delle vendite di macchine movimento terra dell’Europa occidentale con una quota di mercato del 9%, alle spalle di Germania (23% del market share), Regno Unito (22%) e Francia (17%). Nel complesso, l’Europa occidentale perde oltre tre punti percentuali sul mercato globale rispetto al 2017, nonostante un tasso di crescita del 3% e 182.000 macchine vendute. Il 2018 è stato un anno molto favorevole per la Spagna, che registra +48% rispetto all’anno precedente), per l’Italia (+16%) e il Regno Unito (+9%). Per l’Italia nel 2018 è positivo anche l’export: crescono le esportazioni di macchine per costruzioni (+5,7%) raggiungendo il valore di 2 miliardi e 958 milioni di euro. A registrare una crescita maggiore (+11,8%) sono le macchine e attrezzature per il movimento terra, che passano da 1,22 miliardi a 1,37 miliardi di euro, sostenute, in particolare dai segmenti degli escavatori semoventi con una sovrastruttura che può effettuare una rotazione di 360°; caricatori e caricatrici-spalatrici a caricamento frontale; macchine e apparecchi per lavori pubblici, edilizia o lavori analoghi; tazze, benne bivalve, pale, tenaglie pinze. L’Europa occidentale rimane il primo mercato di destinazione per macchine


e attrezzature per il movimento terra e dove i costruttori italiani esportano per oltre 664 milioni di euro (+8,6% rispetto al 2017). Segue il Nord America (+29,9%), per valori esportati superiori a 179 milioni di euro, tallonato dall’Europa centro orientale e dalla Turchia a 177,3 milioni di euro (+33,1%).

LE PROSPETTIVE PER I PROSSIMI TRE ANNI

Per il 2019 le indicazioni vanno in direzione di un arretramento della domanda di macchine movimento terra in Italia. La battuta d’arresto dell’attività edilizia e, forse, dell’economia nazionale nel suo complesso, potrebbero limitare i piani di investimento. A compensare la dinamica negativa dovrebbe contribuire in parte l’esigenza di rinnovo del parco quale elemento in grado di sostenere la domanda lungo tutto l’orizzonte di previsione. A partire dal 2020, il mercato potrà evidenziare nuovamente una buona crescita, grazie anche all’attesa ripartenza degli investimenti pubblici. Il quadro prospettato, comunque, non è esente da rischi al ribasso, ci avvertono da Prometeia. Nel 2020 la crescita è stimata al 9% e al 5% nel 2021, superando così le 17.000 macchine vendute. Per inquadrare il caso Italia è opportuno partire dai dati internazionali. Il focus sull’Europa occidentale evidenzia un rallentamento marcato della crescita delle costruzioni in Francia e nel Regno Unito. Corre l’Irlanda, che mette a segno una crescita nel reparto delle costruzioni del 15,3% e del 20% nell’edilizia residenziale. Risultati lusinghieri anche per Paesi Bassi (+5,8% nelle costruzioni e +6,8% negli investimenti in edilizia residenziale) e Spagna, che si è confermata tra i mercati più dinamici grazie alla ripresa del ciclo residenziale (+6,2%). L’Italia si colloca nella seconda metà della classifica, con una crescita del 2,3% nelle costruzioni totali e del 3,4% nell’edilizia residenziale. La ripresa delle costruzioni, in particolare, ha evidenziato un segnale di frenata a fine 2018. Nel corso dell’anno il traino principale alla crescita è stato quello dell’edilizia

residenziale, anche grazie al recupero del segmento delle nuove abitazioni. Al contrario, non manifesta segni di arresto la flessione del genio civile. Quanto al mercato immobiliare, prosegue la tendenza positiva delle transazioni, con le compravendite che hanno fatto segnare un incremento del 6,6% nel 2018, consolidando il trend espansivo in atto dal 2014. La discesa dei prezzi, tuttavia, non ha ancora raggiunto una piena stabilizzazione. La ripresa degli investimenti in costruzioni potrebbe rafforzarsi a partire dal 2020-2021, grazie al traino del genio civile, mentre nel 2019 si raccolgono ad oggi segnali di rallentamento diffusi su

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tutti i comparti, per effetto di un deterioramento della situazione economica complessiva e della persistente debolezza delle opere pubbliche.

IL MERCATO MONDIALE DELLE MACCHINE PER COSTRUZIONI

Nel 2018 la vendita di macchine per il movimento terra a livello mondiale ha registrato una forte accelerazione, mettendo a segno una crescita del 23% ed eguagliando, così, la brillante performance del 2017. In totale, se nel 2017 le macchine vendute sono state 825.000, nel 2018 si è superato il milione. Uno scenario positivo, dunque, che corona un triennio (2016-2018) addirittura

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migliore (+8%) rispetto alla fase ciclica espansiva che ha caratterizzato il periodo 2003-2007. Il risultato record del 2018 è stato spinto da una combinazione di più fattori, a partire dagli investimenti in costruzioni su scala globale, che hanno superato i 7.150 miliardi di euro, rappresentando l’11,6% in rapporto al Pil mondiale. Per gran parte del 2018 si sono verificate interessanti condizioni di contesto su scala mondiale, che hanno migliorato costantemente l’indice di intensità di investimento in macchine per il movimento terra fin dal 2016. In gran parte delle aree mondiali il mercato è cresciuto a due cifre, raggiungendo nuovi massimi storici per i mercati degli Stati Uniti (+36% su base tendenziale), dell’India (+48%), della Cina (+35%) e del resto del mondo (+20%). Nord America e Cina hanno alimentato quasi due terzi della crescita complessiva, rappresentando insieme quote di mercato pari al 50%, seguite da Europa occidentale (18% del market

share) e India (7% del mercato mondiale). Fanalino di coda in questo trend comunque positivo si trova l’Europa occidentale, con un tasso di crescita di appena il 3% e 182.000 macchine vendute. Tale rallentamento, peraltro previsto, ha comportato una riduzione di oltre tre punti percentuali del peso sul mercato globale rispetto al 2017. Leader del mercato per le vendite è la Germania (23%), seguita dal Regno Unito (22%). L’Italia si colloca al quarto posto, con una quota di mercato del 9%. Nell’Europa centro orientale, i giganti del mercato sono la Russia e la Polonia, che rappresentano rispettivamente il 42% e il 18% della quota di mercato globale. Sono loro che nel 2018 trascinano l’incremento delle vendite, con percentuali di crescita particolarmente significative: +59% per la Polonia e +32% per la Russia. Terzo player di quell’area del mondo è la Turchia (16% del market share), che deve tuttavia fare i conti con il sorpasso di Varsavia nell’arco di due anni e che nel 2018 soffre una decelerazione pari

al 32% su base tendenziale. A livello internazionale, lo scenario macroeconomico indica una fase di rallentamento dell’economia mondiale, con fattori di rischio che possono essere individuati nella volatilità dei mercati finanziari, nelle tensioni commerciali su scala globale, nell’incognita Brexit, nell’Hard landing cinese e in alcuni elementi di incertezza politica di intensità variabile in alcune aree geografiche del pianeta. Le prospettive delle costruzioni per il 2019-2021 indicano una crescita ancora moderata nel 2019, con una ripresa graduale a partire dal 2020. Nell’Europa occidentale dovrebbe prevalere la tendenza alla degenerazione dei ritmi espansivi, mentre prospettive favorevoli si palesano per i paesi dell’Europa centrale. Nel 2019, invece, il mercato turco sarà ancora in difficoltà, complici anche le tensioni politiche e le incertezze legate agli investimenti. Allargando l’orizzonte su scala globale, l’India conferma il proprio ruolo di traino.


NUOVO RECORD: NEL 2018 AVVIATO A RICICLO IL 78,6% DEGLI IMBALLAGGI IN ACCIAIO IL CONSORZIO RICREA RENDE NOTI I DATI DELL’ULTIMO ANNO: 386.895 LE TONNELLATE DI ACCIAIO RICICLATE, PARI AL PESO DI 13 PORTAEREI CAVOUR di Roccandrea Iascone*

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n Italia il riciclo degli imballaggi di acciaio è da record, registrando nel 2018 il più alto tasso di riciclo di sempre, pari al 78,6% dell’immesso al consumo, in crescita del 5% rispetto all’anno precedente (73,6%). Un traguardo senza precedenti, raggiunto grazie all’impegno di tutta la filiera a partire dai cittadini che ogni giorno differenziano correttamente barattoli, scatole, scatolette, lattine, fusti, secchielli, bombolette, tappi e chiusure in acciaio, facendo sì che possano essere avviati a riciclo per rinascere a nuova vita. I dati sono stati resi noti in occasione dell’assemblea annuale, da RICREA, il Consorzio nazionale senza scopo di lucro per il Riciclo e il Recupero degli Imballaggi in Acciaio. Nel 2018 sono state avviate al riciclo 386.895 tonnellate di imballaggi in acciaio, pari al peso di 13 portaerei Cavour, nave ammiraglia della flotta italiana. Un dato in forte crescita (+7,1%

rispetto al 2017), che evidenzia non solo l’aumento della raccolta che ha raggiunto le 459.187 tonnellate (+6,8%), ma anche che la qualità del materiale raccolto sta migliorando progressivamente. “Il tasso di riciclo degli imballaggi in acciaio del 78,6% è il più alto di sempre per il nostro Paese, - spiega Domenico Rinaldini, Presidente RICREA. - Grazie alla continua attività di sensibilizzazione e valorizzazione dell’importanza della raccolta differenziata siamo molto vicini all’obiettivo europeo dell’80% da raggiungere entro il 2030. A questo traguardo importante hanno contribuito in modo particolare le regioni del Sud Italia, come ad esempio Sicilia, Calabria e Puglia, un tempo poco reattive, ma oggi sempre più attente e in miglioramento per quanto riguarda i quantitativi raccolti. Il nostro obiettivo è proseguire su questa strada per crescere ancora, insieme ai Comuni, agli operatori e soprattutto grazie all’impegno

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dei cittadini”. Anche i valori di copertura territoriale sono in costante aumento, sia sul totale dei Comuni coinvolti (5.970) che sugli abitanti serviti (86% sul totale), con un incremento considerevole del numero delle convenzioni attive (+10% rispetto al 2017), stipulate sulla base dell’Accordo Quadro ANCI-CONAI, lo strumento attraverso il quale il sistema consortile garantisce ai comuni italiani la copertura dei maggiori oneri sostenuti per svolgere le raccolte differenziate dei rifiuti di imballaggi. L’acciaio è un materiale permanente che viene riciclato all’infinito senza perdere le proprie intrinseche qualità. Grazie alle 386.895 tonnellate di acciaio recuperate dagli imballaggi, nel 2018 nella nostra penisola si è ottenuto un risparmio diretto di 735.094 tonnellate di minerali di ferro e di 232.137 tonnellate di carbone, oltre che di 692.553 tonnellate di CO2. *Consorzio RICREA

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AMBIENTE LAVORO 2019: LA SALUTE È UN LAVORO DI SQUADRA TORNA IN OTTOBRE L’APPUNTAMENTO A BOLOGNAFIERE PER PROMUOVERE, DIFFONDERE E RADICARE LA CULTURA DELLA SICUREZZA NEL NOSTRO PAESE di Laura Veneri

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l via dal 15 al 17 Ottobre 2019 la 19a edizione di Ambiente Lavoro, il primo salone italiano dedicato alla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Anche quest’anno la manifestazione richiamerà a BolognaFiere espositori ed esperti per affrontare i temi del lavoro sicuro, i rischi professionali e la necessità di una cultura della prevenzione più radicata che metta al centro la “conoscenza” come primo strumento per la riduzione delle vittime e degli incidenti. Da oltre 20 anni la manifestazione è il punto di riferimento per tutti gli addetti del settore, un evento irrinunciabile per rimanere aggiornati sui prodotti, le soluzioni e le norme che regolano l’applicazione delle leggi in materia. Dopo il successo della precedente edizione, che ha ospitato 14.733 visitatori, 150 espositori, 229 incontri di formazione, 626 relatori e 7.871 partecipanti anche quest’anno saranno numerosi i momenti dedicati al confronto con gli addetti che operano per la tutela della salute dei lavoratori. Ovviamente non mancherà un programma ricco di opportunità formative, l’edizione Ambiente Lavoro 2019 prevede infatti numerosi appuntamenti tra convegni, seminari e workshop che consentono il riconoscimento di crediti RSPP, ASPP, RLS, CFP, CSP e CSE rendendo la partecipazione alla fiera l’occasione ideale per aggiornarsi e rimanere in contatto con aziende leader e le realtà associative più importanti.

Ambiente Lavoro 2019 è soprattutto la vetrina italiana per tutte le innovazioni del settore sicurezza e salute sul lavoro. Tra le novità 2019, le aree dimostrative dedicate a tutti gli addetti alla sicurezza, dove poter provare in anteprima prodotti e tecnologie di ultima generazione. Grazie alla collaborazione con gli enti e le associazioni più autorevoli del nostro Paese, Ambiente Lavoro 2019 resta non solo un’occasione per l’aggiornamento professionale ma anche uno spazio dove poter conoscere le novità del mercato, italiano ed internazionale; un’opportunità per scambiare competenze, acquisirne di nuove, verificare cosa le aziende possono offrire in termini di soluzioni al problema delle malattie professionali e degli incidenti sul lavoro.

LE MODALITÀ DI INGRESSO A breve sarà possibile registrarsi gratuitamente e acquistare il proprio ticket per l’area convegni su www.ambientelavoro.it L’area espositiva Ambiente Lavoro è a ingresso gratuito previa registrazione online sul sito della manifestazione. Per prendere parte alla sessione formativa è necessario acquistare un titolo d’ingresso, al costo di 25,00 € in prevendita o di 35,00 € direttamente in biglietteria, valido per tutti i convegni in programma.

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TRITURATORI CHE TRASFORMANO RIFIUTI IN COMBUSTIBILE ALTERNATIVO I TRITURATORI MOLINARI TP SERIES PER I CEMENTIFICI MIGLIORANO QUALITÀ E COSTI OPERATIVI NELLA PRODUZIONE DI AF PERMETTENDO DI OTTIMIZZARE LO SPAZIO A DISPOSIZIONE E I TEMPI DI MANUTENZIONE di Maria Beatrice Celino

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a crescente richiesta di Alternative Fuels AF (combustibili alternativi) da parte dei cementifici ha portato alla ricerca di tecnologie efficienti in grado di ottenere una produzione costante e di ottima qualità fondata sulla possibilità di regolazione della distanza tra le lame fisse e rotanti al fine di recuperare e compensare le usure dovute all’utilizzo. A incontrare le esigenze dei cementifici e dei produttori di AF e ottimizzare i sistemi di processo per ottenere il miglior rapporto tra produzione, qualità e costi operativi è l’azienda Molinari di Lenna, in provincia di Bergamo, specializzata nella realizzazione di trituratori, granulatori industriali e macchinari per la frantumazione di materiale proveniente da scarti di produzione, con un occhio di riguardo anche al trattamento degli pneumatici fuori uso. Dagli investimenti in ricerca e sviluppo è quindi nata la Serie TP, formata da nuovi trituratori che stanno rivoluzionando la produzione di AF in Europa e Medio Oriente, in precedenza basata su sistemi complicati e onerosi sia come investimento iniziale sia come costi operativi di gestione. Il fattore vincente? Ottenere con un’unica macchina tutto quello che un tempo necessitava di sistemi di vagliatura e ricircoli di materiale non idoneo, con il conseguente spreco di tempo e produttività limitata. La precisione di taglio (no

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L’headquarter di Molinari a Lenna (officine, montaggio, test, uffici e magazzino)

wire) è infatti il fiore all’occhiello della Serie TP e, grazie al robusto telaio e al particolare disegno delle lame, l’azienda bergamasca ha ottenuto importanti risultati che rientrano anche nei parametri indicati dai principali Consorzi di valorizzazione europei.

UNA MACCHINA PER DIVERSE TIPOLOGIE DI RIFIUTI

La Serie TP consente inoltre di lavorare diverse tipologie di rifiuti: i combustibili alternativi possono infatti essere prodotti anche da rifiuti diversi dagli pneumatici fuori uso come per esempio ri-

IL TEST La conferma arriva dai dati rilevati durante un test relativo alla fornitura di una linea di produzione di combustibile alternativo composta da un trituratore primario modello hTP2500 e uno secondario modello MT3000. Il test è stato condotto in contraddittorio tra Molinari e il Cliente, utilizzando per lo svolgimento in parte RSU e in parte RSNP con un peso specifico rilevato di 0.19 t/m3, come previsto dal piano di gestione ingresso rifiuti del committente. In questa giornata di test sono state processate 418 ton in meno di 16 ore con una produttività di circa 27 t/ora, con un consumo energetico totale di 4481 kW/h che corrispondono al 43% della potenza totale installata. In questo caso specifico le performance sono state molto più elevate rispetto alle aspettative.


fiuti solidi urbani o industriali. L’uso di un trituratore o di una linea di trattamento passa da un’attenta valutazione del materiale che il team Molinari esegue e pone all’attenzione dei propri clienti per trovare il compromesso migliore tra costi iniziali e operativi, produzione e semplicità di gestione. In quest’ottica è stato eseguito un test di produzione presso un cliente Molinari che con un solo step è in grado di produrre combustibile per un termovalorizzatore con una caldaia a letto fluido circolante (CBF). “In base alle specifiche esigenze del produttore siamo in grado di definire e progettare o una singola macchina o una linea di trattamento - spiega l’amministratore unico, Giovanni Gervasoni -. Il test ha confermato la robustezza e affidabilità dei trituratori: gli impianti di termovalorizzazione richiedono poche fermate di manutenzione per abbassare i costi di gestione e una produzione costante nel tempo, requisiti che sono stati soddisfatti. Anche la grande facilità di trattare molti tipi di differenti rifiuti è stata un elemento molto apprezzato dai nostri clienti. Ulteriori considerazioni possono essere fatte considerando di utilizzare una linea dotata di più trituratori in sequenza, per esempio, a un trituratore primario se ne abbina uno secondario che lavorando un prodotto pre-lavorato arriva a performance produttive più elevate”.

Il reparto di montaggio e dove vengono effettuati i factory acceptance test

ratore trasforma i rifiuti in un prezioso combustibile che chiunque può essere legittimato a chiamare prodotto. Se si osserva da vicino quanto può essere redditizia questa trasformazione, il trituratore va valutato singolarmente e posto al centro dell’attenzione: ai costi iniziali di acquisizione, devono essere sommati i costi come l’usura dei componenti e il costo dell’energia elettrica utilizzata, dopodiché si rileva la quantità di CDR (Combustibile Derivato dai Rifiuti) prodotto durante la vita della macchina”. Questi fattori influenzano direttamente la redditività del sistema: “Se si di-

vidono questi costi per la quantità del prodotto finale, si ottengono i costi per tonnellata (€/ton) - conclude Gervasoni -. Questa cifra è estremamente importante quando si valuta la redditività della macchina. Esaminando ulteriormente questi costi, ci si rende anche conto che è tutto influenzato dal tempo. I costi per le ore di funzionamento sono direttamente correlati alla produttività, ovvero il rendimento all’ora. Sono cruciali le spese per la manodopera e altri fattori che generano costi, come ad esempio le ore di funzionamento di attrezzature aggiuntive come caricatori e trasportatori a nastro”.

QUANDO UN IMPIANTO È EFFICIENTE

Molinari mette sempre a disposizione la propria esperienza per collaborare nella difficile scelta del dimensionamento e valutazione delle macchine migliori al fine di ottenere sempre i risultati attesi di ogni singolo cliente. “Se si vuole dimensionare un impianto efficiente, bisogna innanzitutto definire le caratteristiche fisiche del prodotto finale tenendo in considerazione le caratteristiche del materiale in origine - prosegue Gervasoni -. Se poi intendiamo raggiungere determinati parametri con un unico passaggio, è vitale che il sistema di triturazione sia estremamente robusto e affidabile 24 ore su 24, poiché solo un singolo tritu-

Trituratore TP installato in Francia

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PICCOLE E GRANDI NOVITÀ INDECO HA PRESENTATO IN OCCASIONE DELLA MANIFESTAZIONE BAUMA 2019 NUOVI PRODOTTI PER NUOVE APPLICAZIONI E NUOVI MODELLI PER IL COMPLETAMENTO DI GAMME ESISTENTI di Maria Beatrice Celino

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n occasione della grande vetrina internazionale del Bauma 2019, INDECO IND. SpA, azienda italiana produttrice di martelli demolitori idraulici con oltre 40 anni di storia, ha presentato alla stampa e al pubblico della fiera le ultime innovazioni. Novità importanti quali la nascita di una intera gamma prodotti destinata a specifiche applicazioni nel settore forestale, ma anche il completamento delle gamme esistenti con il lancio di modelli di piccole dimensioni, concepiti per rispondere alle precise richieste degli utilizzatori. Non meno importanti sono gli aggiornamenti tecnologici introdotti per migliorare ulteriormente le prestazioni di alcuni tra i pezzi forti della produzione Indeco e infine il perfezionamento di un importante sistema per tutelare la salute degli utilizzatori e preservare il corretto funzionamento dei grandi martelli demolitori impegnati nello scavo di gallerie. Durante l’affollata conferenza stampa, Michele Vitulano, responsabile marketing e commerciale Indeco, ha parlato del mercato e

dello sviluppo dell’azienda soffermandosi successivamente sulle nuove tecnologie sviluppate.

APPLICAZIONI FORESTALI

In particolare è stata presentata la nuova gamma di trince idrauliche a braccio IMH, progettata per trasformare escavatori e minipale in micidiali strumenti di bonifica e disboscamento, in grado di facilitare l’abbattimento e lo sgombero della vegetazione, riducendo enormemente costi e tempi di esecuzione. Utilizzabili con un’ampia serie di macchine da 5 a 50 ton, le trince IMH sono realizzate con componenti HARDOX® che assicurano un’eccellente durabilità ed efficienza. Dal disboscamento alla preparazione di siti, dalla gestione di specie vegetali invasive alla rimozione dei danni provocati da tempeste, fino alle operazioni di pulizia, le trince IMH, disponibili anche nella versione fresaceppi SG, sono in grado di svolgere i compiti più disparati sostituendo un’intera squadra di operatori armati di cippatrici e motoseghe.

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A questo evidente vantaggio vanno aggiunti l’investimento iniziale a basso costo e le ridotte spese di manutenzione. Oltre a pulire il terreno nel modo più rapido, efficace e sicuro, le trince IMH propongono un’alternativa decisamente più ecologica all’addebbiatura, reimmettendo nell’ecosistema la vegetazione indesiderata sotto forma di pacciame che ha una funzione protettiva e fertilizzante.

MICRO MARTELLO PER GRANDI PRESTAZIONI

Novità anche nei prodotti per eccellenza della casa costruttrice, quella dei martelli demolitori che si allarga con un nuovo prodotto: l’HP 100, il martello più piccolo della serie, ma capace comunque di garantire straordinarie prestazioni. L’HP 100 nasce per stare al passo con la capillare diffusione dei miniscavatori da 0,7 - 0,8 ton sia nell’ambito delle costruzioni che nei settori agricolo e forestale, quando c’è la necessità di lavorare in spazi ristretti. La sfida - brillantemente superata - era realizzare un martello che potesse lavorare con una portata d’olio decisamente ridotta - dai 15 litri in su - e che mantenesse una perfetta efficienza idraulica nonostante il peso inferiore ai 60 kg. Frutto delle competenze e della tecnologia Indeco, l’HP 100 presenta un diametro utensile più grande rispetto ai martelli di pari classe e sa esprimere un’energia per colpo davvero notevole, massimizzando i tempi della demolizione e mantenendo elevati livelli di produttività.

