Poelela magazine n7 hd

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ANNO IV N째 007/2014 13 dicembre 2014

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MOZAMBICO Spiagge incontaminate, terra di boa gente


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INDICE

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NON UN RACCONTO DI VIAGGIO…

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TIMBILA, LA MUSICA DEI CHOPI pag.

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di Gianluca Massera.

di Luca Galuppini.

“Si possono percorrere milioni di chilometri in una sola vita senza mai scalfire la superficie dei luoghi né imparare nulla dalle genti appena sfiorate.

I Chopi sono una delle popolazioni che compongono il ricchissimo mosaico etnico del Mozambico. Abitano la regione di Inhambane, nel sud del paese, il cui centro culturale è la città di Quissico (Zavala, in lingua locale).

Il senso del viaggio sta nel fermarsi ad ascoltare chiunque abbia una storia da raccontare, camminando si apprende la vita, camminando si conoscono le cose, camminando si sanano le XIPAMANINE

pag.

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Qui si tiene ogni anno, ad Agosto, il Timbila festival (M’saho), la più XIV BIENNALE DI ARCHITTETTURA pag. 56

di Elena Del Becaro.

di Fernando Buzi.

Alla fine del lungo viale Edoardo Mondlane, uno degli assi viari principali della città di Maputo, si trova uno straordinario mercato che, assieme a quello di tutt’altro genere del pesce, vi consiglio assolutamente di visitare. Sto parlando del Mercado de Xipamanine: il più grande e caotico

Si è conclusa domenica, 23 Novembre, la XIV edizione della Biennale di Architettura di Venezia, una mostra internazionale che serve sia per generare dibattiti su temi relazionati all’esercizio della professione e al suo impatto sulla società, che per esporre opere realizzate dai grandi nomi dell’ar-

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INDICE

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IL DISADJUNGIRA MADALA pag. IL MATRIMONIO SAMATENJE DI II parte

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- “ S e n h o r, l ’ e l i c o t t e r o è rosso.”- dice Roberto il guardiaparco. -“Lo so …”- mormora l’uomo pensieroso mentre osserva le larghe bande color porpora dipinte sulla grossa libellula d’acciaio.

di Gianni Bauce.

O VIVEIRO

pag. 6

di Emanuela Bonavolta.

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O Viveiro è un centro di formazione e sviluppo, che si trova a Chitima, nella Provincia di Tete, in Mozambico, realizzato grazie alla collaborazione tra O Viveiro Onlus Italia e l’omologa associazione mozambicana.

POELELA MAGAZINE Numero 7 Anno IV dicembre 2014 Direttore Nunzio De Nigris Capo Redattore Laura Giampaolo Hanno partecipato a questo numero Gianni Bauce, Emanuela Bonavolta, Elena Del Becaro, Fernando Buzzi, Nunzio De Nigris, Luca Galuppini, Laura Giampaolo, Mira Gianturco, Gianluca Massera, Claudia Moreschi Fotografie di ArchiMoz, Gianni Bauce, Elena Del Becaro, Nunzio De Nigris, Mira Gianturco, France-

FUORI DAL MONDO A MURREBUÉ

pag.

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Murrebuè, un puntino minuscolo in mezzo al nulla, dall'alto si vedono solo palme e spiaggia. Nient'altro. Solo il blu del mare, il giallo della spiaggia intervallato qua e là

sca Guazzo, Gianluca Massera, Claudia Moreschi, Stefano Pesarelli, Werner Puntigam In copertina

di Chiara Moreschi.

RUBRICHE

EDITORIALE

pag. 6

WILDLIFE AROUND THE LAKE

pag. 64

CAMMINANDO INSIEME

pag. 70

ECONOMIA

pag. 76

PORTFOLIO di Gianluca Massera

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Ilha de Mocambique Stefano Pesarelli

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Discover Mozambique with us

Lagoa Poelela 5


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editoriale

di Nunzio De Nigris

Questo nuovo numero di Poelela Magazine esce con un po’ di ritardo! Abbiamo voluto regalare ai nostri “followers” un numero davvero speciale, più ricco, in occasione del prossimo Natale. Oltre 100 pagine di racconti, curiosità, approfondimenti e fotografie si arricchiscono di una nuova rubrica di economia nella quale proviamo a descrivere il grande boom economico che sta investendo il Mozambico. E ancora… ampio spazio ai racconti dei viaggiatori. In questo numero Gianluca e Giovanna abbandonano i confort accidentali per attraversare il Mozambico da sud a nord con mezzi locali e di fortuna, perché

la ragione stessa del viaggio é viaggiare (cit. Ivano Fossati). Siamo molto felici nel constatare che aumenta l’interesse nei confronti del nostro amato Mozambico, il numero di lettori e collaboratori del nostro magazine cresce ad ogni nuovo numero. Un ringraziamento davvero speciale a tutti Buone Feste e felicitá per un fantastico 2015 da Laura, Nunzio e i collaboratori tutti di Poelela Magazine.

Ate ja

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Non un racconto di viaggio, provo a raccontarvi le emozioni di Gianluca Massera

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Foto di GIANLUCA MASSERA

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POELELAMAGAZINE 13 dicembre 2014 Foto di Gianluca Massera

“Si possono percorrere milioni di chilometri in una sola vita senza mai scalfire la superficie dei luoghi nĂŠ imparare nulla dalle genti appena sfiorate. Il senso del viaggio sta nel fermarsi ad ascoltare chiunque abbia una storia da raccontare, camminando si apprende la vita, camminando si conoscono le cose, camminando si sanano le ferite del giorno prima‌ cammina guardando una stella, ascoltando una voce, seguen-

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do le orme di altri passi… cammina cercando la vita curando le ferite lasciate dai dolori. Niente può cancellare il ricordo del cammino percorso.. ”. (Rubén Blades) Così nasce l’idea di questo viaggio, scorrendo foto, coltivando il desiderio di raggiungere una terra incontaminata, lontana dai classici viaggi e dal turismo di massa. L’organizzazione è snella e veloce come sempre, una lettura a qualche racconto di viaggio, volo, visto e prima notte prenotata. Nella testa l’idea di percorrere tutto il Mozambico da Nord a Sud con mezzi pubblici, ambizioso, forse troppo, ma vale la pena provare.

Malpensa, 7 agosto la partenza, l’emozione si mischia ai tanti dubbi e ai tanti interrogativi, l’idea di un itinerario e uno zaino pieno di sogni. “Non seguire il sentiero già segnato; va invece, dove non vi è alcun sentiero, e lascia una traccia” (S.Bambaren). Maputo, 8 agosto è mattina presto, la città è già viva, nelle strade, nei mercati, centinaia di persone che camminano, lavorano, vendono qualsiasi cosa possa avere un prezzo.. incroci i primi sguardi e riempi i polmoni di aria, di libertà. Poi la visita della città che si protrae per tutta la giornata, guida alla mano, seguendo “il percorso consigliato”, passando per il lungo

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Foto di GIANLUCA MASSERA

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mare, fino alla stazione ferroviaria e alla Placa da Independencia. Come non scordare il simpatico muratore portoghese, il finto poliziotto dell’aeroporto o il giovane diventato “guida turistica” per l’occasione. I primi volti di questa terra. La prima cena mozambicana è anche l’occasione per conoscere di persona Nunzio e Laura, la loro esperienza ed il loro sogno di trasferirsi in Mozambico. La luce nei loro occhi è il miglior augurio per questo viaggio appena iniziato. Un saluto resta sospeso nell'aria “a presto”… Pemba, 9 agosto, con volo da Maputo in un paio d’ore il paesaggio cambia completa-

mente. Le case fatiscenti a ridosso dei grattaceli super moderni hanno lasciato il posto a villaggi e ad un piccolo paesino appoggiato alla spiaggia. A Pemba non c’è praticamente nulla per cui valga la pena fermarsi ma è tappa obbligata per chi vuole visitare il nord. Ci sono poche strutture, tutte carissime e una lunga striscia di sabbia a Praia de Wimbi dove potersi concedere una bella passeggiata. Un dolce ricordo, una canzone cantata tra i sorrisi immensi di una banda di bambini. È il 10 agosto, sveglia alle ore 3.30 e rapido trasferimento alla stazione dei bus, il chapa diretto a Quissanga e Tandanhanque parte in-

