Technopolis 20

Page 1

NUMERO 20 | APRILE 2016

Storie di eccellenza e innovazione

Giovanni e Alessandro Antonuzzo di Rotomail spiegano come la passione per la tecnologia li abbia portati a diventare leader nella produzione di libri on-demand.

stampatori con il software nel dna BIG DATA

18

Arrivano i primi risultati dei progetti di analisi delle grandi quantità di informazioni. Anche nel settore dell'healthcare.

SPECIALE CLOUD

25

Lo scenario del mercato italiano, la panoramica dell'offerta e le tecnologie del nuovo paradigma dell'It, ormai pervasivo.

INDUSTRIA 4.0 Sensori, realtà aumentata, robot, dispositivi indossabili: nelle fabbriche arriva la quarta rivoluzione industriale. Distribuito gratuitamente con “Il Sole 24 ORE”



SOMMARIO Storie di eccellenza e innovazione

N° 20 - APRILE 2016 Periodico bimestrale registrato presso il Tribunale di Milano al n° 378 del 09/10/2012. Direttore responsabile: Emilio Mango Coordinamento: Gianni Rusconi Hanno collaborato: Aldo Agostinelli , Alessandro Andriolo, Piero Aprile, Valentina Bernocco, Jacopo Brunelli, Danilo Cattaneo, Paola Cerchiello, Davide Di Domenico, Sergio Feliziani, Carlo Fontana, Paolo Galvani, Niall O’Doherty, Giuseppe Padula, Luca Palermo Progetto grafico: Inventium Srl Foto e illustrazioni: Dollar Photo Club, Istockphoto, Martina Santimone

4 storie di copertina

Stampatori con il software nel Dna

9 IN EVIDENZA

Il mercato del digitale è ai livelli del 2012

Startup: pioggia di milioni per l’Italia

Cybercrimine: il primo rischio è sottovalutare

Hp introduce la terza tecnologia di stampa

L’opinione: il viaggio del cliente e il marketing automation

16 SCENARI

Cio: nuove competenze per la trasformazione

Big Data: una strada segnata

Il valore economico dei social network

25 speciale CLOUD

Tutti vanno sulle nuvole

L’Italia aspetta il salto di qualità

35 ECCELLENZE.IT Gruppo Cisalfa - Zebra Jobrapido - Elasticsearch Editore, redazione, pubblicità: Indigo Communication Srl Via Faruffini, 13 - 20149 Milano tel: 02 36505844 info@indigocom.it www.indigocom.com Stampa: RDS Webprinting - Arcore © Copyright 2016 Indigo Communication Srl Tutti i diritti di proprietà letteraria e artistica riservati.

Novamont - Fujitsu

38 italia digitale Digitalizzazione ultima chiamata

Spid: una svolta di innovazione L’Italia 2.0 passa dalla raccomandata

42 OBBIETTIVO SU Data4

47 VETRINA HI-TECH

Il Sole 24 Ore non ha partecipato alla realizzazione di questo periodico e non ha responsabilità per il suo contenuto.

Smartphone, la parola d’ordine è stupire

Pubblicazione ceduta gratuitamente.

51 I quaderni

Industria 4.0


STORIA DI COPERTINA | Rotomail Italia

stampatori con il software nel dna

N

el 1996 il marketing one-toone era già un mantra, ma le best practice scarseggiavano. Così Rotomail Italia muoveva i primi passi nel tentativo di dare colore ed efficacia alle comunicazioni “transazionali”, vale a dire le lettere che soprattutto banche e assicurazioni mandavano ai propri clienti e che erano caratterizzate da un primo, seppur rozzo, tentativo di personalizzazione ma anche da una scarsa qualità di stampa (in bianco e nero). “Abbiamo iniziato creando una piattaforma software proprietaria”, racconta Giovanni Antonuzzo, fondatore di Rotomail, classe 1948 ma nativo digitale ante litteram, “che ci permettesse di utilizzare qualsiasi formato in ingresso ma un solo standard in uscita, il Pdf, allora praticamente sconosciuto. In più, abbiamo da 4

| APRILE 2016

subito realizzato un algoritmo che ci consentisse di trasmettere grosse quantità di dati sulle linee a banda stretta di allora”. Rotomail raggiunse un accordo con la britannica Royal Mail per spedire le comunicazioni generate con i nuovi sistemi. Si conquistò così i primi grandi clienti, Diners e Cartasì, per guadagnare poi nel corso degli anni la fiducia di nomi come Msc Crociere, Hotelplan, Ubi Banca, Unicredit, Deutsche Bank e Zurich, fra i tanti. Oggi, Rotomail Italia è una delle più grandi realtà operanti nel settore della stampa digitale e dello sviluppo di soluzioni software e hardware per la lavorazione on-demand e la personalizzazione di libri, biglietti, buoni pasto e manifesti pubblicitari. “Siamo stati i primi al mondo, nel 2000, a utilizzare la tecnologia

Ink-Jet, high-speed full color”, racconta con orgoglio Alessandro Antonuzzo, figlio del fondatore dell’azienda nonché deputy general manager, “e ora abbiamo implementato il cambio di formato automatico nella produzione di libri, modificando insieme ai fornitori delle macchine sia i dispositivi di stampa sia quelli per il confezionamento, arrivando a produrre fino a 800 libri all’ora con lotti anche di singoli esemplari”. Armonizzato dal software sviluppato direttamente in casa, l’insieme di impianti installati presso la sede di Vignate (Mi), tra cui le grandi macchine da stampa Hp Web Press e Hp Indigo, è in grado di realizzare tutto il ciclo di produzione di libri, dall’invio dei file in digitale attraverso il portale messo a disposizione dei clienti, passando per l’ottimizzazione, la


Rotomail elabora nuove soluzioni di stampa, investendo nelle tecnologie di frontiera. Fino a diventare un punto di riferimento mondiale nel printing on-demand.

artigianato hi-tech Nata come software house nel 1996, Rotomail Italia è oggi una delle più grandi realtà che operano nel settore della stampa digitale e dello sviluppo di soluzioni software e hardware per la lavorazione on-demand e la personalizzazione di libri, biglietti, buoni e documenti, anche di grande formato. Prima azienda al mondo, nel 2000, a ricorrere all’Ink-Jet high-speed full color e prima a realizzare attività transpromo (cioè comunicazioni transazionali e promozionali insieme), Rotomail ha da sempre cercato di sfruttare il vantaggio competitivo derivante dall’utilizzo della tecnologia per soddisfare le esigenze di piccole ma significative nicchie di mercato. Oggi l’azienda conta 115 dipendenti, fra cui una trentina di sviluppatori, e muove un giro d’affari annuo di oltre 21 milioni di euro.

5


STORIA DI COPERTINA | Rotomail Italia

stampa, il confezionamento e il packaging, seguendo anche le prime fasi della logistica. L’ultimo “azzardo”, se così si può chiamare, è stata l’adozione di una batteria di stampanti da ufficio, le Hp PageWide Pro, per gestire la creazione di piccolissime tirature o per ristampare le singole copie di libri usciti difettosi dalla linea di produzione principale. “Dopo un anno di test”, dice Antonuzzo, “i risultati sono stati decisamente soddisfacenti e le stampanti sono entrate definitivamente nel ciclo produttivo, migliorando non solo le prestazioni dell’intero impianto (oggi gli ordini vengono evasi praticamente tutti nell’arco delle 24 ore, ndr), ma consentendoci di gestire con più flessibilità anche ordinativi minimi”. Il ruolo delle PageWide Pro è solo apparentemente marginale, il loro apporto è infatti determinante per Rotomail Italia, al fine di acquisire ulteriori vantaggi competitivi rispetto agli altri operatori della stampa on-demand in un mercato in crescita, spinto sia dal fenomeno del Web sia dalla diminuzione della tiratura media. “Produrre i libri arrivando a realizzare anche la copia singola, ma su una linea industriale”, conclude Alessandro Antonuzzo, “significa godere di importanti economie di scala preservando la qualità”. Emilio Mango

LA SOLUZIONE Come poter stampare bassissime tirature o addirittura copie singole (come nel caso di libri risultati difettosi dopo la fase di confezionamento) senza rallentare l’intero processo produttivo? La soluzione di Rotomail è stata innovativa ma allo stesso tempo semplice: da un paio di anni Hp utilizza su alcune stampanti da ufficio la medesima tecnologia a getto d’inchiostro adottata dalle grandi macchine Hp WebPress: le testine di stampa PageWide. Rotomail ha

6

| APRILE 2016

quindi acquistato dieci esemplari di Hp PageWide Pro (prima conosciute come OfficeJet Pro X) e le ha integrate nel ciclo produttivo, assegnando loro il compito di stampare, in modalità offline, proprio le copie singole e le piccolissime tirature. La stampa con le Hp PageWide Pro (la cui qualità in output è indistinguibile dalle grandi macchine WebPress proprio perché adottano la stessa tecnologia) parte in automatico non appena il sistema si accorge della presenza di un esemplare difettoso.


A Vignate è il prodotto che modella la macchina Fedeli al credo hi-tech, in Rotomail sperimentano e innovano, modificando gli impianti in funzione del risultato finale. Con l'approccio tipico degli artigiani.

E

splorare territori nuovi, soddisfare piccole ma significative nicchie di mercato, essere indipendenti dalle major del software e automatizzare le attività artigianali, naturalmente fruttando al massimo le tecnologie di frontiera. Queste sono, in sintesi, le linee guida che hanno ispirato Rotomail Italia fin dalla sua nascita, nel 1996. Giovanni e Alessandro Antonuzzo, padre e figlio, sono un classico esempio di imprenditoria italiana di successo, quella che non ha paura di investire e di sperimentare.

Come definireste il rapporto tra Rotomail e la tecnologia?

è un rapporto indissolubile. La tecnologia ci ispira fin dalla nascita: abbiamo iniziato come software house e ancora oggi contiamo su un gruppo di oltre trenta programmatori per creare valore e vantaggio competitivo per la nostra azienda. Abbiamo sempre cercato di automatizzare un settore che si può tranquillamente considerare artigianale, quello della stampa on-demand, arrivando fino alla creazione della copia singola, il cosiddetto “book of one”. Per far questo abbiamo dovuto “mettere le mani” sia sul software sia sull’hardware, collaborando, in quest’ultimo ambito, con i produttori delle macchine per la stampa e la confezione. Che risultati siete riusciti a ottenere grazie a questa propensione per l’hi-tech?

Oggi siamo un punto di riferimento a livello mondiale per la stampa ondemand, e in un certo senso abbiamo

Alessandro Antonuzzo (a sinistra), general manager di Rotomail, e il padre Giovanni, uno dei tre fondatori dell’azienda.

anticipato la moda di Internet delle Cose attraverso l’utilizzo dei codici in produzione. Questi ultimi, impressi sui libri, vengono letti dalle macchine, che li utilizzano per autoconfigurarsi per la stampa e il confezionamento di quel particolare esemplare. Quali riscontri concreti di business avete ottenuto?

Sul fronte dei libri on-demand, che rappresentano un po’ la summa di tutte le esperienze, il nostro portale Web è in grado di gestire tutto il ciclo produttivo, dall’ordine al caricamento dei file, dalla stampa alla confezione, dall’imballaggio alla consegna agli spedizionieri. Integrare questo software con le macchine è stato il nostro più grande plus, quello che ci ha consentito di conquistare la fiducia di oltre 400 clienti in ambito editoriale tra cui Ingram, una multinazionale con oltre mezzo milione di titoli a catalogo.

Quanto vi costa questo amore incondizionato per la tecnologia?

L’anno scorso abbiamo investito sei milioni e mezzo di euro in sviluppo software e ricerca di nuove tecnologie, e la media degli ultimi anni non è mai scesa sotto i tre. Per una società con un fatturato complessivo di poco superiore ai 20 milioni è un bel sacrificio, fortunatamente ben ripagato. Il futuro che cosa vi riserva?

La direzione è quella della personalizzazione estrema. Tra non molto saremo in grado, ad esempio, di lanciare un portale per la creazione e la stampa di libri fotografici in modalità “book of one”, la sublimazione del concetto di stampa ondemand. Vogliamo continuare a inventare soluzioni per prodotti di nicchia complessi nel mondo del printing, un campo che riteniamo possa essere battuto da un gruppo molto ristretto di aziende a livello mondiale. E.M. 7


IDC Predictive Security Conference 2016 Beyond the 3rd Platform: ripensare la sicurezza per la digital enterprise

4 Maggio 2016 - Milano, Hotel Melià #IDCSecurity16

Tre macro trend stanno rivoluzionando il modo di intendere, gestire e fornire sicurezza IT. Con la piena affermazione di cloud e mobile, il concetto di perimetro aziendale sta crollando definitivamente; con un milione di nuove minacce malware al giorno (e la tendenza è a salire), le aziende devono convincersi che sono già state compromesse e che devono lavorare per mitigare i rischi: questo è un grande cambiamento per chi ha sempre pensato solo a proteggersi; infine, la nuova regolamentazione UE per la protezione dei dati che rimpiazzerà quella vecchia di 10 anni, impatterà profondamente su tutte le aziende. Cosa significa tutto ciò? Che CISO e vendor dovranno lavorare insieme per una nuova generazione di sicurezza, che contempli oltre la fase di prevenzione-protezione anche quella di rilevamento-risposta. Le violazioni dovranno essere scoperte subito e contenute, e per farlo saranno d’aiuto nuove soluzioni con capacità predittive.

tags Next-Generation security, Cybersecurity, Cloud security, Mobile security, Security intelligence, Vulnerability assessment, Data loss prevention, Risk management, Identity and access management, Threat management, Policy monitoring, Big data, IoT security.

Platinum Sponsor

Gold Sponsor

PER INFORMAZIONI Nicoletta Puglisi, Senior Conference Manager, IDC Italia npuglisi@idc.com · 02 28457317

http://www.idcitalia.com/ita_security16


IN EVIDENZA

l’analisi MERCATO DIGITALE: SIAMO AI LIVELLI DEL 2012. L’EUROPA RIMANE LONTANA “L’application economy è una componente chiave della trasformazione digitale, grazie a metodologie di sviluppo come Agile o DevOps che permettono di ridurre immensamente il tempo di scrittura del software. Chi saprà interpretare meglio le nuove tendenze e i necessari cambiamenti a livello di processo sarà vincente”. La considerazione di Agostino Santoni, presidente di Assinform, è in apparenza rivolta ai soli ruoli che in azienda si occupano di tecnologia. E invece è trasversale a tutte le figure del management, perché l’accelerazione di cui le imprese e il Paese hanno bisogno non può prescindere da uno sforzo culturale comune, all’insegna dell’innovazione. “Mai come oggi”, ha detto in proposito Santoni, “l’innovazione è semplice da fruire: la potenza di calcolo e le applicazioni che il cloud mette a disposizione ne sono l’espressione”. L’invito a procedere, indirizzato all’intero tessuto aziendale e a quello delle Pmi in particolare, è esplicito. La fatica con la quale la Penisola sta affrontando il percorso di digitalizzazione si riflette, del resto, negli ultimi dati presentati da Assinform, che registrano per il mercato digitale una giro d’affari in crescita dell’1% nel 2015 e una proiezione di rialzo dell’1,5% per il 2016. L’ambizione di Santoni è quella di vedere incrementi a doppia cifra, perché bisogna recuperare un triennio di calo. La spesa italiana in tecnologie ammontava a 68 miliardi di euro nel 2012, più dei 64,9 miliardi del 2015 e più di quanto si stimi per quest’anno (si sfioreranno forse i 66 miliardi). Dove

Assinform fotografa la lenta risalita della spesa in tecnologie, ma il ritardo delle Pmi è ancora evidente. Per l'ex Ministro dell’Innovazione, abbiamo perso dieci anni. intervenire? “Le startup possono essere un motore di sviluppo del digitale e per questo vanno incentivati gli investimenti dei venture capital, connettendo i diversi punti dell’ecosistema”, dice convinto il numero uno di Assinform. Il primo obiettivo da raggiungere per la trasformazione della Pa è invece, e da molti mesi a questa parte, sempre lo stesso: “Il Piano di Crescita Digitale definisce in modo chiaro e strategico come i servizi digitali debbano essere resi disponibili ai cittadini. Ora la sfida è velocizzare l’operatività di questi progetti”. Bisogna però accelerare anche su altri fronti, a cominciare dalla piccola impresa, che esprime più del 50% del Pil nostrano ma rimane al momento ai margini dell’evoluzione digitale (i soli incentivi fiscali per l’innovazione evidentemente non bastano), per arrivare

alle competenze e alla strategia nazionale per l’Industry 4.0 (vedi s pag. 51). In questo scenario a luci e ombre si inserisce la riflessione, apparsa sul Sole24ore, di Lucio Stanca: riassumendo le cause del digital divide che oggi ci separano dal resto d’Europa, l’ex ministro per l’Innovazione e le tecnologie ha posto l’accento sulla mancanza di una strategia comune fra tutti gli attori (pubblici e privati) coinvolti, sulla carenza di una forte governance istituzionale in grado di coordinare investimenti e azioni e, infine, sull’assenza di una continuità progettuale e operativa. Per l’ex Ministro, che ricorda come nel 2004 l’Italia salì all’ottavo posto nel ranking dei 18 Paesi della Ue per i servizi di e-governemnt, abbiamo perso dieci anni. Gianni Rusconi

APRILE 2016 |

9


IN EVIDENZA

Il giusto equilibrio tra cloud e on-premise e ingenti investimenti nel settore dell'healthcare. Questa la strategia dell'azienda tedesca per cavalcare la trasformazione.

Fondi Ue per le Pmi innovative

Bill McDermott

sap punta con decisione al mercato della sanità “Cloud-first ma non cloud-only”. Esordisce così Franck Cohen, presidente per l’Europa, il Medio oriente e l’Africa di Sap, nel corso di un’intervista rilasciata a Technopolis in occasione del Sap Executive Summit di marzo a Villa d’Estea Cernobbio. Un appuntamento diventato già un classico per chi si occupa di It, ma anche per chi vuole capire che strada stia prendendo la trasformazione digitale (un tema che interessa sempre di più i vertici aziendali e le linee di business). Il cloud, quindi, va visto come forza trainante del mercato ma non come fenomeno che possa cannibalizzare le architetture e le licenze tradizionali, tanto che secondo il manager entrambe le proposizioni sono in crescita. Piuttosto, Cohen rivendica orgoglioso la scelta di Sap di correre da soli con Franck Cohen

10

| APRILE 2016

la tecnologia Hana, frutto di quattro anni di sviluppo e ora determinante per il futuro della multinazionale. “Se non avessimo iniziato lo sviluppo di Hana”, dice il presidente Emea, “la spinta del cloud non sarebbe bastata da sola a fare della nostra piattaforma un motore fondamentale per la trasformazione digitale. Oggi chi ci ha scelto ha a disposizione un sistema in-memory a basso impatto, in grado veramente di fare la differenza nel business, arrivando fino alle analisi in real time”. Al summit ha fatto una lunga e apprezzata apparizione anche Bill McDermott, il Ceo mondiale di Sap, che oltre a dichiarare apertamente il suo amore per l’Italia ha annunciato l’impegno della multinazionale nel settore dell’healthcare, giudicato strategico non solo per le potenzialità di mercato (che sono a medio-lungo termine, visti gli ingenti investimenti necessari per giocare sul tavolo delle soluzioni per la sanità) ma anche per la corrispondenza con la mission di Sap, quella di “migliorare la vita delle persone”. “A un mio amico”, ha detto McDermott, “non consiglierei mai di entrare nel mercato dell’healthcare. E’ troppo rischioso, regolamentato, diverso da Paese a Paese, complicato. Ma per Sap sarà l’investimento più importante dei prossimi anni”. E.M.

Un prestito da 180 milioni di euro, di cui 30 esclusivamente per il Piemonte e il resto ripartito a livello nazionale. È l’entità delle risorse che il Fondo europeo per gli investimenti strategici (Feis) ha deliberato di recente, firmando due accordi per sostenere le startup e le Pmi ad alto contenuto tecnologico. La prima convenzione, sottoscritta dal Credito Valtellinese con la doppia garanzia del Feis e del progetto Horizon 2020, rappresenta la tranche da 150 milioni. Gli accordi di cui sopra, che portano i finanziamenti Ue alle imprese innovative italiane a 1,7 miliardi di euro, non sono gli unici a sbloccare nuove risorse per le startup. La Commissione Europea ha infatti annunciato un altro programma di investimenti, da 200 milioni, per lo sviluppo della digital economy. Coinvolti nell’operazione quattro fondi azionari, fra cui l’italiano Panakès Fund I, che per i prossimi cinque anni finanzierà progetti nell’ambito delle tecnologie mediche di nuove generazione.

italia più veloce grazie a enel Coprire entro il 2020 l’intero territorio italiano con connessioni a 30 Mbps, arrivando a servire fino al 50% delle utenze con i 100 Mbps. È la meta del piano ultrabroadband presentato il 7 aprile da Matteo Renzi a braccetto con l’Ad di Enel, Francesco Starace. La società elettrica ha un ruolo chiave nel piano, che andrà a toccare 224 città, e prevede investimenti di 2,5 miliardi di euro per lo sviluppo della rete. Il 29 aprile partiranno le prime gare per le aree C e D (a fallimento di mercato) a cui già sono stati destinati tramite il Cipe 3,5 miliardi di euro.


LA BANDA si alLARGA Un passettino alla volta, il nostro Paese si sta avvicinando agli obiettivi previsti dall’Agenda Digitale dell’Unione Europea sulla diffusione della banda ultralarga. Che, va detto, rimangono comunque ancora lontani. Ma un progresso i numeri lo testimoniano. Nel 2015, riporta l’Osservatorio Agcom, gli accessi in tecnologia xDsl sono scesi in Italia di 230mila unità, mentre sono cresciuti (più 780mila) quelli sostenuti da altre tecnologie a banda larga e ultralarga. Oggi l’ultrabroadband è disponibile in 2,1 milioni di edifici. In totale, le linee broadband di nuova generazione (Next Generation Access) hanno superato il 7% delle linee complessive e sono risultate pari al 9,7% di quelle a banda ultralarga, per un totale (a settembre 2015) di 1,4 milioni di unità. Fra gli operatori, la quota di mercato di Telecom Italia è stata del 58% (meno 2,6 punti su base annua), mentre Wind ha raggiunto il 13,4% (+0,2%). Fastweb e Vodafone, invece, sono arrivate rispettivamente all’11,6 e al 10,6%. Negli ultimi quattro anni Telecom Italia ha dovuto dire addio a 2,9 milioni di accessi. A pesare sulle prestazioni dell’ex monopolista è anche la costante emorragia delle linee fisse, che nel 2015 sono calate di 350mila unità. Le linee mobili sono, inoltre, diminuite di 1,66 milioni nell’arco di un anno.

IBM WATSON HA IMPARATO A DIRE “trentatrÉ”

La ricerca scientifica riceverà un aiuto dal supercomputer Watson di Ibm. Il colosso statunitense ha firmato un accordo di collaborazione con il Governo italiano per portare nell’area di Expo Milano il primo centro di eccellenza europeo Watson Health, in cui sviluppare e distribuire applicazioni in ambito sanitario basate sui dati ed elaborate dal cervello artificiale di Big Blue. Frutto di un investimento di circa 135 milioni di euro, l’hub sorgerà nelle vicinanze dello Human Technopole Italy 2040, il polo di ricerca voluto da Matteo Renzi che dovrebbe occuparsi in futuro di temi come la genomica e i Big Data. Così come per il progetto del presidente del Consiglio, però, sono al momento

Nascerà nell’area di Expo Milano il primo centro di eccellenza medico scientifico alimentato dal supercomputer di Big Blue. carenti anche i dettagli sul centro Watson Health: a pieno regime, la struttura dovrebbe occupare fino a seicento persone e seguirà probabilmente la pianificazione di Human Technopole, anche se manterrà la propria indipendenza. Maggiori informazioni dovrebbero essere rese disponibili nei prossimi tre mesi, quando il Ceo di Ibm, Ginni Rometty, potrebbe presentarsi in Italia a fianco di Renzi per illustrare nuovi particolari dell’accordo.

Smart city, il Mise ci prova Rafforzare la dotazione infrastrutturale delle città, grazie a “smart grid” interconnesse con la banda larga, e potenziare la capacità dell’industria di rispondere al fabbisogno di servizi innovativi, tramite quartieri-pilota in cui verranno sperimentate soluzioni “intelligenti” non ancora presenti sul mercato. Sono questi i

due principali obiettivi del primo atto in materia di smart city del Ministero dello Sviluppo Economico, firmato lo scorso marzo dall’ex titolare del dicastero Federica Guidi. Con 65 milioni di euro di dotazione iniziale e una partnership fra pubblico e privato, il programma prenderà avvio dalle aree metropolitane.

