IL MANTELLO DELLA GIUSTIZIA - ESTRATTO

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Ricerca e Teologia



Andrea Drigani

Il mantello della Giustizia

Il diritto secondo la Chiesa nei Promessi Sposi con una Prefazione di Carlo Lapucci

Libreria Editrice Fiorentina


ISBN: 978-88-6500-040-3 © 2011 Libreria Editrice Fiorentina Via Giambologna, 5 – 50132 Firenze – Tel. 055 579921 www.lef.firenze.it – editrice@lef.firenze.it Impaginazione di Paolo Torracchi Le illustrazioni sono tratte dall’edizione dei “Promessi Sposi” stampata a Milano nel 1875 per i tipi della Libreria Editrice di Educazione e di Istruzione di Paolo Carrara. Furono eseguite da C. S. Gallieni e Tofani.


Sommario Prefazione Prologo

IX XVII

Dal Capitolo I

1

Dal Capitolo II

9

Dal Capitolo III

16

Dal Capitolo IV

19

Dal Capitolo V

26

Dal Capitolo VI

27

Dal Capitolo VIII

32

Dal Capitolo IX

35

Dal Capitolo X

42

Dal Capitolo XVIII

45

Dal Capitolo XIX

48

Dal Capitolo XXI

53

Dal Capitolo XXII

54

Dal Capitolo XXV

56

Dal Capitolo XXXV

58

Dal Capitolo XXXVI

62

Dal Capitolo XXXVIII

66

Epilogo

70

Note

77



“La mia anima esulta nel mio Dio, perchĂŠ mi ha rivestito delle vesti di salvezza, mi ha avvolto con il mantello della giustiziaâ€? Isaia 61,10



Il mantello della giustizia

Prefazione di Carlo Lapucci * Specchio di un tempo e di ogni tempo, di una società e di ogni società, ne I promessi sposi si descrive, talvolta tragicamente, più spesso ironicamente, tra gli altri aspetti della vita sociale come gli uomini convivano nella precaria e approssimativa attuazione pratica del diritto, sottolineando la grande distanza tra la giustizia delle leggi e quella che tocca in sorte nelle sentenze dei tribunali. Questo studio di Andrea Drigani Il mantello della Giustizia rileva e inquadra questo aspetto piuttosto insolito nel complesso della saggistica sul Manzoni, che tuttavia, man mano che si scorrono le pagine, assume sempre maggiore importanza nella riflessione del nostro massimo romanziere. Una simile indagine non sarebbe stata possibile nelle pagine di un comune romanzo di valore, anche se questo fosse stato un romanzo storico, quali sono I promessi sposi. L’interpretazione e la consistenza che Manzoni ha dato a questa forma di romanzo è andata ben al di là dei limiti assegnatigli dai suoi ideatori e dai migliori autori che scrissero autentici capolavori del genere e non ci si limita agli italiani come d’Azeglio, Grossi, Rosini, Guerrazzi, ma ci si riferiscono anche ai grandi interpreti di questo genere letterario moderno, a cominciare da Walter Scott, seguito da Hugo, Vigny, Dumas, i quali non arrivarono certo a dare un’opera come questa, che *

Docente invitato di letteratura e cristianesimo alla Facoltà Teologica dell'Italia centrale.

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Andrea Drigani

può essere definita il poema nazionale dell’Italia unita e un vertice della grande narrativa. Al posto di un racconto emozionante, felice, colto, artisticamente risolto nella componente di evasione e di alto divertimento, Manzoni ha dato un affresco, una rappresentazione della vita contemporanea sovrapponendola a un’altra fase storica, quella secentesca, e dietro a questa operazione sta un profondo ripensamento sulla identità, la natura di un popolo al momento della sua a lungo desiderata unificazione in uno stato unitario. Come abbia operato questo genio del narrare nei decenni che è stato occupato alla stesura e alla revisione del suo lavoro, ce lo hanno riferito i testimoni suoi contemporanei: i familiari, gli amici, i letterati, i consulenti che non furono pochi. È nota la cura minuziosa con la quale fu trattata la materia preparatoria: dal non piccolo problema della lingua, alla quale dedicò anche la risciacquatura dei suoi panni in Arno e si giovò anche dei suggerimenti di Giuseppe Giusti, alle dettagliate ricognizioni storiche dei fatti determinanti nei quali si snoda la vicenda, ai dati di cornice come gli usi, il modo di vivere, di pensare, le abitazioni, gli abiti, gli attrezzi da lavoro, il paesaggio urbano e agrario, le figure politiche, religiose, perfino la vita culturale che vede la sua ironica celebrazione in Don Ferrante. Gl’infiniti studi sul capolavoro, le numerose annotazioni ci avevano già detto molto sul lungo lavoro dello scrittore; mancava qualcuno che, prendendo un elemento specifico, non macroscopico, ma fondamentale quale può essere il diritto canonico, verificasse fino a che livello di acquisizione profonda e dettagliata Manzoni fosse arrivato nella sua indagine. Drigani ha provveduto a fare tale accertamento circoscrivendo nel testo la materia nella quale è esperto maestro e rintracciandone l’attiva presenza nei particolari e nella struttura della narrazione. Il risultato

