Confronto Marzo/Aprile 2016

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Anno 43 N°1 Marzo/Aprile 2016

foto: Damiana Canonico

Politica: LE MINORANZE rompiscatole per un’Italia più cosciente

Arte e cultura: leggende e storia tra terra e cielo

Ambiente: scoperto un duomo nel golfo di Napoli, allarmismi giustificati? 1

Anno 43 - n° 1 marzo/aprile 2016


Del dover essere minoranza, del volerlo essere: della funzione delle minoranze laiche Chiamare alla coerenza,chiamare alla

razionalità, chiamare alla morale senza invocare un compenso extraterreno, dichiarare che non c’è bisogno di una religione, di una trascendenza per sentire dal di dentro una morale, non fa voti, non fa consensi, ma, come dice Ossorio, fa riflettere e crea fiori da cui usciranno i frutti di una più serena vivibilità, fondata sulla primigenia rottura di totem e tabù,

poi sul consenso del divorzio, dell’aborto, della forte partecipazione civile alla vita sociale, al confronto delle idee,alla sintesi di esse di hegeliana memoria.. VIVA i laici e il loro coraggio di esserlo, e il loro sacrificio di viverlo! Elio Notarbartolo

Le alleanze alle comunali si fanno su obiettivi politici, non su persone da promuovere Una

persona, troppo piena di sè, non conoscerà mai i propri limiti e, quindi, non sarà in grado di circondarsi delle persone giuste che lo aiutino ad andare oltre i propri limiti. Si arriva al paradosso di attorniarsi di “fratacchioni” (a Napoli possiamo usare anche il termine “bizzochi”) dell’ambientalismo pezzottato e non accorgersi che ci sono 2-3 milioni di euro alla pagina “Condono edilizio”, sezione “Zone vincolate”, da svincolare con un minimo di collegamento e di cooperazione con la Sovrintendenza BB.AA. Naturalmente, persone di questo tipo, anche se incontrano manager ed esperti dell’Economia, se appena pensano di poterne avere ombra, preferiscono litigare con loro ed esonerarli, per esempio, dalle funzioni di Assessore che, semmai in fase preelettorale, aveva considerato come persone all’altezza di una grande città come Napoli. Succede, in conseguenza che il bilancio della città debba piangere circa 700 milioni di euro, tenuti prigionieri in banca a formare i Residui Passivi per l’incapacità della corte del sindaco

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a spendere questi soldi che sono già stanziati per la spesa. Queste somme (quelle delle pratiche di Condono ferme nelle zone vincolate e le altre trattenute come residui passivi in banca hanno fortemente penalizzato il mondo del lavoro a Napoli perchè esse, da sole, se liberate dalle catene burocratiche, avrebbero prodotto lavoro e dinamiche economiche su tutto il territorio. E chiudiamo tutti e due gli occhi sulla (non) gestione del patrimonio edilizio del Comune. E’ vero, c’è stata la defezione dell’ereditato gestore Romeo, ma anche nei più piccoli episodi edilizi (vedi il recupero dello Sferisterio a Fuorigrotta) quel minimo che si doveva fare per far aprire un cantiere non è stato fatto. Beh, De Magistris non può assolutamente lamentarsi di essere rimasto solo. L’ha voluto lui. Ora, per quanto riguarda il futuro, bisogna preliminarmente ribadire alcune cose: che la nostra è una fondamentale cultura della Sinistra;

che la nostra lealtà agli accordi sottoscritti, come è stato per i 100 anni che ci hanno preceduto, è rimasta inalterata; che,però,le nostre eventuali alleanze non mirano a che qualcuno dei “nostri” si assicuri un minimo di carriera politica, e altri, pochi ma sempre “dei nostri” siano pagati con una posizione amministrativa di rilievo; essi devono essere sottoscritti sulla base di precisi obiettivi politici da cogliere per la città, che devono essere, prima di tutto, ben scritti ( ce ne abbiamo, ce ne abbiamo, solo parte di essi sono contenuti nelle premesse di questo scritto), poi firmati e sottoscritti con noi da quel leader appartenente ad una cultura politica di Sinistra che avrà manifestato interesse per le nostre idee e la nostra organizzazione. Tutto dovrà far parte di un chiaro protocollo d’intesa che contenga anche dei momenti di verifica dell’operato durante la Consiliatura che si andrà ad eleggere.


Una sfida lunga 700 metri Piccole

e grandi lobbies stanno silenziosamente prendendo posizione, a Napoli, cercando di capire, in tempo, chi sarà il candidato a Sindaco con maggiori possibilità di vittoria. Noi del Confronto, una scelta di massima l’abbiamo già fatta. Voteremo a Sinistra, ma abbiamo il problema di non far conteggiare i ns voti direttamente al sig. Renzi, perchè, tra l’altro, non condividiamo la sua tracotanza da guascone e il suo “non cale” su tanti temi di democrazia. Contemporaneamente, non possiamo non ricordare a De Magistris che l’onestà è una condizione solo necessaria, ma nient’affatto sufficiente ad affrontare ,da Sindaco, le problematiche di una grande città. E Napoli è grande in tantissimi sensi.

sperando che non siano fasulli, il restauro di quella via sotterranea realizzata da Cocceio che, partendo dalla tomba di Virgilio, alle spalle della chiesa della Madonna di Piedigrotta, fora il tufo di Posillipo per affacciarsi sulla piana di Fuorigrotta, per nobilitare simbolicamente il programma che ancora non hanno avuto il coraggio di pubblicare. A partire dal ‘500, essa è ricordata negli scritti di tanti nobilissimi viaggiatori che hanno visitato la città, e riportata in tantissime visioni di tantissimi Paesaggisti europei. Una volta, essa accorciava la via verso Baia e, poi, verso Roma. oggi, obiettivamente, ci sono la galleria delle 4 Giornate e la galleria Laziale che

protettore di Napoli, che vendette a Silio Italico quell’appezzamento di terra ove ancora oggi è in piedi quel colombaio che è conosciuto come la tomba del grandissimo poeta dell’Eneide, dove sono conservati quei versi che ricordano a tutti il suo grande amore per la città. Confessiamo di non credere nei miracoli, specialmente inutili, a cui è legata la devozione di tantissimi Napoletani. Manteniamo, però, una sottile propensione verso le persone che la tradizione popolare riconosce come portatrici di buon augurio. Che il prossimo nuovo Sindaco di Napoli si ispiri concretamente al protettore laico di Napoli e alla cultura di cui Virgilio è l’indiscusso simbolo, e che, insieme, producano il grande miracolo che la città aspetta!

Foto in copertina di Damiana Canonico

Direttore responsabile Iki Notarbartolo Direttore editoriale Elio Notarbartolo Anche in quello culturale e turistico. Il turismo sta celebrando un suo autonomo ritorno di fiamma, merito solo di Napoli, della voglia allargata di cultura, e della problematicità di andare a spendere all’estero. Proprio sul tema della cultura e del turismo, a questi candidati a Sindaco nascosti noi del Confronto lanciamo una proposta culturale ed una sfida operativa. Ad Est della città, il restauro di 6 nuove domus di Pompei sta rinnovando al mondo il fascino della Romanità vissuta nel quotidiano. Ad Ovest,Pozzuoli e Bacoli stanno risvegliando il richiamo del canto elle sirene, degli dei, dei miti , e dei templi. Napoli può rivendicare la sua mai cancellata grande gloria di città immortale e sempre vivida della Grecità, della Romanità e tanto altro. Come? Proponiamo a questi candidati,

questa funzione la svolgono sicuramente meglio. Ma vuoi mettere il prestigio del vecchio percorso romano con il tempietto dei riti fallici dedicati a Priapo e la chiesetta di epoca barocca di S. Maria della Grotta che si incontrano lungo il suo breve percorso di 700 metri? Il percorso fu abolito nel 1893 a causa delle precarie condizioni statiche. Se, però, la manutenzione riusci’ ad Alfonso e Ferrante d’Aragona a fine ‘400, se essa riuscì a Pietro da Toledo a metà ‘500, se Carlo di Borbone mise il suo nome a sigillo della manutenzione a metà ‘700, se Giuseppe Bonaparte, all’inizio dell’’800 volle anche illuminarla, non sarà una cosa impossibile riaprirla ai giorni nostri! Per rivendicare la continuità dell’antico prestigio grecoromano che, sicuramente, non è l’ultimo richiamo della nostra città, per riportare in auge il prestigio greco -romano di Virgilio, benefattore ed indiscusso

Hanno collaborato: Margherita Calò, Vincenzo Caratozzolo, Mario Conforto, Silvana D’Andrea, Angelo Grasso, Paolo Gravagnuolo, Raffaele Graziano, Franco Lista, Luca Maiorano, Gianluca Mattera, Gilda Kiwua Notarbartolo, Franco Ortolani, Gennaro Pasquariello, Maria Carla Tartarone, Teresa Triscari, Girolamo Vajatica, Sergio Zazzera Periodico autofinanziato a distribuzione gratuita confronto@hotmail.it elio.notarbartolo@live.it www.ilconfronto.wix.com/ilconfronto