11


IN EVIDENZA

PIOGGIA DI MILIONI PER L’ITALIA

teamsystem vola sul cloud Anche se di dimensioni molto contenute, in termini di investimenti, rispetto a quelli della Silicon Valley o di Paesi come il Regno Unito o Israele, il movimento delle startup italiano si dimostra sicuramente dinamico. Tanti gli esempi di nuovi finanziamenti raccolti dalle neoimprese innovative, operanti soprattutto in campo food, e-commerce ed e-health. E la buona notizia è che a muoversi sono anche le grandi firme dell’universo tecnologico. Di fine marzo, per esempio, è il lancio della “Call for Startups 2016” di Tim#Wcap (il termine per iscriversi scade a fine maggio), il programma di “open innovation” avviato dall’operatore nel 2009. Sul tavolo quest’anno ci sono 1,7 milioni di euro e alla partita sono chiamate a partecipare soprattutto startup mature e pronte a proporsi come fornitori di soluzioni innovative del Gruppo Telecom Italia. Le aziende che verranno selezionate sono 40 e fra gli ambiti di sbocco di maggior interesse spiccano l’Internet of Things, l’Industry 4.0, la logistica smart, i Big Data e le automobili connesse. A ciascuna delle startup vincitrici Tim fornirà un grant da 40mila euro e l’accesso al percorso di accelerazione in una delle sue strutture di Milano, Bologna, Roma e Catania. Lo sforzo di

12

| APRILE 2016

Da Cisco a Tim, passando per il Fondo di Garanzia del Mise: per l’ecosistema delle imprese innovative il 2016 è iniziato nel verso giusto. Cisco per lo sviluppo dell’ecosistema nazionale delle startup, invece, si è concretizzato con un investimento da cinque milioni di euro nel fondo di venture capital di Invitalia Ventures, l’agenzia controllata dal Ministero dello Sviluppo Economico a cui fanno riferimento oggi circa 90 diversi investitori. L’impegno del gigante californiano rientra nel piano triennale da 100 milioni di euro, varato nel 2015 per contribuire alla trasformazione digitale italiana. Diversi milioni di euro per le startup, infine, sono stati erogati nei primi due mesi del 2016 dal Fondo di Garanzia istituito dallo stesso Mise, con il quale lo Stato si fa garante di una quota del prestito (fino all’80%) erogato dalle banche alle attività imprenditoriali. A fine febbraio si contavano oltre 800 nuove aziende destinatarie dei finanziamenti legati al Fondo, per un totale di circa 325 milioni di euro. Lombardia, Emilia Romagna e Lazio le Regioni più attive.

Teamsystem ha incontrato i propri partner commerciali a Rimini, come ogni anno, in un appuntamento che questa volta è stato allargato anche ai clienti finali. Così, i 1.400 partecipanti alla trentasettesima edizione della convention hanno potuto respirare un’aria diversa, arricchita da curiosità e aspettative degli utenti delle soluzioni gestionali che il Gruppo continua a sostenere e sviluppare. Tema della due giorni riminese è stata la “digital transformation”, un fenomeno che oltre a cambiare i connotati delle aziende sta mutando profondamente le relazioni tra fornitori, partner e clienti. Tra le (buone) notizie di quest’anno c’è sicuramente la grande crescita del cloud, che secondo Federico Leproux, amministratore delegato di Teamsystem, ha triplicato il suo peso nel giro d’affari del Gruppo, i cui numeri sono sempre più interessanti: 220mila clienti, con un tasso di rinnovo dei contratti che tocca il 95%, 160 milioni di euro di fatturato (più 9,2% rispetto all’anno scorso) e 11 milioni investiti per la ricerca e la crescita. Tra gli investimenti più significativi spicca l’acquisizione di E-conomic, un provider danese in ambito cloud che dovrebbe accelerare i processi interni e quindi migliorare anche l’offerta di Teamsystem sul fronte dell’It sulle nuvole. La software house ha acquisito il 40% dell’azienda con l’opzione per arrivare alla totalità delle azioni.


l’intervista

cybercrimine: il primo rischio è sottovalutare il problema Le minacce più subdole restano nascoste. E spesso le aziende sbagliano, focalizzandosi sui costi. Ce ne parla uno dei fondatori di Check Point.

I numeri non smettono di impressionare. Nel mondo, secondo i monitoraggi di Check Point Software Technologies, ogni 24 secondi un host accede a un sito dannoso, ogni 34 secondi viene scaricato un malware sconosciuto, ogni minuto una bot comunica con il suo centro di controllo. Eppure capita che le aziende puntino al ribasso, inseguendo le soluzioni meno costose. Ne abbiamo discusso con Marius Nacht, uno dei fondatori di Check Point, che abbiamo incontrato durante una sua recente visita in Italia. Come sta cambiando lo scenario del cybercrimine?

Oggi il vero pericolo non finisce sulle prima pagine dei giornali. A volte le aziende stesse non si accorgono di essere state colpite o non vogliono che se ne parli. Uno strumento sempre più dan-

la sicurezza è made in Italy

David Bevilacqua

noso sono gli attacchi zero-day, spesso spalleggiati dai governi, molto precisi e rivolti a colpire singole organizzazioni o addirittura specifici individui. Penso che osserveremo sempre più di questi episodi, senza che necessariamente finiscano nelle cronache. Le aziende reagiscono correttamente?

Il cybercrimine è un business redditizio, in cui crescono gli attacchi mirati. Esiste una buona fetta di aziende con lacune culturali e, conseguentemente, con gap tecnologici da colmare. Ma la sicurezza non può essere frutto di un compromesso sulla qualità: permettersi il lusso di acquistare un prodotto di secondo livello, invece del migliore, concede agli hacker un rischioso margine di manovra. I criminali, infatti, hanno sempre a disposizione le risorse migliori.

Da un ruolo di dirigente in una multinazionale dell’It alla scommessa su una promettente startup: David Bevilacqua ha fatto il grande passo, dopo il congedo da Cisco (con vent’anni di carriera accumulati, fino all’incarico di vice president South Europe), sposando l’avventura di Yoroi. Una giovane azienda bolognese di cybersecurity, che abbiamo definito “promettente” per più di una ragione. Innanzitutto, perché si colloca in uno dei mercati più in ascesa all’interno del comparto Ict e poi perché il suo giovane fondatore – il trentaquattrenne Marco Ramilli – ha alle spalle esperienze di lavoro in quel di Washington, uno fra i quartieri gene-

A che punto siamo in Italia?

Abbiamo osservato nel vostro Paese una particolare sensibilità al prezzo anche quando si tratta di sicurezza informatica: rispetto ad altre nazioni, in Italia si tende a scegliere i vendor più economici. Questo accade forse per la prevalenza di aziende di piccole e piccolissime dimensioni, con budget ridotti, ma anche per una sorta di propensione culturale nello sperare che il rischio non possa mai colpire direttamente noi. In ogni caso, l’essere una piccola azienda non significa necessitare di minore sicurezza: qualsiasi sia la dimensione d’impresa, il valore da proteggere sono i dati. Sul mercato italiano il nostro obiettivo per quest’anno è quello di entrare nella fascia media, dopo che nel 2015 abbiamo consolidato la nostra presenza in quella alta. Valentina Bernocco

rali della cybersecurity a stelle e strisce, e una menzione di Gartner nella top-50 delle personalità più influenti nel mondo della sicurezza It. “La parola Yoroi indica la cintura del samurai: leggera, ma resistente”, spiega Bevilacqua. L’ingrediente centrale è la sandbox, sviluppata su piattaforma open source, con un contorno di servizi (assessment, monitoraggio dei sistemi, coordinamento e supporto delle azioni di mitigazione) fruibili con canone mensile. “Sono devoto a Cisco”, rimarca Bevilacqua. “La scelta di cambiare è coincisa con i miei cinquant’anni di età e con i vent’anni in azienda. È stata una sorta di allineamento di pianeti”. V.B.

13


IN EVIDENZA

PageWide promossa a terza tecnologia: nuove stampanti e multifunzione per le aziende “Il più importante annuncio degli ultimi dieci anni”. Così lo ha definito David Ryan, a capo del business delle stampanti di Hp a livello Emea, e così gli ha fatto eco Luca Motta, suo omologo per l’Italia, entrambi presenti a Lisbona a marzo per il primo grande evento ufficiale in Europa della “nuova” Hp. Applicando alla lettera il “reinvent”, una delle formule magiche più in voga nella comunicazione della multinazionale, la società ha deciso di lanciare la tecnologia PageWide. Nata con le grandi macchine per la stampa e già sperimentata da un paio di anni su alcuni modelli OfficeJet Pro, ora è una vera e propria linea a sé stante, con la medesima dignità delle storiche InkJet e LaserJet. La nuova gamma PageWide, che si distingue per bassi costi di gestione, qualità paragonabile alle periferiche laser e velocità elevate, spazierà dalle piccole imprese ai gruppi di lavoro anche in ambito enterprise, più o meno lo stesso contesto in cui sono posizionate le stampanti laser (anche se queste ultime mantengono una vocazione particolare da una parte per la stampa in bianco e nero e dall’altra per le grandi organizzazio-

FORTINET PUNTA sul “MICRO” “Il nostro obiettivo è diventare entro il 2020 il primo player nel mercato della networking security”. Non si mostra per niente insicuro Filippo Monticelli, regional director Italy and Malta di Fortinet, nel descrivere la strategia

14

| APRILE 2016

Luca Motta

L’innovativa soluzione a testina larga di Hp, utilizzata da anni sulle stampanti industriali, si affianca ufficialmente a InkJet e LaserJet, promettendo alte prestazioni e costi contenuti.

riali di scarto in meno). Tra i modelli in arrivo ci sono le PageWide 352dw e Mfp 377dw, rispettivamente stampante e multifunzione, progettate per lo small business e i piccoli gruppi di lavoro. Un gradino più su troviamo la PageWide Pro 452dw e l’Mfp 477dw, capaci di gestire cicli fino a 4.500 pagine/mese. Al vertice dell’offerta mid market c’è la serie 500, con velocità di 70 pagine al minuto e volume di stampa di 6.000 pagine al mese. Sul fronte enterprise, infine, sono state introdotte la PageWide Enterprise Color 556 e l’Mfp 586, che toccano il record di velocità di 75 pagine al minuto. E.M.

ni con un numero elevato di utenti e alti volumi di stampa mensile). Pulite e silenziose, le stampanti PageWide, secondo il management Hp, battono nuovi record di velocità, consumano fino all’84% di energia in meno e vantano un packaging più ecologico (con fino al 94% di mate-

aziendale per i prossimi mesi. Che consiste nell’aggredire un mercato capace di offrire molto, perché “la superficie di attacco a cui sono esposte le imprese continua ad aumentare”, aggiunge Monticelli. “A causa, per esempio, dell’enorme diffusione dei dispositivi mobili e degli oggetti connessi”. Ecco che Fortinet si trova in prima linea per cavalcare temi emergenti come la mi-

cro-segmentazione dei data center, puntando anche su appliance caratterizzate da coprocessori sviluppati ad hoc per compiti specifici (Asic). Con l’ultimo aggiornamento del sistema operativo FortiOs, giunto alla versione 5.4, le aziende hanno inoltre a disposizione nuove funzionalità per individuare e isolare le minacce che riescono a oltrepassare le difese perimetrali.


l’opinione

IL VIAGGIO DEL CLIENTE-CONSUMATORE E L’AUTOMAZIONE DEL MARKETING La personalizzazione del messaggio richiede avanzate tecniche di gestione dei dati e la connessione di tutti i canali di comunicazione.

Automatizzando il processo di elaborazione dati le aziende possono ridurre radicalmente l’errore umano, migliorando di conseguenza la qualità del messaggio e dell’offerta. Così la comunicazione diventa ancora più potente ed efficace, ma soprattutto completa, dinamica e coerente con l’immagine del marchio. In un’arena competitiva estremamente concorrenziale come quella odierna, il reale valore aggiunto per un’organizzazione si costruisce intorno al singolo consumatore e alle sue esigenze. L’impresa, da tempo ormai, ha infatti convertito le obsolete dinamiche di marketing e comunicazione di tipo “push” in modelli sempre più coinvolgenti e bidirezionali di tipo “pull”. Questo scenario è andato via via affermandosi (ma anche complicandosi, per certi versi) con la digitalizzazione esponenziale di aziende e consumatori. La velocità di evoluzione del mercato, unita a quella degli utenti, ha però rallentato la maggior parte delle imprese, impegnate a elaborare moli di dati impensabili, con l’obiettivo di personalizzare l’offerta e modularla a seconda del canale. Raccogliendo e analizzando informazioni sugli utenti, le aziende definiscono una “customer journey” asincrona e poco efficace sul mercato, che richiederebbe per la profilazione del singolo utente più di venti giorni (tempi pressoché improponibili per il business). Per questa ragione, oggi è possibile affermare che aridi database non hanno mai consentito una reale e significativa personalizzazione del messaggio e, quindi,

Aldo Agostinelli

dell’offerta, trasformandosi fisiologicamente in spam. Da pochi anni le nuove tendenze del digital marketing hanno sfornato il cosiddetto “marketing automation”. Che cos’è esattamente e, soprattutto, qual è il suo tangibile impatto sull’azienda? Quasi il 90% degli uomini di marketing ancora non sa nello specifico di che cosa si tratti, benché si sia iniziato a parlarne intorno all’anno 2000. La sua vera implementazione in azienda, con risultati concreti e performanti, risale però solo a circa tre anni fa. Questo strumento non è che un mix equilibrato di software e strategie, un mix avente l’obiettivo principale di gestire meglio il cliente e aumentarne il cosiddetto engagement. È il frutto di un’analisi in tempo reale della “customer journey” che permette di agire in breve tempo e con messaggi realmente mirati a cluster che si riducono all’unità, con risultati impattanti in termini di vendite sul lungo periodo. È possibile, inoltre, definire il “marketing automation” come il canale di comu-

nicazione più user-friendly in assoluto perché, connettendo punti di contatto multipli (l’email marketing, il content marketing, i siti e tutti i social media relativi all’azienda) vengono costruiti un messaggio e, a seguire, un’offerta su misura per l’utente (cliente acquisito o prospect), che ne percepisce il reale valore aggiunto. Così la comunicazione diventa ancora più potente ed efficace ma soprattutto completa, dinamica e coerente con l’immagine del marchio. Automatizzando il processo di elaborazione dati, l’azienda può ridurre radicalmente l’errore umano, migliorando di conseguenza la qualità del messaggio e dell’offerta. Pratiche di marketing di questo genere sono nate per realtà che offrono principalmente servizi (banche, assicurazioni, società attive nel mondo entertainment e altre) e che sono impegnate in un percorso di acquisizione online del cliente. L’investimento per l’impresa varia, innanzitutto, a seconda della dimensione dell’organizzazione e, in secondo luogo, rispetto al ventaglio di offerta proposto e agli obiettivi da raggiungere. In linea di massima si parla di centinaia di migliaia di euro. L’intera industry del “marketing automation” è ancora in una fase embrionale, soprattutto in Italia, ma registra numeri estremamente interessanti a livello mondiale. In termini di penetrazione sul mercato, infatti, BuiltWith stima una crescita intorno a 1,6 miliardi di dollari all’anno. Aldo Agostinelli, digital marketing & sales director di Sky Italia

15


SCENARI | Cio e Cxo

Nuove competenze per la trasformazione L'adozione delle nuove tecnologie rappresenterà anche nel 2016 la principale sfida per le aziende. Per i Cio si aprono grandi opportunità per rendere i processi più efficienti e per migliorare il business. Ma serve un cambiamento.

S

tando ai cinquanta manager americani censiti da Nomura Holdings per l’edizione 2016 della propria Cio Survey, il budget di spesa in tecnologie crescerà solo dell’1,2% nel 2016, rispetto al 3,1% dello scorso anno. Una flessione evidente, ma che verrà riscattata parzialmente 16

| APRILE 2016

nel 2017, quando gli investimenti dovrebbero segnare un incremento anno su anno del 2%. Proiezioni che forse non riflettono fedelmente le intenzioni dei responsabili informatici su scala internazionale, ma che ci permettono di capire dove i chief information officer destineranno le risorse a loro disposizione nei prossimi 12/24 mesi. Le priorità evidenziate dallo studio, in tal senso, non rappresentano certo una novità: Big Data analytics, cloud computing e security sono le voci che domineranno la spesa del biennio 2016/2017. Sarà la sicurezza, in particolare, il primo driver degli investimenti It per l’82% dei manager interpellati. Se queste sono le intenzioni professate dai responsabili It statunitensi, quelle dei colleghi italiani registrate dalla “Cio Survey 2016” realizzata da Netconsulting Cube (per conto di Capgemini Italia, Hewlett Packard

LA DISRUPTION CREATIVA DEI CMO Due terzi dei chief marketing officer di tutto il mondo ritengono che la sfida di business più impegnativa da affrontare in futuro sia la convergenza dei settori industriali. E questo perché le nuove tecnologie stanno abbattendo le barriere di ingresso che in passato esistevano tra comparti allora ben distinti. Lo dice un recente studio dell’Institute for Business Value di Ibm, condotto su oltre 700 Cmo di aziende appartenenti a 18 settori verticali. Stando all’indagine, oltre i due terzi dei manager censiti sta riesaminando la propria strategia alla luce della “disruption” provocata dalla tecnologia, mentre per


Enterprise e Tim) coinvolgendo circa settanta realtà private, riflettono lo stato di cantiere aperto e il processo di “metabolizzazione” del cambiamento in corso nelle aziende nostrane. I lavori stanno comunque procedendo, appoggiandosi a pilastri quali mobile, cloud, Big Data, social e Internet of Things. L’aspetto chiave della questione non è legato alla specifica tecnologia: per raggiungere gli obiettivi servono figure capaci di affrontare il mutamento con una visione sempre più ampia. Il Cio, insomma, deve imparare a svolgere un compito diverso rispetto al recente passato, aprendosi molto di più alle altre figure di management dell’organizzazione, a cominciare da Cfo e Cmo, e cioè i responsabili dell’area finanziaria e del marketing. Un principio di “condivisione” delle funzioni aziendali che non è del tutto nuovo. Ora, però, i tanti volti della trasformazione generata dal digitale (una trasformazione tecnologica, organizzativa e relazionale) ne stanno accelerando l’affermazione. Nel 2016 il fattore “disruption” contiil 63% la prima priorità di investimento per il 2016 è la necessità di creare una migliore customer experience, più approfondita e focalizzata. È del 60%, invece, la percentuale di chi intende sfruttare una quantità maggiore di “insight” nelle campagne di marketing pianificate per i prossimi tre-cinque anni, facendo progressivamente proprio un approccio di tipo “data-driven”. Il 79% dei Cmo, infine, pensa di assumere collaboratori con competenze dedicate per aumentare l’efficacia digitale delle loro funzioni e quasi tre quarti di essi (il 74% per la precisione) prevede di stabilire accordi con altre aziende o di ricorrere a società di consulenza per avvalersi di questi skill.

L’EFFETTO DEL DIGITALE SUI CFO Per i professionisti del settore finance, l’ingresso nell’era del digitale coincide con un impegno ben preciso: ripensare le modalità di misurazione dello stato di salute delle proprie aziende, trasformando i loro ruoli e adottando nuovi Kpi (key performance indicator) per meglio parametrare il valore delle risorse intangibili. È il messaggio che emerge dalla ricerca realizzata su scala Emea da Cgma (Chartered Global Management Accountant) sul ruolo dei chief financial officer. Lo studio evidenzia in particolare una criticità e cioè il fatto che pochi, tra i circa 370 manager intervistati, affermino di avere accesso ai dati necessari a misurare elementi fondamentali per il business, quali il “sentiment” del consumatore e il marchio. Solo il 16%, per esempio, è in grado di raggruppare e analiz-

nuerà a rappresentare la sfida principale per le aziende. Fra i tanti dati emersi dall’indagine scopriamo, per esempio, che per il 31% dei Cio italiani interpellati la trasformazione digitale aiuterà a fare meglio e in maniera più efficiente quanto realizzato fino a oggi, mentre per il 14% darà accesso a nuovi mercati. Per oltre la metà del campione, inoltre, la trasformazione creerà nuovi modelli di business mentre sono ormai quasi scomparsi i Cio che considerano il digitale come totalmente ininfluente (3%). Siamo, come si diceva, in una fase di “work in progress” e la conferma arriva dal fatto che solo la metà del panel oggetto di studio ha parlato di trasformazione già in corso. Per il 25% dei manager It l’impatto sarà invece più evidente nel 2018. Il problema, semmai, risiede nel 27% di aziende che ammette di non aver ancora predisposto un “digital masterplan” e nel 15% di imprese che ha este-

zare i dati riguardanti le “opinioni” dei clienti e un’identica percentuale di manager ha accesso a informazioni che mostrano l’impatto del brand sul fatturato. Eppure le risorse intangibili rappresentano l’80% del valore delle società che compongono l’indice S&P 500. L ’adozione di Kpi innovativi per misurare tali risorse assumerà, anche per questo, un’importanza sempre crescente. Avendo una visione ampia dell’organizzazione e le competenze necessarie per interagire con diversi interlocutori, i Cfo sono nella condizione di garantire che le imprese raggruppino, analizzino e usino le informazioni al fine di migliorare le performance dell’azienda. Sempre che, come ammoniscono gli esperti, si dimostrino capaci di estrarre i dati rilevanti dall’intera organizzazione.

so l’orizzonte temporale per intervenire fino al 2020. Se governare l’evoluzione in maniera strategica è una sorta di requisito fondamentale per ottenere risultati, le aziende italiane sembrano aver recepito il messaggio. L’implementazione di nuovi progetti legati alle tecnologie digitali è, sì, guidata dai Cio nella maggior parte dei casi (il 50,9%) ma altrettanto spazio hanno avuto i Cmo (entrati in gioco nel 22,6% dei progetti), i “comitati misti” (nel 13,2%) e gli interventi diretti dei Ceo (nel 7,6%). Secondo il 72% dei manager intervistati, infatti, il livello di coinvolgimento del top management è medio-alto, segno che la strada del cambiamento del ruolo è stata intrapresa. Con la consapevolezza di dover sviluppare nuove competenze, specie in ambiti ancora carenti come quelli dei data science-analytics, della programmazione su mobile e dell’Internet delle cose. Piero Aprile 17


SCENARI | Big Data

una strada segnata Il processo di evoluzione dell’uso in azienda di avanzate tecnologie di analytics per massimizzare il valore dei dati è iniziato. Anche se una parte di consumatori rimane scettica.

M

eno moda tecnologica, più risorsa che genera valore: nelle aziende, la percezione relativa ai “grandi dati” è cambiata. O, almeno, sta progressivamente cambiando. Tanto che, secondo un’analisi di Gartner, nel 2015 i principali fautori dell’avvio di nuovi progetti in questo ambito non sono stati solo i chief information officer, ma anche (e in misura paritetica) i responsabili delle diverse business unit. A detta della società di ricerca americana, inoltre, ben il 75% delle imprese intende investire in soluzioni legate ai Big Data anche quest’anno e il prossimo, con elevate aspettative di un ritorno economico positivo, sia per migliorare la customer experience (obiettivo prioritario per due aziende su tre), sia per ottimizzare i processi esistenti e potenziare le attività di marketing. 18

| APRILE 2016

Per le aziende, dunque, la strada sembra segnata. Meno definita, invece, è la percezione dei consumatori finali su quali siano i benefici dei Big Data. Un recente studio condotto da Tns Infratest ha rilevato, infatti, che solo un terzo dei rispondenti (su un campione di ottomila individui di otto Paesi) vede nelle pratiche di data analytics dei tornaconti diretti. Solo un quarto, inoltre, è dell’idea che telco, Internet company, aziende sanitarie, banche, società finanziarie e via dicendo rispettino in modo adeguato la privacy delle loro informazioni. Qualche alone sull’effettiva capacità dei grandi dati di essere uno strumento per generare “new business”, quindi, rimane. E per le aziende che ne vogliano massimizzare il valore il messaggio è esplicito: se ai consumatori non è chiaro come i loro dati verran-

no analizzati e trattati, e quali benefici poter ottenere, saranno meno disposti a concederli. Il processo di evoluzione, comunque, è iniziato e i concetti relativi a sorgenti di dati separate e avanzate tecnologie di analytics (come i sistemi di machine learning e di text mining, l’analisi semantica e le reti neurali) stanno diventando via via familiari. Aumentando la consapevolezza sul valore delle decisioni legate ai dati. C’è però l’immancabile rovescio della medaglia, che si evidenzia nella complessità nel determinare il reale valore dei progetti legati ai Big Data. Un asset – e ne sono convinti, non disinteressatamente, soprattutto i vendor tecnologici – che se ben gestito e sfruttato rappresenta un vantaggio enorme per diventare quello che il business richiede, ossia una “digital enterprise”. Valorizzare i


Big Data, e quindi selezionarli, renderli fruibili e condivisibili, è una faccia della trasformazione digitale. Solo le aziende che possiedano una visione innovativa sono in grado di ottenere grandi benefici dalle informazioni, sfruttando anche le capacità dell’Internet of Things. Parliamo in definitiva di una materia che andrà a pesare moltissimo sulla spesa in information technology delle aziende. Mettendo insieme le voci di investimento riconducibili ai Big Data in ambito software (di classe enterprise), social media e servizi It, il giro d’affari globale previsto è di diverse decine di miliardi di dollari. Ed è un business destinato a crescere a ritmi molto sostenuti man mano che la trasformazione digitale penetrerà sistematicamente nel tessuto aziendale.