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torno alle ore 5.00. È ancora buio, la stazione è affollata, nessuno che parli inglese ma provate a chiedere un’informazione a questa gente. Troverete persone disposte ad aiutarvi, a darvi un’indicazione, un consiglio, magari non come te lo aspetti, magari completamente fuori rotta perché nel loro disordine quotidiano noi fatichiamo ad entrare, la comunicazione non è certo agevole ma ci sarà sempre un sorriso ad attendervi. Il viaggio dura 5 ore in uno spazio vitale risicato, le soste nei villaggi a caricare gente e ogni tipo di bagaglio son anche l’occasione per sgranchire le gambe e cogliere lo sguardo curioso dei passanti. Qualche chilometro dopo il bivio per Quissanga si arriva a Tandanhanque, in una brutta spiaggetta di fronte ad una piccola insenatura. Il dhow diretto all’isola di Ibo è arenato nella sabbia in attesa che si alzi la marea per partire. Foto di Gianluca Massera

Ibo Island, è primo pomeriggio, il sole è alto e caldo, gli zaini sulle

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POELELAMAGAZINE 13 dicembre 2014 Foto di Gianluca Massera

spalle, la stanchezza, la fame e la sistemazione da trovare, il primo impatto è un po’ duro. Ibo è il punto di partenza per le navigazioni verso l’arcipelago delle Quirimbas, a prima vista pare deserta, quasi inanimata. Per le vie del paese solo sabbia, case abbandonate con i muri corrosi dalla salsedine e sciami di bambini che si rincorrono e giocano. Ci sono pochissime strutture su questa isola, tra quelle già piene e quelle chiuse, non è per nulla facile trovare una sistemazione. Approdiamo al Cafè do Ibo, una casetta di proprietà di una famiglia africana, sistemazione semplice ma accogliente, economica se confrontata alle altre, diciamo che è perfetta. Incontri sul cammino… il gestore del Miti Miwiri che ben presto diventa il punto di riferimento per organizzare le escursioni e la cena, la carinissima Lucie del Baobibo disponibilissima per ogni necessità, le giovani guide locali sempre sorridenti e abituate

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ad aver a che fare coi turisti.

Foto di Gianluca Massera

Arcipelago delle Quirimbas, 11 agosto, la prima escursione in dhow. Colazione con uovo e patatine fritte (!!!) e poi via, il ritrovo è alle 8.00, quando la marea è perfetta per partire. Non ci vuole tanto per capire che qui tutto si muove in funzione delle maree. L’escursione prevede tre tappe, una nuotata con i delfini in uno stretto tra due isolotti, lo snorkeling attorno ad una grande nave che giace sul fondo del mare ed una terza sosta in una meravigliosa lingua di sabbia in mezzo all'oceano. Il giro merita assolutamente ma occorre dotarsi di pinne perché le correnti sono spesso forti, e nuotare in queste acque potrebbe esser molto difficoltoso. Al ritorno a Ibo, c’è il tempo giusto per una passeggiata e per organizzare il giorno successivo. Il Miti Miwiri è anche un ottimo centro per incontrare persone, viaggiatori con cui condividere un’espe-

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Foto di GIANLUCA MASSERA

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POELELAMAGAZINE 13 dicembre 2014 Foto di Gianluca Massera

non sanno raccontare. Il marinaio getta l’ancora sulle bianche sabbie dell’isola di Rolas, popolata solo da qualche decina di pescatori ed una moltitudine di granchi giganti. Tutt’attorno solo banchi di coralli e conchiglie. È solo una tappa, prima di spostarsi sull’isola di Matemo poco più in là. Per dormire sull’isola l’unica sistemazione disponibile sono alcune capanne di makuti sulla spiaggia. L’isola un tempo aveva anche un Resort di lusso ora chiuso. Qui c’è un piccolo villaggio con un piccolo negozietto e null’altro ma che può servire di piú? Questo è un paradiso! Incontri il carpentiere che riparando lo scafo del suo dhow ti sorride e ti chiede una foto, la signora sulla spiaggia che spacca coralli per ricavarne il carbonato di calcio per fare mattoni, i bambini e le donne. Un pescatore si occupa della cena rigorosamente a base di pesce, riso

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frutta e verdura, poi c’é solo il rumore del mare, la marea, la notte buia con le sue stelle. Ma non è tutto qui, al largo dell’isola è possibile fare snorkeling tra distese di coralli incontaminati che dal fondo del mare si protendono fino a sfiorare la superficie, quasi a voler rubare il colore ai raggi del sole. “...Perché non c’è un luogo perfetto, ma alla fine c’è solo un posto dove l’anima trova pace.” Troppo bello per trovare le parole giuste per raccontarlo, se fino a questo momento il mare ed i suoi colori avevano dell’incredibile questa

tappa supera di gran lunga tutte le altre. La riflessione è d’obbligo, l'uomo distrugge tutto, chissà fino a quando queste meraviglie resisteranno, forse fino a quando la barca di qualche turista non le distruggerà passandoci sopra incurante del danno creato oppure fino a quando qualcuno spezzerà l’incanto con una pinna per distrazione o per portare a casa un souvenir con milioni di anni di storia. On the road, 14 agosto, la sveglia alle ore 4.00! Il viaggio porta ora a raggiungere Ilha de Mocambique, ma dalle Quirimbas a meno che non abbiate un mezzo privato è necessario fermarsi una notte a Pemba spezzando in due

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Foto di GIANLUCA MASSERA

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POELELAMAGAZINE 13 dicembre 2014 Foto di Gianluca Massera

il trasferimento, almeno così dicono tutti. La verità è che è possibile farlo anche in giornata facendo un buon mix di mezzi di trasporto, ma occorre una buona resistenza! La prima parte del trasferimento è gestita con trasporti privati, indispensabili per superare velocemente il tratto di strada fino alla N1 su cui prendere qualche mezzo pubblico. Il Miti Miwiri organizza trasferimenti da Ibo a Pemba, la verità è che non serve arrivare a Pemba. Si parte alle 5.00, è l’alba, una meravigliosa alba, ritmata dal solito lento navigare perso a rimirare il sole che sorge proprio dietro le decadenti case di Ibo. In poco meno di un’ora si è nuovamente a Tandanhanque, dove un autista è già lí in attesa. Il trasferimento privato è costoso ma permette di arrivare velocemente in un paesino sul crusamento che dalla N1 porta a Pemba e da dove è possibile prendere un mezzo di trasporto diretto a sud (non ricordo purtroppo il

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della località). L’attesa è breve, giusto 10 minuti dopo si ferma un carro diretto a Namialo, il cassone è molto meglio del chapa, forse perché sei all’aperto e non al chiuso schiacciato come una sardina e forse perché ad ogni sosta nei villaggi riesci a cogliere qualche vero assaggio di vita quotidiana. Occorrono quasi 5 ore per arrivare a Namialo, da qui partono i chapas diretti a Ilha (via Monapo). Nel tardo pomeriggio, quando il sole è ormai tramontato il chapa attraversa il lungo ponte che collega Ilha alla terra ferma. Ilha vive in un’atmosfera magica, qui la guerra civile non ha mai messo piede, qui vi troverete catapultati in una dimensione tutta nuova.

Foto di Gianluca Massera

Ilha de Mocambique, 15 agosto, dopo il lungo trasferimento del giorno prima, serve un giorno di relax persi a passeggiare per Ilha e a contrattare un’escursione per il giorno successivo nelle isole vicine. Ilha ti

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Foto di GIANLUCA MASSERA

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rimane nel cuore! Passeggiando da Stone Town a Makuti Town, con il solo onere di scattar qualche foto per poi fermarsi a bere un birra sulla spiaggia nei pressi del forte attendendo il tramonto. Ilha de Mocambique, 16 agosto, alle 8,00 come concordato il giorno precedente, si parte per un tour che prevede una prima tappa all’isola di Goa e la visita del faro. Goa è bellissima, meriterebbe un giorno intero di contemplazione restando sdraiati sulle bianchissime spiagge di quest’isoletta. Ma il tempo strige, il viaggio verso sud deve riprendere quindi non resta che concentrare in un giorno più isolette,

dopo Goa è il turno di Sete Paus, anch’essa bellissima, solo un po’ più affollata della precedente. Nel primo pomeriggio dopo un’ora di navigazione si raggiunge la spiaggia di Cabaceira Pequenha impreziosita da una bellissima laguna dove è possibile fare snorkelling e vedere una miriade di pesci bellissimi (tra cui i tantissimi pesci scorpione). Il dolce riposo sotto il sole con il sapore del sale sulla pelle dura abbastanza recuperare le forze prima di riprendere il cammino a piedi tra le mangrovie, per raggiungere il villaggio dei pescatori dove il dhow ci attende per rientrare a Ilha. “..se impari la strada a memoria non troverai

