Voce per la Comunità

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VOCE per la COMUNITA’ anno della fede

CERCHIAMO IL TUO VOLTO LA CHIESA DI BRESCIA DAL CONCILIO AL SINODO SULLE UNITA’ PASTORALI NOTIZIARIO PASTORALE INIZIO ANNO PASTORALE 2012-2013 UNITA’ PASTORALE “S.ARCANGELO TADINI“ PARROCCHIE DI BOTTICINO 1


RECAPITO DEI SACERDOTI E ISTITUTI Licini don Raffaele, parroco cell. 3283108944 e-mail parrocchia:parrocchiasera@alice.it info@parrocchiebotticino.it fax segreteria: 0302193343 Segreteria tel. 0302692094 Zini don Giovanni tel. 3355379014 Loda don Bruno tel. 0302199768 Pietro Oprandi, diacono tel 0302199881 Scuola don Orione tel. 0302691141 sito web : www.parrocchiebotticino.it Suore Operaie abit. villaggio 0302693689 Suore Operaie Casa Madre tel. 0302691138 BATTESIMI BOTTICINO SERA BOTTICINO MATTINA SAN GALLO sabato 24 - domenica 25 novembre 2012 sabato 12 - domenica 13 gennaio 2013 sabato 9 - domenica 10 febbraio 2013

I genitori che intendono chiedere il Battesimo per i figli sono invitati a contattare, per tempo, per accordarsi sulla preparazione e sulla data della celebrazione, il parroco personalmente o tel.3283108944

Presentazione

All’inizio del nuovo anno pastorale il Notiziario per le famiglie delle tre Parrocchie di Botticino. E’ un notiziario-documento perchè non si limita a dare notizie, ma presenta pagine di formazione nei vari ambiti della pastorale. Non va letto tutto d’un fiato, ma gustato e meditato pagina per pagina. Viene presentato il cammino dell’anno pastorale secondo le indicazioni del vescovo per tutta la diocesi in cammino verso il Sinodo Diocesano sulle Unità Pastorali e di conseguenza il cammino a livello parrocchiale. Il documento del Papa riguardante l’ “Anno della fede” e il 50°dell’apertura del Concilio Vaticano II arricchiscono il cammino pastorale personale e comunitario. Non mancano temi attuali riferiti alla realtà socio-politica e alla salvaguardia dell’ambiente. Rifuardo alla pastorale familiare numerose sono le pagine: echi dell’incontro mondiale, la scoperta della ritualità in famiglia. E poi le pagine rigurdanti la caritas, le missioni, l’oratorio con il programma annuale, la scuola don Orione, attività di volontariato, ricreative e sportive. LUNEDI’

UNITA’ PASTORALE “S.ARCANGELO TADINI” PARROCCHIE DI BOTTICINO

CASA RIPOSO ore 17,00 MATTINA PARROCCHIALE ore 18,00 SERA PARROCCHIALE ore 20,00

MARTEDI’

ORARI S.MESSE da sabato 27 ottobre 2012

Festive del sabato e vigilia festivita’

MATTINA SAN NICOLA ore 18,00 SAN GALLO PARROCCHIALE ore 17,30 SERA PARROCCHIALE ore 17,30

MERCOLEDI’ MATTINA MOLVINA ore 17,00 SAN GALLO PARROCCHIALE ore 17,30 SERA PARROCCHIALE ore 18,30

SERA VILLAGGIO ore 16,00 MATTINA PARROCCHIALE ore 17,30 SAN GALLO PARROCCHIALE ore 17,30 SERA PARROCCHIALE ore 18,45

Festive della domenica e festivita’ SERA PARROCCHIALE ore 8,00 MATTINA PARROCCHIALE ore 9,30 SAN GALLO PARROCCHIALE ore 10,00 SERA PARROCCHIALE ore 10,45 MATTINA PARROCCHIALE ore 17,30 SERA PARROCCHIALE ore 18,45

GIOVEDI’ SAN GALLO PARROCCHIALE ore 17,30 MATTINA S.NICOLA ore 18,00 SERA PARROCCHIALE ore 20,00

VENERDI’

SAN GALLO TRINITA’ ore 17,30 MATTINA PARROCCHIALE ore 18,00 SERA PARROCCHIALE ore 18,30 2


inizio nuovo anno pastorale

si riparte con fiducia...

È sempre tempo di semina. Ogni anno si riparte con la fiducia nel seme buono e con la consapevolezza che l’eterno Seminatore non si arrende di fronte a nessun tipo di terreno e di difficoltà, ma getta con abbondanza a piene mani. Anche se la proposta di fede non trova pausa estiva... riparte l’attività pastorale delle parrocchie stimolata dagli eventi che ci vengono dalla Chiesa diocesana e dalla Chiesa universale. L’attività pastorale della comunità cristiana vuole accompagnare ogni uomo di buona volontà, in questo nuovo anno pastorale per aiutarlo ad essere cristiano oggi. Si riparte con il desiderio di far splendere piccole luci dal seme gettato, che continua a sostenere il cammino dei piccoli e dei grandi, dei forti e dei deboli, dei semplici e di quanti fanno fatica. La vita quotidiana, con tutti i suoi aspetti, è il campo di Dio, è il nostro campo. In essa siamo ospiti e lavoratori di tutte le ore. Sempre più urge la necessità di dialogare con la terra, con la natura, di incontrare la Buona Notizia nell’oggi, nelle forme e nei tratti caratteristici della contemporaneità. E tutto questo nel Tempo Ordinario, il tempo della vita feriale in cui non c’è nulla di straordinario: la parola di Dio ci raggiunge nella normalità dei giorni, delle situazioni e della vita. Vivere il Vangelo ogni giorno e annunciarlo nella normalità del quotidiano è quello che desideriamo realizzare attraverso l’insieme della proposta pastorale che si realizza nelle varie attività parrocchiali. La luce della Parola entra nella vita e nella storia e vi germoglia oltre le nostre attese e aspettative. Ogni sprazzo di luce può essere segnale di vita nuova e di speranza per le persone e per la comunità umana tutta intera. Desideriamo camminare insieme quest’anno. Un anno segnato da ricorrenze ed eventi ecclesiali diocesani e universali. Il Sinodo Diocesano sulle Unità Pastorali che si celebrerà in dicembre, l’Anno della Fede e il 50° anniversario dell’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II. “Ho ritenuto - dice il Papa - che far iniziare l’Anno della fede con questo anniversario, possa essere un’occasione propizia per comprendere che i testi lasciati in eredità dai Padri conciliari, secondo le parole di Giovanni Paolo II, “non perdono il loro valore, né il loro smalto”. ...esso può essere e diventare sempre di più una grande forza per il sempre necessario rinnovamento della Chiesa”. E sono proprio la ricerca e l’impegno per il cambiamento che legano strettamente tutti i documenti conciliari. Un cambiamento che non tradisce minimamente l’originalità del messaggio evangelico, anzi lo rende più attuale, comprensibile e desiderabile. Un cambiamento, ancora, che senza stravolgere il cuore della Rivelazione, chiede che venga riespressa con un linguaggio aggiornato e plausibile dentro alle sfide attuali. In essi la Chiesa si riconosce a tutti gli effetti parte integrante della famiglia umana, della quale condivide gioie e speranze, ma anche dolori e angosce. Emerge una Chiesa che bandisce ogni trionfalismo ed egemonia sul mondo, per essere solidale o, meglio, come dicono i testi, unita con il mondo, fermento e quasi anima del mondo, una Chiesa che deve, prendendo a modello il suo Signore, comprendersi ed agire come serva della famiglia umana, ed essere, come diceva mons. Tonino Bello, una Chiesa col grembiule”. Ascoltare i segni dei tempi: era ed è questo l’invito dei documenti conciliari rivolto a tutta la Chiesa, fatta di laici e consacrati. Tutto questo, pensando all’impegno urgente per la nuova evangelizzazione che attende la Chiesa, è quanto mai attuale, e ci ricorda che il messaggio del Concilio Vaticano II è ancora tutto davanti a noi. Molto è stato fatto in questi anni, ma molto resta ancora da fare. Anche oggi, infatti, come comunità cristiane dobbiamo impegnarci per rendere comprensibile e desiderabile il messaggio evangelico, cercando linguaggi adeguati, che sappiano parlare alla vita delle persone con le parole vive del Vangelo. Ancora di più dobbiamo essere comunità cristiane che nell’annuncio del Vangelo non indottrinano, né tantomeno propongono un’ideologia religiosa, ma vogliono raggiungere l’uomo nell’intimo di sé, nel luogo in cui si svolge quella sfida fondamentale che è l’esistenza. In definitiva, servono persone che facciano comprendere come Dio si rivela a noi, non tanto come a dei sudditi, ma come ad amici con i quali entrare in relazione, costruendo un’unica, solidale famiglia. Sulla strada tracciata dal Concilio facciamo quindi in modo che le nostre parrocchie sentano questa continua esigenza di conversione per portare frutti abbondanti e soprattutto, nel rinnovo dell’azione pastorale, rivedano gli strumenti maturati dalla tradizione passata, come il primo annuncio, l’iniziazione cristiana e l’educazione, i quali devono essere rinnovati e adattati alle attuali condizioni culturali e sociali. Il Concilio, dunque, sta ancora davanti a noi! don Raffaele 3


parrocchie e diocesi in cammino - parrocchie e diocesi in cammino - parrocchie e diocesi in L’opera artistica da dove è stato tolto il manifesto per il programma diocesano del nuovo anno pastorale

Polittico Averoldi di Tiziano, 1522, olio su tavola. Conservato presso la Chiesa di S. Nazaro a Brescia La creazione di un polittico, tipologia di pala d’altare a scomparti piuttosto antiquata, fu sicuramente una richiesta esplicita del committente, che Tiziano risolse conferendo una straordinaria unità ai cinque pannelli. L’opera fu un esempio fondamentale per la scuola bresciana: difficile è immaginare i bagliori luministici e gli effetti di chiaroscuro di Moretto e Savoldo senza questo fondamentale modello. L’opera arriva a Brescia nel 1522 e viene montata all’altare maggiore della chiesa dei santi Nazaro e Celso. La scena centrale della Resurrezione rinnova l’iconografia tradizionale combinandosi con quella dell’Ascensione. Un Cristo trionfante si manifesta sfolgorante in cielo, impugnando il vessillo crociato come emblema del Cristianesimo. La sua figura, di straordinaria forza espressiva e bellezza anatomica, si erge inondata dalla luce, soprattutto per contrasto con lo sfondo delle prime ore del mattino e con i soldati nell’ombra in basso, rischiarati appena da qualche riflesso sull’armatura di uno di essi. Nell’opera Tiziano dimostrò di aver assimilato e rielaborato le recentissime innovazioni romane di Raffaello: in particolare la Trasfigurazione per la posa e il ruolo centripeto giocato dal Cristo, e l’affresco della Liberazione di san Pietro, come le atmosfere notturne. Il gesto di Cristo che spalanca le braccia può anche essere letto come una citazione colta del Gruppo del Laocoonte, e il suo modellato anatomico come un omaggio alla perfezione della statuaria antica. Lo sfondo poi, rigato dai riflessi arancio che rievocano l’alba della nuova era cristiana inaugurata dalla Resurrezione, rimandano al sentire atmosferico e paesistico delle opere della scuola danubiana, alla quale fa pensare anche l’architettura nordica della Gerusalemme ideale sullo sfondo.

progetto

“LE DILLA ETSANAT”

“per i bambini di Per la costruzione della cucina per la mensa dei bambini poveri di Dilla quale dono e gesto di solidarietà in occa sione dell’Ordinazione sacerdotale di don Isidoro Aposto-

Dilla” in Etiopia

li, salesiano di don Bosco, missionario in Etiopia , abbiamo raccolto € 13.515,72. Hanno contribuito: le parrocchie di Botticino con le varie offerte raccolte personali e comunitarie (buste) , Quaresima di fraternità, 5% utile delle feste parrocchiali; l’iniziativa ‘polenta e baccalà’, spiedo di S.Nicola e spiedo di Mattina; Compagnia teatrale di Sera e commedia di S.Gallo; Alpini di Sera e San Gallo; Scuola Materna di Sera; classe 2^ D Scuola Scalvini; chiesa di Molvina; Campanari di Botticino. La cifra intera è stata inviata ai Salesiani d’Etiopia, causale per la cucina di Dilla, tramite bonifico bancario il 26 settembre 2012 . 4


n cammino - parrocchie e diocesi in cammino - parrocchie e diocesi in cammino - parrocchie

DIOCESI DI BRESCIA Anno pastorale 2012-2013

In cerca del volto bello di Cristo

particolare del polittico averoldi di tiziano, 1522, olio su tavola. conservato presso la chiesa di s. nazaro a brescia

diocesi di brescia

cerchiamo

Cerchiamo il tuo volto”, la traccia, lo slogan (come lo definisce mons. Renato Tononi, vicario per la pastorale e i laici) scelto per la settimana di Agorà con cui la Chiesa bresciana ha aperto l’anno pastorale 1962-2012 2012/2013, ha in sé qualcosa di indeterminato, un’angolatura che rimanla chiesa di brescia dal concilio al sinodo sulle unità pastorali da alla ricerca di qualche risposta. È lo stesso mons. Tononi a sottolineare la “bellezza” di questi orizzonti ampi a cui “lo slogan” rimanda. “Chi è il soggetto del cercare? Quale volto si cerca?” sono domande bisognose di risposte. Lo slogan scelto - afferma mons. Tononi - ci propone sollecitazioni significative”. Quel verbo usato al plurale (mentre il salmo 26 da cui è stato mutuato lo usa al singolare) chiama in causa la comunità, non solo quella cristiana, dei credenti ma anche quella in cui si muovono tutte le persone che sono in ricerca. Una prospettiva che già il Vangelo di Giovanni (12, 21) dimostra quando racconta di alcuni greci, pagani dunque, che esprimono ad Andrea il desiderio di vedere Quello Gesù”. che sta per aprirsi La scelta di “Cerchiamo il tuo volto” trova la sua giustificazione nell’inè un cammino di tento di mantenere aperta e attuale la prospettiva di una ricerca che non è solo revisione per la quella dei credenti, ma di chiunque si ponga domande sulla verità, sul senso Chiesa bresciana in della vita e della sua pienezza. tutte le sue Messo dunque a fuoco il soggetto di quel “Cerchiamo” rimane da stabilicomponenti re quale sia, quale possa essere l’oggetto di questa ricerca. alla luce “Certo - afferma ancora mons. Tononi - il rimando al volto di Dio è implidei documenti del cito. A quel volto di Dio che nel Nuovo Testamento sì identifica da un punto di Concilio Vaticano II vista visibile e storico con quello di Cristo”. L’apostolo Paolo, d’altra parte, afferma che Cristo è l’immagine di Dio, l’immagine visibile dell’invisibile. Questione risolta, dunque? n tema scelto per l’anno pastorale 2012/2013 invita la Chiesa bresciana a riscoprire il volto di Cristo? No, o almeno non solo. C’è un passaggio in più che mons. Tononi sollecita. “Con la resurrezione afferma il vicario per la pastorale e i laici - Cristo perde la sua storicità, non è più fisico, visibile”. Quale volto visibile bisogna dunque cercare? È ancora mons. Tononi a indicare la via per la risposta: “Il Cristo risorto, asceso al cielo non appartiene più a questa storia e così il suo corpo, il suo volto non sono più visibili. Ma Cristo - afferma - ha voluto che ci fosse comunque un volto visibile che lo rappresentasse e questo è il volto della Chiesa, diventata volto visibile dell’invisibile”. Proprio qui, allora, si colloca la centralità di “Cerchiamo il tuo volto”, un titolo che intende lanciare una provocazione non solo agli uomini ma anche alla comunità cristiane per verificare se le queste siano volto bello di Cristo, se e in che modo facilitino l’incontro con il volto di Cristo oppure se siano da ostacolo a questa ricerca. “Cerchiamo il tuo volto”, con il suo programma articolato diventa occasione di verifica per tutte le componenti della Chiesa bresciana: per i presbiteri, per i laici, per i consacrati, i religiosi, le religiose, ma anche per quelle che sono sue espressioni significative come la catechesi, la carità, la missionarietà e lo sguardo ecumenico. C’è però un ultimo interrogativo che questo cammino di ricerca e di verifica pone: quello degli strumenti, dei criteri per valutare la fedeltà della Chiesa bresciana a essere ‘Volto bello di Cristo”. La “lente” attraverso cui leggere questo percorso è il Concilio Ecumenico Vaticano II, di cui anche la Chiesa bresciana si appresta a celebrare i 50 anni dell’ apertura. “La rilettura di alcuni documenti conciliari ci aiuterà nella revisione del nostro essere Chiesa, non per giungere a sentenze definitive ma per individuare prospettive di futuro perché quella bresciana possa essere una Chiesa capace di mostrare il volto bello di Cristo per l’uomo d’oggi.

il tuo volto

agorÀ della diocesi di brescia

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i n i z i o d e l l ’a n n o p a s t o r a l e 2 0 1 2 - 2 0 1 3


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possiamo ancora aspettare ? Primo incontro con tutti gli animatori pastorali delle tre Parrocchie di Botticino all’inizio del nuovo anno pastorale Vista la situazione nella quale ci troviamo è possibile ancora dubitare dell’urgenza di una vera e propria conversione pastorale delle nostre comunità? Credo proprio di no. Non possiamo più aspettare! Non possiamo cullarci più - usando una affermazione che sembra ci riporti ad altri tempi - sul «si è fatto sempre così»! Ma facciamo un passo indietro. Le nostre comunità hanno preso coscienza dei cambiamenti, avvenuti soprattutto in questi ultimi tempi, che esigono mutamenti di traiettoria? La consapevolezza del cambiamento, infatti, è inversamente proporzionale alla chiusura, ai tradizionalismi e alla «staticità» delle nostre comunità. Occorre anzitutto riscoprire lo stile dell’incarnazione per il quale i discepoli di Cristo vivono le stesse gioie e le stesse speranze, le tristezze e le angosce degli uomini di oggi (cfr. Gaudium et spes, 1), con la certezza che è proprio questo a decidere dell’identità della Chiesa stessa nel mondo (cfr. Lumen gentium, I). Tradotto per le nostre parrocchie questo significa che la comunità cristiana non può che essere missionaria e che in quanto tale deve essere cellula viva nel territorio, presenza discreta ma efficace che da un lato è impegnata a discernere i segni dei tempi (risorse e problemi, eventuali disponibilità e bisogni, attese e possibili risposte), e dall’altro è disposta ad una intensa opera apostolica che superi sempre più il divario tra fede e vita contribuendo a costruire un vero e proprio progetto culturale illuminato dal Vangelo. La Casula composta Un ruolo di primo piano spetta alla corresponsabilità dei dalle tre parrocchie Christifìdeles laici, i quali sono chiamati a portare la Chiesa nel di Botticino cuore del mondo, santificando le realtà temporali insieme con la per la festa parola e con la testimonianza, ed il mondo nel cuore della Chiesa dell’Unità Pastorale che si offre nell’offerta di Cristo al Padre. Questo non può non maggio 2012 coincidere con la rivalutazione degli organismi di comunione e di partecipazione (ministerialità) in primo luogo i Ministri Ordinati e le religiose, il Consiglio Unità Pastorale e la comunità di quanti nelle nostre parrocchie svolgono un servizio - ministero - ecclesiale (“ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita (poiché la vita si è fatta visibile, noi l’abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi), quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi perché anche voi siate in comunione con noi» (1 Gv 1, 1-3”) La famiglia è da considerarsi certamente come il centro di tutta l’azione pastorale. Occorre allora decidersi al più presto per una pastorale con e per la famiglia, occorre ripartire dalla famiglia con la consapevolezza che senza la famiglia nessuna pastorale è possibile. (Famiglie ICFR, liturgia, strutture...) 6


cammino - parrocchie e diocesi in cammino - parrocchie e diocesi in cammino - parrocchie Una Chiesa missionaria è una Chiesa coinvolgente, dove a nessuno è permesso di rimanere ai margini, una Chiesa che si mette in discussione nel rapporto con la storia e che inventa continuamente occasioni di traino (dall’offerta di itinerari formativi accessibili a tutte le età, condizioni e stati di vita, alla partecipazione attiva e consapevole nelle celebrazioni liturgiche, ai numerosi servizi di carità soprattutto verso i fratelli più poveri). Rinnovo promesse Battesimo Questo progetto però richiede anzitutto una 2° anno ICFR giugno 2012 «conversione mentale» nel pensare la Chiesa come comunità dinamica che può scendere nel vissuto quotidiano (strade, lavoro, associazioni, feste, bar...), che può entrare nelle case (centri di ascolto nelle famiglie e per le famiglie, che occupa i luoghi di ritrovo della comunità cristiana (valorizziamo e qualifichiamo i nostri centri parrocchiali /oratori !) e non solo. Una Chiesa missionaria è una Chiesa accanto, che mette tutti a proprio agio, che si fa presenza vicina ai «lontani» e che sa mostrare «ascolto, interesse e simpatia». C’è da stupirsi infatti se tanti cristiani sono come «abbandonati», lasciati a se stessi, e se tanti, feriti dalla vita o dai corrieri della morte, perdono la speranza perché non c’è chi annunci loro la Buona Notizia di Cristo. Le occasioni per accompagnare, consolare e sostenere non mancano. Basti pensare all’occasione della malattia e della morte cristiana. La malattia è luogo della croce, possibilità di scandalo ovvero di redenzione se solo con discrezione ma anche con passione (patire-con) sappiamo essere costantemente come il Buon Samaritano. Gli ospedali e le case Rinnovo promesse Battesimo di cura dovrebbero essere il luogo in cui la Comuni2° anno ICFR giugno 2012 tà è di casa, al Sacramento dell’Unzione dovremmo dare ancora più importanza e dignità, alla preghiera maggiore spessore umano, maggiore familiarità con la sofferenza. I funerali potrebbero essere la più efficace occasione per sprigionare forte solidarietà tra i parenti del defunto e la comunità cristiana, tanto che a volte diventano addirittura motivo di avvicinamento e di ritrovamento della fede. Ma bisogna maggiormente attrezzarsi perché questi momenti - e non solo questi ma ogni azione pastorale - possano essere nutriti di preghiera e le liturgie possano realmente esprimere la forza trasfigurante della speranza e della gioia cristiana. Una Chiesa missionaria è una Chiesa dirompente, quella Chiesa che grida «dai tetti» e non solo dai pulpiti la sua fede, che in un certo senso «non lascia in pace» nessuno, ma scuote dal torpore e mette in crisi. Il mondo indifferente, credo, va affrontato con decisione e impegno, quasi aggredito dalla potenza del Vangelo. Sono infatti convinto che il cosiddetto «ateismo pratico» stranamente finisca col rafforzarsi attraverso la nostra indifferenza, si faccia sempre più impetuoso tramite le nostre assenze. Allora non c’è tempo da perdere.

FESTA UNITA’ PASTORALE maggio 2012 7


parrocchie e diocesi in cammino - parrocchie e diocesi in cammino - parrocchie e diocesi in

A volte bisogna crederci In questi ultimi mesi s’è parlato molto tra la gente di come, a giudizio di molti, stia andando l’esperienza dell’Unità Pastorale, di come siano i nostri sacerdoti, di che cosa si debba o non si debba fare. Tante domande e altrettante risposte: una per ogni testa (perché ognuno ha la propria idea). Domande che nascono a volte solo per il gusto di parlare, altre volte invece per un sincero interessamento per la vita e il futuro delle nostre parrocchie. Anche io, come molti, mi sono interrogato e vi propongo questo mio pensiero; non con la convinzione di volere insegnare qualcosa a qualcuno, ma solo per mettere in comune una riflessione che mi è nata così e mi ha fatto vedere le cose da “un lato particolare”. E’ ormai da qualche anno, pochi a dire il vero, che le nostre tre parrocchie, di Sera, Mattina e San Gallo, hanno dato vita, secondo la volontà del Vescovo, a quella esperienza per ora assolutamente rara in tutta la Diocesi di Brescia che si chiama Unità Pastorale. E’ stata accolta con interesse e impegno da alcuni, con stordimento da altri, in certi casi con rammarico, in altri con disinteresse o addirittura con fastidio … ma c’è. Siamo per tutta la diocesi un modello a tutti gli effetti, sia in positivo che in negativo: molti guardano a noi per vedere se tale esperienza possa funzionare o no. La responsabilità è grande e non è solo del parroco o dei curati o del diacono o delle suore, in questa esperienza c’è tutta quanta la comunità, anche noi laici (anzi, soprattutto noi laici). E’ una sperimentazione, e come tutti gli esperimenti non è detto che funzioni al primo tentativo, non è detto che vada tutto bene subito. Infatti di cose che non vanno perfettamente o che possono cambiare o migliorare ce ne sono tante, e nessuno lo può negare. Di problemi ne abbiamo, ma ciò non toglie che ciascuno di noi, come membro di questa comunità, si debba domandare con sincerità: io che cosa voglio al riguardo? Perché due sono le strade: dirci sconfitti e “ritornare a quello che si faceva una volta”, andarsene e dire “arrangiatevi tutti!” o accettare la sfida e dire: “Sì, nonostante tutto ci credo!” .

Vorremmo vedere tutto andare alla perfezione, vorremmo avere dei preti fatti come vogliamo noi, vorremmo che tutto filasse senza fatica, ma non è così. Noi siamo quelli che siamo, i nostri preti sono quello che sono. Nessuno può dirsi senza difetti, nessuno senza pregi. Questa è una verità che va accettata. L’Unità Pastorale c’è, è una realtà, ma non è ancora al suo compimento: è creata, ma forse solo abbozzata, e perché possa funzionare meglio, dobbiamo tutti quanti (preti e laici) cercare di migliorare, tenerla in piedi, “fare manutenzione continua”. Accettando però due verità: innanzi tutto nessuno può fare da solo, neanche il parroco, primo responsabile davanti al vescovo di questa comunità; in secondo luogo non possiamo pretendere di vedere subito i frutti maturi di ciò che abbiamo da poco iniziato, serve pazienza e speranza. Io guardo a questa comunità, questa Unità Pastorale, e vedo che ci sono tante cose belle, tante persone in gamba, tantissime potenzialità… ma spesso c’è anche stanchezza, dubbio, disorientamento… in una parola sfiducia. Penso che il problema maggiore in questa nostra Unità in questo momento sia proprio un crescente senso di sfiducia (alcuni lo definiscono “mal di pancia”): sfiducia nel progetto e sfiducia nelle persone che cercano (nel bene e nel male) di realizzare questo progetto. Per quanto riguarda il progetto non c’è molto da dire… siamo restii ai cambiamenti, siamo sostanzialmente conservatori, tradizionalisti: “si è sempre fatto così”, “andava bene come era, perché cambiare?”, “ecco, ogni prete che arriva ne inventa una”, “se non sanno mettersi d’accordo tra loro, come pretendono che lo facciamo noi” “ah! se c’è anche quello là, io non faccio niente!”e così via. Ma è così da secoli, e comunque i cambiamenti sono avvenuti lo stesso. Il problema, se mai, è ricordarci che questo progetto di Unità Pastorale è un progetto di comunione, di comunità; e la comunità è fatta di persone, non di idee o di principi (per quanto belli e grandi siano): non si può lasciare indietro qualcuno, non si può dire “tu non c’entri”, “chi ci sta bene, gli altri si arrangino”. E’ un cammino che va fatto insieme, in cordata, aiutandoci a capire, a migliorare. Specialmente i più lenti, i più deboli vanno aiutati. La verità si deve sposare con la carità. E quando ciò non avviene si crea sfiducia, a volte rancore. Vedo con preoccupazione questa sfiducia che serpeggia riguardo alle persone (e che io stesso a volte ho provato e forse in alcuni casi provocato): sfiducia nei sacerdoti da parte dei laici, sfiducia nei laici da parte dei preti, spesso insofferenza o invidie tra noi laici impegnati nella comunità (ognuno tira l’acqua al suo mulino, ognuno vorrebbe fare per sé… non parliamo poi di quando cominciamo a discutere sulle singole frazioni del paese!), a volte sfiducia, invidie o poco dialogo tra gli stessi preti. E quando questo accade quale testimonianza positiva diamo? Se un sacerdote crede di poter fare da solo, di gestire tutto e tutti come vuole, di “usare come manovali” i laici, sbaglia! Se io laico non mi sento coinvolto, non partecipo, non contribuisco con i miei consigli, le mie idee, le mie capacità, se faccio qualcosa solo per il mio personale 8


cammino - parrocchie e diocesi in cammino - parrocchie e diocesi in cammino - parrocchie tornaconto, sbaglio! Tutti siamo coinvolti, tutti siamo protagonisti; ognuno con un compito diverso. Tante voci per un unico canto. Il Concilio Vaticano II lo ha insegnato, ma spesso ci fa comodo (preti e laici) non ricordarcelo. Forse dovremmo tutti chiederci se crediamo davvero nella comunità. Tutti, preti e laici. Forse ogni tanto dovremmo pensare che da soli rischiamo di sbagliare, di vedere le cose solo a modo nostro. Forse ogni tanto dovremmo chiedere scusa, se ci rendiamo conto di aver sbagliato. Chiedere aiuto, se sappiamo che da soli non riusciamo. Dire “grazie” ogni tanto. Forse dovremmo fidarci di più di chi ci sta vicino. Rispettarci. Forse dovremmo pensare alla comunità come alla nostra famiglia: lavorare per l’unione, non per il divorzio. Sta per iniziare un nuovo anno pastorale, “l’anno della fede”. Potremmo impostare su questa virtù teologale i nostri sforzi. Quando andiamo a messa la domenica, recitiamo sempre il Credo e diciamo: “Credo la Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica”. Ma che cos’è questa Chiesa? Certo la Chiesa universale, certo il papa, i vescovi, i missionari lontani… tutto quello che volete; ma è anche la Chiesa locale, la nostra chiesa, la nostra comunità. Credo la Chiesa in cui vivo, in cui sono cresciuto, in cui lavoro? Non è un’entità vaga: è un insieme di volti, di persone, di caratteri con cui mi incontro o mi scontro tutti i giorni, simpatici o antipatici. Credo in questa Chiesa? Credo di poter collaborare con gli altri, con questo o quel parroco, con questa o quella suora, con questo o quel barista, catechista, animatore (e chi più ne ha più ne metta)? Serve un atto di fede: nel buon Dio, nel progetto, negli altri e in noi stessi. Anche quando sbagliamo, anche quando vediamo sbagliare qualcun altro, anche quando saremmo tentati di lasciar perdere. Ci vuole fede! Serve che ci alleniamo ad aver fede! Qualcuno potrebbe obbiettare: belle parole, ma piuttosto astratte! Non c’è nulla di più concreto invece! Perché se ho fiducia (ho fede) in qualcuno, lo dimostro con i fatti! Non penso subito male, non aspetto che caschi o sbagli, godendone poi, ma piuttosto lo aiuto, se sbaglia lo correggo con rispetto, se non lo capisco mi confronto, provo a mettermi nei suoi panni. A volte servirebbe che i preti si mettessero nei nostri panni: panni di gente che lavora, che magari ha famiglia, figli… tante volte non ci pensano e pretendono. A volte noi dovremmo metterci nei loro panni: pensate sia facile dirigere con amore la nostra comunità, con il carattere che ci troviamo ad avere noi abitanti di Botticino! A volte basterebbe (preti e laici) guardarsi e dirsi: “va bene, mi fido di te!”, “diamoci una mano e proviamo a camminare assieme”. Allora la nostra Unità Pastorale potrà essere una (veramente unita), potrà essere santa (fatta cioè di persone che si vogliono bene e lo dimostrano), cattolica (cioè universale, aperta agli altri) e apostolica (con piena fiducia in ciò che il successore degli apostoli, cioè il vescovo, ci invita a fare). E’ forse una utopia… ma qualche passo in questa direzione potremmo farlo. Crediamoci! Giorgio Maghella. CUP

PRECISAZIONI UNITA’ PASTORALE L’Unità Pastorale delle parrocchie di Botticino non è piovuta dall’alto, ma voluta. Già nella nomina di don Raffaele a parroco di Botticino Sera del 1 agosto 2003, e resa pubblica il 26 ottobre 2003, si legge “Il parroco della parrocchia di “S.Maria Assunta” in Botticino Sera avrà inoltre tutte le facoltà, diritti, doveri e competenze inerenti all’Unità Pastorale di prossima costituzione e retta dal relativo Decreto Vescovile”. Non è piovuta dall’alto, ma voluta dai parroci, dai sacerdoti, dai tre Consigli Pastorali Parrocchiali di Sera, Mattina e San Gallo e dagli animatori pastorali a conclusione del cammino di formazione fatto in preparazione (2004-2005-2006) e successiva realizzazione delle Missioni Parrocchiali vissute nelle tre parrocchie nell’anno pastorale 2006-2007. Il documento finale, redatto e approvato da quanti impegnati nella pastorale (Consigli e animatori), è stato il “mandato” consegnato nella solennità di Pentecoste 2007, e pubblicato sui notiziari pastorali, contenente le indicazioni pastorali per le tre parrocchie di Botticino. Nell’ottobre 2008 viene consegnata al Vescovo la lettera a firma dei due parroci - quello di Sera e San Gallo, e quello di Mattina - e dei tre Consigli Pastorali con le motivazioni e il progetto pastorale che esprimevano la disponibilità delle tre parrocchie di Botticino ad essere costituite in Unità Pastorale, suggerendone anche il nome (inizialmente “SS.Trinità” e sucessivamente “S. Arcangelo Tadini”). Il Vescovo di Brescia, con decreto del 22 aprile 2009: “Preso atto dell’unità geografica e territoriale delle parrocchie del Comune di Botticino e del percorso fino ad oggi intrapreso dalle comunità parrocchiali interessate, finalizzato ad un’azione pastorale sempre più organica e condivisa; Constatato il vantaggio pastorale derivante dalla cooperazione fra le tre parrocchie, da tempo messa in atto in particolare nella pastorale giovanile e nelle celebrazioni liturgiche; Dopo aver verifìcato la validità della suddetta esperienza attraverso un percorso di preparazione che è culminato nelle Missioni Popolari del 2007 e nel conseguente mandato redatto e diffuso congiuntamente dai Consigli Pastorali delle tre Parrocchie, contenente le linee guida sulle quali impostare il cammino pastorale della erigenda Unità Pastorale di Botticino ; Sentito il parere del Consiglio episcopale,” COSTITUISCE ed ERIGE L’UNITA’ PASTORALE “S. Arcangelo Tadini” per le Parrocchie di S. Maria Assunta, dei Ss. Faustino e Giovita e di S. Bartolomeo, site nel Comune di BOTTICINO. 9


Chiesa Universale Anno della fede 11 ottobre 2012 / 24 novembre 2013 - Chiesa Universale Anno della fede 11

LETTERA APOSTOLICA IN FORMA DI MOTU PROPRIO

PORTA FIDEI DEL SOMMO PONTEFICE BENEDETTO XVI

CON LA QUALE SI INDICE L’ANNO DELLA FEDE maggiore evidenza la gioia ed il rinnovato entu1. La “porta della fede” (cfr At 14,27) che introduce siasmo dell’incontro con Cristo. Nell’Omelia della alla vita di comunione con Dio e permette l’ingresso santa Messa per l’inizio del pontificato dicevo: “La nella sua Chiesa è sempre aperta per noi. E’ possiChiesa nel suo insieme, ed i Pastori in essa, come bile oltrepassare quella soglia quando la Parola di Cristo devono mettersi in cammino, per condurre gli Dio viene annunciata e il cuore si lascia plasmare uomini fuori dal deserto, verso il luogo della vita, dalla grazia che trasforma. Attraversare quella porta verso l’amicizia con il Figlio di Dio, verso Colui comporta immettersi in un cammino che dura tutche ci dona la vita, la vita in pienezza” [1]. Capita ta la vita. Esso inizia con il Battesimo (cfr Rm 6, ormai non di rado che i cristiani si diano maggior 4), mediante il quale possiamo chiamare Dio con il preoccupazione per le conseguenze sociali, culturali nome di Padre, e si conclude con il passaggio attrae politiche del loro impegno, continuando a pensare verso la morte alla vita eterna, frutto della risurrealla fede come un presupposto ovvio del vivere cozione del Signore Gesù che, con il dono dello Spirito mune. In effetti, questo presupposto non solo non è Santo, ha voluto coinvolgere nella sua stessa gloria più tale, ma spesso viene perfino negato [2]. Mentre quanti credono in Lui (cfr Gv 17,22). Professare la nel passato era possibile riconoscere un tessuto culfede nella Trinità – Padre, Figlio e Spirito Santo – turale unitario, largamente accolto nel suo richiamo equivale a credere in un solo Dio che è Amore (cfr ai contenuti della fede e ai valori da essa ispirati, 1Gv 4,8): il Padre, che nella pienezza del tempo ha oggi non sembra più essere così in grandi settori delinviato suo Figlio per la nostra salvezza; Gesù Crila società, a motivo di una profonda crisi di fede che sto, che nel mistero della sua morte e risurrezione ha toccato molte persone. ha redento il mondo; lo Spirito Santo, che conduce la Chiesa attraverso i secoli nell’attesa del ritorno 3. Non possiamo accettare che il sale diventi insipido e glorioso del Signore. la luce sia tenuta nascosta (cfr Mt 5,13-16). Anche l’uomo di oggi può sentire di nuovo il bisogno di re2. Fin dall’inizio del mio ministero come Successocarsi come la samaritana al pozzo per ascoltare Gesù, re di Pietro ho ricordato l’esigenza di riscoprire il che invita a credere in Lui e ad attingere alla sua cammino della fede per mettere in luce con sempre sorgente, zampillante di acqua viva (cfr Gv 4,14). Dobbiamo ritrovare il gusto di nutrirci della Parola di Dio, trasmessa dalla Chiesa in modo fedele, e del Pane della vita, offerti a sostegno di quanti sono suoi discepoli (cfr Gv 6,51). L’insegnamento di Gesù, infatti, risuona ancora ai nostri giorni con la stessa forza: “Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la via eterna” (Gv 6,27). L’interrogativo posto da quanti lo ascoltavano è lo stesso anche per noi oggi: “Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?” (Gv 6,28). Conosciamo la risposta di Gesù: “Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha 10


1 ottobre 2012 / 24 novembre 2013 - Chiesa Universale Anno della fede 11 ottobre 2012 /24 novembre 2013 mandato” (Gv 6,29). Credere in Gesù Cristo, dunque, è la via per poter giungere in modo definitivo alla salvezza. 4. Alla luce di tutto questo ho deciso di indire un Anno della fede. Esso avrà inizio l’11 ottobre 2012, nel cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, e terminerà nella solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo, il 24 novembre 2013. Nella data dell’11 ottobre 2012, ricorreranno anche i vent’anni dalla pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, testo promulgato dal mio Predecessore, il Beato Papa Giovanni Paolo II [3], allo scopo di illustrare a tutti i fedeli la forza e la bellezza della fede. Questo documento, autentico frutto del Concilio Vaticano II, fu auspicato dal Sinodo Straordinario dei Vescovi del 1985 come strumento al servizio della catechesi [4] e venne realizzato mediante la collaborazione di tutto l’Episcopato della Chiesa cattolica. E proprio l’Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi è stata da me convocata, nel mese di ottobre del 2012, sul tema de La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana. Sarà quella un’occasione propizia per introdurre l’intera compagine ecclesiale ad un tempo di particolare riflessione e riscoperta della fede. Non è la prima volta che la Chiesa è chiamata a celebrare un Anno della fede. Il mio venerato Predecessore il Servo di Dio Paolo VI ne indisse uno simile nel 1967, per fare memoria del martirio degli Apostoli Pietro e Paolo nel diciannovesimo centenario della loro testimonianza suprema. Lo pensò come un momento solenne perché in tutta la Chiesa vi fosse “un’autentica e sincera professione della medesima fede”; egli, inoltre, volle che questa venisse confermata in maniera “individuale e collettiva, libera e cosciente, interiore ed esteriore, umile e franca” [5]. Pensava che in tal modo la Chiesa intera potesse riprendere “esatta coscienza della sua fede, per ravvivarla, per purificarla, per confermarla, per confessarla” [6]. I grandi sconvolgimenti che si verificarono in quell’Anno, resero ancora più evidente la necessità di una simile celebrazione. Essa si concluse con la Professione di fede del Popolo di Dio [7], per attestare quanto i contenuti essenziali che da secoli costituiscono il patrimonio di tutti i credenti hanno bisogno di essere confermati, compresi e approfonditi in maniera sempre nuova al fine di dare testimonianza coerente in condizioni storiche diverse dal passato.

