I Quaderni di Technopolis N°4

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NUMERO 04 | GIUGNO 2015

STORIE DI ECCELLENZA E INNOVAZIONE

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Scenari

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Tecnologie

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Esperienze

Esperienze

La rivoluzione degli oggetti connessi

La questione irrisolta dell’interoperabilità

L’Internet di ogni cosa in Italia? È reale e funziona

Internet of Things COSE, PERSONE, PROCESSI E DATI: IL MONDO INTERCONNESSO È GIÀ INTORNO A NOI. E I BENEFICI SI VEDONO


SCENARI

L'INTERNET OF THINGS È IL MOTORE DELLA TRASFORMAZIONE DIGITALE: NE SONO CONVINTI I MASSIMI ESPERTI IN CAMPO ECONOMICO E TECNOLOGICO. LA VERA SFIDA? RENDERE AUTOMATICA L'INFORMAZIONE, SFRUTTANDO L'INTELLIGENZA DELLE MACCHINE.

TESTO DI GIANNI RUSCONI

La rivoluzione degli oggetti connessi

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n certo Steve Wozniak, parlando a un evento in quel di Boston qualche settimana fa, se ne è uscito con questa affermazione: “Le macchine hanno vinto sull’uomo duecento anni fa, le abbiamo rese troppo importanti”. Come va intesa la provocazione del cofondatore di Apple in un’epoca in cui tutto, persone comprese, è e sempre più sarà interconnesso? Forse solo come una dichiarazione a effetto, ma l’essenza del messaggio non può essere trascurata quando si parla di Internet of Things. Kevin Ashton, fondatore dell’Auto-ID Center del Massachusetts 02

Institute of Technology e fra i massimi esperti della tecnologia Rfid, coniò nel 1999 questa espressione per descrivere un sistema in cui il mondo fisico veniva collegato alla Rete in modalità wireless e tramite sensori. Oggi l’Iot, al pari di altri paradigmi tecnologici, è uno dei cardini della rivoluzione digitale. I numeri del fenomeno li abbiamo ormai imparati a memoria: nel 2020 gli oggetti connessi saranno qualche decina di miliardi e impatteranno sui processi di ogni settore economico, dall’agricoltura ai trasporti, dal retail alla sanità. E a nove zeri sono anche i risparmi previsti dalla

diffusione su larga scala dell’Internet delle cose, per non parlare delle possibili ricadute in termini di aumento del Pil di un singolo Paese o di un’intera regione macro-economica. Le implicazioni dell’IoT nel prossimo futuro sono sostanziali, non ci sono molti dubbi in proposito. Piuttosto si discute, e a ragione, sulle sue capacità di trasformazione nell’immediato. O del fatto che in tema di privacy e sicurezza gli interventi regolatori e normativi non siano più procrastinabili. La convinzione di Ashton è che l’Internet of Things non sia cambiato in questi quindici anni: il suo essere una


SCENARI

rete di sensori ubiqui che automatizza la raccolta delle informazioni si configura come un’infrastruttura tecnologica con conseguenze e benefici di portata quasi illimitata. Difficili magari da quantificare, ma rispondenti a quella che è la visione del guru del Mit: “Nel XXI secolo l’informazione vuole essere automatica”. Per questo l’IoT va inteso come una massiccia rete di sensori onnipresente e altamente distribuita, collegata a strumenti di apprendimento automatico basati sul Web, che analizzano grandi quantità di dati in tempo reale formulando conclusioni utili. Una piattaforma unica La rivoluzione digitale che sta cambiando pelle a città, case, aziende e pubbliche amministrazioni ha un motore tecnologico che secondo Peter Sondergaard, senior vice president di Gartner Research, si chiama Internet of Things. Stiamo entrando in una fase “disruptive”

rispetto a quella precedente, ha detto di recente l’analista, e l’Iot non solo cambierà la faccia di varie industry ma diventerà un business da 1,9 trilioni di dollari entro il 2020, con il manufatturiero e la sanità a distinguersi fra i settori più prolifici di questo boom (contribuiranno nella misura del 30% al giro d’affari complessivo). Dentro le fabbriche e gli ospedali, così come dentro gli abitacoli delle automobili, nasceranno ecosistemi connessi in cui opereranno sensori, app, moduli machine-to-machine e software: ecosistemi finalizzati a generare, estrapolare e analizzare informazioni in modo del tutto automatico. L’IoT è un fenomeno la cui incidenza si declina su più livelli e quello economico è, come abbiamo visto, uno di questi. Un esperto in materia come Jeremy Rifkin è dell’idea che le ricette per ovviare alla riduzione del Pil e della produttività nei mercati maturi siano, guarda caso, digitalizzazione e Internet of Things. Nel suo

ultimo libro (La società a costo marginale zero) ipotizza un’infrastruttura unica alla base dei tre pilastri su cui si reggono tutte le economie, e cioè comunicazione, energia e trasporti. Pilastri che devono evolversi, aprendosi decisamente al digitale, utlizzandone i diversi strumenti. Ma qual è il cuore pulsante di tale infrastruttura? La risposta è la stessa di Gartner: l’IoT. Una piattaforma intelligente di sensori e strumenti di analytics totalmente pervasiva rispetto a device, macchine e processi, i cui compiti sono quelli di restituire dati in tempo reale, incrementare in modo sostanziale produttività ed efficienza, e fare da canale di collegamento di qualsiasi value chain. Da qui al 2030, recita il “Rifkin-pensiero”, ogni macchina sarà connessa, dando vita a una sorta di “cervello globale esterno”, applicabile a tutti i settori. Con buona pace, forse, di Steve Wozniak e dei timori che computer e macchine abbiamo preso il sopravvento. 03


SCENARI

Cambia la società e cambia l’industria. Fra cucine, fabbriche e automobili ENTRO IL 2015 GLI OGGETTI COLLEGATI IN RETE ALL’INTERNO DELLE SMART CITY SARANNO OLTRE UN MILIARDO. NEL 2020 L’ECOSISTEMA DELL’IOT NEL MONDO CONTERÀ 25 MILIARDI DI DISPOSITIVI. TUTTI I SETTORI NE SARANNO INTERESSATI. MA OGGI NELLE AZIENDE LA DIFFUSIONE DI SOLUZIONI È ANCORA LIMITATA. TESTO DI PIERO APRILE