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certo granchè, se invece smarrisci la rotta il mondo è li tutto per te…” (Il viaggiatore)

Foto di Gianluca Massera

On the road, 17 agosto, il tour del nord è finito. Da oggi inizia il lungo avvicinamento alle spiagge del sud. Partenza al mattino presto con chapa diretto a Nampula. Volo LAM e arrivo a Beira nel primo pomeriggio. Beira è una città piuttosto sporca, bruttina che non trasmette il senso di sicurezza percepito nelle altre località. Per di più è molto cara e con pochissime strutture per turisti. Purtroppo arriva anche la prima vera grana. I bus Express per Vilanculos sono al completo, l'unica alternativa per scappare da questa città è prendere un "Old bus" diretto a Maputo e scendere a Pangane. Non resta un ricordo della città solo il volto del gentilissimo signore zambiano che si è fatto in quattro per trovare un bus e del Peter Pan olandese incontrato in birreria. Le loro

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parole sono state di sostegno oltre che di grande aiuto! “Di tutti i poeti e i pazzi, che abbiamo incontrato per strada ho tenuto una faccia o un nome, una lacrima o qualche risata". (Modena City Ramblers) On the road, 18 agosto, la sveglia suona alle 4.00! Il pullman partirà in ritardo ma l'importante è non sprecare altro tempo. Col senno di poi era molto meglio volare direttamente fino a Maputo ed arrivare a Vilanculos con un volo o tramite qualche autobus, evitando Beira che oltretutto è famosa per esser la città con il più

alto tasso di rischio malarico e sto pullman è infestato da zanzare! Il viaggio verso Vilanculos è lento e le soste sono tantissime ma nei villaggi è sempre possibile fare acquisti di artigianato locale, parlare con la gente, in fondo dai, non è stato nemmeno tutto sbagliato. Scendendo a Pambarra, sulla N1, allo svincolo per Vilanculos è possibile trovare qualche chapas in partenza per la località marina. Vilanculos è una cittadina un po’ spenta e dove non c’è veramente nulla, piena di turisti, di cui molti italiani, tutti diretti verso l’arcipelago di Bazaruto. C’è molta differenza con il nord, meno battuto e più incontaminato. Sistemazione al

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Baobab backpackers, gestito da Marina, italiana molto brava e disponibile.

Foto di Gianluca Massera

Magaruque island, 19 agosto, sveglia di buon mattino e via per la prima escursione verso la prima isola dell’arcipelago di Bazaruto, in dhow, come sempre. L’isola è splendida, in circa tre ore è possibile fare il giro completo di tutta l’isola a piedi. Il pranzo viene preparato dai ragazzi dell’equipaggio che grigliano il pesce e il pollo direttamente sulla barca. Tutto squisito, in puro stile occidentale, seduti comodamente su una spiaggia incantata. Non a caso queste isole sono meta di tante lune di miele. Se capitate da queste parti non mancate di provare una cena dalla Leopoldina, un piccola baracca sulla strada sterrata poco fuori dal Baobab, gestita da una ragazza locale e dal marito disabile. La location è semplice e spartana ma si mangia una paella squisita, piena di riso

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con granchi giganti, verdure e calamari. Una delle migliori cene Mozambicane. Arcipelago de Bazaruto, 20 agosto, giornata di escursioni, navigando tra le isole di Benguerra e Bazaruto. Il tour è organizzato da un'altra struttura, l’Odissea Dive che si trova a un centinaio di metri dal Baobab lungo la spiaggia. Si parte con gommone condiviso con una ventina di altri turisti, per lo più americani, tutti equipaggiati con mute, pinne e maschere. Le immersioni nello splendido reef poco al largo dell’isola di Benguerra, la barriera corallina e la ricchezza di pesci è incredibile. Pic-nic sull'isola di Bazaruto, la più importante dell’arcipela-

go, dove il pomeriggio vola via rilassandosi al sole o passeggiando tra le enormi dune di sabbia di questo piccolo angolo di paradiso. Prima di salutare queste meravigliose isole un pensiero passa per la testa. Le differenze tra le escursioni nel nord, improvvisate e quasi disorganizzate dove paghi la barca, indipendentemente da quante persone ci sono, al sud, dove trovi pure i biscotti ad attenderti al ritorno, il tavolino per il pranzo e la gita può essere anche organizzata in gommone anziché in dhow. Anche la differenza di temperatura non è indifferente, tra il Nord e il Sud del Paese ballano diversi gradi ed in agosto, nel pieno della

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stagione invernale, non è cosa da poco.

Foto di Gianluca Massera

On the road, 21 agosto, la destinazione di oggi è Tofo, per una volta non occorre far le cose di corsa, ci sono chapas in partenza a tutte le ore quindi perché non godersi la colazione guardando l’oceano con tutta calma, e poi in tarda mattinata dirigersi verso la stazione dei chapas per prenderne uno diretto verso Maxixe? Arrivati a Maxixe a piedi si raggiunge la stazione dei traghetti per imbarcarsi per Ihnambane. La traversata del canale tra le due città dura poco più di mezz’ora. Ad Inhambane, partono i chapas per Tofo. La tratta Inhambane – Tofo dura tre quarti d’ora circa, il chapa che dalla stazione dei trasporti parte con circa 15 passeggeri, appena fuori dal paese e lontano dai controlli della polizia comincia a caricare un numero di persone da guinness dei primati. Tofo è un piccolo paesino affacciato su una tranquilla insenatura,

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Foto di GIANLUCA MASSERA

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molto turistico, ma molto tranquillo e dove è possibile passare intere giornate a guardare l’oceano per cogliere il salto di un delfino o di qualche balena. Tofo è l’ultima tappa di questa avventura, è la località perfetta per recuperare energie, e distendere la mente. A Casa ‘na Praia, piccola casetta gestita da donna Laura, un’italiana trasferitasi in Mozambico già da parecchi anni, è come sentirsi a casa. Inhambane – Tofo, 22-23 agosto, gli ultimi giorni si perdono a spasso tra le viuzze di Tofo e visitando la bella cittadina di Inhambane. L’unica pecca di questa zona è che essendo ormai tanto abituata al turismo non ti da la

possibilità di comprare nulla di artigianale, i prezzi sono folli, anche otto volte superiori a quelli riscontrati al nord nei villaggi. Ci sta, questo è il loro business. A Tofo è anche possibile partecipare a qualche escursione in quad della durata di circa un paio d’ore. Addentrandosi nella vegetazione e arrivando fino al faro di Barra dove si trova un punto panoramico sulla costa molto bello, poi via a tutto gas in libertà sulla spiaggia e poi su un percorso in mezzo alle mangrovie (possibile grazie alla bassa marea). Il paesaggio è stupendo, si attraversano villaggi immersi nella foresta pieni di bambini ormai abituati al passaggio dei quad, che tendono la mano per “battere un cinque” e

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regalare così un sorriso aperto e di gioia. La fine di questo tour sa di amaro perché porta con se le more del ritorno. “il ritorno porta addossa mal di testa e mal d’anima…”

Foto di Gianluca Massera

On the road, 24 agosto, pick up di fronte al Fatima’s Backpacker’s alle 4.00 Il bus che collega la struttura con l’omonima basata a Maputo funziona abbastanza bene. Il bus dovrebbe essere “riservato” e il biglietto acquistabile su prenotazione ma poi come al solito si riempe a dismisura strada facendo. È pomeriggio presto, i palazzi di Maputo rispuntano all’orizzonte, ci sta giusto il tempo per una passeggiata pomeridiana e una cena di ritrovo con Nunzio e Laura per lo scambio di racconti. Domani volo di rientro che segna la fine di questa magnifica ed emozionante avventura “rotolando verso sud” in Mozambico.

