Technopolis 33

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NUMERO 33 | APRILE/MAGGIO 2018

STORIE DI ECCELLENZA E INNOVAZIONE

IL VILLAGGIO È DIGITALE

Spazi fisici, modelli di lavoro, persone, tecnologie. Nella nuova sede di Econocom Italia a Milano tutto fa innovazione.

ARRIVA IL GDPR

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A fine maggio le aziende dovrebbero essere pronte per le nuove norme. Saranno più i benefici o gli oneri?

GENERAZIONE 5

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Le reti di comunicazione 5G sono già una realtà in alcune città test, e l'Italia è in prima linea per le nuove autostrade digitali.

IMPUTATO ZUCK

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L'audizione al Congresso Usa di Zuckerberg ha scatenato reazioni diverse sulla rete. Technopolis ha analizzato il sentiment su Twitter.


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SOMMARIO STORIE DI ECCELLENZA E INNOVAZIONE

N° 33 - APRILE - MAGGIO 2018 Periodico bimestrale registrato presso il Tribunale di Milano al n° 378 del 09/10/2012

4 STORIE DI COPERTINA

La trasformazione abita nel villaggio

9 IN EVIDENZA

Anche per l’Italia digitale non c’è più tempo da perdere

La nuova Sirti: diversificata ed europea

Sap scommette sull’intelligenza artificiale in azienda

La crescita di Teamsystem

Coordinamento: Gianni Rusconi Hanno collaborato: Alessandro Andriolo, Piero Aprile, Valentina Bernocco, Roberto Bonino, Carlo Fontana

L’Italia fa volare Red Hat

Ora Samsung Pay funziona con tutti i Pos

Progetto grafico: Inventium Srl

Foto e illustrazioni: Istockphoto, Adobe Stock Images, Martina Santimone

18 INNOVAZIONE

Direttore responsabile: Emilio Mango

Editore, redazione, pubblicità: Indigo Communication Srl Via Correggio, 48 - 20149 Milano tel: 02 36505844 info@indigocom.it www.indigocom.it Stampa: Imprimart s.r.l. Desio (MB) © Copyright 2018 Indigo Communication Srl Tutti i diritti di proprietà letteraria e artistica riservati. Il Sole 24 Ore non ha partecipato alla realizzazione di questo periodico e non ha responsabilità per il suo contenuto.

16 DATA JOURNALISM Il braccio di ferro tra bitcoin e media

Gdpr, ecco perché non va temuto

Sicurezza, comprendere l’ignoto per difendersi meglio

Nuove reti in viaggio dallo Stivale all’oriente

5G, il nostro Paese si muove

Energia rinnovata per le telecomunicazioni

Sharing economy e IoT, le nostre aziende sono cenerentole

Il food delivery piace

Machine learning dai mille volti

Blockchain: l’Europa chiama, l’Italia non risponde

34 EXECUTIVE ANALYSIS

Le reti aziendali si dematerializzano

Flessibilità e costi le priorità per i Cio

44 ECCELLENZE.IT Prt group - Ricoh

Museo archeologico dell’alto adige - Wildix

Msc crociere - Samsung

Tas Group - Infinidat

48 VETRINA HI-TECH Il fascino del digitale

Pubblicazione ceduta gratuitamente.


STORIA DI COPERTINA | Econocom Perpiciatis

Innovazione negli spazi fisici, nella concezione del lavoro, nella collaborazione fra le persone: la nuova sede di Econocom Italia, a Milano, è un esempio unico di applicazione e sperimentazione delle nuove tecnologie.

LA TRASFORMAZIONE ABITA NEL VILLAGGIO

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n luogo concepito per nuovi modelli di lavoro basati sui principi della collaborazione “smart”, dove la tecnologia è “fisicamente” applicata per supportare i processi di cambiamento organizzativo e strategico. Denominato non a caso “Village” e realizzato all’interno del complesso La Forgiatura, in un’ex area industriale completamente riqualificata alla periferia nord-ovest di Milano, è la nuova casa di Econocom Italia, filiale dell’omonimo Gruppo francese (da ol4

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tre 10.700 collaboratori attivi in 19 Paesi e un fatturato di tre miliardi di euro l’anno), e riunisce in un’unica location anche le società satellite Bizmatica e Asystel Italia. Il Village non è semplicemente una sede aziendale che ospita circa 350 persone, sugli oltre 500 dipendenti complessivamente in organico nel nostro Paese. È un ambiente multifunzionale e accogliente, in cui il paradigma della trasformazione digitale viene vissuto quotidianamente, in una sorta di sperimentazione “on the go”

delle nuove tecnologie, diffuse capillarmente senza essere invasive, pensate per rendere più fruibili e funzionali gli spazi e quindi per migliorare le attività quotidiane delle persone. Dentro c’è un po’ di tutto, compreso un robot umanoide (Pepper) addetto all’accoglienza dei visitatori, con il quale poter interagire e attraverso il quale si raccolgono informazioni utili allo sviluppo di applicazioni “reali” per le aziende clienti. Tutto si ispira a una rivisitazione innovativa del modo di lavorare, secondo


Leggi il Qr code per scoprire tutte le innovazioni dell’Econocom Village.

una logica “phigital”, fisica e digitale insieme, che punta a massimizzare i benefici della collaborazione e della socializzazione, della contaminazione e della condivisione di idee ed esperienze. Tecnologie al servizio di tutti

Il Village riflette la strategia di una società che ha fortemente voluto cambiare pelle nel corso degli ultimi cinque anni, trasformandosi da gestore degli asset tecnologici a valore aggiunto a player digitale fortemente caratterizzato per

UNA NUVOLA ”IBRIDA” UNICA IN ITALIA Dotarsi di un’infrastruttura informatica agile, efficiente e sicura è sempre più strategico per le aziende desiderose di accelerare la propria trasformazione digitale. A questa esigenza Econocom risponde con una soluzione di cloud ibrido che, per la sua particolare architettura logica, non conosce eguali sul panorama italiano: a renderla unica è l’utilizzo in modalità iperconvergente e “active to active” di quattro data center dislocati sul territorio nazionale (di cui due di livello Tier III e Tier IV) e connessi fra loro a bassa latenza e ad alta velocità. I vantaggi per le aziende clienti sono diversi: si ottiene

flessibilità grazie alla gestione dinamica delle risorse attraverso i container e si beneficia in termini di convenienza e scalabilità,a costi contenuti, eseguendo migrazioni graduali e trasparenti verso il public cloud. Le competenze interne, votate al supporto e alla personalizzazione delle soluzioni offerte, si specchiano dunque in un’infrastruttura di networking e di data center che premia l’attività di sviluppo in ambiente Openstack e che vede la sicurezza (dei dati e delle applicazioni aziendali, per la massima continuità operativa) come un processo (innovativo) e non come un prodotto.

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STORIA DI COPERTINA | Econocom

l’innovazione della propria offerta. Una società che ha trovato la formula per far convergere competenze trasversali in un hub tecnologico in cui si progetta, si sperimenta e si integra l’innovazione per accelerare la trasformazione delle aziende. “Il processo di change management è tutt’ora in corso, sia a livello culturale sia a livello organizzativo, ed è in atto una profonda evoluzione in termini di risorse umane, valorizzazione di competenze e ricerca e coinvolgimento di nuovi talenti”, spiega il chief strategy officer di Econocom Italia, Patrizio Corniello. Nella struttura trovano infatti posto un’area di co-working aperta a partner e clienti (ma non solo), i laboratori di digital experience per sperimentare applicazioni di realtà mista e coding, spazi per le startup, diverse social area per il networking e uno spazio multifunzio-

nale da 300 posti per ospitare workshop ed eventi sui temi dell’innovazione. “Il Village” aggiunge Corniello, “traduce in forma concreta la nuova identità di Econocom e rispecchia una nostra prerogativa, e cioè quella di vivere al nostro interno la trasformazione digitale prima di venderla sul mercato. Si parte dall’esperienza d’uso migliore per disegnare il processo in risposta all’esigenza e quindi si adotta e si integra la tecnologia più idonea allo scopo”. L’approccio che muove le varie attività è infatti di tipo olistico, parte da una visione d’insieme per focalizzarsi sulla particolare necessità di una specifica classe di utenti: dagli addetti che operano nei diversi settori dell’industria ai consumatori di prodotti di largo consumo. Nel lounge bar al settimo piano del Village, per esempio, l’ordine della bevanda preferita, effettuato tramite

app mobile, arriva direttamente al sistema di gestione ordini e pagamenti in grado di notificare all’utente quando la bevanda è pronta. La piattaforma LeONhub, appoggiata sul cloud e continuamente in evoluzione, dialoga con la domotica e le funzionalità legate alla vita del Village come il controllo accessi, l’apertura di ticket personali, l’utilizzo degli spazi comuni. Tutto. Attraverso un’unica dashboard di “enterprise immune system”, così come definita da Econocom, vengono inoltre elaborati i dati sul traffico di rete (fissa e wireless), sulle macchine connesse, sui servizi utilizzati. Big Data e Internet delle cose, nonché alti livelli di protezione dei dati e delle risorse aziendali, insomma, sono strumenti tecnologici che vengono testati ogni giorno, per affinarne l’applicazione sul campo. Gianni Rusconi

PAROLA MAGICA: INTERAZIONE Persone, tecnologie, spazi: le tre anime del Village sono strettamente legate fra loro da connessioni di natura diversa. Connessioni fisiche, come il ponte impreziosito da oltre 380mila led colorati (per un’estensione di 1,8 chilometri) che collegano l’area di produzione a quella più social e collaborativa. Virtuali, come la connettività WiFi disponibile ovunque, anche in alcune postazioni coperte collocate nei cortili interni della struttura. Non ci sono telefoni fissi, e anche l’ufficio dell’amministratore delegato è uno spazio aperto in cui poter lavorare in modo condiviso con il capo azienda. Vetrate e pareti diventano superfici intelligenti su cui scrivere appunti digitalizzati in tempo reale; monitor resi sensibili al tocco sono a disposizione di tutti, in logica di collaborazione inclusiva, mentre lo smartphone è eletto a strumento principe per comunicare fra gruppi di lavoro e prenotare (per esempio) le sale riunioni tramite QR code e app mobile aziendale. Tutti gli spazi, in generale, sono stati progettati per essere esplorati come se si stesse navigando su un portale web. Ogni dipendente è dotato di un badge multiuso, con tecnologie Nfc e Rfid e funzionalità di wallet digitale integrate: un vero e proprio passpartout con cui accedere alle risorse fisiche di un edificio progettato in chiave smart, e non solo in ottica di efficienza energetica.

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Non mancano, poi, virtuosità sui generis quali i “pulsanti connessi”, che consentono di automatizzare task operativi come le richieste specifiche di assistenza per eventuali malfunzionamenti dei tanti apparecchi connessi (stampanti, frigoriferi, vending machine) dislocati fra le stanze colorate del Village. Il dogma della smart collaboration si traduce infine nell’abbandono dei formalismi di luogo e orario: ogni addetto di Econocom ha la libertà di decidere dove e in che modo lavorare e di scegliere il proprio compagno di scrivania in base all’attività svolta, in un’ottica di partecipazione individuale a un progetto comune. Contaminazione e socialità a 360 gradi sono gli imperativi, i punti programmatici del manifesto virtuale che ispira il villaggio.


Il cambiamento è culturale Un modello alternativo per sviluppare e distribuire le nuove tecnologie: la filosofia di Econocom per fare innovazione è banale solo all'apparenza. E si specchia nel Village. Enrico Tantussi

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n percorso iniziato nel 2014 e che sta ancora proseguendo. “Oggi lo abbiamo concretizzato in un container di tecnologia dove far nascere progresso e innovazione, perché crediamo che la trasformazione digitale sia già accessibile e possa fare la differenza nel valorizzare le attività di ogni impresa. Ma non ci può essere trasformazione senza un cambiamento culturale”. Enrico Tantussi, country manager di Econocom Italia, sintetizza così la visione che accompagna un’offerta di soluzioni sviluppate per incontrare le esigenze del business e rendere più efficienti i processi delle aziende clienti (soprattutto realtà di grandi dimensioni). Il Village, in altre parole, è lo specchio fedele di un modo “nuovo” di interpretare la trasformazione digitale e il payoff che ne ha accompagnato l’apertura, “#thefutureison”, ne rispecchia del tutto la filosofia. L’idea di fondo, dice infatti Tantussi, è quella di “creare uno stile alternativo, e vincente, di fare e distribuire le nuove tecnologie, che da sole non sono sinonimo di innovazione: nelle aziende la si realizza se si lavora sui processi e sui modelli di lavoro”. La tecnologia, insomma, deve supportare il cambiamento organizzativo e deve incidere sulle logiche di relazione ed engagement. E nel Village questo concetto viene espresso in molti modi. Attraverso la condivisione, innanzitutto,

ma anche con la volontà di guardare oltre e arrivare prima degli altri, mettendo in campo “il coraggio di osare, facendo coesistere approccio creativo e concretezza nelle soluzioni che offriamo alle aziende”. Sfruttando una fucina in cui sperimentare quelle innovazioni che la società porta sul mercato spaziando dal retail all’industria manifatturiera, per arrivare alle banche. Econocom è quindi un ecosistema aperto, continuamente in trasformazione e non solo perché nel piano industriale sono già previste acquisizioni di società consolidate ma

anche di startup. Il concetto di open innovation si tocca con mano, e lo si vede nelle persone e nelle iniziative che lo animano. Il focus, aggiunge ancora Tantussi, “è quello di accompagnare le aziende nel processo di cambiamento e per farlo parliamo agli amministratori delegati, ai manager del board, a chi ha la responsabilità di guidare l’innovazione. Perché il digitale ha aperto infiniti orizzonti di miglioramento, anche in termini di business”. Econocom, in proposito, non fa mistero di avere grandi ambizioni. In Italia vanta oltre 1.800 clienti e ha registrato nel 2017 ricavi per 437 milioni di euro (sui tre miliardi di fatturato del Gruppo), cifra più che raddoppiata nel corso degli ultimi cinque anni. L’obiettivo è quello di crescere ancora (l’asticella a cinque anni è fissata a un miliardo di euro) e di giocarsi la partita del digitale aprendo a nuovi mercati e indossando anche un nuovo abito, quello di una società di business consulting. Molto dinamica e diversa dalle altre. G.R.

CIBO GOURMET AL DIGITALE “In una situazione di mercato in cui la competizione è in crescita e in evoluzione, abbiamo attivato diversi progetti che ci consentissero di fornire servizi a valore aggiunto ai nostri clienti. Tra questi, la creazione di una nuova food court, DeguStazione, nel centro commerciale Auchan di Fano”. Fabio Iacuitti e Stefano Colombi, rispettivamente Cfo e leasing manager di Gallerie Commerciali Italia, inquadrano così l’ultimo tassello di un’offerta di ristorazione che punta a valorizzare la filiera locale e a portare nei centri commerciali cibo gourmet, for-

nendo una risposta concreta a chi tende consumare sempre più pasti fuori casa. Un forte rinnovamento nel modello distributivo, spiegano i due manager, “ci ha quindi spinto a scegliere un partner fortemente focalizzato all’innovazione come Econocom, facendo affidamento su un unico provider tecnologico sia per la parte di digital signage sia per i servizi di reportistica e integrazione dei sistemi offerti in modalità as a service”. Il vantaggio? “Avere l’opportunità di implementare un progetto in grado di evolversi molto velocemente”.

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IN EVIDENZA

l’analisi ANCHE PER L’ITALIA DIGITALE NON C’È PIÙ TEMPO DA PERDERE La trasformazione digitale è sicuramente un grande impulso per la produttività, gli investimenti e l’occupazione ma fa ancora fatica a trainare la crescita del sistema Paese. L’assunto, chiaro nell’evidenziare come il processo di innovazione sia tutt’altro che completato, emerge dalla sesta edizione del “Rapporto Istat” sulla competitività dei settori produttivi. Nelle pagine dello studio si legge testualmente che “il sistema ha ancora molta strada da percorrere nella rincorsa alla rivoluzione digitale” e si rilevano indicatori che certo non esortano all’ottimismo: circa due terzi delle aziende sono infatti “indifferenti” alla digitalizzazione dei processi produttivi, mentre le imprese definibili come “digitali compiute” sono solo il 3% del totale. Più precisamente, il 63% delle realtà è ancora a bassa digitalizzazione (si tratta per lo più di piccole imprese o con sede al Centro-Sud), il 32% arriva a un livello medio e solo il 5% arrivano a uno stadio elevato (soprattutto medio-grandi organizzazioni). In altre parole la macchina italiana procede lenta, registrando inevitabilmente indici di crescita congiunturali inferiori alla media Ue alla voce produttività (dal secondo trimestre 2013 al quarto 2017, l’incremento è dello 0,2% contro lo 0,4% comunitario) e investimenti (+0,5%, contro il +0,9% europeo, nonostante la dinamica più sostenuta dell’ultimo biennio). Sull’utilizzo di Internet e sulla velocità di connessione media, inoltre, il nostro ecosistema risente ancora di un divario significativo.

