Confronto agosto 2015

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ANNO 42 N°2 Agosto 2015

Rivista gratuita

Attualità: Il risveglio delle coscienze Il gotico particolare di Napoli

Procida: Bloccati i lavori del rifacimento di Marina Grande Musica, arte, spettacolo: 15 artiste per “Napoli da Ora in poi”

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Il risveglio delle coscienze

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appiamo che chi si è formato nella cultura cattolica, qualcosa di clericale conserva, anche suo malgrado. Lui lo sa e noi laici pure. Chi proviene dalla cultura marxista qualche propensione al dogmatismo e al culto delle personalità la conserva e non sempre si trova a suo agio nel mondo della cultura laica. E cade in contraddizioni di cui nemmeno si accorge. Sentiamo ancora viva l’offesa che Leone Repaci, grande uomo di cultura ma anche grande comunista, Presidente della giuria del Premio letterario Viareggio nel ‘56, inferse a tutto il mondo della cultura quando rifiutò di ammettere al Premio il libro di Ignazio Silone

(Uscita di sicurezza) perché, secondo lui, lo scrittore aveva offeso Palmiro Togliatti. Allora, però, Politica e Cultura si confrontavano e, tranne in casi eccezionali, si rispettavano. Ho l’impressione che oggi “la cultura” si parli addosso lasciando al giornalismo d’accatto di dialogare, di allinearsi e spesso vendersi ai politici. Così non va! Più che mai oggi è necessario che il mondo della cultura riprenda direttamente il confronto sui temi della convivenza, della società dei diritti e dei doveri snidando dalle nicchie del potere i parassiti che vi si sono incistati. Le vicende della Grecia hanno lasciato sorpreso e interdetto mezzo mondo e “l’effetto Tspiras” è molto al di là di quello che finora hanno fatto uscire in tv e sui giornali i raccontatori di notizie. Tspiras ha dimostrato, intanto, che Socialdemocratici e Liberaldemocratici professano una comune indifferenza all’Europa della solidarietà e dello sviluppo equilibrato dei popoli.

E’ lui che ha svegliato l’indignazione di tanti cittadini che hanno dovuto prendere atto dell’ulteriore tradimento dei loro politici di fiducia e dei mezzi di informazione. Oggi essi sanno, per esempio, che persone che fanno proclami roboanti, che parlano solo in prima persona, che disprezzano chi non la pensa come loro, non sono costruttori di avvenire. Qualcosa di muove oggi grazie a Tsipiras in Grecia, in Europa, in Italia e anche Napoli, nel mondo dei laici. A Napoli abbiamo capito che persone capaci di litigare con tutti, è meglio che tornino a casa per il bene della città. Sta rinascendo una voglia di fare squadra dietro idee e proposte concrete. Sta rinascendo la determinazione di riconoscere la omogeneità Direttore responsabile delle presenze laiche per Iki Notarbartolo contribuire alla ripartenza Direttore editoriale della città. Elio Notarbartolo Sta ritornando la passione per la città. Hanno collaborato: Ne prendiamo atto. Franco Ambrosino, Vincenzo Caratozzolo, Mario Conforto, Silvana D’Andrea, Angelo E che sia smoderata! Grasso, Paolo Gravagnuolo, Raffaele Graziano, Franco Lista, Luca Maiorano, Elio Notarbartolo Gianluca Mattera, Gilda Kiwua Notarbartolo, Franco Ortolani, Ernesto Paolozzi, Gennaro Pasquariello, Maria Carla Tartarone, Girolamo Vajatica, Sergio Zazzera Periodico autofinanziato a distribuzione gratuita confronto@hotmail.it elio.notarbartolo@live.it www.ilconfronto.wix.com/ilconfronto

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Procida Waterfront il volto nuovo di Marina Grande Ripescato

in extremis dalla nuova amministrazione appena insediata, il progetto “Waterfront”, redatto fin dalla fine del 2013 e finanziato dall’Unione Europea, è stato avviato a concreta realizzazione ai primi di luglio. La sua finalità è quella di riqualificare l’intero insediamento di Marina Grande, a Procida, a partire dal suo biglietto da visita, vale a dire, il Palazzo Montefusco, che impropriamente si continua a denominare “Palazzo Merlato” e che la gente del luogo designa col pittoresco nome di “Marònna re Capóne”, con evidente riferimento al dipinto che ne ornava una volta l’annessa cappella, la quale pure sarà oggetto di restauro. E sarà restaurato anche il terrazzo, sul quale la cappella insiste, insieme con gli archi e le merlature della facciata, per accogliere eventi culturali e ricreativi. A ridosso dell’edificio, poi, lungo via Libertà, sarà realizzato un parcheggio interrato, finalizzato all’eliminazione dei veicoli in sosta sul lungomare di Marina Grande. Inoltre, sarà ripavimentato il tratto di strada fino alla spiaggia delle Grotte e sarà ammodernato l’impianto d’illuminazione pubblica, con un sistema che consentirà il risparmio energetico. Tutto ciò costituisce il primo lotto dell’intero progetto, che, nella sua interezza, avrà per oggetto l’intero fronte di Marina Grande, fino alla Lingua, e la cui realizzazione dovrà avvenire a tappe più che forzate, poiché il finanziamento postula il completamento dei lavori entro il prossimo 22 novembre. La presentazione del progetto alla stampa e al pubblico è avvenuta nella cappella del Conservatorio delle Orfane (anch’esso maltrattato da una sprovveduta gestione, che lo aveva ribattezzato “Palazzo della Cultura”, cancellandone la pluricentenaria denominazione, il che equivale a

cancellare un pezzo di storia locale), con la partecipazione del sindaco neoeletto, Dino Ambrosino, dell’assessore Rossella Lauro, del progettista arch. Rosalba Iodice e del direttore dei lavori ing. Roberto De Rosa. La consistenza dell’intervento, il suo costo (pari a poco meno di 7.000 euro) e i tempi di realizzazione sono stati esposti dal sindaco, mentre l’arch. Iodice e l’ing. De Rosa hanno illustrato le modalità realizzative del progetto. Dalla loro esposizione è emerso che l’impresa aggiudicataria dell’esecuzione dei lavori realizzerà, oltre a quanto più sopra elencato in sintesi, fra l’altro, anche una pensilina per l’attesa degli autobus, con annesso touchscreen informativo, una rete wi-fi, un sistema di videosorveglianza mediante telecamere, l’installazione di colonnine per la ricarica dei telefoni e l’interro della stazione di bunkeraggio.

Nel corso della presentazione, il sindaco ha posto giustamente l’accento sulla necessità del coinvolgimento della popolazione di Marina Grande, in considerazione dell’esigenza di omologare anche gli edifici di proprietà privata al progressivo restyling dell’intera area, con riguardo anche alle previsioni del Piano-colore approvato di recente. Chi mi conosce, sa che non sono un “mellonaro” – vale a dire, uno che spacca, vede il rosso e subito dice ch’è buono –; tuttavia, la buona volontà manifestata a chiare lettere dal sindaco consente di nutrire buone speranze sull’evoluzione positiva dell’intervento, che, in tal caso, potrà efficacemente costituire il biglietto di presentazione della nuova amministrazione. Sergio Zazzera

E’ di questi giorni un cambiamento della situazione sul Waterfront. Il TAR Campania avrebbe sospeso i lavori per il progetto Waterfront a Marina Grande ed in particolare il lotto che riguarderebbe la costruzione del parcheggio a via libertà. Il tutto dopo l’accurato ricorso di una ditta edile. Nel merito, il Tribunale amministrativo regionale ne dovrebbe discutere a novembre e questo comprometterebbe del tutto il progetto soprattutto considerando la scadenza del 31.12.2015

