Per capire oggi ilMedio Oriente

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Terence Ward

PER CAPIRE OGGI IL MEDIO ORIENTE L’ISIS spiegata ai giovani

LIBRERIA EDITRICE FIORENTINA



… Non giudeo sono, né Cristiano, né son ghebro o musulmano! Né orientale, né occidentale, né terrestre, né marino, Né impastato son di terra, né venuto son dal cielo! Non di Terra, non di Acqua, non di Vento, non di Fuoco Non sono né re né mendicante. Non sono fatto di sostanza o di forma. Non sono di questo mondo e nemmeno del prossimo; Né del Cielo né dell’Inferno. Non d’Adamo, non di Eva, e non vivo in eterei giardini! Il mio luogo è un non luogo. Le mie orme non lasciano traccia. Il mio luogo è un non luogo, Le mie orme non lasciano traccia. Nulla mi appartiene, né il corpo né l’anima. Tutto appartiene al cuore del mio Amato.

Sulla nazionalità del poeta Jalaluddin al-Rumi, conosciuto nei secoli anche come Maulana, guida spirituale, ancora oggi certi popoli non si mettono d’accordo. Gli afghani lo considerano uno dei loro, in quanto nativo di Herat nel 1207, mentre gli iraniani lo annoverano fra i sommi poeti della tradizione sufi nella loro lingua. I turchi rammentano però che è a Konya che pose la sua sede, e da lì diffuse il suo pensiero profondamente ecumenico e universale, prima di morire nel 1273. In America, settecento anni più tardi, la poesia di Rumi è un bestseller.



Guardate! La carovana della civiltà è caduta in un agguato e ovunque gli stolti sono al potere! Jalāl al-Dīn Rūmī (Maulana)

Pallida è la luce dell’alba. Novembre. È sabato. Guardo fuori dalla finestra, come inebetito, mentre un temporale si avvicina da oriente. Ho appena ascoltato le notizie. A Parigi, corpi umani giacciono senza vita sul Boulevard Voltaire, nel bar Le Carillon, nel ristorante La Belle Époque, fuori dal Café Bonne Bière, dentro il teatro Bataclan. Qui a Firenze l’Arno è gonfio per le piogge di stanotte. Lacrime per i caduti. “E ora?” mi chiedo. Conosco già la risposta. È l’ISIS. Le sue tracce porteranno la polizia e i giornalisti a Bruxelles, l’epicentro europeo del wahhabismo che vi si è annidato negli ultimi decenni. Scrivo su google la parola “wahhabi” e appaiono solo due articoli, uno su un sito indiano, l’altro del giornalista inglese Patrick Cockburn, nient’altro. A mezzogiorno il conteggio delle vittime è salito a 130 morti e 368 feriti. L’ISIS ha rivendicato gli attentati. Ma chi sono questi pazzi scatenati? Chi li ispira? Chi li finanzia? Per il cittadino medio la risposta sembra sparire nelle nubi minacciose della guerra in Medio Oriente, iniziata con 7


l’invasione dell’Iraq e poi dilagata in Siria. Questa regione del mondo devastata dall’anarchia lascia molte domande senza risposta. Con profonda angoscia comincio a scrivere un articolo, ma senza i veleni di Oriana Fallaci o il suo incrollabile odio. Voglio rompere l’assordante silenzio. Scrivo mosso dall’affetto per quei paesi, dove ho vissuto per 35 anni. Appena finito, mando l’articolo a un mio conoscente, Stanley Weiss. Questo esperto americano di politica internazionale è il chairman di un’organizzazione a Washington da lui fondata, Business Executives for National Security. La sua reazione mi stupisce. Stanley sembra non essere al corrente del mio argomento: è scioccato e senz’altro furibondo. «Come mai non so nulla di tutto questo?» mi dice al telefono. Un vecchio signore della levatura di Stanley, con una lunga esperienza nel campo della sicurezza e una conoscenza globale delle minacce nel futuro, un vero cosmopolita e uomo di cultura, non ama essere colto di sorpresa. «Questo è l’articolo più importante che ho letto quest’anno», aggiunge. E subito fa in modo che venga pubblicato sull’Huffington Post negli Stati Uniti il 14 gennaio 2016, nella sua pagina. I cinque progetti imperialisti dell’Arabia Saudita Dal 2001, i capi di stato occidentali hanno sempre evitato con discrezione di guardare in faccia la realtà e cioè al fatto che il terrorismo islamico ormai è profondamente radicato all’interno della fede wahhabita dei sauditi. La reazione dell’Occidente all’attacco di al-Qaida alle Torri Gemelle, ribadita anche in seguito al devastante blitz dell’ISIS a Parigi, e successivamente alle bombe sempre dell’ISIS a Bruxelles, dimostra che tuttora si vuole ignorare l’esistenza di tale radicamento. 8