SIGNIFICATO DEL LOGO Su un campo quadrato, bordato, è simbolicamente rappresentata una barca, immagine della Chiesa, in navigazione su dei flutti graficamente appena accennati, e il cui albero maestro è una croce che issa delle vele che con dei segni dinamici realizzano il trigramma di Cristo; inoltre lo sfondo delle vele è un sole che associato al trigramma rimanda anche all’eucaristia. in coincidenza con il cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II possa essere un’occasione propizia per comprendere che i testi lasciati in eredità dai Padri conciliari, secondo le parole del beato Giovanni Paolo II, “non perdono il loro valore né il loro smalto. È necessario che essi vengano letti in maniera appropriata, che vengano conosciuti e assimilati come testi qualificati e normativi del Magistero, all’interno della Tradizione della Chiesa … Sento più che mai il dovere di additare il Concilio, come la grande grazia di cui la Chiesa ha beneficiato nel secolo XX: in esso ci è offerta una sicura bussola per orientarci nel cammino del secolo che si apre” [9]. Io pure intendo ribadire con forza quanto ebbi ad affermare a proposito del Concilio pochi mesi dopo la mia elezione a Successore di Pietro: “se lo leggiamo e recepiamo guidati da una giusta ermeneutica, esso può essere e diventare sempre di più una grande forza per il sempre necessario rinnovamento della Chiesa” [10].

5. Per alcuni aspetti, il mio venerato Predecessore vide questo Anno come una “conseguenza ed esigenza postconciliare” [8], ben cosciente delle gravi difficoltà del tempo, soprattutto riguardo alla professione della vera fede e alla sua retta interpretazione. Ho ritenuto che far iniziare l’Anno della fede 11


Chiesa Universale Anno della fede 11 ottobre 2012 / 24 novembre 2013 - Chiesa Universale Anno della fede 1 Cristo che colma i nostri cuori e ci spinge ad evangelizzare. Egli, oggi come allora, ci invia per le strade del mondo per proclamare il suo Vangelo a tutti i popoli della terra (cfr Mt 28,19). Con il suo amore, Gesù Cristo attira a sé gli uomini di ogni generazione: in ogni tempo Egli convoca la Chiesa affidandole l’annuncio del Vangelo, con un mandato che è sempre nuovo. Per questo anche oggi è necessario un più convinto impegno ecclesiale a favore di una nuova evangelizzazione per riscoprire la gioia nel credere e ritrovare l’entusiasmo nel comunicare la fede. Nella quotidiana riscoperta del suo amore attinge forza e vigore l’impegno missionario dei credenti che non può mai venire meno. La fede, infatti, cresce quando è vissuta come esperienza di un amore ricevuto e quando viene comunicata come esperienza di grazia e di gioia. Essa rende fecondi, perché allarga il cuore nella speranza e consente di offrire una testimonianza capace di generare: apre, infatti, il cuore e la mente di quanti ascoltano ad accogliere l’invito del Signore di aderire alla sua Parola per diventare suoi discepoli. I credenti, attesta sant’Agostino, “si fortificano credendo” [12]. Il santo Vescovo di Ippona aveva buone ragioni per esprimersi in questo modo. Come sappiamo, la sua vita fu una ricerca continua della bellezza della fede fino a quando il suo cuore non trovò riposo in Dio [13]. I suoi numerosi scritti, nei quali vengono spiegate l’importanza del credere e la verità della fede, permangono fino ai nostri giorni come un patrimonio di ricchezza ineguagliabile e consentono ancora a tante persone in ricerca di Dio di trovare il giusto percorso per accedere alla “porta della fede”.

6. Il rinnovamento della Chiesa passa anche attraverso la testimonianza offerta dalla vita dei credenti: con la loro stessa esistenza nel mondo i cristiani sono infatti chiamati a far risplendere la Parola di verità che il Signore Gesù ci ha lasciato. Proprio il Concilio, nella Costituzione dogmatica Lumen gentium, affermava: “Mentre Cristo, «santo, innocente, senza macchia» (Eb 7,26), non conobbe il peccato (cfr 2Cor 5,21) e venne solo allo scopo di espiare i peccati del popolo (cfr Eb 2,17), la Chiesa, che comprende nel suo seno peccatori ed è perciò santa e insieme sempre bisognosa di purificazione, avanza continuamente per il cammino della penitenza e del rinnovamento. La Chiesa «prosegue il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio», annunziando la passione e la morte del Signore fino a che egli venga (cfr 1Cor 11,26). Dalla virtù del Signore risuscitato trae la forza per vincere con pazienza e amore le afflizioni e le difficoltà, che le vengono sia dal di dentro che dal di fuori, e per svelare in mezzo al mondo, con fedeltà anche se non perfettamente, il mistero di lui, fino a che alla fine dei tempi esso sarà manifestato nella pienezza della luce” [11].

Solo credendo, quindi, la fede cresce e si rafforza; non L’Anno della fede, in questa prospettiva, è un invito c’è altra possibilità per possedere certezza sulla propria vita se non abbandonarsi, in un crescendo ad un’autentica e rinnovata conversione al Signore, continuo, nelle mani di un amore che si sperimenta unico Salvatore del mondo. Nel mistero della sua sempre più grande perché ha la sua origine in Dio. morte e risurrezione, Dio ha rivelato in pienezza l’Amore che salva e chiama gli uomini alla conversione di vita mediante la remissione dei peccati (cfr 8. In questa felice ricorrenza, intendo invitare i Confratelli Vescovi di tutto l’orbe perché si uniscano al SucAt 5,31). Per l’apostolo Paolo, questo Amore introcessore di Pietro, nel tempo di grazia spirituale che duce l’uomo ad una nuova vita: “Per mezzo del batil Signore ci offre, per fare memoria del dono pretesimo siamo stati sepolti insieme a lui nella morzioso della fede. Vorremmo celebrare questo Anno te, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per in maniera degna e feconda. Dovrà intensificarsi la mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiariflessione sulla fede per aiutare tutti i credenti in mo camminare in una nuova vita” (Rm 6,4). Grazie Cristo a rendere più consapevole ed a rinvigorire la alla fede, questa vita nuova plasma tutta l’esistenza loro adesione al Vangelo, soprattutto in un momento umana sulla radicale novità della risurrezione. Nella di profondo cambiamento come quello che l’umanimisura della sua libera disponibilità, i pensieri e gli tà sta vivendo. Avremo l’opportunità di confessare affetti, la mentalità e il comportamento dell’uomo la fede nel Signore Risorto nelle nostre Cattedrali vengono lentamente purificati e trasformati, in un e nelle chiese di tutto il mondo; nelle nostre case e cammino mai compiutamente terminato in questa presso le nostre famiglie, perché ognuno senta forte vita. La “fede che si rende operosa per mezzo della l’esigenza di conoscere meglio e di trasmettere alle carità” (Gal 5,6) diventa un nuovo criterio di intelligenerazioni future la fede di sempre. Le comunità genza e di azione che cambia tutta la vita dell’uomo religiose come quelle parrocchiali, e tutte le realtà (cfr Rm 12,2; Col 3,9-10; Ef 4,20-29; 2Cor 5,17). ecclesiali antiche e nuove, troveranno il modo, in 7. “Caritas Christi urget nos” (2Cor 5,14): è l’amore di 12


1 ottobre 2012 / 24 novembre 2013 - Chiesa Universale Anno della fede 11 ottobre 2012 /24 novembre 2013 questo Anno, per rendere pubblica professione del Credo.

sce e trasforma la persona fin nel suo intimo. L’esempio di Lidia è quanto mai eloquente in proposito. Racconta san Luca che Paolo, mentre si trovava a Filippi, andò di sabato per annunciare il Vangelo ad alcune donne; tra esse vi era Lidia e il “Signore le aprì il cuore per aderire alle parole di Paolo” (At 16,14). Il senso racchiuso nell’espressione è importante. San Luca insegna che la conoscenza dei contenuti da credere non è sufficiente se poi il cuore, autentico sacrario della persona, non è aperto dalla grazia che consente di avere occhi per guardare in profondità e comprendere che quanto è stato annunciato è la Parola di Dio.

9. Desideriamo che questo Anno susciti in ogni credente l’aspirazione a confessare la fede in pienezza e con rinnovata convinzione, con fiducia e speranza. Sarà un’occasione propizia anche per intensificare la celebrazione della fede nella liturgia, e in particolare nell’Eucaristia, che è “il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e insieme la fonte da cui promana tutta la sua energia” [14]. Nel contempo, auspichiamo che la testimonianza di vita dei credenti cresca nella sua credibilità. Riscoprire i contenuti della fede professata, celebrata, vissuta e pregata [15], e riflettere sullo stesso atto con cui si crede, è un impegno che ogni credente deve fare proprio, Professare con la bocca, a sua volta, indica che la fede implica una testimonianza ed un impegno pubblici. soprattutto in questo Anno. Il cristiano non può mai pensare che credere sia un fatto privato. La fede è decidere di stare con il SiNon a caso, nei primi secoli i cristiani erano tenuti ad gnore per vivere con Lui. E questo “stare con Lui” imparare a memoria il Credo. Questo serviva loro introduce alla comprensione delle ragioni per cui come preghiera quotidiana per non dimenticare si crede. La fede, proprio perché è atto della liberl’impegno assunto con il Battesimo. Con parole dentà, esige anche la responsabilità sociale di ciò che se di significato, lo ricorda sant’Agostino quando, in si crede. La Chiesa nel giorno di Pentecoste mostra un’Omelia sulla redditio symboli, la consegna del con tutta evidenza questa dimensione pubblica del Credo, dice: “Il simbolo del santo mistero che avete credere e dell’annunciare senza timore la propria ricevuto tutti insieme e che oggi avete reso uno per fede ad ogni persona. È il dono dello Spirito Santo uno, sono le parole su cui è costruita con saldezza la che abilita alla missione e fortifica la nostra testimofede della madre Chiesa sopra il fondamento stabile nianza, rendendola franca e coraggiosa. che è Cristo Signore … Voi dunque lo avete ricevuto e reso, ma nella mente e nel cuore lo dovete tenere sempre presente, lo dovete ripetere nei vostri La stessa professione della fede è un atto personale ed insieme comunitario. E’ la Chiesa, infatti, il primo letti, ripensarlo nelle piazze e non scordarlo durante soggetto della fede. Nella fede della Comunità crii pasti: e anche quando dormite con il corpo, dovete stiana ognuno riceve il Battesimo, segno efficace vegliare in esso con il cuore” [16]. dell’ingresso nel popolo dei credenti per ottenere la salvezza. Come attesta il Catechismo della Chiesa 10. Vorrei, a questo punto, delineare un percorso che Cattolica: “«Io credo»; è la fede della Chiesa profesaiuti a comprendere in modo più profondo non solo i sata personalmente da ogni credente, soprattutto al contenuti della fede, ma insieme a questi anche l’atmomento del Battesimo. «Noi crediamo» è la fede to con cui decidiamo di affidarci totalmente a Dio, della Chiesa confessata dai Vescovi riuniti in Conciin piena libertà. Esiste, infatti, un’unità profonda tra lio, o più generalmente, dall’assemblea liturgica dei l’atto con cui si crede e i contenuti a cui diamo il nostro fedeli. «Io credo»: è anche la Chiesa nostra Madre, assenso. L’apostolo Paolo permette di entrare all’inche risponde a Dio con la sua fede e che ci insegna a terno di questa dire «Io credo», «Noi crediamo»” [17]. realtà quando scrive: “Con il cuore … si Come si può osservare, la conoscenza dei contenuti di fede è essenziale per dare il proprio assenso, cioè per crede … e con aderire pienamente con l’intelligenza e la volontà a la bocca si fa quanto viene proposto dalla Chiesa. La conoscenza la professione della fede introduce alla totalità del mistero salvifico di fede” (Rm rivelato da Dio. L’assenso che viene prestato impli10,10). Il cuoca quindi che, quando si crede, si accetta liberamenre indica che te tutto il mistero della fede, perché garante della il primo atto sua verità è Dio stesso che si rivela e permette di con cui si vieconoscere il suo mistero di amore [18]. ne alla fede è dono di Dio e azione della D’altra parte, non possiamo dimenticare che nel nostro contesto culturale tante persone, pur non riconograzia che agi13


Chiesa Universale Anno della fede 11 ottobre 2012 / 24 novembre 2013 - Chiesa Universale Anno della fede 1 Cattolica presenta lo sviluppo della fede fino a toccare i grandi temi della vita quotidiana. Pagina dopo pagina si scopre che quanto viene presentato non è una teoria, ma l’incontro con una Persona che vive nella Chiesa. Alla professione di fede, infatti, segue la spiegazione della vita sacramentale, nella quale Cristo è presente, operante e continua a costruire la sua Chiesa. Senza la liturgia e i Sacramenti, la professione di fede non avrebbe efficacia, perché mancherebbe della grazia che sostiene la testimonianza dei cristiani. Alla stessa stregua, l’insegnamento del Catechismo sulla vita morale acquista tutto il suo significato se posto in relazione con la fede, la liturgia e la preghiera.

scendo in sé il dono della fede, sono comunque in una sincera ricerca del senso ultimo e della verità definitiva sulla loro esistenza e sul mondo. Questa ricerca è un autentico “preambolo” alla fede, perché muove le persone sulla strada che conduce al mistero di Dio. La stessa ragione dell’uomo, infatti, porta insita l’esigenza di “ciò che vale e permane sempre” [19]. Tale esigenza costituisce un invito permanente, inscritto indelebilmente nel cuore umano, a mettersi in cammino per trovare Colui che non cercheremmo se non ci fosse già venuto incontro [20]. Proprio a questo incontro la fede ci invita e ci apre in pienezza.

11. Per accedere a una conoscenza sistematica dei contenuti della fede, tutti possono trovare nel Catechismo della Chiesa Cattolica un sussidio prezioso ed 12. In questo Anno, pertanto, il Catechismo della Chiesa Cattolica potrà essere un vero strumento a sosteindispensabile. Esso costituisce uno dei frutti più imgno della fede, soprattutto per quanti hanno a cuore portanti del Concilio Vaticano II. Nella Costituzione la formazione dei cristiani, così determinante nel Apostolica Fidei depositum, non a caso firmata nella nostro contesto culturale. A tale scopo, ho invitato ricorrenza del trentesimo anniversario dell’apertura la Congregazione per la Dottrina della Fede, in acdel Concilio Vaticano II, il Beato Giovanni Paolo II cordo con i competenti Dicasteri della Santa Sede, scriveva: “Questo Catechismo apporterà un contria redigere una Nota, con cui offrire alla Chiesa ed buto molto importante a quell’opera di rinnovamenai credenti alcune indicazioni per vivere quest’Anto dell’intera vita ecclesiale… Io lo riconosco come no della fede nei modi più efficaci ed appropriati, al uno strumento valido e legittimo al servizio della servizio del credere e dell’evangelizzare. comunione ecclesiale e come una norma sicura per l’insegnamento della fede” [21]. La fede, infatti, si trova ad essere sottoposta più che nel passato a una serie di interrogativi che provengono E’ proprio in questo orizzonte che l’Anno della fede da una mutata mentalità che, particolarmente oggi, dovrà esprimere un corale impegno per la riscoperriduce l’ambito delle certezze razionali a quello delta e lo studio dei contenuti fondamentali della fede le conquiste scientifiche e tecnologiche. La Chiesa che trovano nel Catechismo della Chiesa Cattolica tuttavia non ha mai avuto timore di mostrare come la loro sintesi sistematica e organica. Qui, infatti, tra fede e autentica scienza non vi possa essere alcun emerge la ricchezza di insegnamento che la Chieconflitto perché ambedue, anche se per vie diverse, sa ha accolto, custodito ed offerto nei suoi duemila tendono alla verità [22]. anni di storia. Dalla Sacra Scrittura ai Padri della Chiesa, dai Maestri di teologia ai Santi che hanno attraversato i secoli, il Catechismo offre una memoria 13. Sarà decisivo nel corso di questo Anno ripercorrere la storia della nostra fede, la quale vede il mistero permanente dei tanti modi in cui la Chiesa ha meinsondabile dell’intreccio tra santità e peccato. Menditato sulla fede e prodotto progresso nella dottrina tre la prima evidenzia il grande apporto che uomini per dare certezza ai credenti nella loro vita di fede. e donne hanno offerto alla crescita ed allo sviluppo della comunità con la testimonianza della loro vita, Nella sua stessa struttura, il Catechismo della Chiesa il secondo deve provocare in ognuno una sincera e permanente opera di conversione per sperimentare la misericordia del Padre che a tutti va incontro. In questo tempo terremo fisso lo sguardo su Gesù Cristo, “colui che dà origine alla fede e la porta a compimento” (Eb 12,2): in lui trova compimento ogni travaglio ed anelito del cuore umano. La gioia dell’amore, la risposta al dramma della sofferenza e del dolore, la forza del perdono davanti all’offesa ricevuta e la vittoria della vita dinanzi al vuoto della morte, tutto trova compimento nel mistero della sua Incarnazione, del suo farsi uomo, del condividere con noi la debolezza umana per trasformarla con la potenza della sua Risurrezione. In lui, morto 14


11 ottobre 2012 / 24 novembre 2013 - Chiesa Universale Anno della fede 11 ottobre 2012 /24 novembre 2013 e risorto per la nostra salvezza, trovano piena luce gli esempi di fede che hanno segnato questi duemila anni della nostra storia di salvezza. Per fede Maria accolse la parola dell’Angelo e credette all’annuncio che sarebbe divenuta Madre di Dio nell’obbedienza della sua dedizione (cfr Lc 1,38). Visitando Elisabetta innalzò il suo canto di lode all’Altissimo per le meraviglie che compiva in quanti si affidano a Lui (cfr Lc 1,46-55). Con gioia e trepidazione diede alla luce il suo unico Figlio, mantenendo intatta la verginità (cfr Lc 2,6-7). Confidando in Giuseppe suo sposo, portò Gesù in Egitto per salvarlo dalla persecuzione di Erode (cfr Mt 2,13-15). Con la stessa fede seguì il Signore nella sua predicazione e rimase con Lui fin sul Golgota (cfr Gv 19,25-27). Con fede Maria assaporò i frutti della risurrezione di Gesù e, custodendo ogni ricordo nel suo cuore (cfr Lc 2,19.51), lo trasmise ai Dodici riuniti con lei nel Cenacolo per ricevere lo Spirito Santo (cfr At 1,14; 2,1-4).

7,9; 13,8), hanno confessato la bellezza di seguire il Signore Gesù là dove venivano chiamati a dare testimonianza del loro essere cristiani: nella famiglia, nella professione, nella vita pubblica, nell’esercizio dei carismi e ministeri ai quali furono chiamati.

Per fede gli Apostoli lasciarono ogni cosa per seguire il Maestro (cfr Mc 10,28). Credettero alle parole con le quali annunciava il Regno di Dio presente e realizza- Per fede viviamo anche noi: per il riconoscimento vivo del Signore Gesù, presente nella nostra esistenza e to nella sua persona (cfr Lc 11,20). Vissero in comunella storia. nione di vita con Gesù che li istruiva con il suo insegnamento, lasciando loro una nuova regola di vita con la quale sarebbero stati riconosciuti come suoi 14. L’Anno della fede sarà anche un’occasione propizia per intensificare la testimonianza della carità. Ridiscepoli dopo la sua morte (cfr Gv 13,34-35). Per corda san Paolo: “Ora dunque rimangono queste tre fede andarono nel mondo intero, seguendo il mancose: la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande dato di portare il Vangelo ad ogni creatura (cfr Mc di tutte è la carità!” (1Cor 13,13). Con parole anco16,15) e, senza alcun timore, annunciarono a tutti la ra più forti - che da sempre impegnano i cristiani gioia della risurrezione di cui furono fedeli testimoni. l’apostolo Giacomo affermava: “A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede, ma non ha le opere? Per fede i discepoli formarono la prima comunità racQuella fede può forse salvarlo? Se un fratello o una colta intorno all’insegnamento degli Apostoli, nella sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quopreghiera, nella celebrazione dell’Eucaristia, mettentidiano e uno di voi dice loro: «Andatevene in pace, do in comune quanto possedevano per sovvenire alle riscaldatevi e saziatevi», ma non date loro il necessanecessità dei fratelli (cfr At 2,42-47). rio per il corpo, a che cosa serve? Così anche la fede: se non è seguita dalle opere, in se stessa è morta. Al Per fede i martiri donarono la loro vita, per testimoniare contrario uno potrebbe dire: «Tu hai la fede e io ho le la verità del Vangelo che li aveva trasformati e resi opere; mostrami la tua fede senza le opere, ed io con capaci di giungere fino al dono più grande dell’amole mie opere ti mostrerò la mia fede»” (Gc 2,14-18). re con il perdono dei propri persecutori. Per fede uomini e donne hanno consacrato la loro vita La fede senza la carità non porta frutto e la carità senza la fede sarebbe un sentimento in balia costante del a Cristo, lasciando ogni cosa per vivere in semplicità dubbio. Fede e carità si esigono a vicenda, così che evangelica l’obbedienza, la povertà e la castità, segni l’una permette all’altra di attuare il suo cammino. concreti dell’attesa del Signore che non tarda a veniNon pochi cristiani, infatti, dedicano la loro vita con re. Per fede tanti cristiani hanno promosso un’azione amore a chi è solo, emarginato o escluso come a coa favore della giustizia per rendere concreta la parolui che è il primo verso cui andare e il più importante la del Signore, venuto ad annunciare la liberazione da sostenere, perché proprio in lui si riflette il volto dall’oppressione e un anno di grazia per tutti (cfr Lc stesso di Cristo. Grazie alla fede possiamo ricono4,18-19). scere in quanti chiedono il nostro amore il volto del Signore risorto. “Tutto quello che avete fatto a uno Per fede, nel corso dei secoli, uomini e donne di tutte le solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto età, il cui nome è scritto nel Libro della vita (cfr Ap 15


Chiesa Universale Anno della fede 11 ottobre 2012 / 24 novembre 2013 - Chiesa Universale Anno della fede 11 credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre raggiungete la mèta della vostra fede: la salvezza delle anime” (1Pt 1,6-9). La vita dei cristiani conosce l’esperienza della gioia e quella della sofferenza. Quanti Santi hanno vissuto la solitudine! Quanti credenti, anche ai nostri giorni, sono provati dal silenzio di Dio mentre vorrebbero ascoltare la sua voce consolante! Le prove della vita, mentre consentono di comprendere il mistero della Croce e di partecipare alle sofferenze di Cristo (cfr Col 1,24), sono preludio alla gioia e alla speranza cui la fede conduce: “quando sono debole, è allora che sono forte” (2Cor 12,10). Noi crediamo con ferma certezza che il Signore Gesù ha sconfitto il male e la morte. Con questa sicura fiducia ci affidiamo a Lui: Egli, presente in mezzo a noi, vince il potere del maligno (cfr Lc 11,20) e la Chiesa, comunità visibile della sua misericordia, permane in Lui come segno della riconciliazione definitiva con il Padre.

a me” (Mt 25,40): queste sue parole sono un monito da non dimenticare ed un invito perenne a ridonare quell’amore con cui Egli si prende cura di noi. E’ la fede che permette di riconoscere Cristo ed è il suo stesso amore che spinge a soccorrerlo ogni volta che si fa nostro prossimo nel cammino della vita. Sostenuti dalla fede, guardiamo con speranza al nostro impegno nel mondo, in attesa di “nuovi cieli e una terra nuova, nei quali abita la giustizia” (2Pt 3,13; cfr Ap 21,1). 15. Giunto ormai al termine della sua vita, l’apostolo Paolo chiede al discepolo Timoteo di “cercare la fede” (cfr 2Tm 2,22) con la stessa costanza di quando era ragazzo (cfr 2Tm 3,15). Sentiamo questo invito rivolto a ciascuno di noi, perché nessuno diventi pigro nella fede. Essa è compagna di vita che permette di percepire con sguardo sempre nuovo le meraviglie

Affidiamo alla Madre di Dio, proclamata “beata” perché “ha creduto” (Lc 1,45), questo tempo di grazia. Dato a Roma, presso San Pietro, l’11 ottobre dell’Anno 2011, settimo di Pontificato. BENEDETTO XVI

che Dio compie per noi. Intenta a cogliere i segni dei tempi nell’oggi della storia, la fede impegna ognuno di noi a diventare segno vivo della presenza del Risorto nel mondo. Ciò di cui il mondo oggi ha particolarmente bisogno è la testimonianza credibile di quanti, illuminati nella mente e nel cuore dalla Parola del Signore, sono capaci di aprire il cuore e la mente di tanti al desiderio di Dio e della vita vera, quella che non ha fine. “La Parola del Signore corra e sia glorificata” (2Ts 3,1): possa questo Anno della fede rendere sempre più saldo il rapporto con Cristo Signore, poiché solo in Lui vi è la certezza per guardare al futuro e la garanzia di un amore autentico e duraturo. Le parole dell’apostolo Pietro gettano un ultimo squarcio di luce sulla fede: “Perciò siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere, per un po’ di tempo, afflitti da varie prove, affinché la vostra fede, messa alla prova, molto più preziosa dell’oro – destinato a perire e tuttavia purificato con fuoco – torni a vostra lode, gloria e onore quando Gesù Cristo si manifesterà. Voi lo amate, pur senza averlo visto e ora, senza vederlo,

[1] Omelia per l’inizio del ministero petrino del Vescovo di Roma (24 aprile 2005): AAS 97(2005), 710. [2] Cfr BENEDETTO XVI, Omelia S. Messa al Terreiro do Paço, Lisbona (11 maggio 2010): Insegnamenti VI,1(2010), 673. [3] Cfr GIOVANNI PAOLO II, Cost. ap. Fidei depositum (11 ottobre 1992): AAS 86(1994), 113-118. [4] Cfr Rapporto finale del Secondo Sinodo Straordinario dei Vescovi (7 dicembre 1985), II, B, a, 4: in Enchiridion Vaticanum, vol. 9, n. 1797. [5] PAOLO VI, Esort. ap. Petrum et Paulum Apostolos, nel XIX centenario del martirio dei Santi Apostoli Pietro e Paolo (22 febbraio 1967): AAS 59(1967), 196. [6] Ibid., 198. [7] PAOLO VI, Solenne Professione di fede, Omelia per la Concelebrazione nel XIX centenario del martirio dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, a conclusione dell’ “Anno della fede” (30 giugno 1968): AAS 60(1968), 433-445. [8] ID., Udienza Generale (14 giugno 1967): Insegnamenti V(1967), 801. [9] GIOVANNI PAOLO II, Lett. ap. Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), 57: AAS 93(2001), 308. [10] Discorso alla Curia Romana (22 dicembre 2005): AAS 98(2006), 52. [11] CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 8. [12] De utilitate credendi, 1,2. [13] Cfr AGOSTINO D’IPPONA, Confessioni, I,1. [14] CONC. ECUM. VAT. II, Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, 10. [15] Cfr GIOVANNI PAOLO II, Cost. ap. Fidei depositum (11 ottobre 1992): AAS 86(1994), 116. [16] Sermo 215,1. [17] Catechismo della Chiesa Cattolica, 167. [18] Cfr CONC. ECUM. VAT. I, Cost. dogm. sulla fede cattolica Dei Filius, cap. III: DS 3008-3009; CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. sulla divina rivelazione Dei Verbum, 5. [19] BENEDETTO XVI, Discorso al Collège des Bernardins, Parigi (12 settembre 2008): AAS 100(2008), 722. [20] Cfr AGOSTINO D’IPPONA, Confessioni, XIII, 1. [21] GIOVANNI PAOLO II, Cost. ap. Fidei depositum (11 ottobre 1992): AAS 86(1994), 115 e 117. [22] Cfr ID., Lett. enc. Fides et ratio (14 settembre 1998), nn. 34 e106: AAS 91(1999), 31-32, 86-87.

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1 ottobre 2012 / 24 novembre 2013 - Chiesa Universale Anno della fede 11 ottobre 2012 /24 novembre 2013

Nota
 con indicazioni pastorali per l’Anno della fede della Congregazione per la dottrina della fede

A livello di parrocchie 1. Tutti i fedeli sono invitati a leggere e meditare attentamente la Lettera apostolica Porta fidei del Santo Padre Benedetto XVI. 2. L’Anno della fede «sarà un’occasione propizia per intensificare la celebrazione della fede nella liturgia, e in particolare nell’Eucaristia»[31]. Nell’Eucarestia, mistero della fede e sorgente della nuova evangelizzazione, la fede della Chiesa viene proclamata, celebrata e fortificata. Tutti i fedeli sono invitati a prendervi parte consapevolmente, attivamente e fruttuosamente, per essere autentici testimoni del Signore. 3. I sacerdoti potranno dedicare maggior attenzione allo studio dei Documenti del Concilio Vaticano II e del Catechismo della Chiesa Cattolica, traendone frutto per la pastorale parrocchiale – la catechesi, la predicazione, la preparazione ai sacramenti – e proponendo cicli di omelie sulla fede o su alcuni suoi aspetti specifici, come ad esempio, “l’incontro con Cristo”, “i contenuti fondamentali del Credo”, “la fede e la Chiesa” [32]. 4. I catechisti potranno attingere maggiormente alla ricchezza dottrinale del Catechismo della Chiesa Cattolica e guidare, sotto la responsabilità dei rispettivi parroci, gruppi di fedeli per la lettura e il comune approfondimento di questo prezioso strumento, al fine di creare piccole comunità di fede e di testimonianza del Signore Gesù. 5. Nelle parrocchie si auspica un rinnovato impegno nella diffusione e nella distribuzione del Catechismo della Chiesa Cattolica o di altri sussidi adatti alle famiglie, autentiche chiese domestiche e luoghi primari di trasmissione della fede, ad esempio nel contesto delle benedizioni delle case, dei Battesimi degli adulti, delle Confermazioni, dei Matrimoni. Ciò potrà contribuire alla confessione e all’approfondimento della dottrina cattolica «nelle nostre case e presso le nostre famiglie, perché ognuno senta forte l’esigenza di conoscere meglio e di trasmettere alle generazioni future la fede di sempre»[33]. 6. Sarà opportuno promuovere missioni popolari e altre iniziative, nelle parrocchie e nei luoghi di lavoro, per aiutare i fedeli a riscoprire il dono della fede battesimale e la responsabilità della sua testimonianza, nella consapevolezza che la vocazione cristiana «è per sua natura anche vocazione all’apostolato»[34]. 7. In questo tempo, i membri degli Istituti di Vita Consacrata e delle Società di Vita Apostolica sono sollecitati ad impegnarsi nella nuova evangelizzazione, con una rinnovata adesione al Signore Gesù, mediante l’apporto dei propri carismi e nella fedeltà al Santo Padre ed alla sana dottrina. ... 10. Tutti i fedeli, chiamati a ravvivare il dono della fede, cercheranno di comunicare la propria esperienza di fede e di carità[35] dialogando coi loro fratelli e sorelle, anche delle altre confessioni cristiane, con i seguaci di altre religioni, e con coloro che non credono, oppure sono indifferenti. In tal modo si auspica che l’intero popolo cristiano inizi una sorta di missione verso coloro con cui vive e lavora, nella consapevolezza di aver «ricevuto un messaggio di salvezza da proporre a tutti»[36]. 17


Il Concilio compie 50 anni

Il Concilio: rivoluzione copernicana

Il Concilio Vaticano II si è aperto l’11 ottobre 1962. Chi lo ha progettato? Quale atmosfera si respirava? Ce ne parlano il cardinal Martini e il Vescovo Bettazzi. “Di quei giorni conservo soprattutto il ricordo dell’atmosfera. Una sensazione di entusiasmo, di gioia e di apertura che ci pervadeva. Ho trascorso durante il Concilio gli anni migliori della mia vita, non solo e non tanto perché ero giovane, ma perche finalmente si usciva da un’atmosfera che sapeva un po’ di muffa, di stantio, e si aprivano porte e finestre, circolava l’aria pura, si guardava al dialogo con altre realtà, e la Chiesa appariva veramente capace di affrontare il mondo moderno. Tutto questo, lo ripeto, ci dava una grande gioia e una grande carica d’entusiasmo”. A parlare così, in un recente intervento, è stato il Cardinal Carlo Maria Martini. Una memoria grata di un avvenimento - il Concilio Vaticano II - che ha segnato, in maniera irreversibile, la vita della Chiesa. Fu Giovanni XXIII a volerlo, poco tempo dopo la sua elezione (28 ottobre 1958). Il papa bergamasco, pensato e votato in Conclave come papa di “transizione”, maturò presto la necessità di precisare e distinguere fra ciò che è principio sacro e Vangelo eterno, e ciò che è mutevolezza dei tempi. Il suo annuncio - il 25 gennaio del 1959, nella Basilica di San Paolo fuori le Mura - stupì molti. Il percorso avviato, probabilmente, fu diverso da quanto inizialmente previsto dallo stesso Pontefice che, all’inizio, pensava di chiudere tutto abbastanza in fretta. Il 17 maggio dello stesso anno si insediò la commissione antepreparatoria. In quell’occasione il Papa illustrò le finalità del concilio: aumentare la coesione interna e l’apertura ai problemi del mondo contemporaneo. La commissione, attraverso il Segretario di Stato, mons. Tadini, invitò 2594 vescovi e superiori di vari ordini, università e facoltà cattoliche ad inviare proposte di argomenti da discutere. Tali “postulati” ammontarono a 2812. Vennero quindi vagliati e passati ai competenti organismi della Curia che a loro volta elaborarono “proposita et monita”. Il 5 giugno 1960 con il motu proprio “Supernu Dei Natu” comincia la fase preparatoria con l’istituzione di dieci commissioni che, ad eccezione di quella per l’apostolato dei laici, ricalcavano gli organismi centrali della curia romana. Questa impostazione sottomise le commissioni preparatorie al condizionamento della Curia e determinò in ultima ana-

lisi uno dei fenomeni più caratterizzanti del Concilio: su 69 schemi presentati alle congregazioni generali della prima sessione, solo tre servirono come effettivo riferimento per i rispettivi decreti conciliari. Ben trenta furono bocciati. Ciò ebbe come conseguenza il passaggio della leadership ideologica del concilio dalla piccola ma influente schiera dei tradizionalisti alla grande maggioranza moderatamente progressista.