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Dedicato a chi scappa, dedicato a chi si sente vivo solo portando lo stesso paio di pantaloni per piĂš di una settimana,

dedicato a chi ti cede il passo e a chi ti dà una mano con i bagagli, dedicato a chiunque si è incontrato una sola volta nella vita ma ci rimane nella testa,

dedicato a chi fa una carezza sulla testa dei bambini che fanno l'elemosina,

dedicato a chi si innamora ogni volta che prende un aereo,

dedicato a chi odia trovare masse di turisti sul proprio cammino,

dedicato a chi si addormenta in autobus...

dedicato a chi scappa dalle responsabilitĂ , a chi immagina una vita avventurosa

Angelo Calianno (un viaggiatore come tanti)

a chi va a dormire solo per sognare. Dedicato alle persone gentili,

...dedicato a chi non smette mai di viaggiare...

#gianlubox80

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ECO TOURISM IN

SOUTHERN

AFRICA

4WD SAFARI BIRDWATCHING SAFARI BIKE SAFARI HORSE SAFARI DIVING HONEYMOON

MOZAMBICO & SUD AFRICA 2014 www.lagoapoelela.com info@lagoapoelela.com

www.lagoapoelela.com Inhambane Region, Inharrime Province info: info@lagoapoelela.com La Kru Investimentos, Societade Unipessoal Limitada. Sede Legale Maputo - Districto 1 Barrio Central.

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Timbila La musica dei Chopi in Mozambico di Luca Galuppini www.giornirubati.it

Foto di Werner Puntigam

I Chopi sono una delle popolazioni che compongono il ricchissimo mosaico etnico del Mozambico. Abitano la regione di Inhambane, nel sud del paese, il cui centro culturale è la città di Quissico (Zavala, in lingua locale). Qui si tiene ogni anno, ad Agosto, il Timbila festival (M’saho), la più importante manifestazione di musica e danza tradizionale Chopi. La fama delle orchestre di timbila travalica i confini del continente

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e delle esibizioni degli artisti. Alcune loro caratteristiche sono talmente originali che si è ipotizzata una provenienza, o quantomeno un’influenza, indonesiana.

toni equidistanti. Questa scala è la stessa usata nel gamelan balinese e giavanese, e questo è il più forte degli argomenti sulla provenienza indonesiana di questa tradizione.

Le orchestre di timbila sono composte da un numero variabile di musicisti, normalmente una dozzina, accompagnati da un gruppo di danzatori; gli strumenti hanno diverse intonazioni, in base alle quali sono costruiti in cinque diverse versioni e dimensioni, e sono fatti per essere suonati contemporaneamente. L’intonazione degli strumenti varia da orchestra ad orchestra, ma ogni ensemble ha una coerenza interna basata su un tono portante (dawunbila), sul quale vengono intonati tutti gli strumenti in base ad un sistema tonale di 7

Il caratteristico suono definito “nasale” o “metallico” di questi strumenti si deve al particolare legno di cui sono fatti i tasti, localmente chiamato “mwenje“, ma si contano almeno 15 diversi materiali naturali nella costruzione di una mbila, tra diversi legni, cere, oli, pelli, gusci e zucche usate come casse di risonanza. La costruzione di questi strumenti richiede una perizia tecnica paragonabile a quella dei nostri liutai, e altrettanto complessa è la loro intonazione, che deve essere continuamente aggiustata per gli effetti del

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clima sui materiali. Le composizioni che vengono eseguite da queste orchestre sono chiamate Migodo, h a n n o u n a d u r a t a d i c i rc a u n ’ o r a e comprendono un’ouverture seguita da una decina di “movimenti” all’interno dei quali si notano continue variazioni di tempo e stile. Ogni orchestra compone un nuovo Ngodo ogni circa due anni, che prende il posto del precedente che non verrà più eseguito. Uno dei musicisti fa anche funzione di direttore d’orchestra, guidando gli altri componenti nei cambi di tema. Questa figura, chiamata

“musiki wa timbilas” introduce anche parti i m p ro v v i s a t e e d e c l a m a i t e s t i , c h e normalmente trattano di questioni di attualità inerenti alla comunità, spesso con una vena umoristica. La tradizione delle timbila è antica: il primo documento che ne fa cenno è la cronaca di un missionario portoghese, Andre Fernandes, datata 1562, ma già nel 1352 un viaggiatore arabo riportava la presenza di xilofoni in Niger. Quanto ai Chopi, trattandos i d i u n a popolazione non alfabetizzata, non abbiamo alcun documento: la tradizione musicale si

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tramanda di padre in figlio, e nelle stesse orchestre si trovano musicisti di ogni età, dai giovanissimi apprendisti agli anziani. La più colossale esibizione di timbila che si ricordi si tenne il 1 luglio del 1939, quando 100 musicisti e 200 danzatori si esibirono all’unisono per salutare l’arrivo in visita del presidente portoghese Carmona. Il presidente ne fu talmente impressionato che volle una piccola orchestra ad esibirsi a Lisbona l’estate successiva. La tradizione dovette poi attraversare un drastico collo di bottiglia durante la guerra civile del 1975-95: la popolazione chopi residente in Mozambico venne decimata e l’unica orchestra rimasta in attività era quella di Venancio Mbande, emigrato come molti altri chopi in una miniera sudafricana, dove la tradizione veniva portata avanti avvalendosi di strumenti improvvisati nei quali, per esempio, le casse di risonanza erano ottenute con vecchi barattoli anziché con la tradizionale zucca “porongo“. Tornato a Inhambane nel 1995, l’ora ottuagenario Mbande è il più famoso suonatore di timbila vivente. Ha fatto due tournée in Europa, e sebbene non sia mai riuscito ad aprire una vera scuola di timbila, negli anni ha istruito almeno 500 tra musicisti e danzatori.

l’UNESCO, che nel 2005 ha dichiarato le timbila Patrimonio Immateriale dell’Umanità, promuovendo e finanziando iniziative per la loro conservazione. Oggi, sebbene sia piuttosto difficile assistere ad un vero concerto tradizionale se non nell’annuale Timbila festival, qualche suonatore non manca mai nelle frequenti feste organizzate per le più disparate occasioni; mentre piccole e rudimentali riproduzioni dello strumento vengono vendute come souvenir ai turisti, e il suono della timbila fa spesso capolino nella musica popolare contemporanea non solo mozambicana, incorporato in brani rap, techno o pop. Dove ascoltare un’orchestra Timbila: Sicuramente la culla della musica Chopi è il piccolo paese di Quissico, 130 km a nord est di Xai Xai sulla N1, dove, nel mese di agosto, si tiene il già citato Timbila music festival.

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La tradizione della timbila resta comunque in pericolo di estinzione, anche a causa della deforestazione che rende il legno mwenje di sempre più difficile reperimento, e del p ro v e r b i a l e d i s i n t e re s s e d e l l e n u o v e generazioni raggiunte dal miraggio del modello occidentale. Di questo pericolo si è fatta carico

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Chitima - Mozambico Foto di Stefano Pesarelli

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Xipamanine alla scoperta della medicina tradizionale di Elena Del Becaro

Foto di Elena Del Becaro

Alla fine del lungo viale Edoardo Mondlane, uno degli assi viari principali della città di Maputo, si trova uno straordinario mercato che, assieme a quello di tutt’altro genere del pesce, vi consiglio assolutamente di visitare. Sto parlando del Mercado de Xipamanine: il più grande e caotico mercato della città. In caso decideste a farlo, suggerisco caldamente di non mostrare macchine fotografiche costose, videocamere, iphone ecc., perché il

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luogo è anche noto per essere punto di incontro, scambio e spaccio della criminalità locale. Inoltre Xipamanine è uno dei quartieri più poveri della capitale e andarsele a cercare non mi pare una buona idea. Detto questo, si arriva tranquillamente a Xipamanine in chapa (il tipico furgoncino adibiti al trasporto di persone che si trova un po’ ovunque nel paese). Il mercato è preannunciato da venditori di verdure di ogni genere, pane, uova sparpagliati sui selciati dei marciapiedi e da gruppi di bambini e ragazzi che, in cambio di qualche spicciolo, sorvegliano le automobili. Fin da subito si nota la distesa immensa di baracche, allestita in una

landa polverosa dove montagne di vestiti, capulane, ceste, elettrodomestici, pezzi di ricambio, mobili, cibo, cartone riciclato e chi più ne ha più ne metta si accumulano l’una sull’altra. Per capire che cosa nasconda questo gonfio stomaco della città, però, bisogna lasciare le “strade” più grandi e inoltrarsi negli angusti vicoli fra una bancarella e l’altra. Questi intestini sono così stretti da far filtrare solo una luce fioca e ammetto che camminando fra questi banchi senza sapere cosa avrei trovato da un momento all’altro io abbia provato una certa tensione. Perché certo non si può dire che non si venga notati: due soli bianchi che si