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Il Gotico napoletano non è il gotico europeo Questo non lo sapevano i re angioini che, dopo la battaglia di Benevento del 1266 con la quale eliminarono definitivamente la minaccia degli Svevi e debellarono il partito Ghibellino, invasero Napoli non solo con truppe ma anche con architetti e maestranze edili importate dalla Francia da cui loro stessi provenivano. Napoli, a 1300 anni circa dalla venuta di Cristo, era ancora una città pagana ed estesamente ignorante. 3 secoli prima, cioè subito prima dell’anno 1000, già il clero cattolico aveva dovuto sostenere un lungo e defaticante confronto teologico con le chiese di Oriente che, più ortodosse, volevano eliminare, come poi fecero, dai luoghi di culto, ogni immagine sacra o profana, proprio nel rispetto delle indicazioni bibliche del libro dell’Esodo. “Non farti scultura alcuna né immagine alcuna di cose che siano in cielo o al di sotto, sulla terra o al di sopra o al di sotto della terra…”. “Come si fa a comunicare i concetti di spiritualità della religione ad un popolo analfabeta ed ignorante?” ripetevano, ancora nel 1300, i preti napoletani. “Abbiamo bisogno di immagini per far capire meglio ai nostri concittadini il senso del Cristianesimo. Loro, nella massima parte, non sanno né leggere né scrivere, e l’unico efficace mezzo di comunicazione con essi sono le immagini.” In questo il discorso che la Chiesa di Napoli fece agli architetti d’oltralpe quando cominciò a vedere le strutture delle nuove chiese in stile gotico che eliminavano le pareti murarie affidando la struttura a potenti archi ogivali, bilanciando la loro spinta con quella uguale e contraria di uguali archi contrapposti, e foravano le ineliminabili mura perimetrali con altissime finestrature monofore o bifore che venivano chiuse da vetrate alte e sottili dove appena si poteva disegnare qualche angelo, “Quest’architettura non è consona a Napoli” disse la Chiesa di allora, approfittando del fatto che le strutture della nuova chiesa di S.Eligio, ancora non completate, si andavano lesionando per un difetto in fondazione. Pretesero dal re che, non solo S.Eligio ma tutte le nuove chiese, avessero molta superficie muraria tra pilastroni e archi da poter contenere immagini con storie della Bibbia, angeli e madonne da amare, diavoli e caproni da odiare.

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In più, visto che a quel tempo era molto in voga il Francescanesimo, ottennero che, nel rispetto del concetto dell’umiltà francescana, l’altezza delle costruzioni fosse contenuta. Chi potrebbe dire che la chiesa di S.Eligio a Napoli e il duomo di Milano facciano parte dello stesso stile gotico? C’è un Gotico europeo e un Gotico napoletano. Si, signori, c’è un Gotico Napoletano! I principi architettonici di quello che è

Spogliò il vicino foro romano di circa 50 colonne di granito e di marmo e chiamò a contribuzione l’aristocrazia. Lui stesso donò i fondi per comprare i grandi fusti d’albero che dovevano servire da travature del tetto. La volle alta la sua chiesa, e la finì di costruire in meno di 20 anni. Ma Napoli è Napoli, la terra è ballerina e il terremoto del 1349 gettò giù la facciata, il campanile e parte del tetto, giacchè una parte del duomo insiste sul terreno

il Gotico napoletano, completamente diverso dal Gotico europeo, sono i grandi spazi murari da dipingere e l’altezza limitata delle strutture, come si può constatare avendo sotto gli occhi tante chiese come S. Maria Donnaregina, S. Chiara, S. Lorenzo, S. Domenico, S. Pietro a Maiella, S. Agrippino e così via. Il re – allora Carlo II – era succeduto a Carlo I d’Angiò, voleva, però, per il suo casato una chiesa speciale. Voleva la Maior Neapolitana Ecclesia, e la voleva imponente, alta e prestigiosa. La fece costruire nei pressi delle due chiese che fungevano allora da duomo di Napoli, quella di rito ortodosso, S. Restituta, e quella di rito cattolico, la Stefania, che erano vicino al palazzo dei vescovi sul Decumano “superior”. Non poteva demolire S. Restituta, di rito bizantino, come già detto, perché si sarebbe fatto gran torto ad una tradizione ancora molto viva, ma demolì la Stefania e tagliò solo un pezzettino di S.Restituta, e così Carlo ottenne lo spazio per il nuovo tempio. Tale spazio però, tra S. Restituta e il Decumano centrale (oggi si chiama via Tribunali) era affetto da un notevole dislivello. Lo fece riempire creando una specie di Succorpo per pareggiare lo spiazzo e cominciò a costruire.

di riporto, non proprio ottimo per accogliere fondazioni. Riparazioni, terremoti, consolidamenti; terremoti e ingegneri stupidi; terremoti e fondi deficitari, insomma la “maior Neapolitana Ecclesia” rimase il punto dolente per tanti, tanti vescovi che si sono susseguiti a Napoli. Ognuno ci metteva il suo, spostando cappelle e aggiungendo stucchi, ritoccando strutture e costantemente tamponando le alte finestre bifore di stile gotico: all’origine erano ben 24! 500 anni dopo ne erano rimaste ben poche. Nel 1905, cioè circa 600 anni dopo, fu approvato il progetto di rifacimento della facciata che porta la firma di Enrico Alvino. Egli, dell’originaria struttura gotica, conservò il portale principale, opera del Baboccio e la Madonna con il Bambino, opera di Tino da Camaino. Infine, negli anni 60, è venuto l’ultimo restauro della citata chiesa “maior” che ha tirato di nuovo fuori dagli stucchi molto dell’aspetto gotico che avevano voluto i re angioini. Amen Gianluca Mattera - architetto

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Artigiani di Napoli: arte, raffinatezza e sensibilità Nella

Napoli storica, intorno ai Decumani, ci sono tantissime strade intestate ai più diversi mestieri che hanno caratterizzato quel tratto di città con le loro botteghe , i loro prodotti , i loro traffici, le loro voci. Tutti conosciamo il Borgo degli Orefici , ma non tutti sanno che l’artigianato orafo è suddiviso in tante sottocategorie: gli argentieri,, quelli che fanno cammei, i corallari, quelli che fanno catenine, quelli che fanno gancetti per collane e braccialetti, ecc fino agli scatolinisti quelli che fanno le eleganti scatole a protezione dei gioielli che si consegnano agli acquirenti. Abbiamo incontrato un antico tagliatore di pietre dure- Angelo Lacatena – che ha bottega- negozio in via Santa Chiara. “ “Eh, no, è inutile che scrivete di me perché, tra poco, chiudo bottega e me ne vado in pensione.” questo è l’incipit del Maestro. Lo incalzo a raccontarmi qualcosa del suo mestiere a Napoli. “Ormai siamo rimasti in due o tre, dopo che una parte degli orefici si sono spostati al Tarì di Marcianise.” “ Il Tarì, però, naviga in cattive acque” “Si ma anche il Borgo Orefici se la passa male oggi. Dall’oro molti sono passati all’argento, al rame; ora stanno facendo oggetti in acciaio, in resina…. tanto la gente non

compra….” Piano piano, ci siamo infilati in un dialogo sempre più lontano dalla concretezza e dalla materialità. “Io mi son sempre emozionato a contatto con le pietre dure. Non so dirvi, il loro colore, le loro vene…. E’ più di un fatto fisico, è qualcosa che passa sotto pelle. Ecco, non ci crederete, ma la pietra è capace di trasformarti il pensiero. Abbiamo , noi uomini, un rapporto con le pietre forse unico nel cosmo, che porta il pensiero ad allontanarsi dalle cose pratiche e diventare filosofia. Ti inducono stati d’animo e ti spingono alla chiaroveggenza. Vedete, questa ametista che ha attratto la vostra attenzione, non ve ne rendete conto, ha dato una risposta ad un vuoto che vi portavate dentro” “ Capisco, ma voi , allora,state parlando di gemmoterapia?”” Non so, io sono stato ad Aironville nel Sud profondo dell’India, dove ho partecipato alla costruzione di una comunità di tanti artisti. E’ stata una profonda esperienza, e poi sono tornato a Napoli per comporre quella filosofia con il nostro modo di sentire. Bisogna svegliare la sensibilità di tutti. A Napoli ci sono tante sensibilità e tutte molto ricche.” “Perché dite questo?” “ E’ il Vesuvio. Il Vesuvio ha gettato sul nostro territorio tanti cristalli, tanti minerali, tanti metalli, che ci trasmettono una infinità di impulsi: brutali, animali,

sensuali, insieme a tanta sensibilità poetica, musicale, artistica. I Napoletani ricevono questi impulsi direttamente dalla nostra terra, sentono, poi, la vicinanza di tante persone fortemente ispirate, ma non riescono ad operare insieme agli altri.. Io l’ho constatato con mio figlio: gli ho trasmesso tutti i segreti di quest’arte d’intaglio, gli ho fatto conoscere tutte le lingue delle gemme, ma lui. ad un certo punto, ha preferito fare il fotografo d’arte e ,ora, sta a Milano a valorizzare ,con gli scatti, l’oggettistica di Prada.” “Ah, Prada, è quello che, di punto in bianco, ha lasciato i pellettieri di Napoli che ora stanno quasi alla disperazione.” “Prada, Vuitton, Armani, Fendi, tutti questi grandi nomi, apprezzano molto l’artigianato di Napoli, ma poi fanno loro il prezzo. Dite ai pellettieri e agli altri artigiani: il prezzo lo devono fare loro, non i committenti. Se no, lavorano e si trovano poveri e pazzi. Hanno voglia di dire; il Vesuvio e i suoi minerali ci hanno resi ricchi di fantasia e di ispirazione. Siamo unici nella nostra molteplicità, ma, isolati come vogliamo rimanere l’uno dall’altro, rimarremo sempre a bocca asciutta.” Parole di Angelo Lacatena maestro napoletano di taglio di pietre dure. Patrimonio di Napoli. Patrimonio dell’Umanità.