ALLA RICERCA DEI SEGNI DEI TEMPI «Nella santa Messa di mezzanotte per il Corpo diplomatico nella sala Clementina... Immediatamente dopo celebrai la seconda e terza Messa nella mia cappella privata... Alle ore 9 mia firma solenne della Bolla di indizione del Concilio, sempre nella Sala Clementina. Era presente anche il cardinale Copello, gran cancelliere di Santa Romana Chiesa. Mi servii per la firma di una penna d’oro regalatami dall’Osservatore Romano per l’occasione. Alle 12.30 nella stessa Sala Clementina mio breve discorso con riferimento alla indizione del Concilio e alla benedizione di Natale che di là diedi in tiara, Urbi et orbi». Così, il giorno di Natale del 1961, Giovanni XXIII, sul suo diario, descriveva uno dei passi formali, ma decisivi, verso la celebrazione dell’evento conciliare già nel pieno della sua fase preparatoria: la firma della bolla Humanae salutìs. Un testo da riprendere in mano. Vi si legge che il Concilio avrebbe cercato di «contribuire più efficacemente alla soluzione dei problemi dell’età moderna» affrontando dunque la già grave crisi della società. E tuttavia un testo sereno, venato di ottimismo, con il Pontefice che affermava «facendo nostra la raccomandazione di saper distinguere “i segni dei tempi” ci sembra di scorgere, in mezzo a tante tenebre, indizi non pochi che fanno bene sperare sulle sorti della Chiesa e della umanità...». Uno sguardo non risentito, capace di speranza. «Pur non avendo finalità direttamente terrestri, essa (la Chiesa) tuttavia non può disinteressarsi nel suo cammino dei problemi e dei travagli di quaggiù. Sa quanto giovino al bene dell’anima quei mez18


Il Concilio aprì le finestre della Chiesa, suscitando speranze straordinarie... In realtà, il clima al di fuori del Concilio era allora di molta speranza: in un mondo che sentiva il bisogno di forti mutamenti (che scoppiarono poi tra i giovani e gli operai nel 1968 e nel 1969), un cambiamento nella Chiesa - l’organizzazione più estesa e massiccia del mondo - dava a tutti il primo annuncio di novità. Al di dentro dell’Assemblea era evidente la tensione tra quanti - ed erano la maggioranza -spingevano per il rinnovamento e quanti invece - minoranza, ma agguerrita ed autorevole - si appellavano alla tradizione per frenare la riforma. Finito il Concilio, la minoranza potè emergere anche forse per gli eccessi di chi, in nome del Concilio, portava avanti trasformazioni sostanziali. I Papi, per mantenere doverosamente l’unità della Chiesa, hanno dovuto tener conto anche di questa minoranza, forse anche fisicamente più vicina a loro; e questo può aver dato l’impressione che si volesse attaccare il Concilio e che quindi lo si dovesse “difendere”. Se dovesse presentare il nucleo dell’evento conciliare a un nostro contemporaneo, quali sarebbero i punti chiave che indicherebbe? Un elemento fondamentale fu il cambio di prospettiva proposto da Papa Giovanni, che lo volle più come Concilio “pastorale” che come Concilio “dogmatico”, partendo cioè non dalle definizioni di verità da credere (dogmi) bensì dalla mentalità e dalle attese della gente d’oggi per portarla ad accogliere le verità della fede. Questo è stato riproposto anche di recente come pretesto per non accettarlo (“è stata solo un’Assemblea pastorale!”...); mentre invece ha portato a valutare e perseguire le verità di sempre in modo nuovo (o, forse, nel modo originario). Pensiamo ad esempio alla fede, prima spesso valutata secondo l’estensione delle verità credute, oggi invece commisurata all’adesione alla Parola di Dio o alla Liturgia, a cui prima si “assisteva” e oggi si “partecipa”. Credo che i punti chiave del Concilio siano da individuare nelle quattro Costituzioni: rivalutazione della Parola di Dio (Costituzione Dei Verbum), vitalità della liturgia (Sacrosanctum Concilium), una Chiesa misurata sulla comunione a tutti i livelli (Lumen gentium) e aperta con simpatia a tutta l’umanità (Gaudium et spes). Lei ha parlato spesso del Concilio come di una “rivoluzione copernicana”. A che punto siamo ? Credo sia da riconoscere la realtà di una Chiesa non monopolizzatrice della salvezza: “extra Ecclesiam nulla salus” non vuol dire che non ci si salva al di fuori dei confini istituzionali della Chiesa, bensì che non ci sarebbe per l’umail Vescovo Bettazzi nità una speranza concreta di miglioramento (di salvezza, potremmo dire) se non ci fosse la Chiesa. Le “rivoluzioni” sono iniziate, ma il cammino è lungo e faticoso, dopo due millenni di monopolio della salvezza e di pratica identificazione della Chiesa con la gerarchia. Ma indietro non si torna.

zi che sono atti a rendere più umana la vita ai singoli uomini che devono essere salvati; sa che, vivificando l’ordine temporale, che con la luce di Cristo rivela pure gli uomini a se stessi, li conduce cioè a scoprire in se stessi il proprio essere, la propria dignità, il proprio fine». Insomma, a stagliarsi era già l’attesa nuova fase per la vita della Chiesa. Punto ancora taciuto nel documento era la data precisa dell’avvio del Concilio, genericamente convocato - si poteva leggere - «per il prossimo anno 1962». Tuttavia la lacuna non angosciava il Papa ottantenne che aveva appena ricevuto gli auguri di compleanno dal Cremlino (e aveva risposto a Kruscev associando nelle sue espressioni cordiali il popolo russo). Papa Roncalli vedeva il piccolo seme, lanciato tre anni prima, trasformato in una pianta. Per il momento si accontentava di procedere «a vista». Poco tempo prima, parlando con Jean Guitton e indicandogli la cupola dell’osservatorio di Castel Gandolfo, aveva detto al filosofo francese: «Questi sapienti astronomi, per guidare gli uomini, si servono di strumenti molto complicati. Io invece non li conosco. Io mi accontento, come Abramo, di avanzare nella notte, passo dopo l’altro, alla luce delle stelle». Di queste cose parlo con mons. Luigi Bettazzi, oggi alla soglia dei novant’anni. Al tempo del Concilio, Bettazzi era il vescovo italiano più giovane e ne è stato poi testimone intelligente e appassionato. Nel 1963, lei a 40 anni entrava al Concilio Vaticano II. Come ha vissuto questa esperienza? È stata una grande grazia; l’esperienza della Chiesa cattolica, universale, con la presenza attiva di vescovi di tutte le razze e di tutte le culture. Questa globalità fu enfatizzata in me dal fatto di essere vescovo ausiliare del Card. Lercaro, uno dei quattro Moderatori del Concilio. Chi voleva avvicinarlo o sollecitava la sua attenzione non di rado richiedeva la mia mediazione; non a caso ebbi presente alla mia ordinazione episcopale Roger Schutz di Taizé, ed ebbi modo di frequentare il gruppo impegnato a sviluppare il tema della Chiesa dei poveri (fu lì, ad esempio, che iniziai a frequentare il brasiliano dom Helder Camara). Mi aiutò anche la frequentazione di vescovi attratti dalla spiritualità di Charles de Foucauld, il gruppo che si venne formando, venti vescovi provenienti da diciotto nazioni di tre continenti, si radunava tutte le settimane, dando luogo a scambi e incoraggiamenti fruttuosi. Ed io, vescovo giovane, mi rendevo conto che, se ufficialmente ero un Padre, vi entravo come un alunno. Un noto vescovo italiano ha spesso ripetuto che il Concilio è stato il suo secondo seminario. Cardinal Martini

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I GESTI DELLA FEDE riscoperti in famiglia - Benedire,spezzare il pane- I GESTI DELLA FEDE

LA FEDE HA I SUOI GESTI La fede ha le sue feste. La fede ha i suoi gesti. Attraversano tutta la sua esistenza anche feriale. Dopo aver presentato i segni del recarsi al tempio e dell’ entrare in queste pagine riscopriamo il valore del Benedire e Spezzare il pane..

I gesti della fede

BENEDIRE,SPEZZARE IL PANE UNA MANO BENEDICENTE

La penombra di un’osteria. Cinque figure che emergono. Una tovaglia bianca che pare dar luce a tutto. In pieno rilievo la mano benedicente di Gesù. La tavola è imbandita. Ogni elemento del quadro ci rimanda all’Eucarestia. Due sono i verbi che noi coniughiamo: benedire e spezzare il pane. Gli interrogativi Che significato hanno nella Sacra Scrittura questi due verbi? Quale portata assumono se li compie Gesù? Perché la comunità li ha inseriti nella celebrazione della Cena del Signore? Commento artistico

TUTTA LA MIA VITA IN UN GESTO

È uno dei più bei quadri “sacri” della storia dell’arte cristiana. Gesù sta compiendo un gesto riassuntivo di tutta la sua vita. Guardando questa mano, fissandola a lungo, vengono in mente tutti i gesti di Gesù: mano che chiama, mano che perdona, mano che guarisce, mano che si contorce sotto i colpi dei chiodi, mano che lava i piedi, mano che prende in mano la propria vita per donarla ai suoi. Caravaggio ambienta questa splendida mano benedicente del Cristo in un contesto di semplice ferialità. I padroni dell’osteria e i due pellegrini di Emmaus sono i suoi amici di osteria, anche il tavolo è quello della sua osteria. Eppure è proprio lì che quella mano si eleva. Il concilio di Trento voleva introdurre nell’arte la semplicità dei volti e dei gesti quotidiani. Non voleva abbassare il livello dell’arte. Ma ci voleva un Caravaggio (e altri pochi) per non scivolare nell’immaginetta illustrativa. Qui il Cristo dà corpo al gesto che da sempre Dio pensava di rivelare al mondo: “Io vi amo, io vi benedico”. Ed è dall’eternità che Dio pensava a un pane che fosse puro dono, pura grazia. Ma è impressionante l’audacia del Caravaggio: ha dato al Cristo il proprio volto, trasfigurandolo. Il pittore ha addosso la macchia del delitto che ha da poco commesso e per il quale è in fuga, inseguito da una condanna a morte. La sua tragedia, il suo volto esasperato potranno mai essere presi, incarnati dal Cristo Caravaggio, Emmaus, 1606, Milano, Pinacoteca di Brera 20


E riscoperti in famiglia - Benedire,spezzare il pane - I GESTI DELLA FEDE riscoperti in famiglia-

al punto tale che il peccato si trasfiguri addirittura nel volto della Misericordia, del Perdono, del puro Dono? La risposta è sì. Ma non è un sì facile. Devi attraversare la notte, per lasciarti raggiungere da questo mistero. E quanta notte nei quadri del Caravaggio! In questa notte ci sono tutte le notti delle nostre miserie, tutti gli abissi dei nostri peccati, ma anche tutta la profondità del mistero di Dio. Infine, il Caravaggio non si è accontentato di lasciarsi “benedire” prestando il volto al Cristo. Il pittore è anche ciascuno dei pellegrini di Emmaus, si sente uno di loro. Ma non chiamiamoli pellegrini! In realtà erano in fuga, erano impauriti, si sentivano falliti. Solo quella mano alzata ha fatto ritrovare loro la vera casa.

Percorso biblico

IL GUSTO DI DIO Il nostro percorso visita tre diverse mense, in tre differenti situazioni collegabili tra loro A mensa con Israele Partecipiamo, idealmente, ad un pasto con il popolo d’Israele. Interrompiamo il lavoro. Ci sediamo a mensa. Ci sentiamo in tal modo commensali di Dio al banchetto del Regno. Ci adagiamo sugli schienali. Possiamo guardarci in faccia. Assumiamo lentamente il cibo. Ne apprezziamo tutto il gusto. Arriva a noi il sapore della creazione. Diciamo, sin dall’inizio, rivolti a Dio “Benedetto sei tu, Signore!”. Capiamo che ogni cosa è sua. Comprendiamo che ogni cosa è regalata a noi. Gli uomini stessi sono consegnati in dono gli uni agli altri. Anche i figli che siedono accanto a noi sono segnali della benedizione di Dio. Egli è per noi vita, protezione, salute, promessa di fecondità. Chi svolge il ruolo di padre di famiglia, ogni volta che spezza il pane e fa passare il vino, deve narrare le meraviglie di Dio. Ogni generazione deve portare avanti il filo della riconoscenza, della benedizione. A cena con Gesù, nel Cenacolo Si avvicina la Pasqua. Gesù siede a mensa con noi, suoi discepoli. C’è un’intimità straordinaria. Si sente nell’aria l’aspettativa di un evento decisivo. Ecco la sequenza dei gesti di Gesù: prende il pane, benedice Dio, lo spezza, lo dona. È come se prendesse in mano la creazione. In quell’ora solenne dice “Grazie” al Padre. Lo riconosce come fonte di ogni vita.

Intende mimare la sua morte. Il vero dono che egli fa non è né il pane né il vino, ma ciò che essi significano: l’esistenza e la persona sua. Egli sarà, tra poco, pane spezzato e vino versato. Sarà, tramite la croce, vita e gioia. Le parole che egli pronuncia “Prendete e mangiate… Prendete e bevete” dicono per che cosa egli è vissuto e per che cosa egli sta per morire. Il fallimento è il culmine del dono. La croce, che era maledizione, diventa benedizione per noi tutti (Gal 3,13-14). Proprio con la sconfitta Gesù è convinto che realizzerà il Regno. Ancora spezzerà il pane, ancora berrà il vino. Intanto sa che nel dono di sé realizza un’alleanza nuova, indissolubile, nel suo sangue (Lc 22,14-20). Con i discepoli, ad Emmaus Per entrare in questa scena abbiamo l’efficace aiuto delle 2 immagini: Emmaus di Caravaggio e I pellegrini di Emmaus di Francisco de Zurbaran. Siamo fuggiti da Gerusalemme. Vogliamo dimenticare tre anni della nostra vita. Seppelliamo con un passato remoto (che fu profeta potente in parole ed opere) Gesù di Nazareth. Si fa incontro a noi un pellegrino. Prende il nostro passo. Ci ascolta. Poi comincia a spiegarci le Scritture. Sentiamo che il nostro cuore si sta riscaldando. Gli diciamo: “Resta con noi. La notte si avvicina”. Accetta il nostro invito. Entriamo in una locanda. Sediamo a mensa con lui. Egli compie questi gesti: benedice Dio, spezza il pane, ce lo dona. È una sequenza da noi conosciuta. Ci rimanda all’indietro, ci rimanda ad un’altra cena. I nostri occhi si aprono: è lui. È risorto. Anche qui egli rende lode al Padre e ci regala come cibo tutto se stesso. È urgente che noi torniamo a Gerusalemme dai nostri fratelli. D’ora in poi il gesto di spezzare il pane sarà quello che rivela la nostra identità di discepoli del Risorto (At 2,42).

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I GESTI DELLA FEDE riscoperti in famiglia - Accogliere la Parola- I GESTI DELLA FEDE r Commento artistico

CORPO SPEZZATO COME IL PANE

Anche se l’esperto ci viene a dire che questa è opera dello spagnolo Francisco de Zurbaran (1598-1664), che in essa arriva anche l’onda lunga della luce caravaggesca e che qui ci troviamo davanti a un grande esempio di misticismo spagnolo, a noi non basta. Qui ci viene richiesto, come avviene con Caravaggio, di rivivere il tema di Emmaus con un realismo che è tanto più intenso quanto più profondo è il processo di interiorizzazione. Tutti gli oggetti sul tavolo sono così belli e veri che tu vorresti guardarli a lungo, con lo stupore di chi sembra vederli per la prima volta. Ti verrebbe voglia di guardarli con la lente di ingrandimento per cogliere il segreto di questa “presenza”. Ma tu di qua e loro di là. E invece ti trovi in ginocchio, oltre il miracolo di questa presenza. Perché? Gesù sta rompendo il pane e in quella ferita entra una luce straordinaria. Quel pane è il suo corpo. E di colpo si crea un silenzio che prepara il suo rientrare nell’Assenza che è la notte della fede. Ma che esperienza stiamo vivendo! Stiamo contemplando il volto di Lui: solenne, calmo. Interiorizzato, risorto. Il dono che ha tra le mani è senza ritorno, è dato per sempre. La parte superiore del suo volto entra apparentemente nell’ombra. In realtà entra in una luce a cui i nostri occhi non hanno accesso. È il fatto di riconoscerlo Francisco de Zurbaran, che sta illuminando i pellegrini, la tavola e i vari ogI pellegrini di Emmaus, 1639, getti. Della sua luce presto resterà solo il calore. Ma Mexico, Museo San Carlos resterà anche il Pane. Per sempre. E gli altri oggetti, la nostra quotidiana realtà visibile agli occhi, ciò che prima stava muto e opaco sotto i nostri occhi saranno sostanziati dell’indicibile e dell’inimmaginabile. “Nada te turbe/ Nada te espante/ Todo se pasa/ Dios no se muda”. Parole di Teresa d’Avila che sono diventate nostre, perché per un attimo anche a noi, uomini del frammento e della dispersione, è concesso, nel sacramento del Pane, di vedere e di toccare che “Dio è la luce del sole nel corpo del mondo” (parole di un mistico). Quella luce proveniente dalla ferita del Pane è la sua, come sue sono le parole: “ Io sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me”.(Ap 3,20) Vademecum liturgico

IN GESU’ OGNI BENEDIZIONE La liturgia sottolinea i due movimenti della benedizione, uno ascendente ed uno discendente. C’è la benedizione ascendente Il gesto sommo è l’Eucarestia. Esprime la lode del credente, di Gesù, dell’umanità intera. Sale verso il Padre. A partire dal Prefazio si narra, di volta in volta, un aspetto del mistero di Cristo. Il benedire trova il suo culmine nella dossologia: tutta la storia, la creazione ritorna al Padre per mezzo di Gesù ed in forza dello Spirito. Prima della Comunione chi presiede spezza il pane. Ne sottolinea la destinazione universale. È cibo disceso dal cielo per ogni essere vivente. C’è la benedizione discendente Sottolinea il flusso di grazia, il fiume di benevolenza che, dopo la Pasqua di Cristo, inonda persone, luoghi e cose. I gesti con cui tale movimento si esprime sono: 22


riscoperti in famiglia - Accogliere la Parola-- I GESTI DELLA FEDE riscoperti in famiglia - L’imposizione delle mani. Ricorda il gesto che Gesù ha lasciato ai discepoli (Mc 16,18). Anche i genitori possono compierlo sui figli (Benedizionale n. 62). - Il segno della croce su persone e cose. Celebrare - L’aspersione con l’acqua benedetta. Fa memoria dell’evento pasquale e del Battesimo. È proprio linfa che esce dal BENEDICI IL SIGNORE, ANIMA MIA cuore trafitto di Cristo (Gv 19,34). Si fa all’inizio dell’Euca restia, in Avvento e Quaresima. Si pratica nella benedizione Benedici il Signore, anima mia, delle cose. quanto è in me benedica il suo santo nome. 2 Benedici il Signore, anima mia, -A conclusione dell’Eucarestia c’è questo efficace augurio non dimenticare tutti i suoi benefici. “Vi benedica Dio onnipotente, Padre Figlio e Spirito Santo”. 3 Egli perdona tutte le tue colpe, -Chi riceve la benedizione china il capo o si inginocchia. guarisce tutte le tue infermità, Pensa giustamente tra sé: Dio mi assiste; è qui; mi rende 4 salva dalla fossa la tua vita, forte in presenza delle difficoltà della vita. ti circonda di bontà e misericordia,

5 sazia di beni la tua vecchiaia, si rinnova come aquila la tua giovinezza. 6 Il Signore compie cose giuste, difende i diritti di tutti gli oppressi. 7 Ha fatto conoscere a Mosè le sue vie, le sue opere ai figli d’Israele. 8 Misericordioso e pietoso è il Signore, lento all’ira e grande nell’amore. 9 Non è in lite per sempre, non rimane adirato in eterno. 10 Non ci tratta secondo i nostri peccati e non ci ripaga secondo le nostre colpe. 11 Perché quanto il cielo è alto sulla terra, così la sua misericordia è potente su quelli che lo temono; 12 quanto dista l’oriente dall’occidente, così egli allontana da noi le nostre colpe. [Sal 103, 1-12]

TRAMATE CON NOI - per attivarsi in famiglia genitori e figli DALLA RICONOSCENZA ALLA CONDIVISIONE

• Che cosa vuol dire Benedire? E’ dire bene di tutto ciò che viviamo, di ciò che ci circonda, anche delle persone. Proviamo, per una giornata intera, a dire solo bene delle cose che vediamo, facciamo e delle persone. Può essere proposto un gioco dove sono coinvolti genitori e ragazzi. Vengono segnate solo le espressioni di malcontento che emergono nel gruppo. Come piccola penitenza chi ha fatto più fatica a benedire, alla sera dovrà preparare un momento bello (piccola festa, poesia, canzone, ...) per gli altri. • La preghiera prima del pasto, prima di una azione significativa è un modo per fermarsi, riconoscere il bene che viene dal Signore e benedire. Proviamo a fare questa piccola pausa e questo gesto in famiglia. • La domenica vestiamoci a festa. Dobbiamo ricordare a noi stessi quale meraviglia Dio ha operato per noi nel “primo giorno della settimana”. È il modo più bello per dire bene di Dio che ci ha fatto “bene”. • Ecco alcuni gesti di “riconoscenza” che sono presenti nella celebrazione eucaristica - Al rito della presentazione dei doni portiamo all’altare pane e vino. Ricordiamoci anche di fare arrivare lì ciò che serve per la vita dei poveri. A nome nostro, chi presiede dirà la preghiera: “Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo…” - Dal prefazio sino alla dossologia siamo coinvolti nel “grazie” che Gesù stesso rende al Padre. Dalla sua donazione in croce, discende poi a noi ogni benedizione. Con il messalino in mano, proviamo a identificare, di domenica in domenica, il dono per cui rendiamo grazie. - Dopo la celebrazione dell’Eucarestia, fermiamoci sul sagrato. Possiamo così vedere tutti quelli che sono oggetto della benedizione divina. • Aiutati dal quadro di Caravaggio e di Francisco de Zurbaran, mettiamoci nei panni dei due pellegrini di Emmaus. Osserviamo i gesti di Gesù: quale scena ci riportano alla memoria? Che cosa ha rappresentato per noi lo spezzare il pane operato da Gesù? Con chi lo spezziamo ogni giorno? • A cena, quando tutti siamo riuniti, possiamo spezzare un pane. Ognuno dà un pezzo agli altri membri della famiglia dicendo: Io, oggi, ho spezzato con te il pane della fatica del lavoro, dello studio … • Alla sera passiamo in rassegna i doni che Dio ci ha fatto. Diciamo: “Ti benediciamo, Signore perché…” • Diciamo il Salmo 103, riportato. Inizia con le parole “Benedici il Signore, anima mia” e continuiamolo liberamente. 23


Lo chiamano il momento dei ringraziamenti Lo chiamano il momento dei ringraziamenti, ma io non voglio ringraziare nessuno o meglio – se devo ringraziare qualcuno – ringrazio il Padre Eterno e chi nelle sue braccia mi ci ha spinto un po’ di più. Se ci siete anche voi tra quelli che mi ci hanno spinto sentitevi ringraziati tutti e… stop! Da questo versante forse ho finito. A ringraziare come si faceva un tempo, con l’età che mi ritrovo, vi terrei qui fino a notte o potrei dimenticarne troppi. Siete voi che dovete ringraziare. Ringraziate il Padre Eterno perché avete detto sì e avete partecipato in tanti e bene ad un evento di Chiesa. Ringraziate il Padre perché, più o meno coscientemente, credete in questo sacramento che fa i preti. Ringraziate il Padre perché continua a dare alla nostra Terra un qualche prete, anche se vecchietto o nonno o spedito alcune migliaia di km più in là. Ringraziate il Padre perché un nuovo prete è un’occasione in più per conoscere Lui e togliergli le maschere che gli abbiamo appiccicato addosso e che ci impediscono di riconoscere il suo amore e di fidarci e affidarci a Lui senza sospetti, senza timori, senza troppo moderne timidezze. Ringraziate il Padre perché potete approfittare di uno in più per tornare a casa sua e per camminare meglio. Ringraziate il Padre perché col suo Spirito lascia Gesù Cristo vivo in mezzo a noi, al nostro fianco, vita natural durante, al capezzale di ammalati

e moribondi, nel confessionale, all’altare, sul pulpito, su qualche altra cattedra: al mare, in montagna, per strada o in cortile con i vostri figli. Ringraziate il Padre perché da certi preti escono alcuni vescovi (come i nostri Angelo e Lorenzo qui presenti) che danno continuità alla nostra Chiesa. Ringraziate il Padre perché se siete qui è solo un bene che vi ha mosso. Allora chiedetevi cosa è questo bene chiedetevi perché site venuti chiedetevi come deve cambiare adesso,uscendo di qui la vostra vita in concreto e non per emozioni. E ringraziamo tutti il Padre che ci ha dato questa festa che è non la mia festa, ma la nostra. Ringraziamo Maria. Maria, regista di questa giornata. Maria, madre anche di questo prete attempato. Maria, donataci per Gesù, unico sacerdote eterno. Maria, sposa dello Spirito Santo che tiene vivi tutti questi doni che siete voi qui in questa chiesa. Maria, via maestra a Gesù e quindi al Paradiso, alla gioia perenne nell’abbraccio del Padre. E adesso anche i lontani non scappino subito “perché per via non vengano meno”. Per tutti qualcuno ha moltiplicato 2 pesci e 5 panini. Isidoro

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U

Isidoro, prete a ‘64 anni’

n fratello attorno al quale stringersi, due giorni di gioia, tre co munità in festa. Il 22 settembre scorso, l’ordinazione sacerdotale di don Isidoro Apostoli è stata accolta e celebrata dalla nostra Unità Pastorale con l’emozione che meritava, così come la sua prima messa nella giornata di domenica. Tante, infatti, le persone presenti nella basilica santuario al sì di Abba Isi, ulteriore passo di adesione alla chiamata di Cristo. «Tu senti il grido della nostra gente – gli ha detto Mons. Angelo Moreschi, vescovo di Gambella (Etiopia), durante la celebrazione da lui presieduta – ora diventi Abba e per la paternità di Dio il mondo intero diventa tuo figlio». Poi gli ha ricordato il sacrificio di Cristo, il pane spezzato e il sangue versato, attraverso i quali il sacerdote si accomuna a lui. «Benedetto XVI – ha proseguito Mons. Moreschi – ci ha chiesto di essere sacerdoti autentici nella nostra vita e nel nostro ministero». E lui, Abba Isi, all’età di 64 anni, davanti alla sua famiglia, ai salesiani di don Bosco, e agli amici del Sidamo, ha pronunciato e confermato il suo sì. «È significativo che l’ordinazione di Isidoro – ha affermato il sindaco, Mario Benetti, in conclusione alla celebrazione – arrivi nell’anno del centenario della morte del Tadini. Come quest’ultimo è stato missionario nel nostro comune, adoperandosi per i figli di queste comunità, così Abba Isi è missionario, compiendo la propria chiamata in Etiopia». Per sostenerlo in tutto questo, le comunità di San Gallo, Mattina e Sera, nei mesi precedenti l’ordinazione, si sono attivate con iniziative di vario genere, utili a raccogliere fondi da destinare poi alla costruzione di una cucina per i bambini di Dilla. Prima ancora, alcuni membri dell’Unità Pastorale avevano mostrato la vicinanza a Isidoro, partecipando, durante il mese di marzo, alle celebrazioni per il suo diaconato, svoltesi in Africa. Qui, dove è arrivato per la prima volta nel 1989 e dove, fino ad oggi, aveva operato Carissimi, come missionario laico, esprimo col cuore la mia riconoscenza don Isidoro torna ora per per quanto ricevuto in questi giorni riprendere il suo opera- e in quelli passati. to. Nella realtà etiope di Mi sono sentito ‘sollevato’ Zway ricoprirà i ruoli di dalle tante preghiere. coordinatore delle scuole La vostra vicinanza e incaricato degli oratori, si è generosamente manifestata ma con le nuove vesti di perché avete pensato a noi laggiù in Etiopia. padre. Serberò ricordo. Nadia Non ho registrazione di alcuni nomi, ma la preghiera e la benedizione li raggiungerà comunque.. Senza amici e benefattori non andiamo lontano. Vi benedico da prete, per intanto. Il Signore farà vedere a suo tempo quello che è nascosto agli occhi del mondo. Auguro ogni bene ai singoli e alle famiglie. Un abbraccio in don Bosco. Ci incontreremo lassù ...e sarà un’altra festa. Isidoro. 25


CARITAS

A 50 anni dal Concilio Vaticano II, a 40 anni dalla istituzione della Caritas Italiana, la Caritas Diocesana di Brescia intende guardare ai gesti, ai segni, alle tante opere di carità che hanno contribuito a rendere la chiesa particolare bresciana una “comunità in cammino” per dire grazie, semplicemente grazie a tutti coloro che nella carità continuano a dare ragione della speranza che è in loro.

Le stagioni del grazie

A partire dal discorso di Benedetto XVI in occasione della celebrazione per il 40 anni di Caritas Italiana nella ciclicità delle stagioni un invito al ripetersi del grazie nella ferialità e nella quotidiana prossimità. Nelle rappresentazioni delle esperienze di grazie un invito a rileggere l’essere e l’operare della Caritas alla luce del “con Dio”, “nella comunità”, “fra tutti”, “con segnati”

PRIMAVERA nella comunità

“Scorrendo le pagine del Vangelo, restiamo colpiti dai gesti di Gesù: gesti che trasmettono la Grazia, educativi alla fede e alla sequela; gesti di guarigione e di accoglienza, di misericordia e di speranza, di futuro e di compassione; gesti che iniziano o perfezionano una chiamata a seguirlo e che sfociano nel riconoscimento del Signore come unica ragione del presente e del futuro. Quella dei gesti, dei segni è una modalità connaturata alla funzione pedagogica della Caritas. Attraverso i segni concreti, infatti, voi parlate, evangelizzate, educate. Un’opera di carità parla di Dio, annuncia una speranza, induce a porsi domande. Vi auguro di sapere coltivare al meglio la qualità delle opere che avete saputo inventare. Rendetele, per così dire, «parlanti», preoccupandovi soprattutto della motivazione interiore che le anima, e della qualità della testimonianza che da esse promana. Sono opere che nascono dalla fede.”

AUTUNNO

con segnati

“[...] prendersi cura di chi necessita di sentire il calore di Dio attraverso le mani aperte e disponibili dei discepoli di Gesù. Questo è importante: che le persone sofferenti possano sentire il calore di Dio e lo possano sentire tramite le nostre mani e i nostri cuori aperti”. 26

ESTATE

fra tutti

“Nei quattro decenni trascorsi, avete potuto approfondire, sperimentare e attuare un metodo di lavoro basato su tre attenzioni tra loro correlate e sinergiche: ascoltare, osservare, discernere, mettendolo al servizio della vostra missione: l’animazione caritativa dentro le comunità e nei territori. Si tratta di uno stile che rende possibile agire pastoralmente, ma anche perseguire un dialogo profondo e proficuo con i vari ambiti della vita ecclesiale, con le associazioni, i movimenti e con il variegato mondo del volontariato organizzato”.

INVERNO con Dio

“Si tratta di assumere la responsabilità dell’educare alla vita buona del Vangelo, che è tale solo se comprende in maniera organica la testimonianza della carità. Sono le parole dell’apostolo Paolo ad illuminare questa prospettiva: «Quanto a noi, per lo Spirito, in forza della fede, attendiamo fermamente la giustizia sperata. Perché in Cristo Gesù non è la circoncisione che vale o la non circoncisione, ma la fede che si rende operosa per mezzo della carità» (Gal 5, 5-6). Questo è il distintivo cristiano: la fede che si rende operosa nella carità. Ciascuno di voi è chiamato a dare il suo contributo affinché l’amore con cui siamo da sempre e per sempre amati da Dio divenga operosità della vita, forza di servizio, consapevolezza della responsabilità. «L’amore del Cristo infatti ci possiede» (2 Cor 5, 14), scrive san Paolo. E’ questa prospettiva che dovete rendere sempre più presente nelle Chiese particolari in cui vivete”.


MISSIONI

“Ho creduto perciò ho parlato” Lo slogan scelto da Missio per la Giornata Missionaria Mondiale di quest’anno è “Ho creduto perciò ho parlato”, tratta dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (2 Cor 4,13). Il riferimento è al rapporto essenziale tra missione e fede e alla rilevanza data a quest’ultima da papa Benedetto XVI, con l’aver indetto uno speciale Anno della Fede: dall’11 ottobre 2012, con il 50° anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, fino al 24 novembre 2013, solennità di Cristo Re dell’Universo. II 50° anniversario dell’apertura del Concilio - 11 ottobre 1962 - ricorre nel cuore dell’ottobre missionario. L’Anno della Fede, che in tale circostanza il Papa inaugura, è riferimento prezioso anche per chi si occupa di missione. Il rinnovamento della coscienza missionaria che il Concilio ha promosso nelle Chiese locali e nel cuore di ogni battezzato, si intreccia con la fede, dono che caratterizza il percorso di ogni cristiano e ne costituisce l’identità profonda. . L’intreccio di fede e missione richiama un unico modo di vivere: chi accoglie in sé la relazione costitutiva con Cristo, non può che comunicarla. L’autentico cammino della fede non si esaurisce in vicende individuali o in solitàrie vette di spiritualità, ma ha la sua conseguenza nell’annuncio o nella testimonianza: la missione svela che la fede è vera. Perciò Missio proponendo l’Ottobre e la Giornata Missionaria Mondiale ricorda che non solo “la fede si rafforza donandola”, ma anche “ci spinge a essere missionari”, al punto che “la perdita di vitalità nella spinta missionaria è sintomo di una crisi di fede”, secondo le parole del Beato Giovanni Paolo II. Nella testimonianza della fede, missionari e missionarie da un lato e comunità di invio dall’altro, possono reciprocamente sostenersi e nello stesso tempo assicurare che la Buona Notizia venga divulgata. Ed è suggestivo pensare che in questi ultimi decenni, tanta parte della storia e del servizio missionario si è realizzato attorno all’espressione fidei donum: un dono che si riceve con gratitudine e che si distribuisce con gratuità.

Tre proposte formative “Nuovi stili di viaggio”, “Nuovi stili di animazione” e “Nuovi stili di vita”. Sono tre le proposte formative pensate dal Centro missionario diocesano per quest’anno pastorale.

“Nuovi stili di viaggio” si rivolge ai giovani dai 18 ai 35 anni

e si articola in tre passaggi fondamentali: il corso di formazione, il viaggio (Africa, America Latina...), il ritorno e la restituzione. Inizia domenica 4 novembre.

“Nuovi stili di animazione” è finalizzato, invece, ad acquisi-

re una maggiore consapevolezza e conoscenza verso i temi della missione a partire dalla Sacra Scrittura. Si rivolge a chi desidera diventare animatore di un gruppo missionario o approfondire il proprio impegno nell’ambito dell’animazione missionaria Il primo appuntamento è fissato per domenica 25 novembre.

