la mia tesi

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Università commerciale Luigi Bocconi Facoltà di economia Corso di laurea specialistica in Marketing Management

Il parkour ed il cambiamento nel consumo degli spazi pubblici: da luogo di passaggio a scenografia adatta alla performance.

Relatore: Professoressa Stefania Borghini Controrelatore: Professoressa Antonella Carù

Tesi di laurea specialistica di: Francesca Papa Matricola N° 1106384

Anno accademico 2006/2007


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ABSTRACT

Il parkour è una subcultura spettacolare che agisce sullo spazio urbano, si nutre della città proponendo nuovi modi di vivere, è l’arte dello spostamento. L’analisi sarà svolta attraverso un’ottica pluridisciplinare: il marketing, la sociologia e l’antropologia saranno le diverse ottiche presenti. Verrà analizzato il processo di consumo, relativo ai beni colletivi, attuato dalle subculture urbane. L’analisi si inserisce nel filone della Transformative Consumer Research. La capacità di capire l’importanza delle priorità comuni dei consumatori, piuttosto che focalizzarsi su brand o prodotti specifici, sta diventando sempre più critica per gli attori del mercato (Pettigrew, 2005). La Transformative Consumer Research ripropone un approccio che si diriga verso il wellbeing della società e del consumatori, e non solo verso la profittabilità ed il soddisfacimento dei bisogni. Mantenere un atteggiamento votato al breve periodo, che non tiene conto dei valori e delle priorità emergenti, potrebbe essere disastroso sia riguardo gli individui sia riguardo la società (Pettigrew, 2005). Questo studio vuole rispondere alle seguenti research question: •

Quali sono le nuove modalità di consumo dello spazio pubblico?

Gli innovatori del processo di consumo, come i traceur, agiscono in maniera consapevole?

Quali sono i nuovi bisogni emergenti che vengono incarnati dal fenomeno Parkour? Il fine dell’analisi è quello di proporre una riflessione sul complesso processo di

consumo dei beni collettivi. Nelle conclusioni sarà proposta un’innovazione del sistema di governance e di promozione del territorio basata sull’analisi del processo di consumo delle tribù e sulle teorie e le tecniche del marketing tribale.

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RINGRAZIAMENTI Non posso che concordare con Daniel Pennac quando ha asserito, in “Grazie”, che il ringraziamento fosse un genere a sé. “Come tutti i generi, obbedisce a talune leggi. È un genere centrifugo, nel significato ondulatorio del termine. Come un sasso gettato in uno stagno, il ringraziamento crea cerchi… centrifughi, sempre più… larghi”. Vorrei quindi iniziare dalla cerchia più vicina, quella definibile come “intima” ed indispensabile per la riuscita della ricerca: la Bocconi ed il punto e virgola. Il primo ringraziamento va all’università Bocconi: la tipologia di ambiente e alcuni metodi d’insegnamento, con cui mi ha forzato a confrontarmi, mi hanno dato la forza e la motivazione necessarie per mettere in pratica la mia volontà di denuncia sociale. Il secondo ringraziamento va alla punteggiatura ed in particolar modo al punto e virgola, troppo spesso dimenticato da una generazione di blogger. Grazie ai traceur che mi hanno aiutato a scoprire un nuovo modo di pensare e di vivere. Voglio ringraziare la mia relatrice, Stefania Borghini, ed il prof. Luca Visconti. Con la loro mente aperta e curiosa, la loro umanità e la loro capacità di ascolto mi hanno mostrato una nuova visione del marketing, capace di stimolarmi e di ridestare il mio interesse ed il mio impegno. Il grazie più grande è per i miei genitori che mi hanno sostenuto ed appoggiato da sempre. Grazie a loro ho potuto creare la persona che sono diventata. Ringrazio la mia mitica ed indistruttibile nonna Neva e zia Dora che si sono prese amorevolmente cura della bambina viziatuccia autrice di questo scritto. Un grazie va anche alle meravigliose persone che hanno percorso con me questi anni: Eva, al mio fianco ormai dal tempo del liceo; Kaje con i suoi “aaaò” e le nostre sedute di psico-shopping terapia; Ema ed, in particolar modo, la sua sensibilità e la sua saggezza; Fede, che, seppur con alti e bassi, mi ha aiutato a riflettere e a crescere; Silvia e le sue acute analisi della mente umana; Dario, l’unico vero presidente operaio; Paolo e il suo casino ideal partenopeo; Filippo e la sua sensibilità fotografica; il mitico Cozzo, la sua disponibilità e le magnifiche serate di nullafacenza alcolica trascorse insieme; Nellina, ormai una seconda mamma; i ragazzi del bar sotto casa (Luca e Andrea) sempre aperti per le consolazioni; la mitica Alice e i nostri incontri inconsueti; poi Roby, Manu, Gaia, Virgi e la Francis per le lunghe chiacchierate; .S.S.Y per averci dimostrato che “Impossible is nothing”… del resto basta avere un’ombrella che ti ripara la testa; Eveline e le nottate insonni che “era meglio se andavamo a rimorchiare in discoteca”; Mash e la Lu, coppia inossidabile; Angelo, Umbe e il Lacerba, ormai mia seconda casa; Steve Jobs, autore dei miei amori il MacBook Pro e l’Ipod; il blog Meltingminds e tutti gli amici della blogosfera.

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INDICE 1. INTRODUZIONE 1.1 Perché studiare le subculture che consumano lo spazio pubblico? 1.2 Il parkour 2. IL FENOMENO DEL PARKOUR IN CHIAVE MARKETING: UNA LETTURA POSTMODERNA 2.1 Il marketing postmoderno 2.2 Il modello di McCracken 2.3 Il mondo culturalmente costistuito 2.3.1 Definizione di cultura 2.3.2 La modernità liquida: libertà ed individualismo 2.3.3 La costruzione dell’identità 2.4 Lo spazio pubblico: un bene complesso 2.4.1 Non luoghi? 2.4.2 Lo spazio: una commodity 2.4.3 La costruzione ed il consumo creativo dello spazio: il bodyscape 2.5 Il parkour: una comunità di consumatori 2.5.1 Subucultura: l’importanza dell’elemento pluridiscorsivo 2.5.2 Interstizi culturali 2.5.3 Il consumo spettacolare 2.5.4 Le consumer tribe 2.5.5 La ricerca dell’autenticità 3. IL PROCESSO DI CONSUMO DEI TRACEUR 3.1 Metodologia di analisi 3.2 Analisi del fenomeno 3.2.1 Gli elementi del consumo: il corpo e la città 3.2.2 Il processo di consumo 3.2.3 Costruzione individuale dell’identità 3.2.4 Costruzione dell’identità di gruppo 4. CONCLUSIONI 4.1 Dove posizionare il Parkour? 4.2 Il marketing tribale usato per la promozione del territorio 4.3 Limiti della ricerca e future linee di ricerca BIBLIOGRAFIA

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1. INTRODUZIONE 1.1 Perché studiare le subculture che consumano lo spazio pubblico? La società cerca di eliminare o rendere inoffensivi gli elementi che tendono a corromperla. Sembra che voglia diminuire la distanza morale tra la colpa e il castigo. È evidente che una simile impresa di castrazione non mi commuove affatto. Jean Genet Questo passo è tratto da “il giovane criminale” di Genet. Nel monologo teatrale il giovane criminale è “colui che ha forzato una porta che dava su di un luogo proibito. Vuole che questa porta si apra sul più bel paesaggio del mondo, esige che il bagno penale che ha meritato sia feroce”. Chi appartiene ad una subcultura incarna il giovane criminale descritto da Genet: forza i codici culturali dominanti per aprire un varco verso nuove interpretazioni. Gli oggetti più comuni, come nel caso del Parkour possono essere i cassonetti della spazzatura, assumono dimensioni simboliche nuove e divengono il marchio, l’emblema di un esilio volontario dalla società mainstream. Le subculture possono essere descritte come l’interstizio, la crepa, la differance nell’humus indistinto della cultura dominate ed egemonizzante. Come la Medea di Christa Wolf, mostrano i piedi d’argilla del gigante “società”: la natura arbitraria delle categorizzazioni culturali. Sulle superfici (gli oggetti mondani: artefatti che assumono una dimensione simbolica, divenendo una specie di marchio distintivo della personalità) delle subculture si trovano riflesse le tensioni che

Figura 1 Il vuoto degli spazi urbani visto da Bruno Botto.

esistono tra i gruppi dominanti e gli esclusi della società postmoderna. L’individualismo sfrenato ha sostituito, all’interno delle comunità a noi contemporanee, la solidarietà con la competizione. Gli individui si sentono abbandonati a sé stessi ed affidati alle proprie sole risorse (figura 1). La dissoluzione dei legami sociali li ha resi esclusivamente degli individui de jure e persistenti circostanze, come la struttura urbanistica chiusa delle città, ostacolano il loro raggiungimento dello stato di “individui de facto”.


Lo spettro maggiore della società contemporanea è diventato, di conseguenza, l’inadeguatezza ( Bauman, 2005). Robert Castel parla del “ritorno delle classi pericolose”. Queste, in origine, erano costituite dalla gente in eccesso, temporaneamente esclusa e non ancora reintegrata, che si trovava ad essere momentaneamente priva di un’utilità funzionale. Invece, le nuove classi pericolose non sono riconosciute come assimilabili perché inutili anche dopo una riabilitazione. L’esclusione è diventata un’esclusione permanente sia sociale sia “spaziale”: le aree urbane vengono divise e nascono le zone fantasma, spazi off-limits. Il Parkour è una subcultura spettacolare interessante perché va ad agire proprio su questi spazi. Interrompe, attraverso la fluidità e la libertà del movimento corporeo, portato all’estremo, la separazione spaziale tra i cittadini di prima fila e gli esclusi. Come Manuel Castells ci suggerisce: si stanno accentuando le differenze di Lebenswelt1 tra l’uno e l’altro gruppo. Lo spazio della prima fila è normalmente collegato alle comunicazioni globali ed all’immensa rete di scambi, aperto a messaggi ed esperienze che includono il mondo intero. Questo genere di individui, benché si trovi insieme agli altri sul posto, non sono di quel posto, di certo non idealmente, ma anche fisicamente, almeno ogniqualvolta lo desiderino. Non appartengono al posto in cui abitano, dato che i loro interessi si situano altrove. Si potrebbe dire che non hanno altri interessi per la città in cui abitano tranne: essere lasciati in pace, essere liberi di dedicarsi completamente ai propri svaghi e di assicurarsi i servizi “indispensabili” alle necessità e ai comfort della vita quotidiana. Non sono interessati agli affari della loro città, questa è vista come nient’altro che un posto come tanti e che risulta, come tutti, piccola ed insignificante se vista dalla posizione privilegiata del cyber-space loro vera, sebbene virtuale, casa. Gli esclusi, invece, fanno parte delle reti locali frammentate che fanno assegnamento sulla propria identità come sulla più preziosa risorsa. Il loro è un mondo territorialmente circoscritto, tagliato fuori dalla rete mondiale delle comunicazioni, con cui è però collegato e su cui ha sintonizzato la propria vita. Gli esclusi sono condannati a restare sul posto, ci si aspetta, di conseguenza, che la loro attenzione vada tutta agli affari locali: la lotta per sopravvivere e avere un posto decente nel mondo è dichiarata e combattuta dentro la città in cui abitano. Il crescente divario tra gli spazi in cui vivono i secessionisti e quelli in cui vive chi è lasciato indietro è la più significativa delle tendenze sociali, culturali e politiche associate al passaggio dalla fase solida alla fase liquida della modernità (Bauman, 2004).

