Scheda del libro: seminario di autocoscienza estetica

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– SCHEDA LIBRO –

SEMINARIO DI AUTOCOSCIENZA ESTETICA

di AA. VV. – a cura di Vincenzo Montella Albatros Edizioni – Saggistica Pag. 112 – € 16,00 Albatros Edizioni Tel. / Fax +390810662396 albatros.edizioni@libero.it www.albatrosmagazine.net


SEMINARIO DI AUTOCOSCIENZA ESTETICA SINOSSI Due anni di attività intorno all’elusivo concetto di estetica. Ricerca intorno ad opere, autori, curatori lasciando da parte ogni atteggiamento di ricezione passiva e di contemplazione distaccata per confrontarsi ed agire in prima persona e scoprire, così facendo, strutture immaginative e connotazioni ludiche; cose che, per quanto riguarda l’arte, dovrebbero essere scontate ma di cui spesso ci si dimentica. C’è una dimensione relazionale dell’estetica che si costruisce attraverso i rapporti interpersonali e che si deposita nei luoghi attraverso consuetudini, divenute rituali, che un certo gruppo sviluppa e consolida nel tempo. Domande o provocazioni interrompono

il

rito

portando

in

luce

una

trama

nascosta,

generando

consapevolezza, autocoscienza estetica. Il compito che gli autori si propongono è quello di restituire, sia a chi ha partecipato alle attività seminariali sia al più ampio insieme dei lettori, temperie e senso di questa coinvolgente sperimentazione ai fini di una presa di contatto con la propria personale conoscenza e sensibilità estetica.

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PREFAZIONE A cura di Clementina Gily Autocoscienza Vale ancora il voler lasciare a bocca aperta il visitatore d’una mostra? Tutto sembra essere stato fatto, sulla via iniziata nel 1917 da Duchamp, che sembrerebbe ormai una fonte esaurita. Ciò però non significa che si possa escludere lo stupore dall’arte, che nasce da esso come dall’ironia, dal mix di linguaggi diversi che intersecano immaginazione, percezioni e saperi. L’unità distilla un interesse attivo, che sa distogliersi a tempo dallo scandalo puro come dalla risata fredda dello humour. L’arte nasce dalla capacità di intravedere; è il regno del possibile positivo che nasce dal riso di Mercurio, crudele quanto si vuole nello squartare la tartaruga, ma anche avvinto al fascino del suono di una lira ancora inesistente. Il bambino divino quando è messaggero - pur conservando in sé la natura di ladro - porta la fragranza dell’innocenza nella banalità del mondo, ch’è il luogo dove nasce il male. È il senso profondo dell’arte, ma la sua realtà è di corpi in cui è scritto quel-che-so – che è una idea, ma piuttosto affine etimologicamente all’eidolon: 1 eidon-eidolon, ricordava Cassirer, sono etimologicamente connessi2. Parlare di materie dell’arte è parlare del corpo glorioso3, di conoscenza attiva, non certo dell’ “abbandono alla prepotenza di un desiderio in cui non ci si possiede ma si è posseduti, dove è un altro soffio a parlare, estraneo alla nostra volontà”: la traboccante facilità della scrittura mostra l’anima che ignora l’inferno e cerca nuove scritture nei simboli, l’incrostazione della luce nelle tenebre fitte: “E’ la verità dell’immagine, cui credere, cui non credere mai, con cui camminare sul limite del monte”. La materia di Epicuro, l’idea di Platone, eidolon- eidos, in lingua greca svelano l’analogia, si può sottolineare il discreto o il continuo, il molteplice e l’uno, ma sono una percezione, una immagine, la stessa unità cognitiva, una memoria primaria che resta impressa negli anni. Sono, insieme, percezione e arte – l’idea ironica che sa che “l’illusione più pericolosa è che esista soltanto un’unica realtà. In effetti esistono molte versioni diverse della realtà, alcune contraddittorie, ma tutte risultanti dalla comunicazione, e non riflessi di verità oggettive, eterne”4. Quando Lomazzo parlava di abbozzo, usava il termine idea, ricorda Panofsky5. E quindi fare autocoscienza estetica ha un significato nell’arte, ma ne ha anche nella vita. Basta ricordare quel riandare nella memoria ai volti scomparsi, e capire per la prima volta, dopo anni, un’emozione che s’è stampata nella mente ma che rimase incompresa – svela l’inganno, o capisce un affetto profondo e inespresso – eppure mi amava. Noto, ma non conosciuto, rimasto nella memoria inciso in una icona di una fisionomia che stupì e s’incise. Un’esperienza comune che forse meglio di altre può far capire la differenza che la filosofia fa tra coscienza, scienza e autocoscienza, che può parere un gioco di parole mentre è un lento procedere, un camminare che non è

