Intervista a Roger Schank

Page 1

Siamo con Roger Schank - ex professore di psicologia e informatica all’Università di Yale e direttore del progetto sull’intelligenza artificiale - oggi presidente di Socratic Arts. D: Le sue pubblicazioni degli anni Novanta sono ancora molto attuali. Ad esempio, in “Engine for Education” del 1995, parla di forme naturali di apprendimento. Ce le descrive? R: La scuola non è l’unico luogo deputato all’apprendimento, perché s’incomincia ad apprendere fin dalla nascita. In qualsiasi ragazzo, l’apprendimento avviene in maniera naturale e si attiva facendo un'attività, sperimentandola di persona, come per esempio imparare a guidare una macchina. Se poi ho come obiettivo quello di apprendere questa cosa, posso sempre farmi aiutare da persone più esperte di me e che quella cosa sanno già farla. La scuola procede invece con un metodo d’insegnamento diverso e questo perché non garantisce un rapporto diretto tra insegnante e discente, giacché nei nostri paesi si ammette che un docente universitario abbia 500 alunni da seguire, e un professore perfino 30.

D: C’è chi è convinto che i test scolastici preparino i giovani alle sfide che dovranno poi affrontare nella vita. R: Ma tu sei così convinto che nella vita pratica ti aspettino questi test da superare!? In America c’è tutta una serie di valutazioni, verifiche, test continui, ma la situazione che si configura a scuola non rispecchia affatto quella che trovi nella vita reale. Essere bravo a scuola, eccellere in una disciplina, non significa di conseguenza riuscire a cavarsela nella vita, perché a scuola sviluppi abilità che molto spesso non ti servono nella vita di tutti i giorni. Durante la rivoluzione industriale dell’800, si ricercavano operai specializzati in certi campi e si faceva far loro lavori ripetitivi con la convinzione che avrebbero imparato al meglio a svolgere quei compiti e che si sarebbero perfezionati. Si è invece capito in seguito che variando il lavoro e portando gli operai a provare interesse per quello che stavano facendo, erano più produttivi. Per un apprendimento significativo è necessario l’interesse e la curiosità. D: Lei dunque pensa che con questo modo nuovo d’insegnare si possa migliorare anche la società? R: Certo. In America si sono succeduti numerosi presidenti…perché preferiamo avere persone che non sono in grado di prendere decisioni, incapaci di pensare. La politica è fatta di talk show, con politici che hanno come unico obiettivo il proprio tornaconto, che si perdono in litigi stupidi, anziché parlare di problemi seri che affliggono la nazione.


D: Il vero problema è forse che non si educano più i cittadini a sviluppare uno spirito critico, non si insegna più a pensare con la propria testa, e tutto questo magari si riflette in politica. R: Fortunatamente Obama sta puntando molto su questo concetto, per cercare di migliorare la situazione. Una volta, mi è capitato di ascoltare un’intervista fatta ad un Ministro dell’educazione italiano il quale si compiaceva del fatto che in base ai test nazionali il livello di preparazione degli alunni italiani risultasse molto buono. Ma non capisco questa sua soddisfazione, visto che il livello culturale di un paese è dato dalla Ricerca scientifica e l’Italia è agli ultimi posti in questo settore. E difatti questo Ministro subito dopo lamentò il fatto che in Italia mancassero laboratori per fare ricerca. Il problema, in ogni caso, è che in molti paesi è soltanto l’1% della popolazione che alla fine diventa ricercatore. Dobbiamo invece creare degli strumenti e dei luoghi di apprendimento affinché in futuro qualsiasi cittadino possa fare ricerca. Bisognerebbe fare in modo che già nel bambino si formasse uno spirito capace di criticare e fare ricerca. D: Lei propende molto per un’educazione fatta per scoperta, attraverso la sperimentazione. Potrà mai esistere una scuola senza voti, dove gli alunni trovano in se stessi la motivazione per studiare? R: Ad un convegno tutti mi chiesero in che modo si potesse cambiare il nostro modo di apprendere e insegnare. Ma la questione, posta in questi termini, lascia intendere che ci siano due modi opposti di apprendere e insegnare. Se anche fosse, che problemi ci sono?! Usiamoli entrambi! Il genitore o professore devono lasciare libero il bambino di scoprire da solo il mondo, ma dall’altro lato devono anche aiutarlo ad affrontare certe esperienze rispondendo alle sue curiosità e dando consigli, senza forzare il suo percorso. Ecco quello che deve fare la scuola: una scuola basata sulle scelte, dove gli alunni sono liberi di scegliere i campi di studio per i quali provano più interesse e dai quali partire per guidare i ragazzi alla scoperta delle altre discipline, e senza bisogno di utilizzare i voti, ma cercando soltanto di far emergere i loro talenti e le cose per le quali dimostrano maggior propensione. D: Quindi un apprendimento libero… R: Sì, ma sempre sotto la guida del professore che, senza bisogno di valutare il percorso del ragazzo, lo guida verso la realizzazione di un progetto e se anche il risultato finale dovesse essere pessimo, basterà fare in modo che il bambino confronti il suo elaborato con quello dei compagni, per fargli così capire dove sono gli eventuali errori e come può eliminarli. D: Il ruolo dell’insegnante è dunque quello di essere una guida? R: Sì, mentre troppo spesso si crede che un insegnante debba essere un giudice oppure un esperto nel suo campo. E lo stesso ragazzo, se crede che un professore possa essere il massimo esperto di una disciplina, parte già col piede sbagliato, perché nessuno potrà sapere veramente tutto di quella disciplina.


