Technopolis 4

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NUMERO 4 | APRILE 2013

Storie di eccellenza e innovazione

il genio software amico dei farmacisti Gaetano Colabucci di Johnson & Johnson punta sulla tecnologia Web e sui tablet per ottimizzare la relazione con i punti vendita e superare la crisi del settore.

cloud in ufficio

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Suite di produttivitĂ , device personali, collaborazione online: ecco come sta cambiando il lavoro in azienda.

geointelligence

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Nasce un nuovo strumento per gli uomini di marketing e vendite: la Business Intelligence sposa i sistemi geografici.

fotonica italiana

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Dalla Brianza, Cisco guida la ricerca sulle reti ottiche a larghissima banda. E tiene viva la fucina di talenti made in Italy.

Distribuito gratuitamente con “Il Sole 24 ORE�


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SOMMARIO Storie di eccellenza e innovazione

N° 4 - Aprile 2013 Periodico bimestrale registrato presso il Tribunale di Milano al n° 378 del 09/10/2012.

Direttore responsabile: Emilio Mango

04 storia di copertina

Il software amico dei farmacisti: Johnson & Johnson

11 IN EVIDENZA I sogni “mobili” di Hp e di Lenovo

Oracle fa spese con vista sul cloud

L’Italia dell’Ict non cresce più

L’opinione: Jailbreak, una libertà piena di rischi TeamSystem cresce in market share e investimenti

Coordinamento: Gianni Rusconi Hanno collaborato: Piero Aprile, Luca Bastia, Valentina Bernocco, Federico Cociancich, Carlo Fontana, Cesare Garlati, Laura Tore Progetto grafico: Inventium Srl Sales and marketing: Francesco Proietto Iniziative speciali: Salvatore Losco Business development: Anselmo Barbieri

L’opinione: L’open source tenta l’impresa

18 SCENARI L’ufficio ideale? Liquido e senza fissa dimora

Office 365: Microsoft spinge le aziende nel cloud

L’Italia dirige la prua verso le nuvole

Foto e illustrazioni: Istockphoto

Nel retail la multicanalità detta legge

Big Data e cloud aprono l’era dei data center 3.0 Datemi una location e solleverò il marketing

Editore, redazione, pubblicità: Indigo Communication Srl Via Faruffini, 13 - 20149 Milano tel: 02 36505844 info@indigocom.it www.indigocom.com Stampa: RDS Webprinting - Arcore © Copyright 2012 Indigo Communication Srl Tutti i diritti di proprietà letteraria e artistica riservati. Il Sole 24 Ore non ha partecipato alla realizzazione di questo periodico e non ha responsabilità per il suo contenuto. Pubblicazione ceduta gratuitamente.

28 ECCELLENZE.IT Salvagnini - Check Point Università di Modena e Reggio - Sophos Città di Cremona - Aemcom

Icbpi - Oracle

32 italia digitale

Macchina pubblica efficiente cercasi

Da Nord a Sud: prove generali di città intelligenti

Un jolly italiano chiamato “Internet delle cose”

40 OBBIETTIVO SU

Cisco e la fotonica in Brianza

47 VETRINa HI TECH

Smartphone di ultima generazione

Pillole digitali


STORIA DI COPERTINA | Johnson & Johnson

pharmagenius: il genio software al fianco dei farmacisti Johnson & Johnson, multinazionale attenta agli sviluppi della tecnologia, ha rotto il tabù di uno dei mercati più tradizionalisti: ha impiegato l'hi-tech, di applicativi Web e tablet, per offrire ai gestori dei negozi e alla forza commerciale sul territorio i migliori strumenti per contrastare la crisi del settore. Migliorando la relazione con i titolari delle farmacie e ottimizzando vendite, marketing e acquisti.

N La sede di Johnson & Johnson a Pomezia, in provincia di Roma.

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on serve essere addetti ai lavori per capire che le farmacie sono cambiate molto nel corso degli ultimi anni. La congiuntura macroeconomica, ma anche il quadro normativo hanno accelerato un percorso evolutivo irto di ostacoli, che ha visto l’erosione dei margini, la competizione sempre più serrata di altre tipologie di punti vendita e la lentezza dei pagamenti da parte della Pubblica Amministrazione tra gli elementi di maggior rischio nel mercato italiano, così come nel più ampio contesto europeo. Per far fronte a questa accelerazione del cambiamento, i farmacisti avevano bisogno di nuovi strumenti, di politiche


per il benessere Vincere i “nemici invisibili” dell’uomo. Con questo obiettivo Robert Wood Johnson decise di investire nella sperimentazione delle prime garze antisettiche della chirurgia moderna: nel 1886 fondò la Johnson & Johnson e, con solo 14 dipendenti, avviò la commercializzazione di prodotti medicali sterili, divenendo in breve il marchio leader del settore. Nel 1910, a seguito della morte di Robert, alla guida della società fu chiamato il fratello, James W. Johnson, che avviò il processo di internazionalizzazione e diversificazione. Gli ottanta anni successivi sono la storia di un continuo ampliamento dell’attività, sempre nel campo della salute e della persona. Anni di acquisizioni, espansioni nei vari mercati, ottimizzazione produttiva, ma soprattutto ricerca medica e innovazione tecnologica. Oggi Johnson & Johnson è una public company, quotata alla Borsa di New York, che impiega più di 118mila addetti in tutto il mondo.

commerciali efficaci e, perché no, di tecnologia. Fare le scelte giuste nei tempi giusti è, infatti, non più solo un elemento importante di vantaggio competitivo ma addirittura un fattore di sopravvivenza, in un segmento dove si prevedono oltre 25mila negozi a rischio in tutta Europa. “Negli ultimi anni”, spiega Gaetano Colabucci, amministratore delegato di Johnson & Johnson, “l’industria e il

canale distributivo hanno proposto varie soluzioni per supportare i farmacisti nelle loro decisioni, ma ci sono ancora ampi margini di miglioramento”. Così alla fine dello scorso anno, Johnson & Johnson ha accettato la sfida hi-tech, resa ancora più ardita dal limitato livello di alfabetizzazione digitale del mercato delle farmacie, uno dei più tradizionalisti di tutto il panorama del retail italiano, e ha deciso di rivoluzionare il rapporto tra fornitore e punti vendita. Sfruttando, tra le altre cose, lo strumento più innovativo ma anche più in voga del momento, il tablet.

“Abbiamo dovuto abbattere un preconcetto ben consolidato”, dice Gaetano Cristo, customer development manager di Johnosn & Johnson, “cioè che il rapporto commerciale tra venditore e farmacista fosse basato sostanzialmente sul contatto personale, e che la tecnologia fosse un elemento estraneo. Inoltre, abbiamo dovuto lottare con la grande frammentazione del mercato italiano, composto da oltre 17mila punti vendita, che certo non aiutava lo sviluppo di approcci e piattaforme comuni”. Elaborando un progetto ad alto contenuto tecnologico, che dal disegno concettuale al rilascio sul mercato ha richiesto poco più di quattro mesi, il team di Cola5


STORIA DI COPERTINA | Johnson & Johnson

bucci ha così cercato di risolvere i tre problemi più urgenti dei farmacisti: comprare la giusta quantità al giusto prezzo, avere a disposizione uno strumento per gestire l’esposizione e la promozione dei prodotti, avere facile accesso alle informazioni necessarie per supportare il business. In più, Johnson & Johnson ha cercato di sistematizzare e rendere più efficace l’attività di formazione e incentivazione del personale addetto alla vendita. “Il mezzo ideale per unire e rendere appealing questi strumenti”, dice Corrado Griffani, It manager di Johnson & Johnson, “ci è sembrato da subito il tablet, e in particolare l’ultima generazione dell’iPad di Apple, con cui abbiamo poi equipaggiato il nostro personale commerciale sul territorio. Lavorando con i nostri colleghi dei reparti regionali di vendite e It e con ben cinque partner esterni, abbiamo realizzato una serie di tool che abbiamo chiamato Pharmagenius. Quattro sono destinati ai farmacisti (che per utilizzarli devono prima registrarsi sul nostro sistema) e sono stati sviluppati con la nuova tecnologia Html5: il portale, la piattaforma di e-learning, lo strumento per la gestione delle relazioni e il programma di

LA soluzione Oltre Pharmagenius c’è di più. Il set di applicativi sviluppato dall’It di Johnson & Johnson è solo la punta di un iceberg piuttosto solido, ed è anche la tappa di partenza di un percorso totalmente nuovo sul terreno della mobilità e della marketing intelligence. Il fronte client dell’architettura It dell’azienda è rappresentato da personal computer Lenovo (quasi solo portatili) con sistema operativo Microsoft Windows, mentre la forza vendita è dotata di tablet con applicativi Crm sempre in ambito Windows, ora af6

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incentivi per le addette cosmetiche. I due strumenti per la forza vendita, l’applicazione per l’analisi dei dati di mercato e quella per la gestione della clientela sono stati invece sviluppati direttamente nel sistema iOs di Apple. In ultimo, il tool per la modellizzazione del profitto è stato realizzato sotto Windows”. Un mix di scelte tecnologiche e di best practice (se-

fiancati dai 110 Apple iPad (retina display e 3G) del progetto Pharmagenius, acquisiti da Vodafone con una formula di noleggio. Sul fronte software, Johnson & Johnson si affida prevalentemente a Sap, sia per il gestionale sia per il Crm, mentre per soddisfare le esigenze di business intelligence le piattaforme sono Ibm Cognos e di nuovo Sap con Bw. I tool di Pharmagenius destinati ai farmacisti sono stati sviluppati in Html5, in modo da offrire la più ampia gamma di ambienti supportati, sia browser Web (si può scegliere tra Explorer, Chrome, Safari e Firefox)

lezionate in tutta Europa) che, a quanto sembra dai primi risultati, ha funzionato. “I feedback sono estremamente positivi.” Dice Colabucci, “In soli due mesi dalla presentazione della piattaforma ai farmacisti abbiamo già attivato più di mille utenze, mentre dalla nostra forza vendita arrivano riscontri ottimistici su come si sta trasformando, in meglio, il rapporto di lavoro tra personale commerciale ed esercenti”. Le ricadute anche indirette sul business e sull’immagine di Johnson & Johnson non si sono fatte attendere: grazie alla tecnologia, la multinazionale è riuscita a instaurare una relazione di fiducia e rinnovato ottimismo con i farmacisti, un mestiere dalle radici antichissime che ha sempre guardato al digitale con diffidenza. Emilio Mango

sia device (smartphone BlackBerry e iPhone, tablet e Pc portatili), mentre gli strumenti in dotazione alla forza vendita sono applicazioni iOs (la parte di Digital Sales Force è sviluppata in architettura cloud con Model Metrics, una società appartenente a Salesforce.com). Il tool per la modellizzazione del profitto, infine, è sviluppato in ambiente Microsoft Windows e integrato con l’ambiente Crm aziendale. Pharmagenius dialoga con il data warehouse aziendale e con i sistemi di Crm e Bi per generare i report e le analisi di vendita e di mercato.


PHARMAGENIUS SOTTO LA LENTE

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harmagenius è composto da sei diversi strumenti, destinati sia alla forza vendita di Johnson & Johnson sia ai farmacisti. Ecco in dettaglio le singole funzionalità disponibili su tablet o Web. Ims App: La società di ricerche di Mercato Ims ha predisposto per Johnson & Johnson un’app contenente tutta una serie di dati di mercato (valore, market share, andamento del sell out, distribuzione dei prodotti, giacenze medie e prezzi medi al consumatore) disaggregati a livello di territorio di ciascun venditore. L’app, continuamente aggiornata e facilmente usufruibile sull’iPad, consente al rappresentante e al farmacista di analizzare in tempo reale i trend più significativi del proprio territorio, confrontandoli con i dati nazionali in modo da valutare aree di intervento per migliorare la performance di business. Profit Generator: Uno strumento di modellizzazione dei dati che aiuta il farmacista e il venditore a identificare le opportunità di mercato e a tradurle in azioni concrete da implementare nella farmacia. Anche in questo caso si parte dai dati di mercato (fonte Ims) di una farmacia tipo (dimensioni, bacino di utenza, localizzazione geografica) e si confrontano con i numeri puntuali dello specifico punto. Laddove si evidenzino opportunità inespresse, il tool fornisce una serie di suggerimenti per sfruttarle, recuperando la marginalità potenziale del mercato.

Pharmacademy: è la piattaforma di e-Learning di Pharmagenius, dedicata alle attività di formazione per il farmacista e il suo staff. Gli argomenti delle lezioni riguardano la gestione del punto vendita, ma anche le informazioni di categoria e di prodotto, e hanno l’obiettivo di creare all’interno della farmacia un gruppo di lavoro sempre aggiornato sulle nuove opportunità.

Pharmashine: è il programma di incentivazione interamente dedicato alle addette alla cosmesi. In quest’area del portale le venditrici potranno accumulare i punti “Shine”, in relazione alla vendita dei prodotti cosmetici, che verranno utilizzati per ottenere dei premi. Inoltre, con questo strumento le addette saranno sempre aggiornate sulle promozioni e su tutte le opportunità offerte da Johnson & Johnson.

Digital Sales Folder: un’app per iPad basata su contenuti totalmente digitalizzati, multimediali e interattivi, messa a disposizione della forza vendita, che potrà presentare i prodotti e tutte le opportunità del mondo Johnson & Johnson attraverso il suo tablet Apple, senza l’utilizzo di supporti cartacei. Se vi sono informazioni di cui il farmacista ha bisogno, il rappresentate può inviare tale materiale in tempo reale via email. Commitment 360: uno strumento per fotografare lo stato del rapporto tra farmacista e fornitore e proporre eventuali correttivi con l’obiettivo di massimizzare la relazione e identificare le opportunità di crescita futura. Nulla di nuovo rispetto al processo di vendita tradizionale, ma grazie all’utilizzo dello strumento digitale il personale commerciale ha ora la possibilità di gestire l’attività in modo armonizzato, ottimizzando i tempi e l’immagine di Johnson & Johnson.

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STORIA DI COPERTINA | Johnson & Johnson

La tecnologia per tornare alla crescita sostenibile Il mercato dei prodotti per la salute e l'igiene cambia repentinamente, seguendo il trend del settore dei beni di largo consumo. I segreti per restare competitivi sono la flessibilità, l'utilizzo di strumenti hi-tech e la partnership con gli attori del canale distributivo. All'insegna della sostenibilità.

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aetano Colabucci, alla guida di Johnson & Johnson per il Sud Europa, coordina un team dinamico e agguerrito, per nulla spaventato dalla sfavorevole congiuntura economica: strategia e tecnologia sono i due pilastri su cui costruire il posizionamento della multinazionale, che nonostante le dimensioni ragguardevoli ha dimostrato di muoversi con agilità sul mercato. Quali i trend più importanti del vostro settore?

In Italia il mercato dei prodotti di largo consumo è in una fase di grande trasformazione, dovuta all’impatto simultaneo di tre fattori. Il primo è la sfavorevole congiuntura economico-finanziaria, che sta producendo mutamenti significati-

vi, e in qualche misura probabilmente irreversibili, sia nei comportamenti dei consumatori, sempre più consapevoli e attenti al valore, sia nell’approccio commerciale della distribuzione, sempre più orientato a massimizzare la marginalità di fronte a una domanda stagnante. Il secondo fattore è il progressivo rallentamento di investimenti e innovazione da parte delle multinazionali, come conseguenza di un’evidente scelta strategica di focalizzarsi sui mercati emergenti e a più alta redditività. In questo scenario il settore specifico dei prodotti per la salute e il benessere non fa eccezione. è però strutturalmente meno esposto alle fluttuazioni cicliche e comunque sempre in grado di garantire una profittabilità interessante sia per l’industria sia per la distribuzione.


sibile intravedere interessanti opportunità. Gli attori che usciranno vincitori dalla crisi saranno proprio quelli che in questo momento difficile avranno saputo creare le basi per partnership strategiche di lungo periodo. E in che modo la tecnologia vi aiuta?

UN TEAM GIOVANE Da sinistra, Marco Fazio, customer development associated director pharmacy, Domenico Barletta, customer development director, Gaetano Colabucci, Gaetano Cristo, shopper and trade marketing manager e Corrado Griffani, It manager customer development and sales.

In molti modi, tra i quali ricorderei senz’altro il rapido e più facile accesso alle informazioni essenziali per il decision making aziendale, la standardizzazione e semplificazione dei processi interni, il miglioramento del controllo e del monitoraggio del business. In poche parole, direi che la tecnologia ci ha aiutato e ci sta ulteriormente aiutando a risparmiare tempo e risorse spesi per attività “interne” all’azienda, che possono ora essere indirizzate in modo molto più utile verso l’esterno. Quindi, quali sono i vantaggi competitivi?

Il terzo è il ruolo ormai fondamentale delle moderne tecnologie nel creare nuove modalità, più efficaci ed efficienti che nel passato, per mettere in comunicazione la domanda e l’offerta. è evidente che siamo solo agli inizi di un’evoluzione strutturale che progredisce in modo inarrestabile e che impone una continua rivisitazione critica dei modelli di business consolidati. In questo contesto, come si posiziona Johnson & Johnson sul mercato?