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fantasticare6, è l’esercizio corretto dell’immaginazione, la fantasia. Perciò, per imparare il come procedere, occorre l’arte e la storia dell’arte, ma anche l’estetica. Un seminario indica la volontà di costruire un viaggio in un territorio dell’immaginario che sappia coinvolgere e mettere in moto il personale panorama di cultura aprendo alla luce che disarticola il quadro. Il primo seminario de Il ramo d’oro costruisce un’architettura di piani intersecati per favorire l’incrocio tra l’artista che espone e quello che partecipa – perché la differenza tra i due, chiarì la lunga discussione novecentesca su arte e critica, va vista nella diversa competenza linguistica, che l’artista possiede al punto da saper dare una forma compiuta alla possibilità che la materia offre ma non realizza. Solo che oggi l’artista crea il suo linguaggio anche oltre l’appartarsi esoterico, che tende pur sempre alla condivisione. Mentre nel moderno ci si limita l’originalità all’idea e non si cerca il decoro per comunicare al gusto, per poter condividere, oltre che vendere – e arriva il tempo di crisi, in cui “l’arte sopravvive solo sotto forma di una particolare cultura del fare e del ricercare” (è Lista che ricorda Crispolti) e bisogna recuperare il valore d’uso contro quello di scambio dell’oggetto d’arte, pensare come Benjamin che la merce possa avere un significato democratico. Forse andrebbe ripreso il dibattito settecentesco che Kant risolse nella tesi del compiacimento ch’è del piacere estetico, ch’è riscontro di un accordo profondo; ne articolò la dialettica nel bello e nel sublime – indicando come l’idea della bellezza sia il percorso che va dall’armonia allo stupore e ritorno: il sublime è ciò che è grande, un termine che indica una personale-universale appercezione indeterminata. A fine agosto ho partecipato ad un convegno a Viareggio su Diritto e diritti, sottolineando che le Carte dei Diritti, ormai un fatto della cultura occidentale felicemente passato nei Trattati Europei, in realtà funzionano solo se c’è chi si batte per loro: portavo l’esempio della bellezza. Il Diritto alla Bellezza è solo apparentemente negato, l’uomo non se ne fa privare, e lo dimostra con i Writers, con le Watts Towers di Los Angeles7, o anche più banalmente con l’aspetto di un piatto immangiabile, l’estetica del cuoco. Il limite della cultura che si ferma alla superficie va contrastato, ma la superficie è, diceva Giordano Bruno, la via per andare nel profondo, come nel mare, come nell’acqua limpida – basta non scegliere lo specchio d’acqua opaco di Narciso, dove quel che compare è sempre solo se stesso – dove il play diventa display. Superficie non è superficialità, come la porta non è un muro: ma non è nemmeno la casa, ne è solo parte integrante. Divulgazione? ortocomunicazione Questo è il problema che affrontano i seminari, contrastare la volgarizzazione del gusto paventata dalla scuola di Francoforte, che ne identificavano la sorgente nei media. Ma nell’arte la questione è più complessa, come dimostra la tendenza a spostarsi fuori cornice cui accennavamo, per affermare la Bellezza. Fa parte del DNA dell’uomo, è la chiave della risposta allo sgomento dell’infinito – dicono i fenomenologi del 900, Hegel con l’arte primo momento dello Spirito Assoluto, o, dal fronte opposto, lo storicista-realista Toynbee con la risposta alla sfida come caratteristica dell’agire umano – ordine contro caos.

