"Neuroscienze Anemos"

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Anemos neuroscienze

Apr-Giu 2013 | anno III - numero 9

Discorso diretto

I MESSAGGI AL FUTURO

intervista "virtuale" a rita levi montalcini: la sua vita, il PREMIO NOBEL e la SPERANZA riposta VERSO I GIOVANI E IL FUTURO di Sara Pinelli

S

pesso, Rita Levi Montalcini si stupiva dell’affetto che le persone riponevano nei suoi confronti. Quando è stata criticata come Senatrice a vita per l’età avanzata, ha ricevuto migliaia di lettere di solidarietà. Lei stessa, in quell’occasione, ha dichiarato: “Sono grata a questa polemica che mi ha fatto scoprire quanto affetto le persone ripongono in me”. Un affetto trasversale, che attraversa generazioni, ruoli sociali, un affetto che non sa spesso nulla della Montalcini scienziata, un affetto che non è degli “addetti ai lavori”, che non conosce le scoperte e nemmeno i motivi che le hanno permesso di vincere il Premio Nobel. Che cosa l’ha resa così popolare e amata? Quasi a innalzarla a simbolo, archetipo, monumento? Di certo c’è l’instancabile sforzo a proseguire lungo due binari paralleli: uno, la ricerca scientifica, l’altro, la divulgazione, l’aiuto al prossimo, l’impegno sociale, il dialogo con i giovani. Lei stessa afferma: “Lo scopo della vita è disinteressarsi a se stessi e dedicarsi agli altri. Ma non è giusto dire che ho dedicato la mia vita agli altri. Quello che mi ha spinto è stata la curiosità, fin da giovane ero interessata a quel meraviglioso mondo che è il cervello umano, quindi è stata la curiosità che mi ha spinto, non l’amore.” “Io penso solo al futuro. Può sembrare strano che una persona che è vissuta quasi un secolo pensi al futuro, ma a me non interessa affatto sapere come e quando morirò, quello che può rimanere di me sono i messaggi che io mando e cioè i messaggi basati sulla conoscenza, non di noi stessi, ma del mondo intorno a noi”. E forse, la cosa migliore è lasciare che proprio questi messaggi traccino un ritratto di Rita Levi Montalcini. I messaggi che ha lanciato nel futuro e per il futuro. Che cos'è il progresso? “È la capacita di indagare dal punto di vista scientifico e di aiutare quelli che non fanno parte dell’èlite scientifico-tecnologica. Quindi sono due le componenti: la

prima è non mettere lucchetti al cervello e alla ricerca, la seconda è che la parte migliore del nostro cervello, quella neocorticale, deve essere utilizzata per l’aiuto al prossimo e non solo per la ricerca scientifica.” Lo scienziato ha la capacità di controllare l’uso della propria scoperta? “Si può sapere se è stata mal utilizzata a posteriori, ma non a priori. Se viene mal utilizzata, non è colpa dello scienziato ma della politica.” Avrebbe senso porre un limite alla ricerca a priori? “No, nel modo più assoluto. Se una scoperta viene mal utilizzata si può bloccare questo utilizzo, ma non mettere un limite alla ricerca, perché sarebbe come mettere un lucchetto al cervello, cioè mettere un lucchetto alla cosa più meravigliosa che l’uomo Sapiens ha e che nessun'altra specie animale possiede.” Il raggiungimento della felicità è qualcosa che ci capita, o qualcosa che noi, giorno dopo giorno, possiamo costruire? “Io, innanzitutto, rifiuterei la parola felicità, in un mondo con tanta sofferenza e tanto dolore. Non mi piace la parola felicità, si può dire armonia, pienezza, ma non felicità. La felicità concessa ai giovani nel pieno dello sviluppo fisico, l’amore, che io non ho provato, ecco io non ricerco quello nella vita, ma piuttosto la serenità, il piacere di vivere, l’armonia, ma quella non la chiamo felicità, io l’abolisco dal mio vocabolario personale. E questa armonia si costruisce, siamo esattamente noi i suoi artefici, non piove dal cielo, viene da come ci siamo comportati e da ciò che desideriamo fare, deriva dal sapere quello che noi vogliamo dalla vita e cioè non il nostro benessere, ma quello degli altri. Nel mio caso c’è una forte tendenza all’aiuto al prossimo, che avevo fin da bimba, trovo nell’aiutare gli altri il massimo raggiungimento dell’armonia.” Quindi, considera la sua vita una sorta

di missione? “Neppure questa parola mi piace, non è missione la mia, è adempiere a qualcosa che per me è assolutamente necessario, è quasi un imperativo al quale obbedisco, ma non considero missione la mia vita più di quella di chiunque altro, di un operaio, di un muratore, ognuno di noi vive la propria vita. Non parliamo di missione, è una parola enfatica che rifiuto.” Il Premio Nobel è qualcosa che si porta addosso con fatica, è qualcosa che dà grandi responsabilità nei confronti di se stessi, nei confronti della vita? “È una grande responsabilità, ma non verso se stessi, che porta dei vantaggi e degli svantaggi. Uno degli svantaggi è che mi è piovuto addosso come un ciclone, mi ha tolto la privacy, la possibilità di essere solo me stessa. Tuttavia ha anche dei vantaggi, il più grande è stato quello di conoscere l’Italia, perché sono stata invitata da Nord a Sud, nei paesi di provincia e l’incontro con i giovani è stato il più grande premio che ho avuto, perché mi ha dato enorme piacere e penso sia stato d’aiuto anche ai ragazzi, particolarmente a quelli delle scuole medie. Ho potuto creare un dialogo con loro. Il Premio Nobel che ha fatto sì che io fossi conosciuta e che i giovani mi chiedessero di parlare con loro.” Quante sconfitte e quanti errori? “Errori molti, sicuramente. L’ho scritto anche nel mio libro, “Elogio dell’imperfezione”, nel quale dico che la mia vita è stata un'unica imperfezione, ma un'imperfezione accettabile, fatta in buona fede. Nel mio libro dico che l’uomo è imperfetto e non deve tendere alla perfezione, la perfezione è degli esseri molto semplici, degli insetti, per esempio, la cui vita è programmata. Nella mia vita ci sono stati gli errori di tutti, ma errori involontari, in buona fede, errori non irreversibili. Ci sono errori irreversibili che portano all’infelicità ed errori a cui si può riparare.” Crede al destino? “Posso rispondere negativamente. Io penso che ognuno di noi abbia infinite possibi-►

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