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POINT

ZERO . . . . Lo studio OMA ha progettato la biblioteca Alexis de Tocqueville a Caen

A Thionville la mediateca multimediale di Dominique Coulon & associés Il Design Museum di Londra progettato da John Pawson

ISSN 2281-7573

RIVISTA PROMOSSA E PATROCINATA DAL CNAPPC

Inaugurato a Lisbona il MAAT progettato dallo studio AL_A

ZERO ENERGY ENVIRONMENTAL REFURBISHMENT OPERATING SYSTEM


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⤴ MEDIA KIT Il lettore ha a disposizione la scheda tecnica dei prodotti dell’azienda o il listino prezzi


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FILMATI L’azienda presenta al lettore uno spot istituzionale o il suo prodotto attraverso un tutorial dimostrativo

⤴ PHOTO GALLERY L’azienda presenta al lettore, tramite una sequenza fotografica, il suo catalogo prodotti o i dettagli di questi







INDICE

9. EDITORIALE / Green jobs - TtT-Prof/Trac 10. BOOK-SURFING 15. EVENTI / Architettura, edilizia, design

19. REPORT / Notizie e riflessioni dal mondo

PROGETTI

34. In continuo movimento / Mediateca Multimediale, Thionville (Francia) / Dominique Coulon & associés

48. Design in London / Design Museum, Londra (Inghilterra) / John Pawson

68. Incrocio sul canale / Biblioteca Alexis de Tocqueville, Caen (Francia) / OMA

80. Lisbona renaissance / Museo di arte architettura e tecnologia, Lisbona (Portogallo) / AL_A

BLOCK NOTES

61. Alberto Zanni / Per case più sicure

62. Paola Altamura / Costruire a zero rifiuti 63. Fosca Tortorelli

64. Simona Morini / Innovare e rigenerare 65. Antonella Violano

66. Angelica Fortuzzi / Placemaking

92. Palcoscenici urbani / Green Urbanism: il caso di Monaco di Baviera

ANTICO E POSSENTE

102. Design / 108. Riciclare per migliorare / 110. Creare riutilizzando

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POINT Z.E.R.O. Iscritta con l’autorizzazione del Tribunale di Bologna al numero 8210 del 16 novembre 2011 Anno 4 - n.9 - marzo 2017 Trimestrale

Direttore Editoriale Alessandro Marata Direttore Responsabile Maurizio Costanzo Caporedattore Iole Costanzo Coordinamento di Redazione Cristiana Zappoli Art Director

Laura Lebro

CNAPPC - Consiglio Nazionale Architetti Pino Cappochin: Presidente / Rino La Mendola: Vice-Presidente/Dip. Lavori Pubblici / Carmela Cannarella: Vice Presidente Aggiunto/Dip. Agenzia Urbana e Politiche Europee / Fabrizio Pistolesi: Dip. Semplificazione / Massimo Crusi: Tesoriere/Dip. Riforme e Politiche per la Professione / Marco Giovanni Aimetti: Dip. Lavoro, Nuove Opportunità e Innovazione / Walter Baricchi: Dip. Cooperazione, Solidarietà e Protezione Civile / Ilaria Becco: Dip. Formazione e Qualificazione Professionale / Alessandra Ferrari: Dip. Promozione della Cultura Architettonica e della Figura dell’Architetto / Franco Frison: Dip. Interni e Magistratura / Paolo Malara: Dip. Università Tirocini ed Esami di Stato / Alessandro Marata: Dip. Ambiente Energia e Sostenibilità / Luisa Mutti: Dip. Accesso alla Professione Politiche Junior e Giovani Arturo Livio Sacchi: Dip. Esteri / Diego Zoppi: Dip. Politiche Urbane e Territoriali Redazione Enrica Borelli, Federica Calò, Silvia Di Persio, Rossana Galdini, Luciano Sandri, Margherita Tedeschi, Caterina Vecchi, Gianfranco Virardi Hanno collaborato Paola Altamura, Angelica Fortuzzi, Simona Morini, Fosca Tortorelli, Antonella Violano, Alberto Zanni Si ringraziano Dominique Coulon & associés, John Pawson, OMA, AL_A Per la pubblicità KORE EDIZIONI - Tel. 051.343060 Stampa Grafiche Baroncini - Imola (Bo) - www.grafichebaroncini.it Finito di stampare: marzo 2017

Via Santa Maria dell'Anima,10 - 00186 Roma - www.awn.it

KOrE E D I Z I O N I

Via F. Argelati,19 - 40138 Bologna - Tel. 051.343060 - www.koreedizioni.it - www.pointzerocnappc.it

Questa rivista è dedicata a Giancarlo De Carlo, che mi ha trasmesso il valore della responsabilità nel lavoro e nel rapporto con gli altri, ad Hassan Fathy, che è stato tra i primi a farmi capire l'importanza di agire sempre nella direzione che possa consentire uno sviluppo sostenibile del mondo, a Bruno Munari, dal quale ho preso la voglia e l'entusiasmo di vedere il mondo attraverso gli occhi curiosi e interessati dei bambini, a Bruno Zevi, grazie al quale, da studente, ho imparato a vedere criticamente l'architettura con gli occhi dello studioso.

Alessandro Marata

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In copertina: il MAAT di Lisbona




EDITORIALE / PointZero n.9

GREEN JOBS - TtT-Prof/Trac

I

l tema del lavoro è certamente uno dei problemi attualmente più sofferti nella vita professionale degli architetti italiani. Lo è dal punto di vista della quantità, la crisi della filiera edilizia non è ancora terminata e sulla sua fine non si possono nutrire troppe illusioni, ma lo è anche da quello della qualità. Non ci stancheremo mai di ripetere che in Italia l’importanza dell’architettura per lo sviluppo della società non è minimamente percepita e che, di conseguenza, non è tenuta nella debita considerazione. In questo contesto i cosiddetti green jobs, termine derivato dalla green economy, possono avere un ruolo positivo molto importante per le inevitabili e auspicabili trasformazioni della professione dell’architetto. Ed è in questo ambito che si inserisce il progetto europeo Prof/Trac. Train the Trainers è uno degli obiettivi del progetto Horizon2020 denominato Prof/Trac, acronimo di PROFessional multi-disciplinary TRAining and Continuing development in skills for NZEB principles in the building sector. Il Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori è uno degli otto Paesi pilota di questo progetto finanziato totalmente dalla Commissione Europea, programma che si rivolge a tecnici esperti, architetti, operatori e imprenditori edili coinvolti nella progettazione, costruzione e gestione dell’edilizia. Il programma si inserisce nel processo di formazione permanente per lo sviluppo continuo e l’aggiornamento professionale che ogni architetto deve perseguire per garantire al committente la qualità del suo operato. Il Prof-Trac ha avviato la sua attività delineando, valutando e confrontando le competenze richieste per la progettazione e la costruzione dei Nearly Zero Energy Building, con quelle già esistenti sul mercato. Ciò ha condotto alla realizzazione di un inventario di programmi educativi e formativi per ciascuna professione. Ad oggi il Prof-Trac ha realizzato una mappatura delle competenze in Spagna, Croazia, Olanda, Danimarca, Repubblica Ceca, Italia e Slovenia. A ciò ha fatto seguito lo sviluppo del programma europeo centrale denominato Formare i Formatori finalizzato all’adozione e al perfezionamento delle strutture, dei materiali e degli schemi di accreditamento all’interno di programmi nazionali di formazione continua. Il tema dell’energia da anni inflaziona i contenuti e la comunicazione del dibattito architettonico. Si parla di questioni energetiche in termini di innovazione tecnologica, di etica, di sostenibilità ambientale, di comfort abitativo, di economia, di commercio. Questa overdose di numeri, concetti, slogan e dichiarazioni ha comportato da un lato una inevitabile inondazione di comunicazione green-washing che ha prodotto confusione, contraddizioni ed errori. Dall’altro ha avuto però il merito di fare crescere la sensibilizzazione verso i temi dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile anche ai meno esperti e attenti tra utenti, progettisti, amministratori e cittadini. è in questo contesto, ma con caratteristiche molto originali, che si

inserisce il progetto Prof/Trac, nel quale il Consiglio nazionale degli Architetti, attraverso il Dipartimento Ambiente Energia e Sostenibilità, è uno dei tredici partner operativi. Fanno parte del progetto anche il Consiglio Europeo degli Architetti, la belga Housing Europe, lo spagnolo Valencia Institute of Building, la Czech Technical University Prague, la svedese Aalborg University, la Croatian Chamber of Mechanical Engineers, la Chamber of Architecture and Spatial Planning of Slovenia, la Danish Society of Heating, Ventilation and Air Conditioning Engineers. Il tema degli edifici a energia quasi zero è uno degli argomenti ineludibili, non solo per motivazioni etiche e ambientali, ma anche e soprattutto in seguito alla Direttiva EPBD 2011/31/EU della comunità europea, che ha fissato due date inderogabili: la prima obbligherà, dal 31 dicembre 2018, a raggiungere standard energetici molto elevati, una ottimizzazione costi e benefici in termini di consumo di energia, per tutti gli edifici pubblici. Dal 31 dicembre 2020 le stesse prescrizioni verranno estese anche alle nuove costruzioni private. Il progetto Prof/Trac è molto originale e interessante perché non mira solamente ad agire sul miglioramento delle competenze, skills, del singolo progettista quanto a implementare la comunicazione, dissemination, della filosofia, se così possiamo definirla, dei Nearly Zero Energy Building. Il programma europeo si incentra, infatti, sulla definizione dei formatori, vale a dire coloro i quali dovranno insegnare tutti i vari aspetti che concorrono e contribuiscono a raggiungere una corretta progettazione di questi edifici: l’innovazione tecnologica, il comfort abitativo, le energie rinnovabili, il retrofit energetico, le tecnologie bioclimatiche, il ciclo di vita dei materiali e dei sistemi, l’efficienza impiantistica, la gestione dell’energia, i protocolli ambientali, le energy service company, l’emissione zero, il miglioramento energetico del patrimonio edilizio esistente. Formare i formatori, nell’intendimento del progetto, vuol dire creare degli “ambasciatori” europei che promuovono la progettazione degli NZEB e agiscono sia a livello culturale che tecnico. Il corso di quaranta ore che ha avuto luogo a giugno e luglio presso la sede del Consiglio Nazionale Architetti è certamente una delle attività più rilevanti del programma ed è stato tenuto da docenti universitari, progettisti ed energy manager. Il progetto europeo, della durata di tre anni, si concluderà nella primavera 2018 e, tra le ulteriori attività, vedrà l’organizzazione di un secondo corso che avrà un taglio dedicato prevalentemente alla comunicazione e all’organizzazione di eventi aventi sempre come obiettivo la disseminazione della cultura e delle buone pratiche per lo sviluppo sostenibile. Alessandro Marata Direttore Editoriale POINT Z.E.R.O. 9


BOOK-SURFING

BOOK-SURFING / Alessandro Marata

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Federico Rampini L’età del caos Mondadori

iviamo dentro L’età del caos. Come non essere d’accordo con Federico Rampini che, dopo aver dissertato sulla stanchezza di molte democrazie, su stagnazione e innovazione dei mercati, sul nuovo ordine cinese, sul disordine indiano e sulla tecnocrazia, mette in guardia da una possibile nuova estinzione, questa volta del genere umano. Ma, contemporaneamente, si chiede se il caos può diventare per noi una opportunità e cosa abbiamo da imparare dalla mappatura del disordine dominante; crisi e opportunità, come insegna Sun Tzu, sono una parola sola. Protagonista dell’età del caos è certamente l’Homo Videns. Giovanni Sartori individua nel post-pensiero una modalità molto suggestiva per aiutare a comprendere i fatti della società contemporanea. Il primato dell’immagine, che dal sapiens conduce al videns, mette in gioco anche le modalità di espressione della democrazia, la formazione delle opinioni, la diminuzione delle informazioni e l’aumento della disinformazione collettiva dell’ignoranza, della di-

Nicola Porro La disuguaglianza fa bene La nave di Teseo

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Giovanni Sartori Homo Videns Editori Laterza

suguaglianza. Per alcuni però La disuguaglianza fa bene. Tra i liberisti Nicola Porro evidenzia i rischi che possono derivare dal pensiero unico, dal falso mito dell’uguaglianza, dal fatto che dell’economia tutti parlano, come nel caso del calcio, ma pochi ne capiscono i meccanismi. Con un paradosso indica che San Francesco non sarebbe mai esistito senza un padre ricco. L’importanza dell’homo oeconomicus, che pare essere il protagonista dei nostri giorni, in realtà non è così prevalentemente, perché non tutto è conseguenza dell’economia; la disuguaglianza è per grande parte frutto dell’ignoranza sociale e religiosa. Non dobbiamo mai dimenticare che noi viviamo all’interno di quella che viene definita La società opulenta, dove la contrapposizione tra lusso e necessità trova, ricordiamo la teoria dei bisogni di Marx, la sua massima evidenza. John Kenneth Galbraith sostiene che, in genere, la ricchezza è nemica implacabile dell’intelletto e che spesso il ricco, prima di imparare a usare bene la sua agiatezza, tenderà a impiegarla

John Kenneth Galbraith La società opulenta Edizioni di Comunità


BOOK-SURFING / Alessandro Marata

Noam Chomsky Chi sono i padroni del mondo Ponte alle Grazie

per finalità futili o addirittura sbagliate. Ricchezza vuol dire potere? Chi sono i padroni del mondo? Noam Chomsky, attraverso l’analisi delle più importanti e influenti questioni politiche internazionali, ci costringe a guardare la realtà con occhi diversi, in un modo molto più approfondito di quanto potrebbe fare l’homo videns. Per poi giungere alla conclusione che i padroni della nostra società sono le multinazionali, le enormi istituzioni finanziarie, gli imperi commerciali. Come i ricchi e i potenti hanno dato forma al mondo lo spiega anche Deyan Sudjic in Architettura e potere. Gli architetti, dice, sono geneticamente predeterminati, nel loro destino, a fare qualsiasi cosa pur di costruire, a scendere a compromessi con chi governa, chiunque esso sia. Edificare diventa così un fine e contemporaneamente un mezzo per manifestare il proprio predominio, culturale e di potere, da Imelda Marcos a Saddam Hussein, da Mitterrand a Blair. Secondo Riccardo Cascioli e Antonio Gaspari I padroni del pianeta sono invece al-

Riccardo Cascioli Antonio Gaspari I padroni del pianeta Piemme

Deyan Sudjic Architettura e potere Editori Laterza

tri: mai il genere umano è vissuto così a lungo e meglio di oggi. è vero che, a seconda che si viva in una parte oppure in un’altra del mondo, si può stare bene o male; ciò dipende da una cattiva distribuzione dei beni e da sfruttamenti monopolistici. Ribaltando una delle tesi classiche del mondo dell’ambientalismo, in questo libro sostengono che l’uomo è la soluzione e non il problema. Il mondo va quindi nella direzione che Lucio Anneo Seneca ricordava, citando Aristotele, riguardo La brevità della vita: agli animali la natura ha concesso una vita lunga quanto basta per raggiungere anche la decima generazione, mentre all’uomo, nato per compiere molte grandi imprese, ha assegnato un termine assai più breve. In realtà continua Seneca, non è vero che di tempo ne abbiamo poco; è vero invece che ne sprechiamo molto. Non è quindi giusto dire che la vita è breve perché siamo noi a renderla tale con la nostra quotidiana ignavia e dissipatezza. Con le sue cinque lezioni di filosofia per imparare a stare al mondo, etica, estetica, on-

Lucio Anneo Seneca La brevità della vita Einaudi

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BOOK-SURFING

BOOK-SURFING / Alessandro Marata

Leonardo Caffo La vita di ogni giorno Einaudi

tologia, logica e futuro, Leonardo Caffo descrive La vita di ogni giorno. La filosofia, dice, scardina la realtà che diamo per scontata e apre ad altri mondi possibili. è come una guida turistica che non ci obbliga a seguire una strada in modo univoco, ma ci propone alternative e possibilità di scelta nel nostro percorso per diventare architetti della nostra esistenza e del nostro futuro. Per Daniel Goleman, il nostro prossimo futuro gradino evolutivo sarà l’Intelligenza ecologica; la cura per l’ambiente non rappresenterà più un movimento o una ideologia perché il genere umano sarà interessato da un sostanziale cambiamento cognitivo. L’intelligenza ecologica è quella che ci consentirà, per fare un semplice esempio, di riuscire a leggere, sulle etichette dei prodotti che consumiamo, anche i costi che pagherà il pianeta e, di conseguenza, anche la nostra salute. Ecology è uno dei titoli monografici della rivista San Rocco. In questo numero, attraverso più di venti saggi, si prova a de-

San Rocco Magazine Ecology

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Daniel Goleman Intelligenza ecologica Rizzoli

lineare una teoria che leghi l’ecologia, la pianificazione, la demografia, le istituzioni internazionali per delineare uno scenario globale ragionevole e una società non apocalittica e non assediata dalle nefandezze compiute dall’uomo. La società sotto assedio è un saggio molto attuale anche se Zygmunt Bauman lo ha scritto ormai più di quindici anni fa. L’assedio di cui parla riguarda la difficile vita che siamo costretti a vivere nelle metropoli contemporanee. Di vita parla anche Theodore Zeldin, uno dei pensatori più influenti della contemporaneità, in Ventotto domande per affrontare il futuro, un nuovo modo per ricordare il passato e immaginare l’avvenire. La sua indagine parte da una domanda molto semplice: qual è il meglio che la vita può offrirci nel nostro mondo attuale, così iniquo, violento, inquinato e corrotto? Casa possiamo immaginare per una nuova arte del vivere? Cosa può dire il ricco al povero? Cosa può dire il povero al ricco? Per rispondere a queste domande

Zygmunt Bauman La società sotto assedio Editori Laterza


BOOK-SURFING / Alessandro Marata

Parag Khanna Connectography. Le mappe del futuro ordine mondiale Fazi Editore

Theodore Zeldin Ventotto domande per affrontare il futuro Sellerio

e per indicare i modi con i quali si potranno affrontare i prossimi decenni, lo stratega geopolitico Parag Khanna propone Connectography. Le mappe del futuro ordine mondiale, più di seicento pagine di approfondimenti sulle tematiche della connettività, delle alleanze infrastrutturali, dell’iperglobalizzazione, delle città popup, delle identità digitali, della negoziazione con la natura. In questo saggio si percepisce, non è frequente nella saggistica attuale, una visione ottimistica, un mondo in cui le linee che lo connettono sono molte di più di quelle che lo separano, immaginando una società nella quale le guerre possano essere definitivamente scomparse, con lo sguardo rivolto in direzione della città globale. Sette lezioni sul pensiero globale. Ancora una volta Edgar Morin, un umanista planetario, si interroga sulla realtà contemporanea e ci invita a pensare globale e a considerare l’uomo nella sua dimensione trinitaria perché ciascuno di noi

è allo stesso tempo un individuo, un essere sociale e una parte della specie umana. I temi che tratta vanno dall’emergenza della coscienza ecologica alla poesia della vita, dall’umanità intesa come rivoluzione nell’evoluzione agli effetti della globalizzazione, dalle lezioni della storia alla conoscenza della conoscenza, dalle attuali concezioni del nostro futuro al sogno dell’immortalità, di una eterna sopravvivenza. Progettare per sopravvivere è stato scritto da Richard J. Neutra ormai più di sessanta anni fa, ma è ancora un testo attuale e di grande poetica nel quale la natura, l’architettura, la forma e la funzione convivono con grande armonia. Il ruolo dell’architetto è di grande responsabilità; lo ripetiamo anche oggi in molteplici occasioni. Lo diceva questo grande architetto che incrociava la sua opera con la biologia, la cultura, l’arte. Bisogna progettare con maggiore umanità se si vuole progettare per vivere e per viver più a lungo.

