Onstage maggio 2013

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Maggio 2013

bruce springsteen

daft punk

L’atteso ritorno del duo francese, in equilibrio tra passato presente e futuro

Il Boss riporta in Italia la sua grande famiglia. «Non vogliamo stare altrove che sul palco»

BEYONCE

motel connection

Talento e senso del business. E lei la vera Golden Woman della musica

Meltin’ pot e tecnologia, la missione di Samuel&co.

* GREEN DAY E nata ONSTAGE RADIO l’unica digital radio che trasmette solo musica live

SCARICA L’APP!

+ FEDEZ + GENE GNOCCHI + NERI MARCORE + ELIO E LE STORIE TESE + PHOENIX + LANA DEL REY

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dopo i PACCHI che ci hanno tirato ultimamente, che

sia la volta buona!







ED I TOR I ALE 2 013 MAGGIO

di Daniele Salomone @DanieleSalomone

P

arliamo dell’esclusione di Fabri Fibra dal Concerto del Primo Maggio. Non tanto per difendere l’artista e le sue canzoni “incriminate”, quanto per discutere delle possibilità della musica e della sua funzione, che questa strana specie di censura subita dal rapper marchigiano chiama in causa. Come il cinema, e a differenza di altre forme d’arte (vedi la pittura o la scultura), l’intreccio di note e parole può essere semplice intrattenimento. Niente di male. Ma può essere qualcosa di molto diverso e assolutamente eterogeneo che per semplicità chiamiamo, appunto, arte - se le due cose convivono, bingo. Però. Se anche siamo abituati a una versione morbida della musica, al puro entertainment, non abbiamo il diritto di mettere in discussione o, peggio, condizionare la sua funzione artistica, che può addirittura, udite udite, essere culturale. Ed è quello che è successo nel momento in cui i sindacati che organizzano il Concertone, su richiesta dell’associazione D.i.Re (Donne in rete contro la violenza)*, hanno deciso di escludere Fibra. «Le rime del rap servono ad accendere i riflettori dove c’è il buio, rompono il silenzio di mondi mai raccontati. Io non prendo posizione sulle canzoni che scrivo, costringo l’ascoltatore a farlo, a riflettere su quello che canto». Le parole del diretto interessato, che peraltro si riferiscono alla tradizione del rap tutto, sciolgono il nodo. Il compito di un artista è insinuare dubbi dove prosperano certezze, è togliere i cerotti dove le ferite non si rimarginano. Rappresentare la vita in modo da obbligarci a prendere in considerazione ciò che non avevamo considerato oppure a considerare diversi punti di vista su temi che conosciamo. E per raggiungere questo scopo l’artista può

anche indossare panni che non sono i suoi, usando un linguaggio persino disgustoso. Il fine giustifica i mezzi, in questo caso. Versi come “Giro in casa con in mano questo uncino, ti ci strappo le ovaie e che cazzo, me le cucino!” sono terribili, ma non per questo valgono un’accusa di misoginia al loro autore. Dovremmo considerare Vasco Rossi un pedofilo (“Con una mano ti sfiori, tu sola dentro la stanza”, da Albachiara) o Quentin Tarantino un pericoloso terrorista per la violenza che caratterizza i suoi film? Si potrebbero citare centinaia di casi del genere. Le forzature di chi crede ciecamente alla sovranità del politically correct mi preoccupano. Gli effetti sono devastanti. Perché poi succede che sul palco del Primo Maggio trovino spazio frasi fatte e slogan piuttosto che contenuti (mi ricorda qualcosa, ma lasciamo stare). Succede che quel palco, pensato per dare spazio a temi sociali e in particolare al lavoro, diventi nella maggior parte dei casi una passerella discografica. Succede che la stragrande maggioranza dei giovani sotto quel palco vogliano vedere un concerto e non abbiano la minima intenzione di riflettere su un accidente. Fibra o non Fibra, per scuotere il pensiero servono anche parole che grondano sangue. *La sensibilità di chi ogni giorno lotta contro gli abusi può sentirsi ferita da certe parole. Me ne rendo perfettamente conto. Ma la triade sindacale avrebbe dovuto porsi al di sopra delle parti. È come se lasciassimo decidere la pena per un atto criminale a chi è vittima del crimine invece che a un giudice terzo.

onstage maggio 07


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INDICE

MAGGIO 2013 N°61

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34

GREEN DAY

Una carriera lunga 1/4 di secolo, superando anche i momenti peggiori. Come gli abusi di Billie Joe.

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BRUCE SPRINGSTEEN

Il Boss riporta la sua grande famiglia in Italia. Per festeggiare, abbiamo chiacchierato con Nils e Jake.

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BEYONCé

48

Quali sono i segreti della Donna d’Oro del Pop? Nina Zilli e Noemi ci aiutano a capirlo.

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ONE DIRECTION

Niente a che vedere con le migliori boy band anni Novanta. Un discografico ci spiega perchè.

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LANA DEL REY

54

A differenza di molte sue colleghe ha conquistato tutti con la malinconia. Non ve n’eravate accorti?

66

Style

Il grande ritorno della maglia bretone. Che in realtà non ha mai smesso di affascinare la moda.

60

66 08 onstage maggio

Sognando St. tropez



INDICE

Face to face

24

È colpa dei promoter quando i biglietti dei concerti sono cari? Non proprio. Ecco come stanno le cose realmente.

GENE GNOCCHI

ok, il prezzo è giusto?

30 26

NERI MARCORè

28

FEDEZ

Jukebox

Apriamo il magazine con uno sguardo attento e interessato su musica, libri, cinema, cultura, tendenze.

What’s New 22 APRILE 2013 È NATA LA DIGITAL RADIO DI ONSTAGE! La prima digital radio che trasmette solo musica live, 24 ore su 24. Onstage Radio ha cominciato le sue trasmissioni ed è disponibile, oltre che sul sito e sulla pagina Facebook di Onstage (e sui siti dei nostri partner), come app gratuita da scaricare su tablet e smartphone. Tutte le info a pagina 80.

17 MOTEL CONNECTION 18

ALDO NOVE

20

RADIOITALIALIVE

21

G. LINDO FERRETTI

22

RENATO ZERO

Numbers

Cosa c’è di nuovo e interessante, ogni mese, ve lo diciamo noi. Album, film e games in uscita, puntualmente recensiti.

73

musica

76

cinema

78

games

80

ONSTAGE RADIO

Coming Soon

Il calendario concerti del prossimo mese e un focus sull’artista più importante tra quelli di cui ci occuperemo a giugno.

82

JOVANOTTI

www.facebook.com/onstageweb @ONSTAGEmagazine

↘ Onstageweb.com Il nuovo sito di Onstage! Con l’arrivo della primavera, ci siamo rifatti il look, e non solo. Il nuovo sito di Onstage debutta a maggio, con un nuovo stile e nuove funzionalità. Ancora più semplice e immediato da navigare, il website ha un calendario concerti struttturato per offrirvi tutte

10 onstage maggio

le informazioni di cui avete bisogno per seguire l’attività dal vivo dei vosti artisti preferiti oppure per sapere tutto dei live nelle vostre città. E poi ancora più contenuti: foto dei concerti, recensioni di live e album, blog. Stay connected!



OSPITI MAGGIO 2013

Felisha Tolentino

Danny Clinch

Nina Zilli

Per la 20enne di origini filippine (americana di nascita) la fotografia era un hobby. Almeno fino a che i Green Day non l’hanno scelta per l’artwork della trilogia ¡Uno!-¡Dos!-¡Tré!, e per le foto che vedete sulle nostre pagine.

Regista, pubblicitario e affermato fotografo rock statunitense vanta persino la partecipazione come armonicista in un paio di canzoni dei Foo Fighters. Suoi gli scatti di Bruce Springsteen su questo numero.

Dopo un 2012 straordinario, tra Sanremo, l’uscita del suo secondo album L’amore è femmina e il tour, Nina si è presa una pausa. L’abbiamo disturbata per farci aiutare a ricomporre le tessere del mosaico Beyoncé.

Noemi

Andrea Bariselli

Stefano Verderi

Virginia Varinelli

Tra un talent e l’altro (lanciata da X Factor nel 2009, oggi è uno dei giudici di The Voice), ci sono di mezzo due album, un Ep e un disco dal vivo. Anche con lei abbiamo chiacchierato di Mrs Carter, ovvero Beyoncé.

Ideatore di RicetteRock.com, musicista, produttore, manager, editore. Ci racconta le sue innumerevoli esperienze con artisti e band a cui dedica succulenti piatti pensati ad rock. Altro che MasterChef!

“The Wizard” è il chitarrista de Le Vibrazioni. Diplomato al Musicians Institute di Los Angeles, ha fondato la Basset Sound nel 2010 per produrre nuovi artisti. Ci parla di affascinanti suggestioni retrò.

Fashion blogger tra le più attive del world wide web, Didi ha cominciato a scrivere di moda nel 2011, quando ha fondato il blog The Ugly Truth Of V (.com). Da quest’anno, cura la nostra sezione Style.

Registrazione al Tribunale di Milano n° 362 del 01/06/2007 Direttore responsabile Emanuele Vescovo info@onstageweb.com Direttore editoriale Daniele Salomone d.salomone@onstageweb.com Ufficio grafico Eros Pasi e.pasi@onstageweb.com Giulia Vidali g.vidali@onstageweb.com Redazione Francesca Vuotto f.vuotto@onstageweb.com Tommaso Cazzorla t.cazzorla@onstageweb.com

12 onstage maggio

Hanno collaborato Guido Amari, Antonio Bracco, Blueglue, Jacopo Casati, Francesco Chini, Stefano Gilardino, Massimo Longoni, Alvise Losi, Gianni Olfeni, Marco Rigamonti, Simona Voglino,

Ufficio commerciale Eileen Casieri e.casieri@onstageweb.com Marianna Maino m.maino@onstageweb.com Mattia Sbriziolo m.sbriziolo@onstageweb.com

Direttore marketing Luca Seminerio l.seminerio@onstageweb.com

Distribuzione e logistica Laura Cassetti l.cassetti@onstageweb.com

Direttore commerciale Francesco Ferrari f.ferrari@onstageweb.com

Concessionaria per la pubblicità Areaconcerti srl via Carlo De Angeli 3 20141 Milano Tel. 02.533558

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Filiale di Roma Paola Marullo p.marullo@onstageweb.com

Pubblicità Triveneto Everest ADV Viale Delle Industrie 13, Limena (PD) tommaso.perandin@everlastadv.it Pubblicità Toscana e Umbria Sara Moretti s.moretti@onstageweb.com Stampa Rotolito Lombarda Via Sondrio, 3 20096 Pioltello (MI) Onstage Magazine è edito da Areaconcerti srl via Carlo De Angeli 3 20141 Milano Tel. 02.533558 info@areaconcerti.it




80 anni

fa nasceva James Brown. Il 3 maggio del 1933, per la precisione. I tanti soprannomi che gli sono stati attribuiti in carriera rendono l’idea del personaggio straordinario che è è stato: The Godfather Of Soul, Funky President, Mr Dynamite, The Hardest Working Man In Show Business. Se n’è andato a Natale 2006, consegnandosi alla storia come uno dei più importanti e rivoluzionari interpreti della cultura afroamericana. (foto: James Brown, 1973, Musikhalle, Amburgo © Heinrich Klaffs)



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JUKEBOX

74 anni

MISSIONE CONTAMINAZIONE Musica, videogame, immagine applicazioni. Contaminare creatività e tecnologie è il verbo dei Motel Connection, nati da una costola dei Subsonica. Samuel ci parla dei nuovi progetti di Tommaso Cazzorla

Q

uello dei Motel Connection è un progetto che non si ferma alla musica. Il richiamo alla connessione - anzi - alle molteplici connessioni tra le diverse arti e la tecnologia contenuto nel nome è più che una suggestione. «Siamo nati proprio da questa voglia di sperimentare» ci racconta Samuel, voce e chitarra del gruppo. «Era il 2000 e sembrava impensabile pensare a una band formata da un dj e due musicisti che suonassero insieme sul palco». Nel 2010 esce l’album H.E.R.O.I.N., a cui viene legato un videogame - un livello per ogni canzone - e un fumetto a sua volta intrecciato alla storia del gioco, idea che dimostra quanto gli orizzonti del gruppo non si limitino all’aspetto musicale ma abbraccino la creatività a 360°. Nel 2013, se parli di creatività e tecnologia, non puoi non considerare le applicazioni per dispositivi mobili. Per il tour in cui i MC sono impegnati da marzo, organizzato in occasione dell’uscita di Vivace (album pubblicato a inizio aprile), il trio piemontese ha deciso di sfruttare ProxToMe, un’app che permette di scambiare velocemente file (anche di grandi dimensioni) tra cellulari che si trovano a distanza ridotta. In questo modo i concerti diventano un’occasione per comunicare in modo inedito con i fan. «Condividiamo con loro tutto. Una foto scattata dal palco o nei camerini. O magari la registrazione del live appena concluso». ProxToMe è un’idea di Adriano Marconetto, torinese anche lui ed esperto di start up, già collaboratore dei Subsonica. «È venuto a spiegarci il

progetto e mentre parlava noi stavamo già vi- Solo che in questo caso, al posto delle tavole sualizzandone l’utilizzo. Era molto contento della legge, Mosè regge un subwoofer. «Noi prendiamo da altri dischi groove di batteria, che fossimo i primi a utilizzare l’App». Vivace è un album da ballare. Ritmiche campioni di voce, e altri elementi già esistenserrate, suoni potenti e un parziale abban- ti per costruirci qualcosa di nuovo. Il colletdono della forma canzone, in favore di una tivo artistico Bounty Killart (che ha ideato melodia che scaturisce direttamente dalle tastiere. «General«Siamo i primi ad utilizzare ProxToMe, mente quando scrivo i brani applicazione che in tour ci consente per i Motel Connection suono di condividere tutto con i fan. Foto dal dei giri di synth e poi li ricanto palco o dal camerino, o la registrazione con la voce» ci ha spiegato Sadel live appena concluso» Samuel muel. «Qui invece ho preferito tirare un po’ indietro l’aspetto vocale e lasciare le melodie agli strumenti la cover, ndr) ha un’attitudine molto simile con cui sono state concepite». Parlando del alla nostra: ha realizzato un grosso campiodisco, viene spesso fuori la parola “punk”, in- namento visivo». Tutto riconduce all’idea di creatività a teso come cambiamento, come rottura, non come genere musicale. «Gli elementi di novi- 360°. «L’essenza stessa dei Motel Connection tà li abbiamo identificati nella velocità - non consiste nel farsi influenzare dall’ambiente a caso è il nostro disco con i bpm più alti -, circostante fino a trovarsi in situazioni nuonei suoni, che sono più potenti e distorti, e ve. È un percorso che abbiamo iniziato con nella melodia, molto più presente che negli H.E.R.O.I.N., è proseguito con ProxToMe e a breve ci porterà nelle università per parlaaltri album». La copertina di Vivace sposa in tutto e re del rapporto tra la musica e il mondo del per tutto lo spirito della band. È stata creata lavoro. La band vive nell’idea di stimolare prendendo una tavola del ‘500, che raffigura e di essere stimolata da tutto ciò che c’è di Mosè dopo essere disceso dal monte Sinai. nuovo».

onstage maggio 17


JUKEBOX

Di Charlie Rapino

LA SUPERSTIZIONE UCCIDE

Aldo Nove ha scritto Mi chiamo… (pubblicato da Skira a febbraio 2013), biografia di Mia Martini, morta suicida anche per le ignobili dicerie che circolavano sul suo conto. Ne abbiamo parlato con lui di Francesca Vuotto

D

ire che Mi chiamo... sia una biografia in di Marco Masini il mood spesso triste delle sue cui lo scrittore, vestendo i panni di Mia canzoni, o di Mia il vezzo di indossare ogni Martini, ripercorre la vita della cantan- tanto un cappellino alla Charlie Chaplin. Ma è te attraverso i suoi ricordi è una mezza verità. assurdo che inezie del genere trasformino delle Ciò che traspare dal racconto di episodi ed vite in un inferno. Finchè si tratta di cambiare emozioni è anche la testimonianza-denuncia di strada davanti a un gatto nero non si danneggia un malcostume (che si fa fatica a non chiamare nessuno, ma qui sono in gioco delle persone. stupidità o cattiveria) diffuso nel mondo dello C’è chi sopravvive e chi dopo vent’anni di torspettacolo. Quello secondo cui alcune persone tura molla». Con un tale martello che ti tartassa vengono bollate come “iettatori” e le loro car- è un’impresa restare lucidi e capire di chi fidarsi. riere e vite messe a dura prova. E badate che «Potrei elencare tutte le persone che al suo funenon stiamo parlando del passato, ma di oggi. «Dovevo partecipare ad un programma tv e quando è venu«Potrei elencare le persone che al suo funerale piangevano dicendo “l’hanno uccisa” e fino al to fuori che avrei parlato anche del giorno prima alimentavano questa diceria» libro ho sentito dell’imbarazzo. E mi è stato fatto presente che il conduttore è superstizioso» ci racconta rale piangevano e si battevano il petto dicendo Aldo Nove. è noto che tra le cause che hanno spinto Mia “l’hanno uccisa” e fino al giorno prima alimenMartini a porre fine alla sua vita c’è anche il tavano questa diceria». Per fortuna Mia era una persona solare e ha peso di questa infamia, ma è arduo per chi vive al di fuori di questa realtà comprendere quanto vissuto anche momenti di soddisfazione e felicisia radicata questa prassi e a quali assurdità por- tà, che Nove non dimentica di mettere nero su ti. «L’aspetto più inquietante è che non ci sono bianco. E per fortuna il pubblico continua solo delle ragioni. Posso ipotizzare che di Gino Paoli ad ascoltare la sua voce e a restare sordo all’invia inizio carriera desse fastidio l’aria un po’ cupa, dia e idiozia di tanti colleghi e addetti ai lavori.