Registrazione n° 2427 Trib. di Napoli del 27/09/1973 Casa Editrice Ge.DAT. s.r.l. Via Boezio, 33 Napoli Attività di natura non commerciale ai sensi del DPR 26/10/1972 n° 633 e successive Stampa: AGN s.r.l. via Vicinale Paradiso 7 80126 Napoli

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Ambiente

Golfo di Napoli: “Duomo in mare!” Geologo Ortolani: “area attiva ma niente allarmismi”

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mass media hanno lanciato la notizia “scoperto duomo con emissione di gas nel Golfo di Napoli”; la notizia è ufficiale ed arriva dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), che insieme al Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Firenze, e all’Istituto per l’ambiente marino costiero e di geoscienze del Consiglio nazionale delle ricerche (che ha sede a Napoli), ha rilevato la presenza di un duomo nel

Golfo di Napoli”. Indubbiamente è una importante scoperta ma certamente non allarmante. Come ha suggerito l’amico Gino Strino è un...DUOMO IN MARE! Naturalmente si dovrà leggere tutta la nota scientifica. Per ora si ricorda che il ritrovamento non sarà l’ultimo. L’attività vulcanica che ha originato il “duomo”, a quanto si legge dai mass

media, è da riferire al periodo compreso tra circa 10.000 e 4000 anni fa. Si ricorda che anche quella che oggi è l’area urbana di Napoli in quello stesso periodo fu interessata da fenomeni vulcanici e da assestamenti tettonici che hanno scolpito l’attuale assetto morfostrutturale come ad esempio la collina di PosillipoCapodichino, i Camaldoli ecc. Viviamo su un territorio che momentaneamente è “tranquillo”. L’uomo è stato incosciente ad insediarsi in un’area ancora attiva come i Campi Flegrei e la zona vesuviana. Speriamo che noi ce la caveremo! Comunque per ora non c’è da preoccuparsi più di quando non era stato fatto il ritrovamento del duomo. Nessun allarme. Le nostre aree sono adeguatamente monitorate ma... sempre aree attive sono! Franco Ortolani

Terra dei fuochi, un’App per contrastare i disastri ambientali In Terra dei fuochi, i disastri ambientali

si combattono, da oggi in poi, anche con l’uso della tecnologia. Esiste, grazie allo sviluppo di un’App Sma Campania, la possibilità di segnalare i roghi tossici e le micro-discariche. Si fotografa la realtà e geo-localizzando il territorio i dati rilevati finiscono nel centro elaborazione statistiche della Sma Campania (società in house della Regione). Essi servono per l’allerta delle organizzazioni preposte allo spegnimento degli incendi e dello sgombero dei rifiuti nelle aree extraurbane. I cittadini sempre di più stanno diventando delle sentinelle e, per dirla con il vice prefetto Cafagna: «Sono dei detective ambientali». Un aspetto di rilevanza ecologica, sul quale la Sma Campania percorre la sua mission, è l’audit ambientale nei Comuni del “Patto della Terra dei fuochi”. Dei nostri dipendenti insieme agli Osservatori civici incontrano periodicamente gli assessori ed i sindaci, di quei Comuni, per aprire discussioni e confronti sugli aspetti critici. Insomma la Sma Campania è, di fatto, il braccio operativo della Regione Campania in materia d’ecologia. Creare, quindi, una

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cinghia di trasmissione e di raccordo tra le istituzioni e le comunità locali. Per quanto concerne l’App Sma Campania il download è su Play Store e Google Store. il sistema operativo è molto semplice: ci si registra con le proprie credenziali e numero telefonico; poi ci sono i vari settori di interesse, ad esempio: incendio boschivo, incendio rifiuti, discarica, piromane,

visualizzazione segnalazioni, info su progetto. Il titolo dell’App è: “Aiutaci a spegnere i fuochi”. I loghi istituzionali cui fanno parte della collaborazione sono: Prefettura di Napoli attraverso il delegato del governo al contrasto degli incendi; l’Anci Campania, la Regione Campania e il COHEIRS (Civic Observers for Health and Environment: Initiative for Responsibility and Sustainability) Inoltre, sempre nell’App vi è la voce VIP cui serve per gli Osservatori civici i quali rilasciano anche delle brevi descrizioni sulle micro-discariche e i roghi tossici. .

Mario Conforto


Difendiamo la nostra Costituzione Sono decenni che la nostra luminosa

Costituzione – tra le più esaltanti in Europa per la tutela dei valori della democrazia e del lavoro – è avversata da grette forze conservatrici che auspicano , in varie forme , il ripristino di regime autoritario . Non dobbiamo ignorare la recente storia della nostra Repubblica dove personaggi quali Pacciardi , Sogno , Borghese , Gelli ed altri operarono ,manifestamente contro il popolo “sovrano , per la restaurazione di poteri forti garanti solo iniqua distribuzione e traviando il rapporto tra elettori ed eletti . Né abbiamo dimenticato che dieci anni fa un referendum popolare difese il nostro paese da attentati al dettato costituzionale . Occorreva un sedicente premier di sinistra (sic), un parlamento “nominato” con aberrante ed illegittima legge elettorale –la cui incostituzionalità fu sancita da una corte che però non sancì l’immediata decadenza dei “nominati” – per vedere demoliti i principi fondanti della democrazia. Lentamente il paese sta subendo intollerabili erosioni dello stato di diritto; ignobili leggi ignoranti il dettato costituzionale, frutto di gravi compromissioni (ivi incluse intese con pregiudicati dell’opposizione) e

di pressioni (minacce di epurazioni e di sostituzioni in caso di dissenso) rendono uno sconsolante quadro fatto di una classe politica culturalmente inadeguata e moralmente corrotta. Una classe politica strumentalmente e consapevolmente condotta per mano da un “governo costituente” (sic) che ritiene la Costituzione quale strumento di conservazione del proprio potere (con l’alibi della governabilità), che ignora valori quali patto sociale e garanzia di convivenza. E’ scandaloso ignorare questioni di costituzionalità e conseguente legittimità che sono alla base dell’esistenza dell’attuale parlamento ed esecutivo; è insopportabile assistere all’omologazione di tale abominio da parte delle più alte cariche della Repubblica ed ad un’informazione acriticamente inneggiante “al nuovo corso”; è intollerabile subire da questo esecutivo riforme che limitano sostanzialmente irrinunciabili spazi di partecipazione democratica. Il prossimo appuntamento referendario costituisce pertanto momento decisivo per il recupero della negata sovranità popolare. Purtroppo il contributo affabulante dell’informazione ( TV e carta stampata ), ormai quasi totalmente gestita da poteri non conciliabili con la tutela degli interessi democratici della collettività,

non consentirà chiara consapevolezza del pericolo. Inoltre, la confusionaria e giuridicamente incoerente proposta di riforma della Costituzione ed il relativo testo del referendum abrogativo, formulati da legislatore culturalmente carente – come documentato da giuristi degni di questo nome -, verranno presentati come panacea ai gravi problemi che affliggono la nazione, attraverso la consolidata tecnica dei proclami e degli annunci. Occorre dunque mobilitarci e reperire faticosi strumenti informativi per far conoscere la verità: la Costituzione va difesa! Essendo, infine, l’alibi della governabilità la motivazione centrale della riforma, desidero mutuare il pensiero di Gustavo Zagrebelski: “Governabile è chi si lascia docilmente governare e chiediamo: chi si deve lasciar governare e da chi? Noi pensiamo che occorra “governo” non governabilità e che governo, in democrazia, presupponga idee e progetti politici capaci di suscitare consenso, partecipazione, sostegno. In assenza la democrazia degenera in linguaggio demagogico, rassicurazioni vuote, altra faccia della rassegnazione e dell’abulia: materia passiva, irresponsabile e facile alla manipolazione”. Vincenzo Caratozzolo

Un’eccellenza procidana:Antonio Scotto di Perta Durante l’estate, mentre a Suez fervevano

i lavori per il raddoppio del canale, è apparsa, con grande discrezione, sulla facciata del palazzo di via Principe Umberto, 52, una targa commemorativa, nella quale si legge: «In memoria / del / cap. Antonio Scotto di Perta / Procida 1855-1924 / primo procidano fra i piloti del Canale di Suez / ne fu collaudatore e consigliere per il miglioramento del / traffico navale / pioniere e strenuo difensore dei diritti della gente di mare / fu nominato Cavaliere del lavoro e Console d’Italia a Suez / lasciò imperituro ricordo in terra d’Egitto, che ancora oggi / lo ricorda ad Ismailia con una lapide commemorativa / orgoglio di Procida marinara». Antonio Scotto di Perta, dunque, era nato a Procida il 6 marzo 1903, da una famiglia che aveva rapporti con l’Egitto,

e in particolare con la città di Ismailia. Diplomatosi capitano nell’Istituto nautico dell’isola, scelse di andare a svolgere – al pari di altri suoi conterranei – attività di pilota nel Canale di Suez. La sua abilità diplomatica, oltre che professionale, non tardò a manifestarsi, al punto che con decreto ministeriale del 24 aprile 1902 fu autorizzata la sua nomina ad agente consolare d’Italia a

