Technopolis 23

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NUMERO 23 | SETTEMBRE 2016

Storie di eccellenza e innovazione

la logistica che rispetta l’ambiente Luca Palermo, amministratore delegato di Nexive, racconta come, grazie alle nuove tecnologie di stampa, la società può competere nel settore dell‘e-commerce senza dimenticare la sostenibilità.

retail digitale

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Soluzioni per i negozi reali e virtuali, strumenti per la multicanalità: come cambia il rapporto col cliente.

contenuti 2.0

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La nuova vita dei documenti e le prospettive di crescita del mercato dell'Enterprise Content Management.

speciale ucc

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La Unified Communications and Collaboration è davvero entrata in una nuova fase? I temi caldi sono cloud e integrazione.

Distribuito gratuitamente con “Il Sole 24 ORE”



SOMMARIO Storie di eccellenza e innovazione

N° 23 - SETTEMBRE 2016 Periodico bimestrale registrato presso il Tribunale di Milano al n° 378 del 09/10/2012. Direttore responsabile: Emilio Mango Coordinamento: Gianni Rusconi Hanno collaborato: Alessandro Andriolo, Piero Aprile, Valentina Bernocco, Roberto Bonino, Carlo Fontana, Paolo Galvani, Simone Morandi, Gianluigi Riccio. Progetto grafico: Inventium Srl Foto e illustrazioni: Dollar Photo Club, Istockphoto, Adobe Stock images, Martina Santimone

4 storie di copertina

La logistica che rispetta il verde

9 IN EVIDENZA

Tutte le acrobazie del governo per riformare industria e Pa

Dell-Emc: il gigante dell’It da 70 miliardi di dollari

La nuova vita dell’Erp è distribuita e nella nuvola

L’intervista: Il piano ultrabroadband? Siamo sulla strada giusta

Huawei punta su cloud e architetture aperte

L’opinione: Big Data: il problema irrisolto di come renderli utili

16 SCENARI

Lo shopping nell’era dei Millennials

Totem interattivi e corner tuttofare

La trasformazione passa per la ricerca

La nuova vita dei documenti

25 speciale Unified Communications Obiettivo condivisione

Alla ricerca del modello ideale

Semplicità fa rima con sicurezza e disponibilità

Editore, redazione, pubblicità: Indigo Communication Srl Via Correggio, 48 - 20149 Milano tel: 02 36505844 info@indigocom.it www.indigocom.it Stampa: RDS Webprinting - Arcore © Copyright 2016 Indigo Communication Srl Tutti i diritti di proprietà letteraria e artistica riservati.

33 ECCELLENZE.IT Gruppo Azimut Benetti - Microsoft Gruppo Sea - Lexmark

Chiesi Farmaceutici - Sap

36 italia digitale Tutti insieme, o quasi, per vincere la sfida

Industria 4.0, l’ultima chance? Crowdfunding italiano alla prova di maturità

42 OBBIETTIVO SU Accenture

Il Sole 24 Ore non ha partecipato alla realizzazione di questo periodico e non ha responsabilità per il suo contenuto.

47 VETRINA HI-TECH

Pubblicazione ceduta gratuitamente.

Router veloci, sicuri e multimediali


STORIA DI COPERTINA | Nexive

la logistica che rispetta il verde Approcciando il business delle spedizioni legate all'e-commerce, Nexive ha scelto le soluzioni di stampa Canon a foglio singolo per ampliare il portafoglio di servizi ottimizzando al contempo i consumi.

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ompletare l’offerta abbracciando nuovi settori in forte crescita, come quello dell’ecommerce. Il tutto senza abbandonare la vocazione all’ecosostenibilità che ha guidato le scelte aziendali degli ultimi anni. Questo, in sintesi, lo scopo del progetto iniziato nel 2015, che ha coinvolto i sistemi di stampa dei documenti destinati ad accompagnare le merci vendute tramite e-commerce e affidate a Nexive. “Il progetto è nato a completamento dell’offerta di Nexive Italia sul fronte delle vendite online” racconta Luca Palermo, amministratore delegato della società, “un versante importante perché implicava anche un allarga-

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mento della nostra customer base, che si sarebbe estesa non solo ai clienti business (il nostro riferimento tradizionale) ma anche a quelli consumer. Allo stesso tempo le nostre linee di stampa, avendo raggiunto il ragguardevole volume di 40 milioni di documenti all’anno, necessitavano di un’affidabile soluzione di backup, per poter assicurare la continuità del business anche in caso di malfunzionamenti o manutenzione”. Puntando alla semplificazione degli impianti (razionalizzando tecnologie e fornitori) e alla sostenibilità ambientale, Nexive sceglie Canon, già suo partner sul fronte B2B. Decide quindi di affiancare alle linee di stampa a


modernità e sviluppo sostenibile In forza al Gruppo olandese Postnl, Nexive è il principale operatore postale privato in Italia, diretto concorrente di Poste Italiane. Nata come Tnt Post nel 1998, l’azienda è cresciuta attraverso numerose acquisizioni di agenzie di recapito private, a cui si sono aggiunte altre società di produzione di servizi del settore, tra cui lo storico marchio milanese Rinaldi l’Espresso. Nel 2014 ha deciso di sottolineare la sua vision cambiando nome in Nexive: una piattaforma capace di garantire eccellenza nel recapito

della posta e dell’e-commerce. Oggi l’identità aziendale si rafforza ulteriormente attraverso una nuova strategia basata su valori di modernità, connessione e sviluppo sostenibile, garantendo così all’azienda un importante vantaggio competitivo. Nexive raggiunge l’80% delle famiglie italiane grazie a una rete di quasi 1.300 filiali e più di 7.000 operatori sul territorio. Nel 2015 ha consegnato circa 500 milioni di buste e oltre un milione e mezzo di pacchi in Italia.

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STORIA DI COPERTINA | Nexive

modulo continuo (in particolare la recente Océ Jetstream 3000) due unità di stampa a colori a foglio singolo (Canon Imagepress C800 e Océ Varioprint 6160). “L’introduzione delle nuove soluzioni”, prosegue Palermo, “ci ha aiutati a ottimizzare e a rendere più efficace tutto il sistema di produzione. Ma ci ha soprattutto aperto nuove prospettive di business, portandoci a realizzare uno degli obiettivi strategici che ci eravamo posti: essere la piattaforma postale per eccellenza nell’invio di comunicazioni per l’e-commerce. Naturalmente, la produzione dei documenti cartacei è solo uno dei passi necessari per raggiungere questo obiettivo, che richiede la digitalizzazione completa dell’azienda e del flusso documentale. Un percorso che Nexive ha già intrapreso da tempo”. I vantaggi acquisiti con l’introduzione delle nuove soluzioni non si limitano a una maggiore flessibilità ed efficienza, ma rientrano anche negli ambiti della riduzione dei consumi e della soste-

nibilità ambientale: una strada che Nexive ha deciso strategicamente di percorrere fin dall’inizio della propria avventura in Italia. La produzione a foglio singolo realizzata con le macchine offerte da Canon è, infatti, certificata a “impatto zero”. “In questo contesto di neutralità rispetto alle emissioni di CO2”, dice Palermo, “abbiamo accolto con gran-

de favore la proposta di Canon riguardante il progetto Climate Neutral Printing, una filosofia decisamente allineata con la nostra. Nexive, inoltre, ha ottenuto le certificazioni nell’ambito della qualità e della sostenibilità della carta utilizzata: documenti che verificano, tra l’altro, l’eventuale impiego di clorofluorocarburi”. Emilio Mango

LA SOLUZIONE Il nuovo ambiente di stampa allestito da Nexive comprende una Canon C800 e una Océ Varioprint serie 6000, due soluzioni “cut sheet” a foglio singolo che hanno affiancato altri impianti Canon/Océ già presenti in azienda da tempo (tra cui una recente Océ Jetstream 3000 e una Océ Jetstream 2200, dedicate alla stampa di documenti transazionali). La Canon Imagepress C800 può operare, oltre che su carta comune, anche su supporti patinati e goffrati, su etichette e buste. La risoluzione massima è di 2.400 x 2.400 punti per pollice. La Océ Varioprint 6160, invece, stampa in modalità fronte-retro in un unico passaggio, raggiungendo

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la velocità di 170 pagine A4 al minuto (ma supporta formati fino a 350 x 500). Il tutto, senza emissioni di ozono. Entrambe le soluzioni garan-

tiscono il rispetto dell’ambiente e la sostenibilità sia sotto il profilo dei consumi sia sotto quello dei materiali riciclabili.


Puntiamo sulla multicanalità a impatto zero Con l‘adesione al programma Climate Neutral Printing di Canon e con l‘acquisizione delle nuove soluzioni di stampa, Nexive innova il proprio modello operativo rispettando l‘ambiente.

L

uca Palermo è amministratore delegato di Nexive Italia ed è impegnato in prima persona sia nel raggiungimento degli obiettivi strategici di business, sia nell’implementazione delle politiche di efficienza e sostenibilità ambientale dell’azienda.

Qual è il vostro posizionamento attuale?

Il nostro obiettivo primario è di avere un portafoglio ben bilanciato tra le varie attività, come la consegna di lettere e pacchi, la produzione e l’invio di documenti di marketing e i servizi logistici e di comunicazione per l’e-commerce. Al momento la nostra quota di riferimento nel mercato postale è del 12% e siamo tra i primi tre soggetti nel segmento della stampa di comunicazioni di marketing. L’obiettivo è quello di arrivare a uno share del 20% in tutti i settori dove operiamo. Tradotto in cifre, si tratta di incrementare il fatturato dagli attuali 235 a 340 milioni di euro nell’arco di quattro anni. In quali segmenti state investendo maggiormente?

L’azienda è in continuo divenire, anche perché il dinamismo e la flessibilità sono

Luca Palermo

nel nostro Dna. Uno dei mercati su cui stiamo puntando di più attualmente è quello delle consegne per le grandi realtà dell’e-commerce, ed è proprio questo che ci ha spinto a investire sulle nuove tecnologie di stampa a foglio singolo di Canon. Quali sono i risultati della vostra collaborazione con Canon?

Abbiamo lavorato molto insieme su tecnologie e processi (ad esempio introducendo il getto d’inchiostro, che ci ha aiutati a essere più efficienti e flessibili) ma anche sui principi fondamentali del business. Un modo per aumentare la competitività rimanendo sostenibili è, infatti, quello di trovare nuove strade per fare meglio ciò che si è sempre fatto. Nell’ambito di un processo più generale di digitalizzazione abbiamo, così, cercato di salire nella catena del valore dei nostri clienti, provando a essere presenti già al momento della nascita del documento (sia esso transazionale, di direct marketing o una comunicazione obbli-

gatoria). Operando sia a modulo continuo sia a foglio singolo e sfruttando le nuove capacità di backup che ci consentono di minimizzare i fermi macchina, oggi siamo in grado di accompagnare il mercato italiano nella forte crescita che ci aspettiamo su settori come quello dell’e-commerce, ampliando il nostro parco clienti anche verso il segmento delle aziende medio-piccole. In che modo perseguite i vostri obiettivi di sostenibilità?

Lo facciamo su più fronti, muovendoci sempre nell’ambito delle attività certificate. Sul fronte dell’utilizzo di carte riciclabili e prive di cloro-fluorocarburi (Cfc), su quello dell’acquisto di energia proveniente da fonti rinnovabili, su quello dei consumi di toner e inchiostri, su quello dell’abbattimento (e compensazione) delle emissioni di CO2 e su quello delle best practice aziendali, come ad esempio far utilizzare la bicicletta ai postini quando è possibile. E.M. 7


IDC DIGITAL TRANSFORMATION CONFERENCE 2016

Staying Ahead of the Innovation Curve 29 Settembre | Milano, Centro Svizzero

Scenario Le tecnologie e i processi di un’azienda sono ormai così strettamente legati ai clienti e ai mercati che i confini tra le operazioni interne e l’ecosistema esterno (i clienti appunto ma anche i partner, i concorrenti, i regolatori) stanno rapidamente scomparendo. Per crescere e competere in un mondo sempre più digitale, le aziende dovranno pertanto trasformare e innovare con tecnologie digitali i modelli organizzativi, operazionali e di business. Data la dipendenza di questo processo dall’IT e dalle informazioni aziendali, il CIO giocherà un ruolo importante a fianco e per il business. IDC ritiene che il successo di una trasformazione digitale molto dipenderà infatti dal grado di integrazione, elasticità e sicurezza che l’IT garantirà. Al CIO si chiederà non solo di colmare il gap tra IT e digitale, ma anche un forte ruolo di governance e di innovazione per mantenere allineati i servizi IT alla velocità dei mercati.

Key Words Digital transformation, Customer experience, Customer experience IT (CXIT), CIO/CMO collaboration, IT purchases & funding, Business digitalization, Omnichannel, Cloud, Mobile, Social, Big data, Analytics, IoT.

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PER INFORMAZIONI Nicoletta Puglisi, Senior Conference Manager, IDC Italia npuglisi@idc.com · 02 28457317

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IN EVIDENZA

l’analisi TUTTE LE ACROBAZIE DEL GOVERNO PER RIFORMARE INDUSTRIA E PA Non si è parlato solo di sicurezza, economia e immigrazione nell’incontro post ferragostano nell’isola pontina, incontro che ha visto il premier Matteo Renzi al fianco di Angela Merkel e François Hollande. Pur se marginale rispetto ad altri temi, anche quello della digitalizzazione del sistema Paese ha registrato, a quanto dicono i bene informati, dei passi in avanti. Il capo del governo, insomma, avrebbe messo in atto il piano per ottenere maggiore flessibilità sul deficit pubblico (e quindi maggiori margini operativi: si parla di circa 10 miliardi di euro) in cambio di un pacchetto di riforme da attuare rispetto a cinque direttrici: la riforma costituzionale, gli sgravi fiscali sui premi aziendali per spingere la produttività, l’accelerazione dei processi giudiziari e – per l’appunto – l’innovazione tecnologica del comparto pubblico e di quello industriale. Il “tormentone” del piano Industria 4.0 tiene banco dall’inizio dell’estate. Lo slittamento della sua presentazione a dopo la pausa estiva, annunciato a fine luglio, ha alimentato i cattivi pensieri degli scettici, rimasti tali anche dopo l’insediamento (“in prestito” da Amazon) del nuovo Commissario per l’Italia Digitale, Diego Piacentini. Il piano è stato presentato il 10 settembre (ne parliamo a pag. 38) e subito sono scattate nuove polemiche sulle modalità attraverso le quali verrà implementato. Il ministro per lo Sviluppo Economico, Carlo Calenda, da parte propria è convinto delle bontà delle misure che dovrebbero favorire gli investimenti per la fabbrica smart,

Dal summit di Ventotene una nuova spinta per i progetti che devono far cambiare passo all’Italia. Ma il nodo delle risorse necessarie per finanziare gli investimenti rimane. e tale convinzione va registrata come un punto fermo della questione. Il primo pacchetto di queste misure sarà inserito, non a caso, nella prossima Legge di Stabilità. Il desiderio del titolare del Mise è noto: spingere l’innovazione in chiave 4.0 attraverso un approccio aperto (al mondo della ricerca) e condiviso (in un’ottica di ecosistema), portando le aziende a dotarsi di avanzati strumenti tecnologici per gestire dati, processi, persone e macchine. Il nodo della questione rischia però di essere, sempre e comunque, di natura economica, e quindi legato alle risorse con le quali finanziare i provvedimenti. Gli investimenti che i privati dovrebbero stanziare per abilitare il circolo virtuoso di Industria 4.0 sono stimati in circa otto miliardi di euro annui per il prossimo lustro. Tanti.

Il governo, per tenere fede ai propri impegni sullo smart manufacturing, ha affidato alla Cassa Depositi e Prestiti un ruolo chiave per l’attuazione del piano. Sul tavolo ci sono i fondi (circa 1,5 miliardi di euro) per ampliare il super ammortamento al digitale e il plafond di finanziamenti bancari a tasso agevolato da due miliardi di euro del Fri (Fondo rotativo per il sostegno alle imprese e agli investimenti in ricerca). Il sistema ricalca in parte quello messo in pista per le Pmi e le startup innovative per l’accesso al Fondo di Garanzia e lo schema della Nuova Sabatini per i beni strumentali tradizionali. Come dire: per cambiare faccia al Paese tutte le strade sono buone. Purché non ci si fermi, come spesso capita, a metà del percorso. Gianni Rusconi

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IN EVIDENZA

ESTate calda per le startup

Infor si candida a protagonista nell’ecosistema enterprise, con una strategia centrata sul cloud ed estesa a tutte le industrie verticali. Ecco la ricetta del Ceo.

