Piancavallo Magazine estate 2014

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PIANCAVALLO

magazine

PIANCAVALLO magazine Periodico di informazione, approfondimento e cultura - Estate 2014


Piazzale XX settembre n째 21 Pordenone Piancavallo tel. 0434 520524


Editrice: Associazione “La Voce”, Viale Trieste, 15 33170 Pordenone Tel. 0434 240000 Fax 0434 208445 info@lacitta.pordenone.it www.lacitta.pordenone.it Direttore Responsabile: Flavio Mariuzzo

Foto Ferdi Terrazzani

PIANCAVALLO magazine Periodico di informazione, approfondimento e cultura n.16 Supplemento n.2 al n.71 La Città (Aprile 2014)

SOMMARIO SOMMARIO 5.

Editoriale

6.

La montagna da cui si vede il campanile di San Marco

8.

Montagna, la scommessa del nuovo piano turistico

10. Mauro Corona, inesauribile vena di umanità alpina 14. La montagna incantata

HANNO SCRITTO IN QUESTO NUMERO: Sergio Bolzonello, Stefano Del Cont Bernard, Mara Del Puppo, Valentina Gasparet, Piergiorgio Grizzo, Giulio Ferretti, Giorgio Fornasier, Flavio Mariuzzo, Giulia Pelosi, Eugenia Presot, Ferdi Terrazzani, Mario Tomadini, Sabina Tomat, Michela Zin PROGETTO GRAFICO: Francesca Salvalajo FOTO: Ivan Centazzo Castelrotto, Alvise Berti, Marianna Corona, Matteo Corona, Angelo Leandro Dreon, Ferdi Terrazzani, Mario Tomadini, Archivio Piancavallo Magazine IMPIANTI STAMPA: Visual Studio Pordenone STAMPA: Tipografia Sartor Pordenone Si ringraziano per la collaborazione: Nicoletta Collauto Bozzer, Julia Marchi Cavicchi, Pino Rosenwirth, Mario Sandrin, Cristina Santarossa, Enzo Sima

In copertina: Mauro Corona (Foto di Marianna Corona)

18. Il canto della cinciallegra, colonna sonora dell’estate 23. L’altopiano delle grotte. Il sistema carsico del gruppo Cansiglio-Cavallo 27. Antro delle Lamate e Bus del Giass. Due grotte piene di storia e mistero 30.

L’estate scatena la voglia di sport

34.

Un villaggio sportivo in quota

37.

Sua altezza Cima “Manera”. La signora delle nostre cime

41.

Col Cornier, la montagna dei ragazzi

43.

Marcia a sei zampe!

45.

Sentinelle di un piccolo mondo antico

49.

Per quelli che non sono più tornati

54.

La guerra di Pietro

57.

La mia Russia

61.

L’amore di Romolo e Lisetta sbocciato tra Cortina e Piancavallo

64.

60 anni fa Lacedelli conquistò il K2 con ai piedi il cuoio pordenonese

67.

Lady and Chef, dieci anni con le mani in pasta

71.

“Make frico not war”

75.

Il Museo dell’Alpeggio

76.

Tempietto Longobardo restituito a nuova vita

79.

Ernesto Raffin, l’ingegnere della Zanussi che progettò Piancavallo

83.

Arriva il trenino della Valcellina!

85.

“Ami Piancavallo se…” spopola su Facebook

90.

Quel bambino tra le cime e il cielo

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EDITORIALE

La montagna pordenonese saluta e ringrazia gli Alpini La missione di questa rivista è di raccontare la montagna pordenonese. I suoi luoghi, le sue atmosfere, le sue tradizioni, i suoi personaggi. Piancavallo, località turistica di punta della provincia di Pordenone, è sempre al centro della scena, ma il nostro sguardo spazia volentieri verso le valli Cellina, Meduna e Tramontina e abbraccia l’intero comprensorio delle Dolomiti Friulane, ovvero quello spicchio di Patrimonio dell’Umanità Unesco che madre natura ha donato al Friuli Venezia Giulia. Molte sono le perle che anche in questa edizione, cari lettori, abbiamo raccolto e approfondito per voi, con l’obiettivo di farvi conoscere sempre nuovi aspetti di questo territorio e di farvelo amare. Forse non tutti sanno, ad esempio, che il Parco delle Dolimiti Friulane cela una delle aree più selvagge dell’intero arco alpino, un richiamo irresistibile per studiosi e appassionati di wilderness. Oppure che Piancavallo è il paradiso della cinciallegra, piccolo volatile esuberante, rumoroso e colorato che con il suo canto ritmato e squillante allieta le giornate degli ospiti. O ancora, che tra Piancavallo e la Foresta del Cansiglio, si possono ammirare straordinarie grotte carsiche, alcune delle quali ricche di fascino e mistero. Per non dire delle innumerevoli opportunità legate allo sport, all’escursionismo e al turismo culturale ed enogastronomico, di cui anche in questo numero di “Piancavallo Magazine” si dà un ampio resoconto. L’argomento forte di questa edizione, tuttavia, è l’Adunata nazionale degli Alpini organizzata a Pordenone. Il più grande evento mai ospitato dalla provincia non poteva non trovare un’eco anche su queste pagine. Così, grazie all’accurato lavoro di indagine di Mario Tomadini, abbiamo acceso un faro sulla storia della chiesetta alpina di Piancavallo, sulla vicenda dell’Alpino Pietro Maset, sopravvissuto alla Campagna di Russia e caduto a Casera Campo in uno scontro con i tedeschi a pochi giorni dalla Liberazione. E ancora, sotto la lente, la commovente vicenda di Romolo Marchi, Alpino decorato con la Medaglia d’Argento al valore militare a cui è intitolato il Gruppo ANA Pordenone Centro. Per onorare al meglio la presenza degli Alpini sul nostro territorio e promuoverne i valori abbiamo dedicato il servizio di copertina all’Alpino pordenonese forse più famoso in questo momento in Italia: Mauro Corona. Nella bella intervista raccolta da Valentina Gasparet, curatrice di Pordenonelegge, Mauro apre generosamente la finestra sul suo mondo con la disponibilità e l’umiltà che solo i grandi uomini, anche quando diventano famosi, riescono a conservare. Grazie a Mauro Corona, quindi, che ci ha voluto regalare in esclusiva anche la foto di copertina con il suo inseparabile cappello alpino. Ma grazie anche a tutti gli amici di Piancavallo Magazine che ci hanno dimostrato il loro affetto parlando di noi e inviandoci fotogrammi “amarcord” attraverso il nuovo gruppo “Ami Piancavallo se…” nato su Facebook. Flavio Mariuzzo

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COMUNE DI AVIANO

La montagna da cui si vede il campanile di San Marco Luogo ideale e attrezzato per le vacanze delle famiglie con bambini Piancavallo offre un contatto rigenerante con la natura incontaminata, con scorci sorprendenti sulla pianura sottostante di STEFANO DEL CONT BERNARD (*)

I

ritmi frenetici della vita quotidiana, le preoccupazioni per il futuro, il clima sociale difficile... quante volte sentiamo il desiderio di un momento di serenità, il bisogno di ritrovare un equilibrio con noi stessi e con la natura che ci circonda, di fermarci ad ascoltare il vento tra le foglie, ammirare i pascoli in fiore, perderci tra cieli azzurri e vasti orizzonti. Questo luogo non è lontano, sulle prime pendici delle prealpi pordenonesi, nell’immediata prossimità delle splendide Dolomiti Friulane, è adagiato il paese di Piancavallo, luogo di sport invernali ma, soprattutto, dolce e accogliente borgo di montagna dove l’estate scorre al ritmo tranquillo degli alpeggi, dove l’abbraccio silenzioso di vaste faggete protegge preziosi pascoli e vecchie malghe, dove è ancora possibile tendere l’orecchio per ascoltare la lieve e perenne sinfonia delle foglie e del loro movimento, dove si percepisce il vento che lambisce le roccie, dove lo sguardo viene rapito dalle nubi sempre cangianti, bianche, vive, veloci in un cielo profondo. Sarà proprio per questa magia che i bimbi sono i primi ad essere attratti da luoghi come Piancavallo. Luogo che offre una occasione speciale per le famiglie che possono accompagnare i figli in un contatto rigenerante con la natura ritrovando i ritmi che per secoli hanno caratterizzato la vita della montagna. In effetti il paese di Piancavallo nel tempo estivo ha una profonda vocazione per

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le famiglie e, più in generale, per quella componente del turismo montano che ama ritrovare una dimensione umana semplice e profonda nel contatto con la montagna. Un posto con servizi moderni ma che al suo cuore offre sensazioni antiche e un contatto struggente con un profilo del tutto unico nel mondo alpino: i sentieri che si dipartono da Piancavallo conducono a visioni straordinarie che, nello stesso momento, abbracciano Venezia, le Dolomiti, l’intera pianura friulana fino ai monti della Slovenia. Cercare con il binocolo il campanile della Basilica di San Marco e poi voltando lo sguardo, spaziare sulle più celebri vette dolomitiche offre una emozione impagabile, una sensazione di libertà e orgoglio e ci rende ancor più consapevoli dello splendore della nostra cara e amata Italia. Orgoglio per la bellezza della nostra terra e dei nostri monti che proprio quest’anno viene sottolineato, nella vicina Pordenone, dalla grande adunata nazionale degli Alpini a cui rivolgo un affettuoso saluto. Il monte Cavallo, presso cui sorge il paese di Piancavallo, si erge dalla pianura improvviso ed imponente, come a proteggere Pordenone e i suoi Alpini, la stessa protezione e accoglienza che rivolge ai tanti che salgono al paese sulle sue pendici e presso il quale auguro a tutti di poter trascorrere giorni sereni e felici. (*Sindaco di Aviano)

Intrattenimento, passeggiate nel verde, relax e tempo libero. Ecco come si presenta Piancavallo d’estate ai suoi ospiti (Foto Terrazzani)


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REGIONE FRIULI VENEZIA GIULIA

Montagna, la scommessa del nuovo piano turistico

La marginalità della nostra regione, da sempre considerata un limite, negli anni ha permesso di preservare l’identità storica, paesaggistica e culturale del territorio, e ora rappresenta una risorsa da valorizzare. Il nuovo piano strategico 2014-2018 del turismo regionale punta a costruire una logica di sistema che associ i diversi settori

Da

sempre la nostra marginalità geografica ha rappresentato un elemento penalizzante per il nostro comparto turistico. Oggi, con la presentazione delle nuove linee guida del piano strategico del turismo del Friuli Venezia Giulia, in corso in questi giorni in dieci località della nostra Regione, questa marginalità diventa elemento caratterizzante in grado di differenziarci da una concorrenza sempre più agguerrita, ma al contempo sempre più omogeneizzata. Questa marginalità ha consentito, negli anni, di preservare la nostra identità storica, paesaggistica e culturale permettendo così una salvaguardia del nostro territorio, ora grande nostra risorsa da valorizzare. Un vero e proprio unicum in grado di offrire un’esperienza variegata e completa.

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Il nuovo piano strategico, valido per il 2014 – 2018, prende avvio da questa premessa per la costruzione di una pianificazione dell’intero territorio e settore turistico, in una logica di sistema che consenta finalmente di associare turismo, comparto agroalimentare, cultura, trasporti, artigianato e industria. Un progetto che tiene conto delle nostre potenzialità, ma al contempo anche dei nostri fattori di debolezza come la forte e breve stagionalità, le dipendenze dal mono-mercato (austro-tedesco) e mono-prodotto (balneare), la mancata valorizzazione di agriturismi e Bed and Breakfast, l’offerta alberghiera definita «di basso livello», la carenza di coordinamento tra enti del turismo e la ridotta attenzione alla redditività del capitale investito. Tutti elementi che hanno, negli ultimi anni, determinato una perdita di competitività per la nostra regione.


IL POSTO GIUSTO PER CHI AMA LO SPORT

Il Festival del Folklore nel mese di agosto è uno degli appuntamenti estivi più attesi. Bob su rotaia e pic nic nella faggeta: due modi diversi di vivere Piancavallo (Foto Terrazzani)

Cardine di questa nuova visione strategica è la considerazione che la nostra regione è una destinazione turistica ‘slow’, ovvero in grado di offrire possibilità di turismo tematico ad alto valore aggiunto in grado di dialogare con le sue caratteristiche intrinseche. Per rilanciare il turismo in Friuli Venezia Giulia occorre che le strategie adottate siano condivise in una visione integrata, aperta ai cambiamenti, trasversale tra i diversi settori economici considerati, ma anche flessibile ovvero in grado di assecondare la domanda. Parole chiave di questa nuova visione sono competività, attrattività e sostenibilità. Un piano che rappresenta una svolta perché è indirizzato alla valorizzazione delle reti di impresa, all’evoluzione dei consorzi, che andranno adeguati alle nuove attese del turismo moderno, e alla creazione di una stretta sinergia fra la Regione e gli operatori. Obbiettivo è rilanciare un territorio nel quale tutte le realtà sono elementi

essenziali dell’offerta complessiva. Il Friuli Venezia Giulia deve sapersi proporre con autenticità per la sua bellezza e per le caratteristiche della sua gente. Non deve essere proposto come un prodotto indifferenziato e di massa, ma deve essere caratterizzato valorizzando le eccellenze esistenti per offrire al mercato turistico esperienze e motivazioni. Fra le priorità di questo nuovo piano strategico un ruolo determinante è rappresentato dalla montagna; essa dovrà puntare al turismo attivo e a quello legato alla pratica sportiva estiva con un’attenzione particolare all’enogastronomia. La montagna rappresenta una delle grandi scommesse di questa nuovo corso turistico, perché essa è il principio e la fine di ogni scenario naturale. Sergio Bolzonello

Vicepresidente e assessore alle attività produttive, commercio, cooperazione, risorse agricole e forestali

Regione Friuli Venezia Giulia

L’attività sportiva in montagna trova nell’altopiano di Piancavallo la sua più naturale collocazione. Questa splendida località nelle montagne pordenonesi dove nelle giornate di sole lo sguardo abbraccia le Dolomiti Friulane sino al mar Adriatico offre ai suoi visitatori un’ampia scelta di attività sportive sia d’inverno accontentando ogni tipo di sciatore, dall’agonista al principiante, che d’estate con passeggiate nel verde per tutta la famiglia, escursioni più impegnative per i buoni camminatori, pareti per le arrampicate, percorsi da trekking... Una località sportiva formidabile per esaltare la bellezza dello sport, non solo da competizione ma anche come attività sportiva fondamentale per sviluppare quei valori basilari per la società, come lo spirito di gruppo e la solidarietà, la tolleranza e la correttezza, principi indispensabili per l’arricchimento ed il miglioramento del nostro vivere quotidiano; ed è attraverso lo sport che si contribuisce a favorire la salute fisica e il miglioramento quotidiano dell’equilibrio fra corpo e psiche ed in questo spirito che la località risponderebbe appieno a sede del ritiro di formazioni di diverse discipline sportive, incrementando le presenze e sarebbe un attrattore per gli sportivi, ed appassionati, delle varie specialità sportive. Sono sicuro che anche nella prossima stagione estiva il Comprensorio, uno dei più all’avanguardia della nostra regione, saprà offrire un nutrito programma di manifestazioni di carattere sportivo, culturale e folkloristico utilizzando al meglio le strutture della località montana e garantendo agli ospiti quella accoglienza e ospitalità unica e speciale, caratteristica delle popolazioni delle montagne del pordenonese. Auguro pertanto a tutti gli operatori, ai collaboratori e ai volontari una proficua stagione estiva e agli ospiti uno splendido soggiorno! Gianni Torrenti

Assessore alla Cultura, Sport e Solidarietà Regione Friuli Venezia Giulia 9


IL PERSONAGGIO

Mauro Corona, inesauribile vena di umanità alpina Lo scrittore, scultore e alpinista di Erto ha vinto il prestigioso Premio Rigoni Stern 2014 per la letteratura di montagna con l’ultimo libro “La voce degli uomini freddi”. In questa intervista racconta il suo rapporto viscerale con la montagna e l’arrampicata. “Il mio cappello da Alpino è ancora qui, all’entrata della bottega/studio dove scrivo e lavoro, sulla testa di una scultura lignea di donna...”

di VALENTINA GASPARET

Scrittore scarno e asciutto, e insieme magico nell’essenzialità con cui narra storie fiabesche e insieme di brusca, elementare realtà. I suoi racconti hanno l’autorità della favola, in cui il meraviglioso si impone con assoluta semplicità, con l’evidenza del quotidiano. In loro c’è comunione con la natura, col fluire nascosto e incessante della vita, e un’infinita, intrepida solitudine”. Così ha scritto Claudio Magris nell’introduzione al Il volo della martora, il primo libro di Mauro Corona. A quel libro ne sono seguiti molti altri negli anni, tutti di grandissimo successo, e Mauro Corona è oggi uno degli scrittori più amati e apprezzati in Italia. Nei suoi libri racconta la durezza della vita nelle aspre valli delle montagne friulane, racconta le voci del bosco, del legno e della pietra. Tiene viva la memoria della tragedia del Vajont, la memoria di “quelli del dopo” e dei fantasmi di pietra che ancora abitano le case di Erto, il paese dove Mauro Corona vive da sempre. Ci parla di un “mondo storto” che deve ritrovarsi e dove torneranno le quattro stagioni... E, oltre ad essere uno scrittore amatissimo, Mauro Corona è un grande scultore ligneo, conosciuto in tutta Europa. Ma non solo. Corona è anche un alpinista e arrampicatore straordinario. Nel 1977 ha cominciato ad attrezzare le falesie del Vajont, che si affacciano sulla zona del disastro, destinate a diventare meta fondamentale per i climbers di tutto il mondo. Ha scalato numerose vette italiane ed estere, aprendo oltre 300 vie di scalata nelle Dolomiti d’oltrepiave, che oggi portano la sua firma: dalla semplice palestra di roccia arroccata in posti inaccessibili alle salite di grande impegno alpinistico. 10

