I Quaderni di Technopolis N°3

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i quaderni di STORIE DI ECCELLENZA E INNOVAZIONE

NUMERO 3 | FEBBRAIO 2015

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Scenari Alla scoperta della fabbrica del futuro

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Tecnologie Manifattura 4.0 in salsa cloud, la catena di montaggio si trasforma

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Esperienze Le aziende cambiano faccia: ecco come e con quali vantaggi

Digital Manufacturing NUOVE TECNOLOGIE, MODELLI DI PRODUZIONE, INNOVAZIONE: ARRIVA LA QUARTA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE


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i quaderni di S T O R I E D I E C C E L L E N Z A E I N N O VA Z I O N E

I quaderni di Technopolis n. 3 - febbraio 2015 Inserto di Technopolis periodico bimestrale registrato presso il Tribunale di Milano al n° 378 del 09/10/2012. Direttore responsabile: Emilio Mango Coordinamento: Gianni Rusconi Hanno collaborato: Alessandro Andriolo, Andrea Bacchetti, Valentina Bernocco, Patrizia Fregonara, Paolo Galvani, Giuseppe Padula, Laura Tore, Massimo Zanardini Sales and marketing: Marco Fregonara, Francesco Proietto Foto e illustrazioni: www.dollarphotoclub.com Editore, redazione, pubblicità: Indigo Communication Srl Via Faruffini, 13 - 20149 Milano tel: 02 36505844 info@indigocom.it www.indigocom.com Stampa: RDS Webprinting - Arcore © Copyright 2012 Indigo Communication Srl Tutti i diritti di proprietà letteraria e artistica riservati. Il Sole 24 Ore non ha partecipato alla realizzazione di questo periodico e non ha responsabilità per il suo contenuto. Pubblicazione ceduta gratuitamente.

Editoriale

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Sommario 04

Scenari Alla scoperta della fabbrica del futuro

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Grande e configurabile o piccola e on-demand

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Tecnologie La rivoluzione industriale

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nell’industria italiana

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Manifattura 4.0 in salsa cloud, la catena di montaggio si trasforma

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Esperienze Le aziende cambiano faccia. Ecco come e con quali vantaggi

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Chi sta cavalcando

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la nuova onda digitale

di Gianni Rusconi

a fabbrica 4.0 e la quarta rivoluzione industriale: il terzo numero dei Quaderni di Technopolis è dedicato a una tematica che interessa molto da vicino il tessuto imprenditoriale italiano. Parliamo infatti di “digital manufacturing”, degli impatti che le nuove tecnologie possono esercitare sulle dinamiche operative delle aziende di produzione, dei cambiamenti organizzativi e a livello di processo cui sono chiamate le imprese per rimanere competitive in un mercato sempre più difficile. Nel raccontare questo fenomeno abbiamo chiesto a più esperti di descrivere le varie anime che caratterizzano questa rivoluzione. Una rivoluzione che sta iniziando a prendere piede anche in Italia, Paese da sempre capofila nell’ambito della manifattura. Ce lo confermano i casi e le esperienze di aziende che hanno avuto l’intuizione di abbracciare il cam-

biamento ad ampio spettro, accelerando il proprio processo di evoluzione. Modificando in corsa strategie e investendo sulle nuove tecnologie. Le stampanti 3D, il cloud computing, l’Internet delle cose ma anche la robotica e l’intelligenza artificiale sono, nel loro insieme, un elemento sicuramente vitale per trasformare le logiche di produzione e rivoluzionare le catene di montaggio. Ma non sono l’unico. La svolta in direzione della fabbrica del futuro si gioca anche sul piano dei modelli di relazione e di gestione: fare innovazione “aperta” diventa la sfida da intraprendere, la democratizzazione della produzione diventa un concetto che da teorico deve tradursi in azioni concrete. Le criticità, a cominciare dal solito problema della mancanza di competenze, non mancano. Ma ci sono indicazioni che ci lasciano essere ottimisti.

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scenari LE TECNOLOGIE DIGITALI SONO LA STRADA MAESTRA PER RIDARE SLANCIO AL SETTORE MANIFATTURIERO, NEL SOLCO DI UNA NUOVA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE. CAMBIANO I MODELLI DI PRODUZIONE, E SERVE COSTRUIRE UN ECOSISTEMA VIRTUOSO CHE VADA OLTRE L’AZIENDA. testo di Gianni Rusconi

Alla scoperta della fabbrica del futuro

I

l baricentro della produzione manifatturiera mondiale, nel periodo 2001-2011, si è decisamente spostato nel cosiddetto Bric (Brasile, Russia, India e Cina), la cui incidenza sull’economia globale di questo settore è passata (secondo dati Unctad) dal 21% al 40%, toccando l’equivalente di circa 6.600 miliardi di euro. Una tendenza che se ne porta dietro un’altra, e cioè la progressiva deindustrializzazione nell’Unione Europea. Il valore aggiunto prodotto dal comparto manifatturiero nella Ue è sceso nel 2011 04

al 15%; l’Italia ha fatto un sostanziale passo indietro (dal 20% al 16%) mentre l’industria tedesca è stata l’unica in Europa a crescere, nel periodo considerato, dal 22% al 23%. La necessità di un cambio di passo è quindi evidente, anche in relazione agli obiettivi fissati da Bruxelles, che alzano al 20% la soglia da raggiungere per l’industria manifatturiera entro il 2020. La strada può e deve essere quella della profonda digitalizzazione delle fabbriche, dell’adozione di nuovi modelli di sviluppo e di razionalizzazione dei processi. Una strada