La nuova vita dell’Erp è distribuita e nella nuvola La stagione degli investimenti e delle acquisizioni (l’ultima della serie, quella della statunitense Starmount), che ha contraddistinto gli ultimi due anni di Infor, è finita. Ora per la società americana, rimasta fra le poche a combattere contro l’egemonia delle multinazionali del software enterprise, è tempo di iniziare a raccogliere i primi frutti di una strategia che punta tutto sul cloud e in modo specifico sul paradigma del SaaS (Software as-a-Service). Il modello è chiaro: sfruttare le capacità di una piattaforma come Amazon Web Services e le caratterizzazioni a livello di design e funzionalità di applicativi destinati a coprire praticamente tutti i segmenti verticali dell’industria, il retail innanzitutto. Charles Phillips, chief executive officer di Infor, ha illustrato questa filosofia davanti ai 14mila partecipanti all’edizione 2016 di Inforum, tenutasi lo scorso luglio a New York. “Le persone, con la loro prossimità a prodotti e servizi, sono un elemento centrale dell’innovazione. E l’innovazione deve essere trasversale alle tecnologie e ai settori”, ha detto il manager. Oggi l’80% dei dati relativi alla supply chain di una grande multinazionale risiede fuori dall’azienda. Per questo si rende necessaria una piattaforma tecnologica centralizzata e basata sul cloud, e per questo si parla di supply 10

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chain intelligente e globale, di un ecosistema popolato da più soggetti (provider di logistica, area acquisti, dipartimenti finanziari) che devono interoperare in modo ottimizzato. “Il commercio globale”, ha sottolineato il Ceo, “richiede un approccio di tipo multi-enterprise Erp, perché i dati della produzione si devono integrare con le informazioni che si generano esternamente all’azienda e l’azienda deve avere tutto il processo sotto controllo, ottimizzando la gestione dell’intero ciclo di vita dei prodotti/ servizi”. Il portafoglio clienti di Infor oggi annovera circa settemila aziende, fra cui realtà come Travis Perkins e Triumph Motorcycle. La ricetta di Phillips abbraccia il dogma della digital transformation, quello basato sulla centralità dell’esperienza utente. E trova negli strumenti di analitycs predittivi, nell’intelligenza artificiale e nel supercalcolo le punte dell’iceberg del proprio modello di innovazione. La scommessa è quella di convincere la ventina e più di mercati verticali a cui Infor si rivolge dei benefici che possono ottenere adottando applicazioni “best of breed”, da configurare attraverso Api (interfacce di programmazione applicativa) che sposino le specifiche esigenze della singola azienda. Gianni Rusconi

È stato un agosto di “spese pazze” quello appena trascorso per alcuni colossi dell’hi-tech, che hanno aperto il portafoglio per rilevare soprattutto tecnologie nel campo dell’intelligenza artificiale. Intel, per esempio, ha acquisito Nervana Systems: azienda fondata nel 2014 a San Diego da ingegneri informatici, esperti di neuroscienza e di intelligenza artificiale. Il cuore della sua offerta è il deep learning, ovvero un campo dell’apprendimento automatico che utilizza algoritmi e schemi di ragionamento gerarchici, strutturati su più livelli. Il valore dell’operazione non è stato comunicato, ma secondo gli analisti si aggirerebbe intorno ai 350 milioni di dollari. Nervana sviluppa algoritmi, mette a disposizione una piattaforma cloud e un framework (Neon) open source e realizza hardware (circuiti integrati Asic). Ma anche Apple non è stata da meno. La Mela ha deciso di uscire dalla California e di risalire la costa fino a Seattle, dove ha sede Turi, startup che offre strumenti per sviluppare app basate sul machine learning e soluzioni per l’integrazione di capacità “intelligenti” all’interno delle applicazioni. L’acquisizione non è mai stata confermata da Apple, ma diverse fonti la danno per certa. Il probabile valore dell’accordo? Circa 200 milioni di dollari.


l’intervista

IL PIANO PER LA Banda ultralarga? siamo sulla strada giusta Tiene banco l’avvio dei lavori per portare la fibra ottica a settemila Comuni italiani. Ecco il punto di vista di chi parteciperà alle gare.

La definizione dei bandi relativi al piano per la banda ultralarga, con l’ufficialità dei candidati alle prime gare per le aree bianche di Abruzzo, Molise, Toscana, Emilia Romagna, Lombardia e Veneto; l’assegno da oltre 800 milioni di euro con cui Enel ha messo le mani su Metroweb; l’accordo stretto a fine luglio da Tim e Fastweb per la costruzione di una rete Ftth (Fiber to the Home) da almeno un Gigabit al secondo. Dopo un’estate movimentata, la vera stagione del broadband si apre ora con l’avvio dei lavori di scavo. Ne parliamo con Federico Protto, amministratore delegato di Retelit.

È possibile che i provider più piccoli siano svantaggiati nelle gare?

E-Via, società di cui Retelit è proprietaria al 100%, parteciperà al primo bando: da quale scenario si parte?

È evidente che andremo a soddisfare nell’immediato una domanda di capacità che non c’è. Ma una prima buona notizia sta nel fatto che, con la posa della fibra, verranno cablati anche i punti antenna del territorio ora scoperto o coperto solo in modo limitato dalla rete mobile 3G e 4G. In secondo luogo è bene ricordare che l’infrastruttura si costruisce con una prospettiva di lungo termine. A suo tempo venne criticata anche l’Autostrada del Sole, poi sappiamo tutti che utilità abbia avuto per lo sviluppo del Paese.

Il 17 ottobre verranno presentate le offerte. E i sei fornitori qualificati (Enel Open Fiber, Fastweb, Metroweb Sviluppo, Tim Agenda Digitale, Estra ed e-Via, ndr) potrebbero in realtà ridursi a solo cinque o quattro entità indipendenti, almeno in alcune Regioni. Si spieghi meglio…

La fusione fra Metroweb ed Enel va nella direzione di ridurre la competizione sul fronte delle infrastrutture, valorizzando la componente servizi. Non essendoci troppi spazi per molti fornitori, anche la joint venture che nasce da Tim e Fastweb, focalizzata sulle opere per le aree A e B non a fallimento di mercato, va considerata come un ulteriore passo in avanti nella razionalizzazione del mercato telco. Ed è un passo positivo per tutti.

Considero Infratel, la società appaltante, una garanzia in fatto di competenze. Le specifiche del bando sono chiare e nel complesso adeguate. Certo, se pensiamo all’endorsement del presidente del Consiglio per Enel Open Fiber e al peso strategico di Tim per l’industria telco italiana, non si possono escludere pressioni governative che possano condizionare una logica di spartizione delle gare che premi i due soggetti principali. C’è il rischio di cablare aree che, per varie ragioni, della banda ultralarga a 100 megabit non sanno oggi che farsene?

È finalmente la volta buona per vedere un progetto di innovazione sostenibile?

Il piano sta rispettando le tappe preventivate, va supportato e condiviso e la definizione del secondo bando ne è una conferma. Tutte le società coinvolte hanno la possibilità di avere una fetta importante di una torta molto grande. E se si eviteranno ricorsi e litigi, come

Federico Protto

è nell’interesse di tutti, credo che gli obiettivi prefissati verranno raggiunti. Che cosa la fa essere così ottimista?

Penso al Decreto Scavi, secondo cui Enel Distribuzione può mettere a disposizione l’infrastruttura a Enel Open Fiber ma deve essere altrettanto disponibile a concederla, e agli stessi costi, anche agli altri operatori. La sinergia fra il business elettrico e quello telco di Enel è caduta, grazie all’intervento dell’Authority dell’energia, ed è un segnale di garanzia di libera concorrenza. Il sottosegretario allo Sviluppo Economico, Giacomelli, ha parlato di un Paese che entro il 2020 avrà “la maggiore penetrazione della Fiber to the Home in Europa”. Entusiasmo giustificabile?

Se i bandi non avranno intoppi... In tre anni è difficile, in cinque potrebbe essere possibile perché siamo nella direzione giusta. Ma in Italia si è scavato poco negli ultimi anni e la capacità di posare e costruire reti si è impoverita. Il gap da recuperare è quindi consistente. Gianni Rusconi

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IN EVIDENZA

al via il gigante dell’it da oltre 70 miliardi di dollari Completata l'acquisizione di Emc da parte di Dell. Nasce la realtà a capitale privato più grande del mercato. Il 7 settembre sarà ricordata come una delle date storiche dell’It, quella in cui si è completata l’acquisizione di Emc da parte di Dell, con la nascita delle due divisioni Dell Technologies e Dell Emc. Naturalmente l’operazione è nota da tempo nei suoi dettagli, come la cifra “monstre” di 67 miliardi di dollari e la sequenza di cessioni di attività che Michael Dell e compagni hanno realizzato per far fronte alle necessità di cassa. Technopolis ha potuto intervistare Adrian McDonald, presidente Emea Enterprise Business di Dell Emc, per capire meglio quali dinamiche avranno luogo a partire dall’annuncio del completamento dell’operazione. Quali sono le aree tecnologiche verso cui convoglierete gli investimenti futuri?

Diciamo intanto che la realtà che abbiamo creato è in grado di generare un fatturato di 74 miliardi di dollari l’anno, e di investirne oltre 4,5 in ricerca e sviluppo. Con queste cifre diventiamo

il primo soggetto privato del mercato It e possiamo avere un forte impatto non solo sul settore, ma sulla società nel suo complesso. Per tornare alla domanda, sicuramente il software è una delle aree dove chiunque operi nel digitale deve concentrare la propria attenzione, ma Dell Technologies e Dell Emc hanno skill e tecnologie in abbondanza in qualunque settore dell’It. Come affronterete il tema dell’iperconvergenza visto che Nutanix, partner di Dell, è in diretta competizione con Emc?

Vogliamo diventare il primo fornitore mondiale di sistemi iperconvergenti. Nutanix ha un ottimo rapporto con Dell e questo rapporto proseguirà. Così come non si interromperanno le partnership con le aziende che erogano servizi e soluzioni utili ai clienti. Noi siamo una società di tecnologia e siamo focalizzati sui clienti, la nostra priorità sono loro, e a loro daremo la più ampia scelta possibile di infrastrutture e soluzioni.

IL 5G PASSA DA TORINO

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Adrian McDonald

Ci sono, in Emea, mercati che vedranno una crescita più rapida di altri?

Alcuni Paesi dell’Est Europa e dell’Africa hanno ovviamente migliori prospettive di crescita, ma io mi concentrerei sul fatto che da oggi i grandi clienti di Emc nei settori della finanza, della Pubblica Amministrazione e del retail potranno provare la tecnologia Dell, e che le tante medie imprese, soprattutto in Italia, che si sono affidate a Dell potranno accedere all’alta tecnologia di Emc. È questo il fattore di crescita più importante della nuova realtà nata ufficialmente oggi. Emilio Mango Il successo del 5G passa anche dalla corretta trasmissione delle cosiddette onde millimetriche. Ecco perché Tim ha deciso di inaugurare a Torino, nel suo TiLab, il “millimeter Wave Lab” (mmW) per effettuare sperimentazioni su questa tecnologia chiave per le future reti ultraveloci. L’operatore, primo in Europa a dotarsi di un laboratorio di questo genere, cercherà di individuare le migliori soluzioni per incrementare la capacità delle reti mobili e la velocità massima di trasmissione, anche fino a decine di Gbit/s.


SAMSUNG E ANDROID “PADRONI” DELL’ITALIA MOBILE Nel “regno” italiano degli smartphone dominano Samsung e Android. L’azienda sudcoreana è infatti il primo vendor con il 42,4% di quote di mercato, mentre il robottino verde è il sistema operativo più diffuso (69,5% di market share). I dati sono di ComScore e sono relativi allo scorso maggio. Secondo la società di ricerca, sono oltre trenta milioni gli italiani in possesso di un cellulare smart, numero pari a un

tasso di penetrazione del 68,7%. Dopo Samsung, i due marchi più diffusi sono Apple (17,7%) e Nokia/Lumia (8,9%). Ma i tre sul podio devono guardarsi le spalle: è stata Huawei a crescere più di tutti in termini di presenza sul mercato, totalizzando un aumento delle quote di ben 140 punti percentuali nel giro di un anno. Il modello di smartphone più acquistato a maggio dagli italiani è stato

proprio il Huawei P8 (6,7%). Quasi quattro consumatori su cinque (19,2%) hanno speso oltre 400 euro per comprare un nuovo dispositivo, mentre la seconda fascia più popolare è stata quella tra i 170 e i 249 euro (18,6%). Il 54,4% dei consumatori ha optato per modelli con schermo compreso tra i 5 e i 6 pollici, che favoriscono la fruizione di video e foto: l’anno scorso questo dato si fermava al 27,9%.

HUAWEI sempre più collaborativa e sul cloud La divisione enterprise del colosso cinese prosegue nella strategia che vede protagoniste le soluzioni sulla nuvola e le architetture aperte. Forte di una leadership che si incrementa in tutti i tre settori di mercato in cui opera (consumer, enterprise e reti per telecomunicazioni), Huawei prosegue nella definizione e nell’implementazione delle proprie strategie globali. Sul fronte enterprise, in particolare, il colosso cinese, dopo aver costruito il proprio portafoglio di soluzioni infrastrutturali (server, storage e networking), sta puntando con decisione ai nuovi modelli sia di business sia di architetture Ict, in particolare al cloud e agli open standard. “Entro il 2025 tutte le imprese saranno in cloud”, ha detto Ken Hu, deputy chairman of the board di Huawei, nel corso di uno dei numerosi interventi che hanno caratterizzato l’evento mondiale Huawei Connect, tenutosi a Shanghai a fine agosto, “e questo significa che tutti, clienti e fornitori, dovranno ripensare il proprio business, le proprie infrastrutture e i propri talenti”. I pilastri su cui si basa la strategia di Huawei per il cloud sono sostanzialmente tre: l’approccio “customer

Ken Hu

centric”, la focalizzazione sulle infrastrutture (anche se a Shanghai sono state illustrate numerose partnership di calibro mondiale con operatori di telecomunicazioni per l’erogazione di servizi di cloud computing) e l’attenzione alla ricerca e sviluppo, per essere parte attiva nel cambiamento portato dalle architetture nelle nuvole. Questa nuova visione protagonistica e collaborativa, forse l’elemento più importante della recente strategia di Huawei, si riflette anche sugli sforzi che la multinazionale sta facendo per contribuire al mondo degli open system, l’altro tassello fondamentale sul

mercato enterprise. Una delle ricadute di questa focalizzazione, ad esempio, è l’apertura agli standard Openstack di Fusionstorage 6.0, la nuova versione del software Huawei che consente la realizzazione di sistemi di archiviazione distribuiti e che porta dritta ad architetture storage in cloud. Anche il nuovo Agile Controller 3.0, un altro degli annunci fatti a Shanghai, sposa la filosofia della scalabilità e dell’apertura a tutti gli standard e a tutti gli scenari (campus aziendali, data center, Wan e Iot), in nome della nuova rotta tracciata dal management Huawei.

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IN EVIDENZA

LA MEMORIA DELLA STAMPA 3D

I DATi corrONO velocI Acronis ha siglato un accordo pluriennale con la Scuderia Toro Rosso per prevenire la perdita di informazioni. Che in Formula 1 può costare molto cara. Duecento gigabyte di dati al giorno, 700 nel weekend di gara. Per vettura, quindi da moltiplicare per due. È questa la mole di dati che una squadra di Formula 1 come la Scuderia Toro Rosso deve gestire in tempo reale scambiandola con la sede di Faenza. E in più ci sono tutti i dati raccolti nelle fasi di sviluppo e test. “In Formula 1 la componente più importante è il tempo”, dice Franz Tost, team principal di Scuderia Toro Rosso, “e quando si perdono dati serve tempo per recuperarli”. Ormai la tecnologia è arrivata a un punto talmente elevato che sviluppare una macchina competitiva senza raccogliere e analizzare dati di ogni tipo è impensabile. Per questo la Scuderia ha stretto una collaborazione strategica pluriennale con Acronis, società specializzata nella protezione e nel backup dei dati. Non si tratta di un mero accordo commerciale: “Ora che abbiamo un

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progetto a lungo termine in comune, non vediamo l’ora di iniziare a lavorare con Acronis, non solo per quanto riguarda la sponsorizzazione, ma anche in termini di adozione dei suoi prodotti per la protezione dei dati all’interno del nostro stabilimento e della Scuderia”, ha detto Tost. “Le squadre corsa sono molto efficienti nell’utilizzare i dati raccolti per innovazioni rapide e per lo sviluppo di nuove tecnologie,” ha aggiunto Serguei Beloussov, fondatore e Ceo di Acronis. “Gareggeremo al fianco della Scuderia Toro Rosso in pista e fuori, perfezionando la nostra tecnologia per fornire i migliori prodotti ai nostri partner e clienti in modo altrettanto efficiente”. Beloussov si è detto convinto che il lavoro insieme a Toro Rosso arricchirà la società di nuove esperienze, che permetteranno di portare innovazioni anche sui prodotti destinati ad aziende e privati. Tost ha poi ricordato un episodio passato, in cui la Scuderia Toro Rosso aveva perso i dati relativi a una giornata di test: “Un incidente di questo genere può valere in pista anche due o tre decimi di secondo sulla prestazione della vettura, e per recuperare quei dati ci è voluta una settimana e mezzo. Questo non deve più accadere”. Paolo Galvani

Passi avanti per la stampa 3D. I ricercatori del Mit hanno annunciato un nuovo processo produttivo che, basandosi sulla micro stereolitografia, consente di ottenere oggetti dotati di “memoria” capaci di modellarsi in automatico a seconda della temperatura. Questa tecnica permette di formare microstrutture a tre dimensioni solidificando un liquido, strato dopo strato. Gli scienziati hanno sfruttato un polimero in grado di indurirsi o ammorbidirsi al variare dei parametri della temperatura, ma non solo: gli oggetti stampati possono anche “ricordare” il proprio stato originario e tornare alla forma di partenza in pochi secondi. Una scoperta che apre nuovi scenari soprattutto nel campo medico: in futuro si potrebbero produrre farmaci che rilascino i principi attivi solo al raggiungimento di certe condizioni, come una temperatura corporea elevata.

MERCATO IT DA 2.700 MILIARDI Nel 2020 la spesa per l’It varrà 2.700 miliardi di dollari, crescendo così di circa 300 miliardi rispetto al 2016. Parola di Idc, che ha sottolineato come i servizi finanziari, il comparto manifatturiero, l’healthcare e le telecomunicazioni saranno i principali elementi trainanti del settore grazie a massicci investimenti nella cosiddetta “terza piattaforma, che unisce cloud, mobilità e Big Data. Insieme, i quattro segmenti genereranno circa un terzo della spesa It da qui al 2020. Considerando la dimensione delle aziende, oltre il 45% del fatturato globale verrà generato dalle realtà con oltre mille dipendenti, mentre le Pmi assommeranno un quarto del totale.


l’opinione

Big Data: Il problema irrisolto di come renderli VERAMENTE utili Spesso le aziende si limitano a soluzioni di reportistica e poco altro. La principale complessità? Riuscire a estrarre informazioni di valore.