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aggirano in un luogo frequentato soltanto dai locali non passano certo inosservati, anche se, c’è da dire, Maputo è una città cosmopolita e vi abitano molti Occidentali. Il nostro essere stranieri ci ha fatto guadagnare le attenzioni dei venditori che, sempre molto garbatamente, ci chiamavano a vedere la loro merce. Tuttavia, io e il mio compagno non eravamo lì per fare shopping, ma perché sapevamo che Xipamanine rappresenta la fucina della medicina tradizionale mozambicana. Dopo aver girato un po’ fra le stupefacenti raccolte di bottiglie di plastica vuote, gli animali da cortile (bizzarramente pitturati ad uso

rituale), le lampadine, i materassi e i banchi gastronomici ci siamo quindi decisi a tornare nella parte più buia e recondita del mercato. Ed è lì che si cela un intero distretto dedicato alle cure tradizionali. A questo punto, consiglierei alle persone particolarmente sensibili di fare un passo indietro. Infatti, su questi banchi, fra la merce ben disposta in ordine, si trova effettivamente di tutto: accanto all’acqua santa di Lourdes, rosari, piccoli Buddha ˗ proprio così! ˗ compaiono pelli di animali, ossa, pietre, erbe essiccate, teschi e altre parti animali anch’esse essiccate, radici, piante, bellissime zucche svuotate del loro contenuto e decorate

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secondo colori dall’alto valore simbolico, aghi di porcospino, conchiglie a non finire. La cosa non stupisce perché in questo Paese la medicina tradizionale è ancora cosa viva e, a dispetto di quanto si possa pensare, convive pacificamente con la medicina occidentale e con le varie religioni. Il venditore si è comportato con noi come qualsiasi farmacista ed erborista delle nostre città e, sempre in maniera molto gentile, ci ha spiegato (un po’ a gesti, un po’ aiutati dal nostro Portoghese sbocconcellato) l’uso di ogni cosa che abbia catturato la nostra attenzione: un pezzo di incenso per scacciare gli spiriti maligni dalla casa, una zampetta di scimmia per catturare la

buona sorte, amuleti di conchiglie per la fertilità. Hanno colpito la mia attenzione, in particolare, oggetti che sapevo essere ad uso specifico per curandeiros: scettri, polveri varie e caratteristici contenitori di terracotta per mescolare gli ingredienti. Dovete sapere infatti che i curandeiros sono le figure centrali di queste ritualità antiche: volgarmente si potrebbero definire delle specie di sciamani in contatto con gli spiriti ancestrali e della natura a cui fanno ricorso per risolvere malesseri e problemi di vario genere. Il curandero è una figura altamente rispettata nella società mozambicana e un vero punto di riferimento per la comunità: l’anima di un

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sistema di salute spontaneo che alle volte rappresenta il solo appoggio concreto in caso di difficoltà. Le motivazioni per cui la popolazione si rivolge alle sue terapie sono varie: dal malocchio al mal di testa, alla tubercolosi, fino alla gravidanza per cui il medico tradizionale assume un’autentica funzione ostetrica. Presto abbiamo notato che si aggirava fra le bancarelle, a caccia di materiale del suo lavoro, proprio una di queste figure resa riconoscibile dall’inconfondibile parrucca e il gonnellino di pellicce. Portava anche agganciate alla vita delle bellissime boccette ricoperte di corallini variopinti essenziali per svolgere le cerimonie. Solo il curandero conosce la forza e la funzione specifica di ogni singolo ingrediente nelle liturgie necessarie allo svolgimento del suo ruolo. Dopo aver letto qualche saggio specifico sull’argomento ed averne parlato con i miei amici mozambicani, sono giunta alla conclusione che questa figura possa essere assimilata a una sorta di psicologo che ascolta, consiglia e, cosa importante, spesso indirizza verso le cure ospedaliere che altrimenti non sarebbero prese in considerazione. Un aspetto da non sottovalutare è che da tempo i curandeiros, costituiti in associazione, sono molto attivi anche nella sensibilizzazione rispetto alle malattie sessualmente trasmissibili: non ultima, la piaga dell’AIDS. Non a caso il governo del Mozambico riconosce e autorizza la pratica della medicina tradizionale accanto a quello occidentale. Anzi, a ben guardare, si potrebbe concludere che il curandero rappresenti un ponte fra tradizione e occidente, che permette alla medicina

convenzionale di farsi ascoltare senza forzare la mano. Accanto al curandero esiste poi un altro personaggio che, ancora in maniera semplificata, si potrebbe dire si occupi di magia nera: il fetiçero. Nel suo caso, è ancor più difficile ottenere notizie. Un fetiçero può essere un curandero ma non è necessariamente così. Trattandosi di una persona che fa del male, la sua identità rimane segreta. Dal mio punto di vista, la conoscenza di queste affascinanti pratiche è necessaria per avvicinarsi almeno un poco alla straordinaria complessità culturale del mondo mozambicano. Le sue porte, però, sono spesso chiuse agli stranieri, specialmente se solo di passaggio. Ecco perché una camminata a Xipamanine potrebbe rappresentare l'unico modo per gettare un furtivo sguardo dalla serratura. Io, dopo qualche tempo passato a curiosare, ho cominciato ad accusare la vista di tanti animali morti e, confesso, ho sentito la necessità di tornare alla luce. Tuttavia ritengo che una visita a Xipamanine, con le dovute precauzioni, sia indispensabile durante un viaggio non superficiale in Mozambico. Probabilmente, tornando a casa, vi sembrerà di averne carpito qualche segreto o forse sarà stata qualche magia ad aver fatto effetto sul vostro spirito.

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Kruger National Park Burchell's Coucal Foto di Nunzio De Nigris

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Il Mozambico alla XIV Biennale di Architettura di Venezia di Fernando Buzi

Dettagio parziale di uno dei pannelli pag. seguente Visitatori nel padiglione del Mozambico. Foto di ArchiMoz

Si è conclusa domenica, 23 Novembre, la XIV edizione della Biennale di Architettura di Venezia, una mostra internazionale che serve sia per generare dibattiti su temi relazionati all’esercizio della professione e al suo impatto sulla società, che per esporre opere realizzate dai grandi nomi dell’architettura mondiale. La Biennale di Architettura di Venezia fa parte della Biennale di Venezia (fondata nel 1895), che comprende altri cinque eventi che si svolgono in parallelo: Mostra Internazionale di Arte (Biennale di Arte), Festival Internazionale di Musica Contemporanea (Biennale di Musica), Festival Internazionale di Teatro

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(Biennale di Teatro), Festival Internazionale di Cinema, e Festival Internazionale di Danza Contemporanea (Biennale di Danza). Qui è opportuno riferire che sebbene la Biennale di Venezia abbia più di 100 anni, la categoria di architettura è relativamente recente: è stata aggiunta nel 1980. Il tema di quest’anno, curato dal rinomato architetto olandese Rem Koolhaas, è stato “Fundamentals”: uno sguardo sugli ultimi 100 anni dell’architettura mondiale (1914-2014) con il proposito di far ritornare l’attenzione sull’architettura nel suo complesso invece che sull’architetto, e concentrarsi sulla storia dell’architettura piuttosto che unicamente sull’architettura contemporanea. Il Mozambico, che non aveva mai partecipato prima, ha debuttato quest’anno. Il battesimo.

E non ci poteva essere miglior tema che “Fundamentals” per segnare l’entrata del Mozambico nella cattedrale dell’architettura mondiale. È stato un tema che, opportunamente, ha reso difficile che si esaltassero gli architetti, costringendo a guardare l’architettura nel suo insieme. È certo che il modo di affrontare il tema dipendeva molto dal modo di vedere del curatore di ogni padiglione. E su questo il Mozambico è stato fortunato: il risultato del lavoro degli Architetti José Forjaz (curatore) e Vicente Joaquim (vice-curatore) è degno di riferimento. La partecipazione del Mozambico, intitolata “Architettura fra due mondi”, comprendeva fotografie esposte in panelli lucenti ordinati in forma di una “S” lungo l’asse centrale del padiglione (per vedere le immagine del concetto, cliccare qui).