Ismailia, nel «territorio lungo listino di Suez», come si legge a p. 165 del 3° volume dell’opera di L.A. Balboni, Gl’Italiani nella civiltà egiziana del secolo XIX (Alessandria d’Egitto 1906). Inoltre, con regio decreto del 7 marzo 1938, su proposta del ministro degli esteri, gli fu conferita l’onorificenza di Cavaliere del Regno; peraltro, nel supplemento della Gazzetta Ufficiale del 2 novembre 1938, che pubblica tale provvedimento, accanto al suo nome figura l’indicazione della città di Gerusalemme, il che lascia intendere che la sua attività diplomatica ne aveva determinato il trasferimento. E altrettanto dicasi per Gibilterra, dove egli si spense il 30 aprile 1966. Il suo corpo ora riposa nel cimitero di Procida, in un monumento posto in fondo al viale centrale, sul lato sinistro. Sergio Zazzera

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Napoli ferita Poco tempo fa è apparso su tutti i giornali

la notizia della chiusura di alcuni reparti dello storico Ospedale Santa Maria del Popolo Incurabili: un’ala a rischio crollo ha costretto alla chiusura del pronto soccorso ostetrico, per fortuna senza conseguenze per operatori e pazienti. A seguito sopralluogo dei vigili del fuoco sono stati inibiti alle attività, i locali della unità operativa complessa di ostetricia e ginecologia, sala parto e neonatologia del presidio ospedaliero con la chiusura del punto nascita degli Incurabili, nel popolosissimo centro storico di Napoli. Non bastava la chiusura del pronto soccorso a causa dello “spending review”in nome della razionalizzazione del sistema sanitario Ma come si può chiudere un pronto soccorso ostetrico nel cuore di Napoli? Impedire ai cittadini della zona, alle donne gravide, alle puerpere, a neonati , di servirsi di una struttura che opera da ben cinquecento anni? Siamo tutti a conoscenza della decisione del Presidente della Regione De Luca di eliminare tutti i nosocomi della città e convergere tutti gli operatori nell’Ospedale del Mare che a breve verrà aperto. A detta di molti, sembra che l’Ospedale del Mare non sia affatto pronto, ed inoltre come possono convergere tanti operatori, assistenti, professionisti del settore? Anche se l’assessorato per la sanità della regione Campania, aveva previsto specifici finanziamenti per il

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ostetrica e pediatrica, che già ha visto chiudere il suo punto nascita, sebbene raggiungesse la ragguardevole cifra di 1300 parti all’anno, ha privato nei fatti un tradizionale approdo per la maternità nel centro antico. Rimane comunque che neanche le suore di clausura pur riunite in un comitato per raccogliere firme per evitare che lo storico santo Ospedale venisse chiuso

nascita all’ospedale S. Gennaro, vero fiore all’occhiello dell’assistenza sanitaria del centro antico di Napoli, rinnovato solo pochi anni prima con spese ragguardevoli per il raggiungimento di standard di efficienza e qualità e con una sala parto dedicata ed esclusiva ed attigua al reparto di degenza post partum. Anche l’incerto destino, infatti, dell’Ospedale Annunziata, una storica struttura ospedaliera a vocazione

rimanendo non presidio ospedaliero ma un impolverato museo. E sembra che neanche la storicità, l’importanza preziosa di questo Ospedale sia servita a farli smuovere dalle decisioni. Che ne pensate? Divulgate la notizia! Mettete a conoscenza l’opinione pubblica di questo ulteriore scandalo sanitario! Silvana D’Andrea

Un anno di Ulisse alle Grotte di Pertosa-Auletta

lo straordinario successo dell’anteprima natalizia diventa ora un progetto stabile ed annuale il sodalizio tra il gruppo teatrale de “Il Demiurgo” e la Fondazione MIdA, Musei integrati dell’Ambiente, per raccontare il fascino delle Grotte di Pertosa-Auletta attraverso

le suggestioni dello speleo-teatro. Il presidente della Fondazione MIdA, Francescoantonio D’Orilia e il fondatore de “Il Demiurgo”, Francescoantonio Nappi, hanno scelto di presentare,

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potenziamento della rete consultoriale delle aziende sanitarie locali e per la realizzazione di 5 case di maternità anche per dare vita a 4 «Case del parto» tra cui quella presso il presidio ospedaliero S. Maria del Popolo degli Incurabili di Napoli; A tutt’oggi le «case del parto» non sono mai entrate in funzione! Inoltre, l’anno scorso, e precisamente il 2 gennaio 2015, è stato chiuso il punto

non a caso all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, sede del primo corso universitario italiano post laurea specificamente dedicato all’Exhibition Design con l’obiettivo di formare i nuovi manager per la valorizzazione dei beni culturali attraverso nuovi strumenti narrativi ed allestimenti multimediali, il progetto comune “Nuovi strumenti di narrazione e valorizzazione dei beni culturali: lo speleo-teatro alle Grotte di Pertosa-Auletta”, l’unico sito speleologico in Europa dove è possibile navigare un fiume sotterraneo addentrandosi verso il cuore di una montagna, una delle grandi perle del Parco Nazionale del Cilento, laddove la provincia di Salerno si avvicina anche alla Basilicata e alla Calabria.

Il viaggio di Ulisse nell’Ade con gli spettatori in barca Per tutto il 2016, per un weekend al mese, con una pausa solo nei mesi estivi (giugno-agosto) di overbooking delle Grotte, le straordinarie suggestioni epiche di “Ulisse: il viaggio nell’Ade”, uno spettacolo inedito realizzato e prodotto da “Il Demiurgo” con la regia e la sceneggiatura di Francescoantonio Nappi, che racconta della travagliata discesa agli inferi di Ulisse a caccia dell’indovino Tiresia, accompagneranno il sabato e la domenica con tre spettacoli al giorno (ore 17-19-21 e la domenica anche alle 11.30) i visitatori delle Grotte di Pertosa-Auletta. Info e Prenotazioni: Tel. 0975-397037 - Cell. 331-3169215 Mail: info@ildemiurgo.it - www.ildemiurgo.it


Le Accademie Napoletane Le Accademie Napoletane hanno origine

antichissima: Alfonso V d’Aragona fondò “L’Accademia Alfonsina” attorno al 1440 quando, fissata la sua dimora in Castel Capuano (1, C. Minieri Riccio), aprì nella sua Biblioteca la prima Accademia che affidò al “Principe” Antonio Beccadelli detto il Panormita. Questi, dopo la morte del re, continuava a riunirla nella sua casa, il Portico Antoniano, presso il seggio di Nilo. La reggenza passò nel 1471 a Giovanni Pontano che riuniva i convitati nelle sue case o alla Pietra Santa o sul Colle Antiniano (2, C. Minieri Riccio). Gli successero Pietro Summonte, Girolamo Carbone e Iacopo Sannazzaro al suo ritorno dalla Francia, dove aveva assistito il Re Federico d’Aragona prigioniero degli Angioini fino alla morte. Egli fu investito per ciò dal Pontano come principe dell’Accademia col nome di “Actius Sincerus” attribuendo all’Accademia il nuovo nome di “Arcadia”: Nel frattempo erano nate nelle case nobiliari altre Accademie private che presto risultarono contrarie alle ragioni della Monarchia Spagnola sicché il Viceré Pedro da Toledo “sciolse le Accademie per sospetto di novità religiose e politiche” , ultimo rappresentante della “Arcadia” fu Scipione Capece che andò in esilio. (3, Benedetto Croce). Più tardi vi fu una ripresa di tali Istituzioni, come ancora scrive Croce, (4): la prima nuova Accademia venne fondata nel 1648 nello “Studio” del Vicerè Inigo de Guevara conte di Ognatte col nome di “Accademia dei Rinnovati”. In essa si discuteva e si pubblicavano testi di scienze, lettere e giurisprudenza; il primo Principe eletto fu il giurista Gennaro d’Andrea. Purtroppo venne chiusa, insieme ad altre istituzioni, per la peste del 1656 (5, Minieri Riccio). In quegli anni erano sorte la “Accademia degli Strepitosi”, la “Teologica Scolastica” che si radunavano nel Duomo, spesso intervenendo il Cardinale Antonio Pignatelli poi Papa Innocenzo XII. Nacque ancora la “Accademia degli Intimoriti” in attività fino al 1768 e la “Accademia degli Investiganti” in cui si discuteva di filosofia e scienze naturali, chiusa anch’essa per la peste del 1656, ma attiva nuovamente nel 1695, nel Chiostro di San Tommaso d’Aquino, fino alla fine

del secolo. Gli Investiganti ripresero le loro colte riunioni nel 1735 pubblicando “Componimenti per lo faustissimo ritorno da Sicilia della Maestà di Carlo re di Napoli Sicilia e Gerusalemme”. Tra i componenti troviamo attivo Giambattista Vico. Attorno alla metà del Seicento erano nate anche la “Accademia degli Incolti” che pubblicò tra l’altro anche “Le Rime” dedicate al Cardinale Albani, la “Accademia degli Abbandonati” e vi sono