che riconduce, per esempio, al paradigma “Industry 4.0”. Per giocare un ruolo di leadership in questo processo l’Europa, e lo dice uno studio recente di Roland Berger, dovrebbe però investire 90 miliardi di euro l’anno per i prossimi 15 anni. La Germania traccia la strada La piattaforma Industry 4.0, e cioè il progetto che combina soluzioni tecnologiche, ricerca scientifica (a firma del Fraunhofer Institute) e best practice per la computerizzazione avanzata del mondo manifattu-


scenari

riero, ha preso forma quattro anni or sono per iniziativa del Governo tedesco, che ha messo sul piatto 430 milioni di euro fino al 2018. Il progetto sposa il concetto della quarta rivoluzione industriale, dopo che la terza si è concretizzata negli anni settanta con l’automazione delle linee di assemblaggio. La fabbrica di quarta generazione si muove invece nel solco della forte individualizzazione dei prodotti, dell’intensa integrazione tra clienti e partner (anche per la creazione di servizi a valore aggiunto), dell’avvento dei beni ibridi (in parte prodotto e in parte servizio) e del passaggio da una gestione centralizzata della produzione a una decentralizzata e non più limitata da confini settoriali. Il principio che ispira Industry 4.0 è quello di aumentare la produttività: oggi il giro d’affari dell’economia digitale tedesca vale circa 90 miliardi di euro annui. Nei prossimi dieci anni, l’in-

cremento di fatturato previsto è di 78 miliardi di euro, equivalente a una crescita del 30% in vari settori chiave quali chimica, automotive, metalmeccanica e infrastrutture. La digitalizzazione dell’industria è quindi una grande e reale opportunità di crescita, ma l’estrema flessibilità del modello di fabbrica 4.0 non può trascurare il ruolo dei lavoratori. A loro il compito di acquisire le competenze per plasmare la tecnologia e aiutare la media impresa manifatturiera a diventare sempre più fornitore, e al contempo utilizzatore, di sistemi cyber-fisici e servizi intelligenti. Le prospettive italiane Industry 4.0 è un modello replicabile in Italia, nei suoi distretti e fra le sue Pmi? Sì, dicono gli esperti di settore, a patto che gli stessi distretti abbraccino sistematicamente l’innovazione tecnolo-

gica in stretto collegamento con le grandi imprese, italiane o anche internazionali, che saranno in grado di farsi promotrici dell’evoluzione dei sistemi. Per le medie aziende manifatturiere del Belpaese, il software, Internet e gli strumenti digitali di nuova generazione non sono più una scelta. Sono un obbligo. Sono (forse) l’unico modo per rimanere competitivi sul mercato, per anticipare una domanda sempre più orientata a richiedere prodotti personalizzati, molto spesso da co-progettare e realizzare su commessa. Per fare questo non basta spendere l’etichetta del “made in Italy”: serve un approccio sistemico nella gestione del flusso delle informazioni, dei materiali e dei processi produttivi. La fabbrica del futuro non è un concetto astratto, è un ecosistema che deve nascere da un cambiamento profondo, e non solo a livello esteriore. O 05


scenari

*rande e conàgurabile o piccola e on-demand GLI IMPIANTI DEL FUTURO DOVRANNO ESSERE FLESSIBILI, IN MODO DA ADATTARSI A DIVERSE PRODUZIONI A SECONDA DELLA RICHIESTA DEL MOMENTO, OPPURE SPECIALIZZATI NEL SODDISFARE LA DOMANDA DEL SINGOLO CLIENTE. testo di Emilio Mango

STAMPANTI 3D, UN MERCATO PRONTO PER IL BOOM Un fenomeno avviato verso la definitiva consacrazione, che entro il 2018 dovrebbe valere qualche decina di miliardi di dollari e registrare vendite dieci volte superiori in volumi a quelle di quest’anno. I driver? Maggiori prestazioni, più disponibilità di prodotti e minori costi. È la fotografia che Gartner scatta delle stampanti 3D, categoria di prodotto che da nicchia sembra ormai avere tutte le carte in regola per diventare un “mass market”. Questi i numeri che lo descrivono. Archiviata una crescita a volumi del 75% nel 2014, il comparto dovrebbe ulteriormente raddoppiare nel 2015, quando le unità spedite saranno, previsioni alla mano, circa 217mila. Il fatturato su scala globale aumenterà del 27%, avvicinandosi a quota 3,4 miliardi di dollari. Entro i prossimi tre anni, invece, si stima saranno venduti 2,3 milioni di pezzi, con una domanda che troverà abbrivio soprattutto grazie alla maggiore disponibilità di prodotti nella fascia di prezzo medio-bassa. Considerando i numeri attuali, l’incremento anno su anno in fatto di venduto è del 100%.