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Lebenswelt significa letteralmente “mondo di vita”, un concetto che amplia quello dello stile di vita, portandolo anche al di fuori della costruzione del se singolo e coinvolge lo spazio.

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L’attenzione agli spazi ed alla loro funzione inizia a metà degli anni ’70 con il fenomeno dei Traveller e l’esperienza dello Stato libero di Albione (1974). (1) Albione è l’altra Inghilterra di Pace e Amore di cui William Blake ebbe la visione, un paese libero dalle nere fabbriche demoniache e da consimili macchinazioni degne del Grande Fratello (…) (6) La gente espropriata di questo paese ha bisogno di terra. I motivi sono svariati, servono luoghi per fare free festival permanenti, per comunità e città di Vita e Amore, diciamo una ogni ottanta chilometri, abitate da donne e uomini liberi da lavori alienanti e dalla schiavitù in fabbriche che producono in massa beni di consumo inutili. (7) Stiamo in guardia contro i falsi: Attenzione! La realtà è un falso dell’utopia. Manifesto del Libero Stato di Albione, 1974 Tutte le subculture esistite negli ultimi venti anni hanno avuto come fine ultimo quello di costruire un network di comunità (o collettivi) indipendenti. Si tratta di reti aperte che si connettono e si oppongono l’una all’altra in modo sfumato. Gli stili più diversi, le sottoculture, i gruppi di interesse radicale e di protesta, anche se di generazioni diverse, tutti con il proprio programma (o addirittura senza alcun programma) si sono dati da fare per forzare il confronto, sorprendere se stessi e tutti gli altri (McKay, 2000). Il loro spazio d’azione principale era lo spazio pubblico, che è diventato il bene di consumo più prezioso. L’obiettivo di questo studio è l’analisi dei modi in cui le subculture di consumo dello spazio pubblico (in particolare del Parkour) agiscono sulla produzione del territorio e del significato. L’analisi sarà svolta attraverso un’ottica pluridisciplinare: il marketing, la sociologia e l’antropologia saranno le diverse ottiche presenti. Lo studio andrà ad osservare le modalità di consumo di un bene pubblico come lo spazio. Il patrimonio urbano, come afferma Visconti (2007), rischia di divenire un luogo di anomia (“visibile solo per il pericolo ed il degrado che vi si possono annidare” Visconti, 2007 p. 54) e di essere mercificato ed inghiottito dalla progressiva “vetrinizzazione”. Verrà analizzato il processo di consumo, relativo ai beni sociali e comunitari, messo in atto da parte delle nuove subculture di consumo, in particolare dal Parkour. L’analisi fonda le sue basi nel filone della Transformative Consumer Research. “By Transformative Research we mean investigations that are framed by a fundamental problem

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or opportunity, and that strive to respect, uphold, and improve life in relation to the myriad conditions, demands, potentialities, and effects of consumption” (Mick, 2006).

La

Transformative Consumer Research non è solamente un esercizio accademico, ma ha delle implicazioni pratiche e manageriali importanti. La capacità di capire l’importanza delle priorità comuni dei consumatori, piuttosto che focalizzarsi su brand o prodotti specifici, sta diventando sempre più critica per gli attori del mercato (Pettigrew, 2005). I marketer “are playing a critical role in the aggregate socioeconomic system” (Wilkie and Moore 1999). Il consumo è necessario per soddisfare i bisogni primari, ma, nella “visual economy”, bisogna tenere presente che “that consumption affords additional benefits of a physical and sociopsychological nature” (Mick, 2006). Questo porta ad una crescita dei rischi e dei costi riguardanti

la

complessità

morale

del

consumo

(Borgmann

2000;

Cross

2000;

Csikszentmihalyi 2000; Mick 2006; Zuboff and Maxmin 2002). Per i marketer è diventato indispensabile capire le dinamiche del “real-world consumption phenomenon”. Al momento, risulta indispensabile avere una comprensione profonda dei valori e delle priorità dei consumatori. Modificando leggermente l’ottica del social marketing (adottata negli anni ’70 da El-Ansary, 1974; Kotler, 1972; Takas, 1974), la Transformative Consumer Research ripropone un approccio che si diriga verso il wellbeing della società e del consumatori, e non solo verso la profittabilità ed il soddisfacimento dei bisogni. Mantenere un atteggiamento votato al breve periodo, che non tiene conto dei valori e delle priorità emergenti, potrebbe essere disastroso sia riguardo gli individui sia riguardo la società (Pettigrew, 2005). Questo studio vuole rispondere alle seguenti research question: •

Quali sono le nuove modalità di consumo dello spazio pubblico?

Gli innovatori del processo di consumo, come i traceur, agiscono in maniera consapevole?

Quali sono i nuovi bisogni emergenti che vengono incarnati dal fenomeno Parkour? Questo studio cercherà, come primo punto, dare una breve descrizione introduttiva

del fenomeno Parkour. Successivamente, nel secondo capitolo, sarà analizzato il background teorico a cui lo studio fa riferimento. Il terzo capitolo, invece, sarà dedicato ai risultati empirici: verranno esposti i metodi e le tecniche di ricerca e sarà approfondito l’esame sul processo di consumo dei traceur. Il fine dell’analisi è quello di proporre una riflessione sul complesso processo di consumo dei beni collettivi. Nelle conclusioni sarà proposta un’innovazione del sistema di governance e di promozione del territorio basata sull’analisi del processo di consumo delle tribù e sulle teorie e le tecniche del marketing tribale.

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1.2 Il parkour Il Parkour nasce nel 1988 nel quartiere parigino di Lisses grazie ad un

Figura 2 Un traceurs che esegue un salto di precisione.

gruppo di teenager, di cui facevano parte anche due ragazzi, che in seguito diventeranno le leggende del Parkour, David Belle e Sebastien Foucan. La loro crew si chiamava Yamakasi o “i nuovi (moderni) samurai”. Il nome Parkour è un neologismo ottenuto

mettendo

una

kappa

nella

parola francese parcours "percorso".

Il

Parkour, spesso abbreviato con PK, è l'art du déplacemen: l’attività dello spostarsi da un punto all’altro muovendosi nel modo più efficiente, fluido e veloce possibile usando tutte le capacità del corpo umano (figura 2). Il PK è la possibilità di superare ostacoli, di qualunque tipo essi siano: ringhiere, rocce o muri. È fluidità e armonia dei gesti; è arte: arte dello spostamento. Richiede autocontrollo, una sviluppata coscienza delle proprie paure, la perfetta conoscenza dei propri riflessi e sangue freddo. Il lato mentale si esercita parallelamente all'allenamento del corpo: l’allenamento del Parkour è definito bodymind. È difficile caratterizzare il Parkour: di certo non è uno sport estremo. David Belle si riferisce al PK dicendo: “the physical aspect of parkour is getting over all the obstacles in your path as you would in an emergency. You want to move in such a way, with any movement, as to help you gain the most ground on someone or something, whether escaping from it or chasing toward it. Thus, when faced with a hostile confrontation with a person, one will be able to speak, fight, or flee. As martial arts are a form of training for the fight, parkour is a form of training for the flight. Because of its unique nature, it is often said that parkour is in its own category: parkour is parkour". Il Parkour è una sfida con se stessi. È il tentativo di oltrepassare i propri limiti, aumentando la consapevolezza nei propri mezzi. Il traceur, letteralmente “colui che traccia” (chiunque costituisca un nuovo percorso), si trova non solo a dover superare gli ostacoli fisici e visibili,

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ma anche tutta una serie di ostacoli non visibili. Chi pratica il Parkour si mette in relazione con i propri limiti, accentandoli e cercando di spostarli in avanti. Dal corpo, sicurezza e forza vengono trasmessi alla mente. Il traceur aspira a superare in modo fluido, atletico ed esteticamente valido le barriere naturali o artificiali che si trovano lungo la sua strada (muri, scalinate, gradoni,

pareti,

pendii,

precipizi),

affidandosi ad ottime doti atletiche e ad un’indispensabile dose di creatività (figura

Figura 3 Un traceur che esegue il salto base detto anche "Olio cuore".

