Voce per la Comunità

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UNITA’ PASTORALE “S.ARCANGELO TADINI“ PARROCCHIE DI BOTTICINO

VOCE per la COMUNITA´ NOTIZIARIO PASTORALE

Comunità in cammino INIZIO ANNO PASTORALE 2011-2012 ottobre 2011 1


RECAPITO DEI SACERDOTI E ISTITUTI

Presentazione

All’inizio del nuovo anno pastorale il Notiziario per le famiglie Licini don Raffaele, parroco delle tre Parrocchie di Botticino. cell. 3283108944 e-mail parrocchia:parrocchiasera@alice.it perchèE’nonunsi notiziario-documento limita a dare notizie, info@parrocchiebotticino.it ma presenta pagine di formazione fax segreteria: 0302193343 nei vari ambiti della pastorale. Ampiamente viene presentaSegreteria tel. 0302692094 to il cammino dell’anno pastorale Mussinelli don Fausto tel. 3287322176 secondo le indicazioni del vescovo e-mail : donmussi80@gmail.com per tutta la diocesi in cammino verZini don Giovanni tel. 3355379014 so il Sinodo Diocesano sulle Unità Loda don Bruno tel. 0302199768 Pastorali e sul decennio ““educare Pietro Oprandi, diacono tel 0302199881 alla vita buona del Vangelo”.. Continuiamo la presentazione dei docuScuola don Orione tel. 0302691141 menti conciliari e dopo quello sulla sito web : www.parrocchiebotticino.it (Lumen gentium) quello sulSuore Operaie abit. villaggio 0302693689 Chiesa la Liturgia. Alcune pagine presenSuore Operaie Casa Madre tel. 0302691138 tano il tempo liturgico della Festa dei Santi e della Commemorazione BATTESIMI BOTTICINO SERA dei defunti. Non mancano temi atdomenica 13 novembre ore 11,00 tuali riferiti alla realtà socio-politidomenica 8 gennaio 2012 ore 9,30 ca e alla salvaguardia dell’ambienGli scritti di Isidoro,prossimo BATTESIMI BOTTICINO MATTINA te. al Diaconato, e di sr. Erica, che ha domenica 6 novembre ore 11,00 fatto la professione perpetua, ci domenica 8 gennaio 2012 ore 11,00 aiuta a rendere attuale la chiamata di Dio. Le pagine di pastorale faBATTESIMI SAN GALLO miliare oltre ad alcuni articoli sulla giovedì 8 dicembre ore 11,00 famiglia,continuano la rilfessione sulla valorizzazione della ritualità in famiglia. Non mancano le pagiI genitori che intendono chiedere il Battesimo per i figli sono invitati a contattare, per tempo, per accor- ne rigurdanti, l’oratorio, la scuola darsi sulla preparazione e sulla data della celebrazio- don Orione; iniziative ordinarie in programma e riguardanti in l’anno ne, il parroco personalmente o tel.3283108944 giubilare.

Renato Laffranchi, Città della Pace

Tempera su tavola 125x183 cm, 1983, St. Louis L’opera in copertina La “Città della pace” è il dipinto di don Renato Laffranchi scelto come immagine simbolo della nuova edizione di “Agorà”. L’opera fa parte di una serie di lavori che l’autore ha voluto dedicare alla città del cielo, in una sua personale lettura pittorica della città dell’Apocalisse. Si tratta di un’immagine in cui la città è racchiusa in un cerchio di luce con cui l’autore interpreta quel passaggio dell’Apocalisse in cui si dice che la città non ha bisogno né della luce del sole né di quella della luna perché la sua luce è l’Agnello. Il cerchio diventa il simbolo di quella luce che illumina la città del cielo. Attraverso la gradazione di colori l’artista ha rappresentato la discesa della città dal cielo, città di Dio che, per questo, non può essere costruita dagli uomini. Tutto questo è espresso anche con colori decisi che nella parte più vicina alla città si perdono nella consistenza della luce. Agorà. È l’evento che apre l’anno pastorale 2011-2012 e introduce la Chiesa bresciana al Sinodo diocesano sulle unità pastorali previsto per l’autunno 2012 sul tema “Comunità in cammino”. 2


Lungo la strada Continua il nostro cammino come comunità cristiane. Nello zaino le cose essenziali:il dialogo, l’incontro. Senza dimenticare nel camminare la nostra condizione esistenziale con le possibilità del dubbio, della fatica, della calura e del freddo. Lungo la strada si dischiude il Vangelo,la notizia sorprendente di un Dio che cammina con noi. Lungo la strada anche noi camminiamo per incontrare, per scoprire, per dialogare, per lasciarci sorprendere. E’ il cammino di comunità che camminano come un pellegrino. La vita nel mondo è come il cammino di un pellegrino. Noi siamo dei pellegrini,la nostra vita un lungo cammino, un viaggio dalla terra al cielo. Sulla strada ci siamo noi, ci sono le persone di oggi e di sempre che camminano portando sulle spalle gli strumenti del proprio lavoro, la fatica di vivere e la propria condizione umana che, a volte, è più pesante e a volte più leggera. Ma non siamo soli. Qualcuno cammina con noi, e il suo passo discreto e ritmato al nostro è compagnia che riscalda il cuore. Qualcuno al nostro fianco. Allora ci chiediamo ancora, come ad ogni inizio, chi è che ci cammina a fianco e a chi ci facciamo accanto lungo la vita. Scorrono pagine di vita e di storia, la nostra storia e la storia della salvezza. Ci ritorna al cuore una scena che descrive la corsa del Vangelo. Racconta di un viaggio e di un carro, di Filippo e del funzionario straniero della regina di Candace, di una strada assolata e del desiderio di vita che permette l’incontro con la salvezza. Troveremo, come Filippo e l’eunuco, l’acqua che da vita? “Proseguendo lungo la strada, giunsero a un luogo dove c’era acqua. Fece fermare il carro e discesero tutti e due nell’acqua” (Atti 8,36). Nella strada percorsa i segni della nostra fede, della ricerca continua, della passione forte che sostiene il nostro andare e incontrare. Allora la strada scorre come un torrente. Il cielo è pieno di segni forti e luminosi che esprimono la tensione verso la solidarietà, e dicono la comunione con ogni desiderio di vita e di bene che c’è nel cuore delle persone. Siamo partiti e continuiamo a camminare: sopra di noi il cielo popolato di luci. Attorno a noi alberi che, come indici, puntano verso l’alto. La strada è polverosa, siamo parte viva di questa nostra storia quodidiana. Sul cammino incontriamo case o luoghi con le finestre con le luci spente. Davanti a noi ancora tempo e spazio per incontrare e raccontare di Colui che non smette di camminarci accanto e di riempire di luce le tenebre, di novità la quotidianità. È la nostra stessa vita e il Vangelo si pronuncia dentro questa nostra situazione umana. Durante lo scorrere dei giorni di quest’anno, anche la comunità cristiana potrà diventare un punto di riferimento, forte e deciso, che indica una direzione. Sarà forse cielo illuminato dalla luna e dalle stelle, sarà anche eco della voce del Divino Pellegrino che non smette mai di camminarci accanto. Il segno forte e deciso di un cercatore di senso come il Vangelo ci rende attenti a tutti i passaggi di vita, ci ricorda la passione per ogni condizione umana, ci avverte della possibilità che ci è data di liberare la dimensione più profonda e spirituale. Buona strada, buon cammino. don Raffaele 3


parrocchie e diocesi in cammino - parrocchie e diocesi in cammino - parrocchie e diocesi in ca

Il mese di ottobre la Chiesa lo dedica alla Missione, in vista della 85esima Giornata missionaria mondiale che si celebra domenica 23 ottobre. Il tema scelto è: “Testimoni di Dio”. La riflessione che segue è un aiuto perché non resti solo uno slogan.

UOMINI E DONNE

CHE VIVONO PER SEMPRE

An

Nel Vangelo, il Figlio rende testimonianza al Padre, e questo è assai noto. Forse meno conosciuto è il fatto che anche il Padre rende testimonianza al Figlio. In due punti strategici del suo racconto - all’inizio e nello snodo decisivo a metà - l’evangelista Marco fa risuonare prima dal ciclo che si apre sopra il battesimo di Gesù, e poi da dentro una nube che è scesa sul monte della trasfigurazione, queste parole: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento» (Marco 1,11); «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!» (Marco 9,7). In entrambi i casi la voce dice l’amore per il Figlio. La prima volta rivolgendosi al Figlio, la seconda ai suoi discepoli; nel primo testo scendendo dal ciclo squarciato, nel secondo uscendo da una nube, cioè da un pezzo di ciclo sceso sulla cima di un monte fino a toccare la terra... Queste due testimonianze che il I Missionari Comboniani di Brescia Padre rende al in collaborazione con il Centro Missionario Diocesano promuovono Figlio tracciano un cammiOLTR L’uTOp E discendente, iA no per-cor che si incarna, e s di spera i nza trovano il loro compimento alla fine (altro luogo Giovedì 22 SETTEMBRE assolutamente Oltre le ingiustizie per la legalità simbolico delGiovedì 13 OTTOBRE la narrazione) Scontrandoci con le emarginazioni nell’esclamazione del centurione sotto la croGiovedì 10 nOVEMBRE ce, il quale visto Accogliendo il diverso Gesù morire in Giovedì 15 diCEMBRE quel modo disAperti alla solidarietà se: «Davvero quest’uomo era Giovedì 12 GEnnAiO Figlio di Dio!» per una cultura di pace e non violenta (Marco 15,39). Il centurione Giovedì 9 FEBBRAiO disposti a lasciarsi educare ha visto morire Gesù come un Figlio che confida nel Padre, e Giovedì 8 MARzO Capaci di comunicare valori gli rende testimonianza. Pur Giovedì 12 ApRiLE essendo romano E… metterci in discussione e pagano riconosce la presenza di Gli incontri si terranno presso la Casa Comboni Dio nella morte Viale Venezia, 116 - Brescia - alle ore 20.30 di questo uomo e attesta che proprio lì ha capito no

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dOn LuiGi CiOTTi Fondatore del Gruppo Abele

p. KiziTO Comboniano fondatore di Koinonia Community Shalom House

BRunETTO SALVARAni Direttore CEM Mondialità

dOn ViniCiO ALBAnESi Presidente Comunità di Capodarco

FLAViO LOTTi Coordinatore della Tavola della Pace

ESOh ELAMè Docente universitario, Università Cà Foscari di Venezia, Direttore del LEDI (laboratorio di studi postcoloniali dell’intercultura e dello sviluppo sostenibile)

dOn pAOLO BOSChini Parroco a Modena e docente universitario

Per la partecipazione è gradita l’iscrizione compilando il modulo sul sito www.cmdbrescia.it o per e-mail: info@cmdbrescia.it. La quota di 15 € per le spese organizzative si può versare al primo incontro. Ai partecipanti che ne faranno richiesta verrà rilasciato, nell’ultima serata, un attestato di partecipazione. Per informazioni: P. Enea Mauri, tel. 030.37.60.245.

GAM - Rudiano (Bs)

ERnESTO OLiVERO Fondatore Sermig Arsenale della Pace

la paternità di Dio e la fraternità universale di tutti gli uomini. Perciò il ciclo che ha parlato due volte alla fine del racconto può tacere, perché ormai da quel venerdì santo nel quale il Figlio si è donato per amore la voce che riconoscerà la figliolanza divina del Nazareno sarà umana, una voce che appartiene alla terra. Nel Vangelo il linguaggio della testimonianza esprime dunque l’amore, e questo è un primo grande elemento di riflessione: solo chi riconosce di essere amato da Dio, e si impegna a ricambiare questo amore, conosce il Signore e può essere in verità suo testimone; e d’altra parte, solo Dio può accreditare i suoi testimoni, attestando a sua volta che essi, amandolo, lo conoscono davvero poiché a loro egli si dona in pienezza. Se stiamo, dunque, al testo del Vangelo non dovrebbero esserci dubbi: siamo stati scelti per amore al fine di continuare nella storia la testimonianza che Gesù ha reso al Padre. ‘Testimoni di Dio’ dice allora l’identità dei cristiani e il centro della missione che è loro affidata. Tuttavia ‘testimone’ è il nome di una relazione, dove colui che si rende disponibile a testimoniare sa di essere chiamato a mettere in primo piano non se stesso bensì colui che testimonia. Insomma nella frase Testimoni di Dio’ l’accento deve cadere su Dio, non sul testimone. È questo che caratterizza il testimone cristiano in quanto la sua parola e la sua esistenza rimanda ad un Altro. E qui siamo richiamati a un secondo elemento di riflessione: la nostra testimonianza vuole attirare l’attenzione su di noi, cioè prima di tutto e soprattutto sulla Chiesa, oppure su Dio? Anche quando il testimone fosse chiamato a imprese grandiose, la sua testimonianza resterebbe un rimando al suo Maestro e Signore. Altrimenti non sarebbe testimonianza cristiana. Ma se la testimonianza è un rimando al volto di Dio, quale volto la missione cristiana deve testimoniare al mondo? Senz’altro il volto di un Padre, che per amore si fa povero, servo, umile, paziente e misericordioso. Immensamente, incomprensibilmente, meravigliosamente misericordioso. I testimoni di questo Padre non potranno che riconoscersi figli nel Figlio Gesù, grati di essere stati accolti senza merito e impegnati ad annunciare a tutti la fraternità universale alla quale siamo da sempre destinati. E se per questo annuncio di amore dovessimo essere odiati e alla fine perfino uccisi, rinunceremo a qualsiasi vendetta morendo con parole di perdono sulle labbra, quelle stesse imparate da Gesù nel momento del suo dono supremo: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno» (Luca 23,34). 4


ammino - parrocchie e diocesi in cammino - parrocchie e diocesi in cammino - parrocchie

COMUNITÀ IN CAMMINO DALL’INCONTRO CONSIGLIO UNITA’PASTORALE E ANIMATORI PASTORALI All’inizio del nuovo anno pastorale 2011/2012 l’incontro del Cosniglio Unità Pastorale e dell’assemblea degli animatori pastorali sono state evidenziate le attenzioni che seguono. La prima attenzione è seguire il programma pastorale diocesano evidenziato nel tema “Comunità in cammino”. E’ il programma che le parrocchie della diocesi mettono in atto in prepa-

razione al “SINODO diocesano sulle Unità Pastorali”. “Educare alla vita buona del Vangelo” è l’indicazione dei nostri Vescovi per gli anni 2011-2020. La seconda attenzione è, quindi, presa di coscienza della difficoltà del coinvolgimento del mondo giovanile nel campo della fede; una crisi che riflette l’incapacità del mondo degli adulti nel vivere e trasmettere alle nuove generazioni i contenuti della fede cristiana. Questo ci deve spronare a rendere più mature la nostre convinzioni e a sfrondare di tutto quanto non serve per far risaltare meglio il dono della fede.

- FORMAZIONE. Nelle varie iniziative che andremo attuando, dando priorità all’ANNUNCIO del vangelo, l’impegno nel CAMMINO di FORMAZIONE, in particolare per tutti gli “animatori pastorali o operatori pastorali” cioè tutti quanti svolgono un servizio in parrocchia (oratorio - e non solo - compreso perché parte di essa). Gli incontri di formazione sono una opportunità per tutti gli animatori pastorali come segno di primo esempio per le parrocchie di testimonianza di cammino fatto insieme. I contenuti, oltre al seguire l’itinerario liturgico comunitario, perché ognuno di noi è inserito in questo cammino, saranno quelli indicati dalla traccia preparata dalla diocesi in preparazione al Sinodo diocesano. Tale traccia verrà usata - con opportune modifiche – anche per i Centri di Ascolto di Avvento e Quaresima per la comunità intera. I centri di ascolto devono sempre avere un’attenzione particolare da parte di tutti gli animatori parrocchiali. Inoltre seguendo il cammino “oratoriano” alcuni degli incontri verteranno sull’aspetto educativo delle nostre realtà. L’ultimo mercoledì del mese di gennaio verrà a parlare il nostro Vescovo sul tema dell’educazione in riferimento al decennioindicato dalla CEI “Educare alla vita buona del Vangelo”.

UNITA’ PASTORALE “S.ARCANGELO TADINI” PARROCCHIE DI BOTTICINO

ORARI S.MESSE Festive del sabato e vigilia festivita’ SERA CASA RIPOSO ore 16,15 SERA VILLAGGIO ore 17,00 MATTINA PARROCCHIALE ore 17,30 SAN GALLO PARROCCHIALE ore 18,45 SERA PARROCCHIALE ore 20,00 Festive della domenica e festivita’ SERA PARROCCHIALE ore 8,00 MATTINA SAN NICOLA ore 8,30 SERA PARROCCHIALE ore 9,30 SAN GALLO PARROCCHIALE ore 10,00 SERA PARROCCHIALE ore 11,00 MATTINA PARROCCHIALE ore 11,00 MATTINA PARROCCHIALE ore 17,30 SERA PARROCCHIALE ore 18,45

LUNEDI’

CASA RIPOSO ore 17,00 MATTINA PARROCCHIALE ore 18,00 SERA PARROCCHIALE ore 20,00

MARTEDI’

MATTINA SAN NICOLA ore 8,30 SAN GALLO PARROCCHIALE ore 17,30 SERA PARROCCHIALE ore 17,30

MERCOLEDI’

SERA S.MICHELE ore 8,30 MATTINA MOLVINA ore 17,00 SAN GALLO PARROCCHIALE ore 17,30 SERA PARROCCHIALE ore 18,30

GIOVEDI’

-Mancanza di ANIMATORI negli ORATORI.

Le nostre strutture stanno perdendo sempre più la loro capacità di attrazione. Da tempo non sono più punto di riferimento del mondo giovanile e risultano sempre più avulsi dal contesto circostante. Per rianimarli, oltre a una attenzione da parte della comunità adulta, è necessario che questi luoghi siano presidiati da personale appositamente preparato per l’animazione e l’accoglienza. Verrà stimolata e favorita la partecipazione di alcuni giovani per ora5

SERA VILLAGGIO ore 8,30 SAN GALLO PARROCCHIALE ore 17,30 MATTINA S.NICOLA ore 18,00 SERA PARROCCHIALE ore 20,00

VENERDI’

SAN GALLO TRINITA’ ore 17,30 MATTINA PARROCCHIALE ore 18,00 SERA PARROCCHIALE ore 18,30


parrocchie e diocesi in cammino - parrocchie e diocesi in cammino - parrocchie e diocesi torio, predisposti a questo compito, al corso di formazione presso il Centro Oratori diocesano. “Metti in circolo i giovani”. E’ un progetto di intervento di qualità che le Parrocchie e le Acli locali stanno definendo e scrivendo con la Cooperativa “La Nuvola nel sacco”, cooperativa impegnata da 25 anni nel campo educativo, per l’animazione all’interno dei nostri oratori di Botticino. Gli educatori si porranno quale sostegno nell’animazione, nella formazione e insieme alle Acli promuoveranno anche un indirizzo sociale.

- Famiglie prima e dopo il Battesimo dei figli.

Già da alcuni anni la preparazione dei genitori che chiedono il battesimo del proprio figlio consiste in due incontri insieme con il parroco e altri due con persone nelle rispettive famiglie. Gli incontri sono espressamente sull’annuncio del Vangelo, apprezzati dai genitori che hanno chiesto la possibilità di continuare anche dopo il Sacramento. A tale proposito verrà loro proposto un incontro mensile sulle tematiche “la famiglia: il lavoro e la festa” in preparazione all’incontro mondiale delle famiglie che si terrà a Milano dal 30 maggio al 3 giugno 2012.

- Strutture parrocchiali

Qui dobbiamo esaminare qual’è l’uso più razionale delle nostre strutture parrocchiali in funzione dei bisogni dell’Unità Pastorale e non delle singole parrocchie. In sostanza si tratta di individuare quali ambienti sono più funzionali rispetto ad altri per assolvere alle necessità di formazione e di aggregazione che coinvolgono tutta l’Unità Pastorale. In particolare va tenuto in considerazione la necessità di luoghi adatti e sufficenti per gli incontri di Iniziazione Cristiana che coinvolgono bambini e genitori in parecchie domeniche. In merito alle singole strutture le prospettive indicate: Oratorio di Sera Nonostante l’Oratorio di Sera sia una costruzione ‘enorme’ necessità di stanze per gli incontri, in quanto quelle esistenti sono insufficenti (6 stanze al primo piano dell’edificio ‘vecchio’ e quelle ricavate sotto il campo sportivo sono mancanti di luce e ‘aria’. C’è la disponibilità di un finanziamento da parte della CEI (8x1000) per tale intervento che potrà essere realizzato se ci sarà la completa copertura finanziaria. Inoltre c’è una riflessione sull’utilizzo della parte interrata sotto il campo sportivo. Oratorio di Mattina L’oratorio di Mattina è ben servito per quanto riguarda le stanze per gli incontri; necessità di almeno due stanze ampie per incontri con più persone. (gruppo genitori e bambini ICFR). C’è la necessità di una sistemazione e messa a norma dell’ampia zona ricreativa esterna e degli spogliatoi. Visto l’ampiezza, tale zona potrebbe diventare il luogo attrezzato per l’attività ricreativa e sportiva per le tre parrocchie di Botticino. Oratorio San Gallo Si evidenzia la necessità si intervenire per la messa in sicurezza della chiesa parrochiale per i danni del terremoto del 2004, della parete a confine con la strada che porta al cimitero per la presenza di infiltrazioni d’acqua, e rifacimento necessario del tetto dell’oratorio. Energia pulita. Da più parti la sollecitazione di interventi nella direzione di energie alternative e pulite. Interveniniamo quindi con la collocazione di pannelli fotovoltaici sul tetto dei nostri oratori. Per quanto riguarda Sera e San Gallo tutto è gà stato autorizzato e coperto dal punto di vista finanziario. Per quanto riguarda Botticino Mattina i pannelli verrebbero collocati in parte sul tetto della canonica (che ha bisogno di intervento) e in parte sul tetto dell’oratorio, siamo in attesa di autorizzazione in quanto edificio con vincoli.

- Anno Giubilare maggio 2001-maggio 2012

Come da calendario continuano gli incontri organizzati dalla Diocesi e dalla Zona pastorale. Viene proposto l’incontro di preghiera di adorazione Eucaristica tutti i martedì sera con questo programma: alle ore 17,30 la S.Messa in Basilica-Santuario, segue esposizione e adorazione personale fino alle ore 22,00. Dalle ore 20,30 alle 21,00 adorazione guidata. Inoltre viene stilato un calendario di celebrazione giubilari per varie categorie di persone. Le comunità di Botticino vengono invitate a porre attenzione agli eventi di grazia per la Professione Perpetua di sr.Erika Perini (8 ottobre 2011) e per l’ Ordinazione diaconale di Isidoro Apostoli, con iniziative specifiche. 6


basilica s.maria assunta santuario s.arcangelo tadini

anno giubilare 20 maggio 2011 / 21 maggio 2012

Continuano gli incontri e le inziative in questo anno giubilare che ricorsano i 100 anni della morte di S.Arcangelo Tadini. Gruppi, famiglie e perone si trovano in Santuario per la preghiera e per interedere il Santo. Significativa l’esperienza di circa 4000 ragazzi, provenienti dai grest delle parrocchie della diocesi,che durante l’estate hanno trascorso a Botticino una giornata in compagnia di S.Arcangelo, conoscendo e amando questa figura di santo sacerdote; hanno visto un video apreparto appositamente per loro, imparato un inno sul Santo, giocato e partecipato ai laboratori utilizzando il marmo di Botticino animati dai nostri giovani appositamente preparati. Oltre a gruppi parrocchiali sono in programma iniziative diocesane e zonali:

Incontri e celebrazioni diocesane:

venerdì 28 ottobre INSEGNANTI RELIGIONE venerdì 16 dicembre PENITENZIALE PER GIOVANI con il Vescovo domenica 15 gennaio incontro GRUPPI VOCAZIONALI SICAR e EMMAUS fine gennaio incontro EDUCATORI ORATORIO mercoledì 18 aprile ANIMATORI VOCAZIONALI fine aprile INCONTRO SACERDOTI DELLA DIOESI 1 maggio SEMINRIO DIOCESANO 1 maggio PELLEGRINAGGIO FAMIGLIE DIOCESI 4 maggio VEGLIA DIOCESANA VOCAZIONI con il Vescovo sabato 16 giugno SANTIFICAZIONE DEL CLERO con il Vescovo

i martedì di spiritualità per i giovani della zona altre clebrazioni

Incontri e celebrazioni zonali:

Incontri e celebrazioni parrocchie di Botticino:

- ogni martedì sera a partire da martedì 18 ottobre ore 17,30 S.Messa, segue esposizione e Adorazione Eucaristica fino alle ore 22,00 (dalle ore 20,30 alle ore 21,00 preghiera guidata) - primo martedì del mese in preghiera con il gruppo famiglie Tadini - ultimo martedì del mese particolare preghiera di intercessione alle ore 20,30 secondo le intenzioni seguenti:

SOLO L ‘AMORE CONOSCE ADOLESCENZA IL NIDO NELLE MANI DEL SIGNORE FIDANZAMENTO LAVORATORI SENZA LAVORO DISOCCUPAZIONE E CRISI FAMIGLIA NEL CUORE DELLA VITA FRAGILITA’ E SEPARAZIONI STAGIONE DI ESPERIENZA E DI SAGGEZZA NONNI SITUAZIONE GIOVANI GIOVANI LA FESTA:BELLEZZA CONDIVISA SOGNI E SPERANZE I CAMPI DELLA VITA SONO ARIDI ANZIANI E SOLIDARIETA NUOVI STILI DI VITA PER COSTRUIRE LA COMUNITA’ CRISTIANA COMUNIONE E MINISTERI

- CELEBRAZIONI GIUBILARI 22 novembre GIUBILEO DEI MUSICISTI E CANTORI 17 o 18 dicembre GIUBILEO SPORTIVI 11 febbraio GIUBILEO AMMALATI E OPERATORI SANITARI 19 marzo GIUBILEO MONDO DEL LAVORO 11-12 aprile GIUBILEO ADOLESCENTI-GIOVANI 29 aprile GIUBILEO ASS.VOLONTARIATO 1 maggio GIUBILEO DELLE FAMIGLIE In data da definire: GIUBILEO ANIMATORI PASTORALE -VEDOVE- ANZIANI- MAMME .... 7


L’ANNO LITURGICO RISCOPERTO IN FAMIGLIA- Il mondo che verrà - Memoria dei defunti e comunione dei santi. -

Le feste della fede. L’anno liturgico riscoperto in famiglia

ILMONDOCHEVERRÀ

Kiefer Memoria dei defunti eAnselm comunione dei santi I sette palazzi celesti, 2004 Milano, Hangar Bicocca

UN PAESAGGIO ULTRATERRENO

SCOMMESSA SULLA VITA

L’arte contemporanea ha perso quasi del tutto interesse a rappresentare qualcosa. Pensando di fare di più, preferisce far vivere delle esperienze. Come accade con questa installazione permanente presso l’Hangar Bicocca di Milano. In questa opera monumentale Kiefer traduce, nei termini di uno scenario post atomico, antichi temi della mistica ebraica legati all’ascensione dello spirito umano attraverso i sette livelli della spiritualità. Non bisogna dunque lasciarsi trarre in inganno. Questo ambiente deserto e silenzioso sembra parlare di un passato cancellato dalla distruzione. In realtà esso evoca la dimensione di un destino dell’anima che non può avere reale rappresentazione in questo mondo. Questi sette palazzi celesti, costruiti molto creativamente accatastando container da cantiere prefabbricati, danno vita a un paesaggio ultraterreno, sospeso, atemporale. Il cammino spirituale della ricerca umana, rielaborato da Kiefer a partire dalla cultura ebraica della Cabbala, invoca per sua stessa natura l’approdo alle sponde reali di un altrove. Naturalmente qui non si trova il tema confessionale dell’escatologia cristiana. Tuttavia si esprime un sentimento di attesa del definitivo che può stare in sincera fraternità con l’aspettativa cristiana del mondo che verrà.

Che cosa ci propone? Possiamo partire da un’esperienza a noi familiare, quella del viaggio. La prima cosa che precisiamo bene è quella della meta. Ci chiediamo: Dove arriveremo? Dopo aver risposto a questo interrogativo si possono stabilire le tappe, i mezzi, le modalità. La storia è come un viaggio. È opportuno chiedersi: Verso che cosa si muove? Espressa in termini antitetici la domanda può avere questi aspetti. Alla fine c’è… • la vita o la morte? • la realizzazione o il fallimento • la comunione o la solitudine? • l’approdo ad un porto o il naufragio? Le risposte della fede ci vengono offerte da 3 feste: • la solennità di Cristo Re. Chiude l’anno liturgico. È il terminale di un cammino di 33 o 34 domeniche; • la solennità di Tutti i Santi. È a data fissa. Viene celebrata sempre il 1º novembre; • la commemorazione di tutti i fedeli defunti. Ricorre sempre il 2 novembre. Porta con sé una ricca ritualità: Messe per i defunti, visite ai cimiteri… Tutte e 3 queste ricorrenze lasciano nel nostro immaginario e nel nostro cuore queste immagini per rappresentare l’al di là: • il giardino di Dio, il paradiso (Lc 23,43); • l’assemblea festosa dei popoli davanti all’Agnello (Ap 7,2-24); • l’incontro con il Signore faccia a faccia (1 Gv 3,1-2); • un banchetto per tutti i popoli, l’eliminazione della morte (Is 25,6-9).Queste 3 ricorrenze sono quindi una scommessa sulla vita. 8


- L’ANNO LITURGICO RISCOPERTO IN FAMIGLIA- Il mondo che verrà - Memoria dei defunti e comunione dei santi.

Gesù, senso ultimo della storia La Solennità di Cristo Re pone il sigillo sull’anno liturgico. Indica anche l’epilogo, l’adempimento. Mostra le realtà che stanno oltre il tempo L’anno liturgico si conclude con la celebrazione di Cristo Re dell’universo. Come si sa, l’istituzione di questa festa ha delle origini piuttosto recenti. Venne difatti istituita da Pio XI nel 1925 come segno del primato cristiano nel difficile contesto culturale del primo novecento. Questa connotazione polemica impressa all’istituzione della solennità di Cristo Re è stata riassorbita legando la sua celebrazione ai temi escatologici che i testi delle ultime domeniche dell’anno tornano a proporre. Cristo viene celebrato come il senso ultimo della storia. Il percorso liturgico, che in Avvento si apriva nel segno dell’attesa, torna alla fine a mettere la vita cristiana sotto il segno di una prospettiva di compimento che non appartiene alla storia, ma che è sospesa al tempo che sta oltre di essa. La lingua cristiana chiama quella dimensione del tempo che sta oltre la storia parousia, vale a dire ritorno, tempo della definitiva presenza del Signore Gesù Risorto, destinata a ricevere l’intera creazione nel grembo della vita divina. La Signoria di Cristo significherà la messa in salvo di tutto quanto è secondo il sogno di Dio per la sua creazione. Il criterio di questa salvaguardia ultima dell’essere, secondo la splendida parola di Matteo 25, 31-46, sarà il comandamento originario della cura, per il cui discernimento non saranno assolutamente decisive logiche di appartenenza religiosa. Non servirà essere stati molto religiosi. Bisognerà essere stati sufficientemente uomini. La Chiesa protesa oltre il tempo Così concepita, la solennità di Cristo Re chiude l’anno liturgico come sigillo di un epilogo la cui parentesi di apertura possono essere considerate la Festa di Tutti i Santi e la Commemorazione dei Defunti. Il tema escatologico della vita cristiana trova difatti in queste due feste contigue un’applicazione ecclesiale diretta. Il loro senso è testimoniare nella forza del segno il reale prolungamento della comunione ecclesiale oltre i confini della composizione terrena della Chiesa. La Chiesa del Signore fin da ora è protesa verso il tempo che sta oltre la storia in virtù di coloro che hanno già oltrepassato la misteriosa linea di confine del tempo. La liturgia celebra precisamente la sorte dei molti che nella Chiesa sono già nello spazio del destino promesso. La forma di questa celebrazione è duplice. Da un lato la Commemorazione dei Defunti celebra il senso cristiano del morire congiungendolo all’affettuosa memoria dei Defunti. Dall’altro l’attesa del mondo che deve venire si alimenta dell’onore dovuto a discepoli la cui eccellenza testimoniale li ha trasformati in modelli di speranza cristiana. Ci sono ragioni storiche che spiegano la perfetta contiguità della commemorazione dei Defunti con la Festa di Tutti i Santi. Non è difficile da immaginare. Il senso cristiano della morte ha fin dall’inizio della storia ecclesiale raccomandato l’idea di una preghiera che considerasse i defunti in piena comunione con tutti i membri della Chiesa. È a partire da questa elementare e comune affezione per la Chiesa dei defunti che le figure eccellenti per testimonianza, specialmente nel caso dei martiri, vengono legate ad una forma di memoria particolarmente enfatizzata. L’onore dei santi nasce dal culto dei morti. La memoria dei Defunti Non è difficile capire come mai, anche nella vita cristiana, la memoria dei defunti costituisca il sentimento religioso probabilmente più sentito e più diffuso. Essa tocca lo «scandalo» essenziale della vita. Rappresenta l’innesco universale dell’interrogazione religiosa. Offre in

ogni caso la «procedura simbolica» necessaria ad elaborare il trauma della morte. La paleontologia del resto ci insegna, con dovizia di documenti archeologici talvolta persino struggenti, come il rito stesso sia nato per gestire simbolicamente la morte. Nella cura dei defunti troviamo uno degli elementi originali dell’umanizzazione. Si capisce che l’uomo è nato quando comincia a seppellire i morti. Si può dunque capire come mai, attorno alla memoria dei defunti, accumuli un sentire così potente. Non si dovrebbe sentenziare sul fenomeno con troppa leggerezza. L’intenzione cristiana della memoria dovuta ai defunti sta naturalmente sullo sfondo della speranza pasquale. In questo senso il Cristianesimo, lungo la sua parabola storica, ha saputo anche modificare profondamente il senso dell’uomo per la morte. La cultura dell’inumazione, vale a dire l’abitudine di seppellire il corpo dei defunti, in sostituzione delle pratiche antiche della cremazione, deve al cristianesimo e al principio base dell’incarnazione la sua generale diffusione. La ragione di fondo della memoria cristiana dei defunti è dunque la resurrezione della carne. Lo sforzo della pratica liturgica è quello di muoversi sempre in tensione fra questa profonda memoria arcaica del culto per i morti e la sua iscrizione all’interno della promessa evangelica della Pasqua. La cura pastorale si muove costantemente su questo insidioso terreno di discernimento. Spesso in effetti, specialmente oggi, persino il credente attraversa l’esperienza della morte con uno sgomento disarmato, in ogni caso senza assumere quell’esperienza come forma della fede. La commemorazione dei defunti perciò, specialmente nella nostra cultura secolare, rappresenta insieme il banco di prova delle inquietudini dell’uomo contemporaneo e l’esercizio simbolico del loro possibile riscatto. Nel «giorno dei morti» i cimiteri si riempiono. Per molta gente è l’unica occasione di ascolto di una parola cristiana sulla morte. Per qualcuno è l’unica oc- La Solennità di Cristo Re pone casione di ascolto di il sigillo sull’anno liturgico. una parola cristiana, Indica anche l’epilogo, semplicemente. La rel’adempimento. sponsabilità ecclesiale Mostra le realtà che stanno su questo è enorme. oltre il tempo. La retorica dottrinalistica non incanta più l’uomo che accetta di farsi domande appena un poco profonde. La parola cristiana deve in questi casi diventare umile. Non precipitarsi a proporre annunci di al di là retorici. Accettare la fatica di sostare sull’inquietudine dell’uomo che si interroga. Saprà conquistarsi forse l’autorevolezza a infondere quella fiammella di fede sufficiente a rendere meno tenebroso il transito indecifrabile del morire e condurre anche gli sguardi più confusi verso le parole promettenti di Gesù. Non è che abbiamo molto di più. Ma neanche molto di meno. 9


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UN CADAVERE CHE NAVIGA NEL NULLA

Anselm Kiefer Falling stars, 1995

Anselm Kiefer è una delle più note figure nel mondo dell’arte contemporanea. La ricerca contemporanea di forme espressive non tradizionali non gli impedisce di frequentare con assiduità temi legati all’umanesimo spirituale della nostra storia. Questo dipinto è chiaramente una meditazione sulla morte, condotta attraverso richiami stilistici legati alla tradizione romantica della pittura, quella che accosta la grande potenza simbolica della natura alla fragile misura della figura umana. Il corpo di un uomo giace inanimato sopra una crosta terrestre arida e senza vita. Esso appare inequivocabilmente come un

Comunione dei santi I santi non sono “numi tutelari”. Sono discepoli autentici di Cristo. Hanno scommesso tutto sulla validità delle beatitudini.

cadavere che naviga nel nulla. Più di un indizio evoca, in quel corpo, la straziante vicenda dello sterminio ebraico durante la seconda guerra mondiale. Questa immobile icona di morte volge il suo sguardo ormai chiuso verso lo sfondo silente di un cielo stellato. La sproporzione fra il dato inerme della morte e l’incanto oggettivo del firmamento rinnova il sentimento di enigmi umani inestirpabili. Un raggio luminoso lampeggia obliquo nel dipinto, come a scongiurare un senso di definitivo abbandono. Ancora quest’uomo privo di vita rimane in qualche modo legato alle stelle.

I Santi sono tutti morti. Non è una battuta. Si potrebbe dire che la festa di Tutti i Santi è in fondo una commemorazione dei defunti considerata sotto un altro punto di vista. Il cono visuale da cui si osserva la celebrazione dei Santi è quello della vocazione ultima della vita cristiana. Essa parla di ciò che il cristiano è chiamato a essere. Su questo la storia ha poi generato le sue accentuazioni prestazionistiche, le sue saghe, le sue epopee, le sue retoriche, persino le sue invenzioni. Si sa che il culto dei santi ha sostituito la varietà del politeismo pagano. Ma il rivestimento del processo storico non cancella nulla del processo originario. Nella lingua di San Paolo, come si sa, «santo» è il nome con cui viene chiamato ogni credente. Il battesimo difatti rende santi. Lega alla santità del Dio di Gesù. Siamo santi non solo come Lui è santo, ma soprattutto perché Lui è santo. È da questa radice battesimale che sorge il principio di una comunione di tutti i santi, che significa la prefigurazione della comunione universale dell’umanità nella vita divina.

Numi tutelari o discepoli?

La liturgia, come si sa dalla sua storia, è stata anche molto colonizzata dal fascino letterario e dalla potenza folkloristica della vita dei santi. In realtà la loro presenza era quella surrettizia di antichi numi tutelari che aveva eroso lo spazio ordinario di un cammino liturgico dettato dalla sequela Christi. La riforma conciliare della liturgia ha molto ripulito l’anno liturgico di questo ingombro. Alla fine questa scelta è andata a vantaggio dei Santi. Ha contribuito a rimettere in primo piano il senso preciso e cristiano della loro memorabilità.