Cattolici contro protestanti e la simbologia delle 7 opere di Misericordia Mentre osservavo un affresco di una

villa romana dei dintorni di Pompei, ebbi un sussulto: nell’angolo sinistro in basso, c’era un particolare che mi pareva di aver già visto: un vecchio che prende il mlatte dal seno di una giovane donna. Era somigliantissimo alla rappresentazione che Caravaggio aveva scelto per “Dar da mangiare agli affamati” e “Visitare i carcerati”,due delle 7 opere di misericordia corporale che danno il titolo al capolavoro gelosamente custodito nella quadreia del Pio Monte della Misericordia a Napoli. Mi sono documentato su quell’affresco: è la rappresentazione della storia di Perona che, con il proprio latte, nutre il vecchio padre Micone condannato a morire di fame in carcere. Complimenti,comunque, alla dotta scelta iconografica! “vestire gli ignudi è rappresentata da nun

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cavaliere che, come S: Martino taglia una parte del suo mantello per donarlo ad un povero infreddolito. Un po’ di conoscenze in più ci vuole per capire che “Ospitare i pellegrini” è articolata in due figure di un pellegrino ( che , nel Medioevo si riconoscevano per la conchiglia che portavano sul cappello,

e un viandante che gli indica dov’è l’osteria.. “Sotterrare i morti” è infine rappresentata dai piedi di un cadavere, illuminati da un fascio di luce, che viene trascinato verso il fondo del quadro., Ma perchè vengono commissionate le 7 opere di misericordia? A quei tempi (inizio del ‘600 ), la chiesa cattolica stava sostenendo un duro confronto politico e teologico con i protestanti di Lutero che avevano rinfacciato ai Papi simoniaci di gestire il Cristianesimo da mercanti vendendo le “indulgenze” per entrare in Paradiso. Di fronte alla teoria luterana, secondo cui basta la sola fede per salvare il credente, la chiesa cattolica contrapponeva la tesi che oltre alla parte spirituale della fede, il credente dovesse aggiungere azioni di misericordia messe in atto nella società, la cosiddetta “misericordia corporale”.

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Considerato

il rinnovato interesse per i “Siti Reali” con le relative organizzazioni turistiche, ripropongo il ricordo di San Leucio, oggetto di studi d’Archivio per un mio libro del 1997 (1). Il sito di San Leucio, “straordinariamente boscoso e fertile, risalente nella sua integrità ecologica, ai tempi dei romani e forse precedenti essendo sacro a Diana” (E. Battisti, 1977), proprietà dei Principi Acquaviva d’Aragona che vi avevano costruito, già nel XVI secolo lo splendido Casino del Belvedere, fu acquistato, con l’intero stato di Caserta, nel 1750 dal re Carlo III. In cima al colle di San Leucio il Re Ferdinando, già conoscitore di quei luoghi per le sue battute di caccia nei dintorni della Reggia, consultò sullo stato dei luoghi Luigi Vanvitelli, Custode dell’Accademia di San Luca già impegnato da Re Carlo a Caserta dal 1750, che incaricò Francesco Collecini, suo allievo romano alla Accademia, per la costruzione del casino di caccia detto “La posta del Re”. I lavori cominciarono con l’elevazione di un muro di cinta e con la costruzione in cima alla collina del Casino con annessa Cappella, che fu però abbandonato quando vi morì Carlo Tito, primogenito di Ferdinando. Nel Sito di San Leucio, cui si accede varcando il bel portale d’ingresso ispirato alle architetture di Caserta, lungo la strada in salita cominciarono a costruirsi due quartieri che si sarebbero ampliati alle spalle in cortili che avrebbero moltiplicato le abitazioni. Più in alto, dopo l’ampia scalinata che conduce al Belvedere, svoltando a sinistra, lungo la strada che conduce al “Casino Vecchio”

Nel Sito di San Leucio l’Arte della Seta

si cominciò a costruire una Vaccheria e case per i lavoratori specializzati chiamati anche dal nord dell’Italia. E’ in questo sito che venne impiantata prima un’industria di veli di seta poi una fabbrica di calze (1789 circa) e poi un cotonificio (1820). Ma, oltre la storia delle architetture, affascinante è

altresì la storia delle origini della manifattura della seta in Italia e in Europa che ho tratto dagli “Annali Civili del Regno delle Due Sicilie” (III, 1833, V fascicolo, pp.44-51), in cui tra l’altro ho appreso come le manifatture della seta, nate in Oriente, sempre primeggianti sulle manifatture europee, fossero state portate in Calabria e in Sicilia e poi in Campania: Verso la metà del VI secolo D.C., due monaci di San Basilio Magno, tornati da Cesarea (Turchia), riferirono all’ultimo Imperatore bizantino, Giustiniano (482565), cose mirabili sull’arte della seta praticata in India e tenuta segreta. L’imperatore impose a quei due monaci di tornare in Asia e portare a Costantinopoli quei “piccoli vermicciuoli che dalla bocca filavano”, origine di tanta meraviglia. I monaci non

poterono che portarne le uova che si schiusero e gli animaletti, alimentati con foglie di gelso, formarono a suo tempo i bozzoli. Da allora quell’arte si espanse in Grecia e principalmente nel Peloponneso. Molto più tardi, nel 1148 Ruggero il Normanno, re di Sicilia, in lotta contro l’imperatore Emanuele Comneno (11181180), che aveva fatto imprigionare alcuni suoi legati inviati per trattative di pace, si volse contro i lidi di Corcira, Tebe e Corinto, e fatti prigionieri quanti lavoravano le sete in quei luoghi, li fece condurre in Sicilia, quindi fondò a Palermo, nello stesso suo Palazzo, le manifatture della seta che producevano meravigliosi teli intessuti di oro e pietra preziose. Testimonianze di tale produzione in Sicilia furono ritrovate nei sepolcri dei due re della dinastia Sveva, gli Altavilla, Guglielmo I, il Malo, e Guglielmo II il Buono, avvolti nelle sete intessute di pietre preziose ed ori, nel 1811, quando incendiato il Duomo di Monreale, se ne aprirono i sarcofagi. Quelle manifatture, introdotte da Ruggiero il Normanno in Calabria, si espansero in tutta Italia, e divennero famosi i drappi di Genova, Venezia, Firenze e Lucca. Ma nel Regno di Napoli l’arte della seta prosperava più che altrove per la qualità dei tessuti e la delicatezza dei colori tanto che Ferdinando I d’Aragona (1424-1494), salito al trono nel 1458, proteggeva quei lavoranti concedendo loro privilegi ed anche l’imperatore Carlo V (1500-1558), già re di Napoli, li confermò e creò una corporazione insediata nella città di Napoli ed impose “che quivi solamente le sete, che nelle province si producevano,

fossero manifatturate” con un traffico fiorente e ricchissimo. In una prammatica del 1740 di Carlo di Borbone poteva leggersi infatti che perfino in Messico ed in Perù erano richiesti i drappi di seta tessuti a Napoli. Altri testimoniano però che Luigi XI di Francia (1423-1483), re dal 1461, aveva chiamato presso di sé stimati imprenditori da Venezia, da Genova da Firenze e dalla Grecia insediando manifatture soprattutto a Tours. Così anche nel Mezzogiorno di Francia le sete cominciarono a fiorire e dopo la conquista del Regno di Napoli nel 1495, da parte di Carlo VIII (14701495) che vi rimase pochi mesi, vi si trapiantarono coltivazioni di gelsi e le uova dei bachi e vennero insediate anche a Lione altre manifatture. La pluralità delle fiorenti industrie europee, ma soprattutto alcuni errori compiuti nel Regno di Napoli portarono ad un decadimento delle manifatture napoletane costatato ed espresso nella prammatica del 1751 da Carlo di Borbone quando da poco tempo aveva acquisito al Regno i territori degli Acquaviva d’Aragona che seppe arricchire con molteplici iniziative, in particolare nelle manifatture della seta a San Leucio, riprese e portate innanzi con attente programmazione come attestano i documenti storici, gli studi e le mirabili architetture testimoni del lavoro dell’erede Re Ferdinando. Da “La Colonia e il Belvedere di San Leucio”, Fratelli Fiorentino, 1997 Maria Carla Tartarone