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Franco Lista, artista, architetto, critico e docente, unisce tali sensibilità nel partecipare all’organizzazione del primo seminario: mostre d’arte dedicate ad un genere guida, che corroborino quella che lui chiama strumentazione interpretativa. Vale a dire tenere presenti diverse linee di lettura dell’arte, l’interpretazione storiografica, strutturalista, psicologica, psicanalitica, ma anche la teoria della forma e la grammatica del vedere, oggi da intendere inter sensoriale ed interumano. Nel secondo seminario dedicato a solo sei partecipanti i curatori d’arte mostrano il loro essere anche veri critici in quanto esercitano la competenza della scelta, oggi anche più rara dell’interpretazione. Il criterio di selezione è una categoria estetica, se così si può dire, derivata dall’immagine movimento, dal cinema: è dinamica, sta nella situazione, parla del viaggiatore e del panorama, dell’artista e della sua specifica percezione, così da andare all’intersoggettività. È cosa che spesso la critica d’arte nonché la sua storia tendono a dimenticare, perciò l’Iconic Turn afferma la necessità che il sapere riparta dall’immagine. I panorami sono il corpo dell’idea/abbozzo, la misura della resistenza e della regola, anche contro l’irruenza dell’artista. Montella nel descrivere il secondo seminario qualifica la natura demonica della creatività; se il daimon Socrate riteneva sua propria fonte inesausta, lo teneva in sé celato dalle architetture della figura: perché il demone va dominato con competenza euristica (da Eurisko, trovare), vale a dire conoscendo il valore del linguaggio – altrimenti si rischia di finire Sofista. Si perde grammaticalmente solo una “u”, ma si pratica la loro conoscenza eristica, da Eris, contesa – che non è il logos del filosofo ma quello dell’avvocato. Stimolare la creatività senza fornire regole, è aprire la via al demone del fantasticare che non sa la sua direzione, e si vende se può. Perciò, imparare a scegliere è importante non solo per curare una mostra d’arte. Il seminario ha articolato laboratori di scrittura emotiva (Pasquale Sica), musica pitagorica (Enzo Nini scrive una partitura dei colori suggerita dalle scelte coloristiche dei partecipanti, una matematica musicale come in Bach, Schoenberg e nelle ghirlande brillanti di Hofstadter)8, di favole (Anna Maria Di Stefano), di manualità ed attorialità: tutto culmina in un editing collettivo che compone linguaggi ed interrelazione di giudizi in parole. È l’idea base della letteratura ecfrastica, termine che a mio parere meglio qualifica il primo momento dell’interpretazione rispetto ad iconico, primo della triade dell’interpretazione di Erwin Panofsky, che prosegue con l’iconografico e l’iconologico. I tre momenti si ripetono successivamente costruendo un circolo ermeneutico, come in Gadamer, e portano dalla prima occhiata (il pregiudizio), al giudizio competente, alla ricerca. L’infinita via dell’interpretazione è la guida della formazione ordinaria, museale, e delle mostre d’arte – e sempre s’è apprezzata la qualità formativa della Bellezza sull’uomo in quanto tale. Anche il seminario, dice Lista, è un modo per uscire dal sistema dell’arte ed insegnare l’uso dell’arte, che va ben oltre il mercato, l’economia nel gusto dovrebbe far riferimento solo all’oikòs, al familiare, alle radici. Perché oggi non è più l’artista a imparare la lingua del gusto, al contrario è il pubblico che è chiamato ad imparare a giudicare secondo categorie estetiche eccezionali nel senso dell’ecceità. Dove separare il contenuto estetico autentico dall’arabesco, dal mercantile e dal superfluo diventa difficile – il che crea il distacco d’interesse del pubblico verso il contemporaneo, e giustamente la didattica d’arte lo cura con esperienze attive di conoscenza e azione, sul modello dell’Art and Crafts ripresa

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nella scuola dai laboratori di Dewey all’inizio del 900. Non è divulgazione, far parlare l’arte nel linguaggio della gente, ma una forma di ortoscrittura, una scrittura capace di ordine e di capacità comunicativa. La divulgazione, l’ortoscrittura, non semplifica, forma scegliendo l’essenziale per proseguire l’opera di connessione analogica tipica dell’arte, per renderla propria di chi guarda. Diffonde la competenza linguistica, alfabetizza, mostra le grammatiche e le sintassi dei testi dell’arte, fatte di idee, artigianato e tecniche, scrittura. L’arte vive l’inconciliabile duplicità della dialettica duale che non va per sintesi ma per crasi, che accosta oggetti e simboli senza fonderli manifestando una presenza. Gli opposti traggono senso uno dall’altro esibendo la tensione: cos’è il bello senza il brutto e il sublime senza il banale? L’arte è totalità e dettaglio in una forma sola, individuale e inconfondibile creata dalla competenza linguistica dell’artista, la lingua della forma. Perché l’arte è una lingua, asserì Gombrich, perché è espressione; all’unica obiezione cui lui cercava di rispondere considerandola valida, l’assenza di vocabolari, oggi ha risposto l’informatica, con i suoi vocabolari d’immagini. Entusiasmo è la prima parola di questa storia, Montella ricorda di aver iniziato nell’entusiasmo del 2000 subito svanito l’11 settembre del 2001. Ma il libro dimostra il contrario: l’entusiasmo, la molla della vita che Varela – biologo - ritrova nell’ameba, è l’unica possibile spiegazione dell’affrontare il rischio del cambiare, della vita che si sviluppa. Ed è perciò la sorgente della creatività e dell’arte. Ma cosa lo produce e come lo si può incrementare? Con l’azione, mostrando un’azione creativa, capendola, partecipandovi. Dai laboratori all’intersezione dei colori e della musica, dal rispondere a semplici domande, al pitturare con le mani… fino a costruire la musica dei colori, il fumetto e il filmato, nonché a seguire la traccia dei calligrafi cinesi – tutto risponde all’intento di costruire una esperienza di entusiasmo. Nella “dinamica interrogante di un nuovo concetto di storia”, come dice Liandrat-Guiges parlando di Benjamin: è una conoscenza che parte dal cinema, dal camminare che ne diventa subito protagonista con Charlot, come lo è oggi nella Grande Bellezza, come ieri in Otto e mezzo: il camminare è l’immagine movimento, è protagonista del filmato, è il segno patente di come la conoscenza abbia avvalorato e infine mostrato il suo ruolo perenne, il pellegrinaggio. Non a caso il seminario è aperto al mondo multimediale, dove ha intessuto relazioni con artisti lontani nello spazio, e culmina nella rete con i suoi prodotti, in quel punto di fusione reale ideale ch’è nient’affatto virtuale. Un unico punto di vista raccoglie l’organismo della mente reale-virtuale, coscienza-scienza-autocoscienza in successivi momenti di attenzione percettiva, di approfondimento guidato e di sapere di sé e del mondo. Nella visione estetica, quella delle mostre, della matematica, dell’orto botanico, si va alla definizione, dicono Belting e Kubler, della nuova forma del tempo, che non è né Kronos, né Aion, né Kairos: è il tempo della storia vivente passata presente e futura. Vale a dire, quella in cui si può “far coincidere l’universo delle cose fatte dall’uomo con la storia dell’arte” – ottima citazione fatta da Franco Lista che descrive cos’è oggi ogni filosofia della storia. Perché la storia è il luogo dell’artefatto, sia quadro o impresa, evento o