Lo splendore delle beatitudini

Il testo evangelico che impreziosisce la liturgia della Solennità di Tutti i Santi è su questo decisamente eloquente e spiritualmente definitivo. Il senso della santità viene difatti letto attraverso lo splendore letterario delle beatitudini. In esse Gesù si presenta come il Mosè della nuova alleanza, impegnato a consegnare, stavolta con le sue stesse parole e mediante la sua stessa autorità, una nuova legge, in cui non si dice più che cosa bisogna fare e che cosa non bisogna 10


- L’ANNO LITURGICO RISCOPERTO IN FAMIGLIA- Il mondo che verrà - Memoria dei defunti e comunione dei santi. fare, ma come bisogna essere. In questo nuovo decalogo, Gesù si rivolge a tutti coloro che hanno scelto di vivere in modo mite, cercando la pace, affamati di giustizia, fedeli alla povertà, privi di malizia. Si rivolge a loro sapendo che il loro modo di vivere non dà lo stesso immediato risultato che ottengono coloro che invece hanno scelto di vivere con scaltrezza, nell’astuzia, mediante l’abilità di portare la legge vicino ai propri interessi, costantemente impegnati nella competizione e nell’antagonismo. Gesù sa che i primi sono nella tentazione di pentirsi. Di sentirsi ingenui nel vivere da giusti. Di convincersi che forse hanno ragione gli scaltri. Ma a loro Gesù dice che sono beati. Non li prende in giro, naturalmente. Li incoraggia. Li invita a tenere duro. A non pentirsi di aver scelto la strada più difficile. Perché in fondo è anche la più umana, quella che corrisponde al sogno che Dio ha sull’uomo. Santi sono questi. Quelli che scommettono su una verifica ultima della dignità di un impegno. Questa scommessa richiede la fede, ovviamente. Significa stare nelle parole date da Gesù, non tanto sul colpo di teatro paranormale di un al di là verso cui proiettare ambigui sogni di rivincita, quanto piuttosto sullo stile mediante il quale un uomo conserva se stesso anche se perde tutto l’oro del mondo. Fino al punto di apprendere l’arte di provare fin d’ora la gioia profonda della vita evangelica. Lasciando agli stolti e agli increduli le loro illusioni. La celebrazione cristiana del Santo prescinde dunque dall’eroismo, dal paranormale, dall’effetto speciale. Mette al centro un atto di fede che si spinge lontano. Verso il mondo che verrà.

I santi non sono “numi tutelari”. Sono discepoli autentici di Cristo. Hanno scommesso tutto sulla validità delle beatitudini.

creativa-mente per attivarsi in famiglia genitori e figli

QUANDO IL SOGNO DI DIO DIVENTA REALTÀ 1. Apriamo gli occhi

Ognuno di noi ha il ricordo di persone care che ora non ci sono più. In famiglia si possono cercare le loro foto. Ci chiediamo: •Che cosa succede dopo la morte? •Perché in cimitero accendiamo un lume e mettiamo un fiore? •Osserviamo la prima immagine di Anselm Kiefer I sette palazzi celesti. Ci sono edifici che vanno verso l’alto: che impressione ci fanno? Che cosa ci richiamano? •Coloro che ci hanno lasciato vivono con Dio. I santi sono molti di più di quelli del calendario. •Per ricordarne alcuni osserviamo: - il calendario appeso al muro, con i nomi dei vari santi; - il rito del compleanno. 2. Apriamo le orecchie ed il cuore

Tutta la storia va verso il compimento. C’è una festa che ce lo ricorda: è la Solennità di Cristo Re. I defunti che ci hanno lasciato sono già con Lui e così i santi. Durante la liturgia della Messa, al memento dei vivi e dei morti, li nominiamo. Come mai si chiamano per nome sia il papa e il vescovo sia i defunti? Poniamoci queste domande riguardo ai santi. Chi sono? • persone straordinarie senza difetti? • individui con capacità di operare miracoli? • protettori contro le malattie? Dallo scritto emerge che i santi sono: • uomini e donne come noi… • …inseriti nello splendore del Cristo mediante il Battesimo… • …che hanno scelto di seguire Gesù sino in fondo scommettendo sulla validità delle Beatitudini. Ora vivono felici. 3. Attiviamo il corpo • Disegniamo l’approdo della storia con le immagini di giardino di Dio o di festa o di banchetto, o di porto o di abbraccio gioioso. • Collochiamo le immagini dei santi sul cruscotto della macchina o sul comodino dei nostri figli. • Sul calendario appeso al muro segniamo, giorno dopo giorno, il nome del santo. • Componiamo una corona: poniamo Cristo al centro. Attorno, in forma di girotondo, collochiamo Maria, gli angeli, i santi. 11


DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II - DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II -

CONOSCIAMO i

I DOCUMENTI DEL VATICANO II ‘ALLA BREVE’ A 46-48 anni di distanza dalla pubblicazione dei documenti cel Concilio Vaticano II, si nota che a fatica si ricorda il numero complessivo (= 16) e i titoli, magari con il genere corrispondente (= 4 Costituzioni, 9 Decreti, 3 Dichiarazioni); c’è chi poi, sentendo qualche titolo, pensa che si tratti di encicliche

papali. Tutto ciò è un’ulteriore prova, tra le tante che si potrebbero addurre, che ci stiamo dimenticando del Concilio, anche da parte di quelli che l’hanno vissuto. Come ovviare a questo reale pericolo? La prima difficoltà cui bisogna ovviare è quella di perdersi nel mare di documenti applicativi e di commenti apparsi sul tema in questi decenni, da quelli dei XII Sinodi (ne costituiscono il commento e l’attuazione ufficiali) a quelli dei tanti autori che hanno trattato tematiche conciliari (un numero davvero impressionante di opere e di articoli). Il fatto di concentrarsi sul nucleo essenziale dei documenti conciliari avvantaggerebbe notevolmente sia coloro che danno un’eventuale catechesi conciliare, sia quelli interessati allo stesso tema, perché è indubbiamente di grande utilità farsi un’idea riassuntiva del Concilio. La seconda difficoltà deriva dalla prima: nel concentrare i testi sull’essenziale, si corre il rischio dell’interpretazione arbitraria e personale, da mettere in preventivo come male necessario per questo lavoro. Comunque, si devono evitare del tutto le due deviazioni postconciliari opposte: quella di destra, che si propone col rispetto alla ‘tradizione’ il ritorno al Vaticano I e a Trento, rappresentata da mons. Marcel Lefèvre e dal suo movimento polimorfico; e quella di sinistra, che ci propone con la lettura ‘spirituale’ un fantomatico quanto inesistente Vaticano III, rappresentata dal prof. Hans Küng e dalla ‘scuola di Bologna’. Tali deformazioni ermeneutiche sono inconciliabili con la lettura oggettiva dei testi conciliari. Nella nostra presentazione dei testi ci limiteremo principalmente alle 4 Costituzioni, nel commento alle quali menzioneremo di passaggio i 9 Decreti e le 3 Dichiarazioni, che si potranno prendere come oggetto diretto di considerazione poi nei casi specifici. Difatti, le 4 Costituzioni rappresentano indubbiamente la ‘carta costituzionale’ del Concilio e ne svolgono gli snodi fondamentali: appartengono, in poche parole, all’essenza del messaggio conciliare. Tuttavia, c’è un’altra ragione che ne mette in risalto l’importanza: esse rappresentano il punto d’arrivo dei profondi ‘movimenti’ che hanno caratterizzato il mondo cattolico nella seconda metà dell’Ottocento e nella prima metà del Novecento, ed è opportuna una fugace menzione in proposito. Il movimento liturgico, iniziatosi dapprima in area franco-fiammingo- tedesca e da qui propagatosi al restante mondo cattolico con il Motu proprio ‘Tra le sollecitudini’ di Pio X (1903), ha visto riconosciute le sue migliori istanze nella Sacrosanctum Concilium (1963). Il mov. ecumenico è nato dapprima nel mondo anglicano e protestante (1908), per passare poi anche al mondo cattolico, dove ha contribuito alla visione ecclesiologica della Lumen gentium (1964). Il mov. biblico-patristiconeoscolastico è consistito nel ricupero delle autentiche fonti della fede, iniziatosi con l’umanesimo della modernità e richiesto da due encicliche di Leone XIII (Aeterni Patris [1879] e Providentissimus Deus [1893]), confluendo alla fine nei princìpi della Dei Verbum (1965). Il mov. cristianosociale, ufficializzato dalla Rerum novarum di Leone XIII (1891) e dalle encicliche sociali dei suoi successori, 12


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ha portato il Concilio ad affrontare la complessa problematica della Gaudium et spes (1965). Pur restando determinante per la convocazione del Concilio la decisione maturata da Giovanni XXIII agli inizi del suo pontificato, è indubbio che vari fattori in atto nella Chiesa da circa un secolo ne raccomandassero la celebrazione. Nel numeri precedenti di questo notiziario è stata presentata la Costituzione “Lumen Gentiun”. Ora è la volta della Costituzione sulla Liturgia. la “Sacrosantum Concilium” (SC). Nei prossimi verrà presentata la Dei Verbum (DV) sulla Parola di Dio e la Gaudium et Spes (GS) sulla presenza della Chiesa nel mondo. il concilio di Trento

I 16 DOCUMENTI CONCILIARI (in ordine cronologico)

Le 4 Costituzioni 1. Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium (SC) 2. “ dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium (LG) 3. “ dogmatica sulla Divina Rivelazione Dei Verbum (DV) 4. “ pastorale sulla Chiesa nel mondo contempo- raneo Gaudium et spes (GS) I 9 Decreti 1. Decreto sui Mezzi di Comunicazione sociale Inter mirifica (IM) 2. “ sulle Chiese Orientali Cattoliche Orientalium Ecclesiarum (OE) 3. “ sull’Ecumenismo Unitatis redintegratio (UR) 4. “ sull’Ufficio pastorale dei Vescovi Christus Dominus (CD) 5. “ sul rinnovamento della Vita Religiosa Perfectae Caritatis (PC) 6. “ sulla Formazione sacerdotale Optatam totius (OT) 7. “ sull’Apostolato dei Laici Apostolicam actuositatem (AA) 8. “ sull’Attività missionaria della Chiesa Ad Gentes (AG) 9. “ sul ministero e la vita dei Presbiteri Presbyterorum Ordinis (PO) Le 3 Dichiarazioni 1. Dichiarazione sull’Educazione cristiana Gravissimum educationis (GE) 2. “ sulle relazioni della Chiesa Cattolica con le Religioni non-cristiane Nostra aetate (NAe) 3. “ sulla Libertà religiosa Dignitatis humanae (DH)

La Costituzione sulla Sacra Liturgia SACROSANCTUM CONCILIUM (SC) 1°Il Proemio(1-4)illustralafinalitàdifondodellaCostituzione, La SC rappresenta il primo documento conciliare pubblicato che verrà ribadita una ventina di volte nel corso del documened è apparsa nel corso del secondo dei quattro ‘periodi’ in to (11.14.19.21.26.27.30.33.42.48.54.55.56.79.100.113cui il Concilio è stato celebrato (ciascuno di essi corrisponde 114.118.121.124): è quella di portare i fedeli a una piena, cosciente e attiva partecipazione alle celebrazioni suppergiù all’autunno delle annate 1962-65). Non si era ancora chiarita l’indole precisa dei do- liturgiche. Questo autentico ‘motivo ricorrente’ di tutta la cumenti da pubblicare, per cui essa risente dello stile della Costituzione rispecchia le intenzioni del vasto movimencostituzione all’inizio dei suoi 7 capitoli, mentre nel seguito to liturgico che ha preceduto per due o tre generazioni il di ciascuno di essi assume i caratteri dell’applicazione pra- Concilio. Qui si presuppongono parecchie delle varie novità tica, cioè del decreto. Tale stile ‘anfibio’ denota chiare dif- maturate poi in campo ecclesiologico ed ecumenico, che ferenze di contenuto, per cui ci porta a suddividere in due saranno introdotte dai vari documenti conciliari nei due parti la nostra esposizione: una si attiene ai princìpi fonda- anni seguenti; la SC le anticipa profeticamente e si limita a mentali della riforma liturgica, mentre un’altra ne deriva le riassumerle, quale presupposto a tutto il documento. varie disposizioni pratiche per l’applicazione concreta. 2° L’inizio del capitolo primo (5-13) è dedicato a enunciaA) I PRINCÌPI TEOLOGICI DELLA SC I princìpi della Costituzione liturgica si possono suddivide- re e a comprovare la visione cristocentrica della chiesa re in tre generi diversi, ed è bene considerarli in questo celebrante, in conformità con tutta la tradizione cattolica, modo, dal momento che il Vaticano II li enuncia a tre livelli che parte dai Padri e giunge fino a noi, avendo come culdifferenti, che noi riassumeremo in ordine decrescente di mini insuperati Giovanni Damasceno e Tommaso d’Aquino: importanza: generale, perché si rivolgono allo spirito pro- l’Umanità di Cristo, assunta dal Verbo nell’Incarnazione, è fondo della liturgia da riformare; sacramentale, perché van- divenuta lo ‘strumento congiunto’ dell’umana salvezza. La no al cuore delle celebrazioni liturgiche; e liturgico in senso nostra redenzione è avvenuta con il mistero pasquale di lato, dal momento che riguardano realtà che influiscono in Cristo, perché “dal costato di Cristo dormiente sulla croce è modo indiretto, prossimo o remoto, sulle azioni liturgiche. scaturito il mirabile sacramento di tutta la Chiesa” (5). Que13


DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II - DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II sta bella citazione agostiniana porta subito alla nozione di liturgia ecclesiale come “culto pubblico integrale, … opera di Cristo sacerdote e del suo corpo” (6-7). Da qui si conclude che la liturgia è “il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e, insieme, la fonte da cui promana tutta la sua virtù” (10), anche se l’azione ecclesiale implica la presenza in altri aspetti della vita. Da qui possiamo riconoscere l’alta stima in cui è tenuta la Liturgia dal Concilio. 3° L’inizio dei capitoli secondo (47-9) e terzo (59-61) enuncia gli essenziali presupposti di teologia sacramentaria riguardanti l’Eucarestia e gli altri Sei sacramenti rispettivamente. Il mistero eucaristico rappresenta il modello per eccellenza dei sacramenti: esso consiste nella ripresentazione del mistero di offerta-immolazione vissuto da Cristo, e quindi esige per la stessa ragione che chi vi partecipa, dal ministro al semplice fedele, assuma in sé l’atteggiamento di Cristo Mediatore. Soltanto in questo modo la partecipazione diventa ‘conscia, pia e attiva’ e il sacrificio della messa raggiunge la sua piena efficacia pastorale nella forma del rito. Lo stesso vale per gli altri ‘sacramenti della fede’, che conferiscono la grazia su intervento esplicito divino e portano frutto in proporzione all’effettiva partecipazione ecclesiale. Su quest’ultima esclusivamente e sull’istituzione da parte della Chiesa si fondano i sacramentali, che molto contribuiscono a ‘santificare le varie circostanze della vita’. La triplice finalità dei Sacramenti (santificazione degli uomini, edificazione del Corpo di Cristo e culto a Dio: 59) funge non soltanto da principio teologico, ma anche da verifica per la riforma concreta proposta nei due capitoli. 4° La parte iniziale dei capitoli quarto ((83-6) e quinto (1025) spiega il senso dell’Ufficio divino e dell’Anno liturgico, che si propongono la santificazione del tempo, rispettivamente del giorno e della notte, o delle stagioni dell’anno. Si parte dall’incarnazione di Cristo che ha introdotto in terra l’inno cantato a Dio nelle sedi celesti e che la Chiesa sin dai tempi apostolici eleva a Dio, ‘facendosi voce della sposa che parla allo sposo’: “l’Ufficio divino è voce della Chiesa, ossia di tutto il Corpo Mistico che loda pubblicamente Dio” (99). Analogamente con la Pasqua settimanale della Domenica e con la distribuzione nel corso dell’anno di tutto il Mistero di Cristo (Incarnazione-Pasqua-Pentecoste), con l’aggiunta delle feste della Madonna e dei Santi, gradualmente la Chiesa è riuscita nell’intento di santificare le dimensioni umane dello spazio e del tempo.

5° Da ultimo, il discorso sulle arti che servono a creare il contesto per la celebrazione dei riti. Al settore ‘di inestimabile valore’ della musica sacra è dedicato il capitolo sesto, dal momento che “il canto sacro, unito alle parole, è parte necessaria e integrale della liturgia solenne”; si esige, però, tassativamente che la musica sacra si mantenga fedele al suo compito ‘ministeriale’, che è “la gloria di Dio e la santificazione dei fedeli” (112-3). Il discorso si allarga poi nel capitolo settimo all’arte sacra e la sacra suppellettile: nel corso dei secoli la Chiesa ha scritto in questo campo pagine memorabili, promuovendo spesso stupende creazioni del genio umano. Pur non condizionata da nessun stile particolare, la Chiesa vigila per promuovere la ‘nobile bellezza’ e allontanare dai luoghi sacri ‘le opere d’arte contrarie alla fede e ai costumi e alla pietà cristiana’ (122-3). Il fine di queste cinque serie di princìpi è molto semplice: ottenere che la celebrazione del culto cristiano non venga più ritenuta una faccenda privata del prete, o di pochi altri ministranti, ma ricuperi la dimensione popolare della Plebs sancta: il solo fatto che nel Messale riformato il termine ‘popolo’ ricorra una trentina di volte contro la sua assenza nel Messale postridentino, mostra che un cambiamento importante è già avvenuto. Comunque, è proprio qui che va inserita la definizione di Chiesa Sacramento (di unità o di salvezza), che appare in vari testi conciliari, ma che ha la sua convalida in SC 26: “Le azioni liturgiche non sono azioni private, ma celebrazioni della Chiesa, che è ‘sacramento di unità’, cioè popolo santo radunato e ordinato sotto la guida dei Vescovi”. Per comprendere tale definizione, è necessario spiegare il triplice senso del ‘sacramento’. Un primo senso ‘allargato’ dei Padri e condiviso poi da tutto l’Oriente cristiano fino a oggi, è quello misterico e si trova chiaramente enunziato in Ef 1, dove la Chiesa rappresenta il terzo stadio della rivelazione del mistero divino di salvezza. Il secondo senso ‘stretto’, raggiunto dagli Scolastici e ratificato dal Concilio di Trento, equivale a segno efficace della salvezza: la Chiesa lo 14


DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II - DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II è in quanto segno di Cristo Risorto, con una sacramentalità generica, che sta a fondamento della validità delle sue sette articolazioni sacramentali. Il terzo senso, detto ‘pregnante’ perché simbolizza la compenetrazione fra valori naturali e soprannaturali, coincide con quanto la Chiesa ottiene nelle popolazioni che l’accettano quale redenzione della socialità umana, purificandola dalle negatività e promovendo le sue potenzialità positive. B) LE APPLICAZIONI CONCRETE DELLA COSTITUZIONE SULLA LITURGIA E’ opportuno in questa seconda parte, che contempla le norme pratiche per la riforma liturgica, adottare lo stesso schema della prima, in modo da verificare concretamente fin dove e come si è passati dall’enunciazione dei princìpi alla loro attuazione pratica, tenendo presente che in ciò i punti di riferimento nel postconcilio sono stati principalmente quattro: la Sacra Congregazione per il Culto Divino, la Conferenza episcopale italiana, le Commissioni diocesane e le Parrocchie. 1° Quanto alla finalità principale, la partecipazione conscia, piena e attiva da parte del popolo cristiano, si è ottenuto molto, anche se parecchio resta sempre da fare, soprattutto per superare una certa superficialità dettata dagli interessi soggettivi delle persone. Quanto abbiamo appena documentato circa la presenza dell’assembla liturgica è un dato di fatto. 2° Il limite soggettivista appena segnalato si rivela maggiormente nella percezione da parte dell’assemblea cristiana della persona di Cristo come del vero celebrante della liturgia nel suo Corpo ecclesiale. Le tre serie di norme generali date nel capitolo primo devono costituire un permanente esame di coscienza per tutti ancor oggi: per la formazione liturgica dei pastori (14-20), per i criteri generali della comunione gerarchica che reggono le nostre celebrazioni dai vertici più alti (21-40) a quelli da discutere e decidere a livello diocesano e parrocchiale, dove si devono creare vere connessioni fra la dimensione liturgica e le altre dimensioni della pastorale (41-6). 3° Quanto alle riforme introdotte nella celebrazione dell’Eucarestia e degli altri Sacramenti, si auspica con frequenza una maggiore disciplina da parte dei responsabili, data la facilità con cui ciascuno indulge oggi ai gusti personali. Invero, qui le norme introdotte per la celebrazione della Messa (50-8), dei Sacramenti e Sacramentali (62-82), insieme alle tante normative postconciliari, sono da verificare all’insegna delle loro tre finalità fondamentali: la santificazione degli uomini, l’edificazione del Corpo di Cristo e la lode divina (59, passim). Le nostre celebrazioni possono mantenere un buon livello, anche solo se questi tre criteri fossero costantemente tenuti presenti.

norme stabilite nel capitolo quarto (87-101), può essere seguito soltanto in piccola parte nella liturgia destinata al popolo. Invece le varie scansioni dell’Anno liturgico, riformato secondo le norme del capitolo quinto (105-111), e soprattutto certe festività, trovano buona accoglienza nel popolo cristiano. Bisogna seguire questo filone positivo, che può rimediare con una predicazione appropriata alla grave crisi postconciliare della catechesi e dell’associazionismo cattolico. 5° Come vedevamo con i princìpi, alla Musica sacra si è riservata una netta precedenza ed esclusività nel capitolo sesto rispetto alle altre arti, trattate nel capitolo seguente. Le norme date al riguardo (113- 121) sono state eseguite solo in parte, soprattutto per quanto concerne il Canto gregoriano, riconosciuto come ‘proprio della liturgia romana’. Dal momento che il canto sacro è particolarmente adatto a solennizzare la liturgia, sarà opportuno dedicargli una maggior attenzione. Anche le Belle arti concorrono a condecorare la liturgia, e quindi costituiscono l’Arte sacra, per la quale si stabiliscono opportune normative (124-130), riassumibili nella ricerca di una sobria e nobile bellezza, piuttosto che di una mera sontuosità. Conclude il documento un’appendice sulla possibilità della Pasqua in domenica fissa e di un Calendario perpetuo che rispetti la struttura della settimana e soprattutto la Domenica, giorno dedicato al Signore Risorto. L’insieme di questa normativa può costituire un ottimo spunto di riflessione, soprattutto se si considera strettamente dipendente dai princìpi della riforma liturgica promossa dal Vaticano II: non si tratta di norme cervellotiche, ma di disposizioni che contano sulla teologia e sull’esperienza cultuale cristiana ereditate da una storia bimillenaria, che ha attinto a sensibilità molto diverse, dal culto del Tempio e della sinagoga nel mondo ebraico, alle principali liturgie dell’antichità e dell’età di mezzo. Se l’adeguamento alle istanze ‘moderne’ portasse a sacrificare quanto di buono ci ha trasmesso una così ricca eredità, avrebbero ragione gli Orientali che, fossilizzandosi nelle liturgie di un millennio e mezzo fa (dopotutto, han fatto lo stesso con la teologia), hanno evitato certi ‘disastri liturgici’, che alcuni cattolici han voluto provare, magari avvalendosi del Vaticano II.

4° L’Ufficio divino ha più difficoltà delle feste dell’Anno liturgico a essere recepito dalla gente comune, perché è nato e prospera nelle comunità religiose; nonostante la sua revisione secondo le 15


Educare alla vita buona del Vangelo - Educare alla vita buona del Vangelo - Educare alla vita b

La Parrocchia educa? Ne sentiremo parlare per un decennio e, forse, alla fine ci parrà che si sarebbe dovuto fare diversamente; però non possiamo sottrarci: educare è la nostra più concreta speranza. «La società non educa ... e la parrocchia?» Le pagine che seguono hanno scopo di offrire un contributo alla riflessione su una questione, quella educativa, che da tempo sta interessando la Chiesa italiana -sollecitata anche dagli stimolanti interventi di Benedetto XVI, a cominciare dalla Lettera alla diocesi e alla città di Roma sul compito urgente dell’educazione’’- tanto da sceglierla come tema degli Orientamenti pastorali del nuovo decennio. Le comunità cristiane di fronte agli Orientamenti dei Vescovi Italiani «Educare alla vita buona del Vangelo»: questo il titolo del documento della CEI. La questione educativa non è certo un problema di facile soluzione. Tuttavia, benché sia chiara a tutti la sua gravita, è inevitabile, nell’affrontarla, cadere nel pericolo del disfattismo, della genericità, della retorica, e perfino della estraneità, assumendo cioè l’atteggiamento di chi rimane a distanza, «alla finestra», a guardare e a criticare, come se il problema appartenesse agli altri, alla società in tutte le sue espressioni, senza pertanto mettere in discussione se stessi e gli stili di vita delle comunità cristiane. In realtà il tema degli Orientamenti pastorali ha suscitato, almeno a prima vista, un consenso quasi generale. Ma una domanda sembra rimanere quasi sospesa nell’aria, come se si esitasse a formularla ad voce alta: la questione educativa sta veramente a cuore alle nostre comunità? È proprio vero che le nostre parrocchie avvertono questa urgenza pastorale? La domanda non è superflua, come potrebbe apparire. La reazione che si coglie qua e là, infatti, sembra essere a volte quella dell’indifferenza o addirittura del fastidio, del sentirsi cioè quasi disturbati dalla indicazione di nuovi obiettivi pastorali che si recepiscono come un peso in più, quando si è presi dalla corsa quotidiana dietro mille emergenze, non sempre “pastorali” in verità, che non lasciano respiro. È proprio da questa premessa, dunque, che occorre partire, facendo chiarezza sui reali «bisogni» pastorali, se si vuole che il nuovo decennio sia davvero fecondo per la vita delle nostre parrocchie, e non un decennio di routine o di facciata, nel quale moltipllcare parole e organizzare iniziative fine a se stesse. La parrocchia al centro del dibattito Il crollo dei valori umani e cristiani sta ormai interessando non più solo gli ambienti laici ma anche quelli religiosi e in particolare per ciò che ci riguarda le comunità parrocchiali È indispensabile, quindi, aprire gli occhi e correre ai ripari. L’analisi 16

può essere anche piuttosto cruda e severa, senza risparmiarci critiche e denunce. Ma occorre anche cercare e indicare con coraggio e schiettezza cammini di conversione, piste d’azione, metodi pastorali che, se accolti con lealtà, possono davvero imprimere una svolta significativa e decisiva nella vita delle parrocchie. Si tratta in definitiva di restituire alle comunità cristiane il loro autentico volto, dando corpo e storia alle grandi parole-chiave che, come pietre miliari, hanno scandito il cammino pastorale della Chiesa italiana a partire dal Concilio: comunione e comunità, corresponsabilità, dialogo, discernimento comunitario, centralità della persona, profezia, scelta preferenziale dei poveri ... Si tratta di riscoprire la vocazione unica della Chiesa che è servire l’uomo e la storia, percorrendo le strade della città, appassionandosi ai valori dell’ antropologia cristiana sui quali costruire progetti educativi che guardino alla persona nella sua integralità, facendo proprio lo stesso progetto educativo di Dio, simbolicamente espresso nell’uomo appena uscito dalla mano del Creatore. Si tratta insomma di offrire modelli concreti di vita, testimonianze alte della «differenza cristiana», che possano affascinare ancora i giovani alla ricerca di autenticità e desiderosi di scelte anche radicali.

mercoledì 25 gennaio 2012 il nostro Vescovo incontra le parrocchie di Botticino su questo tema


buona del Vangelo - Educare alla vita buona del Vangelo - Educare alla vita buona del Vangelo -

Alla ricerca di metodi pedagogici Oggi avvertiamo tutti l’esigenza di modelli educativi fondati su una autentica antropologia cristiana che guardi all’uomo nella sua integralità. Alla parrocchia, in quanto chiesa posta tra le case della gente, è affidato questo compito inderogabile, reso più difficile da una società impegnata spesso su più fronti in un’opera altamente diseducativa. Essa non può più stare alla finestra a guardare ma deve assumersi le sue responsabilità. Il grido di allarme più volte ripetuto dal santo Padre Benedetto XVI con lo slogan «emergenza educativa», e le preziose indicazioni date, in merito, nei suoi discorsi in questi ultimi anni, hanno svegliato e chiamato in causa la responsabilità delle varie agenzie educative: la famiglia, la scuola, la comunità ecclesiale e i mezzi di comunicazione sociale. Dalle Linee teoriche ai modelli educativi La CEI (Conferenza, dei Vescovi Italiani), con il documento Educare alla vita buona del Vangelo, ha inteso dedicare all’argomento tutto un intero decennio (2010-2020) in vista di una terapia adeguata a tale stato di salute morale piuttosto disastroso in cui attualmente versa l’intero corpo sociale. Situazione di vasta portata assai preoccupante dovuta al crollo pressoché generale dei valori umani e cristiani, che sta seriamente rischiando di travolgere, sotto i nostri occhi, non solo gli ambienti socio-culturali professionali e familiari di stampo per così dire laico, ma anche quelli di stampo religioso tradizionalmente impegnati in campo sia pastorale che dottrinale, teologico e spirituale, coinvolgendo fasce di semplici credenti, e le comunità parrocchiali. Occorre una «regolata» che sappia di vera e propria cura ricostituente. Si tratta però di convincerci che per arrivare e realizzare una seria ed efficace cura terapeutica in campo educativo non basta la semplice formulazione di principi teologici, con la relativa ricetta di stampo dottrinale, né sono sufficienti le conseguenti norme etiche o morali, né i programmi di vita spirituale da soli, né i propositi personali sia pure encomiabili di forte caratura ascetica ... Ci vuole contemporaneamente un adeguato impianto formativo corredato da seri metodi pedagogici e soprattutto da un tirocinio pratico, costante e progressivo. Quale antropologia? Oggi si avverte l’esigenza di modelli di vita nei quali cogliere le modalità concrete delle relazioni educative. La Chiesa deve guardare a Gesù non solo come «Maestro» ma come «Modello di vita», l’uomo nuovo a cui guardare per formare integralmente la persona, nella sua unità di spirito e di materia, di mente e di cuore, di ragione e di volontà, di esigenze fisiche e di insopprimibili esigenze affettive, di tempo e di spazio, di diritti e di doveri. In altre parole: è necessaria la proposta di modalità applicative pratiche dei vari contenuti teoricamente elaborati; mo-

dalità tante e tali da potere imboccare strade concrete preparando in tempo i giovani al superamento degli imprevisti e delle difficoltà, tenendo conto dei vari ritmi di crescita di ogni persona. Modalità di genesi e di sviluppo formativo fondato certo su solide basi spirituali affidate, alla grazia di Dio, ma anche orientale e aiutate dai vari preziosi contributi delle scienze umane. Il ruolo della parrocchia Nella situazione generale, seriamente allarmante, sopra descritta, la comunità parrocchiale di certo è direttamente chiamata in causa. La responsabilità della parrocchia è ecclesiale e pertanto non è di natura solo cultuale, ma anche culturale, non solo spirituale ma anche sociale, non solo dottrinale ma anche comportamentale. In una parola: non è solo di portata teologica, ma anche antropologica. Occorre ricordare infatti che per noi cristiani non esiste, non può esistere una teologia senza antropologia, dal momento in cui «il Verbo si è fatto Carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14). Dal momento in cui Dio stesso, cioè, ha assunto tutto ciò che è umano e tutto ciò che appartiene all’habitat degli uomini («è venuto ad abitare in mezzo a noi», appunto). Se lo ha fatto il Signore Gesù, non può non farlo la Chiesa, suo corpo reale nella storia, e di conseguenza non può non farlo neppure la parrocchia nel suo territorio. L’oggetto di attenzione della parrocchia, pertanto, non è solo l’anima dei figli di Dio affidati alle sue cure, ma la persona di ogni figlio di Dio, da salvare nella sua integralità. I limiti di una pastorale disincarnata Occorre evitare le pericolose dicotomie che in passato hanno misurato e trattato l’uomo a settori stagno. La parrocchia molto spesso è caduta in questo equivoco, portando avanti una pastorale non confacente alla sua natura e al suo vero ruolo, e cioè: a) una pastorale di sacramentalizzazione e non una pastorale di evangelizzazione. Ma la Chiesa - e quindi anche la chiesa locale parrocchiale - non è nata per evangelizzare? Se non evangelizza - ci ricorda Paolo VI in Evangelii nuntiandi- è come se non esiste; b) una pastorale di conservazione e di contenimento a forte caratura devozionale, e non una pastorale di rinnovamento impegnata anche a livello sociale. Ma una pastorale che non è sociale - hanno più volte precisato i Vescovi 17


Educare alla vita buona del Vangelo - Educare alla vita buona del Vangelo italiani - non è un’autentica pastorale ecclesiale; e) una pastorale pericolosamente chiusa nei locali ristretti del tempio e non una pastorale aperta a tutte le attese e le richieste della gente da raggiungere là dove essa di fatto abita, lavora, soffre, gioisce, vive. La parrocchia vera, infatti, non è quella che si riunisce dentro l’ambito del suo sacro recinto, ma quella che si trova fuori, nel territorio; occorre ricordare che non è il territorio per il tempio, ma è il tempio per il territorio, esattamente come non è l’uomo per la liturgia ma la liturgia per l’uomo; d) una pastorale catechistica che in genere è svolta per lo più in preparazione ai sacramenti e di solito è rivolta quasi esclusivamente ai fanciulli e agli adolescenti. Ma ... la catechesi non deve essere per tutte le stagioni della vita, di fatto sempre bisognose di conversione e di formazione? Parliamo ovviamente di una pastorale non di tipo tecnico-organizzativo, concepita come elemento aggiuntivo o additivo all’essere della Chiesa, ma di una pastorale riconcepita alla luce della ecclesiologia conciliare, come elemento-cardine della vita della Chiesa, e pertanto come vita stessa della parrocchia. Sicché: dire pastorale e dire ecclesiale è la stessa cosa: i due vocaboli -pastorale ed ecclesiale - sono sinonimi. Dalla passività alla responsabilità È qui, proprio qui che sorge una domanda, spontanea ma preoccupante: ma, come si spiega che una parrocchia possa stare alla finestra a guardare, quando intorno tutto va in rovina e grida SOS? Basta aprire gli occhi: crollo di valori non solo cristiani ma anche umani, virtù evangeliche progressivamente in tilt, analfabetismo religioso in crescita, scandali di ogni genere, relativismo etico, diritti e doveri notoriamente calpestati (senza concreta opposizione da parte delle istituzioni pubbliche, col rischio di una progressiva assuefazione generale), criminalità organizzata, famiglie in rovina, morale calpestata, erotismo, bullismo ... Occorre chiedersi: come uscire fuori da questa empasse sommamente rovinosa? Quali i passi da fare a livello costruttivo allo scopo di salvare le comunità ecclesiali nel loro interno e in rapporto alla società? Chi deve prendere per primo l’iniziativa trovandosi in profonda crisi tutte le varie cattedre educative? In realtà la famiglia sembra di fatto avere abdicato al suo compito formativo, la scuola sembra essere divenuta una cenerentola povera e smarrita, i mass-media sembrano decisamente organizzati a remare contro e ad inquinare sempre più la coscienza e la mentalità e la prassi comportamentale delle nuove generazioni. In questa atmosfera fortemente intossicata urge che la parrocchia si carichi di responsabilità, collaborando con tutte le forze laiche preposte alla educazione dei cittadini. È in questo contesto che si colloca il cammino intrapreso nelle parrocchie di Botticino con la scelta dei Centri di Ascolto nel loro evolversi verso il costituirsi piccole comunità comunità ecclesiali di base. In particolare tre sono le opportunità: 1) Educare nelle case del popolo di Dio Sappiamo bene che i mass-media hanno invaso in maniera determinante e massiccia l’intimità delle nostre case, senza chiedere permessi, senza rompere i vetri, imponendo nuovi parametri educativi (che però di fatto vanno rivelandosi concretamente diseducativi) per le masse popolari sprovviste di adeguata coscienza critica. La televisione e il computer, in modo del tutto particolare, sono divenuti le nuove indiscusse cattedre di insegnamento intente a bombardare e inquinare le categorie mentali sia dei più giovani sia dei meno giovani, sia dal punto di vista culturale, sia dal punto di vista etico, spirituale e sociale (basti citare alcuni programmi come il grande fratello, L’isola dei famosi, Amici, C’è posta per te ...). Urge contrastare questa indebita invasione di campo proponendo nelle abitazioni e nei condomini del territorio parrocchiale un modus vivendi alternativo, incentivando una

coscienza critica, e soprattutto creando mentalità nuova, spronando al dialogo tra genitori e figli, avviando dibattiti culturali, comunicando messaggi etico-morali di stampo cristiano, dando vita ad una nuova scuola formativa intrisa di Vangelo. E pertanto trasmettendo nelle famiglie la fede consegnata a noi dalla Tradizione. 2) Educare prestando attenzione al territorio L’esigenza educativa oggi non è solo quella che si avverte all’interno delle abitazioni private della gente, ma anche quella che si avverte nel cuore dei quartieri, lungo le strade, nelle piazze, nei siti ricreativi, nei luoghi di ritrovo, ad ogni angolo del territorio parrocchiale. La violenza, l’incuria, il disordine, l’immoralità hanno preso il sopravvento sulla situazione civico-civile umile e pacifica delle basi popolari di un tempo.Il clima dialogico e amichevole è stato letteralmente ingoiato. Occorre che la comunità ecclesiale esca dal tempio e si prenda cura del territorio ove comunemente abita, lavora e vive la porzione di popolo di Dio a lei affidata. Oltre al confronto spirituale occorre assumere il compito di ispirare di Vangelo la dimensione socio-culturale e promozionale degli abitanti della zona. L’ascolto della Parola di Dio (Bibbia) non è mai disgiunto dall’ascolto della parola dell’uomo (ossia dall’ascolto dei bisognosi, dei poveri, dei malati degli anziani soli e abbandonati ...). 3) Educare in collaborazione con tutte le realtà «laiche» Urge una collaborazione con le innumerevoli realtà associative laiche, portate avanti da credenti e non credenti, impegnate a livello promozionale ora in campo culturale, ora sanitario, ora artistico, ora sportivo, ora ricreativo. Tale partecipazione intercomunitaria - tra realtà religiose e realtà laiche - si palesa non solo opportuna ma anche necessaria per il bene e il progresso di una nuova cittadinanza, perché promuove e attiva una provvidenziale collaborazione tra tutti gli uomini di buona volontà. Si tratta di convivenza complementare tra gruppi, associazioni a cui sta a cuore la crescita educativo-culturale degli abitanti del territorio parrocchiale e interparrocchiale. Le parrocchie non solo intendono aderire a tali iniziative, ma si fanno promotrici di una vera e propria collaborazione con tutte le forze tese alla formazione dell’uomo, ben consapevoli che tutto ciò che è genuinamente umano è cristiano e serve all’avvento del Regno di Dio. Nelle esperienze ordinarie tutti possiamo trovare l’alfabeto con cui comporre parole che dicano l’amore infinito di Dio. Al raggiungimento di tale meta sono chiamate le parrocchie in modo tale da presentarsi come ambito qualificatamente formativo per le generazioni di oggi e di domani. E ciò perché la parrocchia costituisce una palestra di educazione e perciò anche un ambito di confronto, assimilazione e trasformazione di linguaggi e comportamenti. Occorre però che noi cristiani usciamo dal calduccio del tempio per stare tra la gente non solo individualmente ma anche come comunità ecclesiale, a mo’ di pugni di lievito nella pasta della società, allo scopo di far fermentare dal di dentro un nuovo modo di essere cittadini e cristiani insieme.