Secondo i dati Istat sulla competitività delle imprese, quelle realmente innovative sono una su tre. E l’adozione di Spid va a rilento. L’Istat parla non a caso di un “sistema produttivo in transizione”, che evidenzia comunque segnali di recupero sempre più estesi. Spicca, in particolare, il fatto che nel triennio 2014-2016 circa la metà delle aziende italiane (dai 10 addetti in su), attive nell’industria e nei servizi abbia svolto attività innovative. Fra esse, poco meno di un terzo sono “innovatori forti”, avendo investito su prodotti e processi aziendali. Il piano Industria 4.0, in proposito, ha fatto la sdua parte: il super ammortamento ha svolto un ruolo “molto” o ”abbastanza” rilevante nella decisione di investire nel 2017 per il 62,1% delle imprese ma-

nifatturiere, mentre l’iper ammortamento lo ha fatto per il 47,6%; spese in ambito software sono previste nel 2018 dal 45,8% delle imprese, mentre il 32% comprerà tecnologie di comunicazione machine-to-machine (M2M) o Internet of Things (IoT) e il 27% servizi e soluzioni per il cloud, il mobile, i Big Data e la sicurezza informatica. In generale, però, il Paese non ha più tempo da perdere se vuole massimizzare in tempi rapidi i vantaggi della digitalizzazione e recuperare in fretta il gap che lo separa dal resto dell’Europa. Se guardiamo agli ultimi dati relativi a Spid, il Sistema Pubblico dell’Identità Digitale, arriva la conferma che manca qualscosa. È vero, infatti, che l’accesso a tutti i servizi Web del Fisco tramite le nostre credenziali è un passo in avanti importante, ma è anche vero che gli obiettivi di partenza (previsti nel decreto di ottobre 2014) sono stati in gran parte disattesi. L’Agenzia per l’Italia Digitale, la struttura che sovraintende a Spid, mira a raggiungere entro il 2020 quota diecimila amministrazioni attive, cioè praticamente tutte le Pa italiane eccetto scuole e Asl. Oggi sono circa quattromila o cinquemila e l’idea iniziale era di raggiungere questo target lo scorso marzo. Lo stesso vale per il numero di identità attivate dai cittadini, che sono oggi 2,5 milioni, mentre secondo l’ex premier Matteo Renzi e il ministro della PA Marianna Madia avremmo dovuto arrivare a tre milioni già entro la fine del 2016. Non c’è più tempo da perdere, appunto. Gianni Rusconi

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IN EVIDENZA

LA NUOVA SIRTI: DIVERSIFICATA ED EUROPEA È un gioco di numeri la nuova strategia di Sirti, o per dirla con il management della società, la strategia della nuova Sirti. Sono due le direttrici di sviluppo: la crescita su business diversificati e la trasformazione competitiva. Sono tre i programmi strategici: la trasformazione culturale e organizzativa, la creazione di valore per il cliente e la trasformazione digitale (la parola chiave più ricorrente). Sono quattro le business unit indipendenti (in termini di profitti e perdite): infrastrutture per telecomunicazioni, trasporti, energia e utilities e Ict (la “perla tecnologica” del Gruppo, come l’ha definita l’amministratore delegato Roberto Loiola). E senza uscire dall’ambito dei numeri, ecco i fatturati: nel 2016 è stato di 600 milioni di euro (con un Ebitda del 4,6%), nel 2017 è balzato a 673 milioni (Ebitda 4,4%). Il budget per il 2018 prevede un giro d’affari stabile (673 milioni) ma un margine più cospicuo (5,1%) mentre le stime per i due anni successivi sono rispettivamente di 696 e 743 milioni, con l’Ebitda che “schizza” a 6,7 e 7,8%. Il piano 2018-2020, quella della “nuova Sirti”, è in sintesi sicuramente am-

Roberto Loiola

La società, pur mantenendo la leadership nel settore telco, punta su trasporti e Ict e pensa anche al mercato estero. A partire dalla Germania. bizioso, visto anche lo scenario competitivo attuale (lo stesso che ha indotto i vertici del Gruppo a pensare a un’importante diversificazione del business, anche a seguito della commessa affidata da Wind Tre a Zte che ha visto la telco defilarsi almeno in parte dal portafoglio clienti di Sirti), ma il management

e la proprietà (l’azienda è oggi partecipata al 100% da Pillarstone) sono molto determinati a portare a termine la “trasformazione”. “La nostra strategia prevede una graduale ma importante internazionalizzazione”, ha detto Loiola, “che si realizzerà soprattutto accompagnando i nostri clienti all’estero. Siamo già presenti in Austria, Polonia e Romania, oltre a una partecipazione in Spagna. In questo momento stiamo guardando con interesse al mercato tedesco”. Tra gli altri punti notevoli del piano triennale, Sirti prevede investimenti nella ricerca e sviluppo nel segmento della segnalazione ferroviaria (l’azienda ha già una tecnologia innovativa applicata sulle reti in Italia e Polonia) e un forte incremento del business Ict, un mercato da 5 miliardi di euro (quello italiano) in cui Sirti ora pesa solo 100 milioni ma in cui prevede di crescere molto anche per acquisizioni, soprattutto nei segmenti della cybersecurity e del cloud. In questo ambito sono significativi, anche se mai confermati dal management, i rumors sull’interesse di Sirti per Retelit. Emilio Mango

CLOUDIAN PARLA ITALIANO Con l’acquisizione di Infinity Storage, azienda milanese in prima linea nelle soluzioni di software-defined storage, Cloudian innesta qualche gene italiano nel proprio Dna, tanto che Caterina Falchi, fondatrice di Infinity, è stata nominata vice presidente della multinazionale, una realtà che oggi conta circa 130 dipendenti distribuiti nelle sedi di San Mateo (California), Milano, Amsterdam, Pechino e Tokyo. Partendo da una base di una trentina

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di clienti già attivi nel nostro Paese, per una capacità totale di storage di 10 petabyte, Cloudian mira all’espansione in Europa (dalla quale arriva già il 40% del fatturato mondiale) anche attraverso la crescita dei team nazionali, con l’Italia in prima linea, affiancati dai partner di canale. Condividendo la visione e la strategia, Caterina Falchi e Michael Tso, Ceo di Cloudian, hanno dichiarato di puntare con decisione allo storage di nuova

generazione: scalabile, sicuro e in grado di gestire dati non strutturati, un tipo di architettura che secondo Gartner entro il 2021 ospiterà l’80% dei dati delle imprese e che già oggi mostra un Tco (Total Cost of Ownership) inferiore del 70% rispetto ai sistemi di storage tradizionali. Quest’ultimo dato, in particolare, si riferisce a HyperFile, la soluzione di punta per l’archiviazione di file e oggetti di Cloudian.


SAP SCOMMETTE SULL’INTELLIGENZA AWS VUOLE UN IT ARTIFICIALE IN AZIENDA DEMOCRATICO Riconoscimento del linguaggio naturale, automazione spinta dei processi aziendali e impiego della tecnologia blockchain sono alcune delle aree in cui la multinazionale sta investendo. Da sola e insieme a partner come Google. “Può darsi che nel breve periodo stiamo sovrastimando l’impatto dell’intelligenza artificiale. Nel lungo, invece, la stiamo sicuramente sottostimando”. Così esordisce Adaire Fox-Martin, membro esecutivo del board di Sap e ospite dell’ultimo Sap Executive Summit di Cernobbio, affrontando il tema chiave dell’evento. “Sono due i fattori che hanno segnato una discontinuità rispetto al passato”, prosegue Fox-Martin, “il primo è la possibilità, offerta dagli attuali sistemi It, di estrarre valore dai dati; il secondo è la disponibilità di algoritmi di intelligenza artificiale, abilitata dalle nuove e più elevate capacità computazionali”. Incorporare tecnologie di machine learning nelle applicazioni e usare il linguaggio naturale per le interfacce con gli utenti sono due tendenze ormai chiare e definite per chi, come Sap, realizza software per il business: “la consumerizzazione dell’It ha sicuramente influenzato la progettazione delle applicazioni per le aziende”, ha spiegato Fox-Martin, “anche perché gli utenti vogliono sul lavoro la stessa esperienza che provano nel tempo libero”. Interessante, sotto questo profilo, la partnership strategica che Sap ha avviato da un circa un anno con Google, perché se

Adaire Fox-Martin

dai sistemi della multinazionale tedesca del software passa il 67% delle transazioni di business di tutto il mondo, il leader nei motori di ricerca è onnipresente nel consumer ed è molto avanti nella ricerca e nella realizzazioni di sistemi basati sull’intelligenza artificiale. “Più in generale”, ha proseguito Fox-Martin, “Sap ha individuato tre aree di interesse nell’ambito del machine learning: la possibilità di automatizzare sempre di più i processi grazie all’intelligenza (Intelligent Enterprise), lo studio dell’evoluzione dell’interfaccia uomo-macchina con un focus sull’utilizzo del linguaggio naturale (anche per questo Sap ha recentemente acquisito la francese Recast.Ai) e la realizzazione di una vera e propria piattaforma, come si usa dire oggi, vale a dire di un ecosistema di aziende e organizzazioni che collaborano per raggiungere l’obiettivo di una vera trasformazione”. All’atto pratico, lo slancio di Sap verso l’intelligenza artificiale è rappresentano attualmente soprattutto da Sap Leonardo, un sistema che unisce le tecnologie e le soluzioni avanzate (A.I., Iot, blockchain) e che permette alle aziende di implementarle sia in autonomia sia facendosi aiutare dalla multinazionale o da uno dei suoi partner.

Il “builder” è la nuova figura chiave della filosofia Amazon Web Services: una persona che non corrisponde a un profilo professionale preciso (può essere un It manager, un data scientist, uno sviluppatore, un “Cxo” o anche un uomo di business), ma che con la sua esperienza e con la sua attività arricchisce e innova l’ecosistema del cloud. “Build-on”, cioè costruire, inventare insieme, è infatti stato il motto dell’ultimo Aws Summit, tenutosi a Milano a fine marzo, e che ha visto la presenza sul palco di Marco Argenti, vice president technology della multinazionale a livello mondiale. “Digital transformation”, ha detto Argenti, “significa in termini più ampi mettere il cliente e la sua esperienza al centro del business. Per fare questo, le app, una delle più comuni interfacce tra aziende e utenti, sono cambiate e devono cambiare ancora, assicurando ai clienti quell’interazione multicanale di cui tanto si parla ma che bisogna realizzare per assicurare loro l’esperienza ottimale”. In questo ridisegno delle applicazioni, è emerso durante l’evento, l’intelligenza artificiale è protagonista e ha cambiato le regole del gioco: prima era dominio di pochi esperti, ora è fondamentale per “democratizzare” la tecnologia. La stessa Amazon ne fa un uso esteso: applicazioni di logistica, di interazione vocale (come Alexa), droni ed esperimenti di nuova customer experience (come i punti vendita Amazon Go). “L’istanza P3 di Aws”, ha detto Argenti, “è stata pensata proprio per applicazioni di intelligenza artificiale: è 14 volte più veloce della P2 ed è basata sulle Gpu Tesla V100 di Nvidia. Queste potenze da supercalcolatore una volta costavano cifre astronomiche e bisognava ordinarle con molto anticipo. Oggi sono disponibili con un clic”.

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IN EVIDENZA

Fatturato e utile crescono anche grazie alla nuova offerta in cloud. Nel mirino l'Europa e le opportunità messe a disposizione dalla fatturazione elettronica.

Federico Leproux

LA NUVOLA TRAINA LA CRESCITA DI TEAMSYSTEM Per la software house italiana TeamSystem il 2017 è stato l’anno del cloud: il volume d’affari dell’offerta basata sulla nuvola è cresciuto del 60% a parità di perimetro e dell’88% se si considerano le acquisizioni. Anche grazie a questo exploit, la società ha visto incrementare i ricavi complessivi del 9% e l’Ebitda del 15% rispetto all’anno precedente. “I fattori di successo”, ha detto Federico Leproux, amministratore delegato di TeamSystem, “sono stati l’apertura di nuovi segmenti di mercato (come il micro-business, che pesa solo per qualche milione di euro ma che raddoppia ogni anno), servizi quali l’e-commerce,

la firma digitale e la conservazione sostitutiva dei documenti e poi ovviamente l’accesso al cloud da parte della base di clienti tradizionale”. Nel prossimo futuro, anche in virtù del fatto che il cloud non ha confini nazionali, la strategia dell’azienda prevede una graduale espansione verso l’Europa, dove già sono stati effettuati alcuni investimenti (Spagna e Danimarca). “L’allocazione di risorse all’estero sarà mirata”, precisa Leproux, “anche perché non possiamo distrarci: dobbiamo presidiare il mercato italiano che oggi, grazie a Gdpr e fatturazione elettronica, offre opportunità importanti”. E.M.

IPHONE, FONTE DI RICCHEZZA Si parla spesso di volumi di vendita e giro d’affari dei mercati tecnologici, ma chi è il vincitore dal punto di vista dei profitti? Nel campo degli smartphone, indubbiamente l’iPhone: secondo i calcoli di Counterpoint Research, nell’ultimo trimestre del 2017 ha accentrato su di sé l’86% dei margini che l’insieme degli Oem hanno ottenuto dal commercio dei loro telefoni. La punta di diamante è l’iPhone X, da solo responsabile del 35% dei profitti di ottobre, novembre e dicembre dell’intero mercato. Eppure per questo costosissimo gioellino (1.189 euro per la versione da 64 GB, 1.359 euro per quella da 256 GB, ad acquistarlo senza abbonamento telefonico) Apple ha deciso di ridurre rispetto alle stime iniziali i volumi di produzione previsti per quest’anno. Tra le ragioni, si ipotizza, il timore di oscurare il debutto dei tre melafonini edizione 2018, attesi in autunno. Interessante, nell’analisi di Counterpoint, è anche la notevole concentrazione di valore del mercato: i dieci modelli “top” generano il 90% dei profitti trimestrali, e la classifica è dominata da ben otto modelli di iPhone, con sole due presenze di Galaxy di Samsung.

CI FIDIAMO ANCORA TROPPO DI INTERNET Symantec ha pubblicato il Norton Cyber Security Insights Report 2017, una ricerca online condotta da Reputation Leaders su un campione di oltre 21.500 individui in 20 Paesi. Tra i risultati, si evince che nel 2017 in Italia sono stati sottratti 3,5 miliardi di euro, e che le vittime di crimini informatici sono state oltre 16 milioni, un numero enorme, spiegato dall’eccessiva fiducia che gli utenti ripongono an-

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cora nella rete, nonostante il 69%nsia già stato colpito dalle minacce. “Nel nostro Paese”, dice Ida Setti, territory manager southern Europe di Norton, “il 37% dei consumatori ha sperimentato almeno un attacco nel corso del 2017 e ha impiegato in media 19 ore lavorative per riparare i danni di queste attività malevole. Ciò nonostante, tre italiani su cinque, ad esempio, non pensano che sia rischioso utilizzare

una rete WiFi aperta. Questo gap tra danni subiti e fiducia accordata, apparentemente inspiegabile, non è stato rilevato solo nel nostro mercato, ma a livello globale; è anche per questo che le ultime acquisizioni di Symantec vanno proprio nella direzione dell’inclusione di tecnologie atte a proteggere i nuovi punti deboli, come l’accesso alle reti WiFi e la difesa dell’identità personale dei navigatori”.


AVAYA PUNTA SUL CLOUD

GENDER GAP, NON UN FALSO MITO Un'indagine condotta da Netconsulting Cube su incarico di Ca Technologies conferma l'esistenza di stereotipi di genere in ambito Stem. Si comincia dalla scuola. Nelle professioni informatiche, tecniche, matematiche e scientifiche il cosiddetto“gender gap” è tutt’altro che un falso mito. Il problema non solo è reale, ma addirittura sottovalutato: su oltre 19mila persone intervistate in 27 Paesi (Italia inclusa) in uno studio di Ipsos Mori, la percezione collettiva è che la presenza di amministratori delegati donna nelle 500 più grandi società al mondo sia intorno al 20%, ovvero in un’azienda su cinque. Ebbene, la realtà è peggiore: appena il 3%. Altra fotografia è quella di un’indagine sponsorizzata da Ca Technologies e condotta da Netconsulting Cube su studenti, manager delle risorse umane e chief information officer di aziende italiane. Tra gli studenti (210 intervistati, 14-18enni, di licei e istituti tecnici di Milano e Roma), solo tre ragazze su dieci sono orientate verso un percorso di studi in discipli-

ne Stem, cioè di natura scientifica, tecnica, ingegneristica o matematica, mentre si può dire lo stesso di un maschio su due. Spostando l’osservazione sugli addetti alle risorse umane e sui responsabili It (110 quelli intervistati in entrambe le categorie), lo scenario non cambia. “Il gender gap in ambito Stem esiste”, sottolinea Rossella Macinante, practice manager di Netconsulting Cube . “Il 72% degli Hr manager indica una carenza di donne laureate in discipline tecnico-scientifiche”. Perché? Di fronte a questa domanda, il 72% ha citato l’esistenza di stereotipi di genere, mentre il 44% intravede un problema di cultura aziendale. Ed è un peccato, perché ben l’84% dei manager delle risorse umane pensa che una maggior presenza di donne in ruoli Stem avrebbe un impatto positivo sul business dell’azienda. Dal sondaggio emerge come a loro vengano attribuite particolari abilità di tipo soft skill, in particolare l’apertura al cambiamento, la flessibilità, la capacità di gestire in contemporanea più compiti e il problem solving. Non vengono riconosciute alle donne, invece, capacità di leadership e manageriali analoghe a quelle solitamente riferite agli uomini. V.B.

Il passato è ormai alle spalle. Il 2017 è stato l’anno della grande ristrutturazione, con l’uscita definitiva dal Chapter 11, ma si punta sul 2018 per invertire la rotta e viaggiare verso la digital transformation. “Non una nuova Avaya ma un’altra Avaya”, ci tiene a puntualizzare il country manager Massimo Palermo, “focalizzata su software e servizi e soprattutto sul paradigma del cloud”. L’offerta di nuvola ha però bisogno di un ecosistema, ed è proprio per questo che la multinazionale ha dedicato molto tempo e risorse a ristrutturare e motivare i partner di canale. “Abbiamo messo sul piatto importanti investimenti”, prosegue Palermo, “per premiare le aziende che performano meglio soprattutto nei segmenti del contact center (mercato dove si cresce poco e dove conquistare nuovi clienti è fondamentale) e dei servizi cloud”. La strategia della nuova Avaya per il 2018 punta comunque ai “tradizionali” settori dei contact center e della unified communication: “Il focus resta sulle nostre piattaforme core”, conclude Palermo, “e l’obiettivo strategico ora è integrare nell’offerta tecnologie emergenti come intelligenza artificiale e blockchain. Per questo abbiamo avviato il programma DevConnect, per attirare e coltivare i partner in possesso di tecnologie avanzate integrabili con le nostre piattaforme”.

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IN EVIDENZA

L’ITALIA FA VOLARE RED HAT

BIP VOLTA PAGINA

Per il sessantaquattresimo trimestre consecutivo, Red Hat è cresciuta in termini di fatturato e utile. Il fiscal year concluso il 28 febbraio ha infatti registrato un giro d’affari di circa 2,9 miliardi di dollari, con una crescita del 21% anno su anno. L’incremento maggiore è stato quello relativo alle tecnologie “non-Linux” (soluzioni di sviluppo e integrazione applicativa, cloud e storage), diventate ormai strategiche per la multinazionale e cresciute del 42% rispetto al precedente anno fiscale. Grazie ai risultati positivi conseguiti negli ultimi anni, le risorse finanziarie ammontano a circa 2,5 miliardi di dollari (tra cash e asset). Nell’ultimo anno fiscale una parte di queste risorse è stata utilizzata per crescere attraverso tre acquisizioni: Codenvy, Permabit e CoreOs. Quest’ultima ha richiesto un investimento di 250 milioni di dollari e ha contribuito a rafforzare il posizionamento di Red

Affare fatto: il fondo di private equity britannico Apax ha siglato in via definitiva l’accordo di acquisizione della maggioranza di Business Integration Partners (Bip), multinazionale italiana di consulenza direzionale focalizzata sulla business integration. Bip potrà così accelerare il proprio sviluppo, inteso come crescita dimensionale e come espansione geografica. Il presidente Nino Lo Bianco e gli amministratori delegati Carlo Capè e Fabio Troiani, insieme ad altri partner, continueranno a mantenere una quota rilevante e a gestire il Gruppo. Fondata nel 2003, Business Integration Partners è attualmente strutturata su diverse sedi fra Italia, Inghilterra, Spagna, Turchia, Brasile, Belgio, Svizzera, Stati Uniti, Emirati Arabi, Cile e Colombia, impiega oltre 1.800 persone a livello globale e sviluppa un fatturato annuo di circa 160 milioni di euro. Contestualmente alla firma dell’accordo, il fondo di private equity Argos, guidato in Italia dall’amministratore delegato Mirco Dilda, esce dopo quattro anni dal capitale.

Gianni Anguilletti

Hat nell’ambito della tecnologia dei container. “Nell’anno fiscale appena concluso”, ha detto Gianni Anguilletti, regional manager di Red Hat, “l’Italia è stato il miglior Paese a livello europeo e la regione Emea è stata l’area geografica più performante. Il business relativo alle sottoscrizioni, cioè alle licenze, è in linea con la crescita complessiva, segno di uno sviluppo organico di software e servizi”.

