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CASTEGGIO: GIULIANA LA COGNATA Pagina

«Vigo ha fatto bene la sua parte, il massimo rispetto»

Giuliana La Cognata non bisogno di troppe presentazioni, nota al mondo della politica locale dove da 7 anni siede tra i banchi dell’opposizione, conosciutissima ambulante in diverse piazze dell’Oltrepò dove da 5 generazioni propone frutta e verdura di qualità, tanto che la sua azienda di produzione di verdure tipicamente siciliane si è guadagnata il riconoscimento di Eccellenza Italiana, ma anche scrittrice e mamma impegnata di 4 Figli. Una chiacchierata tra un cliente e l’altro, sempre con il sorriso e la cordialità che la contraddistinguono.

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la cognata lei siede tra i banchi dell’opposizione qui a casteggio dal 2014, 5 anni di amministrazione callegari ed ora dal 2019 con lorenzo Vigo sindaco. qual è la sua opinione sull’attuale sindaco?

«Oggi, in un momento così difficile per il nostro paese non mi sento di muovere critiche nei confronti del sindaco Vigo che a mio giudizio ha fatto bene la sua parte, fare il sindaco in periodo di pandemia è difficile per cui da parte mia massimo rispetto».

uno dei compiti dell’opposizione è quello di evidenziare le criticità dell’amministrazione. quali sono a suo giudizio “le cose” che proprio non vanno a casteggio?

«Le strade sono in senso assoluto l’annoso problema di questo Comune e dell’Oltrepò in generale, in particolar modo per quanto riguarda la nostra città i marciapiedi versano in condizioni vergognose, basta passare davanti alla scuola materna per rendersi conto della trascuratezza, in quel tratto passano bambini spesso accompagnati dai nonni ed io temo che un giorno o l’altro succeda che qualcuno si faccia male».

Lei già più di un anno fa aveva presentato un’interpellanza per sottolineare l’emergenza legata alla mancanza di medici di base, la situazione è ora cambiata?

«Vorrei poterle dire di sì, invece la situazione si è ulteriormente aggravata ed in modo oramai insostenibile, nel mese di settembre è previsto l’insediamento di due medici di base, per cui confido che ATS faccia fede a quanto detto. Quella della carenza o assenza oserei dire dei medici di base non è però l’unica problematica riscontrata. Anche la nostra Croce Rossa si è trovata a fare i conti con la carenza di personale, infatti delle 3 persone previste – come da protocollo – che operano all’interno di un’ambulanza, ne sono a disposizione solo 2 in quanto una è stata richiamata da Ats per coprire altri incarichi in altra sede».

Tema sicurezza: bivacchi, schiamazzi, degrado, sono diverse le situazioni che in alcuni quartieri della città stanno esasperando i residenti. lei come minoranza ha “fatto un giro” tra la gente? quali sono a suo giudizio gli interventi che il comune dovrebbe fare per arginare il problema?

«La situazione non è solo limitata a Casteggio, leggo di tante situazioni simili in altrettanti Comuni oltrepadani, quindi devo dire che è difficile arginare un problema sociale così largamente diffuso. Personalmente cercherei un dialogo seppur difficile e là dove impossibile avvertirei le Forze dell’Ordine e darei precise disposizioni per multare chi non rispetta le regole. Le regole ci sono, non dobbiamo inventarci nulla ma è necessario farle rispettare multando. Credo che dopo la prima, la seconda o la terza multa possa passare la voglia di non rispettare le regole».

lei è anche una nota commerciante di casteggio e non solo. la sua categoria certamente è stata una delle più colpite nell’era covid. c’è stato , secondo il suo punto di vista, un aiuto adeguato da parte dell’amministrazione comunale per voi commercianti?

«Non sta nei compiti e nei doveri dell’amministrazione comunale aiutarci, i ristori per le categorie previste arrivano da Roma, così come la decisione – a mio giudizio errata – di sospendere le attività dei mercati in periodo di pandemia. Secondo me è stato un grave errore in quanto non avendo a disposizione il mercato – che ricordiamo si svolge all’aperto e quindi con minor pericolo di diffusione del virus – le persone si sono riversate nei supermercati creando code e sovraffollamenti e mettendo maggiormente a rischio la propria salute e quella altrui. Sospendere i mercati è stata una scelta scellerata e irrispettosa, tant’è che dopo poco tempo il mercato dei generi alimentari è stato ripristinato. Per quel che mi riguarda, quindi io ho sempre lavorato ma per tanti colleghi operanti in settori diversi dall’alimentare è stata una catastrofe».

lei che oltre i banchi dell’opposizione vive la piazza, quali sono i malcontenti maggiori lamentati dai casteggiani ?

«Oggi il casteggiano non si lamenta, abbiamo vissuto e stiamo vivendo un periodo particolare di forte stress emotivo dove non ci interessa – io per prima – “fare le pulci”, abbiamo altri pensieri ed altri timori per la testa».

parlando sempre di piazza, il mercato di casteggio ha una tradizione secolare e attira da sempre molti visitatori, è ancora così oppure ha assistito negli anni ad un graduale declino?