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dossier

6 a G I O R N ATA P E R L A S A LVAG U A R D I A D E L C R E ATO

IN UNA TERRA 1 SETTEMBRE 2011 OSPITALE,

6 a G I O R N ATA P E R L A S A LVAG U A R D I A D E L C R E ATO

1 SETTEMBRE 2011

EDUCHIAMO DIOCESI DI BRESCIA

ALL’

ACCOGLIENZA IN UNA TERRA OSPITALE, EDUCHIAMO ALL’ACCOGLIENZA DIOCESI DI BRESCIA

MESSAGGIO

Il tema della 6ª Giornata per la salvaguardia del creato è assai significativo nel contesto del dibattito ecclesiale e culturale odierno. Esso si articola in quattro punti, in continuità con l’argomento trattato l’anno passato, Custodire il creato, per coltivare la pace, nella linea degli Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio corrente: «La comunità cristiana offre il suo contributo e sollecita quello di tutti perché la società diventi sempre più terreno favorevoleall’educazione. Favorendo condizioni e stili di vita sani e rispettosi dei valori, è possibile promuovere lo sviluppo integrale della persona, educare all’accoglienza dell’altro e al discernimento della verità, alla solidarietà e al senso della festa, alla sobrietà e alla custodia del creato, alla mondialità e alla pace, alla legalità, alla responsabilità etica nell’economia e all’uso saggio delle tecnologie» (Educare alla vita buona del Vangelo, n. 50). La Giornata diventa così occasione di un’ulteriore immersione nella storia, per ritrovare le radici della solidarietà, partendo da Dio, che creò l’uomo a sua immagine e somiglianza, con il mandato di fare della terra un giardino accogliente, che rispecchi il cielo e prolunghi l’opera della creazione (cfr Gen 2,8-15).

IN UNA TERRA OSPITALE, EDUCHIAMO ALL’ACCOGLIENZA 1. L’uomo, creatura responsabile e ospitale

La Sacra Scrittura, infatti, narra che l’uomo venne posto da Dio nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse. Affidandogli la terra, Dio gli consegnò, in qualche modo, tutta la sua gratuità. L’uomo diventa così la creatura chiamata a realizzare il disegno divino di governare il mondo nello stile della gratuità, con santità e giustizia (cfr Sap 9,23), fino a giungere alla meta di riconoscersi, per grazia, figlio adottivo in Gesù Cristo (cfr Ef 1,5). Accogliendo l’intero creato come dono gratuito di Dio e agendo in esso nello stile della gratuità, l’uomo diviene egli stesso autentico spazio di ospitalità: finalmente idoneo e

capace di accogliere ogni altro essere umano come un fratello, perché l’amore di Dio effuso dallo Spirito nel suo cuore lo rende capace di amore e di perdono, di rinuncia a se stesso, «di accoglienza del prossimo, di giustizia e di pace» (Benedetto XVI, Caritas in veritate, n. 79). è il cuore dell’uomo, infatti, che deve essere formato all’accoglienza, anzitutto della vita in se stessa, fino all’incontro e all’accoglienza di ogni esistenza concreta, senza mai respingere qualcuno dei propri fratelli. Il Santo Padre ci ricorda che: «se si perde la sensibilità personale e sociale verso l’accoglienza di una nuova vita, anche altre forme di accoglienza utili alla vita sociale si inaridiscono. L’accoglienza della vita tempra le energie morali e rende capaci di aiuto reciproco» (Caritas in veritate, n. 28). L’ospitalità diventa così, in un certo senso, la misura concreta dello sviluppo umano, la virtù che getta il seme della solidarietà nel tessuto della società, il parametro interiore ed esteriore del disegno dell’amore che rivela il volto di Dio Padre. Diventando ospitale, l’uomo riconosce con i fatti a ogni persona il diritto a sentirsi di casa nel cuore stesso di Dio. 2. Il problema dei rifugiati ambientali

In questa delicata stagione del mondo il tema dell’ospitalità richiama con drammatica urgenza le dinamiche delle migrazioni internazionali, nel loro legame con la questione ambientale. Sono sempre più numerosi, oggi, gli uomini e le donne costretti ad abbandonare la loro terra d’origine per motivi legati, più o meno direttamente, al degrado dell’ambiente. È la terra stessa, infatti, che – divenuta inospitale a motivo del mancato accesso all’acqua, al cibo, alle foreste e all’energia, come pure dell’inquinamento e dei disastri naturali – genera i cosiddetti “rifugiati ambientali”. Si tratta di un fenomeno che può avere una dimensione nazionale, laddove gli spostamenti avvengano all’interno di un Paese o di una regione; ma che si caratterizza sempre più spesso per la portata globale, con migrazioni che interessano talvolta popoli interi, sospinti dagli eventi a spostarsi in terre lontane.

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In questo processo gioca un ruolo non trascurabile il mutamento del clima, che attraverso la variazione repentina e non sempre prevedibile delle sue fasce, rischia di intaccare l’abitabilità di intere aree del pianeta e di incrementare, di conseguenza, i flussi migratori. Per quanto sia possibile prevedere, non si è lontani dal vero immaginando che entro la metà di questo secolo il numero dei profughi ambientali potrà raggiungere i duecento milioni. Si comprende bene, allora, il senso dell’accorato richiamo del Papa nel Messaggio per la giornata della pace dell’anno 2010: «Come rimanere indifferenti di fronte alle problematiche che derivano da fenomeni quali i cambiamenti climatici, la desertificazione, il degrado e la perdita di produttività di vaste aree agricole, l’inquinamento dei fiumi e delle falde acquifere, la perdita della biodiversità, l’aumento di eventi naturali estremi, il disboscamento delle aree equatoriali e tropicali? Come trascurare il crescente fenomeno dei cosiddetti “profughi ambientali”: persone che, a causa del degrado dell’ambiente in cui vivono, lo devono lasciare – spesso insieme ai loro beni – per affrontare i pericoli e le incognite di uno spostamento forzato?» (n. 4). 3.Educare all’accoglienza

È questo lo scenario cosmico e umano dentro il quale la Chiesa è chiamata oggi a rendere presente il mistero della presenza di Cristo, via, verità e vita, riproponendone con forza il messaggio di solidarietà e di pace. Attraverso la sua opera educativa, «la Chiesa intende essere testimone dell’amore di Dio nell’offerta di se stessa; nell’accoglienza del povero e del bisognoso; nell’impegno per un mondo più giusto, pacifico e solidale; nella difesa coraggiosa e profetica della vita e dei diritti di ogni donna e di ogni uomo, in particolare di chi è straniero, immigrato ed emarginato; nella custodia di tutte le creature e nella salvaguardia del creato» (Educare alla vita buona del Vangelo, n. 24). Ecco perché educare all’accoglienza a partire dalla custodia del creato significa condurre gli uomini lungo un triplice sentiero: quello, anzitutto, di coltivare un atteggiamento di gratitudine a Dio per il dono del creato; quello, poi, di vivere personalmente la responsabilità di rendere sempre più bella la creazione; quello, infine, di essere, sull’esempio di Cristo, testimoni autentici di gratuità e di servizio nei confronti di ogni persona umana. È così che la custodia del creato, autentica scuola dell’accoglienza, permette l’incontro tra le diverse culture, fra i diversi popoli e perfino, nel rispetto della identità di ciascuno, fra le diverse religioni, e conduce tutti a crescere nella reciproca conoscenza, nel dialogo fraterno, nella collaborazione più piena.

Ciò può realizzarsi senza mai dimenticare la necessità che la Chiesa, con il coraggio della parola e l’umiltà della testimonianza, continui a proclamare che è proprio Gesù Cristo, il Verbo di Dio fatto carne, la presenza profonda che permette il disvelarsi del disegno di Dio sull’uomo e sul cosmo, perché «tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste» (Gv 1,3). È in Cristo che la solidarietà diventa reciprocità, esercizio di amore fraterno, gara nella stima vicendevole, custodia dell’identità e della dignità di ciascuno, stimolo al cambiamento nel vivere sociale. È consolante rilevare come, sull’insieme di questi temi, le diverse Chiese e comunità cristiane abbiano raggiunto una significativa sintonia: il mondo ortodosso, a partire dal Patriarcato ecumenico, ha dedicato al problema della salvaguardia responsabile del creato documenti, momenti di riflessione ed iniziative; le diverse denominazioni evangeliche condividono la preoccupazione per l’uso equo e solidale delle risorse della terra, in un impegno concreto e fattivo. Tutte convergono nella sollecitudine verso i più poveri, verso le vittime delle guerre, dei disastri ambientali e della ingiusta distribuzione dei frutti della terra. La Giornata per la salvaguardia del creato si conferma, così, anche una felice occasione di incontro ecumenico, che mostra come il dialogo fra i credenti in Cristo salvatore non si limiti al confronto teologico, ma tocchi il comune impegno per le sorti dell’umanità. Tutti siamo chiamati a cooperare perché le risorse ambientali siano preservate dallo spreco, dall’inquinamento, dalla mercificazione e dall’appropriazione da parte di pochi. Il fatto che, in questo sforzo condiviso, le Chiese riescano a parlare con una voce sola, rappresenta una grande testimonianza cristiana, che rende di sicuro più credibile l’annuncio del Vangelo nel mondo di oggi. 4. I miti, eredi di questo mondo

«Beati i miti, perché avranno in eredità la terra» (Mt 5,5). Sentirsi custodi gli uni degli altri è l’effetto dinamico dell’essere dono nell’accoglienza. Sappiamo, però, che la mitezza coincide con la purezza del cuore: è uno stile di vita e di relazioni a cui il cristiano aspira, perché in esso arde la pienezza dell’umiltà contro la prevaricazione e l’egoismo. Sono i miti i veri difensori del creato, perché amano quanto il Padre ha creato per la loro sussistenza e la loro felicità. Dio infatti «ha creato il mondo per manifestare e per comunicare la sua gloria, in modo che le sue creature abbiano parte alla sua verità, alla sua bontà, alla sua bellezza: ecco la gloria per la quale Dio le ha create» (Catechismo della Chiesa cattolica, n. 319). Tutti abbiamo bisogno di Dio: riconoscendoci opera delle sue mani, sue creature, siamo invitati a custodire il mondo che ci ha affidato, perché, condividendo le risorse della terra, esse si moltiplichino, consentendo a ogni persona di condurre un’esistenza dignitosa. Roma, 12 giugno 2011 Solennità di Pentecoste LA COMMISSIONE EPISCOPALE LA COMMISSIONE EPISCOPALE PER I PROBLEMI SOCIALI E IL LAVORO, PER L’ECUMENISMO LA GIUSTIZIA E LA PACE E IL DIALOGO

FOCUS: TEMI PER L’APPROFONDIMENTO ACCOGLIENZA Il termine accogliere proviene dal latino colligere che significa raccogliere, mettere insieme. E per raccogliere occorre avere uno sguardo ampio, muoversi, spostarsi guardandosi attorno e cercare i pezzi sparsi. E noi, “tessere” di un’umanità create da un unico Creatore, diventiamo mosaico stupendo quando siamo posti gli uni accanto agli altri. Quando le differenze diventano occasione di riflessione

più che di contrasto. Se restiamo su di noi, sulle nostre posizioni, con i nostri schematismi difficilmente riusciamo ad accogliere la novità dello Spirito, difficilmente riusciamo a cogliere i segni del Risorto in una terra di morte. Non solo non cogliamo i segni ma non cogliamo la bellezza dell’altro spesso deturpata da sofferenza, paura e malattia. È la sorte anche dei tanti stranieri che sempre più numerosi giungono nel nostro Paese, proverbiale per la sua ospitalità. Tuttavia qualcosa è mutato. Anche Benedetto XVI ha ritenuto opportuno nel suo messaggio Urbi et Orbi del giorno 20


di Pasqua insistere sull’accoglienza: «ai tanti profughi e ai rifugiati, che provengono da vari Paesi africani e sono stati costretti a lasciare gli affetti più cari arrivi la solidarietà di tutti; gli uomini di buona volontà siano illuminati ad aprire il cuore all’accoglienza, affinché in modo solidale e concertato si possa venire incontro alle necessità impellenti di tanti fratelli; a quanti si prodigano in generosi sforzi e offrono esemplari testimonianze in questa direzione giunga il nostro conforto e apprezzamento». In questo momento storico siamo effettivamente provocati dai tantissimi stranieri che bussano alle nostre porte. Sono uomini e donne, spesso con bambini, che provengono da ogni parte del mondo, dopo aver lasciato il loro paese con storie di dolore e di ingiustizia. Nella maggior parte dei casi il loro obiettivo è una vita migliore e un futuro per i figli. A chi lavora a più stretto contatto con loro spesso capita di conoscere la fatica per la ricerca di una casa, di un lavoro, di sicurezza. Spesso si conoscono le ansie, le delusioni, le angosce. Si viene a conoscere anche che cosa la gente, che cosa noi, talvolta, portiamo in cuore nei loro confronti: sospetto, indifferenza, fastidio, irritazione. Li incontriamo ormai ovunque nella metropolitana, nelle chiese e nei supermercati. Lo straniero – volenti o nolenti – è diventato il nostro compagno a tal punto che nei luoghi pubblici è ormai quasi più facile sentire parlare straniero che italiano. Il suo esserci è però visto solo come questione da risolvere, emergenza a cui far fronte, problema da eliminare. In tutto questo si potrebbe andare avanti a lungo ad ele care che cosa pensa l’uomo dello straniero. Ma che cosa pensa Dio dello straniero? Come coinvolge la nostra vita di fede? Il tema dello straniero è come un filo che attraversa tutta la Bibbia. Troviamo nel Salmo 146 «Dio protegge lo straniero» perché è un povero, fa parte di chi non riesce a trovare in altri protezione. Lo straniero è chi vive in un luogo e non ha diritti, è alla mercé della gente del paese, è senza tutela. Dio ha per lui una particolare predilezione e vuole comunicare questo desiderio di protezione anche al suo popolo. In altre parti della Bibbia Dio dà dei comandi: «Non molesterai il forestiero né l’opprimerai perché voi siete stati forestieri nel paese d’Egitto» (Es 22,20) e ancora: «Quando un forestiero dimorerà presso di voi, nel vostro paese, non gli farete torto. Il forestiero dimorante presso di voi lo tratterete come colui che è nato tra voi; tu l’amerai come te stesso, perché anche voi siete stati forestieri nel paese d’Egitto» (Lv 19,33). Questi comandi si trovano nei due testi che contengono i comandamenti, quelle leggi che Dio ha trasmesso al suo popolo attraverso Mosè. La Legge doveva comunicare agli israeliti qual è il volere di Dio, ed esso si dimostra essere volontà di bene, di cura, di protezione, di salvezza, proprio nei confronti di coloro che non fanno parte del popolo eletto. L’invito di Dio è di aprirsi agli altri. È un invito alla saggezza che ci viene dallo stesso Pietro, di considerarci pellegrini e forestieri in questo mondo, perché nessuno di noi ha su questa terra una dimora stabile. Il Signore esorta a diventare ciò che lui è: misericordioso, accogliente, generoso. Per chi non sceglie questa via il libro della Sapienza ha parole molto forti: «essi soffrono terribilmente per la loro malvagità, avendo nutrito un odio tanto profondo verso lo straniero. Altri non accolsero ospiti sconosciuti; ma costoro ridussero schiavi ospiti benemeriti» (Sap 19,15). Se cerchiamo di tradurre in un linguaggio comprensibile per noi uomini del terzo millennio, le sofferenze cui sono soggetti coloro che non accolsero lo straniero, esse derivano proprio dalla chiusura del cuore. Il Signore ci ha fatti per aprirci e dilatarci sempre di più, ad una misura infinita, la sua. Il rischio è quello di chiuderci in una prigione piena di solitudine, di buio, in cui cominciano ad abitare pian piano dei mostri terribili, vale a dire la paura, il sospetto, la diffidenza, l’ansia. Ci dice il libro della Sapienza: «Fu-

rono perciò colpiti da cecità» (Sap 19,17) diventando stranieri a se stessi. La via per la felicità è una sola: apertura, dilatazione, accoglienza perché l’altro è lungi dal depredarci se accolto, anzi, ci dona ricchezze in più, abbondanza in più. «Alcuni praticando l’ospitalità hanno accolto angeli senza saperlo» (Eb 13,2). Dio nel suo Figlio Gesù Cristo ha voluto diventare uomo, e ha sperimentato la condizione degli stranieri, di coloro che non vengono accolti: «Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto» (Gv 1,11). Ma a chi lo ha accolto ha dato il potere di diventare Figli di Dio. È l’invito all’apertura.

EDUCARE A NUOVI STILI DI VITA Nel pensiero e nel linguaggio della catechesi cristiana dei primi secoli, noi possiamo ritrovare un motivo ricorrente: quello della “conversione continua” (S. Agostino), che implica un’educazione, una iniziazione permanente ai “misteri cristiani”. Il cristiano è colui che non si sente mai “arrivato”, bensì in stato di formazione permanente. È la dinamica e la struttura stessa della sequela cristiana che richiede questa caratteristica fondamentale di apprendimento continuo, alla scuola dell’unico Maestro Gesù Cristo (in tal senso il documento della Conferenza Episcopale Italiana Educare alla vita buona del Vangelo, specie i nn. 16-24). La comunità cristiana è dunque quel luogo di vita testimoniale che accom pagna e fortifica tale formazione continua. Ciò avviene non solo con la conoscenza della dottrina ma soprattutto con la forma di vita della comunità stessa. Evocando una terminologia che oggi è largamente entrata anche nel linguaggio ecclesiale e magisteriale, possiamo dire, insomma, che la comunità cristiana educa soprattutto con il suo stile di vita. Questa articolazione dell’educazione cristiana, tra l’altro, mette in valore una caratteristica assai presente nell’antropologia pedagogica contemporanea. Secondo tale prospettiva, infatti, oggi si evidenzia che i processi di apprendimento si realizzano in primo luogo per mezzo di modelli o mediante forme di vita, cioè normalmente attraverso l’identificazione con persone ammirate, amate o almeno familiari. Le persone con cui più facilmente ci si identifica sono di norma i propri genitori e in generale gli adulti “significativi”. Allo stesso modo diventano decisivi i mondi vitali condivisi perché veicolano forme di vita in grado di provocare identificazione e formazione del carattere-personalità delle persone, dalla famiglia alla scuola e agli oratori, dall’università agli ambienti di lavoro, dagli spazi del divertimento fino al grande “ambiente sociale”, che soprattutto mediante i media produce, nel bene e nel male, identificazioni e modellamenti. Il messaggio in questo senso è chiaro: educare è trasmettere convinzioni mediante pratiche e stili di vita, in modo che la persona diventi capace di rispondere, ossia di modellarsi secondo lo stile della responsabilità; nello stesso tempo, educare è trasmettere pratiche di fiducia e di speranza, di 21


amore per la vita tutta. Questa “trasmissione” non è fatta tanto attraverso l’insegnamento verbale, quanto soprattutto mediante la forma di vita di una comunità vitale, attraverso “la forza d e l l ’e s e m pio”, la sua validità, commisurata all’autenticità della forma di vita in cui esso si concretizza. Il grande ambito della custodia del creato richiede oggi più che mai una rinnovata conversione, una nuova educazione ed una formazione orientata alla messa in opera di nuovi stili di vita. Papa Benedetto XVI ha richiamato in diversi interventi come ancora «in Paesi di antica industrializzazione si incentivino stili di vita improntati ad un consumo insostenibile, che risultano dannosi per l’ambiente e per i poveri», mentre «la salvaguardia del creato postula l’adozione di stili di vita sobri e responsabili, soprattutto verso i poveri e le generazioni future» (Angelus, 6 dicembre 2009); per questo «è fondamentale educarsi tutti ad un consumo più saggio e responsabile », in cui «anche le scelte dei singoli, delle famiglie e delle amministrazioni locali» hanno la loro importanza. In altre parole, «si rende ormai indispensabile un effettivo cambiamento di mentalità che induca tutti ad adottare nuovi stili di vita» (Angelus, 14 novembre 2010). Un tale cambiamento di mentalità, assieme all’adozione di nuovi stili di vita, è fortunatamente già iniziato in diverse realtà ecclesiali e sociali. Pensiamo, tra gli altri esempi, alle iniziative dei “bilanci di giustizia”, dell’economia civile e di comunione, alla gestione ecologica dei terreni e degli edifici di proprietà della Chiesa, a contratti quadro per forniture di energia che provenga da fonti rinnovabili, ai Gruppi di acquisto solidale, alle famiglie che si aggregano per un uso più ragionevole dell’auto, alla raccolta differenziata, all’educazione nelle scuole all’uso dell’acqua e così via. Sono iniziative che partono dalla vita ordinaria, per espandersi in modo più largo, ed è proprio questa la forza di un’educazione che assume gli stili di vita come opportunità in grado di “contagiare” e di avviare una nuova forma di vita improntata alla cura del creato.

TERRA: SFIDE PER LA FAMIGLIA UMANA Già nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 2008, al n. 7 Benedetto XVI parlava della terra come della casa della famiglia umana, lo spazio in cui essa può realizzare una convivenza nella pace: «Per la famiglia umana questa casa è

la terra, l’ambiente che Dio Creatore ci ha dato perché lo abitassimo con creatività e responsabilità». Una terra, dunque, che è dono, da ricevere con gioia, da coltivare con creatività e da custodire con attenzione: l’umanità si trova nella condizione impegnativa dell’ospite, accolto ma anche chiamato a responsabilità per lo spazio in cui è collocato. Come osserva la Caritas in Veritate al n. 50 c’è un «dovere gravissimo» di «consegnare la terra alle nuove generazioni in uno stato tale che anch’esse possano degnamente abitarla e ulteriormente coltivarla». La terra stessa si colloca, insomma, tra quei beni comuni che esigono di essere tutelati per garantire il futuro della famiglia umana. La stessa enciclica evidenzia, però, anche quanto numerose siano le sfide cui la famiglia umana deve far fronte nel nostro tempo, per poter essere all’altezza di tale vocazione. In occasione di questa Giornata del Creato 2011 merita ricordarne alcune, più direttamente legate proprio alla realtà della terra: • Il dissesto idrogeologico è una problematica strutturale del nostro Paese che richiede particolare attenzione e cura per gli ecosistemi così come per le modalità di edificazione in ambito urbano ed extraurbano. È una realtà resa ancor più evidente in questi ultimi mesi dai numerosi eventi climatici estremi che hanno colpito tanto il Nord quanto il Sud dell’Italia, causando vittime innocenti e gravi danni economici alle famiglie e ai sistemi produttivi locali, sia in agricoltura che nell’industria. • Lo stesso rischio idrogeologico è accentuato da una gestione del territorio italiano non abbastanza preveggente. Il consumo intensivo di suolo per fare spazio a nuove abitazioni, reti viarie, insediamenti industriali non rappresenta infatti soltanto un’emergenza ambientale, ma anche un fattore problematico per la qualità della vita e dello sviluppo economico. Basti ricordare che, a fronte dei circa 4 milioni di nuove case costruite negli ultimi 15 anni, il problema casa rimane una delle grandi emergenze sociali del nostro Paese; che il traffico veicolare – con i tempi di spostamento, il numero di incidenti e di morti sulle strade e l’aumento dell’inquinamento atmosferico – rappresenta quasi sempre il problema principale nelle aree urbane; che la disseminazione a macchia di leopardo di capannoni e di aree industriali e/o artigianali su tutto il Paese non ha certo rappresentato una risposta positiva alla crisi economica e occupazionale. • D’altra parte, non è certo solo in Italia che l’uso del suolo è sempre più intenso: l’intero continente europeo è caratterizzato da una crescente urbanizzazione. È un fenomeno che va sotto il nome di urban sprawling e che a fianco dei processi insediativi vede lo sviluppo di infrastrutture come centri commerciali, direzionali, strade di collegamento, ecc. È così che lo spazio ambientale disponibile per le specie animali e vegetali si comprime, esponendo a gravi rischi quella biodiversità che costituisce elemento fondamentale della stabilità degli ecosistemi. Non stupisce che nel continente europeo risultino minacciati il 42% delle specie di mammiferi, il 15% di quelle di uccelli e il 52% per i pesci d’acqua dolce; inoltre, quasi 1.000 specie vegetali sono gravemente minacciate oppure in via di estinzione. • Se allarghiamo lo sguardo all’intero pianeta, ciò che maggiormente preoccupa è, però, la contrazione delle aree destinate all’agricoltura, che intacca la sicurezza alimentare per l’umanità e spinge in alto i prezzi delle derrate sui mercati internazionali, mettendo a rischio per molte popolazioni la stessa sopravvivenza. Tale dinamica si intreccia poi con quelle massicce acquisizioni di terra coltivabile in aree che ancora ne dispongono effettuate da parte delle nazioni economicamente più forti. La loro volontà di garantire il proprio futuro alimentare si traduce, però, in un ulteriore aggravamento della condizione dei poveri della terra, che spesso si vedono privati dei mezzi per garantire la propria sussistenza. Quella destinazione universale dei beni della terra che sta al 22


centro della Dottrina Sociale della Chiesa viene così contraddetta da una modalità drammaticamente iniqua di uso della terra. Sono solo poche indicazioni, che mostrano quanto stretto sia il legame tra la vita della famiglia umana e il modo in cui essa si prende cura del pianeta e delle sue risorse. Esse evidenziano anche quanto profonda sia quella “conversione ecologica”, di cui il Beato Giovanni Paolo II segnalava la necessità per garantire un futuro sostenibile per le prossime generazioni.

I MIGRANTI AMBIENTALI E LA SOSTENIBILITÀ DELLO SVILUPPO La Giornata per la Salvaguardia del Creato 2010 si è svolta in un clima di forte apprensione e di sconcerto, di fronte alle immagini di una macchia di greggio che si estendeva per miglia e miglia nel Golfo del Messico a seguito della perdita di petrolio della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon al largo dello Stato della Louisiana. Anche in questo 2011 le celebrazioni della 6a Giornata per la Salvaguardia del Creato richiamano lo scheletro della centrale nucleare di Fukushima in Giappone, il senso di impotenza dei tecnici, le presunte responsabilità di chi forse sapeva di problemi della centrale precedenti al terremoto. Una certa attenzione per il creato – per lo meno nella sua accezione limitata di ambiente, segnato da emergenze e disastri – è, insomma, oggi ben presente nell’opinione pubblica. Ciò che manca è piuttosto uno sguardo complessivo e una consapevolezza sull’argomento, capace di declinarlo in termini di sfruttamento delle risorse energetiche del pianeta, di sviluppo delle popolazione del Sud del mondo, di governance e solidarietà internazionale, ma anche di impegno delle comunità religiose, di vita spirituale e relazioni sociali – aspetti certo complessi da comunicare, ma non per questo di difficile comprensione. Come ci ricorda Papa Benedetto XVI nel n. 49 della Caritas in Veritate, infatti, la questione ambientale è profondamente interconnessa allo sviluppo delle aree più povere del pianeta. Si tratta, in effetti, di un rapporto di fondamentale importanza per comprendere appieno la questione ecologica, nei suoi legami con la solidarietà internazionale e con quell’interdipendenza socio-economica tra le diverse aree che chiamiamo globalizzazione; esso inserisce a pieno titolo il dibattito attuale sulla possibilità di nuovi modelli di sviluppo nella riflessione sulla Custodia del Creato. Si pone qui allora una duplice, urgente domanda: da una parte, se in futuro possa esistere una discontinuità nello sviluppo economico per i Paesi più industrializzati, dall’altra quale sviluppo si possa immaginare per Paesi meno avanzati, se la globalizzazione ha alimentato anche in essi sistemi insostenibili di produzione, commercio e finanza nati e sviluppati nel Nord del mondo. Quei modelli di sviluppo che continuano a prevalere nei Paesi industrializzati, vengono pure imitati dalle economie emergenti, con conseguenze sociali di crescita del benessere a breve termine, ma anche con implicazioni ambientali spesso devastanti. La Valutazione delle Conoscenze nell’Agricoltura e nelle Tecnologie per lo sviluppo (IAASTD) ha, ad esempio, sottolineato come le modalità attuali di produzione agricola abbiano sì offerto vantaggi per le popolazioni più povere del pianeta, ma abbiano pure generato profonde disuguaglianze in materia di accesso alla

tecnologia e al cibo, aggravando gli effetti negativi sull’ambiente e mettendo in pericolo la sostenibilità in nome della sicurezza alimentare. Ci sono, insomma, prove sufficienti a dimostrare che il percorso attuale di sviluppo è insostenibile in termini ambientali ed esige un’azione immediata nella ricerca di valide alternative. La Custodia del Creato coinvolge inoltre un altro aspetto di solidarietà internazionale, espresso dal principio di responsabilità ambientale. I Paesi del Sud del mondo, infatti, non sono certo i primi responsabili del cambiamento climatico in atto, ma è su di essi che si riversano prevalentemente i suoi effetti, sotto forma di siccità o piogge torrenziali. Per quanto riguarda i beni alimentari, inoltre, essi non generano solo situazioni di carovita, ma – per economie legate soprattutto ad agricoltura e allevamento – mettono a repentaglio la semplice sopravvivenza quotidiana. Il divario tra Paesi ricchi e poveri si ripresenta qui in termini di mancanza da parte di quest’ultimi degli strumenti e delle conoscenze necessarie ad adattarsi e gestire le conseguenze dei mutamenti del clima. Comprendiamo bene, allora, che il mancato accesso di comunità e individui alla terra, all’acqua, al cibo, alle foreste, all’energia, assieme ai disastri naturali, possa generare flussi migratori imprevedibili di “rifugiati ambientali”. Già dagli anni Ottanta il numero dei migranti a causa di cambiamenti climatici è passato da una media di 121 milioni a 243 milioni all’anno. Secondo il rapporto 2009 dell’IPCC (Comitato intergovernativo sul cambiamento climatico) entro la metà di questo secolo 200 milioni di persone rischiano di diventare permanentemente sfollati per cause ambientali; quasi un miliardo di persone rischiano di subire eventi catastrofici; 344 milioni sarebbero quelle esposte a cicloni tropicali, 521 milioni a inondazioni, 130 milioni a siccità, 2,3 milioni a frane. Nei Paesi Ocse le catastrofi climatiche colpiscono un abitante su 1.500, in quelli in via di sviluppo il dato è di 1 su 19. Al centro di una “visione” di sostenibilità ambientale deve, insomma, esserci un fondamentale riconoscimento della dignità di ogni essere umano, con particolare attenzione ai più poveri e ai più vulnerabili. Questo obbligo va oltre l’aspetto individuale e esige da ogni persona un contributo al bene comune espresso in un’assunzione di responsabilità ed una scoperta di cittadinanza attiva a tutti i livelli politici e sociali. Un esempio di mobilitazione in Italia è la Campagna “Crea un clima di giustizia” promossa da FOCSIV – Volontari nel mondo insieme agli Uffici Nazionali della CEI per i problemi sociali e il lavoro, per la cooperazione missionaria tra le Chiese e un vasto cartello di Associazioni cattoliche. L’obiettivo è quello di sensibilizzare giovani e adulti, in vista delle Conferenze delle Nazioni Unite sulla mitigazione del mutamento climatico per il periodo successivo al protocollo di Kyoto, la prossima delle quali è prevista in Sudafrica nel 2011. Solo vivendo pienamente la propria cittadinanza si potrà, insomma, prontamente e pienamente realizzare un autentico sviluppo umano che salvaguardi il Creato. 23


I cattolici in politica: tra appartenenza e coerenza

Rocco D’Ambrosio, docente di Filosofia Politica

A quale partito si deve appartenere come cattolici?

Nel dibattito su cattolici e politica in Italia, degli ultimi anni, il riferimento più costante è sempre stato quello al tema dell’appartenenza. In sintesi la domanda ricorrente è: quale partito oggi è più fedele ai principi cattolici tanto da essere sostenuto e votato? In altri termini: a chi si deve appartenere politicamente come cattolici? Le domande, e il modo in cui si pongono, hanno una peculiarità tutta italiana: fino a quando è esistita la Democrazia Cristiana i cattolici italiani, fatta eccezione per alcune qualificate minoranze, raramente si sono interrogati sulla loro appartenenza politica. La DC era di fatto il partito dei cattolici, i pastori la proponevano e la tutelavano come tale, la maggior parte dei fedeli si riconosceva in essa e vi apparteneva senza molti problemi. Gli interrogativi, di cui sopra, hanno iniziato a marcare fortemente il dibattito da quando la DC è scomparsa, cioè dal 1994 in poi. Da allora diversi cattolici, per la maggior parte provenienti dalla DC, hanno dato vita a partiti e gruppi di diretta o indiretta ispirazione cristiana. La frammentazione, in un contesto educato ad un approccio monolitico - cattolico politicamente significava democristiano - ha fatto esplodere il dibattito sull’appartenenza, altrimenti espresso con termini correlati: unità politica dei cattolici, partito cattolico, ricomposizione dell’area cattolica e così via. Tuttavia, per quanto si comprendano le motivazioni storiche, culturali ed emotive di tutte le riflessioni sul tema, va evidenziato come questo approccio, in ultima analisi, sia stato più deleterio che benefico. Per diversi motivi.

Un evento irreversibile?

Il primo è che la fine della DC non è stata accettata come un evento storico irreversibile, causato da una molteplicità di fattori, su cui solo pochi hanno offerto chiare e profetiche analisi, per lo più trascurate: penso ai contributi di Aldo Moro (specie nelle lettere dalla prigionia), di Pietro Scoppola, Raniero La Valle. Al contrario si è verificato che, invece di accettare il dato e di pensare a forme e strategie nuove, si è accresciuta la voglia di DC. E, per giunta, non della migliore tra le tante DC che abbiamo conosciuto, ma spesso la nostalgia era per le sue forme più deleterie. Spesso si ha l’impressione, infatti, che più che alla storia insigne di valori, progettualità e personalità della DC, l’interesse di alcuni sia alla Balena bianca, ovvero a quel partito vagamente cristiano, forte collettore ed erogatore di consensi e favori, in ogni tempo e luogo. Ne volete una prova? Si chieda, per esempio, a tutti quelli che sono affetti da cronica voglia di Dc quanta storia del partito conoscono, se abbiano mai letto e studiato un libro di Murri, Sturzo, La Pira, Moro, per non parlare del magistero sociale dei Papi e di tutta la tradizione dei cattolici impegnati in politica. La DC fu segnata, specie nei suoi primi decenni, dallo sforzo di elaborare una cultura religiosa e politica, frutto di un’analisi concreta della società contemporanea; fu ispirata e vivificata dai valori cristiani. Questa era la vera DC: il giovane Moro scriveva nel 1946 che l’essenza di un partito cristiano consisteva in autentico spirito d’amore, profonda comprensione, assoluta delicatezza. E certo non è la stessa che riemerge nelle dichiarazioni di chi la vuole rifondare con strategie di basso profilo intellettuale ed etico.

Il discernimento

Il secondo motivo, della limitatezza di approccio al dibattito, è dato dal ruolo dei pastori cattolici. La scarsezza di formazione in materia sociale e politica, la riduzione della fede ad ideologia, la convinzione che il centrodestra possa essere la nuova DC, la ricerca di privilegi e sussidi non ha sempre portato i pastori ad aiutare i fedeli laici impegnati in politica a fare discernimento serio e costruttivo sul tema, ma ha solo offerto occasioni per ripetere approcci stantii e logori. Si comprende bene come una maggiore attenzione ai cardini teologici e morali dell’impegno cristiano in politica avrebbe potuto portare i pastori non tanto ad interessarsi di forme e strategie partitiche - spesso forme riviste e corrette di collateralismo, per lo più orientate a ottenere privilegi - quanto ad educare comunità e singoli fedeli ad essere autentici profeti nel mondo politico.

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La riflessione teologica

Il terzo motivo della limitatezza di approccio al dibattito sulla fine della DC, è da ricercarsi in una scarsezza di riflessione teologica, anche a motivo della non completa assimilazione dello spirito e della lettera del Vaticano II. La fine della DC, infatti, non andava e non va salutata come una disgrazia, ma come un evento propizio per i cattolici italiani di inserirsi in modo maturo nel solco conciliare. Ovviamente questo discorso non comporta un giudizio completamente negativo sulla storia della DC. Essa, come ogni fenomeno umano e politico, presenta luci ed ombre, meriti e demeriti, vizi e virtù che qui lascio ad altre riflessioni e contesti. Mi preme, invece, riprendere il riferimento fondante: un’unica fede può portare ad impegni politici diversi (cfr. Paolo VI e Vaticano II). Accettare questo dato significa concentrarsi più su problemi di coerenza che di appartenenza. In altri termini la fine della DC doveva e deve significare l’avvio di una nuova profezia sulla politica e sull’impegno dei cattolici in essa. Per nuova profezia intendo una grande opera di discernimento per comprendere che cosa il Signore volesse, in termini di contenuti e di stili di presenza, dai fedeli laici e dai pastori nel loro rapportarsi alla politica. Purtroppo si deve registrare che, anche perché la profezia scarseggia, i cattolici non solo non sono stati vigili nello mascherare le nuove forme di malapolitica, ma, alcune volte, ne sono stati anche complici.

Credenti, coerenti, dediti al bene comune

Se i cattolici, stando al magistero sociale, possono impegnarsi in tutte le formazioni politiche, fatti salvi alcuni principi morali (Cfr. Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica, 2002, n. 4), il primo problema da discutere è: i cattolici impegnati nei diversi partiti e movimenti politici sono coerenti con la loro fede cristiana, assumono atteggiamenti profetici, vivono il loro impegno come testimoni del Regno di giustizia e di pace? Ovviamente non si intende proporre qui l’analisi della coscienza altrui, magari scadendo in forme offensive e lesive della dignità e della riservatezza personali, quanto porre un problema di tipo comunitario. La comunità cristiana ha il diritto-dovere di formare, verificare e promuovere tutte quelle iniziative che aiutino i fedeli laici a essere coerenti con il Vangelo che professano, in politica come in tutti gli ambienti della vita umana. Una delle parole più chiare, in materia, è stata quella di Benedetto XVI a Praga, nel settembre 2009. «C’è bisogno di responsabili politici credenti e credibili, dediti non al proprio interesse egoistico ma al bene comune», ha ripetuto più volte il Papa, ricordando San Venceslao, il re boemo buono e generoso ucciso per motivi politici nel 935 e divenuto patrono della nazione ceca. «Persone che siano credenti e credibili, pronte a diffondere in ogni ambito della società quei principi e ideali cristiani ai quali si ispira la loro azione. Questa è la santità, che spinge a compiere il proprio dovere con fedeltà e coraggio, guardando non al proprio interesse egoistico, bensì al bene comune, e ricercando in ogni momento la volontà divina». L’esempio di San Venceslao, ha proseguito, «incoraggia chi si dice cristiano ad essere credibile, cioé coerente con i principi e la fede che professa. Non basta infatti apparire buoni e onesti; occorre esserlo realmente».

i CATTOLICI E IL “BERLUSCONISMO”

Rocco D’Ambrosio, docente di Filosofia Politica Tentiamo di interpretare un fenomeno assai complesso. Ha risvolti antropologici, etici e politici. Quale atteggiamento ha verso di esso il mondo cattolico?