Da circa tre anni le aziende stanno investendo intensamente nei Big Data. Dobbiamo però riconoscere che siamo in presenza di risultati piuttosto deludenti. Molti analisti pensano seriamente ci sia il rischio che questo mercato, uno dei più promettenti in ambito Ict degli ultimi 20 anni, stia per crollare nella fase di disillusione e perdita di interesse. Matt Turk, uno dei più influenti analisti del settore, nel suo ultimo rapporto annuale (il “2016 Big Data Landscape”) lo afferma chiaramente e considera che, per rispondere alla domanda globale di innovazione digitale sostenibile, si dovrebbe senz’altro continuare a puntare sui grandi dati ma a condizione che l’offerta maturi urgentemente e porti risultati tangibili. Da una parte i clienti, gli investitori e gli imprenditori hanno ancora voglia di investire nei Big Data, dall’altra bisogna comprendere che si pretendono risultati a breve termine. Che cosa è successo? Senza voler apparire arrogante, ritengo che gli americani, storicamente maestri nel creare nuovi mercati, con i Big Data abbiano individuato correttamente l’opportunità di business commettendo però alcuni gravi errori. La domanda di Big Data è globale ma non lo è l’offerta. Provo a spiegare meglio il concetto. La domanda è certamente globale perché i dati sono ovunque anche se la maggior parte, il 90% secondo Idc, è oscura e non strutturata. L’offerta è invece caratterizzata da strumenti e piattaforme software prevalentemente made in Usa.

Gianluigi Riccio

La selezione 2016 di CioReview delle cento aziende Big Data più innovative, per esempio, riporta 75 prodotti statunitensi (di cui una buona fetta è di chiara provenienza indo- pakistana), nove prodotti che vengono dall’Asia, due dall’America Latina ed altrettanti dall’Oceania ed 11 dalla vecchia Europa (di cui un paio dall’Italia). Oltre a Gartner, che per chiari motivi riporta una quasi totale presenza statunitense, anche altre selezioni secondarie dimostrano che l’offerta americana è inflazionata. In pratica l’utente finale, e quindi l’azienda, si deve aspettare di essere visitato da un country manager o da un rivenditore di una multinazionale a stelle e strisce interessato a vendere licenze o sottoscrizioni, non a risolvere il suo problema. La questione, entrando nel merito della tematica, sembra non essere più “che cosa sono i Big Data?” bensì “che cosa ce ne facciamo dei dati?”. È indubbio che i processi di caricamento – che con le architetture classiche di data warehouse duravano ore – ora si risolvono

in minuti e che non è più necessario acquistare costose licenze di software di data management professionali. È altrettanto vero che la reportistica in tempo reale è disintermediata e che cruscotti composti da istogrammi e torte dinamiche sono ragionevolmente fattibili. Insomma, si riesce a far entrare i dati in un bidone e a metterli anche online. I problemi iniziano quando si vogliono estrarre informazioni utili da questi dati. Il rischio (e molti lo avranno appreso a loro discapito) è quello di vedere il system integrator di turno che con 300-500mila euro a silos mette i dati a posto in un database open source o proprietario per abilitare un po’ di reportistica. I dati, per concludere, sono ovunque e potenzialmente potrebbero costituire un valore, ma mancano le competenze per sfruttarli a dovere. Nuove prospettive si aprono per quelle entità che comprenderanno la necessità di acquisire conoscenze e che accetteranno e faranno accettare i seguenti vincoli: il tempo per il set-up di un prototipo di banca dati può essere ragionevolmente breve, ma bisogna educare gli interlocutori ai lunghi tempi necessari alla costituzione di una banca dati profittevole e scalabile; le tecniche di data science vanno contestualizzate nel dominio e nel processo in cui vengono usate per evitare costosi e inutili esercizi accademici; bisogna tener presente, infine, che non è possibile pensare di operare sui dati senza avere a priori idee strutturate su come sfruttarli. Gianluigi Riccio Ceo di Datonix

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SCENARI | Digital retail & omnichannel

I nati nel mondo occidentale fra i primi anni Ottanta e la fine dei Novanta desiderano un’esperienza di acquisto senza soluzione di continuità fra diversi dispositivi e canali di contatto. Lo svela una ricerca di Accenture. Gli operatori al dettaglio sono pronti?

LO SHOPPING NELL’ERA DEI Millennials

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ella nostra recente analisi “Retail Consumer Research 2016” emerge come i Millennials manifestino abitudini di consumo e atteggiamenti meno prevedibili di quanto si pensi, riflettendo tendenze socioeconomiche, istruzione ed educazione ricevute nel corso della propria crescita. Tuttavia un dato è certo: con l’aumento del potere di spesa dei Millennials, gli operatori al dettaglio devono prestare la giusta attenzione a queste abitudini e atteggiamenti e valutare come rispondere alle esigenze di tale categoria di consumatori. La tecnologia digitale è il naturale punto di partenza. Nati fra il 1980 e il 2000, i Millennials sono cresciuti con le tecnologie digitali e non c’è da sorprendersi, quindi, se a livello mondia16

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le oltre la metà di loro trova comodo e normale fare acquisti da un dispositivo mobile, rispetto a poco più di un terzo dei Baby Boomers. Per conquistare la loro fedeltà, i retailer devono creare una piattaforma di shopping digitale che fornisca un’esperienza senza soluzione di continuità fra diversi dispositivi e occasioni di consumo. Big Data dispensatori di consigli

I Millennials sono più disponibili a ricevere consigli rispetto ai consumatori più maturi. Ciò emerge soprattutto dall’opinione espressa su alcune iniziative di personalizzazione del servizio sviluppate dagli operatori al dettaglio. Abbiamo chiesto loro di immaginare che il commesso di un negozio di bricolage offrisse soluzioni per decorare la

Simone Morandi

casa in linea con gli acquisti effettuati in precedenza o di avere la possibilità, durante l’acquisto online di un nuovo tablet, di ricevere in tempo reale un


potrà acquistare. Anche i primi vogliono avere questa possibilità, seppur in misura minore (si fermano al 44%). Al contrario il 30% dei Millennials prevede di effettuare maggiori acquisti nei negozi in futuro, dato superiore al 19% dei Baby Boomers. Esperienza digitale ed esperienza sul punto vendita confermano entrambe la loro importanza in maniera trasversale rispetto alla variabile generazionale. È per questo che fisico e digitale sono sempre più un tutt’uno e la loro equazione è la vera chiave di successo sui Millennials. La consegna, fattore critico di scelta

I Millennials dimostrano coscienza dell’uso che si può fare dei loro dati. Sta ai retailer trovare il modo migliore per utilizzarli nell’esperienza di acquisto

raffronto delle funzionalità del nuovo prodotto rispetto a quello attualmente in possesso. L’esito? I Millennials si dichiarano ben disposti a ricevere consigli formulati in base ai dati, mentre i Baby Boomers manifestano una certa insofferenza, preferendo guardare e comprare senza interruzioni. I Millennials dimostrano quindi coscienza e conoscenza dell’impiego che si può fare dei loro dati: sta ora ai retailer trovare la modalità migliore per l’uso degli stessi nell’esperienza di acquisto. Appurare che i Millennials usano sempre più i canali digitali non dovrebbe essere sorprendente. Oltre la metà dei Baby Boomers (il 54%) vorrebbe verificare online se un prodotto è disponibile prima di recarsi al negozio dove lo

Si è scritto tanto sulle sfide che i retailer devono affrontare per rispondere alla richiesta di metodi di consegna flessibili. Il fenomeno ha carattere globale e anche in casa nostra ci sono dei segnali: tra i più recenti l’accordo tra Amazon e i supermercati Unes e NaturaSì per la consegna dei loro prodotti. In pratica un operatore nativo digitale come Amazon andrà a occuparsi della logistica delle spedizioni. Questo avviene perché la consegna flessibile presenta alcune sfide tecnologiche e operative ed è importante per i retailer seguire tale direzione, stringendo collaborazioni o dotandosi delle competenze necessarie. Man mano che i Millennials diventano finanziariamente più solidi, è prevedibile che tali sfide diverranno ancora più complesse. Quelli citati sono solo alcuni degli impatti che i consumatori digitali under-35 avranno sul retail negli anni a venire. Per gli operatori più all’avanguardia sarà interessante vedere come cambieranno le abitudini di spesa della generazione successiva a quella dei Millennials, e cioè la Generazione Z (i nati dopo il 2000). Continueranno sulla strada del digitale o ritorneranno al mondo analogico dei loro padri e nonni? Una cosa è certa: il negozio è ancora importante. Simone Morandi, managing director grocery lead di Accenture

un sarto PER ABITI SU MISURA Quando si parla di “approccio sartoriale” in riferimento ai nuovi modelli di vendita resi possibili dalla tecnologia, non sempre si tratta di una metafora. Un esempio concreto di questa sintesi – da un lato la customizzazione, dall’altro lo shopping senza mediazione del commercio elettronico – è Lanieri, un produttore di abbigliamento maschile il cui pezzo forte sono le camicie. L’azienda biellese offre al cliente la possibilità di creare l’acquisto perfetto per le proprie forme e il proprio gusto estetico. Grazie a un configuratore online si può confezionare passo passo il proprio capo, stabilendo il modello e la misura e scegliendo fra un vasto campionario di tessuti, fodere, tasche, polsini e altri dettagli (le combinazioni possibili sono più di dieci milioni). Chi preferisce toccare con mano può ordinare un kit di tessuti di esempio (il cui costo è poi rimborsato sul primo acquisto) o visitare uno degli atelier di Roma, Milano, Torino e Zurigo. “Vogliamo offrire online il meglio della sartoria Made in Italy”, sintetizza Simone Maggi, Ceo e cofondatore di Lanieri, “e rendere l’esperienza di acquisto sempre più simile a quella in negozio”. In questo modello di omnicanalità c’è lo zampino di Reply: la software house torinese, attraverso la sua divisione Protocube, ha realizzato il configuratore integrando tecnologie di simulazione e resa dei tessuti in 3D, appoggiando la soluzione sul cloud e rendendola utilizzabile agevolmente anche da dispositivo mobile. V.B.

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SCENARI | Digital retail & omnichannel

TOTEM INTERATTIVI E CORNER TUTTOFARE La relazione con il cliente si costruisce anche attraverso interfacce digitali di nuova generazione. Gli esempi di Deutsche Bank e l'Oréal Professional e le sperimentazioni di alcuni centri commerciali.

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ino al passato recente, i totem e i corner multimediali si limitavano a compiti di informazione o intrattenimento: grandi schermi, magari touch, installati in centri commerciali, stazioni, aeroporti e altri luoghi frequentati, in cui trasmettere a ripetizione comunicazioni pubblicitarie. Oggi questi strumenti sono diventati interattivi e hanno allargato le loro capacità, sia che si tratti di intrattenimento sia di veri e propri ser-

vizi. Lo scorso luglio Deutsche Bank Easy (divisione di Deutsche Bank che offre soluzioni bancarie e finanziarie di base) ha inaugurato a Palermo un corner da cui i clienti possono svolgere operazioni bancarie e assicurative, o in modalità totalmente self service oppure richiedendo il supporto di un assistente in collegamento video (Video Relazione). Il corner palermitano è collocato nella sede della Legione 12° Battaglione Carabinieri Sicilia, mentre


una precedente sperimentazione era stata condotta lo scorso anno in un grande centro commerciale lombardo. Deutsche Bank si è rivolta a Underline per la realizzazione dell’hardware e al system integrator Phonetica per la progettazione, lo sviluppo e la gestione del servizio di Video Relazione. Una tecnologia, spiega Silvia Parmigiani, general manager di Phonetica, “basata su una piattaforma di collaborazione in cloud facilmente integrabile con sistemi di terze parti e in grado di mettere in comunicazione un terminale video con un operatore collegato in remoto”. Un secondo recente progetto del system integrator lombardo trova spazio ad Arese, nel centro commerciale più grande di Europa di fresca inaugurazione: chi, tra gli scaffali, si imbatte nei prodotti per la manutenzione dell’auto di Arexons può richiedere una consulenza all’istante attraverso una videochiamata. In un altro luogo dello shopping, il centro commerciale Montefiore di Cesena, la soluzione Sportello Facile di Phonetica consente di contattare un dipendente del Comune e ricevere assistenza per sbrigare pratiche, richiedere certificati e altre operazioni. “Una recente ricerca di Accenture ha sottolineato come gli utenti vogliano un servizio a 360 gradi, che comprenda assistenza digitale e vis-a-vis, online e offline”, rimarca Parmigiani. Più ludica, ma non meno tecnologicamente sofisticata, è la soluzione di digital signage realizzata da Reply per i parrucchieri della catena L’Oréal Professional. Sui grandi schermi dei saloni scorrono video pubblicitari personalizzati in base all’assortimento di prodotti in vendita nel singolo esercizio. Fra uno shampoo e una posa del colore, da un totem interattivo i clienti possono trovare informazioni sugli articoli e poi, prima di andare via, scattare e stampare una fotografia della propria acconciatura appena fatta. Valentina Bernocco

FLEX SHOPPING: RETAILER ITALIANI LENTI I negozi devono rinnovarsi in tre aree chiave della logistica per essere competitivi a livello transfrontaliero. È una delle indicazioni emerse dalla studio “Pulse of the Omni-channel Retailer” condotto da Ups agli inizi del 2016 su un campione di oltre 700 aziende al dettaglio europee, di cui 100 italiane. Tra le sfide che i retailer devono affrontare per adattare attività e processi alle esigenze dei consumatori digitali spicca il bisogno di innovazione, finalizzato a mantenere o accrescere la propria quota di mercato in un settore che sta assumendo una dimensione sempre più globale ed è dominato da player che effettuano vendite “cross border”. Oltre il 30% dei dirigenti intervistati ha affermato di dover superare grandi difficoltà per effettuare i necessari investimenti a livello di sistemi It, organizzazione logi-

stica, comprensione del comportamento dei consumatori e migrazione verso una gestione più rispondente agli approcci omnicanale. Per riorganizzare le supply chain in funzione delle abitudini di chi spesso e volentieri compra online, i cosiddetti “flex shopper” (acquirenti flessibili), i retailer devono considerare principalmente tre aspetti: i negozi fisici, l’esaurimento dei prodotti e i resi transfrontalieri. Guardando nello specifico agli operatori italiani, il 21% ha espresso l’intenzione di utilizzare network di negozi fisici o luoghi di ritiro alternativi nei prossimi uno o due anni per offrire una maggiore comodità di raccolta ai clienti che ordinano online. Il dato è il più piccolo a livello europeo, la cui la media è del 31%. I Paesi Bassi sono i più virtuosi: qui la percentuale sale al 40%. P.A.

Robot intelligenti e chiacchieroni

utenti preferisce usare le chat per ottenere rapidamente informazioni piuttosto che cercarle su un sito o su un’app. Affinché l’interazione con il chatbot, cioè con il “robot parlante”, sia senza intoppi, le software house specializzate in sistemi di riconoscimento vocale stanno sviluppando tecnologie di comprensione del linguaggio naturale basate su algoritmi di apprendimento automatico. Quella di Nuance si chiama Nina e ha già aiutato Swedbank Group (il primo gruppo bancario in Svezia, Estonia, Lettonia e Lituania) a gestire nei primi tre mesi dall’adozione del software circa 90mila conversazioni e a risolvere al primo contatto il 78% delle richieste

L’intelligenza artificiale è una delle tendenze tecnologiche più forti del momento – vi stanno investendo massicciamente Google, Facebook, Microsoft, Apple, Amazon e Ibm nonché una delle più trasversali. Un settore di applicazione è il customer service, in particolare per quanto riguarda le chat: dall’altra parte della “finestrella” che compare su siti di e-commerce e di banche, operatori telco e fornitori di servizi c’è, sempre più spesso, un’assistente virtuale. Una recente indagine condotta a livello globale da Nuance Communications ci dice che l’89% degli

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SCENARI | Digital retail & omnichannel

Il consumatore è il nuovo boss, impariamo ad accontentarlo Assecondare le aspettative del cliente preservando i profitti è la sfida da vincere per gli attori del retail, travolti dal “modello Amazon”. Ne parliamo con Jda, software house specializzata in soluzioni per il commercio.

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o scettro del potere oggi è saldo nelle mani del consumatore. Ne è sicuro Razat Gaurav, executive vice president, general manager e chief revenue officer di Jda. La software house di Scottsdale, Arizona, propone soluzioni per la vendita, il marketing, la logistica, la gestione della supply chain a oltre quattromila aziende clienti, fra cui multinazionali attive in Italia come Luxottica, Safilo, StMicroelectronics e Fiat Chrysler Automobiles.

Come sta cambiando il mondo retail?

Il consumatore sta diventando il “boss”. Oggi i clienti vogliono avere sotto controllo tutti i canali, dai negozi fisici all’online, e spostarsi da uno all’altro senza interruzioni. Magari fanno ricerche sul Web, poi vanno ad acquistare in negozio e poi chiedono la consegna a domicilio. Di conseguenza i retailer stanno cercando di capire che cosa significhi questo per le loro attività e come soddisfare le aspettative dei clienti riuscendo anche a generare profitto. Un bilanciamento difficile. Sta anche cambiando il ruolo del negozio, che non è più solo un luogo di vendita ma di esperienza. E cambia, infine, la logistica: per un ordine online bisogna capire da dove far partire la consegna, se dal magazzino, dal negozio o dalla sede del fornitore. C’è

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poi un elemento di scenario che possiamo chiamare “effetto Amazon”, un operatore che vanta cinque milioni di oggetti nel suo inventario e una catena di distribuzione che permette di soddisfare le consegne in pochi giorni od ore. Amazon fa tutto questo senza preoccuparsi troppo di essere profittevole e per gli altri retailer, spinti dalla motivazione del profitto, competere su queste basi sta diventando molto difficile. Razat Gaurav Quale modus operandi prevale?

Per molti retailer la trasformazione inizia dagli aspetti visibili, come le interazioni nei negozi e il front end del commercio elettronico. Gli investimenti in tali ambiti non mancano, mentre credo che un aspetto sottovalutato da molti sia riuscire a collegare tutto questo alla gestione della supply chain e a farlo in modo profittevole. Osserviamo ancora mancanze nelle operazioni di logistica e supply chain, scarsa integrazione e un metodo di lavoro “a silos”.

mercato; dall’altro quelli nuovi, che arrivano dai tweet, dai social media e per alcuni settori anche da fonti come meteo e bollettini sul traffico. Non è però la quantità di dati a rendere più o meno competitiva un’azienda, bensì l’utilizzo che se ne fa. Bisogna concentrarsi non solo sulla raccolta dei dati, ma sulla loro analisi, sulla separazione del “rumore” dalle informazioni rilevanti.