LA VERA SFIDA è PASSARE DALLE PAROLE AI FATTI Moltissime persone, me compreso, credono sia ora che le aziende comincino ad adottare un approccio molto più concreto sui Big Data per arrivare a trarre valore dai loro investimenti. Le iniziative sui “grandi dati” devono essere gestite come tutti gli altri progetti It e misurate con gli stessi criteri. Non sto sminuendo le tecnologie a supporto dei Big Data, penso anzi che siano fantastiche. Quello che abitualmente sento dire dai clienti e dai prospect è che hanno bisogno di aiuto per capire quali siano le tecnologie attualmente disponibili – cambiano e ne arrivano di nuove così spesso che rimanere aggiornati è molto faticoso – e, in secondo luogo, come debbano essere integrate e utilizzate. Inoltre necessitano di supporto dedicato nelle fasi di gestione e implementazione dei progetti, per-

L’algorithmic economy

Entro il 2020, secondo le proiezioni di Gartner, le informazioni saranno utilizzate per reinventare, digitalizzare o eliminare l’80% dei processi aziendali e dei prodotti in auge nel precedente decennio. L’IoT, con i suoi dispositivi connessi, sensori e smart machine, sarà un fenomeno pervasivo e con esso aumenteranno i presupposti per generare nuove tipologie di dati in tempo reale. Assisteremo a un ulteriore cambio di approccio: molte decisioni saranno frutto di logiche algoritmiche, basate cioè su modelli di giudizio completamente automatizzati. Nel regno dei dati non strutturati, tuttavia, sarà facile perdersi: da qui al 2017, infatti, oltre il 60% dei progetti Big Data potrebbe fallire se non ci saranno progressi sul fronte delle soluzioni di “advanché l’esperienza dei loro team sembra non sufficiente. In gran parte di queste aziende, l’importanza dei Big Data non viene messa in discussione. Molte hanno ottime idee su come possano contribuire ad aprire nuove opportunità. Il problema sta nel capire come passare dalla fase di progettazione a quella di realizzazione. Per quanto brillanti le tecnologie Big Data possano essere, molte aziende hanno difficoltà a sfruttarle a loro vantaggio, in parte a causa della mancanza di una “regia” professionale e in parte per l’assenza di esperti in gestione e tecnologia dei dati. Come possono le aziende diventare il prossimo “Uber” – cioè l’innovatore, la forza dirompente – indipendentemente dal settore in cui operano? Devono poter avere completo accesso ai tutti i loro dati in qualsiasi momento, così da comprendere nel dettaglio le relazioni tra processi, prodotti, persone e prezzi. E devono farlo in modo tempestivo, prima della concorrenza. Per riuscirci, devono pensare al quadro più ampio, cioè alla necessità di

ced analytics”, al momento presenti solo in un terzo circa delle organizzazioni italiane (lo dice l’Osservatorio sui Big Data del Politecnico di Milano). Dalla capacità di padroneggiare tali strumenti passa il valore associabile ai dati. Raccogliere sempre più informazioni da trasformare in decisioni operative è solo un aspetto del problema. Un altro, molto meno evidente, è il fatto che la trasformazione appena avviata, nel segno del digitale e degli oggetti connessi, non potrà essere portata avanti dalle persone. Si parla non a caso di “algorithmic economy”, perché è negli algoritmi che risiede il vero valore e sono loro, come afferma Peter Sondergaard, senior vice president di Gartner, “il nucleo delle nuove interazioni con i clienti”. Gianni Rusconi integrare dati e tecnologie su larga scala e il più velocemente possibile. Spesso questo si traduce nella scelta di infrastrutture tecnologiche collaudate, integrate, semplificate, scalabili e sicure, ottimizzate per i processi e per i dati di ogni singola azienda. Le imprese più smart stanno cominciando a richiedere il meglio delle nuove tecnologie per integrarle con il meglio di quelle già certificate e da loro largamente collaudate. Gli utenti aziendali e i manager vogliono capire come essere più competitivi e produttivi attraverso la costruzione di un quadro olistico della loro attività, realizzato non solo con i Big Data ma anche con fonti di dati più tradizionali come specifiche di prodotto, registri di manutenzione, costi e profitti. Vogliono poter prevedere i guasti, eliminare i tempi di inattività, ridurre i costi di manutenzione e fornire il miglior servizio clienti possibile. Niall O’Doherty, business development director for manufacturing and energy di Teradata International

19


SCENARI | Big Data

IL VALORE ECONOMICO DEi SOCIAL network Analizzare i flussi di Twitter e Facebook per misurare l’impatto sistemico di una grande banca e per prevedere le correlazioni tra i rendimenti azionari di diverse società. Ecco che cosa ha scoperto un progetto di studio dell'Università di Pavia.

N

el corso degli ultimi tre anni il nostro gruppo di ricerca ha affrontato, sia in termini metodologici sia applicati, il tema dell’integrazione di dati testuali destrutturati di tipica natura social (Twitter o Facebook) con informazioni di tipo finanziario (indici di Borsa). La tematica ha richiesto lo studio di almeno tre aspetti di particolare rilievo: la valutazione dell’affidabilità della fonte, l’analisi del contenuto dei dati e l’integrazione dei risultati delle due fasi precedenti con indici prettamente finanziari. Come si fa a capire se un “twittatore” è affidabile? Non esiste un indice o un metodo per valutare un utente di Twitter (o di Facebook) e per analizzare in modo indiscriminato tutti i flussi di post disponibili giornalmente nella rete. Oltre a essere dispendioso in termini di tempo e di persone, può essere fuorviante. Abbiamo quindi studiato una misura che potesse essere calcolata facilmente per ciascun utente di un qualsivoglia social e che fornisse un ordinamento naturale degli stessi in 20

| APRILE 2016

termini di importanza-impatto. La misura-indice proposta è il T-index, una quantità ispirata a un altro famoso indice, l’H-index, ampiamente utilizzato in ambito universitario per la valutazione degli accademici. Il T-index valuta contemporaneamente il numero di post scritti da ciascun utente e quante volte ciascun post viene condiviso e, nello specifico, re-twittato. L’indice assegna valori più elevati a chi produce tanti post molto condivisi, cioè a utenti con un’influenza elevata su quanti li seguono (i follower), ed è costruito in modo statistico per permetterci di fare valu-

tazioni e ranking più affidabili tenendo conto della cosiddetta variabilità campionaria dei dati. La metodologia è stata applicata, tra l’altro, a una lista di 113 utenti di Twitter ritenuti dal Financial Times tra i più influenti del 2013. Tra i vari account vi sono professori universitari o esperti di finanza, società di investimenti come Pimco, think tank quali Open Europe. Per effettuare l’analisi e produrre un ranking abbiamo estratto le informazioni relative al numero di tweet e ai correlati re-tweet tramite un software open source e un pacchetto di analisi che permette la connessione al


social network e le successive analisi. Questo ci ha permesso di fare valutazioni interessanti sulla lista, piuttosto lunga, di twittatori: abbiamo individuato altri sostanzialmente non più attivi, corrispondenti a T-index molto bassi, e account con valori estremamente elevati dovuti a profili molto attivi e seguiti. Ovviamente non ci siamo fermati alla sola valutazione delle fonti ma ci siamo spinti oltre, ovvero all’analisi del contenuto del testo e all’integrazione di quest’ultimo con dati puramente finanziari attraverso modelli statistici multivariati. La valorizzazione di questa metodologia è avvenuta nell’ambito della valutazione dei rischi sistemici, ossia la propagazione del rischio di perdite monetarie o di veri o propri fallimenti tra istituti finanziari, tipicamente banche, le cui strette interconnessioni possono essere mappate tramite un modello grafico. Questo approccio ci ha permesso non solo di visualizzare la struttura della rete di relazioni tra banche, ma anche di quantificare numericamente il peso di ciascun istituto per misurare l’impatto sistemico di ciascuna banca, ovvero la capacità di “contagiare” gli altri elementi della rete in periodi di forti stress finanziari. In questo contesto, integrare dati puramente finanziari con dati social attraverso un approccio di statistica “bayesiana” permette di arricchire la base informativa e di ottenere un modello più stabile. Il risultato più importante della ricerca è la comprensione e la misurazione precisa delle relazioni tra i rendimenti di Borsa delle più importanti banche. Dalle analisi è emerso che a livello italiano gli istituti di credito più grandi tendono ad avere un impatto sistemico più forte mentre quelli più piccoli, come le cronache recenti ci hanno dimostrato, pur essendo soggetti a maggiori turbolenze riescono a essere assorbiti meglio dal sistema-rete. Paola Cerchiello, department of economics and management, Università di Pavia

I DATI COME RISORSA

I

l progetto è ambizioso: sfruttare l’analisi statistica di grandi moli di dati ed estrarne valore in ambito finanziario. A dare sostanza a questa idea hanno pensato il Dipartimento di Economia dell’Università di Pavia e Res Academy, una rete di imprese che fa capo a Res (Research for Enterprise System), realtà italiana specializzata nel campo delle soluzioni di enterprise management. Abbiamo messo insieme esperienze diverse in fatto di tecnologie, competenze e capacità di interpretare i dati per applicarle all’economia e alla finanza”, spiega a Technopolis il professor Paolo Giudici, coordinatore del gruppo di ricerca. Dalla valorizzazione delle attività condotte dallo stesso Dipartimento in tema di data mining, per l’estrazione di contenuti dai social network e dai sensori dell’Internet delle cose, è quindi nato un laboratorio di analisi economico-finanziaria dei Big Data aperto ai contributi di esperti di tutto il mondo. Hanno aderito all’iniziativa università come Harvard, Cambridge, Oxford e Bocconi e, in veste di partner, il Credito Valtellinese e le aziende del Polo Tecnologico di Pavia. Quali sono le finalità del progetto? “L’obiettivo”, illustra Giudici, “è quello di essere un punto di riferimento internazionale attraverso un percorso di ricerca rivolto non solo al mondo accademico ma soprattutto a quello del lavoro e professionale. L’idea, infatti, è quella di coinvolgere aziende che possano fruire dei servizi relativi all’analisi testuale dei Big Data e aggiungere informazioni agli indici di mercato e ai rating che normalmente non utilizzano i dati provenienti da fonti testuali”. I risultati

Paolo Giudici

ottenuti fino a oggi sono stati, a detta dei diretti interessati, estremamente soddisfacenti. “L’aspetto più positivo”, spiega Mario Bonelli, presidente di Res, che nell’iniziativa investirà per i prossimi tre anni circa 1,5 milioni di euro, “è la sensibilità delle giovani imprese convolte nel progetto, le quali si sono dimostrate molto ricettive rispetto al tema dei Big Data in ambito finance e alle possibili applicazioni legate alla gestione del rischio per il software, oggi un prototipo accademico in fase di scrittura ma che verrà presto ingegnerizzato e reso licenziabile”. Un esempio concreto, dunque, di come sia possibile e necessario “fare rete” tra mondo della ricerca e imprese del territorio, sia per condividere tecnologie ed esperienze sia per superare criticità – come osserva Giudici – quali il nanismo imprenditoriale del nostro Paese e l’assenza di skill adeguati in fatto di software di analisi, presenti solo in alcune grandi organizzazioni. Le competenze in tema di Big Data, invece, ci sono e vanno aiutate a crescere: se non le può assorbire il sistema accademico e neppure quello industriale, ben vengano progetti come quello cui hanno dato vita l’Università di Pavia e Res Academy.

21


SCENARI | Big Data

L'efficienza del settore passa necessariamente da una migliore gestione dei dati medici e ospedalieri. E dalla digitalizzazione. Ma restano da superare due ostacoli: la questione della privacy e la penuria di risorse disponibili.

Sanità europea: fare di più, con meno

I

l sistema sanitario europeo sta per entrare in un periodo storico molto interessante. Da un lato, c’è un insieme di sfide da affrontare, guidate dalla crescita e dall’invecchiamento della popolazione e dal corrispondente incremento di malattie croniche. Dall’altro lato, si sono affacciate alcune innovazioni tecnologiche come l’imaging a risonanza magnetica, la sequenza del genoma e la medicina personalizzata: tutti elementi che hanno le potenzialità per rivoluzionare i trattamenti medici e migliorare i risultati per milioni di pazienti. Questi ultimi, oggi, non solo sono più esigenti che mai, ma hanno anche aspettative più alte. In base a questa tendenza, su cui concorda l’89% dei professionisti sanitari, i pazienti chiedono un accesso più veloce ai servizi ed esperienze personalizzate di connessione e fruibilità da più dispositivi, in modalità 24/7. Tutto questo accade in un momento in cui le risorse del settore sono più ridotte che mai. Ai fornitori di servizi sanitari si 22

| APRILE 2016

sta chiedendo di fare di più e di operare con i più alti standard, facendo leva su un numero minimo di risorse. Per vincere queste sfide, i fornitori hanno bisogno di guardare ai propri dati come a un mezzo in grado di incrementare l’efficienza e l’innovazione, per assicurare un migliore servizio. Gli stessi fornitori, per il ruolo che ricoprono, sono una fonte di informazioni incredibile. I dati sanitari oggi stanno crescendo del 48% anno su anno. Mentre questa è una grande opportunità per tutte quelle società in grado di catturare questi dati, il volume prodotto rappresenta una vera e propria sfida tecnologica, soprattutto quando la mole dei documenti da raccogliere e analizzare è di dimensioni rilevanti. In ogni caso, varrebbe la pena trovare una soluzione al problema, perché avremmo un’incredibile opportunità in grado di trasformare il settore sanitario, sbloccando miliardi di euro in efficienza. Il flusso dei dati tra i diversi reparti sta aumentando: dai raggi X alle informa-

Sergio Feliziani

zioni raccolte tramite i dispositivi indossabili dei pazienti con Alzheimer, i progetti di ricerca medica avanzata e di innovazione tecnologica stanno generando un’abbondanza di contenuti. Questi dati hanno bisogno di essere gestiti e analizzati per ricavare informazioni su tendenze o modelli da studiare. Tutto ciò influenzerà positivamente i risultati delle cure, porterà a diagnosi più veloci e a trattamenti più efficaci. Purtroppo, problemi legati alla privacy impediscono alle organizzazioni sanita-


Aiutare i migranti con la tecnologia Il drammatico problema dell’immigrazione trova un sostegno nella tecnologia. Quella di Ibm, attraverso il programma Impact Grants, è messa a disposizione di molte onlus e fra queste c’è Intersos, organizzazione umanitaria che dal 2014 porta avanti, a Crotone, operazioni di accoglienza a chi sbarca in Italia attraversando il Mediterraneo (il progetto si chiama, infatti, “Mesoghios”, dal nome greco del nostro mare). Un team tecnico italiano ha

rie di andare pienamente verso la vera innovazione in questo settore. Per superare questa impasse è necessario generare una trasparenza e una consapevolezza maggiore all’interno della comunità medica, nei governi e tra i consumatori, per sensibilizzare i diversi stakeholder a un utilizzo responsabile delle informazioni. Avere accesso ai dati dei pazienti è un elemento che può aiutare a velocizzare le cure, ma anche – in certi casi – a salvare delle vite. È necessario, quindi, fare anche un lavoro strutturato di comunicazione affinché questi benefici siano sotto gli occhi dei cittadini. Un passo fondamentale in questa direzione è rappresentato dalla digitalizzazione. I fornitori di servizi sanitari devono obbligatoriamente servirsene per eliminare l’enorme fardello di carta che si portano dietro. Ma devono anche procedere sulla via che li porti a una completa virtualizzazione delle proprie infrastrutture, per renderle ancora più scalabili. Sarà necessario quindi un periodo di trasformazione, per arrivare al punto in cui le strutture sanitarie saranno dotate di sistemi di cloud ibridi, supportati dai data lake, per gli analytics delle informazioni raccolte. I data lake, infatti, possono guidare tutti i dati all’interno di uno spazio singolo, riducendo o eliminando la divisione a

silos delle informazioni che spesso contraddistingue l’azienda sanitaria tipica. Nel contempo, i data lake sono in grado di raccogliere i dati da più fonti esterne affidabili, come centri di ricerca o database sanitari pubblici: la fruibilità delle informazioni e il loro raffronto nei casi di successo consentono l’individuazione e adozione delle best practice, ovunque esse si trovino e in tempi rapidi. Non c’è

MEDICI SMART CON LA ricetta DIGITALE Dal marzo di quest’anno, per prescrivere un farmaco, una terapia o una visita, il medico curante ha abbandonato il vecchio blocco delle ricette cartacee per collegarsi, invece, a un sistema informatico. Cambia il mezzo, ma non il principio: la ricetta “dematerializzata” si compila online ma presenta i medesimi campi di quella tradizionale, oltre a un numero (Nre, Numero Ricetta Elettronica) che viene associato al codice fiscale del paziente. “La Cartelletta Clinica Elettronica, il Fascicolo Sanitario e ora la ricetta elettronica rappresentano un chia-

messo insieme varie tecnologie di Ibm in un servizio il cui scopo è quello di digitalizzare i dati sanitari di chi arriva nell’ambulatorio Intersos di Crotone. Si parla di un flusso di duemila persone, quasi sempre incapaci di fornire traccia della loro storia clinica. La banca dati, archiviata nel cloud e accessibile tramite Web o app per Android, può includere anche registrazioni audio, video e foto, e aiuta i medici a eseguire diagnosi più accurate. V.B.

dubbio che questo sia un aspetto fondamentale e critico per la sanità europea. Grazie ai data lake, quindi, la vita dei professionisti sanitari sarà più facile perché potranno analizzare con maggiore precisione tutte le fonti di dati per ricavare degli insight attendibili sulle cure del paziente. Sergio Feliziani, sales area manager Center-South di Emc Italia ro passo verso la sostituzione integrale della carta con documenti digitali”, dice Pablo Pellegrini, responsabile area Sanità di SB Italia, società specializzata in soluzioni di dematerializzazione per il settore medico. “I vantaggi sono lampanti: più efficienza, processi più snelli e disponibilità immediata di tutto il curriculum sanitario del paziente”. Senza contare l’abbattimento del rischio di false prescrizioni. La carta, in questa fase di transizione, non scompare del tutto perché il medico consegna al suo assistito un promemoria stampato (con i codici a barre necessari al farmacista per risalire al farmaco), utilizzabile anche come salvataggio in caso di malfunzionamenti del sistema informatico.

23


TECHNOPOLIS PER ESET

LA SICUREZZA DEI DATI NEL SETTORE HEALTHCARE

La protezione dei dati rappresenta un aspetto essenziale in ambito healthcare sia perché consente al personale sanitario di focalizzarsi sulla cura dei pazienti senza inutili perdite di tempo sia perché tutela dati estremamente sensibili come quelli relativi alla salute del paziente stesso. Basti pensare al sistema di refertistica online, sempre più utilizzato dalle strutture sanitarie sia pubbliche sia private, il quale espone i dati sensibili dei pazienti a rischio di violazioni e furti. La sicurezza di sistemi critici come quelli sanitari, che consentono l’accesso a dati sensibili, dovrebbe essere in grado di soddisfare sostanzialmente quattro esigenze: proteggere i dati (quelli stazionari così come quelli in transito attraverso la rete), limitare le minacce emergenti, massimizzare le risorse fornendo servizi in sicurezza, e infine soddisfare le conformità e i requisiti normativi. Purtroppo molto spesso si cade nell’errore di considerare il prezzo di acquisto come uno dei fattori determinanti per la scelta di una soluzione di sicurezza, dimenticandosi che non si sta acquistando della cancelleria o della carta, bensì una protezione per la propria azienda: il primo e potenzialmente l’ultimo baluardo contro le intrusioni informatiche e a favore della salvaguardia dei dati. Il ruolo della crittografia La crittografia gioca un ruolo importante nella costruzione di un valido sistema di sicurezza e rappresenta la chiave di volta per la protezione delle informazioni sensibili, schermando i dati archiviati o trasferiti attraverso server, 24

| APRILE 2016

computer portatili, dischi e supporti rimovibili. La crittografia dei file consente inoltre una sicura collaborazione e condivisione di dati tra gruppi e team di lavoro, come ad esempio tra medici e personale sanitario, proteggendo inoltre le comunicazioni fra la struttura sanitaria e il paziente. Una buona soluzione per la crittografia deve essere semplice da implementare, facile da utilizzare quotidianamente e scalabile, in modo che, se necessario, possano essere aggiunte funzionalità avanzate. Infine è opportuno scegliere una soluzione che non richieda la reinstallazione per gli aggiornamenti o i rinnovi e prevedere una licenza d’uso perenne con manutenzione e supporto annuali, o con sottoscrizione della licenza, che consenta di gestire i costi e salvaguardare quindi gli investimenti It aziendali. Sempre più caldeggiata anche da Istituzioni come l’Unione Europea, la crittografia è però spesso disincentivata dalla complessità delle soluzioni attualmente in commercio. ESET rivoluziona la privacy delle aziende sanitarie con DESlock+ DESlock+, la soluzione di ESET per la crittografia, è il primo software per la cifratura che risponde alle reali esigenze di mercato perché semplice da implementare e facile da utilizzare quotidianamente. Dotato di architettura di cloud ibrido brevettata, DESlock+, garantisce la cifratura dei dati aziendali nel rispetto dello standard FIPS 140-2 di livello 1, adottato dal Governo degli Stati Uniti, e utilizza gli algoritmi di cifratura quali Aes, Sha, Rsa, Triple Des e Blowfish. DESlock+ può cifrare singoli file e cartelle, messaggi e-mail, così come interi dischi e drive rimovibili, compresi i drive Usb portatili. DESlock+ include la gestione remota sicura basata su browser Web, un’edizione mobile per iOs e un client portatile, DESlock+ Go, che consente l’accesso sicuro ai dati sui computer in cui non è installato DESlock+. DESlock+ rispetta gli standard per il salvataggio e la gestione dei dati sensibili e privati, ma consente anche di condividere i dati tra gli utenti autorizzati, come ad esempio medici e personale sanitario.

www.eset.it


SPECIALE | Cloud

La nuvola miliardaria delle opportunità Il solo mercato del cloud pubblico, secondo Gartner, quest’anno supererà i 200 miliardi di dollari di giro d’affari, mentre si allarga la percezione dei vantaggi ottenibili con l’approccio Web-based. E le aziende italiane non fanno eccezione.

L

a nuvola si espande nel cielo delle aziende, carica non di pioggia bensì di opportunità. In prima linea ci sono la promessa di un taglio di costi, con la logica di servizio “pay per use” sostituita a quella dell’acquisto di hardware, ma anche la flessibilità data dal poter aumentare o diminuire le risorse (di storage e calcolo o di utilizzo di servizi) e poi la possibilità di accedere a dati e applicazioni senza vincoli di orario o di vicinanza alla scrivania. Ma c’è di più: il cloud, soprattutto, moltiplica la capacità computazionale e lo storage, rendendo possibili applicazioni – e dunque attività di business

– altrimenti non sostenibili. Secondo uno studio commissionato da Emc a Idg Research Services, le aziende che adottano soluzioni di cloud ibrido (cioè composte da risorse on premise e da altre poggiate su data center esterni) incrementano la capacità di raggiungere obiettivi di trasformazione digitale. E il discorso vale anche nel Belpaese: l’84% degli intervistati italiani ha ammesso che senza investimenti nell’hybrid cloud si riduce la possibilità di essere competitivi sul mercato. “Queste evidenze ci inducono a ritenere che ci siano ancora ottimi margine di crescita nell’adozione da parte delle imprese italiane”, com-

menta Stefano Cancian, responsabile mid market di Emc nel nostro Paese. L’opinione di Federico Riboldi, marketing product manager di Fujitsu Italia, è altrettanto netta: “Nel mondo It attuale, un mondo a due velocità, l’utilizzo del cloud rappresenta un vantaggio competitivo consolidato: qualunque azienda che non se ne avvalga si trova in una posizione di svantaggio”. Sulla stessa linea si muove Oracle, stimando che entro pochi anni il modello It aziendale “sarà basato per l’80% sul cloud e per il 20% sull’on premise”, afferma Luigi Scappin, technical sales consulting director di Oracle Italia. APRILE 2016 |

25


SPECIALE | Cloud

In cerca di una strategia

Anche un osservatore neutrale come Idc fotografa un’ascesa importante, stimando (nel suo più recente “Worldwide semiannual public cloud services spending guide”) che il solo mercato del public cloud raggiungerà 141 miliardi di dollari di valore nel 2019, con un tasso di crescita annuo superiore al 19%. Il Softwareas-a-Service (SaaS) attrarrà due terzi della spesa mondiale per il cloud pubblico, lasciando però all’Infrastructure-as-aservice (IaaS) e al Platform-as-a-service (PaaS) i tassi di crescita più rapidi, rispettivamente del 27% e 30,6% annuo da qui alla fine del decennio. I conteggi di Gartner sono ancora più generosi, dal momento che la società di ricerca per il cloud pubblico valutava già per il 2015 un giro d’affari mondiale di 175 miliardi di dollari, destinato ad arrivare a 204 miliardi quest’anno. L’Italia pare allineata con la tendenza generale. Secondo l’ultimo report di Assinform e NetConsulting, nel nostro Paese nel 2015 la spesa in tecnologie e servizi cloud (pubblico e privato) è aumentata del 28,7% rispetto ai livelli del 2014, arrivando a circa 1,2 miliardi di euro. In un altro report (“CloudView 2016”) Idc indica che il 58% delle aziende già utilizza tecnologie e servizi Web-based su modello pubblico o privato: si tratta di una percentuale più che raddoppiata rispetto al 24% evidenziato dall’analogo studio di un anno prima. Gli intervistati hanno anche detto di voler incrementare, in media, del 44% la loro spesa nel prossimo biennio. E tuttavia, finora alla nuvola sono stati affidati soprattutto workload piccoli e applicazioni di secondaria importanza. Qualcosa sta comunque mutando, anche nelle ragioni che spingono le aziende verso il cambiamento: “Migliorare la produttività dei lavoratori rimane una motivazione centrale”, ha commentato l’analista di Idc Ben McGrath. “Rispetto a studi precedenti, però, un maggior numero di intervistati ha identificato fra i driver dell’adozione alcune metriche di business, per esempio 26

| APRILE 2016

LA SPESA MONDIALE IN INFRASTRUTTURE IT 100

PRIVATE CLOUD

80

PUBLIC CLOUD IT TRADIZIONALE

60

40

20

0 2014

2015

2016

2017

2018

2019

Fonte: Idc, Worldwide quarterly cloud It infrastructure forecast, Q3 2015; % a valore

namente alle aziende e quelli gestiti dai riguardanti l’agilità e il supporto ai proprovider. La virtualizzazione, semmai, getti aziendali”. Sembrerebbe un quadro QUOTA DI MERCATO DELLE PIATTAFORME frazionando su più macchine l’allocazioquasi idilliaco, ma va sottolineato – come ne delle risorse riduce il rischio di interemerge dallo studio di Idc – che nono40 ruzioni di availability. Ma va anche detto stante35gli investimenti e la crescenteIN “simLA SPESA MONDIALE INFRASTRUTTURE IT AMAZON che il cloud aggiunge un requisito ultepatia” riservata al cloud in tutto il monMICROSOFT 30 100 riore e cioè il necessario buon funzionado, appena il 5% dei professionisti ritiene SALESFORCE mento delle connessioni che la25propria azienda già abbia una straORACLEdi rete, senza il PRIVATE CLOUD 80 20 RACKSPACE quale l’azienda o il professionista smettotegia ottimizzata per la nuvola. PUBLIC CLOUD GOOGLE no di poter lavorare. Secondo una ricerca 15 IT TRADIZIONALE 60 commissionata da Veeam e realizzata da Lo spauracchio del downtime 10 Vanson Bourne in venti Paesi, il numero C’è poi un altro aspetto critico da con405 medio di downtime non programmati siderare, ovvero la “availability”. Il pro(in un anno, per singola organizzazione) blema 0 della continuità operativa dei 20 è salito dai 13 Fonte: del 2014 aiSachs, 15 del 2015, data center, certo, esisteva e continua a Goldman Q3 2015 mentre la loro durata media è passata da esistere indipendentemente dal cloud, 1,4 a 1,9 ore per le applicazioni missionpoiché0malfunzionamenti e interruzioni 2014 2015 2016 2017 2018 2019 non programmate possono riguardare critical e da quattro a 5,8 ore per le altre. Fonte: Idc, Worldwide quarterly cloud It infrastructure forecast, Q3 2015; % a valore allo stesso modo i server collocati interValentina Bernocco QUOTA DI MERCATO DELLE PIATTAFORME 40 35 30