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ulle dimensioni del fenomeno Internet of Things in molti, da tempo, si stanno esprimendo e gli analisti di Gartner non fanno eccezione: saranno poco meno di cinque miliardi di oggetti collegati a Internet già nel 2015 e nel 2020 diventeranno 25 miliardi. Prendendo in considerazione le smart city, il dato di quest’anno arriva a un miliardo di oggetti mentre 9,7 miliardi è quello stimato fra cinque anni. Numeri da prendere forse con le pinze, ma pur sempre indicativi di ciò che sta accadendo. Prendiamo per esempio le cosiddette smart home e più in particolare le cucine e tutto il loro corredo di elettrodomestici intelligenti: entro il 2020 contribuiranno nella misura minima del 15% al saving complessivo di cui godranno il settore alimentare e quello delle bevande. La “connected kitchen”, fanno notare da Gartner, ha ricevuto meno attenzione nell’ambito della

catena del valore degli oggetti connessi rispetto ad altri tipologie di dispositivi. Eppure, sembra provato, offrirà vantaggi significativi. Come prefigurarsi l’evoluzione della cucina in chiave IoT? Presto detto. I sensori collegati agli alimenti conservati fra credenze e frigorifero potranno trasmettere dati in tempo reale, e su questa base si potranno limitare gli sprechi e generare liste della spesa digitali. Tra le conseguenze, una maggiore efficienza ed ottimizzazione della catena di approvvigionamento alimentare e dei servizi di vendita al dettaglio. Se le case avranno una parte importante nello sviluppo dell’Internet of Things, anche le “connected car” saranno una delle componenti più corpose di questo grande universo. Fra cinque anni oltre 250 milioni di vetture disporranno di connettività Internet e dialogheranno con altri oggetti; tale esercito su quattro

ENERGIE ALTERNATIVE CONNESSE L’Internet of Things sarà un fattore abilitante anche per le energie rinnovabili. Secondo Abi Research, infatti, gli impianti fotovoltaici ed eolici faranno sempre più affidamento sulle tecnologie IoT. L’aumento medio annuo del giro d’affari è stimato al 21% fino al 2020, mentre si prevede che il numero delle connessioni fra cinque anni supererà i sei milioni (rispetto ai due milioni del 2014). E questo perché le soluzioni basate sull’Internet degli oggetti offrono gli strumenti per superare le storiche lacune delle fonti rinnovabili − come prestazioni dei sistemi di generazione di energia non ottimizzate e la variabilità della produzione − intervenendo sui processi di monitoraggio remoto delle apparecchiature. Che sempre di più andranno a braccetto con piattaforme di analisi basate su cloud.

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ruote, che aumenterà drasticamente di numero nel medio termine, sarà prodigo di nuovi servizi per conducenti e passeggeri e avrà dirette implicazioni sulla telematica, sui sistemi di guida autonoma, sull’infotainment e sulla sicurezza. Auto più intelligenti, insomma, che si muoveranno in città più intelligenti, per cui l’imperativo numero uno legato all’adozione delle tecnologie Iot è quello di ridurre code e imbottigliamenti nelle aree urbane. Fra abitazioni smart, servizi pubblici di vario genere e sistemi di trasporto, il numero di cose connesse a fine 2017 salirà secondo le proiezioni di Gartner a 2,7 miliardi. Ma siamo solo all’inizio. Gli ambiti di applicazione dell’IoT sono pressoché infiniti. Dai viaggi ai trasporti (metropolitane e treni intelligenti), dal mondo delle utility (con il monitoraggio remoto dei consumi e delle reti) a quello delle aziende e delle fabbriche. Qui, i


SCENARI due veri salti in avanti saranno l’accelerazione della digitalizzazione delle linee produttive e la possibilità di gestire cicli di riparazione molto più veloci ed economici, facendo leva sulla comunicazione tempestiva di anomalie e sulla manutenzione predittiva. La difficoltà nelle aziende A spingere le organizzazioni verso l’IoT, lo dice un recente rapporto redatto da Abi Research, sono fattori di diversa natura. La diminuzione dei costi di sensori, connettività e potenza di calcolo ha reso il fenomeno sempre più significativo per un’ampia fascia di aziende, interessate ai benefici delle cose connesse anche per migliorare la customer experience. In linea generale emerge come le soluzioni standardizzate stiano iniziando a comparire con maggior frequenza al posto di quelle altamente personalizzate che, storicamente, hanno caratterizzato

le implementazioni di questa tecnologia. Dal report in questione si evince inoltre un dato molto indicativo: le connessioni IoT business-to-business sono destinate a quadruplicarsi nel periodo 2014-2020, arrivando a 5,4 miliardi a livello globale. Entro il 2018, altro numero da segnare in rosso, nei luoghi di lavoro entreranno oltre 13 milioni di oggetti “wearable” per il monitoraggio dello stato di salute e dell’attività fisica, certificando il successo in chiave corporate dei dispositivi indossabili. A oggi, però, che la diffusione nelle aziende di soluzioni catalogabili come “abilitati all’IoT” pare sia limitata. Solo una organizzazione su dieci, in particolare, avrebbe finora adottato tecnologie Internet of Things in modo esteso. Siamo ancora in una fase sperimentale, anche in settori, come l’automotive, dove il paradigma “connected” è maturo da tempo (oltre 600 milioni di veicoli sono

ancora privi di qualsiasi connettività). Sensori, cloud computing, strumenti di analytics e reti sono ben noti alla maggior parte delle aziende e degli enti pubblici, ma è la definizione di una strategia percorribile sull’IoT che apre il campo alle complessità, a problematiche di integrazione, interoperabilità, sicurezza e privacy. Secondo Gartner, almeno fino al 2018 su scala mondiale non si imporrà alcun ecosistema dominante nell’Internet delle cose, e di conseguenza i responsabili It aziendali avranno bisogno di mettere insieme soluzioni di più fornitori. Un insieme coerente di modelli di business e tecnologici per abbracciare l’Internet degli oggetti ancora non c’è. A tendere, gli esperti ipotizzano la creazione di una piattaforma unica: è la sfida più importante, da cui forse dipenderanno il successo o l’insuccesso dell’Internet of Things nel lungo periodo.

