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RIVANAZZANO TERME Pagina

«Il nostro scopo è rendere questo luogo il più frequentato e vitale possibile»

Un salto nel vuoto, un azzardo, o forse un’idea brillante: è difficile dire, per il momento, cosa sia la scelta compiuta dai ragazzi dell’associazione Maecenarts, che lo scorso settembre hanno preso in gestione il teatro di Rivanazzano Terme. Chiusa da oltre due anni, e nei precedenti oggetto di una programmazione sporadica, la sala ha riaperto il sipario il 6 ottobre, annunciando un calendario di trentacinque eventi distribuiti nei primi tre mesi di attività. Le menti dietro al progetto sono tre giovani vogheresi uniti dalla comune passione per l’arte e la cultura, con competenze trasversali che promettono di rendere la programmazione eterogenea e interessante: se Matteo Montagna (29 anni, Casteggio) lavora nella comunicazione, Giulio Oldrati (31 anni, Voghera) è videomaker, mentre Alessio Zanovello (33 anni, Lungavilla) è musicista e docente di teatro.

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ragazzi, un bel rischio prendere in gestione un teatro con gli strascichi di una pandemia.

«Assolutamente vero, ma a nostra discolpa l’idea non ci è venuta adesso, ci frullava in testa già da tempo. Erano alcuni anni che ci pensavamo, ma avevamo sempre lasciato perdere perché francamente pensavamo di non potercela fare. Un po’ per questioni economiche, un po’ per il periodo incerto, quindi, non avevamo trovato il coraggio di candidarci ufficialmente per il bando pubblicato dal comune di Rivanazzano. Poi, però, abbiamo saputo che nessun altro aveva avanzato una candidatura per gestire il teatro, così abbiamo tirato fuori i nostri progetti e i nostri risparmi e ci abbiamo provato: siamo andati a bussare alla porta dell’amministrazione, dove il sindaco e la giunta si sono dimostrati da subito più che disponibili ad ascoltarci, ma soprattutto a sostenerci.

Alessio Zanovello, Giulio Oldrati e Matteo Montagna

Senza il loro appoggio, forse saremmo ancora qui a parlarne».

perché avete sentito l’esigenza di farlo?

«In primo luogo perché il teatro di Rivanazzano è uno spazio funzionale e funzionante, in ottimo stato e in un’ottima posizione, in cui si sarebbero potute (anzi, ormai si possono) fare moltissime cose. Lasciarlo chiuso ancora sarebbe stato un peccato, soprattutto perché la comunità della zona ha bisogno di luoghi culturali vivi, dove incontrarsi e arricchirsi. In particolare serviva un posto che fosse aperto ai giovani, che ospitasse i loro progetti creativi: e se pensate che in giro ce ne siano pochi basti pensare che l’associazione Maecenarts è formata da circa centosettanta ragazzi appassionati di cabaret (quelli del laboratorio comico “Garpez”) e di musica (quelli di “All you can rock”), entusiasti sia di assistere agli spettacoli che di aiutarci nella gestione».

come avete organizzato la programmazione?

«In primo luogo aprendoci all’esterno, chiedendo a chiunque volesse proporci uno spettacolo di farlo, valutandone poi l’interesse. Ma se da un lato sembrava evidente dover lavorare con prudenza, organizzando unicamente spettacoli interni e poche date extra, dall’altro il nostro network lavorativo e di conoscenze, la nostra voglia di provare a cambiare le cose e la sensazione (ormai convinzione) che senza uno scossone questo teatro sarebbe rimasto un luogo qualunque e non un luogo vivo, ci hanno portato a virare verso una programmazione totale, a trecentosessanta gradi, che nei soli mesi da ottobre a dicembre porterà in scena più di trenta spettacoli. Il perché di una scelta così drastica risiede proprio nella necessità di riattivare un meccanismo, di lavorare pensando al teatro non come un posto per pochi, ma una realtà per tutti e di tutti. Per questo motivo, insieme a titoli legati alla tradizione, troveremo produzioni originali di artisti emergenti che meritano la massima attenzione, arrivando ad avere anche ben due spettacoli con il pubblico stesso partecipe in serata. A questi si aggiungono la musica, dalla classica alla pop, passando per omaggi a leggende nazionali e internazionali, per poi viaggiare anche tra la magia, il cabaret, la danza, senza dimenticare spettacoli per bambini e temi sociali importanti. In questo contesto troveranno spazio realtà locali e non, produzioni originali dell’associazione e artisti sotto agenzia, il tutto finalizzato a riportare persone di ogni età a teatro, dalle famiglie agli appassionati, fino a chi solo oggi ha scoperto questa nuova dimensione».

Avete modificato qualcosa a livello strutturale?