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La storia dll’arte ovvero la cenerentola della buona scuola Su “Il Sole 24Ore” del 13 luglio scorso

Emmanuele F. M. Emanuele ha aggiunto un’ulteriore e critica riflessione sulla mancata promessa di valorizzazione della Storia dell’arte da parte del ministro dell’Istruzione Stefania Giannini. Il ministro, infatti, durante gli “Stati Generali della cultura”, organizzati dal Sole 24 Ore, avrebbe dichiarato: “Mi impegno qui formalmente, la Storia dell’arte ora è una Cenerentola accessoria, non una materia strutturale”; “Quanto ci costerà introdurre la Storia dell’arte in tutti i livelli? Ci costerà più o meno 25 milioni su 51 miliardi di spesa complessiva?”. Questo solenne impegno, peraltro largamente apprezzato e condiviso durante gli Stati Generali, a distanza di poco più di un anno, non è stato mantenuto. Neppure nella recente riforma scolastica etichettata come “la buona scuola” vi è traccia di questa fondata aspettativa. Su questo episodio della nostra vita cultural-politica Emanuele sviluppa il suo efficace articolo, considerando “la cultura a servizio dello sviluppo del Paese” e attribuendo giustamente alla Storia dell’arte un importante e civile ruolo formativo. A poco meno di una settimana, a Procida sull’ampio, magnifico sagrato di Santa Margherita Nuova, si è tenuta la presentazione del polemico e ironico libro di Giannantonio Stella: “Bolli, sempre bolli, fortissimamente bolli”, con Vera Slepoj e il suo tour di Libri d’Acqua, Sergio Scapagnini e Francesco Durante, moderatore. Il libro in discorso, dedicato alla particolare burocrazia italiana che

attraversa tutto il nostro Paese e le sue istituzioni, comprese naturalmente quelle culturali e formative, ha offerto uno stimolante spunto per affrontare, con la vivacità tipica del momento dedicato al dibattito col pubblico, la Storia dell’arte e i Beni culturali. Molto interessanti su questo tema sono risultate le riflessioni di Elena Saponaro e Maurizio Vitiello, rispettivamente indirizzate alla Storia dell’arte e alla gestione dei Beni culturali. La Storia dell’arte, ha esordito Elena Saponaro, pur essendo la nostra vera lingua, dal momento che siamo riconosciuti e riconoscibili più con le immagini della nostra arte che con la parola scritta o parlata del nostro italiano, è, nei fatti, ignorata sia nel nostro sistema formativo sia dai nostri politici, amministratori e classe dirigente. Allora, come si può amare, rispettare e valorizzare qualcosa che non si conosce o si conosce in modo approssimativo? L’insegnamento della Storia dell’arte, ha proseguito Elena Saponaro, già vicepresidente dell’Anisa (Associazione nazionale insegnanti di Storia dell’arte) deve essere capace non solo di fornire conoscenze storiche ma, soprattutto, di far in modo che queste conoscenze non siano di superficie, ma realmente interiorizzate dagli studenti, tali da costituire una reale dimensione culturale e affettiva della personalità di ognuno di noi. Maurizio Vitiello, funzionario bibliotecario presso l’Ufficio di documentazione del patrimonio artistico del Museo di Capodimonte, ha espresso nel suo intervento la forte preoccupazione che deriva dal disegno di legge Madia (n.3098), peraltro già

approvato dal Senato. Un disegno che configura la riorganizzazione dell’amministrazione statale con la costituzione dei cosiddetti “Uffici territoriali dello Stato”che sostituiranno le Prefetture soppresse. In essi “confluiranno “ tutte le articolazioni periferiche dello Stato e, dunque, le Soprintendenze e tutte le altre istituzioni periferiche del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo. Si tratta di un disegno che andrà a sconvolgere l’attuale assetto gestionale e scientifico dei Beni culturali, peraltro già alterato dalla riforma Franceschini attraverso tagli, accorpamenti e istituzioni di nuovi organi e, soprattutto, separando l’attività di tutela da quella della conservazione. Ora, al di là di giudizi contrastanti e opinioni di segno opposto, mi pare che le considerazioni svolte in questi due interventi afferiscano al cuore del problema del nostro immenso patrimonio storico-artistico, quello che ne ha sempre rappresentato il sostegno in tutta la sua vicenda storica e cioè la formazione e la gestione. Vale la pena di sottolineare, in conclusione, come ha scritto Emanuele, che se c’è una stretta coincidenza tra la storia del nostro Paese e la storia della nostra arte, allora una “buona scuola” sarà tale solo quando fornirà adeguate conoscenze e consapevolezza critica sul nostro straordinario patrimonio di arte e di bellezza; da qui nasce la necessità che una “buona scuola” si realizza partendo proprio da una “buona storia dell’arte”. Franco Lista

Libri - Consigli di lettura per l’estate:

“I nuovi casi dell’agente speciale Blondie” di Ornella Della Libera Blondie è stata una delle prime donne poliziotto d’Italia. Per diventare un agente di Polizia, bisognava superare un addestramento durissimo, degno di un marine. Da allora Blondie non ha mai smesso di svolgere con passione il suo lavoro, in nome della legalità e in difesa dei più piccoli e innocenti. Sono loro i protagonisti di queste storie, ragazzi che talvolta sono costretti a combattere contro

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mostri tanto più grandi di loro. Ma con un angelo con la pistola come Blondie, i cattivi hanno le ore contate… Editore: Rizzoli Collana: RAGAZZI – STORIE VERE Prezzo: 11.00 € Pagine: 176

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L’applauso napoletano Nelle classifiche di settore, la nostra città

è catalogata come una delle meno vivibili per tutta una serie di cose, dalla presenza della malavita organizzata e non, fino alle profondissime buche che caratterizzano il fondo stradale di ogni parte della città. Tra gli elementi positivi della nostra vita quotidiana annoveriamo, però, la gentilezza di tanti operatori pubblici in molti uffici - vedi l’Ufficio Condono edilizio in via Botteghelle oppure l’Ufficio Rapporti con il pubblico di piazza Municipio, i presidi sanitari, e tanti altri. Tra questi annoveriamo anche tanti uffici postali, i cui dipendenti sono sottoposti a continui, defatiganti rapporti con il

pubblico. Tanto premesso, sentiamo il dovere di segnalare qualcosa che valutiamo più della semplice gentilezza e che ci è capitato di constatare nell’Ufficio postale di via Ascanio, a Bagnoli, dove la gentilezza è una prerogativa costante di tutti gli impiegati. Ebbene, tra loro c’è qualcuno che sente il dovere di segnalarti anche cose che la complessa organizzazione dell’Amministrazione postale mette a disposizione degli utenti ma non segnala adeguatamente, come lo sconto sui bollettini di pagamento a favore dei clienti ultrasettantenni, come la riduzione del costo delle raccomandate di un certo

ingombro e di un certo peso se ti servi dell’impacchettamento predisposto dalle PPTT. Per questo stare al servizio del cittadino al 110% , alla sig.ra Enza Cesario, dipendente PPTT dell’ufficio di via Ascanio, la redazione de “il Confronto” rivolge il suo sentito applauso.

L’applauso napoletano 2 I Romani usavano due verbi diversi

a seconda che ti rivolgevi al tuo interlocutore per sapere una cosa o per ottenere una cosa. Quando ti rivolgi ad un dipendente comunale, sai a priori che quello ti giudica un fastidioso scocciatore. E’ un fatto un po’ generalizzato, forse connesso con l’attività piuttosto monotona dell’attività impiegatizia. Non è un fatto generalizzato, purtroppo,

essere accolto con gentilezza e cordialità, trovare competenza e puntualità di informazione. Perciò spendiamo queste poche righe ringraziando tutti quei dipendenti comunali che sanno che gentilezza e cordialità non costano niente , competenza è il presupposto per occupare il posto che si occupa, e precisione e completezza di informazione è un fatto professionale. Il front-office dell’Ufficio Condono

di via Commissario Ammaturo a Ponticelli ha il pregio di assicurarti tutto questo, sia che vai in orario di apertura sia che arrivi poco prima dell’orario di chiusura. Perciò, al sig. Pasquale Prisco, dipendente comunale al front office del Condono edilizio di via Botteghelle, va, sentitissimo, l’Applauso della Redazione del Confronto.