MUTAZIONE LOGISTICA “The Internet of Things in Logistic” è uno studio, promosso da Dhl e Cisco, che analizza l’impatto potenziale dell’IoT sulle imprese operanti a vario titolo nel mondo delle soluzioni di immagazzinamento e del trasporto delle merci. Gli effetti dell’adozione di questa tecnologia saranno evidenti soprattutto nella diversificazione delle opzioni di consegna per i clienti e nella maggiore efficienza delle operazioni di stoccaggio. Sensori, software, app e reti collegheranno infatti milioni di spedizioni, monitorandone gli spostamenti in tempo reale. All’interno dei magazzini, pallet, scaffali e altri oggetti connessi diventeranno invece i cardini di una più intelligente gestione delle scorte. La tracciabilità e la rintracciabilità delle merci, infine, grazie all’IoT saranno più veloci e precise, perché sarà possibile prevedere il fallimento di una consegna e gestirne le conseguenze. Nel complesso si parla di un mercato globale che, nell’arco del prossimo decennio, supererà gli ottomila miliardi di dollari.

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SCENARI

EUROPA, INNOVARE È IMPERATIVO L’Unione Europea, almeno ufficialmente, si dimostra molto reattiva sul fronte dell’IoT. Lo scorso marzo, il Commissario per l’Economia e la società digitale, Günther Oettinger, lanciava la piattaforma Alliance for Internet of Things Innovation (Aioti). Questi i punti cardine dell’iniziativa: condividere le best practice più efficaci, lavorare agli standard e agli aspetti regolatori, mettere in contatto industria, startup e aziende di piccole e medie dimensioni con gli enti pubblici, i centri di ricerca e gli sviluppatori. Il fine ultimo, sulla carta esemplare, è quello di facilitare il processo di innovazione in tutti i Paesi che aderiranno alla piattaforma. L’organismo di Bruxelles, in poche parole, vuole percorrere tutte le strade possibili per creare terreno fertile allo sviluppo del mercato unico digitale e delle smart city. Uno studio a firma della Commissione Europea, condotto da Idc e Txt esolution, ha fatto intanto luce sulle potenzialità dell’IoT a livello comunitario, ricordando come l’ecosistema che sta nascendo sia caratterizzato dalla combinazione di più fenomeni tecnologici (cloud computing e Big Data). Per hardware, software e servizi la previsione di crescita è di oltre il 20% all’anno fino al 2020, con un giro d’affari che dai circa 307 miliardi di euro del 2013 (anno di riferimento) salirà a poco meno di 1,2 miliardi fra cinque anni. Il boom dell’IoT, conferma ancora lo studio, coinvolgerà tutti gli Stati membri, anche se in misura differente e in funzione del livello di investimenti tecnologici nazionali. Lo scenario descritto, però, potrebbe essere negativamente condizionato da almeno due variabili: la scarsa crescita economica del Sud Europa nel 2016 (l’Italia è fra le nazioni interessate) e l’incapacità delle piccole e medie imprese di cavalcare la rivoluzione IoT su larga scala, per mancanza di budget e assenza di standard.

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Chi e come deve governare l’IoT? S tati Uniti, Regno Unito e Italia guardano con estrema attenzione alle potenziali minacce per la privacy e i dati degli utenti, legate alla diffusione dell’Internet of Things. Sul tavolo della discussione c’è il problema della riformulazione del quadro normativo. Spicca, in questo senso, la recente azione della Federal Trade Commission americana, che ha chiesto agli operatori telco e in generale a tutti gli attori del mondo IoT maggiore assunzione di responsabilità a tutela della sicurezza. Impedire gli accessi non autorizzati ai dispositivi degli utenti e alle informazioni personali raccolte e immagazzinate nei sistemi cloud è, insomma, uno snodo fondamentale. La mossa non è piaciuta

LA TRASPARENZA E LA SICUREZZA DEI DATI, L’INTEROPERABILITÀ DI SISTEMI E TECNOLOGIE SONO I PUNTI CRITICI. SERVE DAVVERO UN NUOVO QUADRO NORMATIVO? CHE RUOLI DEVONO AVERE LE AUTORITY E I GOVERNI? TESTO DI GIANNI RUSCONI però ai paladini della libera innovazione tecnologica, elemento vitale per garantire maggiore concorrenza e migliori servizi ai consumatori. Il dibattito su come regolamentare un fenomeno dalle molteplici applicazioni (dalla domotica ai


SCENARI

LE TRE FACCE SMART DELL’ITALIA Auto, case e città. Sono alcune delle parole chiave dell’Internet delle cose all’italiana. Nel Belpaese circolano oggi 4,5 milioni di smart car, la maggior parte delle quali dotata di moduli Gps e Gprs per la localizzazione del veicolo e per la registrazione dei parametri di guida a scopo assicurativo. Il 46% dei proprietari di casa, invece, si dichiara intenzionato ad acquistare nel corso del 2015 soluzioni per il risparmio energetico e per la sicurezza degli ambienti domestici. Quanto alle città intelligenti, circa metà dei comuni con oltre 40mila abitanti ha avviato negli ultimi tre anni almeno un progetto di illuminazione, mobilità sostenibile e gestione dei rifiuti affidata all’IoT. Nelle smart city opera oggi solo il 2% dell’esercito di otto milioni di cose interconnesse (tramite rete mobile) censite a fine 2014 dall’Osservatorio IoT del Politecnico di Milano. Rispetto all’anno precedente la crescita è del 33%, per un giro d’affari complessivo di 1,55 miliardi di euro.

dispositivi indossabili in chiave sanitaria per arrivare alle città intelligenti), e che attribuisce anche agli oggetti di uso comune un’identità digitale, è più che mai aperto. E vi stanno partecipando anche le autorità italiane. Il Garante per la privacy lo scorso aprile ha aperto una consultazione pubblica sull’Internet of Things per valutare il fenomeno nella sua complessità e per definire misure e procedure che assicurino agli utenti la massima trasparenza nell’uso dei loro dati personali e tutela contro possibili abusi. Si tratta di una primizia assoluta a livello mondiale e, secondo alcuni, di un’occasione d’oro per redigere una normativa che consenta la crescita del settore preservando il valore dei prodotti e servizi offerti all’utente. I soggetti interessati a esprimere un indirizzo sul tema dovranno tenere conto di parametri ormai assunti a pilastri dell’ecosistema