MINI FRANTUMATORE DALLA GRANDE PRODUTTIVITÀ

Anche nella gamma di frantumatori Indeco c’è un nuovo piccolo arrivato: l’IRP 5 X. Con i suoi 570 kg di peso, l’IRP 5 X è ufficialmente il più piccolo frantumatore rotante Indeco, pensato per adeguarsi alle dimensioni sempre più ridotte delle macchine operatrici. Si moltiplicano infatti le demolizioni in spazi ristretti, dove comunque c’è bisogno di una forza costante ed efficace per ridurre i tempi di lavoro e massimizzare la produttività. Questo risultato è stato raggiunto anche grazie alla presenza di cilindri idraulici decisamente sovradimensionati rispetto alla taglia dell’attrezzo e a un’apertura delle ganasce tra le più ampie rispetto agli altri frantumatori di pari classe. Anche per l’IRP 5 X sono stati impiegati gli acciai super resistenti HARDOX® per la realizzazione del telo e della ganascia, in modo da resistere a forti pressioni, usure, abrasioni e prolungati

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impieghi in qualsiasi tipo di utilizzo. Come per gli altri modelli della serie IFP e IRP, la possibilità di cambiare i denti della ganascia mobile assicura una penetrazione sempre ottimale e una produttività dell’attrezzo imbattibile.

RINNOVAMENTO PER IL MULTIFUNZIONE

Oltre a presentare una struttura decisamente più robusta, il disegno del multifunzione IMP è stato riprogettato per offrire un’apertura estrema ed è stato migliorato nelle geometrie di demolizione, frantumazione e taglio delle diverse ganasce. Sono proprio queste ultime ad essere al centro di un importante aggiornamento. Gli IMP Indeco nelle versioni demolitore e polverizzatore, dispongono infatti di denti intercambiabili che - a differenza di altri prodotti presenti sul mercato - non vengono smontati singolarmente, ma tutti insieme poiché sono saldati su una piastra imbullonata e ancorata alla ganascia. Questo non solo rende le operazioni di sostituzione molto più veloci, ma migliora anche la presa conferendo all’attrezzo una maggiore durabilità. Anche la versione cesoia è stata protagonista di una sostanziale innovazione e ora presenta le stesse caratteristiche che hanno reso imbattibili le cesoie Indeco della serie ISS. Si tratta dell’introduzione dei coltelli perfettamente reversibili e intercambiabili, in modo da essere sfruttati in tutti gli angoli di taglio, e del duplice sistema di incisione nella punta superiore e inferiore, che consente una più efficace progressione del taglio.

AGGIORNAMENTO DEL SISTEMA ANTIPOLVERE NEI MARTELLI

Il sistema di abbattimento delle polveri, già disponibile su alcuni martelli della gamma Indeco, si aggiorna secondo le ultime direttive OSHA (Occupational Safety and Health Administration) per tutelare sempre di più i lavoratori dall’esposizione alle micro-particelle di silice cristallina. Viene infatti lanciato il sistema, opzionale, di abbattimento polveri a bassa pressione, per i martelli e i frantumatori di piccole dimensioni, montabili su macchine operatrici fino ai 16 ton di peso. La tecnologia prevede l’inserimento di una piastra nebulizzatrice con quattro ugelli, posizionata, non nella parte inferiore della carcassa esposta a urti come proposto da alcuni concorrenti, bensì nella zona dell’attacco sella, in modo da coprire l’intera area di lavoro in qualsivoglia posizione e ridurre la produzione di polveri anche in presenza di vento. Il nuovo sistema, inoltre, necessita di una normale linea idrica a bassa pressione e aziona gli spruzzatori in automatico solo quando l’attrezzatura è in funzione, riducendo così anche il consumo di acqua.


TECNOLOGIE PER LA COMPRESSIONE DELL’ARIA NELLA DEPURAZIONE DEI REFLUI IL COSTO DELL’ENERGIA IMPUTABILE ALLA COMPRESSIONE DELL’ARIA, CHE ARRIVA AL 70% DEI COSTI GESTIONALI, PUÒ ESSERE ABBATTUTO CON UNA TECNOLOGIA PER LA BASSA PRESSIONE CON ELEVATA EFFICIENZA ENERGETICA di Maria Beatrice Celino

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er trattamento delle acque reflue si intende il processo di rimozione dei contaminanti organici e/o inorganici di un’acqua reflua di origine urbana o industriale necessario per poter reimmettere l’acqua depurata nell’ambiente. Il processo di depurazione prevede la decomposizione chimica dell’acqua con l’obiettivo di isolare i batteri e le sostanze contaminanti. Negli impianti di trattamento delle acque reflue miliardi di batteri si nutrono dei rifiuti organici, che devono essere scomposti in elementi semplici come anidride carbonica, azoto gassoso e acqua. Poiché i batteri hanno bisogno di ossigeno, nelle vasche di aerazione devono essere insufflate grandi quantità di aria per mezzo di apparecchiature dette soffianti. In seguito a questo processo le sostanze indesiderate sono concentrate sotto forma di fanghi, successivamente trattati per consentirne un corretto smaltimento in discariche speciali o per il loro riutilizzo in agricoltura. Il tipo di soffiante è determinante per ridurre il consumo energetico, in una panoramica che vede sul mercato tre diverse tecnologie che offrono efficienza e costi diversi, da definire in base alle esigenze specifiche: soffianti a lobi, soffianti a vite e soffianti centrifughe.

caratterizzate da basso costo d’investimento e buona affidabilità; • soffianti a vite oil-free (serie ZS): per portate d’aria fino a 11.000 m3/h e pressioni fino a 1,2 bar(e). Rispetto alle soffianti a lobi, offrono alta efficienza energetica, grande affidabilità, stadio di compressione a vite coperto da una garanzia estesa a 5 anni, ridotta manutenzione e rumorosità, trasmissione diretta, tutto Plug & Play anche con quadro elettrico e inverter o avviatore Y/D a bordo; • soffianti centrifughe (serie ZB): con motori a magneti permanenti, con cuscinetti magnetici a velocità variabile, con inverter a bordo, per portate d’aria fino a 11.000 m3/h e pressioni fino a 1 bar(e). Le soffianti Atlas Copco serie ZS, oil-free a vite, e le soffianti centrifughe ZB a velocità variabile con motore a magneti permanenti e cuscinetti magnetici, garantiscono tempi di fermo macchina e di manutenzione estremamente ridotti e un risparmio energetico medio del 30%.

SOLUZIONI A BASSA PRESSIONE PER OGNI ESIGENZA

L’efficienza del sistema di depurazione delle acque civili ha un impatto fondamentale nella vita dei cittadini: l’impianto di depurazione deve essere efficace e purificare con efficienza gli scarichi che provengono dalle nostre case. ACAM Acque, società che si occupa della gestione del servizio idrico integrato della provincia di La Spezia, utilizza per il depuratore di Stagnoni tecnologia Atlas Copco, che garantisce bassi consumi energetici, silenziosità e costi di manutenzione ridotti al minimo. ACAM Acque è la società operativa del Gruppo IREN che

Atlas Copco è l’unica azienda sul mercato a presentare un’offerta completa. L’azienda, oltre ad avere nel suo portafoglio prodotti le classiche soffianti a lobi, ha sviluppato una gamma completa di soffianti a bassa pressione compresa tra 0,3 e 1,2 bar(e), a elevata efficienza e ridotta manutenzione. Nel dettaglio l’offerta prevede: • soffianti a lobi oil-free (serie ZL): adatte per portate d’aria fino a 10.200 m3/h e pressioni fino a 1,0 bar(e)

TECNOLOGIA D’AVANGUARDIA E BASSI CONSUMI ENERGETICI PER DEPURARE LE ACQUE DI LA SPEZIA

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svolge la propria attività nell’ambito dei servizi pubblici a rilevanza economica e in particolare nel settore della gestione del Servizio Idrico Integrato (SII) presidiando tutte le fasi del ciclo idrico, dalla captazione dell’acqua, alle successive fasi di potabilizzazione e distribuzione alle utenze, collettamento e trasporto delle acque reflue civili e industriali, nonché depurazione e rilascio in ambiente. ACAM Acque svolge la sua attività in 26 comuni della Provincia della Spezia coprendo il fabbisogno di servizi idrici di circa 206.000 utenti sparsi su una superficie di 616 km2. Le acque reflue della città e di alcuni paesi limitrofi, circa 100.000 abitanti, sono raccolte e trattate dal depuratore biologico degli Stagnoni, funzionante da circa 30 anni. Una delle principali caratteristiche dei reflui urbani è la biodegradabilità, che ne rende possibile la depurazione attraverso trattamenti biologici. Il processo prevede le seguenti fasi: • sollevamento dei liquami convogliati dal collettore; • grigliatura, per rimuovere eventuali materiali grossolani; • dissabbiatore, per la separazione delle sabbie tramite sedimentazione naturale; • denitrificazione, per l’eliminazione dei composti d’azoto; • ossidazione aerobica, per la depurazione biologica; • sedimentazione, per la separazione dei fanghi dal refluo. Al termine del processo le acque perfettamente depurate sono rimesse in circolazione, e i fanghi residui convogliati verso un corretto smaltimento. La fase di ossidazione aerobica è il cuore del processo depurativo, ed è quello che impegna oltre il 70% dell’energia elettrica utilizzata nel ciclo di depurazione. È qui che intervengono le soffianti.

IL DEPURATORE DI STAGNONI

Presso l’impianto di Stagnoni sono in funzione tre soffianti centrifughe a classica tecnologia con scatola ingranaggi moltiplicatrice, una delle quali ha smesso di funzionare prima dell’estate scorsa, un momento particolarmente critico per l’impianto di depurazione cittadino. In considerazione dei costi e dei tempi di fermo macchina richiesti per la riparazione, non compatibili con l’esigenza cittadina, l’azienda si è rivolta ad Atlas Copco per avere in tempi brevi una soffiante a elevate prestazioni Plug & Play, quindi facile da installare. Nello specifico è stata scelta la soffiante centrifuga a cuscinetti magnetici di Atlas Copco ZB 130 VSD perché garantisce ottime prestazioni energetiche e fermi macchina per manutenzione ridotti grazie all’assenza di attrito interno. La lievitazione magnetica del rotore, grazie ai cuscinetti magnetici, garantisce una bassissima rumorosità, il massimo dell’efficienza energetica e una manutenzione limitata ai filtri dell’aria, non essendoci olio lubrificante all’interno della soffiante. È inoltre dotata di un sistema di autodiagnosi che, in caso di malfunzionamento, fornisce indicazioni sul tipo di intervento da effettuare. La nuova soffiante, installata in tempi brevi, nel mese di agosto ha funzionato a pieno regime e le altre due turbo soffianti dell’impianto a classica tec-

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nologia con scatola ingranaggi moltiplicatrice, a differenza degli anni precedenti, hanno lavorato a basso regime. Le soffianti centrifughe della serie ZB contribuiscono a ridurre i costi energetici: la trasmissione centrifuga senza ingranaggi e senza attrito (grazie ai cuscinetti magnetici) fornisce il massimo volume d’aria al minor consumo di energia. La tecnologia integrata VSD (Variable Speed Drive, Inverter) regola automaticamente il numero di giri della girante in funzione delle effettive richieste d’aria. La tecnologia oil-free, certificata ISO 8573-1 Classe 0, contribuisce alla riduzione dei costi di manutenzione, non essendoci olio di lubrificazione a dover essere filtrato. Il settore della depurazione acque reflue è di grande importanza per Atlas Copco, che ha un’offerta completa di soffianti fra le quali selezionare, con l’aiuto di sistemi di simulazione di portata e di pressione, la soluzione più efficiente in funzione delle esigenze del cliente.

SOFFIANTI A VITE: NUOVO STANDARD DI EFFICIENZA ENERGETICA NELLA BASSA PRESSIONE

Studi Atlas Copco attestano che adottando un approccio termodinamico la compressione interna è più efficiente di quella esterna a partire da 0,4 bar(e) in su. Le classiche soffianti a lobi consumano di fatto molta più energia rispetto alle soffianti a vite, già a partire da pressioni di esercizio superiori a 0,4 bar(e). Le soffianti a vite Atlas Copco, utilizzano la compressione adiabatica (senza cessione di calore) dell’aria all’interno dello stadio mentre le soffianti a lobi usano la compressione isocora (a volume costante) dell’aria all’esterno. Questo è il motivo per cui con le soffianti a vite Atlas Copco ha stabilito un nuovo standard di efficienza energetica nel mercato della bassa pressione. Test presenziati e certificati dall’ente indipendente tedesco TÜV hanno infatti dimostrato che in termini di consumo energetico le soffianti a vite ZS a 0,5 bar(e) sono più efficienti del 23,8% e a 0,9 bar(e) sono più efficienti del 39,7% rispetto alle soffianti a tre lobi.


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RICICLARE È MEGLIO CHE PRODURRE VISITA ALL’IMPIANTO PER LA SELEZIONE E RECUPERO DELLA PLASTICA DI OPPIMITTI ENERGY SRL CHE HA INSTALLATO NUOVE MACCHINE TOMRA SORTING RECYCLING di Maria Beatrice Celino

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el 2016 un’azienda produttrice di mattonelle è stata acquistata e convertita al recupero e alla valorizzazione della plastica. Un investimento da 10 milioni di euro, 60 posti di lavoro nel cuore dell’Appennino emiliano per una storia di successo nella riconversione industriale. Parliamo di quella che oggi è la Oppimitti Energy Srl. L’impianto si trova a Bedonia, sui monti a circa 80 km da Parma. L’azienda fa parte del gruppo industriale Oppimitti, che negli anni ‘90, con una scelta lungimirante e “green”, ha allargato le sue attività dal settore delle costruzioni all’ecologia e alle energie rinnovabili. Stefano Oppimitti è il direttore tecnico del centro di selezione e separazione di plastica derivante da raccolta differenziata, appartenente al circuito COREPLA, in cui la selezione è effettuata per colore e polimero secondo le specifiche del consorzio nazionale per il recupero degli imballaggi in plastica. In Italia si producono circa 100 kg di plastica a testa ogni anno e di questi circa 35 kg a testa sono “rifiuti da confezionamento”, che si possono differenziare e riciclare. Parte della plastica arriva dal centro di smistamento della differenziata di Borgo Val di Taro, sempre di proprietà della Oppimitti, dove vengono preparate le balle di sole materie plastiche e conferite a Bedonia con 4 camion al giorno. L’impianto, che conta una superficie totale di 6.500 metri quadrati di cui 4.000 di stoccaggi e 2.500 d’area impiantistica, è uno dei più all’avanguardia dei 36 operanti in Italia. Per essere all’avanguardia, il centro di riciclo ha voluto da subito le macchine a sensori ottici di TOMRA Sorting Recycling. TOMRA progetta e realizza tecnologie per la selezione basate su sensori per il settore del riciclo e della gestione dei rifiuti. Oltre 5.500

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sistemi sono installati in 80 paesi del mondo. Responsabile dello sviluppo del primo sensore a infrarossi al mondo per applicazioni nel campo del riciclo di rifiuti, TOMRA è pioniera nel settore e grazie ai suoi sensori recupera frazioni di elevata purezza dal flusso di rifiuti che massimizzano la resa e i benefici dei clienti. Stefano Oppimitti racconta: “Abbiamo installato 6 macchine AUTOSORT, di cui due funzionano in double track. Sono tutte dotate di sensore sia NIR (lunghezze d’onda vicino all’infrarosso) che VIS (lunghezze d’onda nel campo del visibile) e vengono impiegate nella separazione del PET nelle varie colorazioni, nella separazione dell’HDPE (polietilene ad alta densità, high-density polyethylene), del propilene e del polietilene a bassa densità”. Le macchine sono state acquistate nel 2017 con grande soddisfazione degli acquiren-


INNOSORT FLAKE: DOPPIO SENSORE, DOPPIA EFFICACIA TOMRA Sorting Recycling amplia la sua offerta di soluzioni ad alta precisione per la selezione delle scaglie in PET. L’innovativa INNOSORT FLAKE coniuga la selezione in base ai colori con quella in base ai materiali, rimuovendo in modo affidabile PVC, metalli e scaglie opache. Si tratta della soluzione di selezione “all-in-one” ideale per gli impianti di recupero della plastica, che garantisce una produzione costante e di alta qualità e un’elevata produttività, a condizioni economiche interessanti. TOMRA, leader di mercato nella selezione a sensori, ha presentato la nuova macchina INNOSORT FLAKE al PRSE (Plastic Recycling Show Europe). Accompagnata dallo slogan “Materialmente differente. Straordinariamente efficace”, l’innovativa soluzione di selezione delle scaglie in PET a doppio sensore è dotata dell’esclusiva combinazione di fotocamere RGB e sensori a infrarossi NIR ad altissima risoluzione, in grado di selezionare frazioni di plastica da 2 a 12 mm per colore e per tipo di polimero, allo stesso tempo. Valerio Sama, Product Manager Recycling di TOMRA Sorting, ha dichiarato: “Poiché l’industria rPET (PET riciclato) è focalizzata sul raggiungimento di produzioni dalla qualità elevata e dall’alto valore economico, INNOSORT FLAKE offre una soluzione all in one perfetta per gli impianti di recupero della plastica che cercano di ottenere rese di alta qualità, ridurre le perdite e ottimizzare il proprio lavoro per migliorare la struttura dei costi del loro business”.

RPET DI ALTA QUALITÀ E RESE ELEVATE INNOSORT FLAKE è dotato della tecnologia brevettata TOMRA FLYING BEAM®, il segreto della sua straordinaria precisione. I sensori NIR ad alta velocità e precisione consentono il riconoscimento del polimero da 2 mm, riducendo significativamente la perdita di prezioso materiale, con perdite finali inferiori in media al 2%. Il sensore rileva le proprietà di un’ampia gamma di polimeri, in modo da eliminare contaminanti come PVC, PE, PP, PA e POM, con conseguente aumento della resa qualitativa. Dall’affidabile rimozione di PVC, metalli e scaglie opache derivano gradi di rPET che soddisfano gli elevati standard qualitativi che si traducono in prezzi migliori e una maggiore redditività della produzione del cliente.

BASSI COSTI OPERATIVI E RAPIDO RITORNO SULL’INVESTIMENTO La funzione di calibrazione continua consente ai clienti di monitorare e ottimizzare le prestazioni degli impianti in tempo reale. Questo significa maggiore stabilità e minori tempi di inattività, con una resa costante e di alta qualità. Inoltre, la tecnologia di illuminazione innovativa e precisa consente di risparmiare fino al 70% di energia, riducendo i costi operativi. INNOSORT FLAKE viene offerta a condizioni economiche interessanti che, insieme ai bassi costi operativi e all’elevata redditività, si traducono in un rapido ritorno sull’investimento del cliente. Con la sua risoluzione ultraelevata, la configurazione specializzata dei sensori e le velocità di produzione fino a 4,5 ton/h, INNOSORT FLAKE dimostra che è possibile ottenere facilmente rese di qualità e un’elevata produttività. INNOSORT FLAKE si è già dimostrata un successo sul mercato cinese, dove è stata lanciata nel settembre 2018; attualmente sono diversi i clienti che ne apprezzano gli alti livelli di purezza, il basso tasso di perdita e l’elevata produttività.

UN’OFFERTA COMPLETA DI SOLUZIONI DI SELEZIONE AD ALTA PRECISIONE PER L’INDUSTRIA RPET INNOSORT FLAKE amplia l’offerta di TOMRA di soluzioni di selezione ad alta precisione, che includono la pluripremiata AUTOSORT FLAKE, la prima selezionatrice che abbina con successo e contemporaneamente il rilevamento del colore al riconoscimento dei materiali e degli oggetti metallici. Questi sistemi estremamente efficaci ottimizzano la selezione delle scaglie e garantiscono tempi di fermo macchina minimi.

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ti. Dice Oppimitti: “Pur essendo relativamente nuovi nel settore, ci siamo resi conto di quanto la tecnologia e l’esperienza di TOMRA facciano veramente la differenza in termini di produttività e in termini di qualità ed efficienza di separazione”. Anche per questo il centro sta valutando ora l’installazione e l’inserimento nell’impianto di altre 4 macchine per il potenziamento del recupero delle poliuretine miste e per la valorizzazione e il recupero della parte fine del termine linea, cioè quella di dimensione al di sotto dei 5 cm. Al momento, la linea di selezione ha la potenzialità di 8 tonnellate ora, lavorando su tre turni per una produzione annua totale di circa 48.000 tonnellate. Le macchine AUTOSORT di TOMRA a sensori spettrometrici abbinano sensori NIR (lunghezze d’onda vicino all’infrarosso) e VIS

(lunghezze d’onda nel campo del visibile) in un sistema di selezione universale modulare che consente di riconoscere e separare con esattezza e alla massima velocità una gran quantità di materiale, in base al tipo e alla composizione, ottenendo frazioni di elevata purezza. All’interno dell’impianto, la tecnologia NIR consente la selezione dei polimeri e quella VIS la selezione dei colori. Anche dal punto di vista dell’assistenza e del servizio, TOMRA ha soddisfatto appieno le esigenze del cliente: “Siamo molto contenti dei servizi offerti di assistenza, formazione e aggiornamento perché ci siamo resi conto che ci permettono di avere gli strumenti per sfruttare al meglio la potenzialità delle macchine in qualsiasi situazione produttiva,” dice Stefano Oppimitti. Il materiale in uscita è riciclato come materia prima secondaria (MPS) con caratteristiche pressoché equivalenti al polimero vergine e viene impiegato in numerose industrie. L’impianto emiliano, in particolare, produce dodici tipologie di materie prime secondarie, pronte per l’industria plastica, pure e controllate. Queste materie prime secondarie a matrice poliolefinica (HDPE, LDPE e PP) trovano vasto impiego nella realizzazione di manufatti per l’edilizia (tubi, interruttori, canaline, ecc.), l’arredamento (componenti per sedie e mobili), l’automotive (vari componenti stampati), l’agricoltura (tubi per irrigazione, vasi) e in alcuni casi tornano a essere imballaggi (cassette e flaconi per detersivi e detergenza domestica, pallet). In un mondo in cui la plastica ci sta inesorabilmente e letteralmente sommergendo, non ci sono alternative al riciclo e al riutilizzo. In Oppimitti lo sanno e, con le macchine TOMRA, lo fanno bene.


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AUTOMAZIONE, LA STRADA DEL FUTURO IMPRESE E TECNOLOGIE 4.0: MERCATO E SOLUZIONI A SPS, LA FIERA PIÙ IMPORTANTE DEL SETTORE di Laura Veneri

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l MET, Monitoraggio Economia Territorio, ha realizzato una importante ricerca commissionata dal Ministero dello Sviluppo Economico sulle Imprese e tecnologie 4.0: ha indagato l’utilizzo di tecnologie 4.0 all’interno di circa 23.700 imprese selezionate a campione in tutto il territorio italiano. I risultati, pubblicati nel 2018 su dati relativi al periodo ottobre 2017 - febbraio 2018, mostrano un mercato carente: l’8,4% delle imprese manifatturiere italiane utilizza almeno una tecnologia 4.0. A questa quota si aggiunge un ulteriore 4,7% di imprese che hanno in programma investimenti specifici nel triennio (2018-2020). Le imprese “tradizionali”, ovvero che non utilizzano tecnologie 4.0 e non hanno in pro-

gramma interventi futuri, rappresentano ancora la grande maggioranza della popolazione industriale (86,9%). L’indagine evidenzia come nel processo di trasformazione 4.0 il ruolo delle politiche pubbliche sia stato incisivo: il 56,9% delle imprese 4.0 dichiara di aver utilizzato almeno una misura di sostegno pubblico rispetto al 22,7% delle analoghe imprese non impegnate nelle tecnologie in esame. Le imprese hanno utilizzato in larga prevalenza il super ammortamento e l’iper ammortamento (36,8% nel caso delle imprese 4.0 e 12,8% tra le imprese tradizionali), il credito d’imposta per le spese in R&S (17,0% vs 3,1%), la Nuova Sabatini (19,8% vs 4,7%) e i fondi di garanzia (11,3% vs 2,8%).