Edgar Morin Sette lezioni sul pensiero globale Raffaello Cortina Editore

Richard J. Neutra Progettare per sopravvivere Edizioni di Comunità

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EVENTI

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1. Art Déco. Gli anni ruggenti in Italia, Forlì, Musei San Domenico, fino al 18 giugno 2017 Un gusto, una fascinazione, un linguaggio che ha caratterizzato la produzione artistica italiana ed europea negli anni Venti 2. Ten Years and Eighty-Seven Days, Siena, Santa Maria della Scala, dal 13 aprile al 4 giugno 2017 17 fotografie di grande formato e 9 testi tratti da lettere e interviste rilasciate dai prigionieri del braccio della morte del carcere di Livingston 3. Effimera – Suoni, luci, visioni, Modena, Mata, dal 18 marzo al 7 maggio 2017 Tre imponenti installazioni ambientali di Carlo Bernardini, Sarah Ciracì e Roberto Pugliese 4. Helmut Newton. Fotografie, Napoli, PAN, fino al 18 giugno 2017 Oltre 200 immagini di uno dei più importanti e celebrati fotografi del Novecento

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5. Stefano Arienti. Antipolvere, Modena, Galleria Civica, dal 25 marzo al 16 luglio 2017 30 opere che ripercorrono 25 anni di attività di uno dei più noti e riconosciuti artisti italiani a livello internazionale 6. Restauro – Musei, Ferrara, Fiera, dal 22 al 24 marzo 2017 Salone dell’economia, della conservazione, delle tecnologie e della valorizzazione dei beni culturali e ambientali

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EVENTI

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1. Guerre Stellari – Play, Genova, Magazzini del Cotone, fino al 16 luglio 2017 Oltre 1000 pezzi tra modellini, action figures e stampe d’epoca raccontano ai visitatori le scene e i personaggi della celebre saga 2. Mostra Internazionale Libri antichi e di pregio, Milano, Salone dei Tessuti, dal 24 al 26 marzo 2017 Il più importante evento del mercato librario d'antiquariato in Italia 3. Bruno Munari: aria | terra, Cittadella (PD), Palazzo Pretorio, dal 9 aprile al 5 novembre 2017 Un contributo significativo all’acquisizione storico-critica dell’eredità munariana 4. Provocazioni e corrispondenze, Napoli, Fondazione Plart, dal 9 marzo al 3 giugno 2017 Mostra dedicata alle punte d’eccellenza della produzione di Franco Mello, autore d’icone del design contemporaneo 5. Wipe out design. La Selettiva, Milano, Galleria Gruppo Credito Valtellinese, Dal 5 al 29 aprile 2017 In mostra i migliori progetti di concorso pervenuti, fra il 1955 e il 1975, al concorso “La Selettiva”

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REPORT / Dal mondo

RICONOSCIMENTI

Che il mondo rispetti roma CleanRome, la campagna di sensibilizzazione realizzata da Aliantedizioni in favore della città di Roma, ha ricevuto il premio Green Good Design Award 2017 assegnato da The European Centre for Architecture, Art, Design and Urban Studies e da The Chicago Athenaeum Museum of Architecture and Design. Il premio viene assegnato ogni anno a prodotti particolarmente rispettosi dellÊambiente e ad aziende ed enti governativi che si siano distinti per lÊattuazione di politiche di salvaguardia delle risorse naturali. CleanRome è una campagna di sensibilizzazione senza fini di lucro dedicata alla città di Roma e rivolta ai cittadini, ai visitatori e ai pellegrini provenienti da tutto il mondo perché possano recuperare un fondamentale senso civico e la consapevolezza di vivere, o semplicemente di attraversare, la più spettacolare concentrazione di capolavori dÊarte presente in unÊunica città. Dopo lÊomaggio a Istanbul del 2014, Aliantedizioni ha inteso destinare una dedica speciale alla capitale dÊItalia e stimolare una presa di coscienza collettiva che contribuisca alla salvaguardia e al rispetto del suo straordinario patrimonio storico e artistico. Una campagna di sensibilizzazione basata sulla diffusione di uno slogan che cita il noto „Roma pulita‰, creato nel 1983 dai tecnici del Comune di Roma, ma con lÊintento di trasformare lÊauspicio in un impegno da prendere in prima persona. Il senso di CleanRome è quello di contribuire a modificare i comportamenti dei singoli individui, ospiti permanenti o temporanei della città. Ospiti che si sentano protagonisti di una rinascita culturale, oltre che civile, consapevoli di quanto le condizioni di Roma debbano essere vissute come una preoccupazione globale e non solo come una esigenza locale.

PRATO

Generare cultura Da una fabbrica dell’800 dismessa, situata nel centro della città, è nato un centro culturale moderno e rispettoso dell’architettura storica

L’antica Cimatoria Leopoldo Campolmi è il più grande complesso industriale d’origine ottocentesca esistente entro le mura del centro storico di Prato, un vero e proprio capolavoro dell’archeologia industriale della città. La fabbrica è situata nel popolare quartiere di Santa Chiara e insiste su una vasta area delimitata dalla cinta delle mura medievali. La scelta del Comune di Prato di insediare il nuovo Centro Culturale (Museo del Tessuto e Biblioteca Comunale “A. Lazzerini”) nell’area del vecchio opificio tessile costituisce un’occasione esemplare d’intervento in materia di recupero di un manufatto storico dell’industria tessile pratese e investe in maniera diretta la riqualificazione del centro storico e, più in generale, la riconversione delle aree industriali dismesse in funzione dei nuovi obiettivi di

riequilibrio della città. Inserita in un contesto urbano particolarmente degradato, in un quartiere caratterizzato da residenze popolari e dalla residua presenza di fatiscenti capannoni industriali, il recupero dell’ex Cimatoria rappresenta uno dei casi più significativi di riconversione urbana,

tanto per la posizione di centralità che la fabbrica assume nel centro storico, quanto per la dimensione fisica, i contenuti e il valore simbolico dell’intervento. Da semplice contenitore industriale, la fabbrica, dominata dalla sua imponente ciminiera, ha assunto per Prato un ruolo superiore, di carattere pubblico e sociale, fino a divenire un simbolo indissolubilmente legato alla storia civile della città. Dopo un lungo e laborioso restauro durato circa dieci anni, la vecchia fabbrica ottocentesca ha ripreso la sua attività: da luogo di produzione dei tessuti a moderno centro di produzione culturale. «Le dimensioni e le caratteristiche dell’opera realizzata - spiega l’architetto Marco Mattei, che si è occupato del restauro sono motivo di soddisfazione e orgoglio per l’intera comunità, che dispone oggi di un indispensabi-

[In Toscana una nuova legge votata dal Consiglio Regionale incentiva il recupero degli edifici abbandonati nelle aree rurali [

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REPORT / Dal mondo

In queste pagine: foto di esterni e interni dell’ex fabbrica Campolmi, che da semplice contenitore industriale ha assunto un ruolo di carattere pubblico e sociale. Il restauro, durato circa dieci anni, ha mantenuto vivi e ben visibili gli elementi architettonici caratterizzanti la storia del vecchio opificio

le strumento di sviluppo della propria cultura e identità. La fabbrica Campolmi, fino a ieri simbolo del lavoro e dell’industria tessile di Prato, è diventata l’emblema della cultura e dell’identità urbana, il simbolo più attuale di una città in profonda trasformazione che non disperde i propri valori, ma li conserva e li rinnova continuamente». Su di un lato del quadrilatero della fabbrica ha trovato sistemazione il Museo del Tessuto di Prato, il più grande museo in Italia dedicato alla promozione dell’arte e della produzione tessile. Sull’altro lato della grande corte in-

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terna ha trovato sede l’Istituto Culturale e di Documentazione “A. Lazzerini” (la Biblioteca della Città), una delle più rilevanti e qualificate istituzioni culturali in Toscana. A completamento dell’opera di recupero dell’area industriale e di restauro urbano, sono stati sistemati gli spazi esterni, in particolare la corte interna con vasca e ciminiera, la corte delle sculture sul lato est del quadrilatero industriale e, a sud, la piazza urbana compresa tra la Campolmi e le mura medievali, il cui restauro è tuttora in corso di esecuzione. Per quanto riguarda il

manufatto architettonico vero e proprio, l’intervento di restauro è stato compiuto in maniera attenta, nel rispetto delle originarie caratteristiche tipologiche e materiali costruttivi. Nello stesso tempo, in ragione del necessario adeguamento impiantistico e funzionale, sono state introdotte soluzioni moderne e innovative, di per sé interessanti ma soprattutto capaci di restituire le suggestioni e il fascino dell’antico. «Nel recupero dell’ex fabbrica Campolmi - spiega l’architetto Mattei - particolare attenzione è stata posta a una progettazione tecnologicamente evoluta degli impianti, con un approccio di carattere sostenibile, mirato a garantire l’uso di risorse rinnovabili, il più armonico inserimento degli impianti nell’architettura dell’edificio e le migliori condizioni ambientali e di sicurezza per il personale e gli utenti del centro culturale. I principi fondamentali su cui si è orientato il progetto, che è stato concepito in maniera unitaria e coordinata tanto per il museo quanto per la biblioteca, sono stati i seguenti: ridurre i consumi energetici; evitare l’emissione di sostanze inquinanti; utilizzare una fonte energetica pulita e rinnovabile; ottimizzare, infine, le condizioni di benessere all’interno dell’edificio». Per il manto di copertura è stata adottatalatecnologiadel “tettoventilato”,chediperséfornisceunconsiderevole apporto al contenimento dei consumi energetici, contribuendo in modo sostanziale alla regolazione delle caratteristiche igrotermiche dell’edificio. Gli infissi sono tutti in ferro e vetro (porte e finestre): è stato effettuato il restauro del serramento in ferro originario e la sostituzione dei

{La Norvegia è prima nella classifica semestrale di sostenibilità dei paesi Ocse. L’Italia è solo al ventottesimo posto }


REPORT / Dal mondo

AMBIENTE

In Italia si scava troppo

La sfida dellÊeconomia circolare riguarda anche il mondo delle attività estrattive, perché è possibile ridurre il prelievo di materiale e lÊimpatto delle cave nei confronti del paesaggio, dare una nuova vita a una cava dismessa e percorrere la strada del riciclo degli aggregati. Dal 2009 Legambiente effettua un monitoraggio della situazione delle attività estrattive, e scatta una fotografia puntuale sui numeri e gli impatti economici e ambientali, delle regole in vigore nelle diverse Regioni, individuando anche le opportunità che esistono puntando sullÊeconomia circolare. Quello che emerge è che in Italia si scava troppo e i canoni di concessione sono irrisori a fronte di ricavi per 3 miliardi allÊanno ed esportazioni in crescita: secondo Legambiente serve una profonda innovazione nel settore. NUOVE SOLUZIONI

A Rimini strade meno rumorose Un abbattimento della rumorosità da traffico veicolare di circa 5 decibel. ˚ quanto registrato su un tratto di strada di 7mila mq a Rimini, realizzata con lÊutilizzo di polverino di gomma derivante da PFU (Pneumatici Fuori Uso). LÊesperienza è stata al centro del convegno „Asfalti più green, silenziosi e durevoli: i risultati delle recenti esperienze italiane‰ organizzato da Ecopneus presso Ecomondo 2016. I dati hanno confermato che, nei casi in cui il traffico è intenso e idealmente a velocità costante, si apprezzano particolarmente i benefici delle pavimentazioni a basso impatto acustico realizzate con polverino di gomma. Data la maggiore durabilità delle pavimentazioni in polverino - sostiene Ecopneus a fronte di un rapido degrado delle pavimentazioni comuni, i benefici di scegliere pavimentazioni in gomma riciclata da PFU sono davvero numerosi.

[ Essen, città tedesca situata nella regione del Nord Reno - Westfalia, ha ottenuto il titolo di Capitale Verde Europea 2017

[

vecchi vetri con nuove vetrate isolanti (del tipo vetro camera e vetro a controllo solare) al fine di innalzare,complessivamente, illivello di coibenza termica dell’edificio. In accordo con le ragioni che hanno indotto l’industria tessile a insediarsioriginariamentenelsito,èstata assegnata la funzione energetica primaria alla più consistente risorsa rinnovabile disponibile: l’acqua. La presenza dei numerosi pozzi d’acqua, ancora attivi, ubicati nell’area della fabbrica e prima utilizzati per il ciclo della tintoria tessile, unitamente alla presenza della grande vasca d’accumulo già utilizzata e ubicata all’interno della corte centrale, ha suggerito di utilizzare, quale sistema primario di produzione energetica, un impianto a pompe di calore del tipo acqua-acqua, capace di sfruttare nella maniera più appropriata la grande disponibilità d’acqua presente nell’area.

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Leggerezza dei volumi TRENTO

Tutte le foto © RPBW - ph. Enrico Cano

REPORT / Dal mondo

Dove c’era una fabbrica di ruote oggi sorge la nuova biblioteca dell’università di Trento

Sette piani e un parcheggio interrato, circa 340mila volumi disposti su quasi 10 chilometri di scaffali, oltre 430 postazioni studio su 6mila metri quadri di spazi di lettura in due grandi corpi di fabbrica collegati da una lobby: sono questi i numeri della BUC, la nuova Biblioteca dell’Ateneo di Trento progettata da Renzo Piano Building Workshop. L’edificio, che occupa quella che una volta era una fabbrica di ruote Michelin, è caratterizzato da due grandi sale principali costituite volumetricamente da due cubi incastonati

nei due corpi di fabbrica e collegati da una passerella che attraversa un’ampia lobby di nuova costruzione. Si caratterizza fin dall’esterno per il gioco di volumi, vuoti e pieni, la leggerezza dell’architettura e per la luminosità. Merito delle grandi vetrate e dei materiali chiari scelti per rivestire gli interni. Scaffali, scalinate, corrimano e circa 9mila metri quadri di pavimenti sono infatti di bambù, un legno resistente ed ecologico scelto anche per la colorazione che facilita la lettura. Un materiale simbolo della nuova biblioteca che sorge a

300 metri in linea d’aria dal Muse e a pochi passi dal grande parco pubblico de Le Albere. Grazie a questa e ad altre scelte rispettose dell’ambiente l’edificio ha ottenuto la certificazione energetica Leed® ed è naturalmente anche certificato antincendio e antisismico. La grande hall al piano terra, attigua agli spazi consultaSotto: gli interni della biblioteca. Fortemente caratterizzati da ampie vetrate che illuminano tutti i piani e dal rivestimento dei pavimenti e degli scaffali in bambù

zione con una zona relax a diretto contatto con l’esterno, comprende un’area destinata all’autoprestito dei volumi tramite supporto informatico e una postazione informatica abilitata per i bisogni speciali (dislessia, discalculia ...). L’edificio è munito di un sistema di raccolta dall’acqua piovana allo scopo di alimentare gli impianti irrigui e le cassette dei servizi igienici. Il riscaldamento è a trigenerazione per produrre contemporaneamente energia elettrica, calore ed energia frigorifera per la climatizzazione dei locali.

22 ❱ Progettata in Messico una bicicletta con telaio e ruote di cartone riciclato e componenti in metallo e plastica di recupero


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Tessiture in plastica CALTAGIRONE

Per la facciata di un padiglione utilizzate le cassette per la raccolta delle arance

A Caltagirone la Fondazione Concetta D’Alessandro, una onlus che si occupa di assistenza e riabilitazione di persone diversamente abili, ha commissionato allo studio Nowa, Navarra Office Walking Architecture, il progetto per il nuovo Padiglione Protiro, due ex ca-

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Tutte le foto Beppe Maisto

REPORT / Dal mondo

pannoni artigianali da destinare ad attività di riabilitazione e formazione. Il progetto è fra i 17 italiani candidati al Premio di Architettura Contemporanea dell’Unione Europea - Mies van der Rohe Award 2017. Al piano terra èstataricavataunaforesteriaealprimopiano,sottolagrandecopertura a botte, un ampio spazio per attività collettive. Due volumi più bassi ospitano i servizi e formano un vestibolo di ingresso alla sala principale. La realizzazione di questo spazio ha reso necessario l’addizione di un ascensore e una scala.

Questo corpo si è trasformato in una nuova grande facciata caratterizzata da una pelle ottenuta attraverso il riciclo di cassette di plastica per la raccolta delle arance. Il nuovo corpo, attraverso il suo cromatismo e l’illuminazione, ha assunto così il ruolo di segnale e di simbolo riconoscibile a distanza nell’anonimo paesaggio urbano circostante. Questo progetto, da un lato, è l’avanzamento di una ricerca sul riutilizzo delle cassette di plasticacomematerialedacostruzione per l’architettura, dall’altro rappresenta un modo per mettere al centro la forma e l’ornamento dell’architettura come potente strumento di promozione di azioni sociali di grande valore. Questa facciata nobilita materiali poveri trasformandoli attraverso il disegno e la tessitura in un potente segnale estetico e identitario. Lo spazio della sala principale è modellato da

una grande volta che si distende come un telo arricciato sotto la copertura e rimane sospeso sul piano definito dal tavolato di legno del pavimento. Il nuovo corpo ha una struttura in acciaio e un rivestimento realizzato con le cassette di plastica di due tonalità di verde. Le cassette costituiscono i pixel di una tessitura che presenta una trama disegnata da linee diagonali parallele di colore verde chiaro.

Entro il 2050 il governo di Copenaghen punta a eliminare del tutto il carbone nella produzione dell’energia elettrica


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Architetture acquatiche REPORT / Dal mondo

FLORIDA

Un’innovativa piazza galleggiante progettata dallo Studio Ratti per West Palm Beach

Se tutto andrà secondo i programmi verrà inaugurato nel 2018, in Florida, il nuovo waterfront del Currie Park di West Palm Beach, progettato dallo studio italiano Carlo Ratti Associati. Diciannove ettari di terreno attualmente inutilizzati sulla costa della Lake Worth Lagoon, ovvero una stretta striscia di mare che separa West Palm Beach e Palm Beach, ospiteranno un importante complesso che includerà abitazioni, negozi, spazi per il tempo libero. Un paio di ramblas disposte a foglia permetteranno alle persone di passeggiare dal centro della città di West Palm Beach fino al centro della laguna dove sorgerà una piazza galleggianteadagiatasull’acquachestarà a galla grazie a una tecnologia simile a quella utilizzata per i sotto-

La pianta e due rendering della piazza galleggiante realizzata con una tecnologia simile a quella utilizzata per i sottomarini

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marini: un sistema di camere d’aria che si aprono e si chiudono in maniera automatica, rilasciando o prendendo acqua a seconda di quante persone stanno camminando sulla superficie. «L’architettura-haspiegatoCarloRatti,che oltre a essere fondatore dello studio che si è occupato del progetto è anche direttore del Senseable City Lab presso il Massachusetts Institute of Technology (MIT) di solito concepisce gli edifici come entità autonome, in questo caso la piazza abita l’acqua come se fosse stata scolpita al suo interno. L’acqua diventa così l’elemento mobile che ospita armoniosamente il nuovo spazio pubblico». La penisola galleggiante ospiterà diversi servizi per il pubblico, tra cui un ristorante biologico, con le proprie col-

tivazioni idroponiche, una piscina eunauditorium.«Loscopodiquesto progetto - ha proseguito Ratti - è quello di reclamare la connessione tra West Palm Beach e gli elementi naturali che la circondano. E dare forma a un nuovo e vitale distretto che servirà come catalizzatore creativo per tutta la città. Il progetto mostra come la tecnologia ci permette di ridefinire radicalmente la relazione tra l’architettura e l’acqua». Sulla terraferma il progetto si svilupperà intorno al Currie Park, recentemente ampliato, fondendosi con esso: il parco si estenderà così attraverso la città partendo dalla costa, grazie alle due ramblas. Il progetto include torri residenziali, una terrazza con piscina vista mare e un’area commerciale che comprenderà uno spazio dedicato ai cibi biologici. Il progetto

ridisegnerà completamente l’area affacciata sul mare: sul lato nord del parco, dove ora c’è un parcheggio, ci sarà una collina raggiungibile a piedi da dove si aprirà una bellissima vista sulla laguna e l’Oceano. Lo studio Carlo Ratti Associati hagiàallespallemoltiannidiricerca riguardante il rapporto tra architettura e acqua: nel 2008, per esempio, ha progettato il Digital Water Pavilion dell’Expo di Zaragoza, una struttura con pareti d’acqua a scomparsa. «Per troppo tempo - ha dichiarato Jon Ward, direttoredellaCityofWestPalmBeach’s Community Redevelopment Agency - questa parte della città ha voltato le spalle all’acqua. Finalmente i nostri cittadini potranno godere di un meraviglioso spazio pubblico che creerà una nuova connessione con Palm Beach».