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ome sarà, in pratica, la fabbrica 4.0? È la domanda più banale ma anche quella più importante quando si discute di digital manufacturing. E la risposta non è facile, perché se è vero che molti processi e molte tecnologie digitali esistono già e sono già operativi, la fisionomia dei nuovi impianti produttivi non è ancora stata tracciata con precisione. Un primo contributo nel tentativo di comprendere il modello manifatturiero futuro lo dà Maurizio Gattiglio, presidente di Effra, European Factories of the Future Research Association: “In futuro si muoveranno i dati, non le merci,

ma già oggi sta tornando prepotentemente in auge il fattore vicinanza; l’85% della manifattura mondiale è legata ai mercati di prossimità, e ci sono multinazionali come Adidas che hanno riportato la produzione in Europa dopo essersi accorte che il time to market (per non parlare del delicato tema della disoccupazione del Vecchio Continente) richiedeva di comprimere la logistica e abbandonare gli impianti manifatturieri in Asia. Una seconda indicazione proviene da Marco Taisch, professore ordinario di Sistemi di Produzione Automatizzati e Tecnologie Industriali del Politecnico di Milano:


scenari “Le fabbriche del futuro saranno flessibili e configurabili, e i nuovi modelli di manifattura saranno possibili anche grazie a Internet delle cose, che permetterà ai prodotti di comunicare e fornire informazioni preziose”. Ancora una volta torna il tema dei Big Data che, se ben gestiti, potranno essere utilizzati per prevedere i comportamenti dei clienti e dei prodotti, adattando la produzione quasi in tempo reale. “In pratica”, prevede Taisch, “le fabbriche del futuro saranno molto più grandi (e flessibili) o molto più piccole delle attuali. Le prime potranno essere ri-configurate in base alle esigenze che emergono dall’analisi dei dati, mentre le seconde, destinate alla produzione on-demand, non avranno né scarti né scorte”. Due i fattori che, secondo Taisch, giocheranno un ruolo chiave nella

UNA RIVOLUZIONE CHE PARTE DALLA DEMOCRATIZZAZIONE DEGLI ATOMI A Chris Anderson, oggi Ceo (nonché co-fondatore) di 3D Robotics ed ex direttore di Wired, va il merito di aver teorizzato in un libro (Makers) la nuova rivoluzione industriale. Che cosa introduce, rispetto al passato, questa rivoluzione? Una nuova era di micro-fabbricazione, dove i dati possono diventare oggetti. Il suo motto – “gli atomi sono i nuovi bit”– è la sintesi estrema del concetto di democratizzazione della creazione fisica, un riflesso di quella che è stata la democratizzazione dell’informazione portata da Internet. Anderson getta le basi della fabbrica del futuro e soprattutto della fabbrica personale, in cui gli innovatori più brillanti potranno produrre e distribuire le loro idee in proprio, sfruttando il Web e le nuove tecnologie digitali. Il mondo della produzione industriale di massa è destinato a lasciare spazio a tante piccole fabbriche e all’opera degli artigiani digitali, i cosiddetti “maker”. “Il digital manufacturing”, dice Anderson, “è anche abbattimento delle distanze, è creare prototipi negli Usa e produrre in Cina, gestendo tutto il processo seduti al proprio desktop. I robot sono la nuova catena di montaggio, ma dietro c’è chi li programma. Per questo bisogna coltivare la cultura della progettazione. Minimizzare i costi transazionali lavorando all’interno della struttura aziendale è un modello superato, la soluzione è nella open innovation: piattaforme, architetture e community aperte, persone che possono lavorare ovunque, ricerca e sviluppo condivisa e velocizzata”.

trasformazione del manifatturiero e che in qualche modo hanno già iniziato a fare capolino: la cognitive automation e l’addictive manufacturing. La cognitive automation consiste nel dotare l’uomo di strumenti di realtà aumentata (gli occhiali Google in questo senso sono stati un primo, anche se parzialmente fallimentare, esperimento) che gli permettano di diventare un operatore evoluto e di poter interagire con i robot che, nel frattempo, saranno diventati connessi e intelligenti. Questo trend va di pari passo con l’invecchiamento della popolazione e con l’esigenza di sfruttare il know how dei lavoratori più anziani ed esperti senza “rottamarli”. Con la realtà aumentata, l’esperienza può essere facilmente e velocemente trasmessa da un operatore all’altro. L’addictive manufacturing, invece, ha già mostrato pregi e difetti, facendosi strada per ora in contesti limitati e legati al design ma lasciando intravvedere grandi prospettive anche su larga scala. “Di fronte a tutte queste innovazioni”, conclude Taisch, “bisogna investire in tecnologia ma anche in cultura e formazione, per fare in modo che non si crei l’equivalente del digital divide anche in fabbrica, penalizzando aree geografiche o settori industriali”. O 07


tecnologie

La rivoluzione digitale nell’industria italiana FRA CRITICITÀ E BENEFICI, ECCO COME LE AZIENDE MANIFATTURIERE (NON) STANNO ADOTTANDO LE TECNOLOGIE DI NUOVA GENERAZIONE: DALLA STAMPA 3D ALL’IOT, DALLA ROBOTICA ALLA REALTÀ VIRTUALE. testo di Andrea Bacchetti* e Massimo Zanardini*