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Entrando più nel dettaglio delle singole tecnologie impiegate, in termini di orientamento tecnologico va sottolineato come la cyber security, l’integrazione orizzontale delle informazioni e l’Internet delle cose rappresentino l’ambito più diffuso per gli investimenti aziendali. Tra le imprese di media e grande dimensione, gli investimenti più diffusi riguardano la sicurezza informatica e l’integrazione, sia verticale che orizzontale, delle informazioni. L’impiego di robot collaborativi, delle stampanti 3D e delle simulazioni virtuali trovano una diffusione relativamente apprezzabile soltanto presso le imprese più strutturate, con percentuali che superano il 20% tra le imprese con oltre 250 addetti.

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Nella maggioranza dei casi il coinvolgimento nelle tecnologie 4.0 appare circoscritto all’utilizzo di un numero molto limitato di applicazioni. Il 62,4% delle imprese 4.0 si avvale di una (37,3%) o al massimo due tecnologie (25,1%); al di sopra dei 50 addetti la “cassetta degli attrezzi” si amplia, ma è esclusivamente nelle grandi imprese che il fenomeno tende a presentarsi come un sistema integrato di differenti tecnologie. Oltre il 60% delle imprese di maggiori dimensioni, infatti, utilizza almeno 4 tipologie di applicazioni 4.0.

LA FIERA PER L’INDUSTRIA INTELLIGENTE

Automazione, digitale e software, robotica e meccatronica sono tra i trend 2019 di SPS Italia, in programma dal 28 al 30 maggio alle fiere di Parma. SPS Italia è la fiera per l’industria intelligente, digitale e flessibile organizzata da Messe Frankfurt Italia e quest’anno raggiunge la nona edizione. “Anche quest’anno la fiera è in crescita. Abbiamo 6 padiglioni al completo con oltre 800 espositori. La manifestazione negli anni ha triplicato i propri risultati diventando il contesto ideale per la contaminazione di competenze ed esperienze di innovazione”, spiega Donald Wich, AD di Messe Frankfurt Italia. “Nei padiglioni 3, 5 e 6 ci sarà tutto il meglio delle tecnologie per l’automazione e soluzioni software al servizio della digitalizzazione della fabbrica, prodotti e applicazioni innovative. Nei padiglioni 4, 7 e 4.1 invece il percorso

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dedicato alla Digital Transformation del manifatturiero, denominato District 4.0, che metterà in mostra progetti legati alle aree di rinnovamento attraverso le nuove tecnologie e la digitalizzazione dei processi”. Continua Francesca Selva, Vice President Marketing&Events Messe Frankfurt Italia. District 4.0 è il distretto dedicato alla fabbrica 4.0, un percorso diviso in aree tematiche: Automazione Avanzata, Digital&Software, Competence Academy e Robotica&Meccatronica. All’interno di ogni area espositiva il visitatore troverà demo funzionanti e soluzioni meccatroniche articolate che integreranno diverse componenti IT (Information Technology) e OT (Operational Technology), a testimonianza del fatto che la trasformazione avanzata dell’industria richiede lo sviluppo di una conoscenza sempre più condivisa e una maturazione di competenze più ampie rispetto al passato. La caratteristica principale delle demo e delle soluzioni esposte è che, partendo da una case history reale, riusciranno a mettere in mostra le potenzialità di una tecnologia e non di un singolo prodotto, e allo stesso tempo sapranno evidenziare quali sono le competenze e le skill necessarie alle aziende per poter implementare le applicazioni più innovative. Robotica e digitalizzazione sono i filoni della prossima edizione, con un intero padiglione dedicato, che ospiterà i più significativi player del comparto e demo per vedere dal vivo interessanti

soluzioni applicative. Quello tra robot e automazione è un matrimonio che non poteva che avvenire a SPS Italia, dove si è già celebrata l’unione tra automazione e IT. Un tema introdotto già in occasione della conferenza stampa di presentazione di dicembre, con la presenza di TeoTronico, il robot pianista che sul palco si è sfidato con un pianista umano, proponendo alla platea uno spunto di riflessione sull’evoluzione del rapporto tra uomo e robot (relazione che evolve sempre di più all’insegna della collaborazione). Le demo applicative dei principali player di questo settore saranno nel padiglione 4.1 e i rappresentanti delle stesse aziende saranno coinvolti in un Osservatorio, svolto con il Politecnico di Milano e curato dal prof. Giambattista Gruosso del Dipartimento Elettronica Informazione e Bioingegneria, volto a studiare il mercato, le sue sfide e le potenzialità con un focus su mercati verticali. Nel 2019 tale focus sarà il Packaging in ambito Pharma e Beauty. Lo studio sarà di tipo qualitativo e verrà realizzato attraverso una serie di interviste alle aziende chiave, per capire il posizionamento della robotica in tali settori, capirne le esigenze e le prospettive e verrà presentato a Milano nel mese di novembre. Non mancherà il tema della trasformazione digitale, introdotto già da alcune edizioni, all’insegna dell’incontro (e confronto) tra mondo IT e OT. Continua quel cammino comune che porta alla digitalizzazione delle fabbriche e a un’integrazione sempre più profonda tra i due mondi. La trasformazione digitale è una grande sfida per tutte le imprese che mirano all’efficienza operativa, alla riduzione dei costi e in generale a una maggiore competitività e crescita, per questo motivo in fiera il visitatore avrà modo di confrontarsi con i principali player del mondo digitale, con fornitori di software industriale e con installazioni di casi reali presenti sul mercato. SPS Italia ha nel proprio DNA la digitalizzazione del settore manifatturiero e si conferma nuovamente la piattaforma privilegiata per la trasformazione del modo di lavorare delle fabbriche.


B&R A SPS SCOPRI LA FABBRICA ADATTIVA I nuovi trend di consumo, le sfide in produzione e le tecnologie abilitanti

Dal 28 al 30 maggio a Parma torna l’appuntamento con l’automazione industriale e B&R presenta, in anteprima nazionale, tutte le novità che permettono di soddisfare le esigenze della manifattura intelligente: qualità garantita e una produzione dinamica e personalizzata, efficiente e sostenibile. Come? Semplice, costruendo macchine automatiche connesse, flessibili, dalle elevate prestazioni e operabili in maniera sicura attraverso interfacce moderne, e soprattutto rendendole adattive. B&R sarà presente al padiglione 3, Stand F031

Cosa B&R può integrare oggi

Ogni nuovo tassello che si aggiunge all’ecosistema integrato B&R apre nuove possibilità e sblocca ulteriori livelli prestazionali per i costruttori di macchine e la manifattura italiani. Sotto i riflettori quest’anno a Parma vediamo le tecnologie per realizzare macchine adattive e massimizzare la competitività in produzione. Il sistema di visione B&R - integrato ovviamente, così come tutte le parti in movimento della macchina - rende semplice per i costruttori di macchine garantire qualità e produttività sempre più elevate. Numerose postazioni dimostrative permetteranno di comprendere come la gestione di sensori e illuminatori integrati e controllati nell’unico ambiente di sviluppo della macchina, permetta di realizzare facilmente e rapidamente applicazioni di visione con prestazioni inedite, senza essere esperti. I sistemi di trasporto di ultima generazione, anch’essi integrati, dove i carrelli indipendenti corrono lungo le linee produttive sincronizzandosi con le altre parti in movimento, reagiscono in modo intelligente e portano a una produzione ottimizzata e personalizzata, a tempi e costi da produzione di massa. Una demo speciale mostrerà le potenzialità in produzione di una soluzione collaborativa tra sistemi trak, robot e uomo. All’interno dell’area SPS dedicata alla Robotica e Meccatronica (District 4.0 Stand A023) sarà possibile vedere uno di questi sistemi di trasporto intelligenti anche in versione “gemello digitale”, con una demo interattiva di realtà virtuale dove, direttamente dalla realtà simulata - con visore e joistick - sarà possibile non soltanto vedere cosa accade, ma definire i setpoint per le variabili di sistema e simulare il ciclo produttivo reale. E quando tutto è integrato le informazioni sono disponibili per tutti gli attori della catena produttiva che possono utilizzarle per apprendere e migliorare. Tutto da scoprire l’Asset performance Monitor, la prima app B&R basata sulla piattaforma cloud ABB Ability. Tale strumento permette di osservare in ogni momento cosa succede sulle macchine, ovunque esse siano installate nel mondo, e di intervenire all’occorrenza in modo tempestivo, fornendo all’industria livelli inediti di servizio e assistenza. Per gli utenti finali l’app è inoltre un modo pratico e immediato per osservare, comprendere i processi e intraprendere azioni migliorative perseguendo sempre la massima competitività. Queste e tante altre novità saranno di scena nell’area B&R (Padiglione 3, Stand F031), teatro dell’innovazione e luogo di incontro per i professionisti italiani. Un’occasione unica per toccare con mano la tecnologia arancione, ma anche per confrontarsi e scoprire nuovi modi di fare automazione insieme agli ingegneri B&R e ai Qualified Partner B&R, un network di aziende certificate nell’applicazione delle tecnologie B&R che metteranno al servizio del visitatore la loro vasta esperienza e competenza nei diversi settori applicativi.

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CONTROL TECHNIQUES RITORNO DAL FUTURO... NUOVA GAMMA DI AZIONAMENTI COMMANDER Control Techniques, Azienda di Nidec Corporation, ha annunciato il ritorno della famosa gamma di azionamenti Commander. La serie Commander comprende due varianti di azionamenti General Purpose e sostituisce gli attuali M200 e M300. Commander C200 soddisfa le esigenze di una vasta gamma di applicazioni General Purpose e include funzionalità progettate per rendere l’impostazione e l’installazione il più possibile semplici e immediate. Commander C300 presenta le stesse caratteristiche e funzionalità, ma include anche un doppio ingresso Safe Torque Off (STO) per applicazioni generiche che richiedono funzionalità Safety. La serie Commander è costituita da inverter semplici e compatti per il controllo di motori AC che soddisfano i requisiti avanzati in una vasta gamma di applicazioni. Il loro ingombro ridotto - sono tra i più piccoli della loro categoria - li rende ideali per i costruttori di macchine, là dove le dimensioni e prestazioni sono un fattore cruciale. Entrambi i modelli sono stati progettati nell’ottica della semplicità di utilizzo, ma anche di un’ottima flessibilità; ecco perché integrano potenti funzionalità. Un PLC onboard, ad esempio, fornisce un’intelligenza integrata che elimina la necessità di un controllore esterno, riducendo i costi e gli ingombri all’interno del quadro elettrico o di un sistema più complesso. L’ampio range di potenza di Commander, che va da 0,25 kW a 132 kW, rende inoltre la soluzione perfetta per applicazioni a bassa e alta potenza. Oltretutto, nelle applicazioni più complesse, Commander trae vantaggio dalla compatibilità con una vasta gamma di moduli opzionali plug-in, espandendo le funzionalità e le possibilità di comunicazione con un’ampia selezione dei più conosciuti Bus di Campo. È disponibile una suite di tool per garantire le attività di messa in servizio e di manutenzione fluide. Connect offre un’interfaccia Windows familiare e tool grafici intuitivi per migliorare l’analisi dei dati. I diagrammi logici e dinamici integrati nel software consentono la visualizzazione e il controllo del drive in tempo reale. Il browser dei parametri consente la visualizzazione, la modifica e il salvataggio dei parametri, nonché l’importazione dei file di parametri dai drive precedentemente istallati. Per applicazioni più avanzate, Machine Control Studio fornisce un ambiente di programmazione flessibile e intuitivo; ciò è possibile grazie al PLC onboard che aumenta le funzionalità dell’azionamento senza alcun costo aggiuntivo. Control Techniques fornisce inoltre supporto per le librerie di blocchi funzione dei clienti, con il monitoraggio on line delle variabili di programma, con watch windows definite dall’utente e un supporto on-line per le modifiche del programma, allineato ai più moderni PLC. Diagnostic Tool è un tool semplice e veloce, che consente agli utenti di risolvere rapidamente eventuali errori nel codice che il drive può presentare. All’interno della app sono disponibili gli schemi di cablaggio per la configurazione iniziale e la ricerca guasti e i collegamenti ai relativi manuali completi. La app dispone anche dei dettagli del Technical Support di tutto il mondo per aiutarvi con l’assistenza tecnica. I nuovi azionamenti Commander segnano anche un ritorno a un’estetica più familiare. “Control Techniques è stato il Produttore del primo azionamento Commander fin dalla sua introduzione nel 1983,” ha dichiarato Anthony Pickering, Presidente di Control Techniques; “Questa nuova gamma raccoglie il testimone per continuare tale tradizione”. “Il nome Commander vanta una lunga tradizione all’interno di Control Techniques e del settore degli azionamenti, cosa che rende questa nuova gamma di prodotti estremamente importante per noi. Praticamente fin da quando esistono gli azionamenti a velocità variabile, c’è stato un azionamento Commander di Control Techniques. È un nome che le persone conoscono e di cui si fidano e siamo lieti di averlo potuto riportare sul mercato”.

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SICK SENSOR INTELLIGENCE IL PRIMO LASER SCANNER DI SICUREZZA OUTDOOR Sempre più spesso le industrie stanno adottando navette a guida automatica per trasportare componenti e vassoi da un’isola produttiva all’altra, muovendosi in totale autonomia anche in presenza di operatori. Ma cosa fare quando questi sistemi devono uscire dagli ambienti produttivi e operare all’aperto in presenza di persone? La navigazione sicura in ambienti indoor e outdoor con un solo dispositivo è ora possibile con outdoorScan3 di SICK.

Sicurezza outdoor anche in condizioni ambientali difficili

Dall’esperienza maturata con microScan3, il laser scanner di sicurezza largamente impiegato per la protezione di zone, accessi e punti pericolosi basato sulla tecnologia di scansione safeHDDM®, e dalla richiesta del mercato di far muovere gli AGV anche in ambienti esterni salvaguardando la sicurezza del personale, nasce outdoorScan3, il primo laser scanner di sicurezza outdoor del mondo. OutdoorScan3 è, infatti, il primo della sua categoria ad essere certificato per l’uso in ambiente esterno. Grazie agli intelligenti algoritmi e alla tecnologia safeHDDM®, brevettata da SICK, il sensore scansiona e misura gli ostacoli presenti nelle aree di lavoro anche con intensità luminosa molto elevata (fino a 40.000 lx), è capace di filtrare i disturbi legati alla caduta di pioggia e neve, e di lavorare in presenza di nebbia; il tutto in temperature comprese tra -25° e +50°C. La robusta custodia ne consente l’uso anche in presenza di vibrazioni e shock fisici derivanti, ad esempio, dalla navigazione su suolo sconnesso.

Fino a 128 campi di protezione

Oltre a lavorare in qualsiasi condizione ambientale, outdoorScan3 stupisce anche per le sue ottime performance: l’apertura ottica è di 275° e la portata del campo di protezione è di 4 m, che diventano 40 m se si parla di aree di warning. Inoltre, nella versione Pro - EtherNet/IPTM, è possibile programmare fino a 128 campi di protezione, di cui 8 possono agire in contemporanea. Per applicazioni più semplici, outdoorScan3 è disponibile anche in versione I/O. A seconda della versione scelta, il tempo di risposta del laser scanner è di 90 o 115 ms, il che lo rende ideale per essere utilizzato su sistemi a guida automatica a velocità sostenute.

Programmazione facile, utilizzo intuitivo

Dalla sua versione indoor microScan3, outdoorScan3 ha ereditato tutti i migliori aspetti, come la possibilità di programmazione tramite il software Safety Designer. La messa in servizio e la gestione del sensore durante il suo funzionamento sono semplici e intuitive, così come ogni altro laser scanner SICK. Il display a colori e i LED di cui è dotato, inoltre, consentono di monitorare in tempo reale lo stato operativo del dispositivo. Il collegamento Ethernet, inoltre, dà accesso a una grande varietà di dati diagnostici. Il collegamento in rete è reso sicuro dalla centralina di sicurezza Flexi Soft.

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SMC SMC ITALIA PUNTA SU INNOVAZIONE TECNOLOGICA E COMPETENZE TRASVERSALI Focus sulla formazione di nuove figure professionali 4.0

L’innovazione tecnologica punta sul digitale e sulla connettività dell’intero ciclo produttivo, la consociata italiana di SMC Corporation (www.smcitalia.it) ha deciso di rinnovare anche quest’anno la propria partecipazione a SPS IPC Drives a Parma (28-30 maggio 2019), la fiera di riferimento per l’automazione industriale. SMC si presenta con soluzioni dedicate alla gestione dei segnali digitali, analogici e pneumatici che rispondono alle esigenze di connettività, efficienza energetica e flessibilità. Nel comparto della componentistica pneumatica sono numerosi i prodotti “meccatronici” e il passaggio dall’analogico al digitale consente non solo di ripensare alle attuali soluzioni disponibili, ma di crearne di completamente nuove. In quest’ottica sono stati sviluppati prodotti che ben si sposano con il concetto di Industria 4.0: il bus di campo IO-Link per comandare valvole, oppure per acquisire segnali digitali e analogici o, ancora, dispositivi per ottenere una configurazione da remoto come pressostati, regolatori di pressione, misuratori di posizione, controlli di motore stepper, comando valvole e così via. A questi si aggiunge il sistema EX600 Wireless, dedicato alla gestione dei segnali digitali, analogici e pneumatici.

EX600 Wireless: flessibilità e modularità

La soluzione EX600 Wireless è sinonimo di flessibilità e modularità grazie alla piattaforma con logica “Master & Slave”. Ad ogni unità EX600 Master è possibile collegare con modalità Wireless sino a 128 Unità EX600 Slaves. La connessione tra le unità master e slave utilizza il range di frequenza riservato alle comunicazioni industriali, sui 2,4 GHz con uno spettro a 79 canali. Ciò significa che la tecnologia di comunicazione cambia rapidamente la frequenza, per evitare interferenze da altre apparecchiature wireless. Qualora la frequenza delle comunicazioni Wi-Fi dovesse entrare in conflitto con altre comunicazioni wireless o fosse presente un’interferenza ambientale da onde radio, verrebbero utilizzate automaticamente altre frequenze per una comunicazione più stabile. La comunicazione si avvale di un innovativo sistema di modulazione della stessa (FHSS, Frequency Hopping Spread Spectrum) con tempi di aggiornamento pari a 5 ms. Ogni unità EX600 Master ha la capacità di gestire fino a un massimo di 1280 Ingressi e 1280 Uscite con combinazioni digitali, analogiche e pneumatiche distribuite nelle diverse Unità EX600 Wireless integrate nel network. Questa soluzione consente di monitorare il livello di comunicazione tra i diversi moduli grazie alla funzione Web-Server per una semplice e rapida diagnostica da remoto. In aggiunta, EX600 Wireless offre la crittografia dei dati a tutela della sicurezza degli impianti e attrezzature su cui è installato.

District 4.0: il percorso di Digital Transformation

SMC Italia ha scelto di percorrere la strada della trasformazione digitale proponendo una propria soluzione nel nuovo progetto della fiera di Parma dedicato alle aree di rinnovamento del settore manifatturiero attraverso le nuove tecnologie e la digitalizzazione dei processi. Nel District 4.0 (padiglione 4.1 stand C037) è presente la demo dedicata al wireless che mette in mostra le potenzialità della tecnologia applicata evidenziando le competenze e le skills necessarie per poterle implementare. Questo percorso vuole essere una piattaforma di incontro tra tecnologie e sapere che evidenzia come la formazione sia la chiave per lo sviluppo di una manifattura italiana 4.0.

La formazione come fattore abilitante

Innovazione ed evoluzione stanno cambiando velocemente il mondo del lavoro fortemente orientato alla smart factory, all’automazione industriale e all’Industria 4.0: una sfida fortemente legata alle competenze. Difficile pensare alla diffusione di queste tecnologie già mature e disponibili sul mercato, se mancano figure professionali capaci di cogliere l’integrazione tra processi e prodotti. La tecnologia da sola non basta, è necessario partire dalla scuola con percorsi formativi legati al mondo del lavoro per aiutare ad acquisire quelle competenze multidisciplinari richieste dalle realtà aziendali interconnesse. Proprio per sottolineare questo aspetto, SMC Italia a SPS Drives propone al proprio stand (padiglione 6 stand G012) una demo didattica che ha l’obiettivo di supportare docenti e studenti nello sviluppo delle competenze legate alle tecnologie applicate. SMC è convinta che sia necessario partire dalle scuole: portare l’azienda negli istituti scolastici attraverso attrezzature realizzate con componenti reali che vengono normalmente utilizzati nei processi industriali è la strada per formare i professionisti di domani. SMC - grazie ad attrezzature multidisciplinari - è in grado di accompagnare gli studenti nell’integrazione delle competenze necessarie per affrontare il mondo lavorativo che sta cambiando molto in fretta e in linea con le esigenze dell’industria.

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BIOMETANO, RISORSA RINNOVABILE INCENTIVARE LA REALIZZAZIONE DI IMPIANTI A BIOMETANO PER ACCELERARE LA DECARBONIZZAZIONE E RENDERE MAGGIORMENTE SOSTENIBILI I TRASPORTI di Maeva Brunero Bronzin

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o sfruttamento degli scarti agricoli e della frazione organica dei rifiuti per la produzione di biometano è essenziale per raggiungere gli obiettivi del pacchetto europeo per il clima e l’energia 2020, che prevede il taglio del 20% delle emissioni di gas a effetto serra (rispetto ai livelli del 1990), il 20% del fabbisogno energetico ricavato da fonti rinnovabili e il miglioramento del 20% dell’efficienza

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energetica. Se ne è discusso anche in occasione dell’edizione 2019 del Biogas Italy - Change Climate, l’appuntamento sempre più partecipato organizzato dal CIB, Consorzio Italiano Biogas, in cui si è dibattuto sul ruolo del biogas e del biometano nella pianificazione energetica del Paese con i rappresentanti dell’industria, della distribuzione energetica, dei trasporti e della politica. Il biogas è un gas rinno-

vabile in grado di condurre l’economia italiana verso un futuro di sostenibilità ambientale. Il nostro Paese dispone di una filiera agricola particolarmente vitale e in grado di produrre biogas, convertibile in energia elettrica e termica, e biometano, prodotto che può essere immesso nell’infrastruttura del gas per usi civili e industriali o utilizzato come biocarburante avanzato. Il biometano è stato oggetto della


presentazione di uno studio commissionato a Navigant dal consorzio Gas for Climate, che riunisce sette aziende europee di primo piano nel trasporto gas (Snam, Enagás, Fluxys, Gasunie, GRTgaz, Open Grid Europe e Teréga) e due associazioni attive nel settore del gas rinnovabile (CIB-Consorzio Italiano Biogas e EBA-European Biogas Association). Il report illustra il potenziale di idrogeno e biometano, accanto all’energia elettrica prodotta da rinnovabili, nell’assicurare al continente una transizione energetica meno costosa possibile, svolgendo un ruolo chiave nel riscaldamento domestico, nei processi industriali, nella produzione di energia elettrica e nei trasporti pesanti. Il potenziale di gas rinnovabile, prevalentemente biometano e idrogeno, di 270 miliardi di m3 da immettere nelle infrastrutture esistenti potrà aiutare l’Europa a disegnare un sistema energetico a zero emissioni nette nel 2050 risparmiando circa 217 miliardi di euro l’anno. Le infrastrutture di gas esi-

stenti in Europa possono trasportare e stoccare sia l’idrogeno sia il biometano e saranno indispensabili per fornire questi crescenti quantitativi di gas rinnovabile agli utenti finali. Secondo gli esperti di Navigant, oltre al biometano prodotto da rifiuti urbani e scarti agricoli e agroindustriali, larga parte del gas rinnovabile in Europa sarà inizialmente costituita dal cosiddetto idrogeno “blu”, ossia l’idrogeno carbon-neutral prodotto da gas naturale tramite la cattura e lo stoccaggio del carbonio (CCS). A partire dal 2050, l’idrogeno blu sarà gradualmente rimpiazzato da idrogeno “verde”, ossia prodotto tramite eolico e solare, realizzando un mix energetico totalmente rinnovabile. “Il gas e la sua infrastruttura continueranno a essere importanti anche in uno scenario energetico proiettato al 2050” ha dichiarato Kees van der Leun, esperto di Navigant, che osserva come “si stia verificando un aumento della consapevolezza generale rispetto al fatto che non sarà possibile raggiun-

gere gli obiettivi chiave nella lotta al cambiamento climatico senza il contributo primario del gas rinnovabile e a basso contenuto di carbonio”. “Riteniamo che il gas rinnovabile giocherà un ruolo fondamentale nel processo di transizione verso un’economia carbon neutral, anche grazie al potenziamento della filiera agricola del biometano” - dichiara Piero Gattoni, presidente CIB. “La molecola del biometano è molto flessibile, può velocizzare la decarbonizzazione della rete del gas, rendere ecosostenibili i trasporti, in particolare quelli pesanti e navali e giocare un ruolo fondamentale nella futura produzione di biomateriali”. La produzione di gas rinnovabile contribuirà a una più rapida e meno costosa penetrazione delle fonti rinnovabili intermittenti. Secondo dati 2018 di Navigant, l’utilizzo del biometano potrebbe generare risparmi annui intorno ai 140 miliardi di euro entro il 2050 rispetto a un sistema energetico futuro a zero emissioni nette che, però, non tenga conto del contributo del gas. L’altro grande bacino potenziale di utilizzo del biometano è il settore dei trasporti, in particolare quelli di difficile elettrificazione come quelli pesanti e navali.

