Technopolis 13

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NUMERO 13 | APRILE 2015

Storie di eccellenza e innovazione

la media company studia il territorio Francesco Calosso, direttore sales and acquisition marketing di Sky Italia, spiega come l'azienda ha cambiato, grazie all'It, l'approccio ai potenziali clienti.

data center

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I centri dati cambiano in prospettiva software defined. E, a sorpresa, i mainframe non passano di moda.

cloud ibrido

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Il modello è vincente, ma le imprese vanno prese per mano e accompagnate tra le nuvole della flessibilità.

alcatel-lucent

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La nuova sede di Vimercate è un concentrato di design e tecnologia. Dove la ricerca trova terreno fertile.

Distribuito gratuitamente con “Il Sole 24 ORE”



SOMMARIO Storie di eccellenza e innovazione

N° 13 - aprile 2015 Periodico bimestrale registrato presso il Tribunale di Milano al n° 378 del 09/10/2012.

4 storie di copertina

Sky: la media company studia geografia

9 IN EVIDENZA L’analisi: Spesa It, timidi segnali di ripresa Gli imperativi di Windows 10

Facebook esempio virtuoso

L’evoluzione di TeamSystem

Coordinamento: Gianni Rusconi Hanno collaborato: Alessandro Andriolo, Piero Aprile, Camilla Bellini, Valentina Bernocco, Alexander Bufalino, Carlo Fontana, Paolo Galvani, Saverio Romeo, Maria Luisa Romiti, Laura Tore

Hp reinventa la chimica delle stampanti

Progetto grafico: Inventium Srl Sales and marketing: Marco Fregonara, Francesco Proietto

La strada verso l’ibrido è in discesa

Il ponte tra M2M e IoT

Tecnologia italiana per le auto connesse

Direttore responsabile: Emilio Mango

Foto e illustrazioni: Istockphoto, Martina Santimone, Dollar Photo Club.

L’opinione: un Data Lake in sette giorni

16 SCENARI

Data Center: sarà mainframe o software defined?

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Mobilità in azienda

Editore, redazione, pubblicità: Indigo Communication Srl Via Faruffini, 13 - 20149 Milano tel: 02 36505844 info@indigocom.it www.indigocom.com Stampa: RDS Webprinting - Arcore © Copyright 2015 Indigo Communication Srl Tutti i diritti di proprietà letteraria e artistica riservati. Il Sole 24 Ore non ha partecipato alla realizzazione di questo periodico e non ha responsabilità per il suo contenuto. Pubblicazione ceduta gratuitamente.

35 ECCELLENZE.IT Istituto Clinico Humanitas - Emc Gruppo Megadyne - Interoute

Smartpatch - Ptc

38 italia digitale

Indovina chi farà l’Agenda?

Open Data, ma non troppo

La PA virtuosa cresce con le startup

42 OBBIETTIVO SU Alcatel-Lucent

47 VETRINa HI TECH Smartphone di fascia media In prova: multifunzione Brother Mfc-L9950 Cdw


STORIA DI COPERTINA | Sky Italia

it e geografia per conquistare i clienti Per offrire soluzioni mirate e avvicinarsi di più agli abbonati, Sky Italia ha realizzato un sistema di analytics e dashboard basato anche sulle caratteristiche socio-demografiche della popolazione. Riducendo, tra l'altro, il tasso di abbandono.

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ky oggi è molto diversa dall’organizzazione nata nel 2003, anno del lancio del servizio in Italia. Negli ultimi due anni, in particolare, ha intrapreso un percorso di profonda trasformazione della strategia di acquisizione e goto-market, come risposta a uno scenario competitivo e di mercato che a sua volta è radicamente mutato. Da broadcaster mono-piattaforma (satellite) che trasmetteva principalmente eventi sportivi live e film, ha

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progressivamente fatto evolvere il modello di business fino a diventare oggi una media company che opera sinergicamente su diverse piattaforme: satellitare, online, Iptv e anche sul digitale terrestre free (con Cielo e Sky Tg24). Anche l’offerta di contenuti è sempre più ricca e diversificata, spaziando dallo sport al cinema, dalle serie Tv ai grandi talent show (X Factor, MasterChef, Italia’s Got Talent), fino alle produzioni originali (Romanzo Criminale, Gomorra, 1992).


verso i cinque milioni di famiglie Sky Italia è la media company italiana che fa parte del gruppo Sky plc, leader dell’intrattenimento in Europa con 20 milioni di abbonati in cinque Paesi: Italia, Germania, Austria, Regno Unito e Irlanda. Nata nel 2003, Sky Italia opera su diverse piattaforme trasmissive con modelli di business differenti e ha una base abbonati di 4,7 milioni di famiglie al 31 dicembre 2014. L’offerta pay, core business dell’azienda, è disponibile via satellite e, da aprile 2015, sulle reti broadband e ultrabroadband di Telecom Italia, e propone in abbonamento la migliore esperienza di visione grazie a My Sky Hd, a Sky On Demand e a Sky Go. In totale, il portfolio comprende 160 canali tematici e pay per view, di cui oltre 60 in Hd e uno interamente in 3D. Per chi non è abbonato a Sky, è disponibile il servizio Sky Online, che offre in streaming, sui principali device connessi a Internet, una selezione di contenuti di cinema, intrattenimento e sport della piattaforma. Sky è presente anche sul digitale terrestre free con i canali Cielo e Sky Tg24.

Cambiano mercato e consumatore

La crisi economica ha ridotto la capacità di spesa dei potenziali clienti, rallentando il rapido percorso di crescita della base abbonati che aveva caratterizzato i primi anni di attività di Sky. Ma il consumatore italiano stesso in questi anni è profondamente cambiato. La crisi ha ampliato il gap economico tra Sud e Nord, mentre la veloce ascesa del mondo digitale ha reso il consumatore più informato, più attento al rapporto costi-benefici dei prodotti o dei servizi che acquista e più esigente nella relazione con le aziende con cui interagisce e a cui affida la propria fedeltà. In questo contesto di mercato caratterizzato da sfide ambiziose e crescente

complessità, nel quale Sky voleva continuare a recitare il ruolo di leader e market maker, si è reso necessario un ripensamento della strategia di sales and acquisition marketing, volta ad assicurare una crescita della base clienti consolidata, profittevole e sostenibile nel tempo. “Per rispondere alle nuove sfide”, dice Francesco Calosso, direttore sales and acquisition marketing di Sky Italia, “abbiamo deciso come prima cosa di basare l’evoluzione del nostro modello di acquisition marketing su una solida conoscenza delle caratteristiche socioeconomico-demografiche dei nuovi target che volevamo aggredire. Per fare ciò, supportati da un team di professio-

nisti di Value Lab (società di consulenza e It con forti competenze in ambito retail, ndr) abbiamo implementato un nuovo sistema di geo-analytics che ci consente di localizzare a livello micro territoriale il target e di analizzarne il comportamento sia in fase di acquisizione sia durante la fruizione dell’abbonamento”. Il nuovo patrimonio informativo, unito a un’intensa attività di intelligence e insight, ha permesso a Sky di identificare schemi di comportamento e interessi per target significativamente differenti a livello territoriale. Scoprendo, tra le altre cose, che i clienti reagiscono in maniera diversa alle iniziative commerciali in base a dove vivono e, soprattut5


STORIA DI COPERTINA | Sky Italia

to, mostrano un tasso di abbandono (churn) radicalmente diverso e un differente ritorno atteso nella relazione con Sky (Npv o lifetime value). Tale comprensione ha portato a disegnare un modello di offerta multiprodotto e multipiattaforma, differenziata in base alle caratteristiche socio-demografiche del cliente e ai relativi ritorni attesi. “Ad esempio, per il target nativi digitali”, racconta Calosso, “ci siamo concentrati sui contenuti on-demand e su una esperienza di acquisto solo digitale, mentre per target più tradizionali abbiamo dato priorità alla massimizzazione dell’esperienza, creando eventi di engagement nei centri commerciali in occasione dei lanci dei nostri contenuti top (X Factor, MasterChef, ecc.) e inaugurando temporary experience store in alcune selezionate piazze delle principali città italiane”. In questo percorso di evoluzione dell’offerta, ha assunto un ruolo chiave l’integrazione dei singoli canali di vendita in ottica omnicanale. Sky si è dotata di un nuovo strumento per la gestione del-

la soluzione Al sistema informativo di marketing realizzato da Sky Italia accedono più di 30 utenti di cinque differenti funzioni. Gli insight vengono estratti attraverso diverse modalità. Le attività di data-mining e data discovery vengono effettuate grazie alla suite Sas Miner, mentre le dashboard per il top e middle management sono state progettate da Value Lab su piattaforma Qlikview. La suite Geointelligence di Esri è invece la base su cui sono state realizzate le analisi di geo-intelligence, i cui modelli di simulazione e forecasting sono stati disegnati anch’essi da Value Lab. L’analisi del digital behavior, è abilitata dalla sui-

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L’ultimo modello di MySky Hd

le trattative di vendita e per la raccolta di anagrafiche qualificate di potenziali clienti; in parallelo ha ridefinito il ruolo dei canali secondo il principio “Omnichannel and Digital First”, dove il Web rappresenta il primo punto di contatto del cliente potenziale con Sky sia in termini di raccolta informazioni sia di fruizione delle offerte. Allo stesso tempo, il canale retail ottimizzato su base territoriale e rivisto nel format (170 Spazi Sky oggi) diventa il canale “Experience” presidiato al 100% da personale diretto Sky, in modo da fornire ai clienti e te di Data Management Platform di Turn. Su piattaforma Visual IQ è stato infine sviluppato un modello di ri-attribuzione delle vendite per l’ottimizzazione dell’investimento in digital marketing. La tecnologia Salesforce.com è invece stata invece utilizzata per abilitare il modello di go-to-market multicanale.

potenziali clienti il miglior supporto e l’assistenza, dando loro la possibilità di provare realmente la superiorità dell’esperienza di visione di Sky. I vantaggi e gli sviluppi futuri

La maggiore conoscenza del target in termini di profilazione e di comportamento ha consentito a Sky di raggiungere un significativo miglioramento del valore delle vendite e nell’efficienza negli investimenti. La strategia omnicanale, inoltre, ha permesso di raccogliere anagrafiche qualificate che diventeranno sempre più un elemento chiave nella strategia d’acquisizione. “Vogliamo essere sempre più rilevanti nei nostri messaggi”, conclude Calosso, “e proporre offerte in linea con le esigenze dei clienti. Per far ciò crediamo sia molto importante continuare a investire in capacità analitiche a supporto del processo decisionale, lavorando soprattutto a una crescente integrazione dei dati di geo-marketing con il patrimonio informativo digitale. In parallelo investiremo sempre più nel concetto di esperienza omnicanale, incrementando le occasioni di contatto con i nostri potenziali clienti e intensificando gli investimenti su digital e social: in questo senso il Web diventa una vetrina digitale dei nostri prodotti, ma anche e soprattutto un importante generatore di traffico nel tempo, capace di attirare i potenziali clienti verso i nostri punti di vendita”. Emilio Mango


Tecnologici si nasce, multipiattaforma si diventa

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a cambiato pelle Sky, negli ultimi tre anni. Soprattutto grazie alla tecnologia. Technopolis ha intervistato Francesco Calosso, direttore sales and acquisition marketing di Sky Italia, per capire meglio quali e quanti investimenti sono stati fatti per mantenere la leadership in un mercato, quello italiano, caratterizzato da tratti distintivi unici in Europa, come la scarsità di banda e la pervasività del digitale terrestre. Quanto conta per Sky Italia la tecnologia?

Francesco Calosso

Se Sky non fosse hi-tech non sarebbe Sky. Ma negli ultimi anni la società ha spinto comunque sull’acceleratore dell’innovazione, per erogare un’offerta sempre più varia e completa.

Tanto, al punto da non essere nemmeno in discussione. Siamo un’azienda altamente tecnologica fin dalle fondamenta, e negli ultimi anni ancora di più, perché siamo diventati multiprodotto e multipiattaforma. La più recente innovazione tecnologica è stata l’introduzione della Tv via fibra con Telecom Italia, ma è solo l’ultimo dei passi che ci hanno portato a cambiare la nostra stessa natura: da “semplice” piattaforma a vero e proprio modo di vivere le passioni, pervasivo e coinvolgente. In pratica, l’implementazione del noto slogan “anytime, anywhere”. Quali altre innovazioni sono state realizzate negli ultimi anni?

Sul fronte delle trasmissioni, prima di tutto, l’estensione dell’Hd. Ormai lo diamo per scontato, ma è giusto ricordare che il 90% delle trasmissioni in alta definizione in Italia arrivano da Sky. Poi c’è il Super Hd, sviluppato proprio da Sky Italia, una sorta di step intermedio verso il nuovo standard 4K. E non dimentichiamo le riprese e

le tramissioni in 3D. Sul fronte delle piattaforme, oltre alla già citata Tv via fibra abbiamo introdotto Sky Online, un servizio “Over the Top”, unico sul mercato italiano, dedicato a coloro che non sono ancora pronti per il “grande salto” verso l’abbonamento. Quanto ha investito l’azienda in innovazione?

Il dato più significativo è l’ammontare degli investimenti dalla nascita di Sky, vale a dire dal 2003: oltre un miliardo di euro, ripartiti ovviamente tra tecnologie dedicate al broadcasting e tecnologie di backoffice, come quelle dei sistemi informativi. È una cifra enorme, se si pensa che la maggior parte delle nostre risorse viene impiegata per la produzione e l’acquisto di contenuti. Più in dettaglio, come avete utilizzato la tecnologia per ottenere vantaggi competitivi?

La risposta può essere riassunta dalla già citata formula “anytime, anywhere”. Abbiamo lanciato My Sky Hd, che è attualmente nelle case di tre milioni di famiglie, e introdotto Sky On Demand, attivato a oggi da un milione e mezzo di abbonati, che possono scegliere tra oltre 2.500 contenuti online. E grazie a Sky Go 2,3 milioni di utenti possono accedere ai nostri contenuti da qualsiasi dispositivo mobile, sia con WiFi sia con il 3G. Insomma, per merito delle innovazioni introdotte in questi ultimi anni, oggi quasi cinque milioni di famiglie hanno accesso a un’offerta unica, che permette di vivere liberamente il proprio intrattenimento. Emilio Mango 7



IN EVIDENZA

l’analisi SPESA IN TECNOLOGIE, TIMIDI SEGNALI DI RIPRESA. L’INDUSTRIA SPRONA RENZI Il mondo è sempre più digitale e connesso. L’Italia segue la tendenza ma non nei tempi e nei modi attesi. Il punto, forse, è se guardare il bicchiere come mezzo pieno o mezzo vuoto. Partiamo dall’aspetto positivo: l’ultimo rapporto Assinform evidenzia per il Belpaese un’inversione di tendenza che porterà il bilancio della spesa in tecnologie in attivo (seppur di poco, perché parliamo di un incremento stimato dell’1,1%) a fine 2015. Per contro, e questo è il rovescio della medaglia, veniamo da un decennio di costante riduzione degli investimenti per molte delle voci dell’information & communication technology. Osservando il 2014, alla flessione complessiva dell’1,4% rispondono gli exploit del cloud computing (giro d’affari oltre il miliardo di euro, in crescita del 42% dal 2013) e dell’Internet delle cose (business in aumento del 13% e valutato in 1,6 miliardi di euro). Due “modelli” eletti a paradigmi della società connessa e digitale, e la cui diffusione in Italia è certificata non solo dai numeri. Come dice Agostino Santoni, presidente di Assinform nonché amministratore delegato di Cisco Italia, “il cloud è un grande generatore di innovazione per le imprese italiane e i livelli di adozione sono in linea con quelli dei Paesi più tecnologicamente avanzati. E questa è una buona notizia”. Meno buona è, invece, la velocità con cui l’Italia sta affrontando il proprio percorso di trasformazione digitale. “Siamo lontani”, commenta Santoni, “dalla spinta che occorrereb-

Sarà un 2015 positivo per gli investimenti in Ict, dopo un decennio circa di flessione. Brillano il cloud e l’Internet delle cose. Ma Assinform lancia un monito: ora spetta alla politica assumere il ruolo di driver per la trasformazione digitale. be per produrre gli effetti di crescita che si stanno verificando nelle economie con le quali ci dobbiamo confrontare”. Il processo di innovazione, insomma, procede ancora al rallentatore e i dati di spesa per hardware (soffrono anche i tablet, fenomeno tecnologico per eccellenza degli ultimi due anni), software e servizi (soprattutto di telecomunicazione) sono lì a dimostrarlo. Il Belpaese paga “il ritardo accumulato in questi anni, che ha generato uno

dei più bassi indici di utilizzo delle tecnologie digitali nella Ue”. Un ritardo troppo profondo “per potersi accontentare di margini di crescita di piccola entità”, anche se Assinform sembra essere ottimista sul futuro digitale del nostro Paese. Il Governo, però, deve fare il suo in qualità di driver del processo di innovazione, il che significa “scadenze e obblighi da rispettare, responsabilità chiaramente individuate e controllo su risultati e obiettivi”. Un appello chiaro (anche se sentito già tante volte in passato) e del tutto condivisibile. Peccato che, nel frattempo, siano arrivate le dimissioni del direttore dell’Agenzia per l’Italia Digitale, Alessandra Poggiani (ne parliamo in modo approfondito a pag. 38), una delle figure chiave per il processo di necessario cambiamento della macchina pubblica. Gianni Rusconi

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IN EVIDENZA

TAG Heuer è più smart

cambia il modo di usare il pc: gli imperativi di Windows 10 L’attesa per Windows 10 terminerà entro l’estate, dopo mesi costellati di ipotesi emerse dalle “build”, le versioni di lavorazione testate dagli iscritti al programma Windows Insider. Come la possibilità (ancora non ufficiale) di scaricare i futuri aggiornamenti tramite peerto-peer, cioè da un singolo computer di una rete aziendale o da altri utenti collegati al Web. Il successore di Windows 8.1 ha in serbo molto altro, a partire da un nuovo browser, nome in codice “Project Spartan”, destinato a sostituire Internet Explorer e più simile a Chrome e Firefox. Cambieranno, o meglio si arricchiranno, le modalità di interazione con applicativi e funzioni varie, grazie all’ingresso dell’assistente vocale Cortana e al supporto a sistemi di autenticazione biometrica come lettori di impronte digitali, del palmo di una mano (cioè del tracciato dei vasi sanguigni), dell’iri-

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Il nuovo sistema operativo arriverà in estate con strumenti di autenticazione biometrica e un'esperienza utente rinnovata. Office 2016 entro la fine dell’anno. de o il riconoscimento del volto e della voce. Il tutto, promette Microsoft, con maggiore certezza dell’identità rispetto al passato, grazie per esempio alla lettura dei raggi infrarossi nel caso dei log in eseguiti con il riconoscimento facciale. Per gli accessi tramite password sarà disponibile una nuova funzione, Passport, che assocerà alla parola chiave l’inserimento di un codice Pin. Oltre al suo primo sistema operativo “universale” – come ripetuto dal mantra di Satya Nadella – nella pentola di Microsoft sta bollendo anche un altro ingrediente, Office 2016. La suite di produttività vedrà la luce entro la fine dell’anno, mentre è al momento disponibile una preview per gli abbonati a Office 365. Fra le novità spicca l’estensione della Data Loss Protection anche a Word, Excel e PowerPoint, funzione che permetterà di creare e gestire centralmente le autorizzazioni di lettura, scrittura e condivisione dei documenti. V. B.