18 onstage maggio

*

LONDON CALLING

CIAO STORM, CARAVAGGIO DEL ROCK

I

l discografico moderno è proprio fuori: si lamenta per le scarse vendite e per la scarsa qualità del prodotto: te credo, non fate più le copertine dei dischi! In un’epoca in cui si considera “genio rinascimentale” il capo di una ditta di computer, mi tengo stretto il mio Storm Thorgerson e le copertine dello studio Hipgnosis, entrate nella mia vita durante la brevissima esperienza dentro collegi tenebrosi, tra dizionari Castiglioni Mariotti e Bignami di matematica. La sleeve di Wish You Were Here dei Pink Floyd, ricoperta di cellophane fetish nero, e la foto di una manager in combustione... Il primo Peter Gabriel, fotografato all’interno di una Lancia Flavia, sotto la fottuta pioggia inglese baby, disperso senza i fottuti compagni di college dei Genesis. E tutti gli altri. Senza Storm, quei dischi sarebbero valsi magari molto meno. Erano gli anni dell’artwork, e già vedo gli ignavi di questo secolo guardare nel vuoto... Artwork? Artwork, lavoro d’arte, appunto. Senza trascurare il fatto che si poteva fare a meno di assumere sostanze allucinogene: la copertina di The Lamb Lies Down On Broadway vale un acido. Un artwork di Thorgerson ti faceva venire voglia di comprare la peggior putridata degli Emerson Lake And Palmer o dei 10cc. Gli avranno mai dato delle royalties? Se Warhol e Milton Glaser hanno definito la copertina del pop, Storm che ne è stato il suo manierista, l’ha fatta diventare estetica. Musica da vedere. Non sono mai riuscito a incontrarlo e mi sto dando i calci nelle palle da solo per questo. Dovetti tirargli un bidone nella sua Hampstead a causa di una bionda, esteticamente valida ma non quanto l’intelletto di Storm. Spero che capisca. Un pittore non vale un Caravaggio, un regista non vale un Kubrick, un designer non vale un Thorgerson.


HAVANA CLUB SPONSOR UFFICIALE DEL TOUR ITALIANO DI ZUCCHERO Havana Club, l’autentico rum simbolo di Cuba, è sponsor ufficiale del tour italiano di Zucchero “La Sesión Cubana”, album dedicato all’Isla caraibica. Grazie al suo ruolo di “ambasciatore” della spontaneità e autenticità tipicamente cubane, Havana Club è il partner ideale per portare nelle città italiane, insieme all’artista internazionale le atmosfere, il ritmo e la passione di una terra unica. A celebrare il legame naturale tra Zucchero e Havana Club una comune passione per cocktail cubani di qualità realizzati con ricette originali e ingredienti autentici come Havana Club Añejo 7 Años, utilizzato per la preparazione del “Cuba Libre”, cocktail per eccellenza che diventa persino il titolo di una canzone dell’album. Il fermento artistico e musicale cubano che La Sesión Cubana racchiude è particolarmente vicino al marchio: da 6 anni infatti Havana Club, grazie al progetto Havana Cultura, dà ad artisti cubani di ogni disciplina una piattaforma unica di visibilità per realizzare ed esporre i propri lavori. Ma non finisce qui! Con il concorso online “Havana Club ti regala La Sesión Cubana”, 50 fortunati fan potranno vincere un biglietto per assistere a due tappe, iscrivendosi sul sito: www.havanaclub.it/zucchero2013/ o sulla pagina Facebook Havana Club Italia.


JUKEBOX

L’ALTRO CONCERTONE Nell’ambito degli Expo Days, a Milano va in scena il concerto gratuito RadioItaliaLive, evento gratuito promosso dalla nota emittente radiofonica

P

arte il conto alla rovescia per uno degli eventi più attesi dei prossimi anni. L’1 maggio mancheranno due anni esatti all’Expo 2015 di Milano, che, lasciatasi alle spalle le difficoltà politico-organizzative, finalmente comincia a farsi conoscere per i suoi aspetti più positivi. Tra questi, gli Expo Days, una serie di eventi che fino al 2 giugno cambieranno il volto del capoluogo. Ci sarà modo di approfondire il tema dell’esposizione Nutrire il Pianeta. Energia per la Vita, ma anche

spazio per un po’ di svago. Si tratterà di un “concreto percorso verso Expo 2015, ma anche di un mese che impegnerà la città con momenti di felicità condivisa. Una vera e propria prova generale del FuoriExpo 2015 che coinvolgerà tutti i milanesi” ha dichiarato l’Assessore alla Cultura Filippo Del Corno. Da segnarsi in agenda il concerto gratuito RadioItaliaLive che l’11/05 porterà in Piazza Duomo Cesare Cremonini, Fabri Fibra, Marco Mengoni (nella foto), i

Negramaro e Eros Ramazzotti, tra gli altri. Dopo la fortunata edizione del 2012, che ha celebrato i 30 anni dell’emittente e radunato più di 100.000 persone, i cantanti si daranno di nuovo appuntamento tutti qui, per salutarsi prima di sparpagliarsi in giro per lo Stivale. Per molti sarà l’occasione per regalare un assaggio del tour estivo, come nel caso di Giuliano Sangiorgi e soci che hanno svelato ai fan: “Sarà una breve parentesi, un piccolo assaggio, un rapido e intenso abbraccio, un salto rock!”. F.V.

HOT LIST I 10 brani più ascoltati in redazione durante la lavorazione di questo numero

PIANO ATTACK Dal 10 al 12 maggio, Milano ospita un festival unico nel suo genere: Piano City, vera e propria invasione di pianoforti e pianisti

20 onstage maggio

RADIOHEAD 15 STEPS (In Rainbows, 2007) PHOENIX S.O.S. IN BEL AIR (Bankrupt!, 2013)

U

na, dieci, cento. Quante storie può raccontare uno strumento musicale? Può essere la sua, quella di chi lo suona, di chi ha scritto le note a cui dà voce, quella del luogo in cui si trova e di chi lo sta ascoltando. Storie che si sprigionano simultanee e si intrecciano tra loro fin dai primi accordi, andando a toccare con intensità diverse gli animi di chi le sente. è per dare risalto a tutte queste dimensioni che è nata Piano City, manifestazione dedicata al pianoforte che ha esordito a Milano nel 2012 e replica i prossimi 10, 11 e 12 maggio. I destini di musicisti, pianoforti e pubblico si incroceranno dandosi voce a vicenda: laddove ci saranno un piano - nelle oltre cento case di privati che ospiteranno gli House Con-

ELIO E LE STORIE TESE COMPLESSO DEL PRIMO MAGGIO (L’album biango, 2013)

THE ROLLING STONES GIMME SHELTER (Let It Bleed, 1969) JAMES BLAKE OVERGROWN (Overgrown, 2013) PRIMAL SCREAM IT’S ALRIGHT, IT’S OK (More Light, 2013)

certs, in metropolitana, per le vie e le piazze della città - e le dita di concertisti (tra cui Ludovico Einaudi), studenti e amatori pronte a pigiarne i tasti, prenderà vita Piano City. è chiamata a dare il La via Palestro: chiusa al traffico, ospiterà in tutta la sua lunghezza 21 pianoforti che racconteranno le loro storie attraverso le note di Rossini e dei contemporanei John Cage e Michael Nyman. F.V.

BRUCE SPRINGSTEEN HUNGRY HEART (Live 1975/85, 1986) JAGUAR WRIGHT THE WHAT IF’S (Denials Delusions and Decisions, 2002) BON IVER SKINNY LOVE (For Emma, Forever Ago, 2007) Frank Ocean Lost (Orange Channel, 2012)


di Stefano Verderi

IL CANTO DEI CANTI Giovanni Lindo Ferretti torna con un album, Saga, che sta a metà tra un’opera e una raccolta di canzoni popolari, pensate per un bizzarro spettacolo di teatro equestre. Confusi? di Stefano Gilardino

C

’è una frase, estrapolata dal lungo contento era composto da molti brani dei comunicato stampa a cura dello PGR, qualcuno dei CSI e un paio di brani stesso Ferretti, che sintetizza bene dei CCCP. Ora è esattamente il contrario e la sua parabola artistica personale: «Cono- sono persino tornato a cantare Spara Jurij, scendo i miei difetti e dubitando dei pregi un pezzo che non avrei mai più pensato di so di non essere adeguato al ruolo pub- poter fare nella mia vita. Le sorprese non blico che mi è assegnato: la trasgressione finiscono mai insomma». Saga è un disco (e uno spettacolo) davvedel punk, la banalità accattivante del rock, la rassicurazione del neoconvertito. Inver- ro particolare. «Dopo aver improvvisato o tire l’ordine considerando trasgressivo il quasi uno show nel nostro paese, vero e proconvertito, rassicurante il punk, ferma re- prio teatro equestre, con uomini e cavalli, stante l’accattivante banalità del rock, nulla abbiamo studiato un’opera da rappresentare in giro per l’Italia, ovunque sia possibile. cambia». La sua lunghissima carriera nell’ambito Non è certo facile trovare posti adeguati, ma della musica rock italiana si è rarefatta da anni ovvero da quando Giovanni Lindo si è ritirato sui «È stato bello scoprire che esiste ancora un buon pubblico per le mie canzoni, monti dove è nato e cresciuto e ha nonostante gli anni passati» cominciato un cammino spirituale che l’ha portato verso radici cattoliche e cristiane e il parziale abbandono dell’attività di cantante. Da qualche stiamo cercando di organizzare date future anno, però, la voglia e la necessità di rican- e il disco ci servirà anche come biglietto da tare le canzoni del proprio passato sono tor- visita. Io e Lorenzo Esposito Fornasari abnate prepotenti: «Mi hanno convinto due biamo lavorato sui pezzi come se si trattasse musicisti amici, Luca Rossi ed Ezio Boni- di una vera e propria opera, ma interamente celli, entrambi ex üstmamò, ed è stato bello digitale o quasi e i risultati mi soddisfano scoprire che esiste ancora un buon pubbli- come poco altro». «Può interessare? Non sta co per le mie canzoni, nonostante gli anni a me dirlo», conclude Ferretti, ma la rispopassati. All’inizio, il tour chiamato A cuor sta non può che essere positiva. Bentornato.

*

RETROMANIA

SI PARTE DALLA FINE

V

oglio parlarvi di una storia che adesso sembra una leggenda. Un mito. Una chimera per tutti i musicisti emergenti e per chi davvero vive la musica come se fossimo ancora negli anni ’60, quando l’industria discografica conosceva il suo periodo di maggiore splendore, e così per alcuni decenni a seguire: il mito del produttore discografico che ti vede suonare nel piccolo club, ti avvicina a fine serata e ti propone un contratto per un disco. Non accade più, ma accadeva. Anche se sembra quasi impossibile che qualcuno possa aver vissuto una simile esperienza. Perchè? Forse perchè allora ai discografici bastavano e avanzavano i “demo tape”, quelle registrazioni che venivano recapitate quotidianamente nei loro uffici e che gli permettevano di scoprire nuovi talenti. E dopo tutta una giornata passata ad ascoltare e a parlare di musica probabilmente l’ultima cosa che avevano voglia di fare alla sera era vedere il concerto di un bel gruppettino...anonimo! O forse più semplicemente perchè da qualche anno a questa parte i talenti si scoprono in TV. Cioè praticamente si fa il percorso inverso, o meglio si parte dalla fine. Un tempo, si suonava completamente scordati e per rimorchiare al concerto di fine anno della scuola, per poi passare al localino, poi al club famoso, fino ad aprire qualche festival locale. Poi, dopo lunghi anni di gavetta, si approdava alla discografia, per incidere un disco e iniziare la promozione che ti portava finalmente a suonare anche in TV. Il percorso che ti conduceva dai palchi più piccoli a quelli più grossi era comunque una sorta di selezione naturale che faceva in modo che solo i più bravi potessero proseguire, non per arrivare a incidere un disco e basta, ma per durare nel tempo. Perchè il talento era alimentato da anni di palcoscenici. Basta leggere la biografia di qualunque gruppo degli anni ’60/’70 per capirlo. Adesso tutto questo è diventato un gioco in televisione. Ma se parti dalla fine, cosa c’è dopo? Nulla.

onstage maggio 21


JUKEBOX

C’ERA, C’è E CI SARà

di Andrea Bariselli

Non se ne parla troppo perché non ce n’è bisogno. Ma le quindici date consecutive di Renato Zero nella sua Roma sono un grande evento: il segno di un artista che attraversa passato presente e futuro di Francesco Chini

P

arlare di Renato Zero all’alba di Amo, il nuovo disco uscito a inizio marzo, non è solo parlare dell’amore che ne ispira le quattordici canzoni. È anche parlare di quell’amore attraverso una memoria che quasi attraversa il tempo. Perché anzitutto Renato c’era. C’era quando i Settanta finivano e costringevano la realtà a svelarne gli equivoci. C’era coi suoi lustrini e le sue paillettes, che avevano da dire molto più di tanto impegno ostentato ma non altrettanto autentico. C’era quando sembrare un pagliaccio ai benpensanti che poi ha conquistato aveva un che di rivoluzionario, e quando la svendita della dignità ha superato a destra le sue provocazioni, portandolo per reazione a diventare altro. Poi, perché Renato c’è. Lo dice la sua Roma, che lo ama di un amore da sempre diverso da quello risevato ad altri figli non meno celebri. E il perché è palese se si osserva il suo personaggio: universale più di Venditti (e nella Capitale vuol dire molto), sanamente popolare com’era Gabriella Ferri e come mai sarà Baglioni,

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RICETTE ROCK

bambino gentile come a Califano non è mai riuscito, istrione come Proietti, ironico e malinconico come Rascel. Renato c’è in quell’attenzione mai persa per un mondo di cose minuscole e di gente dimenticata, cantate assai prima o assai meglio dei vari Cristicchi o Vianello: che se lo fa Dylan o Springsteen ci si cala il cappello, ma da noi se non sei De André storcono il naso (quasi) tutti. Infine, Renato ci sarà ancora: con la penna, perché Amo è un garbato collage di intenti solari e battaglieri di ostinato amore per il prossimo, il che dà un senso di speranza e continuità ancora prezioso. E soprattutto, Renato ci sarà con la voce e il cuore di quel palco che è ancora nucleo centrale della sua attività: primo nella storia della musica leggera di casa nostra, requisirà per quasi un mese il Palalottomatica di Roma (quindici le date previste: 27, 29 e 30 aprile e 3, 4, 9, 10, 12, 13, 15 16, 18, 19, 21 e 22 maggio). Per far risuonare forte il suo Amo e condividerlo con vecchi sorcini e nuovi seguaci.

RISOTTO ALLA MöTLEY CRüE

C

orreva l’anno 1994 e nel mio locale, di cui ero anche direttore artistico, presentavamo il disco Mötley Crüe (il meno “Crue” della band ma davvero un grandissimo album, se vogliamo è stato un po’ come The Elder per i Kiss). Per l’occasione era presente la band al completo e circa 400 fan (la capienza del posto era 200/250 persone massimo) che rimasero sbigottiti per una buona mezz’ora quando si resero conto che quelli erano i Mötley Crüe veri e che erano a portata di mano e di baci/ abbracci (per la parte femminile del pubblico). In meno di 30 secondi il palco fu preso d’assalto e i quattro rocker sepolti dai fan. Insieme alla security (composta da Hell’s Angels, ma comunque troppo pochi) non potemmo far altro che prendere la band di forza e trascinarla via da quel marasma. Dopo 15 minuti di vera battaglia riuscimmo a guadagnare le porte di sicurezza e a “salvare” il gruppo dai fan. Per sentirsi poi mandare a quel paese da un Nikki Sixx furioso: in quel marasma si trovava perfettamente a suo agio! Traccia di quello che vi ho appena raccontato si trova sulla biografia ufficiale della band, The Dirt: Confessions of the World’s Most Notorious Rock Band, pubblicata nel 2001. Il tutto raccontato da John Corabi il cantante che sostituì per un periodo (troppo breve a mio parere) lo storico vocalist Vince Neil e che era appunto uno dei quattro che avevamo pensato bene di salvare. Il Risotto pere, noci e gorgonzola è una della mie ricette preferite. Il connubio tra Mötley Crüe e le pere con cui cucinarlo? Mi è venuto spontaneo visto che di “pere” i nostri Saints of Los Angeles si mormora siano grandi esperti… Ingredienti per 4 persone: brodo vegetale q.b., 50gr. Burro, 100gr. gorgonzola piccante, 40gr. Noci, 100gr. grana padano grattugiato, 2 pere, riso Carnaroli 300gr, 1 scalogno, 1 bicchiere vino bianco

Per la preparazione www.ricetterock.com

22 onstage maggio



FACE TO FACE

GENE GNOCCHI È uno dei personaggi più brillanti e talentuosi di questo Paese. Approfittando dell’uscita del suo nuovo libro, Il Gene dello sport (Bompiani), gli abbiamo fatto qualche domanda. di Stefano Gilardino

L

’impressione che si ha leggendo il tuo libro - a scanso di equivoci, fa davvero molto ridere - è che tu ti sia divertito tantissimo a scriverlo e a rispondere con la tua solita comicità surreale alle domande dei lettori della Gazzetta. È proprio così, come dici tu si nota anche leggendolo che mi diverto da impazzire a scrivere di sport in maniera strampalata. Adesso, oltre al Rompipallone, ho anche una rubrica fissa sulla Gazzetta dello Sport ogni lunedì, in cui parlo di calcio e molto altro a modo mio. Per

quanto riguarda il libro, abbiamo fatto fatica a contenerlo entro le 200 pagine perché c’era materiale per andare avanti. In ogni caso è un libro che si può leggere con comodità, sono semplicemente domande e risposte, per cui non deve essere affrontato come un romanzo. Buona parte del libro verte sul calcio, la tua grande passione. È vero che sei quasi riuscito a esordire in serie A dopo aver compiuto i 50 anni? Tutto vero, sono stato tesserato con il Parma qualche anno fa, ma purtroppo non sono riuscito a esordire perché la squadra si è salvata all’ultima giornata contro l’Empoli e quindi non c’è stata l’occasione giusta. Prendevo 1500 euro di stipendio al mese, facevo qualche allenamento, ho anche giocato delle amichevoli contro squadre di categorie inferiori, per cui è stato anche emozionante. Come ti trovavi a giocare con veri professionisti? Bene, all’epoca c’era gente brava come Morfeo o Castellini, era una bella squadretta. Io sono abbastanza bravo tecnicamente, certo non avevo la prestanza fisica, e quando giochi con gente brava te ne accorgi, i palloni ti arrivano perfetti, si palleggia di prima. E, quando vedono che sei capace, si fidano e ti passano spesso la palla. Insomma, è una vera libidine.