Quando poi un insegnante fa il giudice, s’istaura il meccanismo per cui lo studente si impegna unicamente per ottenere un buon voto o per compiacere il professore. In questo caso non avrà un apprendimento significativo, perché la finalità con cui studia è sbagliata. Bisogna studiare per il gusto di conoscere nuove cose. D: E qual è il ruolo delle nuove tecnologie e dei social network nell’insegnamento? R: Negli anni Sessanta, John Dewey aveva istituito una scuola a Chicago, una scuola-laboratorio che esiste ancora e che si è oggi arricchita dell’Università, basata sull’learning by doing (imparare facendo). Tuttavia, tutto ciò che di bello e innovativo era stato creato da John, è rimasto confinato a Chicago per 40 anni perché John non aveva il potere della Rete per diffondere i suoi progetti nel mondo. Adesso io sto costruendo dei Curriculum di studi per gli studenti, mediante proposte che mi arrivano da esperti di tutto il mondo, perché grazie ad Internet ho la possibilità di sperimentare questo curriculum in qualsiasi posto del mondo e posso poi confrontare i risultati per migliorarlo. Pertanto in futuro, se uno studente italiano non amasse il sistema scolastico del suo paese e volesse per ipotesi frequentare virtualmente la scuola americana, potrebbe farlo. D: Con questo nuovo metodo d’insegnamento basato sul fare e sui propri interessi, non c’è il rischio di far perdere all’individuo informazioni che potrebbero comunque essergli utili nella vita? R: Ma quali sono le cose che tu non utilizzi e che in ogni caso potrebbero esserti utili? Trenta anni fa io ad esempio parlavo Italiano, ma l’esperienza della vita mi ha portato ad utilizzarlo pochissimo e questa mia conoscenza non l’ho affinita ed esercitata e quindi l’ho persa. Ma tutto questo non costituisce per me un problema, perché se non utilizzo questo codice linguistico significa che non mi serve. Sforzarsi di apprendere un qualcosa che poi utilizzerai pochissimo, è una grande perdita di tempo e di energie. È per questo che nessuno studente dovrebbe imparare cose che non possono poi essere ricondotte ad una competenza richiesta nella vita. Se uno riflettesse attentamente su ciò che fa tutti i giorni, su quali sono le azioni o le attività che ripete con più frequenza, e s’impegnasse a farle sempre meglio, la qualità della sua vita aumenterebbe. Dovrebbe poi analizzare ciò che non è andato bene, anche le cose più banali, per poi cercare di correggerne i difetti. Quest’attività andrebbe stimolata nei ragazzi a scuola. D: È molto interessante, ma concretamente, come si può dare vita ad una scuola basata su questi concetti? R: Non si può, perché ci sono forze governative che ostacolano il cambiamento. Anche se gli esperti del settore educativo suggerissero cosa si deve fare per migliorare, chi governa non ascolta. Già Petronio, 2000 anni fa, sosteneva che la scuola formava gente incapace di affrontare la vita, perché insegnava loro la teoria senza il supporto della pratica. Anche lui non era ascoltato. Oggi giorno, non soltanto i dettami di pedagogisti ed educatori non vengono messi in pratica, ma sono volontariamente rafforzati i concetti opposti e questo accade perché ci sono forti interessi economici.


