Cafiero de Raho su Saviano:“Il suo libro uno spartiacque dopo l’uscita tutto cambiò”

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la Repubblica MARTEDÌ 11 NOVEMBRE 2014

LA LOTTA ALLA MAFIA

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La storia Da clan di provincia a impero criminale. Così nel giro di vent’anni la cosca ha inquinato politica ed economia Fino a quando il successo di “Gomorra” ha iniziato a minarne le fondamenta

L’odio dei casalesi per lo scrittore “Quello ci ha reso troppo famosi”

I BOSS

FRANCESCO BIDOGNETTI Soprannominato “Cicciotto ‘e mezzanotte”, 63 anni, condannato all’ergastolo

ANTONIO IOVINE Soprannominato “o Ninno”, 60 anni, arrestato nel 2010, è collaboratore di giustizia

DARIO DEL PORTO NAPOLI. Il giorno in cui l’avrebbero ammazzato, don Peppino Diana si era alzato presto per andare in chiesa a celebrare la messa. Un killer gli sparò a bruciapelo, nella canonica della parrocchia di Casal di Principe, uccidendo un sacerdote colpevole solo di difendere la sua terra. Un prete coraggioso, che aveva firmato un manifesto anticamorra dal titolo emblematico: «Per amore del mio popolo, non tacerò». Vent’anni sono passati, da quel 19 marzo 1994. In provincia di Caserta, il clan dei Casalesi aveva già preso il potere criminale soppiantando la vecchia gerarchia guidata dal boss Antonio Bardellino, assassinato in Brasile e sepolto sotto la sabbia della spiaggia di Copacabana. Eppure solo molto tempo dopo, con la pubblicazione di Gomorra di Roberto Saviano, il romanzo di sangue di questa organizzazione malavitosa capace di soffocare un’intera regione sarebbe finito alla ribalta dell’opinione pubblica nazionale e internazionale. «Saviano ci ha portato in America, stavamo tutti i giorni sui giornali. Cose che non sono mai successe in tutta la storia della camorra casertana», ha detto Antonio Iovine detto “il ninno”, l’ex padrino arrestato il 17 novembre del 2010 dopo 14 anni di latitanza e, da sei mesi esatti, collaboratore di giustizia.

battimento è segnato dall’istanza shock letta in aula dall’avvocato Michele Santonastaso. Nel 2008, la sentenza: gli imputati principali vengono condannati, 16 all’ergastolo fra cui i boss detenuti e i superlatitanti. In aula c’è anche Saviano, già da tempo sotto scorta. Il verdetto sarà poi confermato in Cassazione.

NELLE MANI GIUSTE

Ma intanto, l’organizzazione dei Casalesi ha affondato ulteriormente le proprie radici nel mondo della politica e dell’economia. Sono gli an-

L’INTERVISTA / IL PROCURATORE CAFIERO DE RAHO

“Il suo libro uno spartiacque dopo l’uscita tutto cambiò” UELLA di ieri è una sentenza per molti versi storica», dice Federico Cafiero de Raho, oggi procuratore a Reggio Calabria, per vent’anni in prima linea nelle indagini sul clan dei Casalesi. Perché parla di verdetto «storico», procuratore Cafiero? «Il riconoscimento, da parte del tribunale, della minaccia contenuta in un atto processuale per agevolare un’organizzazione camorristica è già di per sé un dato senza precedenti». Anche se il padrino Bidognetti e l’ex boss Iovine sono stati assolti? «Su questo occorrerà leggere le motivazioni, ma se ne occuperanno i colleghi della Procura di Napoli». Che cosa è stato, in questi anni, il clan dei Casalesi? «Un’impresa mafiosa, capace di infiltrarsi nell’economia e nelle istituzioni, da una parte imponendo il pizzo, dall’altra sedendo allo stesso tavolo con colletti bianchi, imprese di rilievo nazionale e uomini di potere. Questo ha permesso al clan di essere presente in qualsiasi opera, attraverso i subappalti, il movimento terra, le sovra-fatturazio-

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IL PROCESSO SPARTACUS

Un anno prima dell’omicidio di don Peppino Diana, i pm Di Pietro e Cafiero de Raho avevano cominciato a raccogliere le confessioni di Carmine Schiavone, fratello del boss Francesco detto “Sandokan”. Negli uffici del vecchio palazzo di giustizia di Castel Capuano, era iniziata l’indagine che avrebbe portato al processo “Spartacus”, il più importante mai istruito sulla camorra casertana. Sul banco degli imputati finirà tutta la “confederazione del clan dei Casalesi”: Francesco Bidognetti, Francesco Schiavone, Michele Zagaria e Antonio Iovine. “Sandokan” viene arrestato nel luglio 1998 dalla Dia. La sua cattura, unita alla detenzione di Bidognetti, segna l’inizio della scalata al vertice di Zagaria e Iovine, capaci di rimanere latitanti per quasi tre lustri. Il processo di primo grado si conclude nel 2005, a Santa Maria Capua Vetere, con 95 condanne, 21 delle quali all’ergastolo. Un anno dopo, il 2 settembre 2006, Roberto Saviano prende la parola dal palco di Casal di Principe e si rivolge ai cittadini spronandoli a cacciare quei boss, chiamandoli per nome e invitandoli ad andare via. Pochi giorni dopo, lo scrittore riceve minacce sempre più pressanti e comincia la sua vita blindata. La tensione sale pericolosamente alla vigilia del giudizio di secondo grado, quando già Gomorra è un best seller mondiale. Gli atti vengono trasferiti in Corte d’Appello a bordo di un furgone blindato perché si teme un attentato. Il di-