Come ci si dovrebbe accostare alla montagna? Con che passo si dovrebbe iniziare un sentiero, avvicinarsi ad una vetta? In montagna, o ci si è nati e la si frequenta fin da bambini, altrimenti è necessario fare dei corsi di preparazione. Anche per i più giovani è molto importante affidarsi ad una preparazione specifica, non solo corsi di roccia, di alpinismo, ma anche corsi di preparazione - e ce ne sono di ottimi in tutta Italia preposti all’avvicinamento alla montagna. I ragazzini, prima di arrampicare con il cioccolato Novi in tasca come nella pubblicità, devono imparare a camminare in montagna, sapere dove mettere i piedi, apprendere le tecniche, imparare ad accendere un fuoco, conoscere gli alberi. Anche solo per camminare in montagna è fondamentale prepararsi, fare attenzione, conoscere. Quando è nata la tua passione per l’arrampicata e cosa significa per te arrampicare? Se uno nasce in un posto che si chiama Erto o arrampica o scivola giù. A parte la battuta, in questi luoghi c’è sempre stata una grande tradizione alpinistica, dai fratelli Giordani nella metà dell’800, a Francesco Filippin, a Giacomo Sartori, a tanti altri. Siamo circondati da boschi e da roccia e arrampicare è un istinto, fin da piccoli. Io ho cominciato da bambino, con mio nonno, e mi è piaciuto subito moltissimo salire in cima, vedere cosa c’è aldilà. Mi piaceva librarmi nel vuoto, avere paura. L’arrampicata, portandoti con i piedi per aria, paradossalmente, ti riporta con i piedi per terra. Arrivare ad un punto dove cerchi di camminare e calpestare l’aria, arrivare


Foto di Marianna Corona

al nulla... e poi tornare giù, tra la materia, tra le cose di ogni giorno, che diventano anche più accettabili. L’arrampicata per l’uomo è qualcosa di istintivo: se a un bambino piccolo metti davanti una sedia, istintivamente cercherà di arrampicarsi, di salire sopra. Siamo tutti arrampicatori: andare un po’ più su è un gesto di vanità, tornare giù è più difficile e ci vuole umiltà. C’è un ricordo, un pensiero che ti lega a Piancavallo? Ho molti ricordi di Piancavallo. Il primo risale a molti anni fa, poco dopo il Vajont, negli anni in cui Piancavallo stava nascendo: Redento Toffoli, il fondatore di Toffoli Sport – che non dimenticherò mai perché mi regalò il mio primo zaino e il primo paio di sci – offrì a mio padre la possibilità di comprare un piccolo terreno. Mio padre non lo acquistò, ma il mio ricordo va a quell’offerta di un pezzo di terra lassù. E poi a Piancavallo

IL PREMIO

Un ringraziamento particolare a Marianna Corona

La voce degli uomini freddi (Mondadori, 2013) ha vinto il Premio Mario Rigoni Stern per la letteratura multilingue delle Alpi 2014. “La voce degli uomini freddi di Mauro Corona – recita la motivazione del Premio – rappresenta l’epopea delle genti di montagna, avvezze al pericolo e al sacrificio. Uomini freddi come aggettivo di loco, non come aggettivo qualificativo. Un’umanità costretta a vivere nel luogo freddo, ma che da questa caratteristica non solo non è schiacciata, ma la trasforma in elemento positivo. L’autore con la sua opera rappresenta, nel contesto culturale che fa riferimento all’arco alpino, un’espressione particolarmente significativa del territorio e delle sue genti, bene cogliendo il messaggio del Premio intitolato a Mario Rigoni Stern, inteso a perpetuarne i valori di fratellanza, di rispetto per l’ambiente, di umanità alpina.”

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Foto Gigi Cozzarin

Pordenonelegge è a settembre. A maggio, invece, siamo a Torino e all’Adunata nazionale degli Alpini. 8-12 maggio 2014 Torino, Lingotto Fiere INCONTRI E PRESENTAZIONI 9-11 maggio 2014 Pordenone, Piazza Cavour SPAZIO LIBRERIA PORDENONELEGGE / LOVAT

www.pordenonelegge.it


Foto di Matteo Corona

Per conoscere i luoghi di Mauro Corona: www.parcodolomitifriulane.it

ci sono tornato molte volte: ricordo negli anni ‘70 le mie prime gare di sci da fondo e tanti allenamenti. E negli ultimi anni ho presentato diverse volte lì i miei libri e ho incontrato sempre moltissime persone ad ascoltarmi. Dove c’è il cuore della gente, la gente va... Sei stato Alpino: hai fatto il servizio militare prima all’Aquila e poi a Tarvisio nella squadra sciatori. Che ricordi hai di quel periodo e cosa rappresentano per te gli Alpini? Gli Alpini hanno una grande storia, una lunga tradizione di guerra, di morte, di sacrificio, e hanno fatto grandi cose, hanno aiutato, costruito. Io sono fiero di essere stato Alpino. Ero talmente fiero che il Generale mi ha voluto trattenere più a lungo al termine del servizio militare... Mi sono congedato infatti con più di un mese di ritardo, dopo aver passato 42 giorni in Cella Punizione Rigore, perché “indisciplinato e ingestibile”. Ma ricordo con estremo piacere e dolcezza la mia Naja da Alpino, ricordo le persone, i superiori; con la mia squadra del “3° montagna” vincevamo tutte le gare di sci. Ho fatto molte cose durante la Naja, mi hanno perfino dato la Patente C... a uno come me, che in auto non sa andare neanche a Longarone! Il mio cappello da Alpino è ancora qui, all’entrata della bottega/studio dove scrivo e lavoro, sulla testa di una scultura lignea di donna... l’ho appoggiato

sopra quella scultura più di vent’anni fa, ma è stato profetico, perché adesso anche le donne possono fare l’Alpino. Non frequento le adunate di solito, però questa volta, a Pordenone, potrei decidere di andare: partire all’alba, a piedi, da Erto... chissà, non è detto, magari lo farò... Con l’ultimo libro La voce degli uomini freddi hai da poco vinto il Premio Rigoni Stern 2014, un prestigioso riconoscimento per la letteratura di montagna. Mario Rigoni Stern, indimenticabile scrittore, magnifico simbolo della montagna e riferimento per gli Alpini... Mario Rigoni Stern è un larice essenziale, un grandissimo esempio. Il monumento più importante per un uomo di così grande valore etico e morale, di così grande conoscenza, pacatezza, grazia, è quello di imitarlo. Non di copiarlo, ma di imitarlo, di comportarci come lui: un uomo vale come esempio da imitare. Ci legavano molte cose, la caccia, i boschi, le camminate, la montagna in tutte le sue sfaccettature. L’origine della mia scrittura, oltre che a Marisa Madieri, risale proprio a Rigoni Stern. Fu lui più di vent’anni fa, da Presidente del Premio Carnia, a selezionare il mio racconto “La malga”. E dopo diversi anni quel premio lo vinsi con il libro “Le voci del bosco”. Tutto è iniziato con lui e tutto riporta a lui. E io sono orgogliosissimo di questo premio.

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PARCO DELLE DOLOMITI FRIULANE

La montagna incantata Tra i bacini orografici del Cellina e del Meduna, nel Parco delle Dolomiti Friulane, si trova una delle aree più selvagge dell’intero arco alpino. Un richiamo irresistibile per studiosi, documentaristi ed appassionati del wilderness. Oggi per monitorare la fauna selvatica è nata un’associazione. Lupi e orsi tra i sorvegliati speciali

di PIERGIORGIO GRIZZO foto di ANGELO LEANDRO DREON

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Il

Friuli è una terra dove è ancora possibile avere delle visioni. Bastano un paio di chilometri per andare dalla zona artigianale a brughiere sterminate di erba e ciottoli. Basta fare una galleria per passare da una pianura di superstrade e centri commerciali a paesi fatti di sassi presi dai torrenti, relitti di altre epoche, abbandonati tra boschi e montagne rocciose. La montagna pordenonese è tutto un intersecarsi di mondi contigui, dimensioni parallele. Le sue valli, scavate da torrenti impetuosi, sono come intercapedini di una vecchia casa abbandonata. Nascondono segreti e tesori. Sembra incredibile nell’epoca di internet e dei cellulari e in una regione così densamente urbanizzata, ma a pochi chilometri in linea d’aria da città moderne e popolose, appena più in là delle solite tratte battute dal turismo di massa, incassati in profonde valli, accessibili solo attraverso passaggi misconosciuti e pericolosi, esistono dei microcosmi, dove l’uomo non

mette piede praticamente mai. Luoghi selvaggi e solitari che si chiamano Val Silisia, Val di Gere, Val Senons, Canal Grande e Canal Piccolo di Meduna, Canale del Vuar. Un teorema di prati verticali, pareti a strapiombo, forre profondissime, boschi e cascate. Un’area di circa 90 chilometri quadrati, a cavallo tra il bacino orografico del Cellina e quello del Meduna e tra i comuni di Claut e di Tramonti, che fa parte del Parco delle Dolomiti Friulane e che, a detta di molti esperti, è una delle più selvagge dell’intero arco alpino. Un richiamo irresistibile per studiosi, documentaristi ed appassionati del wilderness; insomma, per un certo turismo molto molto di nicchia. Un territorio inaccessibile (per fortuna) al turista della domenica con stereo e frigo portatile al seguito. Tra i principali conoscitori di questi luoghi, così vicini eppure così remoti, ci sono Marco Pavanello e Angelo Leandro Dreon, che di mestiere sono guardie

Lupi avvistati con le fototrappole in Val Tramontina e, a destra, il logo dell’Associazione Therion research group

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PROVINCIA DI PORDENONE Il saluto del vicepresidente Eligio Grizzo

Alpini, un modello per il Paese Lo slogan è “Pordenone Terra Alpina” ma, se guardiamo al passato non troppo remoto, dovremmo parlare di “Pordenone Provincia Alpina”. Negli anni del Dopoguerra e fino a pochi anni fa, infatti, il reclutamento dei ragazzi di leva obbligatoria era per il 78% legato ai ventenni del territorio provinciale, che venivano indirizzati ai reparti alpini della Brigata Julia e della Cadore. Fino al ‘98 si parlava di naja alpina obbligatoria, che produceva una naturale condivisione di esperienze, di ricordi, di fatiche. Oggi, per la scomposizione dei corpi militari da un lato e la trasformazione a servizio volontario dall’altro, la spirito con cui i giovani si avvicinano alla leva è un po’ cambiato. Quello spirito di volontariato obbligatorio organizzato si è trasformato in volontariato civile che vive di solidarietà. E’ venuta meno quell’inclinazione che per generazioni ha unito giovani legati da una parentesi di vita breve ma intensa. Si usciva di casa da ragazzi “sbarbini” per avventurarsi in luoghi nuovi e caserme tutte da scoprire, e si ritornava in famiglia uomini consapevoli e indipendenti accomunati da ricordi indelebili. L’87^ adunata delle penne nere, oltre alla vivacità dei suoi interpreti, porterà con sé proprio lo spirito alpino, plasmato dalla fatica e dal sacrificio, dalla considerazione del mulo quasi come un fratello da pulire e bruscare, dalla necessità di lavarsi le calze autonomamente, dal dovere di eseguire ordini superiori che possono sembrare insensati al momento ma che si rivelano utili con il tempo. Perché, è vero, gli alpini sanno pensare in grande e fare cose memorabili, mossi da un entusiasmo irrefrenabile; non hanno paura a mettersi in gioco per la comunità perché lo hanno già fatto per la patria. E nelle situazioni di emergenza, dove spesso i mezzi di salvataggio non arrivano, gli alpini non mancano mai, comandati a forza da una generosità “urgente”, da un bisogno vitale di essere d’aiuto. Uomini che si mettono in gioco perché hanno saputo convertire le faticose esperienze vissute in amore per la patria e per la propria terra. E, allora, poter essere sul luogo dell’adunata diventa un’occasione per ritornare ventenne, con il cappello alpino in testa e il cuore che arde di coraggio.

87 a Adunata Nazionale

PORDE

ONE

PROVINCIA ALPINA 9 -10 -11 Maggio 2014


Le profonde valli pordenonesi a cavallo tra i bacini del Cellina e del Meduna hanno il fascino della montagna incontaminata

ittico-venatorie della Provincia di Pordenone, e che nel tempo libero, insieme ad altri ricercatori, hanno dato vita al Therion Research Group (che si compone attualmente di 9 membri tra cui un veterinario, diversi laureati in scienze naturali ed altri addetti ai lavori), nato per monitorare la fauna selvatica del territorio e per altri scopi di ricerca. “E’ un gruppo di amici – spiega lo stesso Pavanello – riunitisi in un’associazione, che ha come obbiettivi la ricerca, la divulgazione, scientifica e non, e anche, in futuro, la creazione di una serie di itinerari per viaggiatori naturalistici. Vorremmo favorire la creazione di microeconomie sul territorio dei nostri paesi di montagna, legate alle nostre bellezze naturalistiche e alla presenza della fauna selvatica. Per un eco turismo, che entri nell’ambiente in punta di piedi, ovviamente”. Attualmente il gruppo sta tenendo monitorata la coppia di lupi, che si è formata proprio in Val Tramontina, tra un maschio proveniente dai Balcani e una femmina di razza italica, e in procinto di figliare tra aprile e maggio. “Abbiamo collocato in tutto una ventina di fototrappole – spiega – attraverso le quali siamo riusciti prima a fotografare e poi a filmare la coppia. Inoltre sui luoghi delle predazioni abbiamo raccolto campioni di saliva, attraverso il quale è stato possibile ricostruire il profilo genetico e quindi l’origine dei due esemplari”. Il ritorno dei grandi predatori è un altro indizio importante del ritrovato wilderness delle nostre montagne. Oltre ai lupi, novità degli ultimi mesi, è stato avvistato a più riprese anche l’orso (l’ultimo avvistamento risale alla primavera 2013 in Val Pentina). La loro

presenza, oltre che a suscitare grande curiosità tra gli studiosi, serve a ripristinare quell’equilibrio biologico che, invece, l’eccessiva densità di ungulati come il camoscio, il cervo o il capriolo rischiava di compromettere, con conseguenze gravi per la flora autoctona e per le stesse specie animali, che in situazioni di “sovraffollamento” sono più esposte al rischio di pandemie. Ma il ricrearsi di queste condizioni primordiali, il ricostituirsi di queste oasi di natura selvaggia e incontaminata nelle nostre montagne a cosa è dovuto? “A tanti fattori – spiega Pavanello – alle caratteristiche morfologiche di questi territori in primis. I fondovalle sono molto profondi, i dislivelli significativi e gli accessi difficili e pericolosi, soprattutto in inverno. Tutte condizioni che scoraggiano la presenza umana, che si limita quasi esclusivamente a qualche cacciatore, più o meno in regola”. C’è da dire che la zona a cavallo tra Val Cellina e Val Tramontina gode da decenni di un trattamento spieciale. Prima ancora della costituzione del Parco la zona di Cima Camosci, Cima Postegaie, del Pramaggiore e del Monte Turlon erano state chiuse alla caccia e questo ovviamente ha favorito il ritorno della selvaggina”. “Inoltre – continua – lo spopolamento delle area limitrofe, comune anche a molte altre zone di montagna, e gli espropri perpetrati dalle società che nel dopoguerra realizzarono le grandi opere idrauliche come i laghi di Selva e del Ciul e le relative dighe, hanno consentito alla natura di ridiventare la padrona assoluta del territorio e alla fauna selvatica di ripopolarlo”.

