"Perquisita la villa sbagliata per far fuggire Santapaola"

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IN CHE STATO

DOMENICA 28 SETTEMBRE 2014

I“Napolitano l fronte del no:

non deve deporre”

IL COSTITUZIONALISTA del Corriere della Sera, Michele Ainis, è tra i primi che ha espresso la propria contrarietà alla deposizione del presidente Giorgio Napolitano nel processo sulla trattativa Stato-mafia. Secondo Ainis, la testimonianza del capo dello Stato è un atto “volontario e spontaneo”,

tuttavia la decisione dei giudici lascia “un retrogusto amaro”, perchè Napolitano “aveva già messo nero su bianco ciò che aveva da dire”. In realtà nella lettera inviata a Palermo, il Presidente aveva detto di non sapere nulla. Ma Napolitano ha molti sostenitori. Come il vice ministro delle Infrastrut-

il Fatto Quotidiano

ture, Riccardo Nencini il quale ritiene che “questa testimonianza creerebbe un pericoloso precedente di incostituzionalità”. Idea condivisa dal consigliere toscano del Psi Pieraldo Ciucchi, che parla della necessità di “un ricorso alla Corte Costituzionale contro la decisione della Corte d’assise”.

Dalla Toscana, anche il governatore Enrico Rossi sta valutando “la possibilità per le Regioni di dire la propria”. Contrario alla deposizione anche Fabrizio Cicchitto (Ncd): “L’iniziativa di chiamare Napolitano - dichiara – mette in moto meccanismi di provocazione di cui sono pieni i giornali”.

SCARPINATO E LA GUERRA DEI ROS

DAL COVO DEI RIINA AL PROCESSO AL GENERALE MORI: VENT’ANNI DI ANTIMAFIA, LE ACCUSE E I DEPISTAGGI di Giuseppe

D

Lo Bianco Palermo

a Gelli a Pecorelli, dal Sid di Maletti e Miceli alle omissioni e ai depistaggi della stagione delle stragi, il nuovo profilo di Mario Mori tracciato nella memoria di Roberto Scarpinato e proiettato, di fatto, al centro dei “sistemi criminali” della stagione stragista segna l’approdo “ai materassi” di un ventennio di contrapposizioni e ruggini tra la Procura in cerca della verità sulle stragi del ’92 e il Ros dei carabinieri, iniziato la mattina del 15 gennaio del ’93 quando l’allora pm Luigi Patronaggio, diretto in via Bernini a perquisire il covo di Riina, appena catturato, lanciò a terra il suo cellulare per la rabbia, sulla soglia del Palazzo di giustizia, dopo avere ricevuto la telefonata del procuratore Caselli che lo bloccava, rinviando la perquisizione su richiesta del Ros. PARTE DA LÌ, da quell’epi-

sodio definito “uno dei misteri italiani” dal procuratore generale Vincenzo Rovello, che inviò al Csm due relazioni “di fuoco” sull’operato dei carabinieri, una storia ventennale di sospetti e diffidenze tra l’ufficio del pm e il reparto speciale antimafia

dell’Arma sullo sfondo delle indagini sui sistemi criminali, che solo quattro anni dopo, nel ’97, si vide sostanzialmente chiudere tutte le porte dalla Procura di Caselli che delegò un solo magistrato a tenere i rapporti con gli investigatori della caserma di via di Ponte Salario, a Roma. Era accaduto che Angelo Siino, il ministro dei lavori pubblici di Cosa Nostra, poi pen-

LA STORIA Caselli e Grasso, le prime denunce di collusioni, lo scontro con De Donno, le memorie di Brusca sul “papello” tito, aveva riferito ai pm di avere confidato al capitano De Donno i nomi di militari dell’Arma collusi con Cosa Nostra, tra i quali il maresciallo Lombardo, poi morto suicida, accusato di avere consegnato a Siino il rapporto mafia e appalti. De Donno confermò per nove decimi il racconto di Siino ma pochi giorni dopo andò a Caltanissetta a denunciare alcuni magistrati della Procura respon-

TRATTATIVA Le vittime: “Anche noi al Quirinale” Signora Maggiani, i boss chiedono di andare al Quirinale quando deporrà Napolitano sulla trattativa Stato-mafia e lei, che rappresenta le vittime della strage di via dei Georgofili, sa già che non potrà farlo. Che ha da dire?

Perché è importante esserci?