Per contrastare lo smog, il sindaco di Londra ha suggerito di dare un incentivo di 3500 sterline a chi rottama un’ auto diesel



Foto Filippo Piantanida

REPORT / Dal mondo

Un’esperienza virtuale ROVIGO

Il MuViG: un nuovo concetto di museo dedicato al pittore ferrarese Benvenuto Tisi

Inaugurato a dicembre a Canaro, in provincia di Rovigo, il MuViG, ovvero Museo Virtuale del Garofalo, è il primo museo virtuale d’Italia dedicato alla pittura, dove vengono raccolte, virtualmente, le opere del pittore Benvenuto Tisi detto, appunto, “Il Garofalo”, uno dei massimi esponenti della pittura rinascimentale ferrarese, i cui originali sono sparsi in oltre 40 musei. I mezzi utilizzati per rappresentare i quadri sono innumerevoli e riguardano le ultime tecnologie presenti sul mercato, passando da proiezioni ad altissima definizione, interfacce interattive, libri virtuali, ricostruzioni 3D con l’utilizzo della realtà aumentata ed esperienze immersive attraverso l’utilizzo di occhiali virtuali. La punta di diamante dell’esposizione è “L’orazione dell’Orto”, unico quadro originale presente nel museo, concesso in prestito da

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una collezione privata. Il progetto è dello studio Olivieri Office, capogruppo di un team composto dalla società lABnormal Srl, che si è occupata dello sviluppo dei contenuti multimediali, e da Michele Danieli storico esperto del pittore Benvenuto Tisi. Il museo è stato realizzato nell’edificio, recuperato e restaurato, che la tradizione indica come la casa natale del pittore e si sviluppa in dieci stanze divise sui due piani. Un nuovo rivestimento uniforme e continuo delle pareti permette un rapido cambio di configurazione, moltiplicando le possibilità di utilizzo degli spazi a seconda delle necessità, ottenendo così uno spazio polifunzionale che può ospitare congressi, esposizioni temporanee classiche ed eventi. Il marchio è una stilizzazione geometrica/computazionale di un fiore, il garofano (uti-

lizzato dal pittore come firma sui suoi dipinti) per evidenziare il rapporto tra il pittore e il museo a vocazione digitale. I colori che sono stati scelti per accompagnare il linguaggio visivo di tutte le applicazioni (principalmente mul-

timediali) sono due: il rosso che caratterizza i garofani e il blu elettrico che caratterizza l’origine espressiva del linguaggio digitale RGB. I 2 colori, inoltre, sono un abbinamento ricorrente nelle scelte cromatiche del pittore.

La catena Caffè Nero a Londra ha trasformato i fondi del caffè in pellet per alimentare stufe, caldaie e in futuro anche le auto


REPORT / Dal mondo

SVILUPPO SOSTENIBILE

Foto Filippo Piantanida

Foto Filippo Piantanida

Foto Filippo Piantanida

Foto Filippo Piantanida

Foto © Olivieri Office

Il treno delle opportunità Nuove opportunità ambientali, economiche, sociali: questo è il carico che deve portare con sé lÊeconomia del futuro. A spiegarlo e raccontarlo è il Treno Verde 2017, con unÊedizione speciale dedicata a questo nuovo modello di sviluppo economico sostenibile e innovativo che sta prendendo sempre più piede in Italia e in Europa: lÊeconomia circolare. Partito il 22 febbraio, il convoglio ambientalista di Legambiente e Ferrovie dello Stato Italiane, con la partecipazione del Ministero dellÊAmbiente e Tutela del Territorio e del Mare, viaggerà fino al 31 marzo per lÊItalia, per raccontare attraverso 11 tappe, da Catania a Milano, questa nuova economia, per promuovere la sostenibilità che parte dal basso, diffondere lÊinformazione scientifica e per dar voce ai tanti protagonisti, (aziende, start-up, istituzioni, associazioni e territori), ribattezzati i cento campioni dellÊeconomia circolare che percorrono già questa strada. UnÊeconomia, che a differenza di quella lineare, dà vita a un processo di autogenerazione in cui tutte le attività sono organizzate in modo che i rifiuti di qualcuno diventino risorse per qualcun altro. Il motto del Treno Verde 2017 di questÊanno sarà proprio „Ogni fine è un nuovo inizio‰. UnÊeconomia che fa bene al Paese, come dimostrano i dati diffusi dalla Commissione Europea: si parla di 580 mila posti di lavoro stimati in Europa entro il 2030 con il raggiungimento degli obiettivi del pacchetto sullÊeconomia circolare.

✸ Eolico in crescita secondo il rapporto di Global Wind Energy Council: l’Italia è al quinto posto in Europa e decimo nel mondo

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Architettura dinamica REPORT / Dal mondo

La pianta aperta e la forma curva delle facciate caratterizzano la nuova sede Lilt

A dicembre è stato inaugurato a Biella il nuovo Spazio LILT, che ospita il Centro di Prevenzione e Riabilitazione della Sede Biellese della Lega Italiana Lotta ai Tumori e vuole essere un nuovo fiore all’occhiello della sanità piemontese e nazionale. Il nuovo centro occupa una superficie di 2500 metri quadri ed è stato progettato dallo studio Ottavio di Blasi & Partners. Si tratta di un edificio su due piani con un nucleo centrale di distribuzione attorno al quale si articolano due corpi edilizi giu-

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stapposti ad andamento curvilineo. Esso non è solo il contenitore delle attività LILT ma ne è anche il suo specchio rappresentandone l’immagine e i valori. Lo Spazio costituisce un landmark per l’intera città di Biella: la sua architettura moderna e “aperta” lo rende facilmente accessibile da parte della cittadinanza e un punto di riferimento per l’intera comunità. Oltre agli uffici esso ospita gli ambulatori, il centro di prevenzione, una palestra riabilitativa, una sala convegni e spazi per numerose associazioni che operano sul territorio. La facilità di accesso, l’immediatezza di orientamento, la qualità dei servizi offerti, contribuiscono alla percezione di accoglienza ed efficienza che caratterizzano LILT. La nuova sede è energeticamente efficiente e realizzata con materiali a basso impatto ambientale, ecologici e riciclabili. L’edificio si caratterizza per gli schermi di facciata filtranti in cotto smaltato in rosso e

Tutte le foto Beppe Raso

BIELLA

bianco. Gli schermi proteggono l’edificio dall’irraggiamento solare e danno privacy agli ambulatori. La scelta del cotto smaltato è dettata sia da considerazioni legate alla durabilità e alla auto-pulibilità delle superfici, sia al valore emozionale di questi materiali sull’architettura. La luminosità e la brillantezza delle superfici ben si intonano con l’atmosfera luminosa, positiva, pulita e ot-

timista che ispira l’intero edificio. La pianta aperta e la forma curva delle facciate amplificano il dinamismo dell’edificio e lo caratterizzano in maniera originale.

A Parma inaugurato un padiglione eco-sostenibile che rappresenta un laboratorio per i sistemi costruttivi a basso impatto


Il successo della Vetraria Viola risiede in una solida tradizione, risalente al 1959, anno in cui Stefano Viola iniziò l’attività, specializzandosi nella lavorazione del vetro piano. La Vetraria Viola offre infinite soluzioni di design per rendere il Vostro arredo elegante e raffinato. La dedizione minuziosa nella cura dei particolari e l’esperienza maturata in tanti anni di attività caratterizzano le opere e le installazioni a regola d’arte dell’azienda. Attrezzature moderne e all’avanguardia permettono lavorazioni accurate. Vetri calpestabili, scalini in vetro, parapetti sono sempre più utilizzati per interni, dove la trasparenza e l’eleganza sono la parola d’ordine. L’obiettivo è quello di esprimere competenza e abilità nel realizzare elementi di eccezionale effetto.


Un rifugio in legno per bambini REPORT / Dal mondo

VALDAORA DI SOTTO

I materiali utilizzati creano l’identità di questa nuova scuola materna. Il muro esterno, allo stesso tempo, è confine, recinzione ed edificio

Progettata nel cuore del paese dallo studio austriaco feld12, riunisce in sé la tradizione locale, le esigenze della vita contemporanea e la natura. Completata nel 2016, quella di Valdaora di Sotto, in Val Pusteria, è la terza scuola materna di cui si occupa lo studio feld12. L’asilo si inserisce perfettamente nell’ambiente che lo circonda senza, però, esserne succube. La struttura a due piani è mo-

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derna ma dialoga con la predominante chiesa parrocchiale e con la cappella all’interno del cimitero e con la scuola elementare nel centro del paese. Realizzata principalmente in legno, è circondata da un solido muro, come se fosse adagiata in un contenitore, offrendo l’idea di un rifugio sicuro. I confini e le recinzioni costituiscono il “marchio di fabbrica” del paese che si può descrivere come un insieme di spazi ben separati tra loro in cui pubblico e privato hanno confini delineati chiaramente. L’architettura della scuola materna gioca con i concetti di limite e di recinzione, con le diverse intensità con cui si manifestano. Il muro infatti assume forme diverse dialogando così con i dintorni ma creando anche uno spa-

❛ Per contrastare le inondazioni dall’Inghilterra arriva l’Elevating House, la casa che si solleva dal suolo salvando l’edificio ❛


Tutte le foto Hertha Hurnaus

REPORT / Dal mondo

po, confine, recinzione ed edificio. L’uniformità dei materiali utilizzati comunica semplicità. L’utilizzo prevalente di mattoni e legno crea identità e senso di appartenenza. L’uso del legno locale negli interni crea un’atmosfera molto calda e soprattutto accogliente. Dalle aule, ogni giorno, i bambini cominciano le loro esplorazioni: sono state pensate per essere semplici e rilassanti. Ci sono anche piccole aree relax dotate di ampie finestre e guardaroba. zio ben distinto rispetto al resto del paese. La posizione dell’edificio rispetto al giardino garantisce alla scuola condizioni di sicurezza e insieme di libertà: è compatto, concedendo così più spazio possibile al giardino, ed è situato sul lato nord del lotto, separando così gli spazi in cui i bambini possono giocare liberamente dalla strada ed evitando così di fare ombra al giardino che risulta quindi molto soleggiato. Il muro è fatto di volumi e materiali differenti perché funge sia da recinzione per il giardino che da muro di confine e regala un’assoluta continuità tra l’asilo e il giardino. La facciata interna è in legno così da abbracciare in modo accogliente il giardino e da creare continuità con l’edificio: il muro è quindi, nello stesso tem-

La stanza per le attività collettive e le stanze multifunzione possono essere usate insieme oppure individualmente. Su entrambi i piani il concetto della disposizione degli spazi suggerisce la possibilità di diverse variazioni nell’approccio didattico. Questa scuola materna, secondo la progettazione degli architetti, rappresenta un’interfaccia tra i bambini e la comunità del paese. Qui ciò che è più familiare e ciò che è totalmente nuovo convivono insieme in armonia.

Alcune immagini della scuola materna di Valdaora di Sotto, situata nel cuore del paese vicinissimo alla chiesa parrocchiale. I materiali che la caratterizzano sono il legno e i mattoni dipinti di bianco

Il settore della moda e del tessile rappresenta la seconda industria più inquinante del mondo, dopo quella del petrolio

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MEDIATECA MULTIMEDIALE / Thionville, Francia

Architetto Dominique Coulon & associés Luogo Thionville,Francia Strutture Batiserf Ingénierie Paesaggio Bruno Kubler Superficie 4.590 mq Fine lavori 2016


MEDIATECA MULTIMEDIALE / Dominique Coulon & associés

Mediateca, spazi espositivi, laboratori, ristorante e perfino una promenade scoperta che raggiunge il tetto. È la nuova mediateca multimediale costruita a Thionville. Un’architettura che sembra sfuggire a geometrie regolari e tradizionali di Federica Calò

INCONTINUO MOVIMENTO


L’involucro flessibile bianco, come un nastro, abbraccia l’edificio e sembra essere quasi sospeso da terra lasciando intravedere scorci del basamento composto di vetrate trasparenti continue concave o convesse al di là delle quali sono presenti le aree relax che s’intravedono anche passeggiando all’esterno



MEDIATECA MULTIMEDIALE / Thionville, Francia

L’edificio viene illuminato dall’ingresso della luce naturale grazie alle ampie vetrate presenti lungo quasi tutto il percorso perimetrale e curvilineo dell’edificio, ma anche grazie alla presenza di pozzi circolari presenti in copertura che convogliano la luce fino all’interno degli ambienti più raccolti e intimi

L’andamento fluido delle superfici provoca un inevitabile e importante impatto fisico e sensoriale. L'utente, trovandosi al suo interno, percepisce, oltre a una dimensione spaziale differente, anche un’acustica ovattata diversa

C

oncepire un nuovo contenitore culturale come “terzo spazio” è stata la filosofia progettuale che il team di architetti di Dominique Coulon & associés ha messo in pratica per delineare le linee architettoniche di questa mediateca multimediale a Thionville. Con questo termine i progettisti immaginavano, infatti, di creare un luogo dove i fruitori stessi potessero diventare i protagonisti e gli attori di un’esperienza vissuta sia come stimolo della propria creatività, sia come azione che è possibile praticare nel suo interno. Così come ormai gran parte dei contenitori culturali, anche questa mediateca multimediale è stata organizzata per ospitare, oltre che le attività base, anche altre funzioni aggiuntive come sale per esposizioni, laboratori, sale prove per musicisti e un bar-ristorante per offrire in questo modo un’esperienza completa di studio, conoscenza e anche ristoro. Tutte queste at38

tività sono state mescolate insieme secondo una logica solo apparentemente casuale e distribuite all’interno di un manufatto che sembra essere l’emblema del principio della dinamica e del senso del movimento. L’architettura sembra sfuggire da geometrie regolari e tradizionali e persegue un senso flessibile e ondulatorio di tutte le superfici pur essendo iscritta all’interno di un quadrato che corrisponde alla forma del suo isolato. L’edificio è arretrato rispetto alla viabilità stradale e dei filari di platani disposti su tre lati del complesso lo allontanano ulteriormente dal passaggio e dal rumore delle auto su strada. Esternamente questa nuova architettura si presenta con una forma plastica, ergonomica e morbida. Sembra assomigliare a un nastro, intonacato di bianco, che avvolge sinuosamente dei volumi contenuti al suo interno, come fosse una membrana che allo stesso tempo protegge le sue funzioni e invita a entrare e a



MEDIATECA MULTIMEDIALE / Thionville, Francia

Tutte le varie funzioni, sia quelle interne sia quelle esterne, sono state concepite come fossero dei bozzoli incapsulati dietro alle curve dell’edificio, pensati come ambienti indipendenti e irregolari circondati dal passaggio fluido dei percorsi

curiosare scoprendo ambienti concepiti come fossero dei bozzoli. Uno spazio, quindi, che non segue le logiche euclidee e la preferenza per le linee rette, ma che concede un’infinità di punti di vista differenti regalando la percezione di sentirsi come in un luogo infinito, concepito come una successione di superfici curve. Questo rivestimento che abbraccia l’edificio sembra quasi sospeso e sollevato da terra e lascia intravedere scorci del basamento composto di vetrate trasparenti continue concave o convesse al di la delle quali sono presenti le aree relax che s’intravedono anche passeggiando all’esterno. Oppure, all’opposto, laddove lo spazio della mediateca si avvicina alla strada sono stati ricreati degli ambienti appartati, pensati per la meditazione e lo studio, tenuti separati dal passaggio pubblico, ricreando in questo modo una divisione fisica fra l’edificio e l’esterno. L’andamento di queste superfici provoca un inevitabile e importante impatto fisico e sensoriale, con 40

l’utente che, trovandosi al suo interno, percepisce, oltre a una dimensione spaziale differente, anche un’acustica ovattata diversa che conferisce a quest’ambiente la particolarità di definire un nuovo rapporto tra il corpo e la fluidità dello spazio. Non più divisione fra luogo pubblico o privato, ma appunto un interspazio dove viene messo in discussione proprio il concetto di confine fra sfera pubblica e sfera privata. Ad accentuare quest’aspetto è stata realizzata, inoltre, una promenade scoperta che dal piano terra all’aperto, sempre con andamento sinuoso, raggiunge il tetto dell’architettura che culmina con la presenza di un bar circondato da un tetto giardino che continua ad articolare l’edificio con aiuole dalle forme circolari. Il giardino all’aperto si fonde con l’edificio, con il quale sembra raccordarsi nelle geometrie, e con le dolci pendenze verdi che rendono dinamico lo spazio anche in elevazione, oltre che in planimetria. Di forte impatto è quindi il con-





MEDIATECA MULTIMEDIALE / Thionville, Francia

Il colore bianco, che predomina per quanto riguarda tutte le componenti dell’edificio, contrasta con i colori accesi usati per i complementi di arredo, come i verdi delle morbide poltrone e i rosa delle aule dedicate ai più piccoli

trasto che si crea fra le aree verdi all’aperto e la massa uniforme bianca di questa nuova architettura. Nascoste da questo nastro che corre, esternamente, sono presenti tutte le diverse funzioni raccolte ognuna in un involucro studiato ad hoc come fossero ambienti indipendenti e irregolari circondati dal passaggio fluido dei percorsi. Alcuni di questi contenitori ospitano specifiche funzioni, come una piccola sala conferenze, laboratori di lingua, una sala giochi e un’aula per i laboratori di scultura. Il colore e i materiali scelti fanno emergere variazioni di luce e cromie che ben si adattano alle forme ergonomiche caratterizzanti questo edificio. Il candore uniforme e compatto del nastro bianco contrasta con la trasparenza delle parti vetrate che permettono, queste ultime, un’illuminazione naturale che permea fin dentro gli ambienti interni. La purezza del bianco prosegue anche negli spazi interni, finitura questa che è l’unica utilizzata per ogni dettaglio architettonico, dalle pareti curve, ai pavimenti, fino alle rampe di collegamento. 44

Per creare contrasto con il bianco di queste superfici sono stati scelti degli arredi colorati e particolari, come ad esempio alcune aree relax dotate di divani verdi in coordinato con le moquette dalle stesse tinte e da sedute e finiture di alcune superfici verticali che richiamano, invece, i toni del grigio o del rosso accesso come rottura al minimalismo stilistico cromatico. Le aree gioco destinate ai più piccoli lasciano ampia creatività, anche grazie ai colori accesi utilizzati che variano dai toni del rosa o da texture dall’effetto materico rustico. L’edificio si presta ampliamente a essere illuminato dall’ingresso della luce naturale grazie alle ampie vetrate, ma anche alla presenza di pozzi di luce circolari che la convogliano fin all’interno degli ambienti più raccolti e intimi. Nelle ore serali la particolarità di questo strano oggetto viene ulteriormente accentuata dall’illuminazione artificiale che, risalendo dal basso delle vetrate, crea quasi un galleggiamento irreale del nastro che, con il buio, si mimetizza con lo spazio intorno.