Orologeria svizzera, tecnologie (software e hardware) made in Silicon Valley. Il frutto della collaborazione fra Tag Heuer, Google e Intel non poteva che sfociare in uno smartwatch, di lusso, basato sul silicio di Santa Clara e sulle funzionalità di Android Wear. Il prodotto dovrebbe vedere il mercato nel quarto trimestre e costare nell’ordine dei 10mila dollari, in diretta competizione con la versione più pregiata degli Apple Watch. Proprio il gadget indossabile della Mela, che secondo gli analisti di Ihs toccherà quota 18 milioni di unità nel 2015, farà da spartiacque in un settore in grande fermento. Dove Google è già ben presente: dei 4,6 milioni di device indossabili venduti nel 2014, 720mila avevano a bordo Android. E dove nomi altisonanti del fashion, come Armani, Diesel e Burberry, si stanno affacciando con grande attenzione.

“Oggi siamo una società più grande e più diversificata che mai, e abbiamo tre principali motori di crescita: personal computer, enterprise e mobile”. Yang Yuanqing, presidente e Ceo di Lenovo


Lavorare nell’Ict è un “lusso”. Facebook esempio virtuoso

Là dove non arrivano le riforme politiche arrivano i social network. Secondo uno studio di Deloitte, Facebook ha favorito lo scorso anno la creazione di 4,5 milioni di posti di lavoro nel mondo, di cui 70mila in Italia. Numeri legati soprattutto ai settori dell’advertising e del marketing, ma anche alla crescita di fatturato realizzata da aziende di ogni genere e settore grazie all’incremento delle vendite reso possibile dalla presenza social. Di lavoro in ambito tecnologico ha parlato in modo approfondito uno studio, “e-Competence Benchmark”, a firma del consorzio europeo Cepis (rappresentato in Italia dall’Aica), che ha messo sotto osservazione anche lo Stivale ed evidenziato contraddizioni non indifferenti. Il settore dell’information technology garantisce al 78% dei propri addetti un posto di lavoro a tempo pieno, ma solo il 23% possiede le competenze sufficienti per operare ai massimi livelli. Ed entro il 2020 in tutta Europa mancheranno all’appello 900mila figure specializzate. Project manager, consulenti, amministratori di sistemi e chief information officer sono figure destinate, secondo il Cepis, a ridurre la loro importanza e utilità in azienda. C’è

In Europa tre quarti degli addetti sono assunti a tempo pieno, ma solo uno su quattro possiede competenze di elevato profilo. Nel 2014 il social network ha creato 70mila posti in Italia. una carenza di nuove specializzazioni che si rispecchia sull’anagrafica: l’età media europea per un addetto It in Europa è di 42 anni, mentre solo il 16% è under 30. In tutto il continente, inoltre, solo il 15% dei professionisti dell’informatica e del digitale appartiene al gentil sesso e le figure femminili più comuni sono trainer Ict e project manager. La parità di accesso al mercato del lavoro è un problema molto sentito anche nel Belpaese. L’età media degli addetti informatici è in linea con quella europea, mentre la percentuale di lavoratori sotto i 30 anni è di gran lunga la più bassa di tutta la Ue (ferma all’11,2%). Stesso discorso per le donne, che corrispondono all’11% del totale dei professionisti It in attività nella Ue. Uno scenario, quello delle professioni legate all’Ict, non così roseo quanto si creda.

Il data center? è always on Nata nel 2006, Veeam ha una vocazione moderna: offrire soluzioni di protezione dati e business continuity per le piattaforme di calcolo virtuali. Con 135mila clienti e una crescita del 40% a livello mondiale, la multinazionale pare abbia trovato la formula appropriata per offrire il giusto valore aggiunto alle architetture It aziendali. “Le nostre soluzioni consentono di tenere sotto controllo le infrastrutture virtuali”, dice Albert Zammar, country manager di Veeam in Italia, “per capire quali elementi siano in sovraccarico e quali sotto-utilizzati, in modo da realizzare un efficiente capacity planning. In più, permettono di verificare in anticipo l’efficacia delle procedure di backup, in modo da avere la certezza che funzionino senza doverle attivare e dunque fermare le normali operazioni”. In una parola, Veeam consente di ottenere, in modo semplice, quello che in gergo viene definita “near business continuity”. “Qualunque sia la mole di dati in gioco”, spiega Zammar, “garantiamo un tempo di ripristino di 15 minuti, sufficienti per la maggior parte dei servizi e delle applicazioni aziendali, anche in cloud. I nostri clienti sono di dimensioni molto diverse: si va dalla catena di farmacie o dallo studio notarile per arrivare alla multinazionale”. Albert Zammar

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IN EVIDENZA

l’opinione

L’INTERNET DELLE COSE: UN’OCCASIONE DA NON PERDERE

Oggi il paradigma dell’Internet of Things deve essere visto come un’opportunità per portare innovazione nelle aziende e nell’economia italiana, segnando così una discontinuità rispetto a un ventennio, quello appena trascorso, caratterizzato da una diffusa perdita di competenze e competitività. L’IoT, infatti, è un nuovo modo di pensare prodotti e servizi che parte da un bisogno e che, tramite il supporto dell’Information & communication technology, consente di ampliare processi e potenzialità per creare scenari applicativi fino a oggi impensabili, aumentando l’efficienza interna, il controllo e la gestione di prodotti e servizi e la soddisfazione degli utenti finali. L’IoT ha quindi il potenziale per entrare in tutti i settori, su scala globale, e diventare un nuovo punto di rottura per l’economia e le imprese. Data la pervasività delle soluzioni, che non coinvolgono più solo oggetti nativamente digitali ma sempre più spesso oggetti da tradurre in chiave “Internet 2.0”, è però necessario fare chiarezza sui perimetri di adozione, sulle tecnologie abilitanti e sugli ambiti applicativi in cui si può concretizzare il paradigma dell’IoT. A oggi, infatti, non sono ancora stati analizzati in maniera organica e finalizzata al contesto italiano i possibili sviluppi di questo fenomeno, sia sul piano tecnologico e delle applicazioni, sia sul piano dell’offerta di soluzioni e della loro struttura. E dicasi lo stesso per i risvolti, anche sociali, derivanti

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L’IoT è un nuovo punto di rottura per l’economia e le imprese italiane? Sì, ma bisogna fare chiarezza sui suoi perimetri di adozione.

IoT e Big Data dentro le app L’obiettivo: facilitare lo sviluppo di applicazioni mobili aziendali, dall’analytics al monitoraggio dell’IoT, con un’elevata sicurezza. Il mezzo: Hana Cloud Platform Mobile Services, una nuova soluzione di tipo PaaS presentata da Sap. Una risposta all’accordo stretto tra Ibm ed Apple per realizzare applicazioni di analytics per i dispositivi iOs e che, a differenza della prima, non marca confini a livello di device e di sistema operativo. La piattaforma, a detta del vendor, contribuirà inoltre ad accelerare l’integrazione dell’Internet of Things e dei Big Data con applicazioni mobili aziendali native o ibride.

L’INDUSTRY 4.0 PARLA CINESE

dall’utilizzo e dalla diffusione di tali soluzioni. Per questo The Innovation Group ha deciso di creare una community italiana sui temi dell’Internet of Things e delle sue applicazioni, inaugurando per il 2015 l’IoT Leadership Program, un’iniziativa che si avvale di un sito tematico e si articola durante tutto il corso dell’anno in eventi, webinar, ricerche e interviste, con l’obiettivo di promuovere l’informazione e il dialogo su una tematica di rilevanza strategica anche fuori dal mondo dell’Information technology. Camilla Bellini, analyst, The Innovation Group

Considerato l’emblema della quarta rivoluzione industriale, Industry 4.0 è il progetto nato per volere del governo tedesco che prevede l’utilizzo delle tecnologie Ict per dare vita alle fabbriche “intelligenti”. In questo filone si inseriscono gli accordi, annunciati in occasione del Cebit di Hannover, fra Huawei e Sap e fra lo stesso colosso cinese e l’istituto di ricerca Fraunhofer Esk. Oggetto della duplice alleanza è lo studio di soluzioni dedicate all’Internet of Things per i settori dell’energia e dei trasporti, oltre all’impiego di di router industriali e tecnologie wireless 4G per lo sviluppare applicazioni per l’Industry 4.0.


L’evoluzione di teamsystem e la partnership con microsoft Non è più una rivoluzione ma un’evoluzione. In questa frase a effetto, pronunciata da Federico Leproux, amministratore delegato del Gruppo TeamSystem, c’è la sintesi del lavoro fatto in questi anni dalla software house italiana, che ha investito tanto per darsi una fisionomia e ritagliarsi una posizione di leadership nelle soluzioni gestionali e che ora, finalmente, può “lavorare di fino” per consolidare i risultati. “Siamo una realtà solida dal punto di vista industriale”, dice Leproux, “con 241 milioni di ricavi e con un tasso di abbandono dei clienti di appena il 4%, sotto il limite fisiologico. Ma siamo forti anche finanziariamente, avendo fatto registrare un 5,5% di extra-performance delle obbligazioni ed essendo riusciti a ottenere un rating stabile da Standard and Poor’s, mentre quello italiano diminuiva”. Leproux lascia intendere che ora è

tempo di pensare alla qualità, tanto sul fronte dei prodotti quanto su quello del canale distributivo. Il focus quindi si sposta dalla crescita (TeamSystem è leader sia nel mercato delle imprese sia in quello dei professionisti) alla valorizzazione di prodotti e partner. “Nel triennio 2014-2016”, prosegue Leproux, “investiremo più di 91 mi-

lioni di euro, oltre la metà dei quali sarà destinata a incrementare il livello qualitativo di soluzioni e servizi, senza smettere di adeguare i prodotti ai nuovi trend del mercato, come il cloud, l’e-commerce e la mobilità”. In quest’ottica si inserisce l’accordo strategico tra TeamSystem e Microsoft, annunciato nel corso della convention annuale del Gruppo. La partnership con la multinazionale prevede un percorso a tappe forzate per integrare l’offerta di software gestionale con la piattaforma Microsoft Azure e con le soluzioni di produttività Office 365, iniziando da Lynfa Studio per passare poi a Lynfa Azienda e Alyante. “Nella relazione tra TeamSystem e Microsoft”, ha dichiarato Carlo Purassanta, amministratore delegato di Microsoft Italia, “è stato compiuto un salto quantico. Grazie ad Azure e Office 365 gli utenti TeamSystem potranno andare con facilità nel cloud con la piattaforma più affidabile sul mercato, e con la prossima disponibilità di Windows 10 potranno agevolmente operare in mobilità”.

che nel loro complesso sfruttano circa tremila server fisici e virtuali basati su Suse Linux, utilizzano un Petabyte di dati e impiegano circa cento dipendenti che progettano e gestiscono le risorse (server, storage, database e middleware). I risultati complessivi dello studio sono impressionanti:

si registrano infatti, tra le altre cose, una riduzione dell’80% degli investimenti di capitale (per un totale di 6,4 milioni di dollari l’anno), una riduzione di 3 milioni di dollari l’anno dei costi di manutenzione dei server e un miglioramento netto dei tempi di risposta dell’It.

Federico Leproux

con linux enterprise le aziende risparmiano Una ricerca qualitativa realizzata da Forrester Consulting ha approfondito l’impatto economico della migrazione da sistemi Unix proprietari a server x86 con a bordo il sistema operativo Suse Linux Enterprise. Forrester ha intervistato quattro grandi organizzazioni multinazionali

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IN EVIDENZA

HP RIVOLUZIONA LA CHIMICA DELLE STAMPANTI La nuova linea di periferiche laser consuma meno, stampa più velocemente e occupa meno spazio. Stampanti progettate “intorno” al toner: la nuova sfida di Hp si gioca sulla chimica. Non a caso, Michael Smetana, vice presidente Emea per LaserJet ed Enterprise Solutions dell’azienda, ha presentato in Europa quattro nuovi modelli di periferiche laser, annunciando senza mezzi termini che “Hp ha riscritto la chimica dei toner”. La tecnologia, sviluppata insieme a Canon, si chiama Color Sphere 3, e si caratterizza soprattutto per un involucro delle piccole sfere di toner più resistente, posto a circondare un nucleo che invece è morbido. Il risultato: un punto di fusione più basso (che significa migliore qualità) e, allo

stesso tempo, una maggior durata delle cartucce, fino al 33% in più rispetto a quanto garantito dalla tecnologia precedente. La nuova generazione di stampanti e multifunzione LaserJet adotta anche la più ampia tecnologia Jet Intelligence, che segna una discontinuità rispetto ai modelli passati, arrivando a consumare fino al 53% in meno di energia e a occupare il 40% in meno di spazio. “I nuovi modelli LaserJet“, spiega Luca Motta, printing systems category di-

IL meteo vola nel cloud di Ibm La nuvola di Ibm ospiterà altre nuvole, non metaforiche ma reali: quelle delle previsioni meteorologiche di The Weather Company. E non solo nubi, ovviamente, ma dati e bollettini meteo di ogni genere, circa 26 miliardi al giorno, raccolti da centinaia di milioni di fonti sparse nel mondo, fra sensori, aerei, dispositivi mobili e droni. The Weather Company, il ramo business-to-business di The Weather Channel, le fornisce ogni giorno ai suoi clienti, fra cui soprattutto aziende, compagnie assicurative e utility dell’energia. Fino a ieri questa massa di dati era allog-

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giata su Amazon Web Services, e ora transiterà sul cloud di Ibm. Big Blue non solo ospiterà i dati di The Weather Company, ma potrà a sua volta offrirli ai propri clienti interessati a servizi di analytics specifici (anche supportati da Watson) o alla creazione di applicazioni da rivendere. Ibm stima che attualmente venga analizzato solo il 10% dei dati generati da sensori, veicoli connessi, smartphone e altri sistemi M2M. Le potenzialità sono enormi e per questo l’azienda investirà tre miliardi di dollari nei prossimi quattro anni in progetti di Internet of Things. V.B.

rector di Hp Italia, “si integrano perfettamente con l’attuale offerta, che comprende anche le tecnologie InkJet e Pagewide. Le laser, anche grazie alle funzioni di gestione JetAdmin e alle caratteristiche di Jet Intelligence, sono l’ideale per volumi di stampa medioalti, anche in ambienti cloud”. Le novità al momento sono quattro: la compatta Hp Color LaserJet Pro M252, il multifunzione fronte-retro Mfp M277 e le due LaserJet Enterprise M552 ed M553, pensate per gruppi di lavoro da cinque a 15 utenti e per un carico mensile di 6.000 pagine.

Lync assomiglia di più a skype Lync, l’applicativo VoIp di Microsoft, uno dei più diffusi sistemi di comunicazione unificata, a breve cambierà nome: Skype For Business. Il rebranding segna anche l’arrivo di un’interfaccia più simile a quella di Skype, nonché di nuove funzioni. Per esempio, si potrà mantenere attiva una chiamata o videochiamata (visibile in una finestra) anche mentre si usa un’altra applicazione e si potrà interagire in un clic con i contatti Skype. Quando? Da metà aprile per chi utilizza l’applicazione desktop, mentre la versione per server sarà aggiornata entro fine maggio.


un data lake in sette giorni La nuova soluzione Federation Emc promette di abbattere le barriere nell'utilizzo efficace dei Big Data.