In molti, cattolici e non, si chiedono: che cosa succede all'Italia politica? Il dilagare del malcostume, tuttavia, supera gli ambiti della politica e si pone come un problema molto più generale. Qualche tempo fa abbiamo tentato, insieme ad una amica psichiatra, di cercare di capire gli anni che stiamo vivendo (cfr. d'Ambrosio-Pinto, La malpolitica, Di Girolamo). Concordavamo sul fatto che si sta radicando sempre più una nuova cultura, ormai definita chiaramente come "berlusconismo". Essa è un modo di essere e pensare che supera lo stretto ambito individuale della persona di Silvio Berlusconi e si pone come un ampio movimento di idee e di azioni, che, tuttavia, ha in lui il suo leader indiscusso. Il berlusconismo è un misto, molto discutibile, di diverse caratteristiche antropologiche, etiche e politiche, che oggigiorno riscuotono molti consensi. I suoi elementi più appariscenti sono: un marcato utilitarismo, la sete sfrenata di potere e denaro, una dubbia (e spesso immorale) vita personale, il servirsi delle istituzioni più che il servirle, il piegare le leggi a proprio favore, il vantarsi di non pagare le tasse, lo stile volgare e arrogante, l'offendere gli avversari, l'ambiguità di giudizio su fenomeni come mafie, servizi segreti e massoneria deviata, il ritenere nemici tutti coloro che non condividono il proprio pensiero ed operato, l'utilizzo strumentale della religione, il mancato rispetto della laicità dello Stato, il non mantenere fede agli impegni presi, l'ottenere il consenso con ogni mezzo lecito e illecito, la forte tendenza all'autoreferenzialità e al ritenersi al di sopra di tutto e di tutti. Sono questi elementi che vanno compresi e studiati, sanati e bonificati, se non si vuol parlare di crisi a vanvera. 25


Quale atteggiamento tenere?

Conversione, profezia, impegno

L'errore più sciocco sarebbe sottovalutare il berlusconismo e quello più grave essere complici e diffusori, più o meno coscienti. Succede forse questo a quei diversi pastori e laici cattolici, troppo tolleranti nei confronti del berlusconismo e del leghismo, ad esso correlato. Domanda: è possibile essere cristiani e, insieme, berlusconisti e/o leghisti? Il berlusconismo sembra propugnare quel tipo di cattolico borghese che si accontenta di un richiamo, spesso solo a parole, a certi principi della dottrina cattolica (famiglia, salvaguardia della vita, bioetica) e dimentica e tradisce tanti altri (bene comune, solidarietà, accoglienza e promozione degli ultimi, giustizia e legalità, promozione della pace e della salvaguardia dell'ambiente naturale). Forse l'appoggio alla destra berlusconiana è funzionale a garantire la continuità di alcuni privilegi economici e fiscali verso la comunità cattolica. Il berlusconismo ha ancor più evidenziato quanto la politica sia un campo minato e basti ben poco per incorrere in ordigni pericolosi quali: privilegi, finanziamenti, campagne ed accordi elettorali, deleghe ai partiti. Orbene, nel momento in cui alcuni pastori adottano una prassi di presenza diretta e appoggio esplicito in politica, queste mine "esplodono" nelle loro mani e compromettono l'autenticità della testimonianza evangelica dei pastori e, di riflesso, delle intere comunità da essi rappresentate. Consegue che sarebbero tanti i motivi a consigliare vivamente l'abbandono di questa prassi. Accanto alle motivazioni teologiche e costituzionali, non vanno trascurate quelle pastorali: molti cattolici, sia laici che pastori, sono scandalizzati o infastiditi dal vedere alcuni esponenti della gerarchia troppo compromessi con alcuni settori politici. Si pensi all'assordante silenzio di diversi pastori sulle vicende immorali che hanno investito il presidente del Consiglio o, addirittura, a quei tentativi - pochi, grazie a Dio - di giustificare l'immoralità di alcuni politici con discorsi sulla "contestualizzazione" di alcuni atti o altri ipocriti giri di parole. Ha scritto profeticamente Silvano Fausti: "Basta reggere il moccolo a queste liturgie da Satyricon e aumentare la confusione per pescare meglio nel torbido! Dipende da noi credenti e da quanti hanno rispetto di sé e degli altri risvegliarci da delirio a saggezza. Pur amando buoni e cattivi - siamo tutti peccatori - diciamo con chiarezza male al male e bene al bene, senza guardare persone e interessi. Più profezia e meno scodinzolamenti. Ai santi patroni Caterina e Francesco, che vissero in tempi non migliori dei nostri, chiediamo che i vescovi siano sempre meno yes-man e più yes-Lord (Atti 5,29). I cristiani hanno la possibilità, anzi il dovere, di convertirsi e cambiare la situazione" (Popoli, febbraio 2011).

Allora la strada per le nostre comunità sembra essere: conversione - profezia - impegno nel mondo. Il berlusconismo ha pervertito e sovvertito i nostri ambienti, in diversi casi, più di quello che osiamo pensare e constatare. Di esso dobbiamo fare una lettura spirituale, sapienziale, con l'aiuto dello Spirito; lettura che conduce inevitabilmente, quando è autentica, alla conversione personale e comunitaria. La profezia sulla società e politica italiana deve nascere da questo atteggiamento autentico di conversione. La profezia, infatti, è il modo con cui il buon Dio rivela il Suo volere. È rivelazione del piano di Dio nella storia e, al tempo stesso, è giudizio sulla comunità dei credenti e sul mondo perché questi ritornino a Lui con tutto il cuore (cfr. Gl 2, 12-17). È continua presenza di Dio in mezzo al suo popolo. E nel vivo del tessuto ecclesiale che si impara, si pratica e si vive la profezia, distinguendola da quella falsa e da atteggiamenti umani che profezia non sono. Spiega Romano Guardini: «Profeti non si diviene per qualità d'ingegno, ma per lo Spirito di Dio che chiama al servizio della sua scienza salutifera. Il termine di riferimento per il profeta è il volere di Dio: il suo operare e la storia che risulta da quell'operare». E poi l'impegno nel mondo. Ossia il provare la propria fede, il verificare la personale e comunitaria testimonianza cristiana nel vivo delle realtà lavorative, sociali, culturali, politiche. Il Vangelo è per tutte le donne e gli uomini del nostro tempo e per tutti gli ambienti. Il berlusconismo è anche (non solo) frutto di una formazione cattolica moralistica, devozionistica, attenta solo ad alcuni temi morali e allergica ad altri. Il berlusconismo si radica e cresce specie quando siamo concentrati più sull'appartenenza politica dei cattolici che sulla loro coerenza. Non abbiamo bisogno di una nuova DC, né di nuove formazioni politiche - del resto l'Italia ha fin troppi partiti - che si ispirino al Cristianesimo. Abbiamo solo bisogno di donne e uomini coerenti, che testimonino sempre il Vangelo nel mondo sociale e politico. Nel 1946 Luigi Sturzo scriveva profetiche parole che conservano un'attualità incredibile: "Ma nessuno creda che le sorti del nostro paese potranno cambiare da un giorno all'altro; e che ci siano uomini che abbiano facoltà tali da farci superare le attuali crisi a breve scadenza e con prospettive vantaggiose. Non l'uomo, ma gli uomini occorrono all'Italia (come occorrono agli altri paesi). Questi uomini siamo tutti noi, ciascuno nel suo piccolo; ciascuno con la sua volontà di lavorare per il bene degli altri; ciascuno rispondendo all'appello della propria coscienza e cooperando con gli altri con attività e sacrificio. (...). Per esperienza più che semi-centenaria di vita attiva, specialmente in politica, e con ventidue anni di esilio, sono convinto che gli stati d'animo e di sfiducia e di depressione sono l'anticamera delle sconfitte: e che l'iniziativa fiduciosa è sempre la vincente». 26


“Signore, da chi andremo?”

(Gv 6,68)

IL CONGRESSO EUCARISTICO NAZIONALE DI ANCONA

Nel decimo anniversario dell’11 settembre 2001, il Papa ha ricordato che la storia ci dimostra «come l’obiettivo di assicurare sviluppo,benessere e pace prescindendo da Dio» si è risolto in un tragico fallimento.

Non c’è pace

senza Dio

Anche dal Congresso eucaristico nazionale non è mancato un pensiero alle vittime dell’11 settembre, che Benedetto XVI ha ricordato nella preghiera lanciando un invito alle autorità mondiali e a ogni uomo di buona volontà «a rifiutare la violenza come soluzione dei problemi, a resistere alla tentazione dell’odio e a operare nella società, ispirandosi ai princìpi della solidarietà, della giustizia e della pace». «La tragedia di quel giorno è aggravata dalla pretesa degli attentatori di agire in nome di Dio», aveva scritto papa Ratzinger nel messaggio all’arcivescovo di New York. E nell’omelia ad Ancona ha proposto, invece l’immagine del Dio che ha amato l’uomo al punto da scendere sulla terra e da restare concretamente e quotidianamente proprio nell’Eucaristia. Quindi, si è riferito all’attualità, sottolineando che «dopo aver messo da parte Dio, o averlo tollerato come una secelta privata che non deve interferire con la vita pubblica, certe ideologie hanno puntato a organizzare la società con la forza del potere e dell’economia. La storia ci dimostra, drammaticamente, come l’obiettivo di assicurare a tutti sviluppo, benessere materiale e pace prescindendo da Dio e dalla sua rivelazione si sia risolto in un dare agli uomini pietre al posto del pane». Perciò, «è anzitutto il primato di Dio che dobbiamo recuperare nel nostro mondo e nella nostra vita, poiché è questo primato a permetterci di ritrovare la verità di ciò che siamo. Da dove partire, come dalla sorgente, per recuperare e riaffermare il primato di Dio? Dall’Eucaristia: qui Dio si fa così vicino da farsi nostro cibo, qui egli

si fa forza nel cammino spesso difficile, qui si fa presenza amica che trasforma». L’unica sorgente eucaristica accomuna anche l’ordine sacro e il matrimonio, ha detto il Pontefice rivolgendosi ai sacerdoti e agli sposi: «Entrambi questi stati di vita hanno, infatti, nell’amore di Cristo, che dona sé stesso per la salvezza dell’umanità, la medesima radice. Sono chiamati a una missione comune: quella di testimoniare e rendere presente questo amore a servizio della comunità, per l’edificazione del popolo di Dio». E per la prima volta un incontro con il Papa è stato riservato ai fidanzati. A nome di tutti, Fabiana Frapiccini e Massimiliano Bossio gli hanno esplicitato la bellezza di «questa esperienza esaltante», ma nel contempo gli hanno espresso «le difficoltà e le paure che ci assalgono», con l’interrogativo su «dove trovare il coraggio per far fronte a queste sfide». Benedetto XVI non si è sottratto alla sfida e ha condiviso la preoccupazione per le difficoltà del nostro tempo, ricordando che «il vero amore promette l’infinito» e invitando per questo a «non perdere mai la speranza»

Eucaristia, raggio di luce

sui sentieri della nostra vita

Per otto, intensi, giorni Ancona è stata protagonista di un Congresso eucaristico che, giunto al 25° appuntamento della sua storia, ha approfondito ogni aspetto spirituale e pastorale, ma nel contempo non si è sottratto al confronto con l’attualità. Come ha sottolineato il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, ha infatti avuto il merito di far riscoprire «il legame inscin27


dibile tra l’Eucaristia e la vita quotidiana, poiché uno degli effetti più insidiosi della secolarizzazione è di relegare la fede cristiana ai margini dell’esistenza, quasi sia inutile e sterile per la vita concreta». L’itinerario delle riflessioni si è snodato sulla traccia avviata nel Convegno ecclesiale di Verona 2005, con i cinque ambiti della vita affettiva, della fragilità, del lavoro e festa, della tradizione e della cittadinanza. Ciascuno è stato attualizzato in una specifica giornata, con un preciso riferimento alla dimensione eucaristica. Commentando la “Passione di Dio per l’uomo”, come è stato reinterpretato il tema dell’affettività, Ina Siviglia Sammartino e Domenico Simeone hanno sottolineato che uno dei compiti della comunità ecclesiale deve essere di «aiutare a concepire il nucleo dell’affettività come generatore dell’unità della persona», investendo «un supplemento d’anima nella creazione di relazioni educative fondate sulla fiducia». Rispetto alla fragilità, l’Eucaristia si è proposta come “Presenza di misericordia”. «Le opere di carità», ha messo in luce don Vinicio Albanesi, «sono continuazione dell’azione di Dio: se il miracolo è evento eccezionale, l’azione caritativa ne è la continuità quotidiana». Il binomio lavoro-festa è stato invece racchiuso nel titolo “L’Eucaristia nel tempo dell’uomo”. Stefano Zamagni ha indicato le tre strade su cui, da subito, deve incamminarsi il tema del lavoro: «per tutti», «decente», «compatibile con la famiglia». Sul versante della festa è intervenuto don Paolo Tomatis, che ha ricordato come Gesù ponga la festa «non a

lato della vita, né al suo termine, ma nel cuore dell’esperienza di incontro con Dio». “Pane del cammino” è invece stata la definizione dell’Eucaristia in rapporto con l’ambito della tradizione. «L’Eucaristia è il sacramento della speranza ecclesiale», ha pun-tualizzato l’arcivescovo Bruno Forte. E il vescovo Luciano Monari ha aggiunto che l’Eucaristia «è tutto quello che porta nel mondo una forza di amore e solidarietà, in modo che il Risorto sia concretamente presente e operante nel mondo d’oggi». Ripetendo più volte la parola “insieme”, il cardinale Angelo Bagnasco ha lanciato un appello nell’ambito della “cittadinanza”, declinato con il titolo “Eucaristia, luce per la città”. Tre le sottolineature: “insieme” «si percorrono le vie del servizio se non si vuole essere velleitari, ancorché generosi», «senza avventure solitàrie, per essere significativi ed efficaci», «secondo le forme storicamente possibili, con realismo e senza ingenuità o illusioni, facendo tesoro degli insegnamenti della storia». Sul senso dell’appartenenza alla comunità e della condizione di cittadini si è soffermato Lorenzo Ornaghi, per il quale è oggi in crisi di identità il concetto comunitario, come dimostrano le difficoltà in cui si trova l’Europa, dove «sembrano essere messe in discussione tutte le dimensioni della cittadinanza». Dinanzi a questo scenario, ecco il suggerimento di Francesco Belletti: «Restituire alla cittadinanza una vocazione alla responsabilità, facendo prevalere il bene comune sulle tentazioni di corporativismo». Molti altri incontri si sono svolti nel contesto del Con28

gresso. Al seminario di Retinopera, il segretario generale della Cei monsignor Mariano Crociata ha approfondito il rapporto fra l’Eucaristia e l’impegno sociale: «II culto cristiano non è un mero atto privato, ma possiede un carattere pubblico che impegna le relazioni sodali. La “cultura eucaristica” genera un nuovo modo di pensare e di vivere, percepibile anche al di là dei confini espressamente ecclesiali». Anche il Pellegrinaggio delle famiglie, promosso dal Rinnovamento nello Spirito in collaborazione con numerose altre aggregazioni ecclesiali, quest’anno ha fatto tappa ad Ancona, invece che nella consueta Pompei. La domenica è «il giorno privilegiato della famiglia», da non ridurre a «week-end, fine settimana consumista e individualista, disgregazione delle comunità e delle famiglie», ha detto il cardinale Ennio Antonelli, presidente del Pontificio consiglio per la famiglia. E pure Famiglia Cristiana ha voluto essere presente, organizzando il dibattito tra il vescovo di Avezzano, monsignor Pietro Santoro, e il professor Giancarlo Galeazzi, dell’Istituto teologico marchigiano, nell’ambito del progetto della libreria mobile Tobia. Oltre ai luoghi degli incontri, ci sono stati altri due punti focali del Congresso: la chiesa del Santissimo Sacramento, nel quale si è svolta l’adorazione eucaristica perpetua, e lo “Spazio giovani”, dove un centinaio di volontari hanno accompagnato tantissimi giovani nel percorso dell’incontro con Gesù Eucaristia. Come memoria del Congresso resteranno ad Ancona due segni concreti: il rinnovato Centro pastorale di Colle Ameno e il Centro caritativo intitolato al beato Gabriele Ferretti, rivolto a persone in difficoltà o senza fissa dimora.


DIOCESI DI BRESCIA

Comunità in cammino SINODO SULLE UNITÀ PASTORALI

STRUMENTO PER LA RIFLESSIONE E LA CONSULTAZIONE DIOCESANA

INTRODUZIONE Quando una Chiesa diocesana deve prendere decisioni importanti per la sua identità e la sua missione, sovente si riunisce in Sinodo. Il termine “sinodo” - dal greco syn (insieme) e odos (cammino) - significa letteralmente “convegno”, “adunanza”. Lo scopo di tale “convenire” non è giungere a una decisione democratica, dove la maggioranza del popolo ha diritto di indicare la via per tutti, ma è discernere insieme i desideri dello Spirito Santo, ascoltare ciò che lo Spirito dice oggi alla Chiesa. E lo Spirito di Cristo parla soprattutto attraverso i “segni dei tempi” e le persone ripiene della sua grazia. Ecco perché il Sinodo, in un contesto di preghiera e di ascolto della Parola di Dio, prevede sempre anche una consultazione del popolo di Dio, un discernimento spirituale comunitario, in vista di un nuovo cammino comune ed ecclesiale. In questa ottica, prima di ripensare la struttura diocesana nella forma delle unità pastorali - scelta particolarmente rilevante per il futuro della Chiesa bresciana - il vescovo Luciano ha ritenuto opportuno convocare un Sinodo particolare. Il tema delle unità pastorali non è certamente nuovo per la nostra diocesi. Si è iniziato a parlarne ufficialmente già con il documento approvato dal Consiglio presbiterale del 2 febbraio 2002. Nel frattempo sono state istituite l’unità pastorale del Centro storico (con nove parrocchie e un presbitero coordinatore) e quella di Botticino (con tre parrocchie e un unico parroco). Altre parrocchie stanno camminando da tempo in vista della loro costituzione in unità pastorale. Il Sinodo, che certamente farà tesoro di queste prime esperienze, prevede tre tappe, che costituiscono “insieme” l’evento del “Sinodo”: la riflessione e la consultazione delle comunità cristiane; l’assemblea sinodale; il documento post-sinodale con le indicazioni normative del Vescovo. Il presente testo, elaborato dalla “Commissione antepreparatoria”, ha lo scopo di aiutare le comunità cristiane a vivere intensamente la prima tappa del cammino. In modo particolare: la Lettera del Vescovo e la prima parte di questo Strumento per la riflessione e la consultazione diocesana si pongono al servizio della riflessione e della catechesi; mentre la seconda parte offre spunti e sollecitazioni per la consultazione. La terza parte, poi, indica alcuni momenti fondamentali del cammino diocesano in vista dell’assemblea sinodale. Nel frattempo verrà istituita una Segreteria del Sinodo, con un duplice compito: da un lato preparare e spedire alle comunità il materiale necessario per la riflessione e la consultazione; dall’altro, raccogliere il frutto del confronto e della consultazione diocesana da presentare alla Commissione sinodale che, alla luce delle osservazioni pervenute, redigerà un nuovo testo da offrire alla discussione ed all’approvazione dell’assemblea sinodale. Lo Spirito del Cristo risorto accompagni con la sua luce e la sua grazia questo anno sinodale, perché la nostra Chiesa, in ascolto del suo Signore, diventi sempre di più la comunità dei discepoli che, nella fede e nella comunione, danno ragione della speranza che è in loro. Il presidente della Commissione mons. Cesare Polvara 29


Diocesi di Brescia COMUNITA’ IN CAMMINO Sinodo sulle Unità Pastorali - Diocesi di Brescia COM

LA LETTERA DEL VESCOVO Carissimi, mi è stato suggerito di spiegare al presbiterio e alla diocesi le motivazioni che mi spingono e gli obiettivi che mi riprometto con il prossimo Sinodo sulle unità pastorali. E lo faccio volentieri con questa lettera. La nostra pastorale è fondata da secoli sulla parrocchia e sul parroco strettamente legati tra loro. La Chiesa locale (la diocesi) è articolata in parrocchie e ciascuna parrocchia è assegnata a un parroco che ne è pastore proprio e ne ha quindi piena responsabilità. Naturalmente possono darsi delle collaborazioni – soprattutto in momenti di particolare necessità: confessioni generali o sagre patronali – ma la relazione parrocchia-parroco rimane assoluta ed esclusiva: nella parrocchia il parroco è tutto, fuori della parrocchia è niente. Questa definizione pastorale ha avuto degli enormi meriti: ha permesso anzitutto una presenza capillare della Chiesa sul territorio, la vicinanza continua alle singole famiglie nei momenti importanti della vita. Il parroco era sentito (e in alcune parrocchie è ancora sentito) come uno di casa. Questo stile di servizio ha favorito nei parroci il senso di responsabilità e ha prodotto esperienze di dedizione ammirevole al ministero. Si pensi, ad esempio, a quel modello straordinario che è il santo Curato d’Ars. Siamo però testimoni e attori, oggi, di cambiamenti profondi che obbligano a ripensare la situazione. La mobilità delle persone è notevolmente aumentata e oggi quasi tutti si allontanano dalla loro residenza per andare a scuola o al lavoro o al luogo di divertimento; spesso a casa rimangono solo gli anziani. Attraverso la radio e la televisione il mondo intero entra nelle singole case e le persone diventano consapevoli di

drammi che si svolgono fisicamente lontano; si aggiunga internet attraverso cui il singolo utente naviga nel mondo intero alla ricerca di ciò che lo interessa e costruisce legami con persone diverse. Il territorio rimane ancora un elemento essenziale per definire l’identità della persona e della famiglia, ma ormai non è più il riferimento unico o decisivo. Se vogliamo seguire le persone e agire sul loro vissuto dobbiamo creare una pastorale che attraversi i diversi luoghi in cui le persone vivono e s’incontrano. Molto si è fatto con quella che veniva chiamata ‘pastorale d’ambiente’ – pastorale scolastica, pastorale del lavoro e così via. Ma le trasformazioni sono più profonde di quanto la pastorale d’ambiente riesca a cogliere. In secondo luogo l’ecclesiologia (e l’insegnamento del Vaticano II) ci ha insegnato l’importanza decisiva della comunione per cogliere il senso della Chiesa. La parrocchia, come espressione di Chiesa, riesce a comprendere la sua identità e a vivere la sua missione solo se rimane aperta in modo vitale alle altre parrocchie e alla Chiesa particolare (la diocesi); i confini mantengono un significato giuridico prezioso, ma non possono diventare limiti invalicabili per l’azione pastorale. Insistere troppo sull’identità parrocchiale e dimenticare la comunione diocesana fa perdere alcuni elementi preziosi dell’ottica di comunione. Infine la diminuzione del numero dei preti rende impossibile l’affidamento di ogni parrocchia a un parroco come nel passato. Dal punto di vista del territorio le scelte diventano: o eliminare le piccole parrocchie o affidare più parrocchie a un singolo parroco. Entrambe queste soluzioni non soddisfano perché sono troppo rigide e inevitabilmente producono spazi sempre più ampi non raggiunti dall’attività pastorale. La creazione di unità pastorali non risolve tutti questi problemi. Mi sembra, però, che aiuti ad affrontarli meglio perché va nella linea di una maggiore flessibilità. Si spezza il legame rigido parrocchia-parroco e se ne crea uno più ampio: unità pastorale (quindi un insieme di più parrocchie) ed équipe pastorale (quindi un insieme di presbiteri e di altri operatori pastorali). Questo permette una maggiore valorizzazione delle attitudini di ciascun operatore (prete giovane o prete anziano o diacono o catechista….) entro una visione unitaria di servizio. Nello stesso tempo questa articolazione pastorale favorisce la vita comune dei presbiteri (che non è e non diventerà un obbligo ma è un’opportunità preziosa che risponde a reali bisogni), la collaborazione e la corresponsabilità (perché c’è un programma pastorale che può essere fatto solo sollecitando il servizio di molti; e se molti debbono operare insieme diventa più facile che riflettano e decidano e verifichino insieme), l’attivazione di abilità nuove (un parroco, per quanto geniale, non riesce a fare tutto quello che una comunità umana oggi richiede; si pensi anche solo al mondo di internet o all’attenzione alle dinamiche del mondo giovanile). Come dicevo, sono ben lontano dal ritenere che le unità pastorali siano la soluzione dei problemi pastorali attuali. I cambiamenti richiesti sono ben più profondi e si radicano nella cultura del mondo contemporaneo. Ma sono convinto che le unità pastorali sono un elemento della soluzione e che, se fatte bene, possono favorire una trasformazione di tutto il tessuto pastorale, possono stimolare l’impegno di molti. Il 30


MUNITA’ IN CAMMINO Sinodo sulle Unità Pastorali -Diocesi di Brescia COMUNITA’ IN CAMMINO rischio è che l’unità pastorale sia percepita e vissuta come un’altra forma dell’accorpamento delle parrocchie e in questo modo si verifichi quella rarefazione della presenza sul territorio che vorremmo invece evitare. Per questo abbiamo bisogno di accompagnare la formazione delle unità pastorali con forme di capillarità che facciano capire e vedere alla gente che la Chiesa c’è, che è accanto a loro, che li cerca, che si mette al loro servizio. La pastorale contemporanea ha inventato (sta inventando) una molteplicità di forme di presenza di questo genere: i gruppi di ascolto del Vangelo, le cellule di evangelizzazione, le comunità famigliari, le piccole comunità di base e così via. Le forme sono molteplici ma nascono tutte da un bisogno sentito che è quello della prossimità. In una comunità cristiana ci si deve sentire prossimi gli uni degli altri; non ci possono essere persone o famiglie che nessuno ha in nota; bisogna che ogni battezzato senta di essere parte viva della comunità. E tutto questo si può ottenere solo con uno sforzo grande di prossimità. In particolare capisco che le unità pastorali non sono la soluzione ultima della pastorale cittadina. La città è un sistema unico con dinamiche proprie e la pastorale deve cercare di intrecciare questo sistema di vita nei suoi gangli vitali, i luoghi di incontro, i flussi di spostamento delle persone. Questo pone un problema che, mi sembra, non siamo ancora in grado di affrontare e di risolvere. In ogni modo, sono convinto che l’articolazione della diocesi in unità pastorali vada nella direzione giusta e che quindi di questo si possa e si debba discutere per giungere – se abbiamo un sufficiente consenso – a una decisione. Credo di avere già detto a sufficienza che non si tratta di cambiare in modo traumatico l’articolazione della diocesi. Si tratta di definire un traguardo da porre davanti al nostro cammino in modo che le diverse decisioni che si prenderanno in futuro non siano scoordinate, ma si muovano verso una meta precisa, con un ritmo calmo ma anche con progressione continua. Il motivo poi per cui desidero prendere questa decisione in un Sinodo si rifà alla tradizione della Chiesa. Il Sinodo fa parte della tradizione più antica della vita ecclesiale ed esprime nel modo migliore quel dinamismo di comunione che deve innervare tutte le scelte della Chiesa. La Chiesa non è una democrazia nella quale il potere appartiene al popolo e viene eventualmente gestito attraverso l’elezione di rappresentanti. Ma la Chiesa non è nemmeno una monarchia assoluta nella quale il potere appartiene al re e ai sudditi è lasciato solo il dovere dell’esecuzione fedele. La Chiesa è comunione gerarchica: le decisioni appartengono al Vescovo, ma il processo che

conduce alle decisioni deve coinvolgere tutta la comunità. Tutti i battezzati sono portatori della sapienza del Vangelo e sono mossi dallo Spirito santo. Sarebbe stolto non ascoltare chi ha realmente (anche se non tutto) il dono dello Spirito; sarebbe arrogante pensare di avere in modo completo questo dono senza il bisogno di confrontarsi con gli altri. Certo, un cammino di comunione non semplifica i passi e per certi aspetti può renderli anche più difficili. Solo se tutti sono davvero in ascolto dello Spirito, cercano non di prevalere ma di contribuire a formare una convinzione condivisa, sono liberi da impulsi di orgoglio e di autoaffermazione… solo in questo caso la logica sinodale si rivela vincente perché rende tutti davvero corresponsabili. Il cammino sinodale funziona bene solo se è accompagnato da umiltà, saggezza, desiderio di comunione, servizio fraterno. La scelta di fare un Sinodo è una scommessa: scommetto sulla maturità di fede della Chiesa bresciana. Sono convinto che sia una Chiesa matura, capace di riflettere nella pace e nella fraternità; capace di decidere senza animosità e senza parzialità; capace di accettare le decisioni senza risentimento. La sfida è tanto più importante nel contesto culturale attuale che non è certo incline alla sinodalità ma piuttosto allo scontro a trecentosessanta gradi. Se la Chiesa bresciana riesce a fare trionfare lo spirito sinodale sullo spirito di contrapposizione e contrasto obbedisce allo Spirito e nello stesso tempo immette nella società preziosi valori di comunione. Intendo quindi il Sinodo come un momento solenne della vita diocesana, ma non come un momento straordinario. Vorrei, piuttosto che la logica sinodale entrasse nel vissuto quotidiano delle nostre comunità e che la celebrazione di Sinodi finisse per apparire cosa normale. Non è un ‘evento’, come oggi si dice; è una funzione normale dell’esistenza diocesana. Questi sono i motivi della scelta di fare un Sinodo. Non sono ancora in grado di determinare i tempi della celebrazione perché non vorrei che una definizione prematura impedisse la riflessione calma e il contributo di tutti. Per di più nel 2012 si celebrerà a Milano l’Incontro mondiale delle famiglie che coinvolgerà anche le diocesi della regione. Staremo attenti a che le due celebrazioni non s’intralcino a vicenda. Con questi intendimenti pubblicherò tra qualche settimana il decreto che indice il Sinodo secondo gli esisti della consultazione fatta in tutte le zone pastorali; e chiedo a tutti di vivere questo momento di grazia con fede e con gioia. Il vostro vescovo + Luciano Monari (Giovedì santo, 21 aprile 2011 Brescia – Chiesa Cattedrale) 31


Diocesi di Brescia COMUNITA’ IN CAMMINO Sinodo sulle Unità Pastorali - Diocesi di Brescia COM

PARTE PRIMA

CONTRIBUTI PER LA RIFLESSIONE E LA CATECHESI Capitolo primo

IL SINODO DIOCESANO I. I. Un Sinodo diocesano Con la parola Sinodo si vuole indicare un “trovarsi insieme”, per valutare e decidere il cammino da farsi; un modo particolare di vivere la vita ecclesiale, che non è riservata solo a qualcuno; e questo, neppure quando si tratta di decidere che cosa scegliere, verso dove orientarsi, come or-ganizzare la Chiesa affinché possa attuare meglio la sua missione. Rispecchia una convinzione che nel Medioevo era stata espressa con il principio «ciò che ri-

guarda tutti deve essere oggetto della riflessione e della decisione di tutti» (quod omnes tangit ab omnibus tractari debet). Soprattutto nei primi secoli, quando la vita ecclesiale era provocata da nuovi fenomeni si riuniva il Sinodo: in genere un’assemblea di vescovi di una regione per decidere come rispondere alle questioni che la situazione culturale e sociale poneva alla Chiesa. Nel corso dei secoli con il moltiplicarsi delle diocesi nacque la prassi dei Sinodi diocesani. Si trattava di assemblee in cui il vescovo riuniva il clero della diocesi o suoi rappresentanti qualificati per definire gli orientamenti pastorali e trattare le questioni rilevanti della vita ecclesiale. In particolare dopo il Concilio di Trento i Sinodi diocesani sono stati un mezzo fondamentale

per la riforma della vita ecclesiale e dell’attività pastorale e nelle assemblee sinodali i vescovi hanno definito e promulgato le norme fondamentali che dovevano guidare la vita delle loro diocesi. Il significato attribuito ai Sinodi diocesani e la forma in cui sono stati celebrati riflettono evidentemente il modo di concepire la Chiesa caratteristico di una determinata epoca storica e il ruolo assegnato in tale visione della Chiesa ai diversi soggetti dell’attività pastorale. Con lo sviluppo delle concezioni della Chiesa, anche la comprensione dei Sinodi diocesani è cambiata. La forma in cui sono stati celebrati i Sinodi diocesani negli ultimi decenni riflette l’immagine della Chiesa proposta autorevolmente dal Vaticano Il. Bisogna anzi ricordare che la diocesi di Brescia, col Sinodo celebrato dal vescovo Luigi Morstabilini nel 1979, è stata una delle prime a percorrere questa strada e a dare forma a un nuovo modello di Sinodo, inteso non semplicemente come assemblea del clero della diocesi, ma composto da una rappresentanza di tutte le componenti della Chiesa locale. La scelta dei Sinodi celebrati dopo il Vaticano II (19621965) di chiamare anche i laici e i reli-giosi, insieme ai pastori, a partecipare all’assemblea sinodale e a dare il loro contributo alla maturazione di orientamenti condivisi in campo pastorale riflette la convinzione che tutti i battezzati sono partecipi dell’unica missione della Chiesa. Lo si riscontra in un passo della Costituzione dogmatica sulla Chiesa del Concilio Vaticano 11: «Quantunque alcuni per volontà di Cristo siano costituiti maestri, dispensatori dei misteri e pastori per gli altri, tuttavia vige fra tutti una vera uguaglianza riguardo alla dignità e all’azione comune a tutti i fedeli per l’edificazione del corpo di Cristo. La distinzione infatti posta dal Signore tra i sacri ministri e il resto del popolo di Dio comporta in sé unione, essendo i pastori e gli altri fedeli legati tra di loro da un comune necessario rapporto: i pastori della Chiesa sull’esempio del Signore siano al servizio gli uni degli altri e a servizio degli altri fedeli, e questi a loro volta prestino volenterosi la loro collabora-zione ai pastori e ai maestri. Così nella varietà tutti danno testimonianza della mirabile unità nel corpo di Cristo» (Lumen gentium, 32). Il Sinodo diocesano è perciò un luogo privilegiato nel quale i fedeli della Chiesa locale, secondo le diverse vocazioni e ministeri, sotto la presidenza del vescovo, possono contribuire alla 32


MUNITA’ IN CAMMINO Sinodo sulle Unità Pastorali -Diocesi di Brescia COMUNITA’ IN CAMMINO definizione degli orientamenti pastorali per la Chiesa locale e indicare le vie da percorrere nella realizzazione della missione della Chiesa. In questo modo si manifesta la caratteristica “sinodale” propria della vita della Chiesa. Fin dall’inizio della sua storia (cfr. Atti 15), essa ha infatti cercato la risposta alle nuove questioni che si è trovata ad affrontare attraverso l’ascolto reciproco e lo sforzo di giungere a decisioni condivise. Nella sua Lettera pastorale per l’anno 2010-2011 il nostro Vescovo ha sottolineato la necessità per la vita della Chiesa del discernimento comunitario al quale tutti i battezzati, arricchiti del dono dello Spirito Santo, sono chiamati a partecipare. Anche al Sinodo diocesano si applica quanto il Vescovo dice a proposito della formazione della decisione. «Per arrivare a una decisione saggia, bisogna prendere in esame tutti i dati rilevanti del problema, poi immaginare tutti i possibili corsi di azione che rispondono a questi dati e infine scegliere un corso concreto di azione abbandonando gli altri. Ebbene, questo complesso itinerario può essere compiuto nel modo migliore proprio con la partecipazione di tutti: è più facile, in questo modo, che non vengano dimenticati o censurati alcuni dati importanti; è più facile che si immaginino modi nuovi e creativi di rispondere alle sfide del presente; è più facile che la decisione ultima presa sia saggia e non stupida, prudente e non avventata, condivisa e non imposta» (L. Monari, Tutti siano una cosa sola, n. 47).

no tracciata dal Codice di diritto canonico che lo definisce: «l’assemblea dei sacerdoti e degli altri fedeli della Chiesa particolare, scelti per prestare aiuto al vescovo diocesano in ordine al bene di tutta la comunità diocesana» (can. 460). Il Codice aggiunge che «tutte le questioni proposte siano sottomesse alla libera discussione dei membri nelle sessioni del Sinodo» (can. 465). Precisa anche il ruolo peculiare del vescovo in rapporto ai presbiteri e ai fedeli che sono chiamati a partecipare: «Nel Sinodo diocesano l’unico legislatore è il Vescovo diocesano, mentre gli altri membri del Sinodo hanno solamente voto consultivo; lui solo sottoscrive le dichiarazioni e i decreti sinodali, che possono essere resi pubblici soltanto per la sua autorità» (can. 466). Questi canoni potrebbero far pensare che alla fine la responsabilità resta solo del vescovo e quindi sarebbe più `eco-nomico’ lasciare la decisione a lui solo. In verità essi rispecchiano la visione della Chiesa che riconosce al vescovo il compito di essere nella diocesi principio e fondamento visibile dell’unità (cfr. Lumen Gentium n. 23). Ciò non toglie che nel preparare la decisione del vescovo concorrano tutti i fedeli di una Chiesa particolare. Dimenticarlo sarebbe tornare a una concezione di Chiesa nella quale solo chi detiene autorità sarebbe responsabile degli orientamenti pastorali.