La nostra azienda ha un profilo peculiare: è relativamente specializzata nelle categorie in cui compete (tutte merceologie orbitanti attorno all’area igiene e salute) ma al tempo stesso opportunamente diversificata in termini di canali distributivi, con circa due terzi del fatturato sviluppato in farmacia e la restante parte nella grande distribuzione. In farmacia Johnson & Johnson rappresenta l’attore principale in quello che definiamo mercato “commerciale” (costituito dall’insieme dei prodotti che non necessitano di prescrizione), mentre nel mass market preferiamo rimanere focalizzati

su segmenti relativamente piccoli e più profittevoli rispetto alle “commodities”, per definizione più grandi da un punto di vista dei volumi ma anche più difficili sul fronte delle promozioni e del prezzo. Come cambiano i fornitori, il canale e i clienti finali?

In generale si percepisce a tutti i livelli una forte pressione sul conto economico, con il conseguente inasprimento degli aspetti negoziali, ma al tempo stesso anche la disponibilità a dialogare in modo del tutto nuovo all’insegna del concetto di partnership. Il nuovo scenario richiede senza dubbio una maggiore flessibilità da parte di tutti, inclusa la distribuzione, e in diversi casi abbiamo riscontrato un’apertura ben maggiore, rispetto al passato, alla sperimentazione di nuove idee e alla valutazione di modelli di business inediti, con un occhio molto più attento alle potenzialità di medio-lungo termine piuttosto che ai ritorni di breve. La complessa situazione di oggi sta creando molti problemi, ma anche condizioni di mercato totalmente nuove in cui è pos-

Johnson & Johnson ha sempre puntato e continuerà a puntare su quelli che sono i suoi asset strategici più caratteristici, e cioè la fortissima attenzione alla qualità dei propri prodotti e a una gestione “sana” del business, il focus sui consumer insight come pilastri su cui generare innovazione, e infine l’approccio distributivo multicanale per massimizzare sia l’appeal sia l’accessibilità del proprio portafoglio. E allora, quali sono gli obiettivi strategici e tattici per il 2013?

La cosa su cui ci stiamo focalizzando è il ripristino di una crescita sostenibile del fatturato, idealmente accompagnata da un aumento della quota di mercato. Importanti nuove iniziative (la linea di prodotti per l’igiene personale Le Petit Marseilles nel mass market e l’umbrella brand Carlo Erba in farmacia), fortissimi investimenti pubblicitari e una rafforzata partnership con gli esponenti più qualificati della distribuzione sono i tre pilastri che ci rendono molto fiduciosi. E.M. 9



IN EVIDENZA

Il sogno mobile di Hp sono i tablet. Quello di Lenovo è BlackBerry? La casa californiana ha venduto WebOs a Lg e sposterà risorse dai Pc classici alle tavolette. La società cinese riapre a nuove acquisizioni.

La sfida, per i produttori di personal computer, è nota: sfondare in un mercato, quello dei device mobili, che assicura al momento potenzialità di ulteriore crescita al cospetto di un settore, quello dei Pc, che invece da tempo sta soffrendo. Per questo Hewlett Packard e Lenovo stanno lanciando segnali forti sul fronte di tablet e smartphone. La società californiana, per bocca del suo Ceo, ha confermato di recente che focalizzerà risorse (designer, ingegneri, marketing) sulle tavolette togliendole ai computer. Il tablet Android a basso costo Slate 7, annunciato al Mobile Congress di Barcellona, è forse il primo passo in questa direzione. Certo è che la perseveranza di Meg Whitman nello strizzare l’occhio al mondo mobile, smartphone inclusi, va presa sul serio. Perché, parole sue, Hp deve necessariamente affrontare la veloce transizione della domanda dai classici prodotti di computing verso telefonini e device touch. La casa di Palo Alto, alle prese con un imponente piano di ristrutturazione che comporterà il taglio di 29mila dipendenti, punterà su prodotti multipiattaforma a livello di chip e di sistema operativo (Windows

8 e Android) e con form-factor diversi. Per raggiungere l’obiettivo, Hp si è liberata (se vogliamo, paradossalmente) di WebOs, il sistema operativo open source avuto in dote nell’ambito dell’acquisizione di Palm, nel 2010: software, brevetti e personale li ha rilevati Lg Electronics, che li userà per sviluppare Smart Tv di nuova generazione. Diversa la posizione di Lenovo, che nei tablet ha già profuso sforzi pur senza ottenere fino a oggi particolari riscontri in termini di venduto e di quote di mercato. Lo scatto in avanti del secondo produttore al mondo di Pc è atteso soprattutto in ambito smartphone, terreno in cui la società è presente di fatto solo in Cina. L’apertura verso la possibile acquisizione di BlackBerry, annunciata a fine gennaio dal chief financial officer e poi confermata dal Ceo Yang Yuanqing, fa probabilmente parte di un progetto di espansione in orbita mobile a due direttrici. Da un lato il mercato europeo e nordamericano, e dall’altro quello enterprise, dove Lenovo si è conquistata un posto al sole mettendo a frutto la scalata alla divisione Pc di Ibm, avvenuta nel 2005. G.R.

Oracle fa spese con vista sui cloud ibridi Nuovo scatto in avanti della società di Redwood Shores per completare la propria offerta di servizi e soluzioni di computing nella nuvola. L’accordo per acquisire Nimbula, cloud provider con sede a Mountain View, è stato ufficializzato il mese scorso e verrà completato entro la fine del primo semestre. Fra gli asset di Nimbula, di cui uno dei co-fondatori è Chris Pinkham (figura chiave nello sviluppo di Amazon Elastic Computer Cloud, Ec2), c’è la grande esperienza maturata sulla piattaforma open source OpenStack. L’idea di Oracle è quella di completare un menu di soluzioni enterprise (tra cui figurano anche i sistemi ingegnerizzati Exalogic) con strumenti software capaci di garantire massima flessibilità di gestione delle risorse It in ambienti cloud privati e ibridi.

Deutsche Telekom saluta il Belpaese: T-Systems Italia va a Engineering Da tempo in odore di cessione, la filiale italiana della divisione informatica del colosso delle tlc tedesco, con 400 dipendenti in organico e diverse grandi aziende clienti, è passata completamente di mano (100% delle azioni) in virtù dell’accordo raggiunto a inizio marzo con Engineering Ingegneria Informatica. L’operazione prevede un aumento di capitale di 42 milioni di euro da parte di TSystems International e un versamento di un euro da parte del system integrator romano, uno dei principali fornitori di servizi di It outsourcing in Italia. La vendita è subordinata, tra l’altro, all’autorizzazione dell’Autorità Antitrust. APRILE 2013 |

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IN EVIDENZA

L’Italia dell’Ict non cresce più. E Assinform punge il Governo Il settore Ict chiude il 2012 in rosso: l’informatica registra vendite in calo del 4%, le telecomunicazioni del 3,5%. Ma senza interventi mirati, l’inversione di tendenza si profila praticamente impossibile. Il comparto dell’Information and Communications Technology italiano è in crisi. Lo stato di difficoltà che interessa il Paese colpisce in modo evidente anche i mercati dell’informatica e delle telecomunicazioni, che nel 2012 segnano rispettivamente una flessione del 4% e 3,5% (per un giro d’affari di 16,9 e 39,8 miliardi di euro) rispetto all’anno precedente. I dati del rapporto Assinform 2013 oscurano quindi l’orizzonte delle aziende e dei 390mila addetti che operano in questo comparto, ed evidenziano un ulteriore scenario di preoccupazione: il bilancio in rosso del cosiddetto “digital market”, che comprende oltre alle tradizionali componenti Ict anche i prodotti consumer e i contenuti e i servizi online. Un macrosettore che vale oltre 68 miliardi di euro (cifra che rappresenta il 4,9 % del Pil nazionale) ma che registra una frenata dell’1,8% e non presenta segnali di inversione di tendenza nel breve termine. A meno che non intervengano, questo l’esplicito monito lanciato dal Presidente di Assinform, Paolo Angelucci, misure correttive a livello governativo. Il punto focale della questione è il seguente: se i prossimi mesi vedessero un cambiamento strutturale del quadro di riferimento, e quindi attuazione dell’Agenda Digitale, accelerazione dei pagamenti della Pubblica Amministrazione, credito d’imposta per le imprese, incentivi per la ricerca e per chi innova, il tasso di decrescita del global digital market si fermerebbe a fine 2013 all’1,5%. Se le azioni di cui sopra rimarranno al palo, la frenata della spesa in tecnologie sarà ancora più consistente, e più precisamente del 5,8% per quanto riguarda 12

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Paolo Angelucci Presidente di Assinform

il segmento It e del 3,6% relativamente all’universo digitale nel suo complesso. Uno scenario, in poche parole, poco confortante al cospetto di una corsa alla rivoluzione digitale non più prorogabile da parte del tessuto imprenditoriale italiano. Angelucci parla, non a caso, di un contesto nazionale “ancora poco sensibile all’innovazione e in cui per un’impresa ogni nuovo investimento rappresenta un vero e proprio azzardo”, un contesto che impone di “creare le condizioni affinché per le imprese e le Pubbliche Amministrazioni sia possibile sfruttare le enormi potenzialità che le nuove tecnologie offrono”. Il messaggio spedito al nuovo esecutivo è chiaro. Gianni Rusconi

Gli strani numeri dell’economia digitale Nonostante il bilancio 2012 in rosso, vi sono segnali incoraggianti per il “digital market” italiano. Ma sono segnali sostanzialmente legati a voci di consumo personali: tablet, che crescono del 69% a 800 milioni di euro (oltre due milioni di pezzi venduti), smartphone, in salita del 39% a 2,3 miliardi di euro (8,6 milioni di pezzi), Smart Tv, musica digitale, ebook ed editoria online. In linea generale Web e mobile corrono, dando vigore ai segmenti più direttamente legati a queste tecnologie (12 milioni circa gli utenti di servizi e-commerce), mentre comparti più tradizionali, come quello del software e delle soluzioni applicative on premise (installate sui server aziendali e non fruite nel cloud) si fermano a una crescita del 2,4%, raggiungendo quota 5,3 miliardi di euro. Il giro d’affari dei servizi cloud sale del 49%, ma è ancora limitato a 260 milioni di euro. I Pc soffrono, con un calo a volume nel 2012 del 13,8% fino a 5,3 milioni di unità, e i servizi Ict nel complesso non stanno molto meglio, essendo in discesa del 4,7% fino a quota 38,3 miliardi. Per converso, l’avanzata del nuovo paradigma digitale si evidenzia in segmenti dalle grandi potenzialità di sviluppo, come quello di “Internet delle cose”, che registra un salto in avanti anno su anno del 18% sfiorando il tetto degli 1,3 miliardi di euro.


Kolst.it cresce con il Kloud

Cresce il business di Kolst.it, società appartenente al gruppo KpnQwest Italia, e crescono le infrastrutture dei suoi data center collocati a Milano, nel centro nevralgico della Rete dello stivale. All’interno del comprensorio di via Caldera, Kolst.it ha al momento ben quattro centri; l’ultimo, costruito secondo le più moderne tecniche di efficienza, risparmio energetico e sicurezza, è già quasi al massimo della capacità operativa, e il quinto, in fase di progettazione (prevede il raffreddamento a liquido e il sistema “free cooling”, che sfrutta la differenza di temperatura con l’ambiente esterno), potrebbe essere attivato nell’arco di due anni. L’offerta della società, rivolta per lo più all’ampio mercato delle Pmi italiane, è piuttosto variegata; comprende infatti servizi di hosting, di connettività, di messaggistica unificata e multicanale. Ma i piani di Kolst.it prevedono un forte sviluppo di uno dei segmenti più promettenti dell’It moderno: il public cloud, che ora pesa solo per il 5% del fatturato. Il servizio Kloud, basato su due infrastrutture gemelle e connesse in fibra ottica, in grado di garantire un livello di servizio che può arrivare fino al 99,9995%, è acquistabile via Web in quattro varianti, a partire da poco meno di 10 euro al mese. Punto di forza, oltre all’affidabilità, è l’estrema flessibilità della configurazione.

l’opinione Jailbreak: una libertà piena di rischi L’ultimo jailbreak per iOs 6.1, rilasciato a febbraio, è stato scaricato da cinque milioni di utenti in sole 48 ore, secondo le statistiche postate da Cyril, l’hacker sviluppatore, su evasi0n.com. Nei primi due giorni il sito ha registrato 40 milioni di page view. Dati che confermano quelli che ho ricevuto da Jay Freeman, il titolare di Cydia, un app store (perfettamente legale) che si rivolge a coloro che hanno “reso liberi” i propri dispositivi Apple. Jay mi ha spiegato che, secondo le statistiche del suo sito, dal 5% al 10% dei terminali iOS è sottoposto a jailbreak. Perché dovremmo preoccuparcene? Il dato mostra che questi device sono vulnerabili. E che le barriere di sicurezza per cui Apple è nota si possono superare nel giro di pochi giorni: iOs 6.1 è stato rilasciato il 28 gennaio, e ci è voluto meno di una settimana a Cyril e i suoi compari per agire. E benché la community dei jailbreaker agisca per ragioni non monetarie, possiamo scommettere che i “cattivi” della situazione (quali organizzazioni criminali e rivenditori di spyware) stiano cercando dei modi per sfruttare tutto questo. Anzi, potrebbero averlo già fatto. Il jailbreak è il classico esempio di quel che può accadere quando ci si spinge troppo in là con gli utenti, mettendoli con le spalle al muro. Si ribellano. Abbiamo visto lo stesso schema ripetersi in altri segmenti dell’elettronica di consumo, dalle console di gioco ai set-top box per la Tv digitale. Il problema di Apple è che vuole un controllo totale su ogni aspetto dell’ecosistema, incluse le periferiche attraverso poter scaricare le app. I clienti Apple amano i loro device, ma vengono trattati come bambini. Android, invece, tratta gli utenti come adulti: permette loro di scaricare qual-

Cesare Garlati

siasi app e da qualsiasi fonte. Quindi dove sta il pericolo? Legalmente, grazie ad alcune esenzioni al Digital Millennium Copyright Act, negli Stati Uniti è perfettamente legale effettuare il jaibreak su uno smartphone (in Italia non esistono divieti legislativi in merito, ndr), ma non lo è farlo su un tablet. Apple, ovviamente, si oppone al fatto che utenti e sviluppatori si vogliano liberare dai suoi controlli, e ammonisce circa la ridotta durata della batteria, la non affidabilità dei dati e altre conseguenze negative. Ma l’unico elemento su cui ha completamente ragione sono gli inaccettabili rischi di sicurezza introdotti dal jailbreak. Gli utenti hanno così tanta fiducia verso Apple da credere che i dispositivi iOs non abbiano bisogno di software di security aggiuntivi, ma questa percezione è una falsa sicurezza, tanto quanto lo era quella relative alla piattaforma dei Mac, oggi bersagliata da attacchi. Con una quota dal 5% al 10% di device “liberati” che accedono a Cydia, non siamo più davanti a un fenomeno underground: i responsabili It devono esserne consapevoli e adottare precauzioni adeguate. Cesare Garlati, co-chair Csa Mobile Working Group di Cloud Security Alliance 13


IN EVIDENZA

1&1 porta anche le Pmi sul Web è entrata nel nostro mercato solo nel 2012, dopo oltre dieci anni dall’inizio delle attività internazionali: 1&1, che nel mondo gestisce 42 milioni di contratti, occupa circa 6mila dipendenti e muove un giro d’affari di oltre due miliardi di euro, deve aver preparato con cura la strategia per il lancio dei propri servizi sul nostro mercato, visto che come è noto il tessuto imprenditoriale italiano è molto parcellizzato. Così, pur avendo alle spalle cinque data center ad alta sicurezza e 70mila server “green”, 1&1 ha ritagliato la sua offerta sulle Pmi, non prima di aver appurato che nel nostro Paese solo un imprenditore su quattro ha già allestito un sito Internet per la propria azienda (contro l’82% della Germania). MyWebsite, questo è il nome della soluzione, semplifica la creazione e la gestione dei siti Web ed è disponibile in quattro diversi pacchetti, tutti ovviamente accessibili e acquistabili via Internet. Tre di essi sono rivolti specificamente alle Pmi (mentre il quarto è destinato agli utenti privati) e permettono di partire con un layout predefinito (adattabile a seconda del tipo di attività dell’impresa) che è possibile provare gratuitamente per un mese. Il prezzo del pacchetto base, che comprende anche venti account di email, è di 9,99 euro al mese. Con dieci euro in più è possibile implementare anche servizi aggiuntivi, come l’e-commerce o l’invio di newsletter. Con la variante più costosa, che comunque non tocca i 30 euro al mese, si può usufruire della tecnologia Seo (Search Engine Optimization) e controllare periodicamente il posizionamento del proprio sito rispetto alla concorrenza. 14

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l’opinione La mobilità dal bring your own device al bring your own identity Rik Ferguson