Secondo una recente ricerca di mercato condotta dalla Intelligent Unit dell’Economist, il 48% dei manager pensa che i Big Data siano uno strumento decisamente prezioso, mentre il 23% ritiene addirittura che presto cambieranno radicalmente il modo di fare business delle aziende. A leggere questo tipo di analisi, che per la verità circolano da almeno un paio di anni, una domanda sorge spontanea: se le tecnologie per gestirli sono già disponibili, perché i Big Data non sono ancora così largamente utilizzati? L’ipotesi più probabile, già ampiamente dibattuta anche in queste pagine, è che molte aziende non sappiano come iniziare, non abbiano le competenze, oppure pensino che il ritorno dell’investimento sia troppo lungo. Una risposta potrebbe arrivare da una recente iniziativa di Emc, che ha chiamato a raccolta in una “federazione”

alcuni vendor particolarmente vicini (Vmware, Pivotal, Rsa e Vce) e che conta di abbattere le barriere all’adozione dei grandi dati, facilitando la costruzione dei cosiddetti “Data Lake”. L’intento di Emc non è solo quello di portare sul mercato un’offerta innovativa (cosa che ha già fatto il mese scorso) ma anche quello di cambiare la percezione che affrontare il mare (o il lago) di dati sia così

La soluzione Federation Business Data Lake è una soluzione ingegnerizzata che, unendo le tecnologie e le competenze di Emc, Pivotal e Vmware, accelera e automatizza lo sviluppo e l’implementazione dei laghi di dati, al punto di consentire alle aziende di completare progetti e renderli operativi in una sola settimana.

tanto difficile. La promessa, in particolare, è di comprimere da mesi a poche settimane il tempo necessario a sfruttare il valore dei Big Data. Gli specialisti di Emc, in verità, si spingono ancora oltre, promettendo di implementare un Data Lake in soli sette giorni. Se avranno ragione, la Federation Business Data Lake sarà il primo esempio vincente di soluzione mista hardwaresoftware che potrà permette alle organizzazioni di qualsiasi dimensione di creare il proprio “bacino” di dati da archiviare in modo sicuro e da analizzare. Il target primario della federazione sono le imprese che non hanno ancora provato l’ebrezza dei Big Data, oppure quelle che hanno già tentato l’opera ma si sono arenate nella fase di test. “La metafora del grande lago è particolarmente adatta a descrivere molte situazioni reali”, dice Dario Regazzoni, presales manager di Emc Italia, “in cui ci sono tante fonti diverse, tanti dati di tipo diverso e di qualità differente. Il sogno di sistemare tutto in un unico repository e di farlo in tempi sorprendentemente brevi, anche una sola settimana, convincerà molti a fare il salto verso i Big Data”. Le funzionalità essenziali della soluzione sono lo storage (di dati strutturati e non), l’analisi delle informazioni e la disponibilità dei risultati in tempo reale per utenti e applicazioni. La soluzione supporta anche prodotti di aziende che non fanno parte della federazione, come le distribuzioni Hadoop di Cloudera e Hortonworks e piattaforme di analytics quali Sas e Tableau.

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SCENARI | Data Center

Le tecnologie per i nuovi data center corrono veloci, alla ricerca della massima agilità a costi sostenibili. Tutte le opzioni sono valide: dal ricorso a provider esterni, anche per applicazioni critiche, fino al ritorno ai tradizionali mega calcolatori.

sarà MAINFRAME o software defined?

C

ome sarà il data center di domani? Gli sviluppi tecnologici più recenti configurano alternative diverse e soluzioni ibride (interne o esterne all’azienda) che rendono difficile tracciare un identikit della “sala macchine” del futuro. Il percorso più battuto è quello delle architetture “software defined”, basate su componenti standard, relativamente semplici, in grado di essere configurati e attivati alla bisogna per compiti diversi. Sì, perché la parola d’ordine più comune ormai è “agilità”, vale a dire la capacità 16

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dell’It di adattarsi in modo quasi liquido alle esigenze del business. Da questo scenario non viene esclusa nessuna possibilità: ci sono i server x86, magari in ambiente “open”, ma ci sono anche i cari vecchi mainframe. Sostenitore di un futuro in cui a queste macchine verrà ancora affidato il carico più importante di elaborazione dei dati è Christopher o’Malley. Presidente e Ceo a livello mondiale di Compuware, recentemente scorporatasi da Dynatrace e alleatasi con Bmc per offrire, in un unico one-stop-shop, le soluzioni per

rendere sempre più efficiente l’utilizzo dei mainframe. “Sono anni che mi occupo di mainframe”, esordisce o’Malley, “e posso ancora dimostrare senza tema di essere smentito che se analizziamo il costo/efficienza della singola transazione, queste piattaforme non hanno rivali. I mainframe, realizzati oggi solo da Ibm, sono più sicuri, più veloci e in ultima analisi anche più economici delle altre soluzioni. Ideali, insomma, per giocare un ruolo da protagonisti anche nei prossimi anni in ambito data center”.


Christopher o’Malley

per smantellare questi grandi calcolatori, con l’obiettivo di risparmiare soldi. Oggi si rendono conto non solo che sono insostituibili, ma anche che gli economics sono più favorevoli, in molti casi. Il mio mestiere è affiancare e incoraggiare questi Cio, per almeno i prossimi 50 anni”. La soluzione fuori casa

Per le esigenze di calcolo di aziende meno strutturate o per progetti ancora più agili si sta facendo strada una forPare, quindi, che al contrario dei tanto bistrattati dinosauri, i mainframe oggi siano diventati agili per sopravvivere e siano in grado di competere con le nuove architetture. “I nuovi Cio non conoscono il mainframe”, continua o’Malley, “ma se non hanno pregiudizi non possono che constatare l’estrema adattabilità di queste piattaforme alle nuove esigenze, come l’analisi dei Big Data o il supporto di applicazioni in mobilità. Per le grandi organizzazioni come le banche, poi, sono una soluzione insostituibile: in molti casi le opzioni Infrastructure as a Service (Iaas) e Platform as a Service (Paas) non sono praticabili”. Oggi, in sostanza, il mainframe può eseguire “silenziosamente” e in modo affidabile tanti nuovi compiti. In pratica, quando tocchiamo un’icona di un’app bancaria sul nostro cellulare, da qualche parte un “cervellone” si attiva. “Dieci anni fa i Cio si davano da fare

mula diametralmente opposta al mainframe “in casa”, quella dei servizi Paas con applicazioni “critiche”, che in Italia sono quasi una rarità, con un numero di player che si conta sulle dita di una mano. Uno di questi è Wiit, in crescita del 37% grazie a pesanti investimenti in infrastrutture (data center Tier 4, cioè il massimo dell’affidabilità). “Noi offriamo, ad esempio, business continuity in ambiente Sap”, dice Alessandro Cozzi, fondatore e Ceo di Wiit, “un livello di servizio prima raggiungibile dalle grandi e medie imprese solo con infrastrutture di proprietà. Stiamo crescendo tanto perché la transizione verso le soluzioni cloud è favorita dalla virtualizzazione, che consente di abbattere i costi della migrazione verso l’esterno dell’azienda, se ci si rivolge a provider come noi”. Per Cozzi, i giovani Cio non si faranno problemi a rottamare le vecchie architetture “in-house”: per i data center del futuro si prospetta una battaglia generazionale tra i nuovi mainframe agili e i flessibili servizi Paas? E.M.

E LA CINA SPINGE SUI SUPERCOMPUTER High Performance Computing e Lenovo: un binomio reso possibile dall’acquisizione delle attività legate ai server x86 di Ibm. Grazie ai nuovi asset, il colosso cinese ha aperto a Stoccarda l’Hpc Innovation Center, una struttura che costituisce il fulcro di una rete mondiale di centri minori impegnati su queste tecnologie. Lenovo ha sottolineato come il suo impegno nel settore non sia né temporaneo né secondario. “L’Hpc è sempre stato il motore per i progressi tecnologici,” ha detto Peter Hortensius, chief technology officer della società. Le aree di ricerca su cui il centro si concentrerà sono tre: le architetture di calco-

lo di nuova generazione, l’aumento della potenza e i Big Data. Per la gestione della proprietà intellettuale, il modello scelto da Lenovo è quello di un framework aperto che dovrebbe favorire la collaborazione di chi svilupperà progetti di ricerca. “Il mercato dell’High Performance Computing è uno di quelli che cresce più velocemente, e in due o tre anni arriverà a valere circa 15 miliardi di dollari”, ha spiegato Aymar de Lencquesaing, president North America e senior Vp di Lenovo. “L’area Emea è il secondo mercato mondiale e Germania, Francia, Gran Bretagna e Italia insieme ne valgono i due terzi.” P.G.

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SCENARI | Cloud ibrido

la strada verso l’ibrido è in discesa Il modello misto si imporrà. Ci sono pochi dubbi, anche se molte aziende non hanno ancora le idee chiare. Lo rivela una ricerca Avanade e lo testimonia l'esperienza sul campo.

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ntro i prossimi tre anni, più della metà degli applicativi e servizi It girerà su sistemi cloud ibridi. è questo il responso di un’indagine condotta su scala globale da Avanade e che ha visto protagonisti mille manager di altrettante aziende in 21 Paesi, Italia compresa. Ma se quella del modello misto è indubbiamente in prospettiva la scelta vincente, i dubbi e le paure restano. Così resta la confusione su come sia effettivamente costituito un sistema ibrido, evidenziata da un 58% di risposte di società che dichiarano di non avere una strategia definita in proposito. La ricerca di Avanade ha messo anche in luce come i più motivati in questo slancio verso il cloud non siano tanto i responsabili It, quanto i top manager, che vedono nell’adozione del nuovo paradigma un vantaggio competitivo sensibile. Queste figure dirigenziali sono anche le più propense a considerare un utilizzo immediato del cloud anche per le applicazioni “critiche”, come gli analytics, l’e-commerce o i servizi a diretto contatto con il cliente finale. “Penso che quello ibrido sia il modello del futuro”, spiega Mick Slattery, executive vice president global service lines di Avanade, “perché è l’unico in 18

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grado di offrire sia i benefici delle soluzioni on-premise sia quelli del cloud pubblico. è vero, però, che alle buone intenzioni espresse dagli intervistati (il 69% ha infatti dichiarato che i progetti di cloud ibrido saranno al centro delle loro strategie già da quest’anno) non corrispondono necessariamente idee chiare. Penso sia soprattutto un problema di esperienza. A molte organizzazioni mancano gli skill e le persone giuste, un po’ come è successo con il fenomeno dei Big Data e dei data scientist. Avanade sta investendo molto nel far capire alle aziende il vero potenziale del cloud ibrido e poi, ovviamente, le affianca nell’implementazione”. Anche quando i progetti partono, non è detto che prendano la strada giusta: il 71% delle aziende, infatti, ha dichiarato di utilizzare semplicemente le infrastrutture cloud per eseguire applicativi già esistenti, senza quindi sfruttare le potenzialità della nuvola. “Non è facile seguire il passo dell’innovazione”, dice Slattery, “ma a mio modo di vedere quello che conta è iniziare il viaggio. Una volta che hai implementato l’ambiente e gli strumenti di gestione, la strada verso il cloud ibrido è in discesa. Da parte nostra, aiutiamo le aziende in questo percorso con Hybrid

Mick Slattery

Luigi Scappin


Noovle, il cloud à la carte

Cloud Solution, un potente e flessibile ambiente di gestione sviluppato insieme a Microsoft”. L’Italia colma il gap

Per quanto riguarda l’Italia, i dati di Avanade sono leggermente meno positivi di quelli globali: perdiamo quattro punti percentuali nella misura dell’entusiasmo nei confronti del cloud ibrido e altrettanti quando si valuta la capacità di comprenderne i reali benefici. Ma anche in questo caso, sia pure con un fisiologico gap, la strada è in discesa. “Per noi e per i nostri clienti”, racconta Luigi Scappin, direttore prevendita e business development technology di Oracle Italia, “il cloud è ibrido per definizione. Certo, mentre per i nuovi progetti viene quasi spontaneo partire subito con un modello misto, più difficile è far migrare grandi piattaforme on-premise”. Dal punto di vista di Oracle, il viaggio

verso il cloud ibrido non è certo impedito dalla tecnologia. Piuttosto, dicono gli specialisti, è necessario avere una strategia di sourcing per decidere quali applicazioni tenere su piattaforme private e quali mettere sul pubblico. La particolarità dell’offerta della multinazionale è che utilizza le stesse infrastrutture, Exadata ed Exalogic, sia per erogare i servizi SaaS (Software as a Service) sia per affiancare i clienti nella costruzione di una piattaforma ibrida. In questo modo, il passaggio dal privato al pubblico (e viceversa) è sicuramente più agevole, perché gli applicativi restano gli stessi. “Le imprese italiane hanno bisogno di affiancamento”, dice Scappin, “ma non sono così lontane dall’obiettivo di implementare un efficiente cloud ibrido. Sicuramente sono più avanti di quanto possa sembrare, sono nella fase finale del viaggio”. Emilio Mango

Mettersi al fianco delle aziende e aiutarle a cambiare le regole del gioco, attraverso un ampio menu di soluzioni informatiche su misura, da utilizzare direttamente nella nuvola. Questa la missione di Noovle, una startup (nata nel 2013 dalla fusione di Global Base e Scube NewMedia, due partner Google for Work in Italia) che si è già conquistata un posto al sole fra i cloud provider italiani. Il cloud, come dice Piergiorgio De Campo, co-founder e Cto della società milanese, “è la piattaforma che rende possibile la trasformazione digitale”. E in quest’ottica lavorano le oltre cento persone in organico e una rete capillare di consulenti, project manager e sviluppatori su tutto il territorio nazionale. Dove e come Noovle è riuscita a migliorare e semplificare i processi di business delle imprese italiane? I testimonial che può portare a esempio sono diversi: Gruppo De Agostini, Fater, Hoepli, il marchio di abbigliamento Twin-Set, Autogrill. La scelta di puntare sul cloud (e sulle Google Apps for Work) si è concretizzata a vari livelli, dai servizi di comunicazione a quelli di video collaboration a distanza, dalle applicazioni per gestire online la dematerializzazione legale dei documenti con servizi di firma digitale ai tool di ricerca sul Web per migliorare l’attività di e-commerce. Il tutto condito dalle capacità di elaborazione, in chiave Big Data e analytics, della piattaforma Google Cloud.

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SCENARI | Machine to machine

Il ponte fra M2M e IoT? la multidisciplinariEtà Le connessioni fra macchine sono in forte crescita in Europa e anche in Italia, dove non mancano certo le eccellenze. Un fenomeno, trainato da settori chiave come trasporti ed energia, che si sta proiettando nel futuro.

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l concetto di Internet delle cose non è nuovo. Ha preso diversi nomi negli anni ma è diventato popolare negli ultimi tre o quattro, quando il mercato dei sistemi M2M ha cominciato a maturare, muovendosi dalla pura connessione tra macchine allo sviluppo di servizi a valore aggiunto che ruotano intorno ai dati trasmessi. Parliamo di singole applicazioni in specifici settori, come le soluzioni di fleet management o quelle per il monitoraggio di oggetti immobili come i distributori automatici. L’uso delle tecnologie M2M va affermandosi con maggiore enfasi nel campo automotive, 20

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attraverso iniziative come l’e-Call (lo standard europeo per le chiamate di emergenza automatiche in caso di incidente stradale), e in quello dell’energia con i progetti di smart metering. Ma un po’ tutti i comparti industriali, incluso il settore manifatturiero, sono interessati da un fenomeno che sta diventando strategicamente importante per le aziende. Un mercato in forte sviluppo

La diffusione delle tecnologie M2M si riflette anche nei numeri. Alla fine del 2013 erano 44,5 milioni le connessioni machine-to-machine su rete cellulare

attive in Europa. L’incremento annuo è nell’ordine del 30% e può essere definito come una crescita forte. In Italia lo sviluppo del mercato machine-tomachine, dominato da Telecom e Vodafone, è in linea con quello europeo. Alla fine del 2013 si contavano sei milioni di connessioni via rete cellulare all’interno di un ecosistema M2M di tutto rispetto, che attinge a una ben nota tradizione ingegneristica e che oggi si propone con successo a livello internazionale. Alcuni esempi sono l’acquisizione di Cobra Technologies da parte di Vodafone, l’entrata nel mercato ameri-


Saverio Romeo, principal analyst, Beecham Research

cano di AboData con la piattaforma Plat-One, il ruolo internazionale di OctoTelematics, il fenomeno italiano delle assicurazioni “usage based insurance” (i cui costi sono calcolati, per esempio, in base ai chilometri percorsi dall’automobilista, ndr), il contributo alle connected car di Magneti Marelli, il ruolo giocato nel campo dei veicoli agricoli connessi da Cnh e Lamborghini. Ed esiste anche una nuova ondata di aziende e tecnologie che si muove direttamente verso il mondo dell’Internet of Things e che ha certamente come apripista Arduino. I dati alla base del fattore smart

Se il mondo M2M va certificando il suo valore, parte di esso si sta spostando verso l’IoT e quindi verso applicazioni che si muovono in spazi fisici e si nutrono di diverse sorgenti di dati. Il concetto di smart city può essere analizzato da questo punto di vista: la città intesa, cioè, come un insieme di sistemi interconnessi, ognuno dei quali deputato a raccogliere dati. Dati che vengono condivisi, integrati e utilizzati per applicazioni cross-settoriali

o verticali più ricche perché basate su una pluralità di informazioni. E così parliamo di smart home, smart factory, smart healthcare e smart farming. L’Internet delle cose è una visione che cambia gli spazi in cui ci muoviamo e il modo con cui interagiamo con questi spazi. Qui entra in gioco il variegato mondo degli oggetti connessi e degli oggetti indossabili, che creano l’interazione tra luoghi e persone. La sicurezza delle informazioni, delle interazioni e manipolazioni dei dati diventa, di conseguenza, un elemento critico ma anche un’opportunità di business. Ci sono però altri problemi tecnologici da risolvere, come l’interoperabilità e l’integrazione con altri sistemi It, tanto per menzionarne un paio. Dato il suo impatto nel mondo aziendale e nella società, una visione tecnologico-cen-

Il mercato machine-to-machine in Italia, dominato da Telecom e Vodafone, cresce in linea con quello europea per numero di connessioni da rete mobile

trica dello sviluppo dell’Internet delle cose sarebbe comunque limitante. La tecnologia è essenziale, ma non unica. E qui ritorna il pensiero di La Civiltà delle Macchine, la rivista degli anni Cinquanta e Sessanta diretta dall’allora responsabile della comunicazione di Finmeccanica, Leonardo Sinisgalli. Una rivista che rifletteva la natura multidisciplinare di una certa industria ispirata al funzionalismo delle macchine, al loro valore sociale e alla loro estetica. L’Internet delle cose è multidisciplinare per natura e la multidisciplinarietà si raggiunge attraverso collaborazioni sinergiche tra attori di diverse industrie. L’Italia ha dalla sua parte questa tradizione e se si riscopre “sinisgalliana” avrà un ruolo importante nello sviluppo futuro dell’Internet of Things. Saverio Romeo

SERVONO GLI STANDARD. FIRMATO AGCOM In una delle prime indagini conoscitive condotte a livello europeo sul tema del machine-to-machine, l’Autorità per la garanzia delle comunicazioni è andata a caccia delle motivazioni che influenzano la creazione e l’utilizzo dei servizi di comunicazione M2M e, più in generale, dell’Internet of Things. Dallo studio sono emerse alcune criticità, tra cui spiccano quelle relative allo sviluppo di questi servizi e all’eterogeneità dei soggetti coinvolti. Il machine-to-machine sta modificando le relazioni tra gli operatori tradizionali di telecomunicazioni: dal tipico modello B2C (Business to Consumer) si sta passando al B2B (Business to Business) e al B2B2C (Business to Business to Consumer) e così facendo le telco stanno perdendo la relazione diretta con l’utente finale, che diventa invece prerogativa dei provider. Tale fenomeno, dice l’Agcom, “ha impatti rilevanti in termini di garanzie contrattuali e data protection degli utenti, ed è emerso che le infrastrutture a oggi utilizzate per fornire i servizi M2M sono inadeguate a soddisfare le esigenze trasmissive, così come le soluzioni tecnologiche sono estremamente frammentate e le piattaforme risultano di natura prevalentemente proprietaria”. Un’analisi impietosa che sfocia in una ricetta già ben nota agli addetti ai lavori: è necessario incentivare la creazione di piattaforme standard, eventualmente anche attraverso l’intervento pubblico.