IoT, e cioè interoperabilità e standardizzazione a anche trasparenza e sicurezza delle informazioni che viaggiano dalle cose (e dalle persone) connesse al cloud. Entro il 2020, secondo Gartner, l’85% dei prodotti di elettronica di consumo e degli elettrodomestici sarà collegato alla Rete e i dati che questo esercito di oggetti intelligenti andrà a generare dovrà essere debitamente gestito. Gli impatti sul Pil e sul design Uno scenario complesso e articolato, dunque, che va considerato anche in relazione agli effetti potenziali dell’Iot sul Pil: quello americano, secondo le stime di Accenture, potrebbe crescere del 2,3% entro il 2030 mentre in Italia ci si fermerebbe solo all’1,1% per la mancanza di condizioni volte a favorire la crescita di questo settore. Per questo, dice Giulio Coraggio, avvocato (partner dello studio Dla Piper) ed

esperto di tecnologie in materia legale, “è necessario che anche la conformità alla normativa privacy dei progetti IoT divenga un vantaggio piuttosto che una zavorra per il business tramite soluzioni pratiche che minimizzino l’impatto sui prodotti. Se l’attuale normativa che regola il mondo di Internet venisse pedissequamente applicata al mondo dell’Internet of Things si rischierebbe di uccidere un mercato che ha enormi possibilità di sviluppo”. L’impressione che gli attori dell’Iot raccolgano una quantità eccessiva di dati, ritenendoli utili per offrire nuove tipologie di servizi in futuro, è più che fondata. Il Garante, da parte propria, non ha espresso la propria opinione in merito agli obblighi che i progetti dei vendor dovranno rispettare, ma ha ribadito la necessità di lavorare, sin dalla fase progettuale, alla realizzazione di dispositivi in grado di tutelare la privacy. 07


TECNOLOGIE

La questione irrisolta dell’interoperabilità L'ETEROGENEITÀ È IL PUNTO DI PARTENZA. LA SFIDA: TROVARE UN LINGUAGGIO COMUNE. TESTO DI CLAUDIA ROSSI

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Internet of Things contribuirà alla riformulazione di interi settori industriali in nome dell’automazione e dell’efficienza. Uno scenario affascinante che oggi, però, trova nel tema dell’interoperabilità uno dei suoi punti più dolenti. Il crescente caleidoscopio di dispositivi, piattaforme e applicazioni connesse in Rete spalanca, infatti, la porta a un’eterogeneità di sistemi di difficile gestione. Non si tratta semplicemente di riuscire ad armonizzare dati provenienti da fonti diverse, ma di intervenire a monte per garantire la comunicazione tra tutti gli oggetti dotati di un sensore, indipendentemente dalla loro ingegnerizzazione. Una questione complessa, risolvibile con la definizione di un contenitore universale, di un “middleware” incaricato di abbracciare trasversalmente tutte le componenti dell’ecosistema IoT. Numerosi sono i fattori che giocano in favore di una soluzione open source, primo fra tutti l’intrinseca caratteristica d’interoperabilità del software aperto, seguita dalla possibilità di realizzare più velocemente smart device. Se oggi la definizione di uno standard univoco è ancora molto lontana, entro un paio d’anni al massimo la partita dovrà essere risolta, eleggendo la migliore tra le proposte disponibili, attualmente concentrate nei progetti IoTivity (sviluppato dall’Open InterconnectConsortium) e AllJoynfra08

mework (proposto dalla AllSeenAlliance). La prima iniziativa, appoggiata da Intel e da altri nomi blasonati quali Cisco, Acer, Dell, Samsung, Honeywell, Hp, Siemens e Lenovo, si propone di semplificare il riconoscimento e la comunicazione tra diversi dispositivi, rivolgendo l’attenzione soprattutto ai settori con le prospettive di sviluppo più interessanti in chiave IoT: automotive, sanità e industria. La seconda proposta, riconducibile alla Linux Foundation, è sostenuta invece da circa 120 aziende, tra cui Qualcomm, Microsoft, Panasonic, Sharp, Sony, D-Link, Htc, Netgear, Symantec e Verisign. L’idea è quella di realizzare una sorta di gateway con cui garantire attraverso il cloud un controllo totale degli strumenti connessi, oltre alla possibilità di farli comunicare direttamente tra loro. Parallelamente alla definizione di un middleware condiviso, il tema della governance dei device IoT ha iniziato a sollevare anche l’urgenza di riprogettare le infrastrutture di networking. Le reti private virtuali funzionano bene con i dispositivi che, associati al Machineto-Machine, usano le schede Sim per la comunicazione vocale su rete mobile. Tuttavia, con gli oggetti M2M sprovvisti di scheda, le Vpn impongono un limite al numero di commutazioni standard, plafonando presto la quantità di dispositivi supportati. Per superare il problema, oggi


TECNOLOGIE il paradigma del software defined networking si candida a migliore soluzione possibile, sfruttando il concetto evoluto di virtualizzazione “as-a-service”. I benefici promessi? Allocazione flessibile delle risorse, maggiore capacità delle reti di adattarsi in modo dinamico e predittivo, riduzione degli investimenti sui data center e (almeno sulla carta) massima affidabilità per la business continuity dell’IoT. La soluzione al problema Cosimo Palmisano, vice president del product management di Decisyon, azienda italiana specializzata in campo Big Data e IoT, ha una tesi precisa sull’argomento. Il presupposto è che, non esistendo standard, il rischio che l’interoperabilità si complichi è altissimo. I costi per la sua gestione, già molto elevati, potrebbero salire esponenziamente al crescere dei soggetti tecnologici da includere. “L’inte-

roperabilità nell’IoT ha sicuramente una declinazione tecnologica che sfocia nella standardizzazione ma la questione rivela altri aspetti chiave”. spiega Palmisano. “I processi di business devono essere interoperabili: i progetti IoT devono cioè seguire e mappare quelli che sono i workflow standard per la risoluzione di un problema. E anche i dati devono essere interoperabili: le informazioni raccolte dai sensori e macchine devono, cioè, essere facilmente correlabili con altri dati strutturati provenienti dai sistemi legacy e con quelli non strutturati presenti nei canali social”. C’è quindi una soluzione che può facilitare l’interoperabilità fra macchine? Secondo Palmisano, la risposta sarà la collaborazione fra le persone e più precisamente sarà “l’umanizzazione dell’IoT, l’ingrediente segreto che permetterà di gestire la complessità e di facilitare il processo di connessione fra strumenti costruiti con metodi e tecnologie diverse”.