3). Le crew, i gruppi in cui si riuniscono i traceur, non si fermano davanti a nessun impedimento architettonico. Il loro obiettivo è, infatti, spostarsi nello spazio e nel tempo utilizzando gli elementi dell'habitat urbano. Il tutto è eseguito a mani nude, senza nessun aiuto se non quello dell'agilità e del coraggio. Lo spirito antitecnologico è evidente nella scelta di praticare una mobilità pura. “L'art du déplacement is a type of freedom. It is a kind of expression, trust in you. I do not think there is a clear definition for it. When you explain it to people, you say: yes I climb, I jump, I keep moving! It is the definition! But no one understand. They need to see things. It is only a state of mind. It is when you trust yourself, earn an energy. A better knowledge of your body, be able to move, to overcome obstacles in real world, or in virtual world, thing of life. Everything that touch you in the head, everything that touch in your heart. Everything touching you physically.” (Chau Belle Dinh) Chi pratica il parkour, si destreggia in salti, evoluzioni, capriole per tracciare nuovi percorsi lontani da quelli che la gente è solita seguire. Ciascuno si avvale della propria immaginazione e delle sue percezioni per arricchire di volta in volta questa attività che non frena il pensiero, bensì lo stimola continuamente. “To understand the philosophy of parkour takes quite a while, because you have to get used to it first. While you still have to try to actually do the movements, you will not feel much about the philosophy. But when you're able to move in your own way, then you

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start to see how parkour changes other things in your life; and you approach problems — for example in your job — differently, because you have been trained to overcome obstacles. This sudden realization comes at a different time to different people: some get it very early, some get it very late. You can't really say 'it takes two months to realize what parkour is'. So, now, I don't say 'I do parkour', but 'I live parkour', because its philosophy has become my life, my way to do everything.” (Andreas Kalteis) 2. IL FENOMENO DEL PARKOUR IN CHIAVE MARKETING: UNA LETTURA POSTMODERNA In questo capitolo verrà analizzata la letteratura di riferimento dell’analisi. L’intento è quello di posizionare questo studio all’interno degli sviluppi ottenuti nella letteratura di marketing sullo studio del processo di significazione e dei gruppi di consumo. Nel primo paragrafo saranno affrontate le basi teoriche dell’approccio postmoderno al marketing, su cui questo studio si basa. Di seguito, sarà analizzato il modello di McCracken, la base per lo studio dei processi di significazione e di costruzione dell’identità tramite il consumo, e verranno proposte alcune modifiche, necessarie per l’applicazione del modello a questo tipo di studio. Il modello di McCracken, nella sua versione modificata, è stato usato come struttura per i paragrafi successivi; dove i vari elementi del modello saranno analizzati singolarmente rispetto allo specifico caso del PK e delle subculture spettacolari di consumo in generale. 2.1 Il marketing postmoderno Come possiamo definire il mondo contemporaneo e le sue nuove condizioni sociali, culturali, economiche e politiche ed inquadrare in una logica interpretativa il fenomeno del Parkour? Il primo passo è individuare ed analizzare il nostro “stato” attuale, cercare di delimitare i topoi emergenti e focalizzare alcuni concetti chiave che ci saranno utili per l’analisi successiva. Un termine che è stato costantemente usato per descrivere la nostra, attuale, situazione è “postmoderno”. Con postmoderno sono connotati tutti gli sviluppi, sociali ed economici avvenuti dopo la modernità (dopo il periodo storico dell’illuminismo e della rivoluzione industriale). La parola “modernità” si riferisce al periodo in cui ebbero inizio le trasformazioni di cui siamo stati testimoni oggi, con post-modernità ci riferiamo, invece, al

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periodo che è appena iniziato. I topoi postmoderni sono apparsi contemporaneamente e in maniera indipendente in tutti i campi del sapere. Questo nuovo tipo di approccio è caratterizzato da: - un ritrovato aspetto estetico nel processo umano di dare preminenza agli aspetti linguistici e simbolici della vita; - l’elevazione di un discorso critico dello spettacolo e della visualità; - il

riconoscimento

degli

aspetti

soggettivi

dell’esperienza

come

parti

significative dell’esperienza umana; - il ripensamento del soggetto umano come un individuo estetico e cognitivo allo stesso tempo. Cinque importanti premesse del post-modernismo possono essere menzionate come nuovi modi di pensare per il marketing: il sistema dei segni, l’iper-realtà, la particolarizzazione, la frammentazione e il comportamento simbolico (o processo di costruzione di una struttura narrativa) (Venkatesh, 1999). - Il sistema dei segni: in quanto esseri umani, siamo continuamente coinvolti in una costante comunicazione. Per produrre senso ci avvaliamo di segni e simboli, non solo nella comunicazione verbale o scritta; ma ogni cosa per noi è portatrice di significato: un bene di consumo, un brand, un logo, una strada. Alcuni segni sono semplici, altri complessi. Ci sono, infatti, differenti gradi di significazione, fino ad arrivare anche ad un secondo o terzo grado. Il primo a teorizzare questo processo nell’ambito del consumo è stato Baudrillard (1981). Egli ha identificato la “commercial culture” come “the ultimate sign system”. Le fondamenta di questa visione sono: la non stabilità e permanenza dei significati, che possono mutare in base agli scambi comunicativi che avvengono all’interno della società, e la relativizzazione dei valori e delle norme, che diventano cultural category e cultural principle. - L’iper-realtà: è abbandonato il concetto di realtà assoluta. Si parla di diverse realtà che gli individui possono costruire attraverso l’immaginazione, l’ingenuità, la fantasia ed i bisogni pratici. La realtà è il risultato della messa in pratica di un processo di simulazione e di costruzione di simulacri: il mondo diventa un insieme di segni, un mondo culturalmente costituito. Il consumo, ormai, è

visto prettamente come un consumo di segni e immagini; la

concezione dei valori di funzionalità e di materialità è stata superata. Il consumo attuale non è funzionale; la “funzionalità” stessa è trattata come

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segno. Ci troviamo a muoverci in un mondo “prettamente visuale” dove i consumatori ricercano e consumano simboli. - Particolarizzazione: culture differenti reagiscono in maniera differente rispetto allo stesso set di bisogni perché hanno schemi di lettura differenti. Questo principio è prettamente pratico e permette la creazione di interazioni sinergiche. Non è più possibile adottare uno sguardo generalista, ma bisogna adottare uno sguardo che va ad agire “in particolare”, attento alle nuove emergenze all’interno del processo di consumo. - Frammentazione: non riguarda solo la frammentazione in gruppi, ma anche la frammentazione del sé (inteso come identità). Il consumatore non è più un individuo con dei bisogni ben definiti, ma i suoi comportamenti variano in base agli spazi, ai sistemi di immagini ed alle circostanze. Non sono più caratterizzati da schemi comportamentali fissi. - Narrazione (comportamento simbolico): il linguaggio dei segni non permette un approccio basato su schemi di rappresentazione oggettivi. Il nuovo linguaggio contemporaneo si basa su linee di confine e approcci che includono differenti voci e punti di vista. Il consumo è una narrazione polidiscorsiva che permette all’individuo di adeguarsi ai diversi dialoghi in cui si trova a dover interagire. Nella condizione post-moderna i beni sono dei simboli generatori di significati e i consumatori sono soggetti attivi che, tramite i loro processi di consumo, negoziano

e

costruiscono attivamente i loro significati. I processi di significazione e di consumo sono continui e complessi perché coinvolgono una gran quantità di attori: i media, i marketer, i consumatori come individui singoli ed i gruppi culturali a cui appartengono. I significati sono in continuo movimento e con loro le pratiche di consumo. L’approccio postmoderno del marketing sposta l’attenzione sulla cultura rispetto che sull’economia strico sensu, sul consumo rispetto che sulla produzione. Da un modello lineare si passa ad uno costruito a spirale (figura 4).

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Traditional marketing view

Antecedents to culture

Emerging marketing view

Material goods

Culture (collective)

Cultural templates for action (blueprint)

(individual) Perceptual categorization Perceptual inferente Information processing strategies Motives Self concept

Consumption pattern

Consumption pattern

Cultural templates for interpretation (lens)

Cultural fields (scape)

Figura 4 Due modelli della Culture and Consumer Behavior (tratti dai lavori di McCort e Malhotra, 1993; Holt, 1994; Douglas e Isherwood, 1979)

La differenza più rilevante tra l’approccio tradizionale del marketing e quello postmoderno consiste, da parte del secondo, nel considerare gli aspetti simbolici del consumo le vere driving force del marketing (figura 5). Partendo da questo presupposto, per riuscire a comprendere ed anticipare i futuri sviluppi della commercial culture, si devono osservare e monitorare tutte le nuove emergenze del linguaggio e della costruzione del senso da parte dei consumatori. Le subculture di consumo e le consumer tribe sono la parte visibile, “l’avvento di una serie di eventi” (Maffesoli, 2007), dei processi di cambiamento in atto. Per riuscire a seguire il processo di creazione del significato ed anticiparlo, bisogna osservare attentamente quei consumatori che agiscono come attivatori ed entrepreneur. All’interno di questa realtà postmoderna è fondamentale per le aziende riuscire ad immettersi attivamente nel processo dialettico della costruzione delle immagini.

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Cultura/ Culture

Identità

Comportamen ti di consumo

Figura 5 Rilettura postmoderna delle teorie di consumer behavior (Venkatesh, A.; 1999).

2.2 Il modello di McCracken In un’ottica postmoderna, quindi, i beni di consumo non possono essere visti ed analizzati in base alla loro funzionalità, in quanto portatori di significati e consumati perché simboli culturali. La gestione dei prodotti, in quanto segni, comporta una maggiore complessità di lettura: il bene non può più essere analizzato in quanto tale ma deve essere guardato secondo la relazione “persona-oggetto” che viene a manifestarsi. Queste relazioni sono, però, instabili e frammentate, la loro struttura è in continuo movimento. Non possiamo più riferirci ai beni come unità immobili, ma dobbiamo pensarli come processi in continua ridefinizione: i consumatori non adottano più un ruolo passivo (di accettazione), ma diventano co-creatori dell’oggetto. I processi di consumo, quindi, contengono anche tutte le attività, relative alla personalizzazione ed alla cura, che, agendo sia materialmente sia socialmente (ad esempio l’esposizione o le occasioni/contesti di utilizzo) sul bene di consumo, ne modificano lo status quo. Il modello di McCracken (figura 6) sintetizza il processo di significazione all’interno della “commercial culture”, egli analizza come il sistema di comunicazione e la pubblicità vadano ad influenzare il modo di analizzare la realtà della società in cui operano. Il modello è strutturato su tre livelli: -

il mondo culturalmente definito;

-

i beni di consumo;

-

i consumatori.