Secondo Forrester Research, il 67% dei dipendenti nel mondo utilizza il proprio smartphone personale per lavorare, il 46% usa il proprio computer portatile. Si configura uno spazio di lavoro “multi-device” dove la maggior parte degli utenti possiede due o tre dispositivi utilizzati in tempi e luoghi diversi a seconda dell’occasione, uno scenario che definiamo “era post-Pc”. In questo contesto, la sfida per le organizzazioni It è sempre più improntata a garantire l’integrità dei dati aziendali e del patrimonio software e hardware e, allo stesso tempo, consentire ai dipendenti di accedere alle applicazioni da qualsiasi dispositivo, in modo sicuro e compliant. Il proliferare di device mobili dotati di differenti sistemi operativi e di applicazioni di diversa natura, unito alla maggiore complessità e varietà nelle abitudini d’uso degli utenti, comporta la necessità di superare un approccio di gestione del singolo dispositivo, guardando invece alle persone

che lo utilizzano, alle loro esperienze d’uso. Identità e policy nell’era post-Pc non possono più essere legate ai dispositivi, ma devono riferirsi necessariamente all’individuo, tenendo conto delle sue esigenze e delle risorse alle quali ha bisogno di accedere. In questo modo l’approccio noto come “Bring Your Own Device” si trasforma in “Bring Your Own Data”, o ancor meglio in “Bring Your Own Identity”. La chiave per cogliere i vantaggi che il nuovo contesto offre, tutelando allo stesso tempo il patrimonio aziendale, è rappresentata, quindi, dal fattore umano. E dalla capacità di promuovere una cultura nella quale i dipendenti si sentano non solo autorizzati e tutelati, ma supportati nel lavorare da remoto con qualsiasi dispositivo o sistema operativo. Anche dal punto di vista dell’It questo significa una rivoluzione radicale: abbandonare una prospettiva che vede una gestione delle risorse hardware e software “per silos”, e ragionare in una nuova ottica, trasformando le applicazioni in servizi che possano essere forniti e utilizzati ovunque e in qualsiasi momento attraverso una gestione basata su policy. Garantire all’It un livello di controllo che vada oltre l’accesso consentirà di prevenire la perdita di dati tra le applicazioni sul dispositivo o nel cloud. è una questione di equilibrio: garantire sicurezza e gestione senza compromettere usabilità e capacità. Rik Ferguson, Global Vp Security Research di Trend Micro, e Joe Baguley, Chief Technologist Emea di VMware


TeamSystem cresce in market share e investimenti Cavalcare l’onda del cambiamento, sfruttando la posizione di leadership e la possibilità di investire cifre importanti: questa la visione di crescita annunciata da TeamSystem dal palco dell’annuale convention dei partner, svoltasi a Riccione. Una crescita che può far leva sui traguardi economici Federico Leproux

tagliati nel 2012, con un aumento di otto punti percentuali nei ricavi consolidati, ora saliti a quota 154 milioni di euro, e un miglioramento della quota mercato fra i top player, sia nel segmento delle Pmi sia in quello professionale. “Per il 2013”, ha dichiarato l’amministratore delegato del gruppo, Federico Leproux, “ci poniamo obiettivi ancora più ambiziosi: nuovi clienti e una conseguente crescita del fatturato del 6%. Ciò sarà possibile anche grazie all’implementazione del progetto di rinnovamento prodotto, sviluppato per il miglioramento di tutte le nostre soluzioni, contando su un investimento di 20 milioni – da distribuire nei prossimi anni – in aggiunta alle consuete risorse messe a disposizione annualmente per la manutenzione evolutiva”. Dai 20 milioni citati, 16 sono stati e saranno destinati allo sviluppo dell’offerta: il Gruppo proseguirà sulla

In Italia Dell punta su tablet e cloud Dopo l’uscita da Wall Street, Dell sta attraversando, dal punto di vista dell’azionariato, un momento di grande fermento. Altrettanto si puo dire delle strategia che, per far fronte alla complessità del mercato, si diversifica sia in termini di offerta sia di target. Capita così che Steve Felice, il braccio destro di Michael Dell in visita in Italia, forse anche per spiegare che il finanziamento erogato da Microsoft non era un’acquisizione (molte testate nostrane hanno equivocato sull’episodio), si rivolga alla platea dei giornalisti parlando di server e cloud con in mano l’ultimo modello di tablet della casa. L’accostamento non strideva affatto, anzi, metteva in luce l’approccio multidisciplinare della società, che si indirizza al nutrito (ancora per poco, se la crisi non smette di mordere) pubblico delle

Steve Felice

piccole e medie imprese italiane. “Ora abbiamo un portafoglio completo in ambito infrastrutturale”, ha detto Felice, “che ci permetterà di incrementare il nostro business sul fronte dei data center nell’era del cloud e della virtualizzazione. Ma il nostro core target rimangono sempre le Pmi (nell’accezione anglosassone, ndr), e l’offerta di tablet e Pc rimarrà strategica.

linea di un’evoluzione che, avviata nel 2011, ha portato alla finalizzazione del framework di sviluppo e al lancio di nuove soluzioni improntate alla semplificazione della user experience, alla personalizzazione (grazie a un’interfaccia gestionale customizzabile), all’accesso ubiquo in mobilità (con applicazioni per tablet e versioni mobile dei sistemi gestionali); gli altri 4 milioni sostengono un piano marketing che coinvolge l’azienda e le sue controllate. “Viviamo in un’epoca di cambiamento, che comporta rischi ma anche opportunità”, ha spiegato Stefano Matera, direttore marketing e canale indiretto del Gruppo. “Oggi le qualità da inseguire per essere leader di mercato sono sostanzialmente tre: i prodotti devono essere adattabili, semplici da utilizzare e affidabili. Se non si è in grado di seguire queste qualità si rischia l’estinzione”.

Rsa sfrutta gli analytics per garantire sicurezza Per “chiudere la finestra agli aggressori”, come dice Massimo Vulpiani, country manager di Rsa Italia, è necessario ricorrere a tutte le armi a disposizione dell’It. Le finestre sono ovviamente i punti deboli del perimetro aziendale, gli aggressori sono hacker più o meno organizzati che attentano al patrimonio informativo. La novità della società posseduta da Emc è l’utilizzo degli analytics, attraverso la soluzione Rsa Security Analytics, per realizzare un approccio intelligence-driven alla sicurezza delle organizzazioni. La nuova piattaforma, che sfrutta la potenza dei big data, è pensata per aiutare i professionisti dell’It a individuare le minacce nel momento stesso in cui si presentano, una possibilità che permetterà alle aziende di raggiungere più facilmente gli obiettivi di conformità. 15


IN EVIDENZA

l’opinione

Gianni Anguilletti

L’open source tenta l’impresa Il 2013 si preannuncia come un anno di grandi sfide per le aziende, chiamate ad affrontare un clima economico difficile nel quale devono riuscire a indirizzare gli investimenti su tecnologie e soluzioni che consentano loro di mantenere un vantaggio competitivo a fronte di budget sempre più contenuti. La parola d’ordine è quindi “innovare per differenziarsi”. A queste situazioni si accompagnano il comparire o l’affermarsi di “trend tecnologici” quali i big data, che permettono di gestire e interpretare enormi quantità di dati, o altre che favoriscono la possibilità di individuare modalità di fruizione di risorse più rispondenti alle esigenze di efficienza operativa e contenimento dei costi delle aziende stesse, come il cloud computing. In risposta a questo scenario, l’open source, soprattutto quando opportunamente corredato da servizi ingegneristici atti a renderlo utilizzabile in ambiti “mission critical”, con il suo modello di sviluppo collaborativo che garantisce il massimo in termini di in-

novazione, affidabilità, libertà di scelta e risparmio, da tempo ha reso possibile la realizzazione di soluzioni di livello enterprise che consentono alle aziende di cogliere importanti benefici. Facendo leva su questo modello, e in seguito alle indicazioni frutto di collaborazioni con realtà di grande prestigio quali Banco Popolare, Csi Piemonte, Fineco, Inail, Infocamere, InfoCert, Intesasanpaolo, Ministero delle Finanze, Ministero di Giustizia, Poste Italiane e Terna, Red Hat si è impegnata a rilasciare uno “Stack Tecnologico” per la realizzazione di infrastrutture altamente automatizzate, orientate al business e in grado di fornire alle aziende l’elasticità necessaria per operare anche in condizioni di grande variabilità. Il tutto secondo un modello di business orientato alle esigenze di efficienza operativa e di sostenibilità economica. Un esempio concreto dei vantaggi ottenibili è rappresentato da Mts, uno dei principali mercati elettronici dei titoli a reddito fisso in Europa, che grazie all’introduzione di Red Hat Mrg ha

assistito a una riduzione dei tempi di latenza del sistema di negoziazione di circa il 75%. Una recente indagine condotta da Red Hat ha messo in evidenza come attraverso l’open source le aziende abbiano ottenuto un incremento dell’efficienza operativa (82,2%), ridotto i costi It (83,3%) e velocizzato lo sviluppo di applicazioni software (71,1%). Grazie a questo tipo di risultati, diverse note società di ricerca prevedono che entro il 2016 il 99% delle aziende “Fortune 2000” avrà adottato soluzioni open source in ambito business critical. Gianni Anguilletti Country Manager di Red Hat Italia

Torna il brand ItaliaOnline e punta sulle Pmi Riparte da ItaliaOnline (nome storico del mercato digitale nazionale) il player frutto dell’integrazione tra Libero e Matrix, dopo l’acquisizione di quest’ultima per 88 milioni di euro. E riparte con entusiasmo e ambizione, visto che si posiziona in diretta concorrenza con colossi come Facebook e Google, distanziando di parecchie lunghezze gli altri portali e i siti di informazione. Naturalmente si parla di utenti e traffico italiani, ma è proprio nello Stivale ItaliaOnline conta di fare business, puntando sulla vendita di spazi pubblicitari e 16

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sulla fornitura di servizi in ambito Web. Forte di un market reach del 60% (secondo solo ai colossi mondiali del Web, appunto) e di un pubblico stimato in 20 milioni di visitatori unici mensili, il nuovo player conta di portarsi a casa, attraverso la concessionaria ItaliaOnline Adv (che a sua volta aggrega le concessionarie di Libero e Matrix), un fatturato di circa 130 milioni di euro. La pubblicità, raccolta sui due portali Libero e Virgilio (che resteranno separati, dopo aver goduto di un lieve restyling dei rispettivi marchi), arriverà sia dalla rete nazionale,

che sfrutterà il lancio di numerosi siti editoriali verticali, sia da un’intensa attività locale, sostenuta dalla concessionaria IoPubblicità, che andrà soprattutto a pescare nel bacino delle Pmi. Sempre le Pmi saranno il target dell’iniziativa ApritiSito, che propone agli imprenditori un modo rapido ed economico per creare e pubblicare il proprio sito aziendale. Ultima area di business è quella relativa all’offerta di servizi Internet di It.Net, che resta, con i suoi data center, una delle realtà più solide del mercato hosting nazionale.


Nel retail la multicanalità detta legge: chi investe nel digitale cresce di più Cambiano i comportamenti d’acquisto e le tecnologie diventano indispensabili per tracciare i consumatori. L’esperienza di Cegid.

Il cliente è diventato elastico, camaleontico. E per seguirlo e restare competitive le aziende del retail devono investire in tecnologia digitale. Questa è una delle tante evidenze emerse durante la convention europea Retail Connections, organizzata a Venezia da Cegid, multinazionale francese leader nel settore delle tecnologie software gestionali e molto forte proprio nell’ambito del commercio e della distribuzione. “Il cambiamento epocale”, ha detto Patrick Bertrand, amministratore delegato di Cegid, “è rappresentato dalla rete: secondo gli ultimi studi condotti a livello europeo, l’83% dei consumatori non potrebbe più restare senza una connessione”. Essere connessi significa informarsi e dialogare con gli altri, acquisendo quindi conoscenza e consapevolezza. Un trend che ha fatto nascere due modelli di comportamento diversi ma della stessa natura: fare Research Online Purchase Offline (Ropo) o, viceversa, informarsi nei punti vendita e poi comprare online cercando il miglior prezzo. In entrambi i casi servono le tecnologie It e servono le informazioni per poter gestire al meglio la relazione con ogni

singolo cliente. Cliente che, come spiega Bertrand, “cambia anche device durante il giorno, usando prevalentemente lo smartphone di mattina, il personal computer nel pomeriggio e il tablet la sera”. Insomma, si tratta di multicanalità ma anche di mobilità, cloud e collaboration, tutte tecnologie, queste ultime, che consentono alle aziende del retail di utilizzare gli strumenti più innovativi restando però flessibili in termini di infrastruttura. “Non è un caso”, conclude Bertrand, “che il 20% dei nuovi clienti scelga il modello Software as a Service per usare i nostri applicativi”. E non è un caso che Cegid abbia lanciato un innovativo servizio gestito in cloud con la partnership strategica di Ibm, in modo da permettere ai clienti di utilizzare le caratteristiche avanzate degli applicativi gestionali (produzione, logistica, amministrazione, vendite e Crm) proposti dalla software house senza nemmeno dover sopportare i costi fissi dell’infrastruttura. Il focus dell’It, quindi, si sposta dalle architetture alle funzionalità, ma mai come ora i sistemi informativi sono vitali per le aziende del retail. Emilio Mango

Ses Astra punta sull’Hd anche in Italia Secondo la ricerca indipendente Satellite Monitor condotta dalla francese Ipos Media, un terzo delle 249 milioni di utenze televisive in Europa riceve il segnale via satellite. Tra queste, il fenomeno dell’alta definizione (Hd) è in continua crescita; un trend sostenuto, tra l’altro, dall’incremento delle dimensioni dei televisori. Se si considerano le trasmissioni in Hd, Ses Astra è l’operatore satellitare più attivo nel mondo, con oltre 1.400 canali in alta definizione sui 5.500 totali, e con la tecnologia 4K (chiamata anche Ultra Hd) già sperimentata nel corso del 2012. “Gli utenti si stanno abituando velocemente all’alta definizione”, dice Pietro Guerrieri, general manager di Ses Italia, “anche grazie agli schermi sempre più evoluti di smartphone e tablet. In più, sta crescendo in modo rapido la misura media della diagonale dei televisori, che oggi ha raggiunto i 35 pollici. Questi fattori, insieme all’adozione dello standard 4K, che verrà utilizzato in occasione dei più grandi eventi sportivi a livello mondiale a partire dal 2014, ci fanno ben sperare nella diffusione dell’Hd, un segmento dove noi siamo decisamente più avanti degli altri operatori satellitari”.

Pietro Guerrieri 17


SCENARI | Cloud per la produttività

L’ufficio ideale? liquido e senza fissa dimora Il fenomeno Byod e le nuove soluzioni di produttività cloud hanno cambiato i modelli di lavoro. Ma si tratta di una rivoluzione appena incominiciata, e forse non per tutti.

U

na volta c’erano solo i telefoni fissi e i computer dekstop con monitor a tubo catodico. Oggi dentro i dipartimenti aziendali gli oggetti che per anni hanno caratterizzato la dotazione tecnologica delle scrivanie non ci sono praticamente più. Sui desk di manager e funzionari vari trovano posto quasi solo smartphone, notebook e tablet. È una delle tante facce della rivoluzione mobile iniziata a metà anni Novanta e che nell’ultimo decennio ha mutato molti dei paradigmi alla base delle operation e dei processi di multinazionali e piccole imprese. Il Byod (Bring Your Own Device) ha completato l’opera di cambiamento delle relazioni tra i dipendenti e delle modalità di lavoro in azienda. Ma quanto oggi è radicato il concetto di mobilità nelle imprese? Come è recepito da manager e addetti? Quanti benefici ha realmente generato in relazione alle criticità che hanno dovuto affrontare utenti e responsabili informatici? La risposta varia naturalmente da azienda ad azienda, ma un’idea di massima ce la si può fare spulciando i dati di diversi studi dedicati alla materia. Che dimostrano come di ostacoli da superare ce ne siano: molti più di quanto non si possa immaginare. 18

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Team virtuali spesso privi degli strumenti adeguati

Da un’indagine condotta da Siemens Enterprise Communications, per esempio, è emerso come ormai ben il 79% degli addetti faccia parte oggi di un team “virtuale” – e cioè gruppi di lavoro in cui si interagisce in mobilità o da remoto attraverso Pc, tablet e smartphone – ma solo il 44% di questi ritenga le interazioni virtuali efficaci quanto quelle fisiche. Il 43% degli utenti, inoltre, non si è dichiarato soddisfatto delle tecnologie di collaborazione a propria disposizione. Quale quadro si evidenzia da questi dati? La maggioranza dei dipendenti lavora fuori dall’ufficio ma le aziende non sfruttano ancora al meglio le nuove tecnologie di collaborazione (online e cloud based) disponibili. La prova di questo assunto, dice lo studio, è la seguente: solo l’8% delle organizzazioni ha stabilito delle procedure per gestire la produttività dei team in servizio lontani dagli uffici al fine di garantire un rendimento ottimale. Come lavorano, dunque, i mobile worker? Comunicando via posta elettronica o via telefono, voci citate da circa il 90% dei soggetti campionati, che solo nel 54% dei casi giudicano questi strumenti sufficienti per svolgere al meglio la pro-

Un utente, più device, mezza scrivania Open space, mobility, cloud: tre elementi di uno stesso fenomeno, quello relativo all’uso dei device personali in azienda. Secondo uno studio di Citrix fatto su 1.900 responsabili It in 19 Paesi, entro il 2020 le aziende ridurranno lo spazio adibito agli uffici di quasi un quinto. Il luogo di lavoro del futuro prevede in media solo sette scrivanie ogni dieci lavoratori e l’accesso a sistemi informatici aziendali (applicazioni, dati e servizi) da un numero medio di sei dispositivi diversi per persona. Poco meno


pria attività. Il 72 % ritiene, infatti, che il lavoro di squadra sarebbe più efficace via video (ma soltanto il 34% ne fa uso) mentre il 43% si dice frustrato e non in grado di utilizzare al meglio gli strumenti di collaborazione di cui dispone (perché non funzionanti correttamente o perché difficili da usare). Con i tablet si accede al Crm e agli analytics

di un terzo degli addetti (il 29%) non lavorerà più da un ufficio tradizionale ma opererà da diverse postazioni semi-permanenti, come l’abitazione (nel 64% dei casi), sedi di progetti (60%) e strutture di clienti o partner (50%). Gli stili di lavoro mobili sono già stati adottati completamente da un quarto delle aziende, ed entro la metà del 2014 questo dato raggiungerà l’83%. L’80% delle realtà che hanno già sposato i fenomeni del “workshifting”(gli addetti svolgono le proprie attività lavorative in momenti e luoghi ritenuti ottimali) e del Byod, dice infine lo studio, ha registrato effetti positivi diretti sui costi.