AMAZON MICROSOFT SALESFORCE

25

ORACLE

20

RACKSPACE

15

GOOGLE

10 5 0

Fonte: Goldman Sachs, Q3 2015


TECHNOPOLIS PER OVH

PERFORMANCE, SICUREZZA, FLESSIBILITÀ: L’ABC DEL CLOUD

In uno scenario di mercato in rapida evoluzione, caratterizzato dalla diffusione di nuovi paradigmi come l’ecommerce, la mobilità Byod (Bring Your Own Device) e la crescita esplosiva dei Big Data, l’efficienza e la flessibilità Ict sono diventate per le aziende un fattore critico di successo per restare competitive. In tal senso, il cloud rappresenta una delle principali leve tecnologiche a disposizione dell’It aziendale per assicurare la giusta agilità di ruolo, ottimizzare i costi e favorire una maggiore profittabilità del business. “Al fine di supportare i clienti nell’implementazione del tipo di cloud più idoneo a soddisfare le proprie esigenze aziendali, OVH ha sviluppato un’ampia offerta, che include il Dedicated Cloud, e il Public Cloud”, spiega Domenico Primavera, Senior Business Developer di OVH Italia. “Questi servizi hanno trovato un grande consenso in Italia e sono particolarmente apprezzati per la flessibilità nella realizzazione di progetti complessi e per una totale trasparenza dei costi”. L’essenza dei servizi di Dedicated Cloud risiede nella loro facilità di utilizzo, che consente ai clienti di gestire in modo semplice ambienti diversificati come un unico

sistema, con grandi vantaggi in termini di scalabilità, reversibilità, flessibilità dei costi e sicurezza, lasciando a OVH la gestione infrastrutturale. La possibilità di aumentare o diminuire in soli cinque minuti le risorse a disposizione assicura un investimento sempre commisurato alle reali necessità di utilizzo. Inoltre, una velocità di banda passante garantita da 1,5 a 3 Gbps, attivabile direttamente dall’interfaccia di gestione, permette di trasferire in modo rapido e sicuro le informazioni dal data center interno a quello virtuale. Il Dedicated Cloud, offerta che consente di gestire fino a 4000 vLan preconfigurate, ha ottenuto le più importanti certificazioni a livello mondiale, come la Pci Dss che attesta la sicurezza dei pagamenti online. L’offerta si contraddistingue per la partnership siglata con Vmware sul nuovo vCloud Air Network Program che permetterà a 500mila clienti Vmware di passare al Dedicated Cloud OVH in modo naturale e senza interruzioni, in quanto basato sulle tecnologie vSphere e vCloud Director. Per poter guidare i propri clienti nell’utilizzo di questa tecnologia, OVH ha avviato un programma di formazione (denominato OVH Academy) guidato dagli esperti delle due aziende. L’offerta Public Cloud si connota per le alte performance, la sicurezza, la flessibilità e le tariffe trasparenti e competitive. Queste le carte vincenti che hanno posizionato l’offerta in testa alla classifica di CloudScreener, al primo posto in Francia e al secondo in Europa e in Nord America. Nello specifico, il Public Cloud include una protezione dagli attacchi DDoS (Distributed Denial-ofService) personalizzabile con tripla replica dei dati e host localizzati in data center europei, per fornire alle aziende che scelgono una soluzione cloud maggiori garanzie in caso di perdita di dati e in termini di sicurezza e privacy, assicurando al contempo uno Sla del 99,999%. Il servizio si basa su OpenStack, la piattaforma open source di cloud computing di cui OVH è infrastructure donor, che rende semplice la migrazione alla nuvola, l’integrazione delle applicazioni e il cambio del provider. Infine, i clienti hanno la possibilità di personalizzare i progetti in base alle proprie esigenze e di pagare solo per l’uso effettivo del servizio: la fatturazione chiara e semplice è uno degli aspetti che rendono OVH un provider altamente competitivo nel cloud. www.ovh.it APRILE 2016 |

27


SPECIALE | Cloud

L’Italia aspetta il salto di qualità L’offerta di tecnologie a supporto della migrazione sul cloud è abbondante. Ma le aziende nostrane hanno appena cominciato il percorso: il prossimo passaggio sarà lo spostamento dei carichi di lavoro mission-critical.

“L

a ricerca di efficienza, flessibilità e rapidità rimangono le leve principali che fanno avvicinare al cloud le aziende italiane”. La riflessione di Maurizio Ragusa, director cloud di Ibm Italia, ben sintetizza lo stato dell’adozione della nuvola nel nostro Paese. Le aziende nostrane, a detta di molti vendor, sembrano aver compreso almeno una parte delle potenzialità del cloud ma hanno appena iniziato a investirvi. E molti temi sono “ancora in fase abbastanza prototipale”, come commenta Ragusa. “Per esempio, la realizzazione di nuove soluzioni applicative, come composizione di microservizi, anche open source, messi a disposizione dai principali cloud player e da terze parti. Oppure l’attivazione di ecosistemi in cui grandi organizzazioni espongono le proprie Api in modo sicuro, per collaborare con piccoli Internet service provider o startup”. “Stiamo riscontrando un eccezionale interesse sul mercato italiano per il modello cloud”, testimonia Mauro De Caro, territory manager di Interactive Intelligence Italy. Al centro dell’offerta di questa azienda c’è PureCloud, una soluzione per il customer engagement, nativamente pensata per il cloud e basata su micro-servizi: la fruizione è a contratto mensile e varia a seconda del numero di postazioni. Per De Caro, l’interesse verso il cloud è “principalmente dettato dalla necessità di una migliore gestione 28

| APRILE 2016

degli investimenti e di una rapida implementazione. La possibilità di accedere a modelli di costo pay-per-usage reali e la rapidità di delivery consentono oggi un time-to-market impensabile qualche anno fa con soluzioni on-premise. Anche le capacità di innovazione e la facilità di introduzione di nuove funzionalità rivestono importanza”. A detta del manager, i margini di crescita sono ancora enormi specie per alcuni specifici ambiti. “Oggi solo una percentuale contenuta delle installazioni di contact center è su piattaforme realmente cloud”, spiega De Caro. “Finora molte aziende hanno abbracciato il tema solo in merito ad aspetti economici trasformando i costi Capex in Opex, ma senza riceverne i reali benefici. L’introduzione di piattaforme cloud native, basate su architetture distribuite multitenant con modelli a elevatissima flessibilità e scalabilità, unite a livelli di sicurezza entreprise-grade, condurranno a una crescita molto forte nei prossimi anni”. Anche secondo Cisco “le organizzazioni stanno prendendo coscienza del fatto che con il cloud possono migliorare l’allocazione strategica dei budget, ridurre i costi dell’It, diminuire il tempo di provisioning dei servizi It, aumentare il fatturato e migliorare la capacità di rispettare gli Sla”, come descrive Bruno Pierro, cloud leader di Cisco Italia. E tuttavia “ancora poche aziende hanno una chiara strategia”. C’è poi un ulteriore passaggio all’orizzonte, che affiderà alla nuvola respon-

sabilità ben maggiori di quelle attuali. “Il vero salto di qualità si realizzerà quando le aziende sposteranno in cloud le applicazioni mission-critical”, commenta Luigi Scappin, technical sales consulting director di Oracle Italia. “Molte imprese italiane sono ancora in una fase di osservazione, ma già nei prossimi mesi vedremo concretizzarsi diversi progetti interessanti”. La società californiana ha già reso disponibile via cloud l’80% della sua offerta, comprensiva di infrastruttura, middleware e applicazioni. Nello Stivale, per il suo Platform-as-a-Service Oracle conta una settantina di clienti che stanno sviluppando progetti “core”, in particolare porting di applicazioni, testing, backup e recovery. Vantaggi inesplorati

Accanto al taglio di molte voci di costo e al recupero di efficienza, la nuvola offre vantaggi meno ovvi. “Con il cloud”, riflette Ragusa di Ibm, “è possibile avviare


MAURIZIO RAGUSA - IBM

FEDERICO RIBOLDI - FUJITSU

MAURO DE CARO - INTERACTIVE INTELLIGENCE

nuovi progetti non solo con una spesa e tempi ridotti, ma anche limitando i rischi. L’attivazione di ambienti di test e di prototipi trovano nel cloud la loro realizzazione naturale”. E le finalità di utilizzo non si fermano qui. “Si pensi, ad esempio, alla possibilità di accedere a dati metereologici o alla quantità di dati presenti sui social network, che consentono di migliorare sensibilmente la conoscenza della clientela e dei comportamenti di acquisto”, suggerisce il manager di Ibm. A detta di Ragusa, oggi “si vedono ancora pochi esempi di infrastrutture realmente ibride, in cui le risorse on-premise

e quelle in cloud sono gestite come un tutt’uno, con livelli di automazione e di governance che alcune architetture già consentono. Dal punto di vista della governance, si potrebbero attivare poi i servizi di brokerage per mettere a disposizione degli utenti ricchi cataloghi di servizi It, appoggiati su piattaforme anche di provider diversi”. La vasta offerta di Ibm è imperniata su due elementi. Il primo è SoftLayer, una Infrastructure-as-aService recentemente potenziata grazie a un accordo con Vmware, che permette di creare infrastrutture ibride spostando i carichi di lavoro da un data center

L’AGILITà DEL BUSINESS è DEFINITA DAL SOFTWARE Il cloud come catalizzatore della digital transformation e la virtualizzazione come facilitarore del cloud. Questo è in sintesi il circolo virtuoso che Vmware realizza, anche grazie al modello “software-defined”. “Noi che siamo prima di tutto un player del software”, dice Enrico Boverino, senior manager Advisory Services Semea di Vmware, “possiamo aiutare le aziende che scelgono un approccio software-centrico per implementare il cloud e affrontare la trasformazione. La nostra vision, così come la nostra offerta, si articola su tre piani: quello infrastrutturale, in cui la virtualizzazione anche di reti e storage consente un grande passo in avanti rispetto al passato, quello della piattaforma software,

che supporta tutti i nuovi paradigmi, dai container allo sviluppo agile, e quello della mobilità, che permette di dare ai diversi profili utente l’accesso ai servizi in totale sicurezza”. Non è un caso che oggi la punta di diamante dell’offerta Vmware sia costituita dalle soluzioni di virtualizzazione delle reti, che sono racchiuse nella piattaforma Nsx, da quelle per lo storage all’interno dei datacenter (Vsan) e, infine, da Workspace One per la gestione dell’accesso alle applicazioni in mobilità. “Sono soluzioni che sempre di più vengono richieste dal business, oltre che dall’It”, spiega Boverino, “perché permettono di muoversi sul mercato in modo più agile e con minori investimenti. I nostri speciali-

Enrico Boverino

sti degli Advisory Services sono impegnati a fianco dei clienti, sia del pubblico sia del privato, per facilitare queste dinamiche e sfruttare un mercato potenziale che in Italia è enorme, se pensiamo che l’85% del carico di lavoro è ancora all’interno dei data center delle organizzazioni”. E.M.

29


Elogio della libertà

30

| APRILE 2016

BRUNO PIERRO - CISCO

STEFANO CANCIAN - EMC

L’approccio Web-based è un’opportunità ma non la panacea di tutti i mali. “L’uso del cloud a livello applicativo è perfetto ma apre a problemi di integrazione”, riflette Ivan Renesto, marketing manager enterprise solutions di Dell per l’Italia. “Ha senso che alcune applicazioni vengano erogate e fruite via cloud, non necessariamente il medesimo per tutte, e che altre risiedano all’interno dell’infrastruttura aziendale. Le applicazioni non sono mondi isolati. Nella maggior parte dei casi dovranno potersi parlare, scambiandosi informazioni o lavorando su uno stesso data set”. Lo strumento proposto dal vendor texano è Boomi, una piattaforma di integrazione che connette fra loro risorse on premise e non. La libertà di scelta riguarda poi anche l’approccio architetturale. “È possibile realizzare un’architettura innovativa a livello di Storage Area Network”, spiega Renesto, “grazie alle soluzioni Dell Storage Sc, che permettono una rilocazione automatica dei dati estremamente flessibile e performante, eventualmente impiegando anche soluzioni all flash. Oggi, però, la massima flessibilità in ambito data center si ottiene con l’approccio rivoluzionario, attraverso soluzioni iper-convergenti e software-defined. Dell è il vendor con il

più ampio portfolio di soluzioni di questo tipo”. Per dirla con una metafora, i data center definiti dal software sono quelli in cui quest’ultimo agisce come una sorta di “direttore d’orchestra” che automatizza e fa lavorare in sintonia tutti i livelli dell’infrastruttura It: calcolo, storage, networking e sicurezza dei dati. Questo approccio estende i concetti della virtualizzazione a tutte le risorse del data center, con il risultato di accelerare e semplificare di molto il provisioning e la gestione. Specializzata in quest’ambito è anche Emc (azienda recentemente acquisita da Dell), con soluzioni che permettono di realizzare ambienti ibridi e di “sviluppare rapidamente, distribuire automaticamente e gestire da un’unica piattaforma unificata tutte le applicazioni aziendali, a prescindere da dove si trovino”, come illustra Stefano Cancian, responsabile mid market di Emc Italia. “Le soluzioni di converged infrastructure”, aggiunge, “mercato nel quale Emc è leader con la divisione Vce, consentono di velocizzare l’implementazione di soluzioni hybrid cloud fornendo sistemi che uniscono capacità computazionale, storage, networking e virtualizzazione. Il vantaggio è di poter disporre da subito di soluzioni pretestate e pre-assemblate per applicazioni mission-critical e carichi di lavoro misti”. Sfruttando la logica della “federazione”, il vendor può anche proporre soluzioni che integrano componenti hardware, software e servizi forniti da Emc Information Infrastructure, Vmware e Vce. Soluzioni che, spiega Emc, richiedono meno di un mese per essere implementate e che finora hanno consentito risparmi a doppia cifra (in media, il 24%) sui costi di manutenzione a chi le ha adottate. “Diversi ambienti come la virtual desktop infrastructure, il private cloud e la server virtualization si basano su queste architetture, realizzate partendo da singole componenti”, commenta Federico Riboldi, marketing product manager di Fujitsu Italia. Cuore dell’offerta sono i sistemi Primeflex, completi di hardware,

LUIGI SCAPPIN - ORACLE

interno a uno esterno in pochi minuti. Il secondo elemento è il Platform-as-aService di Bluemix, che oggi consente di accedere a funzionalità di cognitive computing o del sistema Watson, nonché ad altri servizi di analytics, mobile, social, DevOps.

IVAN RENESTO- DELL

SPECIALE | Cloud

software e servizi necessari per costituire una piattaforma di virtualizzazione e basati su hypervisor Vmware. “Molteplici sono gli ambiti d’uso di queste soluzioni”, spiega Riboldi, “dalle infrastrutture cloud per uso interno o per clienti alla realizzazione di ambienti di test e sviluppo, dall’implementazione rapida di data center IaaS ad ambienti di disaster recovery”. Dalla teoria alla pratica

Per chi deve muovere i primi passi verso il cloud gli strumenti di orientamento non mancano. Cisco e Idc hanno sviluppato insieme il Cisco Business Cloud Advisor, modello che aiuta le aziende a valutare ostacoli, opportunità e la propria “cloud readiness”. Quanto alla specifica proposta di Cisco, la società sottolinea la disponibilità di controller molto flessibili, che permettono di modellare i servizi su esigenze specifiche e di avere una visione completa degli elementi di rete, computing e storage. Il Cisco Application Policy Infrastructure Controller, per esempio, consente l’automazione, l’accesso centralizzato a tutte le informazioni, il provisioning flessibile e la scalabilità. Dell propone Blueprints, un programma che consente di progettare, configurare, dimensionare e validare soluzioni di cloud privato e ibrido, con hardware Dell e software di diversi fornitori. Oracle, invece, pone l’accento su un altro aspetto: “Il cloud a supporto di progetti e servizi It nuovi è relativamente semplice, oggi la vera sfida è portare le aziende a ottenere efficienza salvaguardando gli investimenti precedenti”, come evidenzia Scappin. Valentina Bernocco


TECHNOPOLIS PER INTERACTIVE INTELLIGENCE

MIGLIORARE L’ESPERIENZA DEI CLIENTI E LA COLLABORAZIONE Il cloud può essere messo al servizio della customer experience, ma anche delle comunicazioni interne. Soprattutto se la soluzione è flessibile. Che cosa offre Interactive Intelligence? Interactive Intelligence è un fornitore globale di soluzioni e servizi cloud per il customer engagement e per le comunicazioni e collaborazioni aziendali unificate. Aiutiamo le aziende a migliorare la soddisfazione dei clienti, ridurre i costi e stimolare la crescita. Siamo una società innovatrice che opera da oltre 21 anni e annovera più di 22 brevetti attivi. Più di seimila clienti si sono affidati a noi fino a oggi, ottenendo un rapido Roi grazie alle nostre soluzioni flessibili e affidabili. Interactive Intelligence è, inoltre, classificata come Leader nel Magic Quadrant di Gartner dedicato alle piattaforme di contact center su cloud e on-premise. Quali sfide riescono a superare le vostre soluzioni? Le soluzioni di servizi cloud che offriamo permettono di migliorare il consueto metodo di lavoro dei nostri clienti. Ma non solo: aiutano ad arricchire costantemente la customer experience, facilitano la collaborazione tra i dipendenti e il servizio clienti, e risolvono i problemi di comunicazione su qualsiasi piattaforma. Il servizio su nuvola da noi proposto offre una semplicità di utilizzo della nostra soluzione che è 100% omnicanale, basata su cloud, con aggiornamenti “live” e che può essere implementata in pochi giorni. Il nostro obiettivo è far sì che i contact center si adattino rapidamente ai continui cambiamenti delle priorità operative e dell’attività, delle nuove tecnologie e delle aspettative dei clienti. Avete recentemente presentato la soluzione PureCloud con tre servizi: Engage, Communicate e Collaborate. A chi sono indirizzate queste offerte e come si rivoluzionerà il servizio clienti? In un mondo oggi segnato dall’importanza della customer care, i rapporti con i clienti sono diventati responsabilità di tutti i player. Una delle sfide principali che le aziende si trovano ad affrontare in questa nuova responsabilità riguarda il numero di dipendenti coinvolti nella gestione delle interazioni con i clienti. Questo comporta la necessità di creare dei workflow digitali, basati su sistemi convergenti che prendono in carico il customer engagement, la comunicazione, la collaborazione e il cloud, elementi i quali giocano un ruolo decisivo in egual misura. La piattaforma PureCloud fornisce tutti questi servizi. Tali soluzioni sono altamen-

Mauro De Caro, territory manager di Interactive Intelligence Italy

te scalabili, affidabili e sicure, le implementazioni sono semplificate e la user experience è coerente e completamente integrata. Ricapitolando: perché PureCloud? Questa soluzione è particolarmente flessibile e affidabile, e lo è grazie a diverse caratteristiche. Innanzitutto, l’architettura microservices basata su Amazon Web Services fornisce alle aziende le nuove funzionalità in modo immediato e continuo, un’affidabilità senza pari, scalabilità e sicurezza, un ingombro pari a zero su desktop e la massima semplicità. La seconda caratteristica è un deployment rapido e intuitivo, con policy manager di facile utilizzo con iscrizione semplice, servizi di telefonia built-in carrier-grade opzionali e facile integrazione con l’It e altri servizi cloud che consentono alle aziende di ottenerlo installato e funzionante in poche ore per un più veloce time to value. La terza sono i contratti per mese semplici e trasparenti, che assicurano il minimo rischio sugli investimenti. Offriamo, inoltre, una sicurezza enterprise grade, per massimizzare la protezione di comunicazioni interne ed esterne grazie al traffico voce criptato (tra il cloud e il sito del cliente, così come all’interno del cloud), al costante rilevamento automatico delle intrusioni, alle certificazioni periodiche di intrusione da terze parti e a opzioni multiple di stoccaggio del traffico voce. Infine, abbiamo la più ampia gamma di funzionalità, il che significa commissioni di sottoscrizione inferiori, amministrazione semplificata, maggiore facilità d’uso e una migliore customer experience. APRILE 2016 |

31


SPECIALE | Cloud

sicurezza e disponibilità, e i servizi cloud volano

32

| APRILE 2016

L

DOMENICO PRIMAVERA - OVH

a flessibilità e l’agilità del cloud, con gli associati vantaggi in termini economici e di business, sono ormai un dato di fatto che nessun imprenditore, grande o piccolo che sia, potrebbe confutare. Perché i servizi decollino definitivamente, però, è necessario abbattere le ultime barriere. Come quella, anche psicologica, sulla sicurezza dei dati affidati ai sistemi sulla nuvola, e quella sulla disponibilità e continuità delle infrastrutture, che invece è più facile verificare e che ormai supera il

ALESSANDRO COZZI - WIIT

ANDREA CARDILLO - MICROSOFT

Convinte dell'efficacia delle soluzioni di protezione dei dati e dell'affidabilità dei datacenter, le aziende italiane si rivolgono sempre di più alle infrastrutture in cloud. Anche per realizzare progetti IoT.

99,95%, non costituendo quindi più un alibi valido per evitare il cambiamento. “Considerando le esigenze delle imprese italiane”, dice Andrea Cardillo, direttore della divisione cloud & enterprise di Microsoft Italia, “sempre più orientate verso modelli IaaS e PaaS, il nostro obiettivo è quello di offrire soluzioni che rispettino la massima sicurezza per evitare il rallentamento nell’adozione del cloud computing, che resta un elemento di competitività fondamentale. La nostra strategia è basata sul Trusted Cloud, conforme a tutti i requisiti di sicurezza, privacy e trasparenza”. “I nostri clienti ci chiedono alti livelli di sicurezza”, gli fa eco Domenico Primavera, senior business developer di Ovh Italia, “e noi rispondiamo con un’infrastruttura estremamente sicura, che replica il salvataggio dei dati in tre data center dislocati in zone distanti fra loro e dotati di tripla alimentazione elettrica”. Un elemento che ha ulteriormente con-


strategiche possano trovare posto sulle nuvole. “Il cloud computing offre alle aziende la possibilità di snellire processi e strutture interne” spiega Alessandro Cozzi, amministratore delegato di Wiit, “aumentare le performance e garantire allo stesso tempo ottimizzazione di costi nell’ottica della fruizione di soluzioni scalabili. In questo momento ad esempio l’introduzione di Sap Hana sta spingendo molte aziende a valutare le nostre soluzioni cloud in full outsourcing per innovare rapidamente e con sicurezza alle migliori condizioni economiche. Molte aziende

File sharing, uno strumento da tenere sotto controllo In meno di dieci anni, il numero di coloro che usano abitualmente il cloud per lavorare passerà da 50 milioni (conteggiati nel 2013) a 659 milioni (ipotizzati per il 2022). Pur risalente a tre anni fa, questa previsione di Gartner è ancora interessante e, se aggiornata, non potrebbe che far salire ulteriormente i numeri. Basti pensare alla popolarità di strumenti di archiviazione e file sharing come Google Drive, Microsoft Onedrive, Dropbox e Box, comunemente adoperati da chi lavora e non necessariamente nel rispetto delle policy aziendali. Una tra le ultime novità di Trend è Cloud App Security, un’applicazione che esegue controlli di sandbox e rilevamento

di malware ed exploit all’interno di link e file condivisi tramite Box, Dropbox, Google Drive e Office 365. L’integrazione con Trend Micro Control Manager permette di avere una visibilità centralizzata sulle minacce e sul rispetto della compliance. “Oggi il cybercrimine mira soprattutto ai dati, di qualsiasi tipo: dal segreto industriale ai contatti dei clienti”, commenta Gastone Nencini, country manager di Trend Micro Italy. “Tutto può essere monetizzato nel mercato underground del crimine informatico. E nelle aziende manca ancora un approccio alla sicurezza come protezione del loro bene centrale, cioè le informazioni”. V.B.