SCHEMA COMPOSITIVO DI PROGETTO

Interazione tra le tre macro-funzioni dell’edificio intorno al patio centrale

Diagramma della forma compatta dell’edificio che ospita il tetto giardino e della parte dedicata alla passeggiata che conduce sulla sommità

Individuazione delle sei aree tematiche della Biblioteca Multimediale

Percorsi visivi generati dalla trasparenza delle facciate

Percorso fluido che raggiunge la sommità dell’edificio con un bar posizionato sulla copertura

Filari di alberi intorno all’edificio per mitigare il contatto con il contesto intorno

SCHEMA STRUTTURALE DI PROGETTO


PLANIMETRIA PIANO TERRA

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1. Universo 1 - Forum 2. Universo 2 - Sala multimediale 3. Universo 3 - Letteratura 4. Universo 4 - Adolescenti 5. Universo 5 - Bambini 6. Universo 6 - Archivio dei documenti 7. Aree collettive multifunzionali 8. Aree collettive video giochi 9. Aree collettive racconti di storie 10. Schermo permanente 11. Schermo temporaneo 12. Cantina 13. Grande Sala di esposizione 14. Sala multiuso 15. Studio di creazione e trasmissione 16. Laboratorio di arti plastiche 17. Area amministrativa 18. Percorso inclinato che conduce al tetto giardino

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SEZIONE

PROSPETTO SUD EST

PROSPETTO SUD OVEST

PROSPETTO NORD OVEST

PROSPETTO NORD EST

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DESIGN MUSEUM / Londra, Inghilterra

Progettista John Pawson Team di progettazione Studio OMA,Allies,Morrison e Arup Luogo Kensington High Street,Londra Superficie 10.000 mq

Foto Hufton + Crow

Fine lavori 2017

DESIGN IN LONDON


DESIGN MUSEUM / John Pawson

Inaugurato a Londra il nuovo Design Museum, diventato, in poco tempo, un riferimento nel panorama museale internazionale. Un vecchio edificio ristrutturato è ora la sede di questo nuovo spazio espositivo, eccellente esempio di recupero di un’architettura esistente e per lungo tempo non utilizzata di Federica Calò


DESIGN MUSEUM / Londra, Inghilterra

J

ohn Pawson, architetto londinese, è il progettista di questo nuovo spazio espositivo inserito all’interno di un importante intervento di recupero di un edificio costruito nel 1962. La committenza desiderava irrompere con il mondo del design all’interno di questo manufatto esistente, emblema del Modernismo britannico del dopoguerra e quindi caratterizzato da alcuni elementi riconoscibili di questo stile compositivo.

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La scelta di rimettere in funzione un edificio esistente in disuso, rientrava nel desiderio della committenza di non occupare altro terreno libero, ma di insediare appunto un attrattore culturale in un complesso abbandonato, con l’intento di ridare nuova vita al manufatto e al suo contesto intorno. Il progetto ha tentato, riuscendoci, di conservare e valorizzare le qualità architettoniche intrinseche della struttura originaria e allo stesso tempo ren-


Foto Hufton + Crow

DESIGN MUSEUM / John Pawson

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DESIGN MUSEUM / Londra, Inghilterra

Lo spazio aperto antistante al museo è stato concepito come una nuova piazza pubblica, arricchita da una fontana a filo pavimento che richiama la forma dell’andamento dell’edificio. Per la facciata invece è stata mantenuta la griglia originaria dei profili e le superfici sono state sostituite da doppi vetri migliorandone gli standard d’isolamento

SEZIONE LONGITUDINALE

dendola consona a ospitare il programma articolato di un museo contemporaneo. John Pawson, con il suo riconoscibile stile minimalista mediante il quale è stato in grado di comporre spazi ricchi e semplici attraverso l’uso raffinato dei diversi materiali, ha reinterpretato l’interno di questo edificio in modo da plasmarlo, al fine di farlo diventare il contenitore d’importanti oggetti di design e delle varie componenti dell’architettura. L’edificio si trova accanto all’ingresso sud di Holland Park e costituisce il cuore del New Holland Verde caratterizzato negli anni principalmente da una tipologia edilizia residenziale. Occupa uno spazio di circa 10mila mq di superficie e le varie attività si articolano intorno a un ampio atrio centrale che conduce poi a due ambienti dedicati alle mostre temporanee al piano terra e a quelle perma-

SEZIONE TRASVERSALE

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nenti al piano inferiore, oltre a ospitare una serie di altre funzioni come il Centro didattico della fondazione Swarovski, l’auditorium Bakala, la libreria e l’archivio Sackler, il bar, il ristorante che si affaccia su Holland Park, la members room e il bookshop. Una collaborazione interdisciplinare di professionisti fra i quali lo Studio OMA, Allies, Morrison e Arup, coordinati da Pawson, ha lavorato per ridare vita a questo esempio di architettura britannica del dopoguerra, grazie a un attento restauro dei vari componenti originari, che sono stati quindi in parte recuperati e riadattati con nuove soluzioni tecnologiche orientate al risparmio energetico. La particolare copertura di rame a foggia paraboloide dalla forma plastica è stata restaurata, così come il rivestimento originario in facciata composto da una griglia di profili in metallo e lastre in


Foto Hufton + Crow

Foto Gareth Gardner

DESIGN MUSEUM / John Pawson

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Foto Gareth Gardner

Dagli ultimi piani dell’edificio si ha una vista “a volo d’uccello” interna allo spazio che arriva fino al piano terra. In questo modo i visitatori hanno anche la possibilità di osservare da molto vicino il dettaglio particolare del tetto


Foto Hufton + Crow Foto Hufton + Crow

L’imponente copertura si appoggia su una struttura radiale a raggiera di elementi prefabbricati in cemento armato che attraversano tutto l’edificio, rivestiti da un manto di pannelli di rame. Le pareti verticali, le boiserie e i pavimenti sono stati realizzati con un rivestimento di rovere

vetro semplici e trasparenti. Queste sono state ripristinate mantenendo la griglia, ma sostituendo le superfici trasparenti con doppi vetri, migliorandone gli standard d’isolamento e permettendo alla luce naturale di penetrare verso l’interno. In corrispondenza del basamento del museo è presente il suo ingresso che, in contrasto con la facciata vetrata, è rivestito da mattoni a vista del colore della terracotta. L’orientamento dell’edificio, esposto sui quattro lati, supporta l’illuminazione naturale in particolare nelle stagioni fredde e, al contrario, in quelle calde, la doppia superficie realizzata in facciata fa da filtro all’irrag-

giamento solare. Lo spazio aperto che circonda il museo è stato concepito come una nuova piazza pubblica, decorata da una fontana a filo pavimento che richiama la forma regolare e prospettica dell’andamento dell’edificio. Sempre all’esterno, la forma sfuggente di questo edificio è accentuata da un elemento prefabbricato in cemento armato piantato a terra e che fa da tirante alla soletta che sostiene la copertura. All'interno del museo i visitatori vengono accolti da un ampio atrio centrale sovrastato da una particolare vista fino sotto al tetto paraboloide iperbolico iconico. L’imponente copertura si appoggia su una struttura


DESIGN MUSEUM / Londra, Inghilterra

Foto Hufton + Crow

La linearità e la purezza delle forme geometriche e dei materiali di questo edificio contrastano con quello che è stato lo studio della grafica e della comunicazione distribuito in maniera capillare nello spazio e che rimanda a uno stile colorato simile a quello della Pop-art o della Street-art

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Foto Hufton + Crow

Foto Gareth Gardner

Alcuni dettagli architettonici finemente rivestiti di legno di rovere sono stati ulteriormente esaltati dall’inserimento di strisce di led lineari che valorizzano i particolari e, insieme, contribuiscono ad articolare il gioco di luci artificiali che si sposano con l’architettura


Foto Hufton + Crow

DESIGN MUSEUM / John Pawson

radiale a raggiera di elementi prefabbricati in cemento armato che attraversano tutto l’edificio, rivestiti da un manto di pannelli di rame. Tutte le varie funzioni insediate al suo interno sono state disposte in maniera disseminata come fossero a cielo aperto intorno all’atrio principale, consentendo ai visitatori di muoversi agevolmente al suo interno e passando da un livello all’altro mediante scale e boiserie rivestite di rovere, esaltate nelle linee dal posizionamento di strisce di led sotto il corrimano che ne esaltano l’andamento. Il rovere è stato utilizzato anche per rivestire tutti i pavimenti sia delle varie sale, sia dei corridoi di connessione, finitura che è riuscita quindi a dare un senso di omogeneità agli spazi. Lungo i percorsi e le varie rampe e scale, sono state realizzate delle sedute rivestite con cuscini imbottiti in pelle, offrendo dei luoghi confortevoli per le pause dei visitatori. Le varie aree espositive poste su livelli

differenti sono dotate di spazi a doppia altezza per dare la possibilità di ospitare eventi che richiedono sbalzi rilevanti, mentre l’auditorium al piano interrato offre, inoltre, la possibilità al museo di aprire le porte a iniziative serali e a manifestazioni congressuali. Una scelta di John Pawson è stata anche quella di conservare internamente degli elementi dell’edificio esistenti, e questo proprio per mantenere una stretta connessione con il passato. Un esempio è stato, infatti, l’aver voluto mantenere una serie di pannelli di marmo che erano stati installati nel 1857 presso l’Imperial Institute. L’ultimo piano dell’edificio offre una vista “a volo d’uccello”, interna allo spazio, fino al piano terra e i visitatori hanno la possibilità di osservare da molto vicino il dettaglio particolare del tetto, spazio occupato anche dal ristorante che gode anch’esso di questa suggestiva vista scenografica. 57


PLANIMETRIA PIANO INTERRATO

PLANIMETRIA PIANO TERRA


PLANIMETRIA PRIMO PIANO

PLANIMETRIA SECONDO PIANO



BLOCK NOTES Clima, edilizia, trasporto, risorse naturali, consumo del suolo e inquinamento. sono tematiche che meritano piena convergenza nel dibattito sulla sostenibilità, in corso tra professionisti, politica e opinione pubblica

Alberto Zanni

Per case più sicure Come abbiamo il libretto di circolazione per le auto, è necessario farlo anche per le abitazioni. Rendere obbligatorio il fascicolo del fabbricato è una questione di sicurezza e per questo deve essere prioritaria Confabitare, in quanto associazione di proprietari immobiliari che riunisce tutti coloro che vogliono che venga tutelato il diritto di proprietà nella piena valorizzazione della funzione sociale che a questa viene attribuita, da tempo sostiene la necessità di rendere obbligatorio il fascicolo del fabbricato, paragonabile, per le abitazioni, a quello che il libretto di circolazione è per le auto, ovvero uno strumento di sicurezza. Prima che intervenisse la legge, obbligando controlli e strumentazioni di sicurezza, si verificavano molti più incidenti e non era così difficile incappare in auto abbandonate e semi-distrutte a bordo strada. I proprietari di automobili non avevano quella cultura della sicurezza che oggi hanno sviluppato a partire dall’istituzione di leggi ad hoc. Da anni, ormai, quando andiamo a comprare un’auto, ci interessiamo anche, se non soprattutto, della sicurezza che quell’auto ci offre. Oltre a contenere in un unico dossier tutta la documentazione abilitativa, di collaudo di usabilità/abitabilità, catastale, certificazioni di conformità, ecc., il fascicolo del fabbricato è utile per il monitoraggio dello stato di conservazione del patrimonio edilizio e quindi per programmare nel tempo i necessari interventi manutentivi migliorandone la qualità. La manutenzione programmata costituirebbe un grande risparmio per i proprietari perché prevenire un danno costa molto meno che intervenire a danno avvenuto, quando i lavori sarebbero, necessariamente, più invasivi. Un documento dinamico dunque, utile per monitorare la salute dell’immobile, dove devono essere registrati tutti gli eventuali interventi. Oggi le informazioni sono suddivise tra diversi uffici e sarebbe invece decisamente utile avere un unico documento a valore certificativo contenente tutte le informazioni relative all’immobile e valide a fini amministrativi, fiscali o di vendita. Quando si parla di fascicolo del fabbricato il problema è culturale prima che normativo. Quando compriamo o affittiamo una casa non pensiamo di chiedere, per esempio, se quell’immobile è stato costruito seguendo criteri antisismici o se successivamente è stato adeguato alle norme antisismiche. Da un sondaggio che Confabitare ha svolto tra gli associati che hanno comprato casa nel 2016, è emerso che tra le motivazioni che li hanno spinti ad acquistare proprio quell’immobile non ne rientra nessuna le-

gata alla sicurezza. Cambiare il nostro approccio è il primo passo, che possiamo fare tutti, verso una reale consapevolezza: tutti dovremmo conoscere la condizione della casa in cui viviamo, è un nostro dovere e anche un nostro diritto. Mai come in questo momento ritengo necessario rendere obbligatorio il fascicolo del fabbricato considerandolo anche un importante strumento per la prevenzione sismica. Da una indagine Aitec, Istat e Ingv risultano più di 16 milioni le case italiane costruite prima del 1971 (anno in cui è nata la prima legge che istituiva l’obbligo di depositare i calcoli a firma di un ingegnere), delle quali ben 5,3 milioni sorgono in zona 3 (terremoti di media intensità) e più di 760.000 in zona 4 (terremoti di forte intensità). Non esiste in Italia, Paese ad alto rischio sismico come i recenti eventi, purtroppo, hanno confermato, alcuna norma che obblighi a uniformare alle leggi antisismiche il patrimonio edilizio esistente. L’obbligo di adeguare la vecchia abitazione esiste solo in caso di ristrutturazione “pesante” e in altri pochi casi (ad esempio in situazione di sopraelevazione del fabbricato). Il fascicolo del fabbricato, quindi, deve essere lo strumento attraverso il quale monitorare lo stato di conservazione del patrimonio edilizio, finalizzato a individuare le situazioni di rischio e a programmare gli interventi di manutenzione. E ci dovrebbe essere uno spazio apposito dedicato alla sua tenuta antisismica. Attualmente è obbligatorio presentare a chi compra o affitta casa il certificato di prestazione energetica per tutte le costruzioni, dovrebbe essere obbligatorio anche presentare un documento che certifichi se la casa è antisismica o meno. Grazie al fascicolo del fabbricato si potrebbe realizzare una mappatura dell’esistente, per capire come intervenire, il tutto accompagnato da una decisa politica di defiscalizzazione per incentivare gli interventi di messa in sicurezza e di adeguamento. Chi si oppone all’obbligatorietà del fascicolo del fabbricato solitamente sostiene che costituirebbe un costo eccessivo a carico del proprietario. Per quanto riguarda gli immobili di nuova costruzione il problema non sussiste perché tutta la documentazione necessaria è già in mano ai progettisti. Per quanto riguarda gli immobili già esistenti, creare un fascicolo del fabbricato ha certamente un costo e bisognerebbe fare in modo che sia ridotto al minimo, ma sarebbe un prezzo che varrebbe la pena pagare visti i tanti vantaggi che porterebbe il fascicolo. Confabitare, in accordo con il Collegio Periti Industriali di Bologna, ha elaborato un’ipotesi di fascicolo che sarebbe suddiviso in due parti: la prima relativa all’intero fabbricato, quindi al condominio, e la seconda relativa all’unità immobiliare. Le due parti sarebbero poi a loro volta divise in diverse sezioni contenenti documentazione urbanistico-edilizia, elaborati, fotografie, attestazioni, caratteristiche strutturali, impiantistiche, manutentive, di sicurezza, ecc. Un anno fa la nostra associazione ha anche firmato un protocollo d’intesa con il CNAPPC in cui entrambe le parti si sono impegnate a collaborare in sinergia proprio per cercare di diffondere la cultura del fascicolo del fabbricato attraverso ogni mezzo possibile (convegni, articoli, azioni verso la PA, ecc.), e per coinvolgere altri ordini professionali verso questo comune obiettivo. (Alberto Zanni, presidente nazionale di Confabitare, è impegnato nella difesa e nella tutela della proprietà immobiliare) 61


BLOCK NOTES Paola Altamura

Costruire a zero rifiuti La prevenzione e l’upcycling dei materiali di scarto da costruzione e demolizione sono importanti per l’efficacia ecologica di un edificio, che non può più essere valutata solo dall’efficienza energetica in fase d’uso La gestione sostenibile dei rifiuti da costruzione e demolizione (C&D), intesa come prevenzione, riuso, riciclo e/o corretto smaltimento dei materiali di scarto, rappresenta oggi un’azione indispensabile affinché un cantiere edilizio, di qualsiasi entità, possa essere compiutamente definito “a basso impatto ambientale”. Tra le tematiche ambientali, infatti, ormai il problema della produzione di rifiuti preoccupa ancor più di quello del consumo di risorse. È più probabile, infatti, che l’ambiente venga messo a rischio dall’impossibilità di assorbire tutti i rifiuti prodotti dall’uomo piuttosto che da una carenza di risorse (Sassi, 2004). In effetti, a distanza di 20 anni dal “Decreto Ronchi” (D.lgs. 22/97), che introdusse in Italia la preminenza del recupero rispetto allo smaltimento in discarica nella gerarchia delle attività di gestione dei rifiuti, anticipando in questo anche l’Unione Europea, nel nostro Paese i danni ambientali legati alla produzione incontrollata e al mancato recupero/sversamento abusivo dei rifiuti da C&D sono ancora consistenti. Complessivamente nell’UE l’edilizia è responsabile di quasi il 50% dei rifiuti prodotti, con 900 milioni di ton/anno di scarti da C&D (Davidsen, Fischer, 2010). In Italia, dove l’incertezza dei dati impedisce persino di comprendere la reale entità del fenomeno, si stima che nel 2013 siano state prodotte 48 milioni ton di rifiuti da C&D (ISPRA, 2015), provenienti per oltre il 90% da micro demolizioni e costituiti per oltre l’80% da inerti misti. L’attuale soglia di riciclo di tali scarti è difficilmente quantificabile: oscilla tra il 10%, stimato dall’Associazione Nazionale Produttori di Aggregati Riciclati (ANPAR, 2011) e il 70% calcolato dall’ISPRA a partire dai dati MUD. Gli ingenti impatti generati dalla produzione, trasporto e smaltimento dei materiali (consumo di suolo ed energia, emissioni clima alteranti, accumulo di rifiuti, inquinamento di terreno e falde acquifere) sono evitabili solo adottando un modello produttivo circolare alla scala dell’intero settore industriale, mediante azioni strategiche di riuso e riciclo degli scarti da C&D. Tali azioni permettono di preservare il contenuto materico ed energetico incorporato negli scarti, soprattutto se si considera che con l’aumento dell’efficienza energetica in fase di esercizio, negli ultimi anni il peso dell’energia dovuta alla pre-produzione e produzione fuori opera dei materiali e componenti edilizi è cresciuto, arrivando a es62

sere comparabile, se non maggiore, rispetto a quello della fase d’uso. In tal senso l’UE, con la Dir. 2008/98, ha fissato un target per l’aumento del tasso di recupero dei rifiuti da C&D che, entro il 2020, dovranno essere riutilizzati o rigenerati in materie prime secondarie almeno per il 70% in peso. Il tasso di riciclo oggi varia notevolmente tra i Paesi UE, attestandosi in media tra 30-60% e raggiungendo valori significativi solo in alcuni Stati (Regno Unito, Paesi Bassi e Germania). L’UE ha poi approvato (dicembre 2015) un nuovo e ambizioso pacchetto di misure sull'Economia Circolare denominato “L’anello mancante” (COM(2015)614final), che comprende un piano d’azione volto al superamento delle barriere di mercato in specifici settori, tra i quali l’edilizia, mediante strumenti trasversali, come gli appalti pubblici “verdi”. A livello nazionale, con il DM 24/12/2015 è avvenuta finalmente l’adozione dei Criteri Ambientali Minimi (CAM) del PAN GPP per l’edilizia (aggiornati ed allineati al Nuovo Codice degli Appalti a gennaio 2017) che, in combinazione con il Collegato Ambientale e il D.lgs. 50/2016, obbligano le PA al ricorso a prodotti da costruzione con contenuto di riciclato nella totalità dei propri cantieri, nonché a un radicale incremento del recupero degli scarti. I CAM prevedono infatti l’obbligo di redazione di una “verifica pre-demolizione” e di un “piano di demolizione”, nonché della demolizione selettiva e raccolta differenziata dei rifiuti con l’obiettivo minimo del 70% di riciclaggio, oltre a definire per ogni tipologia di componente edilizio il contenuto minimo di riciclato che i materiali dovranno contenere. La filiera edilizia, e in particolare i produttori di quei materiali che ad oggi sono ancora in buona parte estranei all’adozione di materiali riciclati, come il CLS, dovranno rapidamente attrezzarsi sia per integrare tali materiali nei propri prodotti, sia per certificare la loro adozione. Si va definendo, dunque, un nuovo approccio progettuale, attento alla creazione di cicli chiusi di materiali e ad annullare la produzione di rifiuti a breve e lungo termine, che interpreta i materiali di scarto come risorse, anche dal punto di vista architettonico. Approccio nel quale la selezione dei materiali, e la definizione delle loro modalità di assemblaggio, viene anticipata alle prime fasi del processo progettuale, che parte dalla ricognizione delle risorse disponibili nell’immediato intorno o sul sito di intervento, generando esiti architettonici e ambientali inediti. Tuttavia, affinché tale processo sia praticabile, è necessario indurre gli operatori della filiera edilizia a un ripensamento delle logiche di selezione e procurement dei materiali, estendendo l’approccio sostenibile dall’efficienza energetica in fase ad uso, all’intero ciclo di vita del manufatto edilizio e dei suoi componenti. I progettisti devono incentivare le operazioni di recupero, inteso sia come rigenerazione del patrimonio costruito esistente, sia come riuso di componenti e riciclo dei materiali. Riciclo da intendersi come upcycling, ad oggi ancora raro in edilizia (si pensi al downcycling che CLS e laterizi subiscono nelle demolizioni distruttive) e riuso inteso come superuse, da applicare sia agli scarti preconsumo sia a quelli post-consumo. Al contempo, è prioritario sviluppare soluzioni costruttive che prevengano la produzione di scarti in fase di costruzione, manutenzione e dismissione del manufatto edilizio (Design for Deconstruction). La sfida, oggi, non è più solo realizzare un’architettura a zero energia, ma al contempo costruire a zero rifiuti. Occorre infine definire procedure e strumenti di supporto innovativi, ispirati alle best practice internazionali, che rendano concretamente possibile una gestione virtuosa dei rifiuti di cantiere e facilitino l’approvvigionamento di componenti di recupero e materiali riciclati.