Una seconda un’indagine, condotta da Wakefield Research per conto di Avanade su circa 600 fra dirigenti e It decision maker di 19 Paesi, ha invece rivelato come la diffusione dell’utilizzo delle tecnologie consumer in ambito aziendale stia avendo conseguenze molto significative sul tradizionale modo di fare business e sui risultati da raggiungere. Tali impatti, quest la chiave di lettura, derivano dalla progressiva adozione di soluzioni tecnologiche completamente appannaggio dei dipendenti, vedi sistemi di archiviazione delle email o di Crm (customer relationship management) centralizzati e accessibili via Internet in qualsiasi momento e da qualsiasi device. Un cambio di prospettiva confermato dai dati che seguono: oltre sei imprese su dieci (per la precisione il 61%, percentuale che sale al 63% in Italia) ammettono che la maggioranza dei propri addetti utilizza dispositivi personali sul luogo di lavoro. Per fare che cosa? Circa la metà delle aziende intervistate (il 54% nel complesso, il 47% in Italia) fa sapere che gli smartphone sono impiegati per svolgere operazioni basiche, quali consultare la casella email o i documenti online e organizzare il calendario. Per i tablet il dato scende al 33% (e al 37% per il campione italiano) ma un’identica fetta di rispondenti (il 47% in Italia) conferma come la maggior parte delle figure aziendali ricorra ai Pc a tavoletta per eseguire operazioni avanzate, quali l’accesso al Crm, la gestione dei progetti, la creazione di contenuti e l’analisi dei dati. Gianni Rusconi

Management e It separati dal Byod Modificare il modo di fare business avviando processi aziendali completamente nuovi ha un nome, “work redesigned”. Lo studio Avanade afferma, in proposito, che oltre sette aziende su dieci (il 71% degli intervistati, il 76% in Italia) hanno trasformato almeno un processo di business (gestione delle risorse It, vendita e marketing, risorse umane e customer service) sposando l’uso di smartphone, tablet e tecnologie consumer. In particolare, il 20% delle aziende (il 18% in Italia) ha cambiato quattro o più processi di business per massimizzare gli effetti benefici della mobility o dei social media. Chi più ha cavalcato questo cambiamento ha ottenuto risultati migliori in termini di performance di vendita, possibilità di aumentare i profitti, più efficace distribuzione di servizi e prodotti sul mercato. E le criticità? Ovviamente non mancano. Il differente punto di vista di dirigenti aziendali e degli staff It può essere il limite maggiore alla diffusione dei nuovi paradigmi. E la sicurezza è certamente uno dei fronti di scontro più evidenti. Il 71% dei manager C-level crede che il resto dell’azienda possa svolgere le proprie attività anche fuori dall’ufficio; dello stesso avviso sono solo il 32% dei Cio e dei responsabili delle business unit. L’area It, in estrema sintesi, punta a minimizzare i potenziali rischi derivanti dalla diffusione del Byod in azienda. Il management, per contro, è molto più concentrato sulla massimizzazione dei suoi potenziali benefici. 19


SCENARI | Cloud per la produttività

OFFICE 365: MICROSOFT SPINGE LE AZIENDE ITALIANE NEL CLOUD La nuova suite di produttività rivolta all’utenza business si presenta con un curriculum importante ed estese funzionalità, per fare breccia anche nel tessuto delle Pmi. Ecco chi l’ha già adottata.

Kevin Turner

I

ntervenuto un mese fa all’evento di lancio del nuovo Office 365 a Milano, il chief operating officer di Microsoft, Kevin Turner, si è sbilanciato nell’etichettare la soluzione come “uno dei prodotti di maggior successo di tutta la storia della compagnia”. Dalla data del suo lancio sul mercato (avvenuto a metà 2011) a oggi, la suite di produttività accessibile nel cloud in modalità “as a service” ha ottenuto il credito di un cliente aziendale della società di Redmond su cinque; solo un anno fa il rapporto era di uno su sette. E a crescere esponenzialmente, nell’ordine del 150% negli ultimi 12 mesi, è stato in particolare il numero di picco-

L’ufficio remoto parla italiano Studi professionali, Pmi ed enti locali che vogliono bypassare Office per gestire l’operatività da ufficio hanno diverse alternative. La più importante sono le Apps di Google, con tutto il corredo dei servizi online di Mountain View. Altra strada sono i program20

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Nella battaglia con Google per primeggiare nell’ambito degli applicativi per l’ufficio “cloud based”, il rilascio del nuovo Office 365 (nelle varianti consumer e per il business) ha segnato un punto a favore di Microsoft, che di questo mercato, con la versione tradizionale della suite, è di fatto padrona indiscussa. Come ha spiegato Turner, c’è un altro tassello da considerare: la vision a suo tempo coniata da Bill Gates, “un Pc su ogni scrivania e in ogni casa”, ha lasciato definitivamente

il posto al paradigma “device & service”, le cui anime sono cloud e mobility. E che continua comunque a considerare il software un elemento centrale, necessario a gestire tutto l’ecosistema di applicazioni, servizi e contenuti che ruota intorno all’utente. Il vantaggio dichiarato di Office 365 del resto – al di là delle mere funzionalità dei vari Word, Share Point e via dicendo e della connettività fra Lync e Skype per i servizi di chat e voce – è il seguente: essere accessibile on demand su molteplici dispositivi (un massimo di cinque fra Pc, Mac, smartphone e tablet) e attraverso una licenza in abbonamento che sulla carta promette risparmi di costo considerevoli rispetto alla classica implementazione del software in modalità on premise. La suite si presenta alla porta delle aziende, tanto quelle di gradi dimensioni che quelle con una manciata di dipendenti, con costi che variano da 125 a 155 euro di canone annuo (Iva esclusa) per utente. Chi ha già adottato Office 365 in Italia? I nomi che Microsoft esibisce sono per esempio quelli di AstraZeneca (azienda del settore farmaceutico), Gruppo Credito Valtellinese, Politecnico di Milano e Autoservizi Mereu (trasporti). G.R.

mi open source come OpenOffice e Libre Office. Oppure si può scommettere su prodotti “made in Italy” come DesktopRemoto, pacchetto che mette a disposizione un ambiente Web based fruibile via browser da Pc Windows, Mac, iPad e tablet Android senza installare alcun programma. Al suo interno sono integrati una suite (LibreOffice) del tutto compatibile con

i formati Word, Excel e PowerPoint in lettura e scrittura, un client email, gli applicativi per gestire calendario e contatti (sincronizzabili con agende e rubriche di tablet e smartphone), lettore Pdf e feed Rss. Nella versione dedicata agli agenti di commercio è inoltre disponibile un software di Crm specifico. I prezzi? Il pacchetto base costa 9,90 euro al mese (Iva esclusa).

le e medie imprese che hanno deciso di adottarla. Lecito quindi il proclama del top manager di Microsoft? Sulla carta sì, anche perché le referenze che può esibire Office 365 sono importanti. Turner ha fatto i nomi di alcune multinazionali che hanno adottato la soluzione su larga scala – Mc Donald’s, Coca Cola, cui si aggiungono non identificati grandi retailer e compagnie finanziarie – ed è ufficiale che fra i clienti di cui sopra vi siano lo Stato del Texas (100mila utenti interessati), il Department of Veterans Affairs Usa (600mila) e Toyota (200mila addetti a livello mondiale). Un ecosistema di applicazioni e servizi online a portata di utente


SCENARI | Produttività in movimento

il lavoro è mobile Progettati per il business ma ideali anche per l’utilizzo individuale, i nuovi tablet e Ultrabook di HP strizzano l'occhio al design, alla sicurezza e alla sostenibilità.

C

he cosa distingue un tablet per il business da un oggetto tecnologicamente avanzato ma adatto prevalentemente all’utilizzo personale? La domanda è tutt’altro che banale, perché il fenomeno del Byod (Bring Your Own Device) è stato sì pervasivo, ma non ha risolto, anzi ha acuito, alcuni dei problemi che i responsabili It conoscono molto bene, in primis la compatibilità con le applicazioni aziendali, la sicurezza e la facilità di manutenzione e gestione. È per questo che i vendor più legati al mondo delle imprese hanno atteso il momento giusto per presentare sul mercato le loro proposte di device mobili, corredandoli delle opportune caratteristiche per essere utilizzati anche in azienda con la giusta produttività e il corretto Tco (Total Cost of Ownership). La sintesi ideale tra individuo e impresa l’ha forse trovata Todd Bradley, a capo della divisione Printing and Personal Systems di HP: “unire lo stile e la user experience che chiedono i consumatori con le caratteristiche di cui ha bisogno l’It”. È seguendo questa filosofia che sono stati progettati l’ElitePad e l’EliteBook, i due strumenti mobili destinati al business. HP ElitePad 900 è un tablet con schermo da 10,1 pollici, che mantiene tutto il fascino di un oggetto di design, grazie anche allo chassis di alluminio che ha consentito di limitare lo spessore a soli 9,2 millimetri e il peso a meno di 630 grammi. Grandi e piccole aziende saranno anche interessate al fatto che il device supporta Microsoft Windows 8

Sopra, l’Ultrabook HP EliteBook Folio 9470m. A fianco, il tablet HP ElitePad 900. Entrambi supportano il sistema operativo Microsoft Windows 8.

Pro e tutto il suo ecosistema. Tornando alla dotazione hardware, ElitePad è un piccolo genio del Byod: oltre a montare un processore dual-core Intel Atom, il tablet coniuga per esempio una fotocamera posteriore da 8 megapixel e una webcam frontale (utile soprattutto per le videoriunioni) con un Expansion Jacket che offre due porte Usb, un’uscita Hdmi, uno slot per schede Sd, ma che consente soprattutto di espandere l’autonomia con una seconda batteria opzionale. A proposito di batterie, ElitePad ne utilizza una facilmente sostituibile presso i centri autorizzati, risolvendo così uno dei problemi più gravi dei device tipici del mondo consumer (l’inaccessibilità della batteria, appunto). Sul fronte della sicurezza, ElitePad è equipaggiato con HP Client Security, con HP Bios Protection e con Trusted Platform Module 2.0.

Per le imprese e i professionisti che non vogliono abbandonare il più tradizionale “form factor” del Pc portatile (anche ElitePad può diventare un efficace strumento da scrivania con la sua Docking Station, offerta in opzione), HP ha progettato l’Ultrabook ideale per il business: EliteBook Folio 9470m con sistema operativo Microsoft Windows 8. Equipaggiato con il potente processore Intel Core i7, EliteBook ha uno spessore di 18,95 millimetri e un peso di 1,63 chilogrammi. Nonostante l’estrema portabilità, l’Ultrabook incorpora un display da 14 pollici, una tastiera integrale retroilluminata e, opzionalmente, la connettività 3G o Lte. Tra le caratteristiche più desiderate dal mondo business, l’assistenza telefonica gratuita 24x7x365 e la batteria sostituibile, che comunque, associata a un secondo pack opzionale, garantisce un’autonomia totale di 21 ore. 21


SCENARI | I numeri del cloud

l’Italia dirige la PRUA verso le nuvole L’adozione dei servizi Saas, Iaas e Paas nel nostro Paese è in piena evoluzione. Nonostante i budget contenuti dei dipartimenti It e le difficoltà di integrazione del cloud con le infrastrutture esistenti. Lo afferma uno studio di Next Value.

C

loud computing ormai significa strategie di business e progetti che stanno profondamente trasformando i modelli, i processi e l’organizzazione delle grandi imprese e, di conseguenza, anche la domanda di Information Tecnology. La fotografia è di NextValue, scattata osservando i comportamenti di oltre 140 aziende italiane con una spesa informatica superiore ai 20 milioni di euro (due milioni nel caso di filiali di multinazionali). Il dato d’insieme che emerge dallo studio vede la cifra impegnata per il 2013 dai chief information officer, relativamente a nuovi progetti di innovazione e per lo sviluppo dell’esistente, attestarsi al 58% del budget It esterno. Nel 2012 questa percentuale si è fermata al 26%. Per quanto riguarda le soluzioni nella nuvola, il 10% dei Cio le ritiene altamente strategiche nell’ottica del cambiamento, il 30% le giudica tecnologie in grado di abilitare progetti futuri e il

24% gli attribuisce un valore tattico. Il 22% pensa invece siano una practice valutabile in futuro, e solo il 14% le bolla come inutili. Nei piani di investimento per i prossimi tre anni il cloud è citato dal 69% degli intervistati, che eleggono però a priorità le soluzioni di information security management (92%), il mobile (84%), le business analytics (83%) e il VoIP (82%). I freni all’adozione del cloud, però, non mancano e sono noti: sicurezza dei dati, non conformità alle normative, impossibilità di cambiare fornitore, diminuzione della governance del sistema, mancanza di trasparenza sui costi e dubbi sulle prestazioni. L’integrazione dei servizi nella nuvola con i sistemi e le applicazioni già esistenti è la criticità più sentita. Se riduzione della spesa e continuità operativa del business sono dei “must”, fra le tecnologie indicate come fondamentali dai Cio per sostenere la crescita, il cloud si piazza solo al sesto posto, con il 40% di

Tecnologie e tendenze di business previste nei piani di investimento della Direzione IT. Previsto

Non previsto

citazioni raccolte. Più importanti sono ritenute, in quest’ottica, la virtualizzazione (67% degli intervistati) e le business analytics (54%). Dalla survey emerge, infine, come sarà allocato nei prossimi 12 mesi il budget per la nuvola, che si fa largo nei piani di investimento It nonostante la contestuale restrizione delle spese aziendali. Ai progetti di cloud pubblico (SaaS, IaaS e PaaS) e privato (già oggetto di sperimentazione per il 39% del campione) andranno fette più o meno equivalenti e nell’ordine del 17%. Nel triennio in corso, sintetizza così il quadro evolutivo Next Value, si assisterà a una diminuzione tra il 25% e il 30% dei costi di messa in opera dei servizi di public cloud, mentre di conseguenza cresceranno gli investimenti per le soluzioni di computing nella nuvola, con un passaggio dai 520 milioni di euro del 2012 agli oltre 1,2 miliardi previsti per il 2016. Luca Bastia

Cloud Computing: dimensione attuale degli investimenti per tipologia di progetto. %, N. imprese con progetti in corso. Investimenti in migliaia di Euro

Information Security Management

<250

250-500

500-1000

>1000

Mobile/Tablet computing Server Virtualization (N=55)

Business Analytics

Private Cloud (N=53)

VoIP

Desktop Virtualization (N=50)

Cloud Computing

Storage Virtualization (N=50)

Unified Communications

SaaS (N=50) Wireless Broadband

IaaS (N=28)

Sviluppo apps aziendali

PaaS (N=23)

Social Media & Collaborations Fonte: NEXTVALUE - GENNAIO 2013

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all’Europa invece serve un progetto comune Come sottolineato dal commissario Ue Neelie Kroes, da qui al 2020 le tecnologie nella nuvola potranno generare centinaia di migliaia di euro e milioni di posti di lavoro. A patto, però, di promuoverne l’adozione e favorire l’interoperabilità fra i sistemi dei diversi vendor.