SVILUPPO DEL BIOMETANO NEI TRASPORTI

A poco più di un anno dall’attuazione del decreto 2 marzo 2018 sul biometano è stata avviata un’importante collaborazione nell’ambito della mobilità sostenibile e della progettualità del biometano. È stato infatti siglato un Accordo di cooperazione per sostenere l’attuazione degli obiettivi del decreto sul biometano tra CIB, Confagricoltura, Eni, FPT Industrial, IVECO, New Hol-

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land Agriculture e Snam. L’Accordo rappresenta una grande opportunità di crescita trattandosi di un’energia rinnovabile, pulita, programmabile e flessibile. L’obiettivo è quello di avviare tutte le possibili sinergie nell’ambito della mobilità sostenibile, promuovendo in particolare l’uso di biometano avanzato prodotto da matrici agricole, zootecniche, agroindustriali, consolidando ulteriormente sia la filiera tecnologica e industriale, già presente nel settore della mobilità a gas, sia quella agro-energetica, che nel biogas è una delle più importanti in Europa e nel mondo. L’Italia vanta, inoltre, una filiera industriale del gas naturale nel settore trasporti che rappresenta un’eccellenza sia dal punto di vista tecnologico sia ambientale, riconosciuta a livello mondiale e che può far leva sulla rete di trasporto più estesa e capillare d’Europa, lunga oltre 32mila chilometri. Il nostro Paese è il primo mercato europeo per i consumi di metano per autotrazione, con circa 1,1 miliardi di metri cubi consumati, circa 1 milione di veicoli attualmente in circolazione e oltre 1.300 distributori. E molto ancora si può fare nel trasporto stradale, navale e nello stesso settore agricolo, includendo anche le macchine agricole per le quali sarà opportuno individuare strumenti e strategie di sostegno. Già oggi, ad esempio, il biometano può contare su un potenziale, valutato sulla base della produzione elettrica da biogas, di circa 2,5 miliardi di metri cubi, ma alcune interpretazioni del decreto sul biometano e delle relative Procedure applicative GSE, sostengono gli esperti, frenano la riconversione degli impianti. L’Accordo si inserisce anche nel percorso di decarbonizzazione previsto dalla strategia europea Clima Energia che, fissa nuove sfide per la mobilità sostenibile prevedendo di raggiungere una quota rinnovabile del 21,6% al 2030, contribuendo contemporaneamente alla riduzione dell’inquinamento atmosferico e al contrasto ai cambiamenti climatici. In tale contesto il biometano, con una produzione oggi stimabile al 2030 di 8 miliardi di metri cubi, riveste un ruolo fondamentale per raggiungere il previsto obiettivo dell’8% per i biocarburanti avanzati, sostenendo anche il sistema gas, che giocherà un ruolo indispensabile nella transizione del sistema energetico nazionale.

BIOMETANO DAI RIFIUTI

La produzione di biometano, oltre che da depurazione dei reflui e da matrici agricole e zootecniche, è possibile anche da frazione organica di rifiuti solidi urbani. Gli impianti attivi nei primi sei mesi del 2019 non hanno ancora superato la decina, ma le prospettive di crescita ci sono. Ci affidiamo al CIC, il Consorzio Compostatori per comprendere meglio i dati sulla produzione di biometano da Forsu e sulle opportunità di sviluppo. Tra il 2017 e il 2018 sono infatti entrati in funzione i primi impianti. A dare il via in Italia alla produzione di biometano esclusivamente dal trattamento dei rifiuti organici della raccolta differenziata urbana e all’immissione di biometano nella rete di trasporto nazionale, è stato l’impianto di Montello Spa a Bergamo. Il 29 giugno 2017 il biometano prodotto dalla Montello è stato immesso nella rete nazionale.

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La produzione annua di biometano a Montello è di circa 32 milioni di standard metri cubi, che rappresenta l’equivalente quantitativo di biocarburante per una percorrenza di circa 640 milioni di chilometri da parte di autoveicoli. Successivamente sono stati inaugurati gli impianti di Calabra Maceri, il primo impianto di biometano del Centro-Sud Italia connesso alla rete nazionale del gas naturale, e SESA di Este, in provincia di Padova. A Pinerolo, in provincia di Torino il biometano prodotto dal Polo Ecologico Acea viene impiegato in via sperimentale sui veicoli aziendali per la raccolta dei rifiuti. A questi si sono aggiunti gli impianti Hera di Sant’Agata Bolognese, in provincia di Bologna, Asja Ambiente Italia Spa di Foligno, Aimag a Finale Emilia, in provincia di Modena e Maserati Energia in provincia di Piacenza. “Si tratta di investimenti che valgono milioni di euro e che rappresentano un esempio di eccellenza nell’economia circolare che parte dal rifiuto domestico e torna nelle case come energia o nei veicoli come carburante: un percorso che con l’approvazione del decreto per la promozione dell’uso del biometano nel settore dei trasporti e le agevolazioni per le imprese a forte consumo di gas naturale, ci auguriamo diventi nei prossimi anni sempre più agevole e conveniente per le aziende”, commenta Massimo Centemero, direttore del Consorzio Italiano Compostatori.


QUATTRO DOMANDE A PIERO GATTONI, PRESIDENTE CIB, CONSORZIO ITALIANO BIOGAS Il CIB è il consorzio nazionale che rappresenta tutta la filiera del biogas agricolo, dai produttori di biogas, ai produttori di impianti e servizi per la produzione di biogas e biometano. I suoi obiettivi sono la promozione, la diffusione e il coordinamento delle attività di tutto il settore del biogas in Italia. Attualmente il CIB conta oltre 850 aziende associate e più di 440 MW di capacità installata. A partire dal 2008, anno in cui ha cominciato a strutturarsi la filiera italiana del biogas agricolo, le imprese agricole e industriali coinvolte hanno investito e re-investito circa 7 miliardi nella nostra economia, creando migliaia di posti di lavoro. Continuando su questa strada, potremmo produrre 8 miliardi di metri cubi di biometano agricolo al 2030. Lo sviluppo della filiera in questo senso consentirebbe, secondo il centro studi Althesys, di creare entro il prossimo decennio oltre 21mila posti di lavoro e di generare un gettito tributario di 16 miliardi di euro tra imposte sulle imprese e fiscalità di salari e stipendi. Le ricadute economiche complessive al 2030 si misurerebbero in 85,8 miliardi di euro.

Che bilancio si può trarre dopo circa un anno dalla pubblicazione del decreto sul biometano?

A poco più di un anno di distanza dalla pubblicazione del decreto biometano, tanta strada si è fatta per evidenziare, in tutte le sedi opportune, l’apporto essenziale che il biometano può dare alla realizzazione di un futuro energetico sostenibile e rinnovabile in Italia. A fine marzo abbiamo firmato con Eni un accordo per dare nuove prospettive ai nostri agricoltori, sia per la produzione di biometano, che per la commercializzazione. Nel mese di aprile abbiamo poi firmato un’intesa di filiera, agricola e industriale, con Confagricoltura, Eni, FPT Industrial, IVECO, New Holland Agriculture e Snam. Obiettivo dell’accordo è lo sviluppo di biometano avanzato prodotto da matrici agricole, zootecniche, agroindustriali. Questo impegno si inserisce non solo nel raggiungimento del target sulle energie rinnovabili nei trasporti al 2020, ma si proietta già nel percorso di decarbonizzazione previsto per il 2030, che fissa nuove sfide per la mobilità sostenibile, prevedendo di raggiungere una quota rinnovabile del 21,6% al 2030. Nonostante tutto questo lavoro, a poco più di un anno dalla pubblicazione del decreto rimangono irrisolte diverse problematiche attuative, in particolare la questione della riconversione degli impianti esistenti a biometano. Si tratta di uno stallo burocratico che frena il concreto sviluppo di questa grande opportunità per il Paese.

Si parla di “eccellenza del modello italiano” del biogas. Ci può spiegare quali sono le peculiarità del “modello italiano”?

Quando parliamo di biogas e biometano agricoli ci riferiamo alle tecnologie e al know-how di circa 1200 aziende che hanno investito negli ultimi dieci anni oltre 4,5 miliardi di euro nel tessuto economico del nostro Paese, dando vita a uno dei laboratori di economia agricola circolare più importanti a livello europeo. Attraverso il modello Biogasfattobene®, elaborato e promosso dal CIB, non solo viene prodotta energia rinnovabile e programmabile, ma si raggiunge anche l’obiettivo di decarbonizzazione delle pratiche agricole, tutto ciò avviene grazie a una maggiore attività fotosintetica dei campi con i doppi raccolti e con un costante apporto di sostanza organica nei suoli, attraverso il digestato. Il biometano che sarà generato dalle aziende socie di CIB, infatti, deriva da un’agricoltura “fatta bene”, dove gli scarti sono immessi in un circuito di riutilizzo virtuoso e le risorse sono gestite in modo efficiente. Il ciclo che conduce alla produzione di biogas e biometano consente, in più, di ridurre drasticamente i fertilizzanti chimici, sostituiti dal digestato naturale, abbattendo così le emissioni di anidride carbonica in atmosfera. Il lavoro condotto in questi anni dal Consorzio ha trovato importanti conferme scientifiche da parte di soggetti terzi autorevoli e ci ha consentito di divenire la seconda filiera di biogas agricolo per volumi in Europa. Proprio in Italia, dunque, disponiamo di un giacimento inestimabile di energia rinnovabile che può sostenere e rilanciare un’agricoltura nuova, più verde e ugualmente produttiva, capace anche di innescare un cambiamento sul fronte dell’approvvigionamento energetico e dei trasporti.

Rispetto alle altre forme di energia rinnovabile, il biogas è programmabile. Perché è importante questa caratteristica?

A fronte della sicura crescita delle rinnovabili non programmabili, quali eolico e fotovoltaico, negli equilibri di approvvigionamento energetico, si renderà necessario equilibrare i picchi della rete elettrica. Il sistema biogas/biometano è un’importante fonte rinnovabile programmabile che consente l’integrazione tra diversi sistemi energetici a favore dello sviluppo e della sicurezza delle reti. Già oggi il biogas ha una capacità di bilanciamento di 1,3 TWh pari al 50% delle attuali necessità. Tale potenzialità potrebbe quasi raddoppiare al 2030. Gli impianti di gas rinnovabile agricolo diventeranno una cerniera in grado di connettere la rete gas e la rete elettrica, riequilibrando il sistema secondo il bisogno.

Si sta giustamente favorendo il biometano nei trasporti, ma come è possibile promuoverlo anche nel settore industriale?

L’interesse per il biometano è molto forte e si rivolge soprattutto al suo ruolo come biocarburante avanzato, fondamentale per decarbonizzare i trasporti, in particolare quelli di difficile elettrificazione, come quelli pesanti - camion e mezzi industriali - e navali. D’altra parte, l’industria si sta rivelando molto ricettiva anche rispetto alla possibilità di impiegare il biometano rinnovabile nei processi produttivi industriali, per produrre calore e ogni altra forma di energia necessaria. Nella due giorni del nostro convegno annuale, Biogas Italy, a Milano quest’anno abbiamo incontrato imprenditori che hanno già efficientato i processi produttivi attraverso cogeneratori alimentati a metano, ma il sistema attuale, che incentiva solo il biometano per autotrazione, rende economicamente insostenibile l’utilizzo di questa bionenergia nei processi produttivi. Auspichiamo dunque che si sviluppi al più presto un mercato economicamente conveniente per il gas rinnovabile, al pari di quello esistente per l’elettricità.

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S PE CI A L E

EMERSON Emerson offre un portafoglio completo di soluzioni per soddisfare tutte le esigenze di realizzazione di skid per il biometano. La partnership con un unico fornitore che comprende le necessità e fornisce il supporto in ogni fase, riduce la complessità del progetto e assicura la conformità alle normative europee, riducendo la manutenzione a lungo termine e garantendo alti livelli di sicurezza. La tecnologia Emerson garantisce alti livelli qualitativi: gascromatografi per accurate analisi on-line, contatori per misura fiscale, apparecchiature per il controllo della pressione, sistemi di odorizzazione, ai vertici delle rispettive categorie, per garantire la sicurezza e la qualità del gas immesso in rete. L’immissione del biometano nella rete contribuisce a raggiungere gli obiettivi dell’Unione Europea nel settore delle energie rinnovabili ed è il settore con la più alta crescita nel mercato mondiale del gas. Il biometano deve essere prodotto rispettando i criteri di sicurezza e in accordo alle normative vigenti. La selezione del fornitore è fondamentale per il successo di un nuovo progetto. È importante trovare un’azienda in grado di fornire una soluzione completa e in conformità agli standard attuali, e che garantisca adeguato supporto per l’intero ciclo di vita dell’impianto. Le apparecchiature installate devono garantire la massima affidabilità dell’impianto riducendo i rischi di interruzioni non programmate per valorizzare al massimo il livello del vostro investimento. Emerson è in grado di supportarvi dalla fase di progettazione iniziale e per tutto il ciclo di vita dell’impianto, riducendo la complessità dei progetti e garantendo qualità e sicurezza della produzione e diminuzione dei costi.

IES BIOGAS IES BIOGAS è una società italiana specializzata nella progettazione, costruzione e gestione di impianti a biogas e biometano. Nata nel 2008, IES BIOGAS ha da subito ricoperto un ruolo importante nel settore agricolo realizzando in pochi anni circa 200 impianti. Dopo aver consolidato il ruolo di leadership nel settore agricolo, IES ha intrapreso negli anni un piano di sviluppo su due direttrici: un piano di internazionalizzazione, che l’ha portata a realizzare impianti in tutto il mondo, dal Sud America all’estremo Oriente oltre che in diversi paesi europei, e l’ingresso nel settore industriale, con importanti investimenti in ricerca e sviluppo e i primi progetti di impianti a FORSU. Da luglio 2018 IES BIOGAS è entrata a far parte del gruppo Snam, società leader in Europa nella gestione delle infrastrutture del gas naturale. Grazie alla comprovata affidabilità, esperienza e solidità, IES BIOGAS si propone oggi sul mercato come General Contractor, con la funzione di EPC (Engineering, Porcurement and Construction) ed EPCM (Engineering, Procurement, Construction and Management), verso investitori privati e pubblici, offrendo le massime garanzie in termini di qualità, tempi di esecuzione e performance. In Italia, IES sta realizzando un moderno impianto di produzione di biometano da 350 sm3/h, composto da zona di conferimento della FORSU, pretrattamento meccanico che alimenta un sistema di digestione anaerobica di tipo semi-dry, stazione di upgrading del biogas e impianto di compostaggio della frazione digestata.

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SABO SABO SA, è un’azienda greca nata nel 1984 conosciuta in tutto il mondo nel settore impiantistico per la costruzione di impianti per laterizi “chiavi in mano”. Nell’ultimo decennio, forte della propria propensione all’impiantistica di alto livello tecnologico, ha raggiunto obiettivi di affidabilità ed efficienza acquisendo una modularità costruttiva delle proprie attrezzature che ha come obiettivo la realizzazione ottimale in tempi brevi di macchine costruite su misura per ogni Cliente. È nata quindi la nuova SABO Environmental che, grazie al supporto delle aziende del gruppo situate in Italia, Romania e Brasile, è in grado di fornire sia macchine quali nastri trasportatori di tutte le tipologie, trituratori, aprisacchi, vagli rotanti, cabine di cernita manuale, che impianti completi per il riciclaggio dei PFU, plastiche varie, RSU, CDR, inertizzazione fanghi, RAEE, produzione di pellet. L’azienda inoltre dispone di una assistenza tecnica professionale del tipo “Global Service” che unita a un rifornito “Servizio Ricambi” in pronta consegna assicura la tranquillità del cliente finale. Nel settore specifico del biogas, la SABO è pronta a proporre le proprie attrezzature per la fase di pre-trattamento meccanico con macchine all’avanguardia. L’azienda opera in tutto il mondo e grazie alla sua versatilità ed esperienza, generalmente è partecipe dall’inizio del “progetto” fino alla fase di definizione della “linea completa” da costruire direttamente con il cliente. L’obiettivo di crescere e consolidarsi nel mercato “ecologico ambientale” è la sua principale “mission”.

SAPIO Il Gruppo Sapio, fondato nel 1922 a Monza, opera in Italia e all’estero, in Francia, Germania, Slovenia e Turchia. Produce, sviluppa e commercializza gas, tecnologie e servizi integrati, ponendo al centro della propria attività la ricerca e l’innovazione. Oggi il Gruppo è protagonista della transizione energetica, con una struttura dedicata allo sviluppo tecnico e commerciale della mobilità sostenibile e del mercato delle fonti energetiche pulite e rinnovabili. Sapio mette a disposizione il proprio know-how e l’esperienza nel settore del biometano, per aiutare le aziende agricole e le realtà industriali a entrare nella filiera della produzione di biometano avanzato e a ottenere i CIC. La nostra offerta comprende tutto ciò che è necessario per passare dalla produzione di biogas alla produzione di biometano e alla sua distribuzione. Quali sono i principali vantaggi di avere Sapio come interlocutore unico? Sapio è in grado di: • realizzare l’impianto di upgrading con le tecnologie più avanzate, che garantiscono un elevato grado di purezza del biometano, essenziale nel caso di successiva liquefazione; • realizzare e gestire l’impianto criogenico per la liquefazione, il ritiro e la distribuzione del biometano avanzato, unica alternativa all’immissione in rete del gas; • offrire una soluzione sostenibile, sicura e affidabile sul lungo periodo; • fornire soluzioni contrattuali flessibili e personalizzabili; • velocizzare il time to market; • agevolare l’accesso agli incentivi e la bancabilità del progetto; • semplificare l’operatività ottimizzando le attività legate alla produzione di biogas e di biometano; • ridurre il carico di attività burocratiche per il produttore di biogas.

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DEMOLIRE PER RINASCERE INIZIATA IN PROVINCIA DI BERGAMO LA DEMOLIZIONE DELLE TORRI DI ZINGONIA: PROTAGONISTA L’IMPRESA VITALI di Bruno Vanzi

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egrado, spaccio, abusivismo: è questo Zingonia, un’area nei Comuni di Ciserano, Boltiere, Verdellino, Osio Sotto e Pontirolo Nuovo in Provincia di Bergamo. Nato negli anni ‘70 ad opera dell’imprenditore Renzo Zingone, da cui il nome dell’area, nell’idea originale, un grande sogno, doveva essere un quartiere residenziale per gli operai impiegati nei vicini centri industriali della provincia di Bergamo. Ma lo sviluppo non ha mai raggiunto le aspettative di occupazione iniziali e l’area è dopo poco diventata insicura e degradata. Le torri, simbolo del degrado, alte 8 piani, erano il rifugio di coloro che vivono ai margini della società e di quelli che ne facevano la base per i traffici illeciti. “Da tempo - dichiarava l’assessore alla Sicurezza della Regione Lombardia De Corato - l’area di Zingonia, è caratterizzata da gravi problematiche sociali e da reati contro la persona e il patrimonio, i più ricorrenti dei quali sono lo spaccio di sostanze stupefacenti e lo sfruttamento della prostituzione”. Per questo motivo, le operazioni di demolizione sono state accolte con favore dai cittadini e dai rappresentanti delle istituzioni che vogliono risanare l’area, e non è fuori luogo sostenere che Vitali Spa, con questa demolizione, avrà svolto un intervento sociale per la rinascita della zona. Le attività di demolizione sono slittate di qualche mese rispetto al piano originale a causa delle operazioni di allontanamento degli abusivi che occupavano le palazzine. Gli stessi sindaci nella fase precedente la demolizione delle sei palazzine, divise in due gruppi, denominate “Anna” e “Athena” costituenti le torri di Zingonia, temevano il verificarsi di episodi di delinquenza. Quando l’impresa Vitali ha portato i mezzi sul posto, è stata “scortata” dalle forze dell’ordine e anche durante le opere di demolizione, il cantiere è sorvegliato 24 ore su 24 da guardie giurate per la prevenzione di atti di criminalità. “Quando abbiamo iniziato a cantierizzare l’area nel mese di aprile 2019 - ci racconta il geometra Alessandro Cortinovis, responsabile del cantiere - le prime operazioni che abbiamo

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dovuto fare sono state quelle di pulizia interna dei locali. Alcuni appartamenti erano stati abitati fino a poche ore prima. Abbiamo trovato ingenti quantità di rifiuti nelle palazzine, oltre a diverso mobilio che abbiamo dovuto pazientemente rimuovere e differenziare prima di poter procedere allo strip out e alla demolizione effettiva”. Materassi, mobili e indifferenziati sono stati i primi rifiuti che la società ha dovuto rimuovere e avviare allo smaltimento prima di intervenire con la rimozione dell’amianto, e allo strip out preliminare dei balconi, delle inferriate, degli infissi,


dei tramezzi, delle guaine, ecc. L’amianto è stato rimosso con tutte le precauzioni di legge e avviato a smaltimento. Le palazzine da abbattere sono sei e verranno interessate dalla demolizione una per volta. Data l’altezza delle stesse, è all’opera una macchina da demolizione da 1200 quintali dotato di un braccio lungo 47 metri montante una pinza per la frantumazione del laterizio. A seconda del materiale da demolire, verrà cambiato l’attachment sulla mcchina da demolizione. Una demolizione selettiva quella che Vitali sta affrontando e che permette di

differenziare già durante l’abbattimento le differenti tipologie di rifiuti che poi torneranno a nuova vita. Per prevenire la caduta di macerie al di fuori dell’area di cantiere e per minimizzare la dispersione delle polveri, è stato posizionato un telo di protezione sul fronte strada sorretto da una autogru e alto quanto le palazzine. Il cantiere interessa un’area di circa 20.000 m2 che ha però una potenzialità tripla di edificabilità. La destinazione d’uso dell’area è stata modificata dal Comune, che l’ha trasformata in “servizi, terziario e grande distribuzione”, potrebbe ospitare anche una facoltà universitaria di Scienze infermieristiche. Le macerie risultanti dalla demolizione saranno frantumate in loco, l’azienda infatti ha provveduto ad attivare una campagna di frantumazione che realizzerà con un impianto mobile per campagne di recupero delle macerie. Il materiale che ne risulterà sarà successivamente riutilizzato per altre opere. I tempi per la chiusura del cantiere prevedono 270 giorni, ma gli uomini della Vitali presumono di finire prima con la demolizione e lo smaltimento delle macerie. Poco alla volta le palazzine diventano scheletri e di quegli scheletri non resterà che la polvere e Zingonia potrà rinascere.