MARCO FIORENTINO - KPNQWEST

STEFANO SORDI - ARUBA

NICOLA PREVIATI - AMAZON WEB SERVICES

tribuito a rompere il ghiaccio nel rapporto tra aziende e fornitori di servizi è la tariffazione degli stessi, che con le formule orarie ha reso ancora meno rischioso e più economico il ricorrere al cloud. “Il maggior interesse dei nostri clienti”, dice Stefano Sordi, direttore marketing di Aruba, “è legato ai Cloud Server a tariffazione oraria e senza overbooking, risorse che offrono Sla di tutto rispetto e assistenza 24 ore su 24”. I servizi Infrastructure-as-a-Service, in particolare quelli di data center virtuale, sono anche quelli più richiesti dai clienti di Kpnqwest: “la crescita dei servizi Iaas”, dice Marco Fiorentino, amministratore delegato di Kpnqwest Italia, “ha superato negli ultimi mesi il 150%. Sono formule particolarmente flessibili e facili da usare, perché il cliente decide quante macchine virtuali vuole creare e con quali caratteristiche”. Grazie alla facilità di configurazione, di utilizzo e di controllo dei costi, molti clienti, anche in Italia, cominciano a credere che anche le applicazioni più

decidono di andare in cloud per cogliere al meglio le opportunità offerte dalla digital transformation e quindi procedere sempre più speditamente verso modelli di business digitali per i quali questa è la piattaforma più naturale”. Le infrastrutture in cloud abilitano l’Iot

Dopo la fase di test, dopo il trasferimento sulla nuvola di progetti verticali e dopo l’adozione dei servizi in cloud anche per applicazioni critiche (come l’Erp), oggi le aziende, almeno le più innovative, stanno guardando alle infrastrutture a servizio come un modo veloce ed economico per implementare Internet delle cose. “Quando i clienti ci presentano i progetti a cui stanno lavorando”, dice Nicola Previati, head of Aws Italia, “ho l’impressione che nel nostro Paese ci sia un potenziale enorme in ogni ambito. Ma se devo citare un esempio su tutti, direi l’Internet of Things. L’utilizzo di sistemi altamente affidabili che connettono e raccolgono dati provenienti da un grande numero di oggetti richiede un importante impegno infrastrutturale. Dunque, non c’è alcun dubbio che il cloud rappresenti la piattaforma ideale su cui sviluppare applicazioni IoT”. “Il Cloud sta diventando il componente cardine per l’evoluzione delle tecnologie di molti settori” ribadisce Primavera, “quali ad esempio la videosorveglianza, il controllo accessi e di tutte le tecnologie alla base dell’Internet of Things. Che rappresenta, anche per noi, una delle più grandi opportunità per il prossimo futuro”. E.M. 33


TECHNOPOLIS PER TREND MICRO

IL DATO È IL VERO CORE BUSINESS DA PROTEGGERE Il cloud computing si muove verso una seconda, più consapevole, fase di adozione. Si cominciano a spostare sulla nuvola anche le applicazioni business-critical, ma è necessario cambiare approccio alla sicurezza.

L’adozione del cloud prosegue in tutto il mondo. Che andamento state osservando in Italia? Le aziende utilizzano il cloud da tempo, ma spesso senza la consapevolezza di averlo fatto. Si pensi, per esempio, alle applicazioni di file sharing. Oggi però osserviamo un’adozione più consapevole che progressivamente coinvolge anche i servizi business-critical. Si cominciano a comprendere meglio alcuni dei vantaggi di questo approccio, come l’ottimizzazione delle risorse e la possibilità di accedere da qualsiasi luogo alle informazioni. Va anche, progressivamente, affievolendosi la resistenza psicologica al cloud per timori di una minore sicurezza o di una minore privacy. Oggi si può quasi affermare che un dato affidato alla nuvola è più sicuro di uno conservato all’interno delle aziende, dal momento che i fornitori di servizi cloud prestano molta attenzione a diversi aspetti collegati alla security, per esempio alle vulnerabilità dei sistemi operativi e delle applicazioni. Nelle aziende spesso non vigono i medesimi livelli di attenzione. Chi si sta muovendo più rapidamente? Le grandi aziende indubbiamente sono partite prima nel percorso di adozione, ma anche le Pmi ora si stanno muovendo. Con due velocità: quella rapida delle startup e delle aziende guidate da dirigenti giovani, e quella più lenta delle medie e piccole aziende tradizionali, tendenzialmente timorose di fronte ai cambiamenti. Molte realtà hanno già spostato parte della loro infrastruttura sul cloud, spinte dai vantaggi del modello pay-per-use. Che cosa servirebbe alla nuvola per accelerare ancora? In Italia, escludendo le grandi città metropolitane e le aree industriali, abbiamo ancora un problema di connettività. Nella provincia italiana, dove esistono anche alcune eccellenze nell’ambito della produzione o dei servizi, si vorrebbe utilizzare il cloud ma la mancata disponibilità di banda larga ne frena l’adozione. Quali sono le principali richieste che ricevete dai clienti? Sono soprattutto relative alla crittografia del dato nel cloud e alla sicurezza antimalware, che è il nostro pane quotidiano. Trend Micro punta in 34

| APRILE 2016

Gastone Nencini country manager di Trend Micro Italy particolare su una possibilità interessante, cioè quella di gestire la protezione dell’ambiente cloud e della macchina fisica allo stesso modo e da un unico punto di controllo. Un simile strumento, che permette di curare sia la sicurezza “interna” sia quella “esterna”, è una delle motivazioni che stanno spingendo molti utenti a spostare sulla nuvola alcuni servizi e risorse. La definirei una “accelerazione consapevole”, diversa dalla prima e inconsapevole fase di adozione del cloud. Sono consapevoli anche in merito alla sicurezza? Oggi, per assurdo, ci preoccupiamo del cloud ma nessuno si preoccupa della supply chain degli apparati It e dunque del rischio di avere all’interno dei nostri uffici sistemi che sono stati modificati per poter sottrarre dati. Inoltre le aziende pensano ancora alla sicurezza soprattutto in termini di compliance, mentre raramente un progetto parte dalla consapevolezza di dover proteggere i propri dati in quanto parte del core business. Quali novità propone Trend Micro? Come riconosciuto da Idc, siamo leader mondiali della protezione dei server di data center cloud e fin dal 2008 abbiamo prodotti destinati a questo scopo. Stiamo anche osservando le evoluzioni del mercato e per questo abbiamo creato soluzioni ad hoc per la sicurezza di Azure e di Office 365. Inoltre stiamo ampliando l’offerta dedicata alla protezione del network e stiamo aggiungendo via via ai nostri prodotti funzionalità di whitelisting. Solo con queste evoluzioni i prodotti che hanno funzionato bene fino a ieri continueranno a farlo anche in futuro.


ECCELLENZE.IT |

Gruppo Cisalfa Sport

Con la tecnologia smart il cliente non esce a mani vuote Il personale della catena di negozi di articoli sportivi verifica in tempo reale la disponibilità di un preciso prodotto, in loco o in altri punti vendita. Merito di un dispositivo delle dimensioni di un badge, realizzato da Zebra Technologies. LA SOLUZIONE Lo smart badge Sb1 integra un lettore 2D di codice a barre che può varificare la disponibilità di una taglia, colore o variante specifica, sia nel singolo punto vendita sia nei restanti negozi o in magazzini centrali. Può essere usato, inoltre, per il ripristino veloce del venduto. L’infrastruttura di supporto è un access point Zebra AP7522, gestito da un controller centralizzato Zebra NX9500.

L’

esperienza di shopping continua a diventare più tecnologica. Anche in negozio, un luogo che oggi deve cambiare per offrire al cliente modalità d’acquisto più piacevoli e coinvolgenti. Un buon esempio italiano è il Gruppo Cisalfa Sport, catena specializzata in articoli e abbigliamento sportivo, che nel 2014 ha fatto partire un progetto gradualmente esteso a cento dei suoi negozi e teso a coprire tutti i 135 entro la fine di quest’anno. “Grazie alla collaborazione con Zebra Technologies”, illustra Riccardo Boccalero, Cio del gruppo, “abbiamo potuto realizzare una soluzione hardware e software in grado di migliorare l’esperienza del cliente”. In particolare, si puntava a ottenere tre obiettivi: migliorare la generale esperienza di shopping dei clienti, massimizzare la durata del contatto con personale di vendita e, viceversa, ridurre il più possibile il numero di coloro che se ne vanno a mani vuote, senza aver trovato ciò che

cercavano. “Abbiamo selezionato Zebra”, prosegue Boccalero, “per la sua grande esperienza in ambito retail e per il suo essere leader nello sviluppo di soluzioni che integrano tecnologie Rfid, Rtls e codici a barre, in grado di trasformare oggetti fisici in dati digitali”. Quello adottato, progressivamente, nei cento punti vendita è Sb1, un sistema della grandezza di un badge in cui sono integrati un software e un lettore di codice a barre: il commesso lo indossa al collo e, passandolo sull’articolo, può controllare in tempo reale e in autonomia la disponibilità in magazzino di altre varianti, colori, taglie. E non solo: lo “smart badge” verifica se il prodotto sia presente in altri punti vendita della catena o in un magazzino centrale. Il dispositivo incorpora anche uno schermo touch, che ne semplifica l’uso e può essere gestito e aggiornato da remoto. Realizzato coinvolgendo un partner di Zebra, Barware, il progetto è stato ben accolto dal personale. “L’attività di

formazione dei dipendenti”, testimonia Boccalero, “è stata molto veloce grazie all’immediatezza e alla facilità di questa soluzione, che ha reso evidenti fin da subito i vantaggi in termini di tempo e miglioramento della qualità del lavoro”. Oltre ad aver aumentato la produttività degli addetti del negozio, la soluzione di Zebra ha reso unica la user experience dei clienti e migliorato la fidelizzazione. “I consumatori ricercano nei negozi un servizio sempre migliore e la facilità di trovare subito i prodotti desiderati oppure di conoscere in tempo reale eventuali alternative è un fattore determinante, che ne influenza fortemente la soddisfazione”, sottolinea il Cio. Cisalfa sta ora studiando la possibilità di sfruttare il terminale Sb1 per realizzare inventari fisici e per integrare il canale e-commerce. Inoltre, sta valutando di affiancare lo smart badge a nuovi terminali WiFi da utilizzare per la ricezione e la spedizione della merce. APRILE 2016 |

35


ECCELLENZE.IT |

Jobrapido

Trovare il lavoro giusto grazie al “motore” intelligente Il software Elasticsearch fa ordine nel mare delle offerte di occupazione pubblicate sulla piattaforma, a beneficio dei suoi sessanta milioni di iscritti.

O

ltre 60 milioni di profili registrati, 35 milioni di utenti unici mensili, 20 milioni di annunci di lavoro pubblicati ogni mese: sono alcuni dei numeri di Jobrapido, portale italiano nato nel 2006 e oggi presente in 58 Paesi. Navigando nel mare delle offerte di collaborazione, alla ricerca di quelle più adatte al proprio profilo e alle proprie necessità, gli iscritti al servizio fino a poco tempo fa venivano orientati da un motore di ricerca molto “rigido” e non più adeguato. Un motore che, come spiega Salvatore Vadacca, head of product development di Jobrapido, “aveva reso impossibile la definizione di alternative all’ordinamento degli annunci, a causa del forte accoppiamento tra la struttura dati utilizzata per l’indice e le funzioni di ranking”. Introdurre delLA SOLUZIONE Elasticsearch è un software open source scritto in Java e costruito sulla tecnologia Apache Lucene. Grazie a specifici analizzatori, mette in relazione il tipo di ricerca eseguita dagli utenti di Jobrapido (circa diecimila ricerche al secondo) con le offerte di occupazione indicizzate in base alla location e alla tipologia di lavoro (ottocento documenti indicizzati al secondo). Nella sua prossima versione (5.0) il software introdurrà un meccanismo di ricerca a grafo, che potrebbe aiutare nello sviluppo di soluzioni di recommendation.

36

| APRILE 2016

le modifiche, permettendo per esempio un ordinamento degli annunci per data o per fattori di interesse, avrebbe richiesto la duplicazione delle informazioni e una ulteriore inefficienza nel meccanismo di indicizzazione. E così l’azienda ha scelto di voltare pagina, cercando una soluzione alternativa che avrebbe dovuto essere facile da usare, scalabile, aperta a continui sviluppi e aggiornamenti, nonché open source. La risposta trovata si chiama Elasticsearch: creato dalla giovane azienda statunitense Elastic (nata nel 2012), si tratta di un software open source scritto in Java, che permette una migliore visualizzazione dei risultati per chi esegua una ricerca fra gli annunci di lavoro. In sostanza, il software esegue un’indicizzazione coerente con i probabili interessi dell’utente e con la sua località di residenza, sia in Italia sia all’estero (grazie al supporto per 18 lingue). “Nel momento in cui si effettua una ricerca sul sito”, illustra Magda Swierczek, se-

arch & match director di Jobrapido, “il software è in grado di analizzare il tipo di richiesta, la località scelta e la lingua in cui è stata svolta, per poter indicizzare al meglio i risultati e renderli sempre più accurati e pertinenti”. “Elasticsearch”, testimonia Vadacca, “ha pienamente soddisfatto le nostre aspettative, in termini di tempi di ricerca tagliati del 60%, tempi di indicizzazione ridotti del 90%, scalabilità e ampia disponibilità del supporto commerciale. È stato possibile testare nuove opzioni di ranking, per migliorare l’esperienza degli utenti”. Negli ultimi mesi l’utilizzo di Elasticsearch è stato esteso alla categorizzazione degli annunci e all’ottimizzazione Seo (creando delle differenze storiche delle sitemap da comunicare a Google). Jobrapido ha anche realizzato un proof of concept che dimostra come, indicizzando le ricerche eseguite dagli utenti, sia possibile individuare target per comunicazioni commerciali mirate.


ECCELLENZE.IT |

Novamont

L’industria può crescere se fa ordine nel backup Adottando le appliance Fujitsu Eternus, l’azienda chimica novarese ha potuto centralizzare e rendere affidabili le operazioni di copia di sicurezza dei dati. Così potrà continuare a espandersi, minimizzando i rischi.

M

ettere ordine fra i dati, nelle modalità con cui vengono custoditi e protetti è essenziale per poter far crescere serenamente il proprio business, come dimostra il caso di Novamont. Nata nel 1989, l’azienda chimica è specializzata in sviluppo e produzione di bioplastiche biodegradabili, compostabili e biochemicals. Oltre alla sede principale di Novara e allo stabilimento produttivo di Terni, la società conta tre laboratori di ricerca e tre consociate in diverse regioni italiane, due sedi commerciali in Germania e Francia e una commerciale e produttiva negli LA SOLUZIONE Sono state adottate diverse appliance di backup Fujitsu Eternus CS200c, per un totale di 14 TB di capacità, con il software CommVault Simpana (Licenze Fujitsu Foundation pack) preinstallato. Novamont ha ottenuto la centralizzazione delle operazioni di backup, una riduzione di tempi del 30% e la replica centralizzata dei dati allocati nelle sedi periferiche. Grazie agli automatismi di segnalazione e reportistica, inoltre, è stata migliorata la verifica del buon esito del backup.

Stati Uniti. Arrivata, oggi, a cinquecento dipendenti e a un fatturato consolidato di quasi 180 milioni di euro, negli ultimi anni l’azienda ha attraversato una fase di crescita simboleggiata da acquisizioni e da una joint-venture realizzata con Eni Versalis nel campo della chimica verde. Si era dunque creata “una situazione di notevole disomogeneità nelle operazioni di backup fra le varie sedi”, racconta Marco Salvadeo, Cio e direttore pianificazione & controllo di Novamont, “e si è pertanto reso necessario fare ordine per risolvere le inefficienze e non dover affrontare il rischio di perdita di dati”. Che questa eventualità esistesse lo si comprende dal fatto che, fino a quel momento, le copie di sicurezza dei dati venivano eseguite in autonomia dalle varie sedi, con problemi di efficienza, duplicazioni e mancanza di controllo. “Avevamo bisogno di lavorare con un sistema semplice e con funzionalità di gestione centralizzata”, specifica Salvadeo. Il risultato di queste due esigenze, insieme a quelle di rapidità d’implementazione e di scabilità, è stata la scelta delle appliance di backup Eternus di Fujitsu, con software di backup preinstallato e replica dei dati centralizzata. Il progetto è sta-

to portato a termine in una ventina di giorni lavorativi grazie al supporto della piacentina Team Memores Computer, un Select Expert Partner di Fujitsu, certificato per la soluzione da implementare. “Abbiamo lavorato a stretto contatto con il vendor, fornendo le nostre competenze tecnologiche e formative”, precisa Daniele Palazzina, direttore tecnico di Team Memores Computer. Si è partiti con l’installazione di quattro macchine in altrettante sedi, con capacità da 4 a 12 TB. “A Novara eseguiamo anche il backup delle sedi periferiche, in modo da poter ripristinare quanto necessario anche in caso di blocco di un’intera infrastruttura”, precisa Giuseppe Rossi, responsabile It delle sedi periferiche di Novamont. Oltre a ottenere maggiore controllo, l’azienda ha constatato una riduzione dei tempi di backup nell’ordine del 30% e migliorato la verifica del buon esito delle operazioni. “Il percorso di crescita del gruppo non si può certo ritenere completato”, sottolinea Salvadeo, “ma l’appliance Fujitsu CS200c garantisce elevata scalabilità, permettendoci di salvaguardare gli investimenti effettuati. Di conseguenza stiamo valutando di espandere la soluzione per altri progetti”. APRILE 2016 |

37


ITALIA DIGITALE

DIGITALIZZAZIONE ULTIMA CHIAMATA? I piani del Governo per realizzare le nuove infrastrutture e attuare i progetti dell’Agenda sono concreti, ma al momento resta grande il gap della Penisola nei confronti degli altri Paesi. C’è ancora tempo per avviare il circolo virtuoso dell’innovazione?

“A

che punto è il sistema digitale italiano? L’indice Desi della Ue ci pone al 25esimo posto su 28”. L’istantanea è di Francesco Sacco, docente di Strategia dell’Università Insubria e della Sda Bocconi, nonché componente del Tavolo per l’Innovazione e l’Agenda Digitale del Governo Renzi. A suo dire, “non ci siamo mossi molto e siamo molto deboli in termini di connettività, capitale umano e utilizzo di Internet. Siamo però più o meno allineati agli altri Paesi per utilizzo di tecnologie digitali nella Pa e nelle aziende”. Come si può facilmente intuire, non è una fotografia che regala entusiasmo sullo stato di “salute tecnologica” della Penisola. Il percorso verso la digitalizza38

| APRILE 2016

zione che tutti auspicano è, insomma, ancora lungo e l’analisi che segue ci aiuta a capire dove e come si dovrebbe intervenire. Guardiamo per esempio al rapporto fra la spesa It e il Pil: “L’Italia ha sotto-investito in Information technology nella misura del 40% rispetto al resto del mondo, che ha continuato a crescere mentre noi ci siamo fermati per più di 11 anni. Ed è un gap che non si può superare in breve tempo”, sottolinea Sacco. Un secondo argomento di riflessione è l’Agenda Digitale, per certi aspetti icona del colpevole lassismo in fatto di inve-

stimenti in innovazione. La convinzione di Sacco – “Ora dobbiamo recuperare perché siamo indietro” – è ovviamente condivisibile, e il pensiero non può che andare ai due piani strategici di sviluppo varati dal Governo a marzo 2015: quello della Crescita Digitale 20142020 e quello della banda ultralarga. L’ottimismo sul successo di questi progetti, secondo il docente della Bocconi, è giustificato da vari elementi. In prima istanza dal fatto che “ogni anno verrà riaggiustata la strategia misurando i risultati raggiunti”. E poi ci sono le opere vere e proprie. “Per le infrastrutture


fisiche”, illustra Sacco, “sono previsti 12 miliardi di euro di investimenti, di cui cinque miliardi cofinanziati da fondi e soggetti privati (2,2 miliardi sono stati già allocati dal Cipe, ndr). Prima dell’estate ci saranno i bandi e a seguire verranno posate le prime reti Ngn (Next Generation Network, ndr) nelle aree a fallimento di mercato”. Sul fronte delle infrastrutture software e dei relativi data center, il piano è da cinque miliardi in sette anni, di cui 1,8 miliardi sono fondi europei per lo Sviluppo Regionale OT-2 e due miliardi sono fondi nazionali. Qui rientrano i progetti di Italia Login e Spid. In merito a quest’ultimo, Sacco conferma come “saranno 600 i servizi digitali disponibili e accessibili entro giugno in regime di totale sicurezza e di privacy” e come vi abbiano già aderito alcuni grandi enti pubblici e diversi Comuni. A Spid si affiancano quindi le piattaforme per migliorare la gestione dei pagamenti in forma elettronica verso la Pubblica Amministrazione (a fine dicembre 2015 risultavano circa diecimila Pa già aderenti al nuovo sistema centralizzato, con una media di cento adesioni al giorno), quelle per dare corpo all’Anagrafe unica e uniformare i database degli 8.500 Comuni italiani (incrociandoli con i dati della sanità pubblica) e quelle per massimizzare l’efficienza dei servizi ospedalieri con il Fascicolo Sanitario Elettronico. “Sono stati messi su carta diversi progetti per lo sviluppo delle competenze digitali”, rimarca infine l’esperto del Governo, “ma non va trascurato il fatto che le difficoltà sono tante perché la popolazione e le imprese sono estremamente polverizzate sul territorio, a causa della progressiva diminuzione dell’urbanizzazione”. Capire a che punto siamo del processo di cambiamento non è, quindi, banale e anche l’ultima riflessione che abbiamo raccolto da Sacco non risolve il dubbio, per quanto suoni come un chiarissimo invito a procedere: “Non è in discussione che cosa si debba fare

L’Italia ha il problema di non credere nell’Italia. Oggi i venture capital investono circa 130 milioni di euro in startup, la Francia vanta un valore dieci volte superiore. Ma abbiamo almeno cento nuove imprese che hanno i mezzi per scalare a livello globale. La digital disruption metterà fuori gioco il 40% delle aziende incumbent attuali. Bisogna aprire le porte all’innovazione per trasformare il Paese

Marco Bicocchi Pichi, presidente Italia Startup

per recuperare il gap, ma il come farlo nel modo più veloce possibile. La digital transformation è un’opportunità che non possiamo assolutamente perdere”. Il gap di spesa tra Italia e Ue

Di opportunità straordinaria per il Paese e per chi opera nell’universo tecnologico parla anche Elio Catania, presidente di Confindustria Digitale. Che giustamente pone una questione, ricordando come l’Italia sia sulla soglia di questa opportunità senza averla ancora colta appieno: “Perché abbiamo questo gradino da salire? Perché abbiamo investito poco. O si comprende da parte della leadership del Paese, pubblica e privata, che siamo di fronte a una profonda trasformazione di tutti i processi, oppure siamo fuori da tutti i circuiti digitalizzati”. Si tratta di un allarmismo giustificato? Probabilmente sì. E lo dicono i numeri presi a riferimento dallo stesso ex numero uno di Ibm, Atm Milano e Ferrovie dello Stato. “L’Italia investe circa il 4,8% del Pil in tecnologie digitali rispetto alla media europea del 5,6% e al 9% del Regno Unito: questo significa circa 25 miliardi di euro non spesi e un punto di crescita economica che lasciamo per strada ogni anno”.