“Nuovi stili di vita” è l’occasione giusta per interrogarsi su ambiente, generazioni future, popolazioni povere e Parola di Dio. Il primo incontro è sempre domenica 25 novembre. Informazioni e iscrizioni presso la tua parrocchia o il Centro missionario diocesano di via Tosio I, contattando il numero 0303754560 o consultare il sito www.cmdbresciait. 27


Il vescovo Luciano Monari alla Camera del lavoro in occasione del 120° di Fondazione della CGIL di Brescia - 4 settembre 2012

“Dio conservi la vostra passione” Grazie anzitutto per l’invito che mi avete rivolto. L’ho accolto molto volentieri perché lo considero un onore e perché spero, nello stesso tempo, che questo incontro serva ad accrescere quella “attenzione e relazione” che chiedete e che è fruttuosa per tutti. Un prete, un vescovo è di tutti; appartiene alla comunità cristiana e ha una responsabilità all’interno della Chiesa; ma la missione della Chiesa è al servizio del mondo; e allora, secondo una bella espressione, spesso citata, del Concilio “le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore.” Io credo in un Dio che, per amore dell’uomo, si è fatto uomo e ha vissuto un’esistenza di uomo; voi lavorate a favore dell’uomo che Dio ama e di cui si prende cura. Non è la stessa cosa, ma certo sono atteggiamenti che possono incontrarsi e arricchirsi a vicenda. Quando ero bambino, venne a parlare al mio paese Di Vittorio e tenne un comizio proprio nella piazza in cui abitavo. Era un evento grande e ascoltammo il suo discorso dalle finestre, osservando la piazza, sotto, piena di gente. Erano i tempi che voi avete ricordato: di contrapposizione e nello stesso tempo di confronto, addirittura di emulazione, nel tentativo di essere i più attenti alle condizioni di vita della gente. Sono cambiate molte cose da allora, le contrapposizioni si sono fatte più morbide, ma l’impegno, la passione dovrebbe rimanere altrettanto forte. Oggi la storia – e io dico: il Signore – ci chiedono di rispondere alle situazioni mutate, di individuare nuovi obiettivi, di proporre nuovi cammini che migliorino l’esistenza delle persone. Avete detto che la vostra Camera del Lavoro “non ha mai allentato il rapporto con i lavoratori e le lavoratrici” e che proprio questo costituisce la sua caratteristica storica, come una ‘matrice’ di cui andate fieri. Sono parole belle, che danno un valore permanente al vostro servizio e che lo rendono significativo al di là dei successi e degli insuccessi che inevitabilmente si registrano nella storia. C’è nel vangelo, una pagina stupenda che esprime nel modo più forte il valore di un’attenzione effettiva all’uomo e ai suoi bisogni. Lasciate che ve la legga: Mt 25,3146. Ci insegnava padre Martini che un brano come questo si può leggere da diversi punti di vista: mettendosi nei panni di chi fa del bene, di chi si rifiuta di farlo, di chi lo riceve da altri. In ogni modo, il racconto funziona come un invito all’impegno. La vita, il benessere degli altri dipende anche da te; non puoi sottrarti a questa responsabilità accontentandoti della ricerca del tuo bene privato: il bene che fai è prezioso agli occhi di Dio

e il bene che non fai agli altri è una mancanza grave. Dio ha affidato gli uomini gli uni agli altri e nella comunità degli uomini ci sono le risorse che possono sostenere la vita di ciascuno. “Quello che avete fatto al più piccolo di questi miei fratelli – dice Gesù – lo avete fatto a me… quello che non avete fatto al più piccolo, non l’avete fatto a me.” Insomma: il rapporto con Gesù e quindi il rapporto con Dio si vive concretamente nel modo in cui trattiamo gli altri, in cui ci mettiamo di fronte a loro; nella prassi concreta l’altro, il bisognoso, ha valenza simile a Gesù Cristo. Per questo l’impegno a favore dell’uomo entra nel disegno di Dio – che lo si sappia o no, che lo si faccia per fede esplicita o con altre motivazioni pulite. Avete detto che i lavoratori hanno una loro dignità nativa che è dovere di tutti riconoscere, ciascuno nel suo campo di esperienza e di azione. È proprio questo che rende significativa l’attività sindacale: l’attenzione alle condizioni di lavoro delle persone, la ricerca di condizioni di sicurezza che permettano di guardare al futuro con serenità, la possibilità di mantenere in modo degno la propria famiglia sono azioni che servono a rendere concreta e visibile la dignità delle persone. E, se guardiamo al passato, nemmeno tanto lontano, dobbiamo dire che in pochi decenni sono stai fatti molti passi avanti; che dobbiamo essere riconoscenti verso le generazioni che ci hanno preceduto e che hanno pagato prezzi elevati per consegnarci una società migliore. Naturalmente, avrei preferito incontrarvi in un momento più tranquillo della vita sociale, non in questi tempi in cui la crisi ci sta rendendo più poveri e non sembra offrirci prospettive immediate di ripresa. Sono d’accordo quando dite che la crisi attuale non è solo una congiuntura negativa, ma una trasformazione che mette in crisi il modello stesso di sviluppo. Effettivamente la globalizzazione, l’informatizzazione, l’allungamento della speranza di vita, l’incertezza dei mercati finanziari, la trasformazione demografica, l’ingresso di nuove poderose nazioni nel mondo dello sviluppo economico… insomma tutti i mutamenti di cui siamo attori e spettatori ci obbligano a immaginare scenari inediti per il futuro. Noi (sto parlando di me e del mondo ecclesiastico in genere) siamo abituati a procedere con una certa rigidità. Arrivati a formulare alcuni principi chiari, da quei principi deriviamo con sicurezza quali debbano essere i singoli comportamenti. Ma c’è un problema. I principi etici sono indispensabili; se vengono meno, la vita va alla deriva e finiamo per essere portati dalle situazioni anziché plasmarle e dirigerle. Ma i principi sono generali e quindi astratti; le situazioni sono singolari e quindi concrete. Bisogna imparare la fedeltà ai principi e nello stesso tempo cercare di rispondere in modo puntuale alle sfide sempre nuove che abbiamo davanti. Non è cosa facile e dobbiamo avere pazienza con noi stessi; le sfide sono così tante e così mutevoli che controllarle e gestirle richiederebbe riflessione (e 28


quindi molto tempo) e insieme prontezza di reazione (e quindi riflessi veloci). Ho trovato citata, in una conferenza di Marco Vitale, questa valutazione di Robert Reich: “Sebbene gli eccessi finanziari siano stati la causa più immediata della crisi economica e della lenta ripresa successiva, il motivo di fondo è la crescente disuguaglianza nella distribuzione del reddito e della ricchezza. Da decenni, in Italia, come negli Stati Uniti, i benefici della crescita economica vanno sempre di più ai cittadini più ricchi.” Nel suo volume Reich nota che la quota di reddito totale appannaggio dell’1% più ricco degli americani ha raggiunto i picchi più alti nel 1928 e nel 2007; è proprio un caso che dopo il 1928 ci sia il ’29 e dopo il 2007 ci siamo noi? La dottrina sociale della Chiesa afferma insieme il diritto di proprietà privata e la destinazione universale dei beni della terra. La proprietà privata è garanzia della libertà delle persone, la destinazione universale dei beni è dinamismo di responsabilità e solidarietà. Quando l’equilibrio tra queste due esigenze si altera, a rimetterci è la società intera che vede incepparsi il meccanismo della creatività, della fiducia e quindi della collaborazione. Cito sempre dalla conferenza del prof. Vitale: “Se dobbiamo, come dobbiamo, dare vita a un nuovo patto sociale, per una più equa e quindi anche più efficace distribuzione della ricchezza, dei redditi, del lavoro. Se dobbiamo, come dobbiamo, ridare speranza e prospettiva ai giovani e ai disperati della terra che premono alle nostre frontiere, abbiamo bisogno di una grande carica di solidarietà; non assistenziale ma produttiva, efficiente, vera. Bisogna rafforzare quella che la Mater et Magistra chiama la rete della socializzazione: socializzazione delle persone e non collettivizzazione dei beni.” Proprio perché il mondo cammina e cambia in fretta, la possibilità di operare efficacemente in questo mondo dipende sempre più dall’intelligenza delle persone. È l’intelligenza che sa capire quello che sta succedendo, sa immaginare le risposte possibili, sa correggersi quando vede che i risultati non sono quelli che si erano previsti, sa rinnovarsi e ripartire per obiettivi sempre nuovi. Questo richiede una formazione continua ed efficace, che dia il gusto di pensare, di immaginare, di creare; che insegni l’umiltà di verificare gli effetti dei comportamenti e la disponibilità a cambiarli quando appare utile. I nostri giovani avranno da faticare non poco; non potranno – come in parte abbiamo potuto fare noi – riposare sugli allori perché oggi gli allori seccano in fretta e non servono più a cingere le fronti di gloria. Saranno meno sicuri di noi, ma avranno molte più possibilità di quelle che noi abbiamo avuto. Dobbiamo accompagnarli con simpatia e dare loro coraggio perché sono loro che possono dischiudere un futuro più umano, anche se oggi portano il peso più grave. La disoccupazione giovanile ha toccato un livello troppo alto, insopportabilmente alto. C’è bisogno di imprenditori che sappiano innovare e creare così posti di lavoro; e che agiscano con uno spessore etico solido, fatto di serietà, di professionalità, di onestà, di impegno. Ho sentito ripetere più volte da Romano Prodi che la prima urgenza oggi è la formazione; e che la seconda è ancora la formazione; e che la terza è sempre la formazione. E’ proprio così : ci interessa una persona umana che sia consapevole di se stessa, cha sappia quello che fa e perché lo fa, che sappia rinunciare a una soddisfazione immediata per costruire un bene permanente, che sia pronta ad accettare le correzioni che le permettono di migliorare se stessa. So bene che una persona così è difficile da costruire; lo vedo in me stes-

so, per le pigrizie, le abitudini, la paure che bloccano a volte il cammino di crescita. Ma sono convinto che la strada c’è ed è bella ed è degna dell’uomo. Su questa strada sarà possibile fare le scelte che danno sicurezza anche per il futuro. Nella enciclica Laborem Exercens Giovanni Paolo II ha scritto: “Ognuno, in base al proprio lavoro, abbia il pieno titolo di considerarsi al tempo stesso il ‘com-proprietario’ del grande banco di lavoro, al quale s’impegna insieme con tutti. E una via verso tale traguardo potrebbe essere quella di associare, per quanto è possibile, il lavoro alla proprietà del capitale e di dar vita a una ricca gamma di corpi intermedi a finalità economiche, sociali, culturali: corpi che godano di una effettiva autonomia nei confronti dei pubblici poteri, che perseguano i loro specifici obiettivi in rapporti di leale collaborazione vicendevole, subordinatamente alle esigenze del bene comune, e che presentino forma e sostanza di una vera comunità, cioè che in essi i rispettivi membri siano considerati e trattati come persone e stimolati a prendere parte attiva alla loro vita.” (Laborem Exercens, 14) Che non sia cosa facile è evidente; per questo il Papa usa espressioni caute, del tipo: “potrebbe essere…. per quanto è possibile…” Ciò che sta dietro a questo modo di vedere è il riconoscimento del lavoratore/lavoratrice come soggetto del lavoro. Lo diciamo spesso che il lavoro non è una merce qualsiasi e il motivo è che nel lavoro è coinvolta la persona stessa, con tutte le sue energie, come protagonista. Detto con le parole del Concilio: “Col loro lavoro, operai e contadini non vogliono solo guadagnare il necessario per vivere, ma sviluppare le loro doti personali e avere parte nell’organizzazione della vita economica, sociale, politica e culturale.” (GS 9) Sono convinto che questa sia una strada promettente, perché è quella che risponde più pienamente alle esigenze dell’uomo; so però anche che non è una strada facile perché richiede una conversione di mentalità da parte sia degli imprenditori, sia dei lavoratori: la capacità di non vedere solo il profitto immediato di parte, ma di saper indirizzare le scelte verso il successo di un’impresa che garantisca il futuro di tutti. Troppo spesso, in questi giorni ci troviamo di fronte a bubboni che scoppiano improvvisamente e che minacciano il benessere di intere comunità. Penso alla situazione dei minatori del Sulcis e a tante altre situazioni di cui le cronache di questi giorni sono purtroppo piene. Quando è in gioco la sicurezza del lavoro e quindi il benessere delle famiglie, non ci può essere esitazione: bisogna fare il possibile e l’impossibile per sanare le situazioni. Ma dobbiamo anche imparare qualcosa. Quando l’infezione è diffusa, si è costretti a intervenire con dosi massicce di antibiotici che, inevitabilmente, sfiancano l’organismo. E allora a un profa-

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no viene da dire: si deve proprio aspettare che le crisi scoppino per cominciare a pensarci? Non c’erano in precedenza i segni dell’infezione? Non si poteva fare qualcosa? Prevenire, c’insegnano, è sempre più saggio che curare. Perché siamo così lenti a prendere coscienza delle situazioni? Forse la risposta è in un’osservazione semplice ma preziosa; e cioè che il senso comune, cioè l’intelligenza pratica con cui affrontiamo i problemi quotidiani della vita, è tendenzialmente miope. Osserva con attenzione le cose vicine, ma non sa guardare con acutezza le cose lontane. Risolve il problema immediato ma non previene l’insorgenza di complicanze nel futuro. Per avere questa attenzione ci vuole la competenza dello studio e ci vuole, nello stesso tempo, lucidità, disinteresse, creatività. Ecco, abbiamo bisogno di persone così: che ci insegnino a fare entrare nelle decisioni che prendiamo l’attenzione agli effetti immediati, ma anche la considerazione del tipo di futuro che prepariamo con le nostre scelte. Il rispetto per l’ambiente, la salute delle persone, la sicurezza di chi lavora, la gestione del territorio… tutto questo richiede saggezza e disinteresse: saggezza perché si tratta di valutare utilità e svantaggi di ogni scelta; disinteresse perché tutto questo ha un costo economico e bisogna essere capaci di rinunciare a un più alto livello di vita per garantire un benessere più sicuro alle generazioni future. Mi rimane da dire una parola sugli immigrati. Vi ringrazio naturalmente del giudizio che avete espresso sulla mia lettera. E credo di poter garantire la disponibilità del Centro Migranti a confrontarsi e a collaborare in tutto quanto può servire a migliorare le condizioni di vita di ogni persona – e qui conta solo il volto umano, non la nazionalità di origine o l’adesione religiosa o l’affiliazione politica. Naturalmente il Centro Migranti – pur non essendo un ufficio di Curia – si muove con uno stile ecclesiale che è stile di comunione e che cerca di coinvolgere attivamente tutte le parti interessate. È una modalità di intervento più dialogica rispetto a quella di

sindacati o partiti o rappresentanze; meno diretta, ma che, forse, permette di raggiungere risultati insperati nell’avvicinare le parti contrapposte. Lo stesso potrei dire per l’attenzione al mondo dei carcerati. Al termine delle vostre parole avete espresso un giudizio che mi ha colpito: “Meglio sbagliare insieme ai lavoratori piuttosto che avere ragione contro di loro.” Ho ricordato che, in una sua lettera, Dostoevskij aveva scritto: “Se mi si dimostrasse che Cristo non è nella verità e se fosse matematicamente dimostrato che la verità non è in Cristo, preferirei comunque restare in Cristo che con la verità.” Mi ha colpito la somiglianza delle due affermazioni. Che naturalmente non sono, dal punto di vista logico, accettabili: non si può pensare di amare davvero Cristo con la menzogna e nemmeno si può pensare di fare il bene autentico dei lavoratori con l’errore. Ma le parole non sono costrette a fare sempre affermazioni verificate dal punto di vista logico. Possono anche esprimere emozioni, paure irragionevoli, desideri intensi, illuminazioni improvvise e abbaglianti; e in questo senso le due affermazioni sono affascinanti. Dicono che Gesù Cristo è per Dostoevskij qualcuno a cui egli ha consacrato la sua vita; e dicono qualcosa di simile per voi, che vorreste consacrare il vostro servizio per il bene dei lavoratori. Dio vi mantenga questa passione – con saggezza sempre – perché, come ho detto, non si aiuta nessuno con l’errore o la presunzione; ma anche con dedizione, perché in qualsiasi situazione l’amore appassionato sa aprire vie di speranza.

NUOVO IMPULSO ALL’ESSERE NEL MONDO Rileggiamo alcuni punti della Gaudium et Spes. Essi appaiono attuali ed illuminanti. Tracciano il volto di una Chiesa che, come Gesù, si cinge del grembiule per il servizio del mondo Il cinquantesimo dall’apertura del Vaticano II è un’occasione preziosa per riflettere, ancora e meglio, sul nostro essere Chiesa in questo mondo. Ci soffermiamo su alcuni punti della Gaudium et Spes che sono preziosi per illuminare l’oggi, più di quanto si possa credere, specie in alcuni settori ecclesiali dove il Concilio è di fatto trascurato o negato.

Nel mondo e per il mondo Per il Vaticano II il nostro essere nel mondo altro non è che un continuo scrutare i segni dei tempi e interpretarli alla luce del Vangelo (n. 4). In altri passi successivi del documento esso sarà anche definito come grande aiuto della Rivelazione alla comunione tra le persone (n. 23); l’insieme dei principi di giustizia e di equità per la vita individuale, sociale ed internazionale (n. 63); l’aiuto agli uomini del nostro tempo - sia quelli che credono in Dio, sia quelli che esplicitamente non lo riconoscono - affinché (…) rendano il mondo più conforme all’eminente dignità dell’uomo, aspirino a una fratellanza universale (n. 91). I vari riferimenti al magistero sociale - impliciti o espliciti che siano - si basano tutti sulla consapevolezza della missione evangelizzatrice nei confronti del mondo e dei suoi innumerevoli problemi, missione che è un rivolgersi a tutti per illustrare il mistero dell’uomo e cooperare nella ricerca di una soluzione ai principali problemi del nostro tempo (n. 10). In quest’ottica si delinea un popolo di Dio riunito dal Cristo, desideroso di instaurare un dialogo sui vari problemi moderni, arrecando la luce che viene dal Vangelo (n. 3). Il compito di evangelizzare, di cui il magistero sociale è parte integrante, è strettamene collegato all’impegno di carità. Come è specificato nel passo che segue: «L’unione della famiglia umana viene molto rafforzata e completata dall’unità 30


della famiglia dei figli di Dio, fondata sul Cristo. Certo, la missione propria che Cristo ha affidato alla sua Chiesa non è d’ordine politico, economico o sociale: il fine, infatti, che le ha prefisso è d’ordine religioso. Eppure proprio da questa missione religiosa scaturiscono compiti, luce e forze, che possono contribuire a costruire e a consolidare la comunità degli uomini secondo la legge divina. Così pure, dove fosse necessario, a seconda delle circostanze di tempo e di luogo, anch’essa può, anzi deve, suscitare opere destinate al servizio di tutti, ma specialmente dei bisognosi, come, per esempio, opere di misericordia e altre simili» (n. 42).

Il rifiuto del collateralismo Il brano, precisando che la missione della Chiesa non è d’ordine politico, economico o sociale, contiene, prima di tutto, il rifiuto di ogni forma di collateralismo tra Chiesa e istituzioni laiche, ogni tentativo di sostituzione ai poteri civili e di ogni ingerenza nei loro affari. Inoltre precisa anche quale deve essere la missione della Chiesa. I padri conciliari sono ben coscienti che la Chiesa ha una missione di natura religiosa, cioè non può essere parificata o inglobata o ridotta ad istituzione umana. Ma leggiamo ancora il testo: «La forza che la Chiesa riesce a immettere nella società umana contemporanea consiste in quella fede e carità effettivamente vissute, e non in una qualche sovranità esteriore esercitata con mezzi puramente umani. (…) Niente le sta più a cuore che di servire al bene di tutti e di potersi liberamente sviluppare sotto qualsiasi regime che rispetti i diritti fondamentali della persona e della famiglia e riconosca le esigenze del bene comune» (n. 42). In questo suo servire al bene di tutti ci sono compiti, luce e forze da spendere per il bene dell’umanità. È, cioè, una missione religiosa che non si limita all’annuncio di una verità, ma accompagna questo lieto annuncio con un impegno a favore degli ultimi. Le stesse prime parole di apertura avevano fatto riferimento alla condivisione delle gioie e delle speranze di ogni uomo e ogni donna, aggiungendo subito: dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono (n. 1).

La logica dell’incarnazione In altre parole è il Vangelo che annunzia e proclama la libertà dei figli di Dio e raccomanda tutti alla carità di tutti (n. 41). Ritroviamo qui delineato un pensiero-azione che parte dalla fonte che è la Rivelazione, legge la situazione contemporanea, senza nessuna ingerenza o imposizione, e offre la propria collaborazione (n. 76) per la realizzazione del bene comune, specie ad iniziare dagli ultimi e dalle opere di carità a loro destinate (n. 4). L’ottica è sempre quella dell’incarnazione, in essa la carità è il cuore della buona Novella del Redentore: «Il Verbo di Dio, per mezzo del quale tutto è stato creato, fattosi carne lui stesso e venuto ad abitare sulla terra degli uomini, entrò nella storia del mondo come uomo perfetto, assumendo questa e ricapitolandola in sé. Egli ci rivela “che Dio è carità” (1Gv4,8) e insieme ci insegna che la legge fondamentale della umana perfezione, e perciò anche della trasformazione del mondo, è il nuovo comandamento dell’amore. Coloro pertanto che credono alla carità divina, sono da lui resi certi che la strada della carità è aperta a tutti gli uomini e che gli sforzi intesi a realizzare la fraternità universale non sono vani. Così pure egli ammonisce a non camminare sulla strada della carità solamente nelle grandi cose, bensì e soprattutto nelle circostanze ordinarie della vita.» (n. 38).

Cingersi di un grembiule Quello che è qui espresso come linea guida, si trova realizzato nel pensiero e nella prassi di varie Chiese locali, sparse nel mondo. I loro contributi post conciliari presentano molti punti di ricchezza, dottrinale e pastorale, validi anche nella situazione attuale e, dall’altra parte, ci aiutano a smascherare meglio quelle posizioni di rifiuto della Gaudium et Spes. Penso, ad esempio, al convegno ecclesiale italiano del 1976, che indica nell’evangelizzazione e nella promozione umana i binari su cui scorre l’azione della Chiesa. La Chiesa esiste per annunziare il Vangelo ad ogni uomo e ogni donna e in ogni ambiente; il suo annuncio è la Parola che salva la persona integralmente, per cui non è concepibile un annuncio staccato da un’opera di promozione umana. Concetto che già Paolo VI aveva precisato nell’Evangelii nuntiandi. «Tra evangelizzazione e promozione umana, sviluppo, liberazione, ci sono infatti dei legami profondi. Legami di ordine antropologico, perché l’uomo da evangelizzare non è un essere astratto, ma è condizionato dalle questioni sociali ed economiche. Legami di ordine teologico, poiché non si può dissociare il piano della creazione da quello della redenzione che arriva fino alle situazioni molto concrete dell’ingiustizia da combattere e della giustizia da restaurare. Legami dell’ordine eminentemente evangelico, quale è quello della carità: come infatti proclamare il comandamento nuovo senza promuovere nella giustizia e nella pace la vera, l’autentica crescita dell’uomo?» (Evangelii nuntiandi, n. 31). In termini conciliari il fine di ordine religioso deve coniugarsi con il suscitare opere al servizio di tutti, specialmente de,i bisognosi (n. 42). L’annuncio della Parola porta al cingersi di un grembiule, simbolo del servizio concreto. Questo perché il Cristo è, a un tempo, Parola fatta carne e buon samaritano che soccorre e cura le piaghe umane (Le 10), per questo, annuncio di salvezza e servizio vanno sempre di pari passo. Il Cristo è sempre, a un tempo, gioia che si fa annuncio, tenerezza che si traduce in servizio. 31


CITTADINI E CREDENTI Ci sono precise linee d’impegno per educare alla cittadinanza responsabile? Come attuare il progetto di suscitare una nuova generazione di persone cristiane impegnate in politica? migliore? Tutte queste domande scaturiscono dalla vita d’ogni giorno e interrogano la persona e la comunità, sempre e dovunque. 3.L’educazione politica, secondo la tradizione classica e il Magistero Sociale, deve trasmettere e far acquisire le virtù che fondano l’ordine sociale e garantiscono la sua bontà intrinseca, in quanto perfezionamento della persona umana e sviluppo della società sono tra loro interdipendenti. Lo stretto rapporto tra educazione alla virtù e struttura politica dipendono da una visione generale, che canonizza l’etica come la scienza della virtù e la politica come la scienza dei mezzi istituzionali, necessari alla conoscenza e alla pratica delle virtù nei cittadini. Oggigiorno, purtroppo, si è molto lontani dal considerare la virtù come il bene superiore, indispensabile sia per raggiungere la felicità personale sia per edificare una politica sana. 4.Sia nell’impegno educativo, che in quello politicoistituzionale (come la redazione di Carte Costituzionali e di progetti politici), gli esempi di collaborazione tra cultura laica e cristiana, sono stati possibili perché si riconosceva una base teorica comune a tutte le visioni del mondo. Abbiamo bisogno di un dialogo sincero con tutti e su tutti i temi: c’è urgenza di riprendere il metodo dell’Assemblea costituente. Tre tradizioni culturali e politiche - social-comunista, liberale e cristiana - si sono incontrate per definire, prima di tutto, i principi etici fondanti della nostra comunità nazionale e, di conseguenza, far derivare da essi un’architettura di stato personalista e pluralista, che tenesse presenti anche gli interessi materiali, ma considerati con il loro giusto peso. 5.Perché lo studio e la prassi delle virtù contribuiscano a realizzare la città - i greci direbbero la pólis - l’educazione politica va riferita ad un preciso contesto storico e geografico, relativamente piccolo da poter esser compreso e vissuto dall’educando e dall’educatore. Nel momento in cui si parla tanto di villaggio globale e di comunità europea, potrebbe suonare strano questo richiamo. Un chiarimento è doveroso. L’educazione politica non può, almeno nella sua prima fase, rapportarsi a grandi realtà sociali ed istituzionali. A motivo dello stretto legame tra crescita personale e crescita della comunità, bene individuale e bene pubblico, lo studio e la prassi politica devono partire da dimensioni vicine ed esperibili. Esse possono essere la famiglia, la scuola, il piccolo gruppo, il territorio del proprio quartiere e/o città, in altri termini il territorio, cioè lo spazio che c’è tra individui, direbbe la Arendt. 6.L’invito a partecipare, che caratterizza quasi tutti gli itinerari di formazione politica, andrebbe riformulato e vissuto ispirandosi alla formula agostiniana dell’habita-

Il tema dell’educazione politica è spesso presente negli interventi di pastori e laici credenti. Benedetto XVI ha parlato, ad Aquileia, di impegno «a suscitare una nuova generazione di uomini e donne capaci di assumersi responsabilità dirette nei vari ambiti del sociale, in modo particolare in quello politico. Esso ha più che mai bisogno di vedere persone, soprattutto giovani, capaci di edificare una “vita buona” a favore e al servizio di tutti. A questo impegno infatti non possono sottrarsi i cristiani, che sono certo pellegrini verso il Cielo, ma che già vivono quaggiù un anticipo di eternità» (7.5.2011). Poiché questa “vita buona” va preparata e curata, bisogna sempre istituire e rinnovare percorsi di educazione sociale e politica. Scrivono i Vescovi italiani: “Avvertiamo infine la necessità di educare alla cittadinanza responsabile. L’attuale dinamica sociale appare segnata da una forte tendenza individualistica che svaluta la dimensione sociale, fino a ridurla a una costrizione necessaria e a un prezzo da pagare per ottenere un risultato vantaggioso per il proprio interesse. Nella visione cristiana l’uomo non si realizza da solo, ma grazie alla collaborazione con gli altri e ricercando il bene comune. Per questo appare necessaria una seria educazione alla socialità e alla cittadinanza, mediante un’ampia diffusione dei principi della dottrina sociale della Chiesa, anche rilanciando le scuole di formazione all’impegno sociale e politico” (CEI 2011, n. 54).

Linee per un concreto impegno

Alcuni spunti di riflessione sull’argomento: 1.Nella misura in cui si crede che la politica sia una realtà antropologica ed etica, l’educazione politica è parte di una più generale educazione. Così impostata, l’educazione alla dimensione politica rientra a pieno titolo in tutti gli itinerari educativi (primari, secondari, per giovani e adulti). In ambito civile, il discutere a lungo, come si fa in Italia da diversi anni, sull’insegnamento dell’educazione civica spesso nasconde da una parte una confusione teorica e pratica, dall’altra una mancanza di volontà politica nel sanare, una volta per tutte, il deficit formativo. In ambito ecclesiale, invece, spesso si considerano i temi sociopolitici come “pericolosi” e/o “non rilevanti per la fede e la testimonianza cristiana”. 2.Qualsiasi progetto e azione educativa richiedono, prima di tutto, che si prendano seriamente le distanze da una politica ridotta a gestione tecnica del potere. La teoria e l’azione educativa dovranno, sulla scia classica, partire dal vero contenuto della politica, che, insegna Eric Voegelin, è il rispondere (e provvedere) a domande quali: che cos’è la felicità? Come deve vivere un uomo per essere felice? Che cos’è la virtù? Che cos’è, soprattutto, la virtù della giustizia? Qual è, dal punto di vista territoriale e demografico, la dimensione ottima di una società? Qual è il genere migliore di educazione? Quali le professioni e quale la forma di governo 32


re et diligere. Agostino insegna che si abita un luogo nella misura in cui lo si ama: quia per dilectionem inhabitant. Le nostre città diventano spesso più spazi anonimi di residenti che comunità di abitanti. È possibile, per esempio nelle nostre parrocchie, pensare ad itinerari educativi che aiutino a riscoprire e vivere il gusto d’essere abitanti di una città, di un quartiere o piccolo paese? 7.All’impegno educativo non possono sottrarsi i partiti politici, che ben sanno come la loro storia è stata ricca di progettualità, integrità morale e fecondità politica nella misura in cui la formazione era seria e costante. In quest’ottica non sarebbe fuori luogo, né immorale, far dipendere la quota di finanziamento pubblico dei partiti politici dall’attuazione di programmi formativi per coloro che già ricoprono cariche politiche e per altri che si preparano ad esse. 8.L’impegno educativo, nei suoi diversi risvolti teorici e pratici, è il più potente mezzo per rendere la nostra speranza in una politica giusta e matura, progetto e non illusione. Direi il tutto, in sintesi, con le parole di Sturzo: «E da quando la politica è impregnata di tutti i valori etici, è alla politica (non alla tecnica della politica, né agli interessi terreni che la politica contiene, ma presa come una delle espressioni onnicomprensive della vita sociale) che le Chiese debbono accostarsi e affrontarne, al momento giusto e con visione spirituale, le lotte titaniche che si presentano loro. Noi diciamo “con visione spirituale” per dare risalto al carattere del tutto religioso dei fini e dei mezzi con cui la Chiesa può stabilire un contatto con la politica, considerata nel suo valore etico e sociale».

dossier

7a GIORNATA PER LA SALVAGUARDIA DEL CREATO 1° SETTEMBRE 2012 DIOCESI DI BRESCIA Ufficio per l’Impegno Sociale

Educare alla custodia del creato per sanare le ferite della terra

FOTO AURELIO CANDIDO

EDUCARE ALLA CUSTODIA DEL CREATO PER SANARE LE FERITE DELLA TERRA

MESSAGGIO

CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

1. La Giornata per la salvaguardia del creato: lode e riconciliazione Celebrare la Giornata per la salvaguardia del creato significa,in primo luogo, rendere grazie al Creatore, al Dio Trino che dona ai suoi figli di vivere su una terra feconda e meravigliosa. La nostra celebrazione non può, però, dimenticare le ferite di cui soffre la nostra terra, che possono essere guarite solo da coscienze animate dalla giustizia e da mani solidali. Guarire è voce del verbo amare, e chi desidera guarire sente che quel gesto ha in sé una valenza che lo vorrebbe perenne, come perenne e fedele è l’Amore che sgorga dal cuore di Dio e si manifesta nella bellezza del creato, a noi affidato come dono e responsabilità. Con esso, proprio perché gratuitamente donato, è necessario anche riconciliarsi quando ci accorgiamo di averlo violato. La riconciliazione parte da un cuore che riconosce in-

nanzitutto le proprie ferite e vuole sanarle, con la grazia del Signore, nella conversione e nel gesto gratuito della confessione sacramentale. Quindi si fa anche riconciliazione con il creato, perché il mondo in cui viviamo porta segni strazianti di peccato e di male causati anche dalle nostre mani, chiamate ora a ricostituire mediante gesti efficaci un’alleanza troppe volte infranta. Questo è lo scopo del messaggio che vi inviamo, carissimi fratelli e sorelle, come Vescovi incaricati di promuovere la pastorale nei contesti sociali e il cammino ecumenico, in un fecondo intreccio che ci vede vicini e ci impegna tutti. Nella condivisione della lode e della respo sabilità per la custodia del creato, il mese di settembre sta diventando per tutte le Confessioni cristiane una rinnovata occasione di grazia e di purificazione. Anche di questo rendiamo grazie al Signore. La nostra riflessione raccoglie le tante sofferenze sperimentate, in questo anno, da numerose comunità, segnate da eventi luttuosi. Pensiamo alle immense ferite inflitte dal terremoto nella Pianura Padana. Mentre riconosciamo la nostra fragilità, cogliamo anche la forza della nostra gente, nel voler ad ogni costo rinascere dalle macerie e ricostruire con nuovi criteri di sicurezza. Pensiamo alle alluvioni che hanno recato lutti e distruzioni a Genova, nelle Cinque Terre, in Lunigiana e in vaste zone del Messinese. Nel pianto di tutti questi fratelli e sorelle sentiamo il lutto della terra, cui la stessa Sacra Scrittura fa riferimento, e che coinvolge tristemente anche gli animali selvatici, gli uccelli del cielo e i pesci del mare (cfr Os 4,3). È significativo, in proposito, che il 9 ottobre sia stato dichiarato dallo Stato italiano “Giornata in memoria delle vittime dei disastri ambientali e industriali causati dall’incuria dell’uomo”.

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2. Una storia di guarigione e responsabilità La guarigione nasce da un cuore che ama, che si fa vicino all’altro per essere insieme liberati nella verità e condividere la vita. È la logica dell’educazione alla “vita buona del Vangelo” che le nostre Chiese stanno percorrendo in questo decennio. Ce lo ricorda anche la storia biblica di Giuseppe (cfr Gen 37-49), venduto dai fratelli per rivalità e gelosia. La sua vicenda contiene un concreto itinerario di guarigione, da parte di Dio, delle ferite, sia quelle del cuore che quelle della terra. Giuseppe è gettato nel pozzo, gridando la sua innocenza, ma non è ascoltato dai fratelli. A prestare ascolto al suo gemito sarà Dio stesso, che ha cuore di padre. Giuseppe diventerà il viceré d’Egitto, attuando una intelligente politica agraria. Nella precarietà della crisi che si abbatte sul Paese, resa visibile dalle vacche magre e dalle spighe vuote, immagini di forte suggestione anche per il momento attuale, la relazione del popolo con la terra sarà sanata proprio grazie alla lungimiranza e alla responsabilità per il bene comune dimostrata da Giuseppe, figura emblematica della Sapienza donata da Dio a Israele. Egli, inoltre, pensa in termini di riconciliazione e non di vendetta quando si vede davanti i suoi fratelli, che lo hanno tradito e venduto. Se li mette alla prova con severità, è per cogliere l’autenticità del legame che li unisce al padre Giacobbe, verificando così la radice di ogni guarigione, interiore ed esteriore. Dopo aver constatato che il padre resta il premuroso e insostituibile punto di riferimento, egli rivela la sua identità, in un pianto liberatorio che diviene accoglienza fraterna e futuro di benessere in una terra e in un cuore riconciliati in saggezza e verità. Giuseppe stesso esce trasformato da questo perdono: egli diviene consapevole dell’agire misericordioso di Dio verso gli uomini. Quello di Giuseppe, dunque, è l’itinerario biblico che proponiamo, perché possa essere di luce e di speranza, durante questo faticoso ma liberante cammino di benedizione.

3. Educare all’alleanza tra l’uomo e la terra

A noi, come Chiese in Italia, in sintonia con tante Chiese nel mondo, spetta proprio questo compito: riportare il cuore della nostra gente dentro il cuore stesso di Dio, Padre di tutti, che «fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti» (Mt 5,45). Solo se diventerà primaria la coscienza di una universale fraternità, potremo edificare un mondo in cui condividere le risorse della terra e tutelarne le ricchezze. Ciò si accompagna alla comprensione che la creazione ci è donata da Dio, che essa stessa si fa percorso verso Dio e ci fa sperimentare il dialogo tra di noi nella verità, come fratelli che hanno riconosciuto la paternità gratuita di Dio. Si legge, infatti, nel messaggio scaturito dall’ultimo Forum Europeo Cattolico-Ortodosso, tenutosi a Lisbona nello scorso giugno: «Non è più possibile dilapidare le risorse del creato, inquinare l’ambiente in cui viviamo come stiamo facendo. La vocazione dell’uomo è di essere il custode e non il predatore del creato. Oggi si deve essere consapevoli del debito che abbiamo verso le generazioni future alle quali non dobbiamo trasmettere un ambiente degradato e invivibile» (n. 11).

È nella Bibbia che incontriamo la grande prospettiva dell’alleanza tra Dio e la sua creazione, in una reciprocità da riconoscere davanti a luoghi dove la bellezza esteriore si è fatta segno di una bellezza interiore –pensiamo, ad esempio, ai tanti siti dove i monaci custodiscono il creato – ma anche davanti ai tristi scempi dell’ambiente naturale, provocati dal peccato degli uomini, evidente soprattutto nelle azioni della criminalità mafiosa. Tra ecologia del cuore ed ecologia del creato vi è infatti un nesso inscindibile, come ricorda Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in veritate: «L’uomo interpreta e modella l’ambiente naturale mediante la cultura, la quale a sua volta viene orientata mediante la libertà responsabile, attenta ai dettami della legge morale» (n. 48). L’ambiente naturale non è una materia di cui disporre a piacimento, «ma opera mirabile del Creatore, recante in sé una “grammatica” che indica finalità e criteri per un utilizzo sapiente, non strumentale e arbitrario. Oggi molti danni allo sviluppo provengono proprio da queste concezioni distorte» (ivi), come quelle che riducono la natura a un semplice dato di fatto o, all’opposto, la considerano più importante della stessa persona umana. Ci viene chiesto, perciò, di annunciare queste verità con crescente consapevolezza, perché da esse potrà sgorgare un concreto e fedele impegno di guarigione dell’ambiente calpestato. Si tratta di un compito che appartiene alla sollecitudine educativa delle comunità cristiane e offre l’occasione per catechesi bibliche, momenti di preghiera, attività di pastorale giovanile, incontri culturali. È una responsabilità che appartiene anche ai docenti, in particolare agli insegnanti di religione: essa potrà essere intensivamente richiamata nel mese di settembre, dedicato in modo speciale al creato e tempo di ripresa della scuola. Ritessere l’alleanza tra l’uomo e il creato significa anche affrontare con decisione i problemi aperti e i nodi particolarmente delicati, che mostrano quanto ampie e complesse siano le questioni legate all’intreccio tra realtà ambientale e comunità umana. Accanto all’annuncio, infatti, è necessaria anche la denuncia di ciò che viola per avidità la sacralità della vita e il dono della terra. Proprio in questi mesi è venuta all’attenzione dei media la questione dell’eternit a Casale Monferrato, con i gravi impatti sulla salute di tanti uomini e donne, che continueranno a manifestarsi ancora per parecchi anni. Un caso emblematico, che evidenzia lo stretto rapporto che intercorre tra lavoro, qualità ambientale e salute degli esseri umani. L’attenzione vigilante per tale drammatica situazione e per i suoi sviluppi deve accompagnarsi alla chiara percezione che l’amianto è solo uno dei fattori inquinanti presenti sul territorio. Vi sono anzi aree nelle quali purtroppo la gestione dei rifiuti e delle sostanze nocive sembra avvenire nel più totale spregio della legalità, avvelenando la terra, l’aria e le falde acquifere e ponendo una grave ipoteca sulla vita di chi oggi vi abita e delle future generazioni. Mentre esprimiamo una volta di più quella solidarietà partecipe, che si è già manifestata in numerosi gesti di condivisione, desideriamo proporre una riflessione tesa a cogliere in tali accadimenti alcuni elementi che la stessa forza dell’emergenza rischia di lasciare sullo sfondo, impedendo di percepirne tutta la rilevanza. Occorre invece saper leggere i segni dei tempi, scoprendo – nella luce della fede – quegli inviti a riorientare responsabilmente il nostro cammino che essi portano in sé. Annunciare la verità sull’uomo e sul creato e denunciare le gravi forme di abuso si accompagna alla messa in atto di scelte e gesti quali stili di vita intessuti di sobrietà e condivisione, un’informazione corretta e approfondita, l’educazione al gusto del bello, l’impegno nella raccolta differenziata dei rifiuti, contro gli incendi devastatori e nell’apprendistato della custodia del creato, anche come occasioni di nuova occupazione giovanile. 34


4. Per una Chiesa custode della terra Vivere il territorio come un bene comune è un’esigenza di vasta portata, che richiama anche le comunità ecclesiali a una presenza vigilante. Il territorio, infatti, è davvero tale quando abitato da un soggetto comunitario che se ne prenda realmente cura e la presenza capillare del tessuto ecclesiale deve esprimere anche un impegno in tal senso Abbiamo bisogno di una pastorale che ci faccia recuperare il senso del “noi” nella sua relazione alla terra, in una saggia azione educativa, secondo le prospettive degli Orientamenti pastorali Educare alla vita buona del Vangelo. Prendersi cura del territorio, del resto, significa anche permettere che esso continui a produrre il pane e il vino per nutrire ogni uomo e che ogni domenica offriamo come “frutti della terra e del nostro lavoro” a Dio, Padre e Creatore, perché diventino per noi il Corpo e il Sangue del Suo amatissimo Figlio. Per questo invitiamo con forza a tornare a riflettere sul nostro legame con la terra e, in particolare, sul rapporto che le comunità umane intrattengono col territorio in cui sono radicate. Si tratta di una realtà complessa e ricca di significati, che spesso rimanda a storie di relazioni e di crescita comune, in cui la città degli uomini e delle donne rivela il suo profondo inserimento in un luogo e in un ambiente. Il territorio è sempre una realtà naturale, con una dimensione biologica ed ecologica, ma è anche inscindibilmente cultura, bellezza, radicamento comunitario, incontro di volti: una densa realtà antropologica, in cui prende corpo anche il vissuto di fede. I santi ci insegnano con chiarezza la strada da seguire, come san Bernardino da Siena, che mentre poneva al vertice della sua opera pastorale il nome di Gesù, davanti al quale ogni ginocchio si piega in adorazione, si adoperava per rafforzare i Monti di pietà e i Monti frumentari, segni di una rinascita che dà al denaro il giusto valore, diventando anche precursore di quella “economia di fiducia” che sola può guarire le ferite della nostra crisi, causata da avidità e insipienza. Le stesse mani dell’uomo, sostenute e guidate dalla forza dello Spirito, potranno così guarire e risanare, in piena riconciliazione, il creato ferito, a noi affidato dalle mani paterne di Dio, guardando con responsabilità educativa alle generazioni future, verso cui siamo debitori di parole di verità e opere di pace. Roma, 24 giugno 2012 Solennità della Natività di San Giovanni Battista LA COMMISSIONE EPISCOPALE PER I PROBLEMI SOCIALI E IL LAVORO, LA GIUSTIZIA E LA PACE, LA COMMISSIONE EPISCOPALE PER L’ECUMENISMO E IL DIAL

Territorio, persone, comunità

Territorio è termine di origine francese che sta ad indicare il complesso delle attività umane nello spazio; si distingue perciò da ambiente, che rimanda agli ecosistemi e alle risorse naturali in essi racchiuse, e da paesaggio, che concerne le qualità estetiche di ampie porzioni di spazio, sulle quali una comunità si riconosce. Pur con queste distinzioni, sono evidenti i mille nessi che uniscono il territorio all’ambiente e al paesaggio. Il territorio richiama alla specifica questione dell’amministrazione di beni che per loro natura sono o dovrebbero essere aperti a tutti. Questa loro disponibilità o accessibilità è tale da richiedere un’amministrazione, una cura, delegata ad un organismo che sia espressione della volontà e opinione di tutti, in altri termini, al pubblico. Possiamo allora capire che territorio è la somma di tutti quei beni, la cui natura richiede una gestione pubblica. Le acque, le strade, l’igiene pubblica (pulizia dai rifiuti e controllo del-

le patologie epidemiche), i boschi, ormai anche l’aria e il fuoco (l’energia) sono tutti elementi diffusi nello spazio che richiedono una tutela da parte di un organismo super partes e lungimirante. E qui cominciano i problemi; principalmente essi sono di due tipi: da un lato, vi è una continua e, nei tempi moderni, crescente spinta da parte di privati cittadini a mettere a valore porzioni del territorio per propri scopi, siano questi la soddisfazione di bisogni o l’acquisizione di un profitto. Così, la ricerca di un’abitazione confortevole e la volontà dell’impresa edile di guadagnare dalla sua costruzione hanno dato una spinta fortissima all’urbanizzazione, alias occupazione di suolo per fabbricati a uso residenziale. Tutti abbiamo sott’occhio la poderosa urbanizzazione di periferie, aree turistiche, assi stradali. La pressione è stata fortissima proprio perché univa due “bisogni”, quello dell’abitare (e dei relativi servizi ivi comprese le infrastrutture) con quello di un settore economico che garantiva profitti e posti di lavoro. Dall’altro lato, vi sono le autorità pubbliche chiamate a gestire i beni aperti a tutti. Il suolo, la principale risorsa del territorio, può essere di proprietà pubblica o privata; a rigore potrebbe essere di proprietà collettiva, ma questa forma per ragioni storiche e giuridiche, è ora residuale e purtroppo negletta. Giustamente, il diritto tutela la proprietà privata del suolo e, in buona misura, i diritti d’uso che da questa discendono. Tuttavia, dati i grandi squilibri che simile situazione provocava nell’uso del suolo, da decenni (da secoli in paesi come la Germania), vi è un controllo pubblico sull’uso del suolo che si chiama in vario modo, generalmente piano regolatore, o piano di fabbrica, o nelle versioni più sofisticate, piano territoriale di coordinamento (di tutti gli usi del suolo). Questi piani, ai vari livelli amministrativi, presentano a loro volta un duplice problema, attinente la partecipazione del pubblico. Per un verso infatti si sono dimostrati nel tempo molto, troppo permeabili, ad interessi di parte; lobby ben attrezzate hanno esercitato una forte pressione per ottenere modifiche a loro favorevoli, di fatto svuotando il valore di tutela collettiva del piano. Per un altro, i cittadini hanno vigilato poco sull’effettiva realizzazione di questi piani di fabbricazione. In vero, ci sono degli strumenti di partecipazione indiretta (i partiti che di fatto nominavano i membri della commissione urbanistica) e diretta (le audizioni pubbliche, la possibilità di fare osservazioni scritte al piano). Tuttavia, qualcosa non ha funzionato nella partecipazione. Quella delle imprese era troppo interessata, particolaristica, senza nessuna responsabilità sociale; quella delle istituzioni (e dei partiti che le hanno ispirate) troppo prona ai suddetti interessi di parte, formando quel rapporto clientelare assai diffuso in Italia. Dal canto suo, la partecipazione della società civile è risultata debole, estemporanea, a volte, anch’essa condizionata da risorse provenienti dalla pubblica amministrazione o da sponsor privati di dubbia rettitudine. Ne è uscita una gestione del suolo pavida, spesso caotica per via della frammentazione della pubblica amministrazione. 35


Per rispondere a questo stato di cose si invoca, ormai da vent’anni a questa parte, la privatizzazione della gestione di molti servizi territoriali. È però evidente che si tratta di una scorciatoia, una semplificazione indebita per beni la cui natura è e dovrà restare aperta a tutti. Il problema è allora la forma di gestione; anche in questo caso sappiamo che dovrà essere più partecipata che nel passato. Giustamente, da più parti si invoca la partecipazione diretta dei cittadini. Essa però sarà sterile se non crescerà a fianco di funzionari pubblici integerrimi e di imprese, che scoprano l’intima dimensione sociale del loro operare nel mercato. Senza questa polifonia, la gestione del territorio è irrimediabilmente destinata a stonare.