Siamo costernati davanti a simili comportamenti, le parti civili, coloro che hanno visto i figli morire, non hanno voce nel processo penale, non penso che i boss saranno ammessi, la partita se la giocano in casa fra Stato e Stato, ma i figli sono e restano i nostri e quando sono morti lo Stato era girato di là. Chiederà alla corte di essere ammessa?

sabili, secondo uno degli imputati di quell’inchiesta, il geometra Giuseppe Lipera, di aver fatto uscire il rapporto. NEL MIRINO dell’ufficiale finirono, in particolare, Guido Lo Forte e Roberto Scarpinato, quest’ultimo autore della richiesta di archiviazione dell’inchiesta mafia e appalti firmata il 13 luglio del ’92 e depositata in cancelleria il 22.

Con tutto il rispetto per le istituzioni, proveremo a fare domanda alla Corte: chiedere è lecito rispondere è cortesia.

Dopo altri due presidenti della Repubblica che mai hanno pensato a chiedere con forza giustizia per i nostri morti, andare al Quirinale per un importante appuntamento come questo vuol dire per noi molto. Vuol dire che si ammettono quei morti come una tragedia per tutto il Paese.

SCONTRO

Il procuratore

generale di Palermo Roberto Scarpinato e il generale Mario Mori

Che si aspetta dal presidente Napolitano?

Dal Presidente non mi aspetto nulla. L’ha detto e ridetto che non sa nulla. Ma è il gesto che conta, la sua apertura alla Corte e al dramma dei familiari delle stragi del ‘93.

Ai giudici De Donno disse di avere incontrato Scarpinato a Roma e di averlo informato delle nuove rivelazioni di Lipera affinché ne informasse Borsellino, ma nell’ordinanza di archiviazione di querele e controquerele tra pm, De Donno e Siino il gip nisseno Gilda Loforti lo smentì, visto che l’incontro avvenne dopo la strage di via D’Amelio: “È da ritenere che il De Donno sia, verosimilmente, incorso,

glb

a distanza di così lungo tempo, in un vero e proprio errore mnemonico – scrive il gip –, erroneamente ricollegando a un episodio fattuale vero, quale l’incontro a Roma con il detto magistrato, ammesso anche da quest’ultimo, tempi e finalità errate”. L’anno dopo, il 13 gennaio del 1998, Giovanni Brusca apre a sorpresa il capitolo del “papello”: “Riina mi disse –

rivelò in aula a Firenze al processo delle stragi del ’93 –: ‘Si sono fatti sotto’. Gli ho presentato un papello così”. E ipotizza che Cosa Nostra sia stata “giocata” dai carabinieri: “Con Bellini fu instaurata una trattativa per far andare agli arresti ospedalieri alcuni boss – dice Brusca –, allora non sapevo chi c’era dietro Bellini. Dai verbali ho scoperto che c’erano un maresciallo dell’Arma e il colon-

LA MEMORIA DEL PG Nella memoria letta venerdì in apertura del processo d’appello agli ex ufficiali del Ros Mario Mori e Mauro Obinu (assolti in primo grado), il procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato scrive che Mori, anche nell’Arma dei carabinieri, agiva con le modalità tipiche dei servizi segreti e nascondeva informazioni alla magistratura. Quindi introduce il caso della mancata cattura di Nitto Santapaola.

el pomeriggio del 5 aprile N 1993 il capo della famiglia mafiosa di Catania, Benedetto

“Perquisita la villa sbagliata per far fuggire Santapaola”

Santapaola, fu intercettato mentre parlava con esponenti della criminalità mafiosa di Barcellona P.G., tali Orifici Domenico e Salvo Aurelio, all’interno di un locale sito alla via Verdi n. 7 di Terme di Vigliatore nel quale la Sezione Anticrimine di Messina aveva in precedenza collocato una microspia previa autorizzazione della magistratura di Barcellona Pozzo di Gotto nell’ambito di un procedimento penale concernente l’omicidio del giornalista Giuseppe Alfano. Quello stesso pomeriggio il maresciallo della sezione anticrimine di Messina, Giuseppe Scibilia, avvisò immediatamente il colonnello Mario Mori, che si trovava a Roma, dell’accaduto, specificando che la conversazione intercettata aveva consentito di localizzare il Santapaola. Il colonnello Mori lo aveva assicurato che avrebbe provveduto. E in effetti, dall’agenda del Mori, risulta che il