«A vederlo il teatro sembra uguale, ma grazie al lavoro svolto in meno di un mese e mezzo dai nostri collaboratori siamo riusciti a montare un sistema audio e luci completamente nuovo, moderno, pronto ad ospitare ogni forma di show, per garantire a pubblico e artisti la massima resa possibile. Ovviamente, conoscendo la necessità del territorio di riscoprire questo piccolo ma grande universo, l’intero progetto sarà a portata di tutti, con prezzi pensati appositamente per rendere accessibile ogni spettacolo e carnet studiati sia per gli abituè, sia per invogliare i più giovani a riscoprire (o scoprire) la bellezza del teatro».

Non solo spettacoli, però, anche attività extra verranno ospitate al teatro di rivanazzano.

«Come abbiamo già detto, il nostro scopo è rendere questo luogo il più frequentato e vitale possibile. Ecco perché abbiamo previsto anche corsi, masterclass e conferenze, spalmate sulle due parti di stagione. Tra quelli pronti a partire il corso di teatro (con tre fasce di età differenti) e il corso da producer musicali, per giovani appassionati di musica che vogliono approfondire le proprie conoscenze e provare a trasformare in professione quella che fino ad oggi credevano solo una passione».

di Serena Simula

(Ri)nasce il sidro dell’Oltrepò, «Un progetto nato per gioco, partendo dal succo che già produciamo da diversi anni»

Il sidro è una bevanda alcolica ottenuta dalla fermentazione di mele e pere, di antica origine. Secondo la tradizione, il sidro nasce nel medioevo in Francia, più precisamente in Normandia, ma secondo alcuni storici la sua origine sarebbe ancora più antica, risalente addirittura al terzo millennio a.C. In Italia la produzione cessò improvvisamente con l’avvento del Fascismo, quando per volontà di Mussolini venne messo al bando per favorire la commercializzazione del vino, considerato il prodotto di punta, ma anche con lo scopo di ridurre al minimo i rapporti commerciali con Francia e Svizzera. Nei primi anni 2000 si è assistito ad una rinascita di questa bevanda, prodotta principalmente con caratteristiche artigianali in Valle d’Aosta, Alto Adige e lungo l’Appennino. Simone Rolandi, produttore di frutta di Val di Nizza, negli anni passati è stato il fautore della riscoperta della storica varietà di Pomella Genovese e promotore dell’omonima associazione, nata con lo scopo di tutelarne la produzione e di promuoverne la commercializzazione. In questi ultimi anni Simone, insieme alla compagna Simona, ha svolto numerose ricerche al fine di poter ripristinare la produzione di sidro ottenuto da mele (e pere) oltrepadane.

Simone, prima di parlarci del vostro ultimo progetto, ci può raccontare come è iniziata la sua esperienza da frutticoltore?

«Ho sempre lavorato in azienda sin da piccolo, aiutando mio nonno e mio padre, ma sono diventato titolare dell’azienda nel 1998. La mia azienda si è sempre occupata della coltivazione e della commercializzazione della frutta tipica di questa vallata, con particolare attenzione alle antiche varietà di mela e pera. La produzione è strettamente stagionale: dalla tarda primavera alla fine dell’estate sono disponibili ciliegie, albicocche, pesche, prugne e pere di diverse varietà e, a partire dalla tarda estate, l’offerta è basata quasi interamente su una differente selezione di mele».

proprio la mela è uno dei prodotti di punta, tant’è vero che lei è stato uno dei promotori della costituzione dell’associazione di tutela per la pomella genovese della valle Staffora. un percorso nato alcuni anni fa del quale, per rimanere in tema, “si stanno raccogliendo i primi frutti”.

«L’associazione è nata nel 2015, e raccoglie sei produttori della zona di Val di Nizza, Ponte Nizza, Menconico e Varzi, che hanno da subito creduto in questo progetto, ed oggi ci sono altre aziende interessate ad entrare. La Pomella Genovese è da sempre una varietà autoctona caratteristica della nostra vallata. La mia azienda la coltiva da sempre, ma fino a qualche anno fa era quasi interamene destinata ai mercati all’ingrosso. Invece, negli ultimi anni, insieme ad altri produttori, abbiamo deciso di puntare ad incrementare la vendita al dettaglio, commercializzandola negli spacci aziendali, nelle fiere e nei mercati agricoli, in modo tale da poter raggiungere direttamente il consumatore finale. Questo cambiamento è stato voluto per poter valorizzare al meglio questa storica varietà, che tanto ha dato alla nostra vallata. Ho sempre creduto in questa varietà, perché rappresenta l’identità del nostro territorio, e per questo ritengo superfluo sponsorizzare altri tipi di mela più comuni. è chiaro, comunque, che la mia azienda produce reddito anche coltivando diverse altre specie, ma la Pomella resta quella trainante, soprattutto per il turismo».

da dove avete iniziato il percorso di valorizzazione di questo prodotto?

«Abbiamo iniziato con il recupero e la salvaguardia dei vecchi impianti già esistenti. La mia azienda, per esempio, ha un frutteto di circa settant’anni con piante coltivate “a vaso”. Gli impianti nuovi, invece, sebbene realizzati con varietà storiche, sono coltivati “a spalliera”. Si è optato per questa scelta per una questione di comodità, di risparmio nelle ore di lavoro, ma anche per uniformare la maturazione della frutta, con una migliore esposizione al sole».