Testimonianza per un Italiano Grazie papa’, e non solo dai tuoi figli Correva l’anno 1943 e Michele Lubrano

Lavadera, primo di nove tra fratelli e sorelle era un militare della Regia Marina Militare Italiana in servizio presso una nave ancorata nel porto di Castellammare di Stabia. Castellammare in quel periodo era tra i cantieri navali militari e civili più importanti del centro sud, per la sua posizione nevralgica di prossimità a Napoli e Salerno e a poche ore dalla Capitale tale da renderlo di fatto un obiettivo strategico fondamentale. Per tutto il corso del ‘43 la città, il porto , come il resto del paese si preparano a quello che sarà il “redde rationem” contro il fascismo e l’alleato tedesco. Il susseguirsi degli avvenimenti che annienteranno ogni residua fiducia nel regime e culmineranno nei tremendi eventi della Liberazione. Centinaia di

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testimonianze orali, documentali, video, hanno messo in -luce come si sia passati dalla fedeltà al Regime, alla sua totale negazione, attraverso un processo di liberazione progressivo da ogni vincolo, materiale ed ideale. Una popolazione civile e militare ormai stremata dalla fame e stanca dei soprusi e dei privilegi del regime, riusci’ a trovare la forza di ribellarsi, per riaffermare la democrazia. Furti, rapine, razzie sono ormai all’ordine del giorno, ma rappresentano solo e soprattutto un istinto primordiale, quello della mera sopravvivenza in ragione del quale si stabilisce nella società un tacito consenso verso una Legalita’ superiore, che forse non sta scritta in nessuna Tavola, in nessuna Legge, ma sta radicata nella coscienza di tutti coloro che intendono difendere il bene più prezioso che hanno,

la propria vita. Le prime avvisaglie si ebbero già nella primavera dello stesso anno, quando il Direttore del Cantiere chiese al Commissario prefettizio, l’autorizzazione a costruire un rifugio antiaereo dove poter ricoverare le maestranze in caso di attacco, ed altri due furono poi costruiti in citta’ , uno presso la ferrovia ed un’altro presso la scuola media, a dimostrazione che ormai si attendeva ciò che poi ufficialmente si formalizzerà nel settembre successivo. Dopo lo sbarco alleato anglo-americano (10 luglio 1943), e i primi bombardamenti tra il15 e 16 e il 17 e 18 luglio che generano le prime vittime, furono individuati altri rifugi nelle gallerie della Circumvesuviana. Arrestato Mussolini del 25 luglio e sciolto il Gran Consiglio del Fascismo, anche Castellammare inizia a mutare la propria pelle, con il cambiamento dei nomi di

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due delle piazze più importanti : “ Piazza Italo Balbo” tornerà ad essere Piazza Municipio e “Piazza Ciano” cedera’ al tradizionale Piazza Terme. La forte presenza militare non arresta l’organizzazione più o meno clandestina dei movimenti antifascisti, il sindacato stabiese forte della consistente e storica presenza operaia promuove lo sciopero del 1* settembre e porta in strada migliaia di stabiesi nella protesta per il pane, L’armistizio non fa altro che formalizzare ciò che di fatto era già avvenuto da tempo, l’ asse è ormai rotto ed esiste un unico nemico, la Germania. La “battaglia” dell’11 settembre diventa per Castellamare la strenua difesa del proprio patrimonio, il porto. L’ordine germanico era quello di distruggere il porto di Castellamare La popolazione civile, cercò di resistere e se anche alla fine non riusciì ad opporsi alla violenza tedesca, innescò l’animo della rivolta che poi trascino’ i Napoletani ed i campani fino alle Quattro Giornate

di un imbarcazione di un pescatore . Ptrocida è là, terra benedetta e ancora più benedetta. Un ultimo sforzo e poi, … benedetta, benedetta , benedetta. Se le donne sono come i gatti che hanno sette vite, quella volta Michele ne porta in dote nove, tante quante

di Napoli. In questo contesto Michele matura la decisione di tornare anzitempo a casa. Ce’ una famiglia numerosa che l’aspetta., Riesce a risparmiare per una settimana la propria porzione di pane riservata a militari, a nasconderla in una sacca per poi prepararsi alla prima occasione. utile. Questa si presenta con un vestito di donna! Michele si fa prestare un abito femminile da una delle stabiesi che si recano a bordo per lavare gli indumenti militari e riesce a scendere così dalla nave sulla quale era imbarcato, e sfuggire ad una pattuglia tedesca che non riesce a riconoscere la sua reale natura) Così abbigliato raggiunge a piedi Monte di Procida e, con in mano la borsa del pane conservato, attraversa lo stretto di mare nuotando a ridosso

furono necessarie alla propria famiglia per andare avanti. Ormai capofamiglia da anni assolse a questa responsabilità nel momento per lui più difficile, portando loro sostentamento materiale ed economico ma soprattutto il conforto e l’aiuto che proseguì tutta la vita. Con la fine del conflitto difatti continuò’ nelle sue consuete occupazioni, di pescatore, contadino e marittimo ( alcuni suoi imbarchi durarono anche 24 mesi e poi nel Golfo di Napoli , Span e poi Caremar) riuscendo a far maritare la sorella maggiore ed ad avviare alla realizzazione il resto della famiglia. Si sposerà più tardi, a 33 anni ed ebbe tre figli ( Porfilio , Rachele e Giuseppe) riuscendo a non far mancare nulla a loro ( un affermato professionista il primo con una splendida figlia, madre di due la seconda) e soprattutto resterà

continuamente accanto alla moglie ( incapace di provvedere a se stessa a seguito di un tragico evento) con amore e dedizione. La pensione di guerra gli fu negata, perché risultava “disertore” ), avendo abbandonato la divisa anzitempo. Come si può accusare di diserzione una persona che riesce a sfuggire ai tedeschi, ormai nemici e, in condizioni difficilissime, a tornare a casa portando in una busta il pane risparmiato per una settimana? Quale valore possono avere per Michele le leggi e i regolamenti militari? Quale senso dello Stato era andando ridisegnando Michele con il proprio gesto, con tutta l a propria esistenza? ,A 14 anni pescatore a Trieste ( poi precocissimo capobarca) , poi di nuovo pescatore e poi marittimo a Procida. Assume la responsabilità della famiglia, della madre , dei fratelli e delle sorelle, , che aiuterà a sposarsi la sorella Memena, per poi riuscire a formarsi la sua famiglia più tardi. Solo nel 2005 riceve la medaglia d’oro al Merito civile dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi per aver resistito ed avere opposto il coraggio alla violenza nazifascista. “ Castellammare, all’indomani dell’armistizio , fu oggetto della violenta reazione delle truppe tedesche che, in ritirata verso il Nord, misero in pratica la strategia della “ terra bruciata”, distruggendo il cantiere navale, simbolo della città eroicamente difeso dai militari del locale presidio e gli altri stabilimenti industriali. Contribuì alla guerra di liberazione con la costituzione spontanea dei primi nuclei partigiani, subendo deportazioni e feroci rappresaglie che provocarono la morte di numerosi concittadini . 1943-1945 Castellamare di Stabia (NA)”. ( questo il testo dell’onoreficenza). Michele proseguì la sua vita accanto alla famiglia, ai fratelli, alle sorelle, ai figli e soprattutto alla moglie, , serbando dentro di se per sempre l’idea per cui il bene si fa e non si dice. Michele, forse non sarà stato un ‘eroe nella accezione convenzionale del termine , ma appartiene a quelle rare persone che hanno saputo prendere la decisione giusta, per i propri cari. e per la comunità. E’ scomparso nel 2005Franco Ambrosino

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Les femmes fatales di Napoli: neanche Totò fu immune al fascino delle sciantose

Quanno ‘a luna, affacciánnose ‘a cielo, passa e luce e, ‘int’a ll’acqua, s’ ammira e ce stenne, d’argiento, nu velo, mentre ‘o viento da sera. suspira.... è la canzone A’ Sirena di Salvatore di Giacomo con la quale la sciantosa Gilda Mignonette inaugurò il Salone Margherita a Napoli, nel 1890, l’intera platea composta dalla cremè di Napoli che era accorsa all’inaugurazione: aristocratici, politici, banchieri, bella gente, andò in delirio. Ma chi erano le sciantose? Le sciantose, (traduzione napoletana del termine francese “chanteuse”) erano cantanti, regine della notte e di un mondo sfavillante e frivolo, donne di bell’aspetto, civettuole , seducenti e spregiudicate, che con le occhiate conturbanti e le gambe sempre in vista, ammaliavano le platee dei cafè chantant. Dopo ogni esibizione, si facevano largo tra gli scroscianti battimani, i ripetuti brindisi , scaldando ulteriormente l’esuberante platea, la cui euforia era incontenibile. I cafè chantant furono ritenuti un simbolo di libertà, dove ci si poteva intrattenere fino a notte fonda, a bere, fumare ed assistere agli spettacoli musicali per regalare all’immaginazione maschile il tocco di proibito. Non era facile conquistare le grazie delle sciantose, molti ammiratori affluivano nei camerini delle dive nella speranza di avere un appuntamento: pochi erano, però, gli appuntamenti per la “cena” e il dopo spettacolo. L’ esempio di donna provocante sensuale era stata copiata dal personaggio biblico di “Salomè” e la sua danza erotica “danza dei sette veli” nella Belle Epoque. La loro immagine nasceva dal desiderio di fuggire in un mondo libero dalle ipocrisie dei benpensanti. Considerate spregiudicate, amanti della lussuria, queste figure controverse sfidarono gli schemi regolari di una società patriarcale. Erano prodotti di un’ epoca (la Belle