«Tiene botta assolutamente considerando anche e sempre il momento che stiamo vi-

Giuliana La Cognata

vendo, dove di “normale” c’è ben poco. Il mercato di Casteggio rimane intramontabile e sempre di grande appeal in quanto è un mercato di qualità, dove si trovano prodotti alimentari e non, di prima scelta».

la sua azienda ha da poco ottenuto il riconoscimento di eccellenza italiana, una bella soddisfazione

«Assolutamente sì, un riconoscimento giusto frutto del duro lavoro che portiamo avanti oramai da 5 generazioni. Non siamo “solo” ambulanti ma anche produttori di verdure tipicamente siciliane che coltiviamo qui a Casteggio. Mio padre ebbe l’idea di portare le colture tipiche della Sicilia al nord e devo dire che è stata un’idea vincente. Da noi si trovano produzioni uniche quali ad esempio il tenerone, in Sicilia considerato una vera e propria medicina che con il suo sapore dolce ha conquistato anche il palato di chi siciliano non è. Ci siamo distinti per la qualità di ciò che produciamo e vendiamo, solo prodotti italiani ad esclusione di banane e pompelmi».

nei suoi progetti come candidato sindaco nell’ultima tornata elettorale, parlava di un ripristino della Fiera dei Vini che purtroppo casteggio “ha perso”. la ritiene oggi un’idea attuabile?

«Rimane il mio sogno più ambito quello di far rivivere la Fiera dei Vini, convinta che sia fondamentale per il nostro territorio e per ridare slancio al comparto vitivinicolo che in questi ultimi anni è stato “massacrato”».

intanto è “saltata” anche la notte Bianca… la ritiene una scelta giusta?

«Trovo inutile in questo momento organizzare feste e incentivare assembramenti. Concordo con la scelta dell’amministrazione di non metterla in scena. Ci sarà tempo».

acasteggio scarseggia l’acqua. si parla di un guasto alla rete idrica per cui lei aveva mosso un’interpellanza. che risposte ha ottenuto?

«Nell’interpellanza presentata a suo tempo avevo specificavo che la rete idrica di Casteggio è piena di falle con una grande dispersione di acqua. Va rifatta totalmente, oggi più che mai visto che, con l’aggiornamento e l’allineamento delle quote, Casteggio si è ritrova con un pesante aumento dei costi per il consumo di acqua».

Tornando a questioni più, diciamo, politiche, nell’ultimo consiglio comunale si è discusso sulla risoluzione del contenzioso che il comune ha ormai da diversi anni con la ditta costruttrice riguardante il complesso di via montebello. qual è la sua posizione sull’intera vicenda?

«Ottima scelta da parte del sindaco di risolvere il contenzioso e finalmente utilizzare la struttura per creare un polo che a Casteggio serviva davvero».

nella sua vita fatta di mille impegni si è dedicata anche alla scrittura. coltiva ancora questa passione?

«Assolutamente sì, durante la mia degenza in ospedale ho messo nero su bianco la mia esperienza legata al Covid, con ricordi della mia infanzia ed dei miei genitori. Questi pensieri diventeranno molto probabilmente un libro, ma solo quando tutto questo – intendo l’emergenza sanitaria – sarà solo un brutto ricordo, temo per il momento che non sia purtroppo finita».

«Garantire tempi precisi e lavori di ottima qualità per dare una città più bella e fruibile ai cittadini»

A Stradella l’amministrazione ha avviato importanti lavori pubblici che riguardano principalmente le strade, l’acquedotto, il Rondò e la basilica di San Marcello in Montalino. Il sindaco, Alessandro Cantù, si dice soddisfatto dell’andamento degli sforzi messi in atto nel mese di agosto, per creare il minor disagio possibile, tanto che i lavori stanno procedendo nei tempi previsti ed in alcuni casi più celermente.

sindaco su quali opere pubbliche avete deciso di concentrare le attenzioni?

«Sostituzione del porfido ammalorato da tempo in Via Marconi, rifacimento della tubazione dell’acquedotto da parte di Pavia Acque, sostituzione della copertura di San Marcello in Montalino e rifacimento del Rondò sono le opere iniziate nei primi giorni di agosto e che stanno proseguendo in questo mese. Ove si necessita la chiusura delle strade è stato scelto il mese di agosto proprio per causare il minor disagio possibile in quanto è un periodo in cui transitano meno persone».

in base a quali elementi è stata data la priorità ad alcuni lavori piuttosto che ad altri?

«Si tratta di lavori tutti importanti che riguardano ambiti diversi: viabilità, decoro della città, servizi per i cittadini, patrimonio culturale.”

i lavori stanno avvenendo come avevate programmato?

«Garantire tempi precisi e lavori di ottima qualità vuol dire dare ai cittadini una città più bella e ben fruibile. Grazie a tutti coloro che stanno lavorando per far sì che tutto possa essere eseguito a regola d’arte e in alcuni casi in anticipo».

il nuovo volto del rondò, punto centrale di stradella, in base a cosa è stato ripensato?

«L’intervento in questa area è molto importante perché va ad ampliare una zona pedonale con una nuova parte completamente piastrellata in porfido e il suo disegno vuole richiamare una fisarmonica, se vista dall’alto, proprio per ricordare che ci troviamo nelle immediate vicinanze della sede della storica fabbrica Dallapè. Inoltre andando a diminuire il traffico riducendo il passaggio ad un solo senso di marcia garantirà maggiore sicurezza e un minor numero di incidenti».

anche la Basilica di san marcello è oggetto di un importante opera di restyling

«La Basilica, spesso rinominata semplicemente “chiesa di Montalino” verrà sottoposta a diverse opere di ristrutturazione. È stato scelto l’attuale periodo in quanto non erano previsti riti nuziali e grazie all’opera del Comune, di parte della cittadinanza attraverso donazioni e della generosità della Fondazione Cariplo, sarà possibile renderla di nuovo agibile, riqualificando quella che è una struttura di importanza storica che viene sempre più richiesta come luogo in cui poter celebrare matrimoni. Grazie ai fondi raccolti che ammontano a circa quaranta mila euro si provvederà a rimuovere graffiti che in anni e anni si sono accumulati sulle pareti e impermeabilizzare il manto sottostante alle tegole ormai non più in grado di respingere l’acqua piovana. Verrano inoltre aggiustati il campanile ed alcune vetrate che a loro volta erano state vittima di atti vandalici».

nei prossimi mesi su cosa pensa di intervenire l’amministrazione?