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Per chi entrava e seguiva verso la sinistra, l’esibizione ci portava in forma cronologica e molto visuale per i 100 anni della storia dell’architettura del paese. E, nel processo, faceva un paragone interessante fra quello che succedeva a livello mondiale in un dato periodo, e quello che veniva prodotto nel Mozambico sugli ambiti urbano e rurale. Molto didattico.

Visitatori nel padiglione del Mozambico. Foto di ArchiMoz

Dal lato posteriore si godeva di una piacevole selezione d’immagini e video che intendeva spiegare senza parole quello che il Mozambico come nazione ha di migliore: l’oceano indiano, la fauna, la cultura, quel tipico sorriso mozambicano… e l’artista Malangatana. Tutto ciò accompagnato da un sottofondo musicale (del Mozambico, ovviamente) che aiutava anche a riempire i vuoti sui lati e sul soffitto del padiglione. Lo spazio a disposizione era un po’ grande per l’opera in esibizione. È stato anche interessante vedere che gli edifici compresi nei panelli non erano solo quelli della capitale (Maputo), ma si erano inclusi anche Beira, Queli-

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mane, Nampula, Inhaca e Songo, con edifici come il “33 Andares” (33 piani), “Casa dos Bicos” (Casa dei becchi) e “Torres Vermelhas” (Torri rosse). Se l’esibizione ha peccato di qualcosa, sarà d’un piccolo dettaglio che (sfortunatamente) magari non si è potuto anticipare durante la fase di disegno: stava orientata in senso contrario alla reale direzione del flusso di visitatori, obbligando la maggioranza dei visitatori a vedere l’esibizione alla rovescia (dalla fine all’inizio). Questo però non è stato grave, visto che la disposizione del materiale in modo cronologico permetteva una lettura sia in senso crescente che decrescente. Risultava che il padiglione del Mozambico era l’ultimo su un lungo asse di paesi espositori, giusto al lato della Repubblica Dominicana. Per questo motivo, ed anche perché la Repubblica Domini-

cana aveva lasciato aperta la parete adiacente al padiglione del Mozambico, aveva più senso per i visitatori entrare dal padiglione della Repubblica Dominicana, invece che uscire e fare il giro per accedere al padiglione del Mozambico dall’entrata ufficiale. Sarebbe stato interessante e conveniente avere il panello esplicativo iniziale anche su quell’estremo del padiglione, invece che solo sull’entrata. Ma sembra che, indipendentemente da questo, la mostra del Mozambico sia stata un successo, e il numero di visitatori ha superato regolarmente le 500 persone al giorno. Si merita le nostre congratulazioni il gruppo che ha lavorato per fare di questa prima apparizione una realtà.

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La domanda che rimane, e questa magari al Commissario (Dr. Joel Libombo) e Vice-Commissario (Gilberto Cossa), è che destinazione si vuole dare al materiale prodotto per questa mostra. Rimane in Italia? Ritorna in Mozambico? Si getta, o viene riutilizzato? Sarebbe interessante vedere una o più ripetizioni della stessa esibizione in Mozambico, in modo che gli architetti ed altri interessati che non abbiano potuto venire in Italia possano avere l’opportunità di vederla. O, magari, il materiale potrebbe finire come mostra permanente in una delle università del Paese, visto che ha un valore accademico.

ramento, ma è evidente che il Mozambico è entrato con il piede destro al palco dell’Architettura internazionale. Resta vedere cosa succederà tra due anni, nella XV Biennale di Architettura. Il Mozambico sarà presente?

Fernando Buzi è un Architetto mozambicano e abita a Nago, TN. È fondatore e gestore di ArchiMoz, un progetto dedicato all’architettura del Mozambico. http://www.linkedin.com/in/fernandobuzi/ http://www.archimoz.com

Con riguardo alla partecipazione del Mozambico nella Biennale, c’è sicuramente margine di miglio-

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wildlife around the lake Wildlife around the lake. Prendendo spunto dalla ricchissima fauna e flora presente nei dintorni del lago Poelela, proveremo a conoscere meglio le singole specie presenti in questa area naturale ancora intatta.

Il Tessitore Dorato Classe: Aves
 Ordine: Passeriformes
 Famiglia: Ploceidae
 Genere: Ploceidae Cuvier
 Specie: Ploceus subaureus

Ploceus subaureus (Smith, A, 1839) Da alcuni giorni gli alberi intorno alla nostra casa in Mozambico, sulle rive del Lagoa Poelela nella provincia di Inhambane, sono popolati da una miriade di macchie gialle.

Foto di Nunzio De Nigris

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wild life around the lake Sono i tessitori dorati (Ploceus subaureus) in inglese Africa Golden-Weaver (Smith, A, 1839) Sono dei Passeriformi della famiglia delle Ploceidae. Il corpo è quasi completamente giallo pallido mentre la parte superiore leggermente più verde. Quando non sono nella stagione dell’amore gli immaturi assomigliano alle femmine. I maschi hanno gli occhi rossi, le femmine tendente al marrone. Vivono in coppie e stormi sul litorale orientale dell’Africa sub equatoriale in Kenya, Malawi, Mozambico, Sud Africa e Tanzania. Si spostano verso l’interno lungo i fiumi. L’accoppiamento avviene in canneti e alberi sul fiume e le lagune, quando non sono nel periodo di accoppiamento si spostano nella boscaglia fluviale e il bosco adiacente.

Foto di Nunzio De Nigris

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Il Samatenje di Sadjungira seconda parte Liberamente tratto da una vicenda raccontatami da Vasco Galante di Gianni Bauce tratto da “SOZINHO, Viaggio in Mozambico” Ed. POLARIS

Foto di Gianni Bauce

[…] Forse disturbato dal turbinio delle pale, un tiflope (un serpente cieco che vive abitualmente sotto terra, assolutamente innocuo per l’uomo) uscito dal suo nascondiglio sotterraneo, si muove sinuoso verso il gruppo di forestieri. E’ una specie rara che molti di loro non hanno mai visto. Tra di essi c’è anche un giovane studente di erpetologia il quale, vedendo il rettile non sa resistere e afferrandolo dalla coda lo solleva per osservarlo. E’ un vero guaio. Quel serpente è l’incarnazione dello spirito di un antenato che disturbato dai forestieri è uscito dalla terra in cui riposava

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per manifestare il suo disappunto. Toccarlo è un gesto sacrilego e un’offesa agli spiriti. La gente del villaggio si adira e urlando circonda minacciosa lo studente. Il serpente cade in terra e si allontana. Occorre di nuovo molto tempo, molta pazienza e un mare di scuse per placare gli animi. Alla fine, un anziano si offre di condurre i forestieri dal Samatenje, anche se, afferma, è convinto che non li riceverà. Troppi segni funesti hanno accompagnato il loro arrivo. Marciano per alcuni chilometri attraverso la foresta per giungere ad una radura in cui sorge una capanna solitaria. -“Il Samatenje dimora lì.”- dice l’anziano –“Non esce quasi mai, perciò aspettate qui. Chiederò udienza per voi.”Trascorre molto tempo prima che l’anziano esca dalla capanna. Non reca buone notizie. -“Il Samatenje non può ricevervi ora.”- sentenzia. -“Vi chiamerà quando potrà.”-“E quando ci riceverà?”- vorrebbe domandare l’uomo dell’elicottero, ma è in Africa da troppo tempo per non conoscere già la risposta. Le ore passano lente. Poco alla volta l’acqua finisce e finiscono anche le sigarette, ma non accade nulla. -“E’ il colore rosso, Senhor …”- mormora rispettosamente Roberto. L’uomo dell’elicottero non risponde. Sa che il guardiaparco ha ragione, eppure non risponde. Quando il sole scompare dietro il crinale, il vecchio che per tutto il giorno è rimasto seduto sotto l’albero, si alza. -“Andiamo.”- sussurra avviandosi sulla strada del ritorno. –“Torneremo domani.”-

Qualcuno trascorre la notte sul velivolo, qualcun altro trova ospitalità nel villaggio, ma quello dei forestieri è un sonno agitato. Il giorno seguente la delegazione torna alla radura, ma il Samatenje continua a non riceverli, e quando la brezza della sera inizia a soffiare fredda sulla pelle, per gli uomini giunge di nuovo l’amaro momento di rientrare. L’uomo dell’elicottero ha il morale a terra, ma non è abituato a mollare. Tornerà di nuovo l’indomani. -“Senhor”- sussurra ancora Roberto, -“L’elicottero è rosso. Il Samatenje non ci riceverà …”L’uomo sa che il guardiaparco ha ragione, ma ancora non risponde. Un’altra notte, un altro giorno. Un’altra marcia nella foresta. Un’altra lunga attesa, invano. Quando il sole si trova nel punto più alto del cielo, l’uomo dell’elicottero si alza in piedi. -“Roberto ha ragione.”- esclama. -“Torniamo a casa!”Una settimana più tardi l’elicottero è di nuovo in volo nei cieli della montagna, la vernice blu ha coperto ogni traccia di colore rosso. Gli uomini marciano attraverso la foresta fino alla radura e attendono ancora una volta la convocazione del Samatenje. Trascorre poco meno di un’ora e dalla penombra della capanna la figura di un ragazzo fa capolino alla luce del sole. E’ basso e minuto, porta i capelli acconciati in lunghi dred, indossa una maglietta bianca di qualche taglia più grande e pantaloni neri senza orlo, un po’ sfilacciati dove cadono sulle infradito. Non ha certo l’aspetto di un saggio o di una guida spirituale. Non c’è nulla di solenne in lui, ma quando alza il braccio e fa segno agli uomini di avanzare si vede subito che è un capo.