L’

industria italiana e non solo quella (il fenomeno è globale) sta affrontando un periodo storico ricco di cambiamenti, che si susseguono a velocità notevolmente superiore rispetto al passato, anche per via dei mezzi di comunicazione social. Al di là dei pochi segnali a sostegno della tesi che la crisi (o quantomeno il suo picco) del sistema produttivo italiano sia alle spalle, appare evidente come lo scenario all’interno del quale le aziende si trovano a dover competere sia radicalmente differente rispetto al contesto pre-crisi. In particolare, si va nella direzione di una manifattura su scala più ridotta, che dovrà soddisfare richieste sempre più specifiche dei clienti, con conseguente ampliamento della gamma di prodotti, a cui sempre più spesso dovrà essere associata una serie di servizi. Tutto ciò porta le imprese a ricercare la massima flessibilità nelle proprie attività produttive, con l’obiettivo di rendere economicamente 08

conveniente anche la realizzazione di lotti molto piccoli, a discapito del modello fino a oggi maggiormente impiegato e legato alla saturazione degli impianti e alle economie di scala. In questo scenario competitivo in evoluzione si inseriscono svariate nuove tecnologie digitali, quelle che gli americani amano definire “disruptive” per via del loro potenziale dirompente. In grado di stravolgere i prodotti, i processi e i modelli di business delle imprese e tali da innescare una vera e propria nuova (terza o quarta che sia) rivoluzione industriale. Tra queste vi sono la stampa 3D, l’Internet delle cose, la realtà aumentata, la realtà virtuale, il social manufacturing, le nanotecnologie e l’intelligenza artificiale. I quasi cento questionari raccolti durante la prima fase del progetto di ricerca pluriennale avviato dal laboratorio Scsm (Supply Chain & Service Management) dell’università di Brescia, con il patrocinio del Ministero dello Sviluppo Economico, discriminano in modo molto

netto le (poche) tecnologie realmente conosciute da quelle invece sostanzialmente ignorate. Nello specifico, tolte la stampa 3D e l’Internet delle cose, che sono note rispettivamente a più del 70% e a circa il 50% delle imprese, le altre voci non arrivano nemmeno al 40%. Incrociando questo dato con la rilevanza assegnata dalle imprese a ogni tecnologia, ciò che appare oltremodo chiaro è che la stampa 3D è l’unica oggi riconosciuta come veramente impattante. Se il dato sulla conoscenza delle diverse tecnologie lascia l’amaro in bocca, quello sulle effettive applicazioni è un vero e proprio pugno nello stomaco. La maggior parte delle imprese, infatti, non sta impiegando


tecnologie

LE TENDENZE CHE INFLUENZERANNO LA MANIFATTURA L’intero ecosistema della supply chain (produttori, distributori e retailer) sta subendo una profonda trasformazione di business, come risposta alle mutevoli dinamiche che coinvolgono le aspettative dei consumatori, il time-to-market e la forte concorrenza globale, guidata dalla crescita di Internet e dalla mobile economy. I progressi in ambito tecnologico si stanno dimostrando il perno di questo nuovo modello. E vi sono alcuni trend che impatteranno sul settore manifatturiero più di altri. Il fenomeno dello Smac (acronimo di social, mobile, analytics e cloud) rappresenta la prossima ondata tecnologica da seguire per incrementare l’engagement dei clienti e cogliere nuove

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«La maggior parte delle imprese oggi non impiega concretamente nessuno strumento di innovazione e non prevede di farlo nel breve periodo. Solo un’azienda su tre sta compiendo un percorso di digitalizzazione»

opportunità di crescita. I social media hanno portato i produttori ad adottare un approccio più “customer-centrico”. Il tradizionale modello B2B sta diventando obsoleto, perché i consumatori di oggi, sempre connessi, sono più informati e si aspettano prodotti on demand. E si va per questa ragione verso modelli B2B2C. L’Internet of Things porterà maggiore automazione nelle imprese manifatturiere e consentirà una manutenzione “condition-based” a elevata efficienza. I produttori si sono concentrati

concretamente nessuno strumento di innovazione e non ha nemmeno previsto di farlo nel breve periodo; in altre parole, solo un’azienda su tre sta realmente compiendo un percorso di digitalizzazione. Che cosa si aspettano le imprese da queste tecnologie? Per quasi tutte i benefici attesi sono per lo più legati a maggiore qualità di prodotti/ servizi e maggiore reattività alle richieste del mercato. Ed è significativo il fatto che le aziende non si aspettino una riduzione dei costi. Si è dunque finalmente compreso che il futuro della nostra manifattura non può essere basato sulla mera competizione di prezzo, ma deve andare nella direzione della qualità e dei servizi a valore aggiunto? Il fat-

to che ancora una volta l’investimento non sia visto come fattore di ostacolo primario fa ben sperare per il prossimo futuro, quando ci si attende una riduzione dei costi di ingresso nelle nuove tecnologie, passo necessario per una rivoluzione che possa essere davvero democratica. Per contro l’elemento maggiormente ostativo alla diffusione delle tecnologie pare essere la difficoltà nel reperire risorse realmente competenti su questi temi. Un problema che mette sul banco degli imputati l’intero sistema formativo italiano, da sempre poco reattivo nel recepire i trend tecnologici in atto. O *Laboratorio Supply Chain & Service Management,

sull’acquisizione di valore attraverso inno-

Università di Brescia

“next-shoring”

vazione, design originale e speed-to-market; di conseguenza si è registrato, e si registrerà, un aumento degli investimenti per rinnovare impianti e attrezzature e per implementare nuove tecnologie. La disponibilità di una forza lavoro più preparata per la gestione della supply chain ha portato molte aziende a modificare le strategie di produzione: dall’outsourcing in Paesi esteri si passa allo sviluppo di una produzione più vicina al punto vendita. È il cosìddetto