IL CANTIERE Committente: ILSPA (Infrastrutture Lombarde S.p.A.) Edifici in demolizione: n. 6 (3 torri Anna + 3 torri Athena) Appartamenti: 208 + 2 stecche di edifici ad uso commerciale Altezza torri: 9 piani (29 m dal piano campagna) Volume da demolire: 53.700 mc vpp (+ 8.300 mc vpp interrati) Mezzi da demolizione impiegati: • Macchina demolitrice CX800 ED1200 • Macchina demolitrice cingolata Case CX370 • Macchina demolitrice cingolata Case CX210D • Macchina demolitrice cingolata Case CX350D • Autogru GROVE GMK 4080 (per sollevamento telo)

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IL RIFIUTO ORGANICO: UNA RISORSA PREZIOSA CESARO MAC IMPORT SCEGLIE LE TECNOLOGIE PIÙ EFFICIENTI di Laura Veneri

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ono ormai molti anni che si parla di gestione dei rifiuti e della difficoltà che questa comporta sia per gli enti preposti alla loro raccolta che per le aziende incaricate della loro lavorazione. Per non parlare delle difficoltà dei cittadini che sono il primo anello della raccolta differenziata. Questa premessa è necessaria in quanto tanto si parla di gestione efficiente e riduzione degli sprechi ma poco si parla dei risultati raggiunti e delle eccellenze in fatto di processo che sono presenti in Italia ormai da molti anni e che oggi vengono implementate di nuove tecnologie. Il principale prodotto della raccolta differenziata è la frazione organica che rappresenta il 50% in termini di peso dell’intera raccolta dei rifiuti (gli scarti alimentari e i prodotti alimentari scaduti per quanto riguarda la produzione industriale). Questa frazione oltre ad avere un importante valore in termini di quantità è quella che più di tutti gli altri rifiuti separati incide in termini di emissioni odorose intense nell’ambiente.

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Le emissioni odorigene ambientali tipiche di questo rifiuto sono sempre state il principale ostacolo alla sua gestione efficiente, infatti gli impianti presenti in zone abitate sono sempre stati ostacolati dalla popolazione. Per definire le campagne dei cittadini contro la costruzione di nuovi impianti è stato coniato il termine “sindrome Nimby” (not in my backyard - non nel mio cortile). La gestione dei rifiuti al giorno d’oggi è sicura ed è in grado di creare valore e occupazione nei territori in cui si sviluppa. Le nuove tecnologie e i nuovi impianti hanno sviluppato processi che mirano all’integrazione degli stessi all’interno di zone abitate riducendo del tutto le emissioni ma soprattutto ricavando da questo importante rifiuto nuova energia sotto forma di biogas o biometano e di compost. Il principale sistema per la riduzione delle emissioni odorigene del rifiuto organico è stato quello di inserire nel suo processo di decomposizione naturale aerobico un primo processo anaerobico finalizzato alla produzione di gas e un secondo processo aerobico in celle chiuse per la produzione

del compost. Analizzando lo sviluppo delle tecnologie si è passati da una gestione completamente aerobica all’aperto a impianti chiusi con una gestione delle arie interne forzata in modo da non permettere la fuoriuscita delle emissioni. Questa tecnologia è lo sviluppo successivo di due processi: quello di compostaggio e quello di digestione anaerobica. Il sistema di compostaggio all’origine veniva fatto all’aperto in grandi spazi dove il materiale organico veniva stoccato, areato e rivoltato per circa 6 mesi. Nel tempo il metodo per produrre compost si è trasformato: ora avviene in celle chiuse insufflate di aria e mantenute a temperatura costante al fine di velocizzare il processo di compostaggio per circa 20 giorni. Successivamente viene fatto maturare in aie di stoccaggio per altri 30 giorni. Tale sistema, il Girasole Tunnel Composting, ha ridotto drasticamente le emissioni odorose e ha diminuito i tempi di gestione del rifiuto. Questa tecnologia proposta da Cesaro Mac Import Srl conta più di 100 applicazioni in tutta Italia. Il secondo processo è quello di digestione anaerobica che è nato per la gestione dei fanghi di depurazione degli impianti biologici ed è stato applicato successivamente al recupero dei fanghi da produzione agricola (deiezioni zootecniche) al fine di ricavarne biogas. Tale processo si sviluppava con una tecnologia a umido cioè aggiungendo acqua alla frazione solida al fine di portarla a un massimo del 20% del totale. Tale tecnologia è stata successivamente applicata anche al rifiuto organico evidenziandone però alcuni limiti; infatti la gestione delle acque e la ridotta capacità di gestione della frazione secca hanno fatto sì che non fosse integrabile del tutto al processo di gestione del rifiuto organico.


Attualmente la digestione anaerobica è stata perfezionata con lo sviluppo di una tecnologia a secco finalizzata principalmente alla gestione del rifiuto organico che consente di avere un carico di circa il 60% di frazione secca e di non dover utilizzare acqua aggiunta nel processo. Tale sistema garantisce l’alimentazione del digestore in continuo grazie al posizionamento orizzontale che non dà problemi di sedimentazione e di successivo fermo impianto per la pulizia. Inoltre tale sistema è perfettamente integrato al successivo compostaggio in quanto il digestato in uscita dal digestore può essere miscelato con la frazione verde e compostato senza fasi di spremitura.

L’IMPIANTO DI SANT’AGATA BOLOGNESE

Gli impianti che Cesaro Mac Import ha realizzato con questa tecnologia sono sempre di più. Abbiamo avuto modo di parlare dell’impianto di Faedo, premiato con la bandiera verde di Legambiente per l’integrazione nel territorio: “Nonostante fosse stato inaugurato con forti pregiudizi per la paura nella popolazione delle potenziali emissioni odorigene, ha dimostrato che anche impianti potenzialmente problematici, se realizzati con tecnologie adeguate e gestiti con professionalità, riescono a contenere e mitigare il problema degli odori”, si legge sul premio. Tra gli ultimi impianti realizzati da Cesaro Mac Import, il più importante è il nuovo impianto Hera di Sant’Agata Bolognese in cui i rifiuti organici sono sottoposti a un processo di biodigestione anaerobica per la produzione di biogas. 4 digestori orizzontali, chiusi ermeticamente, in cui i rifiuti organici, precedentemente triturati e vagliati, rimarranno per circa 21 giorni e in cui saranno “digeriti” da microrganismi

che compiranno il processo di digestione anaerobica producendo biogas, costituito da metano e anidride carbonica, che verrà sottoposto a una operazione di upgrading (purificazione) attraversando in controcorrente acqua pressurizzata: l’anidride carbonica si scioglierà separando così il metano. Si otterrà quindi biometano, un gas con una percentuale di metano superiore al 95%, una fonte di energia completamente rinnovabile. Il processo di digestione anaerobica avviene in 4 reattori cilindrici dotati di un asse agitatore orizzontale per la movimentazione del substrato a trattamento e alimentati da un sistema automatizzato con funzionamento in continuo. In questo tipo di processo le fasi anaerobiche di degradazione biologica della biomassa e di produzione del biogas avvengono tutte all’interno dello

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stesso fermentatore. Le reazioni biologiche che hanno luogo nei digestori avvengono ad opera di batteri estremamente sensibili alle variazioni di temperatura; pertanto i digestori sono dotati di un sistema di riscaldamento finalizzato al mantenimento della temperatura ottimale per l’attività batterica. Al termine del processo di digestione, alla parte solida organica in uscita verrà aggiunto materiale lignocellulosico per ottenere una massa compatta che sarà avviata a una fase di compostaggio da cui si ricaverà compost di qualità, utilizzabile come terriccio per vasi o fertilizzante in agricoltura. La lavorazione dei rifiuti è al chiuso per ridurre al minimo l’impatto acustico e odorigeno verso l’esterno. Le tecnologie utilizzate nell’impianto sono

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frutto di ricerche, studi e gare europee che hanno portato a selezionare il meglio di ciò che oggi è sul mercato. L’impianto sarà in grado di trattare a regime ingenti quantità di rifiuti: da 100.000 tonnellate annue di rifiuti organici della raccolta differenziata, a cui si sommeranno 35.000 tonnellate della raccolta di verde e potature, sarà possibile ricavare a regime 20.000 tonnellate di compost e 7,5 milioni di metri cubi di biometano, evitando l’utilizzo di combustibile fossile pari a oltre 6.000 tonnellate equivalenti di petrolio annue pari a 14.600 tonnellate di CO2 evitate. Il biometano potrà così diventare carburante per i veicoli a metano e per il trasporto pubblico, grazie a partnership con aziende locali e i cittadini potranno muoversi su automezzi totalmente alimentati dal nuovo combustibile green. Lo stesso Gruppo Hera utilizza il biometano per i propri spostamenti. Molte auto aziendali che circolano a Bologna sono alimentate a biometano. Si tratta di un’iniziativa quindi che rappresenta un contributo importante per la strategia energetica nazionale e per il raggiungimento dei target europei del 20-20-20.

2 MILIONI DI TONNELLATE DI COMPOST E 90 MILIONI DI METRI CUBI DI BIOMETANO IN ITALIA Il Consorzio Italiano Compostatori (CIC) stima in 6,6 milioni le tonnellate di rifiuti organici (umido, verde e altre matrici organiche) provenienti dalla raccolta differenziata raccolti in Italia nel 2017: la raccolta dell’organico aumenta dell’1,6%, registra un minore incremento rispetto all’anno precedente anche se si segnala che il trend della raccolta della frazione umido mantiene gli stessi andamenti mentre è la frazione verde che rimane costante nei due anni a confronto. In ogni caso quella dell’organico (umido e verde) si conferma la frazione più importante per la raccolta differenziata nel Paese rappresentando il 40,3% di tutte le raccolte. L’impiantistica in Italia è passata da 326 a 338 strutture e ha consentito di trattare nel 2017 circa 7,4 milioni di tonnellate (+4%) considerando il trattamento, oltre dell’umido e del verde, anche di altri materiali di scarto a matrice organica. “L’impiantistica dedicata al trattamento del rifiuto organico al momento è in grado di soddisfare le esigenze di produzione nazionale, tuttavia emerge una concentrazione geografica degli impianti soprattutto nel Nord Italia”, sottolinea Alessandro Canovai, Presidente CIC. “Questo squilibrio costringe il Centro e il Sud Italia a trasferire i propri rifiuti organici in altre regioni con enorme dispendio di denaro e CO2”. Rilevante è l’andamento della digestione anaerobica, che nel 2017 ha trattato più del 50% dell’umido raccolto in forma differenziata. “Il trattamento delle frazioni organiche selezionate con la digestione anaerobica permette non soltanto di recuperare materia ma anche energia: oltre al compost che si utilizza come fertilizzante naturale si ottiene infatti anche il biogas, che può essere trasformato in biometano per l’immissione in rete”, sottolinea Massimo Centemero, Direttore CIC. “Recentemente il CIC si è fatto promotore di un’altra filiera di potenziale sviluppo per il settore: la produzione di biometano. I risultati non hanno tardato ad arrivare, tra il 2017 e il 2018 sono entrati in funzione, primi in Italia, 8 impianti consorziati CIC (di cui 2 sperimentali) in grado di produrre biometano esclusivamente dal trattamento dei rifiuti organici della raccolta differenziata urbana e di immettere il biometano nella rete di nazionale o di impiegarlo per l’autotrazione”. Secondo le stime del CIC, dai rifiuti organici raccolti nel corso del 2017 sono stati prodotti quasi 2 milioni di tonnellate di compost, il 64% da compostaggio e il restante 36% da digestione anaerobica e successivo compostaggio, che hanno contribuito a stoccare nel terreno 600.000 tonnellate di sostanza organica e risparmiare 3,8 milioni di tonnellate di CO2 equivalente/anno rispetto all’avvio in discarica. “Il compost è uno strumento efficace contro erosione, impermeabilizzazione, perdita di materia organica, perdita di biodiversità e contaminazione”, sottolinea Massimo Centemero. “Promuovere le buone pratiche per la raccolta dei rifiuti organici significa anche difendere il suolo: entro il 2025 si produrrà 1 milione di tonnellate di compost in più all’anno”.

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DIAMOCI UN TAGLIO AL LAVORO LUNGO GLI ARGINI CON LA PINZA DA DEFORESTAZIONE SERIE WT TREVI BENNE di Laura Veneri

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a storia dei Consorzi di bonifica è antica come la storia d’Italia, anzi risale ancora a prima e trova origine nelle civiltà preromane per svilupparsi all’epoca degli antichi romani con le grandi opere che perdurano ancora oggi. Il controllo delle risorse idriche è sempre stato un elemento determinante per la gestione del territorio e ha condizionato, nei secoli, la vita dell’uomo. Ripercorrendo il corso degli eventi a ritroso, incontriamo ben presto la necessità dell’uomo di governare l’acqua per irrigare o per bonificare un terreno per renderlo coltivabile. Già dal Medioevo i contadini risanano terreni malsani e li rendono produttivi e con la fine del periodo buio, inizia una vasta opera di riorganizzazione e riordino delle terre che diventano fertili. È in questo periodo che iniziano le attività di bonifica che con l’unificazione dell’Italia diventano oggetto di una vera politica nazionale delle opere di miglioramento idraulico. Dopo l’Unità d’Italia in svariate zone del Paese, vengono creati ad opera dei Signori locali, i primi consorzi di bonifica, quale il Consorzio delle Utenze Irrigue di Codogno in Provincia di Lodi, che nasce nel 1897. È per volontà dei proprietari terrieri delle zone in provincia di Cremona e della famiglia dei Conti Borromeo che viene costituita la Società anonima di irrigazione “Borromea”, avente lo scopo di irrigare un comprensorio con una superficie di 2.700 ettari, sfruttando un antico diritto della nobile famiglia Borromeo, di utilizzare acqua dal fiume Serio. Tale comprensorio si estende ancora oggi a cavallo dei comuni di Crema, Ripalta Cremasca, Ripalta Arpina, Castelleone, Gombito, San Bassano e Pizzighettone. La Società si dota delle strutture necessarie per regolare e amministrare un servizio di distribuzione delle acque irrigue in modo razionale e molto efficiente per quell’epoca. Realizza idonei cavi irrigui, ed edifici al servizio, e nel 1936 ottiene dopo varie istanze, con Decreto Reale, la concessione a derivare dal fiume Serio 64 moduli (6.400 litri/secondo). Al servizio di tale concessione viene costruita dalla Società stessa una diga e un impianto di sollevamento con potenti pompe, per prelevare la necessaria quantità d’acqua dal fiume e immetterla in modo sistematico nella Roggia Borromea, un corso d’acqua

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artificiale della provincia di Cremona, scavato per scopi irrigui sul finire del 1500. Negli anni, la Società riveste un ruolo sempre più importante di promotore di uno sviluppo agricolo ed economico senza precedenti nel territorio. Nel 1980 la Società prende il nome di “Consorzio delle Utenze Irrigue” srl. L’azienda comincia a occuparsi non solo della gestione dei servizi irrigui, ma anche di tutte le manutenzioni ordinarie e straordinarie necessarie per rendere il servizio sempre più razionale ed efficiente. Nel 2002 entrano nel Consorzio altri comprensori irrigui del Basso Lodigiano, sfruttando così al meglio le competenze specifiche maturate negli anni e specializzandosi sempre più nella gestione complessiva dei canali e delle difese spondali, nella realizzazione di argini, nella realizzazione di miglioramenti fondiari e di opere idrauliche in genere. Oggi la società occupa un organico fisso di 7 persone. Il lavoro dei consorzi di bonifica è molto importante anche alla luce dei recenti cambiamenti climatici che stanno interessando il nostro Paese. Grazie alla regimazione delle acque essi salvaguardano ampie zone e numerosi centri abitati da esondazioni e calamità naturali, consentendo l’irrigazione dei campi e lo sviluppo dell’agricoltura. Anche se l’attività dei consorzi di bonifica è centenaria, l’opera che svolgono si è evoluta nel corso degli anni e si è specializzata grazie alle nuove tecnologie in commercio, come ad esempio la nuova pinza deforestatrice-abbattitrice idraulica serie WT di Trevi Benne. La pinza è progettata per l’abbattimento e il disboscamento di tronchi, di cespugli ad alto fusto e per il diradamento di arbusti di differenti dimensioni. Grazie a questa attrezzatura il lavoro degli operatori è molto più sicuro e meno gravoso in quanto non è più necessario effettuare i tagli con la motosega e il successivo carico del legname sui cassoni per il trasporto.Abbiamo visto all’opera l’attrezzatura Trevi Benne a Mairago (LO) dove il Consorzio Utenze Irrigue di Codogno stava operando alcuni tagli di piante. Il geometra Mattia Rancati ci spiega in cosa consiste il lavoro del consorzio per la manutenzione dei circa 300 km di canali irrigui che ha in gestione: “Nel periodo autunnale e invernale, quando i canali


sono asciutti, i lavori consistono nel taglio delle piante, nello scavare i fossi, nel pulire da fango e sabbia i canali. Nel periodo estivo, invece, ci occupiamo della manutenzione ordinaria che consiste nel taglio dell’erba di rive e fondo con la barca o con i trattori per permettere agli agricoltori di poter irrigare”. Nel tempo la modalità di esecuzione dei lavori è cambiata e gli operatori effettuano lavorazioni meno pesanti dal punto di vista fisico. “Anni fa c’erano squadre di operai che partivano con il badile e pulivano i fossi. Oggi, per fortuna, con gli escavatori e le attrezzature che montiamo i tempi di svolgimento si sono ridotti drasticamente. Pensi solo che prima dell’utilizzo di questa nuova pinza Trevi Benne che utilizziamo da circa un anno e di cui siamo veramente soddisfatti, tagliavamo gli alberi con la motosega e poi li prendevamo con benne per la movimentazione e li mettevamo in cassoni per il trasporto in altre aree. Grazie a questa pinza per la deforestazione, inve-

ce, tagliamo e movimentiamo gli sfalci e le potature che effettuiamo senza dover scendere dall’escavatore. I tempi per i lavori si riducono drasticamente e possiamo coprire aree più grandi in tempi minori. Inoltre, ed è l’aspetto più importante da valutare, è garantita la sicurezza dei lavoratori che non sono più costretti a maneggiare attrezzature pericolose se non per lavori di fino. Abbiamo acquistato la pinza per la deforestazione grazie a un bando Inail nel 2016 che ci siamo aggiudicati. Grazie al bando abbiamo ottenuto il finanziamento del 65% di un nuovo escavatore e della pinza per la deforestazione”. Il consorzio di bonifica ha scelto l’attrezzatura dopo averla vista allo stand Trevi Benne alla fiera Eima di Bologna. “Abbiamo visitato la fiera - racconta Rancati - per vedere quali erano le novità che proponevano le aziende per il nostro settore e siamo rimasti piacevolmente colpiti da questa attrezzatura

PINZA PER DEFORESTAZIONE SERIE WT

BRANCHIA SUPERIORE PER LA PRESA INIZIALE DEL CICLO DI LAVORO

La pinza per deforestazione è un’attrezzatura progettata per l’abbattimento e il disboscamento di tronchi, di cespugli ad alto fusto e per il diradamento di arbusti di differenti dimensioni. Indicata per operare in punti critici e di difficile accesso lungo cigli stradali, ripide scarpate, argini e frutteti. Ideale per le aziende che eseguono manutenzione del verde stradale, per i consorzi di bonifica e per le imprese che operano nel settore ecologico e di valorizzazione ambientale.

BRANCHIA CENTRALE DI ACCUMULO OPTIONAL PER CONSENTIRE TAGLI MULTIPLI POSSIBILITÀ DI REGOLAZIONE DELL’APERTURA DI TAGLIO IN BASE AL DIAMETRO DEL FUSTO

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proposta da Trevi Benne che permette il taglio e la movimentazione dei tronchi. Abbiamo visto anche altri prodotti abbastanza simili ma la qualità Trevi Benne ci ha confermato la nostra scelta”. La pinza serie WT è indicata per operare in punti critici e di difficile accesso lungo cigli stradali, ripide scarpate, argini e frutteti, inoltre consente alta produttività rendendo il materiale di risulta adatto alle successive fasi di tra-

sformazione quali la cippatura. La serie WT di Trevi Benne, realizzata in Hardox, è disponibile in 6 modelli con peso da 340 a 2.060 kg e per escavatori da 4,5 a 35 ton ed è in grado di afferrare tronchi da 150 a 500 mm. Questa attrezzatura specifica per il settore forestale, è stata presentata al pubblico per la prima volta nel 2012 alla fiera Intermat di Parigi. Ad oggi è stata perfezionata tecnicamente grazie a in-

terventi strutturali, di carattere idraulico e di design in seguito a una elaborazione in risposta a specifiche esigenze indicate dall’utilizzatore finale. In particolare è stato migliorato l’accesso al sistema idraulico per l’ispezione e la taratura; l’asse di rotazione è stato rialzato per aumentare la stabilità e il bilanciamento in fase di lavoro; è stata abbassata la posizione della lama per avere un taglio più regolare e omogeneo con minor residuo di fibre di legno; è stata aumentata l’area di espulsione del residuo del tronco tagliato; sono state adottate soluzioni strutturali specifiche per affrontare le condizioni di maggiore stress lavorativo; è stato sostituito il sistema di autolubrificazione sulle boccole con un sistema di ingrassaggio manuale più efficace nel medio e lungo termine. Trevi Benne realizza anche altre due attrezzature specifiche per il settore forestale: la pinza spaccalegna serie WS e la pinza estrattrice di ceppi e radici serie WE.


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GEOFILTRI TESSILI TUBOLARI PER LA DISIDRATAZIONE E LA BONIFICA DI FANGHI DI DRAGAGGIO L’APPLICAZIONE NEL BACINO ARTIFICIALE DEL LAGO DI OCCHITO NE EVIDENZIA LA SEMPLICITÀ IMPIANTISTICA, IL BASSO CONSUMO ENERGETICO E LA POSSIBILITÀ DI RIUTILIZZO ON-SITE di Lorenzo Frigo e Marco Zausa*

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a perdere: una volta che la frazione solida geofiltri tessili tubolari, definiti col raccolta al loro interno è resa palabile, il nome commerciale di SintexTube D, geotessile viene tagliato longitudinalsono delle strutture di contenimento mente e il fango viene raccolto e inviato realizzate unendo tra loro dei conci a smaltimento. Il materiale tessile, una di geotessile tessuto avente caratteristivolta pulito, può essere smaltito come riche di alta resistenza a trazione e buofiuto plastico. In molte applicazioni, però, na permeabilità. Tra le varie applicazioni i SintexTube D colmi di fango vengono possibili tali sistemi vengono impiegati mantenuti intatti e utilizzati come corpi per la disidratazione di fanghi provenienti dal dragaggio di sedimenti, da operazioni di bonifica, oppure da impianti di depurazione delle acque di rifiuto. Il confezionamento viene eseguito su misura, in base alle esigenze di progetto; per le applicazioni di dewatering si usa in genere un geotessile in polipropilene, materiale che presenta una particolare resistenza nei confronti di diverse sostanze chimiche. Nella gran parte dei casi legati al dewatering i geofiltri tubolari sono elementi Figura 1. Schema riepilogativo della fase di filtrazione

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di riempimento per la realizzazione di arginature, terrapieni o confinamenti di casse di colmata. La scelta del fine vita viene fatta generalmente sulla base del tipo di fango disidratato e sulle esigenze di progetto. La separazione solido-liquido all’interno dei geofiltri avviene sfruttando la gravità: i solidi in sospensione si depositano

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progressivamente sul geotessile, che li trattiene mentre lascia uscire la frazione liquida attraverso i pori (dimensione 300 μm). Nelle prime fasi della disidratazione qualche particella più fine può fuoriuscire dal sistema, trascinata dalla velocità del liquido in movimento; tuttavia, una volta che il processo è entrato a regime, l’accumulo progressivo di solidi sul geotessile comporta la formazione di un filtro inverso (particelle più grosse verso l’esterno e più fini verso l’interno) che migliora le prestazioni di filtrazione, aumentando anche la qualità dell’acqua in uscita (figura 1). La disidratazione si compone di 2 fasi: una prima fase dove la frazione liquida libera viene espulsa immediatamente in modo rapido, lasciando all’interno del SintexTube D le particelle di solido e una seconda fase dove viene eliminata l’acqua interstiziale per effetto della consolidazione progressiva del materiale. A seconda del tempo di permanenza del materiale all’interno del geofiltro tubolare si possono ottenere concentrazioni di solido fino al 25% per effetto del consolidamento. Il processo di disidratazio-

ne con SintexTube D avviene quindi in modo naturale, senza dover intervenire meccanicamente con conseguenti consumi di energia. Questo aspetto consente, inoltre, di limitare la necessità di presidio costante sull’intero impianto. Il fango da disidratare deve essere quasi sempre condizionato chimicamente prima di venire immesso nei geofiltri, al fine di ottimizzare il processo di separazione. L’aggiunta di un opportuno flocculante, infatti, modifica la struttura del fango in modo che esso presenti una fase solida aggregata in grossi fiocchi e un’uniforme distribuzione degli spazi vuoti tra questi, così da facilitare l’espulsione dell’acqua durante il processo. Il flocculante da impiegare deve essere scelto in base alla natura del fango da disidratare. Per alcune tipologie di fango, soprattutto se inorganico, può essere anche necessaria una diluizione preventiva della miscela; in molti casi viene prevista a tal proposito una vasca di omogeneizzazione nella quale vengono anche immessi i reagenti necessari. I geofiltri tubolari vengono alloggiati su piano stabile costituito da almeno 10 cm di materiale granulare, in

modo da agevolare il drenaggio dell’acqua in uscita. Qualora quest’ultima non fosse idonea allo scarico diretto nel terreno o in un recettore superficiale, è necessario confinare il sito con una geomembrana, in modo da raccogliere l’acqua e pomparla a un idoneo impianto di trattamento (figura 2). I SintexTube D possono, in alternativa, essere alloggiati all’interno di cassoni metallici.