Da giovane hai fatto anche un provino per il Milan. Ed ero anche stato preso! Poi quell’anno, colmo della sfiga, annullarono tutti i trasferimenti giovanili per questioni burocratiche e io sono finito a giocare nell’Alessandria. Non per tirarmela, ma tecnicamente ero proprio bravo! Non per niente il tuo idolo era Dejan Savicevic, a cui peraltro assomigli anche un po’ da giovane. Ah, il Genio! Lui era il migliore, ricciolo ribelle, matto come un cavallo, aveva persino un diamante incastonato nel dente, prima che lo facessero i rapper. E, poi, era una persona generosissima, a Milano aiutava tantissima gente senza che si sia mai saputo nulla. Nonostante questa tua bruciante passione, sei sempre riuscito a vedere il lato umoristico del gioco, in un Paese in cui invece il calcio è un affare serissimo. Lo so, è strano, ma a me il calcio offre decine di spunti divertenti e dissacranti, non capisco come sia possibile non vederli. Eppure, quando faccio una battuta un po’ più strana «A 15 anni sono stato folgorato da Stand Up dei Jethro Tull, poi però mi sono rapidamente spostato verso il punk e la new wave, poi il rock australiano degli anni Ottanta» alla Domenica Sportiva, pare quasi che abbia bestemmiato in Duomo durante la messa! Sei anche un grandissimo appassionato di musica. Come hai cominciato? A 15 anni sono stato folgorato da Stand Up dei Jethro Tull, poi però mi sono rapidamente spostato verso il punk e la new wave, poi il rock australiano degli anni Ottanta come Died Pretty e Hoodoo Gurus. Insomma, sono un fanatico anche oggi, cerco sempre nuovi gruppi da seguire e la passione è rimasta la stessa di quando ero ragazzino. Hai anche inciso un album, moltissimi anni fa, con i Getton Boys, che ora è un disco di culto piuttosto raro. Sai che ogni tanto qualcuno me ne porta una copia da autografare? Sono entrato nella storia anche io! A parte gli scherzi, mi piacerebbe farne un altro, sto cercando di convincere mio fratello Charlie a mettere in piedi un gruppo!



FACE TO FACE

NERI MARCORè Instancabile showman, si muove con gran disinvoltura tra teatro, TV e cinema. È protagonista di Mi rifaccio vivo, commedia diretta da Sergio Rubini, nelle sale dal 9 maggio. di Antonio Bracco

U

n uomo si suicida perché non ne può più di essere sconfitto dalla vita ma, avendo la possibilità di reincarnarsi, ne approfitta per farla pagare al suo nemico di sempre. Mi rifaccio vivo ci ricorda una cosa: l’erba del vicino è sempre più verde. E in questo film il vicino sei tu. È vero. Dal punto di vista del personaggio di

Lillo è così. Lui ha dei motivi oggettivi per pensare che la mia erba sia più verde, perché subisce una serie di sconfitte rispetto a me che sono oggettive, quindi non è soltanto una percezione di una realtà falsata. Arriva al fallimento surclassato dalle maggiori capacità che io ho, ma come spesso accade l’impressione è una cosa e la realtà un’altra. Anche il mio personaggio rivela dei lati oscuri che non tardano a venir fuori. Come si lavora con Rubini? Si lavora molto bene con Sergio. Era da qualche anno che cercavamo di fare qualcosa insieme e infine si è creata questa possibilità. È molto scrupoloso e, come immagini, essendo un attore capisce e conosce le esigenze che si hanno quando si recita. Dirige eliminando paranoie. È una commedia ad alto potenziale comico. Il pubblico riderà. Cosa fa ridere te, invece? Situazioni, atteggiamenti. Mi piace la recitazione reale in contesti surreali. Mi piacciono i clown e la loro comicità fisica, tipo Jango Edwards, Rowan Atkinson o Stanlio e Ollio. Mi fanno ridere più le situazioni che le battute.

Vorrei sapere che infanzia hai vissuto per arrivare a scoprirti attore, cantante, trasformista e conduttore. Vivevo in campagna e giocavo all’aria aperta, un’infanzia molto libera. Facevo costruzioni con il legno, mio padre e mio nonno erano falegnami. La materia è sempre stata parte di me. Leggevo Topolino, le strisce di Alan Ford e Sturmtruppen, guardavo i cartoni di Tom e Jerry e di Wile Coyote che era il mio preferito. Guardavi anche i programmi in TV? Sì, mi piacevano i varietà e i quiz. Era una TV più solida e più pensata di quella odierna, alla quale si arrivava avendo una preparazione. Era un modello da seguire, ma non pensavo che avrei fatto qualcosa del genere. Come sei entrato nel mondo dello spettacolo? Parlando di spettacolo, la musica è stata il mio primo interesse. Attraverso la musica sono entrato a far parte di questo mondo. Avevo partecipato a un quiz radiofonico, cantavo e avevo imparato a suonare la chitarra. Poi ci ho legato le altre cose. «Mi piace la recitazione reale in contesti surreali. Mi piacciono i clown e la loro comicità fisica, tipo Jango Edwards, Rowan Atkinson o Stanlio e Ollio» Quanta musica ascolti? La musica mi accompagna sempre. Anche i libri, ma la musica non manca mai che io mi sposti in moto o in macchina. Qualche giorno fa sono entrato in un negozio e ho comprato qualche disco di Capossela e gli ultimi dei Depeche Mode, di Cristiano De Andrè e di Mario Biondi. Poi recentemente ho comprato l’album di Niccolò Fabi che è arrivato a una maturità di testi e di musica altissima. Il più bel disco dell’anno, mi sento di consigliarlo. Insomma, l’erba del tuo vicino non era poi così verde... Ho sempre considerato abbastanza verde anche la mia. E comunque ho sempre pensato che la soluzione non fosse di rendere meno verde quell’altra, semmai lo stimolo era di lavorare meglio nel proprio orto.


per

A DAY IN THE LIFE LA GIORNATA ECOSOSTENIBILE DI UN CONCERT GOER h 7 : 45

Mi sveglio. In bagno faccio attenzione ai rubinetti aperti, in un minuto scendono fino a 10 litri d’acqua. Doccia rapida. L’acqua non si spreca!

h 8 : 15

Faccio colazione a base di frutta fresca a km 0. Il gruppo di acquisto solidale a cui sono iscritto mi ha portato la spesa giusto ieri sera. Doso l’acqua per il thè, tanto ne bevo una tazza.

h 8 : 45

Mi vesto. Fuori si sta bene. Un paio di jeans, una camicia in cotone organico e le immancabili Timberland Earthkeepers Heritage Boat Shoe

TIMBERLAND EARTHKEEPERS HERITAGE BOAT SHOE Un classico senza tempo, che unisce artigianalità, colori estivi e tecnologie innovative. Una scarpa comoda, pensata per la barca, eppure cool e ideale per la vita di tutti i giorni. E basso impatto ambientale! La suola antiscivolo è in gomma riciclata al 15% e il sottopiede Anti-Fatigue è composto in poliuretano al 14% NOP (polioli a base di oli naturali). Prodotta in Pelle Barefoot primo fiore dalla morbidezza naturale, che asseconda la forma del piede, la Heritage Boat Shoe ha una struttura a mocassino la cui tomaia è cucita a mano. Inoltre il sistema 3 Step Comfort System e il sottopiede Anti-fatigue contribuiscono in maniera “tecnologica“ ad assicurare comodità e durata senza pari.

h 13 : 00

Per andare a pranzo faccio due passi. La giornata è bella, la temperatura è buona e al ritorno smaltisco il pranzo! Le scarpe che indosso sono comode anche per passeggiare.

h 18 : 15

Dopo aver spento tutti i dispositivi elettronici che uso in ufficio (anche la modalità standby consumi energia!), prendo il tram e torno a casa. Stasera c’è il concerto. Non vedo l’ora.

h 18 : 15

Prima di uscire bevo un po’ d’acqua: quella che esce dai nostri rubinetti è buona e sicura, costa pochissimo, non produce rifiuti e arriva comodamente a casa. C’è solo da guadagnarci.

h 19 : 00

Ho appuntamento sotto casa con i miei compagni di viaggio. Il concerto è lontano e non posso andarci in bici o con i mezzi pubblici, così mi sono organizzato con il car pooling.

h 20 : 00

Siamo allo stadio, bevo una bibita con i miei amici e butto la bottiglietta vuota nel contenitore della plastica. Finalmente la raccolta differenziata si usa anche ai concerti.

h 21 : 00

Inizia lo spettacolo. Il cuore batte forte! Gli artisti che amo sono sul palco, scatto qualche foto con la mia macchina fotografica. Non ho problemi con le pile, sono ricaricabili.

h 23 : 30

Torno a causa esausto. L’emozione ha esaurito la mia energia. Mi fa male tutto tranne i piedi. Le Timberland Earthkeepers Heritage Boat Shoe non tradiscono mai!

Collezione uomo / donna P/E 2013


FACE TO FACE

FEDEZ Campione di visualizzazioni su YouTube, disco di platino in venti giorni e un tour soldout un po’ ovunque. Quattro chiacchiere con Fedez, il 24enne golden boy del rap italiano. di Tommaso Cazzorla

S

ig. Brainwash - L’arte di accontentare segna il passaggio da Tanta Roba Label (etichetta di Guè Pequeno) ad una major. Il salto definitivo? Preferirei non commentare. Un artista lungo il proprio percorso può incontrare delle persone poco oneste e allora bisogna prendere delle decisioni per eliminarle. Sbaglio o c’è del risentimento? Assolutamente sì. Ma adesso sono soddisfatto del mio team. Ho un modo di lavorare per cui mi piace avere in mano tutta la situazione

ed essere partecipe. Non voglio che siano altri a gestire la mia vita, preferisco avere persone al mio fianco piuttosto che sopra o sotto. Dei collaboratori, insomma. Dal disco vengono fuori tre anime, una più divertente e “leggera”, una un po’ più introspettiva e infine quella più critica e pungente. Come fanno a convivere? Tutte quante fanno parte di me. Quando scrivo non ci penso, i pezzi sono un’istantanea del momento. Ogni brano ha vita propria ed è poi normale che all’interno del disco vadano a coabitare. Ci sono anche molte collaborazioni importanti, sia in ambito hip hop (J-Ax, Dargen D’Amico, Danti) sia pop-rock (Elio, Francesca Michielin, Punkreas). Come mai? Ho semplicemente voluto dei featuring che mi piacessero. I Punkreas per esempio sono andato a cercarli io, gliel’ho chiesto da fan. Vedi, io ho iniziato ascoltando il punk mainstream, Blink 182, Sum 41, New Found Glory, e poi sono passato a quello italiano e al rap. L’album ha avuto veramente un ottimo riscontro, te lo aspettavi? Speravamo ovviamente che le cose andassero per il verso giusto, ma non immaginavamo

un tale successo. È stato inaspettato. Certamente ne siamo felici ma non ci montiamo la testa, ora ci concentriamo sul tour. Quando hai incontrato Claudio Cecchetto (produttore storico e scopritore di Jovanotti) ti ha detto che ti vede tra dieci anni a riempire gli stadi. Tu come ti vedi tra un decennio? Ogni volta che citano quella conversazione mi tocco le palle, per scaramanzia! Io tra dieci anni mi vedo come un fallito. Se poi non sarà così, allora la soddisfazione sarà ancora più grande. Cigno Nero, il brano con Francesca Michielin, ha superato le dieci milioni di visualizzazioni su YouTube, dove tu vai fortissimo grazie anche al pubblico molto giovane. Come ti rapporti con loro? È vero, ho un pubblico di teenager. Loro cresceranno e io, di conseguenza, crescerò con loro a livello artistico. Però non mi piace che mi etichettino come teen idol, perché i ragazzi sono molto svegli e non gli arrivano solo le hit ma anche i pezzi più sociali o introspetti«Non mi vergogno del mio pubblico come fa invece la stragrande maggioranza della scena rap italiana. Fanno tutti finta di avere un pubblico di quarantenni» vi. Non mi vergogno del mio pubblico come fa invece la stragrande maggioranza della scena rap italiana. Fanno tutti finta di avere un pubblico di quarantenni, quando invece nell’hip hop la fascia di età è sempre la stessa, che si parli di eroina o di caramelle. Le nuove generazioni, anche per rapportarsi con gli artisti, usano molto i Social Network. Quali sono i pro e i contro? I social sono un’arma a doppio taglio, da una parte hai una finestra sul mondo dalla quale farti conoscere e diffondere la tua musica, dall’altra c’è una libertà estrema. Ognuno può dire tutto quello che gli passa per la testa e tu devi imparare a convivere anche con gli insulti. Il bigottismo e la mentalità chiusa di questo ambiente ce li porteremo dietro fino alla tomba. Un po’ già lo sapevo, ecco perché ho chiamato l’album d’esordio Il mio primo disco da venduto.



NUMBERS

OK, IL PREZZO è GIUSTO? Se il prezzo del concerto è alto, il pubblico si scaglia conTRO il promoter. Ma le cose stanno diversamente. Con l’aiuto di Roberto De Luca e Claudio Trotta, tra i principali promoter italiani, cerchiamo di capire come funziona. di Jacopo Casati

INCIDENZA COSTI SUL PREZZO DI UN BIGLIETTO

TAB.1

40%

Cachet artisti

25%

Costi locali (organizzazione evento, licenze, servizio d’ordine, etc)

20%

Spese fisse SIAE / IVA: 20%

10%

NOLEGGIO STRUTTURE

5%

GUADAGNO “SE NON SI VA IN PERDITA”

ve per il noleggio delle strutture e l’affitto delle location in cui si svolgono i concerti. I locali, le licenze, il servizio d’ordine, le ambulanze e tutto quanto serve per far sì che l’evento possa svolgersi arrivano a incidere fino al 25%, mentre la fetta più grossa della torta (40% in media) spetta ovviamente alla voce “artista” (“produzione” se preferite), in cui sono inclusi cachet, scenografie, palco, staff, etc. In alcuni casi il peso dell’artista incide fino al 50%. Per fortuna, però, questo genere di artisti richiama molto pubblico e si esibisce in location grandi, fattore indispensabile per ammortizzarne i costi. È per questo che, a parità di posti, il concerto di uno stesso artista allo stadio può costare meno che in una location indoor (tabella 3). A Milano, un live a San Siro è spesso più abbordabile di un concerto al Forum perché, nonostante i costi più alti della produzione, il numero di biglietti in vendita è superiore e dunque gli oneri sono ripartiti su più acquirenti. Potrebbe sorprendere che a fronte di una crisi economica che non accenna a darci tregua, e di numeri non proprio favolosi del settore, l’offerta di concerti sia sempre maggiore: «Sembra demenziale e a conti fatti è una situazione folle, ma è normale che in un momento di diffi-

TAB.2

SETTORE LIVE I° SEMESTRE 2012 VS 2011

+17,13%

OFFERTE SPETTACOLI

- 6,48%

I

l prezzo dei concerti è da sempre argomento di discussione caldissimo tra appassionati di musica. Il cambio Lira/Euro, l’inflazione e la crisi che stiamo tuttora vivendo hanno trasformato in molti casi l’evento live da appuntamento irrinunciabile a bene di lusso. Ma la colpa non è dei promoter: che gli organizzatori si arricchiscano con l’aumento dei prezzi è un luogo comune, un mito da sfatare. Gli elementi che influenzano il costo di un biglietto sono molteplici, e di questi vogliamo offrirvi una visione ad ampio respiro. Sia Roberto De Luca (Presidente di Live Nation Italia) che Claudio Trotta (fondatore di Barley Arts) sono risoluti nello spiegare che il guadagno effettivo per una agenzia di booking spesso non supera il 5% (vedi tabella 1). Entrambi concludono la risposta con un significativo «quando non andiamo in perdita, s’intende», che rimarca quanto il momento sia difficile non solo per chi si gode gli spettacoli ma anche per chi li organizza (lo dimostrano i dati su ingressi e volume d’affari del settore musica live del primo semestre 2012, vedi tabella 2). I costi fissi per qualsiasi evento si chiamano IVA e SIAE: il 20% dell’importo totale sparisce istantaneamente con queste due voci, un altro 10% ser-

30 onstage maggio

INGRESSI

- 2,75% SPESA DEL PUBBLICO CONSUMAZIONI INCLUSE

- 2,75%

SPESA AL BOTTEGHINO

- 0,68%

VOLUME D’AFFARI COMPLESSIVO


OUTDOOR VS INDOOR

TAB.3 coltà la proposta aumenti – dice Claudio Trotta – perchè le band stesse sono costrette a puntare sempre di più sui concerti visto il declino irreversibile della musica riprodotta». Anche Roberto De Luca spiega come «il digitale non compensa per nulla la crisi discografica e il calo di vendite dei dischi, nonostante la situazione economica i concerti saranno sempre di più proprio perché sono uno dei pochi modi rimasti alle band per avere entrate certe». È in questo scenario paradossale che, negli ultimi anni, si stanno affermando i Vip Tickets e i Vip Package, ovvero soluzioni più costose (tabella 4). Dal posto sotto palco o in tribuna autorità, fino a quei servizi aggiuntivi che determinati artisti offrono insieme al biglietto per assistere allo show: si va dalla cena a buffet al memorabilia di turno, fino all’incontro con gli artisti stessi e l’open bar nel party after-show. «Il pubblico è disposto a spendere molto di più per avere un servizio migliore. Quelli sono i biglietti che solitamente esauriamo per primi» spiega De Luca. «Sono prodotti destinati alle persone più agiate, si vendono benissimo per alcune tipologie di artisti, d’altronde la capacità di acquisto di questi tempi è scesa per tutti tranne che per le classi alte» conferma Trotta. Insomma, difficoltà economiche o meno, sia i fan accaniti che semplicemente coloro che possono permetterselo si fanno tentare dalla possibilità di assistere al concerto del proprio idolo e di scattarci una foto ricordo. Vuoi mettere il gusto, il giorno dopo, di metterla su Facebook?