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tecnologie

LA STAMPANTE 3D CON CUORE E CERVELLO ITALIANO Si chiama Materia 101, la produce Sharebot, startup della provincia di Lecco salita in pochi anni alla ribalta internazionale nel mondo del 3D printing, ed è la prima stampante tridimensionale a marchio Arduino, la piattaforma hardware open source nata grazie alle intuizioni innovative di Massimo Banzi, uno dei co-fondatori della società. Il vanto di questo apparecchio non è quindi solo quello di essere un prodotto a basso costo e facile da usare (e quindi potenzialmente perfetto per i makers, la nuova generazione degli artigiani digitali), ma anche quello di essere stato progettato e sviluppato interamente in Italia. La scheda a microcontroller Arduino funge da commuter mentre la tecnologia di stampa utilizzata per garantire un volume mono estrusore di 140 x 100 x 100 mm è Fused Filament Fabrication. I materiali supportati sono i più diffusi e fra questi l’acido polilattico, il Pla Termosense e il poliuretano termoplastico. Le sue applicazioni per la prototipazione rapida possono essere diverse, dentro spazi di collaborazione, scuole o “fablab”, e rispecchiano la filosofia “open” delle due aziende: Materia 101 sarà infatti messa infatti a dispo-

Manifattura 4.0 in salsa cloud, la catena di montaggio si trasforma

sizione della community in licenza aperta per tutte le sue componenti. La versione assemblata è in commercio (sullo store ufficiale di Arduino) a circa 700 euro.

LA FABBRICA DI DOMANI SARÀ FLESSIBILE E VELOCE E RISPONDERÀ AL MODELLO AS A SERVICE, GRAZIE ALL’INTERNET OF THINGS, ALLA TECNOLOGIA PEER TO PEER E A SISTEMI CYBER FISICI. PESCANDO LE RISORSE COMPUTAZIONALI NELLA NUVOLA. testo di Giuseppe Padula*

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l piano europeo Horizon 2020 finanzierà con 17 miliardi di euro nei prossimi sei anni (nell’ambito dei programmi Leit, Leadership in Enabling and Industrial Technologies) iniziative rivolte all’uso delle tecnologie Ict in area industriale. Nel

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frattempo il governo tedesco ha dato vita con circa 200 milioni di euro a una propria strategia, “Industry 4.0”, per favorire l’introduzione delle soluzioni informatiche nell’industria manifatturiera. L’obiettivo comune è quello di velocizzare il passag-


tecnologie gio alla “quarta rivoluzione industriale”, caratterizzato dall’utilizzo capillare dei dispositivi dell’Internet of Things e dei cosiddetti “cyber-physical system”, e di arrivare a un’integrazione nodale tra i flussi fisico-manifatturieri e i flussi informativi. Tale modello, definito dalla General Electric come “Industrial Internet”, prevede la migrazione dei dati di processo da architetture concentrate (tipo i sistemi Erp) verso nodi diffusi dove i processi di trasformazione richiedono informazione. Il tutto in modalità “peer-to-peer” e attraverso componenti e unità produttive (sensori di campo e attuatori, linee automatiche, macchine, robot ma anche i manufatti stessi) collegati a un network (pubblico, privato o misto) nel quale generano un’immagine virtuale in forma di oggetto software, e come tale rintracciabile e coordinabile in remoto. L’azienda manifatturiera proposta in “Industry 4.0”

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CON ASTROPRINT SI PARTE DALLA NUVOLA Gestire processi di stampa in tre dimensioni da qualsiasi dispositivo collegato al Web, semplicemente sfruttando i browser più diffusi. Come? Con la piattaforma sviluppata da AstroPrint, startup americana che ha cavalcato la flessibilità del cloud per consentire all’utente di accedere e prelevare modelli 3D direttamente da “depositi” virtuali (come 3DaGogo) collegati a un database. Come funzioni la soluzione è presto spiegato: una volta selezionato l’oggetto da stampare, questo viene processato in particolari “fette” che le macchine 3D sono in grado di comprendere. Il passo successivo è immediato: si invia il modello digitale a qualsiasi printer collegata al Web e si attende la produzione dell’oggetto. Per semplificare ancora di più il processo, AstroPrint mette a disposizione un kit plug-and-play (Astro Box, 149 dollari) in grado di funzionare con la maggior parte dei dispositivi 3D oggi disponibili e di abilitare il controllo dei lavori in corso da remoto, anche su tablet. La filosofia della startup è open source e il codice sorgente di AstroBox è infatti utilizzabile da chiunque disponga di un modulo Raspberry Pi. L’obiettivo a tendere è invece quello di far diventare il progetto un business sostenibile, anche grazie alle sinergie con i costruttori di stampanti 3D. In occasione dell’ultimo Consumer Electronics Show di Las Vegas si è visto in tal senso il primo dispositivo frutto della collaborazione avviata con AirWolf. In futuro la piattaforma verrà proposta in abbonamento all’utenza professionale attraverso varie opzioni premium, quali spazio d’archiviazione aggiuntivo nella nuvola o la possibilità di monitorare il lavoro via webcam.