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Il mantello della giustizia

è stato largamente positivo e non ci aspettavamo riprove, dato che la serietà e la perizia di Manzoni non sono mai state messe in dubbio, volevamo conoscere la misura di questa dotazione dello scrittore, e questa è stata sorprendente. La materia in questione, pur apparendo solo in controluce o costituendo un sostrato della rappresentazione, non è particolare accessorio, tanto meno secondario perché dalle prime pagine riguardanti il problema del matrimonio fino allo scioglimento del voto tutta la vicenda cammina sulle norme del diritto canonico. Anzi, al momento in cui Padre Cristoforo libera Lucia dal vincolo della promessa giurata durante la notte nel castello dell’Innominato, divengono determinanti per la soluzione della vicenda non solo la conoscenza di tale diritto da parte del frate, ma anche la consapevolezza di quando tali norme ponevano in suo potere. Esaminato il romanzo dettagliatamente nei passi in cui compare la presenza degli articoli del diritto canonico, Drigani ci dimostra e conclude come non sia apparsa nessuna ignoranza, nessun errore, nessuna imprecisione sull’argomento, pur essendo ben diciotto i capitoli interessati all’indagine. Siamo dunque davanti a qualcosa che sarebbe limitativo chiamare romanzo storico,1 anche perché l’enorme fortuna che ebbe questo tipo di narrativa determinò una vasta produzione di titoli destinati al puro intrattenimento, allo svago e in genere in quelle pagine le improprietà, le inesattezze, le approssimazioni sono diventate addirittura proverbiali. Basta pensare alle opere di Dumas dove la verità storica è trattata con disinvoltura e approssimazione. Ben diversamente vanno le cose in questo caso. Ad esempio don 1 Si sono coniate diverse formule più o meno felici come quella più nota di Momigliano: epopea della provvidenza, v. A. Momigliano, Alessandro Manzoni, Casa Editrice Giuseppe Principato, Messina 1933.

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Abbondio per non molti anni può tenere in mano il breviario nell’incontro con i due bravi: sessant’anni prima non avrebbe potuto, dato che, come avverte Drigani il breviario fu pubblicato da Pio V nel 1568 e il famoso incontro presso il tabernacolo avvenne il 7 novembre 1628. Sarebbe una minuzia, ma l’importanza di un’opera d’arte come di un lavoro richiede anche le piccole attenzioni. Del resto uno dei più grandi autori del romanzo storico riconobbe la grandezza di Manzoni in un celebre incontro nel quale il gran Lombardo volle ammettere il suo debito verso Walter Scott dicendogli: - Il mio romanzo è un’opera vostra, volendo dirgli che per scrivere quel tipo di storia aveva imparato molto da lui. Ma l’inglese non fu da meno e gli rese il complimento con la giunta e rispose: - In questo caso I promessi sposi è il più bello dei miei romanzi. Perché, viene da chiedersi a questo punto, perché tanta informazione, tanta esattezza, tanto amore per la verità storica, tanta precisione sul diritto canonico da parte di uno scrittore che credeva poco o niente nel diritto, riteneva impossibile la giustizia umana, sapeva che la verità dei fatti non coincide mai con la verità giuridica che si afferma in un processo, vedeva l’intera commedia umana segnata dall’ipocrisia, dalla simulazione, dall’opportunismo, addirittura dall’insulto dei deboli che chiedendo giustizia trovano danno e derisione? La favola di Renzo a Milano (quanto somiglia il protagonista alla figura di Pinocchio specialmente nella chiusura dei due racconti!2) è quella d’un illuso che sull’orlo della sua rovina, preda ormai dei ricchi e dei potenti, celebra la sommossa all’osteria della luna piena quasi fosse la definitiva instaurazione della giustizia sulla terra. Tutta l’ironia del Manzoni, sia 2 V. F. Ulivi, Manzoni e Collodi, in: Studi collodiani, Atti del I convegno Internazionale, Pescia 5-7 Ottobre 1974, Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia 1976, pagg. 615 e segg.