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POELELAMAGAZINE 13 dicembre 2014 Foto di Nunzio De Nigris

Ascolta in silenzio, riflette, chiede spiegazioni. Quando i due si salutano stringendosi la mano, l’uomo dell’elicottero sorride soddisfatto. Ha ottenuto la benedizione del Samatenje e l’assicurazione che la gente della montagna approverà il progetto. I forestieri lasciano la radura in fila indiana, Roberto è l’ultimo. E’ un uomo di esperienza e i suoi capelli sono quasi grigi, ma quando passa davanti al Samatenje che è soltanto un ragazzo, lo saluta col rispetto dovuto alle persone importanti. Quest’ultimo gli tocca la spalla: “Torna a casa contento Roberto.”- sussurra, -“Oggi è scesa la pioggia.”Roberto non capisce. E’ piena stagione secca e a Gorongosa in questo periodo non piove mai. Quando la libellula d’acciaio si posa nel campo di Chitengo, una folla esultante accoglie il rientro della spedizione.

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camminando insieme TESTIMONIANZE DAI PROGETTI DI SVILUPPO E COOPERAZIONE TRA ITALIA E MOZAMBICO Questa rubrica, Ideata da Maddalena Parolin e Isacco Rama, è dedicata alla presentazione delle iniziative di cooperazione tra Italia e Mozambico e alle relazioni solidali tra i due paesi. Sono decine le organizzazioni che operano coinvolgendo volontari e professionisti in progetti di sviluppo dal nord al sud del Mozambico, progetti diversi per ambito, dimensioni, caratteristiche, ma tutti accomunati dal desiderio di impegnarsi in un paese giovane ed ancora fragile in tutte le componenti dell'indice di sviluppo umano.

Il programma DREAM in Mozambico

Nella regione di Gaza si moltiplicano gli sforzi contro l’HIV di Mira Gianturco Fausto Ciccacci Foto di Mira Gianturco

Fausto Ciccacci è un giovane medico romano che da alcuni anni sostiene il programma DREAM della Comunità di Sant’Egidio. Il programma DREAM è nato nel 2002 in Mozambico e oggi è presente in 10

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paesi africani; DREAM è cura dell’AIDS, della malnutrizione, prevenzione materno-infantile, sostegno sociale, sensibilizzazione. Oggi DREAM ha in cura più di 100.000 persone in tutta l’Africa e ha fatto nascere oltre 25.500 bambini sani da donne sieropositive. D: Fausto, tu sei rientrato da poco in Italia dopo un periodo in Mozambico, com’è andato quest’ultimo viaggio, di cosa ti sei occupato? R: Si, sono stato in ottobre nel paese, in un periodo particolare in cui si sono svolte le elezioni generali. Il Mozambico è in grande crescita economica, ma la pace e la stabilità sono

dei punti fondamentali per sostenere questa crescita. La Comunità di Sant’Egidio da moltissimi anni sta accompagnando il paese in questo percorso, fin dalle trattative di pace. La salute della popolazione è un aspetto che noi abbiamo voluto porre al centro della nostra attività. Oggi il programma DREAM sta cercando di affrontare nuove sfide che coinvolgono la salute globale dei pazienti; la cura dell’AIDS ci ha aperto tante nuove problematiche: la tubercolosi, la salute materno-infantile, le patologie cardiache croniche, etc… In questo ultimo periodo, insieme ai miei amici di DREAM, abbiamo lavorato molto proprio su questo discorso

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della tubercolosi, per l’integrazione dei servizi HIV e TB, che è una nuova sfida per curare al meglio i pazienti e perderne il meno possibile. La tubercolosi è davvero un problema enorme per il paese, e in grande parte ancora sommerso.

Foto di Mira Gianturco

D: Sei stato tante volte in Mozambico, che cambiamenti vedi? R: Si, la prima volta era il 2008, ormai 6 anni fa. Devo dire che questa grande crescita del paese è molto evidente; soprattutto a Maputo, ma anche in altre città del paese si vede che qualcosa sta ripartendo, anche se più lentamente che nella capitale. Tanti problemi e tanta povertà si vedono ancora per le strade del Mozambico, ma qualcosa si sta muovendo. Soprattutto vorrei sottolineare il fatto che sta crescendo una generazione di Mozambicani che vuole cambiare il proprio paese,

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Foto di Mira Gianturco

tanti giovani che vogliono lavorare bene e migliorare la situazione. Poi dal punto di vista sanitario alcuni miglioramenti si vedono, anche se lenti. Le politiche sanitarie nazionali (penso soprattutto alla cura dell’HIV) si sono ormai allineate alle migliori raccomandazioni internazionali, grazie anche a progetti pilota come DREAM che hanno mostrato la fattibilità della cura anche in Africa. Ma accanto a questo, con il miglioramento della situazione economica e soprattutto con l’allungamento della vita, sorgono nuove sfide sanitarie: la comparsa delle patologie croniche, fico a poco tempo fa poco sconosciute per la bassa aspettativa di vita, è ormai una realtà in molti paesi africani. Questo è un problema che va affrontato con dei modelli di cura efficaci, perché ad oggi molti sistemi sanitari africani non sono in grado di sostenere il grande carico che le patologie croniche rappresentano. Penso ad esempio all’ipertensione,

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Foto di Mira Gianturco

ai tumori, alle cardiopatie, al diabete. D: Di fronte a questo scenario qual è il contributo che DREAM può dare? R: DREAM rappresenta un modello di cura, che è nato e si è sviluppato per curare l’AIDS, ma vediamo che è un modello valido per molte patologie. L’infezione da HIV è stata la prima grande patologia cronica che l’Africa si è trovata ad affrontare e DREAM ha mostrato come curarla con successo; oggi il modello DREAM può essere un’opportunità per i sistemi sanitari. In particolare vorrei sottolineare il coinvolgimento dei pazienti in DREAM; il punto di forza di DREAM è proprio il coinvolgimento dei pazienti, di tante donne con HIV, che sono testimoni di guarigione, che parlano con gli altri pazienti, spiegano come assumere la terapia, rassicurano circa gli effetti collaterali, sanno entrare nei problemi concreti della gente. La sfida di oggi è quella della retention, del te-

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nere i pazienti in cura; non solo fare i test HIV, o iniziare il trattamento, ma non perdere nessuno. In questo DREAM ha ottenuto grandi successi, che vengono raggiunti grazie al lavoro di tanti pazienti che si appassionano e vogliono aiutare gli altri pazienti. Nel contesto africano le donne sono spesso le più povere, sole con molti figli, a rischio di complicanze per il parto, etc, ma sono anche la chance di successo dei programmi sanitari, come mostrano le nostre attiviste. D: Secondo te, di fronte alla crescita economica del paese, ma anche guardando alla grande povertà, quale può essere la speranza per il futuro del paese?

R: Il Mozambico sta crescendo, ma è ancora uno dei paesi più poveri del mondo. Da qualche anno comincia a godere delle risorse energetiche del sottosuolo, ma ancora il bene più prezioso del paese è rappresentato dalla pace, dalla stabilità, che permette di attirare gli investimenti. Questo grande dono, raggiunto con grande fatica (ricordiamo le lunghe trattative a Sant’Egidio), deve essere sostenuto sempre più. Pace vuol dire anche salute, ricchezza condivisa, scuola… non si tratta solo dell’assenza di combattimenti (che pure è necessaria). Credo che custodire e costruire questa pace sia la strada per lo sviluppo del Mozambico.