PROOFPOINT METTE LE PERSONE AL CENTRO DELLA CYBERSECURITY Nata negli Stati Uniti nel 2002, Proofpoint è oggi la quinta azienda del settore della cybersecurity in quanto a capitalizzazione (5,9 miliardi di dollari). Sbarcata in Europa nel 2008, ha inaugurato la filiale italiana lo scorso settembre e opera sul nostro mercato sia sul fronte delle grandi aziende sia su quello delle Pmi. “L’approccio di Proofpoint alla sicurezza è diverso rispetto a quello di altri vendor”, dice Luca Maiocchi, regional manager per l’Italia, “perché mette al centro le persone più che le infrastrutture. Questo focus non è frutto di una visione, ma

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di un monitoraggio attento delle minacce, che negli ultimi anni hanno puntato soprattutto alle vulnerabilità degli esseri umani più che delle macchine”. Ogni giorno, Proofpoint esamina 22 miliardi di email, soprattutto in ambito business, oltre a monitorare le minacce provenienti dai social, dalle applicazioni (cloud e mobili) e più in generale da Internet. “Di tutte le campagne di attacco esaminate negli ultimi mesi”, prosegue Maiocchi, “solo una piccola parte ha sfruttato delle vulnerabilità (tre in tutto) dell’infrastruttura, la controprova è il crollo del

Luca Maiocchi

valore, sul mercato del dark web, degli exploit kit. Ora la lotta si concentra sulla protezione dei dati, dei brand e delle persone, anche per questo nella nostra offerta ci sono soluzioni per il training dei dipendenti sulle problematiche di phishing”.


ORA SAMSUNG PAY FUNZIONA CON TUTTI I POS Un tocco sulla parte inferiore dello schermo dello smartphone, un clic per selezionare la carta desiderata, un veloce passaggio per autenticarsi e quindi il semplice gesto di avvicinare il dispositivo mobile al terminale di pagamento della cassa. Pochi secondi in tutto e la transazione è completata, senza estrarre contanti o carte di credito. Ecco, in estrema sintesi, come funziona Samsung Pay, il digital wallet mobile che la casa coreana ha presentato ufficialmente a fine marzo. In sede di lancio Carlo Barlocco, Presidente di Samsung Electronics in Italia, ha spiegato come il servizio sia “la digitalizzazione di un modello di pagamento consolidato che prevede l’uso di una carta elettronica. È un sistema semplice da usare ed economico, perché non costa nulla all’utente per attivarlo e non richiede commissioni alle banche e agli esercenti per gestire le transazioni”. Samsung Pay, in effetti, opera con tut-

ti i Pos, sia quelli dotati connettività wireless sia quelli con la classica banda magnetica Mst (Magnetic Secure Transmission), perché la tecnologia installata nello smartphone lo rende compatibile con entrambi i sistemi. L’idea, insomma, è di intercettare potenzialmente tutti i punti di pagamento attivi in Italia, che sono circa 2,2 milioni in totale, fra cui 1,4 milioni predisposti per operare in moda-

lità contactless (con la tecnologia Nfc, usata anche da Apple Pay). Chiunque può registrarsi al servizio, rispettando due requisiti fondamentali: il possesso di uno smartphone Samsung compatibile (i Galaxy Note 8, S8 e S8+, A8, S7 e S7 Edge, A5 2016 e 2017 e gli ultimi arrivati S9 e S9+) e una carta di credito appartenente ai circuiti bancari abilitati. Per abilitare Pay occorre poi disporre di un account Samsung Account, da registrare online: la certificazione delle credenziali è, infatti, vincolante per “sbloccare” l’utilizzo dell’app scaricata sul dispositivo e attivare il servizio. L’ultimo passaggio necessario è quello di virtualizzare, una tantum, la propria carta abbinandola al dispositivo (è possibile registrare sul proprio account fino a 10 carte). Al momento del lancio i partner accreditati sono Visa, Banca Mediolanum, Bnl, CheBanca, Intesa Sanpaolo, Nexi, Unicredit, Mastercard, il circuito Maestro, Hello Bank e V Pay (di Visa). G.R.

LA MONETA CINESE È DIGITALE Più smartphone e meno contante. È questo che pensa il “turista cinese 2.0” quando viaggia oltreconfine. Secondo un’indagine di Nielsen, infatti, oltre il 90% degli abitanti del Paese del Dragone sarebbe disposto a utilizzare sistemi di pagamento mobile all’estero. Un mercato in rapida evoluzione e potenzialmente molto interessante anche per i commercianti italiani, in quanto per un viaggio nel Vecchio Continente un turista cinese spende in media tremila euro, esclusi i costi aerei e di eventuali tour di gruppo. “Il Made in Italy e la destinazione Italia sono sempre più attraenti per il mercato del Dragone”, spiega Pietro Candela, head of business development di Ali-

pay Italia, filiale del colosso dell’e-commerce Alibaba, la cui app di pagamenti digitali è ormai installata sul 99% degli smartphone dei turisti cinesi. Dal punto di vista della strategia di business, nel 2017 il primo obiettivo dell’azienda è stato quello di integrarsi con le principali banche (Unicredit e Intesa Sanpaolo, innanzitutto), per assicurarsi che queste coprissero con Pos abilitati i maggiori negozi frequentati dai visitatori. “La direzione del 2018 sarà quella di rafforzare la penetrazione del servizio, cercando di raggiungere anche i commercianti frequentati dalla comunità locale, in particolare in zone ad alta densità di studenti o di imprenditori cinesi”,

aggiunge Candela. Continuando ovviamente a coltivare i rapporti con gli istituti di credito, come Banca Sella. “Gli esercizi che accettano la nostra app sono migliaia: dai grandi marchi alle principali catene e ai piccoli negozi, nelle città di afflusso turistico e sul resto del territorio”. Ma Alipay mette anche a disposizione dei negozianti strumenti utili per coinvolgere di più il cliente, a partire dal momento in cui viene pianificato il viaggio. “Promozioni, coupon, iniziative di co-marketing: strumenti semplici, presi singolarmente, ma che nel complesso costituiscono per il commerciante un modo interessante ed efficace di dialogare con il cliente”. A.A.

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DATA JOURNALISM

IL BRACCIO DI FERRO TRA BITCOIN E MEDIA

Qualcuno lo definisce una "bolla", per altri invece è il "nuovo oro". La criptovaluta più famosa al mondo ha fatto parlare molto di sé negli ultimi mesi, ma è possibile che i toni della copertura mediatica online abbiano influenzato il suo prezzo? Abbiamo provato a capirlo.

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I

l 12 settembre 2017 Jamie Dimon, amministratore delegato di JPMorgan, la più grande banca degli Stati Uniti, definisce i bitcoin “una frode” e minaccia di licenziare qualunque dipendente dell’istituto venga scoperto a fare trading sulla criptovaluta. Una presa di posizione molto decisa, che contribuisce nei giorni immediatamente successivi a far deprezzare la moneta virtuale più famosa del mondo di oltre il 30%. Ma, ignorando le parole di Dimon, gli investitori tornano comunque a puntare sul bitcoin, facendone lievitare il prezzo fino allo sfondamento dei ventimila dollari, avvenuto il 17 dicembre. In quel momento qualcosa si rompe e inizia la discesa. In meno di quattro mesi (al momento di anda-

re in stampa) il bitcoin ha perso circa i due terzi del suo valore e la volatilità costante che lo caratterizza rende vana qualsiasi previsione su una possibile direzione futura. Per questo, usando gli strumenti di analisi messi a disposizione dalla startup Socialbeat (di cui parliamo a pag. 32), abbiamo deciso di “leggere” il passato per provare a capire come sia nato il fenomeno bitcoin e perché il valore di questa moneta virtuale sia cresciuto così rapidamente, per scendere poi altrettanto velocemente. Per arrivare ai nostri risultati abbiamo recuperato gli articoli sulla criptovaluta pubblicati dal 31 luglio 2017 al 5 marzo 2018 sulle principali testate online mondiali, soppesandone la viralità in termini di “beats” (aggregato delle interazioni generate sui principali social network, espresse come sommatoria di “like”, commenti e condivisioni generati dagli articoli pubblicati) e prendendo in considerazione quelli più impattanti a livello social. I “beats” generati dalle principali notizie sono stati poi correlati all’andamento del prezzo medio settimanale del bitcoin, allo scopo di rilevare eventuali nessi tra i due fenomeni (nota bene: non si tratta di un’analisi finanziaria). Innanzitutto, è interessante capire quale notizia abbia fondamentalmente rappresentato lo spartiacque tra la fase rialzista della moneta digitale e quella ribassista. L’11 dicembre la Cnbc rende noto un fatto sconvolgente: numerosi cittadini statunitensi stanno accendendo dei mutui per comprare bitcoin, segno di come la frenesia che circonda la criptovaluta abbia forse raggiunto livelli incontrollabili. La news è quella che accumula il numero maggiore di “beats”


ed è quindi la più virale in assoluto. La corsa agli acquisti dura ancora poco e il 17 dicembre, dopo aver infranto per una manciata di minuti la soglia psicologica dei ventimila dollari, la moneta virtuale cambia improvvisamente trend e in cinque giorni perde il 40%. Che cosa può essere successo?

Le notizie pubblicate dai media, che da ottobre stanno coprendo quotidianamente l’incredibile cavalcata del bitcoin, non aiutano sicuramente a tranquillizzare i nervi di investitori alle prime armi, che si sono gettati a capofitto sulle criptovalute sperando di guadagnare in tempi brevi. Le monete digitali sono da sempre caratterizzate da una volatilità estrema e non è insolito che crescano o scendano di diversi punti percentuali in pochi minuti. I primi

scricchiolii potrebbero avere indotto i neofiti a lasciare subito le proprie posizioni, scatenando così una sequenza di vendite a raffica. Ma è più interessante valutare il sentiment delle notizie pubblicate. Da settembre a ottobre, quando anche i media contribuiscono in modo decisivo ad alimentare il fenomeno bitcoin, il “tono” delle news più virali è sostanzialmente positivo. Vengono sottolineati i benefici della blockchain, su cui si basano le criptovalute; si parla di nuovi business che nascono e che permettono agli imprenditori di arricchirsi accettando pagamenti in bitcoin; vengono sviluppate applicazioni di successo (come CryptoKitties) e così via. Da gennaio, invece, l’umore muta: si parla sempre più di “bolla” e di “crolli”; una donna viene accusata di aver utilizzato

le monete virtuali per finanziare l’Isis e nella blockchain viene trovato addirittura del materiale pedopornografico. Una tempesta perfetta, che scoraggia definitivamente gli ultimi arrivati (molto probabilmente in netta perdita) e spegne gli entusiasmi dell’autunno precedente. Un’ulteriore conferma dello stretto legame fra la copertura mediatica e il valore dei bitcoin arriva da Google Trends: nella settimana dell’inversione di tendenza l’indice delle ricerche fornito da Big G tocca cento, il massimo, per poi cambiare rapidamente rotta. A marzo il valore si è assestato nuovamente sui livelli “standard” di settembre/ottobre. Segno che una nuova tendenza rialzista è all’orizzonte? Considerata la natura imprevedibile del bitcoin, tutto è possibile. Alessandro Andriolo

C'è un rapporto fra il prezzo del bitcoin e l'indice di "socialità"?

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Fonte: Idc

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INNOVAZIONE | General data protection regulation

L’entrata in vigore del nuovo regolamento europeo impone alle aziende l’applicazione di procedure che garantiscano la protezione dei dati personali. Ma i benefici possono essere superiori agli oneri.

GDPR, ECCO PERCHÉ NON VA TEMUTO IMPRESE ITALIANE PRONTE, O QUASI Secondo l’ultima ricerca dell’Osservatorio Information Security & Privacy della School of Management del Politecnico di Milano, in più di un’impresa italiana su due (il 51% per la precisione, in netta ascesa rispetto al 9% di un anno fa) è in corso un progetto strutturato di adeguamento alla nuova regolamentazione Ue in materia di trattamento dei dati personali. Un altro 34% di aziende sta invece analizzando nel dettaglio requisiti e piani di attuazione.

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Contemporaneamente, cresce al 58% (rispetto al 15% registrato nella primavera 2016) la percentuale di realtà che hanno già un budget dedicato all’adeguamento alla protezione dei dati. Nelle imprese italiane, scrivono gli autori del rapporto, sta crescendo la consapevolezza dell’importanza della gestione della sicurezza e della privacy, mentre aumentano i budget stanziati e il tema della protezione dei dati è diventato ormai prioritario.

A

meno di due settimane dall’applicabilità del regolamento generale sulla protezione dei dati personali, il Gdpr, molto è stato detto sui cambiamenti che esso introduce, sulle sanzioni previste (significativamente più alte di quelle applicate fino a oggi) e sulle sfide che questo adeguamento comporta per le aziende. È però anche lecito e doveroso chiedersi se questa normativa determini anche dei vantaggi, in un mercato dominato dall’importanza dell’innovazione e dalla ricchezza costituita dai dati. In base al Gdpr, le aziende che trattano le informazioni personali devono essere in grado di dimostrare la conformità al nuovo rego-


lamento e soprattutto di documentare i processi decisionali alla base delle loro procedure di gestione dei dati (vedi per esempio i requisiti relativi alla mappatura dei trattamenti, alla “privacy by design” e “by default”, alle valutazioni di impatto). Tutto questo è sicuramente un onere per le aziende, ma è necessario vedere anche la ricaduta positiva che simili adempimenti possono avere. Finora, nonostante la legge attuale, è accaduto spesso che le informazioni relative alle misure di sicurezza adottate da un’impresa (anche in ottica di protezione degli asset aziendali) non fossero note o documentate, oppure documentate solo da un’unica risorsa dell’organizzazione, con il rischio di andare perse in caso di dipartita o allontanamento dall’azienda della tal risorsa. Da oggi questo rischio non dovrebbe essere più possibile. Le realtà che trattano dati

IL PESO DELLA PRIVACY SULLA SICUREZZA IT I budget di spesa stanziati dalle imprese europee e italiane per la sicurezza informatica sono già influenzati dall’entrata in vigore del regolamento Ue per il trattamento dei dati personali, e lo saranno ancor di più negli anni a venire. L’adeguamento alla normativa europea, fanno notare gli analisti di Idc, avviene in un contesto di evidente e forte evoluzione: non solo una porzione crescente dell’infrastruttura It risiede al di fuori del perimetro aziendale, ma vanno anche sempre più scemando i confini tra ambienti fisici e digitali. Allinearsi al Gdpr, inoltre, trasformerà sensibilmente i processi di gestione, archiviazione e protezione dei dati e continuerà a trainare una parte significativa della spesa in cybersecuirty (software e servizi) per i prossimi quattro anni, così come già avve-

nuto nel corso del 2017. Più nel dettaglio, in Europa Occidentale gli investimenti direttamente correlati al Gdpr cresceranno con un tasso composito annuo del 19,5% fra il 2017 e il 2021, mentre il picco della spesa si avrà l’anno prossimo con il superamento dei 3,7 miliardi di dollari. In Italia, nel medesimo arco temporale, l’incremento previsto è del 15,3% e per il 2019 si prevedono investimenti che sfioreranno i 190 milioni di euro, rispetto ai 160 milioni stimati per quest’anno. Solo il 17% delle imprese italiane sopra i 250 addetti, ammoniscono però da Idc, afferma di essere già in regola con i parametri del nuovo regolamento, osservando come il Gdpr sia solo una delle criticità che le aziende si trovano ad affrontare in materia di cybersecurity.

personali, attraverso una mappatura che va conservata nell’apposito registro e con procedure specifiche, saranno infatti sempre in grado di presidiare costantemente i trattamenti effettuati sui dati e di monitorare la compliance con i requisiti di legge. A fronte di questa maggiore assunzione di responsabilità da parte delle aziende, inoltre, il Gdpr prevede un coinvolgimento minore delle autorità di controllo nella fase di progettazione e programmazione delle attività di gestione e protezione dei dati. Procedure interne volte a effettuare una valutazione dei rischi e a modulare gli adempimenti in relazione ai rischi connessi al trattamento delle informazioni vanno, di fatto, a sostituire quei processi di autorizzazione e approvazione operati dal Garante: processi che, prima del Gdpr, si traducevano in lungaggini e burocratismi. Le aziende possono quindi fare valutazioni internamente (si pensi al legittimo interesse o alle valutazioni di impatto) evitando iter di autorizzazione spesso sfuggenti al controllo dei titolari. Nonostante la normativa precedente prevedesse già alcune delle norme contenute nel Gdpr nonostante alcuni adempimenti non siano tutto sommato così originali, c’è comunque da fare i conti anche con il fatto che molte innovazioni tecnologiche in passato sono avvenute senza che le aziende si curassero molto di alcune tematiche privacy rilevanti. Ed è ovvio, quindi, che regolare adesso situazioni che per anni non sono state normate e nemmeno mai sanzionate può risultare particolarmente problematico. Il mancato adeguamento a questa normativa potrebbe dunque tradursi in una occasione mancata di “fare ordine” nei processi aziendali in cui si trattano i dati personali, nonché nel rischio di possibili sanzioni amministrative. Sanzioni che, come sappiamo, possono essere molto elevate. Laura Liguori, partner Studio legale Portolano Cavallo 19


INNOVAZIONE | Cybersecurity

COMPRENDERE L’IGNOTO PER DIFENDERSI MEGLIO Individuare gli eventi anomali con il machine learning è una strategia efficace di fronte a minacce in continua evoluzione. Darktrace ci spiega il perché.

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na sola cosa so: di non sapere. Il motto di Socrate si presta a simboleggiare il limite, ma anche la premessa concettuale, della cybersicurezza dei nostri giorni. Una strategia di difesa efficace deve partire dalla consapevolezza della disparità di forze tra attaccanti e difensori, tra una platea di cybercriminali di ogni genere, creativi e rapidissimi, e un mondo aziendale ormai non più racchiuso in un “perimetro” tecnologico definito. Oggi ragionare sulla base delle minacce già note non basta più: bisogna imparare a comprendere l’ignoto, sfruttando l’intelligenza artificiale. Ne abbiamo parlato con 20

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Mariana Pereira, director di Darktrace, e con il country manager italiano Corrado Broli. Come è cambiata la sicurezza informatica in azienda?

M.P. Il rischio cibernetico è ormai stato accettato come un rischio di business. Un problema che va affrontato con la consapevolezza che prima o poi qualche incidente si verificherà ma che si può agire per minimizzare il rischio stesso. Nel frattempo l’Internet of Things, il cloud computing, i dispositivi mobili e le app hanno allargato la superficie di attacco potenziale, fino a eliminare il vecchio concetto di perimetro.

Quale strategia di fondo consigliate alle imprese?

C.B. Le aziende non possono chiudersi in sé stesse, devono accettare il rischio che i loro dati vengano non solo sottratti e spiati ma anche modificati, con gravi conseguenze. Basti pensare a che cosa accadrebbe se venisse contraffatta una cartella sanitaria. L’integrità dei dati è dunque un aspetto importante da considerare. Bisogna convivere con tale rischio ma anche contrastarlo con soluzioni non tradizionali, essendosi queste ultime rilevate ormai inadeguate. Con il machine learning e con l’intelligenza artificiale noi di Darktrace possiamo giocare un ruolo fondamentale.