TAB.4

VIP PACK

BON JOVI 275 €

Rock Internazionale

42,55 €

Nickelback INDOOR

Black Sabbath

69 €

Muse

36 €

INDOOR

OUTDOOR

Pop Internazionale

41,40 €

Beyoncé INDOOR

(secondo anello Forum)

60 €

Robbie

OUTDOOR

(terzo curva S.Siro)

Italia

31 € (secondo anello) OUT 35 € (parterre) IN 41,40 € IN

Modà Gianna Nannini Jovanotti

OUT (parterre e secondo anello) OUT

35 € (terzo curva)

Diamond Vip Pack Pass laminato Aperitivo prima del concerto in sala executive Posto in diamond circle (prato fronte palco) Cena a buffet dopo il concerto in sala executive Gift ufficiale del tour

BLACK SABBATH

669 €

Meet & Greet Vip Pack Incontro esclusivo con Ozzy Osbourne prima dello show Foto con Ozzy Osbourne Autografo di Ozzy Osbourne Biglietto per assistere allo show dei Black Sabbath Gadget esclusivi del tour Programma ufficiale del tour Pass ricordo del tour

KISS

669 €

!

Ultimate Vip Experience Pack Biglietto di Posto unico/Parterre Posto unico o di primo anello numerato a seconda della tipologia prescelta Esclusivo Meet & Greet con i KISS Fotografia con i KISS Accesso esclusivo al Preshow Soundcheck Sessione di autografi con i Kiss (max due oggetti, no strumenti) Maglietta del tour dei Kiss Esclusivo pass laminato VIP Biglietto VIP commemorativo Punto vendita merchandising riservato Accesso anticipato alla venue Assistente VIP sul posto

onstage maggio 31




GREEN DAY

34 onstage maggio


PUNK ROCK

survivors La storia dei Green Day comincia a essere abbastanza lunga da permetterci di fare la conta di tutto quello a cui la band californiana è sopravvissuta. Nel bene e nel male, dai primi live a San Francisco fino al malore di Billie Joe a Bologna, tra (molti) successi e (pochissimi) flop, Armostrong e compagni sono sempre stati uno dei riferimenti della scena musicale rock. La favola continua, in attesa del 2014, quando anche per loro comincerà l’era delle celebrazioni. testo di MassimoLongoni

U

no, dos, tré,... via! Le luci del palco possono accendersi e il ciclone Green Day arrivare finalmente nel nostro Paese. Una sorta di risarcimento per i fan delusi da settembre scorso, quando, a causa di un malore di Billie Joe Armstrong, la band californiana annullò l’esibizione dell’I-Day all’Arena Parco Nord di Bologna. Ora si può recuperare con gli interessi, perché gli appuntamenti si sono moltiplicati, ma anche perché, nel frattempo, sono usciti Uno!, ¡Dos! e ¡Tré!, tre album distinti pubblicati a pochissima distanza l’uno dall’altro. Ciascuno ha in copertina la faccia di un componente del gruppo: un progetto ambizioso che dimostra vitalità e ispirazione crescenti, nonostante il team abbia alle spalle più di vent’anni di storia e stia uscendo da uno dei suoi momenti più difficili, quello in cui ha rischiato di trovarsi in frantumi insieme alla sanità fisica e mentale del suo leader. I Green Day nascono nel 1987, quando negli Stati Uniti il presidente è Ronald Reagan e le classifiche musicali sono dominate da rockettari con i capelli cotonati o divi pop tutti eyeliner e spalline imbottite. Un altro secolo, un altro mondo. Ma in California il movimento punk è ancora forte, sostenuto da band come Rancid e Offspring che guardano alla lezione di Dead Kennedys, Bad Religion o Suicidal Tendencies. E Billie Joe Armstrong, Mike Dirnt e Tré Cool hanno le idee chiare di dove andare a parare: chitarra, basso e batteria e forza d’urto travolgente. È una ricetta semplicissima, alla quale loro aggiungono un ingrediente fondamentale: un gusto melodico decisamente pop. Il risultato è a dir poco efficace: 26 anni dopo, oltre 75 milioni di dischi venduti ne fanno uno delle band di maggior successo in circolazione, tanto più che le cifre non si riferiscono solo a un glorioso passato, ma anche al presente.

foto di Felisha Tolentino

DISCONTINUITà NELLA CONTINUITà Perché se è vero che nel 1994 i Green Day hanno aperto la strada all’ondata di gruppi pop-punk che a cavallo del cambio di millennio sono passati dai garage a MTV, a fare la differenza è la storia. Di molti di quei gruppi, dai Sum 41 ai Blink 182, dai Good Charlotte ai My Chemical Romance, si è persa traccia, e di quelli ancora sulla scena quasi nessuno ha lo stesso peso di dieci anni fa. I Green Day, invece, sono riusciti a restare nel panorama mainstream a pieno titolo, passando indenni anche alla mezza delusione dell’album Warning (2000). La lunga pausa che ne seguì si concluse, quattro anni più tardi, con American Idiot, un’opera punk-rock che rappresenta per loro una pietra miliare e, al contempo, una svolta nella carriera. Se Billie Joe e gli altri hanno attraversato quasi tre decenni senza sbiadire in popolarità lo si deve a una serie di fattori. Prima di tutto una rara capacità di sapere esplorare diversi mondi musicali restando fedeli a se stessi, tanto da un punto di vista stilistico che di immagine. Il trio californiano è riuscito a inglobare nel suo percorso influenze rock, country, persino swing, senza perdere la bussola e mantenendo il punk degli esordi, pur maturato e adeguatosi ai tempi, come una solida base su cui poggiare. Un genere spontaneo e trascinante che non conosce barriere di età. In quel sound gli adolescenti trovano la spinta iconoclasta tipica dell’età, e chi è un po’ più maturo ne riesce ad apprezzare altri aspetti. Per comprendere la parabola dei Green Day potrebbe essere sufficiente guardare l’elenco dei Grammy vinti (6) in carriera. Si passa da quello per miglior Alternative Album (Dookie), a quello per Best Rock Album (due volte, con American Idiot e 21st Century Breakdown). Infine il premio per il Best Musical Show Album, per American Idiot: The Original

onstage maggio 35


FINALMENTE. I fan italiani dei Green Day hanno quattro occasioni per rifarsi delle recenti delusioni. Billie Joe e soci saranno a Rho il 24 maggio (Fiera Milano Live) e a Trieste il 25 (Piazza Unità d’Italia), poi a Roma il 5 giugno (Ippodromo delle Capannelle) e a Bologna il 6. Niente scherzi!

Broadway Cast Recording. Una progressione attraverso generi anche molto distanti, con due estremi lontanissimi come il punk e Broadway, senza mai perdere di riconoscibilità. Evoluzione nella tradizione, discontinuità nella continuità. Strada facendo i Green Day si sono così portati dietro i fan della prima ora che (almeno in maggioranza) non si sono mai sentiti traditi, riuscendo al contempo a raccogliere nuovi adepti tanto in un pubblico più maturo, quanto nelle nuove generazioni attratte da generi che del punk sono una derivazione, come gli Emo. Così facendo sono sopravvissuti e hanno addirittura dato linfa alla loro base di appassionati: basta buttare un occhio al pubblico dei concerti per notare una presenza massiccia di giovani e giovanissimi. Ragazzini come quelli in lacrime davanti all’albergo bolognese del gruppo, a settembre, disperati per l’annullamento del concerto. Molti di questi accompagnati dalle mamme. Una scena che ci aspetterebbe di vedere più tra i fan di Justin Bieber e degli One Direction che da quelli di un gruppo punk-rock. GATTOPARDI Anche un progetto sulla carta rivoluzionario come Uno!, ¡Dos!,¡Tré!, in realtà, riesce a spingersi per strade inedite senza strappare il cordone ombelicale con il passato. Certo, Billie Joe ha dichiarato qualche mese prima dell’uscita che voleva staccarsi dal punk degli esordi facendo “qualcosa di più incisivo, un power pop tra gli AC/DC e i Beatles prima maniera”. Ma resta il fatto che la rivoluzione non è poi così to-

36 onstage maggio

tale, a partire da un singolo dalla furba fattura gattopardesca come Oh Love, che ha aperto la strada alla pubblicazione del lavoro in tre atti: la linea melodica ricorda altri pezzi dei Green Day senza ricalcarli in copia carbone, e la struttura musicale, con pieni e vuoti, accelerazioni e momenti chitarra e voce sono perfettamente riconoscibili all’istante. E anche il secondo singolo, un potenziale pezzo di cesura rispetto al passato, come Kill The Dj, descritta da alcuni come “la dance secondo i Green Day”, alla fine sarebbe potuta stare tranquillamente su un album dei Clash come Sandinista. Uno si ritrova subito a casa, una casa fuori dal tempo. PUNK DENTRO Per comprendere l’appeal del gruppo verso il pubblico, non si può sottovalutare poi l’impatto live. Chiunque abbia avuto la fortuna di vederli in concerto è stato travolto dal muro di suono e dalla capacità di Armstrong di prendersi la scena come un vero trascinatore. Un animale da palcoscenico che riesce a catturare sempre l’attenzione della platea, anche quella più composita che frequenta i festival, da sempre (a partire da Woodstock 1994) uno dei contesti in cui la band sembra trovarsi più a suo agio. Non a caso Kerrang! ha descritto i due concerti del 2005 a Milton Keynes, davanti a 130mila spettatori, come “i più emozionanti, memorabili e folli spettacoli dal vivo che il Regno Unito abbia mai visto”. Esagerazioni giornalistiche? Forse, ma l’entusiasmo dei 40mila che affollavano lo stesso anno l’autodromo di Imola per



X l’Heineken Jammin’ Festival era palpabile, e alla fine della giornata, in un ipotetico indice di gradimento, Billie Joe e soci surclassarono gli headliner R.E.M.. Anche grazie ad alcuni trucchetti del mestiere, come il tirare su dal pubblico tre ragazzi delle prime file e metterli a suonare al loro posto. Intrattenitori allo stato puro dall’atteggiamento guascone. Che qualche volta rischiano di perdere la brocca facendo uscire il lato più punk, nel senso nichilista del termine. Perché punk i Green Day, e soprattutto Billie Joe Armstrong, lo sono nella vita, non recitano un ruolo. E lo sanno quelli che hanno visto la furia del cantante esplodere l’anno scorso all’I Heart Radio Music Festival, quando il set del gruppo è stato tagliato di venti minuti per far spazio ad Usher. Ha fermato il concerto, e ha iniziato a sciorinare un discorso rivolto agli organizzatori nel quale ha battuto il record mondiale di “fuck” pronunciati in un minuto e mezzo. Dopodiché ha distrutto la sua Gibson sul palco. E uscendo ha mostrato il dito medio. Pura rivolta, alimentata dal carburante dell’alcol e delle pillole da cui Billie Joe ormai era del tutto dipendente: qualche fan è rimasto interdetto, qualcun altro esaltato e ammirato. Fatto sta che pochi giorni dopo il cantante è entrato in una clinica per disintossicarsi. Sei mesi di “reclusione”con tutto ciò che questo ha potuto comportare: tour annullato, la promozione (e quindi le vendite) dei tre album andata in fumo e i rapporti stessi con i suoi compagni di band messi a dura prova. Ora è pulito e pensa solo a una cosa: “Voglio mettere su un grande show ed essere affidabile” ha detto a Rolling Stone qualche settimana fa. Ora c’è il tour ma poi arriverà un anno speciale come il 2014, con il ventennale di Dookie e il decennale di American Idol. I progetti per le celebrazioni sono già in cantiere, converrà affrontarli nella miglior forma fisica possibile. l

X

california - inferno a/R

Un evento che ha messo a dura prova non solo la tenuta stessa della band, ma anche i rapporti tra i suoi componenti. Il crollo e la riabilitazione di Billie Joe Armstrong nelle parole dei protagonisti.

«Ci scusiamo con i nostri fan ma a causa di un malore Billie Joe è stato ricoverato in ospedale e dobbiamo cancellare la nostra esibizione di stasera a Bologna.» (Video messaggio dei Green Day ai fan, 2 settembre 2012)

«Guardate quel fottuto cartello, un minuto. Lasciate che vi dica una cosa: siamo qui dal fottuto 1988. E mi date solo un fottuto minuto? Mi state prendendo in giro? Non sono un fottuto Justin Bieber. Lasciate che vi mostri cosa significa un fottuto minuto.» (Billie Joe Armstrong all’I Heart Festival subito prima di sfasciare la chitarra sul palco, 23 settembre 2012)

«Billie Joe sta cercando di curare il suo abuso di sostanze. Vorremmo far sapere a tutti che il nostro set non è stato tagliato da Clear Channel e ci scusiamo con tutti quelli che si sono sentiti offesi» (Comunicato postato dalla band su Facebook, 23 settembre 2012)

«Non è uno scherzo. I medici lo stanno controllando perché si ripulisca. Non so se lo rivedremo prima o dopo Natale. Non sappiamo quando tornerà» (Rob Cavallo, produttore dei Green Day, Rolling Stone, 12 ottobre 2012)

«La tempistica non è ideale ma la salute di Billie Joe è più importante. Siamo felici di poter dire che sta meglio e vogliamo ringraziare tutti per il supporto che abbiamo ricevuto» (Mike Dirnt annunciando la cancellazione del tour, 29 ottobre 2012)

«Cari amici, volevo solo ringraziarvi per tutto l’amore che mi avete dimostrato nei mesi scorsi. Credetemi, non è passato inosservato e vi sarò grato eternamente» (Billie Joe, Instagram, 30 dicembre 2012)

«La mattina dopo ho chiesto a mia moglie: “Quanto male è andata?”. E lei: “Molto male”. Poi mi ha chiamato il mio manager: “Adesso prendi un aereo, torni ad Oakland e vai subito in rehab» (Billie Joe Armstrong, Rolling Stone, 26 febbraio 2013)

«Risaliva tutto al tour di 21st Century Breakdown, del 2009. Ho avuto svariati crolli in quel periodo dicendo cose molto stupide tipo “Non vedo l’ora che Steve Jobs muoia» (Billie Joe Armstrong, Rolling Stone, 26 febbraio 2013)

«Dopo quello che è successo tornare a suonare dal vivo è elettrizzante. I fan sono rimasti colpiti da quanto accaduto a Billie ma siamo pronti per ripartire» (Mike Dirnt, NME, 13 marzo 2013)



Bruce

SPRINGSTEEN The E Street Band

&

The greatest ROCK’N’ROLL family Dopo il grande successo del 2012, torna in Italia il Wrecking Ball Tour. Quello di Springsteen è stato più volte definito come il miglior live show della storia e chiunque ne abbia visto almeno uno non può che essere d’accordo. Merito soprattutto della complicità tra Bruce e la E Street Band, che si trasforma in energia una volta sul palco. Ne abbiamo parlato con Nils Lofgren e Jake Clemons, un Grande vecchio e il più giovane della famiglia. di Stefano Gilardino foto di Danny Clinch



L eggendo le interviste con Nils Lofgren, leggendario chitarrista fin dai tempi di Born In The USA, e Jake Clemons, nipote dello scomparso Clarence, autentica colonna dell’universo springsteeniano - entrambi raggiunti quando ancora il tour di Springsteen era in Australia - vi potrete rendere conto di un particolare che pochi gruppi possono vantare: il senso di appartenenza è il valore aggiunto della E Street Band, un vero e proprio microcosmo sonoro plasmato dal Boss a sua immagine e somiglianza, capace di assecondarlo durante tutte le scorribande sul palco. La simbiosi tra il direttore d’orchestra, Bruce Springsteen, funambolico e quasi mai capace di attenersi a una scaletta rigida, e i suoi orchestrali - nonostante qualche avvicendamento nel corso degli anni, la filosofia di base è rimasta inalterata - è ciò che rende i suoi spettacoli diversi da quelli degli altri colleghi rocker, unici e irripetibili. Da uno dei più anziani - Nils, ormai anche lui sessantenne - al più giovane Jake, talento appena sbocciato -, ecco due versioni leggermente differenti della stessa storia, quella della più grande famiglia del rock’n’roll.