giorno seguente, 6 aprile 1993, egli si trasferì a Catania. Senonché quello stesso giorno 6 aprile si era verificato un evento che, secondo la rappresentazione ufficiale (...), è stato ritenuto del tutto fortuito e, quindi, privo di valenza accusatoria. Era accaduto, infatti, che il capitano Sergio De Caprio mentre si trovava casualmente in Nitto Santapaola transito nella zona dove era stato localizzato il giorno prima Santapaola, provenendo da un incontro di lavoro a Messina unitamente al capitano Giuseppe De Donno e ad altri militari del Ros, aveva intravisto uscire da una villa un uomo alla guida di una autovettura che era stato erroneamente scambiato per il latitante Pietro Aglieri. Poiché l’uomo non si era fermato all’intimazione di alt, ne era seguito un inseguimento in auto conclusosi a tre chilometri di distanza a seguito del quale, dopo che il capitano De Caprio aveva esploso dei colpi di arma da fuoco, la macchina inseguita era uscita fuori strada. Si era così accertato che l’uomo alla guida era un giovane incensurato, Imbesi Fortunato Giacomo, figlio di un imprenditore del luogo, che non si era fermato perché i militari erano in abiti civili ed egli li aveva scambiati per malviventi che volevano rapirlo. Nel ritenere che tale rappresentazione della vi-

cenda fosse aderente al vero e che non avesse alcuna connessione con il fatto che il pubblico ministero intendeva provare e cioè che in quella stessa zona conduceva la latitanza Benedetto Santapaola e che proprio a seguito dell’avventato comportamento degli uomini del Di Caprio questi si era prontamente allontanato dalla zona, il giudice di primo grado ha osservato, tra l’altro, a pagina 884 della sentenza: “... È invero poco credibile che, tra i tanti modi surrettizi di metter sull’avviso il boss latitante circa la sospetta presenza in zona di Forze di Polizia (per esempio a mezzo di indotte perquisizioni in luoghi prossimi a quelli a quelli in cui erano collocate le microspie che hanno intercettato il Santapaola) sia stato fatto ricorso a una pretestuosa sparatoria”. Ebbene al riguardo è stata svolta dalla Procura generale una intensa attività di indagine integrativa (...). Il pm chiede di essere ammesso a provare le seguenti circostanze: - che i militari del Ros che il 6 aprile operarono a Terme di Vigliatore non si trovavano in quel luogo casualmente mentre erano di ritorno da un incontro di lavoro a Messina, ma ricevettero lo specifico ordine di servizio di recarsi quel giorno, in quel luogo, perché si doveva eseguire una operazione di polizia effettuando una preventiva ricognizione del territorio; - che a tal fine alcuni dei militari operanti furono fatti venire anche da Milano e da altre sedi; - che di tale missione non solo fu tenuta all’oscu-

ro la magistratura che aveva disposto le intercettazioni che avevano rivelato il luogo in cui il Santapaola conduceva la latitanza, ma persino il maresciallo Scibilia che aveva informato il giorno prima il colonnello Mori (...); - che il pomeriggio del 6 aprile i militari del Ros iniziarono l’operazione parcheggiando le autovetture dinanzi ad una villa posta a 50 metri di distanza dal locale nel quale il giorno precedente era stato intercettato il Santapaola ed invece di fare irruzione in quel locale, fecero una irruzione armata nella villa degli Imbesi; - che di tale irruzione armata, riferita da tutti i proprietari della villa e dai loro familiari, non fu fatta alcuna menzione negli atti ufficiali; - che tutti i militari del Ros risultanti dagli atti ufficiali e che quel giorno risultavano presenti hanno affermato di non avere partecipato a tale irruzione armata e di non sapere chi fossero gli uomini che l’avevano eseguita; - che agli atti esiste un verbale di perquisizione della villa (...) che non indica il nome dei miliari operanti, che non è sottoscritto dalle persone che subirono la perquisizione, e che reca in calce la firma del carabiniere Pinuccio Calvi, il quale ha dichiarato che la propria firma è stata falsificata; - che, a seguito di tale irruzione, Benedetto Santapaola non si recò più nel luogo dove era stato intercettato. Si chiede di essere ammessi a provare le circostanze sopra specificate, rimaste ignote al giudice di primo grado (...). Roberto Scarpinato

(procuratore generale di Palermo) Luigi Patronaggio

(sostituto procuratore generale)


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