RANSOMWARE, IL NEMICO NUMERO UNO Rappresentano circa il 40% degli attacchi osservati da Verizon e non si limitano ai soli ricatti.

I

nfettano un dispositivo per prenderlo in “ostaggio”, solitamente con la crittografia dei dati o con il blocco dello schermo, e per poi chiedere il pagamento di un “riscatto”. “I ransomware sono ancora la minaccia più concreta per le aziende di qualsiasi dimensione”, ha commentato Bryan Sartin, executive director security professional services di Verizon, riassumendo un pensiero condiviso da molti altri fornitori di sicurezza. Nell’ultima edizione dell’annuale report di Verizon, il 39% dei malware osservati (su 53mila attacchi intercettati in 65 Paesi) rientrava in questa categoria, che nel 2014 si piazzava solo al ventiduesimo posto nella classifica dei tipi di minaccia più diffusi. “I ransomware”, scrive Check

Come?

C.B. Gli algoritmi utilizzati dalla nostra soluzione di Enterprise Immune System sono stati sviluppati in collaborazione con l’Università di Cambridge e vengono aggiornati costantente. La loro abilità è quella di riconoscere le minacce anche senza aver incontrato in precedenza un certo problema, vincolo che invece caratterizza i sistemi basati su signature. Le minacce sono sempre nuove e diverse: noi possiamo riconoscerle sulla base di comportanti inusuali, anomali.

Point in un report pubblicato lo scorso aprile, “hanno dimostrato di essere per i criminali un efficace strumento per far soldi, oltre che un travestimento per intenzioni più distruttive”. Sempre di più, fanno notare i vendor, questa tattica sarà indirizzata a colpire asset critici delle aziende, oltre che i semplici utenti: per esempio, server o database che vengono crittografati e resi inservibili. Bastino, come esempio, i circa 19.500 appuntamenti medici, fra visite ed esami in ospedale, cancellati a causa di Wannacry. Un esempio di trasformismo è Locky, ransomware che ha cominciato a circolare tramite posta elettronica nel 2016 per poi diventare endemico l’anno seguente, con milioni di richieste di riscatto al giorno. Locky è riuscito a combinarsi con altre infezioni (come per esempio il ransomware FakeGlobe) all’interno di campagne di spam estensive e ha saputo sviluppare alcune varianti sofisticate. M.P. È vero: stiamo osservando ora i primi segnali di uso dell’AI da parte degli attaccanti e d’altronde la loro capacità di innovazione è sbalorditiva. In futuro potrebbe anche manifestarsi un impiego dell’AI nell’identificare i parametri di comunicazione e istruire attacchi di phishing capaci addirittura di “imitare” il modo di comunicare di una singola persona. Ma come il corpo umano si espone ai rischi e così facendo rafforza il suo sistema immunitario, lo stesso avverrà in campo informatico. Qual è il vostro approccio?

L’intelligenza artificiale può anche diventare strumento dei cybercriminali?

M.P. Un aspetto interessante della tecnologia di Darktrace è l’eleganza con

I CLASSICI NON PASSANO DI MODA I cybercriminali amano i “classici”, pur essendo capaci di rinnovare e trasformare continuamente le proprie armi. Nei monitoraggi di Trend Micro, l’anno scorso il 94% di ransomware osservati è stato veicolato tramite la posta elettronica, mentre le truffe Business Email Compromise sono più che raddoppiate (+106% rispetto al 2016). In un periodo di nove mesi sono state rilevate e bloccate anche 3,4 milioni di minacce ad alto rischio giunte via email e indirizzate a Office 365, e sono stati intercettati 2,8 milioni di link malevoli e 190mila messaggi di phishing.

cui entra in azione: interrompe solo il traffico anomalo, senza interferire con la user experience generale. Non ragioniamo, inoltre, in termini di falso positivo, perché non sempre si può sapere a priori se una cosa sia buona o cattiva. È inutile ragionare sulla base di regole quando l’immaginazione degli hacker è senza limiti. Inoltre spesso ci è capitato di individuare comportamenti anomali di “insider”, cioè persone interne all’azienda che (come realmente accaduto a un nostro cliente l’anno scorso) possono tentare di esportare dei dati, per esempio dal cloud verso un dispositivo personale. Valentina Bernocco 21


INNOVAZIONE | Cybersecurity

Solo tre organizzazioni su cento, a detta di Check Point, sono in regola con gli aggiornamenti software. E nel frattempo il cybercrimine ha fatto il salto di qualità.

PERICOLI IN AZIENDA: MINACCE NUOVE, TECNOLOGIE VECCHIE

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mpreparate, ma soprattutto esposte al rischio a causa di software e dispositivi che, nel 97% dei casi, non risultano protetti dai più recenti aggiornamenti software o addirittura possono dirsi obsoleti. I casi di eccellenza certo non mancheranno, ma il quadro d’insieme emerso dall’ultimo report di Check Point Software Technologies (“2018 Security Report”, con dati riferiti all’anno 2017) non è affatto confortante. Più di sei aziende su dieci, il 64%, hanno sperimentato almeno un tentativo di phishing (truffe, solitamente veicolate dalle email, in cui si tenta di carpire dati personali), una su quattro è stata colpita da attacchi DDoS, Distributed Denial-of-Service, quelli in cui carichi di traffico vengono riversati su reti o siti Web per mandarli in tilt. Quasi otto su dieci (78%) considerano le applicazioni e infrastrutture poggiate sul cloud come primaria preoccupazione di sicurezza, ma quando si tratta di indivuare una specifica tipologia di minaccia la maggior parte (59%)

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mette al primo posto i ransomware, cioè programmi che “rapiscono” dati e sistemi, con la crittografia o con altri metodi, per chiedere un riscatto. Questo e altri tipi d’infezione mirano non soltanto ai Pc e ai server, ma anche a smartphone e tablet: su 850 organizzazioni analizzate (in un report di novembre 2017), tutte avevano sperimentato almeno un caso di mobile malware. Perché accade tutto ciò? Certo ancora pesano molte ingenuità degli utenti, abitudini che spaziano dall’uso di password “riciclate” e prevedibili all’apertura di link provenienti da mittenti sconosciuti. Su 452 chief information security officer intervistati, il 77% ha detto di considerare il proprio team di collaboratori come “impreparato” di fronte alle attuali sfide di cybersicurezza. “Stiamo assistendo a una nuova generazione di attacchi informatici basati su tecnologie finanziate dagli Stati, che abbiamo denominato ‘Gen V’. Si tratta di attacchi di larga scala, multi-vettore e in rapida evoluzione”,

commenta Peter Alexander, chief marketing officer di Check Point. Per difendersi, dice il vendor, è necessario combinare all’interno di un’unica strategia elementi come firewall, antivirus, sistemi anti-intrusione, controllo delle applicazioni, tecnologie anti-bot e Url filtering. Oltre ai pericoli degli attacchi di “quinta generazione” ce ne sono però altri, apparentemente più banali ma più capillarmente diffusi. I criminali informatici, anche quelli di scarsa levatura, sono favoriti dalla ormai bassissima soglia di ingresso di questa “professione”: il cosiddetto Malwareas-a-Service permette di acquistare senza grandi spese gli ingredienti necessari a preparare le loro ricette di attacco. Ma soprattutto Check Point sottolinea come nel 97% delle aziende (su un campione di 443, interpellate lo scorso marzo), esistano soluzioni di cybersicurezza datate e quindi tappezzate di vulnerabilità. Il che equivale a lasciare la porta di casa aperta per agevolare l’ingresso dei ladri. V.B.


TECHNOPOLIS PER OVH

OVH, PIONIERE DI UN MODELLO DI CLOUD “APERTO” L'azienda francese propone la sua idea di nuvola: senza vincoli, senza “isole” tecnologiche e senza rischi per i dati. Al centro della trasformazione delle aziende ci sono in primis i paradigmi tecnologici della Terza Piattaforma che, secondo l’ultimo rapporto Assintel, vengono adottati sempre più spesso anche dalle società italiane. Si attesta, infatti, al 50% il numero di imprese che considera mobility e cloud come fattori necessari per la trasformazione digitale, perché in grado di rendere più efficaci i processi e di aumentare la produttività, razionalizzando allo stesso tempo la spesa. Il futuro dell’IT, quindi, si può dire risieda nel cloud. Ma, se ormai è certo che la maggior parte delle aziende opererà questa scelta, la domanda da farsi è: che tipo di cloud vogliamo? Desideriamo una nuvola in cui sia possibile mantenere sempre il controllo delle proprie decisioni oppure siamo disposti ad accettare limitazioni tecniche che possono creare forti dipendenze? Non è “open” senza quattro caratteristiche In OVH crediamo che le aziende debbano avere libertà di scelta quando si tratta di selezionare i propri fornitori di cloud, capacità di poterli cambiare o utilizzare applicazioni di diversi provider, nonché facoltà di decidere dove archiviare i propri dati. Il primo punto cruciale è quindi rappresentato dalla reversibilità. In seconda battuta vi è l’interoperabilità: le scelte tecnologiche di oggi saranno limitanti in futuro, se si decide ad esempio di integrare altri servizi applicativi? È possibile far comunicare tra loro componenti in arrivo da fornitori diversi? Si possono continuare a utilizzare sistemi legacy e creare un cloud ibrido? Il terzo aspetto importante dell’open cloud è rappresentato dalla protezione dei dati. Il cliente deve essere in grado di scegliere dove archiviarli ed essere informato sul quadro giuridico a cui saranno soggetti. Il cloud è troppo strategico per correre dei rischi quando si tratta di protezione dei dati. L’Europa è all’avanguardia in questo senso, e lo si è visto con il Gdpr (regolamento generale sulla protezione dei dati), che entrerà in vigore il prossimo 25 maggio. Altre leggi comunitarie sono in fase di elaborazione e stanno confermando come l’Europa sia un’area particolarmente attenta alla protezione delle informazioni.

Dionigi Faccenda, sales cloud manager di OVH in Italia e Spagna Vi è un quarto elemento importante nell’open cloud, ovvero il rispetto della proprietà intellettuale e, in particolare, dei diritti di proprietà sugli algoritmi impiegati nell’intelligenza artificiale. L’impegno di OVH nella creazione di un cloud aperto L’unico modo per dare una risposta affermativa a questi interrogativi è puntare sull’apertura. Il cloud è di per sé un approccio che semplifica la condivisione delle risorse, ma viene declinato dai differenti vendor in base alle tecnologie adottate. Questo può portare alla creazione di “isole”, in sé perfettamente funzionali, ma incapaci di comunicare tra loro. Per OVH, essere “aperti” non si limita all’offerta di open source. Openness significa essere in grado di offrire le tecnologie via via necessarie, sia che si tratti di open source sia di standard di settore. Il nostro impegno non riguarda infatti solo i componenti tecnologici, ma anche la regolamentazione del mercato. Secondo OVH, l’apertura consiste anche nel fatto di lavorare quotidianamente con alcuni concorrenti e/o partner per aiutare i decisori (europei) ad adottare un quadro normativo adeguato alle esigenze dei clienti. 23


INNOVAZIONE | Ultrabroadband mobile

NUOVE RETI IN VIAGGIO DALL’ITALIA ALL’ORIENTE Lo sviluppo del 5G è un lavoro in corso, fra test sempre più numerosi e molti ostacoli ancora da superare.

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ecosistema del 5G è in pieno fermento. Lo è in Italia, con l’avvio effettivo delle sperimentazioni delle prime applicazioni basate sulle nuove reti, e lo è su scala internazionale. L’ultimo Mobile World Congress di Barcellona, in tal senso, ha fatto capire che il peso più rilevante degli sviluppi negli anni a venire dovrebbe spettare all’Asia. Le previsioni della Gsma Intelligence indicano che le connessioni basate su tecnologia mobile di quinta generazione dovrebbero raggiungere quota 1,2 miliardi entro il 2025, rappresentando il 14% del totale (connessioni IoT via cellulare escluse). Il continente asiatico arriverà a 600 milioni di collegamenti, ovvero la metà del totale, con la Cina a giocare un ruolo molto rilevante in questa partita. Nel Paese della grande muraglia si raggiungeranno 400 milioni di connessioni, mentre Giappone e Corea del Sud si fermeranno rispettivamente a 88 e 37 milioni. Lo scenario dato come più probabile dagli esperti prevede lo sviluppo delle reti di nuova generazione in parallelo a quelle 4G esistenti, perché gli operatori hanno due obiettivi strategici concomitanti: quello di ridurre la complessità dell’integrazione con le infrastrutture Lte esistenti e quello di garantire migliori economie di scala, in una fase in cui permangono ancora incertezze sulla profittabilità reale del 5G. Per realizzare le nuove reti, si 24

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legge nel rapporto prodotto dalla Gsma Intelligence, appare essenziale che i carrier di telecomunicazioni trovino il corretto equilibrio tra le frequenze sino a 1 GHz, quelle comprese fra 1 e 6 GHz e quelle sopra a questa soglia. Il tasso di crescita previsto, in ogni caso, viaggerà a un ritmo più lento rispetto a quanto avvenuto per la tecnologia di quarta generazione, per due ragioni principali: da un lato lo spettro di frequenze per il 5G si

posiziona generalmente nelle frequenze più elevate, che però offrono una copertura geografica inferiore; dall’altro lato, i modelli di business e le applicazioni sono ancora in fase di elaborazione. I carrier, pertanto, cercheranno di implementare le future reti, con il consequenziale rilascio dei nuovi servizi, in logica progressiva e allineata alla domanda. Si partirà presumibilmente dalle zone urbane più dense, fornendo via via una capacità più


ampia, prima di passare a ulteriori segmenti di mercato. In ogni caso, dicono ancora le stime della Gsma Intelligence, il 40% della popolazione mondiale sarà coperto dalla rete 5G già entro il 2025. Un “business case” poco chiaro

Da quando, alla fine di dicembre dello scorso anno, il consorzio 3GPP ha rilasciato la specifica 5G New Radio per le operazioni “non standalone”, il settore della telefonia mobile ha registrato un’ondata di annunci in chiave 5G da parte dei fornitori di infrastrutture di rete e carrier mobili. Qualcuno – come Ooredoo, l’unico operatore telco del Qatar – si è spinto a confermare la disponibilità dei servizi commerciali 5G New Radio (con velocità di 2.3 Gigabit per secondo) per i clienti business; altri, come China Mobile, il più grande operatore mobile del mondo, hanno annunciato l’avvio dei test su larga scala (sotto osservazione tecnologie chiave tra cui Massive Mimo)

in una ventina di città del Paese già entro la fine del secondo trimestre dell’anno. Per tutti rimane centrale l’obiettivo del ritorno di investimenti a parecchi zeri e la sensazione che filtra dai rapporti della Gsma è che il famigerato Arpu, il ricavo medio per utente dei servizi mobili, non supererà quello del 4G, obbligando gli operatori a un lungo percorso (dai sette agli otto anni) per recuperare le spese sostenute per il lancio delle nuove reti. Ad ammettere che il “business case” per il 5G non sia ancora del tutto chiaro sono in molti, ed è sintomatico che uno dei precursori della nuova tecnologia, l’operatore sudcoreano KT, tenga al momento un atteggiamento prudente sul fronte degli investimenti. Se è comprensibile il fatto che l’interesse commerciale per il 5G non sia particolarmente evidente in questa fase iniziale, non è incoraggiante rilevare come la portata dei nuovi servizi potenziali sembri più limitata di quanto inizialmente previsto, con par-

ticolare attenzione alle capacità e alla velocità. Ipotizzare che, al momento della disponibilità su larga scala delle reti di quinta generazione, non assisteremo a trasformazioni epocali in termini applicativi non è per nulla fuori luogo. La convinzione che la connettività ultramobile possa ridisegnare i processi di molte industrie al di fuori dello spazio tradizionale delle telecomunicazioni era alla base dello sviluppo del 5G ma oggi questa convinzione è probabilmente più flebile, in considerazione delle difficoltà emerse nel trasformare quella visione in realtà. In attesa di vedere all’opera anche i primi smartphone in grado di sfruttare le nuove reti (Huawei potrebbe essere la prima a lanciare un modello compatibile entro la fine del 2018), la priorità del momento è studiare e sperimentare i possibili casi d’uso della tecnologia, sia in chiave consumer sia nelle diverse industrie verticali. Piero Aprile

MOTORE DELLA SPESA PER IL MOBILE Gli investimenti per il 5G, la realtà aumentata e le applicazioni di classe enterprise porteranno nel 2018 gli investimenti a 1.600 miliardi di dollari. Stati Uniti e Cina i Paesi guida.

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li investimenti globali in hardware, software e servizi per l’industria mobile cresceranno del 3,2% quest’anno per arrivare a sfiorare quota 1.600 miliardi di dollari. A fare da locomotiva della spesa saranno in particolare le soluzioni mobili per le imprese e le tecnologie più innovative come la realtà aumentata, l’intelligenza artificiale e le reti di quinta generazione. Lo conferma un recente rapporto stilato da Idc (“Worldwide Semiannual Mobility Spending Guide”), secondo cui, con il prossimo roll-out dei nuovi servizi, assisteremo a consistenti ondate di aggiornamento per i dispositivi e le infrastrutture di

rete, necessarie per massimizzare i vantaggi delle maggiori prestazioni in fatto di larghezza di banda, sicurezza e funzionalità garantite dalla tecnologia 5G. Guardando al dettaglio. I servizi di mobility, in particolare, rappresenteranno quasi il 60% della spesa nel periodo 2016-2021, pesando per oltre mille miliardi di dollari alla fine del quinquennio considerato, grazie soprattutto agli investimenti delle telco sulle infrastrutture di connettività. I Paesi che apriranno maggiormente i rispettivi portafogli sono Stati Uniti e Cina, ciascuno con circa il 20% del totale, mentre le macro-regioni più propense a spendere saranno Europa occidentale e Asia/Pacifico (esclusi Cina e Giappo-

ne), che registreranno anche i tassi di crescita più elevati. Se le soluzioni rivolte al consumatore rappresentano la fetta più grande della torta (arrivano a coprire il 70% del totale, con tasso di crescita composito dell’1,6% dal 2016 al 2021) quelle destinate al mondo enterprise segnano incrementi a tassi molto più alti, in media del 15% l’anno, in ragione del fatto che le imprese stanno sensibilmente potenziando i budget destinati alle loro strategie mobili. Secondo Idc, in particolare, i paradigmi della managed mobility e dei managed workspace, che fondono dispositivi, applicazioni e gestione delle identità, saranno i grandi motori della crescita di questo mercato.

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INNOVAZIONE | Ultrabroadband mobile

Il 5G è già oggetto di sperimentazione in varie città della Penisola e pronto a fare il suo esordio entro fine 2019 . Dal turismo alla mobilità urbana ecco tutte le possibili applicazioni della nuova tecnologia.