Visto il repertorio smisurato di Springsteen, è difficile scegliere la setlist per un tour? Non posso parlare per Bruce, ovviamente, ma credo sia piuttosto arduo. Il bello del mio lavoro nella E Street Band è che non sono il capo e quindi non mi tocca decidere nulla (ride, ndr). Lo faccio già quando suono da solo col mio gruppo, per cui sono felice di dover solamente aspettare che lui scelga e poi provare i pezzi alla perfezione. Sono ormai 29 anni che sono al suo fianco e conosco benissimo il suo modo di ragionare; in linea di massima funziona che Bruce decide una scaletta e poi sul palco cambia tutto (risate, ndr). Parlando per me, penso di conoscere la maggior parte dei brani del repertorio: se una sera si decide di suonare Cadillac Ranch, non ho neppure bisogno di provarla, ma ci sono anche pezzi che richiedono una maggiore attenzione. L’idea che si ha sempre di voi musicisti della E Street Band, durante un concerto, è che vi stiate divertendo come matti. È un’impressione giusta, ognuno di noi ama essere sul palco in quel momento, è l’unico posto dove vorremmo essere. Io, poi, con Bruce posso permettermi di suonare tantissimi strumenti: chitarra acustica ed elettrica, pedal steel, fisarmonica, banjo e molto altro. Nel 2013 festeggio i miei 45 anni on the road e posso dire di essere stato molto fortunato.

«Non credo di rendermi conto della portata della faccenda, immagino che una volta finito tutto ci ragionerò per bene sopra e capirò tutto quello che è successo» Jake Clemons

Nils Lofgren Polistrumentista nato a Chicago il 21 giugno 1951. È membro della E Street Band dal 1984 L’anno scorso a Milano siete stati protagonisti di uno storico concerto, uno dei più lunghi della carriera del Boss. Avete intenzione di battere il record? Credo che sia uno sbaglio giudicare i nostri show in base alla lunghezza, è sempre e solo una questione di emozioni e di scambio d’energia con il pubblico. Bruce ha un legame speciale con il vostro Paese - e pure io, visto che mia moglie è di origini italiane - e quindi spesso capita di fare dei concerti con un’intensità molto particolare come quello di Milano dello scorso anno. Però siamo abituati a cambiare scaletta ogni sera, Bruce ama improvvisare a seconda dell’umore, e quindi non si può mai sapere come andrà a finire una serata. Penso che, come tutti i grandi perfomer della storia, anche lui abbia quell’abilità particolare nell’intercettare i desideri del pubblico e quindi sappia bene come alternare i pezzi. Quello che possiamo promettere, come sempre, è che ogni show sarà unico, diverso da tutti gli altri.

BORN TO PLAY IN ITALY. L’amore del Boss per l’Italia è cosa nota. Quattro le date di quest’anno: il 23 maggio a Napoli (Piazza Plebiscito), il 31 a Padova (Stadio Euganeo), il 3 giugno a Milano (San Siro), l’11 luglio a Roma (Ippodromo Capannelle).

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«Se ci divertiamo sul palco come E Street Band? Puoi scommetterci, ognuno di noi ama essere li in quel momento, è l’unico posto dove vorremmo essere» Nils Lofgren Quante prove deve fare la E Street Band per essere pronta per un concerto? Dipende. Per il tour di Working On A Dream sono rimasto piuttosto stupito dal fatto che Bruce volesse provare pochissimo nonostante avessimo un intero album da imparare e un batterista nuovo, il figlio di Max Weinberg, Jay, a cui far fare pratica. Una dozzina di giorni di prove, con me e Little Steven a cantare i pezzi perché Bruce era impegnato in altre cose. Nonostante tutto funzionò alla perfezione, anche se fu molto faticoso. Il tour attuale, contando la terribile mancanza di Clarence Clemons, l’inserimento di una sezione fiati, delle percussioni e dei cori ha richiesto una grossa mole di lavoro, ma tutto sta andando per il meglio: gli spettacoli sono eccellenti sotto ogni punto di vista. Ovviamente, alle prove strettamente musicali, devi aggiungere anche

quelle tecniche, perché uno show come il nostro non puoi certo metterlo a punto in un paio di giorni. Girare con un carrozzone del genere richiedere un livello di professionalità altissimo. 29 anni con Bruce. Quando ti chiese di far parte della band? Siamo amici da una vita, ho seguito la sua carriera fin dagli esordi e c’è sempre stato un forte scambio tra noi. Mi ricordo che gli telefonai circa sei mesi prima che uscisse Born In The USA, io ero in un periodo buio della mia carriera personale, non riuscivo a comporre e non avevo neppure un contratto discografico. Così Bruce m’invitò a casa sua e passammo una settimana a improvvisare canzoni, parlare della nostra musica e bere birra nei bar lì attorno. Ascoltai il disco in anteprima e rimasi molto colpito dalla qualità dei pezzi e dalla quantità di possibili singoli, credevo davvero che avesse una bomba pronta a vendere milioni di copie. Qualche tempo dopo, seppi della decisione di Little Steven di abbandonare momentaneamente la E Street Band e così, senza pensarci troppo, telefonai a Bruce per proporgli la mia candidatura. Tornai a provare con il gruppo al completo e dopo un paio di giorni entrai a far parte della famiglia. Era il maggio del 1984 e non me ne sono più andato.

Jake Clemons Polistrumentista, nipote di Big Man Clarence, è membro della E Street Band dal 2012. Jake, tu sei il più giovane della compagnia, nonché il nipote di uno dei pilastri della E Street Band. Come sta andando? Non riesco nemmeno a pensare a quanto sia fantastico essere sul palco con Bruce Springsteen tutte le sere e offrire uno spettacolo pazzesco come quello che stiamo portando in giro. Sembra scontato e banale, ma davvero credo di non rendermi conto della portata della faccenda, immagino che una volta finito tutto ci ragionerò per bene sopra e capirò tutto quello che è successo. Per ora, mi accontento di salire sul palco e godermi questa emozione incredibile. Che effetto ti fa suonare davanti a delle folle oceaniche? È una cosa che ti agita? No, per nulla, anzi mi dà una carica pazzesca. E ti dirò di più, è molto più pauroso suonare in un piccolo club davanti a dieci persone concentrate su di te. Lì, quando faccio qualche spettacolo da solo, sono davvero agitato, penso a cosa potrà andare male e mi emoziono moltissimo. Con la E Street Band senti solo una scarica di energia pazzesca e vedi un mare di gente che si muove al ritmo della tua musica. È esaltante oltre ogni dire. La tua prima esperienza in tour è stata con una band ska/reggae di Los Angeles, The Israelites. Il tuo sito dice che è una storia che merita di essere raccontata. In effetti è proprio vero (ride, ndr). Senza farla troppo lunga, a 18 anni lavoravo come buttafuori in un locale di L.A., ma ne approfittavo per vedermi un concerto diverso ogni volta che ce n’era l’occasione. Una sera si presentarono a suonare gli Israelites, che io conoscevo solo di nome. A un certo punto del loro show, non so per quale motivo, ma sicuramente trascinato dalla musica, decisi di prendere il mio sax e di salire sul palco per improvvisare qualcosa con loro. Dopo un attimo di stupore collettivo, della band e del pubblico, iniziai a suonare e tutto filò liscio fino alla fine dello spettacolo. Il giorno dopo mi chiamò il padrone del locale per dirmi che ero un pessimo buttafuori, ma anche il cantante degli Israelites per chiedermi se avessi voglia di andare in tour con loro. Detto, fatto, quella è stata la mia prima vera esperienza musicale.

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Prima della chiamata di Bruce, hai avviato anche una carriera solista, come chitarrista e cantante. Quanto è stato importante tuo zio nella tua formazione? È vero, il mio primo strumento è stato la chitarra e quindi mi è venuto piuttosto semplice pensare di iniziare a scrivere e cantare le mie canzoni. Ovviamente avere uno zio come Clarence, che per me è stata una figura fondamentale, mi ha aiutato a prendere confidenza con la scrittura, con il palco, con il mondo della musica. E poi mi ha anche insegnato a suonare il sassofono quando ho pensato che fosse un’op-

zione interessante: avevo a disposizione uno dei migliori interpreti di quello strumento al mondo, non potevo lasciarmi scappare l’occasione per imparare i suoi segreti. Certo, non avrei mai immaginato che un giorno mi sarei trovato al posto di Clarence nella band che l’ha reso una leggenda. Sapevo che Bruce stava pensando a qualcosa del genere, così una volta mi ha telefonato e mi ha chiesto se mi sarebbe piaciuto far parte della sezione fiati del suo prossimo tour. Ho messo in pausa la mia carriera solista e ho deciso di imbarcarmi in questa avventura pazzesca. l

Bruce, un esempio per tutti Claudio Trotta è il patron di Barley Arts e dal 1999 organizza i concerti del Boss nella Penisola. Ecco un estratto dell’intervista realizzato un paio di giorni dopo l’annuncio delle date del 2013. Claudio, quanto sei contento? Tantissimo. È un privilegio, una fortuna, un onore e anche un merito poter lavorare con il più grande performer live di tutti i tempi. Parlando di Springsteen non si può fare a meno di pensare a quello che è capace di scatenare nelle persone, oltre alle canzoni e al fatto in sé di essere un musicista. Induce passione, gioia e divertimento come nessun altro artista è mai stato in grado di fare. È un generatore di vita. Quando avete cominciato a parlare dei nuovi concerti? Pochi giorni dopo la fine del tour di quest’anno. Lui e il suo entourage, vista la bellezza di quello che stava accadendo in termini di partecipazione del pubblico, hanno capito che sarebbe stato opportuno riprendere il cammino nel 2013. Tornare a Milano dopo il concerto del 2012 per Bruce è una bella sfida. È dalla prima volta (1985, nda) che l’ultimo concerto a San Siro è il migliore di sempre. Tutti e quattro i live a Milano sono rimasti nella memoria del pubblico e di chi era sul pal-

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co. Nel 2012, Bruce mi ha chiamato mentre stava già andando via dallo stadio per dirmi «Claudio questo è il posto migliore del mondo con il pubblico migliore del mondo». Per chi ha seguito l’andamento del tour, San Siro è stato una miccia. Da lì in avanti i concerti sono stati più lunghi, più intensi, più vari. Lasciami dire che nel 2012 ci sono stati degli accorgimenti acustici che hanno permesso di sentire bene come mai si era sentito a San Siro. Quello che stupisce chiunque segua Bruce, che ha superato i 60 da un pezzo, è la sua energia. Da dove viene? Semplicemente, Bruce ha la vita dentro. Ha curiosità, passione, capacità di vivere il momento rispettando la storia e immaginando il futuro. Credo sia una componente essenziale per tutti noi; se siamo capaci di vivere intensamente riusciamo a sopportare meglio questa nostra disgraziata condizione di mortali. Bruce riesce a dare un senso a ogni singolo minuto della sua esistenza. È umanamente un esempio per tutti noi. D.S.





BeyoncĂŠ


GOLDEN WOMAN In Italia è più facile sentir parlare di Lady Gaga o Rihanna, forse perchè offrono maggiori spunti ai media, oppure di Madonna, perché in fondo siamo sempre attratti dai grandi classici. Ma in questo momento, se teniamo in considerazione tutto ciò che si può ricondurre alla voce “popstar”, nessuna diva della musica è grande quanto Beyoncé. In attesa di vederla dal vivo a maggio, analizziamo il suo successo con due grandi voci italiane: Nina Zilli e Noemi.

di Simona Voglino Levy

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es, she can. Lei può. Ha cantato per il secondo insediamento del Presidente democratico Barack Obama (seppur in playback), mentre si prodigava nelle numerose opere di beneficenza che da sempre ama seguire, si accingeva a firmare contratti faraonici per diventare testimonial di marchi come Pepsi o H&M, faceva la mamma (di Blue Ivy), la moglie (di Jay-Z) e si preparava all’imminente inizio del suo tour mondiale The Mrs. Carter Show World Tour. Lei è Beyoncé Gisele Knowles Carter. O più semplicemente: Beyoncé. Re Mida rosa in versione ultra-moderna, tutto quello che la signora tocca si tramuta in oro. Di fatto. In principio furono le Destiny’s Child, poi l’azzeccata carriera da solista iniziata durante una pausa del gruppo nel 2003 e il matrimonio con Jay-Z. Secondo la rivista Forbes, la coppia artistica più ricca del mondo, con un patrimonio complessivo che tocca il miliardo di dollari. PIù CORAGGIO Abbiamo fatto qualche riflessione su come negli USA sia possibile tutto questo. E su come in Italia non lo sia. Lo abbiamo fatto con due “interlocutrici” d’eccezione: Nina Zilli e Noemi. Che, tanto per cominciare, condividono la premessa: «Il nostro è un Paese a cui piace etichettare.

Gli Americani in questo sono più easy. Comunque, Italia e Stati Uniti sono due mercati e due mondi musicali così diversi che è difficile fare paragoni. Certamente l’America ci fa sognare di più». Dunque, è chiaro che un contesto più elastico e da sempre pionieristico, come il Nuovo Continente, lasci spazio ad una creatività libera di esprimersi trasversalmente perché sottoposta all’attenzione di un pubblico più vasto e in quanto tale aperto ed eterogeneo. Per il quale “cambiar pelle”, come nel caso di questa camaleontica regina del pop, può essere un vezzo creativo. E non una necessità per rincorrere il mercato. «Credo che reinventarsi sia sbagliato - spiega Zilli. Bisognerebbe seguire sempre l’istinto per evolversi in modo naturale, senza forzature. Altrimenti si rischia di non essere credibili». Simile il parere della collega: «È difficile rinnovarsi, anche se in fasi diverse della stessa carriera. Ma credo che la voglia di rischiare sia un fattore inalienabile. Forse all’estero c’è più coraggio». Qual é, dunque, il confine tra la voglia re-inventarsi, scommettendo sulle proprie capacità e il rischio di danneggiare la qualità artistica? «Beyoncé, come altri artisti americani, è diventata quasi un “marchio”: non è più solo questione di musica, ma anche di immagine e marketing. In ogni caso se è diventata così grande è perché ha davvero tutto: una

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MRS CARTER IN EUROPE. Il tour europeo di Beyoncé è cominciato il 15 aprile da Belgrado e si concluderà il 1° giugno a Londra. Oltre trenta date, compresa quella del 18 maggio a Milano e le sette a Londra (di cui 6 consecutive alla 02 Arena).

grande anima che la rende una grande artista, una super presenza scenica e un gigantesco senso del business», spiega Nina. Che, per quanto riguarda il pericolo di minare la qualità della propria arte mescolandola ad aspirazioni decisamente più imprenditoriali, tiene a sottolineare: «Se una persona crede davvero in quello che fa, la qualità non ne risente. Se invece si inizia a fare un po’ di tutto per arraffare quattrini, allora si mette a rischio tutto. La sua carriera mi è sembrata molto naturale e non forzata». «Asseconda i suoi sogni e la sua ispirazione», apprezza Noemi. «è difficile mantenere tutto saldo ma le sfide ci danno un po’ di sale nella vita. Cercando di immedesimarmi credo che sia difficile mantenere la propria passione accesa dopo così tanto successo. Credo che per lei tutto ciò sia d’aiuto per sentire ancora il brivido». 85.000 EURO AL MINUTO In effetti: è la donna dei record. La Recording Industry Association of America (RIAA) l’ha eletta artista con più certificazioni del decennio: oltre 80 milioni di copie vendute in tutto il mondo, 6 nomination su 10 nel 2010 (maggior numero di Grammy vinti da un’artista donna in una sola serata), artista femminile del decennio 2000-2010 per Billboard, e artista del decennio per il quotidiano inglese The Guardian. Nel 2011, secondo la televisione scozzese STV, risulta essere l’artista più pagata al mondo con esibizioni che hanno toccato la cifra di 71.040 sterline al minuto (quasi 85.000 Euro). E per concludere letteralmente in bellezza, a febbraio 2013, GQ (America) l’ha eletta donna più sexy del 21esimo secolo. Con tanto di copertina su misura. «L’immagine

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ha la sua importanza», commenta Noemi: «Non dimentichiamoci che lei, piano e voce, ci mette tutti seduti. Così come con un tacco 12. Se uno si diverte e ha il fisico, non vedo il problema». «La ragazza ha tante doti e le mette in mostra tutte. Ma rimanendo una signora, che non è cosa semplice», le fa eco Nina. «Oggi la società esige più bellezza e

«Beyoncé è un marchio. Ma se è così grande è perché ha tutto: una grande anima che la rende una grande artista, una super presenza scenica e un gigantesco senso del business»

Nina Zilli spesso ci troviamo davanti a “prodotti” musicali di scarsa qualità, ma con un forte appeal. Ma non è il suo caso. Poi, per fortuna, c’è chi ce la fa ancora solo con la voce. Come Adele». LIVE VS PLAYBACK Camaleontica per natura, le sue innumerevoli trasformazioni non sono bastate a placarne il temperamento eufemisticamente eclettico: attrice e stilista dal 2005, quando ha deciso di crearsi una linea di moda, la



House of Deréon. E una di profumi. Regina pop. Anche in un festival rock, come Glastonbury. Dunque due volte regina. Lì, ha dimostrato il suo talento trasversale davanti ad una platea presumibilmente scettica. E l’ha conquistata. Sì, è vero: incantò anche per la sua giacca di pailettes su un fisico scultoreo decisamente scoperto. Ma oltre alle gambe c’è di più. Garantito. «Un’artista come Beyoncé per credibilità e talento universalmente riconosciuto è sicuramente in grado di scavalcare qualsiasi barriera. E mi chiedo se in Italia ce ne sia mai stata una così. Anche il pubblico certamente fa la sua parte. Quello inglese è molto più aperto, anche solo perché abituato a seguire una marea di concerti tutto l’anno». Nina non frena l’entusiasmo. Più che altro per Glastonbury: «È un festival da pelle d’oca, ho rotolato nel suo fango diverse volte. Beata lei che ci ha cantato! Chissenefrega se un headliner pop canta ad un festival rock. Odio ghettizzare la musica, anche perché i nuovi stili nascono dalle ceneri di altri generi. Amo la musica a 360 gradi, mi rifiuto anche di scegliere tra i Beatles e gli Stones. Suvvia, come si può? Sono per la fusion più totale: apertura mentale e musicale. Ho un cappellino dei Death (i Death, non so se ho reso) in un cassetto di camera mia, di fianco alla casetta-cd di Hitsville e ad un vinile di Caterina Valente».