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«L’azienda manifatturiera 4.0 è dotata della flessibilità e della velocità necessarie per reagire alle richieste di un mercato sempre più modificato dai social media e da Internet»

è dotata della flessibilità e della velocità necessarie per reagire alle richieste di un mercato sempre più condizionato dai social media e da Internet. In questo scenario la tecnologia cloud gioca ovviamente un ruolo essenziale, rendendo disponibili l’elasticità computazionale, lo spazio di archiviazione e l’accessibilità ubiqua ed economica richieste dal flusso imponente e granulare dei dati estraibili dal mercato e dai processi aziendali. L’incidenza degli strumenti social influenzerà inevitabilmente anche le modalità di produzione e le politiche di sviluppo dell’azienda e richiederà tecnologia produttiva in grado di convertire in oggetti le numerose in-

formazioni ricevute in forma interattiva. Il MaaS, Manufacturing-as-a-Service, è in quest’ottica qualcosa di già reale, al pari di tecnologie produttive “digital native” come l’additive manufacturing o la stampa 3D. Progetti pilota di manifattura basata sul cloud sono stati avviati anche in Italia. Fra questi possiamo prendere come esempio quello condotto, nell’ambito del programma europeo “CloudSme”, dall’Università di San Marino in collaborazione con l’Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna, la società Base Pro di Barletta, la spagnola Podoactiva e l’Università londinese di Westminster. Il progetto mira a produrre solette ortopediche personalizzate in base all’impronta

del piede del singolo cliente e al layout della scarpa utilizzata, sfruttando risorse computazionali (il software di simulazione) accessibili nella nuvola. Ma non è solo la digital customisation a creare nuovo valore per le imprese. I dati estraibili dai processi produttivi possono essere acquisiti ed elaborati per aumentare in maniera significativa le efficienze di impianto, confrontare i Kpi (key performance indicator) tra linee analoghe di aziende multisito, organizzare campagne di manutenzione predittiva, indirizzare le modifiche di progettazione dei componenti. Un’importante multinazionale italiana del settore packaging sta mettendo a punto un sistema cloud-based di raccolta e analisi di dati produttivi, con l’obiettivo di confrontare le caratteristiche di processi chiave nei diversi siti di uno stesso cliente, in modo da ottimizzarne le performance e anticipare le usure di componenti chiave. Il potenziale economico in termini di efficienza produttiva è quindi notevole, ma in campo industriale non sono stati ancora valutati appieno i vantaggi legati all’utilizzo dei Big Data provenienti dai processi di O manufacturing. *Dipartimento Economia e Tecnologia Università della Repubblica di San Marino

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esperienze

Le aziende cambiano faccia. Ecco come e con quali vantaggi STAMPA 3D, ROBOT INTERCONNESSI E PRODOTTI SMART: LA RIVOLUZIONE DELLA MANIFATTURA PASSA ATTRAVERSO LE TECNOLOGIE E UN NUOVO ECOSISTEMA. testo di Emilo Mango

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S

empre in prima linea se si parla di innovazione, Reply si muove da tempo anche nel settore delle soluzioni digitali per il design e in quello dell’Internet delle cose. Technopolis ha chiesto a Tatiana Rizzante, Ceo della società, di tracciare un identikit della manifattura 4.0. Quali sono le tendenze più evidenti? Dipende se guardiamo al cambiamento

dei processi produttivi o alla consumerizzazione del design. Nel primo caso, il fenomeno più evidente, anche se è un processo a lungo termine, è il nuovo modo di concepire i robot. Cambiando le macchine, cambia anche il modo di pensare le linee di produzione e la raccolta delle informazioni che ne deriva. Oggi i processi di produzione sono molto rigidi e i robot che li supportano sono quindi monofunzione. La tecnica di programmazione di


esperienze queste macchine è statica, cambia solo quando vengono fatte modifiche al prodotto, con costi molto alti. Nell’industria 4.0, invece, i robot si connettono a un’intelligenza centrale ma anche tra di loro, rendendo il processo più reattivo e flessibile al cambiamento. È un grosso impatto sui processi manifatturieri: robot flessibili e programmabili, che operano in modalità peer-to-peer. In alcuni ambiti questo è sicuramente un futuro prossimo, in altri, prima che si riescano compensare le economie di scala, passerà molto tempo.

ti. Reply, in tal senso, ha investito su Sensoria, che ha brevettato un filo-sensore, un tipo di materiale in grado di “recuperare” informazioni con il quale si può interagire. Insomma, anche gli oggetti possono creare valore aggiunto, perché intelligenti. E la stampa 3D migliora i processi? È forse il fenomeno più evidente, soprattutto quella domestica, che fa parte del più vasto trend della consumeriz-

Quindi è solo una questione di tempo? Sì, il tema è proprio “personalizzazione” versus economie di scala. Tra l’altro, un domani, quando cadranno molte barriere all’ingresso, le imprese che ne trarranno più vantaggio saranno le piccole e medie.