QUINTA GENERAZIONE, L’ITALIA SI MUOVE

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iù vicina di quanto si pensi. I test in alcune città campione sono già partiti coinvolgendo praticamente tutti gli operatori e i fornitori di infrastrutture di rete. La “rivoluzione 5G”, insomma, potrebbe interessare il nostro Paese con qualche mese di anticipo, entro fine 2019, rispetto alle iniziali previsioni fissate al 2020, se non ci saranno intoppi nell’assegnazione delle frequenze da 700 MHz (attualmente ancora occupate per la trasmissione del segnale televisivo) il Governo metterà prossimamente all’asta. L’Agcom, l’Autorità garante delle comunicazioni, a inizio marzo ha pubblicato la prima “bozza” di regole e procedure tecniche per l’asta ed entro fine anno il processo dovrebbe essere completato, portando nelle casse dello Stato (secondo la Legge di Bilancio 2018) un incasso minimo di 2,5 miliardi di euro. Il 4,5G, 26

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intanto, è il passo intermedio: Vodafone lo ha già compiuto a Firenze, Roma, Napoli, Palermo e Milano, raggiungendo una capacità massima di un gigabit al secondo in download, mentre Tim ha attrezzato con le proprie antenne alcune aree del Paese. Ma tutti, come detto, stanno già guardando avanti. I progetti in corso

Il Ministero dello Sviluppo Economico l’anno scorso ha avviato un programma di sperimentazione sulla quinta generazione mobile in alcune città della Penisola (Torino, Milano, Prato, L’Aquila, Bari e Matera) per testare tecnologia, apparati e soprattutto le applicazioni sviluppate per servire cittadini e imprese. Se San Marino è tra le zone pioniere del 5G, dovendo battezzare la disponibilità della nuova rete già entro la fine di quest’anno, a Roma è stato acceso da

Fastweb ed Ericsson, a metà febbraio, il primo segnale 5G attraverso una demo di realtà virtuale allestita nella Biblioteca Fabrizio Giovenale, nel Municipio IV. Gli ambiti individuati per la sperimentazione comprendono il patrimonio culturale e artistico (siti archeologici o ambienti museali), la sicurezza pubblica e la mobilità urbana, con lo sviluppo di applicazioni per i servizi di tracciamento automatico del viaggio e per la telemetria in tempo reale della diagnostica di bordo e l’analisi predittiva dei guasti dei mezzi. Nel capoluogo piemontese anche Tim sta puntando su esperienze di realtà virtuale e aumentata in ambito culturale e turistico, mentre a Milano Vodafone ha scelto per i propri test il comparto della salute, collegando in rete le ambulanze e rendendo più veloci le comunicazioni con gli ospedali, e ha avviato progetti per il monitoraggio del traffico stradale e la


videosorveglianza tramite droni. I primi test in condizioni radio reali sono stati effettuati nel sito installato nella stazione ferroviaria di Cadorna, utilizzando una tecnologia radio mMimo e un modulo (entrambi di Nokia) già compatibile con lo standard 3Gpp. In Toscana e in Abruzzo sono Wind 3 e Open Fiber a gestire le iniziative più importanti, occupandosi principalmente di gestione energetica, videosorveglianza, medicina e attività culturali. A Bari e Matera, infine, sono Fastweb, Tim e Huawei i tre soggetti al lavoro su progetti 5G. L’obiettivo è ambizioso: estendere entro fine anno la copertura in banda ultralarga fino al 75% dell’area urbana delle due città partendo dalla prima antenna (sviluppata da Huawei e dotata di tecnologia “Massive-Mimo” per poter gestire contemporaneamente decine di segnali radio in entrata e in uscita e di adattarsi dinamicamente alla posizione dei singoli utenti e alla domanda di traffico dati) accesa a fine febbraio sfruttando la banda di frequenze a 3,7-3,8 GHz messa a disposizione dal Mise. Lo sviluppo del progetto prevede investimenti per 60 milioni di euro in quattro anni (tre quarti dei quali messi sul tavolo dalle tre aziende e i restanti 15 milioni dagli altri 50 partner coinvolti) e toccherà diversi ambiti di applicazione, dal turismo alla sanità passando per la logistica e i trasporti (il porto di Bari sarà uno degli asset più interessati), l’agrifood e le smart city. A Matera, nello specifico, la disponibilità delle reti 5G abiliterà soluzioni di realtà aumentata e virtuale (attraverso visori e terminali mobili dedicati) per turisti e visitatori ed entrerà in gioco anche per la sicurezza pubblica, attraverso sistemi di riconoscimento facciale per l’accesso a determinati luoghi. Dalla cultura all’industria

Quelli in cantiere in tutta Italia sono dunque essenzialmente progetti B2B, e come confermano anche i diretti interessati, tutto lo sviluppo del 5G sarà focalizzato su mirati casi d’uso. Non dobbiamo

dunque pensare a una copertura massiva del territorio con i servizi mobili di quinta generazione e non assisteremo a una diffusione a pioggia del 5G. Si aumenteranno le prestazioni attuali in una logica di hot spot e si darà continuità ancora per diversi anni all’evoluzione delle reti 4G Lte, che andranno a soddisfare il 90% della domanda di servizi di massa. I vantaggi che la nuova tecnologia porterà in dote saranno ben tangibili agli occhi di consumatori e cittadini, ma saranno soprattutto aziende e istituzioni pubbliche a beneficiarne per dare il via a un nuovo processo di modernizzazione e a nuove (teoricamente infinite) possibilità di servizi connessi alla rete. In campo manifatturiero, per esempio, il salto in avanti sarà garantito dalla cloud robotics, nell’agricoltura di precisione la riduzione degli sprechi di acqua sarà maggiore grazie all’iperconnettività della trasmissione, nella nuvola, dei dati raccolti dai sensori. E non solo. L’innovazione che porta in dote l’ultrabroadband mobile in scala di gigabit si tradurrà per esempio nella copertura 5G di corridoi aerei per gestire i droni adibiti al controllo del territorio (Cisco sta lavorando a un progetto di questo tipo

con una startup incubata da Tim Working Capital) o nell’utilizzo di visori di realtà aumentata per la manutenzione degli impianti, attraverso soluzioni che distribuiscono intelligenza sui sistemi remoti, via cloud, sfruttando la banda larghissima delle nuove reti. C’è una (nuova) rivoluzione alle porte, sfruttarla nel migliore dei modi possibili è una sorta di imperativo. Per tutti. Gianni Rusconi

UN POLO DIGITALE SOTTO LA LANTERNA Comune di Genova, Regione Liguria, Liguria Digitale, Ericsson e Tim: sono questi gli attori protagonisti del “Digital Lab 5G” che sarà operativo nei prossimi mesi al Great Campus degli Erzelli di Genova per avviare la realizzazione nel capoluogo ligure della rete mobile di nuova generazione. Si darà impulso allo sviluppo di soluzioni innovative legate all’Internet of Things per il monitoraggio del territorio e della mobilità, la gestione della pubblica sicurezza e dei servizi di realtà virtuale ap-

plicati al turismo e alla cultura. In calendario sono già fissate la prima sperimentazione pratica del 5G, entro la fine di quest’anno, e la valutazione dei piani di copertura per il biennio 2019-2020, in vista del lancio commerciale del servizio stesso. In questo modo saranno rese disponibili ai soggetti pubblici e privati operanti nel Campus applicazioni basate sulla rete mobile a banda larghissima con l’obiettivo di favorire anche la formazione delle necessarie competenze digitali.

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INNOVAZIONE | Ultrabroadband mobile

NUOVA ENERGIA PER LE TELECOMUNICAZIONI Considerate come l'innovazione più importante dall'avvento dell'elettricità, le reti di quinta generazione garantiranno velocità e scalabilità senza precedenti. Qualcomm è pronta per affrontare la rivoluzione.

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hanno definito l’avanzamento tecnologico “più importante dalla scoperta dell’energia elettrica”, caricandogli sulle spalle aspettative talmente alte che un eventuale fallimento non è neanche mai stato preso in considerazione. Il 5G, termine che indica le reti mobili di quinta generazione, viene definito dagli analisti come una rivoluzione in grado di dare la spinta definitiva alla trasformazione digitale di tutta l’industria. Non solo delle telecomunicazioni, ma anche di quella automobilistica, del personal computing (con la realtà virtuale in prima li-

nea), della produzione manifatturiera e di molto altro. Sarebbe però sbagliato considerare il 5G come una semplice e naturale evoluzione delle reti mobili di quarta generazione, perché effettivamente questo nuovo paradigma, per come è stato concepito, va oltre. È uno dei messaggi che da almeno due anni Qualcomm, produttore di microchip con sede a San Diego (California), sta provando a far passare. “Il 5G sarà un genere di rete completamente nuovo, caratterizzato da una complessità e scalabilità senza precedenti”, ha spiegato già tempo addietro Stephen Mollenkopf, Ceo dell’azienda statunitense,


fra i primi a tracciare il parallelo tra 5G ed energia elettrica. Un confronto ardito, ma che illustra bene quali siano le aspettative dei numerosi player attivi in questo settore. Qualcomm, ovviamente, è uno di questi. Nonché uno dei più importanti: è infatti il leader incontrastato del mercato dei processori per

dispositivi mobili, con una quota superiore al 40%. Teoricamente, la società californiana è già pronta per l’avvento del 5G. A livello di prodotto ha messo a punto il modem X50 (una soluzione integrata nei propri microchip), che nei prossimi mesi verrà testato sul campo da 18 operatori, tra cui Tim, Wind 3

VEICOLI CONNESSI AL MONDO I veicoli a guida autonoma e le città intelligenti, le cosiddette smart city, sono probabilmente uno dei banchi di prova più interessanti per le reti mobili di quinta generazione. In particolar modo perché si tratta di due mondi molto vicini tra loro: le macchine senza conducente del futuro, per funzionare in modo ottimale e garantire appieno la sicurezza di persone e cose, dovranno riuscire a sfruttare l’infrastruttura di connettività offerta dalle città. Semafori, sensori affogati nell’asfalto, altri veicoli e i pedoni stessi diventeranno le cellule di un unico, grande “tessuto nervoso” capace di far viaggiare informazioni in tempo reale. Sarà fondamentale creare un ecosistema di

tipo Vehicle-to-Everything (C-V2X) che, funzionando con videocamere e sensori integrati sulle vetture, possa estendere le capacità delle automobili di prevedere i movimenti degli altri soggetti presenti sulla strada. Un sistema così complesso dovrà obbligatoriamente fare affidamento su una rete capace di sostenere grandi volumi di traffico dati con una latenza molto ridotta. Qualcomm è presente in questo giovane mercato fin dall’inizio e ha introdotto diverse soluzioni tecnologiche in grado di velocizzare lo sviluppo del settore, tra cui il primo chip commerciale per il C-V2X (9150), basato su standard definiti dal consorzio 3GPP e già pronto per l’evoluzione al 5G.

e Vodafone. L’obiettivo è lanciarlo con gli smartphone in arrivo nel 2019, per garantire velocità di trasmissione dati fino a 4,51 Gbps (oltre il doppio rispetto a oggi), latenze ridotte e consumi energetici sensibilmente contenuti. Tra fabbriche, trasporti e città

Ma è chiaro come le opportunità future non si limitino soltanto ai cellulari e Qualcomm sta lavorando per essere in prima linea. L’obiettivo è quello di creare una piattaforma di connettività globale, che garantisca l’innovazione e rappresenti il punto di contatto fra servizi, bande di frequenza e modalità di implementazione eterogenee, garantendo però la piena compatibilità con le tecnologie esistenti. L’azienda statunitense, così come gli altri attori di questo mercato, è ben consapevole di trovarsi ancora in una prima fase di sperimentazione, in particolare per quanto riguarda i possibili casi d’uso del 5G. Casi d’uso (e modelli di business) mai così poco definiti, che emergeranno, prospereranno o falliranno in modi tuttora imprevedibili. È lecito comunque ipotizzare quali saranno i probabili ambiti applicativi delle reti di quinta generazione. Fra gli argomenti più interessanti spiccano certamente le smart city e i veicoli a guida autonoma, due concetti fortemente intrecciati tra loro. Per non parlare dell’Industria 4.0 e dei sistemi di comunicazione degli impianti produttivi, che grazie al 5G potranno presumibilmente affidarsi alla trasmissione dati senza fili anche nelle loro componenti più critiche. “Nuove funzionalità creeranno opportunità dirompenti”, ha spiegato Cristiano Amon, presidente di Qualcomm. “Velocità multi-gigabit, maggiore capacità per un consumo illimitato di dati e bassa latenza per accedere al cloud in tempo reale abiliteranno servizi ed esperienze oggi difficilmente immaginabili, in tutti i settori”. Alessandro Andriolo 29


INNOVAZIONE | Startup

Le startup che si occupano di servizi peer2peer nel 2017 hanno raccolto su scala globale quattro miliardi di dollari di finanziamenti. Le nuove imprese della Penisola, una trentina, hanno ricevuto solo 23 milioni. E nell’Internet of Things ci si ferma a 11 milioni.

SHARING ECONOMY E IOT, ITALIANE CENERENTOLE

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ecosistema italiano delle startup arranca nella competizione con gli altri Paesi? Sì, e lo sappiamo da tempo. Non mancano i segnali di recupero rispetto alle nazioni capofila, ma guardando al fenomeno delle neoimprese innovative su scala globale appare eviedente lo squilibrio tra i rapporti di forza. Prendiamo per esempio due settori, molto diversi fra loro, finiti di recente sotto la lente di ingrandimento del Politecnico di Milano e dei relativi Osservatori. Partiamo dalla “sharing e peer2peer economy”, modelli che sfruttano le tecnologie per far incontrare velocemente domanda e offerta e in cui vincono le idee orientate alla sostenibilità ambientale e capaci di consentire l’ac30

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cesso a determinate risorse senza i vincoli del possesso: tutto questo è qualcosa di tangibile, dicono gli esperti, e si sta rapidamente diffondendo. L’economia della condivisione, in particolare, sta regalando grandi opportunità alle startup, anche italiane. La ricerca del Politecnico ha censito 195 imprese a livello internazionale operative in questo settore, stimando una raccolta di finanziamenti complessiva superiore ai quattro miliardi di dollari e un investimento medio a startup di circa 25 milioni. Oltre la metà dei capitali distribuiti (il 55%) è finita nelle casse di Ofo e Mobike, piattaforme di bikesharing nate in Cina e attive anche in Europa (Italia compresa) e America. La maggior parte degli investimenti, il

73%, si concentra sulle startup operanti nell’ambito del cosiddetto “pseudo sharing” (beni messi a disposizione da un’azienda), a cui sono andati circa tre miliardi di dollari. Le iniziative di origine asiatica, poco meno di una trentina, sono al momento la destinazione più gradita per i capitali di rischio, in virtù dei 3,3 miliardi attratti negli ultimi cinque anni. Le 85 imprese innovative censite in Europa si sono invece fermate a “soli” 202 milioni, mentre le 70 realtà attive negli Stati Uniti hanno ricevuto 282 milioni. E le italiane? Quelle analizzate dallo studio sono 26 e hanno saputo raccogliere investimenti pari a 23 milioni di dollari. Sul podio delle più finanziate svettano Supermercato24 (piattafor-


ma per la spesa online con consegna in giornata), ProntoPro (marketplace di professionisti per servizi o prestazioni occasionali) e Moovenda (consegna di cibo a domicilio). La prima delle tre, in particolare, ha convinto venture capital e altri soggetti a investire oltre cinque milioni di dollari, mentre le altre due si sono fermate per ora a 3,7 e 2,2 milioni, rispettivamente. A caccia di capitali

Se guardiamo ai numeri del mercato dell’Internet of Things in Italia, occorre essere soddisfatti: il giro d’affari è cresciuto del 32% nel 2017, arrivando a toccare i 3,7 miliardi di euro. Le startup che operano in questo comparto, però, fanno ancora fatica. Quelle censite dal Politecnico sono 99, metà delle quali finanziate da investitori istituzionali, e la raccolta nel complesso supera di poco gli 11 milioni di euro, segnando una contrazione del 2% rispetto all’anno precedente. Solo una su dieci (il 14% per la precisione) è riuscita a ottenere investimenti superiori al milione di euro, bussando in vari casi alle porte dei venture capital internazionali, statunitensi soprattutto. Le startup dell’Internet delle cose, insomma, procedono con un andamento lento dettato dalla difficoltà di reperire capitali, al cospetto di un fenomeno che su scala globale conta oltre 600 startup e un volume di finanziamenti stimato per il 2017 nell’ordine dei 4,8 miliardi di dollari, in salita del 30% rispetto al 2016. Alcune eccellenze italiane, come detto sopra, hanno deciso di puntare sui mercati esteri per superare lo scoglio di investimenti che languono: i nomi sono quelli di Empatica (suo un braccialetto da polso smart pensato per le persone affette da epilessia), Emoj (startup anconetana, incubata dall’Università Politecnica delle Marche, che misura in tempo reale le emozioni degli utenti nel punto vendita) e ancora Wib, Sofia e Neosurance. Gianni Rusconi

ALLA CONQUISTA DELL’INSURTECH È una soluzione che porta i benefici dell’Internet delle cose al servizio della domotica e ha vinto la prima edizione della call4ideas lanciata dal colosso delle assicurazioni inglese Aviva e da PoliHub, l’acceleratore del Politecnico di Milano. Il progetto premiato si chiama “Momo - The Home Genius” e lo ha concepito e realizzato Morpheos, startup catanese nata nell’estate del 2015 da un’idea di Edoardo Scarso (attuale Ceo dell’azienda) e da altri cinque soci fondatori con esperienza pluriennale nel campo dell’informatica e dei dispositivi connessi. Nel curriculum della società spiccano la vittoria nel 2015 del bando Smart&Start indetto da Invitalia e poi il programma di incubazione, corredato da ulteriori finanziamenti, condotto nel 2016 presso Digital Magics. La sua innovazione per l’insurtech? Un robot domestico pilotato dall’intelligenza artificiale, con le fattezze di una lampada di design, la cui peculiarità è quella di sfruttare la tecnologia IoT per il controllo multifunzionale di tutta la casa o di un ufficio, sia nell’ottica della sicurezza fisica delle persone sia in termini di monitoraggio continuo delle condizioni ambientali interne al fine di una maggiore efficienza energetica. A pilotare Momo è un algoritmo di intelligenza artificiale che permette al dispositivo di imparare a conoscere le principali abitudini ed esigenze degli utenti, operando in appoggio a una speciale telecamera per il riconoscimento di visi e movimenti e a una batteria di sensori in grado di rilevare tempestivamente parametri pericolosi per la salute e segnalarli in tempo reale ai diretti interessati (via app mobile

o chat). Lo scorso maggio, attraverso una campagna di crowdfunding condotta sulla piattaforma di Kickstarter, Morpheos ha venduto oltre 300 pezzi della propria lampada smart, attualmente in fase di produzione: la consegna di questo primo lotto è prevista entro il prossimo giugno. Nel frattempo Morpheos ha avviato nuovo round di investimento da tre milioni di euro, attraverso il quale portare avanti il processo di produzione e distribuzione su larga scala della soluzione e lo sviluppo di un kit di “smart home” a corredo della lampada. Ha presentato, inoltre, la propria idea agli esperti del Digital Garage Aviva di Londra, uno dei tre centri di innovazione in ambito insurtech della compagnia insieme a quelli attivi a Singapore e in Canada. Sognando lo sbarco in Europa e negli Stati Uniti e poi quello sul mercato asiatico, a cominciare dalla Cina. G.R.