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SCENARI | Machine to machine

TECNOLOGIA italiana PER LE auto connesse Cobra Automotive è un’azienda, di proprietà di Vodafone, che opera nel campo dei sistemi di telematica. Nel suo centro di Varese si progettano, sviluppano e producono (a milioni) i componenti intelligenti che gestiscono la diagnostica dei veicoli.

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l mercato del machine-to-machine a livello globale è cresciuto nel 2014 dell’80% e Vodafone, lo dicono i dati di Gartner, è fra le aziende che più ha contribuito alla popolarità di questo comparto in virtù degli oltre 16 milioni di schede dati Sim installate dentro apparati e apparecchi di vario genere in tutto il mondo. L’automotive, l’elettronica di consumo e l’energy&gas sono i settori che guidano un mercato in fortissima espansione, coprendo circa un terzo delle soluzioni M2M implementate. Le auto connesse sono oggi il 5% del totale circolante e, nel nostro Paese, rappresentano circa la metà degli oggetti che formano quel grande ecosistema chiamato Internet delle cose. I veicoli sono anche il terreno di applicazione a più diretto impatto per l’utente (consumatore, professionista o addetto aziendale che sia) del fenomeno machine-to-machine, sotto forma di servizi quali la diagnostica da 22

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remoto, l’infotainment e i sistemi di sicurezza. In attesa che i Big Data, e quindi la raccolta, l’analisi e la condivisione delle informazioni nella cloud diventino il vero paradigma della rivoluzione digitale dentro gli abitacoli. Un polo tecnologico internazionale

In questo specifico mondo opera Cobra Automotive Technologies, una società oggi controllata al 100% da Vodafone Group, che l’ha acquisita la scorsa estate per 140 milioni di euro (assorbendone i debiti). L’obiettivo dell’operatore telco è quello di fare dell’azienda varesina

(un totale di 880 dipendenti, di cui 550 in Italia e circa 200 nell’area R&D) il proprio polo tecnologico per la ricerca e lo sviluppo su scala internazionale di soluzioni M2M, soprattutto per le quattro e le due ruote. Un centro di eccellenza per la telematica insomma, di cui Vodafone vuole alimentare la crescita con un importante investimento industriale, che rientra nel budget biennale di 3,6 miliardi euro da destinare alle infrastrutture di rete fissa in fibra e mobile 4G. A valle dell’operazione, il focus dell’azienda non è cambiato e guarda a tutto ciò che si configura come solu-


zioni in grado di controllare comandi e funzionalità dei veicoli, delle scatole nere e dei software e i servizi a esse correlate: dagli allarmi, ai sistemi per il parcheggio assistito. L’Italia è oggi uno dei Paesi più avanzati al mondo per quanto riguarda l’adozione di soluzioni “usage based” e in questo solco Cobra, sin dal 2007, fornisce la telematica alla base delle cosiddette polizze “pay per use” e “pay as you drive” offerte dalle società di assicurazione (Generali è il cliente di riferimento). Dalle auto allo smart metering

Il punto di partenza della nuova Cobra sono sicuramente le tante case automobilistiche che, sul fronte europeo e asiatico, l’azienda ha saputo coltivare e fidelizzare negli anni e quelle che (come General Motors) è pronta a servire con nuovi progetti: Audi, Bentley, Ducati, Ferrari, Gruppo Piaggio, Lamborghini, Maserati, Mc Laren, Porsche, Renault, Kia, Hyundai, Toyota, Honda, Nissan, Volvo, Gruppo Volkswagen. Insomma, una nutrita rappresentanza del gotha dell’industria automobilistica mondiale, per cui lavora un team “multisite” di ingegneri dislocati fra Italia, Giappone e Corea del Sud, mentre le sedi di assemblaggio e di produzione si trovano in Italia e Cina. L’asset messo in campo da Vodafone, oltre alle sue tecnologie e alla sua rete, sono i 2,8 milio-

ni di connessioni M2M gestite in Italia nel campo delle assicurazioni auto, delle flotte aziendali, della logistica (mobile asset tracking e vending telemetry), dello smart metering e delle smart grid. Tutto ruota intorno all’utilizzo di una Sim dati all’interno di dispositivi, macchine e apparati ed è su questo fronte che Cobra è chiamata a fare un ulteriore passo in avanti. Le sue velleità di player globale in campo M2M trovano fondamento nelle competenze e nei numeri che caratterizzano l’operatività quotidiana della sede di Varese. I test sull’affidabilità, le prestazioni e la compatibilità dei singoli componenti che saliranno a bordo veicolo, hanno spiegato a Technopolis gli ingegneri di Cobra, sono l’attività cruciale. La ripetitività dei controlli (un nuovo prodotto viene testato 20/25 volte in un anno prima di andare in produzione) e le modalità di test (condotto in autonomia dal computer sul banco di prova, al tecnico è demandata la responsabilità di programmarlo e ottimizzarlo) sono due degli ingredienti della ricetta telematica dell’azienda. Gli altri, ingegneria di processo e robotica avanzata in primis, si possono apprezzare dentro la fabbrica che sforna ogni giorno oltre 20mila prodotti finiti tra moduli Gps, allarmi, scatole nere, centraline, sensori di parcheggio assistito e altro ancora. Gianni Rusconi

ARDUINO ALLA TEDESCA PER LA ROBOTICA INDUSTRIALE Si chiama Axes Motion Shield ed è l’ultima fatica che Arduino ha portato a termine in collaborazione con Bosch Sensortec, una sussidiaria del gruppo Robert Bosch. La nuova piattaforma hardware sfrutta un sensore di orientamento a nove assi appositamente creato per la casa di Strambino (Torino), in veste di scheda intelligente, al servizio della creazione rapida di prototipi.

Tanti gli ambiti di applicazione: domotica, Internet of Things, robotica industriale, indoor navigation, realtà aumentata, gaming e dispositivi indossabili. Come sottolinea l’amministratore delegato di Arduino, Federico Musto, “grandi player internazionali hanno iniziato a vedere nel progetto open source veicolato dalla casa italiana un volano per lo sviluppo di nuove applicazioni”.

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SCENARI | Machine to machine

Il “motore” che fa correre l’Internet delle cose Le aziende e i vari anelli della catena manifatturiera possono diventare dei produttori connessi. Serve però un’infrastruttura in grado di trasferire i dati nel cloud e di trasformarli in informazioni utili al business.

L’

Internet delle Cose è un concetto ad ampio spettro che sta generando un nuovo ordine economico. Le soluzioni IoT stanno impattando profondamente sulla gestione delle aziende: gli early adopter osservano un miglioramento del proprio posizionamento competitivo e una notevole accelerazione della redditività. L’IoT Engine di Telit è il motore di questo processo. Permette di accedere a un più ampio ventaglio di dispositivi connessi, di aumentare la loro visibilità e di capire il modo in cui i clienti usano i prodotti dell’azienda. Una connessione machine-to-machine (M2M) è un metodo di monitoraggio in tempo reale dei processi industriali che permette di compiere un’azione di rimedio prima che qualcosa smetta di funzionare. Una soluzione di Internet delle cose va oltre, consentendo alle aziende di diventare dei “produttori connessi”. Tutti gli anelli della catena manifatturiera – fornitore, impianti, distributori, prodotti finali – possono diventare connessi. Un

motore come quello di Telit permette anche di trasferire dati ininterrottamente dai dispositivi che monitorano dati ed eventi verso il cloud aziendale, dove tale flusso viene processato e trasformato in tempo reale in informazioni utili per prendere decisioni di business più consapevoli. Le soluzioni IoT ed M2M si dividono sommariamente in tre settori: acquisizione, trasmissione e trattamento dei dati. L’IoT Engine di Telit combina queste tre aree in una catena di valore ininterrotta. L’acquisizione dei dati è affidata al nostro portfolio hardware, i moduli, che sono il cuore pulsante che tiene in vita 24 ore su 24, sette giorni su sette, le applicazioni. La connettività fra i dispositivi e un cloud pubblico o privato è solitamente basata su una rete wireless e su Internet. La nuvola è la struttura di computing centrale in cui i dati vengono processati. I moduli e i servizi di connettività sono i mezzi con cui raggiungere il fine della creazione e dello sviluppo di applicazio-

ni. La Application Enablement Platform utilizzabile per realizzarle è progettata per i diversi tipi di dispositivo e di architettura che convivono nell’Internet of Things. Alexander Bufalino, Cmo di Telit Wireless Solutions

NEL MONDO IPER-CONNESSO SERVE UN CAMBIO DI MENTALITÀ L’Internet of Things: oggetti e apparecchi con sensori incorporati e chip capaci di comunicare online dati e informazioni a sistemi remoti. Secondo Gartner, questo scenario si tradurrà entro il 2020 in 50 miliardi di dispositivi collegati a Internet. L’entusiasmo legato a questo nuovo mondo iper-connesso rischia di offuscare una problematica seria: il numero crescente di dispositivi collegati alla rete comporterà una catena di nuove implicazioni in termini di sicurezza.

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Nelle aziende, il personale utilizzerà un numero sempre maggiore di dispositivi per lavorare e pretenderà che la propria organizzazione sia in grado di supportarli. Già oggi, in parte, le aziende si trovano ad affrontare queste richieste, e riuscire a garantire il livello giusto in termini di sicurezza è un aspetto centrale della discussione […]. Per implementare la sicurezza idonea all’IoT è necessario un cambio di mentalità. Siamo lontani dai giorni in cui

investire in sicurezza significava semplicemente sostenere un costo iniziale elevato ed evidente. Ad esempio, gli attacchi DDoS – che puntano a rendere una macchina o una risorsa di rete non disponibile agli utenti a cui è indirizzata – richiedevano in passato soluzioni di mitigazione costose mentre oggi la protezione è disponibile As-a-Service. Eugenio Libraro, regional director Italy&Malta di F5 Networks


SPECIALE | Mobility

Aziende Oltre il Byod Usare dispositivi personali in ambito lavorativo è ormai pratica comune. Il Bring Your Own Device si è evoluto sia a livello di device sia sul fronte delle app. Difficile, ma necessario, definire i confini tra privato e aziendale, anche per tutelare la sicurezza delle informazioni.

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l modo di utilizzare la tecnologia è cambiato e questo si riflette anche in ambito aziendale. Adattarsi alle esigenze di un lavoro dinamico rappresenta il fondamento di ogni moderna organizzazione, le cui risorse devono essere disponibili sempre, ovunque e su ogni device. “Lavorare in movimento alimenta anche il fenomeno Byod, Bring Your Own Device”, afferma Emilio Tonelli, senior sales engineer South Europe di WatchGuard Technologies. “È innegabile, infatti, la comodità per il professionista di poter utilizzare un unico dispositivo,

quello preferito, per le attività professionali e personali, il tutto senza dovere necessariamente cambiare contesti applicativi, terminali, configurazioni e personalizzazioni. La mobility, e con essa il Byod, è la priorità nell’agenda di tutti i responsabili It. In Italia le stime parlano di oltre 13 milioni di lavoratori, circa il 56% del totale, che svolgono la loro attività in mobilità”. Da un recente studio condotto da Idc su un migliaio tra Cio e It manager di diversi Paesi europei, Italia compresa, è emerso che il 70% delle aziende considera la mobility un’alta priorità e inten-

de, entro la fine del 2015, rendere mobile il 40% della forza lavoro. Secondo recenti rilevazioni di Idg Enterprise, circa l’84% delle aziende abbracciando le tecnologie Byod ha registrato un incremento della produttività dei propri dipendenti. Dati che non stupiscono, visto che i professionisti richiedono flessibilità e vogliono avere la stessa esperienza utente il lunedì in ufficio e il sabato pomeriggio sul divano. A dirlo è Zoran Radumilo, innovation sales director di Sap Italia: “Questo fenomeno è ancora più accentuato se pensiamo alla generaAPRILE 2015 |

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SPECIALE | Mobility

zione dei Millennial, per i quali non esiste differenza tra il dispositivo aziendale e quello privato, tra user experience in ufficio o al bar con gli amici. Dal punto di vista dell’individuo, invece, il ‘worklife blend’, cioè la commistione tra vita lavorativa e privata, è ormai una realtà assodata: nove italiani su dieci ammettono di far parte di questo fenomeno e il 50% dichiara di utilizzare il proprio smartphone per attività lavorative, mentre il 32% ammette di usare quello aziendale per questioni personali”. Una situazione pienamente confermata dallo studio “Consumerization of the Workforce” di Intel Security, dal quale emerge che l’86% dei professionisti italiani porta e utilizza dispositivi personali al lavoro (72% lo smartphone, 32% il tablet) e il 79% ammette di usare il device aziendale per uso personale (mail, operazioni bancarie, shopping online). Due intervistati su tre ritengono che il proprio lavoro si semplifichi potendo sfruttare più dispositivi connessi. Mobile è anche indossabile

La tendenza, soprattutto al di fuori dell’Italia, è quella di associare al Byod anche il Cyod, acronimo che sta per Choose Your Own Device, per il quale l’azienda permette al dipendente di scegliere il dispositivo che preferisce; o, addirittura, di affiancarvi il più ampio ByoIoT, Bring Your Own Internet of Things, includendo i wearable device. È l’opinione di Francesco Tragni, senior principal consultant di Ca Technologies, che aggiunge: “Per le aziende l’importante è aiutare i dipendenti ad aumentare la produttività con un oggetto smart”. Questo trend è confermato anche dalla ricerca “Walking into Wearable Threats” di Trend Micro, che ha coinvolto 800 senior It decision maker in Europa e Medio Oriente: secondo questo studio, il 79% delle aziende europee sta sperimentando un aumento nel numero di dipendenti che adoperano i wearable device sul luogo di lavoro. Il 19% ne sta già implementando l’utilizzo e un 26

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altro 34% si dimostra interessato a farlo. In Italia le imprese sembrano aperte alle novità, con l’81% che incoraggia l’utilizzo dei nuovi dispositivi: il 71% degli intervistati è interessato a diffondere l’uso degli smartwatch, in particolare, e il 27% pensa che nella propria azienda sia già presente un numero di dipendenti compreso tra i 50 e i 100 che utilizza i wearable device. Il 62% del campione italiano, inoltre, si aspetta un incremento significativo nel ricorso alle tecnologie indossabili nei prossimi dodici mesi. Scatta l’ora delle app

Le aziende dinamiche applicano politiche che prevedono Byod, Cyod e Byoa (Bring your Own Application), collaborano e condividono le risorse aziendali nel cloud, e creano postazioni di lavoro ovunque. Ma che cosa offrire ai dipendenti su questi device, oltre alla posta che oramai è una commodity? Se lo chiede Francesco Tragni di