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NATURA

Il canto della cinciallegra, colonna sonora dell’estate

È quasi impossibile fare un’escursione a Piancavallo senza avvistare una cincia tra i rami, magari appesa a testa in giù, o sentirne il canto ritmato e squillante. Esuberanti, rumorose, intelligenti e colorate allietano le giornate degli ospiti

foto e testo di FERDI TERRAZZANI

Esemplare di Cincia bigia Nella foto grande la Cincia mora

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S Esemplare di Cincia col ciuffo

ono allegre, more, bigie, con il ciuffo e dalla livrea vivace, appartengono alla famiglia dei Paridi: sono le Parussule ovvero le Cincie. Vivono accanto a noi e sono facili da osservare, conoscerle migliora il nostro rapporto con l’ambiente, un piccolo passo nella direzione giusta in un momento così delicato per il nostro ecosistema. Allietano con il loro “chiacchierio” le nostre giornate, una colonna sonora che ci accompagna in tutte le stagioni. Sempre esuberanti e rumorose, intelligenti e colorate, le cincie sono un esempio di adattamento alle più disparate condizioni ambientali, sia naturali che modificate dall’uomo. In Piancavallo nidificano e sono presenti nelle varie specie tutto l’anno. Si possono osservare anche dalla finestra di casa senza essere necessariamente esperti di birdwatching, è quasi impossibile fare un’escursione sulla piana senza avvistarne una tra i rami magari appesa a testa in giù o sentirne il canto ritmato e squillante. La Cinciallegra è la varietà più diffusa, si identifica dalla testa nera con le guance bianche e dalla striscia nera che attraversa verticalmente il petto giallo. Nella famiglia dei Paridi è quella con

nero e le zampe sono grigio-bluastre. Tra il maschio e la femmina non si riscontrano differenze. La Cincia bigia è caratterizzata da un piumaggio sobrio e poco appariscente, con parti superiori castane più o meno accese e parti inferiori bianche con fianchi soffusi di fulvo. Una banda nera lucente copre tutto il capo dalla fronte alla nuca e contrasta con le guance bianche; il mento è nero. Meno gregaria delle specie simili, la cincia bigia vive isolata o in piccoli gruppi. La Cincia dal ciuffo prende il nome dal caratteristico ciuffetto di piume bianco nere che ne impreziosisce il capo. Si esibisce in numeri acrobatici tra i rami dove si avventura alla ricerca di cibo ed è piuttosto socievole. La Cinciarella è affine alla Cinciallegra, ma dalle dimensioni più piccole e dalla livrea e dal carattere molto vivace è la meno confidenziale. La colorazione presenta per entrambi i sessi un blu cobalto sulla nuca, ali e coda, il dorso è verdastro. La caratterizza una mascherina bianca sul capo attraversata da una linea nera all’altezza degli occhi, il petto è giallo.

le maggiori dimensioni. Audace e temeraria è capace di prendere i semi dalla mano dell’uomo. La Cincia mora è caratterizzata dalla gola e dal capo di colore nero con guance bianche. Nella parte superiore del corpo la colorazione è grigio-verdastra con striature bianche. La nuca presenta una grossa macchia bianca. Il becco è

Quando le fonti di cibo scarseggiano a causa delle condizioni meteorologiche avverse tocca a noi, pensare a sfamare i piccoli amici pennuti installando delle mangiatoie sui terrazzi o in giardino. Semplici soluzioni per offrire cibo agli uccelli: dalle palline di grasso vegetale miscelate con semi che si trovano 19


Una Cianciallegra (a sinistra) e una Cinciarella impegnate a contendersi una mangiatoia

in commercio o preparate da noi, dai semi di girasole alla canapa e miglio raccolti in retine o contenitori. Si possono utilizzare alimenti presenti in casa come mela, frutta secca, uva passa o briciole di biscotto. Nutrire gli uccelli, particolarmente nella stagione invernale, è un reale contributo alla sopravvivenza di quelle specie che si trattengono nelle nostre zone per tutto l’anno. Una cosa importante, da non sottovalutare, è che se iniziate a mettere cibo nella mangiatoia, dovrete 20

continuare a farlo per tutta la stagione fredda; diventerà infatti un punto di riferimento fondamentale per i volatili che la frequenteranno. Gli uccelli migrano non tanto per le ostili condizioni climatiche, quanto per la difficoltà a trovare cibo nella stagione più fredda. Se installate le vostre “dispense per uccellini” in un luogo visibile dal balcone, come ho fatto io, riuscirete ad osservarli senza spaventarli o disturbarli, da una posizione privilegiata.


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SOTTO LA LENTE

L’altopiano delle grotte

Il sistema carsico del gruppo Cansiglio-Cavallo

Il massiccio del Consiglio-Cavallo è un tipico altopiano carsico, costituito da calcari di scogliera molto puri, formatisi circa 80 milioni di anni fa. L’acqua assorbita nell’altopiano alimenta un sistema di risorgive situate sulla base della scarpata orientale: le principali sono il Gorgazzo e la Santissima, che formano il fiume Livenza. Le grotte comprese nell’area dal Cornier alla Val Sughet (Monte Colombera e Arneri) sono oltre 200 di GIORGIO FORNASIER (*)

I

disastri ambientali degli ultimi anni, riportano alla ribalta la figura dei geologi e di tutti coloro che hanno sempre sostenuto le problematiche legate al cattivo utilizzo del territorio. Fra costoro vi sono gli speleologi, persone che operano apparentemente nell’oscuro delle grotte, ma che in verità sono attivi in tutti i territori montani ed in particolare in quelli carsici che costituiscono buona parte delle regioni italiane. Da anni, infatti, gli speleologi, fra i quali vi sono geologi, fisici, topografi ed una miriade di altri specialisti, sono attivi nell’esplorare, studiare e diffondere le conoscenze degli ambienti carsici,

evidenziando i risvolti che tali ambienti creano nella comunità, non solo di montagna, ma anche e soprattutto, di valle. Un abuso degli ambienti montani porta a delle conseguenze che a volte sono apparenti, vedasi le alluvioni, ma a volte sono apparentemente invisibili, come può essere l’inquinamento di una falda acquifera che alimenta acquedotti di diversi Comuni. Fin dalla sua origine la speleologia pordenonese, allora Gruppo Speleologico Idrologico Pordenonese (ora Unione Speleologica Pordenonese C.A.I.), ha avuto una particolare attenzione all’inquinamento delle sorgenti carsiche e quindi

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di tutta l’acqua della provincia, andando a realizzare nel 1973 un monitoraggio dei corsi d’acqua provinciali, in collaborazione con l’allora “Laboratorio d’Igiene e profilassi” diretto dal professor Guido Perin, studio che ha prodotto un elaborato definito “di base” per tutti i monitoraggi che si sono succeduti negli anni seguenti. La costante ricerca, volta a dare conferma di una tesi di geologia teorica, ossia la presenza di un complesso carsico Cansiglio/ Cavallo con immissione delle acque a monte e fuoriuscita a valle presso le sorgenti del Livenza, è sfociata in uno studio che ha visto impegnati gli speleologi di numerosi Gruppi Grotte nel monitoraggio delle sorgenti dopo l’avvenuta colorazione, con reagenti chimici atossici, delle cavità del pian Cansiglio. Il risultato è stata la conferma per le due sorgenti della Santissima e Molinetto mentre nulla è uscito dal Gorgazzo. Questo fatto apre ulteriori studi e ribadisce l’importanza del rispetto dell’ambiente sovrastante, rispetto ripetutamente venuto a mancare con l’allargamento delle piste da sci, con la cementificazione e l’asfaltatura di ampie zone del Piancavallo, che hanno provocato la chiusura più o meno radicale di inghiottitoi (foibe) site nei pressi delle piste e dei fabbricati. Conseguenza immediata: l’allagamento di alcune aree del Piancavallo. Conseguenza nel tempo: la mancata percolazione nel sottosuolo delle acque con problemi di siccità nei periodi di minori precipitazioni, poiché la nostra montagna è come una spugna, ma deve assorbire in modo uniforme e non solo in certe zone. GEOLOGIA Il massiccio del Consiglio-Cavallo è un tipico altopiano carsico, costituito da calcari di scogliera molto puri, formatisi circa 80 milioni di anni fa. L’acqua assorbita nell’ambito dell’altopiano alimenta un sistema di risorgive situate sulla base della scarpata orientale, le principali delle quali sono il Gorgazzo e la Santissima che formano il fiume Livenza. Nell’altopiano si riconosco aree a doline, enormi imbuti naturali che molto spesso convogliano in inghiottitoi (foibe) che sono in grado di smaltire tutta l’acqua piovana raccolta in superficie. Ne deriva un territorio superficialmente arido e profondamente scavato e ricco d’acqua.

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CLIMA La dorsale Consiglio-Cavallo rappresenta una notevole barriera per le masse d’aria calda e umida che d’estate vi giungono, sospinte dai venti sciroccali provenienti dall’Adriatico. Ne conseguono intense precipitazioni durante la stagione vegetativa, dovute alla condensazione delle masse d’aria umida, mentre nel periodo invernale i venti freddi, che spirano da nord-est, rendono il clima notevolmente rigido. Temperature medie annue di 11-12°C. Precipitazioni medie annue fra i 1700-1900 mm. Nonostante le abbondanti precipitazioni il territorio è contraddistinto da scarsa disponibilità idrica a causa delle caratteristiche geologiche dell’area (carsismo). GROTTE IN PROVINCIA DI PORDENONE La Regione Friuli Venezia Giulia è stata la prima in Italia a dotarsi di un Catasto Regionale delle Grotte, alla data del 26.05.2013 risultavano accatastate 7.710 cavità naturali di cui 3.175 site nelle Venezia Giulia e 4.535 nel Friuli. Nella Provincia di Pordenone vi sono oltre 900 grotte distribuite sul territorio, ma principalmente conglobate in 3 complessi carsici: Pradis, Valcellina e Cansiglio-Cavallo.


URBANISTICAZIONE AREA La visione dell’area dall’alto a mezzo satelliti evidenzia come le piste da sci abbiamo profondamente segnato il territorio tracciando ferite nel panorama alpino visibili fin dalla bassa pianura (piste del Sauc in particolare). Queste immagini ci fanno ben capire come diverse zone carsiche siano state spianate al fine di allargare le piste, senza preoccuparsi minimamente di salvaguardare le entrate degli inghiottitoi. SCHEMA DI UN COMPLESSO CARSICO Il disegno rappresentato ci illustra il percorso dell’acqua piovana che, assorbita nel sottosuolo attraverso inghiottitoi e pozzi più o meno ampi, percorre un rete sotterranea dove si formano cavità più o meno grandi, cunicoli, pozzi, strettoie, per arrivare fino al piano di falda. L’acqua rivedrà la luce a mezzo di risorgive montane o di pianura, ovvero andrà ad alimentare le falde acquifere che attraversano la pianura friulana. ASPETTI CARSICI IPOGEI Inghiottitoi esterni, pozzi interni, cunicoli e gallerie con le varie forme che l’acqua, nel suo scorrere, ha impresso loro fino a giungere a quelle sorgenti note come Molinetto, Santissima e Gorgazzo.

L’ACQUA DI IERI, DI OGGI E DI DOMANI Quanto sopra esposto ci fa ben comprendere come l’inquinamento derivante da fattori umani (pozzi neri, pozzi a perdere, acqua alterata da sale antighiaccio e da agenti chimici diversi) verificatisi in quota, portino ad un’alterazione di quell’acqua che andrà poi ad alimentare i nostri acquedotti. Inoltre, gli speleologi registrano un costante aumento dello scioglimento dei nevai e ghiacciai che in passato erano fortemente presenti sul fondo degli inghiottitoi e pozzi e che garantivano grandi riserve d’acqua nei periodi siccitosi. Ricordiamoci sempre che l’acqua presente sul territorio provinciale è per il 100% derivante da complessi carsici, potenti negli strati, ma delicati nel loro insieme. Se poi si considera l’uso improprio delle doline e degli inghiottitoi e di altre forme carsiche epigee come discariche a cielo aperto, ci viene facile pensare a quali guai questo comportamento ci porti. Immaginatevi di versare dell’acqua in un bicchiere facendola passare per un setaccio con un deposito di letame piuttosto che d’immondizie varie (batterie esauste, ferro ruggine, carcasse di animali morti, medicinali scaduti, etc.) e poi ditemi: la berreste ancora? Penso di no, ma quello che accade all’acqua in un complesso carsico è lo stesso effetto che vi ho appena descritto e se da noi questo fenomeno è attualmente limitato, in altre zone montane è una amara realtà, la presenza di allevamenti forzati, piuttosto che di fabbriche e di città inquinano le falde e l’acqua che berremo a valle. Cerchiamo di pensare a questo quando andiamo a operare scelte di qualsiasi natura in zone carsiche, sentiamo il parere degli speleologi che sicuramente hanno maturato una accurata conoscenza dell’ambiente. Infine, ricordiamoci che esiste un Catasto regionale delle grotte e che questo può aiutarci a conoscere meglio quello che c’è sotto i nostri piedi.

Foto Ivan Centazzo Castelrotto

GROTTE DEL COMPLESSO CANSIGLIO-CAVALLO Le grotte comprese nell’area dal Cornier alla Val Sughet (Monte Colombera e Arneri) sono oltre 200, maggiormente concentrate nell’area tra il Cornier e l’Arneri, di cui solo 8 sono orizzontali. Lo sviluppo totale di tutte supera i 4.000 metri in dettaglio: 4 superano i 100 metri; 10 superano i 50 metri; la maggior parte ha sviluppo prevalentemente verticale compreso tra i 10 e i 50 metri e spesso presenta neve o ghiaccio sul fondo che ne impedisce la prosecuzione dell’esplorazione. Nella zona del Cansiglio ricadente in provincia di Pordenone le grotte sono 57, di cui una sola orizzontale, 5 superano i 100 metri di profondità.

(* UNIONE SPELEOLOGICA PORDENONESE C.A.I. Sezione di Pordenone)

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TRA MITOLOGIA E TRADIZIONE PASTORALE

Antro delle Lamate e Bus del Giass

Due grotte piene di storia e mistero Un’immagine interna dell’Antro delle Lamate ancora innevato. L’apertura volge a occidente verso il Cansiglio (archivio Sottosezione di Aviano del Club Alpino Italiano)

di MARIO TOMADINI *

L’Antro delle Lamate è una caverna dall’ampia volta aperta verso occidente; s’apre ad una quota di poco superiore ai 1700 metri e si raggiunge senza eccessivo impegno dal Rifugio Arneri. Ad un’ora scarsa di cammino, nel fondo di una dolina, s’apre il Bus del Giass: i caseranti la utilizzavano come cella frigorifera naturale per i loro prodotti

È

un impalpabile senso di mistero che unisce due siti della montagna del Cavallo anche se agli occhi dell’escursionista le nostre due grotte si presentano con caratteristiche abbastanza diverse. L’Antro delle Lamate è una caverna dall’ampia volta aperta verso occidente; s’apre ad una quota di poco superiore ai 1700 metri e si raggiunge senza eccessivo impegno dal Rifugio Arneri percorrendo il sentiero Cai 993. In alcune note cartografiche è erroneamente ricordato come Antro delle Mate e questo farebbe supporre la presenza di donne uscite di senno oppure potrebbe riferirsi alle creature mitologiche molto simili alle “agane” che si ricordano per i loro trasformismi e le loro strane abitudini. Dispiace sempre tarpare

le ali alla fantasia dei lettori ma nel nostro caso non c’è nulla di tutto questo, poiché quel “lamate” deriva da lama, cioè una pozza d’alpeggio che guarda caso è presente a pochi minuti di cammino dall’Antro. Un’altra plausibile spiegazione è data dal vocabolo “laminazione” intesa come una caduta d’acqua simile allo stillicidio, un fenomeno peraltro presente nella cavità. Fatto sta che per non trovarsi di fronte ad un’agana oppure al Mazzariol (il dispettoso folletto del Cansiglio), i pastori che un tempo conducevano le greggi a brucare la buona erbetta di alta quota sostavano o si riparavano nell’antro solo per il tempo strettamente necessario ma non vi avrebbero mai trascorso un’intera notte perché le credenze popolari e le superstizioni non

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Escursionisti davanti all’Antro delle Lamate (foto Ferdi Terrazzani)

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potevano certo lasciare il passo a idee illuministe e così l’atavica sensazione di timore per l’ignoto e per il mistero condizionava anche chi si prendeva cura degli ovini. Con questo ancestrale retaggio l’Antro delle Lamate è giunto fino a noi, uomini moderni che per sopravvivere siamo costretti a nutrirci del cibo della ragione. Ma nelle nostre montagne le sorprese non sono finite, poiché ad un’ora scarsa di cammino dalle Lamate, nel fondo di una dolina s’apre il Bus del Giass. La cavità è raggiungibile dalla Casera della Valle Friz seguendo la rotabile a fondo naturale (Dorsale Cavallo-Cansiglio) che guadagna leggermente quota verso occidente. Dopo un breve tratto di discesa sulla nostra destra (sbarra) si diparte un’altra strada che aggirando il Col Grande conduce a Casera Ceresera. In quel punto, facendo molta attenzione, si riconosce una traccia che scende nel fondo di una dolina dove la neve solitamente vi permane fino a maggio inoltrato. Non ci sarà difficile notare l’accesso alla grotta ipogea che ci accoglie con un soffio di aria gelida. Una piccola “sala” è tutto ciò che appare ai nostri occhi; di per sé questo non

sarebbe molto interessante se non fosse per la presenza di uno strato di ghiaccio che ricopre il fondo e per le stalattiti che ci obbligano ad un approccio penitente. Va subito detto che la quantità e la qualità del ghiaccio variano con l’andamento delle stagioni; quindi a inverni freddi o caratterizzati da intense precipitazioni nevose corrisponde uno strato consistente, al contrario dopo inverni poveri di neve e di gelo troveremo uno strato più sottile. Fin qui le note tecniche, tuttavia quella grotta gelata un tempo era importante per quanti tra caseranti, malgari e pastori cercavano un sito dove depositare gli alimenti deperibili. In zona più di mezzo secolo fa insistevano alcuni alpeggi (di Valle Friz, Centolina, Fanghi, Cal del Mur e quello chiamato proprio Bus del Giass) e quindi i prodotti caseari e le derrate alimentari erano conservati in quella che era una naturale fabbrica del freddo. Il Bus del Giass merita senz’altro una visita nella prossima estate; tuttavia l’approccio a questo frigorifero naturale deve essere rispettoso poiché si tratta di uno tra i più delicati siti della montagna del Cavallo.