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INNOVAZIONE | Startup

La piattaforma nata dall’idea di tre giovani italiani misura l’impatto e l’andamento di milioni di notizie pubblicate online ogni giorno, ma analizza anche immagini e video. A pochi mesi dall’esordio, ha già convinto un colosso come Amazon Web Services.

L'AUDITEL DEI TEMPI MODERNI SI CHIAMA SOCIALBEAT

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ecnologia, editoria e mondo social: il tratto d’unione sono i dati. Esempio del potere degli analytics, di cui oggi tanto si discute, è uno strumento giovane e “made in Italy” come quello messo a punto da Socialbeat. Nata nel 2017 dall’idea di Marco Sangalli (già chief information officer di Sesaab, gruppo che controlla L’Eco di Bergamo), la startup può contare sulle competenze di Vitantonio Santoro e Mirko Vairo, due ragazzi campani laureati in management all’Università Bocconi di Milano e con all’attivo esperienze in campo consulenziale per realtà italiane e internazionali. La piattaforma di Socialbeat passa al vaglio ogni giorno milioni di news pubblicate dalle testate online e analizza il comportamento degli utenti sui social network, tracciando in forma anonima ogni singolo “like”, commento e condivisione. La somma di queste interazioni quantifica l’impatto social di ogni notizia, che viene presentato all’interno di una dashboard (accessibile via Web, sia da

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Pc sia da smartphone) personalizzabile dall’utente in base a parole chiave e filtri. Algortimi di intelligenza artificiale, inoltre, studiano le tendenze per prevedere quali temi saranno in ascesa nelle ore successive all’analisi. A chi serve Socialbeat? A chi lavora nell’editoria online, innanzitutto, e deve scegliere quali notizie prediligere ad altre sulla base degli interessi che riempiono l’hic et nunc del Web. “Dopo una fase di test conclusa con successo”, spiega Mirko Vairo, “stiamo espandendo la soluzione sul mercato e siamo alla ricerca di redazioni che vogliano utilizzare la piattaforma per accellerare il percorso di innovazione del proprio giornale”. Il monitoraggio in tempo reale delle dinamiche social è però potenzialmente utile anche a uffici stampa, agenzie di comunicazione, aziende ed enti pubblici. Dopo nove mesi di attività, la startup annovera tra i propri clienti testate come L’Eco di Bergamo, Giornale di Brescia e VareseNews, ma ha anche fatto da spalla ad alcuni politici nella recente campagna elettorale. L’estate scorsa, invece, ha fatto parla-

re di sé per aver saputo individuare (monitorando in tempo reale milioni di dati su partenze e arrivi) un cambiamento nelle rotte di alcune compagnie aree che creavano un danno alla popolazione residente nelle aree circostanti allo scalo bergamasco di Orio al Serio. Al recente “Aws Summit 2018” di Milano, è stata l’unica startup italiana invitata da Amazon a presentare la propria soluzione. “Stiamo ampliando sempre più il nostro focus”, spiega Sangalli , “nell’intelligenza tecnologica in grado di eseguire complesse attività su enormi quantità di dati in tempo reale. In particolare, durante l’Aws Summit abbiamo mostrato la capacità di Socialbeat nell’analisi di più di un milione di immagini e video in pochi millesimi di secondo, riuscendo a riconoscere gli oggetti nelle foto, il contesto, lo stato d’animo delle persone, il sesso, l’età, fino ad arrivare a identificare le singole persone. Oggi siamo alla ricerca di aziende che vogliano sviluppare casi d’uso innovativi nel proprio business di riferimento”. V.B.


INNOVAZIONE | Startup

IL FOOD DELIVERY PIACE

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orban e Foodracers: due aziende che in comune hanno una missione – le consegne a domicilio dei pasti – e che nelle ultime settimane sono salite alla ribalta per la chiusura di importanti round di finanziamento. La prima, dopo il seed iniziale di 500mila euro nel 2016, per il lancio della società, e dopo un secondo investimento di 650mila dell’aprile scorso, ha ora annunciato un terzo aumento di capitale da circa un milione e mezzo di euro, sottoscritto dal medesimo pool di investitori privati del precedente round. I capitali

complessivamente raccolti sono saliti oltre quota 2,6 milioni. Nata con l’etichetta di primo “ristorante digitale” di Milano nella logica di un servizio di “food delivery” a tutto tondo, controllando l’intero processo in modo integrato, dal software di gestione degli ordini alla produzione fino alla consegna a domicilio, Foorban è ora pronta a fare il salto e con lei i tre giovani fondatori (Stefano Cavaleri, Marco Mottolese e Riccardo Pozzoli, tutti under trenta). La nuova liquidità verrà investita per ampliare ulteriormente un team già raddoppiato negli ultimi dodici mesi, oltre che per il consolidamento della

piattaforma di delivery e per la crescita delle attività retail B2B. Queste ultime sono state avviate a novembre 2017 con il primo “negozio offline” inaugurato all’interno del quartier generale milanese di Amazon, per servire in modo esclusivo pasti freschi a oltre 500 dipendenti. L’obiettivo dichiarato è quello di avviare in tempi relativamente brevi, tra la fine di quest’anno e l’inizio del 2019, il processo di internazionalizzazione di entrambe le linee di business, con una strategia di sviluppo, a cavallo del digitale, che punta decisa in direzione dell’omnicanalità. Il modello che prevede l’ordinazione del pranzo attraverso un’app per smartphone o tramite sito Web e la consegna entro 30 minuti, del resto, ha già prodotto risultati importanti, vedi i cinquemila clienti e centomila pranzi distribuiti fino a oggi a Milano e un fatturato cresciuto dell’800% anno su anno. Cibo a domicilio anche in Provincia

Per Foodracers, startup di Treviso nata nel 2015 per portare il food delivery nelle città di provincia (quelle al di sotto dei 100mila abitanti), l’aumento di capitale ufficializzato a fine marzo è invece di 600mila euro e reca la firma di quattro imprenditori veneti, che entrano in società con il 10% delle quote. Nell’ultimo anno Foodracers ha registrato 130mila ordini e un fatturato di 500mila euro su un transato di oltre tre milioni. L’obiettivo ora è quello di crescere ancor più velocemente, raddoppiando il team (dagli attuali 16 dipendenti e oltre 350 fattorini) e arrivando a operare in 80 centri urbani nell’arco di tre anni. Attualmente il servizio è presente in 22 città e sono 650 le convenzioni attive con ristoranti, piccoli locali tradizionali e catene come Roadhouse Grill, Old Wild West, Zushi, I-Sushi e Grom. Gianni Rusconi MAGGIO 2018 |

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EXECUTIVE ANALYSIS | La ricerca sul campo di Technopolis

Gli interventi compiuti negli ultimi anni sulle infrastrutture di comunicazione hanno in comune la volontà di migliorare prestazioni e affidabilità. Ma si scontrano con i limiti strutturali dell'Italia e con logiche imposte soprattutto dai carrier.

LE RETI AZIENDALI SI DEMATERIALIZZANO

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l concetto di rete aziendale, per lungo tempo sono state associate immagini di cavi e apparati fisici, in molti casi disposti anche in modo caotico all’interno delle sale macchina. La diffusione di Internet come piattaforma centrale dei moderni processi di digitalizzazione ha amplificato il ruolo delle comunicazioni quale elemento fondante dell’evoluzione complessiva dei modelli e delle pratiche di business, ma sta ormai portando a disgiungere il funzionamento dell’infrastruttura dalle sue componenti strettamente fisiche. Tendenze più recenti come la virtualizzazione, il cloud e l’IoT (Internet of Things) stanno cambiando in modo sostanziale le modalità di funzionamento di un’infrastruttura. Se, di norma, un’ap34

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plicazione è sempre stata connessa fisicamente ai router di rete, le tecnologie emergenti stanno portando a liberare i workload da specifici hardware. La realtà di riferimento per le aziende italiane

Nello scenario evolutivo qui appena abbozzato, si inserisce dunque l’interesse crescente verso il cosiddetto SoftwareDefined Networking (Sdn), che racchiude un insieme di tecnologie disegnate per consentire un controllo centralizzato delle risorse di rete, una miglior programmabilità e un’orchestrazione più efficiente. Sulla scia di quanto la virtualizzazione ha già consentito nel mondo dei server, questa innovazione si propone di semplificare l’amministrazione delle reti e rendere più flessibile il consumo delle

risorse da parte delle applicazioni. Nella realtà operativa delle aziende italiane, i Cio o gli amministratori di rete devono confrontarsi con un’attenzione ondivaga dei referenti di business alle problematiche strettamente tecnologiche, rapporti non sempre lineari con i fornitori di riferimento e con l’atavico ritardo italiano nell’adeguamento dell’infrastruttura di base alle esigenze tipicamente collegate agli attuali processi innovativi. Per capire meglio quali siano le problematiche più sentite e le evoluzioni realmente in atto, Technopolis ha realizzato una ricerca di tipo qualitativo, coinvolgendo poco meno di una quindicina di grandi e medie imprese, appartenenti a diversi settori, come il retail, la logistica, le utilities, il manufacturing e l’hi-tech. MAGGIO 2018 |

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Fra scelte consolidate e desiderio di cambiamento

L’insieme di aziende interpellato propone un quadro infrastrutturale piuttosto articolato e costruito nel tempo. In linea di massima, le imprese coinvolte lavorano su una base costruita intorno a uno o più data center e un’articolazione variabile di punti rete, da un paio di decine a qualche centinaio. Nella maggior parte dei casi il modello di gestione è ancora abbastanza tradizionale, con compartimentazioni fisiche o logiche, tecnologia di base prevalente di tipo Mpls (Multiprotocol Label Switching) proprietario, centralizzazione del controllo e della delivery, presenza diffusa di risorse dedicate al disaster recovery. Tuttavia, non mancano segni di cambiamento tangibile oppure pianificato nel breve termine. Alcune realtà hanno scelto di passare su infrastrutture full-Internet, essenzialmente con tunnel privati soprastanti, per risparmiare sui costi fissi o ricercare maggior flessibilità. In qualche caso, esiste (o è in progresso) una situazione di esternalizzazione pressoché totale, in una logica tipica del cloud privato più che del puro outsourcing.

Trattandosi perlopiù di aziende con una forte ramificazione sul territorio, un elemento di difficoltà sottolineato in modo quasi unanime riguarda l’arretratezza della banda disponibile a livello di sistema-Paese, che impone di effettuare investimenti spesso onerosi, soprattutto per poter raggiungere località con una copertura di base quantomeno lacunosa. Scelte orientate a soluzioni ibride sono comuni, con la migrazione a cloud pubblici di servizi giudicati imprescindibili (posta elettronica e applicazioni Office su tutti), ma non legati al core business. Va considerato normale che su ogni tipologia di rete si possano verificare dei disservizi. Tutte le aziende interpellate hanno ammesso di averne avuti negli ultimi anni, ma sostanzialmente unanime è l’associazione delle problematiche ai provider di telecomunicazioni utilizzati. Il giudizio sul livello di servizio medio fornito non risulta particolarmente lusinghiero per i carrier, ai quali si imputa soprattutto lentezza negli interventi e nella soddisfazione delle richieste e una discutibile (talvolta) politica di investimento sulla copertura infrastrutturale. In cammino verso reti più agili

A fronte della realtà fotografata e degli elementi di criticità emersi, la possibilità di programmare le reti attraverso un controller centralizzato, ovvero la caratteristica fondamentale del Software-Defined Networking, appare una soluzione naturale. Nelle situazioni tradizionali, switch e router programmano le loro tabelle di inoltro localmente e le periferiche prendono le decisioni sull’indirizzamento del traffico sulla base di informazioni distribuite e raccolte da protocolli poco flessibili. La logica Sdn separa il piano di controllo (che definisce come uno strumento indirizza il traffico) da quello dei dati (la parte di commutazione e instradamento che assicura il movimento dei dati), con un controllo centralizzato per avere visibilità sull’insieme della rete e sulla sua topologia. Le aziende italiane analizzate nella nostra

ricerca su questo punto hanno mostrato posizioni differenti non tanto in termini di conoscenza della materia (abbastanza consolidata) o di apprezzamento dei potenziali benefici quanto di effettiva adozione oggi o nel breve-medio termine. Da un lato esiste un gruppetto di realtà già lanciate verso l’innovazione o che hanno pianificato di farlo. Si tratta di aziende in trasformazione, sia dal punto di vista strategico sia organizzativo, che hanno fatto la scelta dell’Sdn con aspettative di recupero di efficienza e risparmio sui costi, in contesti improntati all’unificazione delle infrastrutture e a una crescita sostenibile. A queste motivazioni se ne aggiungono altre di natura più tecnica, come l’automazione di alcune componenti (configurazioni, provisioning, bilanciamento dei carichi) o la possibilità di lavorare con policy di sicurezza distribuite e astratte dalle singole postazioni. Un po’ più frequente è il caso di soggetti che stanno prendendo ora in considerazione la tematica. Qui entrano in gioco diversi fattori di spinta, che spaziano dalla esigenza di ammodernare un’infrastruttura obsoleta alla ricerca di maggiore agilità sia nella componente di gestione della rete che di approvvigionamento di nuove risorse. Non manca chi avanza la necessità di una migliore integrazione fra quanto presente in casa e quanto affidato a diversi cloud provider o, semplicemente, l’esigenza di consentire alla componente di rete di evolversi di pari passo con la parte computazionale. Una quota del campione analizzato, tuttavia, ha evidenziato limiti all’adozione di natura differente. Problemi di gestione possono esistere in presenza di situazioni in cui non sia possibile centralizzare tutto e anche la programmazione venga resa difficile dall’estrema variabilità del business. Un altro elemento di dubbio riguarda la copertura in termini di banda, mentre qualcuno lamenta la complessità di dover rivedere completamente l’attuale infrastruttura e non mancano nemmeno i limiti di budget. Roberto Bonino 35


EXECUTIVE ANALYSIS | Il commento dei partecipanti

FLESSIBILITÀ E COSTI LE PRIORITÀ PER I CIO

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elle aziende italiane il tema della gestione dell’infrastruttura di rete è fra quelli che stanno preoccupando di più, soprattutto laddove siano in corso cambiamenti organizzativi importanti o, più semplicemente, dove occorra garantire la continuità di servizio e prestazioni ritenuta essenziale per il business. Gli estratti dalle interviste realizzate per la nostra ricerca evidenziano come il cloud stia orientando le scelte evolutive di realtà anche molto diverse fra loro, ma più in generale emerge la volontà di rendere più flessibili e automatizzati i cambiamenti infrastruttura36

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li imposti dalle evoluzioni del mercato. “Abbiamo completato già da qualche anno il processo di migrazione verso il cloud della nostra infrastruttura. Questo ci ha consentito di concentrarci sul supporto all’abilitazione del business. Nel rapporto con il service provider, tuttavia, manteniamo alta l’attenzione soprattutto sugli aspetti legati alle prestazioni e alla sicurezza”. Angelo Redaelli, Cio di Angelo Sacchi Elettroforniture “Nell’ottica del rinnovamento tecnologico, alla ricerca di una maggiore fles-

sibilità abbiamo iniziato a valutare anche il software-defined networking. La scelta ci consente di gestire meglio un processo di crescita fatto di acquisizioni e dinamismo organizzativo”. Gianfranco Scocco, Cio di Coopservice S.Coop.p.A “Negli ultimi tempi abbiamo dedicato priorità massima alla ridefinizione della componente di sicurezza a 360 gradi. A partire da qui, possiamo ipotizzare evoluzioni in direzione della business continuity e della flessibilità infrastrutturale”. Enzo Grenzi, Ict infrastructure manager di Manutencoop MAGGIO 2018 |

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“In linea con la strategia della nostra capogruppo, Veolia, abbiamo avviato un processo di progressivo decommissioning dei data center e di migrazione integrale verso il cloud. Il nostro obiettivo primario è supportare sempre più da vicino il business e, a tale scopo, anche il nostro personale tecnico sta seguendo un percorso specifico in questa direzione”. Fabrizio Locchetta, Cio di Siram “Certamente il peso delle richieste del business e il rilascio continuo delle applicazioni sono elementi di forte pressione oggi. Inevitabili, di conseguenza, sono le ricadute anche sull’infrastruttura, che nel nostro caso tende soprattutto a essere sempre meno centralizzata”. Paolo Rivolta, head of systems & networking team di Groupama “Nel settore industriale, si sta verificando un processo di convergenza sempre più forte tra le infrastrutture dedicate agli impianti di produzione e quelle utilizzate per il classico ambito Office. L’interconnessione con i sistemi It deve essere gestita con un’interfaccia di rete dedicata, definita Backbone Aggregation e implementata a livello produttivo. Il suo scopo primario è quello di garantire la comunicazione necessaria all’integrazione e, al tempo stesso, consentire la continuità di esercizio dell’impianto”. Angelo Candian, head of industrial communication business segment di Siemens Italia “In una realtà relativamente complessa come la nostra, la scelta di adottare una sorta di cloud privato, ma esternalizzato nelle componenti fondamentali, ci ha consentito di avere un maggior controllo sui fornitori e di poterci interfacciare meglio con il business e le relative richieste”. Loris Dal Magro, It director di Ideal Standard

“A partire dagli stabilimenti inaugurati in tempi recenti, abbiamo scelto la via del Software-Defined Networking per evitare di dover fare ingenti investimenti nelle infrastrutture di rete. A fronte di questo passaggio, il livello di

automazione e di intelligenza appare in costante crescita, per cui occorrono adeguati strumenti di orchestrazione a supporto”. Fabio Bracone, responsabile architetture e Tlc di Philip Morris International

LA PROSPETTIVA DEL SOFTWARE PER SVINCOLARSI DAI CARRIER Nell’intento di semplificare e rendere più elastica la propria rete, le aziende sembrano orientate verso la nuvola, più che verso la virtualizzazione delle componenti infrastrutturali: con il cloud è possibile delegare aspetti gestionali e prestazionali al provider. Massimiliano Tognon, presales engineer di Maticmind, ci aiuta a interpretare alcune delle principali tendenze emerse dall’indagine sull’evoluzione delle reti aziendali che abbiamo realizzato. Il cloud è una via preferenziale alla virtualizzazione infrastrutturale, secondo il vostro punto di vista di system integrator?

Se ci riferiamo a realtà con data center molto ampi e strutturati la fotografia è certamente corretta, a meno che non ci sia la necessità di dover fare autoconfigurazioni e provisioning di macchine virtuali in tempi molto rapidi. Diverso è il discorso per le imprese che devono gestire diverse sedi periferiche, punti vendita o sportelli sul territorio. Qui sta iniziando a prendere consistenza l’interesse verso la logica softwaredefined, nella quale ci si può astrarre dai dispositivi e puntare su una gestione centralizzata e orchestrata, per avere reti omogenee e massima flessibilità. Oggi i costi richiesti sono ancora elevati, ma sono destinati a scendere rapidamente ed entro un paio d’anni lo scenario sarà molto differente.