“Uniti”, degli “Oziosi”, la “Colonia Sebezia”, la “Accademia del Castagnola” nonché quella degli “Investiganti” attorno a cui si riunivano “i settatori della nuova filosofia” (8, Giambattista Vico). Oltre alle Accademie vanno altresì citate le riunioni culturali che si tenevano nella Biblioteca del Principe di Tarsia attorno al 1747 in cui gli intellettuali si occupavano per lo più di fisica newtoniana e di elettricità. Occorre inoltre accennare alla

notizie, riferite sempre da Minieri Riccio e ritrovate da me nell’ Archivio di Stato, di una “Accademia degli Ottenebrati”, di quella degli “Agitati” e di quella dei “Naufraganti”. In questi ambiti, scrive Pietro Giannone (6, Pietro Giannone) , “la filosofia … prese un nuovo lustro dallo studio delle scienze naturali, da un’infinità di nuovi scoprimenti e dal buon metodo messo in uso per trattarla… le Accademie istituite… contribuirono non poco all’avanzamento delle scienze e all’avanzamento della letteratura”. Le nuove concezioni scientifiche, scrive Benedetto Croce, per essere espresse avevano bisogno di un linguaggio più dinamico sicché questi consessi “tolsero allora gli studi napoletani al vecchiume e all’isolamento in cui giacerono; per essi penetrarono e circolarono a Napoli, i giornali letterari francesi, germanici, olandesi, che dettero a conoscere il grado che altrove avevano raggiunto le scienze e permisero di tenersi informati dei loro avanzamenti” (7, B.Croce). Numerose altre furono le Accademie cui partecipò Giambattista Vico (1668-1744): degli

figura di Raimondo di Sangro Principe di Sansevero che partecipò alla “Accademia dei Ravvivati” con lo pseudonimo di “Precipitoso”, divenendo poi membro della “Accademia della Crusca” col nome di “Esercitato”. Per quanto riguarda le arti il Regno Borbonico fu particolarmente impegnato nella “Accademia Ercolanese” e nella “Accademia del Disegno” (fondata da Carlo nel 1752) cui seguirono la “Accademia del Nudo”(1754) e la “Accademia di Architettura”, nonché le scuole artigianali degli arazzi (a San Carlo alle mortelle dove oggi si vuole istituire un ramo dell’Accademia di Bella Arti), delle porcellane, delle pietre dure, tutte create per tutelare il patrimonio artistico e per formare una classe di artigiani-artisti talvolta mandati all’estero a perfezionarsi. Tanto si diffuse la fama della cultura del Regno che viaggiatori stranieri potevano testimoniare, come Charles de Brosses nel suo “Viaggio in Italia” (1739-1740): “Napoli è la città d’Italia che dia veramente la sensazione di essere una capitale…tutto contribuisce a darle

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quell’aspetto esteriore, vivo e animato che hanno Parigi e Londra”. E non solo l’aspetto esteriore era affascinante se egli poteva godere di “ragionare di fisica con l’Abate Entieri… e con la Principessa di Palombrano, che eccelle anche nella geometria”… Maria Carla Tartarone

Napoli 1879. Note

6) Pietro Giannone, “Istoria Civile del

1) C.Minieri Riccio, “Cenno Storico delle

Regno di Napoli”, I° edizione 1723.

Accademie fiorite nella città di Napoli”, Na

7) B. Croce, ibidem.

1879, pp.17-19.

8) Giambattista Vico “Autobiografia” scritta

2) C.Minieri Riccio, ibidem, pag19.

nel 1725, in “Opere”, Rizzoli 1959, pag.9 e

3) B. Croce, “Storia del Regno di Napoli”,1°,

seguenti.

ed.1925; La Terza, Bari 1979, pag 107. 4) B. Croce, ibidem. 5) Minieri Riccio, “Cenno Storico delle Accademie fiorite nella città di Napoli”,

Lo scritto che segue è la sintesi della conversazione tenuta da Franco Lista il 14 novembre 2015, alla Sala Margana in Roma, in occasione della mostra-convegno “Artexcellence of Italy”.

La mano dell’artefice L’artigianato è in via di estinzione, il

disegno industriale prende il suo posto; ma vi è sostanziale diversità tra le due attività per metodo e per esiti economici. Le due attività, design e artigianato, differiscono, non solo per le tecniche e le tecnologie, ma anche per impostazioni metodologiche. Difatti, possiamo parlare propriamente di metodo progettuale per l’una e di metodo oggettuale per l’altra: il processo di design che attiene alla progettazione e alla produzione di oggetti seriali e processo artigianale che rinvia sempre alle caratteristiche uniche, irriducibili ed eccezionali del prodotto d’arte. Si sa che la bellezza dei manufatti artistici consiste in quel particolare senso d’impronta umana, calda e finanche imperfetta che ci fa accettare e interiorizzare quasi subito il lavoro artigianale. John Ruskin riteneva l’imperfezione cosa essenziale. “Irregolarità e difetti – scriveva Ruskin – non solo sono segni della vita, ma sorgente di bellezza”. C’è un’altra sostanziale diversità tra le due, basterà citare Jean Baudrillard e la sua distinzione tra lavoro produttivo e lavoro riproduttivo. Tutti notiamo, specie nei giovani, come si va sempre di più perdendo la manualità, il tatto, la tipica motricità fine della mano e il correlato coordinamento oculo-manuale; cioè quelle abilità, progressivamente sviluppate, che hanno consentito all’uomo di essere homo faber. La cultura delle mani, la civiltà del fare, l’operatività delle arti manuali sono tutte qualità di necessario supporto della creatività. In proposito, André LeroiGourhan ha scritto, con rara efficacia: “Non riuscire più a pensare con le proprie dieci dita, significa mancare di una parte

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del proprio pensiero”. Oggi, prevalentemente si digita, per cui l’evoluzione della mano impegna sempre meno la strutturale contrapposizione del pollice della mano. Allora, l’uso del nostro organo prensile di toccare, afferrare, segnare, foggiare, modellare, costruire… si va modificando e le opere di grande artigianato sono sempre più rare. Altro che la kantiana mano quale “finestra della mente”.

C’è l’esigenza di rintracciare e approfondire gli aspetti produttivi e culturali dell’artigianato di qualità e le differenze che intercorrono tra questo e l’artigianato tipico o tradizionale, l’artigianato corrente, l’artigianato folklorico. Vanno separate la creatività, l’inventività, la fantasia dalle scopiazzature e dal vietume ripetitivo. Le cosiddette “eccellenze italiane” discendono da una tradizione di manualità raffinatissima. Certamente, non possiamo considerare “eccellenza italiana” la sterile replica di antichi modelli, la stanca riproposizione di tipologie stilistiche del passato, peraltro, largamente presente, in forma di ceramiche, tarsie, glittica…, nei negozi dei nostri più interessanti centri storici. Non sono il prodotto di una ricerca

creativa, né, d’altra parte, tutto ciò può essere legittimato invocando un metodo di lavoro per così dire storicistico. Tuttavia, alcuni di questi manufatti si presentano talvolta con configurazioni pregevoli ed eclettiche. Questa limitata produzione, che è possibile vedere, tra libri e gadget anche nei bookshop dei nostri musei, può essere riguardata come un’anacronistica sopravvivenza di stili e di modi di produrre nei quali emerge il lavoro manuale su quello meccanico. Una produzione legittimata dal consenso e dalla simpatia dei nostalgici del passato e dei cultori di memorie deperite che dovremmo, per onestà intellettuale, solo tollerare per evidenti scopi turistici. A questo punto si rafforza maggiormente il convincimento del peso culturale e del ruolo produttivo dell’artigianato contemporaneo che resta, come campo sperimentale e di ricerca, la via maestra da seguire. Vi sono esempi eloquenti di questo artigianato: dalla straordinaria produzione di Carlo Scarpa, totalmente sbarazzata da preoccupazioni falsamente rappresentative, alle ultime tendenze di rinnovamento dell’artigianato con l’impiego delle nuove tecnologie non solo digitali. Si tratta di produzioni eccellenti, di progettazioni creative intese - per citare Vittorio Gregotti - “come passione per il lavoro artigianale ben fatto” e come “capacità di interrogarsi, senza cinismi e senza inutili rimpianti, sul senso del presente”. Permangono ancora nelle nostre istituzioni modalità e atteggiamenti che poco hanno a che fare con la formazione. Incontriamo ancora docenti che vivono, a diversi gradi, la vecchia e nebulosa indeterminatezza dell’artisticità, cioè del fare e dell’insegnare arte in