L’interno del Bus del Giass. Sulla destra una grossa stalattite (foto Ferdi Terrazzani)

L’ingresso del Bus del Giass. Situato nel fondo di una dolina la cavità presenta una piccola “sala” dal fondo ghiacciato (foto Ferdi Terrazzani)


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EVENTI SPORTIVI

L’estate scatena la voglia di sport Una palestra a cielo aperto. Così viene spesso definito l’altopiano del Cavallo, vero e proprio paradiso della corsa in montagna. Molte sono le manifestazioni del comprensorio già affermate a livello nazionale e internazionale foto e testo di FERDI TERRAZZANI

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iancavallo è una sorta di paradiso per gli amanti delle discipline bianche, ma non solo, perché d’estate diventa anche il luogo dei grandi eventi sportivi; lo conferma il prestigioso curriculum. Piancavallo da maggio a settembre cambia veste e si trasforma in palcoscenico ideale per la pratica agonistica di sport che hanno a che fare con il podismo e la bicicletta. All’ombra di Cima Manera, del Cimon dei Furlani, di Cima Lastè e della Val Piccola in un ambiente dove l’aria è frizzante e pulita sono nate e cresciute manifestazioni che hanno saputo imporsi anche a livello nazionale. Le prime pagine sulla corsa in montagna in Piancavallo sono state scritte dagli

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alpini una cinquantina d’anni fa quando abbinarono al tradizionale raduno d’agosto la nascita della gara “Trofeo Madonna delle nevi”, classicissima competizione con formula a staffetta. Nell’estate 2007 e 2011 i pendii della piana del Cavallo sono stati animati dalle prove dei tricolori master di corsa in montagna, la massima espressione nazionale della specialità. Il tracciato spettacolare ed una perfetta organizzazione hanno richiamato in altura specialisti da tutte le regioni italiane. Un successo che

viene da lontano, potremmo definire così la corsa in salita “10 Miglia Aviano Piancavallo”. Conosciuta negli anni Settanta come “Fortaiada” fu creata per dare impulso al neonato polo turistico del Piancavallo e alla “Via di Natale” dal “Gruppo Marciatori Pordenonesi” diretti dal compianto Franco Gallini. Si “assopì” dopo alcune edizioni, ma rimase un pezzo pregevole della storia podistica della Destra Tagliamento e dopo quarant’anni di “letargo” torna a correre come “10 Miglia Aviano Piancavallo”, grazie alla

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Eventi e raduni sportivi: la specialità di Piancavallo

regia di Matteo Redolfi. La montagna avianese offre la scena anche al trail running, una specialità del podismo che si differenzia dalle altre competizioni per i suoi percorsi interamente naturali. Uno spazio tutto suo lo conquista la “MMT 100 Mile” Magredi Mountain Trail. Si tratta della prima e unica 100 miglia, organizzata interamente in territorio italiano. 161 chilometri di corsa che dopo il via da Vivaro prende fisionomia su percorsi interamente naturali, soprattutto dell’arco montano pordenonese transitando per 15 comuni. Piancavallo rappresenta nel percorso il 40° chilometro dal via ed è la prima sosta importante, chiamata “base vita”. Il polo turistico avianese si fa notare portando la corsa in montagna in cima alle sue vette, sul sentiero degli orizzonti. Il podismo estremo d’alta quota, quasi verticale in Piancavallo si identifica con la “Sky Race Monte Cavallo”. Una mezza maratona fatta per audaci e da correre tra le nuvole a 2000 metri di quota con un dislivello positivo di 1850 metri. Teatro di gara sono le suggestive cime del Cavallo e la propaggine più meridionale della catena montuosa del Col Nudo situati nei comuni di Aviano e Tambre tra le provincie di Pordenone e Belluno. La spettacolare gara di corsa in montagna, giunta alla 6^ edizione, oltre ad essere la prova conclusiva del Campionato italiano skyrace, rappresenta 32

anche la tappa finale del “Trofeo Skyrace Friuli Venezia Giulia”. Valorizzare il territorio attraverso una corsa in montagna sono le premesse della nascita della “Pala Mont”, un sogno audace trasformatosi in realtà, realizzato dalla Polisportiva di Giais. Basta osservare le caratteristiche altimetriche per intuire che la “Pala Mont” non è una corsa come tutte le altre. Con i panorami mozzafiato, con un tracciato di 17.000 mt. e un dislivello positivo-negativo di 1350 si sviluppa sopra l’abitato di Giais, comune di Aviano, spingendosi fino ai 1637 metri della Pala Fontana. Nel 2009 si è svolta la prima edizione. Il polo turistico avianese in estate è animato anche dalle biciclette, siamo esse da strada o da offroad. Nasce nel 2013, assecondando il desiderio dei tanti appassionati di mountain bike, la “Piankabike” l’ultima perla organizzativa dei “Montanaia Racing” che si corre sulle piste da fondo nel mese di luglio. L’appuntamento con le ruote strette e i tubolari è programmato invece per luglio con il Trofeo Bottecchia, la classicissima riservata ai juniores. Con le sue 72 edizioni è una delle corse più longeve in regione. Fiore all’occhiello del territorio sono anche le prove di motonautica valide per il campionato mondiale, che nel mese di giugno si svolgono sulle acque del lago di Barcis.


UZIONI: bambini RIDUZIONI: sotto i bambini 12 anni &anni gruppi dialmeno almeno 15accompagnate persone accompagnate sotto i 12 & gruppi di 15 persone

RIDUZIONI: bambini sotto i 12 anni & gruppi di almeno 15 persone accompagnate

Piancavallo


SPORT E TEMPO LIBERO

Un villaggio foto e testo di FERDI TERRAZZANI

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Sopra la struttura polisportiva del PalaDue; sotto la piastra del PalaPredieri

Nel corso degli anni Piancavallo ha sviluppato uno specifico know how nei servizi agli sportivi di tutte le discipline. Oggi è il luogo ideale per i ritiri delle squadre e i camp estivi. Ospitalità, professionalità e benessere le parole d’ordine

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iancavallo è ormai da diversi anni un punto di riferimento per chi fa dello sci una passione, ma è altrettanto vero che il polo turistico attira estimatori anche d’estate. Per godere della montagna a 360 gradi nella bella stagione a Piancavallo non c’è che l’imbarazzo della scelta: dalle moderne e confortevoli strutture sportive, alle piste dedicate al downhill, ai campi da tennis, calcio, al “Parco avventure” alle lussureggianti e ombreggiate piste da fondo che si trasformano in allenanti percorsi podistici. La vacanza attiva piace sempre più agli ospiti di Piancavallo che giustamente dalla località pretendono attenzione e servizi. Per accontentare le esigenze di un’utenza in crescita è nato il Pala Due, una realtà polifunzionale dedicata allo sport, cultura e tempo libero. La struttura realizzata con il sogno olimpico delle Universiadi di Tarvisio 2003 è diventata, grazie a Promotur e al suo direttore Enzo Sima, un impianto moderno e tecnologico, degno del suo nome, capace di accogliere nella fase di preparazione in altura formazioni di calcio, basket, pallavolo, ginnastica artistica, scherma, palla a mano e altro. Con una superficie utile di 40 metri x 70 metri divisibile in quattro

aree di gioco può accogliere contemporaneamente quattro attività diverse. Ogni settore isolato dagli altri è fornito di tribunetta retrattile. Il Pala Due è stato vestito da “MONDO” azienda italiana leader mondiale indoor e outdoor per qualità e innovazione nel campo dello sport. A fianco del Pala Due sorge lo storico palazzetto del ghiaccio dedicato a Giancarlo Predieri che da convinto sostenitore di Piancavallo ha ricoperto il ruolo nazionale di vicepresidente FISI e presidente della locale Azienda di promozione turistica. Il palazzetto del ghiaccio è stato uno dei primi sogni della località turistica trasformatosi in realtà, nel periodo estivo si converte in pista di pattinaggio e luogo di cultura. Il polo sportivo montano occupa i primi posti di gradimento tra gli appassionati di downhill, per loro è un vero paradiso scendere con le biciclette a “rotta di collo” dalle piste da sci opportunamente attrezzate. I più spericolati possono farsi catapultare in alto dal trampolino per poi atterrare in tutta sicurezza sul tappeto del FUNK PARK. Campi da calcio, tennis e basket sono a disposizione per tornei, ritiri e “camp d’allenamento”. Ospitalità, sport e benessere animano la stagione estiva di Piancavallo.


sportivo in quota

Un tracciato di downhill e il parco avventura “Rampy Park” collocato all’ingresso di Piancavallo

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SOTTO LA LENTE

Sua altezza Cima “Manera” La signora delle nostre cime

Il contenitore metallico che custodisce il Libro di Vetta. Sullo sfondo il Monte Raut e in basso l’azzurro del Lago di Barcis (archivio Sottosezione di Aviano del Club Alpino Italiano)

di MARIO TOMADINI

Tutti (o quasi) i sentieri portano in vetta al Cimon del Cavallo, detto Cima Manera (mt 2.251 slm). Ecco come raggiungere il punto più alto del Gruppo del Cavallo osservando le regole della montagna

In questa cartolina, edita da Romano Sacilotto-Pordenone e viaggiata nei primi Anni Quaranta del secolo scorso, sono tracciate le vie di roccia aperte nella parete est della Cima Manera da Carlesso/Marchi nel 1927 e da Marini/Tajariol nel 1929 (proprietà Mario Tomadini)

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on esistono montagne facili; ci sono vette più difficili di altre ma in montagna il vocabolo “facile” non va neppure sussurrato. Spesso anche gli itinerari che sembrano privi di qualsiasi difficoltà possono trasformarsi in percorsi difficili e questo a causa di un improvviso cambiamento del tempo che in alta quota talvolta avviene in modo repentino. Temporali, grandinate o nevicate fuori stagione possono cambiare radicalmente le condizioni di visibilità e di temperatura mettendo a repentaglio l’incolumità di alpinisti ed escursionisti senza contare che l’affaticamento fisico

può determinare nuove situazioni di pericolo. La salita al Cimon del Cavallo (metri 2251 s.l.m.), meglio noto come Cima Manera, non fa eccezione. La semplicità, peraltro solo presunta, di questa vetta potrebbe trarre in inganno chiunque. Normalmente, chi si prefigge di raggiungere la cima dopo essere giunto quasi al termine della Val Sughet si avvale del cavo d’acciaio grazie al quale supera il canalino alla base della vetta. Questo percorso è contrassegnato dal simbolo EEA (escursionisti esperti attrezzati) almeno nel tratto di ferrata e per questo prevede l’adozione d’imbracatura con dissipatore, doppio 37


Piancavallo. Casera Capovilla, principale punto di partenza Il corretto equipaggiamento per salire la Cima Manera per chi sale al Cimon del Cavallo o Cima Manera (archivio dalla via ferrata (archivio Sottosezione di Aviano del Club Sottosezione di Aviano del Club Alpino Italiano) Alpino Italiano)

moschettone e casco da roccia. Se c’è qualcuno che giudica queste misure siano ridondanti, è necessario ricordargli che sono proprio queste regole a garantirci un corretto approccio con la montagna. Il Cimon del Cavallo è raggiungibile anche dalla Forcella del Cavallo nell’alta Val Sughet (un tempo chiamata Conca di Capovilla) percorrendo l’esile via di cresta (si suppone che nell’estate 1726 i primi salitori Zanichelli e Stefanelli abbiano scelto questa via per l’ascesa alla Manera) che richiede piede fermo e assenza di vertigini. La sommità è raggiungibile anche dalla Forcella del Furlani (quota 2210) per la cresta sud-ovest. Calpestiamo sempre e comunque un terreno misto di roccia e zone erbose che richiedono prudenza e attenzione specialmente con terreno bagnato o, peggio, ghiacciato. La vetta più alta del Cavallo si sale anche dal Rifugio Semenza (mt. 2020) dopo aver superato un breve tratto di parete attrezzata 38

Si celebra la Santa Messa in vetta alla Cima Manera (archivio Sottosezione di Aviano del Club Alpino Italiano)

che richiede gli stessi accorgimenti della ferrata che sale in vetta dal versante avianese. Altra cosa è la salita, o meglio la scalata, per la parete est vinta da Raffaele Carlesso e Gino Marchi il 17 settembre 1927 (difficoltà III° e IV° grado) e dalla cordata Marini e Tajariol nell’estate 1929. Ma qui siamo in un altro campo che esula dall’escursionismo vero e proprio. Per generazioni di pordenonesi (e non solo) la salita alla Cima Manera costituisce una tappa quasi obbligata, una sorta di prova che permette di scrivere il proprio nome nel Libro di Vetta. Per i più giovani si tratta di un’iniziazione che permetterà il raggiungimento di altri e più ambiziosi traguardi. Per tutti vale lo stesso monito: l’ambiente di montagna è oggettivamente severo e non va sottovalutato e soprattutto non devono rimanere inascoltati i consigli impartiti dal Club Alpino Italiano e le regole dettate dal buon senso.


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CURIOSITÀ

Col Cornier,

Libero da impianti da risalita e accessibile a tutti, questo monte è una meta irrinunciabile per chi desidera ammirare dall’alto l’altopiano del Cavallo e la foresta del Cansiglio. I bambini fanno a gara per scrivere il proprio nome sul libro vetta

la montagna dei ragazzi

La croce di vetta del Col Cornier (metri 1767 s.l.m.). Sullo sfondo il Piancavallo con le piste del Collalto, all’orizzonte le Alpi Giulie e sotto la pianura con le ghiaie del Cellina e del Meduna (cortesia Walter Tesolin)

di MARIO TOMADINI

P

er quanto relativamente modesta (solo, si fa per dire, 1767 metri sul livello del mare) la vetta del Col Cornier offre un panorama meraviglioso. Solo il cattivo tempo ci potrà negare la vista di un immenso scenario naturale che spazia dalle Alpi Giulie alle Dolomiti passando per il massiccio e l’altopiano del Cavallo, i greti del Cellina-Meduna, la costa adriatica, la pianura friulano-veneta e per chiudere l’ampio orizzonte non si può dimenticare quel magnifico dono della natura che è l’incontaminata Foresta del Cansiglio. Il Col Cornier ricade nel territorio comunale di Budoia e nel 2002 in occasione dell’anno internazionale della montagna, è stato dichiarato la “montagna dei ragazzi”. L’allora sindaco del paese pedemontano Antonio Zambon, oggi presidente del Cai regionale, è stato l’artefice di questa indovinata denominazione che aveva visto l’adesione di vari soggetti tra i quali l’amministrazione comunale di Budoia, la Comunità Montana, il Club Alpino Italiano, l’Associazione Nazionale Alpini e le associazioni ambientaliste del territorio. La “montagna dei ragazzi” è soprattutto una dedica culturale-didattica, un invito per i più piccoli a conoscere, amare e rispettare un territorio partendo

Dalla vetta del Col Cornier verso il Cansiglio, l’antico Bosco da Reme della Serenissima Repubblica di Venezia. Al centro si nota la grande radura circondata da boschi di faggio e abete (cortesia Walter Tesolin)

proprio da questa escursione che prende il via dal Piancavallo attraverso il Rifugio Arneri (raggiungibile anche in seggiovia) oppure dalle casere Campo e Friz. Il Col Cornier è un’aula a cielo aperto dove i ragazzi imparano le prime nozioni di una materia che potranno sviluppare negli anni successivi arricchendola con nuove esperienze. La prova che il risultato è stato raggiunto è contenuta nei quaderni di vetta del Col Cornier dove, nelle pagine sfogliate dal vento sono raccolti i pensieri dei bambini (alcuni davvero piccini) che sono stati accompagnati nella loro prima conquista di una vetta alpina. Matteo, Pietro e Giulio hanno rispettivamente sei, quattro e cinque anni e hanno voluto precisare di aver raggiunto allegramente la vetta del Col Cornier. Per la dodicenne Ingrid si è trattato di una passeggiata stupenda. Siamo stati bravissimi, ricordano i piccoli Agnese, Filippo, Lara, Nicola e Luchas. Marco è arrivato con lo zio, ha sei anni e ricorda…oggi è caldissimo. Riccardo e Tommaso di anni otto sono fieri di aver raggiunto la cima. Le firme e le frasi si susseguono ed è interessante notare che tutti i piccoli salitori accanto al loro nome annotano la loro età con la volontà di confermare che quella è e resterà per sempre la montagna dei ragazzi.