«Sono tanti gli interventi che stiamo facendo a Stradella e ne abbiamo altri ancora da iniziare, principalmente riguardo ai marciapiedi, e naturalmente ci impegneremo ad asfaltare le strade che più lo necessitano, il tutto nell’ottica di una maggiore vivibilità della città».

Alessandro Cantù

di Riccardo Valle

«Diventare Vescovo?Assolutamente no, mancano i preti, non i Vescovi»

Verso la fine di novembre dello scorso anno, il vescovo di Tortona, Mons. Vittorio Viola ha avvitato una rivoluzione tra le parrocchie della Diocesi di Tortona: un vero e proprio “rimpasto”, come si direbbe in gergo politico. Il 31 gennaio la comunità parrocchiale di Stradella ha accolto il suo nuovo arciprete, Don Gianluca Vernetti, salutando Mons. Pietro Lanati e Don Cristiano Orezzi (trasferito a Voghera). Classe 1968, originario di Zavattarello, è stato ordinato sacerdote dal 1992. Dopo un’esperienza a Broni, nel 2001 si trasferisce alla Pastorale Giovanile di Tortona. Nel 2006 viene nominato arciprete della parrocchia di San Germano Vescovo in Varzi, dove rimane per circa quattordici anni. Nella Parrocchia dei Santi Nabore e Felice è tutt’ora coadiuvato da Don Daniele Lottari.

don gianluca, come si è avvicinato al mondo ecclesiastico? come ha ricevuto la cosiddetta “chiamata”?

«Faccio parte ancora della vecchia generazione: durante le medie ho frequentato i “Campi Vocazionali” e a quattordici anni sono entrato in Seminario, dove ho capito di avere una certa sensibilità e di provare un certo fascino verso il Signore. È proprio nel cammino del Seminario che si riesce a realizzare veramente se quello che si prova è una vocazione. Successivamente ho frequentato teologia per poi diventare Parroco a ventiquattro anni».

A fine novembre 2020, nel bel mezzo del secondo lockdown, arriva l’ufficialità della sua nomina a parroco di stradella. inizialmente i varzesi non hanno preso bene questa notizia… si aspettava questo suo trasferimento, oppure è stato qualcosa di improvviso?

«Il Vescovo aveva già avviato questa “rivoluzione” molto prima: con la pandemia i tempi si sono allungati, ma poi è venuto il momento di renderli noti alla comunità, quindi non è stato un qualcosa di inaspettato. Ritengo che il Vescovo abbia comunque gestito bene questa nuova impostazione della Diocesi: in questo modo ha cercato di portare i parroci più giovani nelle principali parrocchie. È stata una scelta pastorale molto ardita, che non era mai stata fatta prima e che guarda al futuro impegnando le forze più giovani nelle parrocchie più grandi».

ha lasciato Varzi, e altre dodici parrocchie, dopo quattordici anni: quali sono state le sue più grandi soddisfazioni?

«A Varzi e a Ponte Nizza abbiamo investito moltissimo negli oratori, dove si radunano parecchi ragazzi sia per la catechesi, sia per la parte educativa. Le risposte sono sempre state positive, sia dai giovani che dalle famiglie: sono state grandi soddisfazioni. Sia da parte mia che da parte loro c’è stata sofferenza per questo distaccamento, ma fa parte della nostra natura essere noi parroci inviati dove la Chiesa ritiene ci sia più bisogno e, da parte della comunità, accogliere i sacerdoti che il Signore mette sul cammino della vita. Sono stato per quattordici anni a Varzi, un paese di più di tremila anime, che dopo tutto quel tempo è diventato per me come una famiglia. Stradella, invece, è una città, quattro volte più grande e per questo sarà più difficile conoscere da vicino tutte le persone che compongono la comunità».

ha qualche rimpianto?

«Rimpianti, ma nel senso buono. L’unione che si era creata con la comunità è stata molto forte, quindi c’è il dispiacere di non essere accanto ai ragazzi nel loro cammino di crescita: non passa settimana senza che qualcuno non scenda da Varzi per venirmi a trovare…».

sono passati più di sei mesi dal suo insediamento, un tempo abbastanza utile per ambientarsi. quali sono le sue considerazioni riguardo questa sua nuova avventura?

«A causa di questi limiti imposti dalla pandemia, si è fatta molta fatica a poter conoscere la comunità stradellina, soprattutto nei primi mesi dell’anno. Ci sono difficoltà che prima non si verificavano, come l’impossibilità di fare visita ai ricoverati o di poter celebrare la messa nelle case di riposo. Insieme a Don Daniele abbiamo organizzato un mese di grest all’Oratorio, con un centinaio di ragazzi al giorno, e questo ci ha permesso di poter conoscere i giovani e le loro famiglie. In un contesto normale, in sei mesi, avrei potuto conoscere molta più gente: invece, purtroppo, siamo stati molto limitati nell’approccio… La considerazione più evidente che al momento posso fare riguarda le famiglie bisognose: a Varzi si potevano contare sulle dita di una mano, mentre qui a Stradella, sicuramente complice il bacino d’utenza, il tasso di povertà è più elevato. Questo lo si nota vedendo il grande lavoro che svolge il nostro centro caritativo parrocchiale “Il pane quotidiano”».