Ambiente e salute. La protezione della salute umana dall’inquinamento dei beni ambientali primari (aria, acqua, terra) è un tema relativamente recente, ma proprio la promozione del diritto umano alla salute è stata storicamente la leva che ha generato normative sempre più stringenti per la messa al bando di processi e prodotti nocivi. In questi ultimi 50 anni sono stati fatti dei passi avanti fondamentali nella comprensione della correlazione tra sostanze nocive e conseguenze per la salute delle persone; le ricerche epidemiologiche hanno dato e continuano a dare un contributo importantissimo alla individuazione e al monitoraggio della popolazione esposta a miscele di agenti fisici e chimici potenzialmente dannosi per la salute. Nonostante i significativi progressi realizzati, però, il problema dell’inquinamento e del suo impatto sulla salute umana è ben lungi dall’essere risolto. Il recente Rapporto dell’Agenzia Europea dell’Ambiente (AEA/EEA) L’ambiente in Europa: Stato e prospettive pubblicato nel 2010 indica tra le prime quattro priorità strategiche delle attuali politiche europee proprio la questione delle correlazioni tra ambiente, salute e qualità della vita. In Europa il contesto più problematico è rappresentato dall’inquinamento dell’aria nelle città a causa del traffico stradale, delle attività industriali, dell’uso dei combustibili fossili per il riscaldamento e la produzione di energia. A fronte dei positivi risultati conseguiti nei confronti di alcuni fattori inquinanti come piombo, ossidi di azoto, monossido di carbonio, diossido di zolfo, si registrano livelli di concentrazione particolarmente allarmanti per inquinanti come il particolato sottile (pm10, pm2,5) e l’ozono (O3). Proprio essi, secondo gli studi dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, sono particolarmente dannosi per la salute umana, in termini di minore aspettativa di vita, di effetti respiratori e cardiovascolari acuti e cronici specie per le fasce più deboli della popolazione (anziani, bambini, malati), di riduzione dello sviluppo polmonare nei bambini e del peso alla nascita. Vi sono poi altri due ambiti sui quali il rapporto richiama l’attenzione e che richiedono l’adozione di approcci sistemici e integrati. Il primo riguarda i rischi legati alla esposizione a sostanze chimiche e ai loro effetti combinati sulla salute umana – un ambito in cui alla crescente preoccupazione non corrisponde attualmente un’adeguata disponibilità di dati. Il secondo segnala i rischi correlati al progressivo dispiegarsi del cambiamento climatico e la loro incidenza sulla salute delle persone e delle comunità. L’aumento della temperatura rappresenta uno dei fattori di maggiore impatto sulla salute e sulla qualità della vita umana come conseguenza dell’elevato rischio di aumento di eventi estremi (ondate di calore, ondate di freddo, inondazioni, alluvioni…) e di accresciuta diffusione di nuove malattie (a seguito di una maggior accessibilità di agenti patogeni veicolati dall’acqua e dagli alimenti, di vettori tropicali, dell’inquinamento dell’aria…).

Il caso dell’Eternit Un esempio particolarmente drammatico del rapporto tra salute e ambiente è rappresentato poi dal caso dell’amianto. La recente sentenza di condanna dei due proprietari dell’Eternit da parte del Tribunale di Torino ha riportato alla luce un problema con cui l’Italia sta facendo i conti da oltre 20 anni. È, infatti, dal 1992 che il nostro Paese ha messo al bando la produzione e l’utilizzo dell’amianto a causa della sua pericolosità, ma la sentenza è storica perché per la prima volta – non in Italia, ma nel mondo – un Tribunale ha confermato che l’amianto uccide e che vi sono precise responsabilità in capo a persone fisiche. L’aver abolito la produzione dell’amianto nel nostro paese è stato un fattore importante, ma non sufficiente nella direzione della protezione della salute umana: la legge del 1992 prevede anche un censimento dettagliato dei siti contaminati, per poi procedere alla bonifica e allo smaltimento. Il compito è assegnato alle Regioni, ma dopo 20 anni tale censimento non è ancora stato completato e le stime a disposizione sono quelle del CNR e dell’Ispesl, secondo cui nel territorio nazionale vi sarebbero tra le 30 e le 40 tonnellate di materiali contenenti amianto; un milione di metri quadrati di coperture in eternit è presente già solo a Casale Monferrato. Le conseguenze della presenza di questa enorme e pervasiva quantità di materiale inquinato e pericoloso sono particolarmente pesanti: si calcola che circa 3.000 persone muoiono in Italia ogni anno a causa di malattie connesse al rilascio delle fibre di amianto. Come è noto, infatti, il rischio non è legato tanto alla presenza della sostanza, quanto alla polvere rilasciata dai materiali degradati, che tendono a spezzarsi e a sbriciolarsi, rilasciando così le fibre di amianto. È una realtà che interessa un numero importante di prodotti (circa tremila), che vanno dagli isolanti termici e acustici alle tubature, dai pavimenti in linoleum alle coperture degli edifici. La sentenza, oltre a riportare l’attenzione dell’opinione pubblica sul problema dell’amianto, rappresenta un’occasione per rilanciare l’urgenza di un piano di messa in sicurezza del territorio italiano nei confronti di questo inquinante. Si tratta, cioè, di completare l’attuazione della legge 257/92, che prevede interventi per l’individuazione, il risanamento e la bonifica attraverso la realizzazione di appositi impianti di trattamento e di smaltimento dei materiali inquinati. Un’azione importante dovrebbe essere pure orientata alla promozione di apposite campagne informative rivolte alla popolazione, per far conoscere i rischi legati all’amianto, i materiali che lo contengono e la necessità di un idoneo smaltimento. Ma la sentenza del Tribunale di Torino rappresenta 36


anche un’occasione affinché l’Italia si faccia portavoce in sede internazionale della messa al bando universale dell’amianto. Tale materiale continua, infatti, ad essere prodotto in molti paesi del mondo (Cina, India, Russia, Brasile, Indonesia…), mentre in parecchi altri – tra cui Stati Uniti e Canada – non ne è vietato l’utilizzo. La questione dell’amianto rapresenta quindi su scala internazionale un problema tutt’altro che marginale: secondo stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità muoiono nel mondo ogni anno 100mila persone per esposizione all’amianto, mentre 125 milioni sono i lavoratori esposti a tale sostanza. Nella lotta contro l’amianto la sentenza italiana – pur con ingiustificato ritardo e con il sacrificio di un numero troppo alto di vite umane – rappresenta, dunque, una buona notizia nel cammino di civiltà della famiglia umana. Bisogna ora estendere questo risultato anche a livello internazionale, sostenendo il diritto alla salute e alla vita delle persone e dei lavoratori di quei Paesi che hanno da poco iniziato il loro cammino di sviluppo economico e sociale. Vi è, allora, un’azione di diplomazia da svolgere all’interno delle istituzioni internazionali come le Nazioni Unite, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’Organizzazione Mondiale del Commercio e degli organismi quali il G8 e il G20. Fondamentale è però anche agire sul fronte della cooperazione allo sviluppo e sul trasferimento di tecnologie innovative: le conoscenze più recenti mettono oggi a disposizione materiali in grado di sostituire con successo e a parità di costo l’amianto in tutti quei prodotti in cui storicamente veniva e viene utilizzato.

L’Italia: un territorio splendido e fragile Il “Bel Paese”, è indubbiamente un territorio straordinario che offre sintesi di valori naturali e culturali senza uguali in Europa. La biodiversità, per effetto della varietà dei climi, della morfologia (monti, colline, laghi, coste, pianure, isole, lagune), dei suoli (rocce antiche e recenti – di origine carbonatica, metamorfica, cristallina, vulcanica –, azione dei ghiacciai e dei fiumi, aree carsiche) e del secolare modellamento da parte delle popolazioni, è ricca al punto da contribuire per oltre il 50% a quella dell’intero continente. Questa straordinaria “armonia” che ha ispirato poeti e artisti e che rende il nostro paese tra i più attraenti a livello turistico, è fondata su delicati equilibri, per secoli sostenuti dal paziente lavoro di un’agricoltura tradizionale, non intensiva, rispettosa del futuro. Sono così sorti paesaggi “frutto della natura e del lavoro dell’uomo” di cui ogni regione è ricca. Una “ruralità” di fondo che oggi, per l’evoluzione delle pratiche agronomiche e l’affermarsi di modelli socioeconomici sempre più competitivi e globalizzati, ha perso la sua identità, aprendo a fenomeni di abbandono, da un lato (con evidenti conseguenze deleterie a livello di paesaggio e di presidio del territorio, specie nelle aree montane, intrinsecamente più fragili), e di concentrazione delle attività, dall’altro, con forzature della produzione e il ricorso a modelli di utilizzo più intensivi e meno rispettosi dei tempi della natura. Alcune conseguenze sono poi rafforzate da fenomeni di cambiamento climatico che a prescindere dall’analisi delle cause – più o meno naturali oppure antropiche – o dalle iniziative necessarie per mitigarne gli effetti (con problemi di costi, ma anche di responsabilità), sono innegabili e purtroppo ricorrenti, con frane, alluvioni, dissesti. A compromettere territori spesso stupendi contribuiscono anche l’incuria (mantenere un territorio bello e ordinato richiede molta energia, sapienza, attenzione, rispetto) e l’egoismo (si punta solo al profitto immediato, confidando troppo nella capacità di diluizione degli ecosistemi naturali per smal-

tire i veleni e rinviando decisioni importanti, anche a livello internazionale, magari accrescendo gli squilibri Nord-Sud). Alla stessa dinamica contribuisce pure la concomitante espansione urbanistica, che riduce pericolosamente la superficie agraria utile, cioè il suolo effettivamente coltivabile. In Italia sono nate, a partire dagli anni ’90, diverse aree protette che si sono aggiunte ai parchi storici e oggi oltre il 10% del territorio dovrebbe essere difeso e al sicuro. A ciò si aggiungano le normative europee che con la Rete Natura 2000 dovrebbero contribuire alla tutela di habitat (quindi territori prossimo-naturali) e specie. Ciò nonostante, le pressioni speculative non sono cessate e le tutele appaiono deboli. Serve, quindi, ancor più di normative che risultano di complessa applicazione, una nuova consapevolezza, dal basso, da parte delle famiglie, dei singoli cittadini, delle comunità parrocchiali e civili. In tal senso si evincono anche segnali positivi di una nuova partecipazione alla gestione dei beni comuni. Il territorio resta un bene preziosissimo, da non sprecare, e la sua efficace gestione richiede anzitutto puntuale conoscenza dei suoi valori, ambientali e culturali, il rafforzamento delle identità (nelle aree montane e interne più spopolate e fragili ormai spesso compromesse) e l’adozione di opportune iniziative di riqualificazione. Va invertita la tendenza al consumo e al degrado dei suoli, valorizzando iniziative (non mancano gli esempi di buone pratiche) fondate sulla sostenibilità (durevolezza) delle attività necessarie a produrre i beni di consumo (evitando sprechi) e garantire un futuro meno condizionato dalle minacce ambientali ai nostri figli.

Consumo di suolo Il consumo di suolo naturale e agricolo in Italia, ma anche nei Paesi dell’Ue, ha assunto valori e dinamiche drammatici. Non si dispone a oggi di un registro nazionale dei consumi di suolo, ma si stima che tra 1995 e 2006 siano stati consumati 750.000 ha (pari a 68.200 ha/anno e 187 ha/giorno) e che, dunque, in 11 anni sia sparita un’area vasta come l’Umbria. Esaminando i dati di consumo di suolo, poi, emerge una forte accelerazione del fenomeno dall’inizio del millennio. Gli studiosi rilevano che in Italia il consumo di suolo, bene di fatto non rinnovabile, disponibile in quantità data ed esauribile, procede a tassi superiori rispetto ai ritmi di crescita della popolazione e del reddito pro-capite; trattasi, pertanto, di un consumo di suolo immotivato, consegnato a logiche di mercato e interessi di parte e che non consente di massimizzare il beneficio sociale netto. Sono note le cause generali, culturali in senso lato, del fenomeno dell’eccesso di consumo di suolo quali: a) l’incapacità dell’uomo di ritrovare la rilevanza del senso del limite; b) la correlata e fallace ideologia di una possibile cre37


scita senza fine, quando la limitatezza fisica della terra e delle altre risorse non rinnovabili costituisce un vincolo assoluto alla crescita infinita; c) l’affermarsi della deregulation competitiva; d) un’idea distorta di innovazione, che ha il proprio paradigma nel consumo di suolo, ma anche del territorio, della città, di beni relazionali e di socialità, da cui deriva una dissipazione di qualità della vita; e) la tesi per la quale la crescita delle città e delle reti di comunicazione rappresenterebbe una sorta di marcatore di sviluppo e modernità. Altrettanto conosciute sono le cause specifiche del consumo di suolo in sintesi riferibili: a) al prevalere della città dilatata, a bassa densità e disseminata (sprawl urbano); b) a scelte residenziali dei cittadini e di localizzazione o delocalizzazione di imprese industriali e commerciali; c) all’assunzione dei territori metropolitani come un sistema insediativo unitario su scala vasta, che annulla le dicotomie centro-periferia e città-campagna; d) alla rilevanza, in tutti i più recenti processi di urbanizzazione, della rendita urbana, che è tornata a rappresentare un fattore decisivo dell’espansione delle città italiane, grandi e minori; e) all’esistenza di una pianificazione urbanistica frammentata, chiusa nel recinto dei confini amministrativi comunali e incapace di cogliere le correlazioni di area vasta di un’urbanità bisognosa di coordinamento; f) alla crisi finanziaria degli Enti Locali, che ha portato i comuni a configurare gli oneri di urbanizzazione come “cifra” importante per far quadrare i bilanci e finanziare le stesse spese correnti. Si può affermare che la sostenibilità dei servizi sociali, di per se stessi diritti esigibili, non possa prescindere dalla tutela del territorio e che, quindi, non possa giustificarsi il consumo di suolo per mantenere un elevato livello di servizi. Ed, infine, è facile verificare anche gli impatti diretti ed indiretti, immediati o di lungo periodo del consumo di suolo: perdita irreversibile da parte dei suoli urbanizzati delle proprie capacità fisiche e biologiche (fissazione della CO2, problemi di rifornimento delle falde idriche, ecc.), degrado del paesaggio, dissesto idrogeologico, deterioramento della qualità della vita e, non da ultimo, perdita di imprese e di infrastrutture agricole, di cultura imprenditoriale, di prodotti alimentari, di biodiversità, di tradizioni rurali, di conoscenza e di capacità manutentiva del territorio. Sono invece segni di speranza la crescente mobilitazione di gruppi di cittadini, le prese di posizione di gruppi di cittadini associazioni ambientaliste, agricole, cooperative, di intellettuali, di comunità cristiane, che si attivano ora su questo ora su quell’intervento di natura strutturale o infrastrutturale ambientalmente rilevante. Pure promettenti sono le scelte di quelle amministrazioni provinciali e comunali che pongono tra gli obiettivi strategici dei propri strumenti di panificazione

il massimo contenimento o perfino l’azzeramento del consumo di suolo, nonché l’inedificabilità delle cosiddette aree libere (aree agricole). Altrettanto degno di attenzione è l’accoglienza – a livello scientifico, ma anche a livello politico e legislativo – del tema del suolo come bene comune, da cui far discendere l’introduzione di norme cogenti che abbiano l’obiettivo di minimizzare il consumo di suolo, e la costruzione di quadri conoscitivi completi, adeguati e aggiornati della caratterizzazione agricola, paesistica e naturalistica dei suoli e dell’edificazione urbana. Si fa strada la consapevolezza che la tutela del suolo agricolo non è questione economica in senso stretto poiché per l’economia dominante qualsiasi destinazione del suolo diversa da quella agricola (residenziale, industriale, commerciale, infrastrutturale, ecc.) è più conveniente rispetto ad un uso agricolo. D’altronde, l’economia tradizionale, che si serve della moneta e che fa riferimento ai valori di scambio dei beni riproducibili, e cioè alla scarsità relativa, non contempla (non può contemplare) né i valori d’uso che non passano via mercato né beni a scarsità assoluta, qual è il suolo. La tutela del suolo agricolo è, dunque, questione di natura eminentemente etica e politica, intrinseca e costituiva di un modo altro ed alto di concepire la politica e di governare il territorio. Occorrono opportuni interventi legislativi sul piano nazionale (a partire dalla sempre rinviata normativa sul regime dei suoli) e sul piano regionale, necessitato, questo, a far sue la nozione della pianificazione comunale di tipo strutturale, da assoggettare a Valutazione Ambientale Strategica, e l’innovazione procedurale costituita dalla co-pianificazione tra differenti livelli amministrativi, la quale, assicurando un controllo più attento sulle espansioni urbane, è capace di produrre un efficace contenimento del consumo di suolo. Una reale tutela del suolo: a) postula l’esigenza di perseguire concretamente uno sviluppo sostenibile, che metta a disposizione della cittadinanza strumenti di conoscenza del fenomeno, che ricorra a un insieme di strumenti di natura diversa e complementare di natura giuridica, economica, fiscale, oltre che di comunicazione e partecipazione, e che valorizzi le sinergie tra urbanistica, economia e fiscalità locale, con l’obiettivo di creare un modello di governo del territorio e dell’ambiente coerente con le aspettative più profonde e vere della società; b) sollecita la definizione di azioni e strumenti di gestione non condizionabili da interessi di parte, secondo un modello di sviluppo basato su stili di vita personali e comunitari improntati a sobrietà, eco-sufficienza ed eco-efficienza e che miri alla qualità del vivere e dell’abitare, alla convivialità e al benessere dei cittadini e, anzi, a una felicità sost nibile. La tutela del suolo, al pari di quella di altri beni comuni, richiama, infine, l’esigenza di considerare per il governo del territorio forme di democrazia partecipativa, che si affianchino alle istituzioni di democrazia rappresentativa, valorizzando ruolo e compiti della società civile organizzata. Scriveva Luigi Einaudi: «La lotta contro la distruzione del suolo italiano sarà dura e lunga. Ma è il massimo compito di oggi se si vuole salvare il suolo in cui vivono gli italiani » (Il Corriere della Sera, 15.12.1951). 38


LA MORTE DEL CARDINAL MARTINI Si sono svolte il 3 settembre, nel duomo di Milano, le esequie del card. Carlo Maria Martini, spentosi a Gallarate, all’età di 85 anni, venerdì 31 agosto. La messa, presieduta dall’arcivescovo di Milano, card. Angelo Scola, è stata concelebrata da 9 cardinali, 39 vescovi e 1200 sacerdoti, alla presenza di numerose autorità civili, come il premier Mario Monti, 4 ministri, l’ex presidente del Consiglio, Romano Prodi, 30 parlamentari e 35 sindaci provenienti da tutta Italia. In piazza Duomo c’erano oltre 15 mila persone, e circa 6 mila fedeli si sono raccolti in preghiera all’interno della chiesa. “È stato un uomo di Dio, che non solo ha studiato la Sacra Scrittura, ma l’ha amata intensamente, ne ha fatto la luce della sua vita, perché tutto fosse per la maggior gloria di Dio”. È un passaggio del messaggio che Benedetto XVI ha fatto giungere in occasione delle esequie. A leggere il testo il card. Angelo Comastri. Proprio per questo, secondo il Papa, il card. Martini “è stato capace di insegnare ai credenti e a coloro che sono alla ricerca della verità che l’unica Parola degna di essere ascoltata, accolta e seguita è quella di Dio, perché indica a tutti il cammino della verità e dell’amore”. E il card. Martini è Il cardinal Martini con tre botticinesi al termine della stato capace di farlo “con S.Messa da lui celebrata a Gerusalemme alcuni anni fa una grande apertura d’animo, non rifiutando mai l’incontro e il dialogo con tutti, rispondendo concretamente all’invito dell’Apostolo di essere ‘pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi’. Lo è stato con uno spirito di carità pastorale profonda, secondo il suo motto episcopale, “Pro veritate adversa diligere”, attento a tutte le situazioni, specialmente quelle più difficili, vicino, con amore, a chi era nello smarrimento, nella povertà, nella sofferenza”. “Siamo qui convocati dalla figura imponente di questo uomo di Chiesa, per esprimergli la nostra commossa gratitudine”, ha detto il card. Angelo Scola, nell’omelia per le esequie. Il card. Martini, ha ricordato il porporato, “non ci ha lasciato un testamento spirituale, nel senso esplicito della parola. La sua eredità è tutta nella sua vita e nel suo magistero e noi dovremo continuare ad attingervi a lungo”. Secondo il card. Scola, “affidare al Padre questo amato pastore significa assumersi fino in fondo la responsabilità di credere più che mai in questo Anno della fede e la responsabilità di testimoniare il bene della fede a tutti. Ci chiede il nostro amato cardinale di diventare, con lui, mendicanti di Cristo”. Questo è “il grande lascito del cardinale Carlo Maria: davvero egli si struggeva per non perdere nessuno e nulla. Egli, che viveva eucaristicamente nella fede della risurrezione, ha sempre cercato di abbracciare tutto l’uomo e tutti gli uomini. E lo ha potuto fare proprio perché era ben radicato nella certezza incrollabile che Gesù Cristo, con la Sua morte e risurrezione, è perennemente offerto alla libertà di ognuno”. Il pastore che ora affidiamo al Padre, “ha amato il suo popolo, spendendosi fino all’ultimo istante. Anch’io ho potuto far tesoro del suo aiuto quest’anno, fin all’ultimo affettuoso colloquio, una settimana prima della sua morte”. “Nell’attitudine salvifica, e quindi pienamente pastorale, del suo ministero egli ha riversato competenza scritturistica, attenzione alla realtà contemporanea, disponibilità all’accoglienza di tutti, sensibilità ecumenica e al dialogo interreligioso, cura per i poveri e i più bisognosi, ricerca di vie di riconciliazione per il bene della Chiesa e della società civile”. Al termine della celebrazione ha preso la parola anche il card. Dionigi Tettamanzi, arcivescovo emerito di Milano e successore di Martini sulla cattedra di Ambrogio e Carlo: “Lui è stato, per me come per tantissimi altri, punto di riferimento per interpretare le divine Scritture, leggere il tempo presente e sognare il futuro, tracciare sentieri per la missione evangelizzatrice della Chiesa in amorosa e obbediente docilità al suo Signore”. Il card. Tettamanzi ha così rievocato il “sorriso” e la “parola” del card. Martini, il suo “chinarsi sulle nostre fragilità”, lo “sguardo capace di vedere lontano”, la fede “nei giorni della gioia e in quelli del dolore” e “l’arte di ascoltare e di dare speranza a tutti”. Tra i vescovi concelebranti anche mons. Luciano Monari che ha portato a Milano il cordoglio della Chiesa bresciana che più volte nel corso dell’episcopato milanese e negli anni successivi ha avuto modo di accogliere e apprezzare il card. Carlo Maria Martini. La sua ultima visita a Brescia in occasione del viaggio apostolico di Benedetto XVI dell’8 novembre 2009. 39


LAVORI IN CORSO NELLE PARROCCHIE

Fermento, movimento di mani, di ingegno e fantasia, ma soprattutto grazie alla buona volontà di persone volontarie per l’occasione o da sempre si è potuto in questi mesi intervenire per la sistemazione di alcuni luoghi degli oratori di Botticino. A San Gallo si è sistemato il banco bar e si è dato una bella rinfrescata delle pareti, pitturate con arte. A Botticino Mattina si sono ricavati i luoghi per dare la possibilità ai gruppi giovanili che amano fare musica di trovarsi per suonare, fare le prove e costruire occasioni di incontro e spettacolo musicale. Tali luoghi sono stati realizzati con rivestimento e controsoffittature in legno per un audio migliore. Occorrerà in futuro dare una tinteggiatura nuova, più giovane e fresca ai vari locali dell’oratorio... Non mancheranno certo buone persone che si presteranno per tale opera. A Botticino Sera si è iniziato a spostare la segreteria in un luogo più visibile e dal quale si può avere un maggior “controllo” e l’ufficio parrocchiale al pian terreno per avere una stanza in più per gli incontri, e poi giorno dopo giorno i locali al pian terreno (entrata, corridoio, sala bar e sale attigue) si sono colorate di giallo, arancio, rosa, verde, azzurro... Visto l’ottimo risultato - e l’aver preso su la mano - si è continuato dando una sistemazione a quello che fino a qualche anno fa era l’appartamento del curato, prima che si trasferisse in canonica, trasformandolo in stanze tanto necessarie per gli incontri. Serramenti, porte, pavimento, pareti colorate, controsoffitto per favorire il risparmio energetico e rifacimento impianto riscaldamento... Il tutto con poca spesa, ma con tanto lavoro per i ‘soliti’ volontari ma anche per quelli occasionali non solo di Sera, ma anche di Mattina. Sì, queste stanze avevano proprio bisogno di un tocco di classe perchè piccoli e grandi si trovino meglio quando partecipano agli incontri. Ma non è finita: occorrerà intervenire anche nella zona aule, quelle dove una volta c’era la scuola e che erano le uniche per l’attività di catechesi. Forza, aspettiamo qualche aiuto in più!

RINNOVATO IL PRESBITERIO DELLA CHIESA PARROCCHIALE DI BOTTICINO MATTINA Grazie a Giuseppe Tregambe, artista di casa nostra, a quanti hanno fornito il marmo (di Botticino!), come il Consorzio e le Cooperatrive, a chi ci ha prestato il laboratorio, e ad alcuni volontari si è potuto completare il presbiterio della chiesa parrocchiale di Botticino Mattina. Giuseppe,l’artista, ha sistemato l’altare esistente (fatto da lui anni fa, come anche l‘ambone) ritoccando e migliorando la raffigurazione; è stato posizionato su un basamento nuovo interamente di marmo. Ha dato più corpo all’ambone arricchendolo di simboli: la Parola di Dio, proclamata e sostenuta dai quattro evangelisti, si riversa su chi l’ascolta come una fonte d’acqua viva. La sede del presidente della celebrazione con disegnate in rilievo le palme attorno alla croce che richiamano il martirio dei SS.Faustino e Giovita, patroni di Mattina, con la sede accanto del diacono e quelle dei concelebranti sono realizzazioni nuove. Il risultato è ottimo, anche per l’armonia dell’insieme di tutto il presbiterio. Nella pagina accanto potete trovare ulteriori motivazioni, oltre a quelle estetiche, del perchè di questo intervento. 40


L’ADEGUAMENTO DELLE CHIESE SECONDO LA RIFORMA LITURGICA SECONDO L’ORDINAMENTO GENERALE DEL MESSALE ROMANO(295 e ss.) E CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, RIGUARDANTI IL PRESBITERIO, L’ALTARE, L’ AMBONE E LA SEDE DEL PRESIDENTE (16 e ss.) Il progetto di adeguamento del presbiterio ha un duplice scopo: consentire un agevole svolgimento dei riti e mettere in evidenza i tre "luoghi" eminenti del presbiterio stesso che sono l'altare, l'ambone e la sede del presidente.

L’altare

L’altare nell’assemblea liturgica non è semplicemente un oggetto utile alla celebrazione, ma è il segno della presenza di Cristo, sacerdote e vittima, è la mensa del sacrificio e del convito pasquale che il Padre imbandisce per i figli nella casa comune, sorgente di carità e unità. Per questo è necessario che l’altare sia visibile da tutti, affinché tutti si sentano chiamati a prenderne parte ed è ovviamente necessario che sia unico nella chiesa, per poter essere il centro visibile al quale la comunità riunita si rivolge. La sua collocazione è di fondamentale importanza per il corretto svolgimento dell’azione liturgica e deve essere tale da assicurare senso pieno alla celebrazione. La conformazione e la collocazione dell’altare devono rendere possibile la celebrazione rivolti al popolo e devono consentire di girarvi intorno e di compiere agevolmente tutti i gesti liturgici ad esso inerenti. ...Per evocare la duplice dimensione di mensa del sacrificio e del convito pasquale, in conformità con la tradizione, la mensa del nuovo altare dovrebbe essere preferibilmente di pietra naturale, ...e i suoi lati tutti ugualmente importanti... Nel caso in cui l’altare preesistente venisse conservato, si eviti di coprire la sua mensa con la tovaglia e lo si adorni molto sobriamente, in modo da lasciare nella dovuta evidenza la mensa dell’unico altare per la celebrazione...

L’ambone

L’ambone è il luogo proprio dal quale viene proclamata la Parola di Dio. La sua forma sia correlata a quella dell’altare, il cui primato deve comunque essere rispettato. L’ambone deve essere una nobile, stabile ed elevata tribuna, non un semplice leggio mobile; accanto ad esso è conveniente situare il candelabro per il cero pasquale, che vi rimane durante il tempo liturgico opportuno. L’ambone va collocato in prossimità dell’assemblea, in modo da costituire una sorta di cerniera tra il presbiterio e la navata; è bene che non sia posto in asse con l’altare e la sede, per rispettare la specifica funzione di ciascun segno...

La sede del presidente

La sede è il luogo liturgico che esprime il ministero di colui che guida l’assemblea e presiede la celebrazione nella persona di Cristo, Capo e Pastore, e nella persona della Chiesa, suo Corpo. Per la sua collocazione, essa deve essere ben visibile da tutti e in diretta comunicazione con l’assemblea, in modo da favorire la guida della preghiera, il dialogo e l’animazione. La sede del presidente é unica e non abbia forma di trono; possibilmente, non sia collocata né a ridosso dell’altare preesistente, né davanti a quello in uso, ma in uno spazio proprio e adatto...si prevedano adeguate sedi per i concelebranti. La sede del diacono sia posta vicino alla sede del celebrante. Ove possibile, è bene prevedere opportune sedi per gli altri ministri liturgici e per i ministranti distinte da quelle del presidente e dei concelebranti. 41


pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia -

UNITA’ PASTORALE -PARROCCHIE BOTTICINO

Commissione pastorale familiare e coppia Associazione PUNTO FAMIGLIA E DINTORNI

pagine per la famiglia e... dintorni

La casa sulla roccia:

Sulla roccia di Cristo sorge la famiglia come Chiesa domestica settembre 2012 Nell’anno pastorale che si apre, siamo invitati come Chiesa a porgere particolari attenzioni a due eventi di portata eccezionale, uno di carattere diocesano e l’altro di dimensione universale. Prendendo lo spunto dai 50 anni dall’inizio del Concilio Vaticano II, papa Benedetto XVI ha voluto indire un anno dedicato alla fede, alla sua riscoperta e alla sua diffusione. In questo solco, la nostra Chiesa diocesana, dopo un significativo tempo di preparazione, si appresta a vivere il Sinodo sulle Unità pastorali, nell’intento di ridisegnare, così, un nuovo volto della vita, dell’identità e della missione delle nostre comunità cristiane. Anche la pastorale familiare, come azione di Chiesa con e per le famiglie, intende percorrere un cammino in piena sintonia con le due strade accennate qui sopra, cercando di far emergere la ricchezza e la complementarietà del proprio apporto nella complessa azione generale. Così, una riflessione ampia e profonda sulla “Famiglia come chiesa domestica” diventa la felice concretizzazione di questo percorso, nello sforzo di riscoprire la fede e di ricercare una maniera rinnovata di “abitare” la Chiesa. Una famiglia abitata dalla Grazia divina nelle sue relazioni e vicende quotidiane diventa realmente una pietra viva di comunione per la Chiesa universale, acquistando a buon diritto il titolo di “piccola chiesa”, come felicemente ci ricorda il documento conciliare Lumen Gentium (n. 11). Vivere la carità fraterna e l’ordinaria azione di cura vicendevole, fanno del nucleo familiare fondato sul matrimonio un chiaro luogo teologico e sacramentale, dove cioè in maniera evidente si costruisce il Regno di Dio, durante il trascorrere delle generazioni. Nella preghiera personale e comune, come pure in ogni gesto di sincera oblazione, tutta la famiglia rende culto a Dio e alimenta la comunione spirituale con l’intera Chiesa. Non c’è linguaggio più completo e non c’è un arco di tempo più ampio di

quello del familiare per trovare, poi, le occasioni di far conoscere il Signore Gesù e insegnare la vita buona del Vangelo: in famiglia, davvero, generare alla vita è generare alla fede, una volta e per sempre. Appare evidente, anche, come il Testo Sacro, pur nella grande diversità dei suoi Libri, dei periodi e delle situazioni, faccia risuonare, come una delle note fondamentali, il manifestarsi di Dio nella vita familiare. Nella pienezza dei tempi e nella piccolezza della famiglia di Nazareth, dice il Vangelo, addirittura Dio prende la sua dimora tra gli uomini; la sua Parola completa, il suo Unigenito Figlio, assume tutta l’umanità e ci salva tra le venature delle relazioni casalinghe, percorrendo le stanze dell’intera esistenza. Continuando in questa direzione, la Chiesa apostolica e dei primi secoli (almeno fino al sec. IV) ha innestato la propria esperienza di comunione e di comunità partendo precisamente dalle casa, facendo emergere via, via una specifica casa di accoglienza in cui tutti si potessero riconoscere stabilmente nel ritrovarsi a rendere culto a Dio. La “Domus Ecclesiae” era così in grado di tenere insieme gli elementi di unione fraterna in un luogo casalingo, vissuto nell’esperienza quotidiana, con quella di uno spazio chiaramente ed inevocabilmente deputato anche alle espressioni di fede, soprattutto nella preghiera liturgica dell’eucarestia. Dalla vita e dalle vicende del familiare, tutta la comunità cristiana era in grado di presentare a Dio ringraziamenti, lode e richieste, distinguendo ma non separando fede e vita. Da queste poche battute, spero che tutti possano aver inteso l’importanza dell’argomento e la sua piena attualità, personale – familiare – ecclesiale, nonché la necessità dell’apporto attivo di ogni singola famiglia, come pietra viva della comunità cristiana. Allora, va da sè, che ogni iniziativa dell’Ufficio famiglia sarà indirizzata su questa strada, chiedendo ovviamente a tutti coloro che si mettono a servizio della pastorale familiare di compiere al riguardo uno 42


pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia sforzo di comunione; questo esprimerà un autentico mo creati a immagine di Dio Trinità d’Amore. stile di Chiesa e sarà un valido contributo al Sinodo • Credo nella fedeltà dei legami e delle prodiocesano. messe fatte, come unica possibilità di reciproca accoglienza e affidamento, nella responottobre 2012 sabilità matura e nella dignità personale. Un anno interamente dedicato alla fede, alla • Credo nell’amore totale e fecondo, come sua riscoperta nella comprensione e nella vita di te- sorgente inesauribile di bene e di novità, stimonianza: è questo che chiede a tutta la Chiesa come unica risposta al dono dell’altro. il nostro papa Benedetto XVI. Si tratta di una scelta • Credo nel matrimonio sacramento, come che non può non far emergere alcuni interrogativi, viva manifestazione dell’amore di Cristo verda quelli generali fino alle domande che salgono so la Chiesa e come fondamento della famidalle singole famiglie cristiane. Ad esempio, perché glia. un invito così diretto per una realtà che sta a fonda- • Credo nel perdono come respiro di vita e mento del nostro essere Chiesa e seguaci di Gesù speranza del futuro, senza il quale nessun Cristo? E’ così necessario ritornare su quelle dimen- amore è veramente umano e nessuna intensioni che sostengono tutta la nostra vita e le nostre zione di bene diventa seme di verità. scelte? E ancora, ma la famiglia fondata sul matri- • Credo che la pace sia dono del Risorto e monio, e insieme tutta la vita familiare dei cristiani, meta da raggiungere, con lo stile dell’umiltà come viene coinvolta dalla richiesta del Pontefice? personale e della correzione fraterna, con Si potrebbe proseguire allungando l’elenco un metodo di dialogo speranzoso che sa vindi domande ed approfondendo la ricerca di senso, ceretutti i silenzi dei cuori. ma sono sicuro che basterebbe prendersi la briga • Credo nell’impegno quotidiano per costrudi rispondere a questi tre primi interrogativi. Quello ire il Regno di Dio, con il contributo di tutti e che a noi appare immediatamente fruttuoso per la senza scartare nessuna delle briciole di vita pastorale familiare, però, è il sostare sulla questione del familiare, insieme a tutti i buoni rapporti della fede in famiglia, su che cosa davvero è chiama- di rete che si creano nella Chiesa e nella sota a credere una famiglia cristiana. Ovviamente, es- cietà.. sendo cellula fondamentale della Chiesa univerale, • Credo che la pazienza e la benevolenza siavale il credo niceno-costantinopolitano, quello per no alcune delle virtù per coloro che sono inintenderci che recitiamo insieme tutte le domeniche namorati della famiglia; non optional di poa messa. Sì, certo, ma la questione è come calarlo chi, ma percorso e stile di vita per tutti. nelle vene del corpo familiare, come cioè scrivere un • Credo che generare alla vita sia generare credo con la vita della famiglia. alla fede nell’educazione testimoniata e nel Vediamo, allora, in poche battute di iniziare la preghiera perseverante, con i linguaggi la riflessione con un decalogo, con la speranza che propri e molteplici che la famiglia deve offripossa diventare spunto di revisione di vita e rilancio re, nella complementarietà degli interventi per un’esistenza sempre più evangelica. nella Chiesa e nella società civile. Così, una famiglia potrebbe dire... Queste dieci parole “magiche” potrebbero essere viste come dieci sentieri, che poi in verità si • Credo nella vita come dono e come impron- traducono in un’unica via per la famiglia cristiana, ta di Dio, nella dignità di ogni essere umano ritmando i passi del suo cammino con la professioe in ogni momento, nell’esistenza che cam- ne continua della fede in Colui che lungo i secoli ci mina nel bene e compie passi verso l’eterni- continua a salvare dicendo: “Questo è il mio comantà. damento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho • Credo nella comunione, come spazio di cre- amato voi” (Gv 15,12). scita e di felicità per ciascuna persona, contro don Giorgio Comini ogni egoismo ed individualismo, perché siasegretariato diocesano pastorale familiare

Appuntamento

Santa Messa per famiglie, fidanzati e animatori della pastorale familiare. Ogni ultimo sabato del mese. alle ore 21 – Centro Pastorale “Paolo VI”.