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Culturally constituted world

Advertising/Fashion System

Fashion System

Consumer goods Possession rituals

Exchange rituals

Grooming rituals

Divestment rituals

Individual consumer Figura 6 Modello di McCracken

McCracken descrive il processo di significazione come un processo a due stadi, il primo dei quali è il passaggio di significato “dal mondo culturalmente costituito al bene di consumo”. Secondo il modello, il significato culturale di un bene viene disegnato all’interno di un mondo culturalmente costituito. Questo è inteso da McCracken come il “frame (blueprint)” globalmente condiviso all’interno di un gruppo sociale; al suo interno contiene le norme, valori, i miti ed i simboli di una società. È il non detto del codice linguistico condiviso. Il bene di consumo, invece, è visto come la sua l’epifania materiale. Il secondo passaggio è il trasferimento di significato “dal bene al consumatore”. In poche parole, il significato culturale segue una traiettoria con due punti di trasferimento: “mondobene” e “bene-individuo”. Come primo step vorrei analizzare i vari passaggi descritti dal modello. Il vertice del modello è “il mondo culturalmente definito”, l’espressione implica una serie di processi che devono essere sviscerati. Difatti, si riferisce al risultato che si ottiene guardando la realtà quotidiana attraverso le lenti della cultura: il mondo con l’aggiunta dei significati. Il processo di visione avviene attraverso una doppia lente: (1) il primo livello di visione, quello della divisione in parti, avviene tramite l’uso delle “categorie culturali”. Queste ultime costituiscono la griglia concettuale che permette la frammentazione del mondo reale per facilitarne la lettura. Sono la griglia in base alla quale la realtà è ordinata e suddivisa. La griglia è continuamente sottintesa e (ri)sostenuta dai membri di una stessa comunità culturale. Uno dei modi, che i membri di una cultura hanno per sostenere le categorie culturali, è tramite gli oggetti materiali. Il loro uso, dal momento che rende tali categorie reali

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e tangibili, serve a mantenere l’ordine culturale. (2) Se le categorie culturali sono il primo livello della lente, cioè il modo in cui viene suddiviso il mondo reale, i principi culturali sono il secondo: quelli che ordinano le categorie culturali. Sono le assunzioni che permettono ai fenomeni culturali di essere distinti, elencati ed interrelati. Secondo McCracken gli strumenti, attraverso cui questa struttura di significato viene trasferita ai beni, sono (1) l’advertising ed (2) il fashion system. (1) L’advertising riporta i beni di consumo e la rappresentazione del mondo costituito culturalmente all’interno della stessa cornice. La trasmissione della sovrastruttura è quindi maggiormente diretta e controllabile da parte dei marketer. (2) Nel caso del fashion system il processo è più complesso perché prevede l’intervento di diverse risorse di significato come gli agenti di trasferimento e i media. Per quanto riguarda il secondo nodo del processo (dal bene al consumatore), i metodi di trasferimento del significato sono tre: (1) i rituali di scambio, (2) i rituali di possesso e (3) i rituali di preparazione. (1) I rituali di scambio implicano uno scambio di significato che, trasferito dal donatore al ricevente, agisce sull’influenza e sui legami interpersonali. (2) I rituali di possesso contengono la pulizia, la discussione, la comparazione e la messa in mostra degli oggetti. Attraverso queste azioni, i consumatori si appropriano del significato dei beni in base alle diverse circostanze di consumo: il tempo, lo spazio e l’occasione. Li usano principalmente per definire una loro identità (ruolo) all’interno di un ambiente sociale. Anche la personalizzazione fa parte fa parte dei rituali di possesso. Personalizzare un bene serve a conferirgli significati appartenenti in tutto all’ambito del privato, oltre a quelli pubblicamente condivisi. E’ un’azione poietica (creativa). (3)I rituali di preparazione, in fine, contengono tutti processi che sono messi in atto per il coming out del bene. Si riferiscono a tutte le azioni di preparazione che precedono la messa in mostra, la condivisione. McCracken analizza come i marketer possono influenzare il modo di agire dei consumatori, ma non spiega come i consumatori agiscono sui marketer. All’interno della nostra analisi sulle subculture spettacolari di consumo, il modello ha due punti deboli fondamentali: prevede che il processo di significazione avvenga solo top-down e che la base sia costituita esclusivamente dal consumatore come singolo individuo. Non include tutto l’insieme di realtà relative ad i fenomeni delle subculture di consumo e delle consumer tribe. È una limitazione importante, vista l’attenzione che oggi viene posta verso queste emergenze (basti pensare alle pratiche Figura 7 macchina customizzata di alcuni Chav.

di cool hunting, trend setting e guerrilla marketing).

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Per i marketer è diventato fondamentale “appropriarsi”

dei rituali relativi alle

subculture, basti pensare quanto i produttori di Moet e Chandon e la Burberry hanno tremato vedendo che la subcultura “Chav” (i cui membri erano esponenti della “working class”) si era appropriata dei loro lussuosi prodotti e ne stava cambiando i significati (Cova, Kozinets e Shankar, 2007) (figura 7). Per studiare e capire come i movimenti underground e le consumer tribe riescono a modificare i significati correlati ai beni di consumo dobbiamo attuare alcune modifiche al modello (figura 8). La prima modifica riguarda il “verso” del processo di significazione, che, nel caso di consumatori attivi e co-creatori, diventa una relazione bilaterale: non solo “top-down” ma anche “down-top”. I consumatori creativi hanno la capacità di scatenare le “epidemie” che, nel caso di un consumo spettacolare, hanno un’altissima possibilità di “fare presa”. La seconda riguarda la base del modello. Il genere di consumo che stiamo analizzando non è solo individuale, ma di “tribù”. Non possiamo più riferirci ad un consumatore singolo, ma ad un gruppo.

Culturally constituted world

Advertising/Fashion System

Fashion System

Consumer goods

Possession rituals

Exchange rituals

Grooming rituals

Divestment rituals

Consumer tribes Figura 8 Modello di McCracken modificato per studiare le influenze delle subculture

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2.3

Il mondo culturalmente costistuito

2.3.1 Definizione di cultura Cultura: educazione, che tende, negli autori cristiani, verso la virtù; l‘atto o la pratica di coltivazione del suolo; coltivazione, agricoltura; coltivazione o allevamento di certi animali; sviluppo artificiale di microrganismi, organismi ottenuti in questo modo; l’atto di coltivare o di far sviluppare (la mente, le facoltà, le maniere), l’atto di migliorare o raffinare attraverso l’educazione e l’esercizio; la condizione di essere istruiti e di essere raffinati; il lato intellettuale della civiltà; l’esercizio o l’attenzione speciale o lo studio di un qualsiasi soggetto o ricerca. Oxford English Dictionary La cultura, come mostra questa definizione, è un concetto notoriamente ambiguo. Per iniziare a dissipare l’incombente matassa, dobbiamo porre una separazione tra “Cultura” e “cultura”. Come ci suggerisce Giuseppe Mantovani (1998), la “Cultura” è una categoria vuota, quella che esiste in realtà è una più modesta “cultura” che coincide con “l’attività mentale di individui che utilizzano in modo attivo la conoscenza in differenti contesti” (Wasmann, 1995, p. 167). In questo senso la cultura è costituita in gran parte di cose fatte e non dette, di pratiche non formalizzate e non formalizzabili, di modi di fare di cui le persone possono essere neppure chiaramente consapevoli. Rosaldo (1989, p. 20) afferma che “La cultura può essere concepita come un insieme di intersezioni in cui processi distinti procedono a zigzag e si incontrano provenendo sia dall’interno sia dall’esterno dei suoi confini. Le distinzioni nascono da differenze di età, di genere, di classe, di razza, di orientamento sessuale”. Lo step successivo per poter comprendere al meglio le sottoculture è quello di accettare l’impossibilità di poter generalizzare e iniziare ad analizzare i mutamenti in base alla specificità dei contesti. Vorrei riprendere il concetto di cultura sviluppato da Bachtin (1975): cultura come luogo di frontiera, d’incontro. Dobbiamo pensare alla struttura degli schemi di senso come al funzionamento di una cellula: il suo nucleo è zoccolo duro del non detto (come ad esempio nella frase “il gatto è disteso sul divano” viene supposta la condivisione della conoscenza condivisa dell’esistenza della forza di gravità), mentre la membrana è la frontiera che attraversiamo ogni volta che ci troviamo un altro di fronte. La membrana è la zona di confine, il limite da cui entrano i cambiamenti (figura 9).

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La

cultura,

difatti,

è

interamente

distribuita sulle frontiere: le frontiere sono dappertutto, attraverso ogni suo aspetto. Ogni atto culturale vive essenzialmente sulle frontiere, se è separato da esse perde il suo fondamento, diventa vuoto e arrogante, degenera e muore. La cultura è una mappa per esplorare la realtà costituita da: “cultural template for action (blueprint)”;

“consumption

pattern”;

“cultural

templates for interpretation (lens)” e “cultural fields (scape)”. Essa media tra gli individui e l’ambiente

Figura 9 Struttura e funzionamento di una cellula.

avvolgendoli in una rete di senso. La cultura è mediazione come il bastone con cui il cieco esplora la strada. La cultura, come lo sono i media per McLuhan (1964), è uno strumento, un prolungamento della mente che si colloca nell’interstizio tra il sé e la realtà. Non è né dentro né fuori, ma in entrambi i luoghi. Bateson (1972) scrisse: “supponiamo che io sia cieco e che usi un bastone. Cammino toccando le cose: tap, tap, tap. In quale punto comincio io? Il mio sistema mentale finisce all’impugnatura del bastone? O finisce con la mia epidermide? Incomincia a metà del bastone? O sulla punta del bastone?”. Il bastone è una propaggine della mente del cieco mentre questi cammina per la strada. Il modo, in cui il sapere, la cultura e l’intelligenza sono distribuite, dipende essenzialmente dagli strumenti attraverso i quali le persone interagiscono con il mondo, e questi a loro volta dipendono dagli scopi delle persone. La combinazione di scopi, strumenti e cornici sociali costituisce il “contesto” del comportamento e definisce in che senso l’attività cognitiva è distribuita nel contesto (Cole, 1990; Cole e Engerstrom, 1993). Possiamo, quindi, considerare gli artefatti (oggetti, beni di consumo) come degli strumenti di mediazione. Sono progetti di senso che hanno preso corpo: tutti i mezzi attraverso cui gli uomini riescono a controllare il loro comportamento all’esterno2. Pensare la cultura come uno schema, uno strumento in continua trasformazione ci permette di analizzare come i consumatori rielaborano e trasformano i significati contenuti nella pubblicità, nei brand, nei beni per manifestare la loro identità e la loro appartenenza sociale. Il marketplace è diventato la maggiore risorsa attraverso cui le persone costruiscono la narrazione relativa alla loro identità (Belk, 1988; Hill, 1991). I consumatori personalizzano i 2

In questa connotazione anche il corpo usato come mezzo per l’esecuzione di un atto performativo può essere considerato un artefatto.