Ca Technologies: “La risposta sta nella cosiddetta ‘appizzazione’ dei consueti strumenti di lavoro”. Secondo una ricerca di Idc (“Enterprise Mobility Survey”), nel 2014 il 40% delle aziende, fra coloro che non avevano ancora lanciato app mobili, stava valutando la possibilità di farlo a breve, e un altro 35% entro dodici mesi. “Questo comporta da parte dell’Ict una gestione più smart e integrata di tutti i sistemi di sicurezza interni, che non sono più legati alla logica del fortino accessibile solo via intranet”, continua Tragni, “e una definizione di policy chiare e semplici per l’accesso alle app aziendali da parte di tutti i device, siano essi del dipendente o dell’azienda”. Nelle organizzazioni i cui dipendenti con conoscenze tecnologiche avanzate utilizzano già una media di due o più dispositivi per lavoro, ne saranno usati fino a cinque nel 2016. Secondo il rapporto sui principali trend tecnologici di Gartner, “Top 10 Tech Trends 2014”,


re interesse degli ultimi dodici mesi, percentuale superiore rispetto a chi si è dimostrato più preoccupato della gestione degli aggiornamenti hardware o dell’implementazione della tecnologia di virtualizzazione. Questo mette i responsabili It di fronte a molteplici sfide relative alla sicurezza della forza lavoro mobile: la domanda di mobilità è in continuo aumento, ma allo stesso tempo gli utenti sono meno propensi a dotarsi di sistemi di sicurezza per smartphone e tablet. Una politica di gestione dei dispositivi mobili (Mobile Device Management, Mdm), in aggiunta ai software di sicurezza degli endpoint già esistenti, può essere un importante valore aggiunto. Sicurezza, problema dell’azienda

tale diversificazione costituisce una delle maggiori tendenze odierne, che pone nuove sfide per la sicurezza e richiede soluzioni di protezione moderne e appropriate. “Un crescente numero di app su un maggiore numero di sistemi operativi e su sempre più dispositivi”, commenta Miska Repo, country manager per Italia, Spagna e Portogallo di F-Secure, “rende la relativa gestione aziendale davvero cruciale”. Dipendenti distratti

L’indagine “2014 It Security Risks” di Kaspersky Lab ha analizzato input provenienti da migliaia di responsabili della sicurezza It di tutto il mondo: ne è emerso che più di un terzo dei dipendenti (38%) impiega due giorni per notificare al proprio datore di lavoro il furto di dispositivi mobili, mentre il 9% attende addirittura dai tre ai cinque giorni. Più di un terzo (34%) degli intervistati ha indicato l’integrazione di dispositivi mobili come l’argomento di maggio-

“La maggior parte degli utenti di telefonia mobile in genere non si occupa di gestire la sicurezza dei propri dispositivi”, commenta Ferdinando Torazzi, regional director enterprise & endpoint Italy & Greece di Intel Security. “Il loro primo pensiero è comunicare e fare business. Ed è per mancanza di consapevolezza che il più delle volte sono loro stessi a esporre le aziende al rischio”. Dallo studio dell’azienda “Consumerization of the Workforce” emerge che, a livello italiano, le attività svolte sul posto di lavoro sono personali, confidenziali o private per circa due terzi (64%) degli intervistati. Inoltre, più di uno tre (36%) ha ammesso di connettersi a Internet con il portatile aziendale tramite WiFi anche se non ha la certezza che sia sicuro. La maggior parte dei professionisti (54%) è preoccupata della sicurezza dei propri dati quando si trova al lavoro, percentuale che sale al 62% quando esce dall’ufficio. Timorosi o no, si affidano al datore di lavoro: il 68% è convinto che questo stia prendendo le misure necessarie per proteggere tutti i dati importanti e il 76% pensa che sia responsabile della protezione delle informazioni personali conservate sui dispositivi aziendali.

Prevenire è meglio che curare

Il Byod inizia a essere più presente nelle grandi e piccole aziende tricolori: basti pensare che più di un terzo degli italiani (35%) decide di comprare nuovi smartphone e tablet con l’obiettivo di utilizzarli a scopo professionale (fonte: “Studio Samsung Techonomic Index” condotto da Ipsos Mori e commissionato dall’European Samsung Lifestyle Research Lab). “Anche le realtà che inizialmente erano restie all’ingresso di terminali privati nei sistemi aziendali si stanno rapidamente evolvendo, incentivando addirittura il dipendente a sostituire telefono o tablet con uno certificato per l’uso in azienda”, afferma Martino Mombrini, B2B marketing manager di Samsung Electronics Italia. “Questo cambiamento ha portato notevoli vantaggi in termini di cost saving sui terminali e una crescente efficienza lavorativa dei dipendenti. Il tutto nella misura in cui l’azienda lo accetta e lo istituzionalizza, regolando quindi le policy d’uso e i programmi autorizzati e non accettando il rischio di un impiego indiscriminato e non regolamentato dei device personali in ambito lavorativo”. Gli esperti di sicurezza di Intel Security suggeriscono di sviluppare una policy che indichi il modo giusto per utilizzare i dispositivi personali sul lavoro e quelli aziendali per le attività private, assicurandosi che tale policy sia aggiornata costantemente per essere in linea con il mutamento delle esigenze. Questa dovrebbe definire i termini per un uso “accettabile” a casa e in azienda, chi è idoneo per il Byod e quali sono i dispositivi autorizzati, a quali siti Web o servizi cloud è consentito l’accesso per motivi di lavoro, whitelist e blacklist di applicazioni che i dipendenti possono utilizzare, nonché le conseguenze e le responsabilità per chi non rispetta le regole. Maria Luisa Romiti 27


SPECIALE | Mobility

L’importanza del controllo Nelle aziende sta crescendo la consapevolezza di dover sviluppare strategie per migliorare la gestione di smartphone e tablet e rendere più agevole l’operatività sul campo. In questo contesto le soluzioni di Mobile Device Management ricoprono un ruolo essenziale.

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ANDREA CARDILLO - MICROSOFT

ALESSIO BANICH - BLACKBERRY

econdo i risultati della ricerca “One Poll People-Inspired Security”, in Europa coloro che tendono più a sovrapporre vita privata e lavorativa sono proprio gli italiani. La diffusione di device mobili di proprietà personale sul posto di lavoro sta quindi costringendo le organizzazioni a valutare sistemi di controllo e gestione dei dispositivi introdotti nell’ambiente aziendale. “Pionieri sono in particolare i mercati più esposti all’utilizzo della tecnologia, come il manufatturiero, il retail o il settore bancario”, spiega Marenza Altieri-Douglas, enterprise executive Italy di AirWatch, azienda di Vmware, “ma anche i settori ad alta regolamentazione come quello scolastico e sanitario, che si stanno accorgendo del loro ritardo”. Con la diffusione del Byod, le aziende si sono rese conto di quanto sia oneroso, complesso e spesso poco sicuro permettere l’utilizzo aziendale di un device

qualsiasi. “Come sempre avviene le organizzazioni sono restie a fornire informazioni sui problemi sperimentati e ciò accade anche nel caso delle statistiche per il Byod, che crea anche problematiche non trascurabili di privacy”, afferma Franco Prampolini, telco industry leader di Ibm Italia. “È innegabile che oggi si stiano affermando i modelli Cyod (Choose Your Own Device), in cui la scelta è limitata a un insieme di dispositivi predefiniti, e Cope (Corporate Owned, Personally Enabled) che prevede che l’uso personale di dispositivi di proprietà aziendale. Questi, se supportati anche da efficaci policy di gestione dei terminali mobili implementate attraverso prodotti di Mobile Device Management, consentono uno sviluppo sicuro della mobility aziendale, in continuità con la dimensione personale”. Pc, portatili e tablet

Nelle soluzioni presenti a portafoglio di Ca Technologies è disponibile il “classico” Mdm che permette di gestire, oltre alle principali tecnologie mobili, anche desktop e laptop aziendali, tramite l’integrazione con Client Automation (software per la gestione da remoto dei Pc). “Grazie alla tecnologia Smart Containerization è possibile utilizzare i servizi di content manager, application manager ed e-mail manager. Questi ul-

timi permettono di definire in modo dinamico e granulare le policy fino al singolo contenuto”, spiega Francesco Tragni, senior principal consultant di Ca Technologies. “Le applicazioni Ca permettono inoltre di condividere documenti tra i colleghi definendo chi vi può accedere e con quali privilegi“. La proposta di AirWatch, azienda di VMware, consente di gestire in maniera centralizzata tutti gli asset mobile in azienda: da smartphone, tablet e laptop ai contenuti e ai dati (tramite la soluzione AirWatch Content Locker) fino alle applicazioni, con la creazione di un AppStore personalizzato su misura del cliente, dalla posta elettronica alla navigazione Internet mobile. A dirlo è Marenza Altieri-Douglas, enterprise executive Italy della società: “AirWatch ha creato AirWatch Workspace per la gestione separata di ambiente personale e aziendale con un’interfaccia utente particolarmente semplice e intuitiva”.


ZORAN RADUMILO - SAP ITALIA

MARENZA ALTIERI-DOUGLAS - AIRWATCH

L’offerta di prodotti Ibm MobileFirst comprende diverse soluzioni: per

esempio Mobile Quality Assurance e AppScan per la qualità e la sicurezza delle app, oppure Message Site e Xtify per fornire soluzioni di push notification o couponing. “Uno dei due prodotti principali è MobileFirst Platform, per gestire l’intero ciclo di vita delle mobile app“, afferma Franco Prampolini, telco industry leader di Ibm Italia. “L’altra soluzione è Mobile Protect: utile per gestire il dispositivo anche attraverso la funzionalità del Dual Persona, crea un contenitore dove si posizionano le applicazioni di business, protette con policy di sicurezza dedicate, mentre quelle personali possono rimanere esterne e sottosposte a procedure di sicurezza che possiamo definire più ‘leggere’. Permette anche la gestione, in un’unica vista omogenea e integrata, di tutti gli end-point sia fissi sia mobili dell’azienda”. Sap Mobile Platform è una piattaforma di sviluppo che aiuta le aziende a creare e adottare rapidamente applicazioni su misura per utenti interni ed esterni, e di scegliere fra implementazione on-premise o cloud. “Abbiamo appena annunciato i Sap Hana Cloud Platform mobile services”, commenta Zoran Radumilo, innovation sales director di Sap Italia. “Sono pensati per guidare l’innovazione del business con semplicità, collegando persone, dispositivi e reti grazie alle capacità end-toend di Sap, che vanno dallo sviluppo all’implementazione sicura delle applicazioni mobile”. Maria Luisa Romiti MARTINO MOMBRINI - SAMSUNG ELECTRONICS

Applicazioni al sicuro

FRANCO PRAMPOLINI - IBM ITALIA

Il Bes12 di BlackBerry permette, attraverso una console di amministrazione semplice e unificata, la gestione avanzata e multipiattaforma (iOS, Android, Windows Phone, Samsung Knox e BlackBerry) dei device mobili, andando incontro a tutte le esigenze di controllo e utilizzo: dal Byod ai dispositivi di proprietà dell’azienda. “Il Bes12 è integrato con l’infrastruttura globale e pluricertificata di BlackBerry, in modo da garantire una sicurezza end-to-end del dato aziendale senza dover ricorrere a soluzioni Vpn, oltre a consentire la tutela della privacy per i contenuti personali sul dispositivo”, commenta Alessio Banich, manager technical solutions di BlackBerry. Già da alcuni anni gli smartphone Samsung consentono di tutelare i dati grazie alla piattaforma di sicurezza mobile end-to-end Knox. “Garantisce la possibilità di creare due partizioni: una

FRANCESCO TRAGNI - CA TECHNOLOGIES

Piattaforme di sicurezza

dedicata alla vita lavorativa, in cui il livello di sicurezza è massimo e in cui si possono includere tutti gli applicativi e la posta aziendale, senza che questi vengano mai in contatto con la partizione personale, nella quale l’utente potrà gestire le app e i contenuti relativi alla propria vita privata”, precisa Martino Mombrini, B2B marketing manager di Samsung Electronics Italia. “Tutte queste caratteristiche sono poi integrabili con una soluzione Mdm proprietaria Samsung o di terze parti, quali BlackBerry, Airwatch, MobileIron, Sap Afaria e così via”. Microsoft propone una soluzione integrata per la gestione di più livelli (identità, dispositivo, applicazioni e dati) su piattaforme e formati eterogenei, come spiega Andrea Cardillo, direttore divisione cloud & enterprise Microsoft Italia: “L’Enterprise Mobility si focalizza sulla gestione dei servizi cloud e dei dispositivi mobili, nonché dei dati e delle identità dei dipendenti. La soluzione è studiata sulle esigenze delle aziende che devono operare su molteplici terminali, ottimizzando il lavoro all’interno del proprio network, grazie ai software proprietari Microsoft Intune, Azure Active Directory e Azure Rights Management Services. I dipendenti potranno collegarsi direttamente con il portale dell’azienda per visualizzare le applicazioni presenti e scaricarle sui propri dispositivi”.

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| Sed ut perspiciatis SPECIALE | Mobility SPECIALE

Smartphone e tablet sono al centro delle attezioni dei cybercriminali. Con l'avvento del Bring Your Own Device, questo problema riguarda sempre più le aziende, che devono rispondere alla frequente irresponsabilità dei dipendenti con strategie e soluzioni di sicurezza mirate.

All’attacco del mobile

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ALESSANDRO PERUZZO - PANDA SECURITY

vece, permettere alle aziende di porre in essere policy di sicurezza efficaci senza compromettere la produttività”. Un rischio su cui le imprese devono acquisire maggiore consapevolezza deriva dai loro stessi dipendenti, spesso poco attenti alla sicurezza dei device mobili che vengono collegati alla rete aziendale. L’interesse che i cybercriminali rivolgono ai dati sensibili delle organizzazioni è sempre più alto, soprattutto se queste operano negli ambiti di teleco-

FILIPPO MONTICELLI - FORTINET

FERDINANDO TORAZZI - INTEL SECURITY

DAVID GUBIANI - CHECK POINT

portante che la sicurezza assuma una funzione di abilitatore, garantendo una protezione a 360 gradi di tutti gli asset aziendali, senza limitarne prestazioni e funzionalità. A tal fine è necessaria un’offerta completa di soluzioni intelligenti. Non devono rappresentare un ostacolo, per esempio, alla diffusione dei dispositivi dei dipendenti o all’utilizzo sempre più crescente della nuvola come ambiente in cui archiviare dati e tramite cui offrire servizi. Devono, in-

ALESSIO DI BENEDETTO - SYMANTEC

T

ra le sfide che le aziende moderne devono affrontare, il Byod rappresenta una delle più complesse, soprattutto dal punto di vista della sicurezza. Un pensiero comune, riassunto fra gli altri da Marco D’Elia, country manager Sophos Italia: “I responsabili It devono coniugare due aspetti fino a oggi considerati difficilmente conciliabili: le esigenze dei dipendenti, che sempre più spesso lavorano da remoto e utilizzano i propri device mobili personali anche per l’attività di business, e la necessità di proteggere i dati da attacchi sempre più complessi”. Condivisione degli obiettivi, formazione dei dipendenti e soprattutto pianificazione della sicurezza: sono questi gli elementi da considerare quando si avvia un’iniziativa Byod in azienda. È questa l’opinione di Filippo Monticelli, country manager Fortinet: “È im-


municazioni, energia e servizi. “Kaspersky Endpoint for Business rappresenta una soluzione ideale, offrendo una piattaforma flessibile, dotata di funzionalità avanzate che consentono di gestire in modo semplice ed efficace tutti i dispositivi connessi alla rete aziendale con un impatto minimo sulle prestazioni”, afferma Morten Lehn, managing director Kaspersky Lab Italia. “Include Kaspersky Security for Mobile che, oltre a garantire funzioni di sicurezza multilivello, fornisce un’ampia gamma di strumenti di mobile device management aiutando le aziende a ridurre al minimo il tempo dedicato alla gestione degli endpoint e dei dispositivi mobili”. Gestione centralizzata

MARCO D’ELIA - SOPHOS

GIAMPIERO SAVORELLI - HP

Trend Micro protegge smartphone e tablet con Mobile Security, che permette ai responsabili It di attivare automaticamente le applicazioni sui dispositivi, controllando nel dettaglio quali app possono essere effettivamente installate. Come spiega Maurizio Martinozzi, manager sales engineering di Trend Micro, “Grazie all’integrazione con la console Trend Micro Control Manager, è anche possibile centralizzare i criteri e la gestione relativi alla sicurezza degli end-point di Trend Micro OfficeScan e delle altre nostre soluzioni”. La società propone anche una nuova soluzione, Safe Mobile WorkForce, che consente l’accesso sicuro da mobile ai dati corporate attraverso il delivery da un sistema operativo in remoto. “Il telefono è virtualizzato e rimane all’interno di un data center”, dice Martinozzi,

“mentre l’utente ha la stessa user experience, senza che i dati risiedano sul dispositivo fisico”. Panda Cloud Fusion, per il segmento enterprise, include Panda Cloud Office Protection Advanced, Systems Management e Cloud Cleaner Monitor, fornendo in un’unica piattaforma sicurezza, gestione e supporto remoto per tutti i dispositivi interni o esterni alla rete, inclusi smartphone e tablet. “Panda Systems Management, attivabile anche singolarmente, consente di gestire, monitorare e fornire supporto a tutti i dispositivi da una console Web”, precisa Alessandro Peruzzo, amministratore unico di Panda Security Italia. Questo sistema, spiega ancora Peruzzo, “permette di creare inventari hardware e software, di geolocalizzare, bloccare o eliminare i dati da remoto in caso di perdita o furto dei dispositivi e di bloccare alcune funzioni, quali l’installazione di giochi e applicazioni”. Freedome for Business, la soluzione di F-Secure progettata per tutelare privacy e sicurezza, è disponibile per smartphone, tablet e laptop. È una virtual private network mobile, in grado di proteggere dai malware e da tutte le principali minacce; tra le funzioni, abilita un accesso sempre sicuro anche su WiFi pubblico, blocca i tentativi di tracciamento e consente di accedere da posizioni virtuali dislocate in tutto il mondo. Miska Repo, country manager per Italia, Spagna e Portogallo di FSecure, spiega che Freedome è integrato in Protection Service for Business: “Si tratta della nostra soluzione di sicurezza chiavi in mano per le piccole e medie imprese. È basata su cloud e mette a disposizione un unico portale per gestire centralmente la sicurezza It da qualunque dispositivo“. La sicurezza del dato