L’INTERVENTO AL LAGO DI OCCHITO

Il lago di Occhito, situato al confine tra le province di Foggia e Campobasso, è il più grande bacino artificiale d’Italia e il secondo in Europa; è stato originato negli anni ’60 grazie allo sbarramento del fiume Fortore nei pressi di Carlantino (FG) con una diga in terra e ha un invaso di circa 3 milioni di m3. L’opera è di notevole importanza sia per l’uso potabile, sia per il comparto agricolo. A causa del continuo apporto di sedimenti si è reso necessario prevedere il dragaggio del materiale presente presso lo scarico di fondo della diga, non tanto perché l’accumulo riduceva la cubatura globale del

ALCUNI CENNI SUL CALCOLO STRUTTURALE Per dimensionamento di un geofiltro tubolare si intende la determinazione di 3 elementi: 1. la tensione nel geotessile che contiene il fango; 2. la pressione di iniezione; 3. la geometria del contenitore (altezza, larghezza). Analizzando un singolo geofiltro, lo studio riguarda l’equilibrio di una membrana flessibile che contiene al suo interno fango o un fluido in pressione. Sono numerose le pubblicazioni a riguardo, (Liu 1981, Kazimierowicz 1994, Carrol 1994, Leshchinsky, D. and Leshchinsky, O. 1996). Con riferimento a quest’ultimo studio, il problema è stato analizzato a partire dalle seguenti ipotesi: • stato piano di deformazione (soluzione in 2 dimensioni). Questo perché il contenitore, generalmente, presenta lunghezza elevata e tutte le sezioni trasversali sono identiche in termini di geometria e materiali; • il geotessile di contenimento risulta essere sottile, flessibile e con peso trascurabile per unità di lunghezza; • il materiale di riempimento è fango, ossia un fluido. Questo comporta una distribuzione idrostatica delle pressioni all’interno del geofiltro; • si trascurano le tensioni di taglio tra fango e geosintetico. La figura 3 riporta la sezione trasversale del geofiltro, la distribuzione della pressione e la tensione nel geotessile. È possibile analizzare il problema anche nel caso in cui all’interno del contenitore siano presenti due fluidi diversi o con la struttura parzial- Figura 3. Sezione trasversale del geofiltro mente o totalmente immersa in acqua. I parametri importanti per il dimensionamento del geofiltro sono la sua circonferenza L, la larghezza massima W, la pressione di iniezione al camino p0, la densità del fango γ e l’altezza del tubo h. La tensione del geotessile è indicata con T. La geometria assunta dal contenitore risulta essere dipendente dalla variabile x e dai 4 parametri T, p0, h, γ. Poiché il peso specifico del fango γ è generalmente noto, y risulta funzione della variabile indipendente x e dei 3 parametri rimanenti. In genere è opportuno specificare almeno uno di questi, solitamente h, in modo tale che, definiti la circonferenza L del geofiltro e il peso dell’unità di volume del fango γ si possano andare a determinare le incognite T e p0. Si riporta a titolo di esempio l’output del software utilizzato per il calcolo (figura 4). Al fine di ottenere la tensione ultima del geotessile occorre introdurre alcuni fattori di riduzione del materiale (per creep, danneggiamento, durabilità, cuciture) e il fattore di sicurezza sul tessuto. Si ottiene pertanto la seguente relazione: Tult=Twork • ( RFid • RFd • RFcr • RFss) • FS Nella pratica corrente, al fine di ottimizzare gli spazi di stoccaggio dei contenitori, è possibile prevedere la sovrapposizione di uno o più geofiltri, creando così delle “piramidi” di elementi. Anche in questo caso occorre determinare la geometria e la tensione nel geotessile. La soluzione risulta complessa e ricavabile solo tramite analisi numerica, in quanto occorre realizzare la struttura per fasi, considerando prima il riempimento e la consolidazione dei singoli geofiltri di base e poi l’installazione degli elementi sovrapposti. Un esempio di struttura, ottenuta con l’impiego di un software alle differenze finite, è riportata nella figura 5. Ulteriori analisi si richiedono in caso di zona sismica, di presenza o meno di falda, di esposizione prolungata e di altre condizioni al contorno che possono verificarsi in particolari situazioni. Il dimensionamento di questi elementi tubolari presenta pertanto risvolti la cui soluzione può richiedere un notevole impegno di elaborazione e calcolo.

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Figura 2. Schema tipico di un impianto di disidratazione

bacino, ma per garantire la sicurezza idraulica dello sbarramento. Il progetto ha previsto la rimozione di

21.000 m3 di sedimento mediante aspirazione per mezzo di una draga e il confinamento del materiale, preventivamente

condizionato, in geofiltri tessili tubolari per la disidratazione. Il posizionamento dei SintexTube D è stato effettuato a una distanza di circa 1 km dall’area di dragaggio sulla sponda sinistra dell’invaso (figura 6). Il sito è stato opportunamente terrazzato e sul fondo di ciascun livello di posa è stato steso uno strato di materiale arido drenante; l’acqua in uscita dai geofiltri viene direttamente re-immessa nel lago. Una volta ultimato il processo i SintexTube D saranno mantenuti on-site e utilizzati come corpi di riempimento per il rimodellamento del versante. Questa scelta

Figura 4. Output del software GeoCoPS

Figura 5. Modello numerico dei geofiltri sovrapposti

Figura 6. Panoramica del sito di disidratazione

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Figura 7. Particolare dei SintexTube D installati

è stata adottata dopo aver verificato che il fango finale disidratato non presentava al suo interno potenziali contaminanti e dopo aver verificato la stabilità geotecnica del versante. Ad oggi sono stati confezionati e installati 30 elementi a lunghezza e circonferenza variabile (13,5 - 20 m), con un’altezza massima di riempimento fissata a 2,2 m mediante verifica col software GeoCoPS, precedentemente citato.

CARATTERIZZAZIONE DEI SEDIMENTI

La caratterizzazione geotecnica e chimico-biologica dei sedimenti da dragare si è resa necessaria per valutare 2 aspetti fondamentali nel processo di dewatering: • la scelta e il dosaggio del flocculante e di eventuali altri reagenti per il condizionamento del fango in entrata nei geofiltri, al fine di ottimizzare il rendimento del processo e di immobilizzare nella frazione solida eventuali contaminanti; • lo scarico della frazione liquida nel corpo idrico recettore, in modo da prevenire contaminazioni e non intaccare lo stato trofico del lago. Dal punto di vista geotecnico il sedimento presentava un contenuto di argilla pari al 71,65%, di limo pari al 27,45% e di sabbia pari allo 0,9%. La presenza di una frazione fine preponderante ha comportato la necessità di procedere con la diluizione del fango e l’addizione di un polielettrolita cationico prima dell’immissione nei SintexTube D. Le analisi chimico-biologiche sono state eseguite su campioni prelevati nell’area interessata dal dragaggio, a distanza di 100 m l’uno dall’altro. Complessivamente il quadro dei contaminanti analizzati ha delineato una si-

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Figura 8. Particolare dell’acqua in uscita dal SintexTube D nel corso del processo

tuazione di scarsa contaminazione, con impatti trascurabili sia sullo stato trofico (nutrienti) sia sulle concentrazioni delle sostanze tossiche analizzate. In particolare: • il carico di azoto e fosforo è risultato limitato e tale da non determinare modifiche dello stato trofico del lago; • non si sono rilevate concentrazioni significative di tossine organiche, parametro indagato a causa di fioriture di cianobatteri avvenute di recente; • i microinquinanti organici avevano concentrazioni sempre al di sotto dei limiti previsti dalla Tabella 2, Allegato 5, parte 4 del D.lgs. 152/2006; • la maggior parte delle concentrazioni dei metalli monitorati è risultata al di sotto dei limiti imposti dalla normativa, fatta eccezione per arsenico, ferro, piombo e manganese. Quest’ultimo aspetto era legato essenzialmente alle condizioni riducenti in cui si trovava il campione prelevato. Da questo punto di vista il processo di dewatering ha comportato un miglioramento nella qualità delle acque re-immesse nel bacino lacustre, in quanto i metalli sono stati immobilizzati all’interno dei geofiltri, sia per l’azione del flocculante, sia per la precipitazione chimica legata alla presenza di ossigeno.

di intervento sul fango in ingresso si può sfruttare il processo di separazione per immobilizzare i contaminanti all’interno del geofiltro, in seno alla frazione solida; quest’ultima potrà essere poi ulteriormente trattata oppure inviata a smaltimento. Sistemi similari sono già stati utilizzati con successo da alcuni operatori del settore soprattutto negli USA e in Europa con sedimenti contenenti concentrazioni elevate di composti come PCBs, PAHs e metalli pesanti. Il passaggio chiave per l’implementazione del sistema è chiaramente la caratterizzazione preliminare del sedimento da trattare, sia dal punto di vista quantitativo per determinare il numero e le dimensioni dei SintexTube D da utilizzare, sia dal punto di vista qualitativo per la scelta dei reagenti opportuni e la determinazione del loro dosaggio. Un altro fattore critico è l’analisi delle acque in uscita dal sistema di disidratazione per la salvaguardia del corpo idrico recettore; la caratteriz-

L’UTILIZZO DELLA TECNOLOGIA PER IL DEWATERING DI SEDIMENTI CONTAMINATI

L’esperienza acquisita con questo caso particolare suggerisce che la tecnologia possa essere adottata anche nel caso in cui il sedimento da disidratare sia caratterizzato da una presenza più significativa di potenziali contaminanti. A seconda della specie chimica e del tipo

Figura 9. Apparato utilizzato per le prove sul campo


zazione consente infatti di pianificare gli eventuali trattamenti sulla frazione liquida, necessari per l’abbattimento dei contaminanti in forma disciolta. Al fine di effettuare una scelta corretta nell’abbinamento geotessile-reagenti, si possono eseguire delle semplici prove sul campo, simulando su piccola scala il processo di dewatering che si andrà a implementare. Il test più immediato è una sorta di jar test modificato, in cui si preparano diversi campioni di fango ai quali vengono dosate diverse quantità di reagente. Dopo il mescolamento, quando si inizia a intravvedere l’azione del flocculante, il campione viene versato in un imbuto rivestito del geotessile da utilizzare e si valutano la rapidità del processo di espulsione dell’acqua libera, che viene raccolta in un recipiente di vetro, e la limpidezza del filtrato (figura 9). In seguito si potranno effettuare le analisi opportune sulle 2 frazioni separate. Il risultato ottimale si ha quando la frazione liquida è sostanzialmente limpida come l’acqua pulita, mentre la frazione

solida si presenta ben agglomerata e deve essere facilmente staccabile dal campione di tessuto (non deve aderire e sporcare eccessivamente il telo).

CONCLUSIONI

I geofiltri tessili tubolari possono essere una valida soluzione per la disidratazione dei sedimenti provenienti da opere di dragaggio, che coniuga la semplicità impiantistica e il basso consumo energetico con buoni rendimenti in termini di concentrazione finale dei solidi e la possibilità di un eventuale riutilizzo on-site come corpi di riempimento per opere geotecniche. Fattori chiave dell’intero processo sono la scelta dei reagenti più opportuni a seconda della tipologia di fango da processare e il calcolo della struttura tessile per verificarne la resistenza. Il caso studio proposto, in cui si è evidenziato un miglioramento nella qualità delle acque rilasciate dopo la separazione, grazie all’immobilizzazione di alcuni metalli pesanti con valori al di sopra dei limiti di legge, suggerisce che la tecnologia

possa essere impiegata per la bonifica di sedimenti caratterizzati da una significativa presenza di contaminanti. *Geosintex Srl

BIBLIOGRAFIA

Progetto per il dragaggio dell’imbocco dello scarico di fondo della Diga di Occhito sul fiume Fortore, Relazione Generale, Ottobre 2014 Progetto per il dragaggio dell’imbocco dello scarico di fondo della Diga di Occhito sul fiume Fortore. Caratterizzazione chimico biologica dei sedimenti, All. 14. Ottobre 2014 Pilarczyk K. W. (2007), Geosynthetics and Geosystems in Hydraulic and Coastal Engineering, Taylor & Francis Koerner R. M. (2016), Geotextiles. From Design to Applications, Woodhead Publiching Bezuijen A., Vastenburg E.W. (2013), Geosystems. Design Rules and Applications, Taylor & Francis Metcalf & Eddy (2006), Ingegneria delle acque reflue, Mc Graw-Hill Leshchinsky D., Leshchinsky O. (1995), GeoCoPS. Adama eng. ITASCA Consulting Group Inc. FLAC (Fast Lagrangian Analysis of Continua) 7.0 version


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CARATTERIZZAZIONE, RISANAMENTO E RECUPERO DI VECCHIE DISCARICHE L’ADOZIONE DI UN APPROCCIO MODULARE, DALL’INDAGINE CONOSCITIVA ALLE METODOLOGIE OPERATIVE, COME SOLUZIONE PER IL RISANAMENTO DELLE VECCHIE DISCARICHE DI RSU NON AUTORIZZATE di Fabio Ermolli* e Andrea Guerini**

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a presenza di discariche di RSU risalenti al periodo precedente al DPR 915/82 rappresenta una caratteristica frequente nel territorio nazionale che determina possibili interferenze con l’ambiente circostante. Inoltre la loro presenza spesso interferisce con piani di sviluppo o di possibile valorizzazione di ampie aree che risultano per questo penalizzate. In generale, gli impatti ambientali che si riscontrano sono ricondotti alle sostanze organiche putrescibili nel rifiuto depositato e alla sua successiva degradazione anaerobica. I problemi ambientali legati alla presenza di biogas, prodotto dalla degradazione anaerobica, sono molteplici, come ad esempio rischio di esplosioni, odori molesti, effetto serra. Per quanto riguarda invece il percolato, in una discarica in condizioni anaerobiche si trova generalmente un elevato contenuto di sostanza organica e di azoto ammoniacale, prodotto dalla degradazione anaerobica della frazione organica dei rifiuti contenente azoto. Sono stati riscontrati casi in letteratura in cui anche a distanza di decine di anni il contenuto di ammoniaca si mantiene ancora molto elevato. A seguito degli aspetti e delle criticità indicate, è emersa la necessità di individuare soluzioni per tendere a un modello di discarica sostenibile, intendendo con quest’ultimo termine un sito le cui emissioni non modifichino la qualità dell’ambiente circostante, raggiungendo un livello di qualità del deposito tale per cui, una

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volta rimossi i presidi di controllo di tipo attivo, non si determinino impatti negativi sulle matrici ambientali circostanti. Tra le soluzioni maggiormente efficaci e più facilmente applicabili, emerge sicuramente il trattamento aerobico o semiaerobico del rifiuto. Detti approcci possono utilmente integrarsi con altre soluzioni che privilegiano il recupero di materiali di tipo landfill mining e il recupero di risorse. Fondamentale per l’applicazione di una strategia di intervento di recupero integrata è la pianificazione ed esecuzione di una esaustiva caratterizzazione ambientale della discarica che consenta di conoscere le reali attività residue del corpo rifiuti in termini di impatti attuali sull’ambiente. La nota sviluppa pertanto un approccio modulare, partendo dalla necessaria e rilevante fase di indagine conoscitiva, per poi valutare e affrontare un’ipotesi di soluzioni applicabili per il recupero dei vecchi siti di RSU.

INDAGINE CONOSCITIVA AMBIENTALE DI VECCHIE DISCARICHE DI RIFIUTI

Le indagini da eseguire sulle vecchie discariche devono mirare al conseguimento dei seguenti obiettivi: • analisi della situazione ambientale nell’intorno della discarica; • quadro conoscitivo sulla quantità e tipologia dei rifiuti depositati; • morfologia del sito originario;

verifica dello stato fisico delle strutture e dell’ammasso dei rifiuti; • analisi del rischio attuale esercitato; • definizione delle tecniche di intervento e della loro fattibilità tecnico economica; • definizione delle misure di sicurezza e di protezione ambientale da mettere in atto nel corso di eventuali interventi; • individuazione di un “bianco” di riferimento ambientale per il monitoraggio dei risultati degli interventi. Le attività da svolgere per il raggiungimento degli obiettivi sopra esposti sono molto simili e mutuabili a quelle necessarie per la caratterizzazione di un sito contaminato, e quindi ben note e codificate da norme, procedure e linee guida. L’indagine storica di un sito potenzialmente contaminato è sempre necessaria ma nel caso di vecchie discariche ha l’obiettivo di ricostruire i conferimenti dei rifiuti e la situazione ambientale registrata all’inizio dell’esercizio della discarica. Una opportuna campagna geofisica è uno strumento molto prezioso in grado di fornire primi riscontri quali/quantitativi in merito principalmente a: • ricostruire la morfologia della fondazione della discarica e dell’ammasso dei rifiuti; • evidenziare all’interno del corpo rifiuti eventuali sacche di biogas o percolato; • ricostruire l’andamento delle falde


acquifere e le eventuali vie preferenziali di fuga del percolato; • ricercare eventuali plume di contaminazione non individuati dai pozzi; • individuare le principali caratteristiche fisico-meccaniche del sito; • rilevare eventuali corpi anomali nel sito (bidoni, fusti…). Tra le tecnologie geofisiche da applicarsi sono ottimali in termini di efficacia e ottimizzazione dei tempi di acquisizione dati le prospezioni geoelettriche con la tecnica della tomografia e i metodi georadar. Nella fase di caratterizzazione particolare importanza assume la valutazione della presenza di biogas all’interno delle vecchie discariche dismesse, che prevede attività di acquisizione dati e di monitoraggio suddivise in fasi successive a livello di approfondimento crescente. Il monitoraggio preventivo del biogas è condizione necessaria per: • ottenere informazioni sulla qualità del gas; • individuare i punti principali di accumulo dei gas; • individuare eventuali migrazioni di gas nel suolo e nel sottosuolo all’esterno della discarica; • verificare l’attività biologica di degradazione del rifiuto con conseguente produzione di percolato; • ottenere una migliore definizione delle indagini dirette, anche per l’applicazione dell’Analisi di Rischio. Una prima indagine da eseguirsi consiste nella misura delle emissioni diffuse provenienti dalla superficie della discarica

utilizzando metodi non invasivi (rilevatore a ionizzazione di fiamma “FID” + cappa convogliatrice del biogas con metodo tipo “Flux Box”). Una seconda indagine da eseguirsi consiste nell’analisi dei gas interstiziali presenti all’interno della discarica predisponendo microsondaggi superficiali nel corpo dei rifiuti (indagine soil gas). La distribuzione delle stazioni di misura dovrà essere effettuata mediante una maglia preordinata, sulla scorta delle risultanze delle indagini indirette (geofisiche) condotte sul corpo della discarica e del monitoraggio delle emissioni diffuse in modo da tener conto dei volumi di rifiuto coinvolti e delle zone a maggiore concentrazione di biogas. In riferimento alla distribuzione areale di biogas nell’area di discarica riscontrata dalle indagini gas è possibile pervenire a una valutazione relativa della pericolosità legata all’effettiva possibilità che i gas prodotti dai rifiuti possano formare una miscela esplosiva quando si combinano con l’aria in determinate proporzioni. Sulla base dei livelli di concentrazione del metano misurato nei pozzetti di monitoraggio è possibile effettuare una zonazione dell’area di discarica con l’esecuzione di una “analisi di Pericolosità relativa”. Le indagini geotecniche hanno lo scopo di verificare le caratteristiche geotecniche dei rifiuti e della formazione di base e analizzare la stabilità della discarica. Di particolare interesse sono gli orizzonti a diretto contatto con l’accumulo dei rifiuti e con il percolato, in modo che si possano evidenziare eventuali cambiamenti nella

Figura 1. Esempio di indagine geoelettrica su una vecchia discarica in provincia di Brescia

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natura fisica e chimica del terreno. I risultati acquisiti dalle prove di laboratorio vengono utilizzati per la verifica di stabilità della discarica e per definire i criteri costruttivi da adottare per gli eventuali interventi di bonifica. Le indagini dirette sono fondamentali per la conoscenza reale dell’ammasso di discarica. I rifiuti devono essere classificati dal punto di vista merceologico e della pericolosità. Inoltre, le indagini devono essere mirate alla definizione dello stato di degradazione della frazione organica e della presenza di componenti ancora lisciviabili, al fine di definire il potenziale residuo di emissioni liquide e gassose (es. determinazione dell’umidità, test di cessione, test respirometrici, analisi dei gas interstiziali, determinazione del battente idraulico del percolato, ecc.). Le indagini chimico-fisiche sul percolato permettono di acquisire gli elementi conoscitivi circa la sua qualità allo scopo di definire sia l’attuale che il potenziale inquinante del percolato e di valutarne, eventualmente, il più idoneo trattamento. L’esecuzione di analisi merceologiche dei materiali presenti nell’ammasso nel corso delle attività di scavo dei sondaggi o dei saggi esplorativi di cui al punto precedente, con quantizzazione con pesata e in percentuale e determinazione in campo delle frazioni merceologiche dei rifiuti presenti. Il campionamento di terreni e di rifiuti da avviare ad analisi chimiche di laboratorio per la loro caratterizzazione e classificazione costituirà la fase saliente dell’indagine diretta. Tipicamente andrà previsto un campione rappresentativo di ogni orizzonte stratigrafico individuato e un campione in caso di evidenze organolettiche di potenziale contaminazione. In presenza di rifiuti, si provvede a prelevare il materiale procedendo con il campionamento sistematico casuale da incrementi puntuali, la loro miscelazione e omogeneizzazione in modo tale da formare un campione composito. Sulla base della caratterizzazione chimica di dettaglio, si procede quindi alla classificazione come rifiuto e alla sua potenziale tipologia di smaltimento o recupero. Le analisi chimiche di laboratorio dovranno essere definite in relazione alle caratteristiche della matrice campionata su cui eseguire analisi chimiche di laboratorio, con riferimento alle norme specifiche che governano la

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gestione dei siti contaminati, dei rifiuti e dei sottoprodotti. Il piano analitico dettagliato con i metodi di prova e le metodiche di analisi adottate dovrà specificamente essere indicato nella documentazione progettuale da redigere prima delle indagini.