Pomeriggi di spiritualità coniugale presso Chiesa della S. Famiglia di Nazaret Fantasina - Cellatica (ore 16.00 - 18.00). CALENDARIO ANNUALE: - Domenica 16 ottobre - Domenica 20 novembre Domenica 18 dicembre-Domenica 22 gennaio Domenica 26 febbraio - Domenica 18 marzo Domenica 15 aprile - Domenica 27 maggio 43


DAL VII INCONTRO MONDIALE DELLE FAMIGLIE MILANO 30 MAGGIO - 2 GIUGNO 2012

LA FAMIGLIA: IL LAVORO E LA FESTA

La famiglia tra opera della creazione e festa della salvezza

Card. G.Ravasi Al centro della riflessione la casa, non solo edificio, ma “luogo” delle relazioni famigliari, del casato, delle generazioni, aperta al mondo; la casa/famiglia ecclesia domestica dei primi secoli, sede dell’eucaristia domenicale. Il Card. Ravasi dipinge con pennellate bibliche la casa simbolica, non un’ ideale irraggiungibile, ma quella che permette di vivere e custodire “l’intima comunione di vita e d’amore” (GS 48), quella a cui Gesù si rifà in Mt 19,3-9 riportandoci al “principio” e ricordando con Lévi -Strauss che la famiglia è un fenomeno universale, reperibile in ogni e qualunque tipo di società. Per edificare la casa sono necessarie solide fondamenta. Alla base, la coppia, descritta nell’ebraico di Gn 2 con sette termini: ‘ezer (aiuto), ke-negdô (come di fronte), costola, dabaq (unirsi), basar ‘ehad (un’unica carne), ‘isshah (donna), ‘ish (uomo). Per ognuno di essi è offerto un breve approfondimento. Ma la casa bisogna anche di pareti, di “pietre vive” attorno alla “pietra viva” che è Cristo. Sono i figli. Dopo il nome divino Jhwh nell’AT la parola più ricorrente è ben (figlio). La fecondità della coppia rimanda al suo essere “ad immagine di Dio” proprio in quanto coppia “maschio e femmina” (Gn 1,27). La relazione generativa umana “diverrà l’analogia illuminante per scoprire il mistero di Dio.. la visione trinitaria cristiana di Dio Padre, Figlio e Spirito d’amore. Dio Trinità è comunione d’amore e la famiglia ne è il riflesso vivente”. Un duplice monito sulle pareti della casa definisce l’im-

La famiglia, il lavoro e la festa nel mondo contemporaneo Luigino Bruni Oggi è necessario rivendicare per la famiglia il ruolo di soggetto economico globale, non solo come agenzia di consumo, risparmio, ridistribuzione del reddito e fornitrice di lavoro, sostanzialmente “maschile”. La famiglia è anche produttrice. Il Nobel per l’economia Becker ha affermato che anche quando essa consuma, produce valore, anche economico, attraverso un lavoro di trasformazione, anche se il PIL non lo registra. Un esempio: trasformare il cibo in pranzo. Un

pegno di chi la vive e ne custodisce i legami: l’amore totale e indissolubile e il quarto comandamento. Poi ci sono le tre stanze, tre locali simbolici abitati quotidianamente, la stanza del dolore, la stanza del lavoro, la stanza della festa e della gioia familiare. Nella relazione il Card. avasi si ferma su ognuna di esse, sottolineando per la festa l’importanza dell’attesa e della preparazione, per assaporare nel tempo l’eterno e imparare ad aprirsi a quella festa senza fine che ci attende: l’ eternità nella comunione con Dio. Primo luogo di questa educazione/catechesi è la famiglia. La visione della casa si chiude sulla necessità che sia abitata da due virtù: la speranza, che apre al futuro, alla novità, al desiderio di conversione, alla possibilità di cambiamento perché non incatena le persone nel tempo presente; la tenerezza, che ha un volto materno ma anche paterno, come quello del quadro di Os 11,1-4. La famiglia tra opera della creazione e festa della salvezza.

rapporto famigliare stabile “produce “ felicità , maggior rispetto per istituzioni e leggi, maggior partecipazione alla vita civile e al volontariato, aumento della soddisfazione individuale. Da ultimo l’economia cresce quando ha capitale sociale e beni relazionali, si vive il rispetto delle regole, la cultura civica e una fiducia diffusa. La famiglia che educa alla cooperazione, al senso civico ....offre una forma specifica di capitale, produce beni relazionali, spirituali, non ancora debitamente riconosciuti. Oggi si chiede alla famiglia di consumare di più per rilanciare la crescita, ma com’è possibile aumentare i consumi se non si lavora, oppure poco e male? La gratuità e il dono accomunano 44

la famiglia, il lavoro e la festa. L’arte delle gratuità che si apprende in famiglia riguarda anche il lavoro e l’economia. Gratuità non è sinonimo di gratis, sconto, non remunerazione. Ma è quella indicata nella Caritas in veritate come un modo di agire senza utilitarismo, riconoscere che il lavoro va fatto bene non in vista di un riconoscimento ma perché è un bene, è una cosa buona. La gratuità si fonda sull’etica delle virtù. La prima motivazione del lavoro ben fatto è dentro il lavoro stesso; la ricompensa è importante ma non è la motivazione del lavoro ben fatto, essa riconosce che il lavoro è fatto bene ma non ne è il “perché”. Per il lavoro ben fatto occorre la gratuità. Non può essere il denaro l’incentivo. Non


aver premiato le virtù...questa crisi è creata anche da lavoratori e manager poco virtuosi. Da chi ha scambiato l’essere imprenditore con la speculazione. Non usiamo la logica dell’incentivo anche dentro casa: il denaro ai figli come riconoscimento, non come un incentivo. Le cose vanno fatte bene (anche i compiti, il riordino della propria camera....) questo è il “perchè” del lavoro ben fatto. L’attuale cultura economica non capisce il valore del lavoro prevalentemente femminile svolto dentro casa e questo ha portato a giustificare stipendi più bassi per molti lavori educativi e di cura. “Il lavoro

è veramente tale e porta anche frutti di efficienza e di efficacia, quando esprime un’eccedenza rispetto al contratto e al dovuto, quando cioè è dono”. Oggi economia e lavoro devono riconciliarsi con la festa. L’economia che non comprende il vero dono, non comprende neppure la festa e la gratuità e le relazioni non strumentali che ne sono parte essenziale. Le diverse le etimologie della parola festa rimandano al lavoro e alla casa. Festa non coincide con divertimento (=“volgere lo sguardo altrove”). Tre sottolineature: - la festa ha bisogno del lavoro; ricreando lavoro sostenibile si ricrea la possibilità della festa - con la festa sia

in famiglia che sul lavoro si esperimenta l’essere comunità e l’avere un destino comune, si va oltre la logica efficientista, si rafforza la fraternità – la festa ha bisogno di tempo e di cura, richiede il lavoro della preparazione, dello svolgimento, del dopo, quando tutto è finito. Gli stili di vita delle famiglie possono sostenere il cambiamento e dire molto alla politica e all’economia: per esempio che il vuoto dei rapporti non si colma col consumo delle merci, che la sobrietà è un bene, che la vulnerabilità e la fragilità sono parte integrante della vita e accolte a piccole dosi rendono più forti.

La famiglia e il lavoro oggi in una prospettiva di fede Card. D. Tettamanzi Una prima considerazione: l’accento culturale sull’individuo, spogliato delle sue relazioni non mette facilmente a tema il rapporto tra famiglia e lavoro, che tende a diventare perciò conflittuale. 1 La Parola di Dio testimonia che famiglia e lavoro sono segni della benedizione di Dio. Due citazioni: il Sal 128 e il comandamento del sabato Dt 5,12-15, donato nella logica dell’Alleanza con Dio e della cura delle persone nelle loro relazioni fondamentali. 2 La parola della Chiesa: famiglia e lavoro edificano la società e umanizzano il mondo. La dottrina sociale della chiesa nasce con la prima comunità apostolica ma come la intendiamo noi oggi nasce con l’esplodere della “questione sociale” che l’industrializzazione ha provocato. Il Card. Tettamanzi sottolinea il concetto originale di fondo delle Caritas in Veritate: l’economia e la vita sociale devono essere plasmate dallo spirito del dono, dalla logica del disinteresse, della comunione, della fraternità, della solidarietà, della gratuità (non significa gratis, senza prezzo o corrispettivo. Cfr relazione di Bruni). In famiglia, scuola di socialità, si apprende il linguaggio della gratuità. 3 L’ethos del lavoro umano: una nuova luce dalla vita di Nazareth Il lavoro oggi pone una questione culturale, cioè il suo vero “senso”, il suo posto nella vita personale, famigliare, sociale. Alcune riflessioni a partire dall’esperienza quotidiana di Nazareth dove Gesù per buona parte della sua vita lavora manualmente accanto a Giuseppe. Anche noi sperimentiamo nella quotidianità del lavoro la ripetitività, la stanchezza, la fatica e l’ impegno, il senso del dovere. Conta maggiormente il tipo di lavoro o la persona che lavora? Nell’ambito della retribuzione e delle pensioni c’è una “giustizia distributiva”? Oltre certi limiti si traduce in ingiustizia scandalosa. Le leggi di mercato devono essere regolate. Gesù lavora in famiglia - Senza lavoro quale famiglia è possibile e come può essa contribuire responsabilmente a costruire la città? - Senza famiglia , quale lavoro è possibile? Poiché essa è il luogo educativo primario anche al lavoro. Gesù lavora anche per il villaggio. La dimensione sociale del lavoro e il valore della solidarietà. Significa rilanciare il rapporto tra diritti e doveri: dalla propria azienda, al circuito delle diverse aziende, al “sistema Paese”. Gesù Cristo è l’unico e universale salvatore anche mediante il suo lavoro quotidiano a Nazareth. Anche il nostro lavoro può diventare luogo di salvezza e di santificazione per noi e per gli altri. Partiamo col dovere compiuto nel migliore dei modi che insieme alla nostra vita di grazia personale sono il lievito evangelico oggi necessario più che mai. 45


pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia delle sue richieste. Perciò il “capitale umano” riLa famiglia e il lavoro oggi: ecercato include anche “capitale sociale” (capacità di lavorare ampie reti di collaborazione) e “capitale tra opportunità e precarietà culturale”in(continuo aggiornamento delle conoscenze Pedro Morandè Court Tutta l’attività umana appartiene all’ambito del lavoro, non solo quella remunerata. Il lavoro è la risposta effettiva che gli esseri umani danno al dono della vita e a tutti gli altri doni che ricevono dagli antenati e dalle famiglie, dai maestri, dagli educatori... Esso è un elemento essenziale della reciprocità dei vincoli sociali. Nella nostra società post-industriale il fattore decisivo della produzione è l’uomo stesso con la sua capacità di conoscere, di organizzare, di intuire e soddisfare il bisogno altrui (CA n.32) e la famiglia è un fattore essenziale nella formazione del “capitale umano”. Un secondo fattore sociale determinante del XX secolo è stata l’entrata della donna nel mercato del lavoro remunerato con la conseguenza della redifinizione dei ruoli sociali. Per la famiglia ha significato il rafforzamento del potere d’acquisto, d’investimento, di risparmio. Ma la redifinizione dei ruoli all’interno della famiglia non è stata semplice e indolore. Opportunità è precarietà che la nostra epoca presenta alla famiglia e al lavoro. - Oggi al lavoratore sono richieste anche “abilità sociali” (capacità di lavorare in team, leadership, gestire data- base e generare informazione) e questo implica uno sguardo allo sviluppo d’insieme della società

La Famiglia e la festa: tra antropologia e fede

Blanca Castilla De Cortazar La gioia di festeggiare L’uomo moderno ha guadagnato il “tempo libero” ma ha perso il senso della festa. Presupposti antropologici della famiglia è bene non darli per scontati. 1) Ogni persona è “un dono” capace di donare, di farsi dono, non solo di avere. Si riceve dal Creatore e dai suoi genitori. 2) La persona come “centro sussistente” e “incontro”. L’uomo non è un individuo isolato perché è strutturalmente relazionale. E’ un Fine in sé ma non per sé. La persona porta in se la chiamata e la responsabilità dell’amore: vivere per un altro realizza in pienezza l’umanità. Possedersi per donarsi: questo è parte dell’ “imago Dei”. 3) L’”unità dei due” e

e delle proprie competenze). Ma è la famiglia che forma primariamente la personalità e il carattere di ogni uomo, lo aiuta a sviluppare le sue attitudini, alimenta la sua curiosità intellettuale... - Gli elementi di precarietà per la famiglia: molte delle funzioni che prima svolgeva la famiglia oggi sono appannaggio di altre istituzioni. “Le reti sociali e la comunicazione virtuale fa sì che ogni membro della famiglia abbia una sua rete di comunicazioni indipendentemente dagli altri e coabitazione non significa più frequenza di interazione e compresenza nelle relazioni”. Il tempo dedicato alla famiglia si concepisce come tempo di riposo e non occasione di esperienza educativa per tutti. C’è uno sbilanciamento dell’esperienza famigliare come unicamente affettiva. Serve un nuovo orizzonte culturale che rilanci la famiglia come luogo della vita e del lavoro, della formazione del capitale umano integrale che le persone offrono alla società per raggiungere la convivenza pacifica e il bene comune. E la famiglia ritorni con coraggio ad avere come criterio ermeneutico “la verità nella carità”, per rinnovare la comunione e per orientare il lavoro umano allo sviluppo integrale delle persone.

l’apertura al terzo. Non può esserci un figlio senza padre e madre, né una madre senza un figlio e un padre, né un padre senza un figlio e una madre. La mascolinità richiama la femminilità e viceversa. Nel corso dei secoli, aver assegnato un ambito definito ai sessi (Public man, private woman) ha favorito l’assenza dei padri in famiglia e privato l’ambiente lavorativo del genio femminile. La differenza sessuale (Gn 1,26-27) è per la comunione e la fecondità e anche queste dimensioni hanno il loro “principio” nell’essere a “immagine e somiglianza di Dio” dell’uomo. Dove si realizza la comunione delle persone si manifesta la comunione divina trinitaria. L’esperienza della festa - Per vivere la festa ci vuole la forza dello spirito che insegue l’amore per la verità e per il bene. Nell’errore e nella menzogna, la festa dura poco e fa male (dalle malattie fisiche per consumo in eccesso di cibi, a quelle psichiche per perdita del senso del vivere). Allora si impara a fare festa ed educare il desiderio al bene e alla verità è una festa, conoscere sce46

gliendo è una festa. - Le emozioni della festa: la capacità di meravigliarsi, di contemplare, di essere grati, il rispetto, l’adorazione che la verità e il bene suscitano in noi e che è il culmine della festa. - La festa non s’improvvisa, si prepara. Conoscere il luogo, la data e l’ora permette di preparare il cuore. I riti sono necessari a preparare il cuore e vivere la festa. La famiglia, luogo per la festa In famiglia s’impara l’importanza di “esserci” per l’altro: attorno alla tavola non solo per cibarsi ma per condividere e conoscersi; nelle faccende domestiche per aiutarsi nelle fatiche; quando nell’aria c’è dolore o sapore di vittoria... esserci per condividere una passione per qualcosa, per giocare insieme. La festa, dove il tempo si unisce all’eternità La domenica, un giorno speciale: un giorno per andare a Messa. C’è un detto spagnolo: “La Festa si riconosce per la Messa e per la Mensa”.


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Santificare la festa: La famiglia nel Giorno del Signore Card. S. P. O’Malley (Questa relazione ha offerto molti aneddoti che è impossibile sintetizzare ma che hanno reso molto efficaci i passaggi che seguono) Oggi le “terre di missione” non sono più la Papua Nuova Guinea ma gli USA, l’Europa ...”Abbiamo bisogno di formare uomini e donne che diano la testimonianza di fede, non di programmi di protezione dei testimoni”. Non basta più l’amministrazione ordinaria dei sacramenti, ci vuole l’esperienza di essere in cammino come discepoli di Gesù, personalmente, in modo coinvolgente e vivificante, con altri, in una comunità viva. Il terzo comandamento “Più di quanto Israele abbia conservato il sabato, Il sabato ha conservato Israele”. Più di quanto noi abbiamo mantenuto l’osservanza della Messa domenicale, essa ci ha custodito come popolo con lo sguardo su

Dio, unito agli altri e con lo slancio missionario. Perdere la Messa è la via sicura per l’asfissia spirituale. L’Eucaristia La carità cristiana è anche la sollecitudine verso i fratelli che sono spiritualmente senza casa, affamati, spiritualmente prigionieri e ammalati. La chiesa non è un centro di aggregazione ma il “luogo” per diventare discepoli di Gesù, vivere la sequela con i fratelli, attingendo forza dall’ eucaristia domenicale. Così forgiamo la nostra identità. Quanti fratelli aspettano un nostro invito... L’Eucaristia e la famiglia “La famiglia che prega unita, rimane unita” La nostra fede: un patrimonio vivente per i nostri figli e nipoti I figli imparano osservando i genitori e i nonni, anche nell’esperienza di fede. Imparano a prepararsi a ricevere l’Eucaristia, quanto e perché sia importante, il valore del sacramento della Riconciliazione ... Imparano l’importanza di condividere con altre famiglie la festa della domenica non solo nella pratica religiosa ma anche nel pranzo, nel gioco, nel gesto di

La santità familiare nell’esperienza del lavoro

Tavola rotonda internazionale dell’ IMF il 31 maggio a Brescia in Cattedrale Il tessuto ecclesiale e sociale bresciano ha espresso grandi persone che hanno operato per migliorare la vita famigliare e dei luoghi lavorativi. Per questo ne sono state scelte tre, le cui vite sono state raccontate ai convegnisti internazionali con un dvd disponibile: S. Maria Crocifissa (Paola) Di Rosa, S. Arcangelo Tadini, il Beato Giuseppe Tovini. Nella sua comunicazione introduttiva alla Tavola Rotonda Fulvio de Giorgi si è soffermato sulle trasformazioni storico-sociali che l’Europa ha vissuto e sta vivendo, che sono epocali anche in riferimento al vissuto familiare. Ha citato la Caritas in Veritate n. 36 per chiarire la sfida odierna “fatta emergere dalle problematiche dello sviluppo in questo tempo di globalizzazione e resa ancor più esigente dalla crisi economico- finanziaria, è di mostrare, a livello sia di pensiero sia di comportamenti, che… nei rapporti mercantili il principio di gratuità e la logica del dono come espressione della fraternità possono e devono trovare posto entro la normale attività economica. Ciò è un’esigenza dell’uomo nel momento attuale”. Qui si gioca la santità famigliare, perché la logica della gratuità e del dono appartengono al DNA costitutivo della coniugalità e dell’essere famiglia. E “l’icona efficace di questa santità è la povertà: non come mancanza di risorse ma come scelta di generosità; non come un non avere l’essenziale, ma come dare anche l’essenziale”. Una povertà che è sobrietà, legame disinteressato, reciprocità. E’ un consiglio evangelico per tutti. La famiglia che tende a questo stile di vita è un dono alla Chiesa, alla società, all’ambito sociale e lavorativo.

carità. Così si ha coscienza di essere famiglia di Dio. Studi dicono che è la pratica religiosa del papà che aiuta maggiormente i figli a considerarla come importante per gli adulti. Citando Benedetto XVI: “la domenica non è solo una sospensione dalle attività ordinarie, ma un tempo in cui i cristiani scoprono la forma eucaristica che la loro vita è chiamata ad avere”. Cristo si dona veramente a noi, non in modo simbolico. L’Eucaristia ci prepara alla missione Anche noi come i discepoli di Emmaus affrettiamoci a dire al mondo che Gesù Cristo è vivo e che è necessario accostarsi alla mensa della Parola e del Pane per fare esperienza dell’amore di Dio personalmente.

I coniugi Carlo e Maria Carla Volpini che facevano da moderatori , sul lavoro hanno proposto un testo del filosofo libanese cristiano-maronita K. Gibran e sottolineature dalla GS e dalla Laborem Excercens, affermando che la crisi attuale è anche un richiamo alla conversione del modo di vivere, una possibilità di riconsiderare il senso del lavoro e riposizionarlo in rapporto alla famiglia. Hanno lasciato due domande aperte: - esiste ancora il concetto di lavoro come condivisione per un bene comune? – Come cristiani quali interrogativi dobbiamo porci rispetto al nostro modo di pensare e vivere il lavoro, quali cambiamenti favoriscono la necessaria “conversione” nel rapporto famiglia, lavoro e festa? Sono seguite le belle testimonianze di due coniugi. Maria Rosa e Alejandro Scarano, dall’ Argentina. Hanno trasmesso il valore di un lavoro, anche di responsabilità , vissuto come servizio che permette di sperimentare il Bene e praticare l’Amore, perciò d’incontrare Dio. Vivere così il lavoro lo fa abitare dalla speranza, alimenta il senso di appartenenza e di solidarietà, di amicizia in Cristo, tra persone che passano a volte la maggior parte del tempo fuori casa. E’ un lavoro che umanizza. I coniugi Marielle ed Eric Barthelemy, francesi, con la loro esperienza hanno raccontato il valore della preghiera per il discernimento famigliare sulle scelte lavorative, dell’affidarsi alla chiamata di Dio, anche quando essa comporta trasferirsi con tutta la famiglia per due anni in un altro Continente, dell’essere spogliati dalle proprie abitudini e confort. L’importanza di ascoltare le domande dei figli (“noi cosa facciamo per gli altri?” ) e l’importanza di lasciarsi cambiare dagli incontri e dalle esperienze che vengono fatte anche in merito al rapporto tra famiglia, lavoro e festa. Per comprendere che anche la Francia è terra di missione. 47


UNA FINESTRA APERTA... UNO SPAZIO APERTO A BAMBINI E GIOVANI CON FAMIGLIE IN DIFFICOLTA’ “Sportello Affido” è un progetto nato dal Coordinamento Famiglie Affidatarie di Brescia e prende spunto da una riflessione condivisa sui temi dell’accoglienza e del diritto del minore ad una famiglia, con l’obiettivo di promuovere e sostenere la realizzazione di percorsi di affido, e tradurre, così, in un gesto concreto il valore della solidarietà.

LO SPORTELLO AFFIDO E’ OPERATIVO PER:

• fornire informazioni a tutti coloro che sono interessati all’affido • offrire un aiuto alle famiglie affidatarie che vivono momenti di fatica: consulenza psicosociale, legale, amministrativa... • accogliere famiglie disponibili a fare un percorso verso l’affido • offrire un luogo in cui: • si realizzano corsi per operatori che lavorano sull’affido familiare • si pensano e si promuovono percorsi di sensibilizzazione all’affido per Comuni, Associazioni, Cooperative sociali, Parrocchie ed Enti interessati, • si organizzano incontri e approfondimenti su tematiche legate all’affido all’interno di parrocchie, scuole, biblioteche..... • è possibile consultare materiale e bibliografie inerenti il tema dell’affido • viene divulgato un periodico SPORTELLO AFFIDO Coordinamento Famiglie Affidatarie “Spazio Famiglia”(ex Cascina Bota) Via S. Zeno, 1 74 Brescia email: info@coordinamentofamiglieafficlatarie.it www.coordinamentofamiglieaffidatarie.it Per adesioni ed informazioni: +39. 030.3531078 Siamo presenti nei seguenti orari: Lunedì dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 15.30 alle 18.00 Mercoledì dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 15.30 alle 18.00 Venerdì dalle 10.00 alle 13.00 48

HO SENTITO PARLARE DI AFFIDO FAMILIARE E VORREI CAPIRE! IL BAMBINO “SENZA UNA FAMIGLIA NON PUÒ ESISTERE” Questa affermazione di Winnicott evidenzia l’importanza che ha per ogni bambino il nucleo familiare, nello sviluppo della personalità e nella costruzione di un’identità. Tuttavia non sempre le famiglie sono in grado di svolgere il proprio ruolo educativo. L’affido familiare nasce proprio per donare una possibilità eli accoglienza ad un bambino, qualora sia necessario il suo allontanamento dalla famiglia di origine, in attesa di un cambiamento delle condizioni di quest’ultima; ha lo scopo di sostenere il diritto del minore ad essere amato, curato e protetto e di affiancare la famiglia in difficoltà a tempo pieno o anche solo per alcune ore a settimana.

“CONOSCO UNA FAMIGLIA CHE VIVE L’ESPERIENZA DELL’AFFIDAMENTO DI UN MINORE E MI CHIEDO: POTREI ANCH’IO?


Il Gruppo Galilea è un cammino di fede per persone che vivono situazioni matrimoniali difficili o irregolari (es. divorziatirisposati). Gli incontri sono mensili, al centro la Parola di Dio, con ampi spazi di ascolto, riflessione e condivisione. Ogni primo sabato del mese. Gli incontri si tengono da calendario annuale, presso il Centro Pastorale “Paolo VI”, (situato in via Gezio Calini, 30 - Brescia) un sabato al mese, dalle ore 17.00 alle ore 19.00. Guida e accompagnatore del Gruppo è don Giorgio Comini, direttore dell’Ufficio

Diocesano di Pastorale Familiare.

numero verde da numero fisso 800-123958 da cellulare 3462225896 “Retrouvaille” propone weekend per coniugi che vivono un momento di difficoltà, di grave crisi, che pensano alla separazione o sono già separati ma desiderano ritrovare se stessi e una relazione di coppia chiara e stabile. Per info: info@retrouvaille.it e www.retrouvaille.it.

La casa-famiglia nel Nuovo Testamento Inizieremo a offrirvi in questo spazio uno sguardo su alcune case-famiglie raccontate dal Nuovo testamento. Sono case nelle quali Gesù si ferma durante i suoi viaggi, dove Gesù istruisce i suoi discepoli, dove compie miracoli, dove trae spunto da fatti che accadono per dire qualcosa di sé. Sono le case aperte, accoglienti, che permettono ad altri di incontrarLo. Gesù non entra sempre fisicamente in queste case, ma attraverso l’incontro con un famigliare che chiede aiuto e la cui vita viene toccata profondamente. Sono le case dalle quali il Vangelo si diffonde dopo la morte di Gesù, che accolgono i suoi apostoli nella missione dell’annuncio che Gesù è il Cristo. Sono le case lasciate per la persecuzione, e quelle nelle quali con coraggio ci si ritrova nel giorno del Signore a pregare e spezzare il pane. Sono le case delle generazioni passate, che hanno permesso la fede di quelle presenti, che hanno preparato il terreno perché Maria e Giuseppe potessero liberamente pronunciare e rinnovare il loro fiat “avvenga di me secondo la tua parola”. Nominiamo alcune di queste case-famiglie: quella di Elisabetta e Zaccaria, quella di Pietro, quella di Lazzaro e le sue sorelle, quella del centurione, quella di Zaccheo, quella di Giairo, quella della vedova di Naim, la famiglia di Erode, la casa di Maria madre di Giovanni Marco, la casa di Cornelio a Cesarea, la casa di Lidia a Filippi, la casa di Filippo a Cesarea, la casa di Giasone a Tessalonica, la casa di Aquila e Priscilla e di Tizio Giusto a Corinto, la casa di Filemone. Non riusciremo ad entrare in tutte queste case ma quelle che visiteremo saranno motivo di riflessione anche per noi, per la nostra casa, per le relazioni famigliari, per la nostra fede e il vissuto nella comunità ecclesiale. Chiudo ricordando quello che i Vescovi italiani hanno scritto nel documento Evangelizzazione e sacramento del matrimonio del 1975 sulle famiglie cristiane che “hanno un posto e un compito insostituibile per l’annuncio del Vangelo. I coniugi in forza del loro ministero non sono soltanto l’oggetto della sollecitudine pastorale della Chiesa, ma ne sono anche il soggetto attivo e responsabile in una missione di salvezza che si compie con la loro parola, la loro azione e la loro vita” (59). Chiara Pedraccini

“Pensare la famiglia” è un percorso di seminario di studio per sposi, religiosi/se e sacerdoti, interessati a comprendere i significati ricchi e profondi della famiglia così come voluta da Dio. Per contrastare e risolvere le sfide dei tempi moderni, che negano o ridicolizzano i valori fondamentali della vita, del matrimonio Seminario di studio per sposi, e della famiglia, serve mettere mano alla fatica sacerdoti, religiosi/se, animatori pastorali del pensare e alla speranza del pregare insiee per tutti coloro che me. sono interessati. Present azione del corso: sabato 27 ottobre 2012 alle ore 20 Info e iscrizione:DIOCESI DI BRESCIA segue poi la S. Messa alle ore 21 Ufficio per la Famiglia Tel. 030/3722245-232. presso il Centro Pastorale Paolo VI E-mail: famiglia@diocesi.brescia.it

“Pensare la famiglia”

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Famiglia e ritualità

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a senso pregare per i defunti? Nelle parrocchie una parte considerevole di quanti si recano alla Messa lo fa per questo. Molti «prenotano» (nel gergo popolare si dice anche «ordinano») la Messa di trigesima, di anniversario, di compleanno dei loro cari, si danno appuntamento come rete di famiglie «allargate» e ora si dispongono al ricordo dei loro cari, attenti soprattutto al momento in cui, per lo più, nella preghiera dei fedeli, il sacerdote pronuncia il nome dei defunti. Per chi non ha ancora una fede esplicita e consapevole nel Signore Gesù, quei nomi (pronunciati con voce forte e chiara) hanno la potenza di un «sacramento»: sono un’iniziale traccia di trascendenza, attualizzano una presenza spirituale, confermano una concezione della vita dove la morte non divora ogni segno di vita. Sono un’importante conferma di ciò che il Sacramento (eucaristico) celebra in pienezza: l’amore è più forte della morte! La preghiera per i defunti è sempre un’importante attestazione dell’affetto e della premura di chi è rimasto in vita nei confronti di chi è «aldilà» ma che rimane unito da vincoli che superano la morte. La separazione dal corpo del defunto non interrompe la solidarietà con lui. Lo dimostra proprio la preghiera. Questa fede è già attestata nell’Antico Testamento. Giuda Maccabeo promuove una colletta per offrire un sacrificio di espiazione in suffragio dei caduti in battaglia (2 Mac 12,41-45). Anche Paolo è convinto che la preghiera serva ai defunti. Egli si augura che il suo amico Onesiforo trovi «misericordia presso il Signore in quel giorno» (2 Tm 1,18). I cristiani pregano per i defunti, perché passino dalla morte alla vita, attraverso il mistero di Cristo risorto; siano, cioè, purificati nell’anima e accolti con i santi, mentre il corpo attende la risurrezione.