ni del grande affare dei rifiuti, l’emergenza che ha generato il disastro degli scarichi abusivi di materiali tossici nella Terra dei Fuochi ma anche ricchezza per corrotti e camorristi. «Il clan ha assunto una dimensione imprenditoriale, di cui io e Michele Zagaria siamo stati i principali protagonisti», racconta Iovine, aggiungendo: «c’erano soldi per tutti, in un sistema completamente corrotto» dove «la politica e i sindaci avevano interesse a favorire alcuni imprenditori in rapporti con il clan, per avere vantaggi in termini di voti e finanziamenti». Nella ricostruzione della Pro-

IL PROCURATORE Federico Cafiero de Raho, procuratore di Reggio Calabria

ni. E già dal 1984, quando fu eletto sindaco di San Cipriano d’Aversa il fratello del boss Bardellino, avevano uomini di fiducia eletti nei comuni, nelle amministrazioni e nella politica nazionale». In che modo questa storia è cambiata, dopo la pubblicazione di Gomorra? «Il libro di Saviano ha rappresentato un faro puntato sul clan dei Casalesi. Dopo Gomorra, c’è stata finalmente quella consapevolezza che per anni era mancata. Ancora nel 2005, la sentenza di primo grado del processo Spartacus fu emessa nel silenzio assoluto dei media nazionali». Pensa anche lei che, dopo gli arresti e la collaborazione di Iovine, l’organizzazione sia ormai alle corde? «Certamente si è indebolita. Ma parliamo pur sempre di un’impresa mafiosa che ha investito fiumi di denaro in tantissimi circuiti economici. Ben venga dunque la collaborazione di Iovine. Conosce molti scenari e può consentire ai magistrati di arrivare ai soldi». (d. d. p.) © RIPRODUZIONE RISERVATA

cura, il «referente politico nazionale» della cosca malavitosa era Nicola Cosentino, a lungo potente leader del Pdl, già sottosegretario all’Economia, in carcere ormai da 7 mesi, imputato per collusioni con la camorra in due processi.

LA STAGIONE DELLE STRAGI

Nella primavera 2008 evade dagli arresti domiciliari un esponente del clan poco conosciuto alle cronache: si chiama Giuseppe Setola, ha già una condanna all’ergastolo ma è uscito grazie a una malattia agli occhi. «Ci vedevo benissimo e sparavo come un pazzo», confesserà poi. Comincia così, un’offensiva criminale senza precedenti, con Setola alla guida di un manipolo di killer pronti a tutto. Il clan reagisce alla collaborazione con la giustizia della compagna di Bidognetti, Anna Carrino, e dell’ex boss Luigi Guida con una serie impressionante di omicidi: in pochi mesi vengono uccisi parenti di pentiti come Umberto Bidognetti, imprenditori che avevano denunciato il racket, come Domenico Noviello e Raffaele Granata o che avevano cominciato a parlare delle collusioni fra clan e politica nei rifiuti come Michele Orsi. Il 18 settembre 2008, vengono massacrati a Castel Volturno sei incolpevoli immigrati ghanesi, nella prima (e sin qui unica) strage di camorra aggravata da odio razziale. «Dopo ogni omicidio brindavamo con lo champagne», ha raccontato Setola, che ha da pochi giorni iniziato a rendere dichiarazioni ai pm. Proprio in quei giorni, nelle strade di Castel Volturno e Casal di Principe, compaiono sui muri scritte offensive all’indirizzo di Saviano, la cui scorta viene ulteriormente rafforzata.

FRANCESCO SCHIAVONE Soprannominato “Sandokan”, 61 anni, è stato condannato all’ergastolo

MICHELE ZAGARIA Soprannominato “Capastorta”, 56 anni, catturato nel 2011, condannato all’ergastolo

L’ANNO ZERO

«Quello è stato un periodo di attacco frontale allo Stato da parte dell’organizzazione. Ma poi lo Stato ha vinto la battaglia, con l’arresto dei latitanti e la collaborazione di Iovine», ricorda l’allora pm Antonello Ardituro, oggi consigliere del Csm. In provincia di Caserta arriva l’esercito. I capi vengono arrestati. Il 7 dicembre 2011, in un bunker hi-tech a Casapesenna, viene catturato anche Zagaria. Oggi i magistrati si preparano a riscrivere la storia dei Casalesi in 375 capitoli, tanti quanti sono gli argomenti di cui ha parlato Iovine. Il procuratore Giovanni Colangelo ha affidato al pool coordinato dal procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli e composto dai pm Cesare Sirignano, Catello Maresca, Giovanni Conzo, Sandro D’Alessio, Luigi Landolfi e Maurizio Giordano il compito di trovare riscontri alle accuse di Iovine. «Invito tutti quelli che hanno commesso reati con me a parlare con i magistrati — ha esortato il “Ninno” — il clan dei Casalesi non esiste più». © RIPRODUZIONE RISERVATA

GIUSEPPE SETOLA Detto “o Cecato”, 44 anni, si è reso disponibile a collaborare con la giustizia: è un dichiarante


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