Qualche esempio di corretta strategia?

Oggi si parla molto di intelligenza artificiale: i possibili impatti?

Bisogna dare priorità al cambiamento. Alcuni retailer storicamente legati ai prodotti stanno proponendo anche servizi: negli Stati Uniti, per esempio, BestBuy associa alla vendita di elettronica di consumo anche servizi di installazione a domicilio. In generale, l’adozione dell’approccio omnicanale è più avanzata nei settori della tecnologia, della moda e fashion, mentre l’agroalimentare è piuttosto indietro. Va poi detto che tutti i retailer oggi dispongono di grandi quantità di dati: da un lato quelli tradizionali, provenienti dalle vendite, dai programmi fedeltà, dall’inventario, dall’andamento del

Con il machine learning si può trarre valore molto rapidamente dai flussi di dati non strutturati. La nostra divisione R&D, Jda Labs, ha creato algoritmi di previsione della domanda e utilizza alcuni prodotti di intelligenza artificiale sul cloud per sviluppare applicazioni. Un esempio è Retail.me Assortment Planning, una soluzione per la pianificazione dell’assortimento sulla base di fonti di dati tradizionali e nuovi che vengono analizzati con il machine learning. C’è una complessità di fondo, ma soluzioni come questa devono essere facili da usare. Valentina Bernocco


SCENARI | Digital transformation

La trasformazione passa per la ricerca A colloquio con Tsuneo Nakata, presidente dei laboratori europei di Fujitsu, per capire come passare da un‘offerta basata sui prodotti a una focalizzata sui servizi. Nel segno dell’intelligenza artificiale.

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ujitsu appartiene al lotto di aziende tecnologiche che hanno una solida tradizione da preservare, ma sono anche chiamate oggi ad affrontare il grande tema della trasformazione digitale. In questo solco, l’annuale tappa milanese del World Tour è servita soprattutto per segnare una linea di passaggio inevitabile, dall’immagine di fornitore di prodotti a quella di erogatore di servizi di nuova generazione. Uno sguardo sul futuro arriva da un colloquio con Tsuneo Nakata, presidente dei laboratori europei di Fujitsu.

Fra i progetti attualmente in sviluppo nei vostri laboratori, quali hanno la maggior probabilità di tradursi a breve in qualcosa di concreto per il mercato?

Stiamo effettivamente evolvendo da una tradizione orientata ai prodotti verso un presente e un futuro molto più sbilanciato verso i servizi. I laboratori però esistono da cinquant’anni e si portano dietro una tradizione concentrata sui prodotti. Quindi dobbiamo cambiare anche internamente per andare in direzione delle soluzioni, soprattutto in Europa. Le aree su cui stiamo lavorando di più oggi sono quelle dell’in-

Tsuneo Nakata

telligenza artificiale e della sicurezza. Di intelligenza artificiale si parlava già negli anni Ottanta, poi il tema è finito un po’ nel dimenticatoio e ora sta tornando d’attualità. Quali sono le differenze tra vecchia e nuova concezione?

La risposta più semplice sta nel fatto che oggi possiamo gestire i Big Data. Ormai siamo in grado di sviluppare un progetto e di sapere in ogni momento quello che sta accadendo. Per comprenderlo, dobbiamo isolare un insieme di informazioni e analizzarle. I Big Data ci consentono di lavorare su set molto più ampi e, quindi, di capire più cose. Il passo successivo sarà emulare l’intuizione e l’ispirazione umana, sempre utilizzando le stesse capacità di analisi. È abbastanza facile capire quale sia il ruolo di un centro di ricerca per un’azienda di hardware o software. Per una società di servizi, come sta diventando Fujitsu, quale sarà il vostro apporto?

La ricerca si può orientare verso la tecnologia, come avviene nella tradizione, oppure verso le soluzioni. Nel 2012, in Europa c’era un orientamento totalmen-

te tecnologico; io ho indicato che occorreva cambiare questo atteggiamento. Nella vecchia accezione, si lavorava su cicli di tre o cinque anni, con roadmap delineate, prototipi e aggiustamenti successivi, mentre nella ricerca orientata ai servizi non si può andare oltre un anno di progetto e procedere per successive iterazioni. Qual è il tempo medio che intercorre fra lo sviluppo di un progetto e la disponibilità della soluzione finale? Può farci un esempio concreto di qualcosa che i vostri laboratori hanno ideato e oggi è pronta per il mercato?

È difficile indicare un tempo medio adeguato a ogni sviluppo, perché dipende da quanto il mercato sia pronto ad accoglierlo. Posso citare High Street, una soluzione di supervisione finanziaria, che aggrega diverse tipologie di dati e offre indicatori specifici agli operatori del settore. Abbiamo creato un prototipo in pochi mesi per mostrarlo a potenziali clienti in Europa, Giappone e Stati Uniti, ottenendo interesse e fornendo suggerimenti per migliorare la soluzione. Roberto Bonino 21


SCENARI | Enterprise Content Management

LA NUOVA VITA DEI DOCUMENTI Il mercato delle soluzioni Ecm è destinato a raddoppiare entro i prossimi cinque anni. I driver della domanda? Processi più snelli e maggiore sicurezza dei contenuti.

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on l’avvento della cosiddetta “terza piattaforma”, e quindi l’insieme caratterizzato dalle informazioni provenienti dai social media, dal mobile, dal cloud e dagli analytics, il mercato dell’Enterprise Content Management (Ecm) è entrato in una nuova fase. Che presenta maggiori complessità. Le aziende devono fare affidamento su questi sistemi per estrarre e raggruppare dati sempre più critici, originati da fonti completamente differenti tra loro. Si parla di documenti strutturati e non strutturati quali immagini, file di testo, e-mail, contenuti reperiti sul Web e molto altro, che vanno archiviati e gestiti dando agli utenti la possibilità di effettuare ricerche e condivisioni sia all’interno sia all’esterno dell’azienda. La mole di informazioni prodotta quotidianamente nel mondo sta aiutando in modo sostanziale questo segmento di mercato a crescere sempre più. Secondo le rilevazioni più recenti di Markets and Markets, le soluzioni Ecm svilupperanno un giro d’affari di 28,1 miliardi di dollari nel 2016 per arrivare a toccare quota 66,3 miliardi nel 2021. Il tasso di crescita annuale composto nel quinquennio sarà di circa 18,7 punti percentuali e i servizi adibiti alla gestione dei flussi di lavoro saranno quelli segnati dall’incremento maggiore. Per la società di ricerca, i principali driver che guideranno questa scalata saranno tre: la necessità per le aziende di snellire i processi di business, la possibilità 22

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di assicurarsi un utilizzo ottimale delle risorse e il bisogno di gestire i contenuti in modo sempre più sicuro. Ad oggi le soluzioni on-premise rappresentano ancora la maggior parte delle implementazioni di sistemi Ecm in azienda, in quanto riducono notevolmente i tempi di risposta e di elaborazione delle query. Per un’implementazione effettiva e su larga scala delle applicazioni di content management in cloud sembra, quindi, che si dovrà aspettare. Secondo l’ultimo Quadrante Magico di Gartner, i singoli servizi delle soluzioni Ecm che peseranno di più (per il 20%) saranno quelli di gestione documentale e di supporto ai processi di business. Seguiranno le applicazioni per l’elaborazione delle immagini, dei contenuti social e componenti aggiuntivi come le app mobili (15%), la gestione dei record per scopi di archiviazione (10%) e infine l’elaborazione dei contenuti Web (5%). Nel 2016 l’America del Nord registrerà le quote di mercato più elevate, mentre nel quinquennio 2016-2021 sarà l’area Asia-Pacifico a vantare i ritmi di crescita maggiori, diventando una zona “calda” per i vendor di soluzioni Ecm. La regione europea, sottolineano gli analisti di Markets and Markets, rappresenterà a sua volta un altro mercato molto profittevole e uno dei principali fronti di battaglia per i principali attori di questo settore, che sono attualmente Emc, Ibm, Microsoft, Oracle, Opentext, Alfresco, Hyland, Lexmark, Newgen e Xerox. Alessandro Andriolo


IN CLOUD E SNELLO: L’ECM SECONDO EMC Destrutturare le “classiche” soluzioni di Enterprise Content Management monolitiche per dare alle aziende flessibilità, velocità di implementazione e ritorni d’investimento tangibili. È questo l’obiettivo della divisione Enterprise Content Division di Emc, che ha scelto di rifondare, di fatto, la propria offerta partendo dalle due nuove soluzioni presentate durante l’ultimo Emc World di Las Vegas. Parliamo di Leap e Infoarchive 4.0. La prima è un pacchetto di applicativi nativi nel cloud che permette un’esperienza di content management di classe enterprise, affiancata però a un utilizzo molto intuitivo. Ogni singolo modulo di Leap è stato progettato specificatamente per assolvere un solo compito in modo diretto e semplice. Infoarchive 4.0 è invece una piattaforma unificata e scalabile che fornisce visibilità sulle fonti di dati (strutturati e non strutturati) e sulle relative dipendenze. Il tutto in un’architettura unica, che elimina i vari silos delle soluzioni precedenti. “L’obiettivo di Emc è quello di aiutare le aziende a prelevare le informazioni che servono e a inserirle in ambienti conformi, oltre che a chiudere definitivamente i conti con il passato. Questo significa nessun costo di infrastruttura né di mantenimento, oltre a competenze ridotte al minimo”, spiega Chris McLaughlin, chief marketing officer, Enterprise Content Division del colosso statunitense, ormai pronto per essere assorbito da Dell. “I sistemi Ecm tradizionali sono progettati attorno a un singolo repository on-premise e monolitico: bisogna trovare risposte che vadano oltre”, aggiunge il manager di Emc. Che si dice convinto di un’altra ten-

denza in atto: “Oggi non è più pensabile organizzare una piattaforma di questo genere. Innanzitutto perché c’è il cloud, che permette di pagare solo in base a quello che serve, e in secondo luogo perché gli utenti vogliono un accesso ai dati in mobilità, con servizi facili da utilizzare”. Uno dei servizi più intuitivi di Leap, Snap, consente non a caso di acquisire contenuti analogici non strutturati trasformandoli in informazioni digitali. Alla base dell’applicazione si trova una tecnologia di riconoscimento avanzato, che permette di acquisire, classificare e organizzare i documenti in modo automatico e in tempo reale. Semplicità, quindi, senza però rinunciare mai alla sicurezza. “I dati devono essere sempre protetti anche in fase di transizione”, chiarisce ancora McLaughlin. “Anche da e verso repository di terze parti con cui i nostri strumenti sono in grado di collegarsi, senza nessun rischio di lock-in. Con Infoarchive 4.0 si possono impostare regole di retention differenti su singole informazioni all’interno di un dataset, opzione non disponibile con la maggior parte delle attuali soluzioni di archiviazione”. A.A.

Chris McLaughlin

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TECHNOPOLIS PER BROTHER

MOBILE PRINTING: LA STAMPA SI MUOVE CON NOI

L’agilità di servizio di chi lavora “sul campo” passa anche da un’efficace strategia di stampa. Per metterla a punto, Brother offre il meglio delle soluzioni mobile. La diffusione pervasiva dei dispositivi mobili è sotto gli occhi di tutti e rappresenta un fenomeno inarrestabile tanto in ambito privato quanto nel business. All’interno dei contesti aziendali sono, infatti, sempre più numerosi i dipendenti dotati di terminali smart in grado di garantire la produttività del personale ovunque si trovi: una recente fotografia scattata da Idc ha conteggiato in Italia oltre 12 milioni di “mobile worker” (numero pari al 55% dell’attuale forza lavoro), stimandone una crescita fino a 17 milioni entro il 2018. Un esercito di lavoratori dotaDA BROTHER LA RIVOLUZIONE TERMICA POCKETJET

Le PJ serie-7 sono stampanti portatili termiche estremamente compatte, che offrono soluzioni di stampa mobile 24

to di soluzioni capaci di ottimizzare la catena del valore attraverso processi che, in ogni loro nuova declinazione, fanno comunque mantenere l’esigenza di produrre documenti cartacei. Che svolga un’attività in campo oppure operi presso la sede di più clienti (magari usando un dispositivo personale), il mobile worker deve, infatti, poter disporre sempre di tutti i documenti di cui ha bisogno (fatture, offerte, rapporti), appoggiandosi a un ufficio mobile capace di aumentarne la produttività anche attraverso soluzioni di stampa intelligenti, piccole ma nello stesso tempo robuste. Notebook, smartphone e tablet utilizzati “in-field” richiedono, infatti, dispositivi di stampa leggeri ma durevoli, soprattutto se impiegati in settori come l’assistenza, le vendite, la logistica, la pubblica sicurezza e i servizi di emergenza. In tutti questi casi, oltre a peso, compattezza e capacità di stampa A4 (fondamentale per produrre fatture, contratti, rapporti di servizio e bolle), un’importante caratteristica da non sottovalutare è anche l’impiego di una tecnologia in grado di azzerare l’impatto delle temperature e delle condizioni ambientali. Come la stampa termica diretta, capace di garantire la leggibilità dei documenti fino a cinque anni, indispensabile per le certificazioni. Producendo le immagini attraverso il semplice riscaldamento di una speciale carta termica, le stampanti basate su questa tecnologia non sono solo in grado di liberare i mobile worker da toner e cartucce, ma possono essere anche montate ovunque e con qualsiasi orientamento, senza rischiare perdite o macchie nel trasporto. Insensibili alle variazioni di temperatura, rappresentano senza dubbio la soluzione ideale per chi cerca un piccolo, ma robusto dispositivo di stampa mobile da tenere sempre nella propria autovettura. robuste e durevoli per applicazioni “sul campo” in settori come vendite/assistenza, logistica e pubblica sicurezza/servizi di emergenza. Disponibili in vari modelli, queste stampanti sono dotate di connettività Bluetooth, Usb e MFi per collegamenti diretti a smartphone, tablet e notebook. Piccole e leggere, le PJ serie-7 possono essere trasportate nella ventiquattrore, nella custodia del portatile o montate in auto con un apposito kit. Grazie al supporto della stampa A4, sono ideali per produrre documenti con informazioni dettagliate, come fatture, rapporti di servizio e bolle di consegna.


SPECIALE | Unified Communications & Collaboration

OBIETTIVO CONDIVISIONE La tecnologia abilita il ridisegno dei workplace, ma la vera rivoluzione verso un ambiente di collaborazione aperto è a livello organizzativo. E per le Pmi è una sfida da vincere subito.

U

n mercato ormai maturo, che presenta ritmi di crescita rallentati rispetto a qualche anno fa e che, di conseguenza, impone ai vendor meno performanti contrazioni di fatturato anche significative. Quello delle Unified Communications and Collaboration (Ucc) è un mondo in cui muoversi è diventato più complesso e questa complessità si riflette anche nell’operatività dei decisori aziendali chiamati a scegliere le soluzioni più congegnali per le rispettive organizzazioni. In termini quantitativi stiamo parlando di un comparto che, stando alle proiezioni di Grand View Research, arriverà a generare un giro d’affari di oltre 75 miliardi di dollari su scala globale entro il 2020, cresendo dai circa 36 miliardi consolidati nel 2015. A stimolare la domanda contribuiranno diversi elementi, dalla sempre più

massiccia diffusione del fenomeno Byod (bring your own device) alla tendenza sempre più marcata a integrare in un’unica piattaforma le diverse applicazioni di comunicazione disponibili, passando per i nuovi modelli di utilizzo dei software in modalità “as-a-service”. Per delineare meglio gli sviluppi dell’Ucc in Italia abbiamo parlato con Elena Vaciago, associate research manager per The Innovation Group. Perché, stando a dati recenti, le soluzioni Ucc sono diffuse solo in una Pmi su tre?

Queste piattaforme possono migliorare la condivisione di informazioni in organizzazioni distribuite perché permettono di accedere da qualsiasi punto, in qualsiasi momento, ad ambienti di collaborazione sincroni come l’instant messaging o asincroni come l’email, il calendario e gli archivi condivisi in cloud. Abilitare

i gruppi a lavorare insieme “sulla stessa pagina”, attraverso una semplice interfaccia Web e utilizzando applicazioni di document management che si integrano facilmente con gli strumenti standard di produttività desktop, ha impatti notevoli sulla produttività del business. Si pensi alla riduzione dei costi legati a viaggi o telefonate e alla compressione dei tempi necessari a portare a termine i progetti. È chiaro che il massimo del potenziale delle soluzioni di Unified Communications and Collaboration si estrinseca in organizzazioni medio grandi, caratterizzate da complessità, numerosi processi e necessità di collegare tra loro molte persone, sia in ufficio sia da remoto. Nelle Pmi gli stessi ambienti stanno cominciando a diffondersi in modo spontaneo, facendo leva soprattutto sulla familiarità che nasce dall’uso personale di strumenti di messaggistica istantanea o di videSETTEMBRE 2016 |

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SPECIALE | Unified Communications & Collaboration

oconferenza e che solo successivamente trovano applicazione in contesti aziendali strutturati. Da qui si comprende l’importanza che ha acquisito il tema della mobility nel mondo Ucc grazie all’uso oggi generalizzato di app mobili e smartphone, soprattutto per soluzioni di collaborazione come WhatsApp, Skype, Google Mail o Google Drive, e all’uso dei device personali nei contesti lavorativi. Anche nelle grandi aziende, dove la penetrazione è quasi totale, se ne fa un uso maturo sono in pochi casi: perché?

Nelle grandi organizzazioni un utilizzo maturo dell’Ucc è conseguenza di un cambiamento culturale e dell’adozione di nuove prassi operative molto più aperte alla collaborazione e alla condivisione della conoscenza con colleghi e con altre aree funzionali. La tecnologia oggi abilita e promuove questi concetti, che sono alla base del ripensamento dei workplace. Tuttavia non sempre l’innovazione è accompagnata da un analogo ammodernamento dell’organizzazione interna. Quali sono le applicazioni più diffuse?