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segni culturali, tramite i beni di consumo, per creare proiezioni del sé. Queste spesso sono multiple e non lineari per rivestire bene i ruoli che decidono di ricoprire, anche a scapito della coerenza (Schau e Gilly, 2003; Arnould e Thompson, 2004). Il consumatore postmoderno si trasforma in un “unruly bricoleur” (Holt, 2004) che esprime la propria identità tramite atti di consumo anticonformistici di cui, in ogni caso, i beni di consumo sono al centro. I consumatori sono diventati dei produttori di cultura. Le forze della globalizzazione, come vedremo più avanti, hanno eroso il concetto di comunità, portando le persone verso un individualismo estremo. In risposta a queste condizioni alienanti e isolanti, le persone hanno sentito il bisogno di ricreare identità collettive e di costruire rituali di solidarietà che si basano su interessi e stili di vita condivisi (Cova, 1997; Firat e Venkatesh, 1995; Muniz e O’ Guinn 2001). Dal bisogno di comunità e dal linguaggio del marketplace nascono le subculture spettacolari. Le subculture, come il movimento Punk, la Street art e il Parkour, sono definite spettacolari perché giocano proprio su un utilizzo “innaturale3” di beni di consumo (artefatti) comuni. L’operare sugli artefatti amplifica il loro intento di ri-significazione. Una spilla da balia, che trafigge una guancia, o un tavolo da ping pong, usato come un trampolino, colpiscono maggiormente l’attenzione di un osservatore perché operano sulla parte concreta degli schemi culturali: entrano nella quotidianità e per questo sono maggiormente “sentite”. In questo modo, nel processo di formazione del senso, operano direttamente sul codice (il bene di consumo culturalmente costituito), sottoponendo il segno alla volontà del consumatore, che diventa anche lui un enunciante equivalente al marketer. Si stabilisce una nuova, stretta, corrispondenza tra il significante (il tavolo da ping pong) e un significato astratto (strumento di gioco/attrezzo ginnico). Il percorso di riformulazione del contesto di senso del marketplace è così tanto incisivo nelle subculture spettacolari, perché la funzione rappresentativa ripercorre, in senso inverso, quella usata dai marketer per la trasmissione dei significati. Gli artefatti sono, nella società contemporanea, i veri simboli portatori di significato. Il sociale è caduto nel registro dell’offerta e della domanda (Baudrillard, 1987).

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L’aggettivo innaturale sta ad indicare un’operazione di astrazione dell’artefatto dal contesto di origine, quello comunemente usato nella quotidianità, per portarlo in contesti nuovi, dove assume nuove strutture semantiche.

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2.3.2 La modernità liquida: libertà ed individualismo

Interruzione, incoerenza, sorpresa sono le normali condizioni della nostra vita. Sono diventate finanche dei bisogni reali per tante persone le cui menti non sono più nutrite (…) da nient’altro che mutamenti repentini e sempre nuovi stimoli (…). Non riusciamo più a sopportare nulla che duri. Non sappiamo più come mettere a frutto la noia. L’intera questione si riduce a questo: può la mente umana dominare ciò che ha creato? Paul Valéry La definizione di “modernità liquida” che Zygmunt Bauman (2000) dà alla nostra contemporaneità, si riferisce alla “pervasività” del mercato in tutti gli aspetti della vita quotidiana. La modernità diviene liquida perché misurata solamente in base alla capacità di far fluire le merci. Non esistono più punti fissi. I liquidi, a differenza dei solidi, non mantengono una forma propria. Per così dire, non fissano lo spazio e non legano il tempo. I fluidi non conservano mai a lungo la propria forma e sono sempre inclini a cambiarla; cosicché ciò che conta per loro è il flusso temporale più che lo spazio che si trovano ad occupare e che in pratica occupano solo per un momento. Viaggiano con estrema facilità. La straordinaria mobilità dei liquidi è ciò che li associa all’idea di leggerezza. La dimensione spaziale perde di consistenza e lascia spazio a quella temporale, di cui è enfatizzata prettamente la contemporaneità, l’attimo. Il nostro concetto di libertà è la libertà individuale di scegliere ed agire, si è cercato di abbattere tutti gli impedimenti e gli ostacoli che potessero limitarla, è la ricerca della capacità liquida dello spostamento (da un luogo ad un altro, da un contesto di senso ad un altro nel minor tempo possibile). Il focus dell’attenzione, di conseguenza, è passato dal livello macro al micro, dal pubblico al privato. La nostra percezione di società è stata distorta in base alle regole che governano il mercato globalizzato. Ancorarsi ad un luogo, ad una comunità non ha più importanza se si possono abbandonare quando si vuole. Il risultato è stato la disintegrazione della rete sociale. Come descrive Marcuse (1989, opera citata in Bauman, 2005, p. 23): “per quanto riguarda l’oggi e la nostra condizione in particolare, ritengo che ci troviamo innanzi a una situazione senza precedenti nella storia, quella cioè di dover essere liberati da una società relativamente ben funzionante, ricca, potente. Il problema che abbiamo dinanzi è l’urgenza di liberazione da una società che

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soddisfa in buona misura i bisogni materiali e anche culturali dell’uomo; una società che, per usare una frase fatta, dispensa i beni a una parte sempre più ampia della popolazione.” Cresce il bisogno ed il desiderio di fuga, di divertimento e di forti sensazioni. Come scrivono Goulding, Shankar ed Elliot (2002) nascono comunità, come quella dei raver, basate sulle esperienze temporanee (come i cyberspace group): aggregazioni dove le persone possono costruirsi esperienze senza dover passare per la società mainstream o un coinvolgimento vero e proprio con la comunità. I raver sono altamente rappresentativi del nuovo concetto di individualità e di libertà: dimenticare la mondanità (il dovere di adeguarsi a ruoli socialmente accettabili), usare i vestiti per impressionare e la ricerca della fuga nella fantasia. Il concetto di libertà, ora, significa essere liberi da qualsiasi tipo di catena che impedisce o ostacola i movimenti; iniziare a sentirsi liberi di muoversi o di agire. Sentirsi liberi significa non avere intralci, ostacoli, resistenze o altri impedimenti a movimenti presenti o futuri. “la realtà è creata da un atto di volontà; è la sorda indifferenza del mondo alle mie intenzioni, la sua riluttanza a sottomettersi al mio volere, che si riflette nella percezione del mondo come reale: vincolante, limitante e recalcitante.” (Arthur Schopenhauer) Il bisogno emergente riguardo la costruzione dell’identità è quello di sentirsi liberi da restrizioni, liberi di agire in conformità ai proprio desideri, di raggiungere un equilibrio tra i desideri, l’immaginazione e la capacità di agire: ci si sente liberi nella misura in cui l’immaginazione non supera i desideri reali e nessuno dei due oltrepassa la capacità di agire. Ci sono due modi diversi in cui l’equilibrio può dunque essere raggiunto e preservato: ridimensionando i desideri e/o l’immaginazione, oppure ampliando la propria capacità di agire (Bauman, 2000). Le due vie prospettate da Bauman corrispondono alle due visioni della consumer society esposte da Goulding, Shankar ed Elliot (2002). (1) La prima si concentra sulla società come distopica ed alienante, dove i consumatori sono esseri altamente frammentati che cercano tramite il consumo dei segni, dei prodotti spettacolari di costruire la propria identità ed agiscono prettamente ad un livello di superficie. (2) La seconda prospettiva è maggiormente ottimista. La frammentazione del sé è interpretata come una spinta potenzialmente liberatoria dal conformismo. In entrambi i casi ci troviamo comunque di fronte a quella che Elias (2004) descrive come “la società che plasma l’individualità dei suoi membri e gli individui che danno forma alla società tramite le loro azioni vitali e il perseguimento di strategie plausibili e fattibili all’interno della rete socialmente costruita della loro dipendenza.”

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2.3.3 La costruzione dell’identità “Il modo in cui si vive diventa una soluzione biografica a contraddizioni sistemiche.” Beck Riprendendo il dualismo esposto nel paragrafo precedente, abbiamo,

riguardo

l’identità, due tipologie di visioni: (1) una basata sul postmoderno come alienazione e (2) l’altra, invece, che lo vede come una forza liberatoria. (1) La prima si concentra sulla perdita di profondità a favore di un atteggiamento che agisce e si muove in superficie. La società viene definita come “consumer society” o “society of spectacle”. Si osserva e si evidenzia come la società contemporanea pone enfasi su tutto ciò che è spettacolare, popolare, piacevole e immediatamente accessibile. (Featherstone, 1991). Per quanto riguarda le persone, la visione è nichilista: identità confusa e un sé frammentato e conflittuale. Cushman (1990) definisce questo stato come “empty self”. A causa della società ipermediatizzata e ipercomunicazionale, Gergen (1991) usa la definizione “personal saturation”. L’uomo contemporaneo si deve confrontare in continuazione con scelte senza fine che lo spingono verso una confusione dei diversi ruoli e delle diverse responsabilità: la “multiphrenia”. (2) La visione positiva vede la frammentazione del se come un’opportunità. La frammentazione viene descritta tramite una serie di idee correlate tra loro: la frammentazione del mercato, la proliferazione di prodotti di nicchia, la frammentazione e la proliferazione dei media e la frammentazione della vita, delle esperienze, della società e della struttura narrativa. Di conseguenza l’uomo postmoderno viene definito come Homo Consumericus ( Firat e Schultz, 1997): una creatura definita tramite il consumo e le esperienze che ne derivano. “In customising oneself to (re)present marketable (self)images, the consumer is interacting with other objects in the market to produce oneself (…). Consumption is increasingly becoming a productive process, goal oriented and purposeful” (Firat, 1995, p.52). Il consumo diventa un mezzo creativo per esprimere la moltitudine di identità che ci contraddistinguono. “Fragmentation means, literally, the breaking up into parts and erasing of the whole, single reality into multiple realities, all claiming legitimacy, and all deoupling any link to the presumed whole” (Firat e Venkatesh, 1995). In questo modo il consumatore può sperimentare i picchi emozionali senza dover connettere l’esperienza con un logico ed un unitario “state of being”. Il fenomeno del Parkour si colloca nel mezzo (interstizio) di queste due definizioni. Come vedremo, il PK nasce in risposta all’alienazione dell’essere umano all’interno del contesto urbano, ma utilizza la superficie della spettacolarità ed il gioco come mezzo di