PASTA, PANE E BISCOTTI SI STAMPANO IN CASA

Cambiano i robot. E i prodotti? Il prodotto è un altro dei fattori di cambiamento. Stanno drasticamente aumentando sia l’elettronica sia il software incorporati negli oggetti. I circuiti e l’intelligenza sono quelli che consentono di rilevare, trasmettere ed elaborare i dati. E anche questo è un cambio drastico di paradigma, che apre scenari del tutto nuovi: usando i dati e l’intelligenza posso modificare anche il modello di utilizzo di un prodotto, avvicinandolo a quello dei servizi. Oggi il ciclo di vita prevede la vendita e poi la manutenzione. Talvolta il costo di quest’ultima può venire incorporato nel primo, come accade per alcune marche di automobili. Domani, quando i prodotti saranno connessi, potrò venderli addirittura come componente di un servizio: una lavatrice come voce della bolletta dell’energia elettrica, un auto “a consumo”. E ci sono già alcuni interessanti esperimenti, anche in Italia, che vanno in questa direzione.

alimentare, italiana e non solo, come

Sarà quindi solo una questione di circuiti “embedded”? No, non solo. Quello che cambia è tutto l’ecosistema: l’elettronica, il software, l’intelligenza periferica e centrale e, infine, l’analisi dei dati che arriveranno dagli oggetti. Ma non solo. Ci sono anche nuovi materiali, anche in questo caso intelligen-

zazione del design, quello che potrebbe permettere a chiunque di stamparsi in casa un oggetto. In questo caso, la riduzione dei costi è talmente evidente che può provocare cambiamenti radicali in alcuni settori, soprattutto in quelli dove personalizzare il prodotto rappresenta un vero valore aggiunto. Sul fronte industriale, molte aziende lo stanno provando attivando progetti pilota, altre hanno iniziato produzioni in piccola scala. O

Il futuro del cibo è la stampa 3D? Assunto forse eccessivo, ma se un attore di primo piano dell’industria Barilla in questa direzione ci sta investendo parecchio un motivo pur ci sarà. E fondato. La società emiliana, che da qualche anno sta lavorando alla progettazione di una printer appositamente pensata per produrre alimenti, ha indetto lo scorso agosto, in collaborazione con Thingarage, un concorso fuori dal comune (Print Eat) con l’obiettivo di premiare forme di pasta non convenzionali impossibili da realizzare con le tecniche normali di trafilazione. Da questa iniziativa è uscita vincente a fine dicembre “Rosa”, una pasta a forma floreale che sboccia quando si cuoce in acqua bollente. La sua particolarità? È stata creata, dall’industrial designer francese Loris Tupin, con una stampante a tre dimensioni. Le altre due creazioni 3D premiate da Barilla portano invece la firma di due italiani. Una grande azienda del manifatturiero alimentare (come Barilla) che abbraccia uno dei filoni tech più di moda al momento è già di per sé una notizia. L’idea di lanciare un contest per aprire al mondo esterno un percorso di innovazione sostanziale di alcuni processi è sicuramente apprezzabile. Soprattutto se correlata al fatto che il progetto di produrre pasta on demand, direttamente al ristorante, è già stata oggetto di sperimentazione nei Paesi Bassi. Sulla strada del food printing e della personalizzazione (forse) esasperata degli alimenti si è avviata da tempo anche la startup spagnola Natural Machines dando vita a Foodini, una stampante 3D espressamente dedicata alla “manifattura” di cibo. In attesa della sua disponibilità sul mercato (si parla di un prezzo stimato nell’ordine dei mille dollari), il prodotto in questione rappresenta senz’altro una nuova frontiera nei modelli di consumo di una grande varietà di alimenti, a cominciare da quelli più comuni come pasta, pane e biscotti. E non finisce qui, perché chi ha dato vita a Foodini, che tecnicamente appartiene alla categoria dei “consumer home appliance”, ha già anticipato una tendenza a venire decisamente “disruptive”, e cioè quella di stampanti 3D in grado di produrre, preparare e cuocere il cibo tutto in una volta sola.

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Chi sta cavalcando la nuova onda digitale LA RIVOLUZIONE DEI PROCESSI DI FABBRICA STA INIZIANDO A PRENDERE PIEDE ANCHE IN ITALIA. E NON MANCANO GLI ESEMPI DI AGGREGAZIONE PER METTERE A FATTORE COMUNE L’INNOVAZIONE. testo di Gianni Rusconi

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l problema delle limitate competenze in fatto di “additive manufacturing” in seno alle aziende produttive del Belpaese, come descritto dall’Aica, è in realtà più esteso e abbraccia l’intero spettro delle nuove tecnologie. Internet delle cose, social manufacturing, realtà virtuale, intelligenza artificiale e via dicendo sono ancora mediamente poco conosciute (ce lo dice l’indagine svolta dal Csmt dell’Università di Brescia) e, quando lo sono, il livello di conoscenza è per lo più superficiale. La sensazione, in ogni caso, è che qualcosa si stia muovendo. E i nomi che testimoniano la presenza del digitale, a cominciare dalla stampa 3D, nel tessuto produttivo italiano appartengono a settori anche molto diversi. Btcino, per esempio, un marchio storico e all’avanguardia nel campo della videocitofonia e degli apparecchi per la domotica, ricorre da tempo alla prototipazione rapida nella fase di ingegnerizzazione e testing dei suoi prodotti, prima di avviarne la produzione in serie. Fabbrica d’Armi