«Un’artista come Beyoncè per credibilità e talento universalmente riconosciuto è in grado di scavalcare qualsiasi barriera. E mi chiedo se in Italia ce ne sia mai stata una così»

Noemi E così la dea del pop è partita da Belgrado il 15 aprile, con la prima data del tour mondiale con cui sfoggia il suo nuovo cognome, quello da sposata: Mrs. Carter World Tour, appunto. Arrivo previsto in Italia il 18 di maggio a Milano, Mediolanum Forum (rigorosamente soldout). Ad accoglierla ci sarà una folla ugualmente adorante, nonostante il famigerato play-back presidenziale (di cui sopra) che tanto scandalizzò perfino il pubblico nostrano. «Io non ci voglio credere, non può averlo fatto! Sono andata a cercare su YouTube, perché sono una precisa. A me sembra che abbia cantato dal vivo», sussulta Nina. In realtà, ha cantato proprio in playback. «Comunque, da noi non so nemmeno se qualcuno se ne sarebbe accorto», puntualizza Noemi. «Qui si vedono spesso esibizioni in playback per eventi anche molto meno importanti, e nessuno dice nulla. Ho seguito la vicenda, all’inizio anche io sono rimasta un po’ delusa da questa scelta essendo un’irriducibile del live. Poi ho visto la conferenza stampa dove ha cantato l’inno dal vivo e ha spiegato le sue ragioni, plausibilissime». Al netto delle differenze oggettive fra pubblico e mercati, resta innegabile la genialità di un personaggio unico, che ha annientato la concorrenza e conquistato la stima di pubblico e critica. Senza farsi mancare nulla: amore e famiglia, talento e mestiere, abilità e intelligenza. La spontaneità di Nina Zilli aggiunge un elemento che non guasta e che ci riporta sulla terra: «Ha talento e un gigantesco senso degli affari, certamente. Detto questo, però, la ragazza ha anche un gran culo. So che aspettavate questa chiusa» conclude divertita. Come darle torto. l

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EVOLUZIONE DELLA SPECIE

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ONE DIRECTION

Molte ce ne sono state prima di loro e molte ce ne saranno dopo, ma certo i One Direction sono i primi di una nuova specie di boy band. Con il prezioso aiuto di Luca Fantacone, International Marketing Director di Sony Music Italy, etichetta molto vicina a X Factor - dalla cui versione inglese sono nati i 1D -, abbiamo cercato di capire come e perchè questi cinque ragazzi inglesi rappresentano la nuova frontiera delle boy band. di Jacopo Casati foto courtesy of Sony Music onstage maggio 55


L e boy band e i teen idol ai tempi del web 2.0 non sempre hanno vita facile. La Rete ti lancia ma può anche affossarti in men che non si dica e dimenticarti in un mese, costringendoti a lunghe pause di riflessione prima di tentare un ritorno al vertice (cfr. Jonas Brothers o Tokio Hotel, tanto per dirne due). Tuttavia se dietro le tue spalle hai Simon Cowell, discografico e ideatore di X Factor, e uno staff che sa bene come coniugare marketing, esigenze d’immagine e necessità commerciali, il gioco potrebbe essere molto più semplice. Divinità intoccabili per un mare smisurato di ragazzine intorno al mondo, i One Direction - pronti a ritornare in Italia con due date ultra sold out da mesi (all’Arena di Verona il 18 maggio e al Forum di Assago il 20) - sono l’evoluzione di una specie che esiste da molto tempo. La storia di Niall Horan, Zayn Malik, Liam Payne, Harry Styles e Louis Tomlinson nasce dentro la versione inglese di X Factor. Inizialmente scartati come solisti, quindi recuperati e messi insieme come gruppo vocale (un anno dopo), si classificano terzi al termine della stagione 2010. Da lì in poi per i cinque freschi sbarbati è stata una continua ascesa al successo, con due album in studio, otto singoli, un EP, un DVD e un film in 3D di prossima pubblicazione. I numeri sono spaventosi: 14 milioni di singoli e 8 milioni di album venduti fino a questo momento, per quello che nelle parole di Nick Gatfield, presidente di Sony Music Entertainment UK, è diventato un “impero da 50 milioni di dollari” in pochissimo tempo. SENZA FRONZOLI Cosa differenzia la boy band per antonomasia del nuovo millennio

rispetto ai predecessori? Senza voler andare troppo indietro nel tempo a scomodare i Jackson 5 o addirittura i Beatles - non vogliamo far incazzare i puristi e nemmeno dimentichiamo quanto le armonie vocali, la presenza scenica, l’accessibilità immediata della proposta (e ovviamente il fanatismo del pubblico femminile verso Lennon e McCartney) di questi due colossali nomi siano fattori che qualsiasi teen group dagli anni Ottanta in poi ha necessariamente interiorizzato nel proprio DNA - potremmo individuare nei Take That il paragone più prossimo con i One Direction di oggi. «Sono cinque cantanti con una band dietro di loro - ci racconta Luca Fantacone, International Marketing Director di Sony Music Italy - un po’ com’erano i Take That negli anni Novanta, ovviamente con un gusto estetico molto diverso e meno attenzione alle coreografie e al vestiario sfoggiato sul palco e nei videoclip. I One Direction sanno cantare bene dal vivo, hanno anche fatto degli eventi unplugged dove si esibivano con la loro voce

«Svolgono il lavoro senza fronzoli, puntando su una preparazione vocale decisamente superiore rispetto alle boy band anni 90, che si concentravano sul ballo o sull’impatto scenico» Luca Fantacone e giusto un paio di chitarre acustiche suonate da elementi del gruppo. Svolgono il loro compito senza eccessivi fronzoli insomma, puntando su una preparazione vocale decisamente superiore rispetto a quella di certe boy band anni Novanta, che a volte si concentravano solo sul ballo o sull’impatto scenico. Di sicuro la carta vincente che hanno è la positività, quella che tutte le Directioners (si chiamano così le adepte al fenomeno, ndr) intorno al mondo colgono nelle loro canzoni e quella che, cosa molto rara, gli stessi genitori delle giovani fan trovano nella musica dei cinque».

1D, TWO SHOWS. Sono entrambi sold out gli show della boy band inglese in Italia. I Directioners si sono aggiudicati da settimane tutti biglietti per la data del 19 maggio a Verona (Arena) e del giorno successivo a Milano (Mediolanum Forum). 56 onstage maggio


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Non una cosa da poco: il benestare di mamma e papà è un benefit importante per i pezzi dei One Direction, cinque ragazzi puliti, allegri, che lanciano messaggi positivi e che puntano sul divertimento e sul condividere la propria carica insieme a tutti i fedeli seguaci. Vent’anni fa non era la stessa cosa per chi seguiva gli sculettamenti dei Take That o l’attitudine più urban e spaccona dei loro ‘nemici’ East 17. «La loro semplicità e il loro essere realmente persone non costruite - prosegue Fantacone - contribuisce a far passare un messaggio che piace alle

«Non sono star capricciose che si negano o che avanzano richieste esagerate e irrealizzabili quando sono in tour, sono concentrati e determinati a realizzare i propri obiettivi» L.F.

famiglie; io stesso sono rimasto molto colpito da quanto ho visto a New York a dicembre dell’anno scorso in occasione del gigantesco raduno-evento organizzato per tutti i fan della band: erano presenti persone che arrivavano realmente da ogni parte del mondo, c’era un padre che accompagnava la figlia indossando una maglietta che recitava “Proud To Be a Directioners’ Father” o qualcosa del genere. Era davvero un’atmosfera di festa assoluta, di condivisione e di amicizia sotto la bandiera della musica dei One Direction».

L’ATTEGGIAMENTO GIUSTO La pressione potrebbe diventare sempre più difficile da sopportare per quelli che, fuori dalle scene, sono in fin dei conti dei ragazzini di vent’anni. La band stessa tuttavia, in occasione di una conferenza tenutasi a Milano lo scorso novembre, ha tenuto a sottolineare come sia consapevole di ciò che sta attraversando: «Non ci sentiamo arrivati, ciò che stiamo vivendo è fantastico ma sappiamo bene che richiede un impegno fuori dal comune, sacrifici come lo stare lontano da casa

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per mesi e mesi, e un lavoro costante sia a livello di promozione che di applicazione in studio e sul palco. Siamo contenti ma anche determinati ad andare avanti, a migliorare giorno dopo giorno». Fantacone aggiunge che «sono rimasto onestamente sorpreso nel vedere come questi cinque giovani siano sempre calmi e a proprio agio in qualsiasi situazione. Hanno ovviamente uno staff che lavora per loro con una precisione maniacale su ogni aspetto, ma i cinque vivono tutto questo con l’atteggiamento giusto, con una serenità che li aiuta eccome nel gestire incontri con la stampa, piuttosto che un concerto al Madison Square Garden o ancora il rapporto coi fan. Hanno una professionalità che è rara alla loro età. Nonostante da due anni non si stiano praticamente fermando un attimo, riescono ancora a essere disponibili e pronti a qualsiasi tipo di iniziativa viene loro proposta. Non sono star capricciose che si negano oppure che avanzano richieste esagerate e irrealizzabili quando sono in tour, sono concentrati e determinati a realizzare i propri obiettivi». SCAMBIO CONTINUO Una volta c’era MTV a portare le boy band in giro per il mondo. Oggi c’è Internet e ci sono i social network, la cui potenza è infinitamente superiore rispetto alla Tv (tant’è vero che le televisioni musicali si sono praticamente estinte). La Rete è stata determinante per il successo dei One Direction, loro stessi sanno perfettamente che hanno raggiunto l’attuale status grazie ai social network. «Sicuramente siamo molto fortunati ad avere un grande seguito su Facebook, Twitter e tutti i canali attraverso i quali diffondiamo la nostra musica ed i nostri pensieri. Grazie ai social siamo vicini a tutte quelle persone che vogliono sapere cosa facciamo. Siamo molto grati e in debito con i nostri fan di tutto il mondo, senza di loro non saremmo dove siamo oggi. In ogni momento possiamo avere uno scambio continuo ed entrare in contatto con il nostro pubblico. È una cosa fantastica e ci ha stupito molto che fuori dall’Inghilterra ci fosse grande attenzione su di noi ancora prima che arrivassimo in determinati Paesi.» Ed è oramai una cosa normale che, in diversi stati del mondo, si verifichino flash mob piuttosto che iniziative messe in piedi dalle stesse Directioners, solamente per cantare insieme le canzoni dei propri idoli e condividere la passione per il gruppo. Eventi spontanei, manifestazioni di amore e affetto che avvengono quando la band è in tour. L’altra faccia della medaglia di un seguito così ampio e spasmodico è però il fanatismo eccessivo che a volte sfocia nell’isteria, sia online sia dal vivo. «Non nego che ogni tanto ci siano momenti in cui si verificano contestazioni interne - spiga Fantacone - magari sui vincitori di un contest particolare o su eventi organizzati in occasione della presenza della band. Quotidianamente monitoriamo le attività online e quasi sempre questi ‘incidenti’ rientrano subito senza troppi problemi. Per quanto riguarda gli eventi in cui sono coinvolti i One Direction stessi, è sempre il loro management che si preoccupa per primo della sicurezza dei fan e dell’organizzazione stessa: l’attenzione verso chi supporta la band è anche in questo caso impeccabile, i componenti del gruppo tengono particolarmente a questo aspetto e vogliono fare in modo che chiunque partecipi a un loro show possa goderselo nel miglior modo possibile.» La favola può continuare quindi, almeno fino a quando qualcuno dei cinque non vorrà tentare la carriera solista. l


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Lana del REY

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Siete sicuri di avermi capita

?

Nell’era della comunicazione, immagini, parole e canzoni viaggiano talmente veloci da rischiare di non essere comprese fino in fondo. I gruppi rock sembrano tutti uguali, ma naturalmente non lo sono. Le popstar sembrano tutte uguali, ma naturalmente non lo sono. Per esempio Lana Del Rey è una proposta artistica molto distante da quella delle sue “colleghe”. Ma non tutti se ne sono accorti. di Marco Rigamonti foto courtesy of Universal Music

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U

no degli aforismi più noti di Oscar Wilde recita le seguenti parole: “There is only one thing in life worse than being talked about, and that is not being talked about.” In italiano lo traduciamo comunemente con la frase “Bene o male, purchè se ne parli”. Se esistesse un campionato mondiale del pettegolezzo - e in un certo senso esiste, visto che ad esempio Google stila classifiche prendendo in considerazione il numero di volte in cui un nome viene inserito nel motore di ricerca nel corso dell’anno – allora non ci sarebbero dubbi sulla vincitrice del 2012: si tratterebbe di Elizabeth Grant, meglio nota come Lana Del Rey. Le 3 date italiane della bella cantautrice statunitense coinvolgeranno più di 30.000 paganti, tra Palaolimpico (Torino), PalaLottomatica (Roma) e Mediolanum Forum (Milano), e confermano quanto importante sia stato l’an-

no passato per la newyorkes. Tanto per dirne una, la data di Milano doveva inizialmente tenersi all’Alcatraz - un club - ma considerata l’enorme richiesta di biglietti è stata spostata in una location molto più grande. Probabilmente il fatto che si tratti della prima apparizione in Italia dal trionfale debutto Born To Die - disco di platino in 13 nazioni e d’oro in 5, compresa la nostra - basterebbe a giustificare il grande interesse del pubblico. Ma ci sono molte altre motivazioni che fomentano curiosità nei confronti di un personaggio come Lana Del Rey.

SCHIERARSI È OBBLIGATORIO

Capire il segreto del successo di una popstar non è facile, altrimenti non sarebbe un segreto. Bravura, immagine, personalità e strategie di marketing sono tutti elementi necessari, ma raramente danno risultati quando manca il tassello fondamentale: l’originalità. Ed è bene puntualizzare che si commetterebbe un grave errore se si associasse a priori questa parola a un attributo positivo (Oscar Wilde docet). Nella società odierna - dove le informazioni corrono a velocità supersoniche attraverso i cavi in fibra ottica - le aspettative sembra-

no apparire dal nulla e crescere di pari passo con le critiche. “Quella ha le labbra rifatte”. “Quella è una modella, mica una cantante”. “Ma avete sentito come ha stonato al Saturday Night Live?”. Il cammino verso la notorietà di Elizabeth Grant non è stato privo di contraddizioni, ed è naturale che si siano formati un partito pro e uno contro - anche perchè schierarsi, oggi, sembra comunque obbligatorio. Ma prima di arrivare a conclusioni affrettate sarebbe giusto considerare il maggior numero possibile di elementi a nostra disposizione. Le difese di Elizabeth alle illazioni sopra riportate sono giunte attraverso semplici risposte, tipo “Non mi sono mai ritoccata” oppure “Ho paura quando mi devo esibire live”. Quanta strategia c’è dietro a questa mole di gossip? Quanto ha influito il cosiddetto hype nella prepotente ascesa di Lana Del Rey? E soprattutto: una volta attraversata la nebbia di pettegolezzi e abbattuta la corazza di parole, cosa rimane a livello di musica?

SPEGNETE IL RUMORE DEI MEDIA

Elizabeth Grant (newyorkese, classe 1986) comincia come tante, cantando nel coro della sua chiesa. Poi, a 14 anni, si ritrova nella rigi-

LA PRIMA VOLTA non si scorda mai. Lana Del Rey debutta in Italia a maggio con tre concerti. Si parte il 3 dal PalaOlimpico di Torino e si prosegue il 6 al PalaLottomatica di Roma. Gran finale il 7 maggio al Mediolanum Forum di Assago (Milano).

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da scuola preparatoria di Kent, dove i genitori l’hanno spedita per fronteggiare un precoce problema di alcolismo. Appena maggiorenne s’iscrive all’università per studiare metafisica e poco dopo lo zio le insegna a strimpellare la chitarra. Liz comincia subito a scrivere canzoni e a girare i club di Brooklyn, mentre da alcolista si trasforma in benefattrice, prestando servizio presso comunità di recupero. Capite bene che i paradossi si sprecano. Quando nel 2010 esce il suo primo disco ufficiale - a nome Lizzy Grant - accade un fat-

to curioso: la distribuzione dell’album viene bloccata pochi mesi dopo la release per volere della stessa autrice. Infine - e qui si attiva la modalità “favola moderna” - il video di Video Games (si dice uploadato su YouTube da lei stessa) attira l’attenzione di varie etichette, finendo per fruttarle un contratto discografico. Mentre le speculazioni abbondano, lei trova il tempo per firmare un accordo con la NEXT Model Management e scrivere un album intero che uscirà solo a inizio 2012, quando il suo nome è già sulla bocca di tutti.