Un danno imputabile al fatto che, a detta del manager, sono mancate competenze, risorse e progetti. Il gap è profondo insomma ma ancora rimediabile, almeno secondo il pensiero di Catania. “Il Paese ha capito che siamo di fronte allo svincolo della sopravvivenza, alla chiave vera per tornare a competere. L’agenda delle cose da fare è chiarissima ma il problema oggi è uno solo: l’execution, il mettere in pratica i piani definiti sulla carta. Le risorse sono state identificate, il primo ministro è sceso in campo, qualcosa sta già avvenendo. Ma la dozzina di piattaforme strategiche che sono alla base del processo di digitalizzazione deve essere completata entro i prossimi dodici o ventiquattro mesi”. Dove intervenire è altrettanto noto. “Il limite da superare subito”, spiega ancora il numero uno di Confindustria Digitale, “è la mancanza di risorse in termini di competenze. Servono quindi una governance strutturata e un quadro regolatorio su privacy e fiscalità adeguato alle dinamiche della società digitale. L’opportunità non è solo della Pa, ma anche dell’impresa. Non è un problema tecnico, bensì collettivo. I vendor forse hanno peccato nel dare il corretto valore all’apporto garantito dalle tecnologie ai processi di business, soprattutto nelle Pmi”. Nella professione di fede verso un’accelerazione che si ritiene ancora fattibile c’è quindi una sorta di “mea culpa”, ma guardare al passato serve a poco. Proiettandosi al futuro, Catania ripete concetti logici e condivisibili. “Il digitale deve essere il cuore e il motore di sviluppo del Paese, che tornerà a crescere se daremo vita a nuovi hub per l’innovazione, se semplificheremo l’interazione fra aziende e Pa e se investiremo nelle nuove tecnologie”. L’Agenda Digitale lanciata dal Governo Monti nell’autunno del 2012 si proponeva per l’appunto questi obiettivi. Sono passati quasi quattro anni. I lavori in corso vanno portati a termine in fretta. Gianni Rusconi 39


ITALIA DIGITALE

SPID: UNA SVOLTA PER IL settore PUBBLICO E IL PRIVATO Un passo in avanti per l’accesso ai servizi online della Pa da parte di cittadini e imprese, ma non solo. Il nuovo sistema pubblico per la gestione delle identità digitali può regalare grandi benefici anche agli operatori privati a contatto con migliaia di utenti, come banche e siti di e-commerce. Danilo Cattaneo

L’

avvento di Spid, il Sistema Pubblico di Identità Digitale, ha segnato un passo fondamentale nel processo di digitalizzazione del Paese. Il nuovo sistema semplifica e stimola l’accesso sicuro a servizi fruibili online e ne incentiva lo sviluppo, comportando vantaggi sia per chi li eroga sia per gli utenti. Dal punto di vista di questi ultimi, che siano cittadini o imprese, il beneficio principale è quello di poter usufruire di un’unica identità digitale, certa e garantita, per accedere a una molteplicità di servizi, sia della Pa sia di tutti quei soggetti privati che potranno decidere di utilizzare Spid come piattaforma per l’accesso ai propri servizi online. In pratica, non sarà più necessario creare e ricordare credenziali specifiche per ogni singolo servizio, ma si potranno usare sempre le stesse credenziali digitali. Nella loro veste di cittadini, il vantaggio ultimo degli utenti sarà soprattutto di tipo logistico: dal momento che tutte le amministrazioni centrali e locali, nonché gli enti pubblici, dovranno aderire a Spid entro 24 mesi dall’avvio del sistema, non saranno più necessari spostamenti fisici e tem-

40

| APRILE 2016

pi di attesa prolungati per ottenere i servizi erogati dalla Pa. Il tutto con un elevato livello di sicurezza: la gestione dell’identità avviene attraverso un erogatore di servizio pubblico, l’Identity Provider, certificato e vigilato da organismi indipendenti, avente la responsabilità di gestire nel tempo i più alti livelli di sicurezza nel trattamento dei dati della persona. L’aver affidato la gestione delle identità digitali agli Identity Provider (e fra questi c’è InfoCert) rappresenta il principale valore aggiunto per i soggetti erogatori dei servizi online. Nel breve-medio termine questo dovrebbe stimolare una maggiore adesione a Spid anche da parte di erogatori privati, condizione necessaria per lo sviluppo del sistema e per l’accelerazione del processo di digitalizzazione del Paese oltre la sfera della Pa. Come è noto, infatti, nell’evoluzione di un’offerta di servizi online il principale costo – sia in termini economici, sia di risorse e tempi da dedicare – è dato proprio dalla gestione degli accessi e dei dati degli utenti. Aderendo a Spid, tutti questi oneri e i relativi costi saranno completamente demandati all’Identity Provider, che si farà carico delle

procedure di identificazione e di quelle di autenticazione assumendosi anche le conseguenti responsabilità. Con Spid, in sostanza, i soggetti privati, allo stesso modo delle Pubbliche Amministrazioni, potranno contare sulla certezza dell’identità della persona che si autentica ed essere al contempo esentati dagli oneri di conservazione e protezione dei dati personali degli utenti. Per un servizio esteso a migliaia di persone, come ad esempio quello offerto da una banca o da un operatore di e-commerce, il beneficio è facilmente intuibile. Dal nostro punto di osservazione, stiamo già traendo indicazioni molto positive in tal senso, e penso ad alcune banche nostre clienti che stanno dimostrando un forte interesse per l’opportunità di far transitare sul sistema Spid la gestione degli accessi online delle rispettive community di utenti. Se le previsioni saranno rispettate, nel giro di circa due anni il sistema coprirà una larga maggioranza delle anagrafiche disponibili. La sua evoluzione riguarda anche la possibilità di adoperare l’identità digitale per usufruire di servizi che fanno capo a Pa di altri Paesi, rendendola interoperabile con altri sistemi utilizzati in Europa. Si avrà, infine, anche uno sviluppo dei sistemi di autenticazione: i cittadini si aspettano meccanismi sempre più semplici, si pensi alle tecnologie biometriche già disponibili su alcuni smartphone. Sarà quindi compito degli Identity Provider presidiare di continuo l’innovazione in questo ambito e valutare se e come inserirla nel sistema Spid. Danilo Cattaneo, amministratore delegato di InfoCert


L’ITALIA 2.0 PASSA anche DALLA RACCOMANDATA Migliorare l'accesso ai servizi online per cittadini e imprese è un imperativo del nuovo corso della Pubblica Amministrazione. Un esempio concreto? Digitalizzare la giacenza di lettere e documenti.

L

a Pubblica Amministrazione è allo stesso tempo promotore e fruitore di quel processo di digitalizzazione che sta interessando a vari livelli anche cittadini e imprese private. Partendo proprio dalle esigenze delle Pa e delle aziende, Nexive, in collaborazione con la startup tNotice, ha sviluppato una soluzione in grado di semplificare la vita di milioni di persone, garantendo al contempo un importante ritorno anche per gli altri soggetti coinvolti: la raccomandata a giacenza digitale. Ogni anno in Italia vengono spediti circa 180 milioni di raccomandate, di cui quasi il 30% (oltre 54 milioni) va in giacenza, il che equivale a quattro persone che ogni secondo fanno la fila a uno sportello postale per ritirare lettere e documenti vari. Il tempo medio per il ritiro è di sette giorni dall’avviso di giacenza e oltre il 60% delle raccomandate spedite non verrà mai recuperato (elaborazione Nexive su dati E&Y, ndr). Alla luce di questi numeri si può intuire come la digitalizzazione di questo servizio si inserisca in uno snodo nevralgico del rapporto fra Pa, aziende e cittadini, andando a rivoluzionare la gestione di alcuni dei processi più diffusi nella pubblica amministrazione e generando risparmi potenziali di grande impatto sui conti statali. Grazie alla giacenza digitale, la macchina pubblica può infatti raggiungere i cittadini in modo più efficace, abbattendo il numero di raccomandate non consegnate e gli oneri collegati. Per i cittadini la digitalizzazione della gia-

cenza si traduce in un importante risparmio di tempo e denaro, legato agli spostamenti per raggiungere i punti di giacenza, all’attesa allo sportello e alle eventuali more dovute a ritardi nel pagamento di multe o contravvenzioni. È fondamentale ricordare che questo servizio, facendo leva sull’integrazione tra cartaceo e digitale, non impone

Luca Palermo

all’utente finale il ricorso al servizio Web – difficoltoso in alcuni casi, vedi per gli anziani o i residenti in aree senza connessione Internet – ma lo accompagna gradualmente in un percorso multicanale in cui, a seconda del grado di confidenza con il mezzo, può scegliere la modalità più adatta alle proprie esigenze. Se consideriamo che l’Italia è ancora al 21esimo posto in Europa per l’attuazione dell’Agenda Digitale, l’approccio graduale alla digitalizzazione dei servizi, specialmente per quelli che coinvolgono direttamente Pa e cittadini, è fondamentale per includere nella curva dell’innovazione anche quelle fasce di utenti che ancora non hanno familiarità

con gli strumenti tecnologici. Non va dimenticato, infatti, che oggi solo il 30% degli italiani usufruisce dei servizi online delle amministrazioni pubbliche, uno stallo a cui la riforma della Pa sta cercando di porre rimedio. Per invertire la tendenza, è necessario procedere in parallelo su due binari: innovare i tradizionali servizi alla cittadinanza e sviluppare soluzioni intelligenti in grado di interpretare i cambiamenti in corso, facendo leva sul digitale. Una risposta importante alle istanze dei cittadini arriva sicuramente dallo Spid, ma affinché il cambiamento avvenga in maniera sistematica crediamo sia fondamentale promuovere una cultura dell’innovazione in cui collaborino pubblico e privato. Il progetto della raccomandata a giacenza digitale segue questo approccio perché è un prodotto realizzato in un’ottica di “open innovation”, seguendo cioè un modello in cui l’innovazione è frutto del coinvolgimento di una pluralità di attori, interni ed esterni all’azienda. Sappiamo che l’Italia deve recuperare un ritardo importante accumulato negli anni rispetto alla maggior parte dei Paesi europei sugli obiettivi di diffusione del digitale. Perché ciò avvenga, è fondamentale che tutti gli attori facciano la propria parte in un processo che, se orchestrato con il fine di creare sinergie, può dare al Paese quella spinta necessaria per il raggiungimento delle mete dell’Agenda Digitale. Luca Palermo, amministratore delegato di Nexive

41


OBBIETTIVO SU | Data4

IL CAMPUS PER IL DIGITALE Alle porte di Milano sorge il centro tecnologico della francese Data4: una struttura interconnessa e altamente scalabile che vuole essere un pilastro della trasformazione italiana.

I

nnovazione, tecnologie, condivisione di risorse, sicurezza, servizi informatici allo stato dell’arte: tutti ingredienti utili a costruire e sviluppare un ecosistema digitale finalizzato a sostenere la ripresa economica del Paese. Partendo dalle infrastrutture. Nello sforzo che la francese Data4 ha profuso in Italia, questi ingredienti convergono in un doppio, corposo investimento: 100 milioni di euro messi in campo dal 2012 a oggi per edificare tre data center (su una superficie totale di dieci ettari, interamente di proprietà) fra Cornaredo e Settimo Milanese, alla periferia ovest di Milano, e altri 150 milioni già previsti per completare un campus tecnologico che arriverà a dotarsi di complessive dieci “server farm”. L’area attualmente dedicata alle sale macchine è destinata a triplicarsi, in futuro, arrivando a 22mila metri quadri. A

42

| APRILE 2016

essa si affiancheranno i 50mila metri quadri previsti per le infrastrutture dedicate all’hosting, per un totale di 10mila rack ospitabili. Un complesso tecnologico imponente (a Parigi i centri di Data4 in esercizio sono sette, cui si sommano i tre in Lussemburgo), pensato per cavalcare l’onda del digitale e quella della rivoluzione di Industry 4.0, il cui compito è di erogare servizi di connettività e cloud a tutto il tessuto aziendale, privato e pubblico, italiano. Il campus sfrutta un’infrastruttura in “dark fiber” per connettersi alle reti metropolitane del Mix, Milan Internet eXchange. Fra chi ha creduto da subito nelle capacità di questa struttura spicca un nome di primo piano come Ibm, che ha affidato a Data4 la gestione del nodo italiano della piattaforma SoftLayer occupando due dei tre data center oggi in esercizio. G.R.


Si contano otto sale macchine It in ognuno dei tre blocchi, per un’area occupata di circa 7mila metri quadrati.

43


OBBIETTIVO SU | Data4

I tre data center attivi hanno una capacità di oltre 10 MegaWatt di potenza. La struttura può scalare fino a 60 MegaWatt.

OPERATORI CONNESSI “Gli investimenti”, dice Olivier Micheli, Ceo di Data4, “sono solo all’inizio. Abbiamo l’ambizione di diventare un importante hub del digitale in Italia grazie alla rete in fibra che permette di connettere gli operatori telco, i cloud provider e le aziende che operano con il nostro centro a un nodo di interscambio dati strategico in Europa, come il Mix”.

44

| APRILE 2016


Gli impianti sono certificati Tier III con un livello di Pue (Power Usage Effectiveness) a pieno carico di 1,37.

La continuità del servizio è assicurata da una ridondanza completa di tutti gli apparati di alimentazione e dei gruppi frigo per il raffreddamento delle sale macchine.

45


ABBONATI GRATIS A TECHNOPOLIS! Registrati subito e potrai ricevere gratuitamente in formato Pdf tutti i numeri di Technopolis e la newsletter settimanale di ictBusiness.it!

Per abbonarti vai a questo link: http://eepurl.com/Y9qHP Oppure utilizza il QR Code che trovi qui accanto

I tuoi dati saranno trattati secondo quanto previsto dalla nostra informativa per la privacy e per nessuna ragione saranno ceduti a terze parti. In qualunque momento potrai decidere di cancellarti dalla nostra lista o modificare i tuoi dati.


VETRINA HI-TECH

SMARTPHONE, LA PAROLA D’ORDINE È STUPIRE Il mercato rallenta e i produttori devono continuamente arricchire i cellulari di novità, anche estremamente personalizzabili. Nel frattempo, i vendor cinesi stanno rompendo gli equilibri consolidati e guadagnano sempre più quote.

I

l mondo della telefonia si è drasticamente evoluto nel corso dei decenni e l’avvento su scala globale degli smartphone, ormai inseparabili compagni di vita, non ha fatto altro che accelerare il tasso dello sviluppo tecnologico e la competizione sul mercato. Mercato che, dopo anni di crescita impazzita, è quasi saturo: Idc prevede un incremento per il 2016 di soli 5,7 punti percentuali e non in “double digit”. I principali player nel settore sono quindi oggi costretti a rinnovare spesso radicalmente i propri prodotti. Che si tratti di conservare la leadership o di guadagnare quote con strategie molto aggressive, il mantra è uno solo: stupire.

La scintillante vetrina dell’ultimo Mobile World Congress di Barcellona ha permesso di osservare alcune tendenze su cui si muovono gli Oem. Tra queste spiccano gli accessori, la modularità e la sicurezza. Il primo trend, che presenta forti punti di contatto col secondo, è stato ben descritto da Tim McDonough, svp of marketing di Qualcomm. “L’innovazione nei terminali non è limitata alle dimensioni dei display: è qualcosa che riguarda il contesto nel suo insieme, compresa la possibilità di interagire con la realtà virtuale”. Ecco perché Samsung ha svelato i nuovi Galaxy S7 e Galaxy S7 Edge con un evento tutto incentrato su

questa tecnologia: gli smartphone sono, infatti, compatibili con la mini telecamera sferica Gear 360 e con i visori Gear Vr. Lg, invece, ha lanciato il G5, primo dispositivo modulare nella storia del marchio sudcoreano. Un device con schermo always-on da 5,3 pollici Quad Hd (2.560 x 1.440 pixel) e caratteristiche, a conti fatti, sovrapponibili a quelle degli altri top di gamma presentati a Barcellona (Galaxy in primis). Per provare a differenziarsi dalla “massa”, Lg ha deciso quindi di puntare sui moduli. Ha optato quindi per una batteria estraibile grazie al “magic slot”: un vano staccabile con un pulsante, posto nella parte basse del dispositivo. Grazie alla fessura APRILE 2016 |

47


VETRINA HI-TECH

è possibile abbinare il cellulare a moduli aggiuntivi per estenderne le funzionalità base. Cam Plus, per esempio, offre i controlli manuali di una fotocamera digitale. A completare il quadro, infine, ci sono gli Lg Friends: “companion device” per ampliare ancora le potenzialità dello smartphone. Come Rolling Bot: un dispositivo sferico, comandabile dal cellulare, che cattura immagini e video grazie a una fotocamera da 8 MP. Ma la telefonia oggi non è solo divertimento. È anche lavoro in mobilità. Secondo Strategy Analytics, nei prossimi cinque anni la crescita dei dispositivi per il business supererà quella dei device per uso personale (606 milioni di unità vendute nel 2020). Nascono per uno specifico utilizzo aziendale, per esempio, il Lumia 650 e il Blackberry Priv. Il cellulare di Microsoft è in grado di proteggere le informazioni di lavoro e quelle personali grazie all’avvio sicuro, alla crittografia dei dati e al device wipe. La produttività è garantita dalla suite di applicazioni di Office, dal cloud di Onedrive e dall’integrazione con Cortana. Il terminale di

Blackberry (che tenta il rilancio affidandosi per la prima volta ad Android) mette a disposizione Dtek, app con cui si monitorano e si tengono sotto controllo gli accessi eseguiti da ogni applicazione. Il Priv, inoltre, si distingue per la sua capacità di proteggere e cifrare i dati, con chiavi presenti anche a livello hardware. L’avanzata della Cina e la strategia di Apple

Ma tutti i produttori devono guardarsi le spalle da un “nemico” comune: i vendor cinesi, che si sono fiondati a capofitto nel business degli smartphone anche fuori dal mercato locale. Con un successo strabiliante. Lenovo, oltre a essere il primo marchio di Pc è anche al quarto posto nel comparto dei telefoni. Il Vibe K5, cellulare di fascia media, sarà da maggio in vendita per la prima volta anche nel nostro Paese. Secondo la società di ricerca Kantar Worldpanel, invece, tra novembre 2015 e gennaio 2016 Huawei è diventato il secondo brand nell’ecosistema Android in alcuni mercati europei chiave, Italia compresa. Il top di gamma

presentato a Barcellona è il Mate 8 (nel frattempo è uscito anche il più recente P9) : un phablet da sei pollici la cui estetica è frutto del lavoro di Abigail Brody, ex designer di Apple. A proposito della Mela: assente dalla kermesse di Barcellona, il gruppo di Cupertino ha svelato le novità “primavera estate” 2016 il 21 marzo, durante un evento nel proprio quartier generale. A tenere banco è stato l’iPhone Se, un cellulare da 4 pollici pensato per l’utenza che non si è mai approcciata al mondo Apple, ma che non vuole rinunciare alle specifiche dei modelli più blasonati, come l’iPhone 6. In un periodo in cui a dominare sono i form factor più grandi, la si può considerare una scelta anacronistica? Si vedrà. Nel frattempo, però, Rbc Capital Markets parla di un possibile fatturato per Cupertino di oltre cinque miliardi di dollari. E lo stesso Greg Joswiak, vice presidente della business unit che tratta i dispositivi iOs, ha confermato che nel 2015 la società ha venduto ben trenta milioni di iPhone da 4 pollici. Il mercato bisogna anche saperselo creare. A.A.

BLACKBERRY PRIV

HUAWEI p9 plus

Apple iphone se

Schermo: 5,4” Wqhd dual-curved

Schermo: 5,5” Fhd

Schermo: 4” 1136x640 pixel

Sistema operativo: Android 5.1.1

Sistema operativo: Android 6.0

Sistema operativo: iOs 9.3

Memoria: 32 GB (2 TB microSd)

Memoria: 64 GB (128 GB microSd)

Memoria: fino a 64 GB

Peso: 192 grammi

Peso: 162 grammi

Peso: 113 grammi

Prezzo: 779 EURO

Prezzo: 749 euro

Prezzo: da 509 EURO

48

| APRILE 2016


HP CI RIPROVA CON UN CONDENSATO DI POTENZA E MOBILITà. solo per aziende Non è un Pc, non è uno smartphone, non è un tablet. Il nuovo Hp Elite X3, in arrivo per questa estate, rappresenta almeno per la multinazionale che lo ha concepito una categoria a sé stante: il primo di una serie di oggetti destinati a soddisfare le esigenze di mobilità delle imprese in senso ampio. Per certi versi, Elite X3 è un condensato di tutti i dispositivi elencati sopra: ha la potenza di un personal computer (assicurata da un processore Qualcomm Snapdragon 820), la connettività e la portabilità di uno smartphone e uno schermo che si avvicina a quello di un tablet, un mix che alcuni chiamano “phablet” ma che rispetto agli oggetti già presenti in questa categoria (come l’iPhone 6s Plus e il Samsung Galaxy Note 5) offre un’architettura e un set di accessori più simile a quella di un Pc,

oltre che un display leggermente più grande. La scommessa di Hp è sicuramente importante, un po’ perché la multinazionale si è scottata in passato entrando nel mondo della telefonia cellulare, un po’ perché ha fatto la scelta di campo di sposare in tutto e per tutto Microsoft e Windows 10, una condizione resa necessaria dal voler creare un ecosistema a misura di media e grande azienda. Anche per questo, almeno nella prima fase, Elite X3 sarà acquistabile solo sul sito Hp o tramite il canale indiretto, non presso gli operatori di telefonia e non nei retailer dell’elettronica di consumo e della grande distribuzione specializzata. Il prezzo, al momento di andare in stampa, non è stato ancora comunicato.

LG G5

MICROSOFT LUMIA 650

SAMSUNG GALAXY S7 EDGE

Schermo: 5,3” Qhd

Schermo: 5” Hd

Schermo: 5,5” Qhd dual-curved

Sistema operativo: Android 6.0

Sistema operativo: Windows 10 Mobile

Sistema operativo: Android 6.0

Memoria: 32 GB (2 TB microSd)

Memoria: 16 GB (200 GB microSd)

Memoria: 32 GB (200 GB microSd)

Peso: 159 grammi

Peso: 122 grammi

Peso: 152 grammi

Prezzo: 699 EURO

Prezzo: 239 EURO

Prezzo: 829 EURO

49


VETRINA HI-TECH

Videosorveglianza semplice e di qualità

N

EAR G T E LO Q AR

Arlo Q combina la risoluzione Hd a funzioni di registrazione audio, push-to-talk e gestione remota. Senza rinunciare a una sorprendente facilità di utilizzo.

LE CARATTERISTICHE A COLPO D’OCCHIO Risoluzione video: 1080 p, 30 fps Angolo di visione: 130° Funzioni: visione notturna, notifiche,

push-to-talk, registrazione sul cloud Accesso: Web, app per iOs, Android e FireOS Connettività: wireless Alimentazione: presa elettrica/Ca Dimensioni: 7x7x11,4 cm Prezzo: 220 euro

50

| APRILE 2016

Accorgersi tempestivamente di un’intrusione, sorvegliare a distanza un bimbo o un animale domestico, controllare che cosa accade in ufficio anche mentre si è lontani dalla scrivania: la videosorveglianza per l’utenza domestica o i piccoli contesti lavorativi oggi non ha più nulla da invidiare agli impianti destinati alle grandi aziende. Una recente proposta di Netgear, Arlo Q, racchiude in sé caratteristiche un tempo riservate ai sistemi di fascia alta: qualità video HD, 130 grandi di angolo di visione, visibilità notturna, accesso da remoto e supporto audio. Oltre a registrare i suoni, infatti, questo piccolo oggetto può anche riprodurli con la funzione pushto-talk, accessibile attraverso un’app per smartphone (iOS o Android) o tramite browser. Arlo Q è un po’ di tutto questo: è l’occhio vigile di una webcam, ma anche un walkie-talkie e un sistema di videosorveglianza. Nel cloud di Netgear vengono conservati sette giorni di registrazioni nell’offerta basica gratuita (con 1 GB di spazio associato), oppure due settimane o un mese nel caso di upgrade a pagamento; attivando un’opzione ad hoc si può eseguire una settimana di regitrazione continua. La Arlo Q può essere tenuta in modalità “attiva” o “disattiva”: nel primo caso, a ogni rumore o movimento rilevato parte in automatico una registrazione associata a una notifica inviata sullo smartphone o via email, mentre nel secondo caso il dispositivo opera come una semplice webcam. È anche possibile impostare l’attivazione/disattivazione automatica in base all’orario, così come calibrare la sensibilità del rilevamento di suoni e movimenti:

in questo modo si filtra tutto il “rumore” che altrimenti si produrrebbe con notifiche non significative, con la minima fatica. Per evitare il rischio di essere spiati, invece, l’accesso all’area privata dal sito di Arlo e all’applicazione mobile è protetto da username e password. La semplicità di utilizzo è certamente uno dei punti di forza di questo dispositivo, che può essere appoggiato su un piano o montato a parete, purché nelle vicinanze di una presa elettrica (a differenza del modello senza fili Arlo Wire-Free). Come dichiarato da Netgear, l’operazione di configurazione richiede pochi semplici passaggi, eseguibili in una decina di minuti: download dell’app, abbinamento della videocamera tramite acquisizione di QR code e collegamento in wireless alla rete WiFi. Una sola videocamera, posizionata in un angolo oppure in alto così da abbracciare il campo visivo più ampio possibile, è sufficiente per inquadrare gran parte di una stanza di generose dimensioni. Nel caso, invece, la sorveglianza di un ufficio richiedesse l’impiego di più dispositivi, Netgear ha pensato a semplificare al massimo l’esperienza di fruizione e gestione, permettendo di abbinare fino a 15 videocamere Arlo Q e Arlo Wire-Free al medesimo account. PRO • Visione notturna • Semplicità di utilizzo dell’app • Funzionalità audio CONTRO • Prezzo non economico • Alimentazione solo via cavo


NUMERO 06 | APRILE 2016

Storie di eccellenza e innovazione

52 58 62

Scenari Strategia cercasi fra ritardi, promesse e governance

Tecnologie Il circolo virtuoso della rivoluzione robotica

Esperienze La manifattura intelligente della Motor Valley

Industria 4.0 DALLA PROGETTAZIONE ALLA LOGISTICA, IL DIGITALE STA CAMBIANDO IL MODO DI IMMAGINARE LA FABBRICA


SCENARI

Strategia cercasi fra promesse e ritardi Il 2016 sarà veramente l’anno buono per avviare in Italia i lavori della quarta rivoluzione industriale, recupendo il gap con gli altri Paesi? I temi e i propositi sul tavolo del Governo ci sono, ma un vero piano d’azione ancora no.