A Stradella raccoglie, inoltre, l’eredità di don cristiano, trasferito a Voghera, che è stato per anni l’anima e motore dell’apos e dell’oratorio. quali sono i suoi progetti a tal proposito?

«Per quanto riguarda la parrocchia sono molto fortunato perché oltre a Don Daniele, prete novello dallo scorso 6 giugno, c’è ancora Don Pietro, che ci dà una mano e garantisce una certa continuità con il lavoro svolto in precedenza. Per quanto riguarda l’ortatorio, a Stradella ci sono molti più ragazzi rispetto a dove mi trovavo. Cercheremo di inserirci nel mondo della scuola per poterli conoscere meglio e poter camminare insieme. Don Cristiano aveva impostato un bel lavoro con

Don Gianluca Vernetti, arciprete di Varzi per 14 anni, oggi a Stradella

gli educatori e gli animatori, creando una parte destinata alla cucina e un salone polifunzionale destinato al doposcuola inaugurato un mese fa e dedicato a Benedetta Ragni, ragazza purtroppo scomparsa per malattia. Ad ottobre, mi piacerebbe proseguire con il “progetto doposcuola” pensato da Don Cristiano, per riuscire a seguire i ragazzi nelle ore di studio pomeridiane. Don Daniele, invece, sta seguendo il settore calcistico ed ha assunto la presidenza dell’Apos, che ad oggi conta più di trecentocinquanta iscritti».

il “disagio giovanile” negli ultimi anni è in continuo aumento: come pensa di poter limitare questo fenomeno? sicuramente il periodo storico che stiamo vivendo non aiuterà di certo…

«Sono stato direttore della Pastorale Giovanile Diocesana dal 2001, ma sono quarant’anni che sento parlare di “disagio giovanile”, non è una novità degli ultimi anni. Dove ci sono i giovani purtroppo c’è anche disagio: questo perché hanno una forza di crescita che li porta spesso a fare esperienze non positive. Io credo negli insegnamenti di Don Bosco, il quale era convinto che per poter affrontare queste problematiche giovanili bisogna vivere insieme ai ragazzi e garantire a loro un supporto spirituale».

parlando più in generale, questo anno e mezzo di pandemia quali ripercussioni ha avuto sui fedeli e sul mondo ecclesiastico?

«La prima impressione la si ha direttamente in Chiesa, dato che il numero dei fedeli che partecipano alla messa si è dimezzato, o forse anche di più. Ora c’è una sorta di ripresa, ma non si è tornati ancora alla normalità. Questo lo si nota soprattutto nelle persone anziane, che hanno abbandonato le loro abitudini, uscendo di meno e limitando al minimo i rapporti sociali e generando così una forte sofferenza interiore».

quali sono i suoi progetti e le sue idee per la sua nuova parrocchia?

«Appena si tornerà alla normalità prenderemo atto della situazione e vedremo quali progetti poter portare avanti. Sicuramente qui, come altrove, bisognerà guardare al cammino della formazione, specialmente nella catechesi: è un ambito pastorale che andrebbe rivisto, per migliorare sia la partecipazione che l’apprendimento. Azione Cattolica, il gruppo di rosario perpetuo e le varie associazioni sono pienamente funzionanti, ma andranno seguite nella formazione. Inoltre, abbiamo già programmato i corsi di preparazione al matrimonio».

lei è originario di zavattarello. pensa che un giorno potrà ritornarvi e finire lì la sua carriera?

«Spero di ritornarci prima, perché un parroco quando è a fine carriera vuol dire che è stato chiamato dal Creatore (risata)».

concludendo, è nelle sue ambizioni diventare Vescovo?

«Assolutamente no, perché ritendo di non averne le qualità. Mancano i preti, ma i Vescovi non mancano…».

AGOSTO 2021

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«L’Oltrepò è la risposta giusta per vivere nella natura, senza allontanarsi troppo dalla città»

Paola Neglia è un maestro Feng Shui e da circa una ventina d’anni vive a Canneto Pavese. Si tratta di una disciplina molto difficile da imparare, ma soprattutto da spiegare. Ha origine nelle corti imperiali cinesi ed insegna alle persone come saper riconoscere i propri spazi e vivere al meglio la propria abitazione o il luogo di lavoro, che a loro volta sono lo specchio della propria personalità. Abbiamo chiesto a Paola di spiegarci al meglio questa disciplina, come apprenderla e come saperla applicare nella vita di tutti i giorni.

paola, quando ha preso la decisione trasferirsi in oltrepò pavese?

«Io e mio marito abitavamo in Toscana, quindi eravamo abituati a vivere in un territorio bello circondato dalle colline. Stavamo cercando casa a Milano, dove mio marito lavorava, fino a quando ci siamo imbattuti nell’Oltrepò Pavese. Mi sono innamorata subito di questo territorio e abbiamo deciso di trasferirci a Canneto Pavese, in una casa che era abbandonata da ormai più di cinquant’anni e che tutt’ora stiamo ancora sistemando. Noi non conoscevamo minimamente l’Oltrepò, è stata la casa a sceglierci. Adoro il fatto che l’Oltrepò Pavese non è ancora stato contaminato: si possono percorrere chilometri in mezzo alle vigne e non tra le fabbriche. Inoltre, la collina di Canneto Pavese è ben collegata per chi, come noi, deve viaggiare per lavoro verso Milano».

come ha conosciuto il Feng shui?