LE PIATTAFORME E IL BALLETTO DEI SISTEMI OPERATIVI Un business nel business. È quello delle piattaforme per l’Internet of Things, cioè dei sistemi per la gestione di connettività, dispositivi e applicazioni non sviluppati in-house dalle aziende ma realizzati da fornitori esterni. Una fotografia su questo mercato l’ha scattata Berg Insight, inquadrando un segmento che crescerà a un tasso annuale composito del 32% per passare dai 450 milioni di dollari del 2014 ai 2,4 miliardi del 2020. La valenza di queste soluzioni “multi-purpose”, che offrono componenti standardizzati condivisibili tra più settori verticali, è quella di poter sviluppare e implementare le soluzioni IoT più velocemente e a costi inferiori, senza disperdere risorse nel reinventare le funzionalità già esistenti e rispondendo meglio all’aspetto (vitale) dell’integrazione di sensori, apparati e sistemi informativi. Le aziende, spiegano ancora gli analisti, potranno derivare dalla loro adozione vantaggi non raggiungibili con le applicazioni M2M, spesso fortemente customizzate all’interno di singoli segmenti industriali e poco capace di supportare la flessibilità necessaria a gestire un numero crescente di device. Facilitare in chiave IoT il lavoro degli sviluppatori è un obiettivo che si sono prefissi anche alcuni grandi attori dell’universo hi-tech. I nomi? Google, Intel, Apple, Samsung, Microsoft e Huawei, tanto per citarne alcuni. Tutti impegnati a mettere in campo versioni ad hoc dei propri sistemi operativi, piattaforme di sviluppo o una vera e propria architettura hardware e software, con l’intento più o meno dichiarato di fare da collante all’interconnessione degli oggetti. C’è chi punta in modo deciso sul mondo delle smart home e dei wearable (la casa di Mountain View e quella di Cupertino,in primis) e chi apre l’orizzonte anche agli ambienti industriali e ad altri settori verticali (come la multinazionale cinese con il suo LiteOS). L’idea di fondo, cavalcata in modo deciso da Samsung con Artik, è quella di far convergere in un unico “pacchetto” (compatibile con le schede open hardware più diffuse come Arduino) estese capacità di elaborazione, connettività e analisi al fine di velocizzare il go-to-market dei nuovi prodotti.

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TECNOLOGIE

Le minacce dell’infosfera, cybercrimine in agguato

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er mettere in sicurezza il complesso mondo dell’Internet of Things occorre un approccio strutturato e coordinato. Questa la conclusione cui è giunto lo studio di Beecham Research intitolato “IoT Security ThreatMap” e dedicato ai nodi ancora irrisolti dell’universo delle cose interconnesse. A mettere al riparo sistemi, utenti, informazioni sensibili e quant’altro dagli attacchi dei cybercriminali ha contribuito fino a oggi la mancanza di un’adozione pervasiva dei servizi e delle soluzioni che muovono l’ecosistema IoT. Ma lo scenario potrebbe presto cambiare, considerate le esplosive prospettive di crescita delineate per questo mercato. Numerosi sono gli anelli deboli su cui occorre intervenire e al più presto, 10

I TANTI SOGGETTI CHE COMPONGONO L’UNIVERSO IOT MOLTIPLICANO IL NUMERO DELLE VULNERABILITÀ E RENDONO ARDUA L’OPERA DI PROTEZIONE DEI DATI. LE SOLUZIONI, PERÒ, NON MANCANO. TESTO DI CLAUDIA ROSSI in quanto siamo al cospetto di una pluralità di soggetti che, oltre a moltiplicare il numero delle vulnerabilità, rende ancora più difficile l’identificazione di soluzioni univoche di sicurezza. Secondo la società d’analisi inglese, le maggiori problematiche legate a sensori e dispositivi riguardano soprattutto i meccanismi di identificazione e autorizzazione; in ambito reti, invece, le minacce si concentrano sulle interfacce tra le

diverse tipologie di network. “In ambito IoT”, dice Eddy Willems, security evangelist di G Data, “stiamo rilevando un enorme problema nelle istanze di autenticazione e un pericoloso buco di security anche nella cifratura dei dati trasmessi”. A complicare una situazione già abbastanza intricata contribuisce, poi, la necessità di proteggere i dati anche solo in transito all’interno dei sistemi. Un’esigenza che impone un cambio di passo im-


TECNOLOGIE

DATA CENTER A RISCHIO PER COLPA DELL’IOT? Fra il 2014 e il 2019 la domanda di risorse informatiche necessarie a gestire il traffico generato dall’Internet of Things aumenterà di circa il 750%. Se quello lanciato da Idc non è un allarme, poco ci manca, perché l’esplosione di informazioni e dei dispositivi connessi in rete avrà un impatto diretto sul funzionamento delle sale macchine. Le imprese, fanno notare gli analisti della società americana, dovrebbero concentrarsi sui requisiti delle piattaforme per supportare l’IoT a livello di data center e non solo a livello di singoli server o apparati di storage. Chief information officer e responsabili It, insomma, dovranno rimboccarsi le maniche per evitare che la diffusione di nuovi servizi e applicazioni di classe enterprise rischi di sommergere le aziende. Una soluzione al problema è già stata identificata: il passaggio a infrastrutture basate sul cloud, con lo spostamento di gran parte della capacità di archiviazione richiesta nei centri dati dei service provider. Il rischio di una rapida erosione della disponibilità di storage dei data center, del resto, era già stata preventivato lo scorso anno da Gartner proprio in relazione alla prevista escalation del volume di dati generati dall’IoT. Abi Research ha provato a quantificare la massa di informazioni che gli oggetti connessi andranno a produrre e siamo di fronte a numeri da capogiro: se nel 2014 si sono superati i 200 exabyte, entro la fine di questo decennio arriveremo oltre i 1.600 exabyte (1,6 zettabyte), quantità pari a tutta la documentazione cartacea conservata nella Biblioteca del Congresso di Washington moltiplicata circa 300 milioni di volte. A livello di architetture, la convinzione di molti esperti è che l’Internet of Things stia guidando un importante cambiamento di paradigma, accelerando il passaggio dal cloud computing al cosiddetto “edge computing”. In Abi Research, in particolare, sono convinti che l’edge computing costituisce una grande sfida per l’intera catena del valore dell’IoT, prova ne siano il rimescolamento e la convergenza in atto fra le piattaforme cloud e i fornitori di software di analisi. Una tendenza che potrebbe inoltre regalare una grande opportunità di business per i tanti specialisti del software e dell’hardware (Eurotech, Kepware Technologies, OSIsoft e Panduit) che hanno lavorato in questa direzione da molto prima che l’IoT diventasse un concetto di moda. E una sfida da vincere.