Testo di Gianni Rusconi

I

l 2016 sarà, forse, l’anno in cui verrà definito e reso pubblico il documento di posizionamento strategico del Governo dedicato al tema della digitalizzazione del manifatturiero. Se tale documento dev’essere il primo passo per recuperare un gap temporale enorme (parliamo di diversi anni) rispetto ai Paesi, Germania in primis, che rappresentano il riferimento competitivo per le nostre imprese, la strada da percorrere appare tremendamente in salita. Perché le aspettative, per una svolta innovativa del tessuto industriale italiano, sono grandi e perché, al momento in cui scriviamo, la strategia Industry 4.0 è da mesi sul tavolo del Ministero dello Sviluppo Economico. O meglio, giace ancora in qualche cassetto. Il documento in questione doveva essere pubblicato il luglio scorso, per quindi fare capolino 52

al Digital Day di Venaria dello scorso novembre e, poi, trovare spazio alla tre giorni degli Stati Generali dell’Industria di fine febbraio. E invece nulla. Anche l’occasione dell’Internet Day del prossimo 30 aprile potrebbe venire meno a causa delle dimissioni di Federica Guidi, colei che della strategia Industry 4.0 si era fatta portavoce anche nei recenti colloqui con il commissario Ue, Gunther Oettinger. Allo stato attuale siamo fermi all’indagine conoscitiva avviata dalla Camera, in attesa del possibile nuovo “colpo di teatro” del premier Renzi. La realtà dei fatti ci dice, oggi, che manca una chiara visione, condivisa e strutturata su quali azioni il Paese debba intraprendere per la trasformazione in chiave digitale della manifattura. Quali i comparti interessati per primi? Con quali modalità occorre intervenire?

Con quali priorità e con quali risorse? Stefano Firpo, direttore generale per la politica industriale e la competitività del Mise, ha ribadito ancora di recente come Industria 4.0 sia “l’ultima sfida per rilanciare la produttività, una sfida che il nostro Paese sta clamorosamente perdendo”, e come la ricetta da seguire sia quella di “non creare solo valore aggiunto, ma anche aumentare produzione e occupazione”. Il progresso tecnologico e quello dei processi manifatturieri in Italia è in fase di prolungato stallo, mentre il divario con i maggiori competitor europei (come ricorda lo stesso Firpo) si è allargato, superando abbondantemente i dieci punti percentuali. Come si può invertire la tendenza? Interpretando i suggerimenti dettati dall’esperto del Mise, la strategia Industry 4.0 dovrebbe innanzitutto puntare


SCENARI

sulla crescita dimensionale del sistema imprenditoriale, perché è nelle micro e piccole aziende che si annida la principale causa del ritardo digitale italiano. In secondo luogo, si dovrebbe modificare l’attuale sistema di allocazione del credito, oggi inefficiente e riflesso di una politica di investimenti troppo rivolta ai capannoni e alla capacità produttiva tout court (oggi inutilizzata) e troppo poco alla ricerca e all’innovazione. Ma a pesare sull’Italia, conclude Firpo, c’è soprattutto un ritardo nella digitalizzazione del sistema produttivo, provocato dai bassissimi investimenti in capitale informatico. Senza le tecnologie è difficile, anzi impossibile, arrivare a un ecosistema interconnesso in cui far cooperare le risorse produttive (macchine, persone e informazioni) lungo l’intera catena di

fornitura, cambiando il modo di fare impresa e di organizzare il lavoro. In particolare, focalizzandosi sul superamento della tradizionale divisione fra prodotto e servizio. Tante eccellenze, poche certezze Dal Mise, in buona sostanza, arrivano un’analisi molto chiara della problematica e la conferma che l’azione di politica industriale del Governo abbia come obiettivo primario il recupero di produttività. Lo snodo cruciale è quello di superare lo stallo di governance che adombra oggi la strategia Industry 4.0, identificando da subito le fonti da cui attingere i 10 miliardi di euro di investimenti annui aggiuntivi. Questa, secondo le stime del Mise, è la cifra che serve per cogliere nell’arco del prossimo quinquennio la prime opportunità del processo di tra-

sformazione digitale del manifatturiero. Palazzo Chigi vuole far operare in modo sinergico manifattura, finanza e tecnologie: una strategia che appare logica e coerente. Ma fra promesse mancate, ritardi, carenze di governance e di progettualità, al momento i dati certi da cui ripartire sono pochi. Fra questi, il fatto che nel settore delle macchine utensili, della robotica e dell’automazione (uno dei fiori all’occhiello della manifattura italiana) il nostro Paese sia solo il terzo esportatore al mondo, dietro Giappone e Germania. L’industria italiana, tra valore diretto e servizi indotti, genera oltre il 50% del Pil ed esibisce a ragione numerose eccellenze. Per eccellere anche in futuro in settori segnati in modo indelebile dalle tecnologie digitali bisogna, però, fare un grande passo in avanti. Subito, e cominciando dalle Pmi. 53


SCENARI

La partita della digitalizzazione si vince guardando all’Europa Industry 4.0 è una sfida da giocare sia a livello di singoli Paesi, sia su base comunitaria. Il nodo centrale sono gli investimenti in NUOVE TECNOLOGIE. Ecco che cosa NE pensano a Bruxelles. Testo di Piero Aprile

N

ell’ultimo “Quadro di valutazione dell’innovazione” pubblicato dalla Commissione Europea emerge un allarme che non può passare inosservato, parlando di quarta rivoluzione industriale: quasi la metà delle imprese manifatturiere del Vecchio Continente non ha ancora utilizzato tecnologie di produzione avanzate, né ha intenzione di ricorrervi nel prossimo anno. Eppure diversi studi di società specializzate (come quello di Roland Berger, che citiamo nel box di pag. 55) dicono come l’iniezione di cospicui investimenti per Industry 4.0 porterebbe un valore aggiunto all’economia di centinaia di miliardi di euro , oltre a milioni di nuovi posti di lavoro. Manifattura additiva e stampa 3D, robotica e comunicazioni machine-to-machine sono solo alcune delle facce della rivoluzione digitale che sta interessando il settore produttivo e che dovrebbe via via portare all’integrazione delle nuove tecnologie

nei processi industriali. Come ben sappiamo, si tratta di un “work in progress” lungo e articolato ed è altrettanto chiaro come gli organismi comunitari abbiano particolarmente a cuore la problematica, tanto da destinare al tema dell’industria 4.0 circa 500 milioni di euro per i prossimi cinque anni, attingendo tali risorse dai fondi per la ricerca di Horizon 2020. L’agenda delle cose da fare su base nazionale è scritta da tempo – e spazia da interventi in materia finanziaria a quelli di ordine infrastrutturale, per arrivare al nodo irrisolto della mancanza di competenze – e l’imperativo è quello di accelerare per trasformare i progetti in piani operativi e concreti. L’Italia, più di ogni altro Paese fra quelli di prima fascia, è nella condizione di non poter più aspettare a cambiare passo. Per questo non solo l’Ue ma l’Europa tutta deve diventare un alleato vitale per vincere la partita della quarta rivoluzio-

INVESTIMENTI MILIARDARI PER L’IOT NEL MANIFATTURIERO Secondo lo studio “The IoT in Manufacturing Report” di Business Insider, nel 2015 le imprese attive nel comparto manifatturiero hanno investito a livello globale 29 miliardi di dollari per soluzioni legate all’Internet of Things. Numeri importanti e destinati a salire fino a 70 miliardi nel 2020. Gli oggetti connessi vengono impiegati oggi nell’industria per tenere traccia dei processi produttivi, rafforzare le control room e aumentare le capacità di analytics per la manutenzione predittiva. A detta degli analisti ci sono, però, ancora quattro grandi barriere che ostacolano l’adozione dell’IoT nelle fabbriche: la crescita dei cyberattacchi, la difficoltà di determinare il ritorno sugli investimenti, i problemi di carattere tecnologico e la riluttanza ad affidarsi all’automazione, che porterebbe al taglio della forza lavoro.

54

ne industriale. Abbattendo i soliti e mai produttivi campanilismi. Khalil Rouhana, director for components and systems Dg Connect alla Commissione Europea, è intervenuto lo scorso marzo all’edizione 2016 del Mecspe di Parma offrendo un’interessante chiave di lettura del percorso di digitalizzazione che si appresta a compiere l’Ue nel comparto manifatturiero. Il piano strategico quinquennale varato da Bruxelles questo mese prevede 500 milioni di euro di risorse destinate a favorire l’accesso alle più recenti tecnologie a tutte le imprese (comprese quelle di piccole e medie dimensioni) e a generare investimenti in digitalizzazione da parte dell’industria per un controvalore di cinque miliardi. In ballo ci sono complessivamente 20 miliardi di finanziamenti che dovranno agevolare partnership pubblico/privato finalizzate all’innovazione del tessuto


SCENARI manifatturiero europeo, trovando sponda in diverse altre azioni da intraprendere a livello di standard, quadro normativo e mercato del lavoro. In tema di occupazione, in particolare, all’Europa mancheranno “circa 800mila professionisti digitali entro il 2020”, a detta del funzionario. Serve una piattaforma unica E l’Italia? Rouhana ci vede indietro nel processo di digitalizzazione dell’industria, ma promuove l’azione del Governo, dicendosi ottimista circa il fatto che potrà dare buoni frutti per colmare il gap e far uscire la Penisola dal gruppo dei Paesi attendisti. Ancora più convinto è nel ricordare la “piena convergenza in seno alla Commissione Europea circa l’analisi degli osservatori/operatori sul tema industria 4.0: siamo certi che questa nuova rivoluzione sia, per tutta l’Unione

e soprattutto per l’Italia, un’opportunità unica per espandere la base industriale”. Una rivoluzione che porta come elementi di discontinuità la completa integrazione delle tecnologie informatiche con tutti i processi economici/produttivi e il concetto “digital inside”. Si nota, spiega ancora Rouhana, “uno sconfinamento sempre più evidente tra ciò che è digitale e il non-digitale, nell’ottica di rispondere a specifiche richieste del mercato in fatto di maggiore sicurezza, efficienza e intelligenza nei prodotti”. Ed è proprio qui che sta la rivoluzione: nel produrre di più ma anche nell’aggiungere valore ai prodotti che già si fabbricano, coniugando la logica del servizio abbinato al bene materiale e aprendo le porte a nuovi attori come gli intermediari tra offerta e consumatori. Per raggiungere tale obiettivo, secondo Rouhana, va rafforzata la trasversalità

della catena del valore, stando attenti a non lasciare indietro anche solo un anello, con il rischio di vanificare l’intera opera. Ma va creata anche un’altra catena, una catena digitale, fatta di tecnologie e legami forti. Le fondamenta ci sono, e basti pensare che l’Europa produce il 35% del software embedded per uso industriale e un terzo dell’offerta mondiale di robotica. Quello che manca è, invece, una piattaforma digitale condivisa. “Bisogna mettere in campo una strategia unica su standard e normative, gestendo questi i due elementi a livello europeo per accelerare il corso della digitalizzazione”, conclude Rouhana. Che non poteva esimersi dal ricordare come fra i driver di questa accelerazione ci sia il cosiddetto “Digital Single Market”, uno dei punti cardine della strategia voluta dall’attuale direttivo della Commissione Europea.

UNA CHANCE IMPERDIBILE Un tempo cuore pulsante del manifatturiero mondiale, l’Europa occidentale ha perso negli ultimi due decenni il 10% di quota di mercato in favore delle economie emergenti: i Paesi in via di sviluppo detengono oggi il 40% della produzione manifatturiera globale, per un giro d’affari di oltre 6.500 miliardi di euro. L’Europa si ferma invece al 25% ma grazie all’Industry 4.0 ha ancora una (forse l’ultima) occasione di rilancio. E anche l’Italia può giocare un ruolo determinante in questa partita. Ne sono convinte le società di consulenza Roland Berger e Boston Consulting Group, i cui analisti si sono presentati a febbraio davanti alla commissione Attività Produttive della Camera dei Deputati. Secondo gli esperti, per recuperare terreno l’Europa dovrà investire 60 miliardi di euro in più all’anno, mentre la stima per il nostro Paese è di 5-6 miliardi. Una recente indagine condotta da Staufen Italia su un campione di circa 200 realtà manifatturiere nostrane rivela, però, che il 70% delle aziende oggi non si è ancora posto il problema del passaggio alla quarta rivoluzione industriale.

55


SCENARI

Percorso a ostacoli verso la nuova industria

C

’è chi è convinto che serva un modello “puro”, tutto italiano, per la digitalizzazione della manifattura nazionale. Non appiattito sull’esempio tedesco o su quello americano, bensì frutto dell’evoluzione di un tessuto industriale per certi versi unico. Ma è proprio vero che non vi sono esempi da cui prendere spunto? E ci riferiamo alla Germania e al suo programma Industry 4.0 (a cui concorrono in modo sinergico aziende fornitrici di automazione come Siemens e Bosch, vendor Ict come Sap e centri di eccellenza come il Fraunhofer Institute), ma anche agli Stati Uniti e all’Advanced Manufacturing Partnership (che coinvolge aziende manifatturiere del calibro di P&G e Caterpillar, enti di ricerca e grandi nomi dell’information technology quali Cisco, Hp, 56

Intel e Ibm). Quel che è certo è che, se l’obiettivo è quello di creare una “smart manufacturing platform” per integrare dati e orchestrare i processi di business di tutte le imprese della filiera, serve una strategia comune puntata in questa direzione. Una strategia che all’Italia, pur sempre la seconda industria manifatturiera d’Europa e tra le prime dieci al mondo, ancora manca. Technopolis ne ha parlato con Andrea Bacchetti, del Rise (Research & Innovation for Smart Enterprises) dell’Università di Brescia. È vero che la strategia Industry 4.0 del Governo è in stallo? È difficile giudicare. Il continuo rimbalzo di responsabilità fra il Mise e Palazzo Chigi e la confluenza nel piano di altri tavoli di lavoro, partiti in contemporanea,

non ha aiutato. La gestione centralizzata di quattro progetti convergenti è una buona idea, ma la realtà dice che a oggi probabilmente non c’è neppure una bozza del piano strategico. Eppure i benefici di Industry 4.0 sono noti: un aumento su base annua dell’1% del Pil e 400mila nuovi posti di lavoro. Si parla di modello italiano… Forse è una rivendicazione puerile. Prendere spunto dai progetti avviati negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in Germania, assumendone i vantaggi e pescando elementi funzionali al nostro contesto, sarebbe molto utile alla causa. Usa e Uk sono realtà totalmente diverse dalla nostra a livello di tessuto industriale, mentre la Germania è molto polarizzata e vicina alla penetrazione delle nostre Pmi.


SCENARI

IL PARADIGMA DELLA “SERVITIZZAZIONE”

LA STRATEGIA INDUSTRY 4.0 DEL GOVERNO è ANCORA in stallo. intervenire è possibile, anche ispirandosi ai modelli esteri.

Testo di Gianni Rusconi Le medie imprese tedesche, però, sono di norma organizzate con un management esterno alla proprietà, quelle italiane no e risentono del fallimento dei tanti progetti di reti, distretti e cluster di impresa. Paghiamo lo scotto di un limite culturale che, forse, verrà superato in futuro. Quale può essere la scintilla per far scattare il momento di Industry 4.0 in Italia? E chi potrebbe accenderla? Il governo tedesco ha messo sul tavolo nel 2012 circa 300 milioni di euro, delineando come si debba cavalcare il futuro della manifattura attraverso tecnologie come l’IoT, le stampanti 3D e le interfacce uomo macchina. Nel nostro Paese il livello di adozione delle nuove tecnologie è basso e mediamente arretrato. Scontiamo un ritardo significativo, dal 50% al

L’industria sta conoscendo una trasformazione radicale, contrassegnata da un’importanza sempre maggiore riservata ai servizi. E l’ingresso del digitale nelle imprese ne è la prima causa. Usando i dati e l’intelligenza degli oggetti sarà presto possibile modificare anche il modello di utilizzo di un prodotto, vendendo i singoli componenti in un’ottica “as-a-service”: macchinari a consumo, lavatrici come voci della bolletta dell’energia elettrica e così via. Si parla non a caso di “servitizzazione”, e cioè del processo attraverso il quale un prodotto viene proposto e venduto in combinazione con un servizio. I costruttori di macchine industriali che sfruttano con successo i servizi, per esempio, possono creare modelli di business innovativi e generare ricavi in base a risultati concreti, come la disponibilità degli impianti. Un nuovo paradigma, dunque, una trasformazione che sta investendo più o meno tutte le aziende manifatturiere, se è vero che l’86% di esse mette ormai al centro della propria strategia di crescita il passaggio dai modelli di ricavo centrati sul bene fisico a quelli orientati al servizio. Il dato in questione emerge dalla ricerca “The digital manufacturer: resolving the service dilemma”, condotta da Cisco su 625 responsabili di aziende manifatturiere di 13 Paesi (Italia inclusa). La chiave di volta, come detto, è il digitale, con la sua capacità di innescare la trasformazione. Il 79% dei professionisti intervistati è convinto che nei prossimi tre anni questo approccio porterà un cambiamento moderato o importante nelle loro imprese, mentre il 93% crede che i modelli di ricavo orientati ai servizi dipenderanno in maniera determinante dalle nuove tecnologie, tra cui domineranno cloud, IoT e analytics. Se la strada sembra segnata, molte realtà del manifatturiero stanno però conoscendo serie difficoltà nella transizione verso il “modello servizi”, o comunque non si stanno muovendo abbastanza rapidamente. L’ostacolo principale, evidenziato dal 34% dei manager, è un’eccessiva complessità nella gestione del ciclo di vita di prodotti e servizi. Seguono una maggiore dipendenza dai fornitori (citata nel 30% dei casi) e la difficoltà nel realizzare un modello in cui si vendono i due elementi contemporaneamente (nel 23%).

100% in alcuni casi, rispetto ai Paesi guida. E non credo possano essere i “digital champion” a risolvere un problema che è strutturale. Che cosa serve, allora, per invertire la tendenza? Servono tante cose. Il tema chiave è forse quello delle competenze presenti in azienda: sono necessarie, cioè, una riconfigurazione degli skill attualmente disponibili e una riforma del sistema scolastico in proiezione futura, più che sgravi fiscali sulla tecnologia da acquistare e installare. Lavorare sugli incentivi per favorire gli investimenti è sicuramente un passo ma anche la semplificazione del quadro normativo ha la sua importanza, seppure non sia questo oggi il freno inibitore per lo sviluppo di Industry 4.0.

Una ricetta per evitare che il gap italiano si allarghi ulteriormente? È necessario pensare a un progetto di sistema che deve attecchire a livello di imprese e di centri di ricerca, oltre che in chiave istituzionale. Faccio un esempio: nel 2012 è partito il cluster “Fabbrica Intelligente”, ma non è chiaro che cosa abbia fino a ora prodotto e che cosa voglia produrre. È un’iniziativa sporadica e isolata, priva del coinvolgimento delle istituzioni. Si dovrebbero invece mettere a fattor comune le dieci migliori università italiane e le innovazioni cui questi soggetti hanno dato vita nel tempo, magari con il patrocinio del Miur, che mai si è mosso in tal senso. Se non cambiamo approccio corriamo il rischio di una dispersione di risorse e di risultati che non fanno sistema. 57


TECNOLOGIE

Rivoluzione robotica I sistemi intelligenti capaci di interagire direttamente con gli esseri umani sono una delle facce della fabbrica di domani. Ma si deve investire in nuove tecnologie, inseguendo gli obiettivi di Industry 4.0. Testo di Davide Di Domenico, partner managing director di The Boston Consulting Group, e Jacopo Brunelli, principal di The Boston Consulting Group

I

Incremento della produttività e trasformazione radicale nei modelli operativi, cambiamenti che hanno trasformato la società e gli stili di vita: sono le conseguenze più evidenti del progresso tecnologico, scandito in maniera chiara dalle rivoluzioni industriali. La prima delle quattro sperimentate fino a oggi risale al tardo Settecento e fu dovuta all’invenzione della macchina a vapore e alla meccanizzazione. La seconda, collocata all’inizio del Novecento, fu determinata dalla divisione del lavoro e dalla produzione di massa (taylorismo e fordismo). La terza ha avuto luogo negli anni Settanta del secolo scorso, legandosi alla prima fase della robotizzazione e all’avvento dell’elettronica e dei computer. Oggi ci troviamo nel pieno di una quarta ondata di progresso, una rivoluzione scatenata da nuove tecnologie destinate ad avere un forte impatto sulla produzione per i prossimi dieci o quindici anni. Industry 4.0 sta introducendo dei cambiamenti radicali, in particolare grazie al digitale e alle opportunità offerte dall’Internet of Things e dai Big Data. Grazie, quindi, alla possibilità di far comunicare tra loro macchine, prodotti e persone, nonché a quella di processare in tempo reale grandi quantità di informazioni. Alla trasformazione dell’intero processo produttivo contribuiscono inoltre le tecniche di additive manufacturing (come la 58

stampa in 3D) e la robotica avanzata (con nuovi sistemi intelligenti capaci di interagire direttamente con gli esseri umani). Lo scenario di una sostituzione completa della forza lavoro da parte dei robot sembra comunque scongiurato. Gli automi saranno impiegati sempre più spesso, interagiranno con le persone ma al contempo, secondo le nostre previsioni, occorreranno nuove figure professionali con specifiche competenze che coprano aree differenti: dagli sviluppatori di software agli esperti meccatronici, fino agli specialisti in cybersecurity. Aumentano, in linea generale, le possibilità di progettare e testare prodotti e sistemi in modo virtuale, senza dovere realizzare prototipi, attraverso un modello di sviluppo che consentirà una vistosa contrazione dei tempi di accesso al mercato e una maggiore flessibilità e vicinanza alla domanda dei singoli mercati. Un nuovo modello di competitività Parliamo al futuro, ma siamo già immersi in questa realtà. Numerosi Paesi lo hanno capito, a partire dalla Germania, che nel 2012 ha chiesto a un gruppo di lavoro composto da rappresentanti della grande industria e della ricerca di esprimere alcune raccomandazioni per impostare una politica industriale capace di “garantire un futuro all’industria manifatturiera tedesca, consapevoli che ormai ci troviamo agli


TECNOLOGIE inizi della quarta rivoluzione industriale”. Oggi quello di Industry 4.0 è uno dei dieci “progetti per il futuro” (Zukunftsprojekte) identificati dal governo tedesco nella sua High-Tech Strategy 2020. Berlino ha già previsto di stanziare 300 milioni di euro per lo sviluppo dell’iniziativa e, secondo le rilevazioni di The Boston Consulting Group, le ricadute positive sull’economia tedesca saranno notevoli, con un aumento stimato di circa l’1,1% annuo del Pil nel prossimo decennio, pari a circa 40 miliardi di euro annui di ricavi aggiuntivi. Senza dimenticare il suo impatto sull’occupazione, con la creazione di circa 400mila nuovi posti di lavoro. La Germania è uno dei principali competitori dell’Italia nel manifatturiero e gli investimenti in Industry 4.0 permetteranno alle industrie tedesche di guadagnare quote più facilmente, perché grazie alle nuove infrastrutture potranno affiancare ai loro

tradizionali punti di forza – ripetitività del processo produttivo, standardizzazione e affidabilità – anche l’adattabilità garantita dal modello di fabbrica digitale. L’eccellenza di un prodotto con elevate performance, disegnato sull’esigenza del cliente e realizzato con estrema professionalità e flessibilità, costituisce invece il principale fattore competitivo dei produttori italiani. Per il nostro Paese è quindi giunto il momento di agire. Il prossimo decennio decreterà i vincitori e i vinti sul piano della competitività. Abbiamo l’opportunità di abbracciare questa rivoluzione perché abbiamo competenze in settori ad alto valore aggiunto come l’automazione, la robotica, la componentistica industriale. Per farlo serve però affrontare al più presto e indirizzare in maniera sistemica alcune grandi tematiche di politica industriale e sociale, a cominciare dalla riqualificazione della forza lavoro.

MANI ARTIFICIALI E AUTOMI FINANZIATI DALL’UNIONE EUROPEA Il futuro del Vecchio Continente passa anche dal sapere immaginare i quartieri e le città di nuova generazione, concentrandosi sullo sviluppo del tessuto produttivo del domani. Ecco perché l’Unione Europea, tramite due bandi, ha messo sul piatto 98 milioni di euro per supportare 19 progetti di ricerca e innovazione della durata quinquennale che spaziano dalla robotica per le smart factory ai trasporti intelligenti. L’elenco delle iniziative che si sono aggiudicate i fondi, pubblicato di recente, include anche diverse realtà italiane. È soprattutto il mondo universitario a dominare la scena, ma non mancano piccole imprese e startup della Penisola. Telerobots Labs, per esempio, è un’azienda di Genova che progetta automi su misura per compiti speciali, come gli interventi negli impianti nucleari o su attrezzature off-shore. La pisana Qrobotics, invece, ha realizzato una mano robotica “intelligente” in grado di adattarsi all’ambiente circostante: controllabile in modo naturale, può rendere ancor più millimetrici i lavori di precisione. Il principale campo di applicazione degli automi è stato fino a oggi quello industriale, dove i grandi robot hanno in parte preso il posto dell’uomo, soprattutto nei compiti ripetitivi o pericolosi. Ma nel futuro le cose potrebbero cambiare: i più A rischio, secondo un report del World Economic Forum (Wef), sarebbero i cosiddetti “colletti bianchi”. La fondazione stima che entro il 2020 cinque milioni di posti di lavoro potrebbero sparire a causa di macchine capaci di impattare su professioni impiegatizie, di contabilità e del settore finanziario. Lo studio “The future of jobs” del Wef, che ha censito i top manager delle 350 maggiori società al mondo, sottolinea in proposito che “i progressi nell’intelligenza artificiale, nell’apprendimento automatico e nelle interfacce basate su interazioni naturali, come il riconoscimento vocale, permetteranno di automatizzare le attività di intelletto”. Operazioni che, fino a ieri, si credevano impossibili da affidare a delle macchine. La buona notizia è che il progresso tecnologico porterà contestualmente alla creazione di nuove figure professionali: l’indagine, infatti, stima che il 65% dei bambini che oggi frequentano le scuole elementari finirà a svolgere lavori che attualmente non esistono. A.A.