Ristorante-Pizzeria “Il Barbaro” via Riello, 4 Tel. 0823 717714 Sant’Agata De’ Goti (BN)

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Epoque) che rifletteva i cambiamenti di una società, un’esigenza della figura femminile che usciva dagli schemi regolari sfidando gli stereotipi. Le dive le sciantose diventavano oggetto

del desiderio di personaggi potenti, e rappresentavano il simbolo del successo e della femminilità. Dietro le quinte dei sipari dei cafè chantant maturarono amori, passioni travolgenti, suicidi e omicidi, accrescendo intorno alle figure delle sciantose fama di donne irraggiungibili confermate dai mille fabliaux popolari che favoleggiavano di ingenti patrimoni mandati in fumo da chi si immergeva nel loro mondo. Yvonne De Fleuriel, al secolo Adele Croce, divenne una delle sciantose più ammirate sui palcoscenici italiani, europei e americani. Il suo fascino naturale unito ad uno studiato atteggiamento di donna fatale, seducente e ammaliatrice, incollò, sulle poltrone rococò del Salone Margherita, banchieri, ufficiali, aristocratici e ricchi borghesi, pronti a cogliere un suo sguardo ammiccante. Nelle prime file c’erano spesso Gabriele D’Annunzio, Salvatore di Giacomo e tanti intellettuali. Un noto musicista, Carlo Mirelli, si suicidò solo perché respinto dalla bella Yvonne. Il compositore Mario Costa, si innammorò di una sciantosa parigina autentica alla quale le dedicò la canzone ““Songo frangesa e vengo da

Parigi”, (‘a Frangesa), che divenne canzone simbolo dei cafè chantant napoletani. Una sciantosa, napoletana purosangue, Maria Campi, fu l’inventrice della “mossa”: accompagnata dal rullante tamburo il suo corpo si contorceva e si produceva in un sensualissimo movimento di bacino timbrato dalla grancassa. La “mossa” o il “coup de ventre” alla francese, che la rese celebre per tutti gli anni Venti le fece valere il titolo di “mangiatrice di uomini”. Anche il gran Totò ebbe una storia amara e triste che lasciò una traccia indelebile nel suo cuore. Era all’apice della sua carriera e conobbe una sciantosa al Teatro Santa Lucia di Napoli una certa Eugenia Castagnola in arte Liliana, una donna, con un passato travolgente: due storie di suicidi di uomini follemente innammorati di lei. Quando arrivò a Napoli, la sua fama di “femme fatale” era accresciuta notevolmente e Totò, ne fu travolto. Divennero amanti ma la loro storia durò solo tre mesi, lei era troppo possessiva: Liliana, pur di restare a Napoli accanto a Totò gli propose di farsi scritturare al Teatro Nuovo. Ma Totò forse spaventato dal suo carattere forte e possessivo, decise di accettare un contratto con la compagnia Cabiria che lo avrebbe portato a lavorare a Padova. Liliana lo supplicò di non abbandonarla ma Totò aveva ormai deciso. Fu cos’ che, nella sua camera della “Pensione degli Artisti” la donna ingerì un intero tubetto di sonniferi. Fu trovata morta il mattino dopo, dalla cameriera. Totò ne rimase sconvolto e volle che Liliana fosse inumata nella tomba di famiglia dei De Curtis a Napoli. La sua ed unica figlia si chiamerà Liliana. Ma le storie del Cafè Chantant sono infinite. Silvana D’Andrea

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STORIA Il recente recupero della memoria storica

del ruolo dei Borboni nel meridione d’Italia sta generando nostalgie ed illusori movimenti autonomisti. Ritengo pertanto corretto il tentativo di attingere alle valutazioni di un grande testimone dell’ epoca per fornire contributi di migliore chiarezza degli accadimenti storici. La situazione del Regno di Napoli, dopo il 1789, ci viene infatti analiticamente fornita da Pietro Colletta nella sua celebre “Storia del Reame di Napoli”. La legislazione civile e penale risentiva pesantemente della “servitù cieca dei giudici all’arbitraria volontà del principe”. Nessuna certezza del diritto infatti “il

procedimento non era catena necessaria di atti legali, ma un aggregato di fatti vari quanto i casi di fortuna o di regia volontà”. La finanza del Regno era alimentata principalmente dai dazi come ad esempio “il testatico, chiamato di once a fuoco, tassato dal fisco per comunità, spartito nelle famiglie per teste: il solo vivere generava tributo... ma sconosciuto il principio delle rendite e l’uguaglianza dei tributari.. venivano favorite le terre della chiesa e lasciate libere le regie e le feudali…la proprietà stava in poche mani, quasi immobile per feudalità, primogeniture, fidecommissi, vincoli

I Borbone a Napoli della chiesa e di fondazioni pubbliche; perciò ricchi i monasteri ed i vescovadi, ricche le baronie e le commende, povero tutto il resto”. L’amministrazione non aveva leggi proprie né “magistrato nelle province che se ne desse pensiero”; irrilevante parte delle entrate veniva destinata ai pubblici bisogni; “ brigavano le scelte per danari e tumulti; i conti eran dati tardi o non mai; il patrimonio comune fraudato e le revisioni fallaci per complicità o pericolose per vendette… l’ordine della pubblica amministrazione mancava affatto nel regno. Non mai società è stata sconvolta quanto la napoletana specialmente ai primi anni del XIX secolo: il potere del re illimitato, ma senza scopo, nemmeno quello della tirannide, perchè gliene mancava la forza; i sapienti avviliti e senza speranza.” Eppure il regno di Carlo ed il tentativo di attuar riforme di Ferdinando, fino al 1790, avevano creato i presupposti, non mai sopiti, per nuove istanze di più equa convivenza civile, di sistema legislativo garante degli interessi legittimi e dei diritti della collettività. Il popolo progrediva pur in presenza della crudele restaurazione dell’assolutismo. E’ questo il contesto socio-economico quando – fra alterne vicende e dopo l’incoerente e truffaldino atteggiamento borbonico – arrivano i francesi a Napoli, nel febbraio del 1806. Il decennio francese, come ho avuto modo di sommessamente scrivere sulle precedenti pagine del “ Confronto”, fu un periodo di grande crescita democratica attraverso politiche coerenti col riformismo illuminista, con l’applicazione del principio libertario dei “diritti dell’uomo, con l’affrancamento dai pregiudizi e le opportunistiche superstizioni del regime clerico-feudale. Nasce una nuova classe borghese ed intellettuale consapevole dell’inalienabilità di valori quali la sovranità popolare e la libertà nazionale. Non è casuale che intellettuali meridionali quali Giuseppe Zurlo, Vincenzo Cuoco ed altri contribuirono alla formulazione del “Proclama di Rimini“ che rivendicava

l’indipendenza, l’unità, la libertà nazionale che il giovane Manzoni tradusse “liberi non sarem se non siam uni”. Né sono da attribuire alla successiva, feroce restaurazione borbonica i grandi progressi socio-economici –la cd. rivoluzione pre-industriale- che interessò il Regno delle due Sicilie rendendolo il più ricco d’Italia e significativa potenza economica del pianeta. Le conquiste costituzionali del popolo del sud furono frutto delle rivoluzioni – non più dell’èlite degli intellettuali, come nel ’99 – ma dell’intera comunità; e tra tentennamenti ,giuramenti negati, promesse non mantenute, convincimenti estorti che era necessario “dare al popolo, sotto specie di concessioni, quanto egli guadagnerebbe per via di forza“ (Francesco – vicario), si realizzarono i nuovi presupposti di democratica razionalizzazione della convivenza civile e della più equa distribuzione. Vincenzo Caratozzolo

Via Cesare Rosaroll 24, 80139 Napoli Centralino : (+39) 081 265585 Orari di apertura: Lun - ven ore 7.30 - 19.00 Sabato: 7.30 - 12.00