I defunti hanno bisogno della preghiera, pensano i cristiani. I morti, pur essendo misteriosamente al cospetto di Dio, sono, in un certo senso, in posizione di debolezza rispetto ai vivi. Non partecipano più al corpo sacramentale della Chiesa; non possono rivolgere personalmente a Dio la domanda di perdono. La liturgia prega quindi, non solo nelle esequie ma in ogni celebrazione eucaristica, perché i defunti possano passare attraverso il mistero pasquale e, lavati nel sangue di Cristo, siano liberati dal peccato e ammessi a godere la luce del volto di Dio (Preghiera eucaristica II). Si prega per i defunti ma, nella liturgia, in un certo senso si prega anche con il defunto. Nell’Eucaristia infatti l’assemblea liturgica terrena si unisce a quella del cielo. Lo ricorda ogni volta il prefazio che introduce il canto solenne del Santo, quando invita a unire la voce umana a quella degli angeli e dei santi del cielo, quindi anche a quella dei defunti che sono presso Dio. Nell’intercessione per i defunti, incorporati in Cristo nel battesimo, la comunità cristiana si riconosce come un’unica Chiesa, quella della terra e quella del Cielo e vive il passaggio alla comunione dei santi. Nella Messa si prega, infatti ogni volta di poterci ritrovare insieme ai nostri defunti e a tutti i giusti che hanno lasciato questo mondo, per godere per sempre della gloria del Cielo (Preghiera eucaristica III). Nella celebrazione delle esequie cristiane, infatti, i defunti sono trattati come figli, costantemente chiamati per nome. I ricordi, le evocazioni, gli accenni alla vicenda personale sono tutti al passato. I verbi della Parola di Dio proclamata, delle preghiere e degli inni, dei salmi e delle orazioni sono tutti al futuro: 50

a ciò che sarà, che si manifesterà, che si compirà, che si vedrà... Si prende congedo, ci si separa da una persona cara che si sa morta; eppure la si considera come viva, immaginandola nel suo congiungimento con un’altra comunità, quella della comunione dei santi. Nella comunione eucaristica si crede che l’assemblea della terra si unisce a quella del cielo. Nella celebrazione eucaristica si prega per i defunti, si prega con i defunti ma si prega anche per la propria morte, si alimenta il desiderio del cielo, si esalta il desiderio di essere finalmente con il Signore. Tutta la vita occorre preparare il giorno del grande passaggio, vivendolo come l’incontro con il Signore. La morte, infatti, è per il cristiano l’appuntamento sospirato e decisivo, da considerare senz’altro come motivo di guadagno: «Infatti per me il vivere è Cristo e il morire guadagno» (Fil 1,21). La devozione cristiana continuamente si rivolge a Maria perché preghi «per noi adesso e nell’ora della nostra morte». La liturgia è quindi la più importante (oggi probabilmente l’unica) scuola dove si impara a morire, a guardare in faccia la fine del nostro mondo e il passaggio, sempre colmo di angoscia (è stato così anche per Gesù!), verso una dimensione altra. Nel Credo che precede la Preghiera dei fedeli, sono annunciate e professate le parole della fede: la vita eterna, la gloria del cielo, la risurrezione della carne. Eppure l’occhio non vede nulla, l’anima non «sente» nulla. Ci sono i canti che invitano alla gioia, i fiori che celebrano la vita, le forme e i colori della liturgia che alludono al mistero, ma vale solo la nuda parola della fede. Esiste tuttavia, nella vicenda familiare, un’esperienza che pur maturando in un travaglio doloroso e prolungato, comunica una certezza che irradia luce e forza e che produce la trasformazione di un amore capace di sfidare la morte: è la vedovanza. La morte è la sfida più drammatica


posta all’amore umano. Nella perdita della persona amata, la storia d’amore sembra trovare una fine irrimediabile e una sconfitta definitiva. Nella morte della persona con la quale l’altro ha condiviso passione, intimità affettiva e progetto di vita, chi ha costruito la sua identità attraverso la fedeltà all’amore unico, si sente deprivato della sua parte migliore. Si frantuma la solida roccia su cui si costruiva ogni cosa, si oscura l’ideale della vita, viene meno la totale fiducia con cui si affrontavano, con coraggio, le fatiche della vita. La solitudine sembra ergersi sovrana, totale, irriducibile. Eppure il desiderio del cuore innamorato non si rassegna. Quando sono amate, le persone non possono essere dimenticate. Pur nel dramma inconsolabile della perdita e nel travaglio del distacco, l’amore resiste, e, al termine del lungo percorso della rielaborazione del lutto, si rivela pronto affidare la morte stessa. È la forza dell’amore che definisce la vedova, il vedovo. Vedovi sono coloro che conservano ancora negli occhi, e lasciano trasparire in ogni loro espressione, le tracce evidenti di un amore pieno. Sono coloro che non possono parlare dello strappo inaccettabile operato dalla morte, senza provare e manifestare, ogni volta, un’intima, incontrollabile emozione. Si rimane vedovi (non in quanto stato civile ma come esperienza del cuore) finché si portano nel proprio corpo le stigmate, doloranti e luminose, dell’amore. La vedovanza è quindi un’esperienza umana e religiosa pregnante. È la prova che, redenti nel dolore dalla fede, la morte, anziché distruggere i legami d’amore, può perfezionarli e rafforzarli. La vedovanza, considerata e vissuta in questo modo, svolge una funzione sociale e culturale particolarmente preziosa nel mondo di oggi, perché dimostra l’inconsistenza e l’insostenibilità dei presupposti su cui si regge il nuovo costume dell’«amore liquido». Nella moderna concezione della vita conta l’immediatezza del sentire, l’ebbrezza del trovarsi ora qui, ora là. La vedova (il vedovo) conosce l’inganno dell’amore emozionale. Ha sperimentato nel corso della vita, dove l’amore è stato vissuto non come l’avventura di un momento ma come il segreto di una storia, che si esiste come persone solo in quanto si riceve e si dona amore. Privati di quell’amore, non si è più la persona di prima. Il tempo si ferma e lo spazio diventa insopportabile. Le coordinate essenziali della vita sono offerte dall’amore. La sola esperienza che rende possibile la personificazione è data dalla sicurezza dell’amore. Il non senso dell’individualismo non potrebbe essere più totale. Il vedovo lo sa. In molti lo incoraggiano a superare il suo

trauma: «Cerca di dimenticare... con il tempo riuscirai. La vita continua...». Un ultimo bacio e saluto per una consorella amata, per tanti anni vissuta con noi; la sua presenza era dolce quaggiù e ora fermamente crediamo che viva nel Signore. Ma chi rimane preso dall’amore ha un’unica possibilità di ritornare ad amare la vita: non «dimenticare» ma «portare dentro» la persona amata, continuare ad amarla, in modi e forme nuove ma reali. L’amore non vuole che il bene e la felicità dell’amato. Solo sulla certezza di un amore che continua si può affrontare la vita e ripartire. La morte separa gli amanti, eppure l’amore ancora li congiunge. Per chi resta, l’amore di chi è partito è come l’aria che permette di spiccare ancora il volo. La cultura ultramoderna ha un modo particolare di affrontare l’interrogativo del possibile senso della vita e consiste nel negarlo. Il senso è semplicemente un effetto, una sensazione; è il raggiungimento di un obiettivo provvisorio e momentaneo. Il vuoto che nella vita costantemente si crea, non cerca risposte alte e definitive. Può essere facilmente saturato da altre esperienze, riempito da nuove sensazioni. Nella vita reale, invece, le cose non vanno così. Senza la continuità di una storia, senza il supporto della memoria, non sono possibili né presente né futuro. Tutto apparirebbe anonimo e inconsistente. La negazione del tempo ridurrebbe l’umano al biologico. L’esperienza di chi nella vita ha davvero amato non potrebbe essere più distante da questo mondo evanescente. Solo adesso che è rimasto senza l’altro, la vedova (il vedovo) capisce che, privato dell’amore, ogni cosa appare nella sua vanità. «Perché continuare a fare quello che sto facendo? Per qual fine?». Ora che, senza la compagnia dell’amore, la stessa persona appare inutile a se stessa; ora che, senza l’altro, si ritrova in un corpo senza valore, diventa evidente che non esiste domanda più importante e rischiosa di quella che si interroga sull’amore. Non più quindi: «Che cosa provo?», «Che cosa sento?», ma piuttosto: «Sono certo del mio amore?», «Dov’è il mio amore?». Il vedovo capisce che i suoi piedi sono stati appoggiati per tutta una vita come su una voragine. Perso l’amore, si è sentito precipitare nel vuoto. L’unica realtà che si rivela consistente è quella che è vissuta (o che è stata vissuta) nell’amore e finché dura l’amore. Solo nell’amore c’è relazione con il vero. Nell’amore ogni azione diventa irreversibile; non avrebbe senso volteggiare un po’ qui, un po’ là. Ognuno si responsabilizza dell’altro. Diversamen51

te, la vita si svuoterebbe nella fluidità e nell’inconsistenza di un gioco fine a se stesso. Nella smemoratezza la realtà si riduce alla sua materialità; nella solitudine del vedovo la realtà, invece, si riconduce all’amore. Il vedovo, la vedova sono persone sole Si può continuare ad amare, rimanendo soli? In realtà si ama sempre soli. L’amore vero non può che essere tale. La solitudine è il vero segreto dell’amore. L’amore, nella sua forma pura, non calcola e non presuppone reciprocità. Non si ama in vista di un ritorno, non si da per ricevere. L’amore è un perenne «spreco», perché dimentica di calcolare. La società dell’utile, infatti, diffida dell’amore, non lo coltiva, non lo crede possibile. Si ama sempre in perdita. I frutti verranno, ma non sono messi sul conto. In amore più si perde, più si guadagna, questo insegna l’Eucaristia (cf Gv 12,25). Gradualmente diventa chiaro il segreto dell’amore: l’amore vuole l’eterno, non basta una vita intera per poterlo mostrare. Il vedovo sa parlare dell’amore; nessuno più di lui (lei) ne conosce il mistero. Conosce anche il limite della carne. Sa che l’amore ha bisogno della carne ma non si riduce alla carne. L’adulto maturo sa affrontare la vita e rinnovarsi. Può così apprendere anche dalla morte. Il dolore accolto e portato nella cultura dei legami innesca un dialogo interiore che prelude alla rinascita spirituale. Anche soli la vita ha senso.

Percorrendo questa strada ci si avvicina in modo efficace al mistero eucaristico della risurrezione di Cristo. Gesù è vivo perché il suo amore ha raggiunto la qualità estrema e divina (la potenza!) del dono. Per questo il Cristo non è stato succube della morte. La vedova, il vedovo, ancora presi dall’amore, fanno della risurrezione di Cristo una vivida e quotidiana esperienza. Forse è per questo che, da sempre, alle vedove è stato riconosciuto un ministero importante da svolgere nella comunità cristiana (cf 1 Tm 5,9).


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Famiglia e ritualità

L A PROCESSIONE DELLE OFFERTE

«All’inizio della liturgia eucaristica si portano all’altare i doni, che diventeranno il Corpo e il Sangue di Cristo. Prima di tutto si prepara l’altare che è il centro di tutta la Liturgia eucaristica... È bene che i fedeli presentino il pane e il vino. Quantunque i fedeli non portino più, come un tempo, il loro proprio pane e vino destinati alla liturgia, tuttavia il rito della presentazione di questi doni conserva il suo valore e il suo significato spirituale» (Ordinamento Generale del Messale Romano, n 73).

C on un gesto, attestato fin dai primi scritti (ne parlava

già Giustino nella sua Apologià), i fedeli partecipano all’Eucaristia portando all’altare il pane e il vino. Come, altrimenti, potrebbero riconoscere in Dio il donatore di ogni dono? Come potrebbero presentarsi a «mani vuote» all’altare, mentre celebrano l’inestimabile dono del suo Figlio? Con quella processione festosa (ravvivata dal canto o anche animata dalla danza) l’assemblea intende rendere a Dio ciò che a essa è stato gratuitamente donato: «dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane...questo vino». Il momento tradizionalmente chiamato «offertorio», è stato rinominato dal Messale di PaoloVI «preparazione dei doni». Il dono offerto e ricevuto, infatti, è Cristo stesso, come ogni volta ricorda la preghiera che introduce al memoriale eucaristico. Il cammino ascendente della processione con le offerte indica che l’Eucaristia è un mistero di amore e donazione. Anche questo gesto va, quindi, curato con attenzione e precisione. Lasciato alla fretta, all’improvvisazione, alla negligenza, si riduce a mera funzionalità (cosa, dunque, non necessaria, trascurabile). Ogni atto liturgico, invece, è un atto umano, prodotto da persone che realmente ci credono, si applicano e vi impegnano consapevoli il loro tempo. Non è finzione, recita, comportamento mimato. In quanto atto umano può diventare simbolico, che fa segno all’Invisibile Presente. Nella liturgia avviene come in famiglia, dove tutto è materiale e simbolico insieme. Occuparsi della casa è anche un

Anche i fiori rendono bella, festiva e profumata la mensa dell’altare, hi momento della sua preparazione.

Anche la piccola offerta in denaro è un atto di culto: un po’ della mia vita per la vita del fratello.

modo per curare se stessi, il cibo è affetto, apparecchiare e servire alla tavola è empatia e attenzione verso le persone. Radunarsi attorno alla tavola è un’occasione, per la famiglia, di darsi reciprocamente premura, rispetto, amore. La mensa unisce le persone. In casa cibo e affetto s’intrecciano, si confondono, si condizionano e non solo per i bambini. Eppure la tavola rende il cibo intermediario dell’amore solo attraverso uno sforzo immane. La tavola condivisa è un vero sacrificio. Il tavolo è il mobile pensato per dare alla portata della mano la massima comodità. Come arredo della condivisione del cibo, è giunto alla forma attuale dopo una lunga storia, testimone di quella svolta essenziale, nell’evoluzione della forma umana della vita che, all’inizio, comportò la stazione eretta, dove la zampa è sostituita dalla mano. Diversamente dalla zampa, attrezzata per sottrarre, strappare, portar via, la mano è capace di significati trascendenti: porgere, offrire, servire, accompagnare la parola, tradurre il pensiero, ‘” comunicare l’affetto. La tavola «costringe» così le persone a stare vicine, a entrare nello spazio d’intimità dell’altro. L’obbligo del faccia a faccia e della conversazione incalzante, però, non è sempre piacevole. Spesso provoca resistenza e fuga. Gli adolescenti si sottraggono con il telefonino, gli adulti si rifugiano nel televisore, i bambini abbandonano la tavola appena possibile. Ognuno vuol stare «per i fatti suoi», secondo il copione del «perfetto narcisista». Per «mangiare bene» è necessario, invece, pensare all’altro. Per aprire lo spazio della convivialità bisogna fermare il tempo, il flusso degli eventi, il rumore della quotidianità, altrimenti degli altri non ci si accorge neppure. La «buona tavola» inizia, quindi, dalla sua preparazione. Preparazione sbrigativa, tavola sbrigativa. Nella preparazione del cibo, nel servizio e nel rito della preparazione della tavola vale una prima regola «sacrificale», quella della collaborazione: tutti possono dare il loro contributo, in base all’età, ad altri possibili impegni familiari. Anche un bimbo di pochi anni può portare, ad esempio, il suo tovagliolino e deporre le sue posate. La tavola unisce la famiglia anche in quanto è opera comune; crea legami d’affetto in quanto unisce i familiari in una vicenda condivisa. I pasti sono necessari (mangiare si deve) ma sono anche un piacere: soddisfazione di un bisogno, gradimento del 52


pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia La tradizione liturgica invita a portare all’altare non solo La tavola «costrìnge» le persone a stare vicine. Per «mangiare bene» è necessario pane e vino ma anche altri doni, non simbolici ma concreti, pensare all'altro. per i bisogni dei poveri e la necessità della Chiesa. Mentre si

cibo, incontro, conversazione... La collaborazione di tutti sul primo lato permette di avere più possibilità e tempo per godere il secondo. Il mansionario familiare potrebbe attribuire a ognuno il suo incarico, come all’altare ogni ministro svolge il suo servizio. In casa, luogo dove la comunicazione raggiunge il massimo della sua intensità, ogni gesto è metafora. Cibo e bevande diventano intermediari di significati e mediatori di valori che oltrepassano l’ambito dell’alimentazione e si trasformano in immagini efficaci del nutrimento reciproco. Non conta dunque solo il fatto del prendere il cibo insieme, di cucinarlo, offrirlo, dividerlo. Ha significato anche come si prepara la tavola. Oggi è sempre scarso il tempo che si può (o si vuole) dedicare alla casa e alle attività alimentari. Buttare sbadatamente le posate sul tavolo, aggiungere alla rinfusa gli altri oggetti, trasmette un messaggio di pura funzionalità. Collocare ogni cosa con cura, occuparsi dell’estetica di ogni particolare, prepara una scena spirituale. L’intenzione del tempo familiare è, infatti, di dare senso, valore e consistenza a tutti gli altri tempi della vita, di trasmettere insieme significato e speranza. Il cibo portato in tavola acquista così un altro significato: è vissuto come simbolo dell’amore e della cura. Le persone, però, rimangono anche in famiglia attaccate ai loro gusti e sensibili alla loro autonomia. I pasti tuttavia sono guidati da un’etica comunitaria i cui valori sono: apertura all’altro, incontro e comunicazione, domanda d’amore e disponibilità al dono, superamento dell’«arroganza» (la pretesa capricciosa dei piccoli come dei grandi), senso e valore al vivere. A tavola ci si attende di essere reciprocamente accolti e premurosamente trattati. Nell’alimentazione capita, infatti, qualcosa di straordinario: il cibo viene assimilato dal corpo e diventa parte integrante di se stessi. La materia diventa spirito! La trasformazione che ci si aspetta dalla tavola, nella liturgia avviene in grado sommo. Non solo il pane diventa intermediario dell’amore, ma si trasforma nel Corpo stesso di Cristo! Non solo si alimentano i legami ma si è convertiti dalla Grazia in un cuor solo e un’anima sola. Un altro miracolo opera la «potenza dello Spirito Santo» (annunciata fin dal saluto di colui che presiede) e riguarda il senso e il valore del denaro.

snoda la processione offertoriale, gli incaricati raccolgono le offerte dei fedeli, deposte non sull’altare ma ai suoi piedi. Oggi più che mai il denaro è materia ambigua. È diventato il metro di misura più diffuso per attribuire valore all’azione. Il suo potere si basa sulla capacità di rappresentare il mezzo simbolico per eccellenza per impossessarsi di ogni cosa, azzerando le qualità delle esperienze, sulla base di un valore unico di riferimento. L’assoluto del denaro si presenta, infatti, nella secolarizzazione, come il sostituto più immediato della fede, diventa un codice che si estende a tutta la vita e relativizza il resto. Il denaro diventa, spesso, l’espressione concreta e operativa di quelle «ricchezze ingiuste» (Le 16,9) che Gesù denuncia a più riprese. È la manifestazione di una dedizione totale, di quanto « I figli di questo mondo, nelle relazioni con quelli della loro generazione, siano più avveduti dei figli della luce» (Lc 16,8). Ebbene, nella divina liturgia anche il denaro è trasfigurato: con quelle «ricchezze ingiuste» è possibile «farsi degli amici» (Le 16,9), cioè compiere qualcosa di buono. Concretamente: la potenza dello Spirito, che opera nell’azione liturgica, rende il denaro materia sacra. La trasfigurazione dell’economia (da economia di profitto a economia di comunità) inizia dall’Eucaristia. La comunità, che dopo la Messa raccoglierà quel denaro, dovrà essere consapevole che si tratta di materia resa sacra, s’impegnerà a usarlo nella «fedeltà» per essere degna di ricevere la ricchezza vera (Le 16,11) che è il Corpo di Cristo.‘ L’Eucaristia chiede così alla comunità parrocchiale di diventare, nella trasparenza con cui quel denaro sarà collocato, dall’accortezza con cui sarà utilizzato, un prototipo dell’economia umanizzata dal Sangue di Cristo. Tutta la vita è trasformata dall’Eucaristia: lo si vede da come cambia il significato culturale del denaro! I cristiani imparano, così, che per resistere alla forza irresistibile del denaro e all’inganno della sua idolatria, non sono sufficienti i richiami morali, meno ancora le ideologie. Servono i riti: l’assidua celebrazione domenicale. In questa, anche la processione delle offerte ha il suo ruolo, non secondario.

Il pane e il vino sono fatti segno della nostra offerta come Gesù li fece segno della sua; tutta la vita è trasformata dall'Eucaristia.

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Famiglia e ritualità

IMPARARE A PREGARE

’attualizzazione della Parola di Dio nell'ome- dobbiamo domandare a Dio perché spetta alla L lia conduce subito alla preghiera. Come ri- nostra responsabilità e ciò che chiediamo a Dio spondere alle interpellanze di Dio senza il soste- e non possiamo attribuire a noi perché compete gno della sua Grazia? La testimonianza della vita e l'attesa operosa e responsabile del Regno che viene non si appoggia sulle capacità umane. La «Preghiera dei fedeli» (termine forse poco felice e impreciso) è il momento in cui l'assemblea si rivolge al Signore affidandogli le necessità della Chiesa e del mondo. Anche la preghiera fa parte del cammino di conversione: un cambiamento della mente perché veda e interpreti diversamente i fatti della vita e gli eventi del mondo. Chi frequenta l'Eucaristia ama pregare, crede all'efficacia della parola rivolta a Dio. Riguardo però alla «Preghiera dei fedeli», si vive spesso una sensazione di insoddisfazione, come se non se ne comprendesse pienamente il valore. Lo dimostra anche il fatto che questa preghiera si trasforma facilmente in altro. Nella celebrazione del matrimonio può diventare il momento in cui formulare auguri e felicitazioni agli sposi. Nei funerali può essere l'occasione per esprimere solidarietà, dimostrare commozione, raccontare qualche stralcio di vita del congiunto. Altre volte diventa la cassa di risonanza degli eventi sociali importanti del momento, l'inventario delle condizioni di una società buona, l'elenco dei propositi e delle buone intenzioni. Ogni volta l'assemblea risponde in coro: «Ascoltaci, Signore». Ma sappiamo davvero pregare? Sappiamo distinguere con chiarezza i confini tra ciò che non

a Lui solo? «Provvedi, Signore, ai disoccupati, ai senza tetto; vieni in aiuto a chi vive nella povertà o nell'ingiustizia...». A volte, infatti, i problemi ci appaiono talmente gravi e complessi che ci fanno sentire totalmente impotenti. Allora affidiamo tutto al Signore. Ma questo modo di pregare non rischia di essere una facile delega delle nostre responsabilità? Che cosa ci insegna l'Eucaristia a proposito della preghiera? La riflessione sulle pieghe più misteriose e profonde della vita familiare ci può fornire risposte importanti. La preghiera è per lo più intesa e vissuta come confidenza in Dio. Traduce, nel rito religioso come nella devozione personale, l'espressione piena della fiducia che il credente ripone nella Provvidenza: «Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato» (Gv 15,7). È naturale, quindi, che nell’Eucaristia, la preghiera cristiana più grande, il fedele esprima la sua preghiera «per le necessità della Chiesa e del mondo» e si senta partecipe di ciò che avviene attorno a lui, confidandolo familiarmente al suo Signore. La preghiera, tuttavia, raggiunge la sua verità più profonda non tanto quando chi prega «offre la vita» (affida a Dio i suoi bisogni), quanto piuttosto quando consegna totalmente se stesso, prima e indipendentemente da ogni bisogno e lascia ogni cosa a Dio, rinunciando a ogni calcolo: «Padre, io mi abbandono a Te, fa’ dì me ciò che ti piace. Qualsiasi cosa tu faccia di me, ti ringrazio. Sono pronto a tutto, accetto tutto... Rimetto l’anima mia nelle tue mani, te la dono» (Charles de Foucauld). Essere pronto a ogni cosa, accettare tutto, rimettere l’anima, sono tutte disposizioni che corrispondono al morire. Consegnare lo spirito nelle mani del Padre è, infatti, la preghiera di Gesù nella sua agonia. La preghiera nuda e pura dona al Signore «la propria morte», offre la rinuncia a mettere l’io al primo posto, presenta a Dio la propria totale «mancanza».

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pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia Nella misteriosa sicurezza della fede, la consegna è totale e nessuna notte può più fare paura: «Mio Dio, non mi accordare nulla, anche se imploro, l’amore che ho per Te non ha bisogno di speranza» (santa Teresa di Gesù). Offrire la morte comprende non soltanto la consegna della vita ma raggiunge nel suo gesto anche il dono di ogni desiderio e di ogni attesa. È l’affidamento totale delle persona, la massima espressione della fede: «Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore» (Rm 14,8).

«Soli in compagnia dell’Altro» Questo atteggiamento orante coincide con la «maturità» umana, come l’ha considerata, per esempio, la ricerca psicanalitica soprattutto dell’infanzia. Persona matura, a qualunque stadio della sua evoluzione, è colui che sa stare solo, che sa «dimenticarsi» (nel senso della dipendenza) dell’altro, pur in sua presenza. Per tutta la vita permane il bisogno di essere personalizzati dall’affetto, ma è altrettanto indispensabile imparare a separarsi, per diventare autonomi. Questo doppio movimento si sviluppa parallelamente: la certezza dell’amore rende efficace il riconoscimento personale, la sussistenza personale permette di tollerare le separazioni e le perdite. La consistenza dei legami, l’autorevolezza genitoriale e la verità del dialogo familiare, promuovono l’assunzione di responsabilità dei figli e li fanno crescere nella sicurezza interiore. Madri iper-protettive e padri complici facilitano, invece, solo la solitudine patologica. La loro presenza li avvolge da ogni parte, ma non li aiuta a cavarsela da sé nella vita. I genitori apprensivi sono spesso incapaci di cogliere le vere esigenze del figlio, si curano solo dei suoi bisogni materiali e della sua gratificazione immediata. Questa preoccupazione, in realtà, nasconde l’ossessione del controllo e crea dipendenza, l’impossibilità di accettare la solitudine sana. Il bambino viziato e iperprotetto quando è solo si sente abbandonato, quando è con la mamma si sente soffocato. L’autonomia, invece, si acquisisce attraverso un’esperienza decisiva: «essere soli con l’altro» come D. Winnicott ha mirabilmente sintetizzato in un suo testo («Sviluppo affettivo e ambiente»). Questa esperienza si impara dai genitori che hanno praticato l’arte della separazione, accettando il prezzo di una momentanea sofferenza. La forma matura dell’amore consiste quindi nell’ammettere non solo la propria imperfezione ma anche nel fare dono della propria «mancanza». È vero

amore ritrarsi per fare spazio all’autonomia del figlio. Donare «solitudine» significa ammettere di non poter «conoscere» il proprio figlio, di non volere esercitare un controllo completo. Il dono è sempre un’esperienza di totale gratuità, dove colui che dona si nasconde e accetta di essere solo. Il vero dono non cerca riconoscimento, pone un limite al proprio potere. Se si imponesse creerebbe un obbligo di restituzione, ma smetterebbe di essere segno d’amore. Di più: non solo il genitore maturo accetta l’idea di poter «mancare» al figlio, ma comprende che paradossalmente, per essere amabili è necessario anche lasciarsi «odiare» (la piena accettazione dell’ambivalenza dell’affetto). Il dono reciproco della propria imperfezione libera dal rischio sempre incalzante della dipendenza mortifera e crea le condizioni di un tipo di presenza discreta che, insieme all’autonomia, educa al senso di responsabilità e promuove le capacità creative.

Dimenticarsi di sé al cospetto di Dio Nella funzione genitoriale, quindi, la separazione («solitudine sana») svolge un ruolo vitale per prevenire la dipendenza («solitudine malata»). La sana distanza tra le persone, tra la persona e le sue emozioni, tra le persone e le cose, genera l’autonomia e promuove la crescita. La capacità di stare soli, segno inequivocabile di autonomia e maturità, deriva dal rapporto complesso di legame e rottura, di continuità e soluzione. Il rito istituisce il medesimo percorso. Le sue tappe sono state individuate dall’antropologia culturale nei passaggi della distinzione, separazione, liminalità, integrazione. Nella celebrazione eucaristica la distinzione è data dall’assemblea liturgica, la separazione dalla conversione, la liminalità dall’incontro con il Signore nella doppia mensa della Parola e della Comunione, l’integrazione dalla missione che scaturisce dal Sacramento. 55


VIAGGIO ATTRAVERSO LA BIBBIA

Giuseppe e i suoi fratelli Il ”di più” dell’amore 'ultima grande sezione del libro della Genesi Gen 37L 50) è conosciuta come «ciclo di Giuseppe» e anche «Giacobbe e i suoi figli». È la storia di una famiglia lacerata

Nella preghiera, la dimenticanza è più completa e abissale di quanto avvenga nell’educazione. Si spinge fino a «dimenticarsi di sé, al cospetto di Dio». Questa consegna totale alla volontà di Dio («Sono pronto a tutto, accetto tutto, purché la tua volontà si compia in me...») è un traguardo umano oggi particolarmente erto e improponibile («Questo linguaggio è duro; chi può intenderlo?» Gv 6,60). È il linguaggio eucaristico. Questa asprezza va associata all’evidente difficoltà dell’educazione alla sana solitudine, che comprende il silenzio, la capacità di pensiero e di riflessione, l’assunzione di responsabilità. È sempre più raro fare esperienza della solitudine come momentanea assenza di stimolazioni esterne artificiali, sempre più improbabile prendere congedo dall’altro, interiorizzandone la presenza. Si cresce incapaci di gestire i momenti vuoti senza riempitivi. È indispensabile «offrire la morte» per dare un senso alla vita e assumersene, in qualche modo, la responsabilità. Solo in questo totale abbandono ci si mette al riparo dal potere distruttivo della solitudine e la certezza dell’Amore introduce nella compagnia umana. L’offerta orante della morte permette gradualmente, giorno dopo giorno, di assumere la solitudine della vita. ‘ All’offerta che il credente consegna corrisponde, come sempre avviene nella preghiera,’ l’inaspettata pienezza di dono che si riceve. Si realizza qui, in senso pieno, la promessa di Cristo: «Date e vi sarà dato; una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con cui misurate, sarà misurato a voi in cambio» (Le 6,38). Questo esercizio della separazione, questa consegna della morte, questa preghiera nuda della fede, altro non sono che nomi autentici della libertà («La verità vi farà liberi» Gv 8,32), come la solitudine amica è il terreno germinale dell’autonomia personale.

dall'invidia e dall'odio, tragicamente divisa, che attraversa dure prove e tribolazioni per raggiungere un'inaspettata riconciliazione. Essa illustra ampiamente il comportamento degli esseri umani sottoposti a forti pressioni emotive e, al contempo, è una riflessione teologica sulle mirabili vie della Provvidenza. Secondo Gen 47,9 Giuseppe nasce, ormai del tutto inatteso, quando Giacobbe ha già 91 anni e dieci figli. L'amata Rachele, inizialmente sterile, quando resta incinta e partorisce chiama il suo primogenito Yosef, Giuseppe, il cui nome è spiegato in due modi: «Dio ha "ritirato" (dal verbo asap) il mio disonore» e «Il Signore mi "aggiunga" (da yasap) un altro figlio» (Gen 30,22-24). Quest'ultima spiegazione riflette il desiderio di Rachele di avere altri figli. Più tardi, dopo che Giacobbe si era insediato in Canaan, Rachele diede alla luce Beniamino, il dodicesimo dei «figli d'Israele», morendo durante il parto (Gen 35,16-20) Giuseppe è un non-integrato nel gruppo familiare; sembra, come dice il suo nome, un «aggiunto», nella sua accezione negativa: di troppo. A ciò contribuisce il fatto che egli riferisca al padre i pettegolezzi che riguardano i suoi fratelli (Gen 37,2). Eppure, «Israele amava Giuseppe più di tutti i suoi figli, perché era il figlio avuto in vecchiaia, e gli aveva fatto una tunica con maniche lunghe» (Gen 37,3). Spesso, i legami di sangue «passivi», come quelli tra fratelli (pur avendo gli stessi genitori) possono favorire tensioni, conflitti, gelosie... odio. L’amore preferenziale di Giacobbe per Giuseppe separa quest’ultimo dai suoi fraGiacobbe benedice i figli di Giuseppe.

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telli, i quali vedono in questo un minus affettivo nei loro confronti. Ma amore chiama odio: «I suoi fratelli, vedendo che il loro padre amava lui più di tutti i suoi figli, lo odiavano e non riuscivano a parlargli amichevolmente» (lett. «in pace», v 4). Già da questi primi versetti vediamo due blocchi contrapposti: Giuseppe e suo padre, da una parte, i fratelli, dall’altra. Condividere i propri sogni con i fratelli, forse nel tentativo di ricostruire un dialogo, rende invece più incrinati i reciproci rapporti: la posizione di Giuseppe si fa pericolosa (vv 5-11). I sogni, nella Bibbia, spesso sono forieri di una chiamata: Dio si rivela all’uomo. È una realtà simbolica alla quale Giuseppe già partecipa e che Dio, man mano, porterà alla pienezza. Nel primo sogno Giuseppe si vede al di sopra dei fratelli; nel secondo, addirittura, i genitori quasi si prostrano a lui. Giuseppe, sognando i covoni e le stelle che a lui s’inchinano, ha un segno da Dio: l’annuncio di una vocazione futura. Risultato: «I suoi fratelli lo odiarono ancora di più» (v 8). La separazione definitiva è ormai in atto: i fratelli si dirigono a Sichem, poi ancora più lontano, a Dotan, segnando così non solo la distanza fisica, ma anche quella affettiva. A questo punto Giacobbe decide di mandare Giuseppe a vedere «come stanno i... fratelli», letteralmente lo shalom la «pace» (v 14), parola che in realtà cela un’insidia di morte. Giacobbe, infatti, è preoccupato, ritenendosi in parte responsabile di questa tragedia familiare. Ma Giuseppe, obbedendo al padre, parte alla ricerca di una fraternità perduta, tanto che all’uomo misterioso che lo interroga: «Che cosa cerchi?», egli risponde: «Cerco i miei fratelli» (v 15). Non «che cosa», ma «chi», e in più afferma: «io cerco». Ignari di ciò, i fratelli, alla vista di Giuseppe, il «padrone dei sogni», restano sconvolti. L’odio riemerge al punto da concepire di ucciderlo, dopo avergli tolto la tunica, segno della predilezione paterna (v 20). Grazie a Ruben, però, Giuseppe viene risparmiato: l’abbandono in una cisterna vuota d’acqua sarà la soluzione alternativa, ma è solo un’escamotage per non «macchiarsi» direttamente le mani del suo sangue: ci avrebbe pensato la sete ad ucciderlo. Il seguito lo conosciamo: Giuseppe viene venduto ai mercanti, in viaggio verso l’Egitto; i fratelli riportano quella tunica sporca di sangue, giustificandola al padre con il falso racconto della belva feroce... (vv 31-35). «Intanto i Madianiti lo vendettero in Egitto a Potifar, eunuco del faraone e comandante delle guardie» (v 36), entrando nei favori del suo padrone, ma costretto a subire le calunnie della moglie di quest’ultimo, avendo ella cercato di sedurlo (Gen 39,11-19). Giuseppe non si difende, sceglie di fermare il male su di sé. Si ritrova in carcere, giusto tra gli ingiusti. Ma, nella sua sventura, il Signore gli è vicino: in carcere interpreta i sogni del coppiere e del panettiere del faraone, infine quelli del faraone stesso (Gen 41,1-36). Questa fama lo eleverà fino alla nomina di viceré d’Egitto. Il faraone, infatti, non solo accetta il consiglio di Giuseppe e prende provvedimenti che salveranno il Paese durante la carestia,

ma riconosce in lui un uomo «intelligente e saggio», benedetto da Dio (Gen 41,38). Il capitolo 42 racconta il primo incontro tra Giuseppe e i fratelli, i quali, a causa della carestia vengono mandati da Giacobbe in Egitto per comprare il grano. Essi, giunti al cospetto di Giuseppe, gli si prostrano davanti, ma senza riconoscerlo (cf Gen 42,6-7): quel vecchio sogno dei covoni si sta avverando. Qui Giuseppe adotta uno strano atteggiamento: li tratta da estranei, accusandoli addirittura di essere spie (v 9). D’altronde, rivelarsi apertamente, per concedere loro il perdono, avrebbe ingenerato un dubbio pentimento. La via scelta da Giuseppe è dura, ma ha una finalità pedagogica, necessaria per un cammino di autentica conversione, ricorrendo anche alla prigionia: Giuseppe mette in carcere i suoi fratelli, inducendoli a riflettere sul male fatto per essere guariti. È interessante notare che a questo punto del racconto venga utilizzato dal narratore il verbo ‘asap, «Li riunì in custodia» (Gen 42,17) - qualche commentatore traduce: «li giuseppizzò», cioè fece provar loro le stesse pene da lui patite. Ma c’è bisogno di un’altra occasione. Nel capitolo 43 i fratelli sono partiti una seconda volta per l’Egitto a causa del grano: il bisogno, la fame -non l’amore e l’obbedienza al padre - ancora una volta, però, sono al servizio di un disegno più alto, del quale Giuseppe è lo strumento principale e, allo stesso tempo, luogo personificato dell’amore del padre (Giacobbe) e del «Padre»: Dio si fa presente ed operante in questo percorso di riconciliazione, riportando l’intera famiglia di Giacobbe sul cammino di Giuseppe. Il «di troppo» ora si rivela persona essenziale per la salvezza dell’intera famiglia, dal punto di vista fisico (la fame, la carestia), ancorché dal punto di vista psicologico e spirituale. Il significato di quel nome («aggiungere/aggiunta»), anche per i fratelli acquista un senso più nobile: egli è il di più dell’amore, colui che ha ricevuto un amore in più per poter realizzare la riconciliazione, il perdono. «Aggiungere» e il nome Yosef-Giuseppe, in ebraico corrispondono, numericamente, al termine qium (q.y.ùm), cioè «sostentamento, cibo, ricchezza». Il di più, I’ «aggiunta» d’amore che Giuseppe ha ricevuto e ha saputo donare ai fratelli è una sorta d’energia primordiale, oltre che il cibo concreto (il grano), è una realizzazione dell’amore di Dio nel mondo. Giuseppe viene riconosciuto dai suoi fratelli

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QUI SCUOLA

E’ scuola PARITARIA

Finalmente paritaria anche la scuola primaria parrocchiale DON ORIONE Dopo tanti sacrifici e interventi strutturali anche la scuola primaria è diventata paritaria, con tutti vantaggi che tale riconoscimento comporta soprattutto per le famiglie che possono accedere alla Dote scuola regionale, qualora presentassero i requisiti economici richiesti . E’ allora utile chiarire alcuni punti: 1. Cosa significa il termine “scuola paritaria”? In Italia, il Sistema Nazionale di Istruzione prevede l’esistenza di scuole statali e di scuole private; le scuole private possono essere riconosciute come paritarie rispetto alla scuola statale, se rispettano un insieme di requisiti previsti dalla legge 10 marzo 2000, n. 62. Più specificamente le scuole paritarie sono “istituzioni scolastiche non statali, che, a partire dalla scuola per l’infanzia, corrispondono agli ordinamenti generali dell’istruzione, sono coerenti con la domanda formativa delle famiglie e sono caratterizzati da requisiti di qualità ed efficacia”. 2. Cosa comporta lo status di “scuola paritaria”? Lo status di “scuola paritaria” comporta la l’equiparazione con la scuola statale “a tutti Scuola parrocchiale e Scuola in inglese gli effetti degli ordinamenti vigenti in particoConvivere nello stesso edificio non significa necessariamente appartelare per quanto riguarda l’abilitazione a rilanere alla stessa realtà. sciare titoli di studio aventi valore legale”. L’edificio della congregazione Don Orione, appunto, vede la convivenQuindi dal punto di vista della didattica e della “validità” del percorso di studi, la scuola pari- za di due scuole nettamente distinte ed è bene fare chiarezza in modo da taria è del tutto equivalente a quella pubblica, evitare fraintendimenti. Da ormai sei anni la parrocchia ha in gestione la scuola ex orionina compresa la capacità di rilasciare autonomacon cinque classi della primaria e tre della secondaria di primo grado ; sotmente titoli di studio legalmente riconosciuti, come per esempio il diploma di scuola media to lo stesso tetto da tre anni convive la scuola internazionale in lingua ino quello di maturità, non è più necessario ogni glese, gestita da privati, che nulla hanno a che vedere con la nostra scuola . Con il 12 settembre inizieremo un nuovo anno scolastico , con la bella anno presentare gli alunni presso altra scuola news della parità anche per la scuola primaria, riconoscimento importanper gli esami di idoneità. te della serietà della didattica , della regolarità dei programmi e del curri 3. Ma allora, che differenza c’è tra scuola pub- colo. La conclusione del primo ciclo della scuola primaria e l’aumento del blica e scuola privata? numero degli iscritti è per noi tutti motivo di soddisfazione e di fiducia nel Proprio per quanto detto sopra, secondo futuro per la nostra piccola, ma intensa realtà scolastica. l’ordinamento vigente il termine “scuola priCerto non mancano problemi, legati soprattutto all’aspetto amminivata” è un po’ ingannevole; infatti tra la scuo- strativo, i soldi in un periodo di crisi non sono mai sufficienti e le spese per la pubblica e quella privata paritaria le uniche mettere a norma l’edificio sono state davvero onerose , ma tutti i sacrifici differenze riguardano la gestione della scuola fatti e che ancora faremo hanno permesso la crescita, e non solo numestessa: gestione statale per le prime, gestione rica, della scuola. privata (enti) per le seconde; invece nel caso Ringraziamo tutti quelli che hanno creduto in questa realtà e ci hanno di una scuola privata non paritaria, la princi- sostenuto con il loro affetto, con la loro comprensione, con la loro fiducia, pale differenza è l’incapacità di rilasciare au- un grazie a tutte le famiglie che ci affidano i loro figli, agli insegnanti, ai tonomamente titoli di studio con valore legale. collaboratori, ai volontari che a diverso titolo ci danno una mano perché 4. La scuola paritaria comporta costi aggiunti- questo nostro “Don Orione”, come il santo diceva, sia sempre più una vi per lo stato ? famiglia Assolutamente no, il risparmio economico per “ben disciplinata e condotta avanti con molto affetto nel Signore e con lo stato è notevole, argomento già ampiamente molta cura i nostri alunni.” trattato, anche se oggetto di costante polemica Questo sia l’augurio per il nuovo anno che ci attende, anno in cui insieper i convinti assertori che l’istruzione debba es- me possiamo davvero educarci per educare. sere unica prerogativa dello stato.