Se si tratta di una varietà autoctona, l’aggettivo “genovese” da dove nasce?

«La Pomella della Valle Staffora ha assunto questo nome perché, sebbene prodotta sul nostro territorio, veniva imbarcata al porto di Genova per essere inviata in tutta Italia. Per questo, veniva identificata come quella proveniente da Genova e da qui l’aggettivo “genovese”».

fino ad arrivare alla creazione di un marchio collettivo identificativo…

«Abbiamo voluto creare un marchio che identificasse le aziende che producono la Pomella ottenuta dalla varietà storica e che fanno parte della nostra associazione, identificandola attraverso un marchio stampato sulle cassette della frutta. Ma i progetti in cantiere sono tanti…».

ad oggi, la pomella genovese, che riconoscimenti o certificazioni ha ottenuto?

«Già nel 2006, prima ancora della costituzione dell’associazione, era stata riconosciuta come DE.CO. dal comune di Val di Nizza e successivamente come Prodotto di Montagna del Ministero delle Politiche Agricole, Forestali e Alimentari. Nel 2019 è stata inserita tra i PAT, “Prodotti Agroa-

Simone Rolandi

limentari Tradizionali” e da alcuni anni è stata inserita da Slow Food nell’Arca del Gusto».

attualmente, quanti quintali di pomella genovese vengono commercializzati con il marchio collettivo dell’associazione?

«Si tratta di una quantità limitata, di circa 500 quintali, ma la produzione è sempre soggetta alle annate differenti. Quest’anno, per esempio, abbiamo subito un calo causato dalle gelate nel fondovalle. La Pomella è molto delicata e se si verificano giornate di freddo tardivo in fioritura l’annata ne risente pesantemente. La nostra idea è di aumentare la produzione, impiantando nuovi frutteti al fine di soddisfare le richieste sempre più in aumento. Prima della pandemia abbiamo partecipato a diverse fiere, tra le quali Golosaria a Milano, e questo ha permesso una maggior visibilità. Il cliente vuole conoscere il produttore e conoscere la storia dell’azienda e del prodotto».

Veniamo ora alla novità presentata in questi giorni, il sidro dell’oltrepò pavese. un prodotto apparentemente nuovo, ma che trova radici territoriali antiche.

«Fino a prima degli anni 30’, il sidro era molto diffuso in Valle Staffora, fino a quando il fascismo lo ha messo al bando, sulla base di una politica nazionalistica e commerciale indirizzata interamente sul vino, che doveva essere considerato la bevanda alcolica italiana per eccellenza. Abbiamo trovato diverse testimonianze storiche che accertano che in passato molte aziende producevano sidro nella nostra vallata, magari anche in piccole quantità per uso familiare».

quali sono stati i primi passaggi fondamentali che hanno portato alla (ri) nascita del sidro oltrepadano?

«Insieme alla mia compagna abbiamo iniziato partendo dalle ricerche storiche, cercando tutte quelle fonti che attestassero l’esistenza del sidro nella nostra zona. Successivamente abbiamo iniziato a girare le varie zone di produzione, spingendoci anche in Normandia, dove abbiamo visitato alcune aziende cercando di risalire al metodo di produzione per noi più adatto».

Alla fine, su quale metodologia è caduta la vostra scelta?

«Abbiamo optato per due tipologie differenti. Un metodo charmat, ottenuto dalla rifermentazione in autoclave e un metodo classico, più artigianale. Questo si ottiene dopo una rifermentazione del succo avviata con l’innesto dei lieviti nel fermentatore. La fermentazione, a temperatura controllata, parte dopo circa 24\48 ore e dura circa 15\20 giorni. Successivamente viene imbottigliato e i lieviti proseguono il loro lavoro in bottiglia per circa un mese. Per questo, rispetto a quello ottenuto con metodo charmat, risulta essere più torbido».

complessivamente, di questa prima produzione quante bottiglie avete immesso sul mercato?

«Abbiamo iniziato questo progetto per gioco, partendo dal succo che già produciamo da diversi anni. Si tratta di un multi-varietale ed è la materia prima che successivamente viene fatta fermentare col fine di ottenere il sidro. Al momento abbiamo imbottigliato qualche migliaio di bottiglie, ma la nostra idea è di aumentarne la produzione sempre rimanendo fedeli al principio dell’artigianalità. Non ci siamo limitati a quello di sola mela, optando anche per una tipologia ottenuta dalla pera dopo aver constatato che anche questa frutta si prestava bene per questo fine».

quali saranno i prossimi progetti legati al sidro e alla pomella genovese?

«Mi piacerebbe lanciare una linea legata al nostro territorio, interamente derivata dalla Pomella, partendo dal succo fino ad arrivare al sidro. Mi piacerebbe, inoltre, che in futuro si riesca ad organizzare la “Sagra della Pomella” qui a Val di Nizza, dato che da alcuni anni il comune l’ha riconosciuta come prodotto DE.CO».