Dalla vetta del Col Cornier: il Piancavallo con il Bosco Rancjada (foto Mario Tomadini)

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L’APPUNTAMENTO

Marcia a sei zampe! Domenica 20 luglio, all’interno della tradizionale passeggiata delle malghe (6, 12 e 20 km), nuovo appuntamento con la non competitiva dedicata ai cani e ai loro padroni che tanto successo ha riscosso nella prima edizione dell’anno scorso testo e foto di FERDI TERRAZZANI

A

spasso con il cane sui sentieri di Piancavallo, ma in buona e numerosa compagnia. Dopo il successo della passata edizione torna domenica 20 luglio la “Marcia a 6 zampe”. Una passeggiata dedicata al nostro amico 4 zampe protagonista indiscusso dell’evento insieme al proprio conduttore. Indipendentemente dalla taglia si sono fatti strada nei nostri cuori e ormai ci accompagnano anche nelle attività di svago. In contemporanea e sullo stesso percorso si correrà anche la “37° edizione della passeggiata delle malghe”, uno tra gli appuntamenti podistici non competitivi più attesi della stagione. Entrambe le manifestazioni sono inserite nel calendario

delle proposte estive che il Piancavallo offre agli estimatori della montagna. La scaletta delle attività podistiche definita dalla Cooperativa Piancavallo 1265 offre ai marciatori a 4 e a 2 zampe tre percorsi di: 6, 12 e 20 chilometri adatti per difficoltà a tutte le tipologie di camminatori, famiglie con figli e cani al seguito compresi. Di corsa o a passo libero sui sentieri forestali, immersi in lussureggianti boschi, il transito presso le storiche baite adibite ad alpeggio estivo in suggestivi scenari montani tutto all’insegna del gioco e del reciproco rispetto da condividere tra gli amanti dei cani e marciatori. Lungo i percorsi e all’arrivo sono previsti per i 2 e 4 zampe abbondanti ristori.

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ESCURSIONISMO

Sentinelle

di un piccolo mondo antico Le casere dell’altopiano, un percorso tra natura, modernità e tradizione che riserva molte sorprese agli appassionati di montagna

di MARIO TOMADINI

La Casera dell’alpeggio Capovilla immersa in un mare di tarassaco. Affidata dal Comune di Aviano alla Sottosezione del Club Alpino di Aviano è stata ristrutturata e oggi rappresenta un esempio non solo di un’ottima conservazione ma costituisce un modello per una corretta fruizione di un bene storico. La Casera è anche un punto di partenza per la salita alla Cima Manera (foto Mario Tomadini)

R

aggiungibili con passeggiate adatte a tutti, le casere dell’Altopiano del Cavallo ci permettono di scoprire un mondo che sembrava essersi consegnato al passato. Le costruzioni che un tempo obbligavano caseranti e servidors ad un gravoso impegno nelle attività d’alpeggio oggi rappresentano delle mete per gli escursionisti i quali partendo dal centro della nostra stazione turistica possono compiere un viaggio a ritroso nel tempo. Il primo itinerario prende virtualmente il via da La Genzianella, la vecchia Casera Busa di Villotta (1260 s.l.m.) e prosegue in direzione del Palaghiaccio dove in posizione rilevata si nota la Casera e la stalla dell’alpeggio Capovilla (1300 s.l.m.) che il Comune di Aviano, proprietario di quasi tutte le malghe del Cavallo, nel 2004 ha dato in gestione alla Sottosezione di Aviano del

La Casera Pian Mazzega o Paronuzzi oggi è conosciuta come Malga Tassan, dal cognome della famiglia di Aviano che vi pratica la monticazione. In primo piano si nota l’ampliamento della struttura originaria datata 1921. È l’unica casera dell’altopiano che si rifà alla tradizione dell’alpeggio. La famiglia conduttrice trasforma il latte in prodotti caseari che si possono acquistare in loco (foto Ferdi Terrazzani)

Club Alpino. Da quest’ultima casera seguiamo il percorso denominato “Passeggiata del Tornidor” che perde leggermente quota e in una manciata di minuti ci porta nella Casera Pian Mazzega (1250 s.l.m.) dove, da giugno a settembre, la famiglia Tassan mantiene viva la tradizione dell’alpeggio. Scendiamo ancora e seguiamo le tabelle che indicano “il Tornidor” tra spazi aperti e boschi di faggio fino ad arrivare con un’ora di facile cammino a quota 1193 s.l.m. dove troviamo la Casera Pian delle More e il vicino bacino d’acqua. Il ritorno al Piancavallo potrà avvenire sia per la strada della Val Caltea che sale da Barcis sia per l’itinerario d’andata. La seconda escursione è più impegnativa e ripropone l’itinerario della “Passeggiata delle Malghe” che da anni riscuote un buon successo. Si parte in zona Roncjade scendendo per la ripida stradina asfaltata (a lato 45


La produzione giornaliera di formaggi e ricotta dell’alpeggio Pian Mazzega. Sulla destra si nota la “cjaldiera”, un elemento non ancora contaminato dalla modernità (foto Mario Tomadini)

La Casera dell’alpeggio Caseratte. Di questa malga oggi è utilizzato solo il pascolo mentre la casera non è più usata per le attività di malga(foto Ferdi Terrazzani)

del deposito mezzi sgombraneve del Comune di Aviano) e preclusa al traffico motorizzato (sbarra) che sfiora l’impianto di depurazione. Da quel momento in poi il percorso è sterrato e pianeggiante e in circa 30 minuti conduce alla Casera Collalt (1238 s.l.m.) e al suo pascolo. Lo sguardo s’apre sulla pianura e sarà sufficiente seguire la cartellonistica delle “Malghe” per attraversare la Strada Panoramica che dalla Castaldia porta in Collalto, scendere nel pascolo Candaglia su strada forestale dove notiamo i ruderi dell’alpeggio Barzan e un paio di nuove costruzioni in stile alpino. Un paio di tornanti guadagnano quota fino a un grande fabbricato da tempo abbandonato. Dimentichiamolo. Poco oltre notiamo un Caserut (1220 s.l.m.) e una piccola stalla (Casera del Medico o I PlansPradalto). Procediamo nel bosco verso est su traccia di sentiero fino a uscire nel terreno aperto vicino ad un capannone. Ritroviamo la strada forestale e al primo

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bivio (cartelli) prendiamo a sinistra. Una salita lunga e ripida ci porta nelle braccia dell’alpeggio Caseratte con la sua Casera (1349 s.l.m.). Faccia alla pianura, vediamo, nella nostra sinistra, quella che sarà la nostra meta giornaliera e anche l’ultima tappa della nostra escursione, vale a dire la Casera Valfredda di Marsure (1390 s.l.m.) che raggiungiamo per comodo ed evidente sentiero in una trentina di minuti. Per tornare al Piancavallo sarà sufficiente riguadagnare la Casera Caseratte, superare una facile forcella a monte della casera e in poco tempo saremo pronti a iniziare la discesa verso il centro della stazione turistica. In ogni caso il mio consiglio è di prendersela comoda, anzi comodissima e allora giudico che una mezza giornata per ciascuna escursione dovrebbe proprio bastare. Sappiamo che tra pascoli e casere il tempo vola e quindi aggrappiamoci alle sue ali e buona fortuna.

I due piccoli edifici (stalla e caserut) della Casera del Medico si trovano nel percorso della Passeggiata delle Malghe. Questo alpeggio ha mantenuto la sua originaria identità che risale alla prima metà del 1800 in quanto, essendo di proprietà privata, non era stato coinvolto dalle ricostruzioni intraprese dal Comune di Aviano negli Anni 1921-22 (foto Mario Tomadini)

La Casera dell’alpeggio Valfredda di Marsure Grande. Relativamente distante dal centro del Piancavallo, durante la stagione estiva è utilizzata dal pastore Carlo Tassan. Dalla sommità del vicino Col Ceschet lo sguardo spazia dalle Alpi Giulie alla laguna veneta (foto Mario Tomadini)

La Genzianella in origine era la Casera Busa di Villotta che per la qualità del suo pascolo e per la presenza di una piccola sorgente d’acqua era la malga più ambita dell’altopiano. Completamente trasformata, al suo interno custodisce un pezzo di storia del Piano del Cavallo (foto Mario Tomadini)

All’interno de La Genzianella si riconoscono facilmente le mura e il perimetro della vecchia Casera Busa di Villotta. L’attività di ristorazione ha saputo rispettare la memoria dell’altopiano e conseguentemente anche l’impegno profuso dai caseranti e dalle loro famiglie (foto Mario Tomadini)



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LA CHIESA ALPINA DEL PIANCAVALLO

Piano del Cavallo - Col delle Lastre/Collalto. Il ricordo dei Caduti in una cartolina viaggiata nei primi anni Sessanta del secolo scorso (edizioni Della Grazia, Aviano - Collezione Mario Tomadini)

Per quelli che non sono più tornati Il primo sacello, poi inglobato nell’attuale costruzione, fu costruito nel 1951 con i mattoni recuperati dalle macerie del Rifugio Policreti distrutto dai nazisti. Dedicata ai Caduti di tutte le guerre, è divenuta un luogo d’incontro, preghiera e memoria di MARIO TOMADINI

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Piano del Cavallo - Col delle Lastre/Collalto. Siamo nei primi anni Cinquanta del secolo scorso e il sacello è ormai una realtà (edizioni Della Grazia, Aviano Collezione Mario Tomadini)

uando nel maggio 1951 il dottor Mario Zennaro con l’appoggio degli alpini di Aviano propone alla direzione centrale la ricostituzione della Sezione dell’Ana “Cesare Battisti”, gli effetti dell’ultima guerra gravano ancora in maniera pesante sulla nazione. La campagna di Russia con il suo strascico di morti e di dispersi tiene in ansia migliaia di famiglie che sperano nel ritorno dei loro cari. Da Mosca nulla trapela sulla sorte di quasi sessantamila soldati che sembrano svaniti nel nulla e questo alimenta un’incertezza che si carica di dolore. Sotto l’azione emotiva di questa e di altre tragedie tra gli alpini 49


La manifestazione è inserita in uno scenario che ci riporta in epoche di altri tempi, con intrattenimento musiche antiche, stand enogastronimici tipici e anche qualche consiglio di esperti del settore per meglio apprezzare le offerte degli espositori


Piano del Cavallo - Col delle Lastre/Collalto, anni Cinquanta del secolo scorso. Una delle prime celebrazioni religiose nella chiesa alpina (cortesia Norman Urban)

La chiesa alpina alla fine degli anni Sessanta (Edizioni Rossi-Piancavallo - Collezione Mario Tomadini)

avianesi prende corpo l’idea di erigere una cappella votiva dedicata agli alpini caduti in tutte le guerre ma che è ovviamente estesa a tutti i combattenti d’Italia. Per gli alpini passare dalle parole ai fatti è un passo obbligato. Il progetto è affidato al professor Aldo Furlan e non ci sono dubbi nemmeno sulla scelta del luogo, poiché saranno le pendici settentrionali del Col delle Lastre in Piancavallo, zona Collalto, a ospitare la piccola costruzione che sarà eretta a pochi metri da quello che rimane del Rifugio Policreti (in origine Casera Brusada), distrutto dalle truppe tedesche nel settembre 1944. Di quel ricovero alpino, infatti, resta un cumulo di pietre che il tempo cela tra l’erba di un pascolo abbandonato. Sono proprio i sassi squadrati di quello che era stato un orgoglioso rifugio a costituire le mura della piccola chiesa; gli alpini di Aviano scelgono con cura quelli che non hanno perso la forma e il colore tipico della roccia

calcarea e il resto lo fanno le abili mani che non hanno mai dimenticato l’arte degli scalpellini, eccellenza di un laborioso territorio. I lavori sono eseguiti con perizia e a tempo di record e così domenica 30 settembre 1951 tutto è pronto. Un consistente gruppo composto di alpini di Aviano, Pordenone e delle località vicine, irrobustito da familiari, autorità civili e militari posa con soddisfazione davanti al fotografo. Il piccolo sacello è meta di preghiere, di suppliche; davanti a quelle pietre si rafforzano le speranze di chi ancora non sa nulla di un congiunto o di un amico ma anche di chi, conoscendone la sorte, prega per la sua anima. Il 17 agosto 1952 nella chiesetta è portata la statua della Madonna delle Nevi, un’opera lignea scolpita a Ortisei. In quell’occasione celebra la santa messa don Luigi Janes, cappellano militare nella Grande Guerra, decorato con medaglia al valore, che fin dal primo

Il sacello originario, in gran parte costruito con le pietre del Rifugio Policreti, oggi è protetto e inglobato da una struttura più grande (foto Mario Tomadini)

La chiesa alpina come si presenta oggi (foto Ferdi Terrazzani)

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Piano del Cavallo - Col delle Lastre/Collalto, metà anni Trenta del secolo scorso. Sulla sinistra, in posizione rilevata, si nota il Rifugio Policreti. Nel 1951 in questo luogo sarà eretta la chiesetta alpina (edizioni Giulio Marino Vittorio Veneto - Collezione Mario Tomadini)

dopoguerra è stato una figura di primo piano nell’attività degli alpini e della Sezione del Club Alpino di Pordenone. Un vero prete di montagna. Negli anni Cinquanta e Sessanta il Piano del Cavallo è ancora deserto e di difficile accesso; in località Busa di Villotta, molto vicino all’omonima casera, prende sostanza il Rifugio Piancavallo chiamato a sostituire il Policreti travolto dalla guerra. La rotabile a fondo naturale che parte da Aviano si ferma al Bornass e dopo questa prima tappa si sale all’antica, cioè a piedi. Intanto al Collalto la chiesetta non basta; si crea attorno una zona di rispetto; la costruzione originale è progressivamente ampliata e coperta da un’altra struttura. In seguito si costruisce la scalinata d’accesso, si piantano alberi e così prende forma l’edificio che oggi coniuga l’aspetto armonico con la spiritualità di un edificio sacro. L’identità e le finalità della chiesa alpina rimangono ancorate alla tradizione mentre l’antico Piano del

Una suggestiva immagine della chiesetta alpina in una cartolina viaggiata negli anni Ottanta (foto Alvise Berti - Edizioni GeapPordenone - Collezione Mario Tomadini)

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Cavallo con il trascorrere degli anni si trasforma in una stazione turistica dotata di servizi e di una comoda strada d’accesso. La presenza della chiesa promuove la nascita di un raduno alpino che si tiene con cadenza annuale; sarà il preludio alla nascita del Trofeo di corsa in montagna “Madonna delle Nevi” che ancora oggi nella prima domenica di agosto costituisce un appuntamento indifferibile per chi desidera misurarsi con l’altimetria dell’altopiano. L’edificio sacro sorge a una quota di circa 1323 metri sul livello del mare nella zona denominata Collalto oggi densamente urbanizzata ed è facilmente raggiungibile e individuabile imboccando via degli Alpini. Di sicuro interesse storico sono alcune pietre che compongono la parte posteriore del sacello originario; questi blocchi calcarei presentano dei fori allineati che permettevano l’inserimento delle grate di ferro ed è ormai certo che questi elementi costituivano le finestre di quello che dal 1925 al 1944 era stato il Rifugio Policreti.

L’edificio originario è coperto e inglobato in una costruzione più grande. Prende così forma l’attuale chiesetta alpina (immagine tratta da il volume “Il Gruppo Alpini Cesare Battisti di Aviano”, 2002).


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STORIA

La guerra di Pietro

di MARIO TOMADINI

E

sattamente sessantanove anni fa nel catino glaciale di Casera Campo, in Comune di Budoia ma vicino al Piano del Cavallo, in uno scontro a fuoco con unità germaniche perdeva la vita Pietro Maset (nome di battaglia “Maso”) comandante partigiano delle formazioni Osoppo. Era il 12 aprile e mancavano pochi giorni alla fine di una guerra che Maso aveva vissuto fin dall’inizio dapprima in Africa Orientale (1935) poi partecipando alla Campagna di Grecia e, successivamente, nel fronte russo con l’ARMIR (Armata Italiana Russia). In una memoria che ha voluto gentilmente concedermi Guido Vettorazzo di Rovereto, sottotenente e reduce di Russia che con il tenente Maset, suo comandante nella 114° Compagnia Armi Accompagnamento del Battaglione alpino Tolmezzo, aveva diviso i mesi di trincea davanti al fiume Don e la tragedia della ritirata dal Don a Nikolajevka, spende parole d’ammirazione per il suo superiore: Con la sua presenza non ci solo rincuorava, ma esplicava una continua opera

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Bosco di Ssaprina-Fronte del Don novembre 1942. Da sx tenente Pietro Maset, tenente Radente, sottotenente Guido Vettorazzo, istruttore di sci del Battaglione “Tolmezzo”. Il reduce Guido Vettorazzo ricorda che Maset ispezionava continuamente la zona di fronte assegnata alla sua Compagnia, in sci o con la slitta (cortesia Guido Vettorazzo-Rovereto)


Pietro Maset, nome di battaglia “Maso”, decorato nella campagna di Grecia e Russia, sopravvissuto alla ritirata del gennaio 1943 tra il Don e Nikolajewka, cadeva a Casera Campo il 12 aprile 1945 in uno scontro a fuoco con i tedeschi, a pochi giorni dalla Liberazione

Agosto 1942: il Battaglione alpino “Tolmezzo” (8° Reggimento - Divisione Alpina Julia), al quale apparteneva il tenente Pietro Maset, in marcia nella steppa nei pressi di Izium. Gli alpini, scesi dai treni, si erano diretti per via ordinaria, cioé a piedi, verso il fiume Don (cortesia Guido Vettorazzo-Rovereto)

Il Cippo che ricorda la morte di Pietro Maset avvenuta il 12 aprile 1945 nei pressi di Casera Campo in Comune di Budoia. Maset, nome di battaglia “Maso”, era nato a Scomigo (Treviso) il 12 marzo 1911 (cortesia Walter Tesolin)

di incitamento a resistere. E poi ancora: L’umanità: mai duro, autoritario o sgarbato, né con i subalterni, né con gli alpini, che amava moltissimo. Senso del dovere e il grande coraggio completavano la lista dei suoi pregi che saranno apprezzati anche tra i fazzoletti verdi dell’Osoppo quando “Maso” abbraccerà gli ideali della lotta partigiana che lo porteranno non molto lontano dalla natia Scomigo, un paese vicino Conegliano. La guerra di Liberazione, infatti, vedrà Pietro Maset impegnato con la sua unità nella Valcellina, nel Piano del Cavallo e per ultimo proprio in quella “Malga Ciamp” dove troverà la morte in combattimento. Il reduce Vettorazzo mi ha inviato alcune immagini di Pietro Maset scattate durante la campagna di Russia; dalle foto emerge un Maset inedito che usava spesso gli sci per controllare il tratto di fronte assegnatogli e quindi è lecito supporre che se il destino non avesse deciso altrimenti, anche “Maso” a guerra finita sarebbe stato uno dei protagonisti della rinascita dello sci nel Piano del Cavallo.