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espressione. Da un lato ricercano la fuga dalla condizione di “personal saturation” e dell’ “empty self”, dall’altro utilizzano le potenzialità creative generate da questa frammentazione per ridiscuterla e ri-delinearla. L’essere un traceur, infatti, da una parte non è un’identità totalizzante (non impedisce di essere anche uno studente, un artista…), ma è comunque uno “state of mind” pervasivo (viene utilizzato anche durante gli altri ruoli). Come ha dichiarato un traceur di nome Vanja: “se sono in ritardo per una lezione e vedo arrivare l’autobus, praticare il PK mi permette di velocizzare i miei movimenti, di superare gli ostacoli che trovo agilmente. Per esempio posso saltare una ringhiera e prendere l’autobus, anziché doverla aggirare e perderlo”. I membri delle subculture e delle consumer tribe sono consumatori particolari, sono più sensibili e recettivi rispetto al contesto che li circonda. Chi fa parte di una subcultura di consumo considera il processo di consumo importante sia per la sua espressione individuale sia per quella collettiva del gruppo a cui appartiene. L’identità così costruita è il mezzo usato per relazionarsi con se stessi, con gli altri, con il mondo intero. Le lenti culturali costruiscono un messaggio che incorpora una vasta gamma di “commercial and commercially produced pursuits, objectives and definitions of the self” (Cova, Kozinets e Shankar, 2007). Quando si studia una subcultura, non si può pensare a questo processo come individualistico. La costruzione dell’identità avviene su due dimensioni: la “dimensione della manifestazione” e la “dimensione della reliance” (Harrè, 1985). La “dimensione della manifestazione” riguarda il livello in cui i pensieri e le azioni del consumatore sono vissuti; la manifestazione si muove tra i poli: pubblico e privato. La “dimensione della reliance” riguarda il tipo di risorse da cui si attinge: risorse individuali e risorse collettive (figura 10 e 11). Figura 10 Modello di Harrè del processo di costruzione dell'identità. Pubblico Restituzione • Assertività; • Socializzazione.

Sfera sociale • Espozione e ascolto; • Negoziazione tra elementi individuali e sociali.

Individuale

Collettivo Sfera personale • Trasformazione; • Elaborazione.

Appropriazione • Selezione; • Metabolizzazione • Ritenzione. Privato

Modello di Harré (1985)

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Modello di Harré (1985) applicato al Parkour

Pubblico Restituzione • Assertività: nel PK l’assertività è molto apprezzata come caratteristica. Poiché è una pratica rischiosa, sapersi imporre contro chi vuole spingersi troppo oltre è una delle caratteristiche che, nella descrizione fatta dagli intervistati, viene vista come necessari; • Socializzazione: è un aspetto fondamentale nel PK. Un buon affiatamento all’interno del gruppo è essenziale per la preparazione ed il buon esito di una tracciata.

Sfera sociale • Espozione e ascolto: l’allenamento e lo studio delle varie tecniche viene sempre svolto in gruppo. L’osservazione e l’aiuto degli altri è essenziale; • Negoziazione tra elementi individuali e sociali: nel PK non c’è uno stile univoco, una volta recepite nel gruppo le basi per effettuare l’atto performativo, ognuno può sviluppare le proprie varianti.

Individuale

Collettivo

Sfera personale • Trasformazione: la trasformazione nel PK avviene sia a livello fisico (si diventa più agili, più forti, si pone maggiore attenzione alla cura del corpo, si acquisisce una maggiore consapevolezza delle proprie capacità) sia a livello mentale (aiuta ad affrontare meglio le paure, a riuscire a mettersi in gioco, a dare maggiore importanza allo spazio urbano, aiuta ad avere maggior rispetto per le cose e le persone); • Elaborazione: si elabora lo spazio e la propria mobilità in modo più consapevole e libero.

Appropriazione • Selezione: bisogna condividere i principi di costanza, rispetto e non competizione. Chi non li condivide perde la credibilità all’interno del gruppo; • Metabolizzazione: l’allenamento costante e di gruppo serve a rafforzare ed apprendere con calma cosa significa essere un traceurs. Non ci si può improvvisare; • Ritenzione: il tipo di lettura dello spazio urbano che si acquisisce tracciando rimane anche dopo l’allenamento. Privato

Figura 11 Il modello di Harré applicato al Parkour.

2.4 Lo spazio pubblico: un bene complesso “Lo spazio sarebbe per il luogo ciò che diventa la parola quando è parlata, cioè quando è afferrata nell’ambiguità di una effettuazione, tramutata in un termine derivante da molteplici convenzioni, posta come l’atto di un presente (o di un tempo) e modificata dalle trasformazioni dovute a contiguità successive (…)” Merleau-Ponty Mentre la grande ossessione del XIX secolo è stata la storia, quello appena terminato si può considerare il secolo dello spazio. Oggi, la dislocazione si sostituisce all’estensione, e si può supporre che l’inquietudine dell’uomo moderno sia causata in maniera determinante dal ripiegamento dello spazio. Lo spazio, inteso come luogo, è importante perché definisce l’ordine in base al quale gli elementi sono distribuiti in rapporti di coerenza (de Certeau,

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1990). Il ripiegamento dello spazio crea instabilità, dal momento che allo spazio era stato assegnato il compito di definire il connubio identità-relazione. Lo spazio pubblico è un bene complesso perché “collettivo”: è caratterizzato dall’assenza di rivalità nel consumo e dalla non escludibilità. Ha un valore sociale e simbolico fortissimo, dato che è strettamente collegato con il concetto di comunità. Lo spazio, oggi, viene visto come un interstizio, quel peculiare stato o situazione intermedia che consiste nel trovarsi “in mezzo”, “tra”. I passaggi materiali hanno sempre rappresentato, nella nostra cultura, elementi visibili di aspetti ed esperienze comuni e significative della vita quotidiana. Le barriere architettoniche, come ad esempio i muri, enfatizzano la privacy, la chiusura, il confine tra interno e esterno. Ogni interstizio spaziale è un viaggio nella logica della separazione. In un’ottica antropologica dobbiamo fare un’ulteriore distinzione: quella tra lo “spazio” ed il “luogo”. Il luogo presuppone uno spazio antropologico che è “il luogo di un’esperienza di relazione con il mondo da parte di un essere essenzialmente situato in rapporto ad un ambiente” (Augé, 1993, p.75). Nella nostra contemporaneità, invece, si tende sempre più a parlare di spazio: un luogo geometricamente definito dove fluiscono le merci. I cittadini sono diventati “city user” e sono obbligati, da evidenti limitazioni, ad usare la città in tempi sfasati, pena la difficoltà o l’impossibilità di accesso ai servizi. La strada si è trasformata in un luogo di passaggio veloce e si è persa completamente la dimensione dell’esplorazione e della condivisione. Le città costituiscono sempre più degli spazi privati: a causa della paura dell’altro si erigono interi quartieri privati separati dal resto. Le persone si sono trasformate da cittadini ad individui. Il cittadino è una persona incline a ricercare il proprio benessere attraverso il benessere della città, mentre l’individuo tende a mostrarsi freddo, scettico o diffidente nei confronti di concetti quali causa comune, buona società o società giusta. Gli individui sono interessati a vigilare sulla sicurezza del proprio corpo e dei propri averi, escludendo e chiudendo criminali reali o presunti e liberando le strade da qualsiasi sorta di estranei. I timori e le preoccupazioni degli individui in quanto tali riempiono completamente lo spazio pubblico, sostenendo di esserne gli unici occupanti legittimi ed espungendo dal pubblico dibattito ogni altra cosa.

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2.4.1 Non luoghi? “I walk this empty street / On the Boulevard of Broken Dreams / Where the city sleeps /and I'm the only one and I walk alone” Green Day “A battle map aims not to describe a place, but rather to begin its transformation.” Guallart Molte categorie del pensiero, che si Figura 12 "Disappearing doors II " di Bruno & Botto

sono formate sulla trasformazione delle città, non collimano più con le esperienze che stanno ridisegnando il territorio metropolitano. Nonostante i “non luoghi” e le “città invisibili” (figura 12) esistano ancora, usare questo genere di visione, in modo esclusivo, per analizzare i fenomeni urbani a noi contemporanei risulta forviante. La teoria

dei

“non

luoghi”

è

stata

determinante nei primi anni novanta del

secolo

scorso

per

leggere,

attraverso la dissoluzione dei luoghi storici, la trasformazione delle città industriali nella metropoli del consumo totale, ma è inadatta a descrivere lo svuotamento di senso attuale che aggredisce anche i luoghi adibiti alla produzione e le zone periferiche. La visione derivante dalle “città invisibili” di Calvino (usata principalmente in architettura e nell’urbanistica), invece, è servita solo a nascondere lo sviluppo reale della città postmoderna dietro una ricerca ossessiva di modi con cui mapparla e di parametri mentali fissi e minuziosi con cui inerpretarla (Ilardi, 2005). La metropoli contemporanea, dove viviamo e dove si formano le subculture come il PK, è un campo aperto in cui si intrecciano energie, conflitti e nuove relazioni. Non ha più nulla della città moderna in cui lo spazio aveva una sola dimensione poiché era strutturato in modo da essere una macchina funzionale ai modi di produzione industriale. La metropoli è pervasa da un bisogno di occupazione, appropriazione, consumo di territorio attraverso diverse pratiche di illegalità diffusa che hanno la capacità e la forza di legittimarsi (Ilardi M., 2007).