Beretta ha adottato invece un sistema di tomografia assiale computerizzata (costo della macchina nell’ordine degli 800mila euro) per la scansione tridimensionale e volumetrica (non distruttiva quindi) di componenti e prodotti realizzati in differenti materiali. L’adozione di questo nuovo strumento, che sarà proposto in modalità servizio anche ad aziende terze, ha permesso al produttore bresciano di ridurre di venti volte il tempo necessario per le attività di sviluppo di un nuovo prodotto rispetto al passato. Savio Macchine Tessili, e cambiamo ancora settore, ha invece investito nel 2010 circa 20mila euro per una stampante 3D professionale e da allora ha raccolto benefici difficilmente raggiungibili con procedure standard. Quali? Per esempio la possibilità di disporre in tempi molto brevi di prototipi con cui poter eseguire test funzionali di montaggio del componente sulla macchina e quella di produrre componenti dalle forme molto complesse da utilizzare nelle proprie

macchine. L’azienda friulana ha così ridotto il costo medio di ogni singolo pezzo di 15 volte rispetto a quello realizzato con stampi pressofusi e ha accorciato il time to market di dieci volte rispetto alla situazione antecedente l’introduzione della stampante in tre dimensioni. Rimanendo nel Nord-est, molti esempi di eccellenza ci arrivano dal Trentino-Alto Adige, regio-

L’AUTOMAZIONE DI FABBRICA EVOLVE IN FABBRICA DEL PROCESSO Un’azienda, la piacentina Mcm, nota a livello internazionale nel settore dell’automazione industriale e la cui missione è quella di progettare, costruire e installare macchinari e sistemi di produzione di altissima precisione. Clock, Tank, Action, Forerunner, Jet Five e Concept sono i nomi dei centri di lavoro, a asse orizzontale, che costituiscono il suo particolarissimo catalogo di impianti modulari prodotti su specifica del cliente (grandi nomi dei settori automobilistico, aeronautico e aerospaziale) e nel cui cuore c’è tanto software sviluppato in casa (su tecnologia Java) e tante informazioni. Tutte le macchine sono sorgenti di dati (generati da sensori e trasferiti via Internet a un server di diagnostica) che diventano l’elemento chiave per garantire la flessibilità d’uso della macchina, la possibilità di gestire personalizzazioni estreme e lotti di produzione molto limitati. I servizi offerti da Mcm vanno per questo oltre il tracciamento del pezzo e il monitoraggio delle risorse. Vanno nella direzione della manutenzione predittiva e della consulenza avanzata, abbracciando il concetto di “fabbrica del processo”.

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ne che fra l’altro vanta la più alta densità italiana di startup in rapporto alla popolazione. Molte di queste nuove imprese sono orientate al manifatturiero avanzato, sempre più terziarizzato e “smart”. Detto di Hsl (si veda il box a pagina 15), sulla stampa 3D sta puntando anche il Muse, il museo delle scienze progettato da Renzo Piano, che dalla sua ha un “fablab” per promuovere la fabbricazione digitale per tutti e la diffusione di un approccio open source alla produzione. A Rovereto opera invece il Polo della Meccatronica, punta di diamante del comparto manifatturiero trentino, settore che occupa circa 10mila addetti. Negli spazi del centro, dove interagiscono figure del mondo produttivo, della formazione e della ricerca, ci sono i laboratori di aziende come Carl Zeiss, Ducati Energia, Bonfiglioli e Dana. A Trento è nato invece Industrio, un acceleratore privato di impresa che investe in startup impegnate nella realizzazione di prodotti ad alto contenuto tecnologico nel campo della meccatronica, dell’agroalimentare e del medicale. A monte del processo pro-

duttivo, infine, vanno inquadrate le iniziative condotte da Trento Rise, capogruppo di altre varie entità trentine nell’ambito del progetto Kic Raw Materials dello European Institute of Innovation and Techno-

logy. Il compito di questo consorzio è quello di fare innovazione a livello di materie prime, sviluppando tecniche di estrazione avanzate o sostituti delle materie prime O stesse.

LE TRE DIMENSIONI CHE CAMBIANO LA VITA (E I CONTI) DELLE AZIENDE INNOVATIVE “Ho iniziato ad apprezzare il potenziale del digitale già alla fine degli anni Ottanta. E i risultati sono stati senz’altro positivi, tant’è vero che quest’anno sono previsti un importante aumento di fatturato, da 7 a 10,5 milioni di euro, e un ampliamento dell’organico fra i profili medio-alti. Abbiamo appena presentato la nostra collezione di lampade e bigiotteria a Parigi, raccogliendo riscontri molto buoni, e stiamo crescendo anche per quanto riguarda le nostre attività industriali, in particolare con buonissimi segnali dal mercato tedesco”. Parole di Ignazio Pomini, classe 1951, fondatore e titolare della Hsl, azienda trentina i cui prodotti di design sono presenti nei principali musei del mondo. Grazie alle tecnologie digitali, la società ha cambiato di recente faccia e prospettive, rivedendo i processi produttivi in chiave digitale (prototipazione e stampaggio di componenti in plastica destinati a vari settori, automotive in primis) e superando la recessione (il 2009 e il 2010 si erano chiusi con perdite di bilancio consistenti). Pioniere della stampa 3D in Italia, (la prima macchina di questo tipo è entrata in Hsl nel 1989), Pomini ha dato in questi anni vita anche a due nuovi marchi basati quasi esclusivamente sul printing tridimensionale: .bijouets (gioielli e accessori) ed .exnovo (lampade e oggetti di arredo). Che hanno fatto fortuna anche negli Usa.

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