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ARTE

La pittura russa dell’ultimo periodo zarista

L’arte russa dell’Ottocento, dopo vari passaggi che l’hanno avvicinata

gradualmente all’arte dei paesi occidentale (per l’architettura e la pittura in modo particolare e in misura diversa), ha raggiunto, un livello emulo di quello, prevalente, francese, a cui si ispira, e di quello, non meno importante, delle varie scuole pittoriche italiane e inglesi. I pittori russi, e quelli slavofoni sotto l’influenza dell’Impero russo, portano nei rispettivi territori il frutto delle esperienze fatte soprattutto in Francia e in Italia. Anche la classe intellettuale elabora programmi di diffusione delle idee scaturite dai vari movimenti rivoluzionari, che intendono, con mezzi più o meno pacifici, organizzare le masse contro il dispotismo dei re e degli zar per dare dignità sociale alle classi più deboli, meno protette. In Russia, un gruppo di pittori, sempre più attivo e numeroso, accoglie le istanze della nuova intellighènzia, proponendosi di diffondere presso la gente povera e analfabeta degli sperduti villaggi lo specchio della loro stessa vita, con paesaggi distesi e riccamente colorati, rappresentazioni dei lavori più umili e pesanti, scene in cui traspaiono le angherie di boiardi ingordi e prepotenti e paesaggi profondamente ispirati alla sacralità della natura e a una religiosità intrisa di misticismo tipico della Santa Madre Russia.

Riferimenti più diretti e riconoscibili ci riconducono alla Scuola di Barbizon, a quella di Fontainebleau, a Corot, al Realismo di Courbet e ancora Millet. Riflessi paralleli si avvertono delle varie scuole italiane a sfondo sociale, intimista e nazional-popolare, come la pittura storica e paesaggistica della scuola di Resina, di Posillipo, dei Macchiaioli e

svecchiamento dell’apparato burocratico e all’affrancamento dall’opprimente dispotismo clericale. Il Realismo in pittura, come in scultura, in architettura e in musica, risponde a un forte sentimento di natura patriottica. I suoi riflessi si estendono a tutta l’Europa dell’Ottocento e, in misura diversa, come arma ideologica, alle rivoluzioni del

così via. Tra i pittori della scuola russa, i cosiddetti Ambulanti o Itineranti (PEREDVIJNIKI o PEREDVIŽNIKI) nella quale confluirono anche altri, originari di paesi criconvicini, ricordiamo Repin (famoso il suo quadro I battellieri del Volga)1 e Surikov ( con la Bojarina Morosova)2. Il Realismo pittorico della Russia zarista ha contribuito, con apporti teorici e col mecenatismo di pochi intellettuali lungimiranti, allo

primo Novecento in Russia e in Messico, in modo particolare. Un’ attenta correlazione tra le vicende sociali e storiche con le vicende che hanno determinato tale corrente pittorica, anche in questo caso confermerà e ci aiuterà a capire che l’arte è sempre stata il prodotto della creatività individuale e, contestualmente, anche un elemento precorritore delle vicende umane. Angelo Grasso

Un premio per la munnezza Alcuni anni fa, a Procida fu istituito un premio, destinato a chi avesse allestito il miglior addobbo del proprio balcone con i fiori, e l’iniziativa ebbe un buon successo. Nei giorni scorsi, il mio padrone, che passeggiava per le strade dell’isola, ha notato la presenza, lungo le stesse, in pieno giorno, di filari di cumuli di sacchetti di rifiuti, alternati a grappoli di altri sacchetti, che pendevano da balconi e finestre. Un buontempone, che lo ha incrociato, gli ha spiegato (e non so se scherzasse

o dicesse seriamente) che era stato bandito un concorso, che avrebbe premiato il raggruppamento di sacchetti più pittoresco, e nessuno si era perso l’occasione di parteciparvi: insomma, ‘na munnezza ‘e premio, o ‘nu premio ‘e munnezza. Il Porco di Cernicchio

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La pittura murale nel Messico della rivoluzione L’arte

nello Stato messicano si manifesta sin dall’origine con elementi propri delle culture indigene e influssi della cultura europea trasmessa dai colonizzatori. Limitatamente al periodo della rivoluzione messicana, a partire dal 1910 fino agli anni 30, si è avuto un tipo di pittura che è servita sia come elemento decorativo di edifici pubblici rappresentivi, che come programma ideologico perseguito dai promotori della rivoluzione. In precedenza, ma dopo l’indipendenza del Messico dalla Spagna nel 1821, si ebbe un periodo di turbolenza, dovuta al susseguirsi di vari governi dittatoriali. Questa instabilità sociale ha portato poi alla Rivoluzione messicana vera e propria del 1910, che ha accentuato gli scontri tra contadini e latifondisti. Anche le idee più progressiste promosse da Francisco Madero, un liberale idealista che aveva recepito le istanze del pensiero socialista

europeo, si sono scontrate con una realtà sociale troppo conservatrice. I famosi rivoluzionari Pancho Villa, Orozco, Zapata e altri finirono per scontrarsi

tra loro ed eliminarsi a vicenda senza raggiungere gli scopi prefissi. Lo stesso Madero venne ucciso insieme ad un suo fratello, cosicché la rivoluzione non riuscì a eliminare le disuguaglianze sociali che l’avevavo generata. Gli artisti Diego Rivera, Orozco, Tamayo, Siqueiros e Frida Kalho hanno partecipato ai movimenti rivoluzionari del tempo con un tipo di pittura murale che doveva servire a educare la popolazione e promuovere il cambiamento sociale. Questa pittura eclettica fu influenzata sia dalle nuove avanguardie europee, sia dalle forme d’arte tradizionali e decorative dei popoli pre-colombiani del Messico (Maya, Aztechi, Toltechi, Olmechi, Zapotechi). I colori dei loro murales, ma anche quelli dei rilievi dipinti e dei mosaici, risentono di questo lungo contatto con popolazioni autoctone. Il preziosismo dei colori e la complessità delle decorazioni derivano da suggestioni di natura quasi onirica e da un

perfezionismo intellettualistico ispirato al decorativismo europeo di fine Ottocento. Non meno importanti risultano gli influssi della tradizione decorativa dell’arte sacra, promossa dagli ordini religiosi. I muralisti sono stati quasi tutti in contatto con la produzione artistica di inizio secolo in Europa, ad esempio Rivera ha perseguito un programma ispirato all’ideologia marxista, con una pittura di carattere popolare e con una tecnica solo apparentemente spontanea ma in realtà retorica, con composizioni di forte impatto visivo con valore più decorativo che contenutistico, rivolto soprattutto alle masse non istruite. Questo potrebbe valere anche per gli altri pittori del gruppo. Per quanto riguarda Orozco e Tamayo, essi hanno preso spunto da alcune forme di pittura azteca e da opere di pittori di avanguardia europei (Klee, Picasso, espressionisti, etc.). Opere dei pittori della Rivoluzione si trovano in musei a loro dedicati sparsi per il Messico centromeridionale. Più specificamente i musei dove si trovano le opere dei pittori qui menzionati si trovano a Città del Messico, insieme a tante altre opere di periodi diversi e di provenienza locale ed europea. La pittura murale non è rimasta confinata in Messico ma ha ispirato l’attività di artisti in varie parti del mondo, anche nella più recente variante dei graffiti nei Paesi del Centro Sud America e nell’Europa occidentale. Angelo Grasso

“ ZORRO” (pur’e viecchie tornano guagliune) Me piace Zorro, non me dite niente, ce tengo ‘na passione travulgente. Mi piace la sua classe, il suo coraggio, ca vence sempe e non sopporta oltraggio. Me piac ‘a maschera ,che porta ‘ncopp’a giacca. isso se vendica, e poi non lascia traccia. Me piace, dunque, sconfinatamente e tengo con lui un quotidiano appuntamento. ‘E cinch’e trenta in punto, chi mi ferma! Arrivo senza fiato, annant’o schermo. Per l’emozione e la velocità

mi capita, talvolta ‘e nu’ ffrenà, e c’incuntrammo dint’o televisore. Lui ven’a into, mentr’io arriv’a fora. ‘E vvote, ce tuzzammo cap’a capa, ma ‘a soja è cchiù tosta: s’aiza e cacci’ a spata Allora ie fuje fora da tivvu’ e felice me campo n’ora e cchiù. Mimmo Vaiatica