I libri scolastici, ad esempio, sono un businnes da milioni di euro, e ci sono anche delle lobby che hanno il monopolio dei test per la selezione dei candidati. E a nessuno interessa cambiare questo sistema. D: Ci parla della sua “Carta dei diritti dello studente” (The Student Bill of Rights)? R: Non mi ricordo molto…perché è una cosa che ho trattato quasi venti anni fa. Non mi ricordo neppure quello che ho fatto la settimana scorsa! Eheheheh! Ogni studente ha i suoi diritti, e il suo maggior diritto è che deve avere un proprio spazio di apprendimento. La scuola dovrebbe funzionare in maniera diversa. All’interno della scuola non soltanto ti dicono cosa devi e cosa non devi fare, ma attraverso i compiti, ti organizzano perfino la vita fuori. D: La tipologia di scuola prospetta da te, sarebbe sicuramente apprezzabile da parte degli studenti… R: Certo, ma non è realizzabile al momento. Per come è impostato il sistema, gli insegnanti non possono fare granché. Si dovrebbero lasciare più liberi gli studenti di coltivare le proprie attitudini e l’insegnante dovrebbe piegare il sistema in questa direzione, ma da solo non ce la può fare. E tutta la vita scorre in questo modo. Per l’intero corso della vita, l’individuo finisce per fare ciò che gli viene dettato di fare, per compiacere gli altri e la società, anziché fare quello che più desidera e che potrebbe recargli soddisfazione. E tutto questo genera scontentezza, la non realizzazione personale sfocia talvolta in atti di violenza. Ho provato ad insegnare alle persone a seguire la loro vocazione, ma molto spesso c’erano i genitori ad ostacolare questo cammino, perché evidentemente avevano altre aspettative per i propri figli. E allora, se il sistema non può essere modificato, dobbiamo comunque trovare delle strade alternative. D: Ma se questi problemi sono così importanti, andrebbero riportati a coloro che hanno i mezzi per modificare questa situazione! R: Certo, ma sarebbe tutto semplice e risolvibile se ai politici interessasse qualcosa dell’educazione di un paese! Ho fatto convegni per tutto il mondo, e l’unica persona che mi ha ascoltato e ha poi cercato di mettere in pratica certe cose per cambiare in meglio l’educazione del proprio paese, è stato il ministro del Pakistan, e questo accade perché lì il sistema educativo non si è ancora sviluppato e accolgono di buon grado dei consigli in merito. Ma dove questo sistema già esiste, non accettano cambiamenti di sorta. D: Certo che stai dipengendo una situazione generale molto fosca! R: Sì, ma ora ti enuncio una possibile soluzione al problema. Se ai politici non interessa dell’educazione, agli insegnanti, genitori e ragazzi invece sì, perché costoro si sentono frustati per la situazione scolastica attuale, e quindi è a loro che bisogna rivolgerci. È per questo che sto costruendo dei Centri alternativi di apprendimento, uno per ogni grado di scuola, dove i ragazzi


potranno apprendere le materie di studio attraverso una didattica innovativa e diversa da quella della scuola tradizionale. D: Cosa dovrebbe fare un professore per essere utile ai suoi studenti? R: Fare da guida, come abbiamo già detto, lasciando liberi i suoi alunni di apprendere e coltivare le proprie attitudini. Sono in molti a chiedermi qual è la cosa migliore che un insegnante potrebbe dire ai suoi studenti. Secondo me dobbiamo dire loro di avere fiducia in se stessi, di credere in quello che fanno, e genitori ed insegnanti devono cooperare in questo. D: In molte occasioni anche i genitori andrebbero indirizzati per far capire bene loro che ruolo occupano all’interno della scuola… R: Devono capire cosa è fondamentale che trasmettano ai propri figli e in che modo possono essere d’aiuto all’insegnante. È importante che il genitore capisca cosa è più importante per il ragazzo, come sapere scrivere e parlare bene, comportarsi con educazione…E poi mettere i figli nella condizione di mettere alla prova queste loro capacità. Parlare sempre con i propri figli. Creare un rapporto per cui i figli si sentano capiti, perché un genitore deve essere capace di ascoltarli e i figli si devono sentire liberi di confidarsi. Ti ringraziamo tanto Roger per la tua disponibilità. Avevamo tante domande per te, ma poi abbiam finito per parlare di tantissime cose diverse, ma molto interessanti. Grazie e a presto! Grazie a voi!

DIRITTI D’AUTORE


Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.