Diverse best practice internazionali dimostrano come soluzioni progettuali e procedure gestionali innovative possano essere applicate con successo anche in interventi di grande scala: il cantiere dell’Olympic Park di London 2012 (UK) ha visto la realizzazione di audit pre-demolizione per l’individuazione di materiali riciclabili o riusabili sulle pre-esistenze; il riuso/riciclo in loco di componenti e materiali derivanti da demolizioni selettive; la riduzione degli scarti di costruzione; la disassemblabilità; filiere certificate e sostenibili. Altri casi emblematici per i superuse sono la Villa Welpeloo (Rotterdam, 2009) e il recupero del cantiere navale DordtYard (Dordrecht, 2013) dei Superuse Studio. Tali strategie, nel nostro Paese, hanno trovato le prime applicazioni solo di recente, anche sulla spinta dei protocolli di certificazione ambientale anglosassoni (BREEAM, LEED), ma oggi gli edifici a ciclo chiuso dei materiali sono ancora pochi. Ciononostante, si riscontrano alcune virtuose novità normative a livello locale, come l’emanazione della DGR Lazio 34/2012 “Prime linee guida per la gestione della filiera di riciclaggio, recupero e smaltimento dei rifiuti inerti nella Regione Lazio”, cui ha fatto seguito a dicembre 2016 una delibera del Comune di Roma che obbliga alla produzione di un piano di gestione dei rifiuti

di cantiere, o il nuovo Regolamento Edilizio di Bologna che premia con cubatura aggiuntiva chi adotta inerti riciclati. Fonti bibliografiche

Davidsen C., Fischer C.,“EU as a Recycling Society”, ETC/SCP working paper 5/2010, European Topic Centre on Sustainable Consumption and Production (ETC/SCP), Copenhagen 2010. ISPRA, Rapporto rifiuti speciali, 2015. Rapporto ANPAR (Associazione Nazionale Produttori di Aggregati Riciclati), 2011. Sassi P., “Designing buildings to close the material resource loop”, in Engineering Sustainability, Proceedings of the Institution of Civil Engineers, 157, pp. 163-171, 2004. (Paola Altamura è architetto e PhD in Progettazione Ambientale, svolge attività di ricerca e didattica presso la Facoltà di Architettura della “Sapienza” di Roma. Autrice del libro Costruire a zero rifiuti. Strategie e strumenti per la prevenzione e l’upcycling degli scarti in edilizia, FrancoAngeli, Milano 2015)

FOSCA TORTORELLI

Dottore di ricerca con la tesi “Reinterpretare Cellae vinariae Ambiente, processo, Produzione”. Ricercatrice sulle strategie per l'applicazione dei parametri di percezione sul paesaggio urbano Il cantiere è una discussa e controversa realtà edile. Che tipo di evoluzione si prospetta?

Nel corso degli ultimi anni la città è tornata al centro dell’attenzione delle politiche nazionali ed è possibile riconoscere una nuova vitalità progettuale che investe non solo la città fisica, ma soprattutto il campo delle strategie e delle politiche per lo sviluppo urbano. Oggi più che mai, l‘idea di sostenibilità si lega all’analisi dei probabili fattori di cambiamento in termini dinamici, con un'ottica sistemica e multidimensionale; non va sottovalutato il valore fondamentale che ha quindi la fase di cantiere in un processo di costruzione edile che si voglia realmente dichiarare “sostenibile”, vista la sua incidenza sulla qualità della vita urbana. Il cantiere edilizio è un luogo produttivo e complesso, produce impatti su abitanti e lavoratori particolarmente significativi, se localizzato in aree urbane densamente abitate; così l’intera città può diventare un luogo di espressione e relazione, attivando forme innovative di scambio fra contesto urbano e natura. In quest’ottica tecnologia e arte diventano uno strumento per riqualificare aree periferiche e degradate, rigenerare spazi in stato di abbandono, coinvolgere i cittadini nella vita della comunità, porli sempre di più al centro delle politiche culturali, come fruitori di cultura, attivi nella sua difesa e promozione. Va quindi considerato che il processo partecipato

porta anche a impedire che il cantiere sia percepito come un elemento - seppure temporaneo di impedimento alla vita urbana.

Quanto la gestione sostenibile di un cantiere influenzerà la fase di progettazione dell'immobile che si andrà a costruire?

I criteri operativi da individuare per il cantiere green si fondano sul confronto congiunto tra le tecniche attuative storiche e la sperimentazione di nuove metodologie applicative, laddove la prassi operativa storica di cantiere aveva una maggiore incidenza temporale in ambito urbano, ma a minore impatto. Si profila dunque un lavoro interpretativo che recuperi delle prassi tradizionali storiche solo alcune procedure, in vista di una riduzione degli impatti, ma ne innovi i contenuti in una prospettiva di adeguamento tecnologico. L’identificazione, l’interazione e la gestione delle fasi legate all’attività di un cantiere edile in area urbana possono essere schematizzate attraverso la definizione della gestione e combinazione delle risorse “green”, dalla scelta di materiali del luogo e con l’uso di tecniche costruttive rispettose delle risorse ambientali all’interno del cantiere urbano.

Ancora oggi come reagiscono gli imprenditori, piccoli o grandi che siano, quando si chiede loro di attenersi alle regole necessarie affinché un cantiere possa essere sostenibile?

Nella maggior parte dei casi internazionali c’è sicuramente più attenzione nel rispettare tempi ed esigenze per condurre un cantiere green, mentre in Italia ci sono ancora pregiudizi. Ulteriore elemento discriminante risulta il fattore tempo, infatti spesso la durata prolungata dei cantieri italiani scoraggia le comunità. Eco-costruzione ed eco-gestione di un cantiere è garanzia di un cantiere a impatto zero?

La gestione ambientale del cantiere è spesso trascurata dagli operatori del settore che operano prevalentemente su un modello socio-culturale e tecnico che si è consolidato nel tempo. L’organizzazione di un cantiere green, può altresì contribuire al miglioramento delle condizioni di sicurezza dei lavoratori. Il progetto sostenibile ha infatti, tra gli obiettivi principali, il raggiungimento della qualità ambientale globale, oltre a garantire la salvaguardia delle condizioni di vita degli utenti, intendendo sia i lavoratori, sia gli utenti finali. Va comunque sottolineato, che le prassi di cantiere sono difficili da rivoluzionare. Che tipo di ritorni economici o di immagine ha un cantiere certificato Leed?

Va premesso che il mercato della certificazione in edilizia sostenibile sta cambiando, infatti risulta fattore sempre più richiesto come prioritario il benessere degli occupanti. Un progetto realizzato con la certificazione Leed rispetta i criteri di sostenibilità ambientale, si posiziona generalmente nella fascia più alta del mercato edilizio, determinando l’aumento di valore dell’immobile. Porta un risparmio economico, sia in termini di minor consumo energetico, sia in termini di riduzione dei costi di gestione e di manutenzione. 63


BLOCK NOTES

Simona Morini

Innovare e rigenerare Le città non sono solo strade e muri. Sono luoghi di relazioni sociali, commerciali e culturali che cambiano nel tempo. Bisogna tenerne conto quanto si progetta o si ri-progetta Oltre sei milioni di edifici abbandonati, secondo le stime. Palazzi, ville, giardini, vecchi alberghi, edifici pubblici, negozi, complessi industriali, destinati a diventare un cumulo di (più o meno) splendide rovine. Ma anche quartieri difficili, città e paesi che si spopolano o che già sono semi-deserti, luoghi che perdono la loro identità, che sopravvivono ormai “fuori dal mondo”. Questo non vuol dire soltanto che il nostro ricco patrimonio storico e culturale sta invecchiando e richiede costosi interventi di restauro, ma che gli spazi esistenti non riescono ad adattarsi o a tener dietro alle trasformazioni in corso. Diventano “dissonanti” con il presente: inutilizzabili, inutili, inadatti, ingombranti. In breve “obsoleti”. Già nel 1932 Frank Lloyd Right osservava che “la mobilità ha talmente trasformato i valori umani, modificato il carattere e i bisogni dell’uomo, alterato le sue condizioni di vita, che la maggior parte dei nostri edifici e delle nostre città, nella struttura e nello stile, diventano obsoleti appena costruiti. (…) Troppo vecchi”. Portata alle sue estreme conseguenze dalla globalizzazione e dai fenomeni migratori, la mobilità - e la rapida e imprevedibile obsolescenza dei luoghi che l’accompagna - inevitabilmente si scontra con la stabilità e la lentezza del cambiamento della struttura urbana e delle istituzioni che ne determinano le regole e il funzionamento. È prevedibile che analoghe, profonde, trasformazioni avverranno quando i robot e l’intelligenza artificiale sostituiranno circa metà degli attuali lavori, quando il valore economico e la nozione stessa di proprietà perderanno il loro significato attuale, quando gli spazi virtuali saranno frequentati quanto quelli fisici, e così via, fino a quando cominceremo a vedere i risultati della rivoluzione culturale e tecnologica in corso. Le nostre meravigliose città - ma anche le regole, le relazioni, gli strumenti per governarle - sono già ora “troppo vecchie” per rispondere alle esigenze del tempo presente. La soluzione finora prevalente è stata “ri-usare” l’esistente restaurandolo e rendendolo economicamente produttivo: trasformando i palazzi in banche, gli alberghi in ospedali, gli ospedali in università, i cinema in supermercati, interi paesi in alberghi o musei “diffusi”. Ma non sempre funziona. Così come non sempre basta una chirurgia 64

estetica per tornare giovani o sentirsi tali. Esempi come Venezia, per citare solo il caso più lampante e drammatico, mostrano con estrema evidenza come questi processi di “museificazione” o di riuso commerciale portino al declino delle città come luoghi attivi e vivi di relazioni e di conseguenza al loro progressivo spopolamento. Le città non sono solo strade, case e muri da cui scompaiono le persone, ma luoghi di relazioni sociali, commerciali e culturali che mutano nel tempo. Oltre che l’obsolescenza degli edifici, cioè dell’oggetto, si deve quindi considerare l’ obsolescenza della complessa rete di relazioni che si intrecciano nei luoghi e che danno loro senso. Se cambia la composizione delle famiglie, se la popolazione invecchia, se dobbiamo convivere con l’immigrazione e con culture diverse, se chiudono i negozi, se alcune attività e professioni spariscono, non solo certi spazi cadono in disuso, ma l’intero tessuto urbano ne risente fino a rendere intere aree, quartieri e città “invivibili”. Rigenerazione urbana e innovazione sociale devono quindi andare di pari passo se si vuol fare dell’obsolescenza una opportunità per creare e/o sviluppare spazi di relazioni “consonanti” con le trasformazioni e le esigenze del presente. Mettere insieme questi due termini vuol dire varie cose. Per esempio, passare dalla progettazione architettonica o urbanistica in senso tradizionale alla gestione strategica di un processo: la metamorfosi di un edificio, di un’area o di una intera città. Per farlo occorrono competenze, modelli di decisione e modalità di lavoro diversi da quelli a cui siamo abituati e che sono ancora in larga parte sperimentali. Queste nuove pratiche crescono solitamente fuori dalle istituzioni, molte volte contro un apparato burocratico e politico impaurito e conservatore: ai margini, in modo disordinato e frammentario, per tentativi ed errori, fuori dalle discipline e dalle competenze solite. Alcune hanno fortuna. È il caso del co-working, del co-housing, della sharing economy, dell’e-learning, della progettazione “dal basso”, delle tecnologie smart e di altre esperienze che, ormai diventate di moda, vengono praticate talvolta a sproposito, ma che costituiscono pur sempre una ricca cassetta degli attrezzi per chi lavora alla creazione di spazi urbani socialmente innovativi. Si deve poi pensare al rapporto tra il locale e il globale, che ha un diverso significato nelle grandi città e nei piccoli centri, ma che in entrambi i casi richiede la capacità di fare rete, dentro e fuori dai propri confini. Città metropolitane, per esempio, reti di piccoli comuni, ma anche reti sovranazionali di città che condividono idee, interessi economici o sociali, obbiettivi, servizi o semplici esperienze. Come Citynet una rete di 131 città, compagnie private e centri di ricerca sparse in Asia, nella regione del Pacifico, per elaborare progetti comuni di sviluppo sostenibile, o Connecting Cities che ha messo in rete tutte le città dotate di schermi, facciate e proiezioni in spazi pubblici che non hanno scopo commerciale, ma solo artistico e sociale. La capacità di collaborare su temi e obbiettivi di comune interesse contrasta con la diffusa tendenza a pensare che l’innovazione sociale passi attraverso la creazione di “poli di eccellenza”, di “poli della creatività”, o di “centri per l’innovazione” che ricalcano le logiche e i modi di funzionare delle istituzioni tradizionali. Le reti sono comunità aperte e dinamiche, in continua trasformazione, che si scambiano idee e conoscenze. Non diversamente dalla comunità scientifica, che non cresce attraverso il consenso, ma attraverso la critica e il continuo confronto tra esperimenti e modelli alternativi, anche le città dovrebbero essere “comunità aperte”, “laboratori” e non “campanili” accomunati da una


logica di appartenenza territoriale e abituati (anche storicamente) a competere tra loro. Il successo o l’insuccesso dipende dal grado di vitalità dei cittadini e delle istituzioni e dalla loro capacità di interagire e di dialogare. Non c’è rinnovamento che possa fare presa su una popolazione passiva, conservatrice, diffidente; e nessun fermento cittadino che possa cambiare una città governata da istituzioni immobili e burocratiche. Bordeaux, Berlino, Torino o Glasgow, per citare solo alcuni casi di città che sono riuscite non solo a rigenerare i loro spazi, ma anche a rivoluzionare la propria identità - da città industriali e operaie a laboratori di innovazione economica e sociale - hanno avuto successo grazie ad amministrazioni locali capaci di avviare processi di trasformazione urbana, riprogettare e ripensare edifici, quartieri e infrastrutture in modo da lasciare ampio spazio alle idee e alle iniziative di quella parte della popolazione “marginale” che non riesce ad esprimersi nella cultura e nei modi di vita e di lavoro esistenti. Vi sono state, in Italia, anche alcune “false partenze”, come Genova o Catania, in cui la volontà politica non è stata sufficiente a mettere in moto le forze economiche e sociali necessarie per “cambiare pelle”. Interessanti processi di cambiamento sono in corso invece agli estremi opposti, a Milano o Napoli. E ci sono infine casi disperati, come Roma e altre città turistiche, dove è finora mancata sia la volontà politica sia l’attiva partecipazione dei cittadini al cambiamento. Immanuel Kant sosteneva che con le giuste regole si può governare anche “una popolazione di diavoli”. Ma per quanto anche oggi ci sia un disperato bisogna di regole “giuste”, sembra ormai chiaro che non sono sufficienti a governare i “diavoli” che attraversano in modo disordinato il pianeta, né possono farlo efficacemente restando al livello locale. Nuove regole, nuovi modi di governare sono indispensabili per il cambiamento. Ma altrettanto indispensabili sono “nuovi cittadini”. Si parla molto di “cittadinanza attiva”, di cittadini che si organizzano per trovare soluzioni ai loro problemi, o per avanzare proposte, o per migliorare e rianimare la propria casa, quartiere o città. Un tempo erano i cittadini che si riunivano nell’agorà, nella piazza. È importante ridare agli spazi pubblici questa funzione. Rimettere panchine, alberi, chioschi, mercati, dove le persone possano incontrarsi. Ma anche schermi, interfacce di comunicazione, aperture con l’esterno. Le conversazioni interessanti non si intrecciano in luoghi ordinati e asettici. Hanno bisogno di rumore, di suoni, di odori, di colori, di immagini. Diciamolo: anche di varietà, di disordine. Al di là del fatto di vivere in uno stesso paese o in una stessa città, è questo il contesto urbano in cui è forse possibile capire quello che può tenere insieme persone, modi di vita e culture a volte estremamente diverse. Per definire una nuova idea di cittadinanza ci vuole, certo, pensiero e cultura. Ma nei momenti di cambiamento non è detto che il pensiero si produca solo nei convegni o nelle aule universitarie (ai tempi dell’Illuminismo si discuteva nei caffè, o nelle case private). Spesso nasce anche dal semplice incontro tra le persone, dalle conversazioni, dalla curiosità di avventurarsi in luoghi non abituali, dall’esperienza della diversità, dal viaggio. Occorre essere aperti al dissenso intelligente, al gusto del rischio, al pensiero visionario, alla provocazione culturale. Forse i sei milioni di luoghi obsolescenti sono gli spazi eccentrici di cui abbiamo bisogno per stare “dentro” al mondo in modo nuovo. (Simona Morini, professore di Filosofia della Scienza allo IUAV di Venezia, insegna Teoria delle Decisioni Razionali e Filosofia. Responsabile del modulo “Spazi urbani e attivazione sociale”, Master U-Rise (http://urisemaster.org/)

ANTONELLA VIOLANO

Architetto, ricercatore di Tecnologia dell’Architettura presso il Dip. di Architettura e Disegno Industriale dell’Università della Campania Può darci una definizione sintetica di ciò che si intende per rigenerazione urbana?

Dagli anni ‘50 abbiamo assistito all’evoluzione dell’approccio rigenerativo urbano: nel dopoguerra le città dovevano essere ricostruite e il bisogno dell’alloggio era un’esigenza primaria; negli anni ‘70 l’attenzione si sposta sui centri storici e sull’esigenza di tutelare un patrimonio unico; gli anni ’80 sono gli anni del boom economico, in cui le città delocalizzano funzioni fino ad allora inglobate nel tessuto in evoluzione e nasce la problematica di dare una nuova destinazione alle aree industriali dismesse. L’attuale paradigma rigenerativo urbano ha, invece, una duplice attenzione: da un lato l’uomo che è il fruitore diretto del sistema, che alla città chiede servizi, produttività ma soprattutto inclusione, in cui i fruitori diventano attori; dall’altro l’ambiente, che grida vendetta contro emissioni, immissioni e rifiuti non rigenerabili. Ed ecco che la città si trasforma in macchina a reazione “poietica”, volendo parafrasare Le Corbusieur, in cui la poiesis, il fare, è la condizione per creare inclusione (e non ospitalità), benessere (e non vivibilità), rigenerazione (e non ristrutturazione). Un progetto di rigenerazione urbana che tipo di analisi, di modelli e strumenti richiede per essere correttamente impostato ed eseguito?

Competitività, attrattività e innovazione sono i propulsori del nuovo paradigma urbano che, a grandi passi, ci ha portato verso l’incontro HABITAT III nell’ottobre 2016. La Risoluzione adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite lo scorso 25 gennaio, ci propone un piano di attuazione strutturato come una serie di impegni volontari presi dai diversi partner a scala mondiale: azioni concrete, misurabili e raggiungibili. Tra tutte mi è parsa interessante la proposta di Algeria, Cina, Egitto, Francia, India, Messico e Marocco di realizzare una rete delle Agenzie Metropolitane di Pianificazione. Il confronto e la collaborazione generano crescita, e questo è l’unico modello operativo che mi sento di suggerire.