Una volta gli ambienti di collaborazione aziendale si riducevano a sessioni di video

o audio-conferenza di bassa qualità, divenendo spesso più un dispendio di tempo che un vero supporto. Considerando tutte le possibili soluzioni Ucc oggi disponibili, dalle chat di gruppo alle videoconferenze fino al project management, è evidente che la parte del leone in termini di consumo va a telefonia, mail, instant messaging e condivisione di file su portali aziendali. Sono però in grande crescita, grazie ai costi sempre più contenuti e a portata di Pmi, le sessioni di Web conference e gli ambienti social di classe enterprise come Microsoft Yammer. Anche strumenti che nati per un uso personale, come Skype, Twitter e Facebook, trovano impiego in ambito aziendale. Sempre più utenti cercano ambienti di collaborazione capaci di mettere a disposizione in modo integrato queste funzioni, comprendendo come ogni strumento abbia un utilizzo ottimale in un certo contesto. L’Ucc in mobilità è la nuova frontiera?

Il mercato evolverà in modo radicale nei prossimi anni, sulla spinta della disponibilità di collegamenti mobili in banda larga e grazie all’adozione del modello cloud per l’erogazione di servizi a costi

più contenuti. Il mobile, per le soluzioni Ucc, è la conseguenza naturale di un’evoluzione che coinvolge tutti gli ambienti enterprise e che nello specifico porterà su smartphone e tablet gli aspetti di produttività collaborativa. Partendo da quelli più legati alla voce per arrivare a chat, presenza, audio conferenza, oltre che a un insieme di nuove soluzioni di collaborazione promosse da un ecosistema di app mobili innovative. Gli unici limiti di questo progresso sono costituiti dalla disponibilità di banda su rete mobile e dal consumo dati richiesto, e quindi dei costi. Per questo è importante che le aziende si attrezzino per poter supportare un’evoluzione che sarà sempre più obbligata nei prossimi anni. Il modello di implementazione e fruizione ideale è la nuvola?

Il cloud offre la possibilità di rivoluzionare l’erogazione di questi servizi su mobile, riducendo le spese Capex per hardware e software oltre che i costi per l’implementazione e per l’integrazione di complessi progetti Ict. E rappresenta quindi un elemento molto favorevole per la diffusione di queste opportunità nelle Pmi. Piero Aprile

Collaborazione unificate e smart workplace in banca Le banche italiane sono particolarmente attente ad aspetti come la collaborazione cross funzionale e l’innovazione del workplace tramite strumenti che agevolano produttività, creatività, apprendimento continuo e orientamento al cliente. In situazioni caratterizzate da elevata complessità organizzativa, gli strumenti Ucc facilitano l’abbattimento di barriere e l’adozione di approcci più collaborativi ed efficaci. Processi come l’erogazione del credito sono un classico esempio di come le piattaforme di comunicazione unificata possano aiutare la banca a fornire

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risposte in tempi più brevi, elevando la soddisfazione del cliente. Si tratta di procedure complesse, che richiedono l’interazione di soggetti diversi (dalla filiale al back office) e diversi passaggi approvativi tra uffici differenti. La condivisione di file e comunicazioni in tempo reale aiutano quindi, e in modo considerevole, a semplificare i passaggi riducendo i colli di bottiglia, abilitando un migliore team working nella banca e aprendo, in prospettiva, canali di comunicazione più efficaci verso i clienti. La trasformazione digitale in banca, indispensabile per rivedere in chiave innovati-

va l’organizzazione, i processi interni e il workplace, sta avvenendo a ritmi sostenuti. Permangono però numerose sfide per le banche, riguardanti non solo il recupero di profittabilità e la gestione del rischio, ma sempre più la competizione con nuovi player (gli Over the top e le aziende del fintech) che non devono sopportare stringenti e costosi requisiti regolatori. Il futuro delle banche sarà al centro dei lavori del Banking Summit 2016 di The Innovation Group, in programma il prossimo 22 settembre a Milano.

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SPECIALE | Unified Communications & Collaboration

alla ricerca del modello Ideale

I vendor hanno opinioni discordanti su quale sia l'approccio migliore: per alcuni l'erogazione tramite cloud è preferibile, per altri è meglio l'on-premise. Si discute, inoltre, sul grado di interoperabilità raggiunto dalle diverse soluzioni.

“F

ino a qualche tempo fa per Unified Communications and Collaboration si intendeva una soluzione in grado di abilitare comunicazioni punto-a-punto e collaborazione multimodale di gruppo attraverso voce, messaggistica istantanea, email e video, in un contesto di presenza, identificazione e disponibilità. Ma oggi le cose sono cambiate. Oltre a queste caratteristiche la Ucc moderna è standardizzata, nel senso che adotta open standard per interoperare con i più diffusi sistemi di vendor concorrenti, ed è integrabile con

le applicazioni e i processi di business”. Michele Dalmazzoni, collaboration & business outcomes leader di Cisco Italia, sottolinea subito uno dei tre aspetti principali delle soluzioni Ucc di nuova generazione: l’apertura, che permette di utilizzare un’interfaccia utente unica per accedere a diverse funzionalità di comunicazione e collaborazione, interagendo con interlocutori che utilizzano sistemi di altri vendor. Il concetto è evidente nel caso delle soluzioni basate su WebRtc, tecnologia open source che consente ai browser di comunicare e di scambiare audio, video e file tramite Api scritte

in linguaggio Javascript. “L’adozione di standard facilita l’integrazione delle soluzioni Ucc on-premise con il mondo cloud, verso il quale, in un futuro sempre più vicino, si migrerà. Il nostro team di sviluppo continua a innovare in questa direzione con soluzioni basate su cloud come Spark e toolkit per gli sviluppatori, come Tropo”, aggiunge Dalmazzoni. La nuvola può essere considerata il secondo punto cardine per un’offerta di comunicazione e collaborazione unificata di nuova concezione, un “orizzonte” verso cui più o meno tutti i nomi del settore stanno già guardando. SETTEMBRE 2016 |

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FABIO FREGI - GOOGLE

diverse di cui tenere conto”. Sulla questione si esprime anche Andrea Recupero, system engineer voice, South Emea di Polycom, secondo cui “oggi è assolutamente importante la convergenza attraverso piattaforme unificate, in modo da aumentare la produttività e l’efficienza aziendale, semplificare il lavoro del chief information officer, ridurre i costi e agevolare al contempo il processo di trasformazione digitale. Il consolidamento è sicuramente in atto, anche se molte realtà non hanno ancora raggiunto appieno la convergenza; diverse aziende, sia piccole sia mediograndi, soltanto oggi stanno realizzando progetti pilota per verificare benefici, costi e fattibilità”. Molto è cambiato anche dal punto di vista dell’hardware: gli hub delle sale riunioni hanno dovuto fronteggiare la diffusione degli smartphone e delle logiche imposte dal Byod (Bring your own device). I cellulari intelligenti, chiarisce Stefano Osler, Ceo di Wildix, “stanno diventando il dispositivo principale per tutte le comunicazioni personali, compresa l’Ucc, e l’introduzione in iOs 10 delle Api Callkit, che permettono

ANDREA RECUPERO - POLYCOM

LORIS SARETTA - 3CX

Interoperabilità, per alcuni ancora un miraggio

Comunque la si pensi, è indubbio che il ruolo delle architetture sulla nuvola sia sempre più rilevante. Ma anche in questo caso è d’obbligo l’interoperabilità, sia a livello di infrastrutture cloud,

DAVIDE SEMINARIO - IBM

sia a livello di singole applicazioni. “I clienti scelgono le soluzioni che meglio rispondono alle specifiche esigenze e pretendono che i provider non impongano loro limitazioni o chiusure”, puntualizza Alberto Lugetti, head of portfolio di Bt Italia, azienda che ha intrapreso da tempo un percorso a livello infrastrutturale per la realizzazione di un ecosistema cloud interoperabile e privo di lock-in. “Per i singoli servizi la nostra strategia di portfolio vede invece nell’interoperabilità uno dei prerequisiti”, spiega ancora Lugetti. Il terzo elemento fondamentale di un’offerta Ucc all’avanguardia è proprio la possibilità di integrare tecnologie diverse fra loro, arrivando così a piattaforme hardware e software unificate, che soddisfino esigenze differenti in un prodotto singolo. “La tendenza alla piattaforma unificata ha toccato il suo apice qualche anno fa, sull’onda della convergenza tecnologica tra voce, video e dati”, dice Seminario di Ibm Italia. “Ultimamente ci si è, però, resi conto che tale modello non deve portare a servizi indifferenziati: i ‘profili’ degli utenti sono differenti e hanno esigenze

MICHELE DALMAZZONI - CISCO

“Di recente l’offerta Skype for Business si è arricchita con l’introduzione di alcune funzionalità, tra cui il Cloud Pbx, che permette di eliminare il centralino telefonico fisico, semplificando la gestione e diminuendo i costi di manutenzione”, spiega Francesco Falco, product manager di Skype for Business di Microsoft Italia. La funzionalità di Meeting Broadcast permette invece di creare riunioni online coinvolgendo migliaia di utenti in contemporanea. È evidente che lo sviluppo di tutte le nuove funzionalità è rivolto verso il cloud”. A luglio l’azienda di Redmond ha iniziato le procedure per spostare tutto il proprio servizio di Ucc da un’architettura peer-to-peer a una basata interamente sulla nuvola. Il processo verrà gradualmente completato nei prossimi mesi. E una trasformazione similare è stata intrapresa anche da Ibm. “Da quest’anno tutti i nostri servizi collaborativi a livello mondiale, basati su Verse e Connections, risiedono sul cloud pubblico”, commenta in proposito Davide Seminario, responsabile dei Mobility Services di Ibm Italia. “D’altronde fonia e conference call, email, liste contatti, calendari e chat sono tutti esempi di strumenti fruibili da qualsiasi tipo di dispositivo e utilizzati in cloud sempre più di frequente”. C’è, per contro, chi sottolinea come la nuvola non sia la “formula di erogazione ideale per l’Ucc, bensì una delle possibili varianti operative. Migrare al cloud è una scelta dettata primariamente dai costi, meno da offerte di funzionalità particolari, altrimenti non fruibili”. L’analisi, critica ma del tutto realistica, è di Loris Saretta, regional sales manager Italy and Malta di 3Cx.

PAOLA PERNIGOTTI - ALE

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l’integrazione nell’interfaccia di iPhone delle chiamate VoIp, va esattamente in questa direzione”. Il manager rimane però critico sul punto dell’interoperabilità, che “di fatto non esiste. Si riescono a integrare le funzioni di chiamata base, ma tutte quelle un po’ più ricche di contenuti e interattività sono spesso incompatibili, per cui ad oggi la scelta migliore è ancora il fornitore unico. L’Ucc si sta specializzando nella comunicazione in tempo reale, mentre tutto quello che non lo è sta migrando verso piattaforme di collaborazione che comprendono email, calendari e documenti. Per cui le due ‘c’ di Ucc sono al momento separate. Le offerte che tentano di unirle non hanno molto successo perché richiedono troppi compromessi su uno dei due componenti. Al momento è preferibile ancora scegliere due piattaforme, una per la comunicazione e una per la collaborazione”. Secondo Paola Pernigotti, marketing director, South Europe Middle East and Africa di Alcatel-Lucent Enterprise (Ale), “l’unificazione dell’offerta consente comunque di semplificare l’esperienza utente”. La società, in

STEFANO OSLER - WILDIX

Negli ultimi cinque anni oltre trenta aziende specializzate nel campo dell’intelligenza artificiale sono state rilevate dai colossi dell’hi-tech. Tra i player più attivi risulta Google, con ben nove acquisizioni (secondo i dati raccolti da Cb Insights). Le tecnologie di intelligenza artificiale sviluppate dal colosso di Mountain View, grazie evidentemente anche alle conoscenze assorbite tramite le diverse acquisizioni, sono già state implementate in diversi prodotti di comunicazione e collaborazione. Basti pensare per esempio alla funzione Smart Reply che, unitamente a una batteria di filtri antispam e antivirus intelligenti, sfrutta funzioni di machine learning per ottimizzare il servizio offerto dal programma di posta elettronica Gmail. Nel campo dell’Ucc, in futuro, come spiega Fabio Fregi, country manager di Google for Work in Italia, “altri aspetti innovativi lato software verranno proprio dal machine learning, un settore di grande investimento per Google e che offre già risultati concreti sia nell’analisi dati e nelle Api, sia per gli aspetti di collaborazione e condivisione che si concretizzano nell’email e nei calendari”. Alla base di Smart Reply, che propone una scelta di possibili risposte ai messaggi, è presente la tecnologia Tensorflow, un sistema avanzato di intelligenza artificiale, altamente scalabile, capace di funzionare su un singolo smartphone così come su migliaia di computer all’interno di un data center.

ALBERTO LUGETTI - BT

L’UCC “ARTIFICIALE” DI GOOGLE

quest’ottica, ha presentato una nuova soluzione in cloud denominata Rainbow, che permette di creare gruppi di utenti indipendentemente dal prodotto di comunicazione utilizzato: una vera e propria piattaforma relazionale in grado di connettere persone, sistemi e oggett, oltre a offrire ovviamente i classici servizi di unified communication. Guardando invece al prossimo futuro, lo scenario che tratteggia Pernigotti è così sintetizzabile: “Probabilmente l’aspetto che più cambierà sarà l’esperienza d’uso delle soluzioni di Ucc, con un coinvolgimento emozionale maggiore durante le sessioni di collaborazione tra le persone”. Alessandro Andriolo 29


SPECIALE | Unified Communications & Collaboration

SEMPLICITÀ FA RIMA CON SICUREZZA E DISPONIBILITÀ Offrire una transizione senza intoppi fra diversi sistemi di comunicazione, garantendo massima frubilità anche da mobile. Ecco l‘imperativo delle soluzioni Ucc. Ferma restando la facilità d'uso.

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S

econdo uno studio promosso a marzo 2016 da Bluejeans Network, l’85% dei dipendenti su un campione di circa quattromila addetti fra Europa e Stati Uniti considera i contenuti video come una parte costante della propria vita quotidiana. Ovviamente anche in ufficio. Ma soltanto il 28% degli intervistati pensa che i datori di lavoro incoraggino abbastanza i dipendenti a utilizzare questa forma di comunicazione anche per mettersi in contatto con i colleghi. La possibilità di effettuare videochiamate si trova senza dubbio al cuore dei sistemi di Unified Communications e Collaboration che si stanno evolvendo a un ritmo molto rapido per rispondere a un mercato del lavoro sempre più

indirizzato al paradigma dell’agilità. “La telefonia VoIp e le videoconferenze sono tra le applicazioni più popolari”, spiega in proposito Loris Saretta, regional sales manager Italy and Malta di 3Cx. “L’adozione di soluzioni Ucc è però rallentata anche dalla resistenza degli impiegati, la metà dei quali, secondo uno studio di Softchoice, le trova frustranti e non le utilizza”. Ecco quindi che una delle prime caratteristiche di un sistema Ucc di qualità è quella di poter offrire una transizione senza intoppi tra diversi tipi di comunicazione, oltre alla massima fruibilità delle funzioni anche da mobile. “L’avanzamento lato software sarà fondamentale per garantire una maggior semplicità di installazione, manutenzione e gestione”, aggiunge Saretta, che sottolinea SETTEMBRE 2016 |

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come con Phone System versione 15, l’ultima release della soluzione Pbx di 3Cx, l’azienda abbia compiuto “grandi passi avanti” proprio in direzione della facilità d’uso. “Gli applicativi devono essere disponibili ovunque e in modo sicuro”, commenta Alberto Lugetti, head of portfolio di Bt Italia. E con una ben definita finalità, quella di garantire la partecipazione di un dipendente a una conferenza anche dall’esterno della sede aziendale. “Video e Web conference offrono inoltre la possibilità di effettuare registrazioni e raccogliere statistiche dettagliate sui partecipanti”, aggiunge il manager, che assicura come Bt metta a disposizione delle aziende soluzioni di bridging per la realizzazione di eventi pianificati o immediati, in grado di porre in comunicazione sistemi e dispositivi diversi insieme a strumenti di gestione e monitoraggio delle conferenze. Lo scoglio dell’interfaccia utente

La promessa di facilità si scontra però spesso e volentieri con la cruda realtà, almeno per Stefano Osler, Ceo di Wildix. “La maggior parte delle of-

ferte di Ucc è rappresentata da sistemi telefonici ‘sotto steroidi’. La funzione telefonica è garantita e anche di alto livello, ma tutta la componente di comunicazione unificata è invece di difficile utilizzo. Quello che blocca il meccanismo è l’interfaccia utente, con specifiche che esistono solo sulla carta e che nella pratica non possono essere implementate per questioni tecniche o di usabilità”. Entrano poi in gioco altri elementi fondamentali, come la sicurezza e l’affidabilità, che possono complicare ulteriormente il quadro. “Lato vendor è importante garantire standard elevati attraverso tecnologie quali la crittografia, sia a livello di segnalazione sia di flussi audio-video”, aggiunge Andrea Recupero, system engineer voice, South Emea di Polycom. “Il driver comune deve sicuramente essere sempre l’esperienza utente, con cui è possibile semplificare i processi aziendali. Realpresence Trio è lo smart hub per la collaboration di gruppo scalabile che integra voce, video e condivisione contenuti anche in scenari di multiconferencing su piattaforme on-premise e cloud”. Per riuscire ad andare oltre l’ancora bas-

so utilizzo degli strumenti di Ucc nella piccola e media impresa (una Pmi su tre, secondo i dati più recenti) è però necessario diffondere questa cultura all’interno dell’azienda. “Il cambiamento deve partire dai vertici per educare i team ai nuovi mezzi tecnologici”, sottolinea Paola Pernigotti, marketing director, South Europe Middle East and Africa di Alcatel-Lucent Enteprise. E solo così si può dare il via a un circolo virtuoso che migliori i processi dell’impresa. “Secondo una recente ricerca condotta sui responsabili di azienda negli Stati Uniti, commissionata a Raconteur da Google for Work, risulta che per l’88% degli interpellati una condivisione delle informazioni e una collaborazione fra i diversi dipartimenti aumenta la gratificazione dei dipendenti e quindi i risultati finali”, conclude Fabio Fregi, country manager di Google for Work in Italia. “Il fatto che solo una Pmi su tre utilizzi strumenti di comunicazione e collaborazione unificata mostra sicuramente un ritardo, ma anche una grande opportunità di crescita per le realtà che si affacciano solo oggi al cambiamento”. A.A.