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IL PERSONAGGIO

La mia Russia

Udine, agosto 1942. Manca poco alla partenza per il fronte russo e tre amici posano per il fotografo. Da sinistra Enzo Roman Zotta da Poffabro, Pietro Brun da Poffabro e Mario D’Agostin da Barcis. Dei tre tornerà in Patria solo Enzo Roman Zotta (cortesia famiglia Roman Zotta)

La commovente storia di Enzo Roman Zotta, alpino di Poffabro. Dal tumultuoso scorrere del torrente Colvera al placido fiume Don, un viaggio per ricordare un giovane soldato della Divisione Julia testimone di un’immensa tragedia di MARIO TOMADINI

P

offabro, fine estate 2003. Le giornate estive stanno per lasciare la Val Colvera; i temporali scemano per numero e intensità e le pendici del Raut si accingono ad indossare il mantello autunnale. I valligiani si preparano ad affrontare un’altra stagione con la consapevolezza che ci sarà un altro inverno al quale seguirà la primavera. È così da secoli e sarà per sempre così. Ma per Enzo Roman Zotta, classe 1922, non era un settembre qualsiasi; dopo oltre sessanta anni stava per tornare nei luoghi dove aveva combattuto, dove aveva visto cadere commilitoni e paesani, sopportato attacchi, fame, gelo e fatica, ma dove aveva anche potuto apprezzare l’umanità delle genti ucraine e russe. Attorno a lui aveva visto consumarsi l’inutile tragedia degli italiani dell’ARMIR che dal 1941 e fino ai primi mesi del 1943 avevano lasciato in terra russa 90.000 tra caduti, dispersi e prigionieri. Al fronte non era sufficiente compiere fino in fondo il proprio dovere ma era anche necessario sopravvivere per tornare al paese e portare una

Russia, settembre 2003. Riemergono i ricordi e il dolore per i compagni caduti (cortesia famiglia Roman Zotta)

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aveva perso il padre, il figlio o il fratello. L’è mort in Rusia, mi mormorava a bassa voce e quel suo tono tra il sommesso e il riverente mi intimoriva così tanto da impedirmi di fare domande. E così nell’inverno 2003-2004 per Russia, settembre 2003. Dopo sessant’anni Enzo torna nei luoghi dove ha combattuto. Sullo sfondo il fiume Don (cortesia famiglia Roman Zotta) interpretare il più testimonianza, un ricordo dei tanti amici lasciati a migliaia fedelmente possibile ito nel 2004 di chilometri da casa ma soprattutto per dare una risposta i racconti di Enzo, ini del Don”, ed Il volume “I mul Frisanco ai padri, alle madri e alle mogli che non avevano avuto raccolgo una decina dal Comune di notizie dei propri cari e non ne avrebbero avute ancora per di pubblicazioni molti anni fino a quando, sbrecciatasi la Cortina di Ferro, sull’argomento, prima tra tutte “Il sergente nella neve” un comunicato dell’OnorCaduti avrebbe annunciato una di Mario Rigoni Stern. La narrazione del reduce di sentenza già scritta e cioè che quel soldato che tanto tempo Poffabro si sovrappone alla memorialistica già pubblicata prima si era voltato per l’ultimo addio lasciando i volti di integrando i ricordi degli altri fortunati che sono riusciti madri e spose rigati di lacrime …dopo aspro combattimento a scrollarsi di dosso il gelo, il nemico e le malattie. Enzo, era scomparso nella mischia. narrando le sue traversie, alle notizie di carattere militare Il volo Milano-Mosca si consuma in poche ore e dopo privilegia il ricordo dei compagni che non sono tornati. l’aria ecco la strada ferrata. Il treno rotola nella notte Per ciascuno ha un ricordo, una parola, un lungo sospiro trascinandosi l’eco del suo monotono sferragliare. Alle 11 di commozione che inevitabilmente coinvolge chi deve del mattino si ferma nella stazione di Rossosch. L’ultimo curare quella che doveva essere un’intima pubblicazione trasferimento a bordo di un pullman vede Enzo arrivare ma che tale non sarà poiché tante persone che non avrei dirimpetto al Don, al suo affluente Kalitva e ai calanchi mai più potuto conoscere mi sono improvvisamente gessosi dove era posizionato il Battaglione Tolmezzo. familiari. Pietro, Aladino, Novello, Virginio, Mario, L’emozione è fortissima ma lo è ancor di più il ricordo Angelo, Romano, Gino, Vittorio e tanti altri sono nomi dei compagni d’arme. I loro volti per una frazione di che ricorderò per sempre. secondo appaiono davanti alle sponde, nei fossi anticarro Quando, alla fine di febbraio di tre anni fa, Enzo si che avevano resistito al trascorrere del tempo e che ricongiunge per sempre con i suoi compagni caduti in ancora s’indovinano nel pianoro che Russia, la Val Colvera si prepara divide il fiume Kalitva dalle trincee ad accogliere la primavera. Le italiane. Nova Kalitwa, Rossosch, giornate si allungano e lassù nei Nikitowka, Nikolajewka (oggi Livenka) prati di montagna ancora innevati i completano le stazioni di una Via galli forcelli iniziano i loro balletti. Crucis che sembrava non aver mai fine. Sembra proprio che l’inverno sia Enzo è tornato in Val Colvera in procinto di lasciare la vallata e desidera far conoscere la sua quando per l’ultimo saluto al guerra di Russia anche al di fuori vecchio alpino del Don si ripresenta della stretta cerchia di congiunti e la neve, quasi che ciascun cristallo paesani. L’appoggio e il contributo costituisca il ricordo di un caduto dell’Amministrazione Comunale di rimasto per sempre nella steppa a Frisanco è determinante per dare migliaia di chilometri dalla Patria alle stampe nell’estate del 2004 “I e dai più cari affetti, giovani vite mulini del Don - Enzo Roman recise da una guerra combattuta Zotta nella Guerra di Russia”. Per contro un popolo che non ci era me si apre una pagina di storia che mai stato nemico. Enzo, con il ancora non conosco. Poco o nulla, quale mi sembrava di aver condiviso Russia, settembre 2003. Enzo con una “babuska” infatti, so su quella guerra. Quando stenti e paure, coraggio e volontà sulla porta di un’isba. Durante le tremende fasi della ero bambino mio padre la nominava di vivere, è andato incontro ai suoi ritirata le donne russe e ucraine si sono adoperate quando incontravamo un amico o un per salvare la vita a molti nostri soldati (cortesia compagni cullato in un fiocco di famiglia Roman Zotta) conoscente che sul fronte del Don neve.

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COMINBLU



LA STORIA

L’amore di Romolo e Lisetta

sbocciato tra Cortina e Piancavallo

Una tenera immagine di Lisetta Pupin e Romolo Marchi, nella foto sotto con il berretto d’Alpino e l’inseparabile pipa (foto proprietà Julia Marchi Cavicchi)

Il sergente Romolo Marchi, a cui è intitolato il Gruppo ANA Pordenone Centro, nel 1937 sposò a Cortina Elisabetta Pupin. La passione per lo sci li fece conoscere e innamorare. Nel ’42 partì per la campagna di Russia e cadde eroicamente a Nikolajewka di FLAVIO MARIUZZO

L’

adunata nazionale degli alpini in programma a Pordenone dal 9 all’11 maggio offre l’occasione per ricordare un alpino pordenonese la cui storia ha incrociato quella del Piano del Cavallo. Ci piace chiamare così l’altopiano prima del boom edilizio che portò alla nascita della stazione turistica. L’alpino in questione è Romolo Marchi, rampollo di una nota famiglia cittadina nato ad Aviano il 22 aprile 1912. Insieme al padre Mario, agli zii Ghino e Alì Emilio, e ai numerosi cugini era impiegato

nell’azienda di commercio all’ingrosso di tessuti fondata dal nonno Antonio Cesare Marchi (1837-1905), garibaldino che combatté a Bezzecca nella terza guerra d’indipendenza. Alla memoria di Romolo Marchi è oggi intitolato il Gruppo Ana Pordenone Centro. Sergente degli alpini, cadde a Nikolajewka, sul fronte russo, il 26 gennaio 1943 mentre – recita la motivazione della medaglia d’Argento al valor militare – “guidava volontariamente una pattuglia alla cattura di

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personali sui suoi una mitragliatrice genitori. nemica che, con il “Alla fine degli anni suo intenso fuoco, 30 mio padre e mia impediva alla madre Elisabetta colonna di procedere sciavano insieme verso i nuovi ai cugini e altri obiettivi assegnati. amici a Piancavallo. Ferito ad un braccio, Salivano con le non abbandonava pelli di foca e poi il posto di scendevano con combattimento gli sci di legno. offrendo luminoso Allora l’altopiano esempio di fermezza innevato offriva un d’animo ai suoi paesaggio lunare commilitoni. interrotto solo da Alcuni giorni dopo, qualche casera e dal ancora febbricitante Romolo Marchi (primo a sinistra) con un gruppo di amici nell’altopiano del Cavallo rifugio Policreti. e spossato per la Mia madre era della famiglia Pupin proprietaria di un perdita di sangue a causa della precedente ferita, con servizio di corriere per il trasporto pubblico. Proprio pochi elementi del battaglione si lanciava all’attacco di la passione per la montagna e per lo sci li aveva fatti forze preponderanti che tentavano di sbarrare il passo alla conoscere in uno dei tanti viaggi a Cortina che gruppi di colonna in marcia e trovava morte gloriosa sul campo”. amici pordenonesi organizzavano in corriera. In quegli Un triste destino quello della morte in guerra che accomunò i tre cugini Romolo, Antonio (figlio di Ghino) anni la strada per Cortina non era agevole come oggi. Sulla cosiddetta Cavallera si doveva scendere e risalire e Aldo (figlio di Alì Emilio). Antonio, tenente degli dalla corriera per consentire all’autista di effettuare le alpini, fu centrato da un colpo di mortaio l’8 marzo del manovre. In una di queste gite mio padre si infortunò ’41 mentre a capo dei battaglioni Gemona e Tolmezzo stava lottando all’arma bianca per riconquistare una cresta ad un piede e nel tragitto di ritorno a Pordenone dovette prendere posto in fondo alla corriera. Per caso mia del monte Golico sul fronte greco. Aldo morì nel 1941 madre si sedette accanto a lui e, vinta dalla stanchezza per una malattia contratta durante il richiamo alle armi. della giornata sulla neve, si addormentò sulla sua spalla. Avrebbero potuto “imboscarsi” a casa o nelle retrovie ma Otto mesi dopo si sono sposati. Correva l’anno 1937, la loro integrità morale glielo vietò. mia mamma aveva 22 anni e mio padre 25. Per il loro Romolo era l’unico dei tre cugini ad avere dei figli: Piero, matrimonio scelsero proprio Cortina dove si erano che aveva tre anni quando il padre partì per il fronte conosciuti”. russo, e Julia di appena sei mesi. Prima della partenza, “Aveva fretta di vivere”, disse di lui il dottor Scaramuzza, avvenuta il 10 agosto del 1942, la volle battezzare e scelse un altro alpino pordenonese che condivise con Romolo il nome Julia per l’attaccamento che aveva al corpo degli Marchi le sofferenze del fronte russo. In effetti, un oscuro alpini. L’anagrafe del Comune, in epoca fascista, non ne presagio si stava allungando come un’ombra sulla vita voleva sapere di registrarla con quel nome: dissero che del sergente Marchi. doveva chiamarla “Prima della sua Giulia. Lui non ne partenza una delle volle sapere e disse canzoni preferite sul che piuttosto non giradischi di mia madre avrebbe dichiarato la diceva ‘Ritornerai’ nascita! – ricorda ancora Per Piancavallo Julia Cavicchi – Mio Magazine Julia padre scherzando la Cavicchi, oggi rassicurava ‘vedi che presidente regionale ritornerò? Lo dice e provinciale anche la canzone’… dell’Associazione Nella distesa di Famiglie dei Caduti ghiaccio e girasoli di e “madrina” del Nikolajevka le sue Gruppo Ana spoglie non sono mai Pordenone, apre lo state ritrovate. scrigno dei ricordi In vetta al Campanile di Val Montanaja con la caratteristica campanella

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L’ANNIVERSARIO 31 LUGLIO 1954 – 31 LUGLIO 2014

60 anni fa Lacedelli conquistò il K2

con ai piedi il cuoio pordenonese La Conceria Pietro Presot di Roraipiccolo di Porcia fornì il cuoio per le calzature degli alpinisti della Spedizione Italiana guidata da Ardito Desio e dei portatori sherpa

di EUGENIA PRESOT

La

Il nuovo marchio della Conceria Presot autorizzato da Ardito Desio dopo la conquista del K2; Lacedelli e Compagnoni, i primi ad arrivare sulla vetta del K2

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filosofia della Conceria Pietro Presot, sin dal 1933, anno della sua fondazione, è stata quella di considerare un’arte il conciare le pelli utilizzando solo tannini di estrazione vegetale, necessari a trasformare una pelle grezza in quel cuoio, completamente naturale, biondo e profumato ben noto agli operatori del settore. L’attività della Conceria, tuttora attiva a Roraipiccolo di Porcia, nasce in via della Cartiera, un luogo storico del comune di Porcia che già nel 1600 registrava una “cartara” di proprietà


Contarini. Nel 1932 è dall’Amministrazione di Andrea Galvani che Pietro Presot, zio degli attuali proprietari, acquista una casa e una cartiera di 2 piani e 16 vani in disuso dal 1929 - compresa la forza d’acqua con relative installazioni nonché i terreni adiacenti. Nell’ottobre 1939 l’azienda ha un potenziale produttivo di 100 quintali di pelli conciate al mese e al 10 aprile 1940, alla vigilia dell’entrata dell’Italia in guerra, conta 8 dipendenti. Da questo momento, la produzione della conceria viene totalmente assorbita dalla lavorazione esclusiva di pelli di assegnazione militare. Nel febbraio del 1954, il cuoio friulano viene scelto come “il più adatto per leggerezza, flessibilità ed impermeabilità” dalla Spedizione Italiana che conquisterà la vetta del K2. Le scarpe termiche adatte alla fase finale come quelle per la marcia di avvicinamento sono calzate da Ardito Desio, capospedizione e dagli alpinisti: Abram, Angelino, Bonatti, Compagnoni, Floreanini, Gallotti, Lacedelli, Rey, Puchoz, Soldà, Viotto. Dopo la conquista della

vetta, avvenuta il 31 luglio del 1954, il capospedizione Ardito Desio autorizza, con lettera scritta, la conceria Presot ad affiancare al marchio delle origini (la stella a cinque punte con le cinque “P” dell’azienda: Pietro – Presot – Pellami – Porcia – Pordenone), un nuovo logo, nel quale, intorno a “K2 – 8611”, compaiono i tre aggettivi “leggero, flessibile, impermeabile”, utilizzati per qualificare il cuoio dello stabilimento pordenonese. Oggi l’azienda continua ad essere un punto di riferimento per la concia delle pelli che avviene senza fretta, in vasche antiche di secoli. L’adozione di trattamenti a base di grassi non di sintesi, pone la conceria friulana tra coloro che hanno scelto, come strategia aziendale, la qualità di un made in Italy versione green. Una scelta “etica”, ma al tempo stesso imprenditoriale, che propone al mercato un cuoio di indiscussa qualità ottenuto nella salvaguardia dell’ambiente e con l’obiettivo principale di tutelare la salute del consumatore. 65


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SOTTO LA LENTE

Lady and Chef, dieci anni con le mani in pasta

Intervista a Silvana Mozzon, punto di riferimento dell’associazione di cuoche professioniste della pedemontana pordenonese che promuove la cultura culinaria locale di SABINA TOMAT

M

asterchef in tv, i food blog su Internet, gli scatti di Instagram sul cellulare: il culto del cibo come appagamento di tutti i sensi dilaga sui media. É l’era dei cosiddetti foodies, gli appassionati di esperienze culinarie originali e inedite. Ma a fronte di una continua ricerca del “diverso” aumenta anche il desiderio di ritorno alle origini e di riscoperta delle proprie tradizioni. Fedele ai principi di cooperazione e condivisione, Lady and Chef è un’associazione di cuoche professioniste della Pedemontana pordenonese che organizza e promuove attività ed iniziative culinarie rivolte a tutte le fasce d’età. Nulla a che vedere con l’edonismo degli chef stellati che vediamo ogni giorno in tv, le nostre “cuoche con il cuore” amano sporcarsi le mani e diffondere la cultura del “Masticare Friulano” come filosofia di vita. In occasione del decimo compleanno delle Lady and Chef incontriamo Silvana Mozzon della Taverna Al Frico di Coltura di Polcenigo.