Darren Grasby

L’

importanza del cloud computing è cresciuta grazie ai governi e aziende che, sempre più numerosi, hanno deciso di adottarlo per ridurre le spese, migliorare la collaborazione e accelerare la realizzazione di nuovi progetti, minimizzando al contempo i rischi. Tuttavia, proprio per la sempre maggiore diffusione del cloud, è diventato prioritario che tutte le parti coinvolte collaborino per farlo rimanere un sistema aperto, interoperabile e accessibile, oltre che per indirizzare aspetti cruciali quali la sicurezza, la competitività e la gestibilità. Oggi il cloud riduce le disparità tra le aziende. Le start up, infatti, possono accedere a molte delle risorse It tipicamente riservate alle grandi aziende, a fronte di minimi investimenti hardware e software. Allo stesso modo, i governi riescono a ridurre drasticamente o a reindirizzare i propri budget continuando a offrire servizi di qualità ai cit-

tadini. Questi ultimi, a loro volta, possono beneficiare di strumenti di email, storage e video basati sulla nuvola, caratterizzati da costi contenuti e grande semplicità d’uso. Grazie anche alle indicazioni fornite da Amd e da altri leader del settore, la nuova strategia della Commissione Europea per “Scatenare il potenziale del cloud computing in Europa” (Unleashing the potential of cloud computing in Europe), presentata lo scorso settembre, alimenta rinnovate speranze per il rilancio dell’economia comunitaria. Come ha affermato il Commissario Europeo Neelie Kroes, c’è l’opportunità “di un enorme beneficio economico quantificabile in centinaia di miliardi di euro entro il 2020, ai quali vanno aggiunti milioni di nuovi posti di lavoro. Ma questo avverrà solo se saranno adottate scelte politiche opportune”. Con questo documento la Commissione intende stabilire standard e certificazioni atti a creare una robusta infrastruttura cloud, a sviluppare best practice – come i programmi per gli appalti pubblici – e a creare fiducia nei diversi Paesi dell’Unione. Sebbene questa strategia possa essere d’aiuto, le vere opportunità e sfide riguardano la creazione di un sistema di leggi e procedure armonizzato tra i Paesi membri. L’Europa deve adoperarsi per rimuovere le aree grigie e affrontare il problema del lock-in (gli accordi in esclusiva con i vendor), attraverso il sostegno a standard aperti e comuni e all’interoperabilità dei sistemi cloud, affinché si possa passare da un fornitore all’altro senza

risultarne penalizzati. Inoltre, il quadro normativo sulla privacy attualmente non è implementato in modo coerente nei diversi Paesi: è necessaria maggiore trasparenza da parte dei provider dei servizi cloud, che devono assicurare che la loro sia un’infrastruttura It flessibile, disciplinata da contratti semplici e comprensibili, nonché assicurare livelli di servizio ben definiti, inclusi gli eventuali costi per l’inadempienza da parte dei fornitori. Per quanto riguarda il lock-in, è necessario garantire l’esistenza di standard tecnologici aperti e non proprietari, in modo che la libera concorrenza tra i fornitori di componentistica e di prodotti finali si traduca in maggior qualità, innovazione e scelta per gli acquirenti. È dunque fondamentale che i governi europei agiscano di comune accordo. Il cloud offre così tante opportunità e in una tale varietà di settori che sarebbe un peccato non riuscire a sfruttarle a causa di politiche inefficaci e della conseguente perdita di fiducia da parte delle imprese e dei consumatori. Altre importanti realtà, come il Nord America, non sono ostacolate dal complesso sistema giuridico che talvolta rallenta l’Ue. Ma con il giusto approccio e un’azione comune da parte di tutti player coinvolti l’Europa può cogliere l’occasione e fare un passo in avanti, approfittando di questo punto di svolta per il business e la tecnologia. Darren Grasby, corporate vice president e general manager Emea di Amd 23


SCENARI | Data center

Big Data e cloud aprono l’era dei Data Center 3.0 Lo studio “Next Generation Data Center Index III” evidenzia una maggiore propensione per la gestione interna delle informazioni critiche. Buoni i riscontri relativi al percorso di consolidamento delle server farm delle aziende italiane.

L

e aziende denotano un atteggiamento più “responsabile” nei confronti dei nuovi paradigmi, big data e cloud, che stanno imponendo cambiamenti radicali nelle modalità di utilizzo, gestione ed evoluzione delle infrastrutture It. Lo dice lo studio Next Generation Data Center Index Cycle III, realizzato dalla società di ricerca Quocirca per conto di Oracle, intervistando oltre 950 manager di grandi aziende in dieci Paesi della regione Emea, Italia compresa. I Cio, questo uno dei messaggi partoriti dallo studio, si stanno muovendo per riportare i dati all’interno delle proprie server farm evidenziando maggiore attenzione al valore delle informazioni e alle modalità di movimentazione delle stesse (nell’ottica della massima semplificazione possibile) tra cloud pubblici e privati. Un indice appositamente elaborato da Quocirca conferma che i progressi compiuti in questa direzione sono consistenti. Anche se non mancano aspetti critici.

Il supporto dell’It al business è un nervo scoperto

Se il fattore sostenibilità resta in generale una componente “core” nelle strategie sui data center, gli imperativi a breve termine legati alla flessibilità di implementazione tendono però a essere prioritari 24

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rispetto alle esigenze a lungo termine di supporto al business. Molte imprese stanno, cioè, dimostrando una scarsa percezione del valore aggiunto che può generare una più sofisticata politica per i centri dati. Perdendo una grande occasione. Il tutto in uno scenario che registra un mutamento dell’approccio verso il cloud: nel recente passato le imprese affidavano all’esterno lo sviluppo, il test e la messa in opera di molti progetti; oggi questa “tecnologia” sta diventando mainstream e molte delle iniziative pilota stanno andando in produzione (in molti casi su piattaforme di private cloud) con la conseguente razionalizzazione dell’accesso alle risorse. Entrando nel merito dei numeri, i Cio che ricorrono solamente a risorse interne per gestire i dati sono aumentati dal 45% al 66% tra i due cicli dello studio; le aziende dotate di un unico data center interno sono passate dal 26% al 41% e quelle che affermano di usarne più di uno sono cresciute dal 19% al 25%. Per contro, si è ridotta la fetta di chi si avvale di un mix di strutture interne ed esterne, scesa dal 56% al 34%. Un calo si è avuto anche nel numero di organizzazioni che non considerano necessario attivare un nuovo data center nel prossimo futuro, numero che è diminuito sensibilmente nell’arco delle tre fasi dello studio, pas-

Ennio Ciccarelli, country leader server & storage systems di Oracle Italia


sando dal 17% iniziale all’attuale 7%. Interessante rilevare, infine, come la percentuale delle aziende che intendono affidarsi a una nuova sala macchine nei prossimi 12 mesi sia in aumento dal 22% al 26%, segno di una certa consapevolezza per un’ulteriore fase di esplosione dei dati. Cost saving e aumento delle prestazioni: un obiettivo possibile

Se Clive Longbottom, analista di Quocirca, ha rimarcato come “molte decisioni relative al data center siano state prese da Cio e responsabili It con un approccio tattico che potrebbe avere conseguenze sulle capacità strategiche delle imprese in futuro”, la percezione di Ennio Ciccarelli, country leader server & storage systems di Oracle Italia, è più orientata all’ottimismo. Sebbene il Belpaese si trovi in ottava posizione (su dieci) dell’indice generale di Quocirca, le aziende italiane hanno in effetti evidenziato discreti passi in avanti per ciò che concerne il supporto al business, la flessibilità (legata alla virtualizzazione dei server), la sostenibilità e il consolida-

Sala macchine green, questa sconosciuta Quasi la metà dei professionisti al lavoro nei data center non è a conoscenza degli obiettivi energetici fissati dall’Unione Europea per il 2020. L’evoluzione eco-friendly delle sale macchine è tracciata, ma c’è un evidente buco di consapevolezza proprio fra chi opera in questo settore. Lo dice una ricerca di Emerson Network Power, secondo cui il 43% delle figure informatiche del Vecchio Continente non è edotta sulla direttiva comunitaria che esorta all’uso di fonti rinnovabili. Per contro, il 21% del campione di 341 fra dirigenti e addetti ad attività di engineering e

data center management intervistati ha già adottato iniziative per uniformarsi ai requisiti di cui sopra. In tal senso si prevede che quasi tutti i reparti delle aziende saranno interessati dalla rivoluzione “verde” e dall’indagine è emerso che già oggi oltre un quarto delle organizzazioni interpellate ha intrapreso iniziative ecologiche dedicate. Nonostante la diffusa ignoranza sulla direttiva Ue 20-20-20 (riduzione delle emissioni di gas serra di almeno il 20% rispetto ai livelli del 1990, generazione del 20% dell’energia consumata mediante fonti rinnovabili, abbattimento del 20% dell’uso di energia primaria rispetto ai livelli proiettati), le pratiche green iniziano

mento delle infrastrutture It nell’ottica di una maggiore efficienza energetica. “I segnali che arrivano dalla ricerca – dice il manager – sono incoraggianti e frutto dell’importanza che le nostre imprese riconoscono ai percorsi di ottimizzazione dei propri data center. Il paradigma che vedeva l’aumento della dote infrastrutturale direttamente proporzionale all’aumento di domanda di capacità elaborativa sta cambiando”. Banche, utility, grandi retailer, operatori del settori media ed enti pubblici sono, a detta di Ciccarelli, esempi tangibili di come l’adozione di soluzioni avanzate (i sistemi ingegnerizzati come Exadata, nel caso di Oracle) e servizi as a service di tipo infrastrutturale (IaaS) possa generare significativi incrementi delle prestazioni It, in combinazione con saving sui costi anche nell’ordine del 50%. Con un Roi in nuovi progetti nell’ordine dei 18 mesi. “Il vero investimento da fare”, chiude Ciccarelli, “è quello di spostare il budget verso l’innovazione senza sprecarlo in attività di mantenimento dell’esistente. Anche a livello di medie imprese”. Piero Aprile comunque a farsi strada fra gli operatori It, un po’ anche sull’onda dei progetti portati avanti oltreoceano da Apple, eBay, Google e altri colossi che hanno realizzato o stanno realizzando server farm basate sull’utilizzo di energia solare ed eolica. Fra coloro che si sono dichiarati consapevoli degli obiettivi Ue, il 57% ha cominciato a selezionare le nuove apparecchiature It in base all’efficienza energetica. Un parametro, quest’ultimo, considerato prioritario nella progettazione di un data center dal 72% dei rispondenti, mentre il fattore costi è la principale causa della mancata adozione di soluzioni più ecologiche per circa la metà degli intervistati.

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SCENARI | Business Intelligence

datemi una location e solleverò il marketing Dall‘unione di Business Intelligence e sistemi informativi geografici nasce la GeoIntelligence, un insieme di strumenti, creati in Italia, che possono rivoluzionare l‘attività di problem solving.

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econdo molti analisti siamo di fronte a un salto quantico nel campo delle tecnologie applicate al business. L’opportunità che bussa alla porta dei direttori marketing, ma anche dei responsabili delle vendite e del controllo di gestione (e, più in generale, di chiunque sia alla guida di un’organizzazione), è rappresentata dalla possibilità di incrociare la potenza della Business Intelligence con i sistemi informativi geografici. Per identificare questa nuova tecnologia, che nasce da due funzionalità disponibili da anni ma che promette di valere molto di più della loro somma, sono stati coniati almeno un paio di neologismi. Uno dei più comuni è “location intelligence”, l’altro è un marchio registrato. “GeoIntelligence”, spiega Marco Santambrogio, fondatore e managing director della società di consulenza Value Lab, “è il nome della nostra suite di soluzioni che unisce la grande capacità di analisi della Business Intelligence alla possibilità di gestire dati georeferenziati non più solo a livello numerico (Cap, via, numero civico) ma anche grafico e interattivo. È un vero e proprio passo da gigante, che parte da una constatazione molto banale: tutti oggi siamo interessati alla geografia come individui, pensiamo alle previsioni meteo personalizzate, ai navigatori stradali, alla localizzazione sui social network, ma poi come manager in azienda ci dimentichiamo della dimensione geografica, e così finiamo per prendere decisioni meno efficaci”. Eppure, secondo le più recenti statistiche, l’80% delle informazioni che arriva26

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Marco Santambrogio, fondatore e managing director di Value Lab, e Massimo San Giuseppe, Ceo di QlikView Italy. In basso, una schermata di GeoIntegrator.

no alle aziende è già (o potrebbe essere facilmente) georeferenziato. E il trend per il prossimo futuro, con “Internet delle cose” che sta diventando sempre più pervasiva, non può che essere ulteriormente indirizzato verso lo sfruttamento della localizzazione di cose e persone. “Con il crescere dell’importanza dei dati geografici”, dice Massimo San Giuseppe, Ceo di QlikView Italy, “assume ancora più rilevanza l’approccio di user experience come scoperta dei dati da parte dell’utente business, che in qualche modo ha bisogno di essere sorpreso dalle informazioni e trovare nuovi elementi che lo aiutino a prendere decisioni migliori. È da sempre la filosofia di QlikView, che ha assecondato così il passaggio da Business

Intelligence a Business Discovery. Proprio dall’unione tra la piattaforma QlikView e il sistema Gis di Esri è nato GeoIntegrator, uno dei tool più potenti della suite GeoIntelligence di Value Lab. “Con questa soluzione”, dice Santambrogio, “siamo riusciti a sfruttare l’estrema facilità d’uso Di QlikView, unendola alla potenza del sistema informativo geografico Esri. Ne è scaturito uno strumento che è ideale per il problem solving, un software che ha già avuto numerosi riconoscimenti in ambito mondiale e che permette di visualizzare in modo interattivo i dati e le analisi insieme alla rappresentazione del territorio a cui si riferiscono”.


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Le Best Practice dell’innovazione In un momento in cui l’IT non può più limitarsi al mero efficientamento dei processi aziendali, va accentuandosi la pressione sulle aziende e sugli IT decision maker per “fare innovazione”. Come l’IT può contribuire alla costruzione dell’IMPRESA DEL FUTURO? Durante gli appuntamenti, grazie al contributo degli analisti IDC, ad aziende leader e alla presentazione di progetti di eccellenza come TNT Italy, Nato e Comune di Napoli - per citarne solo alcuni - verranno affrontati temi come: • • • • •

Consolidamento e Virtualizzazione Intelligente Data Center e Infrastructure Management Converged Infrastructure e Cloud Computing Trusted IT (availability, protection, security) Social e Mobile Computing

Nel corso degli incontri IDC presenterà, IN ANTEPRIMA NAZIONALE, i risultati di una ricerca esclusiva che analizza come le aziende italiane stanno affrontando i temi legati alla trasformazione dell’infrastruttura IT. Le date:

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ECCELLENZE.IT | Salvagnini

una Security d'acciaio per la lavorazione della lamiera L’azienda vicentina, operativa nel settore della meccanica strumentale, ha scelto Check Point per dare stabilità e sicurezza alla sua piattaforma It.

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a lavorazione della lamiera si affida alle “lame”. Potrebbe sembrare un gioco di parole, ma è quello che, letteralmente, ha scelto di fare Salvagnini adottando l’architettura Software Blade (lama, in inglese) di Check Point. Una soluzione di sicurezza che lavora a strati, sovrapponendo e integrando fra loro diversi strumenti. Nel caso di Salvagnini, il piano di rinnovamento LA SOLUZIONE L’architettura Software Blade permette di gestire da un’unica console più applicazioni, nonché di aggiungere elementi a seconda delle necessità. La soluzione sovrappone diversi “strati” di sicurezza, tra cui firewall, antivirus, anti botnet, Url filtering, sandbox le vulnerabilità zero-day. In particolare, Salvagnini ha adottato le software blade Ips e Application Control per la gestione centralizzata, l’Appliance Check Point Utm-1 e soluzioni per la protezione della sua Vpn (a cui accedono i lavoratori dislocati in più sedi). SmartEvent, inoltre, consente di raccogliere e consolidare tutti gli eventi di sicurezza, garantendo visibilità da un solo punto di controllo. 28

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della dotazione It è servito ad assicurare la stabilità della piattaforma tecnologica, preponderante rispetto a quella degli applicativi, o meglio cruciale per il funzionamento dell’azienda. Realtà internazionale con un coordinamento tutto italiano, Salvagnini opera nel settore della meccanica strumentale, ovvero progetta, realizza, e commercializza prodotti per la lavorazione della lamiera: pannellatrici ibride, sistemi flessibili di punzonaturacesoiatura integrati, macchine per il taglio laser in fibra, celle di piegatura robotizzata e altre soluzioni che possono suonare famigliari solo agli addetti ai lavori. Per tutti gli altri, basti sapere che l’azienda può vantare oltre 150 settori di applicazione, oltre a numeri importanti: 1.400 dipendenti in Italia (650 dei quali a Sarego, Vicenza, che è anche la sede legale, gli altri ad Avellino), 18 filiali operative nel mondo, quattro stabilimenti (nelle due sedi italiane, in Austria e negli Stati Uniti) e 4200 installazioni in funzione in 75 diversi Paesi. Insomma, una struttura articolata, composta dialle varie sedi dislocate nel mondo e dalle aziende consociate del gruppo, che rimangono autonome nella gestione delle proprie risorse It.