QUANDO IL SUPERCOMPUTER È COLLABORATIVO È un’alleanza stretta nel nome del cloud, quella tra Cisco e Ibm. Le funzionalità delle soluzioni di comunicazione e collaborazione unificata Spark e Webex sono state integrate con Verse e Connections di Big Blue. Inoltre, a muovere tutti i fili interverrà a partire dal 2017 il supercomputer Watson. L’obiettivo delle due aziende è quello di agevolare la cooperazione combinando le analisi avanzate, le funzionalità del supercomputer, le offerte social e di messaggistica email di Ibm con le soluzioni di collaboration di Cisco. L’accordo, supportato anche da un

variegato ecosistema di partner, consentirà di sviluppare nuovi progetti per aiutare i professionisti durante i meeting e nel lavoro di tutti i giorni. Tramite strumenti, applicazioni, documenti o azioni specifiche, variabili a seconda del contesto, i sistemi IbmCisco forniranno così le giuste informazioni ai lavoratori. Un consulente finanziario potrebbe incontrarsi per esempio con un investitore di alto profilo tramite video Cisco, supportato da un servizio Watson per l’offerta di consigli in tempo reale e la gestione delle attività. Le nuove soluzioni incorporeranno dati strutturati

e non strutturati in qualsiasi forma, provenienti da sorgenti locali fisiche, desktop o cloud. Grazie ad applicazioni in grado di gestire centinaia di attività collegate al lavoro, questi sistemi sono stati strutturati per cercare, utilizzare e esaminare tutti i tipi di dati, scoprire pattern significativi e fornire analisi utilizzabili per un gran numero di attività quotidiane. All’integrazione tra le funzionalità di Spark, Webex, Verse e Connections seguiranno, come detto, i servizi alimentati dall’intelligenza artificiale di Watson e la disponibilità delle Api per gli sviluppatori.

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TECHNOPOLIS PER WOLTERS KLUWER TAX AND ACCOUNTING ITALIA

GENYA, UNA RIVOLUZIONE PER I PROFESSIONISTI

Wolters Kluwer Tax and Accounting Italia presenta Genya, una soluzione digitale rivoluzionaria per prestazioni, usabilità, look and feel, performance e intuitiva semplicità, che cambierà la vita dei professionisti italiani. Genya è il risultato del lavoro di sessanta ricercatori italiani che hanno dedicato all’innovativo progetto complessivamente circa mezzo milione di ore, con un investimento a sette zeri. Cinque anni che hanno visto anche il coinvolgimento di parte della clientela di Wolters Kluwer Tax and Accounting Italia sia nella fase di test del prodotto, sia per dare un contributo concreto al “fine tuning” del software ed elevarne ulteriormente l’usabilità e l’efficienza. Si tratta di uno strumento in grado di aiutare il professionista nel suo percorso evolutivo, trasformandolo in un “consulente” dei propri clienti. Attraverso Genya, il primo software a brand Wolters Kluwer, la collaborazione diventa il valore

Pierfrancesco Angeleri, managing director di Wolters Kluwer Tax and Accounting Italia 32

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centrale. In un’unica soluzione informatica sono racchiuse diverse funzioni: si può ottenere maggiore produttività nelle attività contabili e fiscali (dalle più tradizionali alle più innovative), più velocità nel comunicare, più valore nelle consulenze ai clienti. Attraverso il portale di condivisione webdesk, Genya permette, ad esempio, l’accesso immediato alle funzioni senza la necessità del classico menu “a cascata”, la visualizzazione dei dati in modo da ottenere un maggiore o minore livello di dettaglio anche all’interno di report e di widget, il collegamento tra tutti gli elementi (widget, report, note, agenda, template, eccetera). Il nuovo software offre servizi a valore attraverso i flussi di lavoro predefiniti (Iva, Bilancio, Dichiarazioni fiscali, Paghe, Libri ufficiali) o attraverso l’analisi di avanzamento grafica dei processi basati su obiettivi prestabiliti, oppure ancora attraverso un chiaro e facile controllo dell’avanzamento delle attività. Genya propone un’architettura unificata e interoperabile tra studi professionali e piccole e medie imprese. La soluzione digitale è stata studiata per rendere veramente facile e naturale la collaborazione fra professionista e cliente. Una piattaforma fruibile in cloud permetterà l’integrazione tra i software Wolters Kluwer Tax and Accounting Italia dei professionisti e dei loro clienti per l’acquisizione e l’elaborazione di dichiarativi, documenti e fatture, sviluppata con metodologie davvero innovative. Pierfrancesco Angeleri, managing director di Wolters Kluwer Tax and Accounting Italia, ha ben chiaro l’approccio al mercato con un prodotto innovativo come Genya: “Sono oltre sedicimila i nostri clienti italiani che a loro volta assistono oltre un milione di aziende. L’impegno profuso in Genya è dedicato a loro e ai tanti altri professionisti che guarderanno la nostra innovazione con attenzione e curiosità”, ha commentato Angeleri. “Stiamo portando al mercato italiano il ‘manifesto di Genya’, perché lungo le direttrici dell’Agenda Digitale assistiamo a un’importante trasformazione anche nel mondo dei professionisti. Sempre più tutto ciò che è informatizzato tende a diventare commodity, e i soggetti che non adeguano la propria offerta si troveranno sempre più sotto la pressione di una concorrenza giocata sulla guerra dei prezzi. Oggi si punta a espandere l’attività dal semplice adempimento fiscale ai servizi di consulenza. Genya è ancora una volta la dimostrazione di quanto Wolters Kluwer Tax and Accounting Italia possa aiutare il mondo professionale nella sua naturale evoluzione”.


ECCELLENZE.IT |

Gruppo Azimut Benetti

Navigare verso il profitto grazie al software Erp La prima aziende mondiale nel settore della nautica di lusso ha adottato Microsoft Dynamics Ax in sei delle sue sedi. Nella costruzione di yacht di serie o personalizzati può ora prevedere con precisione i costi. LA SOLUZIONE Circa 400 utenti usano Microsoft Dynamics Ax 2012, in abbinamento a SharePoint Server 2013, in sei sedi di Azimut Benetti. Ciascun modulo dell’Erp garantisce la coerenza con tutti gli altri, facilitando lo scambio di informazioni fra gli uffici. Il Configuratore Tecnico definisce ogni opzione commerciale mediante regole che evidenziano gli impatti di costo teorico e produttivi di ciascuna riconfigurazione, prima che essa diventi operativa.

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el mondo manifatturiero anche una tecnologia “tradizionale” e basica come un software gestionale può garantire una spinta al business e un buon recupero di efficienza e competitività. Lo dimostra il caso del Gruppo Azimut Benetti, un’azienda italiana che può fregiarsi di un record mondiale: quello di essere il più grande costruttore di yacht e megayacht. Dai suoi sei poli produttivi escono quaranta modelli di imbarcazioni comprese fra i dieci e i cento metri di lunghezza, mentre la rete di vendita e assistenza si estende su 138 sedi in una settantina di Paesi. Alle attività di costruzione (anche di imbarcazioni “su misura”, altamente personalizzate) si affiancano servizi di riparazione e rimessa a nuovo, brokeraggio, vendita, noleggio, supporto per l’arredo degli yacht, gestione degli equipaggi e altro ancora. Per un’azienda di questo tipo, costretta a fronteggiare molte complessità gestionali e produttive, l’Erp è chiaramente strategico. La situazione di partenza non era,

però, delle migliori: il software utilizzato era uno solo, ma installato su più sistemi e customizzato per le varie divisioni. L’estrazione dei dati dalle diverse versioni del software e la condivisione delle informazioni risultavano difficoltose, mentre alcune funzionalità dell’Erp erano inutilizzate e non più aggiornabili. “Uno dei motivi che ci ha spinto a cambiare l’infrastruttura gestionale è stato l’avere uno strumento ormai datato e non più supportato dal vendor, difficile da integrare con le altre soluzioni adottate in azienda”, spiega Laura del Noce, It manager di Azimut Benetti. “Inoltre, avendo tanti applicativi a contorno che si interfacciavano in maniera più o meno automatica con il vecchio gestionale, volevamo definire questa situazione riducendo il più possibile i software satellite che gravitavano intorno all’Erp. Era come se avessimo una serie infinita di piccoli gestionali separati e mal comunicanti tra di loro”. All’esigenza tecnologica di poter utilizzare un solo Erp per tutti i processi e le

divisioni se ne aggiungevano altre. Serviva una soluzione dotata di un Configuratore Tecnico, fulcro delle attività della divisione industriale, e che fosse flessibile e scalabile. La scelta è ricaduta su Microsoft Dynamics Ax: grazie al supporto tecnologico e consulenziale di Capgemini Italia, il gestionale è stato implementato in tutte le sedi nei tempi previsti e senza causare interruzioni di operatività. “Ora la gestione e il controllo dei progetti sono completi, cosa che non era possibile ottenere con il sistema precedente”, afferma del Noce. “Finalmente riusciamo a capire in modo più agevole quali siano i margini di profitto che otteniamo dalla produzione di una imbarcazione. Prima l’elaborazione era più complicata e lunga, dovendo attingere da sistemi diversi, mentre ora i dati sono disponibili in un unico punto e a tutti”. Il prossimo passo sarà l’estensione del progetto alla filiale brasiliana, dove al momento è presente un sistema Erp sviluppato a livello locale. SETTEMBRE 2016 |

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ECCELLENZE.IT |

Gruppo Sea

Le stampanti mettono le ali all’efficienza La società di gestione degli scali passeggeri e cargo di Milano Malpensa e Linate ha rinnovato la sua dotazione con cinquecento dispositivi di stampa e multifunzione di Lexmark. Costi e prestazioni sono sotto controllo.

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ai quattro scali di Milano Linate e Malpensa – due per i passeggeri, due per il cargo – lo scorso anno sono transitate 28,1 milioni di persone, in partenza o in arrivo, e oltre 512 tonnellate di merci. Numeri che posizionano Gruppo Sea nella rosa delle prime dieci società di gestione aeroportuale in Europa. Ma a descrivere il business di quest’azienda non sono soltanto i numeri del traffico ad alta quota, bensì anche quelli più “terreni” delle attività di stampa e gestione documentale. Circa 2.900 dipendenti fanno uso di servizi di printing, ma si sale a 4.100 utilizzatori considerando anche collaboratori e ospiti, che generano annualmente un volume di 11 milioni di stampe. Particolarmente importanti, anzi critiche, sono le attività di emissione delle stampe di boarding pass e altri documenti di viaggio. Due anni fa è iniziato un percorso che ha condotto a ridurre il numero di dispositivi impiegati e, allo stesso tempo, a rendere più efficienti e ordinate le operazioni di produzione e gestione dei documenti. Approfittando della scadenza del contratto con il precedente fornitore, Gruppo Sea era alla ricerca di una soluzione economicamente vantaggiosa ma anche più “uniforme” dal punto di vista 34

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dell’utilizzo e delle attività di gestione. Il fattore tempo ha ugualmente influito sulla scelta, dato che si volevano evitare interruzioni di servizio. Incrociando tutti questi requisiti è risultata vincente la proposta presentata da Lexmark e dal suo partner certificato DataVision, con cui la società aeroportuale già aveva lavorato in passato. Il system integrator si è preso cura del collaudo, dell’installazione e della messa in produzione del nuovo parco stampanti, composto da 500 dispositivi monofunzione e multifunzione. Ha gestito, inoltre, le attività di formazione del personale che doveva familiarizzare con la nuova tecnologia. La generale riorganizzazione del parco dispositivi ha permesso di ridurre il numero di macchine installate, ma anche di ottenere un’unica e personalizzata interfaccia utente. “Nel giro di sei o sette anni”, ricorda Valerio Faggion della direzione Ict di Gruppo Sea, “abbiamo dimezzato il numero di stampanti installate in azienda, rivedendo i processi e rendendoli più efficaci ed efficienti. Assieme alla centralizzazione della gestione, questo ha rappresentato per noi un grosso vantaggio rispetto al passato, perché ha consentito procedure più snelle e un generale incremento della

produttività”. Ottenendo una migliore visibilità sulle risorse, l’azienda ha, inoltre, abbattuto i costi legati ai consumabili e può intervenire in qualsiasi momento per modificare le policy in modo più o meno puntiforme (su singoli utenti o reparti). Il monitoraggio centralizzato dell’infrastruttura consente di capire quanto si stia utilizzando una singola macchina o un gruppo di dispositivi e con quali costi, ma anche di effettuare previsioni operative e di spesa nel breve e medio termine. LA SOLUZIONE Gruppo Sea utilizza circa 500 modelli mono e multifunzione Lexmark, per la stampa a colori e in bianco e nero, al servizio delle attività di trasporto passeggeri, cargo e backoffice. Con la funzione scanto-email il dispositivo autentica l’utente attraverso la lettura del badge, al fine di inviare automaticamente i documenti al suo indirizzo di posta elettronica. L’infrastruttura di printing gestisce un volume di undicimila stampe all’anno.


ECCELLENZE.IT |

Chiesi Farmaceutici

UN LINGUAGGIO unico per la farmaceutica globalizzata In quattro anni, l’azienda ha uniformato i sistemi Erp scegliendo per tutte le filiali e gli impianti produttivi la piattaforma Sap. E ora guarda alle potenzialità della tecnologia Hana e del real time.

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arlare un’unica lingua, nell’era della globalizzazione. Questo, anche fuor di metafora, era u obiettivo che Chiesi Farmaceutici si era posta già a partire dal 2011. Azienda internazionale presente in 26 Paesi, faticava a tenere sotto controllo i propri parametri vitali, anche perché ogni country utilizzava un diverso sistema Erp. “Trasformazione digitale significa anche integrazione di processi e unicità di linguaggi”, spiega Danilo Piroli, Cfo di Chiesi Farmaceutici, “e prima di iniziare questo ambizioso progetto di unificazione dei sistemi gestionali dovevamo alzare il telefono ogni volta che avevamo un dubbio o una domanda sul business di un determinato Paese”. I software gestionali pre-esistenti erano i più disparati, frutto di acquisizioni di aziende o di installazioni decise in modo indipendente, e comunque non erano collegati. “Abbiamo scelto Sap”, dice Piroli, “perché nel settore farmaceutico era l’unica alternativa valida. È stata quindi una scelta obbligata (anche se frutto di una gara) ma convinta, perché Sap ci dava le garanzie di affidabilità e di dimensione globale che cercavamo”. Nel corso del 2012 Chiesi adottato il nuovo Erp in tutti gli uffici italiani, per iniziare a utilizzarlo nei primi mesi del 2013. Si tratta di un parco installato di circa 900 utenze. Subito dopo inizia l’estensione del progetto alle altre country, iniziando da Francia e Regno Unito e passando poi a Brasile, Spagna, Germania, per arrivare al 2016 ad Austria, Polonia e Usa. “Un progetto così importante”, illustra Umberto Stefani, Cio del Gruppo

Chiesi, “richiede un grande impegno in termini di risorse ma anche di tempo. Attualmente abbiamo attivato circa 1.700 utenze ma l’attività procederà ancora per un anno e mezzo circa, per completare il rilascio in tutti i Paesi e arrivare a circa 2.000 utenti complessivi”. Al progetto, che in Italia ha visto coinvolte non solo le “forze” dell’It ma anche e soprattutto il business, hanno partecipato circa quindici specialisti informatici e una quarantina di futuri utenti, una squadra che, sommando i consulenti e le risorse esterne, arriva a toccare le 130 unità. “Grazie agli investimenti e alle risorse dedicate”, precisa Stefani, “siamo riusciti a procedere senza interrompere mai la continuità del business, rispettando anche le date di go-live che ci eravamo imposti e soprattutto il budget”. I vantaggi ottenuti grazie all’adozione globale di Sap sono stati evidenti fin

dalla prima fase del progetto: un maggiore controllo sui costi e le prestazioni delle unità produttive, un flusso di dati di business efficace e affidabile dalle periferie al centro, e infine un linguaggio comune che porta ovviamente a maggiori efficienze dei processi decisionali. Per il futuro, Chiesi sta già pensando all’adozione della tecnologia Sap Hana, progettando la migrazione all’ultima versione della piattaforma (Hana, tra le altre cose, era già stata adottata nel 2014 per le attività di Business Intelligence del gruppo). “Stiamo valutando l’utilizzo delle nuove architetture Sap anche sui sistemi transazionali”, conclude Stefani, “cosa che ci aiuterà a creare sistemi in real time e a monitorare in questo modo i nuovi progetti aziendali. Stiamo considerando anche, ad esempio, soluzioni come Sap Simple Finance e Simple Logistic”. SETTEMBRE 2016 |

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ITALIA DIGITALE

Tutti insieme, o qUASI, per vincere la sfida Istituzioni, associazioni di categoria, imprese: gli “stakeholder” del digitale italiano professano unità di intenti per portare il sistema Paese alla svolta che aspettiamo da anni. Gli strumenti per abilitare il cambiamento? Le tecnologie, le competenze e una nuova cultura aziendale.