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Il mantello della giustizia

pure benevola e di umana comprensione, si riversa su questa figura che pure vive un momento universale, proprio dell’esperienza d’ogni uomo e che anche il Manzoni ha vissuto in gioventù se non altro sul piano intellettuale. Lo scrittore vede chiaramente che nel mondo giustizia e diritto vivono solo per la buona volontà, la remissività, la fiducia degli umili, i quali subiscono ogni torto fatto in nome della legge e quando si ribellano ai soprusi e tentano di risolvere il problema finiscono come Renzo perseguitati dalla polizia e a un passo dalla forca. Tutto il romanzo è una riprova dettagliata di questa situazione e lo svolgimento della vicenda stessa convalida la sfiducia nella giustizia umana: ogni codice viene trasgredito regolarmente per favorire i prepotenti da parte di qualunque autorità, civile e religiosa. La storia del libro comincia con una intimidazione violenta; continua, con una truffa in canonica, poi con gl’inganni d’un avvocato e segue la sua strada senza che nessuno possa fermarne la logica anche salendo fino ad autorità come il padre provinciale che asseconda i voleri dei malvagi senza chiederne neppure la ragione. Il pensiero dei deboli sta nelle parole di Agnese3 che dice chiaramente: “La legge l’hanno fatta loro, come gli è piaciuto; e noi poverelli non possiamo capir tutto”. Il diritto viene ad essere quindi l’unico modo che resta per tentare l’instaurazione di una qualche giustizia in una società, ma costituisce soprattutto un criterio al quale l’uomo semplice e ingenuo come Renzo può affidarsi, per quanto riguarda il suo comportamento di fronte al grave problema costituito dal vivere secondo giustizia, per non sopraffare e danneggiare gli altri agendo senza provocare danni a se stessi, per dare quindi uniquique suum. È quanto intende Drigani per mantello della giustizia: 3 Cap. VI.

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Andrea Drigani

la speranza per l’uomo che segue la legge di non vivere ingiustamente. Un libro apparentemente tecnico questo, volto quasi più a una verifica che a una scoperta; tuttavia, decodificato quanto sta sotto la lettera del testo con un’analisi precisa e documentata, si scopre con sorpresa che nel dialogo tra lo studioso e l’autore si rivela un altro aspetto sfuggito alle varie precedenti analisi. Se il primo Manzoni aveva una visione fortemente negativa della società e della storia, facilmente avvicinabile a una sensibilità, come è stato rilevato, d’ispirazione giansenista, le cose nel Romanzo sono cambiate e la concezione dell’autore si è avvicinata a quell’equilibrio di cui Drigani parla nell’ Epilogo e la fedeltà alla Chiesa da lui stesso attestata.4 Si è soliti sintetizzare la visione di pessimismo sull’uomo del primo Manzoni con le parole che Adelchi pronuncia alla fine della tragedia omonima, in cui detta quasi il proprio testamento, consolando il padre Desiderio della perdita del trono per opera di Carlo Magno, vedendovi non la rovina, ma la perdita di una posizione di potere nella quale non avrebbe potuto che fare del male, perché tra le condizioni di sopraffattore e sopraffatto non c’è altra possibilità intermedia: Godi che re non sei, godi che chiusa all’oprar t’è ogni via: loco a gentile, ad innocente opra non v’è: non resta che far torto, o patirlo. Una feroce forza il mondo possiede, e fa nomarsi diritto: la man degli avi insanguinata seminò l’ingiustizia; i padri l’hanno coltivata col sangue; e ormai la terra altra messe non dà. Reggere iniqui dolce non è… 4 V. A. Marchese, L’enigma Manzoni, Bulzoni Editore, Roma 1994, pag. 23 e segg.

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Il mantello della giustizia

Stupisce dunque trovare in colui che chiama diritto una feroce forza, la quale non lascia spazio a nessun operare degno ed innocente, tanta attenzione, tanta cura, precisione nei confronti sia dell’istituto, sia delle norme giuridiche. In realtà la convinzione che tra la sopraffazione e il brutale asservimento alla violenza non sussista uno spazio possibile, nel quale stabilire un’esistenza giusta di rapporti degni della condizione umana, ne I Promessi sposi ha lasciato posto alla speranza che sia almeno possibile, osservando il diritto, ottenere una convivenza decente forse per caso fortunato, forse chi sa quando per opera del tempo che migliora i costumi; o forse soltanto perché ciò possa servire a vivere lontano dalla disperazione. Il diritto appare quindi come l’ultima spiaggia manzoniana per trovare in positivo qualcosa nell’opera dell’uomo. Per questo, pur non nascondendosi le enormi difficoltà, le distanze stellari da una condizione accettabile, Manzoni non abbatte (e gli sarebbe stato facile) sotto un’ironia caustica e distruttiva5 quello che deve almeno servire da stella polare all’agire umano, ma lo rispetta e lo salva, facendo vedere che se non altro le intenzioni del legislatore erano buone e, avendo previsto la malignità umana, avevano indicato anche il modo di vincerla. Forse solo il diritto può costituire uno spazio sia pure precario d’intesa tra gli esseri umani di buona volontà, che in definitiva si trovano quasi sempre nel numero degli umili. Altrimenti, ed è questo per lo scrittore il solo aspetto veramente positivo, la fiducia nel mondo viene 5 Le bordate non mancano, e anche da levare il fiato, ma non sono mai micidiali, come ad esempio nei confronti del padre di Gertrude. Nel caso del diritto v. ad esempio nel cap. IV l’episodio del duello del padre Cristoforo: “Tutt’e due camminavan rasente al muro; ma Lodovico (notate bene) lo strisciava col lato destro; e ciò, secondo una consuetudine, gli dava il diritto (dove mai si va a ficcare il diritto) di non istaccarsi da detto muro, per dar passo a chi si fosse”.

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