Per crearsi una base, tanto al-Qaida quanto l’ISIS avevano bisogno di radicarsi in uno dei cosiddetti stati “falliti”: il primo tra questi fu l’Afghanistan, seguito dall’Iraq settentrionale e poi dalla Siria orientale. Ma i due gruppi, per svilupparsi, avevano anche bisogno di ideologia e finanziamenti: da dove sono arrivati? Dall’Arabia Saudita. Per parlar chiaro, dov’è che la pratica della decapitazione è quasi uno sport nazionale? Solo a Riyadh e a Raqqa. Da ragazzo, in Arabia Saudita, troppe volte mi è capitato di vedere piccole folle che il venerdì si avviavano verso la piazza chiamata “chop chop” per assistere a quel rito medievale. E ancora oggi le recenti 47 esecuzioni nello stesso giorno di cittadini considerati nemici dello stato, compreso il famoso capo religioso sciita Nimr Baquir al-Nimr, hanno riportato alla nostra attenzione quel sistema che, tipico del mondo saudita, è stato esportato in Siria e da lì, via YouTube, lo vede il mondo. Ma non sono soltanto le esecuzioni ad accomunare i due paesi. Pochi sanno che, dopo la caduta di alcune città siriane e irachene in mano all’ISIS, i libri di testo sauditi hanno spodestato quelli usati prima e quindi la storia che si impara a scuola non è più la stessa. Ne consegue che, se davvero i leader occidentali volessero porre fine alla radicalizzazione dei giovani musulmani, non dovrebbero guardare tanto lontano: basterebbe soffermarsi sul fatto che la paternità della fede dei due gruppi terroristici si trova proprio nell’ideologia religioso-industriale saudita: il wahhabismo. Non vi sono chiese in Arabia Saudita, né sinagoghe, né templi indù. Il wahhabismo non è una religione tollerante ed è agghiacciante constatare che nell’arco di tre decenni i sauditi hanno lanciato cinque progetti imperialisti tutti fonte dell’attuale jihadismo. 9


Il primo di questi progetti, in Pakistan, risale a quando il generale Zia ul-Haq, dopo aver preso il potere nel 1977, impose la legge della shari’a dando carta bianca alla organizzazione di innumerevoli madrasa (scuole islamiche) wahhabite, finanziate dall’Arabia Saudita e disseminate in tutto il territorio per indottrinare i bambini, riempiendo il vuoto educativo lasciato dallo stato precedente ormai crollato. I vivai scelti dal movimento per creare queste scuole erano i campi profughi dove si radunavano gli afghani in miseria e in fuga dall’invasione sovietica. Anche il secondo progetto afghano ebbe origine in quei campi profughi in Pakistan: lì, appunto, si formò la prima generazione di “taliban” (studenti). Nel 1994 il Mullah Omar e cinquanta studenti delle madrasa uscirono da Quetta e, vera forza d’assalto, attraversarono la frontiera prendendo prima Kandahar poi nel 1996 Kabul. L’anno dopo, i funzionari sauditi viaggiavano da turisti in vacanza, a spese del loro governo, per visitare insieme alle famiglie l’Emirato Islamico dell’Afghanistan, per vedere coi propri occhi “il vero Islam”. Nel 1998 il Mullah Omar venne invitato dal re saudita a recarsi in pellegrinaggio alla Mecca; dopodiché, nel marzo 2001 e in piena sintonia con le sue vedute iconoclaste, ordinò di far saltare in aria le gigantesche e maestose statue dei Buddha che avevano vegliato sulla valle di Bamiyan per quindici secoli. Poi, l’11 settembre dello stesso anno, le gite turistiche gratuite da Riyadh e da al-Hasa cessarono di colpo. Il terzo progetto consisteva nella jihad globale di al-Qaida: a finanziarla furono gli stessi sponsor wahhabiti, i quali cominciarono col foraggiare i combattenti stranieri nell’Afghanistan occupato dai sovietici e raggiunsero l’apice del successo scatenando l’attacco alle Torri Gemelle. Per chi non lo ricordasse, quindici dei diciannove dirottatori, 10


come pure il fondatore Bin Laden, venivano dall’Arabia Saudita. Il quarto progetto imperialista, chiamato ISIS, ISIL o DAESH, nasce per parte materna dall’invasione americana dell’Iraq; mentre a fargli da padre sono stati gli zelanti wahhabiti dell’Arabia Saudita nonché una sfrenata ideologia, incentrata sull’umiliazione subita dai sunniti in Iraq e in Siria (vedi l’articolo di Kamel Daoud, New York Times, 20/11/2015). Oggi lo scontro tra sunniti e sciiti sta lacerando entrambi i paesi e ben quattro guerre civili stanno mettendo a ferro e fuoco l’intero Medio Oriente. Naturalmente i sauditi sostengono che tutto ha avuto inizio per porre un freno alle ambizioni imperialistiche dell’Iran, ma la verità è che soltanto i wahhabi detengono il macabro monopolio degli attacchi suicidi. Per l’appunto, quel terrore è arrivato fino a Parigi. Il quinto progetto imperialista si sta realizzando nel­ l’Europa occidentale in tutte le madrasa, costruite con danaro saudita e guidate da imam wahhabiti: da Parigi a Bruxelles, Anversa e Rotterdam, da Marsiglia a Birmingham. Migliaia di moschee e scuole coraniche hanno tirato su una nuova generazione di giovani musulmani, rigidamente educati alla religione della violenza importata da Riyadh, senza alcun controllo da parte delle autorità governative locali. Questi semi piantati dall’Arabia Saudita stanno dando i loro frutti che a noi si presentano sotto una nuova bandiera, con un nuovo nome: “salafi”. Il termine “salafita” è stato abilmente introdotto per dissimulare ogni connessione con il wahhabismo e le sue origini saudite, e ha funzionato: infatti ormai i media occidentali usano esclusivamente il termine “salafi” per indicare, nell’Islam contemporaneo, una corrente massimalista ad ampio raggio. 11


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