Non mi piace parlare di bilanci. Noi viviamo esperienze e ogni esperienza è unica. Il nostro scopo è quello di comunicare e condividere guardando sempre avanti. Questi primi dieci anni ci hanno portato molte soddisfazioni. Nel frattempo il mondo, compresa la cultura culinaria, è profondamente cambiato. Stare al passo con i tempi è faticoso e spesso frustrante. Anticipare i tempi, invece, è divertente e stimolante. Cosa vi differenzia da altre associazioni simili alla vostra? Sicuramente il profondo amore che nutriamo per la

Silvana, come mai l’idea di un’associazione? Ti rispondo con un’altra domanda: che senso ha questo lavoro se sto chiusa in cucina sette giorni su sette senza poter condividere il mio sapere? Sono passati dieci anni da quando avete fondato l’Associazione. Un bilancio?

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nostra terra: le acque cristalline del Livenza che ci scorre accanto aiutano a rinnovare lo spirito ogni giorno. Ispirate dalla natura lavoriamo sempre in un’ottica di valorizzazione del territorio, rispettando le tradizioni ma guardando verso un futuro in cui la cultura culinaria locale non sia messa a rischio ma, al contrario, possa essere mantenuta grazie anche a tecniche di cottura innovative e metodologie

di preparazione inedite. Non siamo conservatrici, ma pensiamo che la materia prima, che è alla base di tutto, vada preservata e mantenuta in tutto il suo valore. Un esempio di innovazione nel rispetto della tradizione? Sicuramente i nostri tocchetti Palù®, preparati semplicemente con farine di cereali, uova e acqua. Un primo piatto inedito che vuole essere un omaggio agli antichissimi pezzetti di coccio rinvenuti nel sito archeologico Palù di Livenza. Quali sono le vostre attività principali? Molto gettonate sono le iniziative con i bambini. “Biscottiamo insieme” è arrivata ormai all’ottava edizione. Poi organizziamo molti corsi alternativi: la cucina sostenibile, le eccellenze alimentari, le erbe spontanee locali... solo per citarne alcuni. Siete anche molto presenti sui media: in tv su TelePordenone, in radio, sui social network. Ci piace diffondere il più possibile la nostra filosofia e i molteplici mezzi di comunicazione disponibili stuzzicano il nostro spirito eclettico. Lo scorso anno siamo state addirittura contattate su Internet da un’osteria italiana di Manchester per un gemellaggio. In un paio di giorni abbiamo fatto le valigie e siamo partite. Siamo fatte così: socievoli, imprevedibili, fantasiose ed autoironiche. Prendersi troppo sul serio è cosa d’altri tempi!

LA RICETTA Tocchetti Palù® in salsa di Figomoro Ingredienti: gr. 500 di farina di farro gr. 500 di farina di riso n. 6 uova intere Acqua q.b. Sale/pepe n. 1 confezione di figomoro gr. 100 di cipolla viola Rosmarino Sale e pepe e burro Mescolare insieme le due farine e salare. Aggiungere le uova e acqua q.b. Con l’impasto formare dei tocchetti a piacere, come dei piccoli gnocchetti. In una pentola capiente portare a bollore l’acqua per cucinare i tocchetti Palù per circa 15/20 minuti. Per la salsa, stufare la cipolla viola con una noce di burro e del rosmarino, aggiungere una confezione da gr. 200 di figomoro, amalgamare il tutto. Salare e pepare. Scolare i tocchetti e unirli al condimento. NB: i tocchetti Palù® sono ottimi anche con qualsiasi altro condimento a base di prodotti stagionali a vostro piacimento. Sperimentate!

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Tutti i corsi si tengono presso il Teatro di Polcenigo dalle 18.30 alle 20.30 e sono comprensivi di degustazione. 16 aprile: Erbette coltivate e selvatiche 21 maggio: Arte disegnata 4 giugno: Vintage & Country Il cibo di una volta intorno al territorio 3 settembre: Acqua e Sale L’eccellenza della quotidianità 8 ottobre: Pentole & Musica

ASSOCIAZIONE LADY AND CHEF

Tel. 0434 74562 Sito web: www.ladyandchef.it Mail: info@ladyandchef.it Facebook: Lady and Chef - Pordenone In diretta video: TelePordenone (gni martedì dalle ore 20 alle 20.30 con il Direttore Gigi Di Meo). Frequenze: 2.540 mhz s/r fec 3/4 polarizzazione H (oppure su Sky canale 958 Genius) In radio: Radio Punto Zero (tutti i giorni dalle ore 12.15 con Barbara). Frequenze: da 101.1 a 101.5 Top Radio: (ogni martedì ore 10,45 con Sabrina). Frequenze: da 98.400 a 99.00 69


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ENOGASTRONOMIA

“Make frico not war” Oggi è titolare di una società di catering che organizza cene a domicilio a New York. Ma il sogno dell’avianese Luca Manfé, vincitore di Masterchef Usa, è quello di aprire un ristorante a Brooklyn dove servire i piatti della tradizione friulana di MARA DEL PUPPO

Da

quando è stata trasmessa la prima puntata del format Masterchef, il mondo del food non è più lo stesso. Abbiamo cominciato a conoscere le tecniche di cottura, a capire quanto sia difficile inventare un piatto prelibato in pochi minuti, a cercare varietà di vegetali di cui non conoscevamo l’esistenza. Certo la nostra quotidianità è cambiata un po’ – pure quella dei poveri commessi subissati di insistenti e noiose richieste … - ma per alcuni la vita si è improvvisamente rivoluzionata. Parlo di chi un’edizione di Masterchef l’ha vinta, e non quella di casa nostrana, ma l’originale, quella da cui tutto è partito: Masterchef USA. Per gli appassionati foodies oltreoceano è certamente uno degli italiani più noti, le immagini della sua vittoria ci hanno coinvolto e appassionato perché è “uno dei nostri”: Luca Manfè. 32 anni, originario di Aviano, Luca Manfè inizia la 71


sua avventura negli States otto anni fa. All’inizio l’America è divertimento, novità e svago, poi – complice anche l’incontro con Kate, la moglie – gli Usa diventano il paese in cui cominciare a coltivare una grande passione: la cucina. Dopo una carriera come manager in alcuni ristoranti, prende il coraggio a quattro mani e si presenta ai provini di Masterchef. Arriva dritto dritto davanti ai giudici, ma il fegato alla veneziana che presenta non li convince, Luca batte in ritirata. L’anno successivo ci riprova e ce la fa. Entra nella masterclass e sfida dopo sfida arriva in finale, e vince. Ma oggi Luca cosa fa? Cosa vuol dire vincere Masterchef USA? Lo abbiamo incontrato in occasione di un suo breve soggiorno in Italia, all’indomani dell’ennesima serata che lo ha visto protagonista. Sì perché ogni volta che torna in Italia è molto conteso, tra la famiglia, gli amici e i ristoranti della zona che lo vogliono ospitare nelle loro cucine. Luca è un po’ provato, ma sorridente e disponibile. La stanchezza non spezza l’entusiasmo nel raccontare la sua avventura, e la sua nuova vita post Masterchef. Dopo Masterchef cosa è cambiato? Di cosa ti occupi oggi? Oggi ho una società di catering che si chiama A dinner with Luca, organizzo cene a domicilio. Tutto è partito con un contatto da parte di una società di PR di New York che mi ha chiesto di cucinare per una famiglia che mi aveva seguito in tv, prima ancora che venisse trasmessa la finale. Da lì ho cominciato a pensare che, anche a seguito della messa in onda della mia vittoria, qualcun altro avrebbe potuto desiderare questo servizio. Mi sono organizzato e dopo la finale il numero delle richieste si è letteralmente moltiplicato. Provengono non dalla sola New York – dove risiedo – ma anche da altre città, la gente è disposta a pagarmi la trasferta per raggiungerli. E’ innegabile che la vittoria in un talent show culinario come Masterchef sia foriera di una notorietà incredibile, entri nelle case della gente che comincia a tifare per te. Oggi facendo lo chef a domicilio, la gente che lo desidera ha anche l’opportunità di conoscermi oltre che di cucinare con me. Questo servizio prevede non solo la condivisione dei piatti, ma tutta la preparazione, compresa la spesa. Si parte dal selezionare le materie prime fino ad arrivare alla convivialità della tavola. Quali sono i piatti più richiesti? Senza dubbio quelli che mi hanno portato alla vittoria di Masterchef – come il frico o la panna cotta al basilico - ma anche i classici della cucina italiana. Prepariamo spesso la pasta fresca e moltissimi risotti. E le materie prime? All italians o per difficoltà nel reperire gli ingredienti hai dovuto trovare qualche buon sostituto made in USA? Gran parte delle materie prime italiane sono facilmente reperibili a New York, anche quelle freschissime come la mozzarella di bufala. Non vi nascondo che ci sono anche eccellenti materie prime USA che io utilizzo spesso, come la carne. Certo, ci sono specialità su cui non faccio eccezioni, se

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il mio piatto prevede il prosciutto crudo è solo San Daniele, se devo usare un formaggio stagionato solo Montasio o Grana Padano. Nessuna deroga. Oltre a Dinner with Luca, quali sono i progetti in cantiere? Un ristorante a Brooklyn. Un quartiere denso di stimoli, ricco di zone che saranno riqualificate e rilanciate. Ho in mente un menù dedicato al Friuli Venezia Giulia, con dei veri piatti tipici, gli stessi che mi ha insegnato mia nonna: frico, muset e brovada, sarde in saor. Le ricette originali della tradizione, che ripropongo anche nel libro di ricette che sarà in vendita nelle librerie statunitensi a partire da maggio. Nulla in Italia? Mi piacerebbe. Il mio sogno sarebbe quello di riuscire ad avere un’attività prevalentemente negli USA ma con qualcosina anche in Italia. Un po’ come ha fatto Joe Bastianich. Ma pensare di investire tutto in Italia è improponibile, in questo momento i costi e la situazione economica italiana non lo permettono. A proposito di Joe Bastianich, cosa ne pensi di lui? Hai testato il suo ristorante Orsone? Credo sia un grande professionista, ha istinto e capacità. Sono stato da Orsone in occasione del compleanno di mio padre. Cucina, servizio, cantina sono ineccepibili, non posso che fare i miei complimenti. Joe non c’era ma ha lasciato un biglietto per salutarmi. C’è qualcosa dell’Italia o del Friuli che porterai in USA e che, a tuo parere, avrà un grande successo? Non c’è dubbio, punto tutto sul frico – e mentre parla si apre la felpa per mostrarmi una tshirt con il claim “make frico not war” – lo proporrò nel mio ristorante come il piatto di punta. Ne andranno pazzi. C’è invece qualcosa nella ristorazione USA che andrebbe importata nei ristoranti italiani? L’organizzazione e il sistema delle mance. Quest’ultima va dal 15 al 20 del conto ed è una sorta di regola, non un di più, come in Italia. Questo sistema consente ai camerieri di essere più equamente remunerati, e garantisce ai clienti un servizio di qualità. Oggi il tuo successo è senza dubbio legato alle opportunità che si sono concretizzate dopo la vittoria a Masterchef. Il successo è arrivato dagli USA, si può quindi affermare che esiste ancora “il sogno americano”? Esiste, ma per riuscire ad avverare i propri sogni servono perseveranza, lavoro duro, credere in se stessi, non prendersi troppo sul serio e la fortuna… senza quella è impossibile vincere! Si ringrazia per la collaborazione e per la gestione dei contatti Luca Paties Montagner



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che affondano le nostre radici ed è in questa terra

che ritroviamo le radici

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che accompagnano la crescita delle nostre comunità.

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NOVITÀ

Il Museo dell’Alpeggio Su iniziativa della Sottosezione Cai di Aviano per la stagione estiva 2014 sarà realizzato un percorso espositivo sulla vita di malga all’interno della stalla Capovilla di MARIO TOMADINI

Il

Piancavallo ha una sua storia ma forse è corretto scrivere che per la maggior parte essa appartiene all’antico Piano (o Campo) del Cavallo, visto che le vicende legate alla nascita della stazione turistica sono datate alla metà degli Anni Sessanta. Il vissuto di tutto rispetto che ci rimanda indietro di secoli è relativo all’allevamento del bestiame che era una delle attività più praticate nei nostro monti anche se gli inizi sono stati davvero difficili. Nel Primo Dopoguerra (1921-22) sono arrivate le casere e i casoni in muratura e la monticazione ha adottato un’impronta moderna. Tutto questo fino ai primi Anni Sessanta del secolo scorso quando la mutata situazione socioeconomica ha determinato la scomparsa degli alpeggi. Oggi uno scampolo di quei tempi

andati rivive nell’attività della famiglia Tassan che in Pian Mazzega da giugno a settembre pascola greggi e mandrie e lavora il latte trasformandolo in formaggi, burro e ricotte. Per non disperdere un patrimonio di valore storico e per non consegnare definitivamente al passato una parte importante della storia delle nostre montagne, la Sottosezione di Aviano del Club Alpino Italiano si sta impegnando nella realizzazione di un museo dell’alpeggio all’interno della stalla dell’alpeggio Capovilla con la creazione di un percorso conoscitivo composto da immagini d’epoca e da un’esposizione di attrezzi in uso nelle casere. Per il Piancavallo, memore delle sue origini, questa iniziativa è una novità che completerà l’offerta turistica della prossima stagione estiva.

A sinistra: la “pegna” ovvero la zangola per ottenere il burro dalla battitura della panna; a destra, La cialdjera (paiolo), dove avviene la trasformazione del latte in formaggio e ricotta (immagini estrapolate dal volume “I pascoli del silenzio - Casere e caseranti nel Piano del Cavallo (1850-1950)” di Mario Tomadini - Associazione La Voce, Pordenone 2012)

La stalla dell’alpeggio Capovilla. Al suo interno è in corso l’allestimento del Museo dell’Alpeggio (foto Mario Tomadini)

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ARTE E CULTURA

Tempietto Longobardo restituito a nuova vita

Il recupero del manufatto di Giais, vicino ad Aviano, è stato premiato come esempio di miglior restauro di dimore storiche testo e foto di FERDI TERRAZZANI

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In

pedemontana ritorna a splendere un antico “rudere”, conosciuto impropriamente in questi anni come il Tempietto Longobardo. Il suo recupero è stato premiato in Italia come miglior esempio di restauro di dimore storiche TDA: Tradizione, Dedizione e Ambizione. Terminati con successo i lavori di ristrutturazione l’edificio ora fa bella mostra di sé nella piazzetta tutta nuova della contrada “Cortina di Giais”. La rivalorizzazione dell’antico stabile è stata sostenuta dall’Amministrazione comunale di Aviano. L’articolata realizzazione dell’opera si è sviluppata nell’arco di 2 anni e mezzo tra studi, rilievi e approfondimenti archeologici. I lavori di restauro hanno fatto emergere l’origine del manufatto d’epoca molto più recente e adibito a dimora, escludendo le precedenti valutazioni che lo datavano come luogo di culto cristiano d’età longobarda o, ancora più a ritroso nel tempo, come “sacello paleocristiano”. L’edificio conserva tra le altre peculiarità al suo interno un pregevole focolare d’epoca. Lo storico complesso abitativo, che sorge a fianco della chiesa parrocchiale è divenuto ormai il simbolo del borgo e sarà utilizzato come sede dell’associazione Gahagi, termine preso a prestito dall’antico toponimo longobardo di Giais. La struttura nella sua “nuova vita” sarà utilizzata come centro di cultura e tradizione locale, sede di mostre, esposizioni e convegni. In un più ampio progetto di riqualificazione di tutta l’area il Comune ha acquisito, in attesa del restauro, anche una caratteristica casa contadina pedemontana del 19° secolo che sorge a fianco del complesso. La casa rurale è caratterizzata da una bella piccionaia, locale all’ultimo piano ricavato nel sottotetto e destinato all’allevamento dei piccioni e da un affresco del 1848 a tema religioso. Il recupero ben realizzato merita una visita.