Il rapporto con i carrier appare in molti casi problematico, soprattutto rispetto al livello di servizio che sarebbe lecito aspettarsi. Come potrà evolversi la situazione?

La possibilità di rendersi indipendenti dovrebbe attrarre sempre più l’attenzione delle aziende. Non si tratta di una questione di natura economica, ma della volontà di gestire in modo più efficiente i cambiamenti sulle reti. In una logica software-defined, alle macchine dedicate è possibile agganciare diverse connettività e mettere anche in competizione i carrier. Non va poi trascurato che ormai, con il cosiddetto “zero-touch provisioning”, è possibile installare switch, access point o router semplicemente attraverso una email o una chiavetta Usb, con grandi risparmi sui costi operativi. Il ritardo italiano sulla banda larga influisce sull’affermazione di soluzioni infrastrutturali più automatizzate?

Nei grandi centri urbani la problematica è destinata a essere rapidamente superata, perché qui ormai diversi operatori hanno posato la propria fibra. Nel medio termine il digital divide continuerà a esistere, ma la spinta normativa e il mercato porteranno a un progressivo allineamento. Nel frattempo, è possibile affidarsi a provider locali o wireless, differenziare la fornitura e utilizzare il Software-Defined Networking per gestire tutto in modo ottimizzato.

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SCENARI | | Intelligenza artificiale INNOVAZIONE

MACHINE LEARNING DAI MILLE VOLTI Fra utilizzi ludici e ricerca scientifica, l'AI è sempre più il cuore (o meglio il cervello) di applicazioni che fino a ieri nemmeno sapevamo immaginare.

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ndrà a finire che parlare di intelligenza artificiale sarà un po’ come parlare di tutto e niente. Perché questa tecnologia o insieme di tecnologie diventerà parte integrante di qualsiasi sistema hardware, software o servizio, nelle aziende, sul Web, nella gestione delle città, all’interno degli smartphone che tutti possediamo, nella domotica e anche nella guerra. Le distinzioni fra i tipi diversi di “intelligenza” possono scendere più o meno nel tecnico: c’è l’apprendimento automatico, che prima mette a punto degli algortimi, poi li “allena” o “istruisce” attraverso grandi volumi di dati e infine lascia che con la pratica diventino sempre più abili; c’è il deep learning, che impiega schemi di ragionamento gerarchico; ci sono le reti neurali artificiali (composte da più nodi di calcolo che mimano le dinamiche del cervello umano), la computer vision (per droni civili o militari e per i veicoli a guida autono-

L’OCCHIO DEI DRONI IMPARA A GUARDARE I droni militari statunitensi più evoluti sanno riconoscere ciò che osservano dall’alto, e sanno farlo in modo sempre più preciso grazie ad algoritmi creati con lo zampino di Google. Le Api (interfacce di programmazione delle applicazioni) di TensorFlow, la libreria software messa a disposizione dalla società di Mountain View per chi voglia creare software

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di intelligenza artificiale, è uno degli ingredienti di un progetto pilota del Pentagono. In Project Maven, questo il nome dell’iniziativa, si impiegano gli algoritmi per scovare e classificare oggetti o persone all’interno di dati non strutturati (come tipicamente sono fotografie e video) catturati dai velivoli militari. Stando alle dichiarazioni di un portavoce di Google,

tale attività è finalizzata “a soli utilizzi non offensivi”, ma nondimento il coinvolgimento nel progetto non è piaciuto ai 3.100 dipendenti che in aprile hanno indirizzato all’amministratore delegato, Sundar Pichai, una lettera aperta in cui si rimarcava che Google, società il cui motto è “Don’t be evil”, “non dovrebbe far parte del business della guerra”.


ma), gli analytics predittivi (usati nella meteorologia e nella finanza, per citare due esempi molto distanti fra loro), i sistemi conversazionali (che interagiscono in forma vocale o scrittta, come fanno gli assistenti virtuali degli smartphone e i chatbot). E tanto altro ancora.

ALL'ASCOLTO DI PAROLE NON DETTE

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se la tecnologia imparasse ad ascoltare anche in assenza di suono? Fenomeno noto alla psicologia cognitiva e alle scienze del linguaggio, la subvocalizzazione (l’immagine mentale del suono delle parole, solitamente prodotta nel cervello di chi legge o ragiona) è ancora territorio inesplorato per le interfacce di computing. Questa attività può essere tracciata attraverso i recettori dei muscoli facciali: da qui l’idea dei ricercatori del Massachusetts Institute of Technology di sviluppare un sistema capace di captare questi segnali e tradurli in istruzioni linguistiche. Si è partiti da alcuni esperimenti in cui degli elettrodi posti sulla faccia di alcuni volontari hanno permesso di individuare sette collocazioni significative per tracciare le parole subvocalizzate. Nei successivi test è stato chiesto ai volontari di ragionare su calcoli matematici e sulle mosse di una partita di scacchi. I ricercatori hanno, poi, impiegato delle reti neurali artificiali per correlare parole a specifici segnali neuromuscolari e, da qui, per “allenare” le reti neurali.

Il software derivato da questo lavoro si è unito all’hardware: un indefinibile oggetto ricurvo, da indossare dietro a un orecchio così da posizionare l’estremità opposta vicino alla bocca, inclusivo di elettrodi e di un auricolare a conduzione ossea. Messo alla prova, ha dimostrato un’accuratezza del 92%. In futuro AlterEgo, questo il nome, potrebbe servire a interrogare un assistente virtuale per smartphone, a navigare all’interno del menu di una smart Tv o a impartire istruzioni in contesti di lavoro molto rumorosi.

tenenti disinformazione politica, anche quelle non in lingua inglese. Un metodo che mette insieme intelligenza umana e artificiale: gli algoritmi di machine learning riescono a scovare comportamenti sospetti e a bloccare milioni di falsi account ogni giorno, mentre i team di sicurezza verificano se le pagine siano truffaldine e violino i termini d’uso di Facebook. Se così è,

vengono rimosse. Questo sistema definito come “proattivo” è stato testato nel dicembre del 2017 per le elezioni dell’Alabama e poi ha evitato il diffondersi di una campagna di spam partita dalla Macedonia. Una versione italiana è stata messa a punto più recentemente e potrà servire in occasione di futuri appuntamenti con le urne.

Un affare da 19 miliardi

Per le tecnologie di computing cognitivo e di intelligenza artificiale Idc prevede quest’anno un giro d’affari mondiale di 19,1 miliardi di euro, che se confermato rappresenterebbe un incremento del 54,2% rispetto alla spesa del 2017. Ma non è nulla in confronto a quanto le aziende e le organizzazioni del settore pubblico spenderanno nel 2021, ovvero 52,2 miliardi di dollari. Detto diversamente, fra il 2016 e il 2021 il mercato crescerà a un tasso annuo Cagr del 46,2%. Secondo le stime della società di ricerca, entro il 2019 quattro iniziative di trasformazione digitale su dieci utilizzeranno servizi basati sull’AI, ed entro il 2025 tre quarti delle applicazioni aziendali useranno una qualche forma di questa tecnologia. “Tutti i settori di mercato e tutte le organizzazioni dovrebbero valutare l’intelligenza artificiale per capire come possa influenzare i propri processi di business e l’efficienza nel go-to-market”, sintetizza David Schubmehl, research director, cognitive/artificial intelligence system di Idc. Valentina Bernocco

ALGORITMI ANTI-BUFALA Scovare le false notizie e le comunicazioni di propaganda fuorviante una ad una, con il fact-checking, sarebbe missione impossibile per chi, come Facebook, conta due miliardi di iscritti alla propria piattaforma. Per questo il social network sta perfezionando, dopo averlo già messo alla prova in varie occasioni, un metodo per individuare le pagine con-

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INNOVAZIONE | Blockchain

L’EUROPA CHIAMA, L’ITALIA NON RISPONDE Il nostro Paese non ha aderito alla partnership sulla blockchain promossa dalla Ue, che ha visto il coinvolgimento di 22 Stati membri. Eppure la tecnologia è sempre più studiata, con un aumento del 73% delle sperimentazioni internazionali fra il 2016 e il 2017.

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n futuro, tutti i servizi pubblici si affideranno alla blockchain, una tecnologia che rappresenta una grande opportunità per l’Europa e per gli Stati membri per ripensare i sistemi informativi, promuovere la fiducia dei cittadini e proteggere i dati personali”. Così parlò Mariya Gabriel, Commissario europeo per l’economia e la società digitali durante la presentazione dell’European Blockchain Partnership: un progetto a cui hanno aderito 22 Paesi della Ue allo scopo di condividere esperienze e conoscenze nel campo tecnico e del regolatorio per prepararsi al lancio di applicazioni basate su blockchain a livello comunitario, beneficiando della strategia

sul mercato unico digitale delineata da Bruxelles. La Ue ha già investito oltre 80 milioni di euro in diversi progetti relativi ai registri distribuiti, con l’obiettivo di allocarne altri 300 entro il 2020. Tutto bene? Non tanto, almeno per l’Italia. Il nostro Paese, infatti, al momento di andare in stampa non figura tra i firmatari dell’accordo e sinceramente non si capiscono i motivi di questo “gran rifiuto”. La Commissaria ha comunque invitato gli altri Stati membri a unirsi alla partnership. Vedremo se i nostri rappresentanti cambieranno idea. La Penisola è latitante

Considerando le potenzialità della blockchain, l’autoesclusione dell’Italia


FATTURE “TOKENIZZATE” La catena di blocchi si “trasforma” in una semplice applicazione per lo scambio di documenti. Commerc.io, fondata dall’omonima startup, permetterà la vendita di beni e servizi tra aziende scambiando ordini e fatture attraverso una Web app semplice, sicura ed economica. L’idea è quella di semplificare l’implementazione di un sistema e-commerce B2B, grazie a una soluzione che sappia proteggere i documenti (cifrandoli) e autenticando digitalmente le fatture (che diventano token) sulla blockchain. Il progetto è approdato alla fase di crowdfunding.

dall’iniziativa comunitaria è sicuramente un’occasione mancata. È probabile che a pesare sia stato lo scenario corrente della Penisola. “Il mercato italiano, nonostante la presenza di una solida comunità di sviluppatori, non ha ancora saputo cogliere la sfida di innovazione connessa alla blockchain. Da una parte c’è una difficoltà ad affrontare una tecnologia molto complessa, dall’altra una carenza culturale delle imprese che tendono a non investire”, commenta Valeria Portale, direttore dell’Osservatorio Blockchain & Distributed Ledger della School of Management del Politecnico di Milano. I registri distribuiti potrebbero avere “un impatto notevole per il made in Italy in termini di tracciabilità e di anticontraffazione: è necessario non rimanere fermi per evitare un divario di competenze difficile da colmare”, sottolinea Portale, uno degli autori della prima ricerca dell’Osservatorio su questa tecnologia. Secondo i dati del rapporto, i distributed ledger sono in piena espansione, con un aumento dei proof of concept e delle sperimentazioni già avviate del 73% fra il

2016 e il 2017. Quasi sei progetti su dieci fra quelli censiti riguardano il settore finanziario, ma sembrano essere in pieno fermento anche altri ambiti, tra cui il governativo (più 9%), la logistica (7,2%), le utilities (3,9%), l’agrifood (3%) e le assicurazioni (2,7%). Principalmente oggi la catena di blocchi viene utilizzata nei processi di pagamento, per sistemi di tracciamento e supply chain, per gestire dati e documenti e nel mercato dei capitali. Sono ben 29 le banche centrali di tutto il mondo che hanno iniziato a sperimentare con la blockchain (soprattutto nel campo delle criptovalute) e, quindi, anche gli istituti finanziari sembrano aver superato l’iniziale diffidenza nei confronti di questa tecnologia. Samsung non vuole perdere il treno

La catena di blocchi sembra dunque avere davanti a sé un futuro radioso. E la notizia che anche un colosso del calibro

QR CODE DI VINO Tracciare il “viaggio” del vino, dalla raccolta degli acini d’uva fino all’imbottigliamento, grazie alla blockchain. È quanto permette di fare My Story, soluzione sviluppata da Dnv Gl che ha incontrato per la prima volta il favore di quattro cantine italiane: la piemontese Michele Chiarlo, Ricci Curbastro della Franciacorta, la toscana Ruffino

di Samsung abbia deciso di testarla non fa che avvalorare questa tesi. L’azienda sudcoreana ha avviato una serie di sperimentazioni sulla tecnologia, per valutare eventuali impatti positivi sulla propria supply chain. I registri a blocchi potrebbero essere utilizzati per ottimizzare tutta la filiera di distribuzione e la logistica, generando risparmi fino al 20%. Il che significa miliardi di dollari di tagli. I vertici di Samsung non si sono però sbilanciati sull’effettivo utilizzo della blockchain. Non è quindi possibile sapere se e quando il paradigma verrà implementato. Ma secondo Song Kwang-woo, responsabile del progetto per Samsung Sds (servizi It), la tecnologia “avrà un impatto enorme sulle supply chain delle industrie manifatturiere e sarà una piattaforma fondamentale per sostenere la nostra trasformazione digitale”. Alessandro Andriolo

e la pugliese Torrevento. Tramite l’acquisizione di un semplice codice Qr posto direttamente sull’etichetta, i consumatori potranno conoscere la storia del vino che si apprestano a stappare. My Story consente un’immediata integrazione con i sistemi preesistenti in azienda. Le informazioni sulle caratteristiche e sui processi di produzione sono verificate direttamente da Dnv Gl.

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TECHNOPOLIS PER WOLTERS KLUWER TAX & ACCOUNTING ITALIA

VENDERE INNOVAZIONE La capacità innovativa di Wolters Kluwer Tax & Accounting Italia offre un nuovo orizzonte ai professionisti e alle Pmi. La professione del venditore non è mai stata un’attività di pura relazione: è, al contrario, un mestiere che necessita di formazione continua e anche di capacità “visionarie”. E questo vale anche per l’ambito tecnologico. Lo sa bene Claudio Ferrante, sales director di Wolters Kluwer Tax & Accounting Italia, un professionista che conosce il mestiere della vendita e il mondo dell’IT fin nelle sue più profonde pieghe. “Con la proposizione del software si vendono competenza, conoscenza e soprattutto una visione di un futuro, la visione di quello che sarà la professione”, spiega Ferrante. “La tecnologia, in definitiva, significa performance e la capacità di vedere oltre la contingenza è spesso quella delle sales person che devono far percepire alla clientela dove la professione si svilupperà e come, insieme, affrontare questa evoluzione”. Ferrante tiene molto alla crescita e allo sviluppo professionale e cognitivo della funzione che governa. “Fino agli anni Duemila”, racconta il manager, “l’evoluzione del mercato era vorticosa e le visioni da raccontare e far perseguire molteplici, mentre poi abbiamo vissuto periodi di significative aggregazioni che hanno sicuramente reso forti i brand dominanti, ma che parimenti hanno creato una indubbia massificazione dell’offerta. Per vendere prodotti complessi come il software bisogna crescere con il mercato, bisogna anticipare le necessità e perseguire la creazione del valore”. La crescita di un professionista della vendita in Wolters Kluwer Tax & Accounting Italia è accurata, costante e intensa, caratteristiche necessarie affinché questa attività si trasformi in consulenza. “Dalla trasformazione digitale che ha investito tutto il comparto professionale, ma anche da molti anni quello della piccola e media impresa, siamo entrati nell’evoluzione digitale”, spiega ancora il sales director. “L’evoluzione è ciò che contraddistingue anche le nostre persone della vendita. Ci prepariamo tutti i giorni, in una sorta di formazione permanente, per affiancare i nostri clienti raccontando loro un’innovazione digitale come non se ne vedevano da anni. Genya è un progetto che va davvero oltre, un progetto unico che permette ai professionisti di avere nuovamente visioni di futuro e di prosperità.” 42

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Claudio Ferrante, sales director di Wolters Kluwer Tax & Accounting Italia, Il progetto Genya, paradigma della capacità d’innovazione di Wolters Kluwer Tax & Accounting Italia, è biunivoco perché porta valore sia al cliente sia al fornitore, e perché allo stesso tempo dà una vivace spinta all’evoluzione digitale nel settore dei professionisti. La centralità passa dal prodotto al cliente, mentre l’esperienza dell’utilizzo diventa la linea guida da seguire per far evolvere digitalmente anche la professione. La forza vendite di Wolters Kluwer Tax & Accounting Italia è oggi in grado di offrire la visione di un nuovo mercato. “Ci domandiamo costantemente”, illustra Ferrante, “non solo quale sia per noi, in quanto vendor, la value proposition da offrire, ma anche quale valore i nostri clienti debbano proporre ai loro. Siamo ragionevolmente certi che un professionista non potrà più avere molto spazio in futuro se rimane abbarbicato alla mera esecuzione degli adempimenti tradizionali. La nostra sales force deve sostenere i professionisti rendendo il loro lavoro più redditizio e liberando risorse da destinare alla loro consulenza professionale. Attraverso la nostra preparazione liberiamo quelle competenze per le quali i professionisti hanno studiato e che hanno ottenuto in anni di esperienza, per mettere i propri clienti, le Pmi, nelle condizioni di poter crescere meglio e con più sicurezza.” Studio, preparazione, coinvolgimento, costante accrescimento della propria competenza sono discipline per gli addetti alle vendite di Wolters Kluwer Tax & Accounting Italia. Claudio Ferrante ha e dà motivazioni, forte anche di una squadra di prim’ordine e di un progetto come Genya, che sta riscrivendo il futuro.


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ECCELLENZE.IT | Prt Group

L'ARTE DELLA STAMPA SI TRASFORMA CON IL DIGITALE La storica azienda poligrafica torinese ha acquistato, prima in Italia, una macchina Ricoh che ha permesso di ampliare l'attività e di ridurre i costi.