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Sul territorio urbano si formano e si muovono una serie di minoranze sociali di massa eterogenee tra loro. Il cui senso di appartenenza è basato sul consumo, sullo spazio e sulla mobilità. Il PK è l’espressione più completa e complessa di questo fenomeno: pur essendo una subcultura che si sviluppa a livello globale (grazie all’uso delle web community 2.0) è strettamente legata al luogo dove viene praticata; sviluppa il concetto di mobilità e di costruzione dei percorsi che nasce con la pratica della “deriva” iniziata dai situazionisti; crea nuovi modi di consumare lo spazio pubblico (una ringhiera non delimita un percorso predefinito, ma è un mezzo per giocare che ti spinge a pensare ai diversi modi di superarla). Sono minoranze che, proprio nella loro immanenza radicale e nella contingenza del loro rapporto, delle loro azioni e della trasformabilità del territorio e dei luoghi che attraversano, si costituiscono come soggettività antagoniste che, si compongono e si destrutturato di continuo. Le nuove espressioni di appropriazione di spazio sono basate sulla temporaneità e sul “non lasciare tracce permanenti”. Il nuovo consumo è completamente basato sul corpo e sull’atto performativo. Questo è il concetto base dietro ad una tracciata, ma basta pensare alle pillow fight dei Flash Mobs (organizzati in Italia per lo più tramite il sito www.bill2.org) per trovare un altro esempio. Queste espressioni catturano la nostra attenzione e ci sconvolgono con il loro “effetto sorpresa” perché ormai viviamo gli spazi metropolitani non come spazi d’azione, ma di sospensione. Lo spazio pubblico, oggi, è uno spazio di confine; è vuoto: una no man’s land. Il PK è l’unico movimento che, in modo consapevole, usa la performance come mezzo per portare verso una riflessione costruttiva. Per i traceur, gli spot più ambiti sono le fabbriche abbandonate. I motivi della scelta sono molteplici (più possibilità di creare esercizi per la conformazione morfologica, l’assenza di controlli…), ma quello che risulta più interessante per i parametri di questa ricerca è la loro necessità di cercare dei luoghi vuoti dove poter creare dei percorsi che siano narrazioni. Gli spot vuoti sono l’ideale. Una fabbrica in disuso non aspetta pacificamente di essere occupata o utilizzata per ricoprire un luogo, non può essere abitata. È solo un campo di forze virtuali in continua tensione tra loro. È come un campo di battaglia prima dello scontro o come la terra posta tra due confini o come il terreno di un rave illegale prima della sua occupazione. È una forma di governo delle forze in attesa, forze che diventano sempre più corporali.

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2.4.2 Lo spazio: una commodity “Is this city a work or a product?” Henri Lefebvre Gli spazi pubblici (sociali) sono prodotti e riprodotti in connessione alle forze che li animano. Sinergie e mediazioni creano lo spazio come un insieme di diversi oggetti, naturali e sociali, inclusi i “network” o gli schemi che aiutano la costruzione dei percorsi e gli scambi. La produzione degli spazi, però, non può più considerare, come suggerisce Lefebvre, la natura come “raw material”, ma la costruzione dei segni. Lo spazio non è più prodotto in funzione di un bisogno materiale di efficienza. La produzione e la circolazione dei beni di consumo sono sempre più a-spaziali, o meglio il loro luogo di esistenza è il cyberspazio. Lo spazio dello scambio economico è ormai puramente formale. Lo spazio della città moderna, strutturato in base alle necessità produttive industriali, non esiste più ed il vuoto lasciato dal cambiamento non è ancora stato colmato. Anche se lo spazio urbano continua ad essere una parte significativa di come le persone costruiscono ed organizzano il senso della loro identità, è ormai visto come una commodity (un bene sociale standard ed indifferenziato) che può essere consumato solo in base ad una ipotetica funzionalità. Per la maggior parte degli individui, il processo di consumo è, ancora, completamente cognitivo. La città è una commodity indifferenziata e indifferenziabile; i cittadini sono i consumatori passivi descritti dalla prima teoria behaviorista: sono, solamente, “city user”. La “città globale” però non è un bene, ma un processo. La relazione biunivoca tra bene (spazio pubblico) e consumatore (individuo come cittadino) deve essere ripensata. Il Parkour è importante come fenomeno perché chi aderisce a questa subcultura agisce come un double agent e riscatta lo spazio dallo stato di mero merchandise (Cova, 2007). 2.4.3 La costruzione ed il consumo creativo dello spazio: il bodyscape “… ma che esplosiva affermazione che esista qualcosa a cui fare posto: il mio corpo.” Antonin Artaud Il corpo performativo dei traceur è un corpo che stabilisce delle relazioni di sintonia, dissonanza, agglutinazione con lo spazio che lo circonda, verso cui si dirige e da cui è attratto. Quando la tracciata inizia, la zona liminoide della separazione viene superata ed inizia la costruzione di un panorama corporeo che è creatore di significato. Il corpo è la chiave di accesso che favorisce lo scambio tra lo spazio e il bodyscape: diventa un rebus

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somatizzato che si espone in un particolare ambiente con un particolare pubblico. Il “bodyscape” (Canevacci, 2005) è il corpo panoramico che si muove tra gli interstizi della metropoli. Attraverso questi interstizi, il corpo riesce a pragmatizzare lo spazio in cui si muove. Tramite questo processo, il PK rende le zone di margine “location delle culture”. Le riscatta dalla loro condizione di “commodity” per elevarle a parte dell’identità visibile. Il bodyscape è una traccia: un susseguirsi di azioni. Instaura un rapporto dialettico tra corpo e location, il corpo si fa design e diventa localizzato e la location mostra eccessi zoomorfi. Il risultato del processo di consumo, i percorsi dei traceur, sono delle corpographie. Gli ostacoli urbanistici diventano degli attratori di cavità corporee e spaziali: si trasformano in un movimento fluido che si fa vedere e seduce l’osservatore. Lo spazio viene prodotto tramite il corpo e ne diventa un prolungamento culturale. 2.5 Il parkour: una comunità di consumatori 2.5.1 Subucultura: l’importanza dell’elemento pluridiscorsivo A volte mi chiedo che cosa dà ad una persona, che cosa ha dato a questa donna il diritto di porci di fronte a decisioni che non siamo all’altezza di prendere, ma che ci lacerano e ci lasciano sconfitti, falliti, colpevoli. Christa Wolf

Una subcultura, come il romanzo descritto da Bachtin (1975), è un fenomeno pluristilistico, pluridiscorsivo, plurivoco. È una pluridiscorsività sociale dove ogni elemento (individuo) è determinato e determina l’intero di cui fa parte e a lui direttamente subordinato. Ogni persona che aderisce ad una subcultura partecipa con la sua unità stilistica immediata alla definizione dello stile del tutto: ha su di sé l’accento del tutto e contribuisce a costruirne ed a svelarne il senso unitario globale. Partendo dalla stratificazione interna della cultura dominante, le subculture si pongono ai margini estremi e sviluppano nuovi legami e nuove correlazioni di senso all’interno del codice condiviso. Mettono in atto un movimento tra segni, significanti e senso che aiuta la rinascita di una discorsività sociale: la dialogazione dialettica. La cultura mainstream non conosce, o meglio non può riconoscere, una simile unione di lingue e di stili ed è priva di un metodo per poter affrontare questo dialogo sociale. È per questo motivo che, per poter ristabilire l’ordine turbato, le subculture vengono affrontate, non come elemento

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totale, ma nelle loro espressioni più controllabili. I rituali di gruppo di una subcultura vengono, di volta in volta, rifiutati, denunciati, canonizzati e trattati, in tempi diversi, o come una minaccia all’ordine pubblico o come delle innocue buffonate. I traceurs, ad esempio, sono stati etichettati dai media come possibili ladri, prima, e come bravissimi acrobati poi. La società affronta queste diversità problematiche utilizzando le forze centripete della lingua e del senso unitario. Rimane completamente sorda rispetto al confronto che le viene richiesto. Si attua un complesso gioco “di chiaro scuro”. Ogni cosa viene suddivisa e nominata, quindi circoscritta, per ridurre lo spaesamento, il disturbo, lo squilibrio derivanti dal rischio di un caos minaccioso. Vengono portate in luce le parti meno dannose e lasciate in ombra quelle che turbano e discutono lo status quo ad un livello più profondo ed essenziale. Inizia così un processo di banalizzazione, di simulazione: l’avvenimento puro e semplice è uno scambio comunicativo e non può essere consumato dalla maggioranza se non viene prima spezzettato e rielaborato tramite la catena di produzione dei mass media (Baudrillard, 1984). Le subculture avvertono il mondo normale di una sinistra presenza: la diversità. Rappresentano un rumore di fondo, esattamente il disturbo nel modello di comunicazione Jackobsoviano. Riempiono e fanno rivivere i vuoti di senso e le mancanze comunicative. Ad esempio, come avremo modo di notare in seguito, il parkour viene praticato principalmente nei luoghi abbandonati, vuoti, dimenticati. Rende visibili gli spot che la comunità ha eliminato dalla sua memoria e dalla sua quotidianità. Questo fenomeno porta a far emergere la parte nascosta che non si vuole mostrare. I traceur minano l’ordine sociale puntando a riportare alla luce i nostri “armadi della vergogna4”. Vanno ad intervenire, a disturbare la pratica del non voler vedere. Nella nostra contemporaneità è in atto una fortissima rottura fra spazio e conoscenza. Come per ogni dolorosa menomazione, il corpo della società reagisce con l’amputazione (in questo caso l’abbandono e l’esclusione) dell’organo responsabile della perdita. I luoghi che non servono più al fluire della merce vengono abbandonati, dimessi senza possibilità di ripristino5. Facendo un paragone cinematografico, le subculture sono considerate degli spauracchi ancora più mostruosi perché sono percepite come “figlie” della cultura mainstream, esattamente come i cattivi negli episodi della saga di Batman diretti da Tim Burton. Rappresentano l’alterità che nasce direttamente dai geni della parte istituzionalizzata e che deve amputata o asportata. Sono degli auto-esclusi che la società vede come irrecuperabili.

4

Gergo giornalistico usato in riferimento allo scandalo della strage di Sant’Anna. Vedi: http://www.librerie.it/libri/L-armadio-della-vergogna.html 5 Si fa riferimento alla teoria di Robert Castel riportata a p. 1.