Come conciliare l'odierna necessità di una maggiore densità abitativa per far fronte al consumo del suolo e ovviare alla dispersione degli impianti con il diradamento o la frammnetazione pensata come benessere bioclimatico?

Il problema reale da affrontare non è il benesere bioclimatico. Rafael Serra ci insegna che la relazione tra l’edificio e gli agenti esterni, soprattutto sole, vento e pioggia, si deve analizzare in funzione della quantità di superficie di involucro che è esposta a tali agenti. Dunque, un edificio più è snello, maggiore è la superficie di scambio. Questo, in climi mediterranei come il nostro, favorisce la ventilazione naturale ma anche, nel caso di involucri adeguatamente corrugati, il controllo del soleggiamento diretto, che sappiamo essere una componente delicata da gestire nella stagione estiva, nella quale il guadagno solare gratuito invernale diventa carico termico da dissipare. Il vero problema è, invece, nell’integrazione di rinnovabili che, per il D.Ivo 28/11, deve soddisfare almeno il 50% del fabbisogno per riscaldamento, raffrescamento, produzione di a.c.s.m e questo standard (nZEB) va verso i Plus Energy Building. L’integrazione interessa generalmente le coperture che, in contesti urbani densamente costruiti, rappresentano una piccola percentuale rispetto alla superficie utile costruita . Ecco perché il primo vero passo verso l’efficienza energetica è intervenire sul Bilancio Energetico riducendo al minimo il fabbisogno. 65


BLOCK NOTES munità che ci vive e lavora, catalizza lo sviluppo economico e diffonde una maggiore attenzione e sensibilità verso la sostenibilità ambientale. È il risultato di una combinazione di fattori quali le caratteristiche fisiche di un luogo, le attività che vi si svolgono, e il «senso» che quel luogo rappresenta per le persone che lo vivono; favorisce il dischiudersi del «genius loci» di uno spazio urbano o di un territorio. Ha come obiettivo finale la promozione della felicità e del benessere delle persone attraverso luoghi pubblici attraenti, rispondenti ai bisogni e dotati di bellezza.

Angelica Fortuzzi

Placemaking Un nuovo approccio alla progettazione di spazi pubblici che apre a nuove possibilità con l’obiettivo di facilitare l’interazione sociale e migliorare la qualità della vita di una comunità UN PROCESSO DI CAMBIAMENTO

Il «placemaking», ovvero «creazione di luoghi», rappresenta un’azione, è considerato sia una pratica che un modo di pensare: «è un approccio alla progettazione, pianificazione e gestione degli spazi pubblici, che si sta diffondendo molto non solo negli Stati Uniti, ma anche a livello internazionale. Si tratta di uno strumento estremamente pratico per processi ‘bottom-up’, guidati dalla comunità locale, orientati a migliorare un quartiere, una città o una regione» (Fortuzzi, 2014). Le qualità che definiscono il processo del placemaking sono: «collaborativo, sociale, culturalmente consapevole, sensibile al contesto, multi-disciplinare, visionario, motivante, inclusivo, trasformativo, flessibile, in continua evoluzione»; al contrario, il processo non è «imposto dall’alto, escludente, orientato dal progetto, statico, monodimensionale, reattivo, privatista», focalizzato sulla mobilità veicolare (Project for Public Spaces, 2009). Si tratta di un approccio alle istanze urbane che si scosta dal punto di vista abituale e apre a nuove possibilità. Il focus della pratica è «il luogo» e la collettività che ci vive e lavora; lo spazio pubblico rappresenta il «tessuto connettivo» di una comunità, da cui l’importanza della sua cura. Obiettivo del placemaking è la diffusione di un modello di sviluppo urbano orientato sulle persone e la promozione di principi urbanistici a misura d’uomo, che favoriscano la riappropriazione degli spazi pubblici da parte dei cittadini. La forma di uno spazio dovrebbe facilitare l’interazione sociale e migliorare la qualità della vita di una comunità, creando luoghi vivibili, vibranti, pieni di vita e attività. L’essere umano è posto al centro di questa pratica, ne consegue che la comunità diventa il principale esperto in un processo di placemaking che si avvale, quindi, delle risorse, della motivazione e delle capacità presenti nel territorio e nella comunità locale. Si tratta di un processo dinamico, in continua evoluzione, che accresce il senso di appartenenza, innesca connessioni e relazioni tra parti di città, promuove la giustizia e l’equità sociale, sviluppa la sicurezza della co66

LUOGHI E PERSONE, CHI CAMBIA CHI?

I progetti di placemaking più efficaci dimostrano l’importanza del processo rispetto al risultato finale. Le esperienze hanno dimostrato che gli effetti dell’azione del “fare” vanno ben oltre il “luogo” e ciò come conseguenza del carattere iterativo e collaborativo del placemaking. La principale trasformazione avviene nella mente delle persone coinvolte e non soltanto nello spazio modificato: le comunità non sono più «utenti passivi», ma divengono partecipanti attivi nella produzione del cambiamento. In un circolo virtuoso, il processo arricchisce sia le comunità che la vita sociale, dando potere alle persone. La reiterazione delle azioni e lo spirito di collaborazione nutrono le comunità, responsabilizzano le persone, dunque un efficace progetto di placemaking costruisce relazioni, crea impegno civico, attiva le persone, costruisce il capitale sociale. In una mutua relazione, le comunità trasformano i luoghi, che a loro volta trasformano le comunità, che beneficiano delle trasformazioni sociali e fisiche di un territorio (Silberberg, 2013). Un progetto di placemaking si svolge in tre fasi principali. La prima riguarda l’analisi e la scoperta non solo del luogo, ma anche delle persone e della comunità, i modi di vivere, le reti invisibili, attraverso l’osservazione e l’ascolto: osservando i dettagli; analizzando i punti di forza, la qualità e le relazioni con i luoghi limitrofi; in quale modo forma e dimensione influiscono sulle persone. L’osservazione deve essere il più possibile aderente alla realtà, senza pregiudizi. Le informazioni raccolte vengono successivamente usate per creare una visione comune condivisa di quel luogo, che si tradurrà in una strategia di attuazione, con miglioramenti concretamente realizzabili, che possano produrre vantaggi immediati per gli spazi pubblici e le persone che li utilizzano. LA DIMENSIONE POLITICA DEGLI SPAZI URBANI

Le contraddizioni, il caos e i conflitti delle città americane degli anni ‘60, – in continuo mutamento a dispetto della logica funzionalista – e gli studi di architetti, urbanisti, sociologi e giornalisti, come Kevin Lynch e Jane Jacobs, hanno creato il terreno per un nuovo orizzonte interpretativo, aprendo la strada a un approccio diverso, ponendo al centro le persone, invece di criteri funzionali o estetici. Per Lynch le città sono reti costituite da esperienze e percezioni personali differenti, che creano un’immagine personale; evidenzia il modo in cui le persone fanno esperienza, e si muovono, attraverso il paesaggio urbano, esperendolo in modo diverso. Jacobs analizza le qualità e i fattori che determinano la sicurezza in uno spazio pubblico. La città suddivisa in zone funzionali tende a


irreggimentare la vita, senza riconoscerne il carattere complesso e mutevole. Una popolazione multi-culturale e diversificata, che rappresenta la struttura stessa delle città, necessita, quindi, di una mescolanza urbana. Lo spazio pubblico ha l’importante ruolo di promuovere la relazione umana, di costruire la fiducia e il rispetto civico, partendo dalle piccole relazioni quotidiane, che formano la trama sociale e vitale degli spazi. William Whyte proseguì gli studi, sostenendo che un progetto debba iniziare da una comprensione complessiva del modo in cui le persone usano o vorrebbero usare gli spazi. Le sue analisi sui comportamenti delle persone nelle aree pedonali, e sulle dinamiche della città, posero le basi della pratica del placemaking. Christopher Alexander afferma che i luoghi, dove esiste una qualità urbana diffusa, sono frutto di una costruzione spontanea, progressiva, non pianificata, risultato di un processo di autocostruzione. Jan Gehl sottolinea l’importanza della progettazione urbana a scala umana. In una città progettata per le persone la scala sarà il punto di vista del pedone, in questo modo, se le persone li frequentano e usano, gli spazi diventano più sicuri, la qualità della vita migliora notevolmente, così come i rapporti tra le persone. Gli spazi urbani promuovono senso civico e democratico e le persone hanno il diritto di definire la forma degli spazi urbani, il «diritto alla città» (Lefebvre, 1991; Harvey, 2008). Ray Oldenburg parla di spazi urbani come the third place, «luogo terzo», un «terreno neutro», un luogo di aggregazione sociale, di scambio di idee, in cui la comunità si riunisce in modo informale, liberamente, creando connessioni e relazioni, senza che nessuno debba giocare il ruolo del padrone di casa (Oldenburg, 1999). Enrique Peñalosa rileva il ruolo degli spazi pubblici come indicatori del livello di democrazia di una società. Le aree pedonali pubbliche sono un luogo di eguaglianza, un mezzo per una società più inclusiva. Nello spazio pubblico le persone si incontrano come eguali, spogliate delle loro gerarchie sociali. Nel tempo libero, piazze, viali alberati, piste ciclabili, marciapiedi, waterfront, parchi e impianti sportivi pubblici rappresentano un’alternativa fondamentale all’alienazione della televisione, del computer, o dei centri commerciali, per le classi meno abbienti, mostrano rispetto per la dignità umana e iniziano a compensare le diseguaglianze sociali, poiché una città equa e democratica dovrebbe essere progettata per i suoi membri più vulnerabili (Peñalosa, 2010). UNA PRATICA IN ESPANSIONE

Il placemaking sta diventando una pratica molto diffusa a livello mondiale, ma è negli Stati Uniti che troviamo il maggior numero di esperienze, associazioni e professionisti attivi. Tra i pionieri è l’organizzazione Project for Public Spaces, fondata nel 1975, che pone le sue basi negli studi di Whyte. Ha sviluppato linee guida e strumenti con lo scopo di attivare le comunità, nel progetto e nella gestione degli spazi pubblici. PlaceMakers, organizzazione opinion leader, si occupa di pianificazione e progettazione urbana con l’intento di progettare luoghi resilienti, in grado di soddisfare il benessere umano, migliorare la vivibilità. Il Tactical Urbanism e il Better Block partono dall’idea che un luo-

go urbano possa essere facilmente migliorato da azioni e progetti dimostrativi, piccoli, rapidi, economici e, spesso, temporanei, a carattere incrementale, promossi dalla comunità, attuati in una strada, in un isolato o in un edificio. Le azioni sono dei «test di prova» di un progetto o cambiamento, prima di fare passi più impegnativi a livello politico o finanziario. I progetti e le azioni sono pop-up urbanism, con caffè o negozi spontanei; guerilla urbanism, con incursioni di giardinaggio o pittura; DIY (do it yourself urbanism), con pedonalizzazioni di parti di strade, arredate con piante, sedute, piccole attività, giochi, fiere di strada, ridisegno della pavimentazione, occupazioni pedonali di aree parcheggio (Lydon et al, 2012; Sennett, 1992). Il placemaking si configura quindi come un approccio open-source, uno strumento dimostrativo, aperto, che cambia un luogo per svilupparne il potenziale e sta contribuendo a implementare le infrastrutture delle città e a mutare il modo di fare politica urbana. Bibliografia

Alexander, C., Ishikawa S., Silverstein S. (1977), A Pattern Language. New York: Oxford UP. Fortuzzi, A. (2014), “Placemaking: un processo di cambiamento”, International Society of Biourbanism, 2014, www.biourbanistica.com. Harvey, D., (2008), “The Right to the City”, New Left Review 53 (2008): 23-40. Jacobs, J. (1992), The Death and Life of Great American Cities, [New York]: Random House. Lefebvre, H. (1991), The Production of Space, Oxford, OX, UK: Blackwell. Lydon, M., Bartman D., Garcia T., Preston R., and Woudstra R. (2012), Tactical Urbanism 2: Short Term Action, Long Term Change. United States. Oldenburg, R. (1999), The Great Good Place. New York: Marlowe. Peñalosa, E. (2010), “Politics, Power, Cities”, in The Endless City, Burdett R. and Sudjic D. (Ed.), London [u.a.: Phaidon. Project for Public Spaces (2009), “What is Placemaking”, Project for Public Spaces, 2009, www.pps.org. Sennett, R. (1992), The Uses of Disorder: Personal Identity and City Life. New York: Norton. Silberberg, S., (2013), Places in the Making: How Placemaking Builds Places and Communities. Cambridge, MA: MIT. (Angelica Fortuzzi, architetto, dottore di ricerca in Progettazione Urbana si occupa di biourbanistica, placemaking e service design applicati alle trasformazioni urbane. Ha partecipato a numerose ricerche, convegni e seminari sia in Italia che all’estero. Tra le esperienze più recenti: Glasgow, Edimburgo e Berlino. È stata ricercatrice presso la University of Strathclyde (UK) e l’Università Roma Tre. È fra i soci fondatori di Atelier Locali, associazione per una progettazione sostenibile e partecipata. Socio dell'INU, fa parte della Consulta sulla Bioedilizia dell’Ordine degli Architetti PPC di Roma, della “Rete per la partecipazione della International Society of Biourbanism”) 67


BIBLIOTECA ALEXIS DE TOCQUEVILLE / Caen, Francia

Architetto OMA Architetto associato Clément Blanchet Luogo Caen,Francia Superficie 12.700 mq Ingegneria Iosis / EgisBatiments Sostenibilità e facciate Elioth Acoustic:RHDHV Fine lavori 2017

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BIBLIOTECA ALEXIS DE TOCQUEVILLE / OMA

INCROCIO SUL CANALE Una biblioteca che si affaccia su un suggestivo specchio d’acqua. Questo è il progetto dello Studio OMA a Caen. Cittadina francese che sentiva da qualche tempo l’esigenza di offrire ai suoi abitanti un contenitore culturale contemporaneo

Photo by Philippe Ruault, courtesy of OMA

di Alessandro Marata

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BIBLIOTECA ALEXIS DE TOCQUEVILLE / Caen, Francia

Photo by Philippe Ruault, courtesy of OMA

l team di Rem Koolhaas ha dato la firma alla nuova Biblioteca Alexis de Tocqueville, realizzata a Caen - Nord della Francia - nella regione metropolitana di Caen la Mer in Normandia e aperta al pubblico lo scorso mese di gennaio. Un nuovo edificio che ha risposto all’esigenza di dotare la cittadina francese di un contenitore culturale ancora mancante, che avesse le caratteristiche moderne richieste oggi a una biblioteca pubblica, come spazi per lo studio, il lavoro, la condivisione e il riposo, oltre all’interazione con l’ambiente circostante. L’edificio sorge su quello che ora è diventato un punto strategico per la città, definito tale dalle linee guida del masterplan proget-

tato dallo Studio MVRDV di Rotterdam nel 2013. Gli OMA hanno scelto di dare alla vista planimetrica di questo edificio una forma di forte impatto evocativo, quella appunto della croce di Sant'Andrea, mostrando l’intenzione di voler attribuire a questa biblioteca il ruolo di nuovo centro civico e rappresentativo di Caen, punto d’incontro tra il nucleo antico della città e il nuovo tessuto pianificato dalle recenti trasformazioni urbanistiche. Due dei quattro corpi dell’edificio sono proiettati verso il Canale di Caen la Mer e godono della passeggiata realizzata lungo il corso d’acqua, arricchita da piantumazioni e da elementi di arredo urbano, al di là

Le facciate di questa nuova biblioteca sono rivestite da un’alternanza di lastre rettangolari di vetri trasparenti e opachi, compresi gli ingressi al piano terra che permettono un'interazione fluida e visiva tra la biblioteca e il contesto intorno, articolato dal vicino parco, dal canale e dal percorso pedonale


BIBLIOTECA ALEXIS DE TOCQUEVILLE / OMA


SEZIONI LONGITUDINALI

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Photo by Philippe Ruault, courtesy of OMA


BIBLIOTECA ALEXIS DE TOCQUEVILLE / OMA

del quale sono visibili scorci del centro storico. La pianta articolata dell’edificio, che si sviluppa su un totale di 12mila metri quadrati di superficie, determina una sfaccettatura dei prospetti che regalano movimento all’architettura. Tutte le facciate sono in ogni modo rivestite da un’alternanza di lastre rettangolari di vetri trasparenti e opachi, compresi gli ingressi al piano terra che permettono un’interazione fluida e visiva tra la biblioteca e il contesto intorno, articolato dal parco vicino, dal canale e dal percorso pedonale. Internamente, l’edificio è stato concepito come una contrapposizione tra pieni e vuoti. L’architettura si sviluppa per tre piani fuori terra che variano dai tre ai quattro metri di altezza, e dai livelli superiori è possibile avere viste panoramiche rivolte in tutte le direzioni, poiché ogni braccio della biblioteca punta a luoghi rappresentativi della città come Abbaye-aux-Dames a nord e Abbaye-aux-Hommes a ovest. Mentre a sud lo sguardo è diretto verso la stazione ferroviaria centrale e a est verso la nuova zona di espansione. L’edificio trasferisce quindi alla sua città una sensazione di poliedricità che gli

dona movimento e articolazione, pur essendo contenuto in una forma regolare e geometrica della tradizione, rivista in chiave contemporanea. Questa forma ha permesso, inoltre, di suddividere facilmente e con logica organizzativa tutte le varie funzioni che erano necessario inserire all’interno della biblioteca. Quattro sono le aree tematiche in cui è diviso l’intero ambiente interno, dalle scienze umane, alla scienza e tecnologia, letteratura e arti. Discipline differenti che trovano un punto d’incontro nella grande hall centrale concepita come un ampio atrio libero dalle logiche compositive e privo di elementi di chiusura per favorire il massimo flusso tra i diversi reparti e l’accesso alle altre funzioni della biblioteca. In questo spazio di ritrovo, concepito come centro civico, dove le persone si possono incontrare e condividere conoscenze e informazioni, il forum centrale diventa il cuore del progetto della biblioteca. Al piano terra, infatti, intorno all’ampio atrio, è stata posta l’area che ospita l’archivio e la consultazione delle riviste, un auditorium da centocinquanta posti, alcuni spazi espositivi e un ristorante

Photo by Delfino Sisto Legnani and Marco Cappelletti © OMA

L’architettura si sviluppa per tre piani fuori terra che variano dai tre ai quattro metri di altezza. Dai livelli superiori è possibile avere viste panoramiche rivolte in tutte le direzioni, perché ogni braccio della biblioteca punta a luoghi rappresentativi della città


Photo by Philippe Ruault, courtesy of OMA

BIBLIOTECA ALEXIS DE TOCQUEVILLE / Caen, Francia

Le varie sale di consultazione non hanno un’impostazione rigida, sono organizzate da contenitori mobili di libri che possono essere facilmente spostati. Mentre il pavimento è rivestito di un parquet di legno chiaro che ben si sposa con gli arredi bianchi e le finiture di acciaio delle scale mobili e dei parapetti

con terrazza aperta verso il lungo mare. Mentre il primo piano è dedicato a spazi per lo studio e ai laboratori, che raccolgono più di 120mila documenti e libri fisici e digitali. L’ultimo livello, invece, è occupato da un’area dedicata ai bambini, agli uffici e altre funzioni destinate alla logistica. L’archivio e le raccolte storiche sono conservati nel piano interrato della struttura. Le ampie vetrate che rivestono l’edificio consentono alla luce naturale d’illuminare tutti gli ambienti dedicati alla lettura distribuiti fra i vari piani. Il gioco di trasparenze prosegue anche internamente all’edificio, dove i progettisti hanno scelto di posizionare delle reti metalliche microforate usate sia come leggeri divisori verticali, sia come velari orizzontali. Le varie sale di consultazione non hanno

SEZIONE TRASVERSALE

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un’impostazione rigida ma sono organizzate con contenitori mobili per i libri che all’occorrenza possono essere facilmente spostati. È possibile, inoltre, scegliere se dedicarsi alla lettura sedendosi ai tavoli oppure appoggiati ai gradoni, e questo consente all’utente di cambiare il suo punto di vista all’interno del manufatto, per un’esperienza e un rapporto con l’architettura che può variare di volta in volta. Il pavimento è interamente rivestito di un parquet di legno chiaro che ben si sposa con gli arredi bianchi e le finiture di acciaio delle scale mobili e dei parapetti. Nelle ore serali le vetrate trasparenti dell’edificio s’irradiano di luce artificiale e lasciano chiaramente intravedere la distribuzione compositiva dei tre livelli e la complessità del progetto nelle sue funzioni.