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MUSICA

“Napoli da Ora in Poi”: musica, sapori e luoghi d’arte

Nasce

NA≥DOP “Napoli da Ora in Poi”, il nuovo progetto culturale tra musica, luoghi d’arte e sapori. L’iniziativa nasce da un’idea di Gabriella Rinaldi con la partecipazione di Legambiente e l’Arcidiocesi di Napoli - Ufficio Diocesano Beni Culturali. Coinvolte 15 artiste napoletane, attrici, cantanti, scrittrici, 15 voci: Gabriella Rinaldi, Cristina Donadio, Brunella Selo, Annalisa Madonna, DEVA, Monica Pinto, Daniela Carelli, Fiorenza Calogero, Daelle, Armanda Desidery, Katres, Piera D’Isanto, Raffy & Lea - Sorelle Traettino, Cristina Pucci, Maria Chiara. Un progetto che la stessa Rinaldi definisce con questo acronimo uguale e maggiore alle energie della città, non è uguale a com’è Napoli ma è maggiore alle energie che attualmente parlano di Napoli. La vulcanica promotrice intende sottolineare come per la città ci sia spesso un’occasione non sfruttata al massimo, anzi forse mai sfruttata, considerando il termine “sfruttata” come l’opportunità di conferire alle bellezze di Napoli, che noi viviamo quotidianamente, un ruolo non marginale ma di fondamentale importanza per lo sviluppo socio culturale del territorio con una proiezione internazionale non retorica ma di impegno civico. Uno sguardo altro, questa la prospettiva che le

15 voci cercano di tirare fuori e di portare all’attenzione della città, raccontandolo dal punto di vista femminile, partendo dalla musica, passando per un luogo del cuore e per i sapori della tradizione cittadina. Questa compilation raccoglie il lavoro e le visioni di 15 artisti che la arricchiscono della personale e differente maniera di interpretare questo progetto. Il sito ad hoc realizzato contiene tutte le singole componenti del progetto ed inoltre è possibile anche scaricare ed acquistare i singoli brani (www.nadop.

it). Un team di professionisti, con grande entusiasmo e passione, hanno collaborato al progetto di Gabriella Rinaldi: Max Carola, musicista e produttore; Roberto Russo, fotografo; Bianca Fabbrocino,

food consultant; Giovanni Maria Riccio, avvocato; Sabrina Pelosi, restauratrice e cantante; Serena Marra, illustratrice. La track list è la seguente: 1. GABRIELLA RINALDI – Pezzo Moderno #1 (EH-HA) – 3:13 2. CRISTINA DONADIO – Spaccami il cuore – 5:24 3. BRUNELLA SELO .- Diluvio universale – 4:02 4. ANNALISA MADONNA – ‘Ncopp a funtana – 3:11 5. DEVA – Piazza Borsa – 3:06 6. MONICA PINTO – L’Ideal-Mente – 3:49 7. DANIELA CARELLI – Mare amaro – 3:27 8. FIORENZA CALOGERO – Tutt’e ssere – 3:09 9. DAELLE – Non lasciarmi andare via – 3:45 10. ARMANDA DESIDERY – Il Viaggio – 6:31 11. KATRES – Non ho bisogno – 3:20 12. PIERA D’ISANTO – Palumme – 4:40 13. RAFFY&LEA – SORELLE TRAETTINO – It’s Napoli – 3:41 14. CRISTINA PUCCI – Vurria – 3:02 15. MARIA CHIARA – Atlante (Mary’s mood) – 4:32 Gennaro Pasquariello

Jazz sotto il cielo stellato di Forio d’Ischia

Al via la seconda edizione di “Vicolo in jazz”: tutte le mattine il laboratorio di musica d’insieme

Gli accordi musicali si sono mescolati

ai colori d’estate del vicolo San Gaetano e alle stelle che illuminano le case di mare, le persone ed ogni oggetto, in un atmosfera incantevole, tra le cantine di Pietratorcia, l’Equo bar e la Chiesa San Gaetano come in una orchestra che diffonde armonia. Luogo non lontano dal Torrione saraceno che s’impone come un direttore d’orchestra. Dal 19 al 26 luglio, dopo il tramonto, si è svolta per il secondo anno la kermesse d’improvvisazione jazz. A due passi dal mare e dal porto di Forio, anche questa volta, il sassofonista Giulio Martino, tra i musicisti di punta della Campania e della scena del jazz italiano, ha condotto le serate durante le quali si sono esibiti per strada tanti musicisti.

«È con grande soddisfazione aver ricevuto musicisti di varie esperienze e culture in questa seconda edizione di “Vicolo in Jazz”. La gente ha partecipato con entusiasmo e, ho notato sui loro volti tanta felicità nell’ascoltare la grande

musica. Non solo napoletani e campani ma hanno suonato artisti anche di altre regioni. Una manifestazione cui intendiamo far crescere perché, per l’associazione Aenaria Music School, che tra l’altro rappresento, è importante diffondere la cultura della musica e del jazz trai i giovani e le persone adulte». Così ha espresso il suo parere l’ideatore della rassegna musicale a cielo aperto Salvatore Ferraiuolo che è un chitarrista, cantante ed interprete della canzone classica napoletana. Un evento che possiamo definire unico come nella migliore tradizione della street’s music di New Orleans. Il bassista e contrabbassista Gianluigi Goglia, come è già avvenuto l’anno scorso, ha insegnato la teoria musicale,

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musicale napoletano. Per la prima hanno partecipato il noto pianista e compositore Francesco d’Errico, il quale esprime jazz ricercato e di sperimentazione, ed è tra i più originali della musica contemporanea; infine, lo storico della musica, del Conservatorio Francesco Morlacchi di Perugia, Roberto Grisley. Un quartetto di maestri che ha dato grande valore alla manifestazione isolana. Il trio napoletano, invece, lavora spesso insieme e tante sono le loro produzioni. Un comune denominatore unisce il loro

background culturale: l’esperienza con artisti di rilievo internazionale come, A. Rudolph, E Gomez, B. Moses, M Ribot, N Winstone, M. Stockausen, F. D. Moye, S. Moteen, E. Zigmund, S. Steve Smith, M. Vitous, D. Humair, D. Gojkovich, G. Jackson, N Wistone. Ma questi sono solo alcuni esempi. Il programma è stato ricco e imperniato tra pratica e teoria. Dalla mattina alla sera. Gli iscritti alle clinics erano ventiquattro musicisti e si sono svolte nello spettacolare e antico Chiostro di

San Francesco (ex sede del Municipio foriano) vicino alla chiesa del Soccorso. Lezioni dell’arte di improvvisare, storia della musica, master class ed e-learning. Chissà se, in un tempo non molto lontano, si potrà giungere a scambi culturali con scuole di altre città italiane e addirittura la partecipazione di colleges esteri con i musicisti internazionali per suonare tutti insieme sotto le stelle di Ischia. Mario Conforto

MITI DI PROCIDA Il “San Michele” di Terra Murata Nel

1699 il Pontefice Innocenzo XII Pignatelli donò all’Abbazia di Procida una tela, siglata “L.G.”, raffigurante San Michele Arcangelo che sconfigge Satana; e, per lungo tempo, storici e scrittori furono concordi nell’interpretare quella sigla come proveniente da Luca Giordano. Il primo a offrirne tale lettura fu Michele

Parascandola, al cui seguito si posero tutti gli altri. Nel 1994, però, Salvatore Di Liello, Maria Barba e Pasquale Rossi pubblicarono la notizia del rinvenimento della fede di credito del pagamento del prezzo di tale opera a Luigi Garzi, pittore romano che ha operato anche a Napoli, affrescandovi, fra l’altro, la chiesa rinascimentale di Santa Caterina a Formiello. Ora, che la storia dell’arte sia fatta tanto

d’individuazione di elementi stilistici, quanto (e direi soprattutto) di documenti, è un dato indiscutibile. Sta di fatto però che, anche dopo la pubblicazione del documento sopra ricordato, tanti “homines unius libri” hanno continuato ad attribuire la paternità del dipinto a Luca Giordano. Probabilmente, essi

il “Fa presto” avrebbe dipinto l’Arcangelo, non ha che da recarsi nella chiesa napoletana dell’Ascensione a Chiaja e ammirare la tela che ne sovrasta l’altare maggiore. D’altronde, poi, il Garzi era artista di tutto rispetto, e riconoscergli la paternità della tela procidana non sminuirebbe affatto il valore della stessa. Negargliela, viceversa, integra quel falso linguaggio, in cui consiste il mito. Sergio Zazzera

avranno argomentato che, poiché la tela dell’Apparizione dell’Arcangelo, collocata nell’abside, fu dipinta da Nicola Russo, che del Giordano era allievo, nulla avrebbe impedito che la chiesa avesse accolto anche un’opera del maestro: ma è evidente che un’argomento del genere sarebbe del tutto privo di quella connotazione di biunivocità, che costituisce uno dei fondamenti della logica. Peraltro, chi volesse farsi un’idea di come

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