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economia

Il secondo ponte di Tete verso i paesi senza sbocco sul mare ora pronti in Mozambico Grazie alla crescita economica in Mozambico - soprattutto a causa di investimenti esteri nel settore delle risorse naturali - il traffico sul ponte Samora Machel è cresciuto sempre più. Principale collegamento per i paesi vicini (Malawi e Zimbabwe) il ponte costruito nel 1973, non era più in grado di smaltire il traffico nella città di Tete. Pertanto, il governo del Mozambico nel 2010 ha pubblicato una gara d'appalto per la costruzione di un nuovo ponte vicino alla città. L'asta, che comprendeva anche il mantenimento di alcune strade per 30 anni, è stata vinta dal consorzio Strade Zambesi. Il consorzio integra Ascendi, Soares da Costa e società Infra-Ingegneria. Questo consorzio, a sua volta ha incaricato un consorzio di aziende portoghesi Mota-Engil, Soares da Costa e Opway per la costruzione del ponte e le strade nelle limitrofe. I lavori sono iniziati il 1° aprile 2011.

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economia

I lavori sono stati completati nel mese di ottobre 2014. Il Presidente della Repubblica del Mozambico, Armando Guebuza ha inaugurato il ponte il 12 novembre 2014 e ha annunciato allo stesso tempo che il ponte si chiamerà "Kassuende Bridge". Kassuende (Maravia distretto, provincia di Tete) era conosciuto come una base militare Frelimo durante la guerra contro i colonizzatori portoghesi.

passano sopra il ponte Samora Machel, che dal febbraio 2015 sarà riservato a veicoli leggeri e moto.

L'opera, che fa parte della concessione "Nuovo Tete Ponte e Strade" è stato progettato per trasportare i mezzi pesanti che attualmente

Il ponte è lungo 715 metri e largo 14,8 metri, si trova circa cinque chilometri a valle del ponte di Samora Machel.

Il bilancio iniziale per il progetto è stato 105.260.000 € , includeva anche il rinnovamento di circa 260 chilometri di strade che collegano la città di Tete al confine con lo Zimbabwe, sulla strada per Harare, e con il Malawi, a Blantyre.

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Foto di Stefano Pesarelli

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O VIVEIRO di Emanuela Bonavolta

O Viveiro è un centro di formazione e sviluppo, che si trova a Chitima, nella Provincia di Tete, in Mozambico, realizzato grazie alla collaborazione tra O Viveiro Onlus Italia e l’omologa associazione mozambicana. Il progetto è nato per accogliere bambine con situazioni di forte disagio sociale e familiare, con l’obiettivo di accompagnarle nel loro percorso scolastico, fino al completamento degli studi secondari. Foto di Stefano Pesarelli

La formazione scolastica è integrata da corsi e laboratori, che si svol-

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gono quotidianamente nel centro, grazie alla presenza di formatori ed assistenti mozambicani e stranieri. La partecipazione diretta alla gestione della “casa” ed alle attività artigianali e produttive, accresce la preparazione delle giovani ospiti, favorisce il loro futuro inserimento nel mondo del lavoro e tende all’auto sostentamento dell’intera struttura. Le ragazze più grandi stanno già contribuendo alla formazione delle più piccole e, una volta rientrate nelle loro rispettive località di origine, diffonderanno i valori e le conoscenze acquisite anche ad altre comunità della Provincia di Tete.

La promozione dello sviluppo femminile (e quindi della maternità e della famiglia), il miglioramento delle condizioni di vita e la formazione professionale, umana e morale si stanno rivelando strumenti efficaci di crescita per l’intera comunità. Il centro è, infatti, aperto a tutti: il mulino per la macinazione dei cereali, il punto vendita dei prodotti agricoli ed artigianali, i corsi di formazione e le attività sportive rappresentano delle attrattive molto forti per le famiglie e per i bambini dei villaggi. La speranza di tutti noi, sostenitori e formatori del Viveiro, nonchè del gruppo di ragazze ac-

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Foto di Stefano Pesarelli

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colto nel 2011, è quella di poter ospitare ed educare, a partire dal prossimo anno, nuovi gruppi di bambine, per accendere, direttamente in Mozambico, il “motore” di uno sviluppo equilibrato, aperto alla cura del prossimo, solidale e sempre più propositivo.

www.oviveiro.org Emanuela Bonavolta Responsabile del progetto Foto di Stefano Pesarelli

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Fuori dal mondo a Murrebuè: Mozambico selvaggio di Claudia Moreschi

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Murrebuè, un puntino minuscolo in mezzo al nulla, dall'alto si vedono solo palme e spiaggia. Nient'altro. Solo il blu del mare, il giallo della spiaggia intervallato qua e là da qualche puntino di verde. Così mi era apparso su Google Maps la prima volta che l'avevo cercato, mossa dalla curiosità. È in questo angolo di natura selvaggia, completamente fuori dalla civiltà, che mi ha portato il mio viaggio nel nord del Mozambico. Un paese immenso, sterminato e in gran parte dominato da una natura inviolata,

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un paese dove il turismo di massa non è ancora arrivato (e dove spero non arrivi mai, anche se la vedo dura), dove la lingua portoghese che si incontra con l'africanità rende tutto più dolce, più familiare.
 Il Mozambico è un'Africa diversa, molto affascinante. È un'Africa che non ti sembra Africa. Lasciamo alle nostre spalle Pemba, che, anche se capitale della provincia di Cabo Delgado e principale punto d'appoggio del Mozambico del nord (c'è anche l'aeroporto, meta obbligata per chi vuole andare alle Quirimbas), non è molto di più che una sonnacchiosa località di mare. Spiagge, qualche ristorante, qualche diving center, qualche bottega in cui acquistare oggetti di artigianato locale. Nulla di più.

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Il nostro tassista abbandona la strada principale, l'unica asfaltata, e ben presto ci troviamo a percorrere delle strade brulle, sconnesse, irrime-

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diabilmente dissestate. Forse era meglio un 4x4? Il tassista saprà dove stiamo andando? Ma soprattutto: dove stiamo andando? Sono tante le domande che ci frullano in testa in quel momento, l'emozione è forte. Stiamo andando verso un posto unico, me lo sento.
 La strada ben presto non esiste più, cede il passo solo a solchi sabbiosi e palme. Dritto davanti a noi una mandria di smilze mucche che ci guardano perplesse. Ok, siamo ufficialmente usciti dalla civiltà. In un mix di inglese (che il tassista parla a malapena), portoghese (di cui mastichiamo solo qualche parola) e italiano, cerchiamo di capire se sa dove stiamo

andando. Lui ci rassicura. La strada in effetti è quella giusta. Poco più avanti un cartello (o meglio una scultura in legno decorata con conchiglie) indica il nostro lodge. Ci siamo quasi. Che posto fantastico il nostro lodge. Una manciata di bungalow in paglia, proprio davanti all'oceano, tra palme altissime e vegetazione tropicale. Qui ci vivono Emma e George, una coppia francese che ha creato - è proprio il caso di dire "dal nulla" - e gestisce questo ecolodge semplice ma meraviglioso, in perfetta sintonia con l'ambiente che lo ospita.

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Siamo gli unici ospiti. Cosa facciamo tre giorni a Murrebuè? Al mattino la marea è incredibilmente bassa. Possiamo camminare per centinaia di metri in direzione del mare aperto. Tra la sabbia bianchissima rigoli di acqua di mare, azzurrissima, qualche conchiglia e ciuffi di alghe tra cui si annidano le stelle marine. Il paesaggio è incredibile, quasi lunare, i contasti di colore sono fortissimi. Mai prima d'ora mi era capitato di trovarmi in uno scenario così suggestivo. È struggente.
 La mattina, quando la marea è bassa, le donne e i bambini dei villaggi vicini si affaccendano con reti e secchielli per raccogliere i piccoli molluschi che restano intrappolati nella sabbia. Stiamo con loro, scambiamo qualche parola, seguiamo i loro gesti e partecipiamo alla raccolta.

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Quirimbas Immagini di Gianluca Massera Questo viaggio virtuale cerca di raccontare uno dei luoghi con maggior fascino del Mozambico.

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