Photo by Delfino Sisto Legnani and Marco Cappelletti Š OMA

Photo by Delfino Sisto Legnani and Marco Cappelletti Š OMA



Photo by Delfino Sisto Legnani and Marco Cappelletti Š OMA


PLANIMETRIA PIANO TERRA

PLANIMETRIA PRIMO PIANO


PLANIMETRIA SECONDO PIANO

PLANIMETRIA TERZO PIANO


MUSEO DI ARTE ARCHITETTURA E TECNOLOGIA / Lisbona, Portogallo

Progetto MAAT – Museo di arte architettura e tecnologia Architetto AL_A Dimensioni 38000 mq

Foto di Harry Cock

Finanziatore Fundação Energias de Portugal (EDP)

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MUSEO DI ARTE ARCHITETTURA E TECNOLOGIA / AL_A

È il Maat di Lisbona. Ciò che viene esposto è arte, architettura e tecnologia. È un unico, grande e sinuoso spazio rivestito con 15mila candide piastrelle sfaccettate di Iole Costanzo

LISBONA RENAISSANCE


MUSEO DI ARTE ARCHITETTURA E TECNOLOGIA / Lisbona, Portogallo

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li artisti sono i sismografi del nostro tempo», questo ha dichiarato in un’intervista all’Arteconomy24 Pedro Gadanho il direttore del Maat di Lisbona. E del Maat in questi ultimi mesi si parla. Progettato dallo studio inglese AL_A di Amanda Levete e dagli architetti portoghesi Aires Mateus e Associados, il Maat è il Museo di arte, architettura e tecnologia costruito lungo il fiume Tejo a pochi passi dall’Ex Centrale Tejo, e inaugurato di recente. Il nuovo impianto si inserisce nel tessuto urbano modificando alcuni dei rapporti finora confermati, in particolare quello che la città nel tempo ha strutturato con l’acqua: la completa separazione. Lisbona, si sa, è luminosa e solare. E la luce è un elemento che connota particolarmente questa città. Una luce gialla e intensa che si riflette sull’acqua del grande fiume Tejo, su quell’acqua da cui la città ha nel tempo preso le distanze. A impedire un legame 82

diretto tra fiume e città c’è da sempre la strada, sia ferrata che asfaltata, una larga fascia di collegamento che in questo caso divide. Uno sbarramento che finalmente il progetto dell’architetto Levete bypassa completamente con un ponte che sembra essere il prolungamento ombelicale del Maat. Il tutto ha un’interessante complessità, una sua leggerezza e anche una sua luminosità dovuta alla riflessione che la luce solare ha sulla ceramica usata per il rivestimento esterno. E ha anche una sinuosità ben lontana dalla regolarità presente sul territorio portoghese. C’è una scalinata che porta all’acqua e che ha sostituito un muro di 12 m di altezza. La copertura ha funzione di piazza ed è da qui che è possibile godere di questa nuova liaison tra città e fiume. La Levete ha difatti dichiarato ad Artribune: «… si può godere di una vista favolosa verso il Tejo o - ancor più importante - spalle al fiume, assistere a un evento cui la città fa da


MUSEO DI ARTE ARCHITETTURA E TECNOLOGIA / AL_A


Uno dei prospetti principali: curvo e aggettante si affaccia con morbidezza sul fiume Tejo lasciandosi alle spalle lo storico edificio industriale noto come Centrale elettrica Tejo. La scala accompagna dolcemente al bordo del fiume, mentre sulla piazza posta sul tetto si passeggia godendo del paesaggio circostante



MUSEO DI ARTE ARCHITETTURA E TECNOLOGIA / Lisbona, Portogallo

sfondo, come una romantica vista notturna di una città illuminata in un film. In questo modo è possibile cogliere la relazione fra la città e il lungofiume, la loro vicinanza». Il nuovo Maat è un edificio piuttosto basso e chiaro, che non cerca un dialogo, e così forse lo trova con la vicina ex Centrale Tejo, raro esempio portoghese di architettura industriale ottocentesca realizzata in mattoni rossi e attualmente usata come ulteriore spazio espositivo del Maat e che in precedenza ha avuto funzione di museo dell’elettricità. Non è un caso che a sovvenzionare questa nuova architettura sia stata la Fundação Energias de Portugal (EDP). Il settore delle energie, si sa, è da sempre promotore dei cambiamenti e le strutture storiche si sono prestate a essere convertite in luoghi diversi, spesso in spazi espositivi dove poter vedere e riflettere su evoluzioni culturali, economiche e tecnologiche. Invece il nuovo spazio interno del Maat è curvo, ed è adatto a diverse performance. È uno spazio che

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lascia la possibilità ai curatori o agli artisti che vi saranno ospitati di interpretarlo in piena libertà. Tra l’interno e l’esterno di questa bassa struttura vi è un continuo contatto. Un contatto fatto anche di luce e continuità materica, perché è con il rivestimento che il nuovo museo concettualmente si lega agli azuleios. La superficie esterna è rivestita di15mila piastrelle bianche tridimensionali e pluri sfaccettate di ceramica che creano una sottile vibrazione fatta di luce riflessa e leggere ombre riportate. C’è ancora da dire che la Levete con questo progetto gioca con il genius loci e crea una struttura che si fonde con la riva del Tejo. Usa i materiali della tradizione e fa sì che non ci sia alcuna netta separazione tra ciò che è spazio pubblico o privato. Crea uno spazio fluido che forma connessioni e sinergie interdisciplinari. Crea un nuovo museo di concezione contemporanea che basa la sua identità sulla fusione di due linguaggi e anche due filosofie diverse: la tecnologia e l’architettura.

Sotto: planimetria generale. Sono facilmente leggibili il contrasto tra la fluida impostazione del nuovo progetto e la regolarità stutturale della vecchia centrale e il nuovo ponte che collega il fiume alla città passando per la terrazza posta sulla copertura del museo. A destra: due foto scattate dal fiume che chiariscono il rapporto che si crea tra la nuova struttura museale, il fiume e la preesistenza industriale


MUSEO DI ARTE ARCHITETTURA E TECNOLOGIA / AL_A

La copertura ha funzione di piazza ed è da qui che è possibile godere di questo nuovo legame tra città e fiume

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Entrambe le fotografie sono dell’interno del Maat: fluido, morbido e bianco. Bianco alle pareti, sul solaio superiore e sul pavimento. Spazi pensati per essere adatti ai più diversi allestimenti e che si prestano a ricevere un’identità. Quella che potrà darvi un curatore o l'artista stesso che vi esporrà


PIANTA PIANO TERRA

PIANTA PRIMO PIANO


PIANTA COPERTURA

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Dalla lettura delle planimetrie si evince quanto in questo progetto sia importante la continuità osmotica tra interno ed esterno. Dal fiume sarà possibile giungere, attraversando gli spazi espositivi distribuiti sui due livelli, in copertura. E da qui sempre in un continuum fatto di dentro e fuori sarà possibile bypassare lo sbarramento stradale ed entrare in città. E viceversa. Il Maat è anche un percorso. Un nuovo modo di vivere, assorbire, apprezzare e conoscere il fiume, le diverse esposizioni che vi si terranno, fatte di arte, architettura e tecnologia, e i luoghi urbani storici, storicizzati. Il Maat sarà un nuovo centro per Lisbona.

SEZIONE TRASVERSALE


PALCOSCENICI URBANI / Monaco di Baviera

GREEN URBANISM IL CASO DI MONACO DI BAVIERA

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PALCOSCENICI URBANI / Monaco di Baviera

Monaco è oggi l’esempio di una città verde che sollecita abitanti e visitatori a percorrerla a piedi o in bicicletta, a vivere la quotidianità immersi nei parchi. Ha una grande attenzione verso l’ambiente e la qualità della vita urbana. Qui lo spazio verde viene considerato come antidoto contro il degrado. Ciò che emerge è la fotografia di una città ospitale e “a misura d’uomo”

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PALCOSCENICI URBANI / Monaco di Baviera

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a città contemporanea vive una fase di crisi e incertezza, nella quale marginalità, esclusione, disuguaglianze sociali si accompagnano alla frammentazione degli spazi pubblici, con profonde ripercussioni sugli aspetti relazionali. Il progressivo ridimensionamento della sfera pubblica nell’organizzazione urbana, appare, peraltro, più evidente per effetto della recessione in atto e la generale riduzione dei sistemi di welfare, sebbene queste tendenze rivelino differenze e specificità nei vari Paesi. Le trasformazioni che nell’ultimo ventennio hanno attraversato la città sono state prevalentemente orientate alla costruzione di un’immagine urbana orientata alla competizione sul mercato globale: le forme, le funzioni delle città, modellate sulle logiche del city-marketing sono risultate spesso estranee ai bisogni e ai desideri dei cittadini. Logiche immobiliari speculative hanno prodotto un paesaggio di urbanizzazione diffusa che ha disperso la città nel periurbano, consumando ampie porzioni di suolo. L’esito di questi processi è una città discontinua, caratterizzata da un alternarsi di spazi costruiti, semi costruiti e aperti, che costituiscono spesso un’offerta che supera qualsiasi domanda immobiliare e pongono

L’attenzione all’ambiente in Germania e a Monaco favorisce un’elevata qualità della vita e la diffusione di una nuova concezione della natura l’attenzione sui possibili usi temporanei come tentativi di assegnare forme, funzioni e significati ad aree ricche di potenzialità ma anche condensati di criticità e degrado. L’attuale modello territoriale presenta, dunque, un grave stato di insostenibilità causato dalla continua erosione di risorse ambientali che il suo metabolismo richiede: da un lato gli effetti inquinanti e congestivi prodotti da un tipo di mobilità ancora troppo legato alla motorizzazione privata e dall’altro l’enorme spreco energetico dovuto a 94

un patrimonio costruito per lo più obsoleto. Questo scenario riporta l’attenzione sull’esigenza di contrastare l’attuale modello territoriale e di guardare a pratiche e strategie virtuose che perseguono un’attenta politica di riduzione del consumo di suolo e la rinaturalizzazione delle aree libere interne alla città, la creazione di un sistema di infrastrutture verdi, la cui trasformazione non appare più plausibile a fronte delle possibili direzioni di sviluppo. In questa prospettiva rientra anche il tema del paesaggio e dei beni culturali, trop-

Sopra: il parco annesso al Castello di Nympheburg, esempio di tardo barocco, con i suoi alberi secolari e i numerosi canali. È uno straordinario esempio di architettura paesaggistica. Vi si trovano, nascosti nel verde, quattro grandi padiglioni in diversi stili architettonici


PALCOSCENICI URBANI / Monaco di Baviera

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PALCOSCENICI URBANI / Monaco di Baviera

In queste foto: alcuni angoli dell’Englischer Garten. Una magnifica oasi naturale risalente al XVII secolo, un’estensione verde di 360 ettari che costituisce un tradizionale e storico luogo di ritrovo cittadino 96


PALCOSCENICI URBANI / Monaco di Baviera

pe volte considerati settoriali rispetto alla pianificazione ordinaria. Si diffonde il Green Urbanism che richiama l’idea di una città eco-sistemica caratterizzata da una certa dotazione in termini di biodiversità animale e vegetale presente nel territorio urbano, e, nello stesso tempo, di una città ospitale, “a misura d’uomo”, sinonimo di una cittadinanza che vive nel verde, in uno spazio aperto capace di assicurare un’elevata qualità urbana. Il concetto di Green Urbanism trae origine secondo Beatley (2000) proprio dalla volontà di plasmare luoghi più sostenibili per le comunità che in essi vivono e in cui sia possibile consumare meno risorse. Si tratta di un concetto interdisciplinare diffuso negli ultimi anni, un approccio che unisce diversi saperi e discipline e riprende teorie note come le “città sostenibili” (Beatley, 2000), l’ “urbanistica sostenibile” (Farr, 2008), la “città verde” (Karlenzig, 2007), l’“eco-città” (Lehmann, 2010), orientate a ridurre gli impatti ambientali sulle città e a perseguire uno sviluppo sostenibile. Interessanti esempi in questa direzione si riscontrano in Germania e in particolare nella città di Monaco di Baviera. Monaco è l’esempio di una città verde che sollecita abitanti e visitatori a percorrerla a piedi o in bicicletta, a vivere la quotidianità immersi nel verde e nella natura come testimoniano le rive popolate dell’Isar che scorre vicino al centro storico.

Monaco città contemporanea e high tech è l’esempio di una grande attenzione verso l’ambiente e la qualità della vita urbana. L’osservazione degli spazi pubblici di Monaco consente di ripercorrere la storia del pensiero applicato alla progettazione del verde in Baviera, poiché le diverse realizzazioni ne sintetizzano l’evoluzione. Oggi, mentre si procede con la sperimentazione di nuovi modelli per la progettazione di aree ancora libere, l’attenzione al verde costruito è più che mai puntuale, volta spesso a reinterpretarlo alla luce delle trasformazioni economiche e sociali senza stravolgerne l’identità. Nella città bavarese si percepisce come questa “tensione verde” giochi un ruolo importante anche in chiave di mobilità urbana. Lo spazio verde viene oggi, in misura sempre crescente, considerato come antagonista “naturale” contro il degrado dell’ambiente città: ordinato per cinturazioni verdi, diffuso come elemento puntuale o lineare, collante tra la città vecchia e quella moderna, lo spazio verde, considerato come reale strumento per evitare le conurbazioni di area vasta, concorre a potenziare una intermobilità verso il mezzo pubblico e a controllare la densità degli spazi interstiziali, creando lembi di paesaggio naturale che conservano e tengono stretti i legami con l’identità del territorio di origine. A Monaco, fin nella pianta urbana, è possibile riconoscere dalla periferia più esterna la presenza di im-

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portanti parchi periurbani dislocati principalmente nel settore meridionale della città, che riproducono fedelmente il disegno del territorio rurale bavarese, caratterizzato da piccoli boschi, laghi e rive attrezzate. Addentrandosi nella città si osserva una cintura verde collegata agli insediamenti urbani sorti dopo la guerra, parchi urbani di recente formazione (dislocati nel settore occidentale e settentrionale). Accanto ai giardini storici sorgono spazi verdi di recente realizzazione spesso collocati nelle aree di risulta della parte più vecchia della città, allocati fin addirittura in Marien Platz. Una magnifica oasi naturale è l’Englischer Garten risalente al XVII secolo, un’estensione verde che costituisce un tradizionale e storico luogo di ritrovo dei monacensi. Kurfürst Karl Theodor nel 1789, ne ordina la realizzazione come primo giardino pubblico d’Europa. L’Englischer Garten, ancora oggi, con i suoi 360 ettari, è il più grande parco urbano al mondo. Il 1898 segna la presa di coscienza del ruolo del verde urbano: il Ministero dell’Interno ordina che il 5% del terreno edificabile nelle nuove zone residenziali sia destinato a verde. Questo principio consente una leggera diluizione del costruito con spazi aperti molto frammentati. Ma è alla fine della seconda guerra mondiale, quando il 45% degli edifici civili e il 90% dei quartieri storici sono distrutti dai bombardamenti, che si prospetta l’opportunità di aumentare significativamente la dotazione cittadina di

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spazi pubblici. Negli anni Sessanta Monaco attraversa la fase di boom economico. In quell’epoca le idee di uguaglianza, emancipazione, animano la vita sociale tedesca e influenzano la progettazione degli spazi pubblici. Il miglioramento delle condizioni di vita e la maggiore disponibilità di tempo libero portano alla proclamazione, nel 1973, delle leggi bavaresi per la protezione del patrimonio naturale, aggiornate poi nel 1982. L’Olympiapark ne è il primo esempio di rilievo, realizzato in occasione delle Olimpiadi del 1972, o il parco fluviale lungo le rive dell’Isar, area usata per la balneazione. Nel dibattito politico tra gli anni ’60 e ’70 vengono avanzate richieste per un ‘verde democratico’: una rete di parchi, aree verdi e attrezzature sportive in grado di frammentare il costruito e rispondere al desiderio dei cittadini di poter vivere liberamente gli spazi della città. Si realizzano reti ecologiche e collegamenti naturali a beneficio dei cittadini (Cestaro, 2006). Il sistema degli spazi verdi si caratterizza per la connessione di impianti storici e moderni. Il parco annesso al Castello di Nympheburg, esempio di tardo barocco, con i suoi alberi secolari e i numerosi canali, è uno straordinario esempio di architettura paesaggistica. Vi si trovano, nascosti nel verde, quattro padiglioni in diversi stili architettonici: la Amalienburg, la Badenburg, la Pagodenburg e la Magdalenenklause. A partire dalla metà degli anni ’90 nuove aree verdi, soprattutto realizzate su aree da

L’ Englischer Garten è uno dei parchi urbani più grandi del mondo. D’estate tutta la vita della città si svolge attorno a questo immmenso spazio verde. Per molte famiglie, giovani, studenti e turisti, è una meta imperdibile. All’interno del parco scorre il torrente Eisbach e i più temerari prendono parte a un’entusiasmante tradizione tedesca: tuffarsi nel fiume e lasciarsi trasportare dalla forte corrente


PALCOSCENICI URBANI / Monaco di Baviera

risanare vengono progettate con lo strumento della progettazione partecipata, in collaborazione con adulti, giovani e bambini. La città presenta oggi un sistema di infrastrutture che facilitano il raggiungimento di queste aree verdi collegandole in tempi molto contenuti al centro storico della città. È inoltre da ricordare la politica di promozione all’uso di biciclette diffusa in molte altre città tedesche e finanziata dalle Deutsche Bahn che copre le città con più di 50 mila abitanti. In considerazione di un prevalente sviluppo radiocentrico del tessuto urbano, si osserva come l’attuale struttura del verde urbano favorisca la crescita della città del futuro capace di mantenere elevati standard di qualità dello spazio urbano. È infatti ipotizzabile, in chiave futura, che una nuova cintura e un nuovo irraggiamento di spazi verdi, circondi i nuovi quartieri in costruzione. Il caso tedesco evidenzia come l’obiettivo di diffondere la qualità insediativa ambientale anche nel nostro Paese richieda la definizione di una strategia complessiva per la qualità urbana ed ecologico-ambientale delle nostre città che, oltre a individuare delle azioni idonee a garantire accessibilità e qualità sociale a ciascuna parte delle città si concentri anche sulla qualità ecologica e ambientale. Mentre nel resto d’Europa, infatti, molte città possono già allo stato attuale godere della riqualificazione urbana dovuta all’attenzione nei confronti del sistema ambientale, le città italiane sono riu-

scite ad applicare i concetti con programmi, spesso molto approfonditi e completi come quello per Torino Città d’Acque ma limitati ad alcune aree e ad alcuni contesti urbani. L’attenzione rivolta al paesaggio, all’utilizzo degli spazi aperti urbani e alla loro riqualificazione, sono le nuove tematiche che, parallelamente a quelle già citate, contribuito a trasformare l’ approccio alla pianificazione: negli ultimi decenni infatti sono emersi nuovi contenuti e argomenti, quali l’ambiente, le biodiversità, lo sviluppo sostenibile e appunto il paesaggio, che hanno provocato un radicale cambiamento nella concezione della città, non più intesa come semplice agglomerato urbano, ma come un ecosistema a tutti gli effetti. Gli spazi verdi, l’attenzione all’ambiente perseguita in Germania e a Monaco in particolare a partire dagli anni del dopoguerra hanno contribuito alla realizzazione di città con un’elevata qualità della vita; con il tempo questi interventi sugli spazi aperti sono diventati anche uno strumento per avviare interventi urbanistici migliorativi e un mezzo per diffondere una nuova concezione della natura. Il caso di Monaco può essere annoverato come un esempio di best pratices e può indicare anche al nostro Paese la direzione a cui tendere: un Perspektivenwechsel (cambio di prospettive), per una città più verde e a misura d’uomo. (Rossana Galdini - Dipartimento di Scienze Sociali ed Economiche Sapienza Università di Roma)