“Nel nostro caso”, spiega Gianluca Pensavalle, responsabile sistemi informativi di Salvagnini, “sia la sicurezza perimetrale, sia quella aziendale interna sono di importanza critica. La parte da leone è rappresentata dalla navigazione Internet, elemento che ha reso necessaria l’adozione di un firewall adeguato e di una serie di strumenti di sicurezza integrati”. Nel 2011, Salvagnini ha affrontato un’importante evoluzione strutturale, passando da un’infrastruttura per così dire “tradizionale” a una innovativa, basata su software blade, che consente l’attivazione di moduli specifici ritenuti di volta in volta utili: questo ha permesso di ottimizzare gli investimenti e al tempo stesso di adattare le soluzioni di sicurezza alle necessità dell’azienda, con la libertà di modificarle nel tempo. Il nome proprio dietro questa architettura software blade è quello di Check Point, operatore di cui l’azienda è cliente fin dal 1998. “Check Point ha risposto alle nostre esigenze in maniera sempre pronta”, commenta Pensavalle. “La scelta è avvenuta considerando l’esperienza positiva con l’azienda nel corso del tempo e la maturità della soluzione Check Point, che risulta essere affidabilissima”.


ECCELLENZE.IT | Università degli Studi di Modena e Reggio

in emilia si assegna la laurea honoris causa in antispam La soluzione proposta da Sophos protegge migliaia di caselle email e di client, consentendo una gestione centralizzata ma lasciando la giusta libertà di movimento ai singoli dipartimenti.

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Università degli Studi di Modena e Reggio ha due sedi principali (i due capoluoghi Emiliani) ma ben 39 location periferiche distribuite sul territorio, dove trovano posto 14 diversi dipartimenti. Un modello a rete che funziona egregiamente, ma che rappresenta un vero e proprio incubo per chi si occupa di sicurezza e deve salvaguardare la produttività degli impiegati (il personale tecnico e amministrativo). I numeri sono ancora più da brivido se si considerano le caselle di posta dell’Ateneo da proteggere sia sul fronte dello spamming sia su quello del malware: 5mila, dislocate su circa 2mila postazioni client. “Parecchi anni fa scegliemmo la soluzione Puremessage di Sophos come antispam”, racconta Fabrizio Calanca, responsabile dell’infrastruttura It dell’Università, “acquisendo un primo lotto di licenze. Strada facendo abbiamo capito che era proprio la risposta che faceva al caso nostro, perché ci permetteva da una parte di centralizzare il controllo ottimizzando costi e risorse umane, dall’altra di lasciare parecchia autonomia operativa alle sedi periferiche”. L’organigramma del reparto It dell’Ateneo prevede una trentina di addetti (che spaziano dal responsabile ai tecnici della manutenzione), ma ogni dipartimento può scegliere di provvedere in modo autonomo alle attività quotidiane, generando così una complessità non indifferente anche a livello organizzativo. Ecco perché le soluzioni Endpoint Protection ed Email Protection di Sophos, unitamente a

Puremessage, costituiscono la scelta ideale: “Non appesantiscono il carico computazionale dei client”, spiega Calanca, “sono multipiattaforma (requisito fondamentale per un’organizzazione universitaria) ma consentono un buon grado di gestione centralizzata”. Oggi il sistema realizzato con Sophos copre circa i due terzi delle postazioni client installate presso tutte le sedi dell’Università, anche se è verosimile immaginare che nel prossimo futuro i dipartimenti che ancora non hanno scelto la piattaforma comune si uniformino allo “standard”. Le caratteristiche dei prodotti Sophos sono tali da far prevedere anche un’eventuale estensione del servizio alle caselle di email degli studenti, che attualmente sono gestite tramite un provider esterno ma che le sempre più ferree regole della privacy potrebbero far rientrare d’autorità sotto l’ala protettrice dell’It dell’Ateneo.

LA SOLUZIONE Sophos Puremessage per Unix (componente della soluzione Email Protection) ed Endpoint Protection Advanced si sono adattati perfettamente a un utilizzo gerarchico della console di amministrazione, che permette una gestione centrale ma lascia alle periferie la possibilità di definire policy ad hoc per la protezione degli utenti. Mentre Puremessage consente di bloccare efficacemente spam, virus, spyware e attività di phishing, le duemila licenze di Endpoint Protection includono funzionalità di cifratura, web filtering e patch assessment. I client su cui sono stati installati i prodotti sono piuttosto eterogenei, vanno da macchine di ultima generazione a Pc datati che si basano ancora su sistema operativo Microsoft Windows Xp. APRILE 2013 |

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ECCELLENZE.IT | Città di Cremona

la rete super veloce che opera al servizio del cittadino Aemcom ha collegato il 35% degli edifici, tra abitazioni e uffici, alla rete ottica Fiber to the Home. Dando alla Regione l’opportunità di sperimentare, con l’ausilio di Lombardia Informatica, applicazioni basate su video e data sharing utili alla cittadinanza: dalla sanità, alla scuola, alla giustizia, all’assistenza sociale.

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orma e contenuto, infrastruttura e soluzioni tecnologiche. Ovvero da un lato la rete banda ultralarga di cui può farsi vanto – unico fra i capoluoghi lombardi – la città di Cremona, e dall’altro i servizi che possono “viaggiare” spediti su quest’autostrada di dati che è la fibra ottica. Tutto è partito dalla realizzazione di un network di tipo Fiber to the Home (Ftth), architettura che porta i conduttori fino alle singole abitazioni o uffici, consentendo di navigare fino a 30 megabit per secondo. A realizzare il lavoro è stata Aemcom, controllata della Società per Azioni di proprietà del Comune, Aem, che oggi gestisce questa rete metropolitana superveloce. Qui, nell’ambito dell’Agenda Digitale Lombarda, la Regione ha portato avanti un progetto, conclusosi nell’estate del 2012, per testare sulla Ftth una serie di servizi. Lombardia Informatica ha curato l’implementazione e la misurazione dei risultati, mentre una serie di vendor hanno messo gratuitamente a disposizione le loro tecnologie. Applicandole a sanità digitale e telemedicina, scuola, teleas30

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sistenza, sicurezza, smart tv, teleconferenze e backup nel cloud. Italtel, per esempio, insieme a Cisco Telepresence ha permesso all’ospedale e al tribunale di realizzare, rispettivamente, consulti medici e udienze a distanza; sempre di Italtel è il sistema di videosorveglianza con cui la Polizia Municipale ha monitorato il territorio attraverso 24 telecamere; Gpi ha dotato dieci famiglie con parenti anziani di decoder che permettono di inoltrare dal televisore videochiamate (personali, di assistenza, per la spesa a domicilio, ecc.); un centinaio di utenti hanno ricevuto set-top-box per accedere a servizi della PA tramite Tv; alcune scuole hanno usato Microsoft Lync e lavagne interattive multimediali di Telecom Italia per lezioni a distanza; l’azienda ospedaliera ha testato il back up via cloud di Sinergy; Ericsson ha installato negli uffici del Comune 14 postazioni per videoconferenza e data&application sharing. Come è andata la sperimentazione? “In generale”, illustra Daniele Crespi, innovative services manager di Lombardia Informatica, “i giudizi raccolti sono

stati tra il buono e l’ottimo. I servizi testati hanno trovato un gradimento sia in termini di usabilità, sia di utilità. In particolare, nel caso della scuole la tecnologia ha prodotto grandi benefici nell’apprendimento a distanza e nel supporto agli alunni con difficoltà di apprendimento”. “Cremona, grazie all’azione di Aemcom, ha investito negli anni in un’infrastruttura che consente alla città un potenziale di competitività Ict che in Italia pochissime altre realtà possono vantare”, commenta Gerardo Paloschi, direttore generale di Aemcom. LA SOLUZIONE L’ultrabroadband a 30 Mbps si estende per 11mila chilometri di fibra fra città e comuni limitrofi, raggiungendo il 35% degli edifici. Durante la sperimentazione, l’impegno massimo di banda rilevato è stato fra i 10 e 12 Mbps. La fibra si è rivelata necessaria per le sue caratteristiche di bassa latenza e bidirezionalità, consentendo un flusso dati veloce sia in entrata sia in uscita.


ECCELLENZE.IT | Icbpi

LA SICUREZZA, UN VALORE PER INNOVARE E CRESCERE Per un gruppo bancario specializzato in servizi di pagamento nazionali e internazionali, la security va oltre la semplice protezione di sistemi informativi, dati e infrastruttura. Diventa una componente vitale per la gestione del rischio aziendale e rappresenta un asset condiviso da tutta l’organizzazione.

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uanto è importante la sicurezza per un Gruppo Bancario che opera a supporto della crescita e del consolidamento di banche, istituzioni finanziarie e assicurative, imprese e Pubblica Amministrazione, con un fatturato di 600 milioni di dollari? Davvero molto. Non solo perché rappresenta circa il 10% del budget di investimento dell’Ict, ma anche e soprattutto perché è una componente essenziale, centrale e irrinunciabile all’insegna di un percorso ispirato alla massima efficienza e affidabilità e al corretto contenimento dei costi. La visione di Pablito Rosa, responsabile Ict sicurezza e compliance e Infrastrutture e Esercizio del Gruppo Icbpi, dove sicurezza e continuità operativa rappresentano un elemento unico, è di quelle che non lasciano dubbi ad errate interpretazioni. Così spiega il manager: “Il nostro approccio alla sicurezza, dal latino sine cura, senza preoccupazione, è stato quello di eliminare gradualmente la percezione aziendale di elemento vessatorio e coercitivo, di condividere con i respon-

sabili di business il valore e l’importanza della security e della continuità dei servizi, al fine di renderla un elemento vitale del sistema nervoso dell’intera organizzazione e del suo processo di crescita e innovazione”. Sicurezza e continuità operativa sono ora in azienda un “asset di valore per il LA SOLUZIONE È stata implementata una soluzione di database security assessment con tecnologie Oracle per operare su alcuni dei sistemi di monetica (tre database, sei applicazioni) che coprono il 98% della struttura dati dell’azienda. Gli ambiti di intervento interessano la gestione delle configurazioni e degli accessi privilegiati, il data protection e le attività di monitoraggio, audit e compliance. I prodotti Oracle utilizzati sono Database Firewall per il controllo del traffico nel database Sql, Advanced Security per la crittografia dei dati e Database Vault per la gestione degli utenti privilegiati.

business” condiviso e “desiderato” dalle diverse aree di management, e non solamente un’esigenza necessaria, che si inserisce in un contesto di sistema informativo, come spiega Rosa, “estremamente complesso e tecnologicamente molto avanzato”, che non contempla esclusivamente la logica di computing propria del mainframe, ma adotta tecnologie “aperte” e si avvale di partner esterni riconosciuti a livello internazionale. La visione della sicurezza nel Gruppo Icbpi si può quindi definire olistica e si concretizza operativamente attraverso l’applicazione di una metodologia interna definita e strutturata in un modello di gestione tassonomico, con personale altamente qualificato. In poche parole, governo della sicurezza per una sempre maggiore affidabilità dei servizi, mitigazione dei rischi a essa connessa e prevenzione: questo il principale compito cui è chiamata l’unità organizzativa di cui è responsabile Rosa. La sicurezza opera dunque in modo sinergico al business, “entra in tutti i processi aziendali, interviene come elemento core nella declinazione del processo di sviluppo delle applicazioni e risponde alla forte esigenza di compliance, a cui un gruppo bancario quale Icbpi deve ottemperare ”. Per questo motivo, all’interno dell’azienda, il concetto di continuità operativa si è evoluto in quello di business resilience, paradigma che si traduce, chiude il cerchio Rosa, “nella capacità di organizzare l’erogazione dei servizi tenendo conto sia dell’accadimento di eventi critici che possono compromettere la continuità funzionale, sia di situazioni che richiedono l’elasticità di risorse tecnologiche e organizzative per far fronte a picchi di esercizio e mantenere adeguati livelli operativi”. APRILE 2013 |

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ITALIA DIGITALE

L’Agenda Digitale attende i decreti attuativi dei primi progetti, mentre l’Agenzia per l'Italia digitale ha fissato gli obiettivi da raggiungere nel segno della razionalizzazione dei processi e dei sistemi informatici. Gli sprechi e le storture della Pa sono, però, tanti.

A.A.A. macchina pubblica efficiente Cercasi

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l Consiglio Ue ha un obiettivo: creare entro il 2015 un mercato unico delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Una grande piazza digitale che entro il mese di ottobre dovrebbe iniziare a prendere forma (sulla carta) con misure ad hoc. Questo almeno lo scopo (e il compito) del Commissario per l’Agenda Digitale, Neelie Kroes. A Bruxelles, in poche parole, si cerca di accelerare il processo per la crescita e la competitività dei Paesi membri, con particolare attenzione al mondo dell’Ict. Basterà, tale professione di intenti, a mettere tutti d’accordo sulle mo32

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dalità di operare in un comparto tanto strategico quanto redditizio (si pensi alle miliardarie aste per l’assegnazione delle frequenze digitali)? La domanda rimbalza senza risposta sulle questioni italiane relative all’Agenda Digitale. Riuscirà il nuovo esecutivo (al momento in cui scriviamo è ancora in carica quello presieduto da Mario Monti) a dare corpo al documento divenuto legge lo scorso dicembre con l’approvazione del decreto Crescita Sviluppo? In attesa di novità tocca partire da un dato certo: secondo l’indice “e3 Web Intensity Index”, che misura la maturità dell’ecosistema digi-

tale di una nazione, l’Italia è al 27esimo posto fra i 34 Paesi dell’Ocse. Tutti i buoni propositi dell’Agenzia digitale per l'Italia

L’incertezza politico/istituzionale che ha accompagnato il primo mese post elezioni non è certo un buon viatico per sperare che i 32 decreti attuativi dell’Agenda possano essere sbloccati in tempi brevi. Il rischio impasse, sul fronte del processo di digitalizzazione della Pubblica Amministrazione e di rilancio della competitività delle imprese, è latente. Fra i primi provvedimenti a vedere la fine del tun-


Ricerca, Pa e start up: ci sono 256 milioni Oltre un quarto di miliardo di euro, per la precisione 256,5 milioni: è il budget definito a tavolino, a metà marzo, dai ministeri dell’Istruzione e dello Sviluppo Economico del Governo Monti per promuovere l’innovazione in Italia. Tre le linee guida del programma, espresse da altrettanti bandi. Il primo riguarda l’aggiornamento digitale della Pubblica Amministrazione per lo sviluppo di servizi al cittadino, a cui andrà il grosso della torta , circa150 milioni di euro. A fare da linea guida al progetto le indicazioni del VIII Programma quadro europeo Horizon 2020. Il secondo bando, da 30 milioni di euro, è nato per sostenere la competitività delle imprese attive da meno di sei anni, e in particolare le micro, piccole e medie aziende del Sud, attraverso iniziative a vario livello in ambito big data, sociale, produzione, fruizione e distribuzione dei contenuti culturali e luoghi di aggregazione all’interno delle Università italiane per promuovere imprenditorialità ed innovazione. Il terzo bando prevede il potenziamento delle strutture di ricerca delle Università e degli Enti Pubblici di Ricerca nelle Regioni della Convergenza (Sicilia, Calabria, Puglia e Campania): 76,5 i milioni di euro destinati a nuove infrastrutture, digitalizzazione degli archivi, potenziamento degli strumenti per il monitoraggio ambientale e territoriale.

nel burocratico c’è il fascicolo sanitario elettronico. Smart city, start up e banda larga sono altri passaggi importanti, ma al momento sembrano priorità sfiorite, al di là dei bandi annunciati dal Miur. Per contro, l’Agenzia per l’Italia digitale è oggi un organismo attivo a tutti gli effetti e ha firmato (il 15 marzo) la convenzione che disciplina il rapporto di collaborazione con il Consip, l’ente che gestisce le gare di acquisto della Pa e che nel prossimo quinquennio dovrà assegnare commesse per un valore di oltre 10 miliardi di euro. E il suo direttore generale, Agostino Ragosa, si è dichiarato a più riprese ottimista. Mettendo sul tavolo anche dei numeri. Ambiziosi. Quali? Per esempio i 26 miliardi di euro che l’Agenzia vorrebbe spendere per la nuova dote tecnologica della Pa entro il 2018. Nel dettaglio, l’acquisto di soluzioni Ict vale 3,5 miliardi, quello di prodotti “commodity” altri 3,5 miliardi, e altrettanti serviranno per le infrastrutture di rete (servizi cloud compresi). I rimanenti 16 miliardi saranno investiti per realizzare, nel lungo periodo, interventi a livello di procurement e per razionalizzare i data center (si parla di 4mila strutture, scarsamente interoperabili fra di loro e molte delle quali ritenute non idonee a livello di affidabilità e sicurezza dei dati) della macchina pubblica. Ragosa vuole partire proprio da qui, dal consolidare sistemi e applicazioni che non si parlano – prerogativa invece indispensabile per ipotizzare un’infrastruttura unica capace di gestire tutti i servizi in modalità digitale – e liberare risorse da investire su nuovi progetti. L’obiettivo dell’Agenzia è di arrivare a soli 40 data center certificati, cambiando in corsa anche le modalità di “ingaggio” delle società in house che gestiscono e aggiornano i sistemi. Compito improbo? Forse. Di certo è più facilmente misurabile l’obiettivo che Ragosa si è prefissato per mettere in pista l’Anagrafe Nazionale delle Persone (Anp). Le gare per realizzare il sistema dovrebbero partire entro fine anno e dal 2014 lo strumento che con-

terrà i dati completi di ciascun cittadino (anagrafici, sanitari, giudiziari e relativi al grado di istruzione), e che consentirà l’accesso online alle informazioni da parte di amministrazioni e utenti, dovrebbe essere in funzione. Fra i creditori della Pa c’è anche l’industria Ict