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trumeau, sempre con la sua onioskin, la sua pelle a buccia di cipolla: strati organici che consentono di andare sempre più dentro e poi di tornar fuori senza romperne l’equilibrio, se si sa agire con rispetto e con retto ascolto del limite e dell’altro. Ed è sempre Franco Lista che suggerisce con un’altra citazione il tema del silenzio cui si appella Salvator Rosa apponendo la firma al suo autoritratto: il suo silenzio, quello di Salvator Rosa, come il nostro, come sempre, è quello del fare. Il laboratorio non è solo un input, è l’entrare nella pausa del silenzio cantatore, diceva una vecchia canzone napoletana. Quando l’ascolto diventa intimità e genera la risposta, l’intersezione del proprio linguaggio, la traduzione, si entra nel gioco, si diventa giocatore, è il momento del fare che sa costruire qualcosa. L’entrata in gioco è una in-lusio, e come dice la parola può diventare illusione. È un fantasticare, se perde la differenza tra realtà e virtualità, e ad esempio giudica riuscito un abbozzo non comunicativo, o considera vera la prima immagine che si dice autentica; ma l’arte è una fantasia che conserva il senso della differenza, l’arte sa essere, oltre che creativa, critica. Si diceva della soluzione data dal 900 al problema del rapporto di arte e critica, per cui siamo tutti artisti anche se solo leggiamo un’opera d’arte. Ciò è perché non esiste disegno o piccola poesia che si scriva senza critica interna; e chiunque, se si prepara bene, può entrare nel quadro di Picasso e camminare con lui nell’autocritica da cui il quadro nacque. La vera distanza che persiste tra l’arte e la non arte è il senso critico che conosce il riconoscimento, quello che l’artista si dà da se stesso quando appone la sua firma ad un quadro, giudicandolo compiuto: e a volte è palesemente incompiuto. L’illusione dell’arte, insomma, non è illusoria, sa sempre di costruire un quadro, un trompe l’oeil, un Mosè che non parla. Come sa quando un’opera ha raggiunto una completezza comunicativa che consente di passare ad una nuova opera, lasciandola ormai alla sua vita propria. Ma il suo modo di investire di un riso ingenuo e sarcastico l’esistente per cavarne fuori il futuro, rivela come l’entusiasmo sappia configurare il possibile proprio perché sa seguire il vedere oltre quel che si vede, cercare nell’ombra per vedere se, e quanto, un nuovo mondo possa battezzarsi, nominarsi, nel sacro, nella storia: e diventare un evento. Clementina Gily

1 Chi ha fatto filosofia ricorderà ch’è il nome che Epicuro dava al simulacro che staccandosi dal corpo sotto l’effetto della continua pioggia di atomi veniva a colpire occhi, orecchie e odorato e costruiva materialisticamente la percezione. 2 Cassirer, Eidos ed eidolon. Il problema del bello e dell’arte nei dialoghi di Platone, Cortina, Milano 2009. 3 Artioli, F. Bartoli, Teatro e corpo glorioso, Feltrinelli, Milano1978. 4 Paul Watzlawick La realtà della realtà, Astrolabio, Roma 1976, p. 7. 5 Panofsky E., Idea. Contributo alla storia dell’estetica, Bollati Boringhieri 2006 (1924). 6 Zolla E., Storia del Fantasticare, Bompiani, Torino 1964. 7 A. Dal Lago – S. Giordano Fuori cornice, Einaudi, Torino 2008. 8 Hofstadter D.R., Goedel Escher Bach, un'eterna ghirlanda brillante, Adelphi, MI 1984.

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