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AZIENDE / Masinara SpA

La ricerca è il valore aggiunto Un’azienda che si occupa da quasi cinquant’anni di produrre accessori per serrande avvolgibili. E lo fa con professionalità e passione. Masinara Spa è una realtà importante nel suo settore, un brand conosciuto e apprezzato anche all’estero

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Made in Italy, investimenti sulla ricerca, valori solidi, professionalità: sono questi gli ingredienti vincenti della Masinara Spa, che dal 1971 è specializzata nella progettazione, produzione e distribuzione di accessori per serrande avvolgibili, tutti assemblati a Monteveglio, in provincia di Bologna. Il brand ormai è presente in cinquanta paesi nel mondo e rappresenta un importan-

te punto di riferimento per i professionisti del settore. « Il nostro – spiega Antonio Isola, Amministratore delegato dell’azienda, – è ormai un marchio italiano consolidato noto in tutto il mondo per la resistenza e il valore dei propri materiali, un’azienda che, nonostante una posizione di prestigio nel mercato di riferimento, ha intenzione di crescere ancora per raggiungere nuovi obiettivi e affermarsi anche in altri Paesi». Quando inizia la storia dell’azienda? Tutto ebbe inizio in un garage in provincia di Bologna quando, nel 1971, Romano Masinara iniziò a produrre i primi accessori per serrande avvolgibili destinati ai produttori italiani. In questi 46 anni i cambiamenti sono stati moltissimi: l’azienda ha intrapreso un lungo percorso di crescita e internazionalizzazione. Nel 2003 si è formata l’attuale compagine societaria, Masinara Spa, con una squadra di circa 25 persone. Siamo ancora una piccola impresa, tuttavia abbiamo saputo pensare in grande e ormai lavoriamo continuamente senza confini. Qual è la mission dell’azienda? La nostra azienda opera in una nicchia ben


AZIENDE / Masinara SpA

PER SAPERNE DI Masinara SpA Via Einstein, 8 Località Monteveglio 40053 Valsamoggia (BO) T. 051 969090 F. 051 969383 info@masinara.it www.masinara.it

Nella pagina a fianco, in alto: un esempio di telo completo Masinara. Nella pagina a fianco, in basso: placche colorate decorative in policarbonato. In questa pagina, in alto: una serranda completa con le finestre colorate, in basso: una bielletta

specifica: produciamo componenti per i produttori attivi nel settore delle serrande avvolgibili, siano esse industriali, residenziali o commerciali. In questo settore Masinara è un punto di riferimento riconosciuto a livello internazionale e la nostra mission è fornire prodotti di qualità, innovativi e in grado di rispondere alle esigenze del mercato mondiale. Quali sono i punti di forza di Masinara? Ci distinguono una ricerca costante per l’innovazione e la forza della tradizione tipica del made in Italy. Tutta la nostra produzione viene svolta presso la sede in provincia di Bologna, in uno stabilimento con macchinari e attrezzature tecnologicamente all’avanguardia dove quotidianamente hanno luogo lavorazioni automatizzate di altissimo livello. Quanto conta per Masinara la ricerca? La ricerca è per noi fondamentale, come testimonia la presentazione di circa venti domande di brevetto negli ultimi cinque anni e altre attualmente in corso. È

per noi l’unico motore per l’innovazione e ci permette di mantenere livelli di qualità e aggiornamento unici nel settore. Per valutare il nostro operato ci rivolgiamo a istituti di prova di fama mondiale, come l’Istituto Giordano in Italia e il TÜV in Germania. Inoltre è in corso una collaborazione di ricerca con l’Università di Bari. Come si posiziona il vostro brand all’estero? Negli anni abbiamo consolidato una posizione di leadership nel mercato a livello globale. Oggi siamo presenti in tutti i continenti, in oltre 50 Paesi e siamo considerati dai costruttori di serrande avvolgibili di tutto

il mondo un punto d’eccellenza per la qualità dei nostri accessori e componenti. Quali sono i prossimi obiettivi da raggiungere? Sicuramente vogliamo mantenere la nostra posizione primaria nel settore e per riuscire continueremo a percorrere la strada dell’innovazione. Vogliamo restare fedeli alla nostra essenza: costantemente aggiornati e originali, sempre pronti ad accettare le sfide del mercato globale e a rappresentare la qualità del made in Italy.

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ANTICO E POSSENTE

DESIGN / Ferro

Ferro laminato. Ferro zincato. Ferro decapato. Battuto. Corten. Lucido. Arrugginito. Il ferro è liscio ma può essere anche ruvido. Ha un suo odore. E questo è forte e intenso. Ha quasi sapore di terra. Ha qualcosa di antico. Di profondo. Di primordiale. Il ferro accompagna l’uomo da sempre. E infatti l’uomo lo ha modificato. Fatto suo. Usato. Conosciuto. Fino ad esaltarlo. E così tanto da crearvi anche un’architettura. L’architettura del ferro. Un’architettura unica, possente e dominante. Un’architettura che ha segnato il tempo. Che è diventato simbolo di un passaggio. Di un profondo cambiamento che ha condotto all’industrializzazione, alla Rivoluzione Industriale. E così sono cambiati i processi di fusione ad altissime temperature e gli impianti siderurgici sono riusciti a produrre grandi elementi. E influenza su influenza il ferro fa cambiare il campo dell’edilizia. Nascono le grandi strutture. Nuovi spazi. Nuove funzioni. Nuove idee. Tutto è cominciato con Eiffel, il padre della famosa torre parigina, con Paxton il costruttore del Crystal Palace, con Roebling il progettista del Brooklyn Bridge. Ma i cambiamenti non sono solo in questo campo. Il ferro è diventato design così come artigianato. Distinzione valida solo oggi perché era senza alcun senso agli inizi del secolo scorso. Il ferro diventa altro. Cresce. Si arricchisce di altre valenze. Un esempio per tutti il leggero e svettante ponte di Alamillo, il ponte strallato progettato da Santiago Calatrava a Siviglia e che attraversa con leggerezza il fiume Guadalquivir. O sì, il ferro cambia. Diventa espressione. Diventa anche arte, scultura in particolare. E questo antico materiale naturale scopre di avere anche un’anima. Un’anima possente, profonda ma anche leggera ed espressiva come quella che sono riusciti a trovarvi artisti del calibro di Calder, di Arnaldo Pomodoro o di Beverly Pepper. Ring-O, Daa. Le forme semplici e minimali dei cerchi che si intersecano fra loro formando uno spazio tridimensionale traducono, in questa seduta, il movimento oscillatorio e libero di un’altalena. La componente ludica capace di innescare sorprendenti emozioni incontra la funzionalità dei progetti d’arredo del designer Saverio Incombenti. 102


DESIGN / Ferro

Soho, Ronda Design. Una capiente madia proposta anche nella versione con porta televisore a scomparsa grazie a un sistema di sollevamento elettrico. L’originale sistema di appoggio centrale è poco invasivo e fa sì che la madia sembri appesa mentre in realtà poggia a terra.


DESIGN / Ferro

Posato, Toupatou. Disegnato da Orietta Marcon, è un coffee table della collezione living, versatile nell’uso, da ambientare sia negli spazi interni sia in esterno, terrazze e giardini. Il gioco di intreccio delle gambe conferisce solidità e slancio alla coppia di tavolini in ferro verniciati a polveri nero matt.

Sedia, Officine del Ferro. Seduta in lamiera di ferro piegata, che sintetizza le linee ergonomiche essenziali di questo oggetto quotidiano. Gambe, schienale e seduta sono ottenute da un’unica lamiera, nervata lungo il perimetro esterno per dare struttura alla seduta ed evitare l’effetto “tagliente” della lamiera al vivo. Disponibile in varie finiture.

Dentro, Marco Ripa. Tris di tavoli identici nella trama ma non nelle dimensioni. Il loro intersecarsi, uno dentro l’altro e l’altro fuori dall’uno, dà vita a trasparenze infinite, inaspettate e geometriche.

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DESIGN / Ferro

Iron- ic, Ronda Design. Sinuosa, versatile e materica, è una libreria dall’architettura modulare in ferro naturale basata sull’assemblaggio a incastro dei componenti di ogni modulo. I lati curvilinei le conferiscono l’originale look ondeggiante.

Hystrix, Cattelan Italia. La finitura OP0 della base di questo tavolo identifica una verniciatura trasparente su materiale ferroso grezzo. La presenza più o meno evidente di macchie, variazioni cromatiche, graffi e bordi irregolari è caratteristica della lavorazione particolare del materiale e non è da considerarsi difetto.

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DESIGN / Ferro

Otto, Toupatou. Uno specchio in ferro artigianale, in scatola a forma rotonda. La rotondità della cornice è interrotta dalla fascia frontale, un elemento volutamente evidente che contribuisce a creare una tasca portaoggetti multiuso. Realizzato in ferro verniciato a polveri è disponibile nei colori bianco e nero opachi.

Celato, De Castelli. Un mobile a cassetti con molti spazi interni, quasi segreti, ai quali si accede grazie a una lieve pressione della mano sulla superficie frontale. La corazza esterna, che abbraccia i cassetti in legno, è disponibile in ferro acidato e in tutti i metalli che De Castelli utilizza nelle sue produzioni.

Ramo, Modoloco Design. Questa lampada si presenta proprio come un ramo o un fiore reciso: non possiede, cioè, una base per mantenere la sua condizione di equilibrio. Deve, quindi, essere collocata all’interno di un vaso o di un contenitore. È realizzata in tondino di ferro verniciato bianco con un diffusore in polietilene bianco opalescente.

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DESIGN / Ferro

Lampadario a sospensione, Persico Studio. Realizzato in ferro acidato, fatto a mano e su misura. Un design originale, molto creativo, il corpo è composto da figure geometriche rettangolari in stile moderno. La tonalitĂ del ferro grigio scuro ha l’effetto ghiacciante che va in contrasto con la luce gialla per un effetto stellare.

Prima, Officine Tamborrino. La libreria si compone di semplici elementi verticali e orizzontali, uniti da un pratico sistema a incastro, che consentono di comporre i moduli nelle varie dimensioni e adattarla ai diversi spazi. La libreria modulare Prima ha aperto la strada a un nuovo modo di intendere, progettare e realizzare oggetti di design in metallo.

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RICICLARE PER MIGLIORARE

DESIGN / Ferro

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DESIGN / Ferro

Recuperare il ferro è importante sia dal punto di vista ambientale che da quello economico. Come spiega Nicola Grillo dell’Associazione Italiana Recuperatori Metalli. Che specifica anche che in Italia siamo molto bravi a farlo

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l recupero del ferro è da sempre una delle attività principali che contraddistingue il nostro paese. Attività che ha un indotto notevole grazie anche alla qualità dei prodotti siderurgici. Infatti, il prodotto ricavato al termine delle lavorazioni di recupero, sebbene costi di più rispetto a quello di altri paesi, è tra i più richiesti ed esportati al mondo. «Il costo più alto - spiega l’ingegner Nicola Grillo, presidente di AIRMet, Associazione Italiana Recuperatori Metalli - è dovuto alle molte spese che gli impianti di recupero sono costretti ad affrontare al fine di ottemperare ai vincolichelanormainmateriaambientaleprevede». Come avviene il recupero del ferro?

Il recupero del ferro avviene negli Impianti autorizzati all’esercizio di tale attività, mediante una selezione iniziale in cui vengono eliminate le macro impurità che possono essere presenti nei materiali che giungono negli impianti, quali plastiche, legno, carta, ecc. Successivamente, in base alle caratteristiche e alla qualità del materiale ferroso, si possono intraprendere due diverse tipologie di recupero: 1) il materiale viene compattato, attraverso presse meccaniche, per essere poi destinato agli impianti dotati di mulini dove avviene la frantumazione. Da tale processo si ottiene un materiale chiamato “proler”, di piccolissime dimensioni, che viene poi re-immesso nel mercato e da cui si possono ottenere materiali metallici (che manualmente sarebbe stato impossibile separare); 2) il materiale in ingresso viene ridimensionato attraverso l’utilizzo di presse cesoie, il prodotto lavorato verrà conferito presso le acciaierie e/o fonderie che lo utilizzeranno per la produzione di tondino, billette, ecc… secondo la qualità del materiale e il tipo di impianto. Esistono poi gli Autodemolitori, Impianti che recuperano i veicoli fuori uso, che dopo aver bonificato un veicolo, da tutti gli elementi pericolosi e recuperabili (pneumatici, plastiche, vetri, ecc), lo

conferiscono agli Impianti di frantumazione in cui si ottiene il materiale ferroso pulito da re-immettere sul mercato. Quanto è importante recuperare il ferro?

L’attività di recupero del ferro deriva dallo sfruttamento delle risorse naturali e di conseguenza è di primaria importanza sia per questioni ambientali che economiche, considerando anche che il nostro paese non possiede giacimenti minerari ed è quindi costretto a importarlo dall’estero. Quanto ferro viene riciclato ogni anno in Italia?

Le acciaierie in Italia riciclano circa 14.500.000 tonnellate di rottami ferrosi (ferro, ghisa e acciai). Mentre il quantitativo medio di un Impianto di recupero di ferro trattato in un anno è di circa 57.500 tonnellate.

Ing. Nicola G.Grillo, presidente di AIRMet. Sotto: un cumulo di rottami ferrosi e una cesoia idraulica da demolizione. Nella pagina a fianco: una demolizione tramite fiamma ossidrica

Da cosa arriva principalmente il ferro che viene riciclato?

Il ferro che viene riciclato arriva principalmente da: scarti di lavorazione delle industrie siderurgiche; scarti di demolizione industriali costituiti dalle armature ferrose delle costruzioni edili abbattute; scarti di lavorazione di cantieri navali e ferroviari; scarti di lavorazione di attività artigianali (fabbri, carrozzieri, meccanici, serramentisti, ecc); imballaggi di merci (fusti, fustini, barattoli, ecc); raccolta differenziata dei comuni; scarti urbani (padelle, attrezzi, scaffali, cancelli, ecc). Lei definirebbe il ferro come un materiale sostenibile?

Possiamo sicuramente dire che il ferro e i metalli in genere sono materiali sostenibili, perché questa forma di riciclo “riutilizzo” si svolge nel rispetto dell’ambiente e nella conservazione delle risorse naturali (minerale di ferro), oltre ad avere un impatto sociale ed economico notevole.

Le importazioni

Il nostro paese non possiede giacimenti minerari: le miniere di ferro, presenti in Val d’Aosta, nell’Isola d’Elba e in Sardegna, sono state abbandonate a causa della bassa concentrazione di minerale presente e agli elevati costi di produzione. Siamo costretti quindi a importare il ferro dall’estero principalmente da Brasile, Mauritania e Sudafrica. Per quanto riguarda il rottame ferroso, in Italia circa il 30% del totale che viene lavorato arriva quasi completamente dal mercato europeo, soprattutto da Germania e Francia, mentre solo una piccola parte proviene dai paesi extraeuropei.

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CREARE RIUTILIZZANDO

DESIGN / Ferro

Con gli scarti industriali ha plasmato oggetti di design che spesso sono considerati opere d’arte. Quasi sempre pezzi unici che oggi sono esposti in giro per il mondo. Roberto Mora ha fatto del ferro di recupero il suo materiale d’elezione esplorandone le mille potenzialità

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Roberto Mora, 52 anni, artista e designer, è nato a Parma ma oggi vive e lavora a Sant’Ilario d’Enza in provincia di Reggio Emilia. Il suo lavoro è presente in importanti collezioni private italiane e straniere

esigner, classe 1964, nato a Parma, autodidatta. Segni particolari? Ama il ferro, soprattutto il ferro di recupero. Roberto Mora comincia la sua carriera come pittore e grafico ed è nel 1993 che sposa le teorie del design radicale. Esplora per la prima volta le possibilità del ferro, accostandolo ad altri materiali, realizzando container per lo spazio espositivo Dilmos di Milano, container che saranno poi esposti alla Biennale di Lisbona nel 1994. È nel 2008, dopo diverse esperienze e collaborazioni in Italia e all’estero, e dopo aver esposto in tutto il mondo, che presenta la prima collezione che ha come protagonista assoluto il ferro: si chiama “Carta & Cartocci” e comprende contenitori di vario genere, tavoli e consolle in cui il ferro simula la leggerezza e la fragilità della carta. Il riciclo è un emblema del suo lavoro, assemblando il ferro crea oggetti-opere in bilico tra

funzione e distrofia della forma. Non ama la produzione seriale, di solito espone i suoi prototipi o le sue opere realizzate in edizioni numerate in eventi internazionali dedicati al design. La maggioranza della sua produzione nasce, dunque, dal riutilizzo del ferro che proviene dagli scarti industriali: «Negli scarti dell’industria ho sempre intravisto un tesoro», ha dichiarato nel 2014 in un’intervista rilasciata al sito di Marie Claire. Fra tanti materiali, cos’ha il ferro di speciale?

Lo si può trovare nelle forme più disparate, e quando lo “saldi” è come disegnare nello spazio. Il ferro ha molte potenzialità inespresse?

Sì, se lo guardo con il mio occhio. Da sempre la-


Nella pagina precedente: tavolo Go (2008), in ferro sbalzato e verniciato, pezzo unico; mensole Paper (2009) e libreria Vertical paper (2008), entrambi della collezione “Carte & Cartocci” ed entrambi in ferro sbalzato e verniciato. A sinistra: l’appendiabiti Amphora, in ferro riutilizzato (2015). Sotto: sedia RE-Eames, in ferro verniciato (2013)

voro con gli scarti del taglio al laser, ho sempre immaginato un abbinamento in architettura che contemplasse i negativi del taglio al laser: inferriate, pareti attrezzate, pareti per il verde, paratie, gazebo, ecc. Mentre sul tema della trasparenza e leggerezza dei volumi, il ferro ha da dire ancora tanto. Con il ferro ha spesso omaggiato icone del design internazionale.

Sì l’ho fatto in questi ultimi anni. Chiamandolo, di volta in volta, omaggio, reinterpretazione, rivisitazione, cover. Charles Eames, Verner Panton, Gerrit Rietveld, tre giganti del design, hanno disegnato sedie che sono diventate intramontabili, vere leggende del design. Queste sedie, con rispetto e umiltà, le ho interpretate con il ferro. È nata così una collezione in edizione limitata, nessuna produzione, pochi pezzi realizzati con le mie mani, firmati e numerati. Lei ha utilizzato scarti industriali per realizzare le sue creazioni. È stata una scelta puramente estetica oppure ha a che fare anche con la sostenibilità?

Nessuna delle due motivazioni. All’inizio, parlo di più di vent’anni fa, il ferro di recupero rappresentava per me il modo più diretto ed economico di realizzare sculture. L’aspetto esistenziale era comunque imprescindibile. Nel tempo sono rimasto legato alla magia del riutilizzo, quella di quando vai a caccia e non sai quale sarà la tua preda. Il 70% del mio lavoro nasce appunto dal riutilizzo di scarti di stampaggio e di taglio al laser del ferro. Qual è la realizzazione in ferro a cui è più legato?

L’Amphora sicuramente, un oggetto onirico e surreale per la funzione che gli ho voluto attribuire. Un guardaroba inatteso. Sono legato a questo progetto che mi ha tenuto impegnato per due mesi interi. Qui leggerezza e trasparenza si fondono indovinando una trama leggera e dinamica come una calza elastica. In quale delle sue collezioni in ferro si sente di avere espresso al meglio il carattere di questo materiale e perché?

Credo siano gli oggetti nati come “Carte & Cartocci”. Una serie di contenitori, tavoli, mensole, ecc. Qui è dove chiedo al ferro di mostrarsi mimetico e diventare un’altra cosa. Percuoto e schiaccio la lamiera, la modello al punto da farla apparire carta stropicciata, la verniciatura bianco opaco fa il resto.

Guardando il panorama del design italiano ma anche internazionale, secondo lei il ferro è poco utilizzato?

C’è molta attenzione ai materiali nuovi e ai nuovi sistemi di costruzione in 3D. Chi progetta spesso preferisce il legno o altri materiali e usa il ferro per strutture portanti o connessioni. Penso e vedo che tanti architetti e scultori utilizzano il ferro da elemento portante e pure come materia portatrice di soluzioni.





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