Secondo David Gubiani, technical manager Italy in Check Point Software Technologies, molte aziende si sono concentrate su strumenti di Mo-

bile Device Management che però non hanno come focus la sicurezza del dato bensì il controllo del device. “La nostra nuova soluzione, Check Point Capsule, permette di isolare le applicazioni private da quelle aziendali, garantendo la totale protezione dei dati sensibili. Grazie all’encryption dei singoli documenti non solo è possibile garantire la loro sicurezza a bordo del device, ma anche quando questi vengono spediti o trasferiti su altri mezzi di comunicazione o storage. Ultima ma non meno importante, la possibilità di proteggere, grazie ai data center Check Point, tutto il traffico in uscita e in entrata da qualsiasi device con le stesse funzionalità presenti in azienda”. La soluzione di sicurezza di McAfee è completa e scalabile ed esercita protezione su dati e dispositivi, inclusi quelli basati su iOs e Android. “Il software Enterprise Mobility Management”, afferma Ferdinando Torazzi, regional director enterprise & endpoint Italy & Greece di Intel Security, “è disponibile come componente principale nelle suite per la protezione degli endpoint McAfee Complete Endpoint Protection - Enterprise e Business e in McAfee Endpoint Protection Advanced for Smb”. Pensare a proteggere i terminali non basta. È necessario concentrarsi anche sulla gestione sicura dei dati e delle informazioni. Così afferma Giampiero Savorelli, Pps Pc category manager di Hp Italiana. “I nostri dispositivi sono dotati di caratteristiche integrate di sicurezza, gestibilità e durevolezza che, associate alle soluzioni dei nostri independent software vendor, compongono un ecosistema che permette alle aziende di sfruttare in modo efficace e sicuro i propri device. Hp collabora infatti con i più importanti fornitori di software indipendenti, anche nei settori dell’assistenza sanitaria e nel campo della pubblica sicurezza, inclusi Cerner, Intergraph e Sap, oltre che con integratori di sistemi e provider di servizi”. 31


SPECIALE | Mobility

ANDROID, IL PIÙ BERSAGLIATO I rischi connessi all’utilizzo di smartphone e tablet continuano a essere sottovalutati: disinteresse e ignoranza giocano a favore dei criminali informatici. Secondo un’indagine condotta da Kaspersky Lab e B2B International, il 28% degli utenti non è consapevole o conosce poco i malware mobile, mentre il 26% se ne rende conto ma non se ne preoccupa. Dalla ricerca è anche emerso come solo solo il 58% degli smartphone e il 63% dei tablet Android siano protetti da una soluzione antivirus, mentre rispettivamente il 31% e il 41% non ha neanche una password impostata per la schermata di blocco. Sempre secondo Kaspersky Lab, le mailing di spam

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come e dove possono essere trasmesse”. Oggi le funzionalità Mdm da sole non bastano più. A dirlo è Alessio Di Benedetto, senior presales manager di Symantec: “Abbiamo individuato alcune aree chiave da considerare per offrire una produttività elevata senza aumentare la vulnerabilità, e abbiamo diversi prodotti che supportano questi pilastri, tra cui Symantec Mobile Management Suite, Mobile Security e Data Loss Prevention per Mobile. L’identità è il primo e più importante componente di qualsiasi strategia It, perché l’accesso ai diche imitano quelle inviate da dispositivi mobile stanno diventando sempre più popolari e sono stati rilevati messaggi di questo genere in molte lingue. Hanno due cose in comune: testi brevi (o assenti) e la firma “Inviato dal mio iPhone”. Generalmente contengono link che conducono ad allegati nocivi. I device menzionati in questo tipo di mail sono iPad, iPhone e Samsung Galaxy. Secondo alcuni studi di Trend Micro, i software nocivi sviluppati per dispositivi mobili hanno raggiunto a fine 2014 la nuova cifra record: 4,37 milioni. In soli sei mesi, rispetto al record precedente di 2 milioni, il numero è raddoppiato, segnando un incremento del 68% dalla prima metà dello scorso anno. Le piattaforme operative più colpite sono state Android e iOS, quest’ultima nono-

PIERPAOLO ALÌ - HP

MORTEN LEHN - KASPERSKYLAB

MISKA REPO - F-SECURE

Far convivere applicazioni e dati aziendali con la frequentazione personale dei social e con l’uso di app scaricate dai marketplace è un rompicapo per gli It e i security manager, che devono trovare un corretto equilibrio tra la libertà dell’utente e la sicurezza dei dispositivi. come spiega Pierpaolo Alì, regional sales director Mediterranean area, Enterprise Security Product di Hp. “Hp Esp offre soluzioni avanzate per la sicurezza enterprise con un focus verso la protezione delle applicazioni e del dato in qualunque contesto sia usato”. La suite Hp Fortify si focalizza sullo sviluppo di app sicure fin dalla fase di progettazione, sulla verifica periodica del loro comportamento e sulla disponibilità di strumenti di software security testing flessibili (on demand, on premise) e integrabili con l’infrastruttura di sviluppo software. “Con la Suite Atalla Ipc invece”, prosegue Alì, “si porta la protezione al livello del dato, classificando automaticamente le informazioni e definendo

MAURIZIO MARTINOZZI - TREND MICRO

Tra app e social network

spositivi e al cloud non è rigoroso per definizione, e per app e dati si devono prevedere controlli e protezioni appropriati. Inoltre, i dispositivi che accedono alle risorse aziendali devono essere gestiti e protetti, in base alle policy dell’impresa e alle normative di settore, da attacchi, app ingannevoli, navigazione non sicura, furto e perfino utilizzo inefficiente della batteria. Infine, le aziende devono avere un controllo completo sulla distribuzione e sull’accesso ai documenti su qualsiasi rete, specialmente nel cloud”. M.L.R. stante l’approccio di ecosistema chiuso scelto da Apple. Il rapporto “Motive Security Labs” di Alcatel-Lucent, che ha preso in considerazione tutti i più diffusi sistemi operativi mobile, ha rilevato che gli attacchi malware lo scorso anno sono cresciuti del 25%. Nel 2013 l’incremento era stato del 20%. Il volume di assalti sferrati verso i dispositivi Android ha ormai raggiunto quello degli attacchi ai laptop Windows, tradizionale cavallo di battaglia dei cybercriminali, con una ripartizione del 50% per ciascuno. Meno dell’1% delle infezioni coinvolge smartphone iPhone e BlackBerry, ma l’anno scorso sono emerse nuove vulnerabilità per queste piattaforme, a dimostrazione che questi dispositivi non sono immuni dal rischio di infezioni.


TECHNOPOLIS PER KASPERSKY LAB

SEMPLICITÀ E CONTROLLO, LA RICETTA PER IL MOBILE

Morten Lehn, Managing Director di Kaspersky Lab Italia

Oggi nei luoghi di lavoro le minacce It acquistano quasi lo stesso peso di quelle esterne. Il vendor propone diverse soluzioni per la gestione dei dispositivi mobili, per l’encryption e la protezione di terminali e dati. I dispositivi mobili personali sono diventati parte integrante anche della nostra vita professionale, tanto che sempre più professionisti li utilizzano per lavoro. Le aziende devono quindi adeguarsi consentendo ai propri dipendenti di connettersi attraverso smartphone e tablet alla rete dell’organizzazione. Questa pratica porta con sé gravi rischi: se un dispositivo personale collegato alla rete aziendale venisse rubato, le informazioni della società potrebbero finire nelle mani sbagliate, mentre se venisse infettato rischierebbe di contagiare l’intera infrastruttura It. Tenuto conto, quindi, dell’aumento del numero di dispositivi personali utilizzati per il lavoro e della crescente quantità di informazioni condivise, le minacce interne alla sicurezza acquistano quasi lo stesso peso di quelle esterne. Stiamo assistendo, inoltre, a un’importante evoluzione degli attacchi informatici. Se inizialmente l’obiettivo era-

no soprattutto le grandi aziende, con azioni che avevano lo scopo principale di distruggere i dati e rendere inutilizzabili i dispositivi informatici, oggi invece gli attacchi sono mirati al furto dei dati societari e alle informazioni sensibili. Questo avviene perché i cybercriminali hanno compreso che impossessarsi di tali dati può essere molto più redditizio che non limitarsi a distruggerli e a mettere fuori uso i device presi di mira. La complessità delle operazioni criminali, però, non sempre va di pari passo con le risorse che le aziende sono in grado di dedicare alla sicurezza, sia in termini di budget sia di personale specializzato. Kaspersky Lab offre una soluzione in grado di andare incontro a queste necessità, Kaspersky Endpoint Security for Business, che combina la semplicità dell’implementazione e di gestione e controllo centralizzati di tutti i dispositivi connessi alla rete aziendale con una protezione affidabile dalle minacce informatiche. Grazie al potenziamento di alcune funzionalità, come il Mobile Device Management, il System Management e l’Endpoint Encryption, gli amministratori It possono visionare, controllare e proteggere la rete aziendale in modo semplice: rilevare le vulnerabilità, fare gli inventory e configurare e rinforzare le policy di sicurezza per evitare la perdita o il furto di dati. Questa soluzione è in grado di far fronte all’incremento di dispositivi mobili sul posto di lavoro, consentendo di gestire i terminali, come smartphone e tablet personali, all’interno di una rete locale aziendale. Alcune funzioni possono essere gestite direttamente dai dipendenti, semplificando il controllo e la protezione di tutti i dispositivi all’interno della rete e comportando un minor impatto sui responsabili It. Il login e la password personali per accedere al Self Service Portal permettono agli utenti di registrare il proprio dispositivo nella rete aziendale in pochi clic. Se il device viene perso o rubato, l’utente può con facilità localizzarlo, bloccarlo e/o eliminare le informazioni sensibili. La piattaforma Kaspersky Endpoint Security for Business include tutte le funzionalità richieste per rispondere perfettamente a esigenze di aziende di ogni dimensione, ottimizzando il budget investito e il coinvolgimento degli addetti alla sicurezza. Grazie al Kaspersky Endpoint Security for Business l’amministratore It può vedere, controllare e proteggere la rete aziendale su un’unica piattaforma, tramite un’unica console. 33


IoT LEADERSHIP PROGRAM 2015 Perché un Program sul tema IoT Le soluzioni di IoT si stanno diffondendo, e lo faranno sempre più in un prossimo futuro, in tutti i settori, su scala globale, diventando il nuovo punto di rottura dell’economia digitale. IoT significa per le aziende scoprire nuove prospettive e potenzialità, dando spunti innovativi per ridisegnare i propri perimetri e gli ambiti di applicazione del proprio business. Un programma quindi di elevato profilo che tratta le tematiche chiave e strategiche nell’ambito dell’Internet of Things e degli ecosistemi digitali. Cosa trovi nel Program Un sito tematico con news, interviste e analisi, eventi, workshop e webinar, arricchito da contenuti orginali e sempre aggiornati, sviluppati dagli analisti di The Innovation Group ed esperti del settore, con il supporto di un Advisory Board e delle Aziende Leader del settore ICT in Italia.

A cura di

Program Partner

The Innovation Group Innovating business and organizations through ICT

Scopri subito il program su http://channels.theinnovationgroup.it/iot/ Per informazioni: iot@theinnovationgroup.it - tel. 02 87285500 - www.theinnovationgroup.it


ECCELLENZE.IT | Istituto Clinico Humanitas

Humanitas si prende cura di seimila pazienti al giorno. Ha rinnovato completamente il suo sistema informativo per seguire meglio il percorso di terapia e implementare la cartella clinica elettronica.

L’It diventa flessibile per supportare l’ospedale 3.0

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a sempre un caso di studio per il suo modello innovativo e sostenibile, che unisce attività clinica, ricerca e didattica, l’Istituto Clinico Humanitas ha recentemente modernizzato la propria organizzazione puntando su veri e propri centri di eccellenza, che fanno capo a diverse specializzazioni mediche. Allo stesso tempo, l’Istituto ha iniziato un percorso che pone il paziente al centro dei diversi servizi erogati. Con tutta la sicurezza e la privacy del caso, infatti, ora i dati “seguono” le persone nel percorso di cura e sono immediatamente disponibili a tutti i professionisti (medici, infermieri e personale amministrativo) che di volta in volta si rapportano al soggetto sottoposto a terapie. Tutto questo non ha solo toccato nel profondo l’organizzazione It dell’ospedale, ma ha coinvolto i responsabili, a partire dal top management, nel coordinamento dei processi e delle tecnologie abilitanti. “La nuova cartella clinica elettronica”, dice Luciano Ravera, amministratore delegato di Humanitas, “porta con sé un cambiamento culturale e organizzativo che impatta su tutto l’ospedale e che ci permetterà non solo di offrire cure migliori, ma anche di diventare un

punto di riferimento nel panorama internazionale”. Inizia così un processo di modernizzazione che è giocoforza anche un cambio di paradigma per le architetture e per le applicazioni informatiche. “Siamo stati chiamati”, racconta Elena Sini, Cio di Humanitas, “a rendere disponibile un vero e proprio canale digitale che abilitasse la cura multidisciplinare del paziente e lo sviluppo della ricerca clinica”. Così, dopo un intenso lavoro di analisi delle esigenze condotto in parte insieme agli specialisti di Lutech, system integrator con una forte specializzazione in ambito sanitario, Humanitas ha scelto di dotarsi delle nuove soluzioni di gestione dei dati in ambiente healthcare di Emc. “Il tema della flessibilità del sistema informativo era quello più cruciale”, spiega Sini, “e la scelta dell’architettura per la gestione delle informazioni era uno dei punti chiave da affrontare. Per questo ci siamo presi tutto il tempo necessario, più di tre mesi, per analizzare le nuove esigenze della nostra organizzazione e del personale e per valutare le alternative presenti sul mercato”. Healthcare Integration Platform (Hip) di Emc, integrata perfettamente con l’applicativo wHospital di Lutech, ha permesso

in soli sei mesi di gestire il 100% dei pazienti attraverso la nuova cartella clinica elettronica e di prepararsi a ulteriori sviluppi sia nel supporto alle decisioni sia su nei servizi al paziente, anche da remoto. “Grazie alla flessibilità del nuovo sistema informativo”, conclude Sini, “abbiamo ottenuto una maggiore disponibilità dei dati, un più alto livello di collaborazione tra medici e infermieri, e una grande semplificazione nella fruizione delle informazioni, anche da dispositivi mobili. LA SOLUZIONE Il nuovo modello di organizzazione dei sistemi informativi di Humanitas, pensato per seguire l’intero percorso del paziente (e in futuro anche le interazioni dello stesso con le strutture esterne all’Istituto) si basa sulla soluzione Hip di Emc, utilizzata come repository clinico unico per le informazioni sia cliniche sia amministrative dei clienti. Il sistema garantisce, tra l’altro, l’accesso sicuro e allo stesso tempo granulare (per un numero consistente di utenti) ai dati sensibili.

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ECCELLENZE.IT | Gruppo ECCELLENZE.IT Sed ut Megadyne perspiciatis

Una rete virtuale privata per crescere nel mondo L’azienda di Mathi Canavese, in provincia di Torino, è oggi presente in 13 Paesi con una trentina di sedi. Che comunicano via VoIp e che vengono gestite grazie alla soluzione Vpn di Interoute.

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ra le colline del Canavese, l’area della provincia di Torino che circonda Ivrea, c’è un’eccellenza italiana conosciuta nel mondo per una competenza molto specifica: la produzione di cinghie in poliuretano e in gomma e di nastri trasportatori, destinati a una molteplicità di settori industriali. A Mathi Canavese nel 1957 è nata Megadyne, all’epoca un’azienda a conduzione familiare e nel tempo cresciuta fino a diventare, oggi, un gruppo composto da dieci unità produttive, 33 filiali locali dislocate in Europa, America e Asia, e con oltre 1.600 addetti. A questa struttura corrisponde una rete che, specie dall’inizio degli anni Duemila, ha dovuto supportare servizi dedicati e differenziati per ogni sito. Dal 2007 il Gruppo Megadyne ha sostenuto la propria crescita di business e geografica con investimenti tecnologici che potessero migliorare le comunicazioni fra le sue diverse sedi, e lo ha fatto scegliendo Interoute. Il fornitore di servizi e infrastruttura cloud, che dal quartiere generale britannico presidia tutta l’Europa, è stato selezionato per realizzare la Virtual Private Network 36

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internazionale di Megadyne: una vera e propria ossatura su cui poggiano i sistemi Ict del gruppo. Sono state, dunque, razionalizzate e ottimizzate tutte le attività basate sulla comunicazione, come gli scambi di posta elettronica, le telefonate via VoIP e l’helpdesk remoto, nonché il sistema gestionale impiegato dall’azienda (e unico per tutte le sue sedi). Per sostenere queste applicazioni Interoute ha realizzato una rete di tipo Vpn-Mpls, ovvero una rete geografica privata basata sul protocollo Mpls (Multiprotocol Label Switching), con cui è possibile non solo collegare le diverse sedi di un’organizzazione, ma anche differenziare i servizi e il loro trattamento qualitativo all’interno del network. Come spiegato dal chief information officer di Gruppo Megadyne, Claudio Malfati, “Le soluzioni e l’infrastruttura Interoute che abbiamo implementato ci hanno permesso non solo di migliorare in misura significativa i flussi di comunicazione all’interno del Gruppo e di abbattere i costi, ma soprattutto di beneficiare appieno di quel rapporto di fiducia, derivante da una collabora-

zione ormai pluriennale, di una grande professionalità e di un alto livello di flessibilità. Interoute è riuscita a gestire tutte le nostre problematiche, anche quelle più complesse, e sempre in tempi rapidi”. LA SOLUZIONE Il servizio che Interoute fornisce a Megadyne è una rete Vpn-Mpls che collega le unità produttive e le sedi del cliente distribuite in tutto il mondo; all’interno di ciascun sito, i collegamenti in fibra vanno da 10 a 100 Mbit. Negli anni questa infrastruttura si è allargata: da sei, le sedi del gruppo sono diventate trenta, distribuite in 13 Paesi. La Vpn ha permesso di ottimizzare email e Voip, con conseguente miglioramento del servizio e riduzione dei costi. La Virtual Private Netwotk su fibra di Interoute facilita l’implementazione di servizi aggiuntivi, che non necessitano quindi di un ampliamento di banda.