una dimensione insulare, equivoca e insondabile, senza rapporti con la realtà, il mondo produttivo, e i relativi problemi. I docenti, i maestri formatori devono avere chiara consapevolezza delle rapide trasformazioni della società contemporanea; devono avere

la capacità di organizzare un intreccio molto serrato tra momenti formativi e momenti produttivi e dunque devono porre massima attenzione ai possibili assetti concettuali ed epistemologici dell’esperienza artistica. Ecco perché a un settore

formativo così particolare, ritenuto, purtroppo anche da una parte degli addetti ai lavori, insondabile e atipico, occorre restituire quel necessario rigore d’intendimenti e di moderna operatività che valga, da una parte, come risarcimento di

una temperie di studi severi e scrupolosi ormai scomparsi dall’orizzonte formativo e, dall’altra, come superamento di una dimensione semplicisticamente emozionale e spontanea dell’esperienza artistica. Franco Lista

Culture precolombiane nelle Americhe Gli amerindi, secondo alcune ipotesi,

sarebbero discendenti da popolazioni provenienti dalle regioni nord asiatiche poi diffusesi gradualmente su tutto il continente americano. La loro arte riguarda un gran numero di tribù che hanno acquisito modi di vita e tradizioni molto diverse nel corso dei millenni, raggiungendo un differente grado di sviluppo tecnologico e artistico. Le diverse condizioni climatiche e ambientali hanno inciso sui loro stili di vita e conseguentemente sullo sviluppo di manufatti e opere architettoniche. Dall’Alaska al Messico sono state individuate circa un centinaio di tribù. La maggior parte è concentrata lungo il Pacifico e l’Atlantico, con presenze più sporadiche nelle grandi praterie del Nord America. Abbiamo così l’area degli Apache orientali e occidentali, dei Pueblos, dei Sioux, dei Blackfeet, dei Creek e degli Irochesi. Le numerose tribù nomadi e seminomadi hanno prodotto un numero limitato di oggetti di uso quotidiano ma non hanno sviluppato una architettura monumentale. Per gli oggetti prodotti sono stati utilizzati i materiali più semplici con la realizzazione di terrecotte con poche decorazioni, manufatti in pietra o in legno, utili per le cerimonie sacre e per la vita di tutti i giorni. Si distingue tra le altre la cultura dei Pueblos (villaggi), composta da un gruppo eterogeneo di popolazioni (Hopi, Zuni, Tani, Keves, etc…) stanziate nel sud-ovest degli Stati Uniti, soprattutto in Arizona. I loro villaggi erano composti da una serie di abitazioni in adobes a più piani sovrapposti e a scalare, con piccole porte di accesso. Questi rifugi protetti erano spesso costruiti in caverne naturali (MesaVerde, Betatachin) o lungo le sponde dei fiumi (Pueblo Bonito). In alcuni vani sotterranei si svolgevano le riunioni del consiglio e i riti sacri. Tale cultura deriva da quella Anasazi, basata sull’agricoltura e l’allevamento. Sviluppata era anche la tessitura e la ceramica.

Uno sviluppo culturale e artistico più avanzato caratterizza le civiltà del Centro America. In Messico e nelle regioni caraibiche sono numerose quelle civiltà che hanno prodotto opere d’arte originali, soprattutto in architettura. Tra le più significative citiamo quelle dei Maya, degli Aztechi e degli Olmechi. Non meno

(città fortificate con mura bastionate e grandi blocchi sagomati) per la grande abilità dei costruttori. Possiamo menzionare l’antichissimo centro di Cuicuilco (5000 – 1500 a.C.), con le sue piramidi in terra battuta dedicate al culto solare, e Teotihuacán (100 a.C. – 900 d.C.), con piramidi

Maschera in onice verde, cultura Teotihuacàn, Messico (100 a.C. – 600 d.C.).

importanti, anche se meno note, sono le culture dei Tlatilco, Zacatenco, Ticomán, Zapotechi, Totonachi, Guerrero, Colima, Nayarit, Teotihuacán, Jalisco, Mixtechi, Huastechi, Toltechi, Taraschi e Casas Grandes. Tra i manufatti più caratteristici troviamo ceramiche variamente decorate con disegni geometrici o naturalistici, eseguiti con tecniche diverse (incise, a crudo, a secco, a colombino), figurine d’argilla, piccole sculture antropomorfe e zoomorfe, monili e prodotti della lavorazione dei metalli preziosi e delle pietre dure (glìttica). Suscitano meraviglia le architetture monumentali

e templi dedicati al sole e alla luna. Contemporanea a quest’ultima è la Città dei Templi sul Monte Albàn (Messico meridionale), appartenente alla cultura zapoteca. Infine ricordiamo la piramidetempio a El Tajin con 364 nicchie che rinviano alle credenze astronomiche della civiltà totonaca (600-1200 d.C.). La perfezione tecnica raggiunta nelle grandi costruzioni dimostra quanto culturalmente avanzate fossero queste popolazioni. Non meno importanti sono stati gli Inca che si distinsero per le architetture di Cuzco e Machu Picchu nell’attuale

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Perù. Le loro imponenti costruzioni erano realizzate con grandi blocchi di pietra poligonali o rettangolari. Gli Inca produssero ceramiche lucide e policrome e oggetti ornamentali in bronzo, oro e argento. Forme decorative meno elaborate si possono rintracciare in alcune aree del Brasile e dell’Argentina, dove popolazioni antiche sono rimaste confinate in territori

molto vasti e inospitali. In Brasile sono stati rintracciati oggetti in pietra lavorata e in ceramica nelle località di Marajó e Santarém, manufatti di un artigianato rudimentale, appartenenti alla cultura di Lagoa Santa, e sculture in pietra della cultura Sambaquì. In Argentina, tra le culture autoctone, si distingue quella dei Diaghiti nel nord-ovest, i quali erano molto esperti nella lavorazione dei metalli,

nella glìttica e nella ceramica dipinta o incisa. Importanti sono anche le pittografie su roccia. Reperti archeologici di ogni tipo e di ogni epoca si possono ammirare nei principali musei del continente americano. Le tradizioni artistiche dei popoli indigeni rimangono vive oggi nell’artigianato, nei costumi tradizionali e negli oggetti d’arte. I gruppi etnici che ancora oggi conservano

molte delle antiche tradizioni si trovano nel Messico e nelle regioni periferiche delle Ande, facendosi custodi nel tempo di questo patrimonio. Angelo Grasso

L’Isola di Coos e la matematica sessagesimale L’isola greca di Coos, la più vicina alle

coste turche, oltre ad essere conosciuta come centro culturale della Grecità, ha rappresentato un punto di incontro tra la cultur greco- europea e quella mesopotamica anatolica, e ha custodito tante testimonianze degli antichi scambi commerciali tra le due civiltà. La più fantastica di esse è forse il documento del libro scritto da un astronomo babilonese trasferitosi a Coos

nel 340 a.C. che volle riferire ai Greci

che , nella sua terra, i numeri sossos(60), neros (600), e saros (3600) erano di fondamentale importanza per l’aritmetica

babilonese. Solo nel 1855, approfondendo gli studi sulle tavolette cuneiformi trovate in Mesopotamia, si riuscì a capire che l’aritmetica di babilonia e di mesopotamia era fondata sul sistema sessagesimale, quello che, al giorno d’oggi,sovrintende alla conta dei minuti, dei secondi dell’orologio.