NOI E LORO

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PARROCCHIE DI BOTTICINO - SCUOLA “DON ORIONE”

Cultura + Arte + Salute + CORSI ED EVENTI 2012/2013

Tutti gli incontri si tengono presso la SCUOLA PARROCCHIALE “DON ORIONE” via don Orione,1 Botticino Per informazioni e iscrizioni telefonare al numero 0302691141 da lunedì a venerdì dalle ore 9 alle 11 oppure tramite e-mail sc.media.donorione@botticino.it

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IL SEGNO SUL VOLTO itinerario anno oratoriano 2012-2013 I volti dei giovani e l’anno della fede Sono molte le opportunità di riflessione che si aprono con il prossimo anno pastorale: papa Benedetto XVI ci invita a ricordare il Concilio Vaticano II, che compie 50 anni, con l’Anno delle Fede che incomincerà l’11 ottobre; il nostro Vescovo ci incoraggia ad avvicinarci al Sinodo diocesano sulle unità pastorali con il percorso orientato verso Gesù: “Cerchiamo il tuo volto”; i giovani si preparano alla GMG di Rio dal titolo “Andate e fate discepoli tutti i popoli”. Nel percorso dedicato agli oratori abbiamo provato a richiamare questi elementi partendo da una bella immagine che il Concilio ha offerto della chiesa: “la Chiesa non cessa di pregare, sperare e operare, esortando i figli a purificarsi e rinnovarsi perché il Segno di Cristo risplenda più chiaro sul volto della Chiesa”. (Lumen Gentium, 15) Sul volto della Chiesa può risplendere il Segno di Cristo e risplende davvero in alcuni degli uomini e donne di fede che abbiamo incontrato nella nostra vita. Il cammino che proponiamo, allora, è quello dell’incontro con sei volti, che rappresentano sei storie di vita, sei momenti e attenzioni che attraversano l’anno liturgico: il volto che porta i segni della fatica e del lavoro, il volto della speranza e dell’attesa, il volto saggio di chi educa e desidera la pace, il volto della sofferenza e del dolore, il volto splendente di gloria ed il volto dell’incontro. Volti che rappresentano storie di fede, dicevamo, volti che rappresentano occasioni, incontri e momenti della nostra vita oratoriana nei quali siamo invitati a ricercare i segni dell’amore infinito di Gesù.

Lectio educativa di Gv.20,19-29

lo scambio dei segni Il Cenacolo è per eccellenza il luogo dei segni. Non esiste nel Vangelo un posto così carico e denso di momenti particolari, di gesti unici, di parole irripetibili. Per citare il Concilio: in questo luogo Gesù ha dato pienezza alla rivelazione “con gesti e parole”. Ciò che è avvenuto nel Cenacolo va ben al di là delle mura di questo luogo: diventa il modello attraverso il quale pensare alla missione odierna delle nostre comunità, deve suggerirci il modo per rivitalizzare i nostri luoghi (anche l’oratorio può essere pensato come un piccolo cenacolo), ci deve dare spunti e sollecitazioni per essere portatori oggi dei segni di Gesù sul nostro volto e nella nostra vita. Con questa prospettiva ci lasciamo guidare dalla vicenda di Tommaso, che chiede e pretende i segni. In realtà tutto il Vangelo di Giovanni è un cammi-

no disseminato di segni, non solo questa pagina. Gesù mette in atto alcuni segni che corrispondono al modo con cui i miracoli devono essere recepiti: il segno è l’insieme dell’azione di Gesù (che guarisce, risana, ridona vita…) e della sua parola (che, sola, permette di accogliere il dono perché lo spiega e lo inserisce in un contesto di relazione e di sequela). Non c’è annuncio senza gesto, ma la completezza del gesto necessita della parola. In alcuni momenti Gesù sembra addirittura sconfinare nel didattico puro, ad esempio quando ai discepoli, dopo il gesto della lavanda dei piedi, chiede se hanno compreso quel che ha fatto. C’è una preoccupazione fortemente pedagogica di Cristo: anche il gesto più profondo può essere travisato. Siamo inseriti nella dimensione più relazionale della 60


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Gesù non deve solo insegnare ai discepoli come fidarsi di lui, ma addirittura si fida di loro. Pone segni che i discepoli non capiscono, ma capiranno: perché unisce la dimensione della relazione con quella del futuro.

fede: soltanto dentro uno scambio di gesti e di parole, di significati e di convinzioni, di confronto e di reciprocità è possibile credere. Ecco perché da soli non si può credere. Non è data una fede solitaria perché non è data una fede senza scambio. I segni del Maestro devono essere vissuti dai discepoli e ridonati ad altri: così tutti possono risalire al Maestro. Così Gesù stesso si affida ai suoi discepoli: non deve solo insegnare a loro come fidarsi di lui, ma addirittura essere lui stesso che si fida di loro. Pone segni che i discepoli non capiscono, ma che capiranno: perché unisce la dimensione più profonda La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: “Pace a voi!”. Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”. Detto questo, soffiò e disse loro: “Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati”. Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: “Abbiamo visto il Signore!”. Ma egli disse loro: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo”. Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: “Pace a voi!”. Poi disse a Tommaso: “Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!”. Gli rispose Tommaso: “Mio Signore e mio Dio!”. Gesù gli disse: “Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!”. Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

della relazione (quella della confidenza, dell’amicizia, dell’intimità) con quella del futuro. Gesù non ha paura del suo futuro, che nell’immediato è la croce; ma non ha nemmeno paura del futuro più remoto, quello dell’affidamento del Vangelo e della potenza della croce ai suoi discepoli. Anche lui si affida a loro, anche se loro non lo capiscono, per ora. Ma quando lo capiranno, diventeranno portatori del Vangelo perché inseriti in una relazione vitale con Gesù, densa di significati, di verità sperimentata, di visione nuova della storia e della realtà. Detto in questo modo il meccanismo sembra perfetto e facile. In realtà non lo è. Perché i discepoli sono convinti che i segni di Gesù siano delle ferite inguaribili e non, potenzialmente, dei sogni reali. I segni possono diventare o sogni o ferite mortali: nulla, come i segni, hanno questa tremenda potenzialità, nella nostra vita, di indicare gli antipodi, di posizionarsi radicalmente nel bene o nel male, di indicare pienezza o insignificanza, di essere il tutto o il niente (proprio come un gesto di tenerezza, che può indicare fedeltà o può nascondere un tradimento). I discepoli non credono più a Gesù, alle sue belle parole: dove sono finite? Quale potenza può sprigionare la morte in croce? Così il Cenacolo, da luogo di intimità, si è trasformato in luogo di delusione. Da luogo di partenza è diventato luogo di blocco: le porte chiuse, i discepoli immobili e silenziosi (è solo Gesù che parla, quando si mostra), la paura che prende il sopravvento e che determina ogni azione (anzi, ogni non-azione). Come riesce Gesù a far percorrere ai discepoli la strada che va dai segni ai sogni e a convincerli che i segni che lui ha posto (il suo corpo e il suo sangue donato e sempre presente nella Chiesa, la lavanda dei piedi come gesto di servizio e regola della comunità, la morte in croce come massimo dono e non rinuncia alla vita, la risurrezione come nuova presenza con loro e non comoda assenza) sono veramente per loro e non contro di loro? Seguiamo la scena, bloccata per i discepoli ma profondamente vitale per Gesù. Alla loro chiusura per paura contrappone la forza di passare in mezzo ai loro muri e alle loro porte. Al loro silenzio contrappone l’augurio di pace: una parola densa che racchiude tutta la rivelazione di Dio. Alla loro incapacità di ritrovare un centro si pone lui in mezzo e rimane, come nuovo centro che permette di ritrovarsi continuamente. Alla loro incapacità di vederlo mostra le mani, i piedi, il costato: i segni della passione, che sono prima di tutto segni appassionati per loro e per il Padre. 61


Non c’è nulla a caso: ogni segno posto da Gesù è un atto forte e risoluto perché i discepoli escano dalla morte, ritrovino vita. E non c’è rancore: Gesù non giudica l’incredulità o il blocco dei suoi, anzi sembra conoscere in profondo cosa significhi avere dimenticato di essere uomini e discepoli, perché questo rimane il segno più incisivo con cui il peccato ha radicalmente marchiato l’uomo (“Tu sarai come Dio”, disse il serpente all’uomo; inganno fatale che lo risveglia, in realtà, come il serpente: oggetto di morte, pauroso e isolato, condannato a sopravvivere e a strisciare, più che a vedere e ad abbracciare). Questi sono i suoi discepoli; ma Lui, il Cristo, il Risorto, non li può abbandonare: mette ancora più determinazione di quanto abbia già fatto sulla croce, perché la vittoria sulla morte non può essere solo sua. A questo punto l’azzardo di Cristo è totale. Non basta rialzare i discepoli, occorre farli camminare. È il segno della risurrezione per loro. È la condivisione piena con la sua morte e la sua risurrezione. È l’adesione ultima e decisiva per la vita. Non c’è pace rimanendo nel cenacolo, ma solo uscendo. “Io mando voi”. Il soggetto è sempre Lui, il Risorto. Ma i soggetti sono pure loro, i paurosi discepoli. Lo Spirito che viene donato li rassicura di non essere più soli; la missione che viene affidata porta con sé il segno grande del perdono, il dono per eccellenza, la cosa più difficile che gli uomini sanno fare, il percorso più lungo che accompagna la vita di una persona: non viene da noi, ma viene da Dio. I discepoli sono portatori di qualcosa immensamente più grande di loro (di un segno, appunto), ma incredibilmente concreto: “perdonate, perché così si accorgeranno che io sono con voi”. È un’azione cristologica, che porta Gesù, che riporta alla sua risurrezione perché solo il Risorto ci può affidare il perdono che ha già dato sulla croce. Il perdono diventa il segno più grande dell’educare perché ha una doppia faccia: rimette in relazione con gli uomini e permette la relazione piena con Dio. Profondamente umano e profondamente divino: ancora una volta gesto e parola che esprimono la rivelazione. Anche noi, perdonando, ritorniamo nel Cenacolo e finalmente incontriamo il Risorto. Tommaso non c’è. Non ci viene data nessuna spiegazione per la sua assenza. Ma, anche qui, basta il segno: la comunità, senza Gesù, è già sgretolata, ognuno libero di esserci o meno. Le storie private riprendono il sopravvento e con esse la distanza e l’incredulità. Tommaso non crede ai suoi amici. Non può credere ai suoi amici, perché il legame è interrotto, la storia è finita, la comunione è spezzata. Tommaso, francamente, non ha nemmeno voglia di credere ai suoi amici: è giusto che ora riprenda il sopravvento il principio di realtà, la matematica della vita e delle sue possibilità, il calcolo, forse un po’ egoistico ma sicuramente più efficiente, dell’arrangiarsi da solo. Tommaso non era con loro: non solo con il corpo. L’obiezione di Tommaso non trova risposta negli altri. Non sanno come fare. Lui pone una condizione

che, oggettivamente, non è nelle loro mani. Toccare e vedere: basta i segni, adesso vuole le prove tangibili. Passano, infatti, otto lunghi giorni: è vero che indicano un periodo liturgico ma, francamente, sono lunghi. Cala di nuovo il silenzio, le porte chiuse, il dubbio. Non c’è traccia della missione che Gesù ha affidato ai suoi. Se possibile, questa situazione risulta peggio della prima, alla sera di Pasqua. Quale prova possono fornire gli amici di Tommaso sulla risurrezione di Gesù? Il silenzio che incombe nuovamente non è forse il segno che ha ragione Tommaso? Se ritornano i segni della morte, allora ritorna anche Gesù. Con gli stessi gesti e le medesime parole: ma la forza di questo ritorno è ancora più determinata, perché l’amore si rafforza quando insiste. Si offre a Tommaso e insiste: ha bisogno della sua fede perché la comunità dei discepoli non perda nessuno. Si potrebbe obiettare che ne rimanevano comunque dieci, che forse non c’era tempo da perdere, che si poteva comunque partire per la missione, che forse Tommaso voleva veramente lasciar perdere. Ma Gesù si offre. Da questa insistenza che non vuole perdere l’unità dei suoi, scaturisce una delle affermazioni di fede più care alla tradizione di tutta la Chiesa: “Mio Signore e mio Dio”. Poche parole per dire tutta la fede: un segno sintetico che racchiude tutta la complessità di un percorso, perché questa è la semplicità e l’intuizione che esprime un amore vero, profondo, personale. L’espressione diretta di Tommaso è il frutto del percorso di tutto il Vangelo: finalmente Gesù può stare in mezzo per sempre, come punto di riferimento di tutti, anche di quelli che non hanno messo il dito nelle sue ferite. Ma la fede di Tommaso, adesso, è ancora più tangibile del toccare il corpo di Cristo: questo è il miracolo che è concesso anche a noi, perché è la fede (anche la nostra) che ci permette di vedere e di toccare. La fede pasquale ci è donata anche come modello educativo. Sono tante, infatti, le situazioni educative evocate da questo brano di Vangelo che intersecano lo stile dei nostri oratori: la comunità educativa capace di fede reale, i segni della fede che oggi dobbiamo evocare e far presenti, le relazioni concrete e vitali come segno della presenza del Risorto, la pazienza educativa che non aiuta la morte ma che offre più spazio alla vita, la capacità di perdonare come segno della potenza di Gesù che accompagna la nostra umanità, la costruzione di Cenacoli come luoghi densi di segni e capaci di essere portatori di unità personale e comunitaria… Questi spunti sono offerti alla nostra passione pastorale: il Signore ci renda veramente segno della sua presenza e della sua azione. 62


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1° tappa - inizio anno

la fatica sul volto In luoghi abbandonati noi costruiremo con mattoni nuovi vi sono mani e macchine e argilla per nuovi mattoni e calce per nuova calcina dove i mattoni son caduti costruiremo con pietra nuova dove le travi son marcite costruiremo con nuovo legname dove parole non son pronunciate costruiremo con nuovo linguaggio c’è un lavoro comune una chiesa per tutti e un impiego per ciascuno ognuno al suo lavoro. (Thomas Stearns Eliot - Cori da “La rocca”)

Sono 6 volti ma potrebbero essere milioni. Ognuno di noi ricorda di aver visto un giorno un uomo o una donna, un giovane o un anziano, a casa, in oratorio, a scuola, in chiesa, sul lavoro e di aver incontrato in quel volto l’immagine, il Segno di Gesù. E la Chiesa ha ricevuto questo compito, per il quale non deve mai smettere di pregare (cfr. L.G. 15): rinnovarsi e purificarsi perché i suoi figli mostrino nel suo volto il Segno del Cristo. E il primo volto che vogliamo incrociare è il volto dell’i mpegno, del lavoro, della quotidianità. È il volto che sa che quello fa non è per nulla inutile o troppo piccolo, ma rende migliore il suo pezzo di mondo. È un volto che incontriamo nelle nostre case, nei momenti ordinari che, a volte succede, diventano eccezionali perché brillano di semplicità e di amore. Oasi di senso nei deserti della banalità, sorrisi, abbracci, gesti che mostrano il segno dell’amore di Gesù.

Riscopriamo i testi del Concilio Dal Messaggio di Sua Santità Paolo VI agli uomini di Scienza e di Pensiero

Un saluto tutto speciale a voi, ricercatori della verità, a voi, uomini di pensiero e di scienza, esploratori dell’uomo, dell’universo e della storia, a voi tutti, pellegrini in marcia verso la luce, e anche a quelli che si sono fermati nel cammino, affaticati e delusi da una vana ricerca. Perché un saluto speciale per voi? Perché qui tutti noi, Vescovi, Padri del Concilio, siamo in ascolto della verità. Che cosa è stato il nostro sforzo durante questi quattro anni, se non una ricerca più attenta e un approfondimento del messaggio di verità affidato alla Chiesa, se non uno sforzo di docilità più perfetta allo Spirito di verità? Noi dunque non potevamo non incontrarci con voi. Il vostro cammino è il nostro. I vostri sentieri non sono mai estranei ai nostri. Noi siamo gli amici della vostra vocazione di ricercatori, gli alleati delle vostre fatiche, gli ammiratori delle vostre conquiste e, se occorre, i consolatori dei vostri scoraggiamenti e dei vostri insuccessi. Anche per voi abbiamo dunque un messaggio, ed è questo: continuate a cercare, senza stancarvi, senza mai disperare della verità! Ricordate le parole di uno dei vostri grandi amici, sant’Agostino: “Cerchiamo con il desiderio di trovare, e troviamo con il desiderio di cercare ancora”. Felici coloro che, possedendo la verità, la continuano a cercare per rinnovarla, per approfondirla, per donarla agli altri. Felici coloro che, non avendola trovata, cam-

minano verso essa con cuore sincero: che essi cerchino la luce del domani con la luce d’oggi, fino alla pienezza della luce! Ma non dimenticatelo: se il pensare è una grande cosa, pensare è innanzitutto un dovere; guai a chi chiude volontariamente gli occhi alla luce! Pensare è anche una responsabilità: guai a coloro che oscurano lo spirito con i mille artifici che lo deprimono, l’inorgogliscono, l’ingannano, lo deformano! Qual è il principio di base per uomini di scienza, se non sforzarsi di pensare giustamente? Per questo, senza turbare i vostri passi, senza accecare i vostri sguardi, noi vogliamo offrirvi la luce della nostra lampada misteriosa: la fede. Colui che ce l’ha affidata è il Maestro sovrano del pensiero, colui di cui noi siamo gli umili discepoli, il solo che abbia detto e potuto dire: “Io sono la luce del mondo, io sono la via, la verità e la vita”. Questa parola vi riguarda. Forse mai, grazie a Dio, è apparsa così bene come oggi la possibilità d’un accordo profondo fra la vera scienza e la vera fede, l’una e l’altra a servizio dell’unica verità. Non impedite questo prezioso incontro! Abbiate fiducia nella fede, questa grande amica dell’intelligenza! Rischiaratevi alla sua luce per afferrare la verità, tutta la verità! Questo è l’augurio, l’incoraggiamento, la speranza che vi esprimono, prima di separarsi, i Padri del mondo intero, riuniti in Concilio a Roma. 63


GREST

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CAMPO ADOLESCENTI MERITZ

CAMPO CRESIMANDI MERITZ

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x credere

Le proposte dell’Ufficio per la Spiritualità e le Vocazioni sono segnate dall’evento dell’Anno della Fede e dalla 50a Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni. La profonda convinzione che la preghiera è il “cardine della pastorale vocazionale” spinse papa Paolo VI - ad appena sette mesi dalla sua elezione - ad istituire, il 23 gennaio del 1964, questa iniziativa. Così la IV domenica di Pasqua del 2013 vedrà, a livello nazionale, un particolare coinvolgimento della nostra diocesi. L’Anno della fede è iniziato l’11 ottobre 2012: data scelta come ricordo riconoscente per due grandi eventi significativi per la vita della Chiesa oggi: il cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, voluto dal beato Giovanni XXIII (11 NELLE PARROCCHIE DI BOTTICINO ottobre 1962), e il ventesimo anniversario della produrante la settimana varie mulgazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, opportunità di incontro offerto alla Chiesa dal beato Giovanni Paolo II (11 di formazione per adolescenti ottobre 1992). È significativo ricordare un precedente: il 30 giugno e giovani nelle rispettive parrocchie 1968 papa Paolo VI, durante la solenne Concelebrapresso i locali dell’oratorio zione a conclusione dell’Anno della fede indetto per i 1900 anni dal martirio dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, nella sua omelia pronunciò il Credo del Popolo ZONA PASTORALE di Dio: un testo ricco, che può essere ripreso. Il primo avvenimento dell’Anno della fede, domenica 21 ottobre, sarà la Canonizzazione di alcuni martiri e confessori della fede, tra i quali il bresciano itinerario di spiritualità per giovani Giovanni Battista Piamarta. martedì 23 ottobre 2012 Sarà un anno dedicato dunque al papa Paolo VI, nostro conterraneo, e alla piccola grande fede dei semore 20.30 in Cattedrale plici, dei puri di cuore: sono loro i protagonisti di tante pagine bibliche e sono loro la forza delle nostre La fede del centurione di Cafarnao (Lc 7,1-10) comunità cristiane. Apertura degli itinerari, presieduta dal Vescovo Nella gioia di camminare insieme, come comunità. ricordando l’apertura dell’anno della fede Perché… la fede e la vocazione crescono insieme! e la canonizzazione di padre Piamarta.

piccola

proposte di qualità

adolescenti e giovani

GRANDE LA FEDE DEI PICCOLI

Corsi per animatori oratorio,

per chi vuole fare esperienza in missione, per chi vuole specializzarsi in teatro, animazione e tecniche della comunicazione.... informazioni presso le parrocchie

Pellegrinaggi

Ti seguo… a ruota

(quarta edizione) Pellegrinaggio in bicicletta 28-30 giugno 2013 Pellegrinaggio per seminaristi, novizie, novizi e giovani in cammino vocazionale arrivo in Piazza san Pietro e incontro con il Papa 4-7 luglio 2013

MARTEDI’ 20 NOVEMBRE, MARTEDI’ 16 APRILE ore 20,30 al Convento Francescani Rezzato Ritiro Spirituale 15-16 dicembre

Giornate di spiritualità per giovani presso l’Eremo di Bienno

La fede è vita

meditazioni del Vescovo Luciano 3-5 maggio 2013

Incontro europeo di giovani a Roma promosso dalla Comunità di Taizè informazioni presso le parrocchie 66


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x cercare

Sichar

x condividere

grande

fede

gruppo vocazionale diocesano per le giovani e i giovani dai 18 anni aperto al discernimento di tutte le vocazioni (vita matrimoniale, consacrata, missionaria, diaconale, presbiterale… )

Celebrazioni penitenziali venerdì 21 dicembre 2012 ore 20.30 presso la Chiesa di Gussago

presieduta dal Vescovo Luciano sabato 23 marzo 2012 ore 18.00 presso il Centro Pastorale Paolo VI segue Veglia delle Palme Scuola di Preghiera in Cattedrale

LA PREGHIERA E IL RICORDO DELLA FEDE presieduta dal Vescovo

quattro giovedì di Quaresima - ore 20.30 21 febbraio 2013 ho pregato perché non venga meno la tua fede (Lc 22,21-38) 28 febbraio 2013 pregate per non entrare in tentazione (Lc 22,39-46) 7 marzo 2013 Pietro si ricordò delle parole del Signore (Lc 22,47-62) 14 marzo 2013 ricordati di me (Lc 23,26-43) vegliando per i missionari martiri

presso le Ancelle della Carità in via Moretto 33

seconda domenica del mese dalle 14 alle 19

nella fede, strade di luce 14 ottobre 2012

per Levi (Lc 5,27-32) 11 novembre 2012 per i 72 discepoli (Lc 10,,1-16) 9 dicembre 2012 per i pastori (Lc 2,1-20) 13 gennaio 2013 per il cieco di Gerico (Lc 18,35-43) 10 febbraio 2013 per i dieci servi (Lc 19,11-27) 10 marzo 2013 per gli abitanti di Gerusalemme (Lc 19,28-40) 14 aprile 2013 per Pietro (Lc 5,1-11) 12 maggio 2013 per Maria (Lc 1,46-56)

Emmaus

per chi non esclude la vocazione sacerdotale, presso il Seminario diocesano in via Razziche n. 4 dalle ore 12.30 alle 18.00 nelle seguenti domeniche: 28 ottobre 2012 25 novembre 2012 carità 23 dicembre 2012 13 gennaio 2013 festa 24 febbraio 2013 fraternità 17 marzo 2013 28 aprile 2013 divertimento 26 maggio 2013 23 giugno 2013

Esperienze di di di di

Raccolta di S.Martino e campi di raccolta

Progetto Giovani & Comunità quattro mesi di esperienza per i giovani e le giovani di età compresa tra i 18 e i 28 anni che, attraverso la vita comunitaria e il servizio, si confrontano sulle proprie scelte di vita ispirate ai valori cristiani info: Ufficio Caritas 030.3757746 Ufficio Vocazioni 030.3722245 67


INCONTRI DI CATECHESI PRESSO LE TRE PARROCCHIE

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VITTORIA A BOTTICINO

Le imprese dei vincitori riempiono spesso le colonne dei giornali e di continuo bucano lo schermo televisivo; le vittorie hanno il sapore della gloria, il calore dell’entusiasmo e la gioia della vita. Questa atmosfera si trasmette come un’onda, coinvolgendo chiunque graviti attorno ai vittoriosi. La storia che stiamo scoprendo ha come protagonisti calciatori botticinesi, giovani talentuosi; con pregevoli gesta, hanno vinto al loro primo appuntamento la Coppa Anspi, Coppa ambita per il titolo provinciale. Chi vince codesta Coppa ha l’invito al torneo più prestigioso d’Italia che si è disputato a Bellaria. Primi classificati provinciali Anspi 2012 In questo torneo erano presenti 75 squadre, distribuite sui 18 campi a disposizione. Risultato finale: medaglia di bronzo. Dumper Botticino Mattina il nome completo, società fondata nel 2003 sulle orme del GSO Botticino Mattina; alla Società mancano i fondi ma non la classe e la tecnica. Tutti botticinesi doc, autoctoni cresciuti a pane e calcio, rubando l’uva e respirando polvere di marmo, rinfrescandosi nelle torride giornate estive alla fontana della piazza. Lo stemma e il nome della squadra raffigurano un dumper, mastodontico mezzo per il movimento terra usato nelle cave. Classe 1989 la maggior parte dei giocatori, compaiono anche calciatori nati nel 1991-19881981-1979-1977-1974-1973-1969. La Dumper non ha solo giocatori con doti tecniche da sviluppare sui campi da calcio. Nella vita i giocatori sono persone responsabili e rispettate, lavoratori e padri di famiglia, molte le lauree e i laureandi, cervelli a disposizione della comunità, sperando quella botticinese; infatti, per qualcuno dei nostri si sono già aperte porte europee invogliandoli ad andarsene. Anche la Società, da parecchi anni, ha un grosso obbiettivo sociale: è impegnata nella raccolta fondi per la realizzazione di pozzi d’acqua in Africa. In ordine alfabetico i componenti Dumper: Antonelli Michele, Arici Mauro, Arici Alessandro, Arrighetti Massimo, Bertocchi Stefano, Boifava Mauro, Busi Stefano, Cavagnini Flavio, Chiodi Cristian, Chiodi Massimiliano, Cremonesi Stefano, Cropelli Alberto, Damonti Diego, Gorni Domenico, Gorni Marco, Modoni Francesco, Moreschi PierLuca, Moreschi Stefano, Noventa Gabriele, Papa Francesco, Pedassi Giuseppe, Pennacchio Davide, Rossi Francesco, Sanca GianLuca, Secondi Davide, Tambussi Francesco, Tomasotti Nantas. Ringraziamo i numerosissimi tifosi/tifose che seguono costantemente la squadra, ed invitiamo chi tifoso ancora non è a sostenerci, divertimento garantito! Con le nuove tecnologie potete seguirci sul social network Facebook nel gruppo ”Avanti tutta Dumper ”dove trovate foto e commenti pre/post partite e molto altro. Forza Dumper!

Bellaria settembre 2012 69

Guido Pittoni


Tra segni cristiani e cattedrali di Francia di Giulio e Graziella

È uno spettacolo che toglie il respiro. “La navata centrale è altissima, sostenuta da una fila di armoniosi contrafforti volanti. La facciata ha tre grandi portali giganteschi sovrastati da file di finestre ad arco acuto. Un tripudio di lesene, grondoni, barbacani, archi, guglie, architravi …” così scrive Ken Follett nel suo “I pilastri della terra” descrivendo una cattedrale gotica medievale. Notre Dame di Parigi, le cattedrali di Bourges e Digione, vere “preghiere di pietra, che rappresentano la quintessenza della Storia, della spiritualità e delle fatiche umane, che spingono gli esseri umani a interrogare il cielo, sono state il grande richiamo al quale non ha resistito il gruppo dell’Unità pastorale di Botticino, organizzato dal sagace Battista Benetti ed assistito dal parroco don Raffaele, con il diacono Pietro. Ci accolgono l’aspra Valle d’Aosta, coi suoi severi castelli che ci scrutano dai poggi ed il Monte Bianco avvolto da nubi, quasi a volerci negare la visione del Dente del Gigante. Ma dopo il traforo il paesaggio dell’Alta Savoia si rivela ridente: morbide colline, linde cittadine. Si corre veloci verso la prima tappa: Nevers, convento di Saint Gildard, ove riposa la veggente di Lourdes, Bernardetta Soubirous, qui morta nel 1879. In una teca di bronzo e cristallo è conservato il suo corpo, riesumato dopo tanti anni e ritrovato intatto. Il suo viso è piegato sulla spalla sinistra, bianchissimo e dolce; ci dicono sia ricoperto da un sottilissimo strato di cera. È il momento certamente più intenso vissuto nei nove giorni di tour. Ci troviamo dinnanzi a Colei che dalla Madonna si sentì dire le misteriose e incomprensibili, per lei, parole “Que soy era Immaculada Concepcion” in dialetto pirenaico: “Io sono l’immacolata Concezione”. Verso Bourges il paesaggio è straordinario: campi pettinati, coltivazioni a perdita d’occhio, villaggi sepolti nel verde! La città ci accoglie con la sua incredibile cattedrale gotica, da taluni considerata la più bella d’Europa. Lo sguardo si estasia nella visione della fuga verso l’Alto delle snelle colonne e delle incredibili vetrate coloratissime. Si respira ansia di spiritualità, di ricerca di Dio che ha mosso mani e cuore di quegli uomini del medio evo che hanno voluto, progettato e costruito questi monumenti. A tratti ora la Loira, il grande fiume, ci accompagna e si nasconde sino alla visita del suo castello più rinomato, “Le Chateau de Chenonceau” costruito su un antico mulino fortificato. Un castello-scrigno: quadri, vetrate, arazzi, camera delle cinque regine, utensili medievali … Riscontriamo la mano di artisti italiani: Tintoretto, Veronese. Straordinari e curatissimi i giardini di Caterina dè medici Viene spontanea l’osservazione:

CAMPANE E ... CAMPANARI

Le campane con i loro squilli argentini chiamano a raccolta i fedeli delle nostre comunità parrocchiali, intrecciando un ininterrotto dialogo tra la terra e il cielo, tra la terra e il suo creatore. Riscoprire e conservare la tradizioni popolari è un dovere di tutti. Una di queste è quella di suonare la campana in “concerto”, naturalmente con le corde. La nostra Federazione, di recente costituita, si propone di tutelare i concerti manuali che vangono automatizzati, facendo mantenere corde a tastiere per conservare la tradizione antica, reinserire le corde e la tastiera sui concerti elettrificati da tempo e privati delle parti manuali dove esiste il doppio sistema; preservare le icastellatura in ferro e ghisa d’inizio del XX secolo, avvicinare i bambini e i ragazzi al suono delle campane, insegnando loro le tecniche del suono a distesa e a tastiera. Con la collaborazione della scuola campanari di S.GALLO/BOTTICINO, sono stati ispezionati 75 campanili della nostra provincia, in 63 dei quali esiste il doppio sistema. Inoltre siamo disponibili ad effetuare concerti in occasione di feste patronali o eventi straordinari, collocando corde volanti là dove esiste il doppio sistema (visto che possiamo disporre di circa 40 campanari tra iscritti e simpatizzanti) PER INFORMAZIONI POTETE CONTATTARCI AI SEGUENTI INDIRIZZI: SPALENZA LORENZO VIA G.GALILEI,3,25030 POMPIANO (BS) TEL.030/9465358—CELL. 3284070235 BUSI AVELINO VIA S. GALLO, 70 25080 BOTTICINO(BS) Tel.030/2199964—CELL3318853670 70


come sono bravi questi francesi a valorizzare il loro patrimonio artistico! Ci accoglie ora la Bretagna, verdissima, punteggiata da minuscoli villaggi, ordinati, con le tipiche casette, alcune in architettura rurale, che sembrano cristallizzate nel tempo, costruite in granito locale e con l’immancabile crestà sul tetto. Altre, moderne, piccole, coloratissime ricordano le casette delle illustrazioni dei libri delle fate. Ci spingiamo fino al faro di Cap Frehel, alto sull’Oceano, con le sue falesie di arenaria rosa. I vivaci colori della landa, le tinte profonde del mare, il respiro dell’Oceano formano un insieme stupendo. L’orgogliosa St. Malò, fiera della propria indipendenza per tanti secoli, città dei mercanti, di armatori e di corsari, ci mostra la sua stupenda cittadella fortificata ed il veliero del 600, mollemente ormeggiato nel porto. Dice di tutto questa città il motto degli abitanti: “Prima di tutto nato a St. Malò, forse bretone e per ultimo francese”, come a dire l’orgoglio della propria appartenenza! Costeggiando la Manica ecco apparire, stagliata sulle onde, come un miraggio, l’Abbazia di Saint Michel, monumento unico nel suo genere. Prima monastero medievale, poi fortezza inespugnabile. Uno scoglio che gli architetti hanno avvolto di edifici! La visita lascia attoniti: chiese, chiostri, saloni, cripte, ambulacri, refettori, tutto costruito su tre piani. Sembra incredibile che tutto questo sia riuscito a sfidare i secoli! Il susseguirsi di cippi, monumenti sparsi nei verdissimi campi ci introducono ora al grande Sacrario che ricorda le migliaia di soldati americani, inglesi, canadesi, francesi caduti il il giorno dello sbarco in Normandia, il 6 giugno 1944 “Il giorno più lungo”. Percorriamo in religioso silenzio le spiagge Omaha, Utah, il cimitero ove riposano quei ragazzi venuti da Oltre Oceano e morti per tenere alto il principio della libertà dei popoli in una Europa dominata dalle armate naziste di Hitler. Sembra di udire nell’aria la voce di radio Londra che annunciava l’inizio dello sbarco, con i versi del poeta Paul Verlaine: “Les sanglots des violons de l’automne blessent mon coeur d’un langleur monotone” (i lunghi singhiozzi dei violini d’autunno feriscono il mio cuore con monotono languore). Era l’inizio della liberazione dell’Europa dalla tirannide. La “Ville Lumiere”, Parigi ci accoglie per tre giorni. Gli occhi si riempiono della visione delle magnifiche architetture dei palazzi sulle rive della Senna, la Bastiglia solo disegnata ora sapientemente in una piazza, il trocadero, gli Champs Elyseès, la Place de la Concorde, L’Opèra, la Place Vendome, il Palais Royal, la Cociergerie, Versaillers, simbolo della magnificenza e raffinatezza del Re Sole. Affascinante l’escursione serale sulla Senna a bordo dei tipici Bateaux. Un lento centellinare lo splendore di questa città unica. Le grandi braccia aperte del Cristo ci accolgono sulla collina dei martiri (Montmartre) nella grande Basilica dedicata dalla Francia per assolvere un voto nel 1919 al Sacro cuore di Gesù, Santuario dell’Adorazione Eucaristica perenne, giorno e notte, dal 1° agosto 1885. La Basilica brilla come un segno di speranza su una città distratta e secolarizzata. Guardandola ogni uomo può affermare: “Qui il Signore è presente. Qui qualcuno prega per me”. Indi Digione, con la sua splendida cattedrale sul colle, con portale ricco di scritture, rovinate dalla mano iconoclasta del rivoluzionario di turno animato da furore antireligioso! Città anche che ha eretto un monumento al nostro Giuseppe Garibaldi qui accorso nel 1870 per aiutare i francesi a respingere i prussiani invasori. La lunga traversata della Svizzera, il traforo del Gottardo, il confine, con lo spontaneo canto dell’inno nazionale ci riportano a casa: nei ricordi di ciascuno nuove amicizie, una bella compagnia, tanta nostalgia e un arrivederci. 71


PENITENZIALI CON CONFESSIONI

a S.Gallo lunedì 29 ottobre ore 20,00 a Botticino Mattina venerdì 26 ottobre ore 20,00 a Botticino Sera martedì 30 ottobre ore 20,00

DOMENICA 14 OTTOBRE INIZIO ANNO PASTORALE 2012/2013

SS.Messe come da orario festivo Pranzo comunitario in oratorio; alle 14,30 presso la chiesa di Botticino Sera incontro bambini e genitori delle tre parrocchie di Botticino per inizio anno di catechesi seguono giochi presso l’oratorio

DOMENICA 21 OTTOBRE GIORNATA MISSIONARIA MONDIALE DOMENICA 18 NOVEMBRE SACRAMENTO DELLA CONFERMAZIONE ORE 10,30 A BOTT. SERA

DOMENICA 25 NOVEMBRE GIORNATA DIOCESANA DEL SEMINARIO

CELEBRAZIONI 1 NOVEMBRE

SOLENNITA’ DI TUTTI I SANTI

S.GALLO ore 17,00 S.MESSA in chiesa parr. segue processione al cimitero BOTT.SERA in Basilica ore 8,00 - 10,30 - 18,45 al cimitero ore 15,45 BOTT.MATTINA in chiesa parr. ore 9,30 al cimitero ore 14,30

GIOVEDI’ 22 NOVEMBRE S.CECILIA PATRONA DELLA MUSICA MERCOLEDI’28 NOVEMBRE INIZIOCENTRIDIASCOLTO 1-2 e 8-9 DICEMBRE SINODO DIOCESANO DOMENICA 2 DICEMBRE GIORNATA DELLA CARITAS

2 NOVEMBRE COMMEMORAZIONE DEFUNTI S.GALLO al cimitero ore 10,00 e ore 19,00 BOTT.SERA al cimitero ore 10,00 - 15,00 - 20,00 BOTT. MATTINA al cimitero ore 10,00 -16,00 in chiesa parrocchiale ore 20,00

visita il sito web delle parrocchie di Botticino:

www.parrocchiebotticino.it


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