«Sono nata e cresciuta in Colombia, da madre colombiana e padre italiano. In Sudamerica ho studiato per diventare stilista di abbigliamento. Avendo passaporto italiano mi sono trasferita in Italia per frequentare un master in stilismo di moda. Al mio ritorno in Colombia ho scoperto che in molti avevano iniziato a praticare lo Feng Shui e questo mi ha incuriosito parecchio. Mi ha colpito molto il concetto secondo il quale il posto in cui vivi ha un’influenza su quello che sei e quello che fai: per questo ho iniziato a leggere diversi libri su questo argomento».

essenzialmente, di che cosa si tratta? La si può definire un’arte?

«Il Feng Shui è più una disciplina orientale che include anche l’arte. Fa parte di quei saperi custoditi dai maestri cinesi al servizio delle corti imperiali. Il maestro Feng Shui era il braccio destro dell’imperatore e conosceva l’astrologia, la medicina ed era la persona incaricata per decidere dove costruire la città, perché il benessere del popolo derivava, appunto, dalle scelte dell’imperatore. Per questo il maestro doveva garantire che i posti scelti dove costruire le strutture fossero utili a tutta la popolazione e, più nel personale, doveva accertarsi del benessere dell’imperatore».

come ha appreso questa disciplina?

«Inizialmente ho provato a impararla leggendo tantissimi libri, ma per capirla al meglio bisogna avere una conoscenza più profonda che non si può trovare sulla carta. I libri tendono ad essere dei manuali, dove tutti siamo uguali e non guardano al singolo caso della persona. Ho proseguito lo studio frequentando la scuola di un maestro cinese che a sua volta aveva avuto il compito dal suo di portare il Feng Shui in occidente, con l’idea di ripulirlo da tutte le contaminazioni. La difficoltà sta nel fatto che esistono tanti stili quanti maestri, non vi è un’unica versione. Il mio maestro proviene da un villaggio cinese dove i suoi predecessori hanno lavorato per più di seicento anni al servizio della corte imperiale, per tanto conosce tanti stili differenti».

quindi lei pratica questo stile “autentico”?

«Noi lo chiamiamo “autentico” per indicare che è uno stile con grandi studi, che si basa su principi verificabili e non sulle superstizioni. C’è tantissima confusione in giro… Ultimamente è diventato molto di moda e quindi è stato contaminato da diversi fattori esterni, come la superstizione. Questa contaminazione è accaduta non solo in occidente, ma anche in Cina. In realtà il Feng Shui non si dovrebbe nemmeno vedere, ma andrebbe applicato in base alle proprie esigenze personali, non sul significato che gli è stato dato. Un rimedio non si vede esternamente, ma lo dovrebbe sapere solo la persona che lo ha attuato. Il Feng Shui che pratico io si basa tantissimo sul Taoismo, che studia tutti i fenomeni naturali e spiega all’uomo come deve comportarsi in merito».

in che anni è arrivato il Feng shui in occidente?

«È arrivato nel momento in cui oriente e occidente si sono incontrati, all’incirca negli anni ’60».

per praticare il Feng shui ha dovuto imparare anche il cinese?

«Certo, perché certi saperi vengono tramandati con i caratteri cinesi, e quindi bisogna dargli la giusta interpretazione. Il cinese ha la capacità di saper riassumere un concetto in un solo carattere».

lei è un maestro Feng shui: oggi com’è cambiata questa figura soprattutto se esercitata nel mondo occidentale?

«In passato il maestro sceglieva un po’ per tutti, cercando di garantire il benessere alla collettività. Oggi, invece, esercita cercando di migliorare la vita della persona singola o del singolo nucleo famigliare. L’idea è quella di far utilizzare al meglio i propri talenti e i propri spazi. Ci tengo molto a precisare che non è una magia, perché per migliorare la vita di una persona non basta applicare il Feng Shui: saprà

nomiche del soggetto interessato?

«Il Feng Shui, se applicato in modo corretto, non interviene sulla struttura della casa. Si può fare tantissimo anche senza fare investimenti, basta capire dov’è il blocco. È un concetto difficile da spiegare. Faccio un esempio, il più basilare: ci sono persone che hanno perso fiducia in sé stessi e tengono sempre chiuse le tende di casa. Quindi un’osservazione potrebbe essere quella di aprirle, perché questo può influire molto sulla persona, senza incorrere a investimenti. Una casa molto luminosa aiuta a stare bene, molto cupa aiuta a chiudersi in sé stessi e influisce negativamente sullo stato d’animo».

Feng shui si può praticare anche per gli uffici, o solo per le abitazioni?

«Certamente, perché aiuta a lavorare meglio. Un ufficio più grande riesce a dare maggior sicurezza ed autorità ad un dirigente, quindi bisogna saper organizzare gli spazi. Un errore frequente viene fatto nelle aziende familiari, dove il capo non si prende i giusti spazi».

quali sono gli strumenti che lei utilizza per le proprie consulenze?

«Sostanzialmente utilizzo due strumenti essenziali: la bussola Lo Pan e la carta energetica. La bussola Lo Pan è “il computer” di un maestro o consulente Feng Shui, dove sono inserite tutte le informazioni dell’energia, di come si muove nell’ambiente e come si relaziona con le persone. C’è un’informazione per ogni grado di misura e serve per verificare lo spazio e il tempo. La carta energetica indica, invece, le energie presenti in un determinato giorno o periodo di tempo e ci permette di comprendere meglio come siamo fatti, per cosa siamo predisposti come lavoro, attività, relazioni con gli altri e quali saranno le migliori forze e direzioni cardinali per ognuno. Si calcola seguendo i principi del Tao, la ciclicità dei movimenti energetici ed i bilanciamenti Yin e Yang».

questa disciplina, se ben praticata, quali risultati può dare nel nostro territorio?