Esso sovrintende anche alla misura degli angoli. E’ solo il caso di ricordare che l’angolo giro è pari a 360 gradi,che ogni grao è diviso in 60 primi, e che ogni primo è diviso in 60 secondi. Così siamo costretti a ricordare che nell’Irak e nelliran di oggi sono nate le più ntiche forme di scrittura che hanno messo in condizione l’uomo di registrare i quantitativi di merci che venivano commercializzate via terra e via mare in tanti paesi lontani. In tempo di razzismo strisciante fa bene ricordare le immense forme di conoscenza e civiltà raggiunte dalle popolazioni non europee! Senza l’astrologo babilonese che si trasferì a Coos nel 340 a.C. e il suo “focus” sui numeri che si usavano fuori della Grecia, lo studio delle scritture cuneiformi e della matematica mesopotamica sarebbe stata più difficile. Margherita Calò

La Fisica non ha risolto ancora l’enigma dell’Universo DUALISMO E MONISMO Dualismo o Monismo è un

quesito che genera avversi pariti, contrapposti da sempre ed escludenti altre strade, altri suggerimenti. Ed allora vorrei ricordare Un esempio per me da vagliare… Nella Fisica del Novecento c’è un evento per me congruente…

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È la com-ple-men-ta-ri-tà. Elettromagnetismo o materialità? Onda o Corpuscolo? (So) entrambi realtà! Il filosofo Ivan Ciatammoi che, peraltro, è ancor vivo tra noi, ha applicato il principio Mils-Bohriano al problema SpinoCartesiano. In alcuni momenti…nel

profondo io mi sento tutt’uno col mondo, mentre in altri…direi complementari, io mi sento su tutt’altri binari. Anche qui complementarità Ciatammoi ‘un se pote sbaglià. Mimmo Vajatica


A’ MAMMA D’O CARMENE In

Campania, tra le varie immagini mariane, una particolare venerazione è riservato alle cosi dette “Madonne nere”, alle quali, i napoletani, si rivolgono con particolari appellativi. Quella di “Madonna Schiavona”, per la Madonna di Montevergine, e quella della “Madonna Bruna”, per la Madonna del Carmine. Nella cultura popolare, ogni Madonna ha una sua identità, ed è oggetto di distinte devozioni, e tra loro si attribuisce una relazione di parentela, attestata dal termine di sorelle. I differenti appellativi e le differenti raffigurazioni iconografiche, dettero luogo, alla leggenda alle Madonne, come sette sorelle, di cui sei bianche e belle, e di cui una nera e brutta. L’icona della Madonna Bruna di tipo bizantino che si trova nella Chiesa del Carmine, è la più venerata tra tutte le Madonne in Campania. “A’ bella mamma d’o Carmene” : invocazione tipica napoletana usata spesso dal popolino, rivolta all’immagine della Madonna che viene raffigurata come una mamma solo perchè i volti della Madre e del Figlio sono accostati in espressione di dolce intimità (Eleusa). E’ anche considerata la Madonna Bruna del refrisco (patrona delle anime purganti), che mitiga i defunti, con il proprio latte, diretta discendente di Iside, che allatta. Eppure rimane un mistero la particolare venerazione che hanno i Campani, da secoli, per la Madonna Bruna, così diversa dalle nostre Vergini celestiali e paradisiache. Sarà stato forse la strana composizione dell’immagine i lineamenti esotici, che hanno colpito la fantasia del popolino,i miracoli che si attribuirono a tale figura divina incrementarono la diffusione del culto per la Madonna scura fino a diffondersi in tutta Italia ed in Europa. La Chiesa del Carmine, che si trova in piazza Mercato, è da sempre meta di piccoli gruppi di devoti, che soprattutto, di mercoledì, si recano a far visita alla Madonna per mettersi sotto “ o ciato d’a Madonna” per aprire il loro cuore e per ricevere il suo sguardo tenero e materno con la sua vicinanza ricca di grazia e consolazione. La devozione del popolo napoletano alla Madonna del Carmine, è legata al prodigio avvenuto durante il Giubileo dell’anno 1500, era mercoledì 26 giugno, al ritorno dell’icona della Vergine Bruna dal giubileo a Roma, molti ammalati

che gremivano la Basilica furono miracolati. Ernesto Murolo lo ricorda in una sua famosa poesia “O mercuri’ d’a Madonna d’o Carmine”. Tale miracolo

posto la figura della Vergine in connessione sacrale con il mondo dei campi, la protezione di Maria si estende anche agli animali. Le leggende registrano

segnò l’animo dei napoletani che diedero vita alla devozione del “ Mercoledì del Carmine”. E in quell’epoca vennero fondati, chiese e conventi dell’ordine, e nella zona vesuviana,costiera ed interna, il culto per le Madonne di origine orientale, si diffuse con manifestazioni devozionali dedicate a Santa Maria di Costantinopoli e Santa Maria La Bruna. Quest’ultima è ritenuta la più antica immagine Mariana dell’Ordine del

prodigi che hanno per protagoniste pecore, galline e perfino formiche. A Pagani la statua della Madonna del Carmine, viene chiamata “Madonna delle galline”. Durante i festeggiamenti in onore della Madonna , quando viene portata in processione le vengono offerte, galline e numerosi volatili , che vengono posti ai piedi della statua. Per esigenze di culto, questa offerta, sostituisce il quadro della leggenda, che vuole ricordare che, le galline razzolando nel terreno, riportarono alla luce una tavoletta lignea, raffigurante la Madonna Bruna, probabilmente nascosta per sottrarla ai saraceni. Altre devozioni popolari collegavano la Madonna del Carmine, le Anime del Purgatorio e quindi il culto dei morti, ponendo in evidenza che anche la gallina, come altro volatile, era collegata alla cultura devozionale popolare, che li considerava collegati ,al mondo dei morti. Mentre in tutti paesi cattolici, la nerezza, è la condizione dei demoni, e si trova in relazione con la magia e l’occulto, in Campania, invece, il popolo ha sempre attribuito alle Madonne nere, poteri miracolosi, in quanto detentrici di conoscenze occulte. Nelle affermazioni popolari la Madonna delle galline è solo la sorella della Madonna del Carmine : hanno in comune il colore scuro della pelle. E’ risaputo che il campanile della chiesa del Carmine è il più alto di tutte le chiese di Napoli e e spesso si sente dire,“E scagnat o campanario d’o Carmene pe nu

Carmelo presente in Europa. Alla base di molte delle immagini, c’è la leggenda di San Luca, primo pittore e scultore della Vergine. Egli avrebbe dipinto l’immagine della Madonna, quando Gesù era ancora fanciullo,anzi avrebbe posato proprio per lui. L’interpretazione popolare ha sempre

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pe nu cuoppo e aulive”? Riferito all’altezza del campanile della Madonna del Carmine, che è il più alto di tutte le chiese di Napoli e non accorgersi che è così alto è come “prendere lucciole per lanterne”. La sera del 15 luglio si tengono i festeggiamenti per la Madonna del Carmine e la torre

Occhio al cielo

campanaria viene incendiata, con il lancio d“o sorece”(razzo) e così, mentre infuria l’incendio, viene issata l’icona della Venerata effige della Vergine Bruna, che, salendo verso il campanile, doma, e spegne le fiamme. Il significato simbolico, è la funzione che la Madonna svolge di refrisco, cioè quello di dare refrigerio a

alle Anime del Purgatorio. E solo in quel momento l’esplosione del popolo devoto si esprime in un coro evocale: “A’ Mamma dò Carmene ha fatt o miraculo! Silvana D’Andrea

La costellazione del cigno

Nemesi era una ninfa molto bella ma

anche eccessivamente ritrosa. Non la interessava che Zeus le facesse la corte: lo respingeva e non si faceva abbindolare da doni e promesse. Questo fatto incaponì il grande dio dei Greci. Nulla potendo con le buone, ricorse alle astuzie. Ordinò a Venere di mutarsi in aquila e lui stesso si mutò in cigno. Sempre per ordine di Zeus, l’aquilaVenere si mise ad inseguire per il cielo il cigno-Zeus. Il cigno -Zeus si rifugiò in grembo di Nemesi che, ignara e amorevole, lo accolse contenta per metterlo al sicuro dalle grinfie dell’aquila. Ilcigno si accoccolò nel suo grembo. .Quando Nemesi fu vinta dal sonno,il suo spasimante riuscì, finalmente, di

venire a capo dei tanti no che lo avevano angustiato. Poi volò via felice e soddisfatto. Gli uomini videro questo bellissimo cigno che volteggiava nel cielo .Era grandissimo e bello.Allora pensarono che

Zeus lo volesse mettere nel firmamento per renderlo ancor più bello. Zeus, nella pienezza della sua felicità, non volle deludere gli uomini e pose il cigno, con le ali spiegate, ad occupare, luminoso, un’ampia plaga del firmamento. Se avete piacere a guardare le stelle di questi tempi, vedrete la bellissima costellazione del Cigno passare lentamente sulle vostre teste, seguita, a piccola distanza, dalla costellazione dell’Aquila. Nemesi,dopo pochi mesi, generò un uovo. Mercurio che sapeva delle faccende di Zues, prese l’uovo e lo portò in volo a Sparta per metterlo nel grembo di Leda che stava seduta. Così nacque Elena la cui bellezza fisica non ha mai più avuto uguali.

La leggenda del’orsa maggiore Racconta

Esiodo, il poeta greco contemporaneo di Omero e altrettanto grande, autore di “le opere e i giorni”: Callisto, la figlia di Licaone, re dell’Arcadia, aveva la grande passione della caccia. Perciò diventò ancella di Diana la dea della Caccia che accoglieva solo giovani ancelle vergini, avendo essa stessa predilezione verso questa forma di status, si legò a lei con grande amore. Callisto era bellissima e Zeus- Giove la volle avere. Quindi, alle sue denegazioni, la violentò. Callisto ebbe vergogna di confessare a

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Diana l’accaduto.