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‌dal 1968 costruttori in Pordenone

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ARCHITETTURA

Ernesto Raffin, l’ingegnere della Zanussi che progettò Piancavallo

Oggi ottantanovenne, era titolare del più importante studio di progettazione di Pordenone quando il Comune di Aviano gli affidò l’incarico di studiare prima la strada e poi il piano urbanistico di Piancavallo di GIULIO FERRETTI

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fogliando la raccolta della rivista Piancavallo Magazine e analizzando gli articoli sulla creazione di una stazione turistica dal nulla nel pianoro ai piedi del monte Cavallo viene citato prevalentemente l’architetto Gianpaolo Mar che ha lo studio a Zelarino in Veneto, tra i principali tecnici che hanno operato per lanciare la località. Da ricordare, tuttavia, sono anche le opere di un ingegnere che fin dall’inizio ha ottenuto e svolto incarichi di vario tipo in quell’area montana. Si tratta di Ernesto Raffin oggi ottantanovenne che, con Mar, ha avuto nella lunga carriera di professionista origini in parte simili. Se Mar ha operato nella località balneare di Jesolo l’ingegnere pordenonese lo ha fatto a Bibione

firmando diverse opere in una stazione balneare nata dal nulla come il Piancavallo. Raffin è nato in una famiglia di costruttori, con il padre che gestiva un’impresa edile a Cordenons dove risiedeva. Impresa abbastanza importante se aveva ottenuto la fiducia del Cotonificio Veneziano. L’impresario Carlo aveva anche la capacità di creare opere decorative in gesso. Per esempio aveva realizzato quelle del teatro Licinio di Pordenone, nei palchi e nei soffitti. L’ingegner Raffin, quindi, già da giovane, aveva visto il padre all’opera in lavori molto particolari e la decisione di iscriversi alla facoltà di ingegneria civile a Padova gli venne suggerita dal padre, per avere in azienda un tecnico proprio, a causa di non facili rapporti con

altri. Anche il fratello minore, Italo Giorgio, più giovane di lui di oltre dieci anni, successivamente intraprese studi universitari, ma di architettura, a Venezia. Laureatosi nel ’49, l’ingegner Ernesto fu di conseguenza facilitato nell’iniziare l’attività collaborando con il padre, ma anche con altri. Era amico, fin da giovane, di Lino Zanussi, più vecchio di lui di soli tre anni e da lui ottenne l’incarico di progettare i primi capannoni della sua azienda in via Montereale. Sempre da Zanussi, successivamente, Ernesto Raffin progettò lo spostamento della Rex a Porcia. Il suo studio ottenne uno sviluppo notevole con così importanti commesse diventando, di fatto, il più importante di Pordenone e

Tra i progetti dell’ingegner Raffin la chiesa di Piancavallo; a destra anche un suo olio su tela raffigurante il Gruppo del Cavallo

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Il condominio Palantina in centro a Piancavallo

insediandosi in uno dei grandi condomini di piazza XX Settembre. Fu quasi scontato poi, per il Comune di Aviano, incaricarlo, a cavallo degli anni ’60 dello scorso secolo, di elaborare gli strumenti indispensabili per la partenza della stazione montana del Piancavallo. Raffin cominciò col rendere più facilmente raggiungibile il Piancavallo, attraverso la previsione di una strada elaborando preliminarmente il rilievo necessario, seguendo l’accidentato percorso realizzato a partire dal ’48 da gruppi di lavoro finanziati dal Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste per dare lavoro a disoccupati, molto numerosi all’epoca. La strada poi venne realizzata, permettendo ai mezzi di raggiungere il Piancavallo, pur su una arteria con fondo sterrato. Strada che poi fu successivamente asfaltata dall’impresa Acco di Portogruaro. Sempre dal Comune di Aviano l’ingegnere pordenonese ottenne un nuovo incarico: quello di produrre il piano urbanistico dell’altopiano, che doveva dettare le regole per insediare le varie costruzioni di opere pubbliche e private e i collegamenti stradali tra le varie località del pianoro, privilegiando le aree con maggiore vocazione ed evitando consumo del territorio a danno dell’individuazione delle piste da sci. Non era a quel tempo un compito facile, perché si trattava di proporre una nuova stazione turistica ex novo, in un pianoro dove preesistevano solo alcune malghe e un rifugio e su un terreno con caratteristiche carsiche, che creava non pochi problemi nella realizzazione delle piste. 80

Il professionista pordenonese ha lasciato altri segni della sua attività nella nuova stazione turistica, progettato in centro il grande condominio Palantina, con il tetto a due falde che ripetono quello del Park Hotel, poco distante che, per molto tempo è stato il simbolo più importante della stazione sciistica. Altro elemento distintivo della costruzione la facciata con le lunghe terrazze. Poco distante ebbe anche l’incarico di realizzare anche la parrocchiale. Edificio di culto particolare dove il progettista disegnò i cartoni per le vetrate decorative. Fatto molto particolare per un ingegnere. Si è saputo che Raffin fin da giovane aveva l’hobby della pittura e nella sua vita ha sempre dipinto. Alcuni suoi quadri sono esposti nelle pareti dello studio e non ha mancato di esporli in mostre come quella degli anni ’90 nella sede della Società Operaia a Pordenone. I suoi soggetti preferiti sono stati i mercati ma non ha mancato di dipingere altri paesaggi come quelli della montagna pordenonese. Poi, a seguito dei consensi ottenuti per la realizzazione della chiesa al Piancavallo, ha ottenuto in seguito molti incarichi nel settore come una chiesa a Bibione e un’altra in Sudamerica. Oltre ai quadri, sono da ricordare i cartoni per le vetrate della chiesa del Don Bosco in viale Grigoletti a Pordenone. L’ultimo lavoro del suo studio a Piancavallo è stata una costruzione trifamiliare, in località Collalto, insieme all’architetto Paola Raffin. La continuità dello studio di ingegneria Raffin a Pordenone attualmente è assicurata dal figlio Stefano, mentre la tradizione di costruttori è portata avanti dal fratello Italo Giorgio con il figlio, anche lui architetto.


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L’INIZIATIVA

Arriva il trenino della Valcellina!

testo e foto di FERDI TERRAZZANI

La vecchia strada scavata nella roccia a strapiombo sull’orrido che ispirò Dante Alighieri dal 2013 è percorribile in parte con il treno panoramico. Quest’anno il percorso si allunga verso la forra di Andreis

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ra non solo a piedi o in bicicletta è possibile ammirare le unicità della Val Cellina, si è aggiunto il trenino panoramico che corre su gomma. Per vivere l’emozione di un viaggio in uno degli innumerevoli percorsi scenografici della nostra regione bisogna partire da Barcis; ai bordi del lago inizia la ”tratta”. Un viaggio della durata di 24 minuti a ritroso nel tempo attraverso la vecchia strada del Cellina, aperta in determinati orari solo a pedoni e ciclisti, ricca di storia e fatiche. Uno scenario da “Inferno dantesco” d’ininterrotte rocce verticali che strapiombano sulle verdeggianti acque del torrente sottostante lungo 4.5 chilometri che la natura con la complicità dell’uomo ha reso irripetibili. Il servizio, entrato in funzione la scorsa estate, ha riscosso sin dalle prime uscite un successo da “tutto esaurito”. Si son contate oltre 2000 presenze nei primi otto giorni; i fortunati passeggeri, tra essi numerosi stranieri, hanno espresso il loro gradimento. L’attrazione turistica composta da una locomotiva a quattro ruote motrici alimentata a gasolio e da due carrozze passeggeri è in grado di muoversi a 25 chilometri all’ora e di accogliere almeno 54 persone, una pedana pneumatica consente poi la salita ai diversamente abili. L’acquisizione del trenino per 240 mila euro rientrava

nel Piano d’azione locale 2009-2011 approvato dalla Regione. Nel frattempo i promotori dell’iniziativa sono pronti a lanciare una nuova sfida: ampliare il percorso verso la forra di Andreis. La nuova tratta, lunga circa 15 chilometri, partirà da Ponte Antoi a Barcis e proseguirà verso Andreis costeggiando il lago. Il trenino verrà sfruttato prioritariamente da Barcis e Montereale per permettere un’esplorazione in sicurezza della vecchia strada della Valcellina. Intanto è stato definito il progetto per la costruzione di un ponte tibetano che collegherà l’orrido tra Ponte Antoi e il bivio Molassa. Nella passata stagione il trenino ha funzionato tutti i giorni escluso il lunedì dal 3 agosto all’8 settembre. Nel frattempo è stato approvato il protocollo d’intesa tra i Comuni di Andreis, Barcis, Claut, Cimolais, Erto e Casso e Montereale per l’utilizzo del convoglio durante tutto l’anno. Il trenino sarà anche a disposizione dei Comuni e delle Associazioni che potranno richiederlo per utilizzarlo durante le loro manifestazioni. Per gli appassionati delle escursioni, una volta scesi dal trenino, avranno l’opportunità d’immergersi piacevolmente nella miriade d’itinerari culturali, naturalistici e gastronomici che il territorio, connesso al Parco delle Dolomiti Friulane, offre tra i comuni di Barcis, Andreis e Montereale Valcellina.

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L’INIZIATIVA

Estate e inverno con il mercatino Beneficenza e solidarietá sono di casa a Piancavallo grazie al nuovo Comitato Per Piancavallo

CURIOSITÀ

“Ami Piancavallo se…”

spopola su Facebook di GIULIA PELOSI

di SABINA TOMAT Anche in una piccola comunità possono nascere iniziative importanti e degne di nota. É il caso del mercatino di beneficenza che si è tenuto durante le feste natalizie a Piancavallo. La somma raccolta è stata interamente devoluta alla Fondazione CRO Aviano Onlus. Questa ed altre iniziative rientrano nelle attività del neonato Comitato Per Piancavallo, associazione di residenti e simpatizzanti che amano la località e per essa mettono a disposizione il loro tempo e le loro competenze per promuovere e incentivare attività di animazione e aggregazione. Vista l’esperienza positiva del mercatino di Natale, per la bella stagione sono in programma nuove iniziative, prima fra tutte il mercatino benefico d’agosto in Piazzale Della Puppa con prodotti di artigianato locale, mostre di arti tessili come patchwork e lavori di ricamo, laboratori creativi con gli elementi della natura, booksharing e molto altro. Le mostre si terranno presso l’Info Point di Turismo Fvg, mentre i laboratori saranno presieduti da volontari nella sede del Comitato presso il Centro Commerciale. Il Comitato è aperto a nuove idee e a chiunque volesse portare il proprio contributo. Informazioni all’indirizzo mail perisinottomonica@libero.it oppure al numero 329 1439610.

La

formula è ormai diventata un mantra su Facebook per i 422 membri del gruppo “Ami Piancavallo se…” che lasciano questi post in bacheca, a dimostrazione del loro amore per il Piancavallo versione vintage e non solo. Senso di appartenenza, molti ricordi e molte foto storiche nel gruppo creato dal non meglio identificato “Cavalier Cavallo” che il 28 gennaio 2014 ha unito gli amici di Piancavallo in una operazione “Amarcord”. Nel gruppo i post più apprezzati e cliccati con l’ormai noto simbolo “Mi piace” sono quelli delle foto di gruppo, ma ci sono anche fotografie di paesaggi per ricordare come era un tempo Piancavallo: il tipo di immagini che ogni famiglia tiene nel cassetto e spesso non ricorda neanche di avere. Non solo Piancavallo vintage però. Spazio anche alle

Da sinistra Augusta Magri, Maria Tonial, Michela Zin, Liliana Giovetti, Emma Soldat, la signora Bianchi e Redento Toffoli. Nel concorso di pasticceria casalinga la giovanissima Michela sbaragliò le agguerrite signore! Correvano gli anni ‘70

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Ruggenti anni ‘70 alla Genzianella con le riprese di Radio Capodistria e l’istrionico Luciano Minghetti

nuove generazioni che stanno postando la vita di Piancavallo ai giorni nostri con passeggiate, vita di rifugi, sci, ciaspolate e momenti allegri. “Ho pensato che la creazione di questo gruppo fosse un modo per avvicinare la gente che ha vissuto gli anni di sviluppo iniziale di Piancavallo e per far conoscere alle nuove generazioni cosa sia stata questa località per i pordenonesi, triestini e trevigiani. È bello rivivere sensazioni, momenti, personaggi che hanno animato la vita, le vacanze, le feste di molti di noi”, dice il Cavalier Cavallo che ha vissuto gli anni pioneristici di questa località turistica dai primissimi anni 70. “Spero che il gruppo possa ingrandirsi in numero di partecipanti facendo leva sull’esperienza condivisa di esperienze passate, presenti e auguriamoci future per un Piancavallo che amiamo tutti profondamente”.

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Il fantoccio del Cavalier Cavallo, mascotte della località

Gli sciatori della mitica Valanga Azzurra a Piancavallo Carnevale sulla neve negli anni ‘70: vestiti da nel febbraio del 1978: da sinistra a destra Radici, Thoeni, scolari Mirco, Michela, Ennia e Marisa Zin. Bieller, Noeckler, Gross, Bernardi, Stricker, De Chiesa.



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Sopra parallelo di fine stagione per i campionati dello Sci Club Pordenone sulla pista “Caprioli”: opposti due amici e padri fondatori del Piancavallo come Giancarlo Predieri (a sinistra) e Redento Toffoli; qui a lato, l’indimenticato Giancarlo Predieri con Tiziana Giovetti; a destra il giovane Andrea Babbo con Gigi Vipera

PRESI NELLA RETE Ami Piancavallo se…

“Se hai conosciuto Gigi vipera che arrivava con il suo motorino e la sua gamba di legno per catturare le vipere a modo suo”, scrive Arianna. “Se ricordi il primo gatto battipista alla guida del sig. Graziano”, scrive Danilo. “Se ti ricordi del sig. Marano dell’alimentari che portava il pane a domicilio con la motoslitta”, posta Federica. “Se ricordi Luciano Minghetti di Radio Capodistria che trasmetteva dall’Alemy”, scrive Natalino. “Se da bambino ti incantavi davanti alle vetrine coloratissime di caramelle gommose del Bar Bianco”, scrive Roberta. “Se la serata non era conclusa se non eri salito sui tavoli dell’Alemy”, questo il post di Alberto. “Se andavi a raccogliere il radicchietto selvatico nel periodo del disgelo per poi condirlo con la pancetta fritta”, scrive Consuelo.

“Se almeno una volta hai fatto con la tua amica del cuore la mitica gara sky race degli orizzonti”, scrive Giulia. “Se ti ricordi i mitici panini della Titti alla busa del Sauc”, scrive Barbara. “Se è stato il luogo della tua prima volta”, questo il post di Marco. “Se lo difendi sempre quando coloro che non lo conoscono e non lo frequentano ne parlano male nella speranza di affondarlo”, scrive Tiziano. “Se ti ricordi quando c’erano la scuola elementare, la banca, il cinema, tutto funzionante”, posta Paola. “Se mangi i buonissimi formaggi e ricotte della malga Tassan”, scrive Giulia. “Se come me gli hai donato un ginocchio nel 1967, una spalla nel 1989 ed un bacino (nel senso di articolazione!) nel 2014”, scrive Mario. 89


IL RICORDO

Quel bambino tra le cime e il cielo Lo scorso mese di dicembre ci ha lasciato Paolo Sandrin, avvocato pordenonese e membro dell’Associazione La Voce editrice di questo giornale. Piancavallo faceva parte del suo Dna

di MICHELA ZIN Il giovanissimo Paolo Sandrin a Piancavallo con la divisa della Magnifica Comunità

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ono fotogrammi in bianco e nero o con i colori ancora poco nitidi degli anni settanta. Sono lontani nel tempo ma ancora così vivi, caldi, pieni di allegria. Sono ricordi di grida di bimbi, canzoni urlate a squarciagola, corse a perdifiato. Sono luoghi da esplorare, esperienze da vivere, momenti da passare insieme. C’e’ un mondo di progetti, di cose da inventare, di risultati da ottenere. Ci sono, montagne da scalare, tornei di tennis da giocare, corse con i sacchi da affrontare, animaletti da catturare e amici da rincorrere.

C’è un sorriso. Grande, nitido, fiero, allegro, innocente ma a volte un po’ furbetto di chi sa che ha davanti un mondo da conquistare. Ci sono due occhi neri, piccoli ma luminosi, pieni di speranza, a rincorrere sogni che si perdono in spazi infiniti, dove la mente vaga al confine tra le nostre cime e il cielo. E c’è una montagna: Piancavallo. Passano gli anni e arrivano le amicizie profonde, le conoscenze effimere, gli amori che nascono, i libri sui quali chinare la testa, lo stare fuori casa per lo studio e poi ritornarci. E ancora ecco i clienti, le relazioni, i conti da far tornare, i collaboratori da gestire, le riviste dedicate a Piancavallo da seguire, il lavoro in tribunale, gli sponsor da cercare, gli atleti da spronare, i genitori da assecondare, i nipotini da coccolare e un grande amore da abbracciare. Sono tutte cose che appartengono alla “normale” quotidianità, quella che spesso ti fa perdere di vista ciò che appartiene al passato. Una routine che, nelle persone sagge, accantona ma non dimentica. Perchè se è vero che i ritmi frenetici fanno a volte perdere di vista ciò che fino a poco

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prima ci ha accompagnato, basta poi un incontro per far tornare – oggi come allora – lo stesso sorriso: grande, nitido e fiero. E quegli occhi sono gli stessi: neri, piccoli e luminosi. È un po’ come quando si trova in fondo ad un cassetto un oggetto al quale teniamo tanto; sappiamo essere là perchè ce lo abbiamo messo noi, non lo abbiamo dimenticato. E sta solo a noi tirarlo fuori, sapendo la gioia che ci fa provare quando torna davanti ai nostri occhi. Ecco in quel “cassetto” c’è Piancavallo, una montagna che per noi ha significato molto. Ed è con quella felpa grigia, con uno dei simboli della nostra cima pordenonese stampata sul cuore che voglio ricordarti, Paolo. Orgoglioso di una medaglia al collo e con una lattina di Coca Cola tra le mani, come se fosse chissà quale premio. Voglio pensarti ancora là, in Piancavallo, luogo che hai tanto amato e per il quale hai voluto questo giornale. A tuo papà hai lasciato detto che questo Magazine deve restare. E l’hai fatto con il tuo solito sorriso grande e i tuoi occhi pieni di speranza. Con questa promessa ogni nuovo numero farà ancora un po’ parte di te. Ciao Paolo.

...Poi come foglie d’autunno un colpo di vento ci ha portato via ....Come chicchi di grano una mano ci ha presi e ci ha buttati lontano Luca Carboni “Chicchi di grano”


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