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a sua storia affonda nella Torino degli anni Venti, operosa città della Fiat, di cui infatti è una costola. Nata nel 1921 come azienda di arti grafiche e di stampa al servizio del costruttore automobilistico, Poligrafico Roggero & Tortia ha attraversato un secolo di innovazioni, riuscendo a conservare l'identità originaria ma anche abbracciando il digitale. Oggi è domiciliata a Beinasco, alle porte del capoluogo, ed è parte di Prt Group, realtà multinazionale da 23,2 milioni di fatturato (nel 2016). Risale agli anni Sessanta il primo “salto” tecnologico, con l'adozione della stampa a modulo continuo, mentre progressivamente all'attività di produzione si è affiancata anche quella di gestione documentale per i propri clienti e, dal 2005, la proposta di software e servizi (sviluppati da una delle società interne al gruppo, Intellidoc). Nel 2012 l'allargamento ai servizi di “hybrid mail” con l'acquisizione della software house creatrice di PostaPronta. Il servizio viene inizialmente venduto solo in Italia, poi anche in Giappone e dallo scorso anno (attraverso Prt America) anche negli Stati Uniti. E oggi, dopo un decennio di vita e aggiornamenti, è diventato un vero e proprio strumento di comunicazione omnicanale e multipiattaforma, per cui si prospettano a breve ulteriori espansioni (come l'attivazione di un chatbot su Facebook Messenger e l'aggiunta del riconoscimento Ocr, la funzione che trasforma l'immagine delle parole in testo). Nello stabilimento di Beinasco, grazie all'opera 44

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di 51 addetti organizzati su tre turni di lavoro, ogni giorno possono essere stampanti più di 8,4 milioni di fogli A4 e imbustati più di un milione di documenti. Già dotata di due linee di stampa tradizionale offset e di macchine per la stampa digitale, l'anno scorso Prt ha allargato la “famiglia” decidendo di acquistare, prima in Italia, una Pro VC60000 di Ricoh: un sistema a getto d'inchiostro a modulo continuo, che promette (e garantisce, a detta del poligrafico) una qualità dell'output paragonabile a quella della tecnologia offset, a fronte però di costi minori e di una maggiore gamma di supporti utilizzabili. La scelta non è casuale, perché il cliente già impiegava altri due sistemi Ricoh per la stampa digitale (IP5000). Caratterizzata da un design modulare, la Pro VC60000 può adattarsi a diverse esigenze d'uso per produrre libri, manuali, brochure, collateral e altri materiali cartacei utili per il marketing e le vendite. E può farlo anche su carta patinata, grazie al modulo opzionale dell'asciugatore. “La stampa offset è ancora importante per noi, ma l'abbiamo affiancata a quella digitale”, sottolinea Riccardo Pesce, amminstratore delegato di Prt Group. “Un punto a

favore della macchia di Ricoh è la capacità di usare supporti di grammature diverse. Stiamo spostando alcuni lavori sulla Pro VC60000 anche perché garantisce qualità costante fin dalla prima stampa e contiamo, nel breve periodo, di poterla usare sempre di più”. LA SOLUZIONE Ricoh Pro VC60000 impiega la tecnologia inkjet per la stampa a modulo continuo, potendo produrre circa 120mila immagini A4 all’ora su carta comune, patinata per offset, trattata e riciclata, con grammatura compresa tra 40 e 250 grammi al metro quadro e larghezza da 165 a 520 millimetri. È possibile personalizzare la configurazione con elementi opzionali, come il modulo di pre-rivestimento (se si usano supporti lucidi patinati), quello di rivestimento antigraffio e antiabrasivo (per proteggere i documenti più importanti) e gli asciugatori (per ridurre i tempi di lavorazione).


ECCELLENZE.IT | Museo Archeologico dell'Alto Adige

LA TECNOLOGIA NON È PIÙ UN “PEZZO DA MUSEO” Il vecchio risponditore automatico è stato sostituito e affiancato a un centralino comprensivo di telefoni fissi, cordless e videocitofoni, targato Wildix. I plus principali? L'integrazione con altre piattaforme già in uso. LA SOLUZIONE Con il secondo intervento di Brennercom è stato installato un centralino Wildix comprensivo di trenta telefoni, tre videocitofoni e un telefono cordless per la cassa. La soluzione permette di effettuare chiamate tramite il sitema di posta elettronica Microsoft Outlook, di configurare l'applicazione per le videoconferenza e di collegare il telefono al videocitofono del museo.

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l suo “ospite” più famoso è Ötzi, una mummia dell’Età del Rame conosciuta come l’Uomo venuto dal Ghiaccio e conservatasi per più di cinquemila anni nei ghiacciai della Val Senales. Ma il Museo Archeologico dell’Alto Adige custodiva anche altri “reperti archeologici”, per così dire, che rallentavano il lavoro quotidiano. Situato in pieno centro cittadino, questo bene appartenente alla Provincia autonoma di Bolzano dà lavoro a una ventina di persone che quotidianamente ricevono telefonate di ogni genere e provenienza. L'anno scorso ci si è resi conto che il risponditore automatico del museo, configurato in varie lingue e collegato a un software non più manutenuto, presentava ormai parecchie limitazioni. Nei mesi estivi sono state valutate le proposte di diversi vendor e la più convicente è stata la soluzione di Wildix, mostrata attraverso una demo nella sede di Brennercom, un fornitore di servizi di Ict e

telecomunicazioni. “Il motivo per cui ho scelto Wildix è stato una combinazione di risultati della demo, referenze e buon rapporto prezzo/prestazioni”, spiega Andrea Battagin, responsabile It del Museo Archeologico dell’Alto Adige e responsabile Rspp dell’Ente Musei Provinciali. Brennercom ha dunque configurato un risponditore Wildix con il centralino esistente, un vecchio Siemens Gigaset, collegandolo agli interni analogici.

L'intervento di aggiornamento tecnologico avrebbe potuto fermarsi qui, ma così non è stato poiché si è poi presentata l'opportunità di coinvolgere nel processo di cambiamento l’intero sistema di telecomunicazioni della struttura: il centralino installato risaliva infatti al 1998, anno di apertura del Museo. In caso di guasti, sarebbe stato molto complicato ricevere un’assistenza efficace. “Avendo già in casa Wildix”, racconta Battagin, “è stato naturale abilitarlo a fare anche da centralino”. Le funzionalità avanzate di integrazione con Outlook e la tecnologia WebRtc oggi aiutano il museo a gestire il flusso delle telefonate, anche nei periodi di picco legati alla concomitanza di particolari mostre. Tra le caratteristiche più apprezzate dallo staff spiccano la semplicità di utilizzo di Wildix , l'integrazione con altre piattaforme già in uso (come la posta elettronica di Outlook) e il collegamento fra telefono e videocitofono per l'accesso all’area tecnica e all’area amministrativa del museo. MAGGIO 2018 |

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ECCELLENZE.IT | Msc Crociere

UN'APP E UN VISORE PER NAVIGARE CON L'IMMAGINAZIONE

Msc Crociere ha sviluppato grazie ad Axed Group un'app mobile che funziona come un configuratore personalizzato e immersivo della vacanza. Bastano un visore Samsung o un cardboard. LA SOLUZIONE L'applicazione MSC360VR può essere fruita attraverso un accessorio cardboard montato su un telefono Android o su un iPhone, oppure attraverso visori standalone di Samsung, come i Gear VR. Si interagisce con quattro gesture per esplorare, lanciare contenuti immersivi e configurare le opzioni di vacanza. Non manca la realtà aumentata: grazie alla funzionalità di riconoscimento planare, si possono attivare contenuti multimediali inquadrando con la videocamera dello smartphone una qualsiasi pagina del catalogo cartaceo. Il video personalizzato viene creato dinamicamente in tempo reale e inviato tramite email.

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avigare con l'immaginazione, ancor prima di imbarcarsi fisicamente su una nave da sogno. Msc Crociere scommette sulla realtà virtuale e aumentata per superare il principale handicap del marketing nel settore turistico: la distanza fra il cliente e il prodotto. Forte di una disponibilità di 20mila camere settimanali, l'anno scorso la società ha fatto viaggiare sulle proprie navi quasi due milioni di passeggeri e per il 2018 punta ai 2,28 milioni. La novità del 2017 era stata l'arricchimento del catalogo cartaceo con elementi interattivi: indossando un visore di tipo cardboard, chi lo sfoglia può ottenere informazioni aggiuntive ed esplorare virtualmente la nave camminando sui ponti ed entrando nei saloni. Quest'anno il passo ulteriore: un “configuratore immersivo”, cioè un sistema di realtà virtuale con cui l'aspirante passeggero può confezionare il proprio viaggio ideale, se-

lezionando itinerari, navi, tipo di camera, servizi e ottenendo in tempo reale informazioni su disponibilità e prezzi per le date prescelte. Un perfetto esempio della logica di personalizzazione che da qualche è anno diventata mantra nel marketing e nelle vendite in ogni settore e che qui si combina con la realtà virtuale. “Non potendo portare tutte le persone sulle nostre navi per fargliele vedere, con la tecnologia portiamo le navi alle persone”, racconta il direttore marketing, Andrea Guanci. “Ci siamo ispirati al film Minory Report, con l'idea non solo di stupire, ma anche di cambiare la user experience di chi prenota una vacanza con noi”. Axed Group ha realizzato ex novo la soluzione appositamente per l'operatore crocieristico. L'utente finale deve solamente indossare dei visori di realtà virtuale, lanciare l'applicazione MSC360VR (scaricabile gratuitamente su App Store, per i dispositivi iOS, e su Google Play per i terminali Android) e imparare soli quattro gesture necessari a interagire con le schermate. Il cliente riceve poi un messaggio di posta elettronica contenente sia il link al preventivo della crociera, sia un video riassuntivo confezionato su misura per lui. Gli agenti di viaggio interessati possono fare richiesta per ricevere la soluzione e disporre quindi una modalità nuova per “raccontare” una proposta di vacanza, associando le informazioni alle emozioni. Due le declinazioni di user experience: il configuratore funziona con qualsiasi visore di tipo cardboard (che Msc fornisce in dotazione alle agenzie) da abbinare a uno smartphone, ma è ottimizzato per i dispositivi di realtà virtuale standalone di Samsung, come i Gear VR. Una terza incarnazione del progetto, su totem interattivi con schermo tattile, troverà presto spazio all'interno di agenzie viaggio e in luoghi pubblici come alcune stazioni della metropolitana milanese.


ECCELLENZE.IT | Tas Group

UNA SOLUZIONE IN “SCATOLA” AI PROBLEMI DELLO STORAGE Tas Group è specializzato in soluzioni tecnologiche per i pagamenti e la monetica. Con la piattaforma hardware e sofware di Infinidat, ha cancellato le precedenti difficoltà di gestione dell'infrastruttura.

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ra i suoi clienti ci sono banche commerciali e centrali in tutta Europa, centri di servizi finanziari, intermediari, ministeri, enti locali e aziende di ogni settore. Clienti accomunati dall'esigenza di usare strumenti all'avanguardia per tutto ciò che è “denaro”, anche digitale. In questo spazio si muove Tas Group, realtà multinazionale con quartiere generale a Roma, specializzata in soluzioni software per la monetica, sistemi di pagamento e strumenti per i mercati finanziari, l'Erp, la gestione del credito e altro ancora. Controllato da Owl Spa, il gruppo opera attraverso diverse società sussidiarie (in Francia, Germania, Spagna, Germania, Stati Uniti e America Latina) ed eroga servizi dai due data center di Sopha Antipolis, la piccola “Silicon Valley” della Costa Azzurra. Le due strutture occupano 200 e 250 metri quadri, contenendo complessivamente 300 rack e seimila macchine virtuali. Una terza sala macchine, con funzioni di disaster recovery geografico, è ospitato a Bologna nella sede di un’azienda partner. Nel tempo, in Tas Group si era creata un’infrastruttura storage frammentata sia dal punto di vista delle tipologie, sia dei marchi di tecnologie impiegate. Gestirla era diventato macchinoso e costoso, se non altro perché servivano competenze specialistiche, di difficile

LA SOLUZIONE Tas Group ha installato un box fisico InfiniBox F2230, con software integrato, all'interno di un nuovo data center. Qui ha trasferito le risorse di storage già in suo possesso, affiancate da macchine nuove. Infinibox gestisce attualmente tutti i data store virtualizzati presenti in azienda, per un totale di circa 200 Vdi (Virtual Desktop Infrastructure), oltre a ospitare i file server e il repository dei backup di altri ambienti. Monitoraggi, aggiornamenti e patch sono eseguiti da remoto dal personale di Infinidat.

reperimento, per ciascuna di queste tecnologie e marchi e per le soluzioni proprietarie. La società si trovava nell'impiccio di dover aggiornare e curare tale infrastruttura spendendo più tempo e soldi del necessario. Il gruppo ha deciso quindi di puntare sull'approccio “software-defined”, quello che applica regole software e automazione per ottimizzare l'uso di hardware commodity, anche eterogeneo. Cercava inoltre una piattaforma che fosse scalabile e potesse supportare diverse applicazioni. “A fianco del classico spazio di archiviazione dati, o file server”, spiega Francesco De Simoni, responsabile external & internal It di Tas Group, “abbiamo necessità di uno spazio estremamente performante per la nostra piattaforma di virtualizzazione, oltre che di spazio aggiuntivo per le operazioni di backup”. La proposta di Infinidat è stata valutata come la migliore per costi, prestazioni e funzionalità. “È stato fatto su alcune applicazioni specifiche un proof-of-concept che ci ha ulteriormente convinto della bontà della soluzione”, racconta Fabrizio Brintazzoli, responsabile sistemi di Tas Group. “In tempi molto brevi siamo andati in produzione, con il supporto del team di prevendita locale di Infinidat”. La piattaforma ha permesso di elevare le prestazioni delle applicazioni lungo tutta l'infrastruttura (soprattutto a livello di file server e per un emulatore di mainframe), di migliorare la user experience e di ridurre l'impegno da dedicare a operazioni di routine. “Abbiamo una console unica rispetto alle dieci che avevamo prima, e il vantaggio in termini di gestione è assolutamente evidente, nell’ordine del 30% di tempo risparmiato per le attività quotidiane”, sottolinea Brintazzoli. MAGGIO 2018 |

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VETRINA HI-TECH

IL FASCINO DEL DIGITALE Al polso, in tasca o appeso al muro di casa, il "gadget" tecnologico esercita sempre un'attrazione fatale per i consumatori di tutte le età e di qualsiasi capacità di spesa. Ecco le ultime novità disponibili sul mercato, a prezzi che vanno da 59 a 15mila euro.

GOPRO HERO GoPro Hero è la nuova action cam a basso costo dell’omonimo produttore. Proposta a 220 euro, non si fa mancare praticamente nessuna delle specifiche delle “sorelle” più blasonate, a eccezione del supporto al 4K. Resistente all’acqua fino a 10 metri, la Hero ha un sensore da 10 megapixel, stabilizzatore video, display tattile da 2 pollici e può essere controllata con la voce.

FUJITSU STYLISTIC V727 Nuovo convertibile per Fujitsu. Lo Stylistic V727 del gruppo giapponese ha un display Wuxga+ (1.920 x 1.280 pixel) da 12,3 pollici e, senza tastiera, pesa 780 grammi. La batteria garantisce un’autonomia di dieci ore. Presente di serie il pennino Wacom Aes, mentre lo slot per la Sim 4G/Lte è opzionale. Lo spazio di archiviazione arriva fino a 1 TB.

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GOOGLE HOME Disponibile per ora nella versione Mini (59 euro) e “classica” (149 euro), il primo altoparlante intelligente di Google permette di dialogare in italiano con il software Assistant per ricevere informazioni meteo, ascoltare il notiziario radio, riprodurre brani musicali e video, tradurre frasi, controllare gli elettrodomestici connessi e molto altro. La variante Maxi sarà commercializzata in un secondo momento.


HUAWEI P20 PRO

Tripla fotocamera Leica, strumenti per la gestione degli scatti in qualsiasi condizione e algoritmi di intelligenza artificiale per riconoscere il contesto: nel corredo dell’ultimo nato della casa cinese, nella versione Pro, c’è lo stato dell’arte della tecnologia fotografica applicata a un telefonino. Lo smartphone è infatti dotato di un sensore Rgb posteriore da 40 megapixel, che fa il paio con quello monocromatico da 20 MP e quello da 8 MP con teleobiettivo e con la novità assoluta della messa a fuoco predittiva in 4D. Il display da 6,1 pollici è senza cornici, il lettore di impronte digitali si combina alla possibilità di sbloccare il telefono con il riconoscimento del volto attraverso la camera frontale da 24 MP. Nel motore opera un processore Kirin 970 con Neural processing unit dedicata, mentre il sistema operativo è Android 8.1 con interfaccia Emui 8.1. Già in vendita anche in Italia, costa 899 euro.

FITBIT VERSA LG W8 Più che un televisore, il nuovo W8 di LG è un oggetto di design. Disponibile nei formati da 65 e 77 pollici, ha uno schermo Oled spesso 2,57 millimetri, impiega un nuovo processore (garanzia di colori più ricchi e profondi) e supporta la piattaforma di intelligenza artificiale AI ThinQ. Il prezzo, però, non è per tutti: costa circa 15mila euro.

È compatibile con smartphone Android, iOs e Windows il nuovo smartwatch di Fitbit. Si chiama Versa e offre quattro giorni di autonomia, monitoraggio continuo del battito cardiaco, applicazioni dedicate al fitness (ma non solo), oltre a permettere di ascoltare musica senza avere con sé il telefono. Il dispositivo è resistente all’acqua fino a 50 metri e costa 200 euro.

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PAROLA DI SOCIAL

IL “PROCESSO” A MARK Il sentiment

La distribuzione di genere

FEMMINE

30%

40%

MASCHI

30% Quali sono state le reazioni degli utenti di Twitter durante le audizioni al Congresso del Ceo di Facebook? Ecco qualche spunto ottenuto dall'ascolto delle conversazioni.

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l 10 e l’11 aprile Mark Zuckerberg, fondatore e amministratore delegato di Facebook, è stato chiamato a rispondere dello scandalo Cambridge Analytica davanti al Congresso degli Stati Uniti. Per quasi dieci ore il giovane miliardario si è sottoposto all’interrogatorio di senatori e deputati che, fra domande più o meno mirate, hanno cercato di capire qualcosa di più sul cosiddetto datagate. Le due audizioni sono state molto seguite anche sui social network, dove sono diventati virali alcuni video dei momenti più peculiari del botta e risposta tra Zuckerberg e i rappresentanti del Congresso. Utilizzando la piattaforma di analisi KPI6 abbiamo monitorato le conversazioni degli utenti italiani su Twitter durante le audizioni, con l’obiettivo di capire le reazioni del pubblico. Ecco, sotto forma di grafici, quello che abbiamo scoperto. 50

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27% 73%

POSITIVO NEGATIVO NEUTRALE

Il pubblico si è diviso fra espressioni positive e negative, segno che il dibattito in Rete è stato acceso.

Il botta e risposta fra il creatore di Facebook e i rappresentanti del Congresso sembra avere interessato molto di più gli uomini.

Campagna #deletefacebook

L’andamento dell’hashtag #deletefacebook, diventato virale allo scoppio dello scandalo. Da notare i nuovi picchi a ridosso delle audizioni.



Una combinazione perfetta FUJITSU Server PRIMERGY e Windows Server 2016

Windows Server: Power your business Iperconvergenza, qualità e affidabilità: i Server PRIMERGY e Windows Server 2016 sono la perfetta combinazione per vincere le sfide del futuro. Cosa stai aspettando? Info: www.fujitsu.com/windowsserver2016 Numero verde: 800 466 820 customerinfo.point@ts.fujitsu.com blog.it.fujitsu.com © Copyright 2017 Fujitsu Technology Solutions Fujitsu, il logo Fujitsu e i marchi Fujitsu sono marchi di fabbrica o marchi registrati di Fujitsu Limited in Giappone e in altri paesi. Altri nomi di società, prodotti e servizi possono essere marchi di fabbrica o marchi registrati dei rispettivi proprietari e il loro uso da parte di terzi per scopi propri può violare i diritti di detti proprietari. I dati tecnici sono soggetti a modifica e la consegna è soggetta a disponibilità. Si esclude qualsiasi responsabilità sulla completezza, l’attualità o la correttezza di dati e illustrazioni. Le denominazioni possono essere marchi e / o diritti d’autore del rispettivo produttore, e il loro utilizzo da parte di terzi per scopi propri può violare i diritti di detto proprietario.

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