«Sono vent’anni che vivo in Oltrepò, ma a dire il vero lavoro molto più facilmente su Milano, dove c’è una mentalità più aperta. Con il lockdown, però, molti milanesi si sono spinti verso il nostro territorio. Io penso che l’Oltrepò sia la risposta giusta per vivere nella natura, senza allontanarsi troppo dalla città: questo è il suo punto di forza, e aiuta sicuramente per il benessere della persona. I cinesi sono, di base, una società agricola, che è sempre stata attenta ai segnali della natura. Per questo io trovo molte affinità con l’Oltrepò Pavese, dove gli agricoltori sanno leggere la natura e sanno come dover agire».

migliorarla solo se sarà in grado di leggere tutti i messaggi inviati dalla casa».

quindi lei si occupa anche di fare consulenza per gli architetti?

«Se una persona sta progettando la casa da zero, è possibile. Altrimenti il Feng Shui è un grande strumento da applicare per chi vive già nella sua casa e si sente bloccato in qualche aspetto della propria vita. Non si tratta solo di arredamento, anche se in realtà si effettuano spostamenti di mobili oppure si scelgono i colori delle pareti. Non necessariamente una persona deve trovare la casa più bella, ma quella che ha più risonanza con la propria personalità».

poter applicare questa disciplina dipende anche dalle capacità eco-

Paola Neglia, maestro di Feng Shui, un’antica arte geomantica taoista della Cina

Pesche al forno, dolce tipico delle nostre nonne per il giorno di Ferragosto

di Gabriella Draghi

Con l’arrivo dell’estate finalmente un arcobaleno di colori riempie le nostre tavole, ricco di importanti nutrienti benefici per la nostra salute. Tra i frutti tipici, buoni e salutari, troviamo la pesca che appartiene alla famiglia delle Rosacee ed ha origini molto antiche che risalgono a più di 4000 anni fa in Cina, dove era ritenuta simbolo di longevità e immortalità. Ad oggi vi sono più di 3000 varietà coltivate in tutto il mondo. Particolarmente ricca d’acqua, la pesca possiede ottime proprietà idratanti e dissetanti, ideali per la stagione estiva. Aiuta infatti a mantenere l’equilibrio idrico-salino e a ripristinare le perdite dovute al caldo o all’attività fisica. Possedendo poche calorie, la pesca può essere inserita in qualsiasi piano alimentare. Particolarmente adatta come “spezza fame”, rappresenta un delizioso spuntino energetico grazie al contenuto di zuccheri naturali. Non bisogna però eccedere, poiché consumare tre pesche di media grandezza (150 g) equivale all’ingestione di circa 30 g di zucchero. Contiene molta fibra, solubile e insolubile, che esplica azioni benefiche sulla regolarità intestinale e sullo stato di salute generale. Inoltre mangiare una pesca al giorno significa fornire all’organismo circa il 15 % del fabbisogno giornaliero di vitamina C e di betacarotene, indispensabili per la fortificazione delle ossa. L’Oltrepò pavese per la sua configurazione a cuneo che si insinua tra l’Emilia Romagna, la Liguria e il Piemonte, risente molto delle contaminazioni culinarie delle regioni di confine e, nel caso delle pesche, la coltivazione nelle zone limitrofe delle famose pesche di Volpedo ha fatto sì che si diffondesse fin dai tempi dei nostri nonni una ricetta tipica piemontese che condividerò con voi questo mese, sicura che vi farà fare un’ottima figura a tavola con i vostri cari: “le pesche ripiene al forno”. La storia di questa ricetta è interessante, e certamente legata ai ritmi tradizionali della campagna. Sappiamo infatti che le pesche al forno venivano preparate nel giorno di Ferragosto, quando le nonne le portavano nei grandi pranzi che si tenevano negli orti e nelle vigne, ed ogni famiglia aveva una ricetta segreta, che veniva tramandata di nonna in madre e di madre in figlia. È un dolce gustoso e leggero, molto adatto come dessert ma anche come merenda alternativa. Un’idea in più potrebbe essere quella di servire le nostre pesche con una palla di gelato alla crema.

come si preparano:

Iniziamo lavando e asciugando accuratamente le pesche perché le utilizzeremo con la buccia. Mettiamo gli amaretti nel mixer insieme alle mandorle e frulliamo il tutto fino ad ottenere una polvere non troppo fine che trasferiremo in una ciotola. Tagliamo le pesche a metà rimuovendo il nocciolo e parte della polpa che aggiungiamo al composto precedentemente ottenuto, schiacciandola bene con una forchetta. Uniamo ora gradualmente il cacao in polvere e lo zucchero di canna, amalgamando con un cucchiaio in modo da ottenere un

PESCHE RIPIENE AL FORNO

Ingredienti per 6 persone: 6 pesche sode, non troppo mature 70 g di amaretti 1 cucchiaio di cacao amaro 40 g zucchero grezzo di canna 20 g mandorle spellate 1 bicchierino di vino marsala burro q.b.

composto il più omogeneo possibile. Prendiamo le pesche tagliate, farciamo ogni metà con il composto e livelliamo con il dorso di un cucchiaio. Imburriamo una pirofila e disponiamo le pesche con l’incavo rivolto verso l’alto, cercando di non lasciare spazio tra l’una e l’altra. Spolverizziamo con dello zucchero di canna e bagnamo con il vino marsala. Cuociamo in forno preriscaldato a 200° C per circa 30 minuti, bagnando di tanto in tanto con il fondo di cottura. Togliamo le nostre pesche dal forno e le facciamo raffreddare. Buon ferragosto! You Tube Channel & Facebook page “Cheap but chic”