Nel Sinodo diocesano trova espressione la comune responsabilità dei battezzati per la missione della Chiesa e il compito specifico affidato al vescovo e al presbiterio diocesana nell esercizio del ministero pastorale. Il Sinodo diocesano può perciò essere definito «contestualmente e inseparabilmente, atto di governo episcopale ed evento di comunione, 1.2. Un Sinodo sulle unità pastorali esprimendo così quell’indole di comunione gerarchica che appartiene alla natura profon- Alla luce delle considerazioni precedenti, il Sinodo diocesano diviene il luogo appropriato da della Chiesa. Il Popolo di Dio non è, infatti, per trattare un tema quale quello delle unità un aggregato informe dei discepoli di Cristo, pastorali, che incide in modo significativo sulbensì una comunità sacerdotale, organicale strutture a servizio dell’attività pastorale mente strutturata fin dall’origine conformedella Chiesa diocesana e sulla vita dei fedeli e mente alla volontà del suo Fondatore, che in delle parrocchie. ogni diocesi fa capo al Vescovo come principio visibile e fondamento dell’unità e unico suo Alcune sperimentazioni sono già state avviate e appare oggi necessario delineare un quarappresentante» (Congregazione dei Vescovi dro unitario e coerente all’interno del quale Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, Istruzione sui Sinodi diocesani [1997], n. 1). 1 principi richiamati si possono riconoscere nella fisionomia del Sinodo diocesa33


Diocesi di Brescia COMUNITA’ IN CAMMINO Sinodo sulle Unità Pastorali - Diocesi di Brescia COM cammino di preparazione, senza disperdersi in altre questioni, pure importanti, che tuttavia non hanno un riferimento esplicito alle unità pastorali. Essendo le unità pastorali uno strumento a ser-vizio dell’attività pastorale, sarà inevitabile uno sguardo ai principali aspetti di tale attività. Non è infatti possibile definire la forma di uno strumento senza sapere a quale uso è destinato e a che cosa deve servire. È però condizione per dare concretezza ed efficacia al cammino sinodale mantenere le unità pastorali come punto focale della riflessione. collocare le unità pastorali e definirne il ruolo come nuovo soggetto dell’attività pastorale. Quale struttura devono avere le unità pastorali? Quali compiti sono chiamate ad assolvere? In che rapporto stanno con la parrocchia? Queste e altre domande hanno accompagnato almeno da un decennio la riflessione sulle unità pastorali all’interno della Chiesa bresciana. L’assemblea sinodale e il cammino di preparazione che porterà alla celebrazione del Sinodo rappresentano un luogo privilegiato per rispondere a questi interrogativi e per valutare le esperienze fin qui avviate, mettendone in luce i punti di forza e gli aspetti che devono essere corretti. Di fronte a un passaggio così importante per la definizione e il rinnovamento delle strutture pastorali con cui la Chiesa bresciana nei prossimi decenni intende realizzare la missione che le è stata affidata, il Sinodo è uno strumento valido per cercare insieme la strada che pastori e fedeli sono chiamati a percorrere. Il Sinodo non si riduce al momento della celebrazione dellirssemblea sinodale, ma comprende come suo momento essenziale la preparazione e la consultazione che coinvolgerà tutta la diocesi. Il Sinodo diocesano è anzitutto un invito all àscolto reciproco rivolto a tutti i membri della comunità cristiana, che hanno il diritto di far sentire la loro voce e il dovere di non far mancare il loro contributo al discernimento comune. L’ascolto reciproco deve servire a maturare orientamenti condivisi, attraverso lo sforzo di interpretare i segni dei tempi e di discernere in che modo, all’interno dell’attuale situazione pastorale e sociale, si manifesti la volontà del Signore per la sua Chiesa. Questo sforzo comune intende offrire al vescovo indicazioni il più possibile convergenti sulle scelte pastorali da compiere e sulle strutture che possono favorire l’incontro delle persone con la parola del Vangelo che chiama alla fede e invita a far parte della comunità dei credenti. Rispetto all’ul-timo Sinodo celebrato nel 1979 dalla diocesi di Brescia, quello a cui ci prepariamo non intende esaminare nel suo complesso l’attività pastorale della Chiesa diocesana, ma è dedicato in modo specifico alle unità pastorali. La scelta compiuta richiede di concentrare attorno a questo tema il

Capitolo secondo

QUALE CHIESA PER LE UNITA PASTORALI Quanto detto finora richiede una più ampia considerazione. Benché la scelta delle unità pasto-rali sia di carattere congiunturale, legata cioè a una situazione particolare della nostra Chiesa, non si può negare che essa suppone un modello di Chiesa. Infatti, non c’è scelta pastorale che non sia dettata da una concezione di Chiesa. Quale modello di Chiesa esige e sollecita l’unità pastorale? La risposta a questa domanda si può ottenere coniugando tre parole chiave che il Concilio Vaticano Il ha messo a fuoco, ma che ancora fanno fatica a trovare realizzazione compiuta nelle nostre comunità cristiane: missione, corresponsabilità e comunione. Se si vuol capire il senso della scelta delle unità pastorali si devepartire dal modello di Chiesa come comunità dei discepoli che, in comunione con Cristo e tra di loro, sono inviati, informa corresponsa-bile, ad annunciare al mondo la bella notizia dell’amore di Dio per l’uomo.

2.1. La missione della Chiesa sul territorio La comunità cristiana non esiste per se stessa ma per il mondo. La sua unica missione è quella di evangelizzare gli uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi, aiutandoli a prendere coscienza dell’amore infinito di Dio, così come si è manifestato nella vita, nella morte e nella risurrezione di Gesù. Sapere di essere amati da Dio è un dono grande che riempie la coscienza umana di riconoscenza e di gioia; ma è nello stesso tempo una responsabilità. È la responsabilità della missione. «La Chiesa, scrive il nostro Vescovo, è missione; deve dire Cristo al mondo e deve dare al mondo la forma di Cristo [...]. La Chiesa ser-

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MUNITA’ IN CAMMINO Sinodo sulle Unità Pastorali -Diocesi di Brescia COMUNITA’ IN CAMMINO 32). L’uguaglianza non riguarda solo la dignità ve a questo: a trasmettere al mondo l’amore fondamentale di tutti i battezzati, ma anche la di Dio [...], a rendere possibile anche oggi la comune responsabilità per l’edificazione della rivelazione dell’amore del Padre» (L. Monari, Chiesa e la realizzazione della sua missione. Tutti siano una cosa sola, rispettivamente pp. Si tratta di una responsabilità “originaria”, in 36; 23; 25). quanto è fondata non sulla semplice richiePer attuare questa missione la comunità dei cresta di collaborazione da denti in Cristo annuncia il “Vangelo” dell’amoparte del clero, ma su re di Dio, celebra la sacra liturgia che lo renun incarico affidato «dal de presente, testimonia la carità, che dilata Signore stesso per meztale amore fino a raggiungere tutti. «L’amore zo del Battesimo e della di Dio, infatti, non è mai inerte; chi lo riceve Confermazione» (Lumen dentro di sé diventa necessariamente attivo, Gentium 33). Pertanimpara a condividere i sentimenti di Dio e si to, afferma ancora il mette gioiosamente al suo servizio perché anConcilio, i sacri pastoche attraverso di lui Dio possa compiere i suoi ri «sanno di non essere disegni» (L. Monari, ivi, p. 17). Pertanto nella stati istituiti da Cristo misura in cui l’amore di Dio diventa attivo e per assumersi da soli la fecondo, le azioni dei fedeli danno a piccoli missione di salvezza che frammenti di mondo una forma nuova, la forla Chiesa ha ricevuto nei ma liberante dell’amore. confronti del mondo, Oggi l’ambiente di vita si è allargato e questo ma che il loro magnificomporta che la missione dilati i suoi confini co incarico è di pascere e raggiunga le persone là dove abitualmente i fedeli e di riconoscere i loro servizi e i loro vivono e trascorrono il loro tempo, con un procarismi, in modo che tutti concordemente cogetto pastorale che la singola parrocchia non operino, nella loro misura, all’opera comune» sembra in grado di elaborare e realizzare. Lo (Lumen Gentium 30). ricorda anche il nostro Vescovo nella Lettera sopra riportata:«Il territorio rimane ancora Il momento storico attuale caratterizzato da molteplici elementi, tra i quali non si può dimentiun elemento essenziale per definire l’identità care l’evidente carenza del clero, si presenta della persona e della famiglia, ma ormai non è come una opportunità per realizzare quanto il più il riferimento unico o decisivo. Se vogliaVaticano II ci ha insegnato, cioè fare più spamo seguire le persone e agire sul loro vissuto zio alla corresponsabilità di tutti i battezzati dobbiamo creare una pastorale che attraversi nell’attuare la missione ecclesiale. i luoghi in cui le persone vivono e s’incontraCon ciò non si vuole negare la diversità delle vono». cazioni e dei ministeri nella Chiesa. Il corpo In concreto si tratta per la Chiesa di “abitare” è unico ma le membra sono molte ed hanno in modo diverso il territorio, tenendo conto funzioni diverse (cfr. 1 Cor 12, 12). Ci sono i dei mutamenti in atto, della consacrati, i quali, precisa il nostro Vescovo maggiore facilità degli sponella lettera pastorale Tutti siano una cosa stamenti, come pure delle sola, nell’unica missione della Chiesa, hanno domande diversificate riil compito di richiamare al dono totale di sé e volte oggi alla Chiesa. Con alla meta futura, quella ultima e definitiva; ci le unità pastorali - scrivono sono i ministri ordinati che, nella successione i Vescovi italiani - si vuole apostolica, garantiscono in forma autorevole non solo rispondere al prola continuità e il legame con il Gesù della stoblema della sempre più ria e le origini normative della fede cristiana; evidente diminuzione del ci sono i laici che, immersi nella vita del monclero, «ma soprattutto superare l’incapacità do, sollecitano la Chiesa a non chiudersi in se di tante parrocchie ad attuare da sole la loro stessa, ma a trasformare le realtà del mondo proposta pastorale» (CEI, Il volto missionario (la famiglia, il lavoro, l’economia, la cultura, delle parrocchie in un mondo che cambia, il potere ecc.) secondo la logica dell’amore Roma 2004, n. 11). che viene da Dio. La Chiesa, se rinunciasse a trasformare il mondo e si rinchiudesse in se 2.2. La corresponsabilità stessa, preoccupata solo di gustare le gioie in di tutti i battezzati time della fraternità, diventerebbe sterile e, poco alla volta, scomparirebbe. Per realizzare la sua missione la Chiesa ha biso- La corresponsabilità dei battezzati per la missiogno di tutti i battezzati. Nella Chiesa, infatti, ne della Chiesa è, quindi, collegata alla legge come sopra si è già richiamato, «vige tra tutti della complementarità. Consacrati, preti e laiuna vera uguaglianza riguardo alla dignità e ci hanno bisogno gli uni degli altri, e la Chieall’azione, comune a tutti i fedeli, per l’edifisa per realizzare la sua missione ha bisogno di cazione del corpo di Cristo» (Lumen Gentium tutti (cfr. L. Monari, ivi, pp. 37-38). 35


Diocesi di Brescia COMUNITA’ IN CAMMINO Sinodo sulle Unità Pastorali - Diocesi di Brescia COM parrocchia, dedicandosi a essa con tutte le sue forze. La nuova situazione permette di scoprire che ogni prete appartiene a un corpo più vasto, il “presbiterio”, il quale, insieme col Vescovo, è deputato al ministero pastorale nei confronti di tutta la Chiesa diocesana. Egli è prete solo se è e agisce in comunione con il presbiterio, poiché il ministero del prete va pensato ed esercitato collegialmente. Nelle unità pastorali sarà possibile un esercizio del ministero presbiterale più collegiale: un piccolo presbiterio servirà e guiderà insieme più parrocchie, testimoniando la comunione presbiterale. 2.3.11 fondamento: la comunione Anche le comunità parrocchiali diventeranno protagoniste nel processo di formazione delle unità Se la missione richiede la partecipazione correpastorali e nella vita delle stesse. Pur mantesponsabile di tutti i battezzati, è perché trova nendo la loro soggettività e garantendo così una il suo fondamento nella “comunione”. presenza capillare della Chiesa, al fine di rendeSi tratta in primo luogo della comunione con re visibile e credibile la comunione ecclesiale di Dio Padre mediante Gesù Cristo nello Spirito to. La Chiesa infatti, «si presenta come “un cui sono una concreta realizzazione resteranno San popolo adunato dall’unità del Padre e del Figlio disponibili alla collaborazione con le comunità e dello Spirito Santo”» (Lumen Gentium 4). La cristiane più vicine, cercando di condividere Chiesa attinge dalla comunione trinitaria, rivelacon esse percorsi di ricerca e di progettazione ta e trasmessa da Gesù Cristo, la sua essenza, la pastorale. «La parrocchia, come espressione di sua origine e la sua vita, soprattutto attraverso Chiesa, riesce a comprendere la sua identità e la Parola di Dio e i Sacramenti, in modo particoa vivere la sua missione solo se rimane aperta lare attraverso l’Eucaristia, il sacramento princiin modo vitale alle altre parrocchie e alla Chiepale, a cui tutti gli altri sono ordinati. sa particolare (la diocesi); i confini mantengono La comunione, che costituisce l’essenza della Chieun significato giuridico prezioso, ma non possono sa, riguarda però anche la comunione fraterna diventare limiti invalicabili per l’azione pastorae la carità verso tutti gli uomini, poiché solo le. Insistere troppo sull’identità parrocchiale e attraverso la comunione visibile è possibile far dimenticare la comunione diocesana fa perdere intravedere e portare a compimento quella inalcuni elementi preziosi dell’ottica di comuniovisibile della Santa Trinità (cfr. 1 Gv 4,16). Ma ne» (L. Monari, Lettera alla Diocesi del 21 aprile la comunione fraterna trova proprio nella comu2011). All’interno della parrocchia, la famiglia nione con Dio la sua condizione di possibilità. cristiana è la prima cellula fondamentale della «La Chiesa - scrive il nostro Vescovo - è luogo comunione ecclesiale. In essa il legame d’amore, della rivelazione di Dio e del suo amore, ma solo sancito dal sacramento del matrimonio, diventa se e nella misura in cui aderisce a Cristo e si larivelazione speciale dell’amore con cui Cristo ha scia plasmare dal suo Spirito attraverso la Parola amato la Chiesa e dell’amore con cui la Chiesa e i sacramenti» (L. Monari, Tutti siano una cosa corrisponde all’amore di Cristo. sola, p. 27). Un compito particolare sarà poi affidato alle aggreSe il “mistero della comunione” è il nome che cagazioni ecclesiali. Per loro natura vanno al di là ratterizza la Chiesa, la sfida che si presenta oggi dei confini parrocchiali e per questo potranno per ridare credibilità alla Chiesa e alla sua misaiutare le parrocchie ad una maggiore apertura sione è soprattutto quella della visibilità della missionaria. Tuttavia il loro compito sarà efficacomunione. La Chiesa oggi sarà capace di servire ce solo se, testimoniando la comunione tra di il Vangelo, di essere segno credibile del Regno loro, non si porranno come alternative alla pardi Dio, di entrare in dialogo col mondo, solo se rocchia, ma vivendo nella comunione diocesana riuscirà a dare visibilità, anche riusciranno a costruire ponti mediante una corrispondente tra esperienze ecclesiali leorganizzazione, al suo essere gate a un piccolo territorio. comunione. A questo dovrebbeSi tratta, in ultima analisi, ro servire le unità pastorali: non di andare verso una “pac’è infatti un’unica modalità di storale integrata”, che, serendere visibile la comunione; condo lo spirito della comusituazioni diverse richiedono nione ecclesiale, si prefigga modalità diverse. Nella ricerca di armonizzare in un unico di tali modalità tutti sono coinprogetto pastorale il convolti. In primo luogo i presbitetributo dei diversi carismi ri. e ministeri, nonché delle Nel nostro territorio siamo stati nuove realtà ecclesiali, abituati a pensare il prete come che lo Spirito suscita oggi colui che è responsabile di una nella nostra Chiesa. Teoricamente è difficile non essere d’accordo su questi principi. Il problema riguarda proprio l’attuazione pratica e l’individuazione di forme anche organizzative che esprimano e facilitino la corresponsabilità e la complementarità di tutti i battezzati. La scelta delle unità pastorali sembra permettere la valorizzazione dei carismi e dei ministeri che lo Spirito dona ai fedeli nella costruzione e realizzazione di progetto pastorale comune che tenga conto dell’attuale congiuntura ecclesiale.

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MUNITA’ IN CAMMINO Sinodo sulle Unità Pastorali -Diocesi di Brescia COMUNITA’ IN CAMMINO

PARTE SECONDA

CONTRIBUTI PER LA CONSULTAZIONE Capitolo terzo

INTERPRETARE I SEGNI DEI TEMPI I fenomeni che sembrano mettere in crisi la pastorale tradizionale La comunità cristiana crede che i fatti storici, soprattutto quelli più rilevanti e diffusi, siano carichi di significato, quasi appelli attraverso i quali lo Spirito di Cristo parla alla Chiesa, guidandola sulle strade di un mondo che continuamente cambia. Lo ha esplicitato anche il Concilio Vaticano II ricuperando la convinzione che Dio parla e si rivela all’uomo non solo con le parole, ma “con eventi e parole intimamente connessi” (DV 2). È sempre attuale perciò il rimprovero di Gesù nei confronti di coloro che non sanno “giudicare” questo “tempo” (cfr. Lc 12, 54-57). È l’invito a comprendere la realtà, a leggerla e interpretarla in profondità, andando oltre la semplice e pur necessaria descrizione dei fatti. Ogni situazione, infatti, oltre che come “dato”, si presenta come “compito”. In essa ritroviamo l’appello di Dio che chiama la Chiesa e ogni fedele a pren-dere le decisioni e a fare le scelte che la situazione suggerisce. «Non possiamo accontentarci di continuare a fare come abbiamo sempre fatto, senza domandarci se lo Spirito di Dio - attraverso le vicende della storia e la concretezza delle situazioni in cui viviamo - non ci indichi di intra-prendere vie nuove, nel segno della vera prudenza e del coraggio (1). Tettamanzi, Mi sarete te-stimoni, Centro Ambrosiano, Milano 2003, p. 19). L’interpretazione dei “segni dei tempi”, che comporta necessariamente cambiamenti (cfr. Mt 16,2-3), induce a esaminare la situazione attuale per coglierne le provocazioni e assumere le scelte adeguate per realizzare la missione della Chiesa. È infatti compito del popolo di Dio “discernere i veri segni della presenza o del disegno di Dio” (Gaudium et spes, 11) e volgere in senso propizio i fenomeni ai quali partecipa. Senza la pretesa di offrire qui una descrizione completa della situazione, i fenomeni che dovrebbero essere tenuti in considerazione sembrano essere i seguenti.

3.1. Mobilità territoriale ed esigenza di una “casa”

Il fenomeno che nel secolo scorso ha portato allo spostamento dalla campagna verso la città si è articolato in ulteriori processi: famiglie a reddito medio o alto si trasferiscono dal centro urbano a zone che sembrano permettere una migliore qualità di vita, poste nelle vicinanze della città. Attorno

alla città si è costituita una cintura residenziale e commerciale riconosciuta sempre più come omogenea e senza soluzione di continuità col centro urbano (come si può costatare dalla organizzazione dei mezzi di trasporto e dai conseguenti problemi dell’inquinamento). Si è così formata la “grande città” con nuove dinamiche. Al centro storico della vecchia città, caratterizzato da storici richiami culturali, si sono aggiunti altri centri di carattere commerciale o ludico che, in ogni caso, diventano luoghi di proposte culturali. Anche le scuole secondarie di secondo grado sono state recentemente insediate nella periferia. Si è così costituita una struttura policentrica in cui possono crearsi situazioni di concorrenza e di crisi. Anche nelle zone più lontane dalla città si assiste al convergere verso centri zonali in cui si svolgono attività industriali o commerciali e sono insediate

le scuole secondarie di primo grado. Molti ragazzi in età scolare e gli adulti impegnati nel lavoro attuano un continuo pendolarismo dal paese di residenza al centro più importante della zona. I più coinvolti da questo fenomeno sono i giovani, soprattutto quelli che, terminate le scuole secondarie, si iscrivono all’università. Molti si trasferiscono nella nostra città o in altre dando ori-gine a un pendolarismo settimanale, che permane in molti casi anche quando, terminata l’università, i giovani si inseriscono nel mondo del lavoro. Il ritorno a “casa” rappresenta però una costante da non sottovalutare. Accanto al bisogno di nuove opportunità va rilevata la necessità di punti di riferimento stabili in un mondo che provoca incertezza. A questo proposito è significativa l’esigenza, 37


Diocesi di Brescia COMUNITA’ IN CAMMINO Sinodo sulle Unità Pastorali - Diocesi di Brescia COMU espressa dai giovani, di riservare il fine settimana alle relazioni personali e alla riscoperta dei “luoghi” connotati da forti valenze affettive. In questo scenario, sinteticamente richiamato, la parrocchia tradizionale, pur mantenendo il suo significato di “casa” e luogo d’origine del proprio inserimento nel popolo di Dio, in che misura è adeguata alla vita culturale, sociale ed economica, effettivamente svolta? £ possibile immaginare una struttura più ampia che corrisponda maggiormente alla marcata mobilità, favorendone gli aspetti positivi di interscambio ed evitando effetti di spaesamento?

3.2. Immigrazione e cittadinanza

L’immigrazione crescente pone a contatto, a volte scomodo, con costumi, culture, religioni diversi. Anch’essa ha ormai acquisito forme organiche. Ci sono gruppi etnici consistenti con propri negozi, proprie richieste di riconoscimento anche a livello

zone, siano esse di città o di provincia. È sempre più evidente che il maggior numero di giovani è ormai costituito dagli immigrati. In alcune zone a forte immigrazione, nelle fasce d’età fino ai 29 anni, gli stranieri superano gli italiani. Il fenomeno, mentre comporta nuovi problemi relativamente alla scuola e all’organizzazione sociale, stimola a cercare nuove strategie relativamente alla casa, al lavoro, al matrimonio. Si accentua così la tendenza alla trasformazione e al nomadismo che caratterizza soprattutto la città. Nello stesso tempo si evidenzia la necessità di mantenere in città i punti di riferimento che vengono dalla tradizione e dalla storia, nonché di ripensare i valori etici messi in discussione dalla cultura postmoderna. La necessità di un confronto con culture diverse, di iniziative per il mutuo riconoscimento e aggregazione, come pure per la solidarietà richiede energie, risorse e progettazioni che vadano ben oltre le capacità di una parrocchia e favoriscano attività pastorali più specializzate.

3.3. Individualismo e nuove forme di aggregazione e comunicazione

culturale e religioso. Ai singoli sono subentrate ormai famiglie con bambini e sono emerse esigenze molto maggiori di socialità. I figli dei migranti hanno cominciato a frequentare le scuole e i loro genitori sono stati indotti ad avere rapporti più stretti non solo con le istituzioni civili, ma pure con gli altri genitori. Ne è venuta la necessità di una maggiore conoscenza reciproca, sorretta dalla convinzione che la diversità possa significare ricchezza umana, ma si sono avvertite anche paure e, correlate a esse, il bisogno di riscoprire la propria identità e di ritrovare le proprie radici. L’immigrazione ha riguardato il territorio in misura diversa a seconda delle possibilità di lavoro, di residenza e di ag-gregazione. Si notano così insediamenti massicci in alcuni quartieri del centro storico della città o in alcune zone della provincia in cui gli immigrati tendono a subentrare ai precedenti abitanti, che erano impegnati nell’artigianato o nel piccolo commercio. Questo fenomeno pone di fronte alla necessità di costruire nuove forme di convivenza civile nelle quali non avvenga una sostituzione totale dei vecchi con i nuovi abitanti, ma si attui piuttosto una convivenza e si eviti la trasformazione in ghetti di certe

In questo nostro tempo il mondo del commercio e della comunicazione ci mette a contatto coi luoghi più lontani permettendo rapidi scambi. I prodotti diventano sempre più omogenei e i modelli comunicativi sempre più standardizzati. A questa enorme estensione della sfera individuale corrisponde però una riduzione della partecipazione effettiva della persona con la sua libertà al vivere comune. Da qui sorge in ciascuno, soprattutto nei giovani, il bisogno di essere e di creare qualcosa che sia unico, originale e che lasci un’impronta nella cultura. Nelle trasformazioni in atto i giovani sono più coinvolti sia come protagonisti, sia come destinatari dei messaggi che i cambiamenti portano con sé. Da un lato, si riscontra la tendenza all’individualismo, soprattutto in relazione a istituzioni come la famiglia, la Chiesa, lo Stato. Dall’altro lato, è evidente la tendenza dei giovani all’aggregazione e all’appartenenza a gruppi in cui possano essere rico-nosciuti anche attraverso le nuove modalità di comunicazione. In questa dinamica si inseriscono l’uso delle nuove tecnologie e la frequentazione dell’ambiente digitale: essi permettono relazioni più ampie e articolate e sembrano rispettare maggiormente l’individuo, che in qualsiasi momento può troncare la comunicazione. Mentre però si presentano più consoni alla privacy di ciascuno, rischiano di essere più subdoli e invasivi occupando la sfera personale e compromettendo una libera formazione della propria identità. Anche molte aggregazioni sembrano rispondere a schemi precostituiti e trasformare soprattutto i giovani in fruitori passivi di forme di divertimento e di comunicazione. Si assiste così alla diffusione di modelli in cui il successo appare facile e legato alla propria immagine 38


UNITA’ IN CAMMINO Sinodo sulle Unità Pastorali -Diocesi di Brescia COMUNITA’ IN CAMMINO narcisisticamente curata. La relazione individualistica con modelli irraggiungibili finisce così per far percepire le difficoltà concrete della vita come fallimenti radicali. Sembra perciò necessario rendere articolata e aggiornata ai nostri tempi la proposta educativa, anche a partire dagli oratori, che costituiscono una ricchezza singolare della nostra diocesi.

3.4. Vita sacramentale e diverse modalità di appartenenza ecclesiale Negli ultimi decenni la frequenza alla messa domenicale ha visto una netta diminuzione, più accentuata nella città. È però sempre più evidente il fatto che la partecipazione domenicale alla liturgia non sia intesa da molti come segno dell’adesione alla vita ecclesiale. La tipologia delle persone è variegata: alcuni, pur avendo ricevuto il battesimo o i primi sacramenti, hanno abbandonato ogni frequenza religiosa e sono caduti nell’indifferenza o nell’ostilità verso la Chiesa; altri, pur non frequentando le celebrazioni liturgiche continuano a ritenersi cristiani e vedono nella Chiesa un’autorità morale; altri poi frequentano la Chiesa in maniera sporadica, ma non priva di significato e importanza, come nelle festività più solenni, nei funerali; altri ancora hanno una frequenza quasi regolare, ma la subordinano all’immediato sentire; alcuni, infine, partecipano assiduamente alla Messa domenicale. Fra coloro che seguono regolarmente la vita ecclesiale è aumentato il numero di quanti partecipano alle proposte di ascolto della Parola di Dio e si accostano alla comunione eucaristica. Ciò grazie anche al coinvolgimento dei genitori negli itinerari di iniziazione cristiana: pur con le inevitabili fatiche, sembra che la scelta pastorale di rinnovare il cammino della iniziazione cristiana abbia promosso una partecipazione più viva delle famiglie e portato numerosi adulti dalla frequenza saltuaria a quella assidua. Alcuni sacramenti riflettono maggiormente la crisi attuale. È il caso soprattutto del matrimonio, a cui accede ormai una porzione tendenzialmente minoritaria di persone. Tale diminuzione è segno della presa di coscienza delle responsabilità che il sacramento comporta, ma anche di problemi economici, sociali ed etici. Come già per i giovani, anche per i cristiani in generale merita un’attenta riflessione il formarsi dei gruppi più o meno spontanei o carismatici. Essi sembrano non solo rispondere alla crisi delle istituzioni e al bisogno di autentica aggregazione, affet-

tivamente calda, ma anche esprimere la necessità di partecipare attivamente alla missione del popolo di Dio. Si profila una situazione complessa: da un lato non possono essere trascurate le forme anche più esili di legame con la Chiesa e anzi possono essere oggetto di una pastorale specifica, dall’altro la frequenza assidua e le richieste di partecipazione più intensa meritano proposte più alte, in modo che siano vis-suti più profondamente i momenti liturgici forti o la preghiera comunitaria al di là della Messa.

3.5. Diminuzione del clero e nuove ministerialità La drastica diminuzione del clero, come già sopra si è ricordato, è avvenuta anche nella nostra diocesi, benché in modo più graduale rispetto a molte altre diocesi d’Italia. Già ora è impossibile assicurare un prete a tutte le parrocchie. Non è difficile prevedere che tale situazione si possa aggravare nei prossimi anni. Di tale situazione diventa sempre più consapevole anche il popolo che pure lamenta il venir meno del sacerdote nella propria parrocchia. Si constata però negli ultimi trent’anni una crescita della consapevolezza ministeriale nei battezzati e nei laici, non solo impegnati nella pastorale, ma anche formati alla lettura della Bibbia e ai temi teologici, e quindi disposti ad assumersi responsabilità pastorali un tempo lasciate unicamente al clero. In tale situazione le unità pastorali possono essere una risposta a un fenomeno che si profila coi tratti della crisi. Esse possono favorire ed essere favorite dal mutuo riconoscimento fra clero e laici, avviato con il Concilio Vaticano II. Tale riconoscimento sembra suggerire un’effettiva corresponsabilità nella programmazione e nelle scelte così che i vari organismi di consultazione non si trasformino in momenti burocratici. La collaborazione attiva e responsabile dei laici appare essenziale sia nella continuità pastorale delle singole parrocchie, sia nel lavoro di coordinazione di esse all’interno dell’unità pastorale. La crisi del mondo moderno potrebbe essere stimolo ai cristiani per cogliere e attuare il loro sacerdozio universale e al clero per superare il senso di isolamento. 39


Diocesi di Brescia COMUNITA’ IN CAMMINO Sinodo sulle Unità Pastorali - Diocesi di Brescia COM prete collaboratore, nominato dal Vescovo, affinché si mostri visibilmente la dimen-sione di comunione del presbiterio. d) L’istituzione di un gruppo ministeriale stabile, formato da presbiteri, diaconi, persone consacrate e laici. e) La costituzione di un Consiglio dell’unità pastorale.

4.3. 1 compiti e le competenze

Capitolo quarto

LE UNITA PASTORALI COME SCELTA OPPORTUNA Questo capitolo è frutto soprattutto dell’esperienza che alcune parrocchie stanno facendo come unità pastorali già istituite o erigende. Esprime convinzioni che sono sottoposte al discernimento spirituale comunitario. Nonostante la formula apparentemente apodittica rappresenta perciò soltanto un’ipotesi offerta al vaglio della consultazione.

4.1. Le unità pastorali L’unità pastorale è un insieme di parrocchie di un’area territoriale omogenea, stabilmente costituito dal Vescovo diocesano per assolvere in modo più efficace alla missione evangelizzatrice della Chiesa attraverso una collaborazione pastorale organica. La specificità delle unità pastorali consiste perciò nella stabile cooperazione fra parrocchie in vista di una evangelizzazione più efficace del territorio. Esse rappresentano uno “stile di azione pastorale” nel quale si può attuare più compiutamente la visione di Chiesa insegnata dal Vaticano II. Le unità pastorali possono infatti aiutare a ripensare le figure e le funzioni ecclesiali; a rivedere le molteplici attività e servizi; a fare spazio a una pluralità di ministeri.

4.2. Gli elementi essenziali Le unità pastorali nella diocesi di Brescia possono trovare una molteplicità di forme, ma vi sono alcuni elementi che non dovrebbero mai mancare: a) La nomina da parte del Vescovo di un presbitero coordinatore o di un unico parroco per tutte le parrocchie dell’unità pastorale. b) La progettazione e programmazione pastorale comune da parte di tutte le parrocchie dell’unità pastorale sotto la presidenza del parroco o del presbitero coordinatore. c) La presenza di al-meno un

a) Il presbitero coordinatore o il parroco ha il compito di presiedere, con l’autorità ricevuta dal Vescovo, l’azione pastorale comune delle varie parrocchie che costituiscono l’unità pastorale. b) Il gruppo ministeriale stabile ha il compito di proporre al Consiglio dell’unità pastorale pro-blemi particolarmente urgenti e coordinare la realizzazione dei progetti decisi da tale Consiglio, cercando di coinvolgere la corresponsabilità di tutti. c) Il Consiglio dell’unità pastorale ha soprattutto i seguenti compiti: - essere luogo di conoscenza, confronto e coordinamento della pastorale delle singole comunità parrocchiali; - formulare il programma pastorale comune offrendo obiettivi e linee d’azione per tutte le parrocchie dell’unità pastorale.

4.4. Le forme possibili

Nella nostra diocesi, notevolmente ampia e diversificata, non è pensabile un unico modello di unità pastorale. Bisogna ipotizzare una pluralità di modelli flessibili. Ad esempio, ci può essere un’unità pastorale costituita dall’unione di più parrocchie con un consistente numero di abitanti; o con più parrocchie di media grandezza; oppure con più parrocchie tra le quali vi è la presenza di una parrocchia particolarmente consistente per numero di abitanti; oppure con più parrocchie con scarso numero di abitanti e sparse su un territorio vasto; ecc. La pluralità delle forme possibili suggerisce che il decreto vescovile di erezione, uguale per tutte le unità pastorali, sia accompagnato da alcune indicazioni specifiche circa i compiti richiesti ad ogni unità pastorale.

4.5. I criteri di costituzione Tenendo presente le possibili forme indicate, i criteri fondamentali per la costituzione delle unità pastorali potrebbero essere questi: • la vicinanza geografica e storico-culturale; • l’appartenenza allo stesso Comune; • il numero di abitanti (che non dovrebbe essere né troppo elevato né troppo basso); • l’omogeneità dell’ambiente sociale. 40


MUNITA’ IN CAMMINO Sinodo sulle Unità Pastorali -Diocesi di Brescia COMUNITA’ IN CAMMINO

4.6. Le opportunità Nonostante siano già state enunciate qua e là, può essere opportuno richiamare in forma sintetica e ordinata le opportunità offerte dalla scelta delle unità pastorali. a) Una Chiesa, comunità in missione l’unità pastorale favorisce l’attuazione della comunione per una Chiesa più missionaria. In questo senso la prospettiva delle unità pastorali è utile anche per le parrocchie che si ritengono grandi a sufficienza c/o che non soffrono di carenza di preti. b) Chiesa nel territorio L’unità pastorale risponde ad un criterio territoriale più ampio rispetto a quello della parrocchia tradizionale. E questo è importante in questo nostro tempo in cui è necessaria una modalità di interventi pastorali più elastica, che dica riferimento al mutato spazio di vita delle persone. c) Una pastorale organica e creativa L’unità pastorale sollecita il discernimento comunitario per attuare, in forma organica, una pastorale d’insieme. E questo aiuta a cogliere che l’unità della missione non è un semplice espediente organizzativo, ma un’esigenza della Chiesa, in quanto mistero di comunione. d) La corresponsabilità dei laici e delle persone consacrate L’unità pastorale favorisce l’attuazione della corresponsabilità dei laici. I presbiteri sono affianca-ti da fedeli consacrati e laici. La valorizzazione convergente dei diversi carismi e ministeri presenti nelle comunità parrocchiali, è uno dei punti forza delle unità pastorali. Nel campo della partecipazione dei laici, l’unità pastorale potrà certamente valorizzare l’apporto delle associazioni, dei movimenti e delle nuove comunità ecclesiali. In particolare l’Azione Cattolica, promuovendo, com’è nella sua natura, la ministerialità laicale, la collaborazione tra le parrocchie e le dinamiche di partecipazione che ne scandiscono la vita, potrà trovare uno spazio e un ruolo notevole nelle unità pastorali. e) Il presbiterio dell’unità pastorale L’unità pastorale, essendo affidata alla cura di più presbiteri, dice attuazione del ministero ordinato nella sua forma comunitaria (presbiterio) e come principio costitutivo della comunione. In questa prospettiva, potrà giovare l’insistenza sulle forme di fraternità nel presbiterio, seppur in forme diverse e graduali che possono arrivare fino alla vita comune.

4.7. Le difficoltà

Non ci si può nascondere che la scelta delle unità pastorali comporta anche una serie di difficoltà. Tenerlo presente permetterà di non procedere senza aver soppesato attentamente le effettive possibilità, i vantaggi e i limiti. Qui di seguito si richiamano alcune difficoltà che si possono facilmente prevedere: a) Possibili rischi Le unità pastorali potrebbero essere viste come la

cancellazione delle piccole parrocchie, oppure come nuove entità che si sovrappongono o aggiungono a quelle già esistenti, appesantendo ulteriormente il lavoro pastorale delle parrocchie. Potrebbero anche essere viste semplicemente come una nuova organizzazione (giuridico-amministrativa) della Chiesa, anziché come un modo diverso di affrontare i problemi che l’attuale situazione ecclesiale, sociale e culturale pone alla Chiesa: esigenza di un nuovo spirito missionario, di comunione, di corresponsabilità. b) La configurazione giuridica non ancora ben definita Le unità pastorali non sono contemplate in quanto tali nel Codice di diritto canonico; ci sono dei canoni che potrebbero aprire a nuove prospettive in questo senso (cfr. can. 517, 526 ecc.), ma non è ancora disponibile una configurazione giuridica ben definita. c) Perdita dei legami personali tra fedeli e presbitero Un pericolo delle unità pastorali può essere quello di non fare più spazio alle relazioni personali tra la comunità e i presbiteri, essendoci il rischio per i preti di una vita sempre più affannata e di corsa. Per i fedeli ci può anche essere il pericolo di perdere alcuni punti chiari di riferimento, a motivo della molteplicità delle figure ministeriali. d) Pluralità difforme e mentalità di competizione Si può manifestare anche una scarsa uniformità nei cammini parrocchiali oppure una diversa velocità nel promuovere la programmazione e realizzare i progetti comuni tra le parrocchie. Si può prevedere anche il rischio di uno spirito di competizione tra le varie parrocchie o i diversi soggetti (es. Consiglio pastorale parrocchiale, Consiglio dell’unità pastorale, gruppo ministeriale, aggregazioni ecc.), che si occupano dei medesimi ambiti della pastorale. 41


Diocesi di Brescia COMUNITA’ IN CAMMINO Sinodo sulle Unità Pastorali - Diocesi di Brescia COM e) La professionalizzazione della pastorale All’interno delle unità pastorali, vista la pluralità delle figure ministeriali, si potrebbe cadere in una certa professionalizzazione della pastorale, con la conseguenza o di clericalizzare le figure ministeriali laiche (specie nell’équipe ministeriale), oppure, all’estremo, di laicizzare la pastorale, affievolendo lo spirito missionario. f) L’aumento di strutture burocratiche e la pesantezza nelle decisioni Si potrebbe pure riscontrare il rischio di innescare percorsi complicati nel preparare e prendere decisioni. Spesso infatti moltiplicare gli organismi di riferimento vuol dire non solo moltiplicare gli impegni delle stesse persone, ma anche provocare una paralisi nelle deliberazioni o nelle attribuzioni di responsabilità.

PARTE TERZA

INDICAZIONI PER IL CAMMINO DIOCESANO Capitolo quinto

PERCORSO IN VISTA DELL’ASSEMBLEA SINODALE 5.1. Mentalità “sinodale” e consultazione Come si è detto sopra, il Sinodo non si riduce alla celebrazione dell’assemblea sinodale, ma comprende, come momento essenziale, anche la preparazione, la preghiera, la riflessione e la consultazione, che deve coinvolgere tutta la diocesi. L’obiettivo è che si realizzi un autentico discernimento spirituale comunitario. Il percorso diocesano di preparazione dovrà, pertanto, prevedere forme diverse di coinvolgimento, proprio perché si tratta di un cammino “sinodale”. Il che significa che tutti i battezzati dovranno sentirsi at-tori, anche in una mutua interrelazione. Questo Strumento per la riflessione e la consultazione diocesana intende appunto mettersi al servizio del cammino di discernimento diocesano, in una duplice direzione: da un lato si prefigge di aiutare a riflettere per verificare e creare una mentalità aperta alla “sinodalità” e alla comunione; dall’altro, intende offrire gli strumenti per sollecitare e favorire la consultazione più vasta possibile. Conseguentemente, il genere letterario delle prime due parti è notevolmente diverso: la prima, insieme con la Lettera del Vescovo, appartiene al genere dell’insegnamento e della catechesi e offre un apporto per la riflessio-

ne, la meditazione e la verifica del proprio essere Chiesa; la seconda appartiene invece al genere letterario della “consultazione” in vista di un discernimento comunitario; e prevede la raccolta dei pareri da consegnare alla Segreteria del Sinodo. Lo scopo è che nell’assemblea sinodale si possa arrivare a fare delle scelte pastorali secondo quanto lo Spi-rito chiede oggi alla nostra Chiesa diocesana. È importante pertanto che la Segreteria del Sinodo rimanga sempre disponibile ad accogliere le osservazioni e le proposte sul tema specifico delle unità pastorali da qualsiasi parte vengano, an-che se si tratta di gruppi e persone singole non ufficialmente interpellati.