“Situazione insostenibile”: due parole, un concetto molto esplicito. Tra le vittime delle lungaggini di pagamento degli enti pubblici – ritardi medi nell’ordine dei 240 giorni – ci sono anche le imprese dell’Ict, il cui credito si aggira intorno ai 3 miliardi di euro. Comprensibile quindi lo sfogo/allarme lanciato dal Presidente di Confindustria Digitale, Stefano Parisi, in relazione anche al fatto che l’industria dell’informatica (composta in buona parte di Pmi) attraversa una fase di prolungata contrazione della spesa da parte del settore privato. L’attuazione dei piani dell’Agenda Digitale non può non considerare il problema. Che diventa ancor più paradossale al cospetto di quanto il Parlamento italiano spende oggi per stampare gli atti di Camera e Senato: 12 milioni di euro l’anno. Più della metà del budget annuale (20 milioni di euro) per l’acquisto e la manutenzione di strumenti informatici (tablet e computer in dotazione a senatori e onorevoli compresi) e per l’accessibilità alla documentazione in via telematica. Lo ha rivelato uno studio dell’Istituto Bruno Leoni, che evidenzia anche come la completa digitalizzazione delle attività di Montecitorio e Palazzo Madama farebbe risparmiare ai contribuenti 40 milioni di euro. La nuova legislatura, quanto a consumi di carta, fa ben sperare: 558 dei 630 deputati neoeletti hanno già acquisito la firma digitale con la quale potranno presentare agli uffici della Camera proposte di legge e atti ispettivi (come interrogazioni e interpellanze) in formato elettronico utilizzando la rete WiFi pubblica di Montecitorio. Sperando che almeno quella funzioni. Gianni Rusconi 33


ITALIA DIGITALE

Voglia di innovazione tricolore, ma mancano le risorse

L

a voglia c’è, le risorse un po’ meno. Sul tema dell’innovazione nelle imprese italiane l’ultimo rapporto dell’Istat e del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel) sul Benessere equo e sostenibile offre uno scorcio a luci e ombre. Lo Stivale, infatti, è al di sopra della media europea quanto a percentuale di aziende che, nel quadriennio che va da inizio 2008 a fine 2011, hanno introdotto innovazioni di prodotto, di processo, organizzative o di marketing: il 54%, contro il 49% dell’Ue. Altri indicatori, però, entusiasmano molto meno, come il rapporto fra spesa in ricerca & sviluppo e Pil: da noi è stabile all’1,3%, a fronte di una media europea del 2% e di un obiettivo comunitario fissato al 3%. Percentuale che dovrà essere raggiunta entro il 2020, e

che attualmente è già superata solo da una triade di Paesi virtuosi, Svezia, Finlandia e Danimarca. Nel 2010 l’investimento in research & development nell’Ue ha toccato i 247 miliardi di euro, con un contributo italiano che appare sottodimensionato rispetto a quanto dovrebbe. Con una spesa inferiore ai 20 milioni di euro (19,6 milioni), nel 2010 l’Italia ha infatti coperto l’8% degli investimenti in R&D dell’Ue a 27, a fronte di un Pil pari al 12,6% del totale europeo. Il perché di questi numeri? Lo studio parla di una “debolezza strutturale italiana” riferendosi allo scarso peso dei finanziamenti privati in ricerca industriale, che invece sono uno degli elementi chiave (dovranno costituire i due terzi del totale) per raggiungere l’obiettivo del 3% di rapporto investimenti/Pil fissato per il 2020, a cui si accennava più sopra. Discorso parallelo riguarda la registrazione di brevetti, attività che nel Belpaese è in declino. A partire dal 2007 il numero di richieste vagliate dallo European Patent Office (Epo) è progressivamente diminuito, passando dagli 85,1 brevetti per milione di abitanti depositati nel 2004 ai 73,3 del 2010. Altro dato negativo è la percentuale di lavo-

Il rapporto fra Pil e spesa in ricerca e sviluppo 3,5

0,7

3,0

0,6

2,5

0,5

Obiettivo Europa 2020

0,8

1,5 1,0

0,4 0,3 0,2 0,1

0,5 0,0

0,0

Romania

Fonte: Istat/Cnel

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L'indice di innovazione negli stati Europei

4,0

2,0

ratori impiegati nel settore tecnologico (Ict, manifatturiero ad alta tecnologia e servizi a elevata intensità di conoscenza): il 3,3% italiano del 2011 è al di sotto del valore europeo del 3,8%, nonché tra i più bassi nell’ambito dell’Ue a 15 e superiore solo a Portogallo e Grecia. È un’Italia che arranca anche quella dipinta dall’Innovation Scoreboard dell’Unione Europea. Siamo sedicesimi nella classifica che misura il tasso di innovazione, la ricerca, il numero di brevetti e di dottorandi nel territorio comunitario. In questa corsa verso il futuro (già rallentata dalla crisi economica), il nostro Paese si piazza tra gli innovatori “moderati”, davanti a Spagna e Portogallo ma dietro Estonia, Cipro e Slovenia, mentre ai primi posti svettano Germania, Danimarca, Svezia e Finlandia. Tra il 2008 e il 2012 sono pochi gli indicatori in crescita nello Stivale, fra cui l’aumento delle pubblicazioni scientifiche firmate da ricercatori italiani, ma spesso realizzate all’estero (+5,2%) e il numero dei nuovi laureati che conseguono dottorati di ricerca; in netto calo, invece, i depositi di brevetti e gli investimenti, con un -8,2% di venture capital stanziati nel quinquennio. Valentina Bernocco

Media Europa

Due report, stilati dall’Istat e dall’Innovation Scoreboard dell’Ue, dipingono uno scenario a luci e ombre: negli ultimi cinque anni il 54% delle imprese italiane è stato capace di innovare, ma sono calati altri indicatori importanti, come investimenti e brevetti.

| APRILE 2013

Italia

Spagna Inghilterra Francia Germania

Finlandia

Bulgaria

Spagna

Fonte: Innovation Scoreboard

Italia

Francia

Inghilterra Germania

Svezia



ITALIA DIGITALE | Smart City

Da nord a sud: prove generali di città intelligenti Da Trento a Siracusa, passando per Torino, Venezia e Bari: gli esempi concreti di iniziative per le smart city non mancano, e spaziano dalla riqualificazione edilizia ai servizi al cittadino fino al WiFi gratuito. Chi le sostiene? In parte fondi pubblici, ma anche l’impegno volontario di sindaci e imprese.

L

e smart city sono una voce importante dell’Agenda Digitale e una tappa altrettanto vitale del processo di digitalizzazione del Paese. Ritornello ormai noto, come noto è il fatto che tali progetti stentano a decollare per diverse ragioni, dalla mancanza di fondi all’incapacità di tradurre le idee sulla carta in azioni concrete. Gli esempi virtuosi a cui fare riferimento – da Nord a Sud – però non mancano, e diverse città oggi possono già vantare un invidiabile livello di “intelligenza”, come ha confermato di recente uno studio di Forum PA. Sul podio svettano Bologna, Parma e Trento, ma ci sono anche altri capoluoghi a cui guardare.

Trento, l'eccellenza tecnologica a misura d’uomo

Terza nella classifica italiana di Forum PA e prima in quella europea (stilata qualche anno fa dall’Università di Vienna) delle città di medie dimensioni, Trento mette in campo una dote di circa 500 ricercatori attivi nel settore Ict e un accordo con l’ente Trento Rise, che mira a trasformare la provincia in un polo di eccellenza tecnologica nel Vecchio Con36

| APRILE 2013

tinente attraverso la sperimentazione su scala urbana dei risultati ottenuti in laboratorio. Accordo che, fra l’altro, permette al Comune di offrire ai cittadini, a bassi costi, prodotti e servizi innovativi. I progetti in corso sono eterogenei: il lancio di un portale Web (SensorCivico) che raccoglie notizie e segnalazioni dei cittadini; app mobili (come SmartCampus, in fase di testing all’Università di Trento) con cui accedere a informazioni turistiche o sui trasporti; l’uso di tag Rfid per monitorare il prestito dei libri della biblioteca. E poi la banda larga: il territorio provinciale conta su una dorsale in fibra ottica di 900 chilometri e su una rete wireless con oltre 700 access point. Dopo aver azzerato il digital divide fornendo al 100% dei residenti connessioni da almeno 2 Mbps, il piano a mediolungo termine della provincia prevede di portare al 90% della popolazione un collegamento da almeno 20 Mbps. Futuro smart all’ombra della Mole

Torino non è certo a corto di idee: sono infatti ben 17 i progetti presentati nell’ambito dei bandi del Miur, la maggioranza dei quali ha già ottenuto

finanziamenti per 190 milioni di euro per iniziative di sicurezza, scuola digitale, smart grid e altro. E sono circa 60 – fra aziende private, banche, poli di formazione, Università, fondazioni e associazioni di categoria – i soggetti che hanno aderito alla Piattaforma per Torino Smart City, la cornice operativa in cui queste idee dovranno realizzarsi. Rispetto a Trento, la città sabauda scivola in basso nella classifica di Forum PA, al 59esimo posto. La ragione è presto spiegata: dal punto di vista dell’ecologismo Torino è ancora indietro. Per recuperare terreno, lo scorso settembre il Comune ha varato un piano per lo sviluppo dell’edilizia sostenibile, con l’obiettivo di


Bari, capitale dell’ecologismo

Anche nel tacco dello Stivale sono in corso o stanno per partire varie sperimentazioni approvate dal Miur, come quella del progetto ResNovae, che prevede la riqualificazione di un rione periferico e la costruzione di un nuovo quartiere che potrà ospitare 8mila abitanti, in una zona (Maglia 21) all’incrocio fra città e campagna. Da due anni, inoltre, Bari ha aderito all’iniziativa europea Patto dei Sindaci, impegnandosi a ridurre di almeno il 20% (rispetto al 1990) le emissioni inquinanti da qui al 2020. Entro la stessa data, il piano di riqualificazione edilizia in corso avrà generato, da stime, 15mila posti di lavoro, mettendo a frutto un investimento di 1,8 miliardi di euro. Il capoluogo pugliese è la prima città del Sud Italia a essersi dotata, a gennaio di quest’anno, di una colonnina di ricarica pubblica per veicoli elettrici, posizionata in bella mostra vicino al teatro Petruzzelli. Chi prende i mezzi pubblici, invece, da qualche mese può acquistare biglietti e abbonamenti della Società Trasporti Provinciale via smartphone, grazie a un accordo con Vodafone, Wind e 3 Italia. L’intelligenza sbarca in laguna

Se c’è una città per cui il tema dei trasporti è cruciale, questa è Venezia. Non è un caso, dunque, che in laguna sia allo ridurre sensibilmente le emissioni di anidride carbonica (entro il 2020, del 40% rispetto ai livelli di inizio anni Novanta) e di risparmiare quasi 800 milioni di euro all’anno. La città piemontese può invece vantare un ruolo da apripista per quanto riguarda l’e-government: si va dai servizi di infomobilità in tempo reale del sito Web T5 a Doqui, un sistema di dematerializzazione dei documenti delle pubbliche amministrazioni basato su soluzioni open source. Da un’iniziativa privata, la Fondazione Torino Wireless, è nato il progetto Matching Board, volto a far incontrare le competenze delle imprese con i bandi di finanziamento e le opportunità in ambito smart city.

Il balletto dei fondi DEL MIUR Un progetto da due miliardi di euro. Questa l’entità dell’ultimo piano presentato a metà marzo dai Ministeri dello Sviluppo economico e dell’Istruzione a sostegno della competitività delle imprese. Tutti a favore dei progetti per le smart city? Non è dato saperlo. Per finanziare le attività di ricerca è certo che il Miur ha stanziato finora 1,2 miliardi di euro, il 60% dei quali è concentrato sulle città intelligenti. Il primo bando nazionale Smart

studio un progetto per dotare le imbarcazioni in transito di un dispositivo con microSim e Gps, tramite cui raccogliere informazioni su traffico e condizioni del mare. Un esempio di innovazione in campo mobile è la soluzione (Telepago) che permette di saldare le soste nei parcheggi tramite Sms e di ricevere dal Comune degli alert, sempre via Sms, sullo stato della marea. Quanto alla connettività, da tempo l’amministrazione comunale offre accesso gratuito a Internet grazie ai 200 hotspot installati fra laguna e terraferma. Siracusa, una sfida su cui scommettono anche i big

Lo scorso anno Siracusa, unica italiana, è stata selezionata da Ibm per il programma internazionale “Smarter Cities Challenge”, che mette in campo 50 milioni di dollari in tecnologia e servizi per promuovere l’innovazione in cento città del mondo. Il piano d’azione si focalizzerà su varie aree di intervento, fra cui assistenza sanitaria, istruzione, sicurezza, servizi sociali, trasporti, sostenibilità, gestione del bilancio ed energia. E poi, elemento da non sottostimare, la valorizzazione del patrimonio turistico della città, abbinata alla salvaguardia del patrimonio storico e al monitoraggio ambientale. Valentina Bernocco Cities & Communities da 665,5 milioni, avviato lo scorso agosto (è del 2012, invece, quello da 240 milioni di euro riguardante le sole regioni meridionali), dovrebbe essere assegnato in autunno, dopo che qualche settimana fa è scattata la seconda fase di valutazione con 83 diversi progetti selezionati. Di questi fondi, 170 milioni sono di contributo alla spesa e 485,5 milioni per il credito agevolato aperto a imprese, centri di ricerca, consorzi e società consortili e organismi di ricerca con sedi operative su tutto il territorio nazionale. 37


ITALIA DIGITALE | Smart city

Un jolly tutto italiano chiamato Internet delle cose Dalle applicazioni di smart metering a quelle per la gestione di illuminazione pubblica, rifiuti e parcheggi: c’è una ricetta per lo sviluppo delle città intelligenti. Ecco quale.

I

l numero di oggetti interconnessi tramite schede Sim dati attive nel Belpaese è arrivato, a fine 2012, a cinque milioni, crescendo del 25% rispetto al 2011. Il giro d’affari legato a queste soluzioni – smart metering e smart asset management nelle utility sono fra quelle più diffuse – oggi vale circa 810 milioni di euro. Pochi, ancora, i progetti che ricorrono a tecnologie di comunicazione diverse da quella cellulare, ma vi sono alcuni ambiti specifici di applicazione in cui il fenomeno può trovare nuove opportunità di sviluppo. E uno di questi sono le smart city. L’obbligo (tutto italiano) dell’installazione di contatori intelligenti in almeno il 60% delle utenze domestiche entro la fine del 2018, questo il messaggio che emerge dall’Osservatorio Internet of Things (Iot) della School of Management del Politecnico di Milano, può essere un’occasione per dare vita a nuove applicazioni per l’illuminazione pubblica (con lampioni interconnessi fa di loro), la gestione dei rifiuti (per il controllo del contenuto dei cassonetti), gli spazi verdi, i parcheggi, il traffico. In quest’ottica si può pensare a una rete di comunicazione condivisa, da utilizzare per raccogliere informazioni non solo dai contatori ma anche da altri oggetti intelligenti. Una rete, battezzata “Smart Urban Infrastructure”, che – se implementata in una media città di 70mila abitanti – potrebbe garantire risparmi 38

| APRILE 2013

fino al 50% sui costi di investimento e fino al 70% su quelli operativi. Può quindi essere l’Internet delle cose una delle tecnologie abilitanti per le smart city? Lo abbiamo chiesto ad Alessandro Perego, responsabile scientifico dell’Osservatorio Iot. Fare leva sull’Internet delle cose per rendere più smart le città: quali sono le criticità di questo paradigma?

La prima sono le tempistiche. La rilettura degli obblighi normativi relativi al gas può fungere da volano per la realizzazione delle città intelligenti. Tuttavia le scadenze stringenti comportano la necessità di partire al più presto, e con questi tempi potrebbe diventare difficile realizzare una rete costruita secondo standard aperti, che consentano poi di

utilizzarla anche per altre applicazioni. La seconda?

La complessità della governance e dei modelli di business: ci sono ancora molti punti da smarcare al riguardo, per esempio si dovrà capire chi si farà carico dei costi di realizzazione della rete di comunicazione condivisa, come attribuire i costi della Smart Urban Infrastructure a ciascuna applicazione, come promuovere la nascita di nuovi servizi. La terza criticità ha a che vedere con i fondi a disposizione?