TECNOLOGIE DI BONIFICA DISPONIBILI E VALUTAZIONE DELLE ALTERNATIVE TECNOLOGIE DI BONIFICA DISPONIBILI

Allo stato attuale delle esperienze specifiche, riteniamo che le tecnologie specifiche e concretamente applicabili agli interventi di bonifica degli ammassi di RSU siano riconducibili alle seguenti: • l’aerazione in situ; • il landfill mining. Altre tipologie di intervento non sono qui oggetto di descrizione in quanto tecnologie ampiamente applicate a discariche di vecchia e recente costruzione (es. capping) oppure non sufficienti per intervenire compiutamente sull’intero ammasso dei RSU (es. phytoremediation o phytocapping). Allo stesso modo, non si trattano in questa memoria le tecnologie sviluppate nei campi della bonifica di terreni e acque sotterranee (es. pump & treat per il controllo del plume di contaminazione) utilizzate nella gestione di specifiche problematiche a carico di matrici impattate dalla discarica di RSU. L’aerazione in situ ha trovato molteplici applicazioni anche in Italia, e consente attraverso l’estrazione/insufflazione forzata di aria - di realizzare la rimozione e strippaggio di composti volatili e l’instaurarsi di condizioni aerobiche che promuo-

vono la mineralizzazione della sostanza organica biodegradabile. L’aerazione in situ è stata validata nel 2009 come nuova metodologia per l’eliminazione di emissioni di gas da discarica da parte del “Clean Development Mechanism Executive Board” nell’ambito dell’United Nation Framework Convention for Climate Change. Il dimensionamento dell’intervento di aerazione in situ deve essere preceduto dall’esecuzione di prove pilota, sia in assetto di iniezione che in assetto di estrazione, e di prove respirometriche in situ. Oltre ai test in campo, campioni di rifiuto possono essere utilmente sottoposti ad analisi di laboratorio per la determinazione di parametri chimico-fisici e biologici. L’esito delle prove consente di verificare l’applicabilità della tecnologia di aerazione in situ e di stimare i parametri di dimensionamento principali. In termini costruttivi, il sistema è di norma costituito da pozzi attivi ed eventuali pozzi passivi, oltre ai punti di monitoraggio dei gas interstiziali che consentono il monitoraggio pneumatico, respirometrico e chimico del decorso dell’intervento e delle caratteristiche dei gas interstiziali. L’intervento deve

Figura 2. Schema di processo dell’intervento di aerazione in assetto di estrazione

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essere monitorato attraverso sessioni periodiche di rilevamento dei parametri di esercizio degli impianti, dei parametri di assetto pneumatico del sistema, dei parametri respirometrici e delle concentrazioni di VOC totali e dei singoli composti di riferimento lungo le linee e al camino. I principali risultati che l’applicazione di questa tecnologia consente sono: 1. la rimozione e il trattamento del metano presente nell’ammasso di rifiuti; 2. la mineralizzazione della sostanza organica, con la conseguente “inertizzazione” del rifiuto organico e del suo potenziale di contaminazione delle matrici ambientali; 3. il consolidamento (con riduzione di volume), associato ai fenomeni di estrazione e mineralizzazione; 4. la riduzione (per ossidazione chimica o per estrazione e abbattimento) di possibili contaminanti presenti nell’ammasso dei rifiuti (es. idrocarburi, benzene, ecc.). Il landfill mining consiste nello scavo e nel successivo trattamento o lavorazione dei rifiuti depositati. Questo intervento consente di recuperare materiali riciclabili come materiali terrigeni (riutilizzabili ad esempio per la copertura dei rifiuti), materiali ferrosi, plastiche e possibili frazioni combustibili. In alternativa, consente di trattare il rifiuto per un suo successivo riposizionamento (in situ o ex situ) in condizioni di maggiore sicurezza da un punto di vista ambientale. Per applicare una tale ipotesi di intervento, è opportuno pianificare e precisare bene in fase di progetto di bonifica tutti gli aspetti normativi e applicativi previsti, che devono essere specificamente autorizzati. Il trattamento di landfill mining equivale infatti a un vero e proprio trattamento di rifiuti, inserito


Aerazione in situ

Landfill mining

Phytore- Pump & Capping mediation Treat

Riduzione emissioni odori

X

X

X

X

Riduzione lisciviazione

X

X

X

X

X

X

Contenimento plumes falda Recupero volumi discarica

MNA*

X

Recupero energetico

X

Recupero materia

X

Tabella 1. Matrice tipo per l’individuazione delle tecnologie applicabili a un intervento di bonifica/recupero per una discarica RSUe (*Monitored Natural Attenuation)

all’interno di un procedimento di bonifica di un sito. Successivamente in fase operativa potrà essere necessario utilizzare impianti e apparecchiature, quali impianti mobili, specificamente autorizzati per il recupero di rifiuti con i codici CER applicabili al caso reale e prevedere di applicare i regolamenti End of Waste vigenti o, in mancanza, i criteri normativi vigenti in via generale (quali il DM 186/2016 e s.m.i. per i rifiuti non pericolosi). Tipicamente la filiera di trattamento associata al landfill mining prevede una sezione di vagliatura per la separazione di frazioni fine, intermedia e grossolana. Lo scavo meccanico provvede a una prima separazione di elementi macroscopici (es. rifiuti ingombranti), mentre il materiale restante viene inviato a vagli rotativi (o meno frequentemente vibranti, meno robusti) per la separazione tra rifiuti e terre. Secondo Chakrabarti et al. (2015), la percentuale di recupero può variare tra il 50% e il 90% della massa complessiva dei rifiuti, con la frazione di terreni variabile tra il 20% e l’80% della stessa. Secondo lo stesso autore, la discarica deve avere almeno 15 anni per consentire l’esecuzione di un soddisfacente intervento di landfill mining. I benefici di un intervento di questo tipo possono essere diversi in funzione delle finalità dell’intervento. Per quanto concerne l’oggetto di questa memoria, ossia la bonifica di vecchie discariche realizzate senza i necessari presidi ambientali, possiamo evidenziare i seguenti: • il rifiuto può essere lavorato e reso meno attivo dal punto di vista dei potenziali impatti ambientali; • il rifiuto, ricondizionato da un punto di vista chimico-fisico e volumetrico, può essere riposizionato all’interno

del medesimo bacino, nel frattempo approntato con adeguati presidi ambientali; • si può ottenere una valorizzazione economica dell’intervento, che pertanto lo può rendere possibile, attraverso la commercializzazione dei materiali recuperati e/o dei volumi riottenuti all’interno del bacino stesso. Il tema del recupero di risorse associato a questa tecnologia, viste le prospettive in termini economici e di risparmio di risorse non rinnovabili, è estremamente attuale, ed è ad esempio oggetto di progetti dimostrati finanziati dal Programma Horizon 2020 della Commissione Europea (ETN NEW-MINE per quanto riguarda i RSU). Con riferimento al recupero di materiali inerti, va evidenziato che tipicamente le condizioni costruttive del capping di una discarica degli anni ‘80 risultano costituite da un riporto di materiale terrigeno spesso di matrice sabbiosa/ limosa, con possibilità di presenza di rifiuti da costruzione e demolizione. In questi casi un intervento efficace può consistere nella parziale rimozione del materiale di copertura, che può essere rimosso e il materiale inerte utilmente recuperato. La soluzione di un recupero in loco dei terreni di copertura è la soluzione ambientale più idonea e corretta, minimizzando i consumi di materia e ottimizzando il recupero di rifiuti, come stabilito in via prioritaria

dalla normativa vigente. Presupposto necessario per il recupero è la certificazione di qualità dei terreni di riporto recuperati con opportune analisi eseguite, che deve rilevare l’assenza di superamenti delle concentrazioni limite per la destinazione urbanistica del sito di destino previsto per la sua riutilizzazione. Dal punto di vista del possibile destino nell’ottica di rimozione e conferimento a impianti di recupero, devono inoltre essere rispettati i limiti previsti dall’Allegato 3 al DM 186/06. Il materiale prodotto (aggregato riciclato) dovrà poi essere certificato con marcatura CE secondo le norme tecniche vigenti.

MATRICE PER L’INDIVIDUAZIONE DELLE TECNOLOGIE APPLICABILI

La matrice sotto proposta si propone di fornire, per le diverse matrici ambientali potenzialmente impattate dalla discarica di RSU, o per gli obiettivi di qualità ambientale stabiliti dalla normativa, un’indicazione sull’applicabilità delle diverse tecnologie di intervento. Nella colonna di sinistra sono indicati gli obiettivi ambientali degli interventi sulla discarica, nelle altre colonne le tecnologie applicabili per l’ottenimento degli obiettivi.

CONCLUSIONI

Le vecchie discariche di RSU debbono essere oggetto di interventi di risanamento e recupero in ragione del loro potenziale impatto ambientale, che può essere assai rilevante quando va a interessare le comunità (ad esempio per il problema delle emissioni nocive e odorigene) o le matrici naturali (ad esempio le acque sotterranee). Questa memoria dimostra che esistono tecnologie che, grazie a elementi valorizzanti come il recupero di materia o energia, o la restituzione di volumetrie all’interno della discarica stessa, rendono fattibili gli interventi di recupero anche da un punto di vista economico. *Libero Professionista, **NCE S.r.l.

BIBLIOGRAFIA

Chakrabarti M. and Dubey A. (2015). Remediation Techniques, for Open Dump Sites,used for the Disposal of Municipal Solid Waste in India, Journal of Basic and Applied Engineering Research p-ISSN: 23500077; e-ISSN: 2350-0255; Volume 2, Number 17; July-September, 2015, pp. 1510-1513 Crescini E., Guerini A. e Morando M. (2013). Aerazione in situ per la mineralizzazione e la messa in sicurezza di una vecchia discarica di RSU: un esempio di intervento a scala reale, SiCon 2013 Siti Contaminati. Esperienze negli interventi di risanamento, Roma 21-22-23 Febbraio 2013 Ezyske C. M. and Deng Y. (2012). Landfill Management and Remediation Practices in New Jersey, United. In: Management of organic waste, Edited by Dr. Sunil Kumar ISBN 978-953-307-925-7A, pp. 150-166.

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L’ABBANDONO DI RIFIUTI E L’OBBLIGO DI RIMOZIONE IN CAPO AI PROPRIETARI DELL’AREA ANALISI DELLE RECENTI PRONUNCE GIURISPRUDENZIALI E DELLA POSIZIONE DEGLI ENTI PROPRIETARI O GESTORI DELLE STRADE di Rosa Bertuzzi*

A

ccade spesso di confrontarsi con ordinanze adottate dai Sindaci dei Comuni, con le quali viene ordinato ai proprietari di aree oggetto di abbandono di rifiuti da parte di ignoti di procedere alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti medesimi e al ripristino dello stato dei luoghi. La legittimità di tali ordinanze è uno dei temi più caldi in giurisprudenza, specialmente laddove il proprietario dei luoghi abbia manifestato una semplice inerzia di fronte all’abbandono, magari non recintando adeguatamente i propri terreni o non attivandosi per la rimozione dei rifiuti una volta rinvenuti. Ebbene, se al riguardo si sembrava approdati a una soluzione ormai stabile in giurisprudenza, una recente sentenza emessa dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia sembra aver scompigliato le carte, specialmente in relazione alle ipotesi di abbandono di rifiuti, ad opera di ignoti, sulle strade o sulle loro pertinenze.

RICOSTRUZIONE DEL QUADRO NORMATIVO IN MATERIA DI ABBANDONO DI RIFIUTI

Per analizzare la fattispecie dell’abbandono dei rifiuti occorre prendere le mosse dall’art. 192 del D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, rubricato “Divieto di ab-

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bandono”. Tale disposizione stabilisce, al primo comma, che l’abbandono e il deposito incontrollato di rifiuti sul suolo e nel suolo sono vietati. È inoltre vietata l’immissione di rifiuti di qualsiasi genere, allo stato solido o liquido, nelle acque superficiali e sotterranee. Fatta salva l’applicazione delle sanzioni (amministrative e penali) di cui agli articoli 255 e 256, chiunque abbandona rifiuti è tenuto a procedere alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti medesimi e al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo. A tal fine, il Sindaco dispone con ordinanza le operazioni necessarie e il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all’esecuzione in danno dei soggetti obbligati e al recupero delle somme anticipate. L’art. 192 precisa infine che qualora la responsabilità del fatto illecito sia imputabile ad amministratori o rappresentanti di persona giuridica, sono tenuti in solido la persona giuridica e i soggetti che siano subentrati nei diritti della persona stessa, secondo le pre-

visioni del D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 in materia di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni. Dalla lettura di tale disposizione emerge dunque come l’obbligo di rimozione dei rifiuti abbandonati, e di ripristino dei luoghi, incomba sull’autore dell’abbandono, in solido con il proprietario dell’area (o con il titolare di un altro diritto reale o personale di godimento, si pensi, al caso dell’affittuario o del locatore), ma solo laddove in capo a quest’ultimo possa essere rinvenuta una responsabilità a titolo di dolo o quantomeno di colpa. I dubbi maggiori si sono posti, come accennato, in relazione ai (numerosi) casi di abbandono di rifiuti da parte di soggetti non identificati e non altrimenti identificabili, rispetto ai quali, al fine di veder rimossi i rifiuti, i Sindaci hanno spesso adottato ordinanze ai sensi dell’art. 192 del D.lgs. 152/06, imponendo ai proprietari dell’area di ripristinare lo stato dei luoghi. Ciò che, in concreto, ha condotto la giurisprudenza a definire e delineare i contorni del concetto di “colpa”, richiesta dall’art. 192 quale elemento soggettivo minimo (in alternativa al dolo) per legittimare un’ordinanza sindacale di rimozione emanata nei confronti del proprietario di un’area oggetto di


abbandono di rifiuti. Tale questione è stata da ultimo affrontata in un’interessante sentenza della Corte di Cassazione (sez. III penale, sent. n. 13606 del 28 marzo 2019), chiamata a confrontarsi in merito a un caso di accantonamento e sversamento di materiale di risulta, pneumatici e lattine di vernice da parte di ignoti, all’interno di un terreno solo parzialmente recintato. La questione giuridica che si è posta è la seguente: l’inerzia del proprietario a fronte della collocazione dei rifiuti può essere fonte di responsabilità? In caso affermativo, a che titolo? Di certo, sostiene la Corte di Cassazione, non è corretta la contestazione del reato di gestione non autorizzata di rifiuti di cui all’art. 256, comma 1 del D.lgs. 152/06, in quanto tale situazione, se riferita ad attività di illecita gestione posta in essere da terzi, avrebbe richiesto la specificazione e la dimostrazione dell’elemento causale fornito dal proprietario dell’area all’attività di illecita gestione. Nel caso in esame, invece, terzi ignoti hanno “semplicemente” abbandonato propri rifiuti, ponendo in essere una

sola condotta occasionale, in assenza di attività prodromiche o successive a tale conferimento. Al più avrebbe pertanto potuto essere contestato il reato di cui all’art. 256, comma 2 del D.lgs. 152/06 (abbandono di rifiuti da parte di titolari di imprese e responsabili di enti). A tal riguardo i giudici sottolineano tuttavia che la semplice inerzia del proprietario del fondo, conseguente all’abbandono da parte di terzi, o la sua consapevolezza di tale condotta da altri posta in essere, non sono idonee a configurare alcuna illecita condotta. Una condotta omissiva può infatti dare luogo a ipotesi di responsabilità solo ove sussista l’obbligo giuridico di impedire l’evento. A tale conclusione deve pervenirsi “anche nel caso in cui il proprietario del terreno non si attivi per la rimozione dei rifiuti, in quanto la responsabilità sussiste solo in presenza di un obbligo giuridico di impedire la realizzazione o il mantenimento dell’evento lesivo, che questi può assumere solo ove compia atti di gestione o movimentazione dei rifiuti”. Ebbene, emerge dunque come

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la consapevolezza dell’abbandono di rifiuti sul proprio terreno, così come la mancata attivazione per la loro rimozione, non integrano l’elemento della colpa richiesto dall’art. 192 del D.lgs. 152/06. Un provvedimento che ordini la rimozione dei rifiuti basandosi unicamente sul titolo di detenzione o di godimento dell’area, risulterà dunque illegittimo e potrà essere impugnato davanti al giudice amministrativo.

L’ABBANDONO DEI RIFIUTI SULLE STRADE

Se questa era la posizione a cui sembrava ormai pervenuta la giurisprudenza in materia di abbandono di rifiuti, occorre dare atto di quella che sembra essere un’inversione di tendenza, quantomeno nell’ambito dell’abbandono dei rifiuti sulle strade e sulle loro pertinenze. La sentenza n. 117 del 9 gennaio scorso, adottata dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Napoli), si pone invero in linea con la disamina appena condotta, nel dichiarare illegittima un’ordinanza con cui un Sindaco aveva imposto ad ANAS la

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messa in sicurezza, rimozione e bonifica di tutti i rifiuti abbandonati in un tratto di strada di sua competenza. I giudici affermano infatti, in linea con la giurisprudenza ormai maggioritaria, che a carico del proprietario o di co-

loro che a qualunque titolo abbiano la disponibilità dell’area, non è sempre e comunque configurabile una responsabilità in solido con l’autore materiale dell’abbandono, occorrendo che la violazione sia a questi imputabile a

titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati in contraddittorio con i soggetti interessati. Conseguentemente, deve essere esclusa la natura di obbligazione propter rem (ovvero discendente dal mero titolo di proprietà o godimento dell’area) dell’obbligo di ripristino del fondo. A tal proposito, il Tribunale afferma chiaramente che la circostanza che ANAS risulti concessionaria della gestione e della manutenzione ordinaria e straordinaria delle strade di proprietà dello Stato e delle relative pertinenze, comprese le aree di sosta, rappresenta un presupposto da solo non sufficiente per imporle l’ordine di rimozione dei rifiuti abbandonati da ignoti su tali aree, essendo altresì necessario appurare l’elemento soggettivo della responsabilità, la quale richiede un preventivo accertamento in contraddittorio con l’interessato. Tale quadro è stato tuttavia offuscato da una recente sentenza del Tribunale Amministrativo per la Puglia (sezione staccata di Lecce, sez. I, sent. n. 351 del 1 marzo 2019), il quale, nel giungere a conclusioni difformi rispetto ai giudici napoletani, delinea un interessante e nuovo rapporto di complementarietà fra l’art. 192 del D.lgs. 152/06 e l’art. 14 del D.lgs. 30 aprile 1992, n. 285 (cd. Codice della strada, di seguito “D.lgs. 285/92”). Il ragionamento del Tribunale pugliese prende le mosse proprio dall’art. 14 del D.lgs. 285/92, il quale impone agli enti proprietari delle strade, allo scopo di garantire la sicurezza e la fluidità della circolazione, di provvedere (fra l’altro) alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade, delle loro pertinenze e arredo, nonché delle attrezzature, impianti e servizi. Tale disposizione precisa inoltre che, per le strade in

GIURISPRUDENZA FLASH: PRECISAZIONI IN MATERIA DI BONIFICHE Con la sentenza n. 86 del 20 marzo scorso, il Tribunale Amministrativo per l’Abruzzo (sezione staccata di Pescara) ha fornito alcune importanti precisazioni in materia di bonifiche di siti contaminati, intervenendo nell’ambito del complesso procedimento di bonifica di un sito di interesse nazionale (cd. SIN) in cui era in passato attivo uno stabilimento chimico. In particolare, i giudici hanno ribadito che l’ordine di bonifica emesso dalla Provincia sulla base dell’art. 244 del D.lgs. 152/06, quale primo atto del procedimento, è pienamente legittimo in quanto la Provincia ha competenza anche rispetto ai SIN. Il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, infatti, ha competenza per la mera gestione della procedura di bonifica. Il tribunale ha inoltre precisato un importante aspetto, forse il più importante: il carattere amministrativo, e non sanzionatorio, dell’ordine di bonifica. Ne consegue che l’obbligo di ripristino perdura finché permane l’inquinamento e si trasmette anche agli eredi dell’originario destinatario dell’ordine di bonifica.

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concessione, i poteri e i compiti dell’ente proprietario della strada sono esercitati dal concessionario e che, per le strade vicinali, i poteri dell’ente proprietario sono esercitati dal Comune. Ciò che emerge è dunque un preciso obbligo di pulizia delle strade in capo al proprietario o al concessionario, che, secondo i giudici leccesi, va letto in un’ottica di complementarietà rispetto all’art. 192 del D.lgs. 152/06. E, proprio in tale ottica, la violazione degli obblighi di cui all’art. 14 del D.lgs. 285/92 da parte del concessionario della strada, quale è a tutti gli effetti ANAS, integra l’elemento psicologico della colpa prescritto dall’art. 192 medesimo. Così interpretate, sottolineano i giudici, “le norme in esame permetterebbero di realizzare la tutela dell’interesse pubblico alla salvaguardia dell’ambiente, garantendo al contempo l’imputabilità, a titolo di colpa, dello stato di degrado e incuria dei luoghi interessati”. Da qui la correttezza dell’ordine di rimozione dei rifiuti impartito ad ANAS.

CONCLUSIONI

Dall’analisi giurisprudenziale condotta emerge come il tema della legittimità delle ordinanze sindacali che impongono ai proprietari (o ai titolari di diritti reali o personali di godimento) di aree oggetto di abbandono di rifiuti la rimozione dei rifiuti medesimi, sia un tema dibattuto e non certo chiuso. In generale, sulla base di quella che, se non granitica, è certamente la giurisprudenza maggioritaria, si può ritenere che la semplice passività o inerzia serbata dal proprietario dell’area non sia da sola sufficiente a giustificare un obbligo di rimozione emesso nei suoi confronti. Tale soluzione risulta tuttavia messa in discussione, quantomeno in riferimento ai rifiuti abbandonati sulle strade, in ragione del richiamo agli obblighi di manutenzione e pulizia della carreggiata e delle relative pertinenze che il D.lgs. 285/92 pone in capo ai proprietari o agli enti gestori delle strade. Al riguardo, ad avviso di chi scrive, il rimando a tale disposizione non appare casuale, ma anzi necessario e alla base delle argomentazioni che hanno condotto i giudici leccesi a distanziarsi dall’orientamento ormai prevalente. L’assenza di un analogo generale obbligo giuridico aveva infatti portato ad escludere la rilevanza giuridica del comportamento omissivo, e la conseguente responsabilità, dei proprietari dei terreni che abbiano manifestato una semplice inerzia di fronte all’abbandono di rifiuti. Obbligo che, invece, è precisamente fissato dall’ordinamento in relazione ai proprietari/gestori di strade. Resta tuttavia da vedere quale sarà l’ulteriore evoluzione giurisprudenziale in materia e, in particolare, se in capo ai proprietari/gestori di strade sarà nuovamente riconosciuta una responsabilità “colposa” nell’abbandono e nel deposito incontrollato dei rifiuti (perché ciò, di fatto, è quanto almeno richiede l’art. 192 D.lgs. 152/06 per giustificare un’ordinanza di rimozione emessa nei loro confronti) sulla base del richiamo all’art. 14 del D.lgs. 285/92. *Ambienterosa s.r.l. - Consulenze legali ambientali


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SFALCI E POTATURE, RIFIUTI URBANI? LA LEGGE COMUNITARIA 2018 INTERVIENE SUL TEMA CERCANDO DI METTERE FINE AL PRECONTENZIOSO CON LA COMUNITÀ EUROPEA di Cinzia Silvestri*

L

’articolo 20 [1] della legge comunitaria 2018 (L. 37/2019) modifica l’art. 185 comma 1 lett. f) del D.lgs. 152/2006 con riferimento alla parte relativa agli “sfalci e potature”. Le modifiche pongono fine al precontenzioso del maggio 2017 con la Commissione europea 9180/17/ENVI Eu Pilot e cercano di evitare che l’Italia subisca un’altra procedura d’infrazione. L’Italia infatti è “colpevole” di aver inserito la voce “sfalci e potature” nell’ambito delle materie escluse ab origine dalla normativa rifiuti (art. 185 D.lgs. 152/2006) laddove la direttiva comunitaria 2008/98 non si è mai espressa in tal senso.