5.2. Tappe del cammino Alla luce di questi principi, viene qui presentata una traccia per il cammino diocesano in vista dell’assemblea sinodale, con attenzione privilegiata alle parrocchie e alle zone pastorali, che rappresentano la struttura organizzativa di base e per le quali si può prevedere una scansione temporale del cammino. Per la consultazione delle unità pastorali già esistenti o in via di costituzione già da qualche anno, sarà opportuno pensare a un itinerario di riflessione più appropriato con la preparazione anche di alcune schede specifiche. La stessa cosa potrebbe valere per la consultazione delle aggregazioni ecclesiali e delle persone appartenenti ai vari “stati” di vita, anche se, essendo un cammino “sinodale”, andrà data la preferenza a quelle forme di consultazione dove c’è la compresenza di tutte le componenti della comunità cristiana. In ogni caso sarà importante che ogni comunità trovi le modalità più adeguate per fare spazio all’ascolto anche di quei fedeli che, pur non appartenendo a nessuna aggregazione e a nessun organismo, sono Chiesa a pieno titolo.

A) L’evento dell’Agorà: da luglio a settembre / ottobre 2011 Esso prevede tre momenti: 1) “Terre di fede”: nel mese di luglio 2011 Nelle macrozone si distribuisce lo “strumento per la consultazione diocesana” e si presenta il cammi42


MUNITA’ IN CAMMINO Sinodo sulle Unità Pastorali -Diocesi di Brescia COMUNITA’ IN CAMMINO no della nostra Chiesa diocesana nella storia, che la porta oggi a decidere di dare vita alle UP 2) “Chiesa nella città”: dal 12 al 18 settembre 2011 In questa settimana, oltre ad incontri di categoria (presbiteri, consacrati, catechisti, fanciulli e ragazzi ecc.), sono previsti alcuni appuntamenti aperti a tutta la cittadinanza sul tema dell’interpretazione dei segni dei tempi. 3) “Popolo in cammino”: dal 3 al 7 ottobre Nelle macrozone, il Vescovo incontra le comunità parrocchiali (consigli parrocchiali, operatori pastorali, gruppi ecc.) presentando il tema del Sinodo e lo “Strumento per la riflessione e la con-sultazione diocesana”.

B) Nelle parrocchie: ottobre 2011- aprile 2012 Aiutate da opportune schede preparate dagli Uffici di Curia, le comunità parrocchiali, in forme diversificate (consigli parrocchiali, gruppi e movimenti, operatori pastorali, animatori degli oratori, catechesi degli adulti ecc.), sono chiamate nel corso dell’anno ad offrire: a) alcune catechesi sulla prima parte dello Strumento (Contributi per la riflessione e la catechesi): esse potrebbero essere collocate in modo particolare in Avvento e Quaresima, assumendo, dove sia possibile e opportuno, la forma dei “Centri di ascolto della Parola”; b) la possibilità di un confronto e di una consultazione sulla seconda parte dello Strumento (Contributi per la consultazione). L’esito di tale consultazione dovrà essere fatto pervenire alla Segreteria del Sinodo. Sarebbe auspicabile che le iniziative qui richiamate si concludessero con una assemblea parrocchiale nella quale si condividano le proposte.

Pure il frutto di questa consultazione “zonale” dovrà essere fatto pervenire alla Segreteria del Sinodo.

CONCLUSIONE

Come afferma il vescovo Luciano nella sua Lettera sul Sinodo, la creazione delle unità pastorali non risolve tutti i problemi di una diocesi. Sembra, però, che aiuti ad affrontarli meglio, soprat-tutto perché va nella linea di una maggiore flessibilità e sollecita, a vari livelli, una maggiore comunione. Proprio di questo oggi c’è particolarmente bisogno. Perché il mondo contemporaneo possa continuare o riprendere a sperare, ha bisogno di vedere che su questa terra esiste un “luogo”, dove, nonostante i limiti C) Nelle zone: umani, si crede alla possibilità di vivere nell’unità maggio - settembre 2012 e nell’amore. La scoperta poi che il segreto di tale Si può prevedere qualche incontro (anche solo due possibilità si identifica con la fede in Gesù diventa o tre) per operare una consultazione e un di-scer- una delle forme più efficaci di evangelizzazione. È nimento anche a livello zonale, sulla base della se- quanto ha chiesto Gesù al Padre: «Tutti siano una conda parte dello Strumento per la rifles-sione e la cosa sola... perché il mondo creda» (Gv 17, 21). È quanto chiediamo anche noi al Padre insieme con consultazione diocesana. Gli incontri potrebbero avere soprattutto due forme: Cristo, perché l’avvenimento del Sinodo e la scelta delle unità pastorali rinnovino la Chiesa bresciana e a) incontri del Consiglio pastorale zonale b) assemblea zonale a cui partecipano, oltre ai contribuiscano a offrire motivi di speranza a questo membri del Consiglio pastorale zonale, anche due mondo. membri di ogni parrocchia designati dall’assemblea parrocchiale o dal Consiglio pastorale parrocchiale.

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ECCOMI + ECCOMI = SÌ X SEMPRE! Dunque, facciamo due calcoli. Un bel giorno di sei anni fa (precisamente il 2 ottobre 2005), a Botticino, in quella che allora non era ancora una basilica minore, ci fu una festa. Una giovane fanciulla di 29 anni si ritrovò con un velo sul capo, una croce al collo e tra le mani un libretto intitolato Regola di vita delle Suore Operaie della S. Casa di Nazareth. Tanta gente, tanta pioggia, ma tutti felici, perché ognuno aveva percepito che era accaduto qualcosa di speciale che riguardava non solo lei, ma ciascuno dei presenti, che in un modo o nell’altro erano stati interpellati da una domanda: «Ma tu, cosa vuoi farne della tua vita, l’unica che hai?». Quella giovane fanciulla, quel giorno, aveva detto il suo primo «sì» ad una proposta più grande di lei, che le era arrivata da Chi sa trasfigurare l’esistenza ed aprirla ad orizzonti inimmaginabili, incalcolabili. Quella era stata la sua risposta all’offerta di una vita “altra”, il suo «eccomi» all’ «eccomi» di Dio ad una sua creatura. Quando hai a che fare con Uno così, è sempre una sorpresa; i conti non tornano mai: si vede che Lui non ha frequentato un’ istituto per ragionieri. Quel giorno la fanciulla in questione non s’immaginava cosa l’aspettava. Con Lui funziona così: prima dici «sì», poi sperimenti, poi (forse) capisci qualcosina in più. E proprio perché ha capito che vale la pena mettere nelle Sue mani la sua vita, la giovane (ormai carica di qualche annetto in più) ha deciso di dire «sì per sempre». Fuor di metafora: la sot-

toscritta, il prossimo 8 ottobre, avrà l’immensa gioia di diventare per sempre nella Chiesa Suora Operaia della S. Casa di Nazareth. Qualcuno mi dice: «Tanto suora lo sei già…». È vero, ma quella volta non era «per sempre». La Chiesa prevede che il «sì» al Signore venga espresso per i primi anni in maniera temporanea, rinnovandolo di anno in anno se si comprende che questa è davvero la volontà di Dio sulla persona; dopo un certo tempo, bisogna fare una scelta definitiva. Qualcun altro mi dice: «Allora, finalmente, firmi il contratto a tempo indeterminato?!?!». Diciamo di sì, visto che sono Suora Operaia! E al di là delle battute, mi rendo conto che oggi non è per niente facile firmare un contratto così. Però il mio “datore di lavoro” è un Tipo speciale…. Questa mia vocazione è un dono; l’opportunità che ho di “lavorare”, anzi, di vivere con Lui e per Lui è qualcosa che va oltre ogni immaginazione. Ogni calcolo, appunto. Ermes Ronchi, un autore contemporaneo di spiritualità, dice che l’uomo cerca l’equivalenza, mentre Dio punta all’eccedenza. Vi posso testimoniare che è vero: mi è successo proprio questo. Se io oggi posso dire: «Eccomi, Signore, prendi per sempre la mia vita», è solo perché Lui mi aveva già anticipato con quel suo Amore capace di spingermi oltre, là dove da sola io non riuscirei ad arrivare. Da quando esisto, Lui mi dice: «Eccomi, ti do la vita e te la riempio pure». E io, quando ho capito che fa quello che dice e va al di là di ciò che posso pensare e sperare, gli rispondo: «Eccomi, ci sto: sei troppo grande per non dirti di sì!». Due «eccomi» fanno dun44

suor Erika Perini Nata a Brescia il 13/12/1976 Residente in via Panoramica (Ex Monastero della Trinità —S.Gallo) fino al 2001 Entrata nella Congregazione delle Suore Operaie della S. Casa di Nazareth l’8 aprile 2001 Prima Professione a Botticino il 2 ottobre 2005 Dal 2005 al 2009 nella comunità “Nazareth” di Passirano (BS), dove ha lavorato n un’azienda del settore metalmeccanico, ha completato gli studi di Scienze Religiose e ha seguito la pastorale dei giovani lavoratori. Dal 2009 è nella comunità “Emmaus” di Labico (provincia di Roma—diocesi di Palestrina), dove segue i giovani della parrocchia. Lavora all’Ufficio Nazionale di Pastorale Sociale e del Lavoro della CEI. Ha fatto la Professione Perpetua l’8 ottobre 2011 nella Cattedrale di S.Agapito di Palestrina, ore 16.00; la celebrazione sarà presieduta da S.E. Mons. Giulio Sanguineti.


que un «sì per sempre», dove il «sempre» non si limita ad una definizione di tempo (comprende anche questa, certamente), ma parla di intensità, di pienezza. Ha tutto il sapore di un’avventura che Lui conduce, come un aquilone sollevato dal Vento a cui io sono attaccata e che mi trascina là dove c’è Lui. Sapendo che Lui decide, ogni giorno, di farsi carne nelle nostre città, nel nostro lavoro, nel nostro mondo. La pienezza a cui vado incontro, che ho già cominciato a gustare, è possibile solo per la fedeltà di un Dio che non bada a spese, quando si tratta di Amore. Oggi come sei anni fa, questo «sì» non riguarda solo me: mi piace pensare che tante altre persone, sr. Erika il giorno della professione a Palestrina a partire dai miei compaesani, si sentano coinvolti in questa gioia, in questa storia. Dirò questo «sì» a Palestrina, la diocesi dove ho svolto il mio servizio negli ultimi due anni e dove tornerò. Mi sembra significativo, proprio perché «l’Amore di Cristo ci spinge»: dalle “origini” (S. Gallo, Botticino, la Casa Madre delle Suore Operaie…) si aprono gli orizzonti e si diventa missionari, pronti a ricevere la ricchezza di altri contesti, altre persone e a offrire Dio Onnipotente, quella che abbiamo riio Suor Erika Perini cevuto noi stessi. Non ti ringrazio di avermi consacrata a te sono andata e non ane di avermi chiamata drò in nessun luogo da a vivere il mio Battesimo sola, ma portando con nella Congregazione me le esperienze che delle Suore Operaie ho vissuto dai primi della Santa Casa di Nazareth. anni di vita, gli sguardi Alla vostra presenza, fratelli e sorelle, che mi hanno accome nelle tue mani, Madre Generale, pagnata, le mani di chi faccio voto per sempre mi ha sostenuta. di castità, povertà e obbedienza Il dono non è seguendo Gesù Cristo solo per me. e imitandolo nella vita a Nazareth. Spirito Santo,custodiscimi Condivido con nella fedeltà alla chiamata voi questa mia gioperché possa vivere secondo la Regola della ia, dunque… Al di là mia Congregazione e testimoniare il Vangelo di ogni nostro calcolo, tra i fratelli del mondo del lavoro. lasciamo che sia Lui a Gesù, Maria, Giuseppe “riempirci le tasche” e Sant’Arcangelo Tadini della vita. Fidiamoci… accompagnatemi con la vostra benedizione. Per sempre! Amen. sr. Erika

MANDATO MISSIONARIO a Sr ERMINIA APOSTOLI di San Gallo, durante la VEGLIA MISSIONARIA nella Cattedrale di Brescia sabato 29 ottobre ore 20,30 “Testimoni di Dio” è il tema della giornata missionaria mondiale di quest’anno, tre semplici parole che danno voce al desiderio profondo del mio cuore. È per questo desiderio che sono partita molti anni fa da San Gallo per vivere il mio “eccomi” dovunque Lui mi avesse voluta. E così le sue strade sono divenute le mie per molti anni in Burundi, poi a Brescia e presto, il prossimo anno 2012 con tre sorelle burundesi, ancora lo seguirò in terra africana, in MALI. In questo paese prevalentemente musulmano saremo chiamate ad essere testimoni silenziose e laboriose di quell’amore che Dio sogna per tutti i suoi figli. Insieme, come comunità missionaria, riceveremo il Crocifisso dalle mani del Vescovo sabato 29 Ottobre durante la veglia missionaria in Cattedrale. Vi invito ad unirvi al mio nuovo “eccomi” perché possa davvero essere testimone di Dio anche con la forza che viene dalla vostra preghiera che sempre mi accompagnerà. Grazie, Sr Erminia Apostoli 45


Parrocchia di Botticino Sera

Appello della Corale S. Maria Assunta:

servono coristi! La Corale S. Maria Assunta, che da oltre 20 anni svolge la propria attività con la specifica vocazione del servizio liturgico nell’ambito della comunità parrocchiale di Botticino Sera, ha subito una contrazione del numero dei propri membri, che oggi è divenuta tale da mettere a rischio la possibilità non solo di ampliare, ma anche di mantenere integralmente il proprio repertorio a 4 voci miste. Perché questo è accaduto? Si potrebbe argomentare a lungo, ma in sintesi si può affermare che anche la Corale, come tutte le comunità umane, subisce l’effetto delle vicende della vita dei propri membri. E sono fondamentalmente queste che hanno portato numerosi coristi alla rinuncia ad un servizio da essi amato e mantenuto magari per anni, anche con notevoli sacrificio e impegno. Oggi, per poter conservare ed incrementare livello e repertorio conseguiti, la Corale S. Maria Assunta ha bisogno di rinforzi, di persone disponibili a Nasce la dedicare una parte del loro tempo al servizio del canto liturgico, una parte invero piuttosto contenuta, considerato che consiste in una prova settimanale e in poco più di una decina di esecuzioni L'Unità Pastorale avrà un proprio coro nell’anno sociale. L’appello è rivolto a tutti, uomini e donne, senza distinzione alcuna. L'istituzione dell'Unità Pastorale, che comporta modifiche, anche Non è necessario conoscere bene la musica né profonde, della realtà precedente, non poteva non avere conseavere praticato il canto: sono sufficienti la voce, guenze anche sul servizio liturgico prestato dalle corali parrocil piacere di cantare e la disponibilità al lavoro chiali. di apprendimento nelle prove e alla condivisione In realtà si è fatto via via più netto e palese il fatto che ormai dell’impegno, delle scelte e della responsabilità esistono, e ancor più ve ne saranno in futuro, celebrazioni e mocon tutti i membri della Corale. Va poi cancellata l’immagine, che a volte qualcu- menti comunitari che trascendono il livello parrocchiale e apparno potrebbe avere, della Corale come di un grup- tengono squisitamente e specificatamente a quello dell'Unità po chiuso, rispetto al quale il “nuovo arrivato” si Pastorale. Ne consegue, sul piano del servizio del canto liturgico, la necessisentirebbe un estraneo. In realtà la Corale, un ambito specifico nel con- tà che esista una corale propria dell'Unità Pastorale, “titolare” del testo della Parrocchia, in cui tutti condividono servizio stesso di quei momenti e di quelle celebrazioni. tutto, dalle decisioni alle responsabilità, è una co- Da qui l'idea della creazione della “Corale S. Arcangelo Tadini”, un munità aperta, dove chi si presenta per la prima coro diverso, per Direzione, struttura, organizzazione e, in parte, volta, per farvi parte, è atteso e accolto, senza do- repertorio, e distinto rispetto alle corali parrocchiali, che contimanda né pretesa alcuna, come se fosse membro nuano la loro esistenza autonoma e la cui missione, a livello pardella Corale da sempre. La Corale pertanto rivolge il proprio appello, una rocchiale, rimane integralmente confermata. preghiera di aiuto, a tutti coloro che hanno una, Alla Corale S. Arcangelo Tadini, che sarà diretta dal M.° Juri Lanzini, sono invitati a partecipare tutti coloro che lo desiderano, a pur minima, possibilità di accoglierlo. Superfluo sottolineare che l’appello è rivolto an- partire dai coristi delle corali parrocchiali, per collaborare tutti inche, e con speciale attenzione, a tutti gli ex coristi: sieme a realizzare, con la gradualità necessaria, l'obiettivo di un sappiano che nel cuore di tutti non hanno mai coro adeguato alla realtà e alla dimensione dell'Unità Pastorale, cessato di essere cari amici e membri della Corale, e quindi un coro numericamente consistente e qualitativamente di livello significativo, con un repertorio di rilievo. sempre attesi dalla e nella stessa. Per eventuali, ulteriori informazioni e per espri- Il progetto prende concreto avvio in questi giorni, con lo specifico obiettivo, forse ambizioso, di realizzare la prima esecuzione mere la propria adesione, le persone interessa- ufficiale della nuova Corale nel giorno della prossima ricorrenza, te sono pregate di rivolgersi alla Segreteria della nell'anno 2012, di S. Arcangelo Tadini. Corale S. Maria Assunta (ore 16:00 – 18:00 dal Per qualsiasi ulteriore informazione e per aderire alla nuova coLunedì al Venerdì, tel. 345 7741390). rale, gli interessati possono rivolgersi alla Segreteria dell'Oratorio

“Corale S. Arcangelo Tadini”

di Botticino Sera, tel. 0302692094. 46


II ricordo di don Luigi Scaroni parroco a Botticino Sera dal 1962 al 1992

Lunedì 3 ottobre 2011 don Luigi Scaroni ci ha lasciato per sempre. Aveva 94 anni e da tempo non stava bene, la sua morte, pertanto, non è giunta inaspettata, ma l'evento è stato vissuto dalla comunità con partecipato cordoglio. Per trent'anni don Luigi è stato parroco della comunità di Botticino Sera, dal 1962 al 1992; un periodo lungo, vissuto con intensità e generosa dedizione che ha lasciato in tutti un grato ricordo. Il carattere buono, gioviale, aperto, omprensivo, paterno, lo ha aiutato a mantenere un rapporto cordiale con la gente nonostante i tempi difficili attraversati in quegli anni. Il suo ministero si è dovuto confrontare con le novità del Concilio, con la contestazione giovanile del '68, con i tempi del terrorismo, con il crollo del muro di Berlino e la crisi delle ideologie. In quei anni don Luigi ha sempre cercato di tenere il timone della fede ben saldo, cercando di aggiornarsi, di coltivare le ragioni della speranza, gettando ponti di dialogo con tutti. E' stato un parroco mansueto che ha lasciato in tutti un dolce ricordo. Ripercorrere tutte le cose fatte ci porterebbe lontano, basti ricordare il recupero ed il restauro dell'antica parrocchiale (ora sala donTadini) e tanti altri interventi della chiesa parrocchiale, dell’oratorio e del Villaggio Marcolini. La stima ed il ricordo di don Luigi getta un fascio di luce sul passato della nostra comunità, ne illumina il presente e resterà per l’avvenire. “In gioiosa armonia al cantico della Vergine Madre su questo nostro splendido pianeta, che ha visto il Creatore farsi creatura, la nostra giornata terrestre sia sempre un canto di lode a Dio, che si è fatto come noi, per farci come lui.”

don LUIGI SCARONI Nato a Lumezzane 15/3/1917 Ordinato sacerdote il 3/6/1943 a Brescia Vicario cooperatore a Pezzaze dal 1943 al 1947 Parroco a Treviso Bresciano dal 1947 al 1962 Parroco a Botticino Sera dal 1962 al 1992 Esorcista dal 1994 al 2001 Deceduto a Lumezzane presso la RSA “Le rondini” il 3.10.2011; funerato e sepolto a Lumezzane Pieve il 5.10.2011

II ricordo di don Giuseppe Chiodi parroco di Botticino Mattina dal 1988 al 2001

Nell’omelia del suo ingresso in parrocchia si presentò dicendo: “Vengo tra voi, guidato dal Cristo per realizzare amicizia, dialogo e comprensione”. Era il programma del Buon Pastore, modello di ogni sacerdote, che don Giuseppe, uomo buono di fede di preghiera, ha cercato di realizzare. Era sempre presente in parrocchia, sempre disponibile con semplicità e umiltà; non si allontanava mai dai suoi fedeli, perciò era facile incontrarlo in chiesa o in canonica o all’oratorio. E’ stato attivo anche a servizio della zona pastorale come segretario, soprattutto durante la visita pastorale del Vescovo Bruno Foresti. Così ha vissuto con intensità spirituale le Missioni popolari zonali nell’anno Santo 2000, in comunione con la grande famiglia francescana. Durante il suo parrocchiato si è pure dedicato al restauro e all’abbellimento delle strutture murarie; ha sistemato la ex casa del curato con accanto l’oratorio e il cinema- teatro; ha rifatto il castello delle campane; ha posto nella chiesa parrocchiale il nuovo ambone e il maestoso altare marmoreo in Botticino, opera pregevole dello scultore Tregambe. Infine ha avuto cura anche della chiesa di S. Nicola da Tolentino e ha sistemato la zona del Lazzaretto, ricavandone un luogo dignitoso e ben curato, ponendo accanto all’antica croce un altare di marmo per la celebrazione della S. Messa, proprio sul terreno, dove sono stati sepolti numerosi morti della peste del 1630. Ha così fissato come tradizione una processione dalla chiesa di S. Nicola fino al Lazzaretto, prima del 10 settembre, festa del Santo taumaturgo. Don Giuseppe è stato un dono per la parrocchia di Botticino Mattina, alla quale ha dedicato ben 13 anni di vita pastorale, con amore al bene e alla crescita spirituale di Botticino Mattina.

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don GIUSEPPE CHIODI Nato a Prevalle il 30.10.1928; ordinato a Brescia 15.6.1957; vicario parrocchiale a Fiesse 1957-1960; parroco a Cané 1960-1962; parroco a Palazzolo S. Giuseppe 1962-1977; parroco a Odolo 1977-1988; parroco a Botticino Mattina 1988-2001; deceduto a Brescia presso la Domus Caritatis il 28.9.2011; funerato e sepolto a Prevalle il 30.9.2011


Isidoro,prete a ‘60 anni’

A CHI HA SARA’ DATO …e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha (Mt 13,12). Non è la spiegazione del significato delle manovre di Tremonti. E’ la parola di Dio, “LA” Parola, che ci dice come funzionano le cose dello spirito e nell’area della fede. A ben guardare funziona tutto così, anche nella vita quotidiana: ti alleni e raggiungi l’obiettivo; ti eserciti in un campo e diventi esperto; insisti e ottieni…; non ti alleni e fallisci l’obiettivo; non ti eserciti e rimani al palo, senza crescere; desisti perché non desideri abbastanza e quindi non ottieni… Applichiamo alla Parola di Dio, che è il contesto proprio della frase d’apertura. Se non leggi e rileggi e non ascolti, non conosci. Se non studi e non capisci il primo messaggio, non puoi accedere al secondo, e il terzo poi si basa sul secondo…: ti fermi, intristisci, sei morto. E’ la parabola della fede di tanti di noi. Una fede che non cresce perché lasciata da parte, non coltivata. Non le si dà credito e quindi rimane una promessa non mantenuta. Purtroppo. Che sia un errore è scritto nel nostro subconscio di cristiani d’occidente. Esiste infatti una traccia non percorsa, che però c’è e della quale non si può e non si vuole fare a meno. Battesimo: perché no?! Mica siamo in Egitto e neppure siamo musulmani. Difendiamo l’identità. Lo dice anche la Lega. Prima Comunione e Cresima: perché no?! Festa, teneri sentimenti, innocenza da mettere in fotografia (…perché dopo… si sa… la vita…). Matrimonio in chiesa: perché no?! Tradizione, cultura, gusto estetico e snob, spettacolarità godibile e televisiva. Funerale religioso: perché no?! Conservare un buon ricordo, coreografia sommessa e delicata, sentirsi al centro della compassione, magari c’è davvero qualcosa anche dopo morti. E così via con tutti i sacramenti, esclusi quelli che danno fastidio, ovviamente. Confessione (la parola Riconciliazione non attacca ancora) ed Estrema Unzione (l’espressione Unzione degli Infermi idem come sopra): perché sì?! Ma chi li ha inventati! (il punto interrogativo qui sarebbe troppo impegnativo). E pensare che sono proprio questi ultimi due a non toccare il portafoglio! ‘Ah! …allora forse non valgono!’

cioè fuor di celebrazione e di ricorrenze, forse ci si vergogna: vedi fedeltà matrimoniale, comunione domenicale, catechismo, purezza, preghiera delle ore ecc. ecc. Peggio per noi! Ci sarà tolto anche quel poco che abbiamo. Invece di momenti di storia personale e di popolo queste tappe si riducono a un falso in atto pubblico, con testimoni per giunta, che si guarderanno bene dall’aiutare a mettere a fuoco il senso di quello che pur si trama insieme. Tutto una recita. Non si capisce più quello che dicono le parole in questi gesti, ma anche quello che dicono quando sono da sole. Il loro peso non pressa. Passa e va. Pappagallismo. Puro e leggero e piacevole solletico di superficie. Se c’è. Pesano? Accettiamone il peso, altrimenti le svuotiamo. Chi più ha, chi più si è fidato e affidato, legge una frase come “se con Lui moriamo, con Lui pure vivremo; se perseveriamo, con Lui anche regneremo” (2 Tim 2,11-12) e si dà da fare per morire e per perseverare sapendo che altrimenti non vive e non regna, non vivrà e non regnerà. ‘Morire?! Come?!’ Forse conta capire prima di scartare. Oppure legge “entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa” (Mt 7,13) e subito applica togliendosi dalla fiumana delle maggioranze, del <lo fan tutti>, dell’ <è sempre stato così>, del <si dice>, delle <leggi> che consacrano le mode e gli andazzi ma non si preoccupano della vera crescita o del vero bene dell’uomo, che si valuta sul lungo periodo, non sull’immediato. “Se si chiama stretta questa porta ci sarà un moti-

Tutte tappe… senza cammino. Che tristezza! Quanto ben di Dio lasciato basire, non capito, non creduto, a cui non ci si affida, di cui per altri versi,

Torino, 30 aprile 2011 Accolitato di Isidoro 48


pianure, non solo vo. montagne laghi Se l’altra è larga ci sarà un perché. Se di qui van tanti… ah! ah!... gatta ci cova! Me- e savane sabbiose. Genti diverse. glio andare dall’altra parte.”

Nere, non ‘cioc-

Quanti giovani alla deriva per colpa di padri che non colatini’ degli alsono padri, o di madri che preferiscono essere, che so?, veline! Ma anche colpa loro che non aprono gli occhi e non vedono o non vogliono vedere (certe lenti costano!) che altri percorrono strade diverse, e sono anche più riusciti e contenti.

La fede è una cosa seria. Per questo forse attacca soprattutto coi poveri. Questi non hanno le distrazioni, non hanno le cose facili, per cui stanno bene attenti a non perdere quelle che possono avere, di cui nessuno li può derubare e che sono garantite. Sono poveri anche di testa, cioè umili, e quindi si fidano. Si fidano dei martiri, per esempio. “Come hanno fatto? Perché?” Si fidano dei santi. “Come può stare che vivano una vita intera così? Quale forza hanno e da dove l’attingono?” Si fidano dei grandi (della storia e della scienza…) che credevano. Mettiamoci Dante, Galileo, i tre padri dell’Europa Unita, Madre Teresa, Giovanni Paolo II, Giovanni XXIII, Lech Walesa, Alessandro Manzoni,… (vorrei metterci anche qualche cantante-calciatore-attore, ma occorrerebbe una lanterna più potente). “Se loro sì perché non io? La mia testolina può più della loro? Guardiamo i frutti del loro albero.” Mettiamoci in silenzio, ascoltiamo, non diamo subito la nostra risposta, magari con arroganza e superbia e non ce ne accorgiamo neppure. Tante volte non sappiamo che parliamo per sentito dire, ci scanniamo su cose date per scontate solo perché lette o uscite dalla tv e le abbiamo fatte nostre sorseggiandole lentamente anche se velenose e abbracciandole senza confrontarle e criticarle con altre fonti più fresche e naturali e verificabile e affidabili come il nonno, la mamma, il papà, il prete, l’esperto, il ricercatore… Più difficile? Sì, certo, ma più umano e più vero, meno oppressivo, più rispettoso della libertà, meno creatore di dipendenza.

topiani. Poveri. E per questo aperti all’ascolto. Messe con predica in una lingua e traduzione in altre tre. Padre Nostro cantato successivamente in tre lingue. Canti di donne, a coro pieno devoto e avvolgente. Torino,30 aprile 2011 Offertori procesAccolitato di Isidoro sionali di tutti i fedeli all’altare. Rosario prima della messa. Comunioni di massa. Oratori con centinaia di ragazzi. Impegni estivi di lavoro per aiutare i genitori al pagamento della scuola. Partite di basket solo da contemplare a bocca aperta. Ovunque ebano lucente, per il sole che si lascia affascinare (solo?) da certi colori. E’ ora che ci abbronziamo anche noi. Può essere sempre estate. A questa di estate si può comandare, o ci si può esporre. Il sole poi il suo mestiere lo sa fare. Isidoro

Un po’ tutto questo intendevo quando nei precedenti interventi (Inversione ad U, Cartellini rossi e… paternità) vi invitavo a mettervi in cammino di conversione con me approfittando di un’ordinazione sacerdotale che cadrà fra 12 mesi al chiudersi dell’anno centenario della morte di Sant’Arcangelo Tadini. A che serve una festa, pure bella ma tutta esterna, senza arrivare al nocciolo del suo significato: “Perché faccio festa per un nuovo prete, vecchio per giunta? A me di san Gallo o di Botticino cosa ne viene? Nella mia vita che segno può lasciare? Cosa è un prete?...” Culto della personalità e ricerca della visibilità per se stessa?! Non abbiamo capito niente. Falso in atto pubblico? Sì!? E’ quindi più coerente rimanere a casa. A meno che si venga per cercare delle risposte. Ho trascorso il mese di luglio in Etiopia e lavato i panni nel Baro, abitato da coccodrilli. Tutto nuovo. Un’altra Africa per me. Verdi foreste e 49

Il 3 marzo 2012 a ZWAY (Etiopia)

ISIDORO verrà ordinato DIACONO

ultima tappa,prima dell’Ordinazione Sacerdotale, che avverrà a Botticino il 22 settembre 2012. Le comunità Parrocchiali di Botticino si preparano a vivere e a celebrare questi eventi nella preghera, nell’ascolto della Parola di Dio riscoprendo in essa la voce del Signore che chiama sempre, ad ogni ora, in ogni momento della vita ad essere nella sua Chiesa e nel mondo intero, e in modi diversi,segno del suo amore. Accompagnamo Isidoro sostenendolo con tutto il nostro affetto, attenzione e condividendo la sua trepidazione. Contribuiamo all’iniziativa di raccolta promossa dalle Parrocchie , quale dono alla Missione in Etiopia dove Isidoro svolgerà il suo ministero. L’Unità Pastorale di Botticino sarà presente all’Ordinazione Diaconale in Etiopia. Quanti hanno l’intenzione di partecipare comunichino con il parroco. Successivamente verranno convocati per costruire insieme l’organizzazione del viaggio(giorni,itinerario,spesa...).


pastorale familiare e di UNITA’ coppia - pastorale familiare e-PARROCCHIE di coppia - pastorale BOTTICINO familiare e di coppia PASTORALE

Commissione pastorale familiare e coppia Associazione PUNTO FAMIGLIA E DINTORNI

pagine per la famiglia e... dintorni

Segni e sogni

feta Daniele o il saggio re Salomone, che con la loro profondità di legame con Dio offrivano strade di speranza a tutto il popolo. La vocazione alla santità nella vita matrimoniale, cioè alla bellezza dell’Amore di Dio nell’amore tra un uomo e una donna, è un grande segno e un grande sogno: per noi cristiani, è luogo relazionale certo di salvezza e motivo di settembre 2011 piena realizzazione di vita. La sfida è nel rinnovare la speranza in polmoni un po’ sgonfi, lasciando soffiare lo Spi Parlo di quei sogni che danno le ali alla vita, che rito del Risorto e abbandonandosi alle mani provvidenti motivano mille sforzi; quelli per i quali non esiste nessun del Padre. Forse non dovremmo temere alcune domande, come ad esempio: è ancora possibile far sognare i giovani compenso nell’aspirazione ad amarsi l’un l’altro con amore fedele o prezzo che li possa sostituire... E con voi mi piacerebbe leggere i segni che Dio mette e indissolubile? Come restituire freschezza e bellezza al nella nostra esistenza personale e comunitaria, per comu- linguaggio della sessualità? O come riprendere a gustare la delicatezza degli affetti e dei sentimenti? E in fine, come nicarci la sua presenza misericordiosa e donarci la speranza in- proporre il matrimonio sacramento in quanto segno ecclesiale di salvezza, di felicità in Dio? crollabile nella risurrezione. In questo nuovo anno pastorale 2011- 2012, il nostro fo- Queste e tante altre domande vorrebbero trovare spazio glio di collegamento “La promessa” verrà sempre aperto nei prossimi articoli, con la certezza che i sogni si realizcon un articolo che dovrebbe far sognare ed aprire un po’ zano quando si comunicano e si condividono. Allora, che il Signore ci conceda la sua sapienza, per poter gioire della di più gli occhi sulla bellezza divina che ci circonda. Sarà un anno veramente eccezionale, soprattutto per l’oc- sua presenza e scegliere le sue strade. ottobre 2011 casione dell’Incontro Mondiale delle Famiglie con il San- to Il sogno di Dio è di salvarci col suo dono totale Padre (Milano 30 maggio – 3 giugno 2012), evento che e fedele di amore, nel Figlio Gesù Cristo, chiedendoci di favorirà una laboriosa preparazione, con la speranza di lasciarci amare e di fare altrettanto con il nostro prossimo, lasciare tracce significative e evangelicamente fruttuose. Anche questo è un grande segno di universalità di bene e per incontrarlo completamente. di comunione, ma risulterebbe solo espressione di potenza Ma noi, lo lasciamo sognare nella nostra vita?... o un autocompiacimento ecclesiale, se non assumessimo Riconosciamo che l’esistenza di ogni credente è segnata davvero il sogno di Dio sulla comunione coniugale e sulla da una grande chiamata, la vocazione, a cui poi deve corrispondere la libera risposta di ciascuno, la fede, appunto. comunità familiare. Siamo talmente abituati a pensare di gestire ogni cosa, per Ebbene, se come afferma S. Giovanni nella sua prima Letesempio attraverso il denaro e la tecnica, che chiedere ad tera, Dio è amore, e chi crede in Lui deve “dimorare” nel un adulto quali sogni sostengono la sua vita sembra una suo Amore, allora la vocazione è storia di dialogo d’amore, di relazione salvifica all’interno dell’Amore divino che domanda inadeguata, se non addirittura ridicola. In altra maniera, spesso si confondono gli ideali di spin- assume l’amore umano: Gesù Cristo è la pienezza di queta esistenziale con quelle cose che “tanto non capiteranno sta unione e la sua sintesi mirabile. mai” e su cui appare sciocco sostare con il pensiero, con Ma veniamo in concreto… Quando nel cuore di un adolescente sorge quel movimento stravolgente che noi chiail desiderio. Invece, quando un uomo sa sognare mette le ali alla sua miamo innamoramento, pur con tutte le distinzioni del vita, e se poi sogna insieme a Dio, vola per l’eternità e caso e nel limite di inizio di percorso, si deve ammettere dissemina di miracoli la storia! Quante volte nella Sacra che Dio è all’opera, attraversando pienamente le dinaScrittura i sogni diventano luogo di incontro col divino, miche umane e facendo scorrere la sua linfa di passione di rivelazione di soluzioni difficili o di anticipazione del all’interno di tenere vene ancora in erba. E tutto questo futuro. Bisogna recuperare il senso pieno della famosa non avviene in una singola persona isolata, ma a tutti in“scala di Giacobbe”, dove gli angeli dal cielo scendevano distintamente e con riferimento sempre al tutto comunitae poi vi risalivano, una fede cioè che coinvolga realmente rio, seppur con diverse gradazioni di coinvolgimento e di la nostra storia con la presenza continua e provvidente del consapevolezza. Salvatore. E i santi? Non sono forse stati in un certo senso La persona umana, essendo essenzialmente dei grandi “sognatori”? Con questo piglio potremo davve- relazionale, proviene da e crea sempre una forma comuniro leggere i segni che emergono nel nostro tempo, come taria. Anche per questo il Signore Gesù ci parla e ci salva invita il Concilio Vaticano II, distinguendo quelli prodotti dentro legami societari, ecclesiali. dal male da quelli proposti da Dio, dalla sua mano di Cre- La comunità cristiana, sia nella sua espressione più analitica (le persone e le famiglie), sia presa come un tutt’uno, atore – Salvatore – Consolatore. Sì, proprio come nell’Antico Testamento facevano il pro- è quindi pienamente coinvolta negli innamoramenti degli

e se Dio sognasse con noi?