ECCELLENZE.IT || SmartPatch ECCELLENZE.IT Sed ut perspiciatis

Ponti, tunnel e autostrade sorvegliati dai SENSORI La startup figlia dell’incubatore del Politecnico di Torino ha adottato IoT ThingWorx, una piattaforma software per l’Internet of Things sviluppata da Ptc. Il vantaggio acquisito? Archiviare e gestire nel cloud i dati raccolti dai sensori in resina collocati su strutture edili e ingegneristiche.

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ensare ai sistemi di monitoraggio di opere ingegneristiche o edili, come ponti, tunnel, autostrade, dighe e costruzioni civili e industriali fa venire in mente soluzioni tecnologiche complicate, rigide, difficili da utilizzare. Niente di più sbagliato: la proposta di Ptc, IoT ThingWorx, utilizza strumenti di facile consultazione, come un’interfaccia personalizzabile e mappe tridimensionali, per controllare in tempo reale lo stato di salute della struttura monitorata. Lo può testimoniare SmartPatch, una startup che opera all’interno dell’I3P, l’incubatore del Politecnico di Torino, e che ha implementato la piattaforma di Internet of Things per il suo sistema “Structural Health Monitoring”. Sviluppato e brevettato dalla stessa SmartPatch, si tratta di una soluzione wireless a costo contenuto e semplice da implementare: include uno o più “sensori intelligenti” realizzati in resina epossidica, un letto-

LA SOLUZIONE IoT ThingWorx s’interfaccia direttamente con il protocollo Mqtt e con il database Azure Sql, usati da SmartPatch. Attraverso la piattaforma software l’utente è libero di comporre un’interfaccia dinamica e personalizzata, usando la library resa disponibile da Smartpatch. L’integrazione di ThingWorx in Ptc Creo consente poi di ottenere una visualizzazione tridimensionale della struttura monitorata. È anche possibile gestire i Big Data che il sistema Structural Health Monitoring sarà in grado di raccogliere, nonché integrarli in qualsiasi infrastruttura It aziendale. re/trasmettitore, un gateway, un modem e un servizio di storage e gestione dei dati sul cloud. La resina, fra l’altro, grazie alle sue proprietà aderenti facilita l’installazione del sensore, che può monitorare parametri quali la temperatura, l’inclinazione, la deformazione o la presenza di attività sismica. Dove finiscono i dati raccolti? Quelli di correzione e identificazione vengono conservati in una memoria contenuta nel sensore stesso, mentre quelli di monitoraggio volano nel cloud per poter essere analizzati e visualizzati da remoto. Ogni lettore è un’unità senza fili ZigBee (uno standard per le comunicazioni wireless alternativo al WiFi, usato soprattutto in ambito industriale, scientifico e medico) che invia le informazioni a un gateway locale; quest’ultimo a sua volta inoltra i dati a un server e riceve dallo stesso il comando di configurazione, via satellite o 3G. Il sistema è facilmente espan-

dibile: “Più gruppi di sensori possono essere installati e trasmettere ciascuno a un gateway, che s’interfaccia al cloud server attraverso ThingWorx”, spiega Marco Bonvino, uno dei tre fondatori della startup, accanto a Guido Maisto e Melanie Diziol. Ed è qui che entra in gioco Ptc: ThingWorx viene sfruttata sia per archiviare e gestire i dati sul cloud, sia per visualizzare i risultati dell’opera di monitoraggio in una forma accurata e comprensibile. La piattaforma associa il suo servizio di storage a un’interfaccia grafica da cui si può controllare in tempo reale lo stato di salute delle strutture, e poi converte i dati in modelli 3D rotanti, di facile lettura. SmartPatch ha già ricevuto, oltre al finanziamento europeo Horizon 2020 Sme, riconoscimenti come il primo premio alla Start Cup piemontese 2014 e il primo posto nella sua categoria al Premio Nazionale per l’Innovazione 2014. APRILE 2015 |

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ITALIA ITALIA DIGITALE DIGITALE |

Le dimissioni del direttore dell’Agid hanno gettato nuove ombre sul piano Crescita Digitale varato dell’esecutivo. Il cuore della questione rimane lo stesso da due anni a questa parte: manca una governance stabile, snella e autorevole. Il processo di cambiamento della PA rischia di rallentare ancora?

INDOVINA CHI FArà L’AGENDa. e quando

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l nuovo direttore generale dell’Agenzia per l’Italia Digitale sarà scelto non oltre la fine di aprile. Incassata e probabilmente mal digerita la dipartita di Alessandra Poggiani, le cui dimissioni sono arrivate a fine marzo e a meno di un anno dal suo insediamento, il Governo vuole correre subito ai ripari. La riforma digitale della Pubblica Amministrazione è una scommessa da vincere a ogni costo, innanzitutto per il premier Matteo Renzi (che molto si è esposto sull’argomento), e come ormai risaputo è una grande opportunità da cogliere. 38

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Per fare innovazione, per rendere più efficiente la macchina amministrativa, per ridurre i costi pubblici. E anche, come subito hanno puntualizzato vari esponenti sindacali e dell’industria Ict, per snellire la governance. Ma sarà davvero la volta buona per accelerare il cambiamento? Il bando di selezione lanciato pochi minuti dopo l’ufficialità delle dimissioni della Poggiani può essere segno di responsabilità (quando si dimise Agostino Ragosa ci fu un mese di assoluto vuoto di potere) al pari della presenza al timone di comando della

stessa Poggiani. Secondo i bene informati, il nuovo direttore dell’Agid uscirà da un ristretto elenco di nomi, tre o quattro, fra cui pare ci sia quello di Stefano Quintarelli, già promotore dell’emendamento che ha affidato al governo centrale il coordinamento delle infrastrutture e delle piattaforme informatiche della PA. Pochi nomi rispetto ai tanti che ufficialmente avranno presentato la propria candidatura (la lista sarà pubblicata sul sito del Dipartimento della Funzione Pubblica). In attesa della nomina, che spetterà ancora al ministro Marianna Madia, ci si


chiede giustamente se l’imprevisto cambio al vertice dell’Agenzia si ripercuoterà in qualche modo sui tempi di esecuzione dei due progetti strategici già messi in cantiere con la promessa di finanziamenti miliardari alle loro spalle, e cioè il piano Ultrabroadband e il piano Crescita Digitale. Le reazioni dell’industria digitale

Avvicinato pochi giorni prima del “ribaltone” in seno all’Agid, il numero uno di Assinform, nonché amministratore delegato di Cisco Italia, Agostino Santoni esprimeva a Technopolis il suo livello di confidenza per l’attuazione dei piani di cui sopra: “In una scala da uno a dieci, direi sette. Sono quindi ottimista, convinto che le nuove reti si faranno e che fatturazione elettronica, identità digitale e anagrafe unica siano le pietre miliari su cui poter edificare la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione”. Registrato l’addio della Poggiani, lo stesso Santoni ha ribadito la necessità di spingere l’acceleratore sulla realizzazione dei progetti digitali, rimarcando però come l’asset per poterlo fare sia “una governan-

ce stabile ed autorevole”. Come garantirsela? L’idea di avere un manager per la transizione al digitale in ogni ministero (e Santoni cita in proposito un sub-emendamento al Ddl di riforma della PA, già approvato dalla commissione Affari Costituzionali del Senato) può essere un inizio, ma il punto di arrivo è mettere in collegamento ministeri e PA territoriali e rendere la digitalizzazione un processo sistemico, esteso a tutta la società, vendor tecnologici ovviamente compresi. Per questo una governance basata su una fattiva collaborazione pubblico-privato, dice il presidente di Assinform, “può essere lo strumento di accelerazione che serve con l’Agid a diventarne il catalizzatore”. Anche i dubbi avanzati dal presidente di Confindustria Digitale, Elio Catania, sono di tipo organizzativo. A suo dire serve un manager “che sappia smuovere la complessità dell’organizzazione pubblica e abbattere gli steccati” all’interno di un necessario processo di semplificazione del lavoro dei comitati e dei vari tavoli tecnici. Ciò che manca veramente

all’Agenda Digitale italiana, a conti fatti, è una governance strutturata, efficiente, centralizzata. E non “da manicomio” come ebbe a definirla qualche mese fa Graziano Delrio, già sottosegretario alla Presidenza e ora Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti. La Poggiani, nel rimettere la propria carica all’Agid e buttarsi nell’avventura politica in Veneto, ha tenuto a precisare che cambiare le politiche per l’innovazione è possibile (l’intervista pubblicata da Wired affermava l’esatto contrario) e lo dimostrerebbero i due piani appena varati dal governo e l’aver portato a termine il progetto di fatturazione elettronica verso la Pubblica amministrazione centrale, obbligatoria dal 31 marzo. L’ex direttore parla di bicchiere mezzo pieno e ammette che molte cose restano ancora da fare. Se l’Agenzia va intesa come il principale motore di sviluppo dell’economia digitale del Belpaese occorre cambiare registro. Accelerando sensibilmente. Perché dal varo dell’Agenda a oggi sono passati ormai due anni e mezzo. Gianni Rusconi

CRESCITA DIGITALE E ULTRABROADBAND: I PUNTI DEBOLI Accompagnare imprese, cittadini e PA nel percorso di digitalizzazione del Paese. Il motto del piano Crescita Digitale approvato dal Consiglio dei Ministri è chiaro e, almeno sulla carta, chiare sono anche le risorse attraverso cui il Governo punta ad attuarlo. La spesa prevista è di 4,6 miliardi di euro di fondi pubblici, nazionali ed europei, stanziati per il periodo 2014-2020. Di questi, poco meno di 1,9 miliardi sono in mano alle Regioni e questo è uno dei primi ostacoli per l’Agenzia per l’Italia Digitale, chiamata a realizzare sostanziali interventi su scala nazionale con fondi solo in parte nazionali. Italia Login, finanziata con 750 milioni di euro, è l’interfaccia che traghetterà

il cittadino nel mondo dei servizi digitali della Pubblica Amministrazione. Il progetto vessillo del governo Renzi ha però bisogno che tutto il sistema a monte funzioni perfettamente, dalle piattaforme ormai in dirittura d’arrivo per Anagrafe Unica e Identità Digitale, al portale Italia.it (rivisto interamente) e alla relativa app mobile. Si parla però del 2016, mentre al 2020 è fissato il termine lavori per l’opera di razionalizzazione del patrimonio Ict pubblico, per cui sono stati stanziati 950 milioni di euro. Basteranno per riorganizzare la pletora di data center che oggi alimentano la macchina pubblica e che domani dovranno, in una logica di infrastruttura “cloud-based”,

assicurare continuità alle diverse piattaforme digitali? Punto interrogativo (e forse di debolezza) a cui ne seguono altri due. Il primo. I fondi stanziati per l’informatizzazione della sanità, circa 750 milioni di euro e di cui ben 600 milioni posti in capo alle Regioni, sono sufficienti? Il secondo. Dei 6,2 miliardi di euro di fondi pubblici destinati al piano per la banda ultralarga, solo due sono già disponibili. Gli altri quattro (accessibili dal 2017) sono da sbloccare con un nuovo accordo fra governo e Regioni. E siamo proprio sicuri che gli operatori privati metteranno sul tavolo da qui al 2020 fra i due e i quattro miliardi di euro per completare la cablatura del territorio a 100 Megabit?

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ITALIA DIGITALE | Pubblica Amministrazione

open data ma non troppo Sono online e accessibili oltre 14mila documenti della Pubblica Amministrazione. Non mancano enti e Comuni virtuosi, ma sulle spese dello Stato restano alcuni veli.

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a rivoluzione degli Open Data, uno dei pilastri su cui si basa la digitalizzazione della macchina amministrativa all’insegna della trasparenza e della condivisione delle informazioni, è iniziata. Con qualche lacuna di troppo, forse, ma è iniziata. Partiamo dai numeri. I file “aperti” pubblicati online dagli enti pubblici su scala nazionale e locale e censiti dal portale Dati.gov.it, gestito direttamente dall’Agenzia per l’Italia digitale (prima era nelle mani del Formez), sono al momento oltre 14mila. Di questi, poco meno della metà (più di 6.600) li hanno resi disponibili Comuni e Province, circa 4.800 Regioni e Province autonome, 2.100 gli enti nazionali come Istat e Inps; i rimanenti provengono da altri soggetti pubblici di varia natura, università comprese. L’analisi di questi numeri porta innanzitutto a una valutazione quantitativa dei soggetti deputati a portare avanti il progetto Open Data. La Provincia autonoma di Trento si può fregiare in tal senso del titolo di ente pubblico con il maggior numero di documenti (poco meno di 1.500 al momento in cui scriviamo) rilasciati sulla piattaforma online Dati.trentino.it, in cui fanno capolino l’elenco delle aree WiFi come le informazioni rilevate dalle stazioni meteorologiche in esercizio sul territorio e le attivazioni delle tessere sanitarie. A livello di Regioni, quelle più trasparenti sono la Lombardia (oltre 820 dataset), la Sardegna (560) e il Piemonte (480). Tra i Comuni, invece, 40

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quello più “aperto” di tutti è Albano Laziale, cittadina di 40mila abitanti dell’entroterra romano che ha pubblicato online in un anno poco meno di 1.100 dataset (numero ben superiore a quelli di Firenze e Bologna), dall’elenco delle famiglie residenti ai risultati elettorali fino a una mappatura dettagliata dei servizi per i disoccupati. Nella corsa a chi è più “open” fra le amministrazioni pubbliche centrali, il testa a testa vede protagoniste Istat e Inps, accreditate rispettivamente di circa 690 e 640 documenti accessibili e consultabili online. Un terzo sono quelli resi disponibili dal Cnr (240) mentre Came-

La PA virtuosa cresce con le startup Dalla mobilità urbana all’e-procurement: sono tre i progetti avviati da E-globalservice per migliorare attività e processi delle pubbliche amministrazioni aderenti al Cev (Consorzio energia veneto), di cui la società veronese, specialista nel campo dei servizi forniti in outsourcing, è capofila. Il primo progetto, Comuni-chiamo, è un servizio che aiuta i cittadini a interagire in maniera più efficace con i Comuni, grazie all’invio via Web, via app mobile o tramite canali tradizionali (mail, telefono e sportello) di segnalazioni che vengono automaticamente registrate

e comunicate ai dipendenti della PA. OpenMove, invece, è una piattaforma aperta per la gestione del mobile ticketing, gratuita sia per gli utenti che per le amministrazioni. Offre servizi in real time, geolocalizzati e profilati, semplificando l’accesso ai mezzi di trasporto e fornendo in un’unica app la possibilità di acquistare diverse tipologie di biglietto. Koinè, infine, è un sistema che consentirà agli enti pubblici di raccogliere dati relativi alla previsione futura dei fabbisogni e di gestire gli acquisti secondo i parametri della spending review.