portante alle soluzioni di security, oggi poco conformate sulle effettive vulnerabilità dell’IoT e ancora molto impostate su una protezione tradizionale, orientata alla salvaguardia dei singoli componenti dell’ecosistema. Per gli analisti di Beecham Research, un approccio coordinato sarebbe invece decisamente auspicabile, soprattutto in considerazione della complessità dell’Internet delle cose: un ecosistema articolato in apparati, reti, protocolli di comunicazione, piattaforme e applicazioni di tipologie profondamente diverse fra loro. Ma tutte chiamate a garantire il massimo a livello di integrità dei dati. “Proteggere l’IoT è possibile”, conferma Eugenio Libraro, regional director Italy & Malta di F5 Networks, “ma occorre operare un profondo cambio di mentalità perché con l’Internet of Things i perimetri di rete si trovano al collasso. Per le aziende questo non significa dover

Ogni device intelligente può essere strumentalizzato dai cybercriminali. Proteggere l’IoT è possibile, ma occorre operare un profondo cambio di mentalità perché i perimetri di rete si trovano al collasso. procedere a una revisione completa delle infrastrutture It, ma richiede loro la massima attenzione su più punti specifici, come la protezione dei dati a livello di applicazione, la pianificazione dell’afflusso dei dispositivi, uno studio del loro impatto sulla banda e il controllo completo su chi ha accesso alla rete e ai dati”. Una visione olistica che richiede, ancora una volta, un approccio coordinato su più livelli per garantire un’integrità di tipo “end-to-end”, dal device alle reti fino ad abbracciare piattaforme e cloud. “In passato”, afferma Wieland Alge,

vice president e general manager Emea di Barracuda Networks, “la protezione delle risorse It aziendali era sinonimo di gestione unificata delle minacce: bastava un unico dispositivo capace di proteggere a 360 gradi i dati aziendali. In ambito IoT tutto questo è obsoleto. Il nemico non passa più dalle porte sorvegliate e qualunque device intelligente può essere strumentalizzato dai cybercriminali per sferrare nuove tipologie di attacco”. La lotta alle minacce che gravitano nell’infosfera, sembra di capire, è appena iniziata. 11


ESPERIENZE

L’Internet di ogni cosa in Italia? È reale e funziona LA DOMOTICA CHE NASCE DAL CROWDFUNDING Si chiama Ovumque e ha preso vita con diecimila euro di finanziamento raccolti grazie a FastUp, l’incubatore nato della collaborazione tra il portale di crowdfunding Eppela e Fastweb. Il campo di intervento di questa startup è la domotica e il frutto della sua attività di ricerca e sviluppo è un kit (sensori, controller e periferiche) per la gestione di case, negozi, esercizi commerciali e uffici. Elettrodomestici e impianti di climatizzazione e riscaldamento sono i sistemi che entrano nel raggio d’azione di Ovumque, il cui compito è duplice. Da un lato, monitorare i consumi per massimizzare l’efficienza energetica, e dall’altro fungere da strumento di sicurezza rilevando eventuali fughe di gas, incendi o allagamenti e tenendo sotto controllo gli spazi domestici attraverso un sistema di video sorveglianza. Un vero e proprio hub intelligente, pensato per vivere fra le mure domestiche come un oggetto di design (assomiglia a una lampada) e perennemente connesso alle periferiche tramite un access point WiFi. La sua peculiarità? Essere utilizzabile anche da remoto tramite un’app che, fra le varie funzioni, offre anche quella di registrare le abitudini di consumo degli apparecchi domestici per anticipare di conseguenza i comandi degli utenti. Sotto il cappello dell’Internet of Things, la smart home (mercato che in Europa vale oggi 770 milioni di euro e che nel 2019 salirà fino a otto miliardi) fa un altro passo in avanti.

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ESPERIENZE

SANITÀ, MODA, MANIFATTURIERO, AGROALIMENTARE: SONO SOLO ALCUNI DEI SETTORI CHE BENEFICERANNO DI UN ECOSISTEMA CHE CONNETTE OGGETTI, PROCESSI, DATI E PERSONE. UN ESEMPIO È GIÀ IN SCENA A EXPO. TESTO DI GIANNI RUSCONI

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ntro il 2020, secondo le proiezioni di Gartner, la quasi totalità delle imprese private e delle amministrazioni pubbliche saranno digitali e dotate di competenze tecnologiche nel rispettivo settore. Di questa rivoluzione in corso, l’Internet of Everything (IoE) è una componente importante e va letta come insieme di tecnologie, servizi e best practice che allarga il fronte di applicazione dell’Internet of Things e del Machine-to-Machine. Collegare in Rete sensori e componenti non basta”, dice Agostino Santoni, amministratore delegato di Cisco Italia. “Si devono raccogliere i dati e analizzarli, mettere in relazione informazioni, processi e persone, generando valore aggiunto e creando un ecosistema. Con l’IoE si esplorano opportunità di sviluppo del mercato senza precedenti. La diminuzione dei costi dei sensori, per esempio, favorirà l’automazione a livello industriale, mentre i wearable diventeranno un elemento vitale per alcuni settori come sanità e fashion”.

LE STARTUP CHE FANNO PARLARE GLI OGGETTI Vestiario, mobili, elettrodomestici, segnaletica stradale, veicoli, robot: l’elenco delle cose che si possono collegare a una rete è praticamente infinito. Parliamo di un mondo che i guru della Silicon Valley ritengono fra i più interessanti da esplorare per le startup e non a caso il numero di “new company” hi-tech che nascono e si muovono nell’universo dell’IoT è in costante aumento. Anche in Italia. All’ultima edizione della IoT/M2M Innovation World Cup ha partecipato, entrando fra le quattro finaliste della categoria “security”, una piccola azienda di casa nostra: Ubiquicom. Nata nel 2004 e sorrettasi fin qui con l’autofinanziamento, ha saputo sviluppare una piattaforma open (SafeLocator Suite) per soddisfare gli specifici requisiti di sicurezza in ambienti di lavoro di tipo industriale. Come? Monitorando in tempo reale e in modo anonimo, tramite apposito “tag”, i dispositivi di protezione individuale in uso agli addetti e rilevando il loro stato fisico in caso di incidenti. Il fine della soluzione, al vaglio di un grande provider europeo in campo energetico, è presto riassunto: prevenire possibili situazioni di pericolo. E senza inficiare minimante la privacy dei lavoratori. Un altro esempio di impresa innovativa è BrainControl, realtà nata in pancia all’incubatore Breed Reply e salita alla ribalta per aver vinto l’eHealth Solution Eu Competition e il premio Marzotto. La startup ha partorito una tecnologia assistiva che permette a persone affette da patologie come la Sla (sindrome laterale amiotrofica) o da lesioni traumatiche e ischemiche di comunicare con il mondo circostante. Il tutto grazie a una speciale interfaccia uomo-macchina che, attraverso un dispositivo posizionato sulla testa del paziente, interpreta la mappa elettrica corrispondente a determinate funzioni celebrali. In questo modo si possono controllare sistemi vari, per esempio computer o tablet. 1