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uò l’Ict da sola farsi carico del processo di digitalizzazione? No. Per questo occorre condividere questo obiettivo fra più soggetti. Il percorso di innovazione non deve dimenticare nessuna impresa, e le imprese devono essere coinvolte a 360 gradi. Perché stiamo vivendo una nuova rivoluzione industriale e lo stiamo facendo attraverso la digitalizzazione. La leadership, grazie alla tecnologia, deve guidare questo processo guidando le rispettive organizzazioni”. Parole di Agostino Santoni, presidente di Assinform (e numero uno di Cisco in Italia), parole che segnano l’ennesimo invito a tutti gli attori del sistema Paese coinvolti nel processo di cambiamento legato all’adozione delle nuove tecnologie. A che punto siamo in questo percorso? Se guardiamo ai dati del mercato digitale italiano, la crescita di spesa dell’1,5% prevista a fine anno a det36

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ta di Santoni non è ancora sufficiente perché “la velocità della rivoluzione digitale impone una dinamica più accelerata”. Servono di conseguenza interventi strutturali che non si possono limitare alla posa della fibra ottica per le nuove reti a banda ultra larga o alla disponibilità (ancora limitata) di servizi digitali. Per il presidente di Assinform la ricetta c’è ed è la seguente: “Il primo driver del cambiamento è costruire una cultura aziendale diversa, perché la digitalizzazione impone di ripensare i processi, l’organizzazione, le competen-

ze”. Quanto alla componente più tecnologica, lo sforzo a cui sono chiamate le imprese italiane va orientato, a detta di Santoni, in direzione della cosiddetta “application economy”. “La capacità e la velocità di sviluppare software sono fondamentali per il cambiamento e fondamentali sono i dati: le imprese che vinceranno sono quelle che sfrutteranno meglio l’enorme mole di informazioni a loro disposizione, per gestire i clienti o per progettare i prodotti e i servizi”, ha concluso il manager. I progetti avviati dal Governo, da


Industry 4.0 all’Agenda Digitale, li conosciamo ormai nel dettaglio e la loro attuazione non può più attendere. L’auspicio di Assinform è che la maggiore facilità di adozione e d’uso delle nuove tecnologie possa fare da abilitatore di questo cambiamento. È bene ricordare, in proposito, come nel 2015 gli investimenti nel digitale siano cresciuti solo dell’1%, fino a 64,9 miliardi di euro, dopo due anni di flessione. Il recupero c’è e gli esperti rilevano come i segnali più positivi siano di ordine qualitativo, in quanto la spinta maggiore viene dalle componenti più innovative e abilitanti alla trasformazione digitale, e cioè Internet of Things (che nel 2016 crescerà del 14,9%), cloud (+23,2%), Big Data (+24,7%), piattaforme per il Web (+13,3%) e mobile business (+12,3%). Le certezze di Confindustria…

“Questa è la stagione della consapevolezza dell’industria italiana. Siamo il secondo Paese manifatturiero in Europa dietro la Germania e le imprese devono diventare protagoniste della trasformazione digitale e farlo anche attraverso la contaminazione di competenze, l’aggiunta di servizi ai prodotti, la collaborazione per la competitività”. Il monito lanciato nelle scorse settimane, in occasione della presentazione del rapporto Assinform, da Vincenzo Boccia, presidente di Confindustria, condensa egregiamente tutti i fronti aperti (ma

Il digitale è la chiave del nostro sviluppo. Entro tre anni saremo più avanti di tutti in Europa: è la nostra sfida da vincere.

anche le mancanze) del processo di digitalizzazione del sistema Italia. Le idee sono chiare sull’apporto del digitale per l’industria – “È uno dei driver dello sviluppo” – e sul fatto che di strade alternative non ce ne siano: “Non abbiamo un piano B e quindi dobbiamo realizzare il piano di cambiamento in essere.

Il nostro motto è ‘We must’, perché vogliamo cavalcare la quarta rivoluzione industriale da protagonisti”. … e quelle del Mise

“Abbiamo fatto un piano sfidante e ambizioso per colmare il gap italiano sulla connettività e sulla rete, convincendo le Regioni a investire insieme. Il Cipe ha stanziato cinque miliardi per il piano dell’Italia digitale e 2,2 miliardi sono già stati spesi per portare la rete in banda ultra larga nelle aree a fallimento di mercato, oltre settemila Comuni italiani. Ma siamo solo all’inizio del progetto che vuole garantire uno sviluppo complessivo del Paese”. Il bilancio redatto a metà luglio da Antonello Giacomelli, sottosegretario allo Sviluppo Economico, suona per certi versi come “propagandistico” anche se la sostanza non manca. I contenuti espressi dal rappresentante del Mise sono condivisibili quando fa riferimento alla necessità di aprire la partita dei servizi, “perché costruire le grandi autostrade non basta e i servizi sono un paradigma di cambiamento culturale in una fase di rivoluzione che coinvolge tutti e tutto”. Meno condivisibili sono i toni trionfalistici con i quali si promette, ricorrendo a un esempio calcistico, di passare dall’attuale zona retrocessione alla zona Champions League entro il 2020, “con la maggiore penetrazione della Fiber to the Home in Europa”. Giacomelli pensa, giustamente, a un’Europa che “deve diventare non solo un mercato unico digitale ma un soggetto istituzionale con una visione unica in fatto di innovazione, net neutrality e sviluppo”. E confida sul fatto che Stati Uniti e le grandi Internet company possano guardare all’Italia in modo diverso. Ma lanciarsi in proclami roboanti, peraltro già sentiti – “Il digitale è un’opportunità straordinaria anche a livello sociale ed entro tre anni saremo più avanti di tutti in Europa” – forse non è la strada maestra per iniziare a portare a casa i risultati sperati. Gianni Rusconi

LA RICETTA E LE PRIORITÀ DELL’AGID “Ci deve essere un’alleanza fra mondo pubblico e privato per completare il percorso di cambiamento. Solo se si cresce tutti si ha una crescita di sistema”. Al coro degli stakeolder che hanno indicato la via per la digitalizzazione non poteva mancare Antonio Samaritani, direttore dell’Agenzia per l’Italia Digitale. La sua rimane una posizione “scomoda” e privilegiata al tempo stesso, perché centrale al processo di trasformazione da tutti invocato. Ed è per questo che nelle sue ultime uscite pubbliche, l’ex dirigente di Regione Lombardia ha rivendicato l’esistenza di una strategia sui servizi digitali. Una strategia chiamata “Crescita Digitale” e che, ha ammonito Samaritani, va assolutamente concretizzata perché l’economia digitale italiana vale solo il 3,5% del Pil (il gap rispetto alla media degli altri Paesi del G20 è di 1,8 punti) e perché in termini di competenze avanzate la Penisola è ugualmente sotto la media (siamo al 19%, lontani dal 28% del G20). “Nella produzione di servizi digitali”, ha inoltre ricordato il numero uno di Agid, “siamo allineati alla Ue, ma i cittadini non li usano o li usano poco. E le nostre Pmi sono tremendamente indietro nello sfruttare il canale online per vendere all’estero”. Quanto alle priorità dell’Agenzia, quelle attuali sono note (Spid, PagoPa, Anagrafe Unica e Italia Login) mentre guardando al 2017 l’obiettivo principale è quello di rendere effettivo un modello di interoperabilità aperto, in una logica di vero ecosistema.

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ITALIA DIGITALE

Industria 4.0, l’ultima chance? Misure fiscali e formazione professionale sono i pilastri del piano annunciato dal ministro Calenda. La digitalizzazione del manifatturiero può valere cinque punti di Pil: un‘occasione da non perdere. Ma un imprenditore su quattro non capisce le potenzialità della tecnologia.

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ulla questione Industria 4.0 l’approccio del sistema Paese rischiava ancora una volta di rivelarsi superficiale, poco concreto. Aleatorio. Eppure da tempo è chiaro a tutti che cosa si debba intendere per “quarta rivoluzione industriale”, fabbrica intelligente, adozione diffusa delle tecnologie digitali a supporto dei processi di produzione e di logistica. Imprese, associazioni e Governo hanno passato le vacanze senza un documento programmatico da condividere, con cui indirizzare e scaricare a terra i principi della trasformazione in atto, massimizzandone i benefici 38

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ed evitando che il Paese ne resti travolto. A inizio settembre, in occasione del Forum Ambrosetti di Cernobbio, il ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda ha regalato l’atteso annuncio: il piano Industria 4.0, poi presentato ufficialmente il giorno 10. I pilastri sono sostanzialmente tre, e cioè bonus fiscali, sostegno alle Pmi e coinvolgimento delle università. “È venuto il momento di costruire una politica economica davvero lunga e una governance che guardi lontano”, ha detto il titolare del Mise, confermando come la strada della ripresa passi necessariamente dalla produttività

e dalla competitività. E la produttività, in ambito industriale, verrà supportata da un piano che sarà inserito nella legge di Stabilità e che prevede stimoli fiscali agli investimenti privati e azioni mirate nell’ambito della ricerca. In concreto, si punterà sulla proroga a tutto il 2017 del super-ammortamento del 140% (cui si aggiungerà quello che Calenda chiama iper-ammortamento, e cioè uno sconto fiscale sulle spese in nuove tecnologie e beni funzionali alla digitalizzazione delle imprese che potrebbe arrivare al 200%), su 200 milioni di euro che aumenteranno a beneficio delle Pmi la dote del


Fondo Centrale di garanzia per la trasformazione digitale, e poi sui finanziamenti a quattro o cinque università che dovranno diventare gli hub di eccellenza al fianco delle aziende coinvolte nel piano. Ma quanto costerà tutto questo alle casse dello Stato? Non ci sono indicatori precisi, ma si parla di una cifra compresa fra 2,5 e 3 miliardi di euro. La cultura digitale che ancora non c’è

Il tema della trasformazione digitale dell’industria, numeri e misure fiscali a parte, è complesso e non lo scopriamo certo ora. Vanno affrontate sia la questione tecnologica (l’integrazione dell’esistente, l’interoperabilità fra diversi sistemi, la gestione dei dati, la sicurezza delle macchine connesse) sia la possibile ricaduta sull’occupazione (la manodopera a basso costo) dell’utilizzo ancora più massivo della robotica.

La Germania, per cui si stimano grazie all’Industry 4.0 aumenti della produttività dal 5 all’8% e un incremento del Pil di oltre 1% annuo, in questo senso fa scuola (vedi le fabbriche dell’Adidas in Baviera o della Porsche a Stoccarda). Ma il vero snodo nel percorso verso la nuova manifattura italiana è il varo del progetto di cui sopra. Le parti interessate – leggi Confindustria – spingono perché sono convinte che sia possibile far crescere la competitività e la produttività delle Pmi italiane con il digitale, portando al 20% il contributo del manifatturiero al Pil nazionale dall’attuale 15%. Si può, e soprattutto si deve fare. Anche se replicare la virtuosità di altri modelli di Industry 4.0 (per esempio quello statunitense, fondato sul paradigma del prodotto intelligente e sulla centralità del rapporto con il consumatore finale) è ragionevolmente difficile. Il

Governo, e nella fattispecie il Ministero dello Sviluppo Economico, ha ribadito i pilastri che sosterranno il cambiamento della manifattura italiana (fiscalità agevolata, formazione e riqualificazione dei lavoratori, e poi infrastrutture come la banda ultralarga) e la necessità di una nuova governance operativa. Evitare pericolosi rallentamenti nell’attuazione dei programmi è la priorità, come l’esperienza dell’Agenda Digitale insegna. Ma non va dimenticato che circa un quarto degli imprenditori italiani, come afferma un recente studio pubblicato da Anitec, non vede ancora nell’innovazione tecnologica uno strumento abilitante, che permette di proporsi con nuove soluzioni, nuovi prodotti e nuovi modelli di business, bensì solo come un mezzo per ridurre i costi. E non è esattamente un buon viatico nel viaggio verso Industry 4.0. Gianni Rusconi

Le startup dello smart manufacturing cercano spazio Delle oltre 170 startup attive in orbita Industry 4.0, finanziate a livello mondiale da fondi o venture capital, individuate dal Politecnico di Milano, il 60% ha sede in Nord America e solo il 30% in Europa. Oltreoceano si registra inoltre un valore medio dei finanziamenti cinque volte superiore a quello osservato nel Vecchio Continente e parliamo, rispettivamente, di 10 e 2,7 milioni di dollari. Il fenomeno, quindi, al momento è soprattutto americano, ma il dinamismo delle startup che concorrono alla quarta rivoluzione industriale in Europa non è da trascurare. E non lo è nemmeno in Italia, dove sono state censite venti neoaziende che spaziano dall’Industrial IoT (è il caso di Alleantia) alle interfacce uomo-macchina (come Experenti), fino al mondo della manifattura additiva (dove opera

con le sue stampanti 3D la fiorentina Kentstrapper). Le potenzialità delle nuove imprese devono però fare i conti con un “movimento” ancora poco radicato sul territorio e restare in attesa di un piano programmatico di sviluppo (quello del governo sulla manifattura digitale) in grado di creare le condizioni per la nascita di un vero ecosistema. Una ventina di startup sono, dunque, poche? A detta di Giovanni Miragliotta, direttore dell’Osservatorio Smart Manufacturing del Politecnico di Milano, la ridotta numerosità delle imprese attive in chiave Industry 4.0 riflette l’acerbità di un fenomeno che è solo all’inizio e che presenta tassi di crescita incoraggianti. Le aziende innovative, questo il parere dell’esperto, hanno l’opportunità di sfruttare le esigenze legate alla trasformazione digitale che interessa

anche le imprese manifatturiere, per esempio l’estrazione e la riconversione dei dati prodotti dai sensori adibiti al controllo degli impianti industriali. I filoni attualmente più interessanti ed attrattivi per gli investitori, non a caso, sono quelli dell’Internet delle cose industriale, del cloud manufacturing e degli analytics, mentre le maggiori opportunità di successo (anche sul fronte della raccolta di finanziamenti) si apriranno per quelle startup che sapranno fare innovazione mirata, introducendo i “mattoncini” necessari a collegare l’enorme base installata esistente con le soluzioni frutto della nuova ondata di tecnologie digitali. Lo spazio per crescere, insomma, c’è. Anche se osservare deal a tanti zeri, come quelli che caratterizzano altri settori (Fintech in testa), sarà molto difficile. G.R.

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ITALIA DIGITALE

| Startup

crowdfunding italiano alla Prova di maturità Le piattaforme che raccolgono capitali online per conto di startup e Pmi innovative sono una ventina. L’equity si avvia verso i nove milioni di euro e crescono fenomeni come il lending e l’invoice trading. Ma la distanza dal Regno Unito è ancora abissale.

PIÙ RISORSE PER FAR GERMOGLIARE L’INNOVAZIONE Oltre mille imprese innovative (1.065 per la precisione) finanziate dal 2013 in avanti, 418 milioni di euro erogati per un importo garantito di 327 milioni, una media a prestito di 252.868 euro, per un totale di 1.653 operazioni (di cui 430 registrate in Lombardia). Questo il bilancio, aggiornato a tutto il 30 giugno di quest’anno, reso noto dall’ottavo rapporto bimestrale redatto dal Ministero dello Sviluppo economico. Numeri di per sé significativi, che trovano consistenza (anche in prospettiva futura) negli indicatori relativi a maggio e giugno:

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nel periodo, rispetto al bimestre precedente, è salito di 128 unità il numero di startup cui è stato riconosciuto l’accesso al Fondo di garanzia per le Pmi, lo strumento governativo che copre l’80% del credito erogato dalla banca alla nuova impresa. In crescita sono anche la quota di capitali erogati (poco meno di 56 milioni di euro), gli importi garantiti (in salita di 44 milioni) e la quantità di operazioni totali effettuate (226 in più). Le buone notizie per le imprese innovative, che a fine agosto superavano le 6.200 unità (poco meno di 1.350

quelle lombarde), arrivano anche dal fronte della burocrazia, storicamente un grande ostacolo per la nascita di realtà imprenditoriali. Ebbene, dallo scorso 20 luglio per costituire una nuova startup basta una firma digitale, da apporre attraverso una procedura online. Il provvedimento concretizza la novità normativa introdotta nei mesi scorsi nel regolamento inerente la costituzione di una startup in forma di società a responsabilità limitata, novità voluta dall’ex titolare del Mise Federica Guidi.


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ono una ventina le realtà che hanno richiesto alla Consob l’autorizzazione per aprire una piattaforma di crowdfunding a partire da giugno 2015, quando l’organismo di controllo delle società e della Borsa ha adottato il nuovo regolamento che disciplina la gestione della raccolta di capitali di rischio da parte di startup e Pmi innovative tramite portali online. L’Italia, lo ricordiamo, è l’unico Paese in Europa a essersi dotato di una normativa specifica e organica in materia di equity crowdfunding (la raccolta di capitale di rischio attraverso la sottoscrizione diretta sul Web di titoli partecipativi del capitale) e a febbraio di quest’anno sempre la Consob ha approvato nuove modifiche al regolamento. Nel mondo questo strumento di finanziamento dovrebbe generare nel 2025 investimenti pari a 92 miliardi di dollari, rispetto ai circa 40 miliardi consolidati nel 2015 (di cui un quarto negli Stati Uniti, dove si è registrata la prima exit miliardaria con Auto Pilot, acquistata a marzo da General Motors). In Europa la crescita nel biennio 20122014 è stata a tripla cifra e la raccolta fondi è salita oltre i tre miliardi di dollari; il mercato di riferimento è il Regno Unito, dove oltre 330 milioni di sterline sono finiti nelle casse delle nuove imprese innovative. E l’Italia? Nei primi cinque mesi del 2016 gli investimenti gestiti dalle piattaforme di equity crowfunding hanno pareggiato quelli del 2015 e, seguendo il trend, entro la fine dell’anno si dovrebbe superare quota 9 milioni di euro. Segno di una maturità crescente verso lo strumento, che cerca di attecchire nell’ambito di una disponibilità di capitale di rischio che vale circa 50 miliardi di euro. Quanto vale il crowdinvesting?