PROVE DI CAMBIAMENTO NELLA NUVOLA Il nome dell’iniziativa, #RestartPA, è di per sé esemplificativo di quali siano i fini di questo progetto promosso da Microsoft Italia. Rendere più efficace il processo di innovazione e digitalizzazione del settore pubblico è un imperativo sedimentato (perché spesso trascurato) ma gli esempi virtuosi cui fare riferimento non mancano. Per esempio quello dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata, che ha intrapreso nel 2013 l’aggiornamento del sistema di comunicazione verso l’esterno abbracciando il cloud (il servizio Lync Online integrato in Office 365) per gestire i colloqui con candidati fuori città, le interazioni con gli atenei internazionali e le lezioni a distanza. Senza spostarsi dalla Capitale, un’altra testimonianza eccellente di trasformazione dal basso della macchina pubblica arriva dal Comune di Roma che ha già attivato

ra dei deputati, Senato e Inail vengono dietro. Mettendo nel mirino il mondo dell'istruzione, ecco che a primeggiare davanti a tutti è l’Università di Pisa con i suoi oltre 110 dataset (raccolti nel portale che gestisce i dati archeologici dell’area urbana), precedendo quella di Roma Tor Vergata e quella di Messina. Detto che alla rivoluzione open concorrono realtà pubbliche fa loro molto eterogenee, dall’Autorità di Bacino dell’Arno (con i suoi oltre 170 file relativi ai rilievi topografici del bacino idrografico e alle statistiche su frane e alluvioni) alla Fondazione dei Musei di Torino (che fa luce sui prestiti, i restauri e i dati di affluenza di pubblico), è interessante rilevare come la maggioranza dei documenti censiti da Dati. gov.it e resi fruibili a cittadini e imprese siano legati alla popolazione e ai feno-

meni ambientali. Informazioni che provengono, per esempio, da banche dati territoriali, cartografie locali, oppure da statistiche demografiche. Anche agricoltura e turismo, con le mappe regionali delle strutture ricettive alberghiere ed extra-alberghierem sono tra i settori più sensibili all’operazione trasparenza mentre salute, lavoro, trasporti e viabilità sono al momento ambiti per cui il processo di liberalizzazione sta procedendo più lentamente. Non mancano però i casi di eccellenza come quello del Comune di Firenze, che vanta un archivio sempre aggiornato con l'elenco delle aree pedonali divise per tipologia. Il vero problema irrisolto degli Open Data, però, è l’accessibilità ai conti pubblici. Spese, bilanci e statistiche sull’attività delle amministrazioni non sono

in ambito unified communication & collaboration alcune centinaia di utenti. Lo scopo è sempre lo stesso: ridurre la spesa It e al contempo garantire la massima resa delle risorse informatiche esistenti. Propositi che hanno ispirato anche gli interventi in chiave digitale operati dal Comune di Parma nell’ambito di un’altra iniziativa che vede protagonista Microsoft, vale a dire CityNext. Il ricorso alla nuvola informatica (la piattaforma online di SharePoint) ha permesso di ottimizzare l’accesso agli strumenti di condivisione documentale e di rendere più efficiente e veloce la gestione dei documenti (atti, notifiche, calendari) inerenti le attività del Consiglio Comunale. Azzerando di fatto i costi legati agli spostamenti dei messi comunali e dimezzando le dispersioni di tempo legate alle ricerche manuali dei documenti.

in cima alla lista delle voci del progetto open data. Lo dovrebbero diventare in modo sistemico e strutturato con il portale soldipubblici.it, il cui obiettivo è proprio quello di rendere i dati più facilmente consultabili, anche per quanto riguarda le amministrazioni centrali e i ministeri. Capire l’effettiva dinamica delle uscite fra voci di spesa e beneficiari non è semplicissimo, ma almeno un passo in avanti è stato fatto. Anche se le oltre 50mila banche dati (fra anagrafi, inventari, informazioni su personale e stipendi, bilanci, statistiche ed elenchi di ogni ordine e grado) dai 9.400 enti pubblici italiani, utilizzando ben 270 differenti applicativi informatici, non sono forse un buon viatico per la massima trasparenza della macchina statale. Piero Aprile 41


OBBIETTIVO SU | Alcatel-Lucent

la ricerca ecosostenibile La nuova sede di Alcatel-Lucent a Vimercate è stata progettata pensando al benessere dei dipendenti e al rispetto per l'ambiente. Ospita due laboratori di eccellenza e un centro mondiale per l'assistenza tecnica.

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on è stato facile passare dai tagli drastici alla ricostruzione di un ambiente che permettesse di liberare energie positive; ma Alcatel-Lucent, con la nuova sede italiana all’interno dell’Energy Park di Vimercate, sembra essere riuscita nell’intento. I cinque padiglioni coprono un’area di 33mila metri quadri e possono ospitare 1.700 dipendenti, di cui una parte significativa impegnata in attività di ricerca. Guglielmo Marconi e Antonio Meucci sono i nomi dei due edifici dedicati allo sviluppo, a livello mondiale, di nuove tecnologie e soluzioni trasmissive sia in ambito ottico sia atraverso ponti radio. I due laboratori di ricerca e il centro di

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eccellenza e di assistenza tecnica (che opera a livello mondiale 24 ore su 24) sono anch’essi stati progettati, come tutta la nuova sede, con criteri di sostenibilità e di convivenza ottimale tra uomini e macchine. L’eccellenza viene perseguita anche attraverso l’utilizzo di processi lavorativi agili, trasparenti e partecipativi. Illuminante, in questo senso, l’esperienza del gruppo di ricerca sulle Wireless Trasmission, guidato dalla giovanissima Morena Ferrario che, in un ambito hi-tech, condivide i progressi e le difficoltà dei vari progetti utilizzando una parete di post-it colorati continuamente aggiornata “a mano” dai ricercatori (in prevalenza italiani.


A sinistra, le ampie aree comuni: la hall e la caffetteria della nuova sede. Qui sotto, uno dei palazzi che compongono il nuovo complesso di Vimercate di proprietà di Segro, tra le più importanti società nello sviluppo e investimento immobiliare in Europa. La progettazione degli interni della sede Alcatel-Lucent è stata affidata a Degw, appartenente al gruppo Lombardini22.

gli spazi comuni comprendono un auditorium da 150 posti, un teatro con 60 poltrone e un'area demo.

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OBBIETTIVO SU | Alcatel-Lucent

i laboratori di ricerca e sviluppo della sede di vimercate riempiono circa 7mila dei 33mila metri quadrati del complesso. si occupano, a livello mondiale, di trasmissioni wireless e di tecnologie ottiche.

banda sempre pi첫 larga Seguendo un percorso evolutivo coerente e costante, Alcatel-Lucent ha sperimentato e poi introdotto in questi ultimi anni tecnologie trasmissive su fibra ottica sempre pi첫 sofisticate, passando dai 100 Gigabit al secondo ai 400 Gbps delle soluzioni di punta attuali. 44

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In queste pagine, alcuni scorci dei due laboratori Alcatel-Lucent di Vimercate, quello dedicato alla ricerca sui ponti radio a microonde e quello sulle tecnologie trasmissive ottiche ad alta capacitĂ . Il primo, ad esempio, ha consentito di portare sul mercato soluzioni innovative per collegare piccole e grandi celle telefoniche alle dorsali cittadine, ma ha anche permesso di costruire reti wireless in luoghi difficilmente "cablabili", come catene montuose o zone desertiche.

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VETRINA HI-TECH

Smartphone, il trionfo della fascia media Nel 2015 si venderanno circa due miliardi di telefonini intelligenti, con una crescita ridotta a pochi punti percentuali. La saturazione del mercato è vicina e la lotta si sposta al centro, grazie a migliori prestazioni e a prezzi più bassi.

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e proiezioni per il 2015 relative alle vendite di smartphone su scala globale si riassumono in due cifre: 1,94 miliardi (il volume di spedito previsto) e 3,5% (la percentuale di crescita rispetto al consolidato 2014). Parliamo quindi di un settore dai numeri astronomici ma che, e non è una novità degli ultimi giorni, non ha oggi i margini di sviluppo del recentissimo passato. L’assunto emerge dall’ultimo report rilasciato da Gartner, che evidenzia una chiave di lettura importante dei dati di cui sopra: gli utenti nel 2015 continueranno a dare priorità di spesa ai telefonini rispetto ai Pc e ai tablet. Lo scenario che oggi contraddistingue gli smartphone, però, sta lentamente mutando e sta valorizzan-

do i prodotti di fascia medio bassa, in attesa di una saturazione di domanda che colpirà irrimediabilmente alcuni mercati maturi. In prospettiva, il prezzo medio dei device intelligenti calerà leggermente, soprattutto per effetto degli interventi di forbice sui modelli premium, in parallelo all’aumentare delle funzionalità disponibili a bordo dei terminali, specie di quelli di fascia media. Il venduto globale conoscerà incrementi ancora più contenuti, per arrivare a 2,02 miliardi nel 2016 e a 2,06 miliardi nel 2017. Uno scenario in evoluzione che si specchia anche nelle abitudini dei consumatori, ben riassunte in una ricerca di Gsma Intelligence. L’incremento del numero di modelli con prezzi sotto i APRILE 2015 |

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VETRINA HI-TECH

100 dollari è la principale causa della migrazione degli acquisti dagli apparecchi con capacità limitate (i cosiddetti “basic & feature phone”, buoni per telefonare, inviare messaggi e poco più) a quelli più sofisticati, con cui poter navigare in Rete e utilizzare applicazioni. Lo smartphone diventerà dunque un dispositivo realmente ubiquo, lo strumento per eccellenza per entrare nel mondo digitale. E questo grazie alla convergenza di più fattori, fra cui le politiche commerciali dei grandi retailer; già oggi l’84% del catalogo cellulari della catena statunitense Best Buy è fatto da smartphone, e metà di questi modelli sono oggi offerti a meno di 200 dollari. All’ultimo Mobile World Congress di Barcellona, non a caso, si è assistito alla celebrazione dello smartphone che costa (relativamente) poco, fra i 100 e i 300 euro al massimo, e che offre prestazioni di buon livello. Sony (Aqua), Lg (Magna, Spirit e Joy) e Microsoft (Lumia, 640 e 640 XL) hanno presentato solo modelli di questa forbice di prezzo esal-

tandone caratteristiche funzionali ed estetiche fino ieri prerogativa dei prodotti più costosi, alzando decisamente la qualità di display e fotocamere, adottando i chip multi-core e cavalcando la velocità delle reti 4G Lte. Huawei non ha messo in vetrina nuovi smartphone ma rivendica il fatto di aver creduto da subito alla valenza dei terminali “mid range” ed è convinta che il processo di ottimizzazione verso l’alto di materiali, design, prestazioni e servizi di questi prodotti sia tutt’altro che terminato. Con prezzi che andranno ulteriormente a diminuire nei prossimi anni.

EVOLUZIONE LOW COST

Chi sale e chi scende fra i vendor

La tendenza che vede concentrarsi la lotta nella fascia media è confermata anche da Carolina Milanesi, chief of research and head of Us business di Kantar Worldpanel Comtech: “La fascia medio-bassa del mercato smartphone”, ha spiegato l’analista a Technopolis, “ha visto una crescita considerevole negli ultimi anni non solo in volumi ma anche in qualità. La for-

za e la bellezza di Android è quella di permettere a vendor più piccoli e con meno possibilità di sviluppo e marketing di entrare nel mercato. Gli esempi di maggior successo sono Xiaomi, Micromax, Konka, Oppo. Se ci spostiamo

HTC ONE M9

LG MAGNA

MICROSOFT LUMIA 640

L’ultimo nato della casa taiwanese rilancia la sfida fra i top di gamma con un display da 5 pollici Full Hd e una fotocamera da 20 megapixel per girare filmati in risoluzione 4K. Il plus è l’interfaccia Sense 7, costruita su Android 5.0 Lollipop. Corpo e profili in metallo, costa 749 euro a listino.

Con Spirit, Leon e Joy costituisce la nuova offerta di fascia media della casa coreana e fa proprie funzionalità finora viste nei top di gamma. Le sue doti: display Full Hd leggermente curvo da 5 pollici, fotocamera da 8 megapixel, processore quad-core e connettività 4G. Costa 199 euro.

Disponibile anche in versione XL (con display da 5,7 pollici) e pronto per operare con Windows 10, si presenta come il compromesso ideale per gli utenti meno esigenti: schermo da 5 pollici, fotocamera da 8 megapixel, supporto dual Sim. La versione 3G costa 139 euro, quella 4G Lte159 euro.

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Mozilla può essere a pieno titolo considerato il pioniere dei telefonini a basso costo: nel 2014 il consorzio open source presentò Al Mobile World Congress un apparecchio Firefox Os da 25 dollari, mentre quest’anno ha battezzato a Barcellona a braccetto di Orange un pacchetto da meno di 40 dollari (Klif, destinato ai mercati di Africa e Middle East) comprendente un terminale dual-Sim Alcatel One Touch e un bundle di traffico dati e voce. Li Gong, il Presidente di Mozilla, ha spiegato a Technopolis che l’asticella di prezzo per i device “low cost” scenderà ulteriormente nei prossimi anni all’aumentare

della competizione fra i vendor. Nel caso di Mozilla, la possibilità di abbassare i costi dei device si materalizza grazie all’assiduo lavoro di ottimizzazione della piattaforma software, oggi presente su una quindicina di smartphone e in predicato di crescere ulteriormente da qui al 2016 grazie ai nuovi accordi stretti con le varie Kddi, LG U+, Telefónica e Verizon Wireless. Il tutto rispetto a una ben precisa filosofia: “Firefox Os dimostra chiaramente come sia possibile innovare a qualsiasi livello di prezzo”, ha affermato Li Gong. “La definizione di telefono entry level è in continua evoluzione e il

concetto di caratteristiche a cui non rinunciare e di cui invece possiamo fare a meno diventa sempre più relativo, e questo anche a causa dell’entrata in campo della nuova generazione di dispositivi smart indossabili”. Uno smartphone – questa l’essenza dell’offerta Mozilla – non deve necessariamente dotarsi di schermi extra large e di funzioni che spesso restano inutilizzate: la cosa importante, come ricorda Li Gong, “è dare all’utente una valida scelta in termini di form factor e una soluzione che bilanci la semplicità di un telefono basic con le capacità avanzate di un telefono intelligente”. E che, soprattutto, costi poco.

su nomi più conosciuti in Europa si possono citare Huawei, Motorola con il Moto, Zte e Wiko”. Vendor che rappresentano un’alternativa di acquisto per il consumatore e che, dice ancora Milanesi “mettono molta pressione ai big di

questo mercato, costretti a sacrificare i margini”. Gli acquisti nella fascia alta sono legati sostanzialmente a Samsung ed Apple, mentre aziende come Sony, Lg e Microsoft (ancora incapace di imporre Windows come alternativa ad

Android) si spostano sempre più verso la fascia media. Territorio che diventerà molto competitivo, per quanto fenomeni come Xiaomi difficilmente troveranno spazio in Europa e Stati Uniti. Gianni Rusconi

SAMSUNG GALAXY S6

SONY XPERIA m4 AQUA

WIKO HIGHWAY STAR 4g

Il nuovo top di gamma, come il gemello Edge dalla doppia curvatura, punta su materiali, design e prestazioni. Sottilissimo e leggerissimo, soli 6.8 mm di spessore per 138 grammi di peso, ha dalla sua il primo chip mobile al mondo a 64 bit con tecnologia a 14 nanometri. Si parte da 739 euro.

Materiali di pregio come vetro e metallo, funzionalità fotografiche di elevato livello per la camera digitale da 13 megapixel, la potenza di elaborazione dei chip octa-core Snapdragon a 64-bit e la chicca dell’impermeabilità. Il tutto a 299 euro. Uno dei più interessanti device Android mid-range.

Il prezzo, fissato a 299 euro, è sicuramente fra le sue doti migliori. Fra le altre spiccano il supporto dual Sim con connettività Lte, la monoscocca in alluminio e lo spessore di 6,6 millimetri. Lo schermo Hd con tecnologia Amoled misura 5 pollici, la fotocamera principale è da 13 megapixel.

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VETRINA HI-TECH

Il multifunzione amico degli uffici Caratterizzato da un buon rapporto prezzo/prestazioni, Brother Mfc-L9550 Cdw è pensato per i gruppi di lavoro di medie dimensioni con elevati volumi di stampa. Ottime le capacità di connessione, discreta la velocità, leggermente M BR FC OT elevata la rumorosità. L9 HE 550 R CD

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Fa parte della nuova generazione di dispositivi multifunzione (stampante, copiatrice, scanner, fax) flessibili e facili da gestire. Il nuovo Brother Mfc-L9550 Cdw si caratterizza per l’estrema semplicità di installazione e configurazione. Una volta assolte le relativamente laboriose operazioni di installazione (il dispositivo è protetto, per evitare danni durante il trasporto, da un buon numero di parti rimovibili e sigilli adesivi) e collegata alla rete aziendale (sia via cavo Ethernet sia via WiFi), la periferica riconosce automaticamente l’infrastruttura ed è pronta a operare dopo pochissimi passaggi. Il software fornito in dotazione comprende un semplice ma completo programma di gestione, che permette a tutti gli utenti di sfruttare appieno le capacità di stampa, scansione e fax, oltre che di monitorare lo stato del

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dispositivo. Per essere operativi, però, bastano veramente pochi secondi e il giusto driver, oppure, se si desidera stampare da dispositivi mobili, le giuste app (AirPrint e Google Cloud Print). La capacità con il vassoio aggiuntivo (consigliato, visto il posizionamento della stampante) è di 800 fogli, che scendono però a 300 con la configurazione standard, un po’ pochi per gruppi di lavoro di medie e grandi dimensioni. Provato sul campo, Brother MfcL9550 Cdw si è dimostrato potente e flessibile. La qualità di stampa è più che sufficiente per la maggior parte dei lavori di ufficio e l’adattabilità ad ambienti operativi diversi (personal computer Windows, Apple iMac e dispositivi mobili come smartphone e tablet) è uno dei suoi punti di forza. Anche le capacità di gestione delle funzioni di

copia, fax e scanner sono apprezzabili, grazie al comodo e grande (ma migliorabile in termini qualitativi) display touch e al fronte/retro automatico. I consumi sono sembrati nella norma; nel corso della prova non siamo riusciti a esaurire il toner, anche perché le cartucce fornite in dotazione sono ad alta capacità, con un’autonomia dichiarata di ben 6.000 copie. In sostanza, il multifunzione Brother Mfc-L9550 Cdw, soprattutto se corredato dal cassetto aggiuntivo da 500 fogli, è sembrato un’ottima alternativa per gruppi di lavoro di medie dimensioni e piccole aziende, che non hanno la possibilità di dedicare tempo e risorse alla gestione delle periferiche ma che hanno bisogno di velocità e flessibilità. Pregi • Facile da configurare e gestire • Fronte/retro e WiFi integrati • Stampa diretta da dispositivi mobili Difetti • Un po’ rumoroso • Display migliorabile LE CARATTERISTICHE A COLPO D’OCCHIO Funzioni: stampa, copia, scanner, fax Tecnologia: laser a colori A4 Velocità: 30 pagine al minuto Risoluzione: 2.400x600 dpi Display: touchscreen da 4,85 pollici Connettività: Usb, Ethernet, WiFi Caratteristiche: fronte-retro

automatico, supporto AirPrint, Nfc Consumo: (stampa standard): 565 W Rumorosità: (stampa standard): 56 dB Dimensioni: 410 x 503 x 492 mm Peso: 31 kg Prezzo: 1.265 euro (più Iva)



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