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pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia adolescenti. Di questo, poco importa l’averne consapevolezza o volersene interessare, gli stravolgimenti relazionali arrivano come cataclismi, tanto conosciuti ma sempre imprevisti. Un ragazzo comincia ad essere diverso in casa, l’abbigliamento e la cura di sé rivestono maggior importanza, il rendimento scolastico diventa magari ballerino, la compagnia degli amici si accorge di alcune distrazioni nel cameratismo, anche nello sport i record sono per un po’ sospesi, ecc. Anche se con innegabili differenze tra maschio e femmina, tutta l’attenzione è rivolta verso una singola persona, in maniera elettiva e tendenzialmente totalizzante. Ora, davanti ad evidenze così macroscopiche e così intense negli effetti, non possiamo semplicemente aspettare che il temporale passi (“speriamo di limitare i danni”), oppure sciupare il tutto con un’ironia banalizzante (“sono sciocchezze da adolescenti”). É doveroso che la comunità cristiana, soprattutto nei suoi elementi di punta nel campo educativo (genitori, familiari, educatori, catechisti, sacerdoti, religiosi, ecc.), possa sostare con senso di meraviglia davanti agli innamoramenti e decida di accompagnare la tenerezza dei primi amori, per farli crescere ed irrobustire, nel segno della responsabilità e del discernimento. Invece, ad oggi, mi sembra che ci sia una latenza desolante, che apre a sconfinate pianure di solitudini, dove il commercio e la banalizzazione trionfano. Magari si grida ogni tanto allo scandalo di costumi non condivisibili in uso tra ragazzi, ma ci si dimentica che sono i nostri figli, che seguono e vivono soprattutto della società che gli adulti gli propinano. Proviamo ad ascoltare in prima persona alcune domande scomode: quanto ci importa che i ragazzi si innamorino? Come vediamo queste storie di vita? Leggiamo in esse qualcosa del sogno del Creatore? E che centra tutto questo con Gesù Cristo e il suo Vangelo di amore? Come, poi, seguire con piglio di cura educativa queste relazioni? In quanti dei nostri percorsi stabili si tiene conto efficacemente degli affetti adolescenziali? Dobbiamo ricordare che Dio è amore sempre, anche nel piccolo germoglio di un pianticella innamorata, anche nell’opera appena iniziata: Lui offre speranza, non chiude la fiducia, ama senza condizioni. Mi sembra che abbiamo bisogno di ricominciare a credere nell’incarnazione del suo amore nella nostra vita e a sperare con il suo cuore, ascoltando ogni palpito di vita buona, senza giudizi preconfezionati, ma con la passione di chi si sente coinvolto nell’accompagnare alla e nella vocazione cristiana, che è chiamata all’amore di Dio nell’amore umano! don Giorgio Comini segretariato diocesano pastorale familiare

Appuntamento.

Santa Messa per sposi coi loro figli, fidanzati e animatori della pastorale familiare. Ogni ultimo sabato del mese, alle ore 21 presso Centro Pastorale “Paolo VI” a Brescia.

LA FAMIGLIA IL LAVORO LA FESTA IN PREPARAZIONE ALL’INCONTRO MONDIALE

IL SEGRETO DI NAZARETH Il segreto di Nazareth è il titolo della prima. Qualche riflessione dopo la lettura. Gesù passa la maggior parte dei suoi anni tra le mura della casa di Nazareth. E’ lì che cresce, è educato, matura e diventa adulto. I Vangeli non ci consegnano tanti particolari di questo periodo – in segreto - lontano dalle folle, dall’esposizione che poi seguirà. Gesù vive con i suoi genitori, i parenti, i vicini di casa, gli amici, i maestri, lavora con Giuseppe; vive l’ordinarietà della vita, dentro un tempo concreto, introdotto al percorso di fede, alle tradizioni familiari. Sperimenta su di sé la cura, la pazienza, l’accoglienza, la comprensione, la fiducia degli altri. Vede anche la fatica del vivere, il male procurato, l’incoerenza, la sete di potere. Ma può crescere perché è accolto, per quello che è. La vita di ogni figlio è un mistero. Gesù cresce non solo perché il tempo inesorabilmente passa. Maria lo accoglie nel suo grembo e gli permette di nascere ma insieme a Giuseppe dona continuamente la vita perché Lui possa rispondere alla sua chiamata, alla sua vocazione, coltivi il rapporto col Padre. L’esserci di Giuseppe è importante per Gesù, molto prima che nasca. Diventa un uomo anche grazie a lui. Ascolta le sue indicazioni, le sue correzioni, impara un lavoro e lo condivide con lui, partecipa alle fatiche e alle soddisfazioni che ne derivano. Con la famiglia vive il tempo della festa, delle pratiche religiose domestiche, viaggia e conosce realtà diverse dalla propria. Nella sua famiglia impara a esprimersi, a pregare, ad aiutare chi è in difficoltà, a fare sacrifici, a rispettare l’altro, a essere paziente ... a prendere il volo per compiere quello che Dio gli chiede. Maria c’è anche nel momento della prova, c’è anche se non comprende tutto, e non trattiene per sé il figlio, anche lei lo dona. Il segreto di Nazareth è sotto gli occhi di tutti: una profonda comunione tra gli sposi, l’ascolto della voce di Dio, il desiderio di rispondere con scelte precise alla Sua chiamata, la speranza che sia così anche per i figli, la fede praticata e vissuta, la volontà di vivere il proprio tempo in pienezza, non solo per se stessi. E se ci fermiamo più spesso a contemplare questo segreto esso ci affascina, ci illumina e suscita in noi il desiderio e l’impegno perché possa realizzarsi anche nella nostra casa. Lasciamo allora che Gesù “cresca” nella nostra famiglia, che sia presente come uno di casa, perché possiamo essere educati da lui e i nostri figli scoprano proprio in famiglia il disegno di Dio sulla loro vita, e abbiano il tempo di maturare per accoglierlo. Solo così potremo offrire Gesù ai fratelli: attraverso la nostra vita, plasmata da Lui. Chiara Pedraccini 51


pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia -

Fondare sulla roccia:

Stile di vita della famiglia cristiana

Siamo famiglia cristiana solo quando andiamo a Messa, preghiamo, frequentiamo i locali della parrocchia, viviamo momenti di formazione? E il resto del tempo, quello passato tra le mura di casa, per le strade, in vacanza, nelle attività sportive, quando ci divertiamo, nell’impegno civile, sociale e politico, nella sensibilità verso il creato, nella partecipazione alla realtà scolastica, quando facciamo la spesa, quando paghiamo le tasse, quando ci riuniamo attorno alla tavola, quando compriamo le riviste, scegliamo i programmi tv e navighiamo in rete, quando festeggiamo i compleanni e gli anniversari, quando scegliamo i regali, quando raccogliamo le solitudini e fragilità di altre famiglie, quando le viviamo in prima persona, quando siamo educatori, quando arriva la malattia….? I discepoli del Signore che sono nel mondo senza essere del mondo, quale impronta danno alla storia attraverso il loro stile di vita? Quando sono quel lievito che fa fermentare tutta la pasta (massa)? Che stile di vita ci differenzia e contagia, rende testimonianza che il rapporto con Cristo alimenta una vita che vale la pena di

essere vissuta, non perché è senza problemi, ma è assunta in pienezza nella fatica del quotidiano? Anche quando le cose non tornano? Seguire Gesù e ascoltare la sua Parola, pregare, nutrirsi di Lui, invocare lo Spirito, non possono incidere solo sulle nostre idee, sui nostri principi senza prendere forma concreta in parole, gesti e scelte. Il Signore interpella sempre la nostra libertà. Così il Regno di Dio feconda la storia. La sequela di Gesù non può essere confinata in momenti precisi della settimana, è una chiamata per la vita tutta, 24 ore al giorno, non solo la domenica. “Abbiamo creduto all’amore di Dio: così il cristiano può esprimere la scelta fondamentale della sua vita. All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte” (Deus caritas est, 1). La sequela vera gradualmente si concretizza in scelte che diventano uno stile di vita, delle buone abitudini che nascono anche da rinunce precise, dal riconoscere i veri bisogni e

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ci danno lo spazio per coltivare i legami famigliari, per aver cura dell’altro e della sua fragilità, per essere attenti alle necessità concrete degli altri, per condividere anche in tempo di crisi. Il modo col quale ci relazioniamo tra di noi e con gli altri, definisce uno stile familiare ed esso ci aiuta a consolidare la nostra identità, a farci crescere…è un circolo virtuoso. Ogni famiglia definisce il proprio dentro una storia concreta che è la sua e non quella di un’altra famiglia. Parole come apertura alla vita, tenerezza, sobrietà, accoglienza, onestà, perdono, ascolto, fedeltà, rispetto, comprensione, sacrificio, linguaggio pulito, passione educativa, pace, comunicazione, diventano esperienze concrete e abitate dalla presenza di Dio e del suo amore, attraverso comportamenti, atteggiamenti, priorità che tessono la vita in ogni casa. La famiglia cristiana deve essere sale e luce della terra perché “se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altroserve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente” (Mt 5,13). Chiara Pedraccini


pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia Il Gruppo Galilea un cammino di fede per persone che vivono situazioni matrimoniali difficili o irregolari (es. divorziati-risposati). Gli incontri sono mensili, al centro la Parola di Dio, con ampi spazi di ascolto, riflessione e condivisione. Ogni primo sabato del mese. Gli incontri si tengono da calendario annuale, presso il Centro Pastorale “Paolo VI”, (situato in via Gezio Calini, 30 - Brescia) un sabato al mese, dalle ore 17.00 alle ore 19.00. Guida e accompagnatore del Gruppo è don Giorgio Comini, direttore dell’Ufficio Diocesano di Pastorale Familiare.

numero verde da numero fisso 800-123958 da cellulare 3462225896

“Retrouvaille” propone weekend per coniugi che vivono un momento di difficoltà, di grave crisi, che pensano alla separazione o sono già separati ma desiderano ritrovare se stessi e una relazione di coppia chiara e stabile. Per info: info@retrouvaille.it e www.retrouvaille.it.

Pomeriggi di spiritualità coniugale

presso Chiesa della S. Famiglia di Nazaret Fantasina - Cellatica (ore 16.00 - 18.00). CALENDARIO ANNUALE: - Domenica 16 ottobre - Domenica 20 novembre - Domenica 18 dicembre- Domenica 22 gennaio - Domenica 26 febbraio - Domenica 18 marzo - Domenica 15 aprile - Domenica 27 maggio

Profili di santità coniugale don Giovanni Battista Zuaboni Abbiamo già presentato la vita del sacerdote Sant’Arcangelo Tadini e ora il Servo di Dio don Giovanni Battista Zuaboni, fondatore dell’ Istituto Pro Familia. Nasce a Promo di Vestone (Bs) il 24 gennaio 1880. La mamma muore quando lui ha solo 2 anni. Questa assenza prematura segna la sua vita rendendolo particolarmente sensibile al ruolo della donna e della madre in famiglia. Entra in Seminario nel 1897 ed è ordinato nel 1906. Svolge il suo ministero a Volciano, Nuvolera e nella Parrocchia di San Giovanni Evangelista a Brescia. E’ stato un pioniere della pastorale familiare, con la certezza di servire Cristo e la Chiesa attraverso il risanamento della radice familiare, partendo dalle giovani, in futuro spose, con una scuola per loro, di due anni, per conseguire l’attestato di quinta elementare. Ma proseguì nella proposta educativa con qualcosa di specifico per la promozione umana delle giovani lavoratrici, in quanto donne, spose e cristiane, per prepararle alla vita matrimoniale e familiare, tenendo conto dei cambiamenti sociali in atto e delle loro ore di lavoro quotidiane. Nascono così nel 1918 le Scuole - serali e gratuitedella Buona Massaia (oggi diventate Scuole di vita familiare), che si diffondono in diverse parrocchie sia in diocesi che fuori. Le scuole sono un luogo dove tutto è formativo, dove ci si educa (religiosamente e civilmente), si apprendono valori vivendoli, si acquisiscono capacità ( dal fare i conti di casa, all’igiene domestica, il taglio e cucito, il rammendo, l’arte culinaria, la stireria), si studia. Ma Don Zuaboni capisce l’importanza di un programma più vasto e introduce Corsi relativi alle preparazione ed assistenza familiare nelle situazioni cittadine, industriali e rurali, Convegni di studio e formazione per giovani avviate al matrimonio, l’Associazione ex alunne sposate e non. Sempre attento alla vocazione umana personale e alla situazione familiare locale, reale. Nel 1926 oltre alla Biblioteca, viene iniziata una formazione specifica per le fidanzate e la loro preparazione prossima alle nozze. Più tardi pensa anche ad un equipe di persone dedicate completamente alle Scuole, per cui nel 1930 nascono l’Istituto Pro Familia e più tardi l’Istituto secolare delle Missionarie della famiglia e, dopo la sua morte, gli Apostoli della famiglia, sposi testimoni e apostoli dell’amore coniugale e familiare. Don Giovanni Battista seppe anche valorizzare il contributo delle vedove, per affiancare le giovani spose e aiutarle in casa facilitandole nella frequenza ai Sacramenti. Muore il 12 dicembre 1939. Viene proclamato Servo di Dio il 25 settembre del 1993 a Brescia. E’ in corso la causa di canonizzazione. Davvero profetica ancora oggi per la nostra chiesa bresciana la sua intuizione di un itinerario formativo remoto, che consideri la persona nella globalità delle sue dimensioni e nella realizzazione vocazionale al matrimonio. Intuizione della necessità di un’educazione preventiva, a partire dall’adolescenza, per preparare famiglie sane e di conseguenza un tessuto ecclesiale forte. Ma anche di un accompagnamento nei primi anni di vita coniugale e oltre, con una formazione permanente. Con la speranza che gli adulti sposi si mettano al servizio di altri. Profetica anche la sua comprensione di quello che Giovanni Paolo II chiamò il genio femminile, da curare e far maturare per il bene di tutti. L’offerta dell’Istituto Pro Familia oggi si è ulteriormente ampliata, con percorsi per sposi e fidanzati, per educatori degli adolescenti. Vi invito a visitare il sito www.profamilia.it. e la pubblicazione bimestrale Vita Familiare.

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pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - p

FAMIGLIA E RITUALITA’

SALUTO IN FAMIGLIA E NELLA LITURGIA IL

L

SOMIGLIANZE E DIFFERENZE

e i gesti la rendono performante, efficace, forte. In famiglia e ritualità quotidiane del saluto producono le parole la parola vuole essere originale, spontanea: tende a divenperformative (cioè significanti) che contribuiscono in modo tare, di caso in caso, gergo, filastrocca, codice «segreto». determinante a rendere sacra la casa, a caratterizzare in La comunicazione intima del saluto familiare è un rapporto modo unico ogni entrare ed ogni uscire, e rendono partecipi cuore a cuore, faccia a faccia, perché è vita offerta e congli altri del cominciare e del finire di ogni attività. divisa, in incontri dove il gesto riveste un’ampiezza e una Il saluto esige la parola (non basta il gesto) ma la parola forza del tutto particolare. Un semplice sguardo, un cenno non produrrebbe alcun effetto se non fosse accompagnata anche essenziale può essere una co¬municazione di granda microritualità che sospendono per un attimo il tempo e de intensità. Non essendo un mimo ma un’espressione persoorientano alla persona dell’altro per farla sentire unica. nale, la ritualità della presenza delle persone che si amano L’individualismo e gli stili frenetici di vita diffondono, oggi, comporta però anche una presa di distanza, per evitare la tendenza a privilegiare l’esperienza temporale a sca- che sia scambiata per invadenza. Il pudore familiare, che pito di quella spaziale (fermarsi solo fin quando se ne ha si esprime in forme del tutto diverse di quanto avviene con bisogno, ritirarsi alla prima difficoltà, scegliere i pro-pri im- estranei, non è annullato. Rimane, invece, per opporsi a pegni indipendentemente dalle esigenze delle altre perso- quanto potrebbe apparire ostentazione, sfoggio, finzione. ne...). La casa diventa, così, una centrale di smi-stamento dei continui andare e venire. Il saluto che trasforma l’assemblea Senza la cura meticolosa delle ritualità del saluto e la capacità di verificarle, rinnovarle, correggerle, la comunica- Un ruolo e una complessità non minore ha il saluto di chi zione familiare gradualmente si esaurisce. Nella fatica del presiede le celebrazioni liturgiche. Ogni rito, infatti, comquotidiano e nella sua assuefazione si rischia di pas¬sare prende un iniziale dialogo d’accoglienza e di saluto, in accanto alle persone «familiari» senza più accorgersi, di alcuni casi anche di presentazione e conoscenza reciprovivere insieme senza incontrarsi. Ciascuno è preso da sé, ca, dove le persone sono chiamate per nome (come nel eppure è poco consapevole di sé e quindi, di riflesso, degli rito del battesimo). Lo spazio, già occupato fisicamente altri. e corporalmente, è trasportato, con questi riti e queste Il saluto è molto più di un’etichetta di buona educazione: è parole, ad una dimensione simbolica più profonda: il «Siun gesto umano di complessa intensità. Comprende la mano gnore con noi» nell’intimità dello Spirito. In questa inteche fa segno all’altro, lo invita, lo chiama, lo riceve. Prende- riorità si costruisce la comunità liturgica: sentirsi avvolti re la mano, stringerla, è una dichiarazione di mutua appartenenza e un modo per mettere in comune le singole energie: si diventa una forza sola, si porta con sé la persona amata, non per possederla ma per «introiettarla» (portarla dentro). Nel rito religioso del matrimonio, per esempio, è la stretta di mano (e non, invece, il bacio) il simbolo scelto per il sacramento dell’amore. È la mano saldamente con- Il saluto liturgico, giunta a quella dell’altro che trasmette ed accoglie il preceduto da dono di una vita indissolu- un ingresso degno, bilmente condivisa. crea il clima giusto Nell’abbraccio il significato per una celebrazione dell’appartenenza è ancor più evidente: avviene come che condurrà oltre... un’osmosi attraverso il cor- all’incontro con Dio. po delle rispettive interiori- Molto dipende dal sentà personali. Le ritualità rendono i gesti so, dalla misura «parlanti» perché stabili- e dal corretto modo scono una connessione inti- di compiere gesti ma tra parola e gesto. La e parole. parola accompagna i gesti 54


pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia dall’invisibile Presenza dello Spirito è anche, contemporaneamente, entrare reciprocamente nello spazio inferiore dell’altro. Lo spazio sacro trasforma il senso e il peso delle parole, sottoponendole ad un intenso processo d’interiorizzazione. L’azione liturgica esige, però, una disciplina delle emozioni originale e diversa da quella richiesta dalle ri¬tualità familiari. È necessario il senso della misura e delle proporzioni affinchè i sentimenti e le parole dei riti emergano nella loro purezza. Nella celebrazione della fede tutto converge sull’invisibile Presenza del Signore, tutto deve fare segno a Lui. Le persone radunate nell’aula liturgica sono sì importanti e uniche, ma lo sono di fronte a Dio, in quanto fanno parte di una comunità che è intermediaria dell’azione dello Spirito del Risorto. Lo indicano chiaramente le pa¬role del saluto liturgico: le persone radunate non sono chiamate «amiche e amici» ma «sorelle e fratelli». Il legame che si stabilisce tra i credenti in preghiera è di una natura «familiare» particolare: dice il riferimento diretto a un Padre comune e non a una simpatia del «sentire» umano.

Questo non significa che il legame umano non conti, tutt’altro. Per dare gloria a Dio è necessaria la «partecipazione attiva» del corpo, della mente e del cuo¬re. Il Signore merita che si aderisca a Lui con l’interiorità emozionale degli affetti e dei sentimenti.

GIOCO DAVANTI A DIO

FARE UN

IL CANTO E IL SALUTO D’INIZIO

I

I saluto è molto più di un’etichetta di buona educazione: è un gesto umano di complessa intensità. Le ritualità del saluto familiare stabiliscono un’intima comunicazione tra gesti e parole, che sono così rese performative. Non meno intenso ed essenziale è il saluto liturgico che da inizio alla celebrazione. In questo caso tutto è più complesso e più grande. La famiglia è un popolo: un’assemblea numerosa di persone spesso estranee, nella vita sociale quotidiana, che per rendere culto al Signore devono però sentirsi sorelle e fratelli. La comunicazione che si vuole stabilire è quindi con l’Invisibile Presenza che per i credenti è presenza sacramentale reale. Il Signore è un Dio che parla, che ascolta, che si dona a un’assemblea che risponde ai suoi inviti e gioisce nel «vedere il Signore» come fecero i discepoli il primo giorno dopo il sabato quando «mostrò loro le mani e il costato» (Gv 20,20). Nell’assemblea liturgica il Signore si mostra in modo non meno reale. Come rappresentare un mistero così smisurato? Indagando nella vita familiare e nelle sue ritualità troviamo delle indicazioni preziose. Come esprimono i bimbi la certezza di essere amati, come dicono lo stupore di sentirsi vivi? Come vivono la presenza dei genitori quando essi sono assenti? Attraverso il gioco. Il gioco è un ambito sorgivo privilegiato della tenerezza dei legami familiari. Lo si vede chiaramente nei bambini: nei loro giochi non si propongono di raggiungere nulla, non hanno alcuno scopo. Si divertono a mettere alla prova la loro vitalità, ad espandere la loro vivaci-

tà; inventano movimenti, gesti e parole, compongono storie, rime, melodie. Sono comportamenti senza finalità eppure contengono grandi significati. Manifestano la loro voglia di vivere e di crescere, la gioia di sentirsi e diventare se stessi, la certezza di sentirsi in compagnia anche da soli. È la vita che si esprime bella, in sé e per sé. Non è necessario avere risultati da raggiungere e performance in cui eccellere, per essere felici: è sufficiente lasciarsi andare alla vita. Il gioco contiene il fascino dall’imprevedibile, il rifiuto del mondo limitato della prestazione. La tenerezza è il godimento dell’altro per il valore della

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pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia sua persona. Sono due le possibilità di liberarsi dal predominio dell’utile e della funzionalità: ci si può espandere in estensione, si può scendere in profondità. Ci si può sottrarre spazialmente con il viaggio e l’avventura, oppure fantasticamente nel gioco. Entrambe le soluzioni si possono vivere nelle ritualità familiari ed entrambe conferiscono forza vitale alla vita familiare. In famiglia non devono mancare tempi straordinari dedicati al viaggio. I periodi di vacanza, certi weekend segnati sul calendario e dedicati a questo scopo, date importanti nella storia familiare (compleanni, anniversario di matrimonio, conseguimento di obiettivi importanti...) possono essere dedicati all’avventura. Il viaggio andrà preparato con cura, non tanto nel dettaglio delle mete e dell’organizzazione (è

parte integrante del gioco e dell’avventura l’imprevedibile e la sorpresa) quanto piuttosto nel vissuto dell’evento in sé, affidando ruoli e responsabilità ad ognuno. Anche i tempi ordinar!, però, vanno riscattati dall’abitudinario con momenti di gioco familiare. Per evitare di essere travolti dagli impegni e dalle mansioni familiari può essere opportuno fissare serate precise da dedicare al gioco. In alcune occasioni l’invito può essere esteso anche ai vicini di casa, ad alcuni parenti o amici: un tempo la famiglia allargata si costruiva più attorno al gioco in casa (particolarmente nel periodo invernale) che agli eventi straordinari della festa o della solidarietà. Il gioco è un’attività libera e-spontanea che ritaglia un tempo e occupa uno spazio ai quali assegna un significato particolare, fuori della vita quotidiana. Si crea un set specifico di comportamenti, di gesti e di espressioni con cui la realtà è spostata su un altro piano. Precisi «marcatori di contesto» mandano un messaggio in grado di liberare da ogni ambiguità e di indicare distintamente: «questo è un gioco». La messa in parentesi del quotidiano non significa però finzione o fuga, ma, invece, modo diverso di dire e di vivere la medesima realtà. Il gioco familiare potrebbe quindi, in certe situazioni riprodurre aspetti della vita familiare sui quali è insuffi ciente o difficile comunicare solo verbalmente. Situazioni conflittuali, zone d’ombra del vissuto familiare, desideri irrealizzati, possono rivivere attraverso il gioco. Allusioni, simulazioni, giochi di ruolo possono preparare il terreno alla comunicazione verbale e produrre forme salutari d’ironia o autoironia che sdrammatizzano, ridimensionano e aprono la

strada al dialogo. La fiaba con i figli bambini, il racconto con i più grandi, la poesia o il brano musicale con gli adolescenti possono rassicurare la fiducia dopo il rimprovero, riavvicinare le posizioni, ricucire i legami interrotti. Il linguaggio ludico è di genere «performativo», tende, cioè, a creare una situazione di coinvolgimento totale dei partecipanti. Nel gioco, infatti, le persone si rivelano quelle che sono, perché anche l’autodisciplina si allenta lasciando emergere tratti del temperamento che la vita quotidiana e il suo controllo tendono a celare. È possibile osservare nel gioco un sano ed intrigante paradosso: senza regole il gioco non esiste e proprio il confronto con i suoi vincoli libera la creatività e la fantasia, rendendo così il gioco imprevedibile e, per questo, divertente. Il valore psicologico del gioco sta nella possibilità di combinare necessità e libertà, regole e divertimento, un po’ come l’educazione riuscita che ha bisogno che le regole dei genitori s’incontrino con la libera adesione dei figli. Il mondo magico dell’infanzia è la trasfigurazione dell’essenza delle cose attraverso il gioco. Tutto ciò che il bambino ama, lo trasforma in gioco. Non esiste, infatti, giocattolo migliore della mamma e del papa. D’altra parte, gli stessi genitori possono comunicare con il figlio quando ancora non parla solo mediante il gioco. Crescendo, il bambino imparerà gradualmente a confrontarsi con la realtà e la sua fatica e a distinguere il dovere dal piacere. Avrà meno tempo per giocare ma non dovrà smettervi del tutto, se non vorrà vedere inaridita la sua vita nel dovere senza piacere. L’espressione spontanea e libera di sé, il godimento spensierato della vita saranno, in seguito, meno immediati, ma scoprirà di poter disporre di altre risorse, di poter imparare altri linguaggi per non lasciarsi opprimere dal peso della vita. Nell’immaginazione e nell’espressione artistica, nel racconto come nella musica, nelle forme e nei colori cercherà di trasporre la vita quotidiana in un altro ordine di realtà: la formazione del gusto e del godimento estetico. Nella partecipazione liturgica e nell’esperienza mistica, il bisogno di sottrarsi al limite della quotidianità, trova risposte ancora più efficaci e singolari. Il lato nascosto della realtà,

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pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia quello che sfugge allo sguardo superficiale eppure sollecita con le sue domande, ha qui un nome e un volto, quello luminoso di Dio. Si tratta, certo, di un’esperienza «soprannaturale» (trascendente) che tuttavia si esprime e al tempo stesso corrisponde al mondo dei sensi (immanente). Nulla a che vedere, quindi, con i linguaggi virtuali, oggi così sviluppati: quello che avviene, non è proiezione della fantasia, né stimolazione emozionale ma è vissuto reale, se pure secondo un linguaggio proprio, quello del rito.

Il gioco del bambino, la creazione dell’artista, l’incanto della liturgia sono tre ambiti di esperienze uniti da sorprendenti somiglianze. Tutte tre presuppongono norme precise e vincolanti: le regole del gioco, le leggi della composizione artistica (come nella musica e nella scrittura), le prescrizioni li-turgiche sulle parole e sui gesti, sull’uso dei simboli, degli oggetti e dei colori. Le regole che ordinano i tre ambiti promuovono l’espressione esaltante della libertà sotto forma di divertimento (gioco), di godimento (arte), di sublime ed intima unione con il divino (liturgia). In tutti tre i domini avviene, inoltre, la stessa operazione: parole, oggetti, gesti, sono presi dal loro uso quotidiano, a cui normalmente appartengono, per essere trasposti in una realtà diversa e acquisire significati nuovi ed esclusivi. Gioco, arte e liturgia, pur così diversi nelle loro espressioni e nei loro obiettivi, sono in realtà, indisgiungibili; sono tre modi d’intendere e trascendere la medesima vita quotidiana. Solo chi ha sperimentato la magia del gioco e continua a praticarlo, solo chi non smette di alimentare il buon gusto del bello, solo chi accetta di «diventare come bambino», può entrare nel mistero della liturgia e gustarne l’incanto. D’altra parte c’è chi ha definito la liturgia come espressione «ludica», come «fare un gioco dinanzi a Dio» (R. Guardini). Inoltre, non soltanto il rito liturgico può essere immaginato e realizzato come «opera d’arte» in azione, ma, più ancora, il suo frutto è trasformare la vita stessa in «opera d’arte», «santificando» la persona che celebra nella «dignità di figlio» riscattandolo dalla schiavitù del destino, in un’esperienza in cui le categorie estetiche e morali s’intrecciano fino a fondersi, in una sublime combinazione di impegno etico e di beatitudine. Gioco, arte e ritualità liturgica si uniscono in modo mirabile nei riti d’inizio della celebrazione eucaristica. Il sacerdote va all’altare non come si passa da una stanza all’altra. Percorre invece uno spazio disteso, attraversa un’assemblea. È ac-

compagnato da ministri e ministranti ma il loro procedere non è una «transumanza» ma un incedere, che se non ha (purtroppo) nelle nostre chiese il ritmo della danza, lascia trasparire la solennità e lo splendore di un viaggio che dalla quotidianità trasporta in uno spazio altro, dove le cose appaiono diversamente (quale straordinaria avventura!) e dove il tempo non si misura più con l’orologio (quale liberazione!). Questo passaggio è tanto più importante e difficile perché oggi la quotidianità sembra nascondere ogni traccia della Trascendenza e distogliere pesantemente l’attenzione da sé, dagli altri, dalla natura. Compiere un «gioco davanti a Dio» per lasciarsi trasportare in uno spazio e un tempo nuovi ha bisogno, più che mai, anche dell’arte. L’assemblea è raccolta e «trasformata» dalla solennità del canto d’inizio che fa vibrare all’unisono (se è vera musica liturgica, accessibile però a quella specifica assemblea) una massa di persone che, se pure non si conoscono, hanno in comune un’unica fede. Il ritmo e la melodia si fondono con le forme e i colori dei paramenti liturgici, delle composizioni floreali, della nobile semplicità dell’altare. La scelta del canto d’inizio, la sua esecuzione e la partecipazione dell’assemblea sono quindi elementi tutt’altro che secondari per la celebrazione liturgica. Non possono essere lasciati al caso e all’improvvisazione. Il corpo che prega ha bisogno di un aiuto e molto dipende dall’inizio: essere subito afferrati e portati all’Invisibile Presenza. È la piena accettazione della corporeità, nel rito, che celebra l’annuncio della rivelazione cristiana sull’Incarnazione e sulla risurrezione del corpo. Nella liturgia il corpo non è considerato semplicemente come un tema del messaggio cristiano o uno strumento occasionale del culto, ma come il luogo originario da cui la liturgia prende inizio. Solo rimanendo fedeli al corpo, il cristiano nel rito, fin dal suo inizio, offre se stesso come vittima spirituale, ancorata alla vita quotidiana e alla storia del mondo.

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QUI SCUOLA

EDUCAZIONE E SCUOLA dalla relazione del prof. Mari

La scuola ha riaperto i battenti per un nuovo intenso anno scolastico colmo di serene aspettative e, come ogni anno, la

parrocchia si è preoccupata di riservare una giornata all’avvio delle attività didattiche, dedicata a genitori e ragazzi , e non solo della sua scuola, perché crede fermamente nella necessità di una formazione permanente e di un confronto sotto la guida di esperti qualificati . Inoltre pensa che la Messa sia anche in questa occasione il momento migliore per incontrarsi, affidarsi al Signore e sentirsi uniti alla comunità. Il tema sul quale ci siamo soffermati a riflettere quest’anno ( 24 settembre - Giornata parrocchiale di inizio anno scolastico) è stato : educazione, emergenza educativa, quali possibili collaborazioni tra scuola e famiglia, tema importante se pensiamo alla nostra fatica di genitori , chiamati ad essere presenti su vari fronti in una realtà in cui mancano orizzonti educativi condivisi ed orientamenti comuni. La nostra epoca è ormai dominata dal “virtuale” che facilita apparentemente la comunicazione, ma in realtà rinuncia alla relazione che presuppone la fatica e l’impegno dell’ascolto e del confronto; in tale realtà si prospetta un duplice pericolo: quello di essere famiglia disinteressata e assente , o famiglia eccessivamente preoccupata e quindi asfissiante. Da qui il riconoscimento del fatto che non possiamo educare da soli. Ecco allora la scuola che affianca ed integra il nostro impegno di genitori, in un rapporto di QUANDO IL TEATRO ENTRA NELLA collaborazione e condivisione di valori essenziali. A scuola i figli si misurano con figure di ruolo, al STORIA E…NELLA SCUOLA di fuori di un rapporto connotato in chiave strettamente “affettiva” come quello che sperimentano Esperienza singolare e dall’alta valenza educativa quella speriin famiglia. A scuola i ragazzi si incontrano con mentata alla fine dell’anno scolastico dagli alunni della scuola il “FORMALE” dove il DOVERE prevale rispetto parrocchiale Don Orione.Calato il sipario sui festeggiamenti del alla soddisfazione immediata di bisogni. A scuo- 150° dell’unità d’Italia, eccolo riaprirsi sull’ultimo atto di questo la si va innanzitutto per IMPARARE, essa offre la processo unitario terminato con il primo conflitto mondiale bella opportunità della FATICA, della conquista che ha portato all’annessione di Trento e Triste . che si traduce in stima di sé, elemento essenziale Una pagina di storia a molti sconosciuta è stata riportata alla per non cedere al richiamo di esperienze negative; è a scuola che si matura e ci si impegna per luce e alla nostra conoscenza grazie alle ricerche accurate di Gio CUSTODIRE il valore che ognuno è. Nella scuola Pietro Biemmi, instancabile autore di testi teatrali e regista della cattolica, in specifico, viene valorizzata la FEDE, Combriccola teatrale parrocchiale. come componente essenziale dell’identità, dimen- “Storie di confine” è il lavoro che l’abile maestria degli attori della sione che parla al futuro, infatti credere che Dio combriccola ha portato in scena, per la prima volta, insieme ad esiste significa alzare lo sguardo oltre il presente , alcuni ragazzi della nostra scuola. quindi come suggeriscono i nostri vescovi “educare Adulti e ragazzi si sono confrontati su questa storia, interpretando alla vita buona del vangelo” significa porsi nella il ruolo di esuli, trentini della Val di Ledro, che improvvisamente prospettiva di conoscere ed “agire” la propria di- la guerra ha sradicato dalle loro case verso la lontana Boemia. gnità. Tanti i motivi di riflessione per i giovani studenti, per i quali la sto In un panorama tanto complesso, collaborare ria è spesso solo una delle tante materie di studio: la guerra, l’odio, diventa allora irrinunciabile , da una parte la scuo- l’intolleranza, ma anche l’accoglienza , la solidarietà, la dedizione la offre un progetto educativo e la competenza di stranieri che hanno saputo dare ospitalità a 75.000 esuli cerdei suoi operatori , dall’altra la famiglia offre cando, in terra straniera di farli sentire meno estranei e lontani. l’adesione a questo progetto, impegnandosi a te- Un messaggio di grande speranza in un momento di così radicale nere in onore la scuola, senza schierarsi acritica- indifferenza. Entusiastica la risposta dei ragazzi che si sono cimenmente dalla parte dei figli, senza sentirsi fallita a tati con vivo interesse nell’impresa di recitare ; il primo grazie va causa dei loro insuccessi, senza recriminare contro a loro per non essersi tirati indietro, alle loro famiglie che si sono l’insegnante per osservazioni e richiami. disponibili ad accompagnarli alle prove, un grazie vivissimo La famiglia non può non farsi alleata della scuo- rese alla Combriccola la sua paziente disponibilità e a tutti coloro la, ambiente che “traghetta” verso mete educative che hanno volutoper sostenerci partecipando allo spettacolo. alte , luogo delle relazioni che aiuta ad individua- Posso dire che questa esperienza ha fatto sentire la nostra scuola re la strada dell’essere a proprio agio di fronte a parrocchiale accolta e parte integrante e viva della realtà sociale e qualsiasi esperienza che la vita riserverà ai nostri culturale del nostro Botticino. ragazzi. La preside 58


PARROCCHIE DI BOTTICINO SCUOLA “DON ORIONE”

Cultura + Arte + Salute + CORSI ED EVENTI 2011/2012

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Per un’altra strada itinerario anno oratoriano 2011-2012 UN’ALTRA STRADA E’ POSSIBILE

Servosterzo, cambio automatico, navigatore satellitare: la tecnologia rende sempre più semplice il compito di chi guida. Sembra che la macchina ti porti da sola: basta segnare il punto di arrivo e ascoltare le indicazioni del navigatore. A volte anche la nostra vita, quella delle nostre comunità, quella dei nostri ragazzi ed adolescenti sembra così: una grande strada, per lunghi tratti piuttosto comoda, che porta indiscutibilmente in un posto. Nel nostro contesto, di fronte alla difficoltà di fare scelte importanti, di prendere decisioni impegnative che cambiano la vita “Per un’altra strada” è una provocazione: c’è, esiste, è possibile e percorribile un’altra strada. Sapere che un’altra strada è possibile è un antidoto alla rassegnazione di chi un mondo migliore non lo spera più; di chi non se la sente di cercare un modo diverso, più “umano”, di vivere la propria vita; di chi non riesce a trovare il coraggio di andare controcorrente e di uscire dalla banalità; è un sostegno alle nostre comunità perché sappiano vivere il cammino di avvicinamento al Sinodo in modo autenticamente evangelico. Del resto quella del Vangelo è davvero “un’altra strada”. L’invito dell’Itinerario Oratoriano 2011/12 è quello di percorrere questa nuova strada per incrociare sentieri di impegno, verità, pace, di semplicità e comunione: per guardare alla strada che porta al cielo.