Equity crowdfunding, lending crowdfunding (o social lending, cioè i prestiti a persone fisiche o imprese) e invoice trading (la cessione di fattu-

VENTURE CAPITAL OLTRE QUOTA 120 MILIONI MA I FONDI ATTIVI SONO POCHI Poco meno di 80 operazioni (77 per la precisione) e investimenti stimati in 120 milioni di euro: questi i numeri, raccolti dall’Osservatorio della Liuc Università Cattaneo con il supporto dell’Aifi, relativi al mercato italiano dei venture capital nel 2015. Anno che ha segnato un balzo del 50% rispetto ai volumi del precedente. La scarsa numerosità di fondi attivi (in Italia siamo circa a quota 20, contro una media europea di 40-50), insomma, non ha tarpato le ali al circuito dei capitali di rischio e l’incremento di 40 milioni di euro messi sul piatto dalla cinquantina di investitori monitorati lo dimostra. Il numero dei re commerciali) sono quindi le nuove forme di finanziamento che viaggiano su piattaforme Internet abilitate e che alimentano le speranze di successo di molte startup. Stimolato dalla riduzione dell’offerta di credito bancario e da alcune recenti evoluzioni normative, il neologismo che le raggruppa, il crowdinvesting (tecnicamente, un sottoinsieme del crowdfunding), sta prendendo piede anche in Italia, anche se siamo decisamente in ritardo rispetto ad altri Paesi europei. La fotografia scattata dalla prima edizione dell’Osservatorio che la School of Management del Politecnico di Milano ha dedicato al fenomeno ci dice che il valore di questo segmento a livello mondiale è calcolabile in circa 28 miliardi di euro. Se la componente equity, oggi corrispondente a circa 5,5 milioni di euro, si regge su basi già abbastanza solide, il lending crowdfunding è solo agli albori e conta su quattro piattaforme attive: Borsadelcredito.it (per il settore business), Prestiamoci, Smartika, Soisy (per il settore consumer) più una in arrivo (Younited Credit). Il totale dei prestiti

deal è rimasto, tuttavia contenuto: sono cresciuti solo dell’8%. E modesto è anche il valore medio degli investimenti, 200mila euro per le operazioni seed e due milioni per quelle in fase di startup (nel 2010 si viaggiava sui 2,7 milioni). Quanto ai settori e alle Regioni più finanziate, il consolidato 2015 è in linea con gli anni precedenti. L’Ict è il settore di riferimento anche se in modo meno evidente (pesa per 40%, contro il 56% del 2014) mentre fra gli enti locali il primato va alla Lombardia (che assorbe il 38% degli investimenti), davanti a Piemonte (13%) e Lazio (12%). erogati è pari a 28,3 milioni euro, con una durata media dei finanziamenti compresa fra i 30 e i 40 mesi. Nel mondo, nel 2015, i portali di lending hanno raccolto una cifra quasi mille volte superiore, oltre 25 miliardi di dollari. Al momento sono, invece, oltre 130 i prestiti concessi alle imprese (per un totale di 1,9 milioni di euro e un importo medio di 12.900 euro) e poco meno di 5.200 quelli a persone fisiche. Per l’invoice trading, infine, esiste in Italia un’unica piattaforma attiva (Workinvoice.it) e altre due sono in arrivo (Instapartners e Cashme). Il mercato è quindi ancora in fase embrionale e al momento le imprese che hanno approfittato di questa opportunità sono solo 40, con 220 fatture cedute per un importo totale di 11 milioni di euro, a fronte di 20 investitori. Nel complesso parliamo di un movimento che vale circa 45 milioni di euro: una goccia rispetto all’entità del capitale di rischio disponibile e ai volumi di fatture commerciali “scontabili”. Ma è una cifra destinata a salire esponenzialmente. Gianni Rusconi 41


OBBIETTIVO SU | Accenture

ECCELLENZE ITALIANE PER IL MONDO DIGITALE Nei suoi due centri di Roma e Milano, Accenture sviluppa e sperimenta le soluzioni che rispondono alle esigenze dei "nuovi" consumatori. Dai contenuti multimediali all'esperienza di acquisto virtuale.

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ac e Acin, due acronimi (che stanno rispettivamente per Digital Acceleration Center e Accenture Customer Innovation Network) dietro ai quali si muovono due centri di eccellenza di respiro internazionale la cui essenza e missione si può facilmente intuire: quella di essere luoghi dove “pensare”, creare e realizzare innovazione in chiave digitale. I due centri in questione si trovano a Roma e Milano, il primo è dedicato allo sviluppo di soluzioni rivolte agli operatori del settore communications, media e technology attivi in

tutto il mondo, mentre nel secondo si studiano comportamenti di consumo attuali e tendenze future e si sperimentano soluzioni tecnologiche di nuova generazione per i punti vendita. Il Dac, in particolare, è specializzato nelle aree video, Ip network e mobility e sfrutta le competenze di un personale altamente specializzato (l’80% degli addetti è laureato in ingegneria e scienze dell’informazione) nel campo del broadcasting e delle reti a banda larga. Al suo attivo ci sono circa dieci anni di progetti realizzati per i principali operatori telco e broadcaster, dap-


Il Dac di Roma fa parte di un network globale che prevede la collaborazione con i centri di Bonn, New York, San José (Silicon Valley), Singapore e Sydney/ Melbourne. I Digital Acceleration Center operano come ecosistema in diversi ambiti di applicazione, quali reti all-Ip, consumer experience, cloud e infrastrutture, sicurezza It, canali social e online.

prima nell’area dell’Internet Protocol Tv e successivamente nel campo dei servizi Ottv (Over the top Tv). I due settori di specializzazione della sede milanese di Accenture, invece, sono moda e alimentare, due degli ambiti di maggiore eccellenza per l’Italia. La logica che muove il centro è la seguente: offrire al consumatore digitale una riproduzione dinamica della visita a un punto vendita e mettere la persona in condizione di effettuare scelte simili a quelle che farebbe in un reale supermercato o in un negozio di abbigliamento.

Il centro di Roma si avvale di 350 professionisti e guida attualmente una trentina di progetti di innovazione in tutto il mondo, dagli Stati Uniti all’Australia.

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OBBIETTIVO SU | Accenture

Nel Digital Acceleration Center di Roma è stata creata Accenture Video Solution, piattaforma che sfrutta le capacità della tecnologia IpTv per l’erogazione di contenuti video on demand (più di 100mila quelli gestiti quotidianamente) e canali live su reti broadband e su una vasta gamma di dispositivi (oltre settemila quelli supportati attualmente), in qualsiasi momento e da qualsiasi tipo di network. Ogni anno la piattaforma abilita la visualizzazione di oltre 1,5 miliardi di contenuti multimediali.

Il Customer Innovation network DI MILANO è UNA CABINA DI REGIA, UN luogo in cui imparare a conoscere i consumatori, coinvolgendoli NEL processo di co-creazione dei prodotti.

ESPERIENZE IN REALTÀ VIRTUALE Grazie alle tecnologie digitali vengono creati ambienti in cui il consumatore interagisce con i marchi attraverso una complessa rete di punti di contatto in continua evoluzione, che svela inedite opportunità relazionali.

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Il "digital bar" è un concept realizzato presso l’Acin di Milano, che interpreta le abitudini e i comportamenti dei consumatori di nuova generazione sfruttando smartphone e tablet, app e social media, telecamere e microfoni, “tavoli digitali” e schermi connessi finalizzati alla condivisione di contenuti ed esperienze.

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brandyspace.com


VETRINA HI-TECH

router Veloci, sicuri e multimediali Le nuove proposte per le piccoli e medie aziende e per l’home office combinano buone velocità di trasmissione WiFi, supporto allo streaming di video HD, backup su archivi esterni, firewall integrati e centralini telefonici.

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on sono, probabilmente, la tecnologia più “sexy” e chiacchierata del momento, né l’oggetto del desiderio di masse di utenti. I router sono però, e questo è certo, l’ingrediente di base di qualsiasi attività professionale nelle grandi così come nelle piccole e piccolissime aziende. La loro è una funzione davvero irrinunciabile: nella declinazione comprensiva di modem e connettività WiFi (quella più diffusa nei contesti di ufficio) questi dispositivi garantisco-

no accesso a Internet a una pluralità di computer, tablet, smartphone, stampanti. Tanto basica è la loro funzione, altrettanto complesso e sofisticato è il loro identikit hardware e software: i router possono distinguersi fra loro secondo una lunga lista di specifiche, dotate di maggiore o minore impatto sull’operatività garantita agli ambienti di lavoro. Per quelli di dimensioni piccole e medie sono in commercio numerose proposte di recente lancio, con prezzi compresi fra 100 e 150 euro circa, mentre chi SETTEMBRE 2016 |

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VETRINA HI-TECH

desideri funzionalità di sicurezza e prestazioni particolarmente spinte deve prepararsi a spendere qualcosa in più. Una caratteristica ormai comune è la doppia banda di trasmissione, il che significa la possibilità di sfruttare sia la frequenza usuale da 2,4 GHz sia quella da 5 GHz, a seconda del tipo di attività svolta sul Web o tramite la Rete, e con l’ulteriore vantaggio di evitare possibili interferenze fra i vari e spesso numerosi dispositivi connessi in un medesimo ambiente. In aggiunta alla doppia banda, i modelli più evoluti vantano anche il supporto alla tecnologia Vdsl/Vdsl2, che consente di superare i 100 Mbit/s di velocità di navigazione su collegamenti in fibra. Prestazioni a parte (un parametro su cui incidono anche il tipo di processore e il numero di antenne), chi si prepara ad acquistare uno di questi dispositivi può valutare la presenza di funzionalità evolute, come il parental control, la possibilità di creare reti Vpn, il firewall integrato e il backup automatico sui dispositivi Usb collegati. A beneficio sia della sicurezza sia della

produttività nei contesti di lavoro, molti vendor hanno sviluppato applicazioni mobili di tipo gestionale: attraverso lo smartphone o il tablet diventa, così, possibile monitorare chi utilizzi il router e quali siti vengano visitati, oppure trasmettere contenuti in streaming e condividere file multimediali, anche da remoto. Navigare e comunicare

Meno comune è una peculiarità vantata da Fritz!Box 7430, una nuova proposta di Avm: nella stazione base Dect associata al router è integrato un centralino telefonico che permette di collegare fino a sei cordless, nonché di sfruttare strumenti come la segreteria telefonica, la ricezione di fax e la funzione “fax to mail”. Il dispositivo, caratterizzato dalla tinta rossa brillante tipica di questo marchio, supporta il vectoring Vdsl per consentire velocità di trasmissione superiori ai 100 Mbit/s; utilizza, inoltre, la tecnologia Wireless N con la quale vengono sfruttati tre flussi WiFi indipendenti per assicurare miglio-

ri collegamenti su grandi distanze. Si distingue al colpo d’occhio, non per il colore ma per il design verticale a cilindro, anche il Dsl-3590L di D-Link: un modem router per Adsl che vuol essere innanzitutto sicuro e di facile uso, ma anche indicato per attività a intensa trasmissione di dati come lo streaming di video in alta definizione. La sicurezza è una priorità anche per ZyXel e per il suo Vmg 3925, completo di firewall integrato. Il router funziona sia su linee Adsl2 sia su Vdsl2, utilizzando nel secondo caso il vectoring per cancellare le interferenze e incrementare la velocità di trasmissione. Lungi dall’essere solo delle porte d’accesso alla Rete, oggi i router/modem WiFi sono anche delle centrali multimediali, complete di funzionalità di sicurezza e di gestione. Sono oggetti capaci di connettere i dispositivi più diversi: Pc, smartphone, tablet, console di gioco, stampanti, archivi Usb. Sono, insomma, l’ingrediente primario di tutti gli ambienti di lavoro smart. Valentina Bernocco

ASUS RT-AC68U

AVM FRITZ!BOX 7430

D-LINK DSL-3590L

Porte: Gigabit Ethernet (cinque), Usb 2.0, Usb 3.0 Peculiarità: beamforming Asus AiRadar Tx

Porte: Gigabit Ethernet (quattro), Usb 2.0. Peculiarità: sistema di telefonia integrato nella base Dect

Porte: Gigabit Ethernet (Wan e Lan), Usb 3.0, Usb 2.0. Peculiarità: design cilindrico, firewall integrato, app di gestione

Prezzo: 163,93 euro

Prezzo: 129 euro

Prezzo: 159 euro

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L’IMPERATIVO DELLE PERFORMANCE Punta decisamente sulle prestazioni l’RT-AC68U di Asus, che per affrontare anche le reti più “affollate” di dispositivi connessi combina due larghezze di banda contemporanee di 1.300 Mbit/s sui 5GHz e di 600Mbit/s sui 2,4 GHz. Il router sfrutta la tecnologia MiMo (multiple-input and multiple-output) per ottenere migliori velocità sulle lunghe distanze. Volendo, è possibile posizionarlo in verticale così da ridurre al minimo l’ingombro. Velocità e performance sono anche le parole d’ordine di Nighthawk AC1900 R7000 di Netgear. Per garantire, anch’esso, trasferimenti a 1300 Mbit/s e 600 Mbit/s sulle due frequenze, questo modello fa uso del Beamforming+, cioè di una versione evoluta della tecnologia di indirizzamento e potenziamento del segnale. Grazie agli amplificatori WiFi ad elevata potenza e alle

tre antenne esterne, Netgear può promettere una copertura ottima su un’intera abitazione, inclusi eventuali giardini o garage. Nella fascia di prezzo considerata, la più recente proposta di TpLink si chiama Archer Vr600 Ac1600 e con le sue tre antenne dual-band garantisce 1300 Mbit/s e 300 Mbit/s, rispettivamente sui 5 e sui 2,4 GHz, sfruttando anche in questo caso il Beamforming. Al dispositivo non mancano funzioni avanzate quali il parental control, il portale per la configurazione tecnica (port mapping) e la creazione di server Ftp.

Chi desideri prestazioni ancor più elevate può acquistare, con una spesa di circa 300 euro, il modello di gamma alta Archer Vr2600 Ac2600, con velocità wireless fino 1733 Mbit/s sulla frequenza 5 GHz e 800 Mbit/s sui 2,4 GHz. Costa, invece, circa 400 euro il Dsr-1000AC Wireless Ac Vpn Security di D-Link (nella foto), modello che consente di creare una rete private virtuale con fino a 250 Mbps di throughput, e che permette di crittografare le connessioni di utenti che si collegano dall’ufficio o da una succursale della sede centrale.

NETGEAR Nighthawk R7000

TP-LINK Archer VR600 AC1600

ZYXEL VMG 3925

Porte: Gigabit Ethernet (una Wan, quattro Lan), Usb 3.0 Peculiarità: Beamforming+, software per backup automatico su unità Usb, app di gestione

Porte: Dsl, Lan, Wan, Usb 3.0. Peculiarità: Beamforming, app di gestione, parental control

Porte: Gigabit Ethernet (una Wan, quattro Lan), Usb Peculiarità: firewall integrato, beamforming

Prezzo: 159,90 euro

Prezzo: 129,90 euro

Prezzo: 144,99 euro

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VETRINA HI-TECH

LO STORAGE SI È FATTO IN QUATTRO My Passport Wireless Pro di Wd unisce le funzionalità di archiviazione a quelle di access point, condivisione multimediale e ricarica dispositivi. RT WSD SPO O

PA PR MY ELESS WIR

Dimenticatevi (quasi) tutti i fili, perché anche lo storage viaggia in WiFi. Western Digital lo capì nel 2014, quando introdusse sul mercato il My Passport Wireless: un hard disk portatile disponibile nei tagli da 500 GB, 1 e 2 TB. Il vendor ha aggiornato di recente questo prodotto con la serie Pro, con maggiori funzionalità ma limitata ai modelli da 2 e da 3 TB. Una soluzione “quattro-in-uno”, in quanto mette a disposizione capacità di storage (senza fili e via cavo), di server multimediale, di access point e di ricarica. Il My Passport Wireless Pro si rivolge soprattutto ai professionisti che devono immagazzinare grandi quantità di file in mobilità. Si pensi per esempio ai fotografi, che hanno la necessità di svuotare le memory card delle proprie fotocamere anche più volte al giorno. Ecco che, nel caso del dispositivo di Wd, può tornare molto utile il lettore di schede Sd integrato che permette di copiare in automatico sul disco il contenuto della memory card. In alternativa è presente una veloce porta Usb 3.0 per il trasferimento dei file. Oppure, ovviamente, è possibile spostare immagini, video o quant’altro 50

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PRO • Lettore schede Sd integrato • Doppia banda WiFi (802.11ac) • Capacità di server multimediale CONTRO • Tempi di ricarica lunghi • Non supporta la transcodifica

utilizzando il WiFi (compatibile con lo standard 802.11ac). Ma, come detto, il My Passport Wireless Pro va oltre le mere funzionalità di storage. Una volta caricato e acceso, l’hard disk si connette via WiFi al computer o a un terminale mobile (sono disponibili due bande, una da 2,4 GHz e una da 5 GHz) ed è possibile procedere alla configurazione tramite browser o applicazione dedicata (Wd My Cloud). Il collegamento all’unità non è risultato istantaneo e il processo di setup inizialmente ha fatto delle bizze, ma una volta guadagnato il primo accesso alla dashboard tutto è filato liscio. Il pannello di controllo mette a disposizione sette sezioni, con cui si possono configurare facilmente vari parametri: si va dalla scelta della banda alle impostazioni di sicurezza, passando per una panoramica dello spazio occupato e contatti per il supporto tecnico. Da qui è possibile impostare il disco come access point e, dopo averlo collegato per esempio alla rete domestica, condividere la connessione con altri dispositivi e accedere così al Web. Il My Passport Wireless Pro è stato progettato per funzionare anche come server mul-

timediale: da computer o smartphone è possibile avviare la riproduzione di video e musica. In caso di filmati di alta qualità, il buffering eccessivo può rappresentare un problema. L’unità permette l’installazione di un server Plex, uno dei software più diffusi per l’organizzazione di contenuti multimediali in librerie e per lo streaming verso smart Tv, Pc e terminali mobili. Il disco non supporta però la transcodifica. Utilizzato di continuo nel corso di una giornata, l’hard disk ha avuto un’autonomia di circa otto ore, poco meno quindi delle dieci dichiarate da Wd. A.A. LE CARATTERISTICHE A COLPO D’OCCHIO Capacità: 2 o 3 TB Processore: RealTek Rtd1195pn Misure: 126 x 126 x 24 mm Peso: 450 grammi Compatibilità: Windows/Mac Batteria: 6.400 mAh Interfacce: WiFi, Sd card slot, Usb 3.0

Prezzo: da 269,99 EURO


drichromie

FIPA - logotype 20 years



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