Ma parliamo ancora di teoria o di qualcosa che trova già concrete applicazioni dentro le aziende italiane? La risposta corretta è la seconda, declinata nell’impiego di questa “tecnologia” nelle industrie verticali, dalle utilitiy al manifatturiero, dal retail all’automotive. Nella lista c’è anche l’agroalimentare, un settore che conta di 890mila imprese e che vale il 17% del Pil italiano. Il progetto “Safety for food”, sviluppato da Cisco con la napoletana Penelope, è nato per garantire tracciabilità e rintracciabilità dei prodotti e il controllo dell’intera filiera. La soluzione tecnologica legata a questa iniziativa, cioè la piattaforma ValueGo, è stata adottata da Valori Italia, l’associazione (certificata dal Ministero delle Politiche Agricole) che riunisce le 33mila aziende vinicole italiane riconosciute Doc/Docg, e da Barilla. A Expo 2015 l’azienda emiliana porta due prodotti in edizione limitata, la pasta nel formato farfalle e il sugo al basilico (in vendita nel Supermercato del

Futuro di Coop all’interno del Future Food District), per i quali l’utilizzo della tecnologia digitale ha reso possibile il tracciamento di tutte le fasi di lavorazione degli stessi. Attraverso un QR code presente sulle confezioni, i consumatori possono accedere dal proprio smartphone a un sito Web che racconta “la storia” dello specifico lotto di produzione, dove è avvenuta la semina, gli impianti dove è stato lavorato. Soggetto al processo di digitalizzazione è anche il manifatturiero, un mondo che conta in Italia circa 550mila imprese e che soffre, secondo Santoni, di una dicotomia evidente: molte aziende dispongono di attrezzature allo stato dell’arte ma difettano sotto il profilo della governance dell’It. In questo campo, “l’IoE funge da collante virtuoso fra l’It e le operation. E permette di superare criticità rappresentate da protocolli proprietari, isole informative chiuse e bassi livelli di sicurezza, agevolando il raggiungimento di un obiettivo vitale che si chiama flessibilità”. 13


ESPERIENZE

Prove pratiche (riuscite) di agricoltura hi-tech IL FUTURE FOOD DISTRICT DI EXPO 2015 È SOLO UN ESEMPIO DI COME L’INDUSTRIA ALIMENTARE STIA CAMBIANDO PELLE GRAZIE ALLE TECNOLOGIE. NE SONO INTERESSATI TUTTI I COMPARTI E TUTTI I PROCESSI. ECCO ALCUNI CASI DI ECCELLENZA. TESTO DI GIANNI RUSCONI

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racciabilità, sostenibilità, comunicazione trasparente al consumatore: il mondo dell’agroalimentare e la filiera del food stanno vivendo una fase di grande dinamismo, all’insegna del paradigma smart. Diventano più intelligenti i processi e più elevata è la qualità del servizio portato sul mercato. Ottimizzare l’uso di risorse quali acqua, fertilizzanti e

fitosanitari e tracciare il singolo lotto di produzione (partendo dalle informazioni sulla semina per finire con quelle attinenti il confezionamento e la distribuzione) sono solo due dei tanti cambiamenti che stanno interessando tutti i segmenti di questa industria, dal vitivinicolo al lattiero-caseario, dalla carne ai prodotti derivati dal grano. Le tecnologie che entrano in gioco sono più o

SMARTPHONE CONTRO LO SPRECO DELL’ACQUA IN CITTÀ Circa duecento litri al giorno: a tanto ammonta il consumo medio pro capite di acqua potabile in Italia. In questa speciale classifica il Belpaese non è secondo a nessuno in Europa e non è, ovviamente, un primato di cui vantarsi. La tecnologia può essere una risposta al problema? Sì, e la soluzione che hanno confezionato Vodafone e la danese Kamstrup ha il duplice obiettivo di facilitare il controllo delle risorse idriche da parte dei cittadini e di rendere più semplice l’individuazione dei guasti al sistema di distribuzione dei centri urbani. Il tutto attraverso lo smartphone. Parliamo quindi di un’applicazione di Cellular Internet of Things (CIoT), un’Internet delle cose integrata alla rete mobile, che consente di interconnettere in modalità wireless più dispositivi intelligenti tra loro (smart meter e telefonini) e di offrire a consumatori e utility gli strumenti per verificare in tempo reale i consumi idrici domestici. In tema di risorse idriche l’Unione Europea ha portato avanti in questi anni il progetto “Leakcure” con il fine di testare uno “smart water system” incaricato di recuperare circa nove miliardi di litri d’acqua all’anno.

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meno note: Rfid, identificazione con QR code o tag Nfc. A queste va aggiunta, ovviamente, anche l’Internet of Things con tutto il suo corredo di sensori, apparati di connettività, Big Data, strumenti di analytics, app mobili e via dicendo. La “smart farm” o “connected farm” nasce, dunque, nel solco di un processo di trasformazione teso a migliorare la resa dei terreni agricoli e la produttività degli


ESPERIENZE allevamenti. Secondo Saverio Romeo, analista di Beecham Research, i problemi legati all’aumento della produzione alimentare necessaria per sostenere l’incremento demografico da qui al 2050 passa dal “reinterpretare le pratiche agricole esistenti attraverso l’uso di tecnologie basate sui dati”. L’agricoltura può diventare intelligente, in altre parole, grazie all’Information Technology e agli strumenti che raccolgono dati sul terreno, sulla coltivazione, sullo stato di salute degli allevamenti e sulla composizione chimica dei prodotti. Arrivando, come ultima tappa di questo percorso, alla possibilità di offrire ai consumatori tutti i dettagli di ogni singola referenza esposta in negozio. Il Future Food District di Expo 2015 è un esempio di concretizzazione del concetto di “smart agricolture”. Un’edizione limitata della pasta in formato farfalle e una del sugo al basilico di Barilla, in vendi-