A questo punto il mondo intero la aspetta al varco, ed ecco arrivare puntuali i voti troppo bassi (o troppo alti) e gli articoli che esaltano il distintivo talento vocale in contrapposizione a quelli che si focalizzano sulla mancanza di polpa nella musica. Nessuno ha ragione e nessuno ha torto, ma è netta l’impressione che l’attenzione sia rivolta altrove rispetto alle canzoni. La conclusione della recensione pubblicata da Mojo avrebbe potuto (e forse dovuto) essere un punto di partenza per qualsiasi critico o giornalista: «Spegnete i rumori dei media in sottofondo, e immergetevi nella musica».

IN UN FILM DI DAVID LYNCH

Lana Del Rey si trova lassù, in compagnia di illustri colleghe che rispondo ai nomi di Rihanna, Lady Gaga e Katy Perry (per semplificare ne citiamo solo tre). Le voci sono tutte di un certo livello, la produzione artistica ineccepibile e l’immagine è sempre provocante e sexy. Elizabeth si differenzia invece per una bellezza più sobria e se vogliamo casta, un marcato e nostalgico gusto retrò e una predilezione per melodie più cupe. Se il mondo delle popstar moderne si può sintetizzare con il più classico dei “Let’s party”, Lana - in linea con i suoi studi dell’università - sembra invece concentrarsi su una tristezza cosmica. Nella sua musica ci si imbatte spesso in atmosfere dark e pessimismo. Per il testo di Video Games l’americana è stata addirittura accusata di avere posizioni antifemministe (in controtendenza rispetto all’importanza riservata alla parità dei sessi dalle eroine pop dei nostri tempi). Il suono di Lana Del Rey non ha niente da spartire con quello delle colleghe. La sua musica non si balla nei club e i suoi pezzi, per come sono arrangiati, starebbero meglio in un film di David Lynch piuttosto che nella colonna sonora di Gossip Girl (anche se in una puntata della serie ci è finita pure lei). Azzardando un paragone rock, se Lady Gaga fosse gli AC/DC allora Lana Del Rey potrebbe essere i Cure. In entrambi i casi c’è talento e capacità, ma l’approccio è decisamente diverso. In un mondo immune al potere delle parole, un disco come Born To Die avrebbe con tutta probabilità ricevuto un trattamento migliore rispetto a quel 61 che compare su Metacritic (il sito di riferimento per le recensioni, che raccoglie tutte le valutazioni in Rete e ne fa una media). D’accordo, non stiamo parlando di musica per tutti (d’altronde quale musica lo è?), ma sul fatto che sia ben scritta, ottimamente prodotta e possa contare su uno stile vocale unico ci sono pochi dubbi. E come si diceva, l’originalità è il tassello fondamentale di una stor ia di grande successo. Lasciamo che sia il live a dire l’ultima parola. l 64 onstage maggio


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L’estate 2013 riporta in auge un capo che resiste da quasi un secolo. Se la maglia bretone è ancora oggi un indumento cult delle collezioni p/e, lo si deve a Coco Chanel e ai divi che ne sono diventati testimonial. A cura di Virginia Varinelli

La maglia bretone, quella semplice t-shirt a righe orizzontali bianche e blu, è un’icona più che un capo. Come accade spesso nella moda, le sue origini sono tutt’altro che fashion - pensiamo ai marinai, ai gondolieri veneziani e ai galeotti - ma nel corso del tempo ha determinato la nascita di ben tre stili: Marina, Tropezienne e Cruise. Ognuno riferito a un determinato momento storico, ma il concetto non cambia. Durante il secolo scorso, sono stati molti i testimonial di questo trend, specialmente nel mondo dell’arte. Il grande Pablo Picasso indossava quotidianamente una maglia a righe bianche e nere che abbinava a look più eccentrici. E come non ricordare Andy Warhol, con il celebre autoritratto che lo immortala con la t-shirt a strisce. Questa tendenza entra prepotentemente nel mondo della moda negli anni Venti per merito di Miss Avanguardia, ovvero Gabrielle Allure Chanel, meglio conosciuta come Coco. È lei che introduce lo stile alla marinara, abbinando lunghe collane di perle alla maglia a righe, con l’immancabile rossetto. E proprio il rosso è diventato il miglior amico di questo stile: spesso, le collezioni Cruise prevedono una maglia a righe abbinata ad un pantalone bianco con accessori rossi, come scarpe e borsa. Il boom della maglia bretone arriva negli anni Settanta, quando Portofino e St. Tropez sono i luoghi di Virginia indossa: maglia Alcott 12,95 euro occhiali da sole Tod’s 220 Euro bracciali scacciapensieri Viridì 35 Euro

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s

Tropez

THE UGLY TRUTH OF V Il blog di Virginia Varinelli nasce nel settembre 2011, diventando subito un riferimento per gli appasionati di moda e gli addetti ai lavori. Quotidianamente il blog registra accessi da ogni luogo del mondo. Virginia è di Milano. Si è laureata in Economia nel 2009 e ha subito cominciato a lavorare. Da uno stage a Parigi presso Diane von Furstenberg è sbocciata la sua grande passione per la moda. Ha recentemente lanciato il suo brand Viridì, che in pochi mesi di vita ha già raccolto numerosi ammiratori. www.uglytruthofv.com

culto per la vacanze e Brigitte Bardot ne diviene la testimone. L’attrice è solita indossare una maglia a righe bianca e blu che abbina ad un pantalone stretto fino al ginocchio, rigorosamente scalza. È il look che la diva francese predilige durante le sue passeggiate al porto di St. Tropez insieme all’inseparabile compagno Gigi Rizzi. Nel 1985 è la volta di Jean Paul Gautier, che abbina la breton shirt a trench, giacche di pelle, abiti e addirittura allo smoking. È lo stile che fa emergere Gautier: ancora oggi la boccetta del profumo Le Male della celebre maison raffigura un mezzobusto maschile che indossa una maglia a righe. Il gusto per i motivi marinari viene poi inserito in molte collezioni cruise di svariati stilisti; come Tommy Hilfiger, che propone una rivisitazione della casacca da marinaio, Lacoste, che per le sue collezioni si ispira alla riviera francese, e Dolce&Gabbana che propone la canottiera a righe bianche con sfondo blu. Lo stile breton resiste da quasi 100 anni senza aver mai perso attualità. Resiste persino nella moda di oggi, che mangia tendenze con grande voracità e velocità. La sua immortalità, che deve moltissimo ai sopraccitati personaggi che sono essi stessi icone, si mostra sulle passerelle ma soprattutto nel dailylife wear, dall’abbigliamento infantile fino a quello maschile. Non invecchierà mai.

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la divisa da marinaio breve storia

La divisa del marinaio è probabilmente la più elegante tra le uniformi ed è molto simile in tutti i paesi del mondo. Ma qual è la sua origine? Perché i marinai hanno sempre indossato maglie a strisce? Beh, intanto dovevano differenziarsi dai pirati, così qualsiasi imbarcazione che scrutava l’oceano poteva distinguere chiaramente le intenzioni del veliero intercettato. Con il passare degli anni alla divisa venne aggiunto


b

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un fazzoletto blu sul collo. Questo perché i marinai erano soliti utilizzare la pece sui capelli in modo da “domare” le loro folte chiome - che con il vento gli avrebbero reso impossibile la visione del mare. Ovviamente la pece sporcava il colletto delle maglie e così nacque il “fazzoletto” alla marinara. Altro elemento che contraddistingueva la divisa da marinaio erano i pantaloni larghi, a zampa d’elefante, che

vennero creati appositamente per arrampicarsi sugli alberi maestri: fossero stati stretti avrebbero reso le arrampicate sulle funi molto più scomode e lente. Insomma, la divisa da marinaio è stata decisiva per la storia della moda, prima con la maglia bretone resa celebre da Coco Chanel e poi, negli anni Sessanta/Settanta, con il celebre pantalone a zampa.


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estate super chic? C’Est plus fACILe! consigli per accogliere con eleganza la bella stagione ci sono diversi modi di affrontare l’estate. se siete persone RAFFINATE, vi piACE LA SOBRIETà e non aspettate sole, caldo e mare solo per mettere in mostra tatuaggi e muscoli, ecco qualche prodotto che potrebbe fare al caso vostro.

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MACARONS - LADURéE Un minuto di silenzio per omaggiare il Sig. Louis Ernest Ladurée che nel 1862 ha fondato l’omonimo forno parigino diventato un’istituzione della pasticceria. Gira voce che sia stato lui ad inventare questi deliziosi dolcetti. Ok, in vista dell’estate si bada alla linea, ma uno strappo... Grazie Louis! 1,80 Euro cad

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Dopo una carriera piena zeppa di successi, con cui si sono costruiti una credibilità che pochi altri gruppi possono vantare, gli Elio e Le Storie Tese tornano con UN album geniale quanto e più dei precedenti. di Alvise Losi

I

permanierismo citazionista o definitiva genialità? L’album biango sarà probabilmente ascoltato in queste due opposte ottiche. E non esistono mezzi termini con Elio e le Storie Tese. Perché qualcuno sosterrà pure che sia il solito collage di citazioni ben suonate, ma i detrattori del gruppo milanese sono sempre meno. Dopo 25 anni dal primo disco (Elio Samaga Hukapan Kariyana Turu), sorprende la continua capacità degli Elii di inventare. Il loro nono lavoro in studio (così come per i Beatles era il nono il White Album) è un disco che riesce ad essere omogeneo e continuo pur contenendo tracce di diversissimo tipo. Un album poliedrico, fatto di riferimenti irriverenti e omaggi affettuosi, spietata ironia e una qualità musicale che nessun altro gruppo in Italia (e pochi nel mondo) può sperare di raggiungere. Arrangiamenti sorprendenti e articolati che riescono però a mantenere un’immediatezza di fondo ne-

L’album biango

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rio»), siano precedute da un vero e sentito cessaria per raggiungere un pubblico eteomaggio. Come gli Area è una perla, forse la rogeneo. Basti pensare al successo dei tre migliore di un album che ne contiene molte, singoli già usciti e delle altre due tracce già nella quale gli Elii si confrontano con grande sentite (Enlarge your penis nell’omonimo rispetto con uno dei più importanti gruppi tour e Amore amorissimo da Fiorello nel italiani del passato. Un atto di affetto che suo ultimo show televisivo). In apertura arriva proprio a quarant’anni dalla pubblici sono le due sanremesi Dannati forever, cazione del primo album della band di Deeliminata nella prima serata del Festimetrio Stratos (Arbeit macht frei del 1973). val e tutta da riscoprire per chi se ne fosse Queste quattro sono probabilmente le dimenticato, e La canzone mononota, pluvette massime di un disco bellissimo. L’alripremiata dalla critica (e “solo” seconda a bum blango contiene tutte canzoni di alto Sanremo). Complesso del Primo Maggio, disponibile da metà aprile, chiuUn album poliedrico, fatto di riferimenti de invece il disco. È contagioirriverenti e omaggi affettuosi, spietata sa già dal primo ascolto, grazie ironia e una qualità musicale che nessun altro a un’ironia che non risparmia gruppo in Italia può sperare di raggiungere. il politicamente corretto di un certo pensare di sinistra e la melivello, con alcune altre vette. Una sera con diocrità di molta musica del Concertone. E, gli amici rispolvera nel tema la cattiveria dei per evitare eventuali fraintendimenti, nella recitativi di Servi della gleba in una veste canzone precedente A piazza San Giovanmusicale molto diversa. Amore amorissimo, ni (cantata da Eugenio Finardi) gli EelST cantata da Elio con una divertente intro di precisano che «se ci mettiamo a sindacare al Fiorello, è un altro omaggio nei confronti di concerto dei sindacati entriamo in un loop Domenico Modugno. Reggia (Base per altezdi paranoia e chissà dove andiamo a finire, za) è una splendida ouverture strumentale a chissà dove finiamo ad andare». Non è un Come gli Area. Qualcuno preferirà chiamarle caso allora che le due tracce, tanto critiche citazioni, resta il fatto che gli Elii hanno di nei confronti della musica di oggi (dalla balnuovo superato se stessi. canica «tipo Bregović» a quella «del territo-

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C

MUSICA

he nonostante le loro inseparabili maschere robotiche fossero umani (dopotutto) l’avevano già confessato nel 2005 con Human After All, loro terzo album. La conferma definitiva arriva oggi attraverso Random Access Memories, che a giudicare dalla polvere sollevata più che un disco si può definire un vero e proprio evento. Non c’è tempo per esitazioni: il titolo del pezzo che apre l’album, Give Life Back To Music, è disco-funk allo stato puro. Se non bastasse, le intenzioni serie di Thomas Bangalter e Guy de Homem-Christo si palesano in maniera ancora più evidente in The Game Of Love (una ballad a tutti gli effetti, che si contrappone drasticamente al Digital Love di Discovery) e in Within - che inizia con un pianoforte, strumento a dir poco fuori dalla logica daftpunkiana. Del Robot Rock alla Human After All rimane solo qualche detrito: nell’assolo del probabile secondo singolo Instant Crush (con Julian Casablancas degli Strokes al microfono), nelle evoluzioni dell’ispirata Giorgio By Moroder e nei riff cosmici della conclusiva (ottima) Contact. Inutile girarci intorno: qui il ruolo primario spetta al funk, e con musicisti del calibro di Nile Rodgers, Nathan East e Omar Hakim

Daft Punk

Random Access Memories (Columbia)

sarebbe stato francamente difficile pensare a un risultato diverso. Pharrell Williams canta (bene) sul tormentone Get Lucky e sull’affine Lose Yourself To Dance, mentre Todd Edwars collabora in Fragments Of Time, il brano che meglio sintetizza l’ambizione dell’album: ripescare le radici ‘70/’80 filtrandole in chiave post-moderna, alla ricerca di un equilibrio perfetto tra passato, presente e futuro. In quest’ottica lascia senza parole l’interpretazione di una leggenda come Paul Williams in Touch, pezzo dall’architettura sregolata che si snoda tra fiabeschi paesaggi ambient e momenti disco in una struggente altalena di emozioni. E il nostro Moroder? Non smanetta sui synth, ma racconta in prima persona la sua vita in musica nella già citata Giorgio By Moroder. E nel climax recita una frase che fa più o meno così: “Nessuno mi insegnò le regole. Non c’erano preconcetti.” Che poi non è nient’altro che il segreto che si cela dietro alle maschere dei due robot più acclamati del music business.

di Marco Rigamonti

Micro-reviews VAMPIRE WEEKEND Modern Vampires Of The City (XL Recordings)

I giovani vampiri sono cresciuti e hanno tirato fuori un disco più maturo, ma anche più oscuro e interlocutorio lontano dalla spensieratezza degli esordi #piccolebandcrescono

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DARGEN D’AMICO Vivere aiuta a non morire (Giada Mesi / Universal Music)

Violenza sulle donne, storie finite, maggiorate, imperialismo americano, fondoschiena danzanti, funerali. Solo il #genio di Dargen può far convivere tutto con ironia e leggerezza.

COUNTING CROWS Echoes Of The Outlaw Roadshow (Cooking Vinyl/Edel)

Questo disco dal vivo celebra gli anni passati in giro per il mondo, dai primi lavori al recente album di cover, con il piglio attuale, caldo e sincero tipico della band californiana #ontheroad

JOE SATRIANI Unstoppable Momentum (Sony Music)

Il #guitarhero sforna l’ennesimo disco di ottima fattura, che mischia hard rock, elettronica, blues, funk e suoni sperimentali. Buono come sottofondo o per ascolti più attenti.


Phoenix - Bankrupt! (V2 Records)

di Marco Rigamonti

Presentando Bankrupt!, i Phoenix avevano parlato di sperimentazione. Del resto sono sempre stati fuori dagli schemi tradizionali - anche se in passato si sono ritrovati nel mainstream, quasi senza farlo apposta. Ad ascolto concluso, il proclama pare esagerato: vena melodica immutata, cambia solo un po’ il modo in cui si manifesta. Le prime 3 tracce si poggiano su ritornelli cantabili immersi in arrangiamenti che trovano il giusto equilibrio tra anni ‘80 e indie rock moderno; i suoni orientali del singolo Entertainment e di The Real Thing incuriosiscono, mentre Sos In Bel Air sembra un’evoluzione del pensiero degli A-Ha. Passando per Trying To Be Cool, che non convince, si arriva all’unico vero esperimento del disco, la title-track: un’odissea che lascia parlare i synth per più di 4 minuti, per poi accogliere voce e chitarra acustica con un’intenzione progressive. Drakkar Noir ci mette un attimo a rialleggerire umore e stile. Da applausi l’elegante funk rallentato di Chloroform, mentre la marcia di Don’t introduce un altro pezzo da ricordare: Bourgeious, leggiadra e fatata. I 40 minuti di Bankrupt! si concludono sulle note di Oblique City, ritmo incalzante e melodia trascinante. Ci sono ben poche probabilità di imbattersi in un estratto di Bankrupt! su qualche radio. Che poi, magari, non interessa nemmeno ai Phoenix. Ma non perdiamo le speranze.