Non potè ,però, nascondere il fatto a lungo, perchè, avvicinandosi il tempo del parto, il suo ventre si andava ingrossando.

Un giorno, mentre riposava il suo corpo stanco nelle acque di un fiume, Diana la vide e si accorse che Callisto non era più vergine. Indignata per essere stata messa all’oscuro di quanto avvenuto, Diana tramutò Callisto in una orsa ( Arctos si dice orsa in Greco). Giove impietosito del fatto che l’ancella di Diana era costretta a vagare per le foreste come un animale dopo aver dato alla luce il figlio Artofilace, li collocò entrambi nel firmamento, chiamando lei Orsa, e il figlio Artofilace nei pressi di quella costellazione che anche noi conosciamo come “Orsa Maggiore”.

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Racconto a puntate

L’Uomo Falesia

“ Tirando dritto innumerevoli volte coprimmo la distanza pari a 21 passi, che dall’entrata della camerata menava alle sbarre e viceversa...”

(Nino Gimigliano-Memorie dal penitenziario)

Ero un bambino che s’apprestava al suo

primo gelato e giù in piazza a Marina Grande, proprio all’angolo della salita di San Leonardo, c’era un solo esercizio atto alla bisogna. Lì, per la verità, si commerciava all’ingrosso anche in prodotti surgelati che, una volta definite le commesse, venivano smistati da un furgone frigorifero su e giù per tutta l’isola. A bella posta, appena sopra l’ingresso, se ne stava perennemente spenta un’insegna a quattro lettere che recitava una parola sola: “Gelo! ” E davvero era gelo quello che pareva ristagnare negli occhi del titolare: un uomo austero, dalla carnagione candida e dallo sguardo così assente e distaccato da sembrar porre confine tra se e tutte le cose. Avevo solo pochi anni ma già intuii che non era uno della mia razza, che veniva da luoghi lontani. Malgrado ciò, senza timore e senza vergogna, con la faccia di bronzo che allora mi contraddistingueva, allorquando m’empì la cialda fresca e croccante andai a reclamare brutalmente: “Mettimene ancora!”. Mia madre n’ebbe un sussulto quindi, con un filo di voce, bisbigliò imbarazzata: “Ma che dici! Quello che hai avuto è tutto ciò che ti spetta.”. Pur tuttavia quell’uomo mi fissò per la prima volta e, senza dir niente, sorrise aggiungendo al cono altro gelato; poi, ritornando a sprofondarsi nel distacco di poco prima, si ritrasse nuovamente involvendo in se stesso. Luigi Bellini m’aveva così offerto il primo gelato della mia vita. Un valore questo che, al cospetto di quell’indulgente sorriso ch’aveva disintegrato tutto quel gelo in cui pareva essere inciso, nella mia considerazione di fanciullo divenne ben presto poca cosa. Quale che fosse la sua storia, com’è ch’era capitato dalle mie parti e quali potessero essere i motivi per i quali se ne stava sempre stranito, furono domande che iniziai a pormi fin da allora. Poi più in là, da ragazzo, giù alla spiaggia

del Pozzo Vecchio, allorquando alcuni miei amici vi trascinarono una vecchia roulotte adattandola a chioschetto, dovendo necessariamente rivolgersi a lui per le forniture del caso, nel corso delle loro iniziali trattative commerciali, ebbi modo d’intenderne la voce. M’apparve timida, delicata, ma nel contempo seria come il suo contegno ed infine rivelatrice d’una radicata onestà che si manifestava con naturalezza. Fu da adulto però, con quel minimo di consapevolezza della complessità del

amare esperienze che l’esistenza gli ha riservato, che ne avverte ancora il peso. È un viso il suo, che associo a quel tratto di costone che se ne sta oltre la linea di confine della spiaggia di Ciraccio, e che appena oltrepassato, consente di transitare a quella della Chiaiolella. Proprio a quelle placche formatesi appena un pò più in là dei due piccoli faraglioni ormai consunti dalla forza del mare. Un recesso generato ere addietro dal magma irrequieto dei Campi Flegrei, dalla forza del loro moto e da lave piroclastiche che oggi se ne stanno, a beneficio di li osserva,

“È un viso il suo, che associo a quel tratto di costone che se ne sta oltre la linea di confine della spiaggia di Ciraccio...”

mondo, che ebbi meglio ad intendere delle sue cose. Una storia drammatica la sua, di quelle che ti squassano dalle fondamenta, giudice certamente d’un intera generazione. Una vicenda dai sentimenti autentici e dalle convinzioni estreme, rilevatrice di radicati rancori ed infine testimone delle qualità e delle miserie dei suoi protagonisti, costretti quest’ultimi, a mettersi ritti di fronte alla vita. Una storia emblematica di tempi maledetti: quelli della guerra civile. Tuttavia oggi, osservando il suo volto, ho la sensazione che vi rechi strati e strati di vita e d’emozioni che mi riconsegnano le falesie della mia isola. Proprio quei lastroni minerari che col tempo, uno sull’altro, vi si sono sedimentati. M’è chiaro che non ha obliato niente, che non ha dimenticato nessuna delle intense ed

testimoni del loro passato. Mi induco a considerare che quelle sue tenui palpebre, che di tanto in tanto s’abbassano meste, rimandino ad un primo strato di roccia su cui potrebbe starsene confitto il ricordo del tenente G., un infiltrato italiano che inspiegabilmente, riportò agli “Alleati” anche il suo nome, dimodoché potessero essere arrestati i presunti responsabili della morte di un giovane militare inglese. Uno spregevole doppio gioco che si rivelò solo in seguito, allorquando furono rinvenute lettere ed eloquenti corrispondenze occultate proprio nella bisaccia del delatore. Oggi non v’è alcun dubbio che, nel corso del processo e dello scarno dibattimento, a sostegno di quell’accusa non vi fu alcun altra prova e che ancor ora Luigi, dopo tanto tempo, neghi con forza ogni addebito.

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Altri strati glieli ritrovo tra le rughe della fronte. Potrebbero essere tutti i processi kafkiani e paradossali impiantati in quel tragico periodo e regolati da un codice assurdo1, redatto per l’occasione unicamente dalla mano dei vincitori e caratterizzato da articolazioni che recitavano, a pregiudizio degli imputati, la soppressione assoluta anche dei diritti più elementari: compreso quello di depositare memorie scritte o di richiedere testimonianze a favore. Le pieghe sotto le labbra ancora uno strato. Forse il pensiero di se stesso sull’attenti, innanzi ad un Generale in divisa straniera che, nelle funzioni di

Libri

Fine prima parte

...continua

Luigi Bellini al Campo ospedaliero n° 4 della CRI

“Palermo nel gorgo” di Pino Toro e Nuccio Vara

Tra racconto, saggio e testimonianza, il

libro si dipana nel gorgo della Palermo inizi anni Novanta, tra l’esperienza incompresa e solitaria del parroco di Brancaccio, don Puglisi, nell’inferno di quel quartiere, e il progressivo estinguersi nella città dell’esaltante stagione della “Primavera palermitana”. La Primavera culturale palermitana, legata a Leoluca Orlando, aveva caratterizzato, tra il 1985 e il 1990, tutto un fervore di attività culturali volte al riscatto di quella che, in vari periodi storici, era stata una vera e propria capitale: della cultura, di incroci commerciali, di scambi, di floridezza. Una forte voglia di riscatto, quella della Palermo degli anni Novanta, alla ricerca di una nuova identità di metropoli europea. Una voglia di affrancamento, ai limiti dell’onirico. Era il periodo delle Primavere e a Praga, la “Praske Jaro” ( la Primavera di Praga), aveva portato Vaclav Havel, prima di tutto nella sua caratura di scrittore e drammaturgo, di uomo di teatro; aveva portato Milan Kundera, Bohmil Hrabal, mentre Marta Kubisova, cantante impegnata, stimolava gli animi e le piazze con le sue canzoni appassionate rimaste famose. Fu certamente la cultura a portare la Rivoluzione di Velluto. Cosa non fa la cultura! E Francesco Rosi, dal libro di Edmond Charle Roux, “Oblier Palerme” traeva il capolavoro, “Dimenticare Palermo” mentre Adriano Celentano lanciava, con “Il ragazzo della via Gluck” proclami ambientalisti.

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Pubblico Ministero della Corte Marziale impiantata in quel di Bologna, formulava per lui a voce ben alta, la terrificante richiesta di condanna a morte.

Il libro, “Palermo nel gorgo” si compone di due saggi. Il primo è di Nuccio Vara, giornalista scrittore, saggista, ideologo, che ha al suo attivo numerose dotte pubblicazioni. Il secondo è di Pino Toro che ha al suo attivo tutta una storia di impegno nel sociale, e non solo, e nasce dalla sua attiva e fattiva partecipazione politica in e per “Città per l’Uomo”.