ta sui banconi del supermercato digitale allestito da Coop, sono state tracciate in tutte le fasi della loro vita per offrire al consumatore un’esperienza di consumo nuova, fondata sulla possibilità di apprendere direttamente dal proprio smartphone la “storia” del prodotto attraverso un QR code posto sulla confezione. Andrea Belli, quality and food safety, technical project leader di Barilla, ha sottolineato che “non si tratta di una tracciabilità e rintracciabilità generica, ma di una fotografia trasparente di quello specifico lotto”. Tutto ruota intorno a una piattaforma informatica sviluppata da Cisco (con il supporto della napoletana Penelope) nell’ambito di Safety For Food, un’iniziativa tesa a creare un sistema virtuoso in cui far interagire i diversi soggetti del comparto e a realizzare una banca dati accessibile all’intera industria e agli enti preposti in

materia di sicurezza alimentare. I prodotti si dotano, in buona sostanza, di un “passaporto digitale” che li accompagnerà per tutta la loro vita, rendendoli più trasparenti ai consumatori. Le startup fanno scuola Parlando di innovazioni di Internet of Things che stanno modificando i modelli di business di interi settori, non potevano mancare le testimonianze delle startup. L’elemento di cambiamento che l’Iot rappresenta per i processi di imprese e professionisti lo si può vedere, per esempio, nelle storie di due giovani e piccole realtà come Melixa (di Trento) e Bioside (di Lodi), nate in seno al programma BizSpark di Microsoft e presenti entrambe a Expo 2015. Le arnie intelligenti della prima sono pensate, e brevettate, per monitorare lo stato di salute delle api (insetti vitali per una grande varietà di frutta e verdura) e l’equilibrio dell’ambiente in termini di biodiversità: nel gestirle concorrono sensori, reti wireless, tecnologie Gps, un’app mobile e dati memorizzati ed elaborati nel cloud di Microsoft Azure. L’obiettivo del progetto è quello di offrire agli apicoltori e ai centri di ricerca un sistema per il controllo, capace di garantire maggiore efficacia nelle operazioni di cura delle api. Il secondo è invece un caso di applicazione delle nanotecnologie al mondo agricolo, alimentare e veterinario. Bioside ha sviluppato un sistema di “diagnostica prêt-à-porter”, Qualyfast Q3, per effettuare analisi di biologia molecolare sul punto di bisogno, senza necessità di personale qualificato. Una sorta di laboratorio mobile per individuare e quantificare il Dna di differenti tipologie di campioni utilizzando specifici chip, che rilevano le informazioni da animali o alimenti facendo le veci dei sensori; i dati vengono poi per elaborati da un’app direttamente sullo smartphone, e infine i risultati ottenuti vengono archiviati nel cloud. Il vantaggio? La possibilità di completare la validazione di un’analisi da parte di un laboratorio direttamente nella nuvola, riducendo enormemente i costi e i tempi di diagnosi di un’infezione, e quindi il rischio che il contagio si propaghi. 15


ESPERIENZE

L’intelligenza connessa dei distributori automatici LA NUOVA PIATTAFORMA IOT DI INTEL RIVOLUZIONA IL SETTORE DEL VENDING. A BENEFICIO DI RIFORNIMENTI E RIPARAZIONI, MA ANCHE DEGLI ANALYTICS. TESTO DI PIERO APRILE

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l comparto italiano del vending può vantare un primato mondiale: essere davanti a tutti sia per il numero di bevande e alimenti acquistati da distributori automatici, sia per quanto riguarda la produzione delle macchine (con la bergamasca N&W Global Vending a fare da portabandiera). C’è quindi un motivo preciso se Intel ha scelto proprio il Belpaese, in occasione della fiera Venditalia, per annunciare in anteprima la sua piattaforma per l’Internet delle cose, Iot Retail Gateway, dedicata a questo settore. Grazie a un variegato mix di tecnologie (chip, software, sensori di prossimità, controller) le “macchinette” diventano intelligenti e possono interfacciarsi con schermi touch e piattaforme di pubblicità digitale, con sistemi di telemetria e di pagamento mobile e contactless. Il fatto di essere collegate in Rete, inoltre, rende possibile il controllo da remoto e in tempo reale di ogni parametro: temperature di esercizio, inventario dei prodotti disponibili, eventuali anomalie, conto de16

gli incassi, e altro ancora. Per le aziende che operano in questo mercato, l’impatto di una tale soluzione è decisivo: i processi di rifornimento e manutenzione diventano più smart, perché i dati del distributore automatico vengono raccolti e stivati nel cloud e quindi resi accessibili (anche da smartphone e tablet) al personale, accorciando i tempi di intervento. Per i consumatori la rivoluzione promessa dall’IoT è tutta nell’esperienza d’uso. Le classiche pulsantiere, per esempio, verranno sostituite da schermi touch

sempre più grandi, attraverso cui selezionare i prodotti o fruire di contributi video (pubblicitari) mentre la macchina non è utilizzata. E ancora: una webcam potrà riconoscere il sesso dell’avventore per proporre prodotti diversi in base alle statistiche di consumo, mentre speciali access point WiFi (è il progetto cui ha dato vita la spagnola Beabloo) saranno in grado di tracciare gli smartphone presenti in un certo ambiente (nei pressi della singola postazione o all’interno di un centro commerciale) per estrarre, a scopi di marketing, dati sul flusso delle persone.

LA MOBILITÀ SMART PARTE DAGLI AEROPORTI DI ROMA Regolare in modo intelligente gli accessi dei taxi negli impianti di Fiumicino e Ciampino grazie alla tecnologia Rfid: il progetto realizzato da Paybay per Aeroporti di Roma è un esempio riuscito di applicazione del modello IoT alla smart mobility. L’essenza del progetto, portato a termine dalla sussidiaria digitale di Qui! Group, ha una finalità ben precisa e cioè quella di evitare intasamenti di auto davanti agli ingressi delle aree partenze e arrivi, gestendo il traffico dei taxi in base al numero di persone che possono aver bisogno di una corsa in un dato momento. I tag a radiofrequenza passivi posti sui parabrezza sono i componenti vitali di un sistema interconnesso, basato sulla raccolta di dati in tempo reale, e di una soluzione, tutta italiana, deputata a rendere più efficiente un flusso di vetture oscillante tra le duemila e le quattromila al giorno. Fra i tanti benefici aspettati ci sono anche quelli, non trascurabili, del rispetto delle precedenze nelle code dei taxi nelle aree arrivi e della completa eliminazione del problema dei tassisti abusivi. Solo le vetture autorizzate, infatti, sono riconosciute da un’antenna attiva che “comunica” con il chip Rfid e che assegna in automatico un numero progressivo al conducente per abilitarlo a dirigersi negli spazi riservati a caricare il cliente in attesa.


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