Cambiare sul serio Lectio educativa di Mt.2,1-12

I Magi affascinano non solo a Natale. La nostra sensibilità si specchia facilmente in questi uomini: viaggiatori, colti, curiosi, determinati... In una parola: moderni, se non postmoderni. Infatti la loro ricerca non è guidata solo dalla ragione, ma anche dalla passione; sanno scrutare perfettamente i segni, ma sanno anche chiedere; hanno doni, ma nello stesso tempo si lasciano raggiungere. L’abilità di questi uomini che sanno mescolare più aspetti ce li fa sentire particolarmente vicini. Chiediamo dunque ai Magi di accompagnarci nel cammino oratoriano di quest’anno in un aspetto particolare, che si addice bene al tema delle unità pastorali e dell’oratorio. Peschiamo questa attenzione dalla fine del racconto evangelico: “per un’altra strada fecero ritorno al loro paese”. Ci concentriamo sulla capacità di questi uomini di cambiare strada. In fin dei conti riflettere su come l’oratorio deve diventare e su quale forma o organizzazione deve assumere in un contesto di unità pastorale, significa domandarci come

deve cambiare, cioè quale strada dobbiamo scegliere perché il contesto attuale ci permetta di continuare la storia dell’oratorio senza nostalgie, ma ben radicati nell’oggi e nel domani: i Magi non ci daranno una soluzione tecnica o alcuni suggerimenti pratici, ma di certo ci permettono di pensare spiritualmente, di cogliere nel momento delle scelte (perfino sulle strutture e sul loro funzionamento) lo spirito profondo. Quindi ci possono donare un aiuto concreto: non pensare alle scelte future dell’oratorio semplicemente come ad una disposizione rinnovata e strategica, ma, anche e soprattutto, come un momento di fedeltà, di lettura profonda della realtà, di ascolto di ciò che il Signore vuole da noi. Quale strada dobbiamo scegliere per i nostri oratori? Non preoccupiamoci ora di elencare le opzioni, ma facciamoci guidare da questi uomini d’Oriente nella loro ricerca appassionata dì strade nuove. Alcuni Magi vennero da oriente. possibile e immaginabile. Tanto lontano che non si sa esattamente da dove e da quando. È gente descritta soltanto dalla sua capacità di camminare, che si porta dentro questa fondamentale caratteristica umana di non stare ferma, di andare, di ri-

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Cambiare sul serio

Cercare il Signore è guardare avanti, ai segni che abbiamo già davanti ai nostri occhi, è adattare i nostri occhi a quei segni: tutte le conoscenze ci mostrano che il Signore ci precede. Dal Vangelo di Matteo 2,1-12 Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele». Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo». Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.. cercare in continuità. I Magi hanno fatto già tanta strada e vengono da lontano. Forse hanno intrecciato la stella di Gesù dentro i loro cammini: di certo hanno il coraggio di cambiare perché sanno camminare. Solo chi è fermo non desidera trovare strade nuove. Le strade della vita si trovano non sulle cartine, ma nel cammino stesso. Ecco perché il momento del cambiamento porta con sé tarile cose: è segno della sua capacità di portarsi dentro la vita e in esso si intrecciano i più profondi sentimenti che segnano la nostra esistenza, come’la paura, il desiderio, la speranza; quando si cambia si vede la realtà in un modo originale, perché si è costretti a tenere in considerazione gli indizi della vita, gli altri, le cose, le situazioni, gli obiettivi... Scegliere, anche sull’oratorio, non è una questione tecnica, ma prima di tutto di vita, di legame profondo con le persone, la loro storia, i loro bisogni e i loro desideri. Probabilmente la prima operazione di cui abbiamo bisogno è evidenziare e elencare tutti questi legami, dando spazio a quelli più positivi e dando il

nome a quelli più critici. Inoltre il cammino dei Magi, già intrapreso, ci suggerisce che non siamo solo noi gli attori della scelta: è in questo cammino che si infila il Signore, con la sua stella, chiede Lui stesso di scegliere e di cambiare: non c’è solo il nostro progetto, ma anche il Suo. La scelta dei Magi congiunge il loro progetto con quello di Dio, la ricerca dell’uomo con quella del suo creatore: scegliere è avvicinare il più possibile questi progetti perché sono leggibili solo insieme, quasi sovrapponendoli. La storia dei nostri oratori è prima di tutto la storia delle nostre comunità che hanno creduto di amare i propri ragazzi, in nome del Vangelo, proprio dentro alcune scelte: ripescare e ravvivare questa passione è il primo passo fondamentale. “Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti per adorarlo”. I Magi sanno quasi tutto: . sono informati sulla nascita del bambino e sanno che è un re, hanno visto la stella e l’hanno interpretata come un segno inequivocabile, addirittura la finalità del loro viaggio è chiara perché vogliono adorare quel bambino... Ma non sanno dov’è! Paradossalmente sanno tutto riguardo a Gesù e a quello che loro devono fare, ma questo non basta per sapere dove sia il Signore. Tutte le informazioni non bastano per trovarlo. E nemmeno Erode riesce a trovarlo, nonostante attivi ricerche più accurate, teologiche e scientifiche. È solo la stella che li porta a Gesù: cioè solo il segno e la guida mandata da Dio. I Magi devono attuare l’ultimo passaggio, forse quello più difficile: passare da ciò che loro vedono, pensano, misurano a ciò che Dio suggerisce con la stella. Anzi, il Vangelo rincara la dose: la stella precede, sta davanti. Cercare il Signore è guardare avanti, ai segni che abbiamo già davanti ai

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nostri occhi, è adattare i nostri occhi a quei segni: tutte le conoscenze vanno indirizzate ad accorgersi di ciò che sta davanti, perché il Signore ci precede. Per cambiare strada occorre cambiare vista e guardare avanti: il Signore mette i suoi segni nel nostro cielo. Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella. Da notare che sono i Magi i primi a chiedere. Erode è informato da loro sulla nascita del Messia. Anche quando chiedono a persone sbagliate, in questo caso ad Erode che si muove per interessi e per ricerca del potere, ottengono alcune informazioni, anche molto precise: è Betlemme la patria di Gesù. Il Vangelo sembra quasi suggerirci che i processi decisionali non avvengono solo con i “nostri”, solo con quelli che hanno intenzioni rette e pulite: in qualche modo tutti sono coinvolti e tutti aiutano nella ricerca. Erode chiama segretamente i Magi, di nascosto. La stella, al contrario, si vede all’aperto, è un segno luminoso che però sembra visibile solo per qualcuno. Il visibile o l’invisibile non dipende solo dalla materia o dalla capacità fisica: c’è un vedere a cui si ha accesso solo tramite i desideri, la pulizia del cuore, le intenzioni vere e profonde. Si vede ciò che la nostra interiorità ricerca: pulire le nostre intenzioni aiuta a vedere la realtà, anche quella di Dio. Si prostrarono e lo adorarono. Aprirono i loro scrigni. I Magi adorano Gesù. Questo è lo scopo della loro ricerca: trovano anche perché cercano con sincerità e con decisione, senza secondi fini. La verità della loro intenzione è visibile dall’incontro personale: nel momento dell’adorazione c’è Gesù come persona e loro come persone. Infatti i doni esprimono loro stessi, la loro identità, la loro cultura, il loro rapporto con Dio, la profondità di loro stessi, l’atteggiamento che ritengono più idoneo che è quello dell’adorare. In questo atteggiamento è accolto ed espresso anche tutto Gesù: l’uomo e il Dio, il creatore e il salvatore. Non manca nessuno: né Gesù né i Magi, e nemmeno un pezzo del loro essere. È la schiettezza, l’autenticità, la verità che determina la scelta. Però non una verità semplicemente razionale, ma totalizzante, non parziale, che ingloba tutta la vita. Troviamo le soluzioni nella misura in cui siamo disponibili alla verità su noi stessi, sugli altri e sul Signore: se non c’è questo atteggiamento, fatto di capacità di inglobare tutti gli aspetti, la ricerca delle soluzioni divide. Al contrario, è un momento profondo di rivelazione di noi stessi e del Vangelo. Provarono una gioia grandissima. La gioia è alla fine della ricerca, non all’inizio. È frutto della strada e delle scelte: sudata, non scontata, non commerciale o superficiale. Sentire crescere la gioia mentre si cammina e si sceglie è un dono che viene da Dio: è la stella e la visione di essa che provoca gioia nell’animo dei Magi. È la gioia che viene da scelte autentiche e non improvvisate; è la gioia che viene dopo la fatica, quella che

non risparmia il sudore. Chi vuole provare questa felicità sa benissimo che deve imparare a scegliere. I Magi ci spronano a proseguire. Questa è la bella notizia: la strada non è finita semplicemente perché cambia. Anzi: Dio è più avanti di noi. Prepara un futuro. Il bello e il buono non sta solo nel passato (quante volte questo rischia di diventare il nostro pensiero!) ma è da ricercare nel cammino che ci aspetta. Come uomini e come istituzioni, compreso l’oratorio. Ma è anche vero che il futuro di Dio non viene a caso: ha bisogno di uomini e di donne che lo sappiano desiderare e ricercare con passione, che scommettano sulla verità di quanto intuito, che ascoltino e seguano i segni che Lui pone sul nostro cammino. Le scelte sul futuro non ci possono mai spaventare né dividere se sono frutto di questa consapevolezza e di questa ricerca autenticamente spirituale e concreta. Sarà il Signore a indicarci ancora una volta la strada, anche per i nostri oratori perché, prima che nostri, sono suoi e sono un ponte per i nostri ragazzi per continuare ad incontrare Lui e se stessi. C’è da scommettere che questa possibilità Lui non se la lascia scappare!...

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la strada dell’impegno (e della fatica)

1° tappa -inizio anno

“Alcuni magi vennero da Oriente”. Da un posto tanto lontano da non essere nemmeno ben specificato: oriente. Un viaggio incerto faticoso, ricco di insidie, che costa fatica e dall’esito, tutto sommato, incerto e misterioso. Una strada diversa da quella più praticata: la strada del successo facile e ad ogni costo. Perché il Vangelo ci propone una strada del genere? Qual è il fascino dell’impegno? Quale promessa vale la scelta di questa strada?

PER LA COMUNITÀ EDUCATIVA La prima tappa dell’anno oratoriano vuole evidenziare il significato dell’impegno, della costanza, della fatica: non come valore in sé, per diventare un puro sfoggio di volontà, ma come occasione per orientare la propria vita in modo serio alla ricerca dell’incontro con Cristo. Ecco perché spesso, in oratorio, ci vengono offerte opportunità LA TRA per sperimentare la nostra capacità di impegno: la perCOL LA severanza nel partecipare ad alcuni momenti di formaPer a zione; la costanza nel servizio, che non attende risultati por ffront immediati; momenti di vera fatica (il pellegrinaggio, le Più ta con are que raccolte - come quella di San Martino - le camminate in più legger te l’esse stra st ra spe o è i montagna di gruppo, l’organizzazione momenti di accol tuo nziale. da, dito è il t glienza e di festa...). uo c bagagli amm o, ino. INTERROGATIVI L’invito a percorrere la strada dell’impegno ci suggerisce alcune domande per la nostra progettazione pastorale: 1. Sappiamo costruire percorsi di formazione non a spot per i nostri ragazzi? 2. Abbiamo il coraggio di proporre mete belle e impegnative? 3. Sappiamo dedicare impegno e fatica per il bene dei nostri ragazzi o siamo facili al pessimismo e alla sfiducia?

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anche Botticino a Madrid L’ESPERIENZA DELLA

In treno ci spostiamo verso Madrid dove alla sera, in Plaza Cibeles, si celebra la messa di inizio GMG presieduta dal Vescovo della città madrilena. Da questo momento siamo nel vivo della GMG, incontriamo numerosi giovani provenienti da altre nazioni, americani, brasiliani, francesi, tedeschi e molte altre nazionalità, lingue diverse ma che si intendono alla perfezione solo con gli sguardi carichi di gioia, uniti dallo slogan “radicati in cristo, saldi nella fede” La “vita comunitaria” consolida il gruppo, nascono amicizie e forse qualcosa di più, il nostro gruppo Botticino-Cogozzo è affiatato. Durante la settimana ci sono altri importanti appuntamenti ai quali cerchiamo di essere presenti, le confessioni, le catechesi, ogni giorno si prega e si cerca di partecipare alla messa, durante il “tempo libero” visitiamo la città, Plaza Mayor, la Cattedrale, il museo del Prado, lo stadio Bernabeo, alcune chiese. Venerdì sera partecipiamo alla Via Crucis con il Santo Padre. Siamo giunti a Sabato, il mattino c’è il tempo per radunare le nostre cose, prendere il necessario per

GMG

Domenica 14 Agosto la sveglia per i partecipanti alla GMG delle parrocchie di Botticino, e non solo, suona alle 5.00 pronti e carichi per trovarci come stabilito prima in Piazza IV Novembre poi a Castenedolo dove, uniti ad altri giovani, si celebra la S. Messa di partenza. Siamo tutti assonnati ma la voglia di partire e vivere un’esperienza unica ci sprona a seguire al meglio la funzione con canti e preghiere. Fuori dalla Chiesa ci aspettano i tre pullman, il gruppo Botticino sale sul n. 6 con Rezzato, Virle, Mazzano e poi un piccolo gruppo di Cogozzo. Raggiungiamo il resto della truppa e, dopo le ultime note tecniche tra i sacerdoti, si parte per vivere questa nuova ed entusiasmante avventura. Il viaggio è lungo, ma per la noia non c’è spazio, si riposa, si guardano film, si canta, si prega, si parla con chi ci sta vicino. La prima sosta per la notte è Barcellona dove giungiamo in tarda serata. Il mattino seguente dopo colazione ci incamminiamo alla ricerca della chiesa per la celebrazione della Solennità dell’Assunta, ci sono un po’ di problemi, raggiungiamo una chiesa e dopo esserci resi conto di un errore, si decide di celebrare la messa con i fedeli della città catalana. I pochi fedeli che si trovano in chiesa sono stupiti e felici al tempo stesso nel vederci entrare e iniziano a porci domande, incuriositi per la nostra presenza. Inizia la messa i sacerdoti concelebrano, il vangelo è letto in entrambe le lingue, al termine della funzione i dovuti ringraziamenti e per noi l’augurio di vivere una bella esperienza. È bello vedere come nonostante la differenza di lingua ci si intendesse bene. La rapida visita alla Sagrada ci mostra la grandiosità dell’opera di Gaudí, per pranzo andiamo al Pueblo Español, il borgo medievale cittadino e verso le 15.30 ripartiamo pronti a raggiungere Pinto, il paese ospitante, a circa 40 Km da Madrid. Arriviamo verso l’1.00 la palestra, Alberto Contador, che ci deve ospitare sembra piena ma troviamo una sistemazione niente male, siamo numerosi ma è bello condividere lo spazio con altri che hanno lo stesso desiderio. Il nostro primo appuntamento, dopo le prime formalità della consegna dei kit, è il saluto del sindaco e del Vescovo Luciano per la nostra presenza, ci dirigiamo quindi verso Plaza de La Costitución, che viene letteralmente invasa dai numerosi giovani bresciani ospitati nel paese.

domenica e caricare il resto sul pullman che rivedremo domenica pomeriggio. Alle 16.00 circa arriviamo all’aeroporto di Cuatro Vientos, il caldo e il sole si fanno sentire, lungo il percorso le famiglie del posto si sono impegnate nel rinfrescarci con secchiate d’acqua, all’aeroporto ci pensano le autobotti dei pompieri. La nostra postazione non è vicinissima al luogo della celebrazione ma i maxi schermo sono ben posizionati. La veglia ci serba la sorpresa di un uragano che a metà della funzione semina un po’ di problemi, per noi giovani vedere che il Santo Padre resiste e supera con noi la tempesta ci fa sorridere e ci fa piacere, 64


calorose sono anche le parole del segretario vaticano al termine della funzione che ci “ringrazia” per la nostra partecipazione anche al silenzio per l’adorazione eucaristica. La notte è stata lunga, il mattino seguente la sveglia arriva a tutto volume e sovrasta il campo, ci si prepara a vivere la Messa, il Santo Padre fa il suo ingresso, passa tra alcune campate, non tutte perché i fedeli sono numerosi e hanno invaso alcuni corridoi, inizia la messa. L’emozione sale, l’entusiasmo ci unisce. I saluti nelle varie lingue elevano urla di gioia, si grida “Esta es la Juventud del Papa” (questa è la gioventù del Papa), all’annuncio ufficiale della prossima GMG a Rio de Janero nel 2013 un gruppo numeroso di brasiliani si incamminano con una bandiera enorme verso il centro dell’aeroporto. La messa termina con la benedizione ma la festa continua, canti e musiche riempiono il campo mentre si svuota pian piano. Usciamo dall’aeroporto in fila con un entusiasmo che ci riempie il cuore ci dirigiamo alla stazione poi finalmente sul pullman, attendiamo l’ultimo gruppetto poi si parte verso Saragozza. Il mattino seguente di buon mattino si riprende il viaggio verso casa, l’ultimo tratto il più duro ci ha chiesto energie, ma nonostante la stanchezza la voglia di tornare per raccontare la nostra esperienza ci ha dato la capacità di superare le ore interminabili di viaggio. Le parole non bastano a esprimere a pieno le emozioni vissute durante la GMG, un pensiero comune si vede nei nostri sguardi e che si esprime durante le nostre chiacchierate per diminuire l’attesa sono rivolte alla prossima GMG e tra noi è nata la promessa di rivederci pronti per partire a Rio. Da questa esperienza siamo tornati tutti arricchiti dalle nuove conoscenze e amicizie, il saluto con gli altri del gruppo ci hanno lasciato un po’ di dispiacere ma la promessa di rivederci presto ci ha reso felici. Il primo giorno a Botticino fa effetto svegliarci ognuno nelle proprie case, in un certo senso da soli ci fa ricordare i risvegli comunitari della settimana precedente. La GMG non può risolverti i dubbi, non può darti tutte le risposte che cerchi ma è sicuramente un’esperienza importante che ti permette di crescere, ti fa conoscere i tuoi limiti, ti fa conoscere altre persone con le quali sei “costretto” a convivere, a confrontarti, ti stimola a far nascere nuove amicizie e può essere occasione per creare rapporti nuovi e costruttivi per te e per la comunità in cui vivi. Il Papa ci ha detto: “Vi invito a dare un’audace testimonianza di vita cristiana davanti agli altri. Così sarete lievito di nuovi cristiani e farete sì che la Chiesa riemerga con vigore nel cuore di molti. … affido a tutti i presenti questo grande compito: portate la conoscenza e l’amore di Cristo a tutto il mondo.” Così radicati in Cristo e saldi nella fede viviamo il nostro tempo con la forza di saper scegliere la via maestra ed essere esempio e stimolo per la nostra comunità.

GREST

CAMPI MERITZ

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Possiamo fidarci del Vangelo, perché ci offre pro-vocazioni per una vita buona, una vita bella, una vita santa. Possiamo fidarci del Vangelo, perché la Buona Notizia della Risurrezione cambia orizzonte all’esistenza di ciascuno di noi. Pochi segreti, anzi uno solo: l’amore che vince persino la paura, il dolore, la morte. L’amore che, come la vita, resterà per sempre, in Gesù. Egli, donandosi fino alla fine - fino alla croce - per vincere il nostro peccato e per liberarci dalla morte, ci attira tutti nella possibilità di vivere secondo la sua Parola. Le proposte dell’anno sono sostenute da riferimenti biblici tratti da tutti gli evangelisti, per dare spazio a diverse sfaccettature della Buona Notizia. Croce e Vangelo diventano così arco, ponte tra la terra e il cielo, tra Dio e l’uomo, tra il finito e l’infinito. L’arco è abbraccio tra due semiarchi, tra due fragilità architettoniche unite da una chiave di volta. L’unione di queste due fragilità diventa garanzia di stabilità e durata per edifici e per ponti. La buona vita che reciprocamente ci auguriamo è quella che nasce dal Vangelo, e che rende ciascuno capace di vivere la propria vocazione in favore delle altre, capace di abbracciare la fragilità del fratello per un sostegno reciproco nell’edificazione della Chiesa e della santità, che hanno la loro chiave di volta nel Crocifisso Risorto. Scegliamo così di “educare alla vita buona del Vangelo”, secondo gli orientamenti pastorali dei Vescovi italiani per il decennio in corso.

proposte di qualità a NELLE PARROCCHIE DI BOTTICINO ogni martedì sera incontro alle ore 20,00 per adolescenti e giovani nelle rispettive parrocchie presso l’oratorio

ZONA PASTORALE

LA VITA UNA BUONA NOTIZIA

itinerario di spiritualità per giovani martedì 11 ottobre 2011 ore 20.30 in Cattedrale Apertura degli itinerari, presieduta dal Vescovo successivamente presso la parrocchia di Botticino Sera martedì 8 novembre sabato 17 dicembre (ritiro) martedì 17 gennaio martedì 7 febbraio

Giornate di spiritualità per giovani presso l’Eremo di Bienno

La vita buona del Vangelo

meditazioni del Vescovo Luciano e animazione dell’équipe diocesana da sabato 28 aprile (ore 15.00) a martedì 1 maggio 2012 (ore 17.00)

pellegrinaggio di fiducia a Berlino per l’incontro europeo informazioni presso le parrocchie 66


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adolescenti e giovani Celebrazioni penitenziali

venerdì 16 dicembre 2011 ore 20.30 presso la Basilica di Botticino presieduta dal Vescovo Luciano sabato 31 marzo 2012 ore 17.00 presso il Centro Pastorale Paolo VI presieduta da don Giovanni Milesi segue Veglia delle Palme

Scuola di Preghiera in Cattedrale

PASSIONE PER LA VITA presieduta dal Vescovo in Quaresima - ore 20.30 giovedì 1 marzo 2012 giovedì 8 marzo 2012 giovedì 15 marzo 2012 giovedì 22 marzo 2012 il Soffio della Vita Risorta

con Maria verso PENTECOSTE soste di preghiera presso alcuni Santuari guidate dal Vescovo nel Tempo Pasquale - ore 20.30 venerdì 20 aprile Santuario della Madonna a Rovato venerdì 27 aprile Santuario della B.V. a Bovegno

venerdì 4 maggio (veglia per la 49^ GMPV e per gli ordinandi presbiteri) nella Basilica a Botticino (Santuario Tadini) venerdì 11 maggio Santuario dell’Annunciata a Piancogno venerdì 18 maggio Santuario della Stella a Bagnolo sabato 26 maggio VEGLIA DI PENTECOSTE

Progetto Giovani & Comunità

tre mesi di esperienza per i giovani e le giovani di età compresa tra i 18 e i 28 anni che, attraverso la vita comunitaria e il servizio, si confrontano sulle proprie scelte di vita ispirate ai valori cristiani INFO: ufficio Caritas 030.3757746 ufficio Vocazioni 030.3722245 67


INCONTRI DI CATECHESI PRESSO LE TRE PARROCCHIE ANNO 2011-2012

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INIZIAZIONE CRISTIANA BAMBINI E GENITORI DELLE TRE PARROCCHIE DI BOTTICINO INSIEME

PRIMO ANNO ICFR Domenica 23 Ottobre Domenica 27Novembre Domenica 15 Gennaio Domenica 5 Febbraio Domenica 15 Aprile Domenica 6 Maggio

SECONDO ANNO ICFR Domenica 6 Novembre Domenica 4 Dicembre Domenica 22 Gennaio Domenica 12 Febbraio Domenica 22 Aprile Domenica 13 Maggio

ore 14,30 - 16,30 Presso Oratorio BOTTICINO SERA

ore 14,30 - 16,30 Presso Oratorio BOTTICINO SERA

TERZO ANNO ICFR Domenica 23 Ottobre Domenica 27Novembre Domenica 15 Gennaio Domenica 5 Febbraio Domenica 15 Aprile Domenica 6 Maggio

QUARTO ANNO ICFR Domenica 6 Novembre Domenica 4 Dicembre Domenica 22 Gennaio Domenica 12 Febbraio Domenica 22 Aprile Domenica 13 Maggio

ore 14,30 - 16,30 Presso Oratorio BOTTICINOMATTINA

ore 14,30 - 16,30 Presso Oratorio BOTTICINOMATTINA S.Messa bambini/genitori ore 17,30

QUINTO ANNO ICFR Domenica 23 Ottobre Domenica 27Novembre Domenica 15 Gennaio Domenica 5 Febbraio Domenica 15 Aprile Domenica 6 Maggio

SESTO ANNO ICFR Domenica 6 Novembre Domenica 4 Dicembre Domenica 22 Gennaio Domenica 12 Febbraio Domenica 22 Aprile Domenica 13 Maggio

ore 16,30 - 18,30 Presso Oratorio BOTTICINO SERA S.Messa bambini/genitori ore 18,45

ore 16,30 - 18,30 Presso Oratorio BOTTICINO SERA S.Messa bambini/genitori ore 18,45


L’artista: una voce fuori coro Edoardo Bennato e la sua canzone “Venderò”

Contro la ricerca spasmodica di consenso, in un mondo divenuto una mostra, si può, come rivendica Edoardo Bennato nella canzone "Venderò", manifestare “Venderò” la propria singolarità e libertà. E. Bennato (1976) Se raccontarsi significa rendere disponibile agli altri il proprio sé, la propria interiorità, significa altresì esporsi. Chi racconta sa che talvolta consegna la propria intimità all'ingordigia del pubblico, dell'esperto o del potente di turno. Venderò le mie scarpe nuove "Venderò" è il racconto che Edoardo Bennato fa di sé in un momento preciso ad un vecchio manichino, della sua vita, in cui ha dovuto lottare per affermare la propria identità di artista e per vedere se si muove, di uomo, senza scendere a compromessi, ma continuando a far sentire la propria se sta fermo voce, una voce libera che lo rappresentasse oggi come sempre e che non fosse o se mi segue nel cammino. costretta a rispondere unicamente alle aspettative degli altri. Venderò il mio diploma Si può dire che l'autore stia rivendicando il diritto a rappresentare se stesso ai maestri del progresso senza dover eludere la parte più scomoda di sé, senza dover mostrare ogni volta, per costruire un nuovo automa a seconda delle occasioni, ciò che non delude, ciò che rassicura chi lo ascolta. che dia a loro più ricchezza Attraverso questo testo, con l'ironia che lo contraddistingue, Bennato rivendica e a me il successo. la propria onestà intellettuale di musicista e narratore del nostro tempo. Come nell'arte così nella vita anche noi siamo costantemente impegnati ad Ai signori mercanti d’arte essere fedeli al nostro modo di pensare e di agire. venderò la mia pazzia, Ognuno di noi infatti, pur non scrivendo canzoni, si racconta agli altri di conmi terranno un po’ in disparte; tinuo; il difficile è farlo nella propria interezza. chi è normale non ha molta fantasia. Il mondo come mostra Raffaele è contento Non è un caso se negli ultimi anni sono sorte decine di trasmissioni, rotocalchi, non ha fatto il soldato, diari in cui l'individuo è sollecitato a 'dare mostra di sé', raccontarsi ad un pubblico ma ha girato e conosce la gente, variegato e in fondo sconosciuto per dimostrare di esserci, di avere un'identità. e mi dice: “Stai attento Scrive in questo senso Galimberti: In una società consumista, dove le merci che resti fuori dal gioco per essere prese in considerazione devono essere pubblicizzate, si propaga un cose non hai niente stume che contagia anche il comportamento degli uomini, i quali hanno la senda offrire al mercato!”. sazione di esistere solo se si mettono in mostra, per cui, tra uomini e merci, il mondo è diventato una mostra, una esposizione pubblicitaria che è impossibile Venderò la mia sconfitta non visitare perché comunque ci siamo dentro. a chi ha bisogno di sentirsi forte Ma è davvero questo stile di raccontarsi a darci libertà, a sanare le nostre ferite, e come un quadro che sta in soffitta a tessere il filo della nostra storia, o piuttosto disperde la ricchezza di noi senza gli parlerò della mia cattiva sorte. restituirci il senso del nostro vivere? Raffaele è contento Succede spesso che per insicurezze o per il forte bisogno di accettazione, sianon si è mai laureato, mo tentati di confermare l'idea che gli altri hanno di noi, conformandoci alle loro ma ha studiato e guarisce la gente, aspettative, ai loro desideri, non mostrandoci fragili in una società di vincenti, non e mi dice: “Stai attento facendo trapelare le nostre incertezze per non essere considerati vili. che ti fanno fuori dal gioco La ricerca spasmodica del consenso se non hai niente Resta il fatto che la vita ci impone una narrazione di noi autentica che non ha da offrire al mercato!” niente a che fare con questo calcolo razionale: che cosa far conoscere? Che cosa su di noi è meglio dire o tacere? Venderò la mia rabbia E poi, chi non ha niente da offrire di sé davvero "rimane fuori dal gioco"? Che a tutta quella brava gente cosa possiamo veramente offrire al mercato? che vorrebbe vedermi in gabbia Il rischio vero è di cambiare ogni volta, a seconda dei nostri interlocutori, a see forse allora conda delle circostanze, di frammentarsi a tal punto da non sapere più chi si è. mi troverebbe divertente. Se quello che si vuole ottenere dagli altri non è l'ascolto del proprio pensiero, Ogni cosa ha un suo prezzo ma un continuo consenso, non si farà altro che vendere loro parole che non penma nessuno saprà siamo, convinzioni che non abbiamo. quanto costa In una società come la nostra, che è degenerata nella ricerca spasmodica del conla mia libertà senso, diventa preziosa una voce fuori dal coro come quella degli artisti. L'arte è importante proprio per questo, perché non esercita nessun potere, non risponde a nessun comando, se non alla propria libertà di pensiero. Come l'arte non si preoccupa di essere accolta o condivisa, così l'artista non si espone per piacere agli altri, per essere seguito, non vuole abbagliare o incantare. L'arte non pretende nemmeno di essere didascalica e morale, di fatto però lo è nella misura in cui mostra ciò che è nascosto, si fa interprete di più punti di vista, ci racconta chi siamo e chi potremmo essere. L'arte ci insegna ad essere scomodi, pone al centro la questione della nostra onestà di pensiero; di come possiamo essere giusti solo se il nostro raccontarci agli altri è coerente e strettamente coeso a ciò che ogni giorno viviamo. Il racconto come denuncia Così raccontarsi aiuta a prendere le distanze da una società che ti chiede, ti sollecita a diventare merce e venditore, acquirente e insieme oggetto di scambio.Il racconto ci mette a nudo, ci espone certo, ci rende vulnerabili; ma ha anche il potere di rivelare a noi e agli altri la società, il mondo, le persone nella loro ipocrisia. L'artista così come il racconto sono parabole volte a svelare la realtà, a denunciare la menzogna in atto, la mistificazione, il trasformismo che fa del falso il vero e del vero il falso. Il racconto permette a ognuno di noi di recuperare la propria unicità e originalità. Ci offre l'occasione di prendere le distanze da una società omologante che stabilisce il valore delle cose dalla loro utilità immediata; che valore ha la scienza, la mia conoscenza - si domanda il cantautore - quale valore dare ai miei limiti e alle mie sconfitte 69


...a metà novembre è atteso il debutto della commedia

“èl sior Doro, vècio bruntulù” liberamente tratta da “sior Todero brontolon” di Carlo Goldoni. l’allestimento dello spettacolo è in corso presso la compagnia “Teatro Oratorio Botticino Mattina” Il testo e la regia sono curati da Giacomo Luzzardi. che la società vuole vedere dispersi e dimenticati il più fretta possibile, pronti a lanciarsi in nuove avventure scordando il passato? Raccontare permette allora di operare una spoliazione; per riaffermare quello che conta veramente nella propria vita e quindi ciò di cui si è disposti a privarsi per rimanere se stessi: persone libere e sincere. Il racconto dell'artista sa spesso - con la sua forza metaforica e la sua ironia - svelare senza violenza, sa mettere a nudo senza disprezzare. La libertà non si mette in vendita e quindi non se ne conosce il prezzo. Talvolta il rischio è quello di mettere in vendita ciò che conta, ma ciò che veramente conta si offre, non si mercanteggia. Possiamo vendere tanto di noi, ma in fondo è ciò che il mercato non vuole, non cerca, perché non attira, nessuno lo domanda. Nessuno comprerebbe la nostra fragilità, la pazzia, la rabbia. Questo brano ci invita a riflettere su quale valore dare alla critica, alla ribellione contro le ingiustizie o alle violenze, in un mondo che non ammette opinioni discordanti dal pensiero dominante. Chi non ha nulla da offrire al mercato è davvero senza valore? Raccontare il valore della propria vita e di ogni vita non è forse il primo passo per riappropriarsene e per non sentirsi dis-prezzati, svalutati? Alla fine posso vendere tutto, volendo, perché l'unica cosa che sono disposto a donare e non a svendere è la mia libertà.

L’AUTORE

Edoardo Bennato nasce a Napoli il 23 luglio 1949, nel quartiere dei Campi Flegrei. La sua innata passione per la musica convince i genitori a fargli prendere lezioni di fisarmonica insieme ai fratelli Eugenio e Giorgio. Con loro egli formerà il Trio Bennato, un progetto musicale che li porterà a intraprendere una tournee in America Latina. La sua carriera da solista ha inizio nei primi anni settanta con l’album Non farti cadere le braccia , seguito da I buoni e i cattivi (1974) e da Io che non sono l’imperatore (1975). Le sue melodie musicali attingono alle radici del blues e del rock. Le tematiche trattate sono perlopiù socialmente impegnate: il divario tra potenti e deboli, la censura, la libertà d’espressione, l’arroganza e la prevaricazione dei privilegiati all’interno della società, una scuola che tende ad una formazione omologata e indottrinante. Nel 1977 esce Burattino senza fili, album ispirato ai personaggi del libro di Collodi che lo consacra al successo presso un grande pubblico. Attraverso i suoi brani, Bennato crea un immaginario unico, quasi epico; le sue canzoni sono vere e proprie canzoni d’avventura, sempre in bilico tra realtà e fantasia; il suo sguardo è acuto e spietato, ma la vita non è solo questa può anche essere altrove… come lui stesso ha scritto: Le vie del rock sono infinite. 70


Incontro - presentazione “Una maniera esigente di vivere l‘impegno cristiano” I cattolici e la politica Vescovo Mons. Luciano Monari* sabato 14 gennaio 2012 Costituzione, individuo, collettività

Scuola di Formazione IMPEGNO SOCIALE E POLITICO SOCIETA’, POLITICA, DEMOCRAZIA

Idee, strumenti e percorsi per agire nel sociale e nella politica secondo la dottrina sociale della Chiesa

INFORMAZIONI Destinatari La scuola si rivolge a tutte le persone impegnate o disponibili ad impegnarsi in attività sociali o politiche, di età compresa tra i 18 e i 35 anni. Si richiedono una partecipazione assidua e costante e la disponibilità ad un coinvolgimento attivo. Perciò è richiesta la partecipazione almeno al 70% degli incontri in programma. Primo anno (2011-2012) Il primo anno di Corso introduce ai concetti fondamentali, riguardanti la Politica, lo Stato, la Democrazia e la Dottrina sociale della Chiesa ed è orientato a dare una base cognitiva omogenea a tutti i partecipanti, sia dal punto di vista dei contenuti fondamentali, che dal punto di vista lessicale. Secondo anno (2012-2013) Il secondo anno si propone di approfondire alcune tematiche specifiche della Dottrina sociale della Chiesa: legalità, diritto al lavoro, famiglia. Offrono occasioni per approfondire e arricchire di significati la vita di fede, indispensabile per svolgere le esigenti attività sociali e politiche da credenti. Viaggi di studio e seminari. Sono previste visite ad Organismi nazionali e internazionali, conseminari di approfondimento. Sede del corso Il corso si tiene a Gavardo presso la Scuola Parrocchiale “San Giovanni Bosco”, Via S. Maria, 24 dalle ore 9.30 alle ore 12.30. Iscrizioni e informazioni L’iscrizione si effettua on line entro il 10 dicembre 2011 sul sito: www.diocesi.brescia.it/sfisp/ Si richiede il versamento della quota di partecipazione di 50,00 euro all’inizio del corso. Per informazioni: sfisp.est@diocesi.brescia.it Equipe progettuale Davide Bellini cell. 3898368219 Don Mario Benedini, Michele Busi, Elena Angelini, Davide Bellini, Giuseppe Bonardi, Pieranna Buizza, Filippo Giuseppe Di Bennardo, Marco Fabietti, Daniela Mena, Elisabetta Muchetti, Federica Paletti, Stefania Romano, Paolo Sarti, Roberto Toninelli, Paolo Zaninetta. La SFISP è promossa dall’Ufficio di Pastorale Sociale e del Lavoro della Diocesi di Brescia.

sabato 28 gennaio 2012 La partecipazione e la rappresentanza democratica sabato 11 febbraio 2012 La cittadinanza: consapevolezza e responsabilità sabato 25 febbraio 2012 L’amministrazione pubblica e il servizio alla città sabato10 marzo 2012 Ritiro di Pasqua Vescovo Mons. Luciano Monari sabato 11 febbraio 2012 La cittadinanza: consapevolezza e responsabilità Secondo modulo sabato 24 marzo 2012 La carità politica e la Dottrina Sociale della Chiesa sabato 14 aprile 2012 Liberta e dignità della persona umana sabato 28 aprile 2012 I principi di solidarietà e sussidiarietà sabato 5 maggio 2012 La passione per la costruzione del bene comune Filippo Giuseppe di Bennardo, Elena Angelini,Marco Fabietti, Paolo Sarti, Roberto Toninelli Referenti Est Bresciano

cooperativa di lavoro

a Botticino

L’Unità Pastorale “S.Arcangelo Tadini”, delle parrocchie di Botticino continua la ricerca di appezzamenti di terreno, una volta vigneto, non più coltivati o in via di abbandono ai fini di poter dare avvio alla cooperativa di lavoro per disoccupati. Molteplici sono le forme di accordo (comodato gratuito, comodato oneroso in opere ...). Quanti fossero interessati a far si che questo sogno possa diventare realtà, condividendone il progetto e le finalità, mettendo a disposizione terreni, o altro .....e chi è in cerca di una occupazione lavorativa sono invitati a rivolgersi al parroco, a Busi Avelino, a Tregambe Giuseppe e Prati Elisio che a nome del Consiglio Unità Pastorale sono i referenti del progetto. 71


PENITENZIALI CON CONFESSIONI

a S.Gallo martedì 11 ottobre ore 16,00 e 20,00 a Botticino Mattina giovedì 14 ottobre ore 16,00 e 20,00 a Botticino Sera venerdì 15 ottobre ore 16,00 e 20,00

Sabato 15 ottobre 2011 Spettacolo per tutti presso il teatro dell’Oratorio di Botticino Sera:

DOMENICA 16 OTTOBRE INIZIO ANNO PASTORALE 2011/2012

“Non abbiate paura!” Spettacolo sulla vita del Beato Giovanni Paolo II presentato dai giovani di Marone

Inizio Anno Pastorale 2011 Domenica 16 ottobre 2011 Inizio Anno Catechistico ore 14.30 presso la Chiesa di Botticino Mattina - a seguire giochi presso l’oratorio di Botticino Mattina - Castagnata insieme

SS.Messe come da orario festivo nel pomeriggio alle 14,30 presso la chiesa di Botticino Mattina incontro bambini e genitori delle tre parrocchie di Botticino per inizio anno di catechesi seguono giochi presso l’oratorio

DOMENICA 23 OTTOBRE GIORNATA MISSIONARIA MONDIALE DOMENICA 13 NOVEMBRE SACRAMENTO DELLA CONFERMAZIONE ORE 9,30 A SAN GALLO

DOMENICA 20 NOVEMBRE GIORNATA DIOCESANA DEL SEMINARIO

SACRAMENTO DELLA CONFERMAZIONE

CELEBRAZIONI 1 NOVEMBRE

SOLENNITA’ DI TUTTI I SANTI

S.GALLO ore 17,00 S.MESSA in chiesa parr. segue processione al cimitero BOTT.SERA in Basilica ore 8,00 - 10,30 -18,45 al cimitero ore 15,45 BOTT.MATTINA in chiesa parr. ore 8,30 –11,00 al cimitero ore 14,30

ORE 9,00 A BOTTICINO SERA ORE 11,00 A BOTTICINO MATTINA

MARTEDI’ 22 NOVEMBRE S.CECILIA PATRONA DELLA MUSICA MERCOLEDI’23 NOVEMBRE INIZIOCENTRIDIASCOLTO DOMENICA 27 NOVEMBRE GIORNATA DEL PANE

2 NOVEMBRE COMMEMORAZIONE DEFUNTI S.GALLO al cimitero ore 10,00 e ore 19,00 BOTT.SERA al cimitero ore 10,00 - 15,00 - 20,00 BOTT. MATTINA al cimitero ore 10,00 -16,00 in chiesa parrocchiale ore 20,00

visita il sito web delle parrocchie di Botticino:

www.parrocchiebotticino.it


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