Le due parti si intersecano e si compendiano a vicenda formando, alla fine, un unicum dove cultura e passione, politica e politiche, afflato umano e ambientalismo, ricerca di una coralità dell’ ubi consistam, istanze profetiche, si fondono e si confondono e dove le penne si sovrappongono sapientemente, in certi peculiari tratti semantici, pur rimanendo sempre distinte. E c’e’ un’appendice, che considero poi la terza, fondamentale parte del libro, le due lettere-appello a Giovanni Paolo II che costituiscono un altro e un alto contributo

al libro e ne integrano le tematiche e i forti afflati. Appendice che trova un calibrato compendio nella prefazione del gesuita Gianni Notari . Un libro stringato e intenso, quello di Pino Toro e Nuccio Vara, un libro carico di tensioni e di fervore politico e sociale, di riflessioni, di critiche ma, soprattutto, di cultura. Un libro che ci consente la rilettura di un periodo storico ricco di fermenti e di mancate affermazioni, un periodo a noi tanto vicino e, paradossalmente, tanto lontano, quasi evanescente. Nuccio Vara, nel suo “Nostalgico Amarcord” ci presenta uno spaccato della Palermo degli anni 90. Il saggio è scritto e descritto molto bene. Il linguaggio è attento, elegante, ricercato, sfrondato di tutti i sovrappiù, essenziale, direi forbito, pulito. Si vede che l’autore mira alla ricerca di una ricostruzione storica attraverso una visione filosofica e filologica della vita. Attenta l’analisi dell’espressione e delle espressioni come “interstizi sociali” che riporta subito a quei meandri del pensiero a volte nascosti e sotterranei. All’inizio l’andamento è narrativofilosofico e poi, man mano che l’autore si.avvicina al tema don Puglisi, diventa sempre più appassionato, serrato e incalzante, soprattutto quando evidenzia il fatto che la figura di don Puglisi non venne adeguatamente compresa e valorizzata o quando, con le sue eleganti e calzanti assimilazioni culturali, considera Palermo “realtà sospesa” come l’angelus novus dell’omonimo dipinto di


Paul Klee, o quando parla dei fenomeni di “ordinario gattopardismo” o della “mitologia del nuovo”. Il “Rinascimento palermitano” di Orlando, la “grande bellezza” di Palermo è il momento focale del suo “Nostalgico Amarcord”. Un mancato Rinascimento, lo considera Nuccio Vara. Ricordo anch’io, anch’io ho il mio amarcord, quando Orlando promuoveva artisti siciliani all’estero, come i “Fratelli d’arte Cuticchio” che in Polonia, dove allora io mi trovavo, diventarono un mito: prova che la cultura ha sempre bisogno di mecenati. O come quando promuoveva convegni e dibattiti in varie sedi europee. “Un nostalgico Amarcord” è un affresco duro e drammatico della Brancaccio di don Puglisi ma è anche un inno al Rinascimento mancato di Palermo. Palermo, quella Palermo di cui spesso si ricorda il degrado, in passato ha avuto veri momenti di gloria, ha rappresentato una koinè culturale e di pensiero nell’area del Mediterraneo, è stata ponte di dialogo tra due sponde. Ricordiamo tutti la grandezza del periodo arabo ma conosciamo anche il fervido periodo, a noi più vicino, più consono, della grande Belle Époque palermitana, periodo noto anche all’estero e che e’ entrato in tanti riferimenti culturali della letteratura europea. A Orlando si deve la riapertura del Teatro Massimo, la rivalutazione di spazi storici, il recupero di tante tradizioni ma, soprattutto, l’aver favorito la partecipazione di Palermo al dialogo euromediterraneo promosso dal Convegno di Barcellona. In quel periodo, in un momento di grande fervore culturale, e non solo,, si inquadra l’opera di don Puglisi il cui sorriso dolcissimo, a chi gli puntò la pistola alla nuca, ebbe il potere di mettere in crisi la mafia, se non altro, di creare imbarazzo. La rilettura della tragica vicenda di don Puglisi, e’ stata resa impellente dai tumultuosi e inediti cambiamenti in atto nella Chiesa con il pontificato di Papa Francesco il cui repertorio tematico e’ stato in parte profeticamente anticipato dal Beato Puglisi. Un nostalgico amarcord che ci permette di ripercorrere i sentimenti con cui abbiamo vissuto quella piccola grande stagione. Il saggio “Brancaccio, diario di un impegno” di Pino Toro, delinea il

rapporto con il quartiere di Brancaccio ed è la diretta filiazione dell’impegno politico dell’autore in e per “Città per l’Uomo”, un movimento di ispirazione cristiana fondato a Palermo nel 1980. Il movimento, per la sua netta presa di distanza dalla DC costituì un vero “strappo” storico che, secondo Pintacuda, darà origine alla stagione delle giunte anomale, alla Primavera e alla stessa rete orlandiana. Il movimento nasce ufficialmente il primo marzo 1980 con un “incontro organizzativo a Palazzo Bonocore. Tra i principali promotori, accanto a Ennio Pintacuda, gesuita, scrittore e sociologo, ci sono Francesco Paolo Rizzo, gesuita, Nino Alongi, docente di storia e Giorgio Gabrielli. Il movimento “Città per l’Uomo” venne fondato a Palermo il 15 marzo 1980 ma annunciato ufficialmente il 19 aprile 1980 in una città ancora sconvolta per l’ennesimo omicidio di mafia. L’ultimo in ordine di tempo, quello dell’esponente della sinistra democristiana Piersanti Mattarella. Il movimento fu una risposta al distacco dalla politica dei cittadini e al degrado amministrativo. “Eravamo convinti, dice Toro, che una più diretta partecipazione alla vita politica della Città, mediante strutture intermedie quali i consigli di quartiere, avrebbe contribuito a promuovere la vita collettiva e favorito la coesione sociale. Pino Toro ci racconta pure, con dolore, il “sacco di Palermo” che vide un potere mafioso trasmigrare dalle campagne alla Città per mettere le mani sull’edilizia mentre si costruivano a più non posso palazzi e si abbattevano le storiche ville liberty e con esse tutto quel pezzo di storia che ruotava intorno alla Belle Époque palermitana che faceva capo a un hotel di rinomata eleganza, l’hotel delle Palme, noto anche all’estero, che aveva ospitato personaggi della levatura di Wagner e non solo e adesso, era diventato il cenacolo della mafia. Proprio all’hotel delle Palme, infatti, la mafia volle tenere l’incontro del 12 ottobre 1957 tra i capi delle famiglie di Cosa Nostra provenienti dagli Stati Uniti. Il movimento “Città per l’uomo”, che si fondava sull’idea della Città divisa in quartieri, sul decentramento amministrativo già sperimentato in Italia nel dopoguerra da Giuseppe Dossetti e che aveva trovato una prima realizzazione nella Città di Bologna , mirava proprio a questo. Azione di denuncia e di proposta fu quella della strategia di quartiere

mirando a migliorare la qualità della vita contro l’illegalità’. Le parrocchie, spesso organizzate in luoghi di fortuna, come garage e magazzini, avevano un ruolo fondamentale. Don Puglisi arrivò a Palermo il 6 ottobre 1990, dopo le dimissioni del carmelitano don Giue’. Pino Toro operava a Settecannoli, non lontano da Brancaccio dove , appunto, si svolgeva la missione di don Puglisi ad un progetto di riscatto di Brancaccio che

aveva come obiettivo quello di riportare i contenuti del Vangelo al centro del vissuto della comunità. Un’azione che egli definiva prepolitica, estranea a ogni forma di protagonismo, ma incisiva a tal punto da entrare in rotta di collisione con il clan mafioso dei Graviano. La sua morte, arrivata il 15 settembre del 93, lasciò attonita la Città. Credo, tuttavia, che messaggio di quella Primavera non sia andato vano. “La notte euromediterranea del dialogo”, che si tiene a Palermo dal 2008, e che fa parte di quel dialogo euro mediterraneo iniziato e promosso dal Convegno di Barcellona, la si deve in buona parte a Orlando. Forse anche lui e’ rimasto poco ascoltato, o solo. O forse e’ mancata la strategia necessaria. Gli stessi Convegni organizzati in quel periodo, cui parteciparono nomi della levatura del premio Nobel Franco Modigliani sono un significativo esempio del seme che era stato sparso. Una primavera si dileguava ma un guanto di sfida era stato gettato. Auguro al libro tutto il successo che merita, invito il pubblico a leggerlo e ad accostarsi a un’opera che consente riflessioni critiche anche sull’oggi. Teresa Triscari

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Anno 43 - n° 1 marzo/aprile 2016


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