Deep Purple - Now What?! (earMusic/Edel) Il diciannovesimo sigillo in studio dei Deep Purple arriva a otto anni di distanza dall’ultima prova. Now What?! è un disco che stupisce per freschezza compositiva e per una produzione che esalta l’afflato vintage dell’opera senza confinarla in un sound retrò: al contrario la vitalizza, lasciando ampio spazio alle linee di basso e tastiera, realmente determinanti per la buona riuscita dell’album. I capolavori i Purple li hanno ovviamente già scritti parecchio tempo fa, tuttavia la ruvidità di Vincent Price, il blues sporchissimo di Blood From A Stone, la quasi jam session funkettara Bodyline e l’epicissima Uncommon Man (sette minuti di lezione di hard rock classico) sono autentiche gemme in un contesto piacevole e ben costruito. Per assurdo i singoli di lancio Hell To Pay e la simil ballad (alla lunga noiosa e scontata) All The Time In The World risultano essere pezzi relativamente ispirati, fortunatamente gli unici. Ian Gillan non esagera con la propria ugola, provata da decenni di grida eccelenti, si esaltano al contrario i sempiterni Roger Glover al basso e Don Airey alle tastiere, essenziali e vero cuore pulsante, insieme al sempre colossale Ian Paice dietro le pelli di un cd che non deluderà la vecchia guardia di una band imprescindibile. Classe, esperienza e carisma: che volete di più?

di Jacopo Casati

Iggy And The Stooges - Ready To Die (Fat Possum)

di Guido Amari

Iggy Pop ha deciso di tornare in studio con i suoi Stooges per regalarsi dieci pezzi nuovi di zecca da suonare live e riportarci nel 1973, quando assieme all’amico James Williamson qui di nuovo in tandem con lui - consegnò alla storia il capolavoro Raw Power. Il poker di apertura ha proprio il sapore di quell’incredibile disco, con riff di chitarra classicamente Stooges e una potenza di fuoco notevole per una band che, per quattro quinti, ha superato abbondantemente la sessantina. Ready To Die è la dimostrazione di come l’età nel rock conti poco, ma complimenti a Iggy e James per aver superato il buco d’ispirazione del predecessore The Weirdness (lì però il chitarrista era lo scomparso e leggendario Ron Asheton) e per averci regalato dei brani che, pur senza aggiungere nulla al mito, si fanno ascoltare con entusiasmo. In alcune occasioni il blues la fa da padrone, giustificando la scelta di accasarsi con l’indipendente Fat Possum, specializzata proprio in quel genere. Unfriendly World e The Departed ricordano gli Stones di Exile On Main Street e danno la possibilità a Iggy di sfoggiare il suo talento da crooner e una voce quasi baritonale, bilanciando con atmosfere calde e rilassate l’impeto furioso di un artista sempre “pronto a morire”. Che Dio ce lo preservi ancora a lungo!

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I

CINEMA

©2012 Evil Dead LLC. All rights reserved.

nnanzitutto questo remake offre la ghiotta occasione di andare a rivedere (o vedere per la prima volta, voi sciagurati che ancora non l’avete fatto) quel capolavoro che è il film d’esordio di Sam Raimi. Geniale B movie, realizzato con un irrisorio budget nel 1981, quel film spianò la strada ad un nuovo filone horror e lanciò il regista che con tutta calma arrivò a dirigere 20 anni più tardi la trilogia di Spider-Man. Solo lui poteva avallare questo remake, produrlo e affidarlo al giusto giovanotto di talento, anch’egli esordiente. Il 35enne uruguaiano Fede Álvarez si è fatto notare da tutta Hollywood grazie ad un corto che ha caricato su YouTube, Ataque de Pánico! (cercatelo e guardatelo). Era il 2009 e pochi giorni dopo l’upload, aveva già un contratto per dirigere un lungometraggio offertogli dalla Ghost House Pictures di Sam Raimi. Nessuno si aspettava che quell’esordio sarebbe avvenuto con il remake de La casa. In questa nuova versione del film non c’è più lo stravagante humour che caratterizzava l’originale, ma il livello orrorifico è cresciuto parecchio. Mia, una ragazza la cui vita è segnata dal lutto e dalla tossicodipendenza, chiede al fratello David, alla sua ragazza Natalie e agli

a cura di Antonio Bracco

La casa

amici d’infanzia Olivia ed Eric di unirsi a lei nel vecchio cottage di famiglia per aiutarla a liberarsi dei suoi demoni. Arrivati sul posto, i ragazzi scoprono rabbrividendo che qualcuno è entrato nella casa e che la cantina è stata trasformata in un grottesco altare circondato da decine di animali mummificati. Eric trova un antico libro e ne resta affascinato. Soggiogato completamente dal misterioso contenuto, legge alcuni passi a voce alta, ignaro delle spaventose conseguenze che sta per scatenare.

critica pubblico USA, 2013, 91 min.

Il cast: Jane Levy, Jessica Lucas, Shiloh Fernandez, Lou Taylor Pucci, Elizabeth Blackmore Di Fede Álvarez

Micro-reviews LA GRANDE BELLEZZA di Paolo Sorrentino (Italia, 2013) Roma si offre seducente agli occhi meravigliati dei turisti, è una città #senzatempo così come lo è Jep Gambardella, un fascinoso giornalista che si muove tra mondanità e cultura. In concorso a Cannes.

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L’UOMO CON I PUGNI DI FERRO

di RZA (USA, 2012) Un solitario forestiero nella Cina del XIX secolo deve unirsi con criminali vari per distruggere un clan che vuole eliminare tutti. Esordio #tarantiniano alla regia del rapper leader dei Wu-Tang Clan.

20 ANNI IN MENO di Marie-C. Moreau (Francia, 2013) 38 anni, bella e ambiziosa, non le manca nulla per diventare il nuovo direttore di una rivista. Tutto cambia quando un giovane di 20 anni attraversa la sua via. L’#amorenonhaetà secondo i francesi.

EPIC

di Chris Wedge (USA, 2013) Con un fantasy d’animazione, il regista de L’Era Glaciale ci porta dentro una foresta in cui ha luogo una #ferocebattaglia fra il bene e il male, vissuta e combattuta da una coraggiosa teenager. In 3D.


IL GRANDE GATSBY

di Baz Luhrmann, Australia/USA, 2013

critica pubblico

Tratto dall’omonimo caposaldo della narrativa americana di Francis Scott Fitzgerald, il film racconta la storia dell’aspirante scrittore Nick Carraway. Lasciato il Midwest americano, arriva a New York nella primavera del 1922, un’epoca in cui regna la dubbia moralità, la musica jazz e la delinquenza. In cerca del suo personale American Dream, Nick si ritrova vicino di casa di un certo Jay Gatsby, un misterioso milionario a cui piace organizzare feste, e a sua cugina Daisy con l’amorevole nonché nobile marito. Nick viene catapultato nell’accattivante mondo dei ricconi stravaganti, un mondo fatto di illusioni, amori ed inganni. È la quinta volta che questo romanzo viene adattato per il cinema. Questa volta ci ha pensato il regista australiano Baz Luhrmann scegliendo inaspettatamente di girare in 3D. Leonardo DiCaprio era già stato da lui diretto in Romeo + Giulietta del 1996. Cast: Leonardo DiCaprio, Carey Mulligan, Tobey Maguire, Isla Fisher, Joel Edgerton, Jason Clarke

ONLY GOD FORGIVES

di Nicolas Winding Refn, Danimarca/Francia, 2013

Questo film è frutto dell’intesa tra Nicolas Winding Refn e Ryan Gosling che ha prodotto il grandioso Drive. Non poteva essere l’unica loro collaborazione e così il regista danese si è messo immediatamente al lavoro scrivendo questa storia. Gosling interpreta Julian, un grosso spacciatore di droga che gestisce una palestra di thai boxe a Bangkok come copertura. È rispettato nel mondo criminale locale, ma sente che gli manca qualcosa nella vita. Suo fratello uccide una prostituta e viene a sua volta ammazzato. La loro madre, a capo di una potente e pericolosa organizzazione, gli ordina di vendicare il fratello scatenando l’inferno in tutto il sottobosco criminale della città. Julian obbedisce ma le cose non vanno come previsto. Ciò che lo disturba maggiormente è sempre un equilibrio interiore che ancora non ha trovato. In concorso a Cannes. Il Cast: Ryan Gosling, Luke Evans, Kristin Scott Thomas, Vithaya Pansringarm, Yaya Ying

critica pubblico

FAST & FURIOUS 6 di Justin Lin, USA, 2013

critica pubblico

Da quando Dom, Brian e tutta la squadra hanno rovesciando l’impero di un boss di Rio portando a termine una rapina dal rispettabile bottino di 100 milioni di dollari, ognuno ha preso la propria strada in giro per il mondo. L’impossibilità di tornare a casa, però, e una vita perennemente in fuga hanno lasciato incomplete le loro esistenze. Nel frattempo, l’agente Hobbs deve sgominare una letale organizzazione di piloti mercenari che opera in dodici paesi. Il capo di questi criminali è aiutato da uno spietato secondo in comando che si è rivelato essere l’amore che Dom credeva morto: Letty. L’unico luogo dove fermarli è la strada, così Hobbs non ha altra scelta che chiedere a Dom di riassemblare la squadra e dirigersi a Londra. La ricompensa? Il perdono completo per tutti loro, in modo da poter tornare a casa con le loro famiglie. Sarà un successo e senza 3D. Il Cast: Vin Diesel, Paul Walker, Dwayne Johnson, Michelle Rodriguez, Jordana Brewster, Tyrese Gibson, Gina Carano, Luke Evans, Jason Statham, Elsa Pataky

onstage maggio 77


GAMES

a cura di Blueglue

Micro-reviews FAR CRY 3: BLOOD DRAGON (Xbox 360/PS3)

Il tamarro è sempre in voga, perché non è di moda mai: uno strepitoso tributo alle visioni futuristiche anni 80, con sparatorie terra-terra tra luci al neon e cyberpunk. #16bitsciencefiction #Glamtrash

DEADLY PREMONITION: THE DIRECTOR’S CUT

INJUSTICE

IL GIUSTO COMPROMESSO

(Ps3) Le surreali indagini dell’agente York alle prese con i misteri della cittadina di Greenvale si rifanno il trucco e approdano in veste HD sulla console di casa Sony. #Twinpeaks #Survivalvecchiascuola

ABILITà E DIVERTIMENTO in dosi uguali per un ottimo picchiaduro The Walking Dead

Produttore: NetherRealm Studios Genere: Picchiaduro Disponibile per: Xbox 360 / PS3 / WII / U

P

er cimentarsi con i picchiaduro non basta affidarsi al cosiddetto button mashing (la pressione frenetica e rapidissima dei tasti); occorre dedizione, freddezza, velocità ragionata, memoria e anche una buona dose di forward-thinking. Se però non si ambisce a diventare campioni assoluti, ci si può divertire anche con un paio di partite - soprattutto se il gioco non fa della tecnica rigorosa una condizione necessaria per riuscire a rifilare un paio di ceffoni ben piazzati senza soccombere miseramente sotto i colpi di avversari che non perdonano. Injustice - sviluppato da NetherRealm, studio responsabile del recente apprezzatissimo reboot di Mortal Kombat - cerca un compromesso tra abilità e divertimento, dando la giusta importanza sia all’aspetto puramente meccanico che a quello spettacolare, finendo per diventare dannatamente spassoso su più livelli. D’altronde avendo per le mani una licenza così prestigiosa sarebbe stato controproducente perdersi troppo nei tecnicismi; la rosa dei per-

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sonaggi (utilizzabili e non) è composta dai supereroi dei fumetti DC, particolare che sicuramente aiuta ad avvicinare un pubblico più vasto rispetto alla sola cerchia dei fan di Street Fighter e del già citato Mortal Kombat. C’è anche una trama (fatto piuttosto inconsueto nel genere) ad accompagnare la serie di combattimenti; la storia pensata per Injustice non rappresenta certo la trave portante del titolo, ma non è nemmeno banalissima e ogni tanto diventa funzionale all’equilibrio del gioco (picchiare per ore può diventare ripetitivo anche per i più incalliti). La varietà delle arene (unita a un ottimo livello di interazione con gli elementi ambientali) e la possibilità di sbloccare nuove missioni e battaglie extra rappresentano un incentivo a giocare e rigiocare la modalità single-player, solitamente poco entusiasmante nei fighting games; se invece siete alla ricerca di duelli online, sappiate che vi attende un minimo di applicazione per uscire trionfanti. In tutti i casi, il divertimento è assicurato.

(Xbox 360/PS3) L’attesissima versione retail che raccoglie i cinque episodi della serie è tra noi, per la felicità di chi ama i giochi in scatola e di chi non mastica l’inglese (evviva i sottotitoli). #Zombieadventure

DRAGON’S DOGMA: DARK ARISEN

(Xbox 360/PS3) A un anno dall’uscita dell’Action/Rpg di casa Capcom ecco una valida espansione, venduta sia separatamente che con il gioco originale. #Ritornoagransys #Reclutasipedine



HI-TECH

Benvenuta!

IL 22 APRILE È NATA ONSTAGE RADIO di Gianni Olfeni

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Avete mai ascoltato una digital radio che trasmette solo musica live? Anticipiamo la vostra risposta: no! Onstage Radio è il primo progetto radiofonico digitale interamente costruito intorno alla musica live. Cliccando play accederete al nostro mondo: i concerti. La selezione musicale, curata da Daniele Tognacca (Radio Deejay, Virgin Radio e altre nel suo curriculum), vi farà rivivere le emozioni dei grandi live di artisti italiani e internazionali 24 ore su 24. 80 onstage maggio

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Il player di Onstage Radio sarà naturalmente posizionato all’interno del sito di Onstage. Ma non solo: lo troverete anche in un ampio numero di siti partner (l’elenco completo nella sezione Radio del nostro sito). Insomma, lo troverete in Rete e potrete accedervi da qualunque dispositivo, fisso o mobile. Se invece volete ascoltare la nostra digital radio senza entrare in Internet, potete addirittura scaricare il Desktop Player sul vostro pc. Sarà ancora più semplice e immediato.

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Per facilitare l’accesso e migliorare l’ascolto in movimento, potrete scaricare l’app di Onstage Radio sui market place dei dispositivi Apple (App Store) e Android. L’interfaccia della nostra applicazione è semplice da fruire: ascoltare musica rigorosamente live, conoscere la programmazione e gli artisti proposti sarà semplicissimo. E se vorrete condividere l’ascolto con i vostri amici, basterà accedere alla radio con il profilo Facebook e sfruttare la funzione “Condividi”.



COMING SOON

JOVANOTTI

LA PRIMA VOLTA DI LORENZO di Tommaso Cazzorla

V

e lo ricordate Jovanotti sul palco del Festival di Sanremo nel 1989, giubbotto di jeans e cappello da cowboy? Avreste mai detto che un quarto di secolo dopo avrebbe riempito gli stadi? Si piazzò al quinto posto con la canzone Vasco (anche lui il prossimo mese impegnato in sette concerti negli stadi - guarda un po’ il destino!) ma da allora Jova è cambiato parecchio. Dalla svolta consciousness di L’albero del 1997, al più recente ritorno all’elettronica, Lorenzo ha dimostrato di non sapere proprio stare fermo. Nè sul palco dove salta e suda, nè in studio di registrazione dove è sempre stato pronto a contaminarsi. La sua irrefrenabile voglia di fare lo ha portato anche a scavalcare l’Atlantico e approdare negli Stati Uniti per mettersi di nuovo alla prova. I suoi live nel Nuovo Mondo infatti non sono stati i classici “concerti per Italiani all’estero” come molto spesso succede ai suoi compatrioti che mettono il naso fuori dalle

nostre quattro mura. Al contrario, è andato a riscoprire la dimensione club e a rapportarsi con un pubblico sconosciuto, da conquistare brano dopo brano, noncurante della differenza linguistica. Fino ad essere tra i pochissimi Italiani ad esibirsi al South By Southwest di Austin, festival cardine per l’industria musicale americana. Suona come una celebrazione il suo primo trionfale tour negli stadi nostrani: si parte da Ancona il 7 maggio e si termina a fine luglio a Cagliari. Nel mezzo, 13 date sparse un po’ per tutta la penisola, di cui due allo stadio San Siro di Milano (la prima sold-out). Un tour che arriva quando il suo successo è più che mai consolidato e resta solo da festeggiare. E l’intenzione sembra proprio quella di trasformare ogni concerto in una gigantesca festa, in cui gli invitati/spettatori potranno godere non solo della musica di Lorenzo, ma anche di quella che a lui piace. Jova ha voluto infatti che ad aprire i live ci fossero, a seconda della data, Il Cile, i Tre Allegri Ragazzi Morti e Clementino oltre che i djset di Benny Benassi, Pink is Punk, Ralf, Congorock, Claudio Coccoluto, Nari, Spiller, Riva Starr e Donati&Amato. Questi ultimi inviti sembrano non solo un modo per valorizzare la musica dance made in Italy, ma anche di non dimenticare da dove tutto questo è cominciato.

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CALENDARIO CONCERTI Carroponte Milano 15/06 Neffa 18/06 Roy Paci e Corleone 22/06 Lo Stato Sociale 27/06 Thony 28/06 Criminal Jockers

Sonisphere Milano 08/06 Iron Maiden e Megadeth Rock In Roma 05/06 Green Day 11/06 The Killers 21/06 Toto 25/06 Korn City Sound Milano 10/06 Paramore 11/06 FUN. 12/06 The Killers 14/06 Mario Biondi 20/06 Toto 24/06 Korn Ferrara Sotto Le Stelle 12/06 FUN. 28/06 Baustelle Sherwood Festival Padova 14/06 Marta sui Tubi 16/06 NoFx Green Day 06/06 Bologna

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Fabri Fibra 08/06 Reggio Emilia Vasco Rossi 09/06 Torino 10/06 Torino 14/06 Torino 15/06 Torino 22/06 Bologna 23/06 Bologna 26/06 Bologna Alicia Keys 19/06 Torino Eros Ramazzotti 21/06 Roma Limp Bizkit 20/06 Roma 21/06 Milano Bon Jovi 29/06 Milano Bruce Springsteen 03/06 Milano Kiss 17/06 Udine 18/06 Milano Muse 26/06 Torino 29/06 Torino Zucchero 24/06 Milano 25/06 Torino 26/06 Firenze 28/06 Padova 29/06 Rimini




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