59


TECNOLOGIE

Digital manufacturing: un cambiamento necessario LA FABBRICA DEL FUTURO RICHIEDE INFRASTRUTTURE PRONTE, MATURITà TECNOLOGICA E NUOVI MODELLI DI BUSINESS. I VANTAGGI SONO TANGIBILI, MA L’ITALIA è INDIETRO.

Testo di Giuseppe Padula delegato all’Innovazione dell’Università degli Studi di San M arino 60

I

l nostro Paese non ha voluto o potuto presidiare il settore dei software di controllo di automazione, oggi in mano ad aziende straniere, al momento della migrazione dal controllo di processo meccanico a quello di tipo meccatronico. E ha iniziato a occuparsi di digital manufacturing in ritardo rispetto alle altre economie, in parte per una diffusa resistenza di una cultura del business tradizionalmente centrata sul prodotto, in parte per il mancato avvio di programmi coordinati istituzionali. Quello americano di Industrial Internet, sostenuto da General

Electric con un focus iniziale in tema di efficienza energetica, e quello tedesco di Industry 4.0 godono di diversi anni di anticipo rispetto alle nostre prime iniziative, anche se parlando con i responsabili di ricerca & sviluppo delle aziende italiane tecnologicamente più avanzate ci si sente dire che “i cyber physical system e i sistemi machine-to-machine li sviluppiamo da anni, ma non li abbiamo mai chiamati in questa maniera”. Le iniziative individuali sono sicuramente importanti, ma è fondamentale operare in una cornice di infrastruttura pronta,


TECNOLOGIE nella quale le singole aziende possano far crescere e affermare la propria maturità digitale: il timore che economie più organizzate forzino l’adozione di uno standard “Industry 4.0-ready”, per esempio sui protocolli di scambio dati, è particolarmente sentito dai costruttori italiani che non vogliono essere costretti a modificare le proprie tecnologie in funzione di quelle scelte dai concorrenti, con conseguenti aggravio di costi e perdita di competitività. Il grave ritardo digitale italiano segnato dal quart’ultimo posto nell’edizione 2015 dello studio Desi (Digital Economy and Society Index), pubblicato dalla Ue, ha ripercussioni anche nell’industria, tanto che Accenture ci colloca al terz’ultimo posto (prima di India e Russia) tra le maggiori economie del pianeta quale ambiente favorevole all’introduzione dell’Industrial Internet of Things. Innovazione di lungo periodo Il mondo dell’IoT è il primo ad attrarre gli interessi di grandi corporation: lo dimostrano, per esempio, la decisione di Cisco di investire 100 milioni di euro per lo sviluppo del digital manufacturing italiano o quella di Telecom di assegnare alla controllata Olivetti, nell’ambito del nuovo piano industriale, un ruolo portante di fornitore delle piattaforme di trasporto dati nei processi aziendali. Ma gli investimenti privati in infrastrutture per l’Internet delle cose su scala industriale non sono sufficienti se non si salda il ponte con la catena del valore locale: il ritardo strutturale va a sommarsi alla resistenza culturale tipica del settore manifatturiero a muoversi da processi tradizionali “product-centric” a processi “service-centric”, gestiti in modo ibrido su piattaforme digitali. La “servitizzazione” delle risorse produttive ha visto come pioniere Rolls-Royce che, a partire dagli anni Novanta ha iniziato a vendere non più l’impianto (la turbina dell’aereo) ma il servizio (le ore di volo ), trasformando per il cliente il costo in conto capitale di investimento (CapEx) in un costo operativo di esercizio (OpEx). Oggi l’utilizzo massiccio di sensori e dei Big Data permette la conoscenza dettagliata del comportamento operativo di

LE APPLICAZIONI PER LA FABBRICA SMART Lo “smart manufacturing” è il paradigma dell’industria manifatturiera del futuro ed è un volano anche per l’Italia, secondo Paese europeo per volumi di produzione in questo comparto. Ma i grandi numeri “tradizionali” non bastano, per poter crescere serve innovazione. Oggi, invece, la Penisola sembra ancora impantanta e rallentata da fattori di contesto, culturali e organizzativi. Eppure qualcosa sta iniziando a muoversi. I dati raccolti dall’ultima edizione Osservatorio Smart Manufacturing della School of Management del Politecnico di Milano descrivono 135 applicazioni di manifattura intelligente in ambiti molto diversi tra loro. La maggior parte di queste applicazioni fa riferimento alla “smart execution”, il cuore dell’attività industriale, composto da processi come produzione, logistica, manutenzione, qualità e sicurezza e compliance. Il balzo in avanti è stato reso possibile da tecnologie come Internet of Things e Big Data, mentre il cloud manufacturing e la ”advanced human machine interface” si sono già candidate a diventare le prossime innovazioni di riferimento. Un’altra area caratterizzata da una grande ricchezza applicativa è la “smart integration”, riguardante i processi che interagiscono con il mondo della fabbrica, come il product lifecycle management. Il grande assente, a causa soprattutto della giovane età delle soluzioni hardware e software disponibili, è risultato essere il cosiddetto “smart planning” ovvero l’insime delle attività di pianificazione della produzione, a cominciare dalla gestione intelligente dell’inventario. Uno dei pilastri della quarta rivoluzione industriale, come spesso si è detto, è l’Internet delle cose: è lui l’anello di congiunzione fra la manifattura tradizionale e gli oggetti connessi, affiancati dal loro continuo flusso di dati. Secondo l’Osservatorio, l’IoT in per l’industria presenta tassi di crescita nettamente superiori rispetto ai connected device sviluppati per altri settori, come quello domestico. Affinché possa dare la spinta utile per compiere un vero e proprio salto digitale del sistema, è però necessario strutturare un processo manifatturiero che comprenda tutte le singole componenti della produzione, estendendosi dalla progettazione fino a tutto il ciclo di vita dei beni.

un impianto lungo tutto il ciclo di vita, permettendo alle aziende produttrici di macchine di definire in maniera accurata i costi e poter procedere a offerte di servizi in modalità “pay per use” che oggi sono già standard per i software Cax (Computer-Aided Technologies) erogati in cloud. Seguendo questo modello l’organizzazione aziendale migrerà verso una struttura di “service-oriented architecture”, di cui l’analisi a scopo strategico dei Big Data è il fulcro. Sarà più facile definire metriche economiche e finanziarie sulle quali costruire piani di intervento, con relativi ritorni di investimento. Risulta quindi fondamentale individuare l’agente del cambiamento all’interno delle aziende, una figura come il “digital manufacturing architect” in grado di disegnare e creare nuovi servizi a valore aggiunto per

il cliente e il fornitore, attraversando i processi esistenti e utilizzando le tecnologie necessarie “on the shelf”. Senza adottare uno schema rigido e pronto come quello proposto alla grande impresa dai fornitori vicini al modello Industry 4.0. In Italia molte aziende avanzate, anche leader di mercato nel proprio settore, tendono però ancora a considerare innovazione quelle che sono richieste commerciali provenienti dai clienti e dai mercati, immaginando di costruire su queste, che sono già specifiche di prodotto, progetti di ricerca. Cosi facendo l’azienda si muove al traino di cambiamenti di breve orizzonte che sono già di dominio pubblico e non riesce ad anticipare e proporre soluzioni innovative. Colpa della scarsa conoscenza della catena del valore interaziendale e della tendenza a non voler sperimentare. 61


ESPERIENZE

Stampa 3D, ma anche design computazionale e intelligenza artificiale: Bercella fa dell’innovazione del processo produttivo la strategia per servire i colossi del mondo motoristico, ferroviario e aereospaziale.

Testo di Alessandro Andriolo

La manifattura intelligente della Motor Valley

C’

è una linea immaginaria che taglia trasversalmente l’EmiliaRomagna, partendo dai colli piacentini e arrivando fino al mare Adriatico. Un fil rouge caratterizzato da tecnologie avanzate e innovazione, ma ben ancorato all’eredità di alcuni grandi nomi dell’imprenditoria italiana. Figure come Enzo Ferrari, Ferruccio Lamborghini, Alfieri Maserati e Antonio Ducati portarono sotto i riflettori, già nel secolo scorso, piccoli borghi adagiati tra la pianura Padana e gli Appennini. Nacque così la Motor Valley, che nel corso dei decenni si è affollata di altre piccole e grandi aziende specializzate nell’automotive. A pochi chilometri da Fornovo si trova Varano de’ Melegari, sede dell’autodromo 62

“Riccardo Paletti” e di un altro marchio famoso nel circo delle corse automobilistiche, Dallara. Ed è anche grazie allo stabilimento fondato nel 1972 da Gian Paolo Dallara che Franco Bercella ha potuto dare il via, nel 1996, alla propria azienda. Nata come fornitore di parti in carbonio per il settore automotive (in primis Dallara, da cui dista pochi metri), Bercella si è poi evoluta nel tempo arrivando a offrire un servizio integrato di progettazione, dimensionamento, verifica e successiva produzione dei componenti o degli assiemi commissionati da terzi. La società, a conduzione familiare, vanta oggi oltre 50 dipendenti, forniture in 40 Paesi e decine di clienti tra cui grandi nomi nel comparto motoristico e ferroviario, oltre che

nella difesa e nell’aerospaziale. Al centro dell’attività di Bercella si trova la lavorazione dei materiali compositi. Quelli in fibra di carbonio, in particolare, sono tra i protagonisti di una nuova rivoluzione industriale, alimentata da tecniche di “generative design” e dall’additive manufacturing. Campi in cui l’azienda di Varano sta sperimentando e in cui sta investendo grandi risorse. “Oggi realizziamo parti in plastica con stampanti 3D, avvalendoci di un’ampia rete di fornitori per i componenti in metallo”, spiega Massimo Bercella, responsabile sales and business development. “Stiamo sviluppando inoltre la parte di progettazione legata all’additive manufacturing. L’evoluzione tecnologica, che


ESPERIENZE riguarda i materiali e le soluzioni informatiche, trasformerà a breve le modalità produttive. Vogliamo essere pronti quando i compositi passeranno da un processo artigianale a uno effettivamente industrializzato”. Oggetti creati in modo totalmente nuovo, grazie alla stampa 3D. Ma non solo: per concretizzare davvero il concetto di Industry 4.0 servono anche strumenti di lavoro differenti, da affiancare ai designer di domani. Ecco che a cambiare è quindi anche il software: basta sistemi Cad tradizionali, entrare nella nuova era significa “iniettare” nelle macchine un soffio vitale dato dall’intelligenza artificiale. “Il traguardo di questo percorso”, commenta Massimiliano Moruzzi, principal research scientist di Autodesk, “è realmente quello di insegnare alla macchina a progettare, grazie al design computazionale, e rendere poi i materiali in grado di comunicare con l’operatore: è questa la vera missione dell’Internet of Things, che va oltre il controllo di un termostato con il cellulare”. Il colosso statunitense, con il programma Dreamcatcher, sta collaborando con decine di realtà come Bercella per sperimentare sistemi capaci di assorbire dati e input dall’esterno, restituendo decine di combinazioni in grado di soddisfare i requisiti di design imposti dal professionista. “Vogliamo comunicare alla piattaforma il problema da risolvere, senza spiegare come sono fatti i singoli componenti”, aggiunge Moruzzi. Bercella e Autodesk sono attualmente impegnate anche nel progetto Hack Rod, la prima macchina al mondo costruita con l’intelligenza artificiale grazie ai dati raccolti con misurazioni effettuate su un veicolo di prova e poi “digeriti” nel cloud. L’azienda parmense, in particolare, ha sviluppato la “skin” del veicolo utilizzando una fibra di carbonio “intelligente”, dotata di sensori in forma di nanostrutture affogati nel materiale stesso e realizzati con il medesimo composito. La scocca, stampata in 3D, non presenta così elementi estranei (diminuendo il rischio di rottura) ed è in grado di comunicare le sollecitazioni che riceve. “Ma è solo un primo passo”, conclude Moruzzi. “Ancora oggi, infatti, l’additive manufacturing presenta un tasso di fallimento del 70%”.

IL MODELLO DIGITALE CHE VIENE DALLA BRIANZA L’Industry 4.0 deve abbracciare sia la produzione sia la logistica, per non fermarsi alla mera automazione dei processi industriali. Questa la strada verso il futuro tracciata durante l’ultima edizione di Mecspe, la fiera internazionale delle tecnologie per l’innovazione di Parma, evento che ha portato al centro del proprio programma l’iniziativa “Fabbrica Digitale – Oltre l’automazione”. L’obiettivo era quello di dimostrare la validità di un modello di fabbrica articolata, capace di coprire tutto il ciclo vita di un prodotto, dalla sua progettazione alla consegna del pezzo al committente. A Mecspe 2016 è finita sotto i riflettori Cia Automazione, azienda di Albiate (piccolo centro in provincia di Monza-Brianza) attiva nel campo dell’automazione industriale avanzata. La società è stata selezionata come soggetto integratore delle fasi di produzione e logistica dei cerchioni per il veicolo Idra: un prototipo di automobile a idrogeno realizzato dal Team H2polito del Politecnico di Torino e pronto a partecipare (a fine giugno) alla prossima Shell Eco-Marathon di Londra. “Il nostro obiettivo era quello di realizzare un sistema dimostrativo funzionante, che si rifacesse al concetto di fabbrica 4.0”, ha spiegato Angelo Galimberti, amministratore delegato di Cia Automazione. Nella fase logistica, in particolare, è stata unita sia la gestione manuale sia quella automatizzata delle cassette contenenti i pezzi, tramite navette intercettate da un robot nell’operazione di pallettizzazione. Lungo tutta la linea di produzione, invece, i cerchi sono stati tracciati con transponder equipaggiati con tag Rfid e quindi individuabili in ogni momento, mentre un software intelligente monitorava il tutto via Web. Un mix di tecnologie applicate alle varie fasi del processo, dunque, rispetto a una filosofia di innovazione che Galimberti ha così riassunto: “Integrazione e intelligenza sono i due paradigmi della fabbrica 4.0. Stiamo affrontando interessanti esperienze nella fresatura robotizzata e nella sbavatura, che segnano un altro passo avanti nel campo delle lavorazioni per asportazione su superfici complesse anche se le precisioni non sono confrontabili con le macchine utensili. L’automazione e la robotica, grazie alla riduzione dei costi e alla semplicità di utilizzo, possono essere un valido supporto allo sviluppo industriale e alla competitività anche per le piccole e medie imprese”. Ed è questo, forse, il messaggio più importante che arriva dall’esperienza portata avanti dall’azienda brianzola.

63


ESPERIENZE

Alla scoperta della manifattura aumentata Le tecnologie indossabili e le applicazioni di realtà virtuale POSSONO DIVENTARE strumenti di monitoraggio dello stato di funzionamento di una macchina o del design di un prodotto. Testo di Piero Aprile ed Emilio Mango

M

ettere a disposizione delle aziende nuovi strumenti di intelligenza distribuita, e quindi informazioni e funzioni di controllo e gestione estremamente potenti su macchine, linee di produzione e processi, al fine di introdurre nuovi modelli operativi per la manutenzione e l’esercizio di sistemi, impianti e infrastrutture. È una delle tante facce dell’industria del futuro, quella in cui per un operatore diventa vitale, ai

fini della produttività, avere disponibili online dati sullo stato di un dispositivo e dei suoi parametri di funzionamento e al contempo libertà manuale, visibilità, strumenti portatili e usabili in condizioni ostili. La realtà aumentata, già sfruttata in contesti molto critici quali la medicina e l’aviazione, risulta di grande aiuto anche in questi ambiti: grazie ai visori, permette infatti di accedere alle informazioni in

PROVE DI “MADE IN ITALY” SMART Il design italiano può diventare ancora più prestigioso, sin dalla fabbrica. Almeno in un’ottica di Industry 4.0 e di tecnologie e oggetti intelligenti, in grado di capire e prevedere le esigenze dei consumatori finali. Ne sono convinti alla Sda Bocconi, che in collaborazione con Messe Frankfurt Italia ha lanciato il progetto di ricerca “Ripartire dalla fabbrica per valorizzare il design italiano”. L’obiettivo è quello di ripensare i modelli produttivi in settori come l’arredo e il design d’interni, per incrementare la competitività delle aziende. L’iniziativa, coordinata a livello scientifico da Carlo Alberto Carnevale Maffè e Gabriella Lojacono del Dipartimento di management e tecnologia, vuole portare al centro soprattutto l’innovazione digitale e, in estrema sintesi, le soluzioni dell’Internet of Things. I punti chiave del progetto, i cui risultati saranno presentati alla fine del 2016, sono l’impiego strategico degli oggetti smart, il raggiungimento della sostenibilità ambientale ed economica nella loro fabbricazione e un time-to-market più rapido. Il primo passo da fare, dicono da Sda Bocconi, sarà sondare il mercato e le realtà produttive sul territorio per capire se esistano le premesse necessarie per procedere.

64

modalità dinamica e sincronizzata con la macchina o il sistema di produzione. E l’immediatezza delle informazioni ricevute con tale tecnologia si trasforma altrettanto immediatamente in un potente incremento di efficienza. In questa direzione si muovono per esempio Alleantia e HeadApp, rispettivamente società pisana specializzata nel campo dell’Industrial Internet of Things e startup torinese nata con l’obiettivo di


ESPERIENZE sviluppare soluzioni indossabili dedicate ai contesti operativi mission-critical. Insieme, in occasione del recente MecSpe di Parma, hanno dato vita a un sistema di fabbrica digitale che adopera la tecnologia di realtà aumentata per rendere disponibili in tempo reale, grazie ad appositi smart glasses per uso industriale, una serie di informazioni sullo stato dei macchinari. È sufficiente puntare lo sguardo su comuni codici a barre, apposti, sui macchinari, per far sì che la telecamera integrata nei visori acquisisca le informazioni e geolocalizzi l’oggetto. La strada è tracciata e secondo Paolo Pari, cofondatore e Ceo di HeadApp,“l’introduzione dei dispositivi wearable e in particolare degli smart glasses sul mercato del largo consumo ha consentito di aprire nuovi scenari per ottimizzare l’interfaccia tra operatore e macchina. Nel contesto dell’Industrial Internet of Things, la cre-

azione di partnership verticali tra competenze altamente specialistiche consente oggi di offrire soluzioni che possono abilitare un potenziale produttivo ancora inespresso”. La cava di Reply Snellire le fasi di design di un prodotto riuscendo, al contempo, a esaminare le molte diverse possibili configurazioni. Spiegare il funzionamento di macchinari complessi o difficilmente accessibili, formare in totale sicurezza il personale in contesti che altrimenti sarebbero rischiosi per la salute e l’incolumità. Sono queste alcune delle possibilità offerte da Area 360, il centro per la realtà virtuale e aumentata che fa parte della vasta rete di imprese facenti capo a Reply e che viene ospitato nel parco scientifico e tecnologico Como Next a Lomazzo. “Secondo uno studio Digi-Capital”, dice Filippo Riz-

zante, Cto di Reply, “il mercato mondiale della realtà virtuale e aumentata varrà quasi 20 miliardi di dollari nel 2017, per poi superare i 40 miliardi l’anno successivo. Con Area 360 abbiamo fatto un passo concreto, anche in Italia, per offrire alle imprese una serie di servizi in questo ambito, e già oggi vantiamo importanti collaborazioni con aziende come Abb, Chicco, Daikin e Magneti Marelli”. A Lomazzo, Area 360 mette a disposizione delle imprese, tra le altre cose, una delle poche “cave” esistenti in Europa: una stanza che permette di immergersi completamente in un ambiente di realtà virtuale, grazie a tre pareti servite da retroproiettori, a un complesso apparato di sensori e a un sistema di visione 3D. Tutto questo assetto è governato da potenti server in grado di ricostruire in modo realistico e immersivo gli interni di un automobile o di un impianto petrolifero.

L’INDUSTRIA 4.0 VOLA SULLE ALPI Valle d’Aosta e Piemonte hanno siglato un accordo quadro per realizzare insieme iniziative e partenariati per lo sviluppo della fabbrica di nuova generazione. La piccola Regione alpina ha approvato di recente un bando da un milione di euro (promosso dall’Assessorato delle Attività produttive, energia e politiche del lavoro) per sostenere la ricerca, l’innovazione e il trasferimento tecnologico fra le imprese sul proprio territorio e quelle piemontesi. L’intesa prevede anche il finanziamento in favore di quelle aziende valdostane che parteciperanno a progetti collaborativi nei settori industriali applicabili alla “Fabbrica intelligente del futuro”. I contributi a fondo perduto non potranno superare i 500mila euro per le grandi imprese, i 250mila per le medie e i 150mila per le piccole. Il bando della Regione Piemonte, invece, prevede una selezione a due fasi: i soggetti interessati dovranno presentare un progetto preliminare e solo chi supererà questo scoglio potrà presentare il piano in modo dettagliato.

65


ESPERIENZE

L’innovazione sfreccia sulle quattro ruote L’esempio di Dallara conferma come le nuove tecnologie, abbinate alle competenze, possano migliorare tutti i processi e non solo quelli di produzione. Testo di Gianni Rusconi

A

ndrea Pontremoli ha passato 27 anni della sua carriera professionale in un gigante dell’industria tecnologica come Ibm, di cui è stato anche amministratore delegato della filiale italiana. Nel 2007 è entrato in Dallara (in veste di amministratore delegato e direttore generale) cavalcando la sfida di dare continuità di crescita a una media impresa che sviluppa e produce automobili da corsa. Oggi, parlando dell’impatto del digitale dentro le fabbriche, si fa portavoce convinto di un messaggio: le nuove tecnologie possono cambiare in meglio “il modo di produrre, i modelli di business e l’organizzazione dell’intera impresa”. La casa emiliana ha sposato la stampa 3D sin dal 2001 per modellizzare i prototipi da testare in galleria del vento e oggi ricorre alla manifattura additiva anche per la produzione di serie di alcuni componenti delle auto di F1. Qualche esempio? Il “roll hoop” in titanio (la copertura che protegge il casco del pilota in caso di ribaltamenti) prodotto con le macchine di stampa a tre dimensioni è del 38% più resistente di quello, sempre in titanio, creato con il sistema tradizionale a fusione. Ma i vantaggi, come conferma Pontremoli, sono anche e soprattutto altri, ovvero la maggiore velocità nel dare vita ai prototipi e la possibilità di cambiare il progetto più volte in corso d’opera. “L’additive manufacturing”, dice il manager, “trasforma non solo il paradigma della produzione, ma anche quello della progettazione. Ed è un esempio evidente di un cambio di mentalità strategico che parte dalla testa, perché la tecnologia è un fattore abilitante 66

e non l’intelligenza che modifica il processo”. L’esperienza digitale di Dallara, non a caso, ha il suo vero fiore all’occhiello nel simulatore “home made” a cui possono lavorare da remoto, in tempo reale, tecnici ubicati in tre diversi continenti. Il tutto grazie a un supercomputer in esercizio

nella sede di Parma e grazie a un team di professionisti che deve sviluppare le proprie competenze attraverso progetti di formazione condivisa. “L’open innovation”, assicura l’Ad, “è questa, e le competenze e la formazione sono asset irrinunciabili per migliorare tutti i processi”.

SCANNER 3D E CLOUD MANUFACTURING PER L’ORTOPEDIA La sperimentazione di tecnologie digitali nel campo della salute è un tema che va di moda. L’Istituto Ortopedico Rizzoli ha guardato anche oltre, abbracciando le opportunità del cloud per la personalizzazione completa di plantari ortopedici da utilizzare dentro le calzature da lavoro. È l’essenza del progetto CloudSme, finanziato dalla Commissione Europea e che ha avuto come partner anche l’Università di San Marino e l’azienda specializzata Base Pro. Le patologie da sovraccarico sono comuni nei lavoratori che passano la maggior parte del tempo in piedi o camminando, e tali disturbi spesso sono associati all’uso delle calzature antinfortunistiche. Per questo motivo i ricercatori dell’Istituto Rizzoli hanno pensato di testare su un gruppo di operai di un’industria metalmeccanica l’efficacia di solette realizzate su misura ricorrendo a un sistema innovativo di laser scanning 3D per la rilevazione dell’impronta del piede. Al problema dei costi e alla scarsa disponibilità negli studi dei podiatri di software specializzati (costosi e generalmente non in dotazione) ha sopperito la piattaforma CloudSme, consentendo di completare via Web (browser) la selezione della calzatura di sicurezza più idonea alle mansioni del lavoratore. I file dell’impronta del piede e dell’interno della calzatura vengono inviati a un’applicazione cloud, che genera il disegno della soletta personalizzata. Quest’ultima può, quindi, essere prodotta da un blocco di materiale plastico con una semplice macchina fresatrice a tre assi.



shaping tomorrow with you

The Innovation Engine

Trasforma l’IT con il Business-Centric Computing

L’infrastruttura IT delle aziende deve essere adeguata alle priorità del business, garantire risultati sostenibili e consentire una continua innovazione. Grazie alle soluzioni Business-Centric Computing è possibile allineare la capacità di calcolo alle esigenze aziendali e rendere l’elaborazione e l’analisi dei dati più veloce e più efficiente che mai. Inoltre, Windows Server 2012 R2 garantisce maggiore flessibilità e agilità per la virtualizzazione, gestione, archiviazione, connettività di rete, infrastruttura desktop virtuale, accesso e protezione dei dati, piattaforma Web e applicazioni. INFO » http://business-datacenter.it.fujitsu.com/ NUMERO VERDE » 800 466 820 E-MAGAZINE » http://tech4green.it

Technopolis_Storage_Eternus_newb_200x260.indd 1

07/10/14 09:49


Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.