La serenata dell’Alpino Stefano

di Giuliano Cereghini

Platone, filosofo e scrittore greco, duemila quattrocento anni or sono, affermava che “la memoria appartiene all’anima, se finisce la memoria finisce l’uomo”. Il dilagare dell’effimero di una vita volta all’apparire più che all’essere, spesso ci prende per mano e oscura la mente: non abbiamo più memorie o peggio viviamo l’indifferenza che, a ben vedere, è la peggiore delle condizioni, peggio della cattiveria che è mossa da impulsi malvagi, ma sentimenti, cattivi ma veri. Riflettevo su queste grandi verità scorrendo le immagini televisive e leggendo sui quotidiani, una vicenda che ha commosso tante persone. È raro che programmi televisivi o articoli di giornali turbino gli animi di persone ormai votate a diete veloci, lavori alienanti o cure spasmodiche di bimbi felici di giocare con una pallina o una macchinina con tre ruote, piuttosto che frequentare palestre, piscine, campi da golf o sale da ballo tanto care a mamme e nonne. È raro dicevamo, ma a volte succede: l’Italia tutta si è commossa alle immagini di un vecchio alpino che nei giardinetti dell’Ospedale di Castel San Giovanni, non potendo visitare i ricoverati, suonava e cantava una serenata alla moglie ricoverata. Non poteva vederla, anzi non l’avrebbe più rivista, ma voleva a modo suo, testimoniarle il suo amore. Rivivere le note che per molti anni della loro vita, quasi cinquanta, erano state guida e allegria; voleva ricordare, voleva il primato della memoria contro una sciagurata condizione umana che gli impediva di stringere una mano, magari in silenzio, ma sentire e trasmettere il calore che questa maledetta pandemia ci ha interdetto. Si chiamava e si chiama Stefano Bozzini è nato a Vigulzone in Provincia di Piacenza, Val Nure precisa. Quarto di sette figli, già alla nascita “autore” di un gesto che cambiò la vita al padre. Questi richiamato militare nel 1938, ottenne una licenza per la nascita del figlio il giorno di Natale del 1939. Lo battezzano il giorno dopo chiamandolo appunto, Stefano e il giorno seguente Babbo rientrò disciplinarmente al reggimento. Dopo poco tempo lesse in bacheca che i militari coniugati con quattro figli potevano chiedere di essere esentati dal servizio. Esonero immediato e rientro in Val Nure tra la gioia di parenti, amici, moglie e figli. Stefano da bambino amava la musica e la fisarmonica ma pochi erano i momenti in cui poteva ascoltarla. Uno dei primi che ricorda, è lui che lo racconta: «Di tanto in tanto arrivava in paese uno strano personaggio detto Basulôn, su un camioncino cäl féva un disàstär äd fum. Vendeva affettati, formaggi, frutta e verdura e mentre la moglie serviva i clienti, lui suonava la fisarmonica per attirarne altri». Sorrideva mentre mi regalava queste immagini che sentivo vicine quasi le vedessi. «E intant che Baslôn al sunéva io mi incantavo a guardarlo - continua - ho cominciato sessanta anni fa e ancora mi diverto. Allora con una piccola fisarmonica interpretavo canzoni dei tempi andati e nuovi spartiti che procuravo inforcando il mio Mòtom per recarmi a Piacenza». Mi guarda compiacendosi della sua arte e della perseveranza nella sua passione. Gli chiedo come è diventato alpino, lui sembra assorto in ricordi che vincono con fatica il tempo. «Nel 1961 fui chiamato al CAR di Bassano del Grappa per poi passare ad Udine quale Alpino del Genio Pionieri, certi botti con tritolo! fino a 3 Kg per carica, ma con la tecnica per non farsi del male». Poi l’orgoglio d’essere Alpino (scritto con la lettera maiuscola), le adunate, i pranzi le bisbocce accompagnate sempre dalla fedele fisarmonica. Il matrimonio con Carla e la nascita di tre figli ormai grandi. La malattia della moglie in un periodo maledetto dove al dolore per l’infera, si assommava l’impossibilità di starle vicino, stringerele la mano e rendere una buona parola alla compagna di una vita. Memoria, memorie di una vita. Memorie che stemperano un dolore ancora presente. La sua vicenda aveva commosso l’Italia e non solo: persone da tutto il mondo avevano inviato un pensiero, un ricordo e spesso, un ringraziamento a questo timido e riservato signore che ho avuto la fortuna di incontrare a Stradella, nella mitica sede degli alpini retta con maestria dall’amico Roberto, capogruppo della Sezione. Nell’estate del 2020, usciti dalla prima grande tornata pandemica, decidemmo con Roberto, di offrire ai Sanitari dell’Ospedale di Stradella, magistralmente guidati dal Prof. Giovanni Ferrari, una cena di ringraziamento per i loro sacrifici e la loro dedizione durante i durissimi mesi che ci eravamo messo alle spalle. Era stata apprezzata e, contrariamente a qualcuno a cui la memoria non appartiene all’anima, come diceva il saggio filosofo citato, noi abbiamo memoria, noi abbiamo pensato di riproporre un’altra cena con i soliti convitati, nella solita sede degli alpini di Stradella. Durante i preparativi l’anfitrione Roberto, mi raccontò che il 24 giugno avrebbe assistito alla premiazione a Castel San Giovanni di un suo amico, l’alpino Stefano che aveva commosso