DIRETTIVA RIFIUTI 2008/98

La direttiva rifiuti 2008/98 all’art. 2 indica alcuni beni/materie esclusi/e dalla applicazione della direttiva stessa, senza, però,

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indicare testualmente gli “sfalci e potature”. La direttiva 2008/98 escludeva dall’applicazione della normativa sui rifiuti le materie fecali, se non contemplate dal paragrafo 2, lettera b), paglia e altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso utilizzati nell’attività agricola, nella selvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa mediante processi o metodi che non danneggiano l’ambiente né mettono in pericolo la salute umana. Si consideri che l’art. 2 della direttiva 2008/98 non è stato revisionato/modificato dalla nuova direttiva rifiuti 2018/851. Tuttavia la direttiva 2018/851 precisa nel considerando n. 10: “Pertanto, i rifiuti urbani dovrebbero comprendere, tra l’altro, i rifiuti della manutenzione del verde pubblico, come foglie, sfalci d’erba e potature di alberi, nonché i rifiuti risultanti dalla pulizia dei mercati e dalla nettezza urbana, come il contenuto dei cestini portarifiuti


e la spazzatura, a eccezione dei materiali come la sabbia, la roccia, i fanghi o la polvere”. Ed invero la nozione di Rifiuto urbano (art. 3) è stata precisata dalla nuova direttiva (2018/851): “I rifiuti urbani non includono

i rifiuti della produzione, dell’agricoltura, della silvicoltura, della pesca, delle fosse settiche, delle reti fognarie e degli impianti di trattamento delle acque reflue, ivi compresi i fanghi di depurazione, i veicoli fuori uso o i rifiuti da costruzione e demolizio-

MODIFICHE ALL’ART. 185 D.LGS. 152/2006 POST L. 37/2019 TESTO VIGENTE POST L. 154/2016

NUOVO TESTO PREVISTO DALL’ART. 20 LEGGE COMUNITARIA 2018 (L. 37/2019)

1. Non rientrano nel campo di applicazione della parte quarta del presente decreto:

1. Non rientrano nel campo di applicazione della parte quarta del presente decreto:

f) le materie fecali, se non contemplate dal comma 2, lettera b), del presente articolo, la paglia,

f) le materie fecali, se non contemplate dal comma 2, lettera b), del presente articolo, la paglia

gli sfalci e le potature provenienti dalle attività di cui all'articolo 184, comma 2, lettera e), e comma 3, lettera a), nonché ogni altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso destinati alle normali pratiche agricole e zootecniche o

e altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso quali, a titolo esemplificativo e non esaustivo, gli sfalci e le potature effettuate nell'ambito delle buone pratiche colturali, nonché gli sfalci e le potature derivanti dalla manutenzione del verde pubblico dei comuni

utilizzati in agricoltura, nella silvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa, anche al di fuori del luogo di produzione ovvero con cessione a terzi, mediante processi o metodi che non danneggiano l'ambiente né mettono in pericolo la salute umana.

utilizzati in agricoltura, nella silvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa, anche al di fuori del luogo di produzione ovvero con cessione a terzi, mediante processi o metodi che non danneggiano l'ambiente né mettono in pericolo la salute umana.

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ne”. La lettura delle sole direttive sembra attribuire la classificazione di “rifiuto urbano” agli sfalci e potature. Si riportano di seguito i punti principali della nuova norma. • La nuova formulazione include sfalci e potature nell’ambito del materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso. • L’operazione del legislatore, ai fini di chiudere il precontenzioso è quello di includere sfalci e potature nella macro categoria dei beni agricoli e forestali, ma non solo. • Viene precisato che “a titolo esemplificativo e non esaustivo” rientrano nel materiale agricolo o forestale anche - gli sfalci e le potature purché siano effettuate “nell’ambito delle buone pratiche colturali”; - gli sfalci e le potature derivanti dalla manutenzione del verde pubblico dei comuni. Il legislatore indica espressamente gli sfalci del verde pubblico e cita i Comuni, che si occupano della materia, richiamando implicitamente proprio l’art. 184 co. 2 lett. e (materie vegetali).

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• • • •

Il legislatore ribadisce che tali beni sono esclusi dalla normativa rifiuti laddove utilizzati (e provenienti) in agricoltura, nella silvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa. Lo sfalcio poi smaltito richiede l’applicazione della normativa rifiuti in assenza dei presupposti che giustifichino la sua esclusione ai sensi dell’art. 185 D.lgs. 152/2006. Viene espunto l’inciso “destinati alle normali pratiche agricole e zootecniche” inserito dal D.lgs. 154/2016. Fuori dal luogo di utilizzo e cessione a terzi. L’accorpamento effettuato dal Legislatore estende anche agli sfalci e potature la possibilità che tali operazioni di utilizzo (silvicoltura ad esempio) possano essere effettuate “anche al di fuori del luogo di produzione ovvero con cessione a terzi”. Posso raccogliere lo sfalcio e poi venderlo a terzi che però dovranno provare l’utilizzo chiesto dal legislatore. Posso raccogliere lo sfalcio in un sito e poi provvedere all’utilizzo richiesto in altro luogo diverso da quello di produzione. La finalità dell’utilizzo diviene punto di discrimine tra ciò che è permesso e ciò che non lo è. Vero è che tale riferimento al luogo di produzione e cessione terzi non è indicato nella direttiva 2008/98 [2] e tuttavia ritenuto compatibile con la norma comunitaria. Chiude l’articolo la chiusa comunitaria che permette l’esclusione dall’applicazione della normativa rifiuti solo se l’utilizzo avviene “mediante processi o metodi che non danneggiano l’ambiente né mettono in pericolo la salute umana”. *Studio Legale Ambiente

NOTE

LA POSIZIONE DEL NUOVO PRESIDENTE CIC: “LA LEGGE EUROPEA 37/2019 SU SFALCI E POTATURE È UN DANNO PER L’AMBIENTE E IL CICLO DEI RIFIUTI” In merito alla recente modifica dell’art. 185 del D.lgs. 152/2006 per adeguamento all’articolo 20 della legge comunitaria 2018 (L. 37/2019) interviene con queste parole Flavio Bizzoni eletto nuovo presidente del Consorzio Italiano Compostatori (CIC) il 15 maggio scorso: “L’aumento delle raccolte differenziate del rifiuto organico non è risultato omogeneo per le due frazioni verde e umido: il CIC ha stimato una diminuzione di circa 200.000 tonnellate nel 2017, la causa è da attribuire alla frazione verde, venuta meno a causa dell’esclusione di sfalci e potature dal campo di applicazione della norma sui rifiuti. Oltre al danno al settore, è da segnalare la letterale sparizione di grandi quantitativi di scarti vegetali che purtroppo non sono più tracciati, addirittura si ignora dove siano finiti. Nonostante nel corso del 2018 sia stato costante l’impegno del Consorzio, la legge europea 2018 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale e nell’articolo 20 va a sanare solo parzialmente l’esclusione della gestione dei cosiddetti ‘sfalci e potature’ all’interno della normativa sui rifiuti. Il CIC continuerà a battersi affinché agli sfalci e alle potature urbane sia garantito un ‘fine vita’ tracciato, regolato, economicamente e ambientalmente sostenibile e sulla questione terrà costantemente informati tutti i propri soci”.

[1] Articolo 20 legge comunitaria 2018 (Disposizioni relative allo smaltimento degli sfalci e delle potature - Caso EU-Pilot 9180/17/ENVI). [2] Su tale punto, va ricordato che in sede di espressione del parere sul testo del disegno di legge, la 13a Commissione del Senato aveva formulato un’osservazione, rilevando che “non emergono profili di incompatibilità con la normativa comunitaria nell’inserimento nel citato articolo 185, comma 1, lettera f), dell’inciso «anche al di fuori del luogo di produzione ovvero con cessione a terzi», limitandosi tale inciso ad esplicitare quanto già desumibile dalla disposizione della direttiva richiamata, nella quale non è prevista alcuna differenziazione della disciplina applicabile in ragione del luogo di utilizzazione o di un’eventuale cessione a terzi, purché ricorrano tutte le altre condizioni richieste” formulando un’osservazione volta a conservare nella formulazione della lettera f) del comma 1, dell’articolo 185 del Codice dell’ambiente di cui al decreto legislativo n. 152 del 2006 il riferimento in parola (cfr. dossier 2019 sito parlamento).

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N A D NAD…

UN ANNO DOPO

È

trascorso un anno dal primo Open Day e l’associazione è cresciuta raddoppiando il numero dei soci e incentivando alcune delle sue attività. L’appuntamento 2019 si è tenuto il 20 maggio, perché l’Open Day vuole essere un appuntamento fisso, l’occasione di incontro con quelle aziende che vogliono conoscere le attività associative e condividere i temi di maggiore interesse per il settore demolizioni e bonifiche. All’appuntamento, oltre ad alcune aziende socie che hanno condiviso la propria esperienza in associazione erano presenti Armofer Srl, Bonifiche San Martina Srl, Garc SpA, Gruppo Marazzato, Noldem Srl, Fratelli Gentile Srl, Monaci Demolizioni Speciali Srl, Perino Piero Srl e REM Ecologia Srl. Dopo i saluti, il presidente Emilio Omini ha illustrato quanto NAD ha realizzato in questi anni e invitato le aziende a essere partecipi in prima persona del cambiamento in atto, soprattutto nel panorama normativo italiano ed europeo. L’ing. Massimo Viarenghi, Coordinatore della Commissione tecnica, ha illustrato le attività in corso e i loro possibili sviluppi. Infatti, mai come quest’anno, il coinvolgimento dell’associazione è attivo su diversi fronti. Certamente quello relativo alle buone pratiche di demolizione, ma anche per ciò che riguarda la filiera dei rifiuti e non solo inerti. Per quanto concerne la partecipazione attiva ai tavoli di lavoro, in questo momento NAD è presente in tre gruppi di lavoro della Regione Lombardia: “Definizione di strumenti incentivanti per favorire l’utilizzo degli aggregati riciclati”, “Analisi filiera demolizione” e “Indicazioni per la definizione dell’end of waste”. Inoltre, l’associazione è presente a Roma, al tavolo di lavoro “Demolitori, rifiuti, riciclo, economia circolare” su

invito dell’on. Andrea Vallascas, capogruppo M5S presso la X Commissione, Attività produttive, commercio e turismo, della Camera dei Deputati. Recentemente, dopo un incontro a Roma tra l’on. Vallascas, il Presidente di NAD Emilio Omini e il Procuratore speciale di NAD ing. Ivan Poroli, è stata presentata la proposta di legge n. 693 su iniziativa dei deputati Andrea Vallascas, Davide Aiello, Vittoria Casa, Roberto Cataldi, Sabrina De Carlo, Alessandro Melicchio, Paolo Parentela, Davide Serritella, Luca Sut, dal titolo “Disposizioni per promuovere la riqualificazione energetica e il rinnovo edilizio degli edifici” che ha accolto pienamente quanto da noi proposto. Al momento sono aperte le seguenti collaborazioni: • con il CMR - Centro Materia Rinnovabile, per la stesura del progetto intitolato “LIFE RE-BUD REsources from BUilding Demolition: circular solutions for waste management” che NAD ha presentato in qualità di capofila; • sosteniamo la proposta del progetto CUTDOWN ConstrUcTion DemOlition Waste maNagement

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presentata dall’Università di Brescia nell’ambito del Bando “Economia Circolare per un futuro sostenibile” della Fondazione Cariplo; • siamo presenti al tavolo di lavoro Assofermet per il nuovo regolamento per la rilevazione dei prezzi all’ingrosso da parte delle Camere di Commercio - Commissione Metalli Ferrosi e Non Ferrosi. Al termine dell’incontro una tavola rotonda ha permesso a tutte le aziende di confrontarsi e condividere idee e temi di maggiore interesse per il settore. Allo scopo di aumentare la propria visibilità e sviluppare maggiormente l’attività comunicativa divulgando le proprie iniziative, l’associazione ha rinnovato il proprio sito web www.nad-italia.it rendendolo più intuitivo e navigabile anche da tablet e smartphone. Nel sito si può trovare una sezione dedicata alle news associative e una sezione dedicata alle novità delle aziende sponsor che anche quest’anno sono parte attiva nel sostegno alle attività di NAD (Laurini Officine Meccaniche, Volvo Construction Equipment Italia, Gasmarine, Indeco, Mantovanibenne, Techind, Trevi Benne, Tyrolit, Vimatek, Cometfer).

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VETRINA

R U B RI CH E

KELLER: MANOMETRO DIGITALE, TECNOLOGIA MANOMETRICA, INGEGNERIA MECCANICA

Per le importanti funzioni di controllo nella costruzione di macchinari e nell’impiantistica la KELLER SpA, società per le tecnologie manometriche, presenta il manometro digitale LEO 2 a elevata precisione. Nel campo di temperatura compensato di 0…50 °C l’apparecchio controllato da un microprocessore rileva due valori di misurazione al secondo, con una precisione complessiva che ricade tipicamente nello 0,1%FS. Il doppio display digitale fornisce il valore della misurazione attuale e simultaneamente il valore minimo o massimo della dimensione del processo raggiunto nel corso del processo stesso. Due tasti posizionati ergonomicamente permettono di sfruttare in modo sicuro tutta la funzionalità del manometro modello LEO a microprocessore. Oltre alla scelta tra cinque differenti unità di misura, all’inizio dei periodi di osservazione vengono neutralizzati i valori estremi memorizzati fino a quel momento. In modalità standard il manometro elettronico si spegne automaticamente circa 15 minuti dopo l’ultima pressione di un tasto. La capacità della batteria, con l’apparecchio impostato sulla modalità di funzionamento continuativo, arriva fino a 1400 ore. Una modalità di funzionamento di LEO 2 non comune, ma di assoluto rilievo nell’utilizzo pratico, permette di definire un qualsiasi valore di rilevazione come “linea dello zero” attraverso la semplice pressione di un tasto. In questo modo il manometro indicherà ogni volta gli scostamenti da questo valore nominale. Il manometro, sviluppato e costruito in base alle esigenze dell’utilizzo pratico, è disponibile in quattro campi di misura da -1…3 bar fino a 0…700 bar. La forma di costruzione standard offre già la classe di protezione IP65 per la struttura di alloggiamento. Con la custodia di protezione opzionale LEO 2 funziona in maniera affidabile anche in ambiente esterno con qualsiasi condizione meteo. L’apparecchio è disponibile anche nella versione di protezione Ex conforme alla normativa 94/9/CE (ATEX 100a). Nella dotazione di consegna è compresa un’unità di montaggio per la regolazione ottimale della lettura durante il funzionamento.

FORREC: IN UNGHERIA PER IL TRATTAMENTO DEI MOTORI ELETTRICI Da circa 1 anno è funzionante l’impianto progettato e installato da Forrec in Ungheria per il trattamento dei motori elettrici (in primis) ma anche di schede elettroniche, metalli misti e RAEE. L’impianto prevede un trattamento finalizzato al recupero di ferro, rame e alluminio dai motori elettrici, grazie alle performance del mulino a martelli modello Z15-1000 della gamma Forrec e a un collaudato sistema di trasporto, separazione e valorizzazione dei materiali che compongono il rifiuto trattato. La modularità e flessibilità degli impianti Forrec ha permesso di collegare il sistema attualmente operativo, dal quale il cliente ottiene già ferro pulito convogliato alla fonderia come materia prima, alla nuova linea per la raffinazione finale del metallo non-ferroso. Consapevole della grande opportunità di mercato data dal recupero del rame, il cliente ha recentemente deciso di implementare la linea con un sistema di raffinazione di questo prezioso metallo non ferroso, contenuto in grandi quantità all’interno dei motori elettrici. La linea sarà quindi completata con un sistema in grado di granulare il rame per riuscire a ottenere una separazione ottimale. Il sistema progettato e realizzato da Forrec consente quindi il recupero di tutta la componentistica dei RAEE eliminando la problematica della gestione ed eventuale smaltimento delle frazioni miste a favore della valorizzazione completa del rifiuto con conseguente incremento delle marginalità e dei tassi di recupero. Il cliente ungherese si è dimostrato molto sensibile al trattamento di questa tipologia di rifiuto e ha saputo utilizzare al meglio la tecnologia e l’esperienza Forrec per risolvere un problema che in modo diverso investe moltissime realtà europee e non.

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RUBR I C H E

LIBRI

BAGNOLI, QUALE RIGENERAZIONE SENZA UNA VERA BONIFICA? DI ALESSANDRA MASTRONARDI

Il tema della rigenerazione urbana e ambientale che avrebbe dovuto e voluto essere argomento predominante per un’area di cotanta rilevanza qual è quella di Bagnoli, in questa esplorazione cronologica per il sito indagato, è passata in second’ordine, per cause di forza maggiore, ma ciononostante, la rassegna di quanto fattualmente accaduto, è stata innestata con la realtà della Ruhr, prodotto del più grande progetto di riconversione europeo, che ha consentito di procedere da un’economia fondata sull’industria pesante a un’economia fondata sulla cultura. L’idea di una disamina da approfondire sin dai primi del ‘900 è nata dal fatto che un excursus temporale avrebbe potuto agevolare, in chiave critica, la lettura di quella intelaiatura su cui è stato imbastito l’ordito e così, è iniziata la narrazione di questa storia che da oltre un secolo continua a dominare la scena. Com’è vero che l’intero Paese Italia è costellato di superfici similmente importanti al sito di Bagnoli, che necessitano di cure particolari e di risanamento, è anche fin troppo manifesto che, ad oggi, il nostro Stato non dispone di una mappa del disuso, ovvero di un censimento dei siti industriali in stato di abbandono. Al fine di avviare e realizzare il recupero di insediamenti e di aree industriali dismesse, per individuarne nuovi impieghi e destinazioni che fungano anche da volano per interventi importanti di rigenerazione urbana e di riqualificazione territoriale, innanzitutto occorre conoscerne l’esatta collocazione, non ignorarne la presenza è già un buon punto di partenza.

DEA Edizioni (62 pagine - Scaricabile su www.recoverweb.it/bagnoli)

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R U B RI CH E

APPUNTAMENTI FORLENER

ERBA (CO), DAL 17 AL 19 MAGGIO 2019

Torna presso Lariofiere FORLENER, la prima manifestazione italiana che valorizza la filiera dell’energia dal legno: dalla gestione forestale, al taglio e prima lavorazione del legno, fino alla sua valorizzazione energetica ai vari livelli di potenza, riscaldamento domestico privato e collettivo. Presenti oltre 100 tra imprese, marchi internazionali ed enti istituzionali in rappresentanza di 11 Paesi europei ed extraeuropei; dimostrazioni e prove pratiche di macchine e attrezzature forestali animeranno i 3 giorni della manifestazione. Tre le novità di quest’anno il sottosalone Arborshow dedicato ad arboricoltura, Treeclimbing, cura e manutenzione del verde arboreo; partner tecnico scientifico Formazione 3t; l’Asta del legname di pregio della Lombardia con banditore pubblico, e il Mercato dei Cacciatori di LegnoUrbano, realizzato in collaborazione con Progetto LegnoUrbano dove verranno messi in vendita le tavole e i legni raccolti da Segantini Ambulanti.

www.forlener.it

MCTER BIO-GAS - BIOMETANO

SAN DONATO MILANESE, 27 GIUGNO 2019

La Mostra Convegno Soluzioni e tecnologie per impianti a Bio-Gas/Biometano è un evento verticale giunto all’8a edizione che unisce una parte espositiva a una componente formativa. I visitatori dispongono di: un’area espositiva con i leader di settore, numerosi convegni, workshop, corsi, coffee-break e buffet offerti dagli sponsor, atti dei convegni scaricabili in PDF, attestati di presenza e crediti formativi. mcTER Biometano-Biogas-Biomasse si svolge in concomitanza con mcTER Cogenerazione, mcTER Contabilizzazione Calore, mcTER Energy Storage, mcTER Smart Efficiency Milano.

www.mcter.com

REMTECH

FERRARA, DAL 18 AL 20 SETTEMBRE 2019

RemTech, l’evento italiano sulle bonifiche dei siti contaminati, la protezione e la riqualificazione del territorio è strutturato in 9 segmenti: REMTECH e REMTECH EUROPE bonifiche dei siti contaminati, COAST tutela della costa e porti sostenibili, ESONDA dissesto idrogeologico e frane, CLIMETECH cambiamenti climatici, GEOSISMICA rischio sismico, INERTIA sostenibilità delle opere e riutilizzo dei materiali, RIGENERACITY rigenerazione urbana e social housing, CHEMTECH industria chimica sostenibile. In programma: gli Stati Generali sulle Bonifiche, la Conferenza Nazionale dell’Industria e dell’Ambiente, le RemTech Schools, i percorsi congressuali sulle Tecnologie di Caratterizzazione e di Bonifica delle matrici ambientali, il Corso sulla Comunicazione Ambientale, una Live Demonstration ad alto contenuto tecnologico.

www.remtechexpo.com

SARDINIA SANTA MARGHERITA DI PULA (CA), DAL 30 SETT AL 4 OTT 2019 La 17a edizione del Simposio sarà strutturata in 8 sessioni parallele. Le sessioni A e B tratteranno temi di interesse generale, che saranno esaminati dettagliatamente durante le sessioni C, D, E. Le sessioni F e G saranno dedicate ai workshop rivolti a esperti del settore e guidati da letture introduttive selezionate, al fine di aprire il dibattito. La sessione H si svolgerà interamente in lingua. I poster verranno disposti nel foyer esterno del centro congressi, sempre accessibile. Il Paese Ospite di quest’anno sarà la Grecia.

www.sardiniasymposium.it

GIS

PIACENZA, DAL 3 AL 5 OTTOBRE 2019

La 7 edizione del GIS, la fiera italiana dedicata agli operatori del Sollevamento, della Movimentazione e dei Trasporti Eccezionali, si svolgerà presso il quartiere fieristico. La manifestazione, dedicata agli utilizzatori di gru, autogru, piattaforme aeree, sollevatori telescopici, carriponte, macchine per la movimentazione portuale e industriale e imprese di trasporti eccezionali, è organizzata con il supporto delle maggiori associazioni di categoria: ANNA, AISEM, AITE, ASSOLOGISTICA, ASSOPORTI, ASSITERMINAL, CONFETRA, IPAF Italia e con il supporto della ESTA. In programma seminari tecnici, conferenze e cene di gala. a

www.gisexpo.it

AMBIENTE LAVORO

BOLOGNA, DAL 15 AL 17 OTTOBRE 2019

Giunto quest’anno alla sua 19a edizione Ambiente Lavoro è il punto di riferimento per gli addetti del settore per conoscere prodotti, soluzioni e novità sulle norme che regolano l’applicazione delle leggi in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro. Un’occasione unica per promuovere, diffondere e radicare la cultura della sicurezza nel nostro Paese.

www.ambientelavoro.it

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Anno 12 - Numero 47 – Giugno 2019 ISSN 2421-2938

Direttore responsabile: Massimo Viarenghi Direttore commerciale: Maria Beatrice Celino Coordinamento editoriale: Maeva Brunero Bronzin Collaboratori: Rosa Bertuzzi, Maria Beatrice Celino, Fabio Ermolli, Lorenzo Frigo, Andrea Guerini, Emilio Guidetti, Roccandrea Iascone, Cinzia Silvestri, Laura Veneri, Marco Zausa

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