Sì, ed è la capacità di spesa della Pubblica Amministrazione. Molte, ma non tutte, le applicazioni per le smart city hanno come committente la Pa. Questo aspetto si scontra con i tagli derivanti dalla spending review, e spinge a rendere essenziale una focalizzazione anche su applicazioni il cui committente sia privato, sia esso una organizzazione oppure un individuo. Quanto l’Agenda Digitale potrà aiutare l’accelerazione di questo processo?

L’Agenda Digitale può essere un elemento importante del processo, perché già oggi tocca numerosi temi su cui l’Internet delle cose gioca un ruolo chiave. I principali sono la mobilità, la sanità, il turismo, l’efficienza energetica e le smart grid. Ci sono progetti in corso che rispondono in qualche modo ai criteri della Smart Urban Infrastructure?

Alessandro Perego, responsabile scientifico dell’Osservatorio Internet of Things della School of Management del Politecnico di Milano

Sì ci sono, e si propongono di sviluppare una infrastruttura comune a più servizi della città. Gli esempi? I cluster applicativi di Santander, Trento, Berlino, Aarhus e Birmingham. Gianni Rusconi


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OBBIETTIVO SU | Cisco

reti ottiche del mio stivale La multinazionale del networking studia le tecnologie fotoniche nel grande laboratorio di Monza e mostra le applicazioni della collaboration nel suo centro di Vimercate. Ma Cisco punta sull'Italia anche sul fronte della formazione. Per non restare a corto di talenti.

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e reti di ultima generazione parlano brianzolo. A pochi chilometri di distanza, infatti, Cisco ha posizionato il laboratorio di ricerca sulle reti ottiche di ultima generazione, che occupa ben 6.500 metri quadri presso la sede di Monza, e il suo headquarter italiano di Vimercate, che ospita anche un avveniristico centro per la Business Collaboration. Ma la presenza italiana di Cisco è ben più radicata: la multinazionale ha infatti attivato molte iniziative che coinvolgono studenti e giovani talenti e ha costruito solide relazioni all’interno del tessuto sociale e culturale del nostro Paese. La tecnologia delle reti ha bisogno di una visione di lungo periodo e necessita di investimenti, skill e infrastrutture ai massimi livelli, tutti elementi che non si inventano da un giorno all’altro ma che richiedono piani strategici complessi e importanti. Come il Cisco Networking Academy Program, che si propone di risolvere l’annoso problema della carenza di talenti.

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VIMERCATE, in provincia di Monza e Brianza, ospita il quartier generale di Cisco Italia (quello mondiale, a sinistra sotto il titolo è a San Jose, negli Usa). In tutto il palazzo gli impianti (riscaldamento, luce e ventilazione) sono gestiti tramite la rete Ip.

il cisco business collaboration occupa un intero piano della sede di vimercate e ospita, tra l'altro, una sala dotata di apparati per la telepresenza.

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OBBIETTIVO SU | Cisco

cisco photonics di monza impiega 200 ricercatori, dedicati a studiare le reti ottiche a larghissima banda di nuova generazione.

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LA FOTONICA rappresenta la punta di diamante della ricerca Cisco. In poco più di dieci anni di attività sono stati depositati oltre cento brevetti nati dal know-how italiano.

nata da pirelli Cisco Photonics, la struttura di ricerca e sviluppo che guida a livello mondiale le attività di Cisco per la tecnologia delle reti ottiche, nasce nel 2000 con l'acquisizione della divisione fotonica di Pirelli Optical Systems. Il sito di ricerca di Monza è integrato con gli altri Engineering Centre della multinazionale e svolge anche attività di dimostrazione di tecnologie e prodotti per i clienti. La struttura brianzola collabora attivamente con i poli di eccellenza italiani nel campo della fotonica, tra cui il gruppo OptCom del Dipartimento di Elettronica del Politecnico di Torino e il centro di ricerca Create-Net di Trento.

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OBBIETTIVO SU | Cisco

cisco networking academy program è un'iniziativa di formazione presente in tutto il mondo, che mira a ridurre il gap tra domanda e offerta di posti di lavoro nel settore it. proprio lo "skill shortage" è considerato da tempo uno dei freni allo sviluppo dell'innovazione nel nostro paese.

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NELL’ULTIMO ANNO sono stati oltre 20mila gli studenti che hanno frequentato le 284 Networking Academy istituite in Italia. In alto, nella pagina a fianco, la sala di telepresenza del centro Cisco Business Collaboration di Vimercate.

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l’ibrido farà tendenza? Sono stati battezzati “phablet” e sono una via di mezzo fra un telefono e un tablet. Per adesso sono preda di un ristretto ma convinto gruppo di sostenitori, che li ha adottati e non ne può più fare a meno, ma in futuro potrebbero essere il giusto compromesso tra la portabilità di uno smartphone e la leggibilità di una tavoletta. Tutto è iniziato nel 2011 con il Samsung Galaxy Note, un modello con schermo da 5,3 pollici, dotato di stilo per interagire e scrivere sul display. Non stava in una normale tasca e non era troppo comodo per telefonare senza auricolare (date le dimensioni, accostarlo all’orecchio durante la conversazione esponeva l’utente al pubblico ludibrio). Poi è arrivato il Note II, con schermo da 5,5 pollici, e sono entrati in lizza anche alcuni (pochi, per il momento) concorrenti, come l’Asus FonePad da 7 pollici (da non confondersi con il PadFone) e il Huawei Ascend Mate. Altri phablet sono all’orizzonte: la linea di confine è rappresentata dal display, compreso tra 5 e 7 pollici (oltre, si entra nel campo dei tablet) e, ovviamente, dalla possibilità di fare telefonate.

La PARTITA dei sistemi operativi Android, iOs, ma anche il nuovo BlackBerry e gli oustider. La competizione si gioca sempre più sulle componenti software.

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a battaglia per il predominio nel mercato degli smartphone non si combatte solo sulle prestazioni hardware ma sul software, con il tentativo di imporre sistemi operativi alternativi a iOs e Android, e soprattutto ai market collegati. Il loro vantaggio sembra a incolmabile, ma il duopolio desta qualche preoccupazione tra i produttori e apre la porta a nuovi protagonisti. Fino a pochi mesi fa il destino di Rim sembrava segnato, ma con il nuovo sistema operativo e lo Z10, BlackBerry (che per l’occasione ha cambiato il nome dell’azienda) rimescola le carte e si prepara a riconquistare utenti. BlackBerry deve gran parte del suo successo al proprio sistema di gestione della posta elettronica; adesso che qualunque smartphone è in grado di ricevere e inviare email la casa canadese cerca di recuperare il divario ripensando completamente il sistema operativo proprietario (ora BlackBerry 10). Windows Phone 8 cresce, anche se lentamente, come ci ha raccontato Stefania Duico, direttore della divisione Windows Phone di Microsoft Italia: “Il punto

di forza del sistema operativo Microsoft consiste nella perfetta integrazione con i desktop e i tablet. L’interfaccia utente unificata e la possibilità di utilizzare le proprie applicazioni in maniera estremamente simile su diverse piattaforme è un indiscutibile vantaggio”. Grande attenzione ha destato anche l’annuncio, a Barcellona, del nuovo sistema operativo Firefox Os. Come ci ha raccontato uno dei protagonisti del suo sviluppo, il vice president Firefox Engineering Johnathan Nightingale, il sistema operativo punta tutto sull’Html5. È lo stesso linguaggio usato per creare le più recenti applicazioni Web e funziona egregiamente anche su terminali low cost, così da essere estremamente interessante specialmente per l’espansione nei Paesi emergenti. Anche Samsung, forte della sua posizione di leader nella vendita di smartphone, non è stata ferma a guardare e ha annunciato l’abbandono del sistema operativo Bada a favore del nuovo Tizen, basato su Linux e sviluppato assieme a Intel. Federico Cociancich APRILE 2013 |

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VETRINA HI-TECH

Gli ultimi smartphone sono i nuovi oggetti del desiderio Cascata di modelli di fascia alta e media per i maggiori produttori, da Samsung a Lg, passando per il rinnovato sprint di Nokia e BlackBerry e i prezzi aggressivi di Huawei.

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li smartphone al top di gamma dimostrano la capacità delle aziende di innovare, ma i grandi volumi si fanno ancora con modelli di fascia media e medio-bassa: Nokia, Lg, Acer, Alcatel e la cinese Huawei si preparano a dare battaglia con dispositivi caratterizzati da un ottimo rapporto qualità/prezzo. Tra tutti spicca l’Ascend P2 di Huawei, che vanta uno spessore di soli 8,4 millimetri, un ampio schermo da 4,7 pollici Ips Hd e un processore quad-core da 1,5 GHz. Di pregio anche la fotocamera da 13 megapixel e una batteria che è tra quelle con maggior capacità sul mercato. Il tutto a un prezzo di listino molto aggressivo, inferiore ai 400 euro. Il produttore cinese ha presentato anche il primo Windows Phone “low cost” (a meno di 200 euro) con display da 4 pollici, processore da

SAMSUNG Galaxy S4 Prezzo: DA definire è forse il prodotto più atteso di questo scorcio di stagione; la quarta versione del fortunato smartphone di Samsung promette di diventare un best seller come il predecessore. La multinazionale coreana è riuscita nell’impresa di integrare uno schermo da 5 pollici in uno chassis più compatto rispetto al modello precedente. Il sistema operativo è sempre Android, la batteria è stata potenziata per supportare le nuove funzioni, tra cui l’Nfc e il riconoscimento facciale.

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BLACKBERRY Z10 Prezzo: 699 euro La scocca in alluminio super leggera, le linee arrotondate, l’abbandono della tastiera Qwerty e il display touch da 4,2 pollici: queste le innovazioni dello Z10 evidenti al primo impatto. Le prestazioni sono affidate a un processore dual-core da 1,5 Ghz, a 2 GB di Ram e 16 GB di memoria interna, mentre la connettività Lte velocizza la navigazione. L’interfaccia è stata completamente riprogettata puntando sui controlli gestuali e su un reale multitasking; il sistema operativo può creare due ambienti separati, uno lavorativo e uno personale. Fotocamera all’altezza, da 8 megapixel.

1,2 GHz dual-core e 4 GB di memoria. Anche Nokia presidia la fascia media con i due nuovi Lumia 720 e il Lumia 520. Il primo, con display da 4,3 pollici, punta sulla fotografia di qualità: oltre al sensore da 6,7 megapixel, spicca un’ottica Carl Zeiss particolarmente luminosa (f/1.9) e adatta anche a scatti in condizioni di scarsa visibilità. Il 720 dispone inoltre delle più recenti funzioni d’alta

gamma, inclusi Nokia Music, il sistema di localizzazione Here, la possibilità di ricarica senza fili e il supporto Nfc. Il Lumia 520 permette invece di provare l’esperienza di Windows Phone 8 a un prezzo più conveniente; ha uno schermo da 4 pollici, un processore dual-core da 1 GHz e fotocamera da 5 megapixel. Per vederlo dovremo però aspettare il secondo trimestre del 2013.

Lg, invece, ha rinnovato l’intera serie L, (L3 II, L5 II e L7 II), che adesso ha processori più potenti, display Ips, fotocamere migliori, batterie più durature e sistema operativo aggiornato. La nuova serie Optimus F, con i modelli F5 ed F7, si posiziona più in alto grazie al supporto alle reti Lte, mentre il top di gamma è l’Optimus G, uno smartphone con schermo Hd da 4,7 pollici, processore quad-core di ultima generazione con Lte e fotocamera da 13 megapixel. Il tutto in 8,5 millimetri di spessore. Samsung ha dedicato un evento separato all’annuncio del proprio top di gamma, il Galaxy S4, e a Barcellona ha presentato il Galaxy Note 8.0, un tablet da 8 pollici che consente anche di telefonare. Scelta simile per Htc, che ha invece anticipato la presentazione del nuovo One, con monoscocca in alluminio che lo rende particolarmente leggero e display da 4,7 pollici Full Hd. Tra i produttori “minori”, Alcatel ha rinnovato l’intera gamma con le serie Pop, Star, Idol e Scribe: ben nove terminali, caratterizzati da colorazioni vivaci e prezzi aggressivi. Acer ha invece limitato le novità a due modelli: Liquid E1 e Liquid Z2. Il primo è un top di gamma con dual Sim e sistema audio evoluto, mentre lo Z2 è uno smartphone Android entry-level.

HUAWEI ASCEND P2

LG OPTIMUS G

HTC ONE

Sistema operativo: Android 4.1 Dimensioni (mm): 136,2 x 66,7 x 8,4 Peso: 122 grammi Schermo: 4,7’’ (1280x720 px) Processore: Arm (quad-core, 1,5 GHz)

Sistema operativo: Android 4.1.2 Dimensioni (mm): 131,9 x 68,9 x 8,45 Peso: 135 grammi Schermo: 4,7’’ (1280x768 px) Processore: Qualcomm Snapdragon (quad-core, 1,5 GHz)

Sistema operativo: Android Dimensioni (mm): 137,4 x 68,2 x 9,3 Peso: 143 grammi Schermo: 4,7’’ (1080x468 px) Processore: Qualcomm Snapdragon (quadcore, 1,7 GHz)

Prezzo: 399 euro

Prezzo: 599 euro

Prezzo: 699 euro

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VETRINA HI-TECH

pillole digitali

HP Envy 120 Inkjet e-All-in-One Adatta alle piccole aziende e agli home office, la nuova all-in-one di Hp è un modello a getto d’inchiostro che punta sulla multifunzionalità, ma anche sull’estetica. Si tratta infatti di una periferica che funge da stampante, fotocopiatrice e scanner, e che può vantare un design compatto e, come elemento distintivo, uno schermo touch (da 4,3 pollici) a scomparsa. Grazie all’integrazione delle App TouchSmart di Hp, questo modello supporta il browsing, la creazione di documenti e la stampa direttamente dal Web, cioè senza dover transitare da un computer. Inoltre il sistema AirPrint consente di stampare direttamente da iPad, iPhone e iPod touch, collegandosi attraverso il WiFi. Prezzo: 249 euro.

Jabra Motion Ottimo per una semplice chiacchierata telefonica di piacere, ma anche per quelle di lavoro, sia dentro le pareti dell’ufficio, sia quando si è in movi-

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| APRILE 2013

mento. Jabra Motion è un nuovo auricolare senza fili che integra al suo interno il Bluetooth 4.0 ma anche l’Nfc, consentendo dunque più modalità di connessione wireless con smartphone, computer laptop o tablet. Piccolo, leggero e compatto, altra sua caratteristica è la presenza di una serie di sensori di movimento e microfoni in grado di analizzare l’ambiente circostante e adattare i volumi alle condizioni audio presenti, sia che ci si trovi in una stanza silenziosa, sia in strada o magari in treno. Motion, inoltre, registra il più piccolo movimento: quando viene indossato la chiamata comincia simultaneamente, mentre una volta riposto, ripiegando il microfono, il dispositivo si spegne e va in stand by. Prezzo: da 129 euro

Tp-Link TD-W8980 Navigare, caricare e scaricare file, eseguire operazioni di streaming e altre attività online senza problemi di connettività o interferenze fra device. È la promessa dell’ultimo modem/router all-in-one di Tp-Link, che oltre alle due funzioni citate svolge anche quelle di acces point, print server, media server e switch. E garantisce connessioni veloci e stabili grazie a una tecnologia di dual band simultaneo a 300 Mbps (2,4 e 5 Ghz), che in totale offre 600 Mbps. La presenza di un doppio canale permette di gestire simultaneamente

le frequenze radio a 2,4 GHz e 5 GHz, e quindi di evitare interferenze prodotte da dispositivi Bluetooth, telefoni cordless o altre reti wireless. Il dispositivo consente inoltre la condivisione di file e stampanti grazie a due porte Usb integrate. Prezzo: 129,90 euro

Asus PadFone Infinity L’azienda taiwanese prosegue sulla strada dei dispositivi ibridi presentando l’evoluzione del suo PadFone, un tablet Android il cui “cuore” è costituito da uno smartphone. PadFone Infinity, infatti, combina un terminale telefonico con schermo da 5 pollici e un tablet da 10 pollici, definito come Infinity Station: il primo si inserisce nel secondo e funge da “motore software”, potendo però funzionare come terminale indipendente qualora estratto dall’alloggiamento docking. Per semplificare la vita all’utente, il PadFone realizza una sincronizzazione automatica dei contenuti fra i due dispositivi, in modo da non doversi mai preoccupare di cosa viene installato o archiviato sull’uno o sull’altro elemento. L’equipaggiamento prevede a bordo dello smartphone un processore quad-core di Qualcomm da 1,7 GHz; non mancano le due fotocamere di rito, una posteriore da ben 13 megapixel e una anteriore da 2 megapixel (in dotazione sia al telefono, sia alla tavoletta). Prezzo: 999 euro


PCSMINV-CH-ITA Technopolis.pdf

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19/03/13

17:45

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