il mondo con quella famosa serenata suonata con la fisarmonica e cantata indossando il suo cappello con la piuma nera. La cena era prevista per il giorno 25 giugno e mi parve logico invitare l’alpino Stefano, nella casa degli alpini a festeggiare e ringraziare i medici per quanto avevano fatto nel secondo tremendo anno di pandemia. Alle diciassette a Stradella con il mio fido Domenico Petruzza, amico e collaboratore; intento a preparare con tre alpini convocati da Roberto, tavolo, cucina, vini e manicaretti, sento il capogruppo della Sezione di Stradella annunciare una sorpresa. Dopo qualche istante si staglia sulla soglia di casa la figura minuta di un vecchio alpino con il cappello d’ordinanza sormontato da una smisurata penna nera. Lo riconosco, lo saluto complimentandomi per il gesto d’amore che aveva compiuto e per la gigantesca penna nera infilata nel cappello da alpino. Mi squadra schernendosi senza commentare l’avventura musicale che per molti è stata un gigantesco gesto d’amore. Mi precisa però, che la lunga penna nera serviva e serve ad aumentare la sua breve statura. Gli ricordo una vecchia canzone degli alpini che recita: “bersagliere ha cento penne, ma l’alpin ne ha una sola; un po’ più lunga, un po’ più mora, sol l’alpin la può portar”. Sorride e mi guarda quasi ad indagare le mie virtù culinarie. Basso di statura ma con l’orgoglio della sua penna nera e due occhi dolci e penetranti. La sua fisarmonica poi, l’accarezza come si può solo con una cosa amata. La sfila dal fodero lucido, inforca i due spallacci neri e, dopo aver accarezzato le placche madreperlacee che rivestono lo strumento, sfiora con le dita i tasti neri e bianchi ricercando assorto la giusta tonalità. I bassi che accompagnano e il ritmo antico delle note che magicamente nascono dall’arcano mistero che lega l’uomo alla musica e gli uomini più semplici e veri alla fisarmonica. Per qualche istante il balletto frenetico delle dita minute dell’uomo sulla tastiera dello strumento, attirano gli sguardi degli astanti ma d’improvviso, le note che nascono dal cuore di questo grande uomo, ti rapiscono invadendoti l’anima e la mente: di ricordi, emozioni, momenti indimenticabili e persone indimenticate. L’artista sembra vivere un mondo magico fatto di note e d’armonie ma, d’un tratto, un luccichio, un velo di commozione negli occhi dell’uomo. Termina la suonata, mi avvicino e gli sussurro piano: “i ricordi sono a volte bestiacce che ti morsicano lo stomaco ma la memoria è ciò che differenzia gli uomini in due categorie: quelli veri da quelli fasulli”. Mi sorride nascondendo gli occhi e la commozione nelle falde di un fazzoletto a quadri e roselline. All’arrivo dei medici e infermieri iniziamo una cenetta sincera: salame e coppa lasciati per mesi a meditare nelle storiche cantine dell’alto Oltrepò, un risottino al limone, un robusto risotto ai porcini, cinghialino con le olive, arrosto di vitello in salsa salmistrata, un tocchetto di bitto dei pascoli alti della Valtellina, frutta e caffé. Qualche bottiglia di riesling, pinot rosato e rosso Oltrepò in onore degli alpini. Qualche piattino vegetariano per le dott.sse che non gradiscono la carne ma con la soddisfazione di aver convinto una bionda cultrice dell’insalata ad assaggiare il salame e di aver coinvolto le dott. sse Rossana Scabrosetti ed Ester Galanti in un coro a squarcia gola sulle note di una vecchia canzone “Quelle stradette che tu mi fai fare”, accompagnati dalla magia di Stefano e della sua scintillante fisarmonica. (A contrasto di eventuali smentite da parte degli interessati, sono pronto a fornire documentazioni fotografiche e filmati). La serata si conclude con una mazurca suonata dal magico alpino Stefano e ballata dal cuoco e dalla bionda dott.ssa Susan che ha dimostrato alle italiane presenti, quale sia l’amore per la musica e per il ballo delle donne tedesche. Al termine della serata, stilliamo il menù del prossimo autunnale incontro culinario, (previsti pizzoccheri valtellinesi, funghi trifolati e arrosto, Gulasch ungherese di capriolo o daino e dolci di stagione). Naturalmente ci siamo ripromessi di avere sempre tra di noi l’anima buona di un vecchio alpino con la fisarmonica; ha commosso il mondo con un gesto d’amore che resterà negli occhi e nella mente di chi ha visto le immagini riportate dai media e nel cuore di chi ha stretto la mano e guardato nei profondi occhi buoni l’amico alpino Stefano Bozzini, campione di memorie, umanità e nobili sentimenti. Vorrei chiudere con questa immagine ma non posso. Sorridendo il vecchio guerriero mi ferma ed aggiunge: «Sabät pasà sè spusà Lucia, l’ultima dei miei tre figli. Prima l’ho cumpagnà a l’altar e all’uscita della chiesa, msò mis a sunà sul sagrato mentre i bambini ballavano e i parenti gettavano il riso augurale». Grande Stefano, grande uomo, Alpino, marito e padre. Grande memoria d’amore da cui i giovani dovrebbero trarre il meglio ricordando un gesto scolpito in un tramonto infuocato.

L’Alpino Stefano con Giuliano Cereghini e le dottoresse Ester Galanti e Rossana Scabrosetti