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2.5.2 Interstizi culturali Testo teatrale (Primo ed unico atto) -

Che cosa è successo? (pausa)

-

Niente è successo! (Fine). Fabrizio Arcuri

Vedere gli interstizi della vita quotidiana significa porre attenzione alle situazioni di discontinuità, piuttosto che al compatto indistinto. Esattamente come avviene nel brano teatrale di Fabrizio Arcuri, la parte portatrice di significato è la pausa: spezza, ma allo stesso tempo unifica, il dialogo tra i due attori. Il termine interstizio, come suggerisce Giovanni Gasparini, risulta utile per fare luce su alcuni fenomeni specifici della vita quotidiana come il viaggio, gli spostamenti, l’attesa e la sorpresa (Gasparini, 2002). Potremmo definire le subculture che “consumano lo spazio pubblico” come “fenomeni interstiziali” per due ordini di ragioni: -

la prima concerne uno “stare fra” sia in termini spaziali sia “comunicazionali”;

-

la seconda allude al carattere di eccezione rispetto alla norma. L’interstizio come un margine: rende scarsamente visibile un fenomeno o una realtà sociale (sorpresa).

Leggere una subcultura come il Parkour in termini interstiziali serve ad evidenziarne le componenti eminentemente spaziali, temporali e relazionali. Componenti spaziali In termini di spazio si evidenziano due diverse considerazioni. La prima riguarda il carattere di stacco e cesura contenuto negli interstizi: basta pensare a termini come fessura, fenditura, spiraglio, anfratto, apertura, cavità, incavo, crepa, differenza, distanza, gap. La seconda aggiunge i sensi complementari, tutto ciò che colma la discontinuità: inserimento, inserzione, interposizione, inframmettenza, intercalazione. Vanno anche considerati altri due concetti, legati all’interstizio, che risultano significativi ma difficili da rendere in italiano: il francese entre-deux e l’inglese in-between. Entrambi questi termini esprimono l’interstizio in quanto condizione dell’essere in mezzo.

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Il Parkour può essere analizzato come un fenomeno interstiziale sotto due punti di vista: -

è una subcultura: indica, quindi, una separazione/rottura con la cultura mainstream. Procura una rottura nella lettura normale (che segue delle norme/regole di lettura ed interpretazione) dei codici;

-

l’atto performativo del tracciare trova il suo essere nel riempire/superare le fenditure, le aperture, le distanze.

Componenti temporali Questo secondo blocco fa esplicitamente riferimento alla componente temporale e a concetti come: intervallo, intermezzo, interludio, interruzione, stacco, intermittenza. Il Parkour è l’arte dello spostamento. Tutti gli ostacoli, che si trovano lungo il cammino, devono essere superati il più velocemente e il più fluidamente possibile. Il Parkour gioca con le interruzioni e il tempo. Componenti comunicative Il riferimento è al concetto di “limen” e di “continuum”. Ci si avvicina al concetto di limite, relativamente netto, che si pone fra due esperienze o realtà ritenute diverse, delimitabili tra loro. Il corpo dei traceur diventa il tre: il terzo elemento del rapporto binario di contrasto che si interpone (entre-deux o in-between) tra due realtà ben definite o codificate e ne riformula il senso. Gasparini osserva come i valori, a cui fanno riferimento i fenomeni interstiziali della vita quotidiana, siano un segnale per l’emergere di nuovi orientamenti nel sociale: valori condivisi dapprima dalle minoranze ma destinati ad ampliare notevolmente il proprio consenso o almeno passibili di una rivoluzione di questo genere. In questi ultimi anni, in effetti, certe conseguenze impreviste dell’azione sociale (ma anche alcune variabili extrasociali, come l’avvento di internet) hanno dilatato la visibilità di fenomeni considerati interstiziali o marginali nei nostri sistemi: tra questi (1) il silenzio sulla questione da parte media tradizionali (la comunicazione è sotterranea e non immediatamente visibile tout court), (2) la sorpresa e (3) la spettacolarizzazione dell’atto performativo. (1) L’ipertrofia e la ridondanza dei flussi di comunicazione hanno amplificato la capacità di persuasione e di presa dei metodi di diffusione su cui si basano i fenomeni underground come il passaparola, le community virtuali e i magazine indipendenti. Il Parkour, infatti, ha usato

le

community

web

2.0

come

mezzo

di diffusione

(ad

esempio

il

sito

www.youtube.com). (2) La sorpresa, originariamente, sembrava appartenere esclusivamente

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all’ordine dell’eccezionalità, della rarità, della scarsa frequenza; in realtà, ora, si sta assistendo ad una serie di forme di sorpresa che non sono più solo individuali, ma anche collettive. Così lo spazio pubblico diventa il proscenio ideale per l’atto performativo. Più la sorpresa viene percepita in maniera negativa, come un pericolo, minore sarà la sua marginalità. Assumerà una maggiore rilevanza ed importanza per la società. (3) Per un altro verso, la sorpresa, a motivo del suo stesso diffondersi, può auto-annullarsi: essa, infatti, opera nel senso di far crescere nei sistemi mainstream il grado di socializzazione e di assuefazione al suo manifestarsi. A tal proposito si può riprendere la dialettica sorpresa/attesa che P. Valéry, nel 1990, utilizza in termini essenzialmente psicologici: nel sociale, la sorpresa tende ad essere sostituita da un’attesa-aspettativa (expectation) volta a presidiare il fenomeno considerato imprevisto precedentemente. I fenomeni interstiziali inducono anche a riflettere su un’altra locuzione apodittica: centro-periferia. Gli interstizi, come anche le subculture, si collocano per definizione ai margini, in aree poco esplorate o considerate poco rilevanti dalla riflessione sul sociale. Attuando la sorpresa e la spettacolarizzazione, rimettono in discussione il rapporto fra centro e periferia e sollecitano a riflettere su ciò che nei sistemi istituzionalizzati è definito centrale e merita di esserlo, vale a dire sulle ragioni, le modalità e la durata del tempo di tale centralità. L’emergere e il dilagare di certi fenomeni interstiziali, come le subculture spettacolari, può mettere in forse o ridurre la centralità di alcune aree o segmenti dell’azione sociale. 2.5.3 Il consumo spettacolare Per convenzione si chiama “mostro” ogni associazione di elementi dissonanti (…). Io chiamo “mostro” ogni originale, inesauribile bellezza. Alfred Jarry Le sottoculture rappresentano un “rumore” (inteso in opposizione a suono): interferiscono nella normale successione che porta dagli eventi e dai fenomeni reali alla loro rappresentazione nei media. Il potere di significazione della sottocultura spettacolare non è solo una metafora di un’anarchia potenziale sullo sfondo, ma anche un effettivo meccanismo di disordine semantico: un blocco temporaneo del sistema di rappresentazione. Qualsiasi elisione, troncamento o convergenza delle categorie linguistiche ed ideologiche predominanti può avere profondi effetti di disorientamento. Le deviazioni mettono in risalto la natura arbitraria dei codici che sono sottesi e danno forma al discorso. Infrangendo le aspettative tramite la sorpresa, le nuove emergenze di senso, indipendentemente dal fatto

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che siano drammatiche o insignificanti, costituiscono una sfida al mondo normativo, alla lingua unitaria. Problematizzano non solo la definizione del mondo ma anche il “come dovrebbe essere”. Questi nuovi sviluppi vanno ad intaccare i tabù: i limiti dell’espressione universale che, sottintesi, garantiscono la trasparenza del significato. Le violazioni dei codici autorizzati, tramite cui il mondo sociale è organizzato e vissuto, hanno un grandissimo potere di provocazione e di disturbo. Le subculture spettacolari esprimono contenuti proibiti (contrari alla sacralità condivisa dalla società) in forme proibite. Il Parkour mostra e ricongiunge le zone “off-limits” a quelle protette dei cittadini di prima fila. Superando con facilità le barriere architettoniche che vengono erette a protezione della proprietà, annulla il senso di sicurezza ad essi collegato. I traceur, inoltre, sfidano i limiti stabiliti per i movimenti del corpo all’interno dello spazio urbano: non rispettano i percorsi testati, autorizzati e sicuri che vengono costruiti ed imposti per gli spostamenti urbani, ma ne cercano e ne creano continuamente di nuovi. Il rischio e la sfida sono parte integrante dell’azione perfomartiva. Costituiscono articolazioni profane e vengono, spesso e in maniera definitiva, stigmatizzate come innaturali. La rottura delle regole viene confusa con “l’assenza di regole”. La prima impressione che si ha guardando il video di una tracciata è l’essere sopraffatti dalla spettacolarità delle acrobazie messe in atto e, come ha reagito mia madre, si fa subito riferimento all’incoscienza, alla pazzia ed alla mancanza di reali motivazioni. In realtà, il Parkour presuppone un’autoimposizione di regole di comportamento ferree. Poiché l’avvento di una subcultura implica l’emergere di una frattura degli schemi di senso, questo viene sempre accompagnato da un’ondata di isterismo da parte della stampa. Il clamore che viene suscitato ha sempre un’ambivalenza: oscilla tra il timore e la fascinazione, fra l’offesa ed il divertimento. In genere sono le connotazioni stilistiche o performative ad attirare per prime l’attenzione. In seguito, alle suddette connotazioni vengono affiancate le percezioni di pericolo o eventuali comportamenti ed atti antisociali. Indipendentemente dalla modalità con cui prende il via il fenomeno, alla fine con la propagazione si viene a creare una simultanea riduzione di tensione riguardo il fenomeno subculturale. Nel momento in cui il fenomeno e le sue manifestazioni diventano vendibili, come afferma Dick Hebdige, il suo lessico inizia a divenire comprensibile perde la sua carica eversiva.

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Viene normalizzato e assimilato nella cultura dominante. Inizia un processo continuo di risanamento dell’ordine spezzato, processo che si struttura in due forme caratteristiche: -

La forma di merce: la trasformazione dei segni sottoculturali in oggetti di produzione di massa;

-

La forma ideologica: l’etichettamento e la ridefinizione del comportamento deviante.

Il rapporto tra la subcultura spettacolare e le varie industrie che la servono e la sfruttano è notoriamente ambiguo. Una sottocultura, di fatto, riguarda prima e soprattutto il consumo. Opera nella sfera del tempo libero. Comunica attraverso beni, anche se i significati attribuiti agli oggetti sono volutamente distorti e ribaltati. È perciò difficile mantenere una distinzione assoluta fra sfruttamento commerciale da una parte e creatività originalità dall’altra, anche se queste categorie vengono generalmente contrapposte nei valori della subcultura. Come vedremo più avanti, per il Parkour, il processo di mercificazione è più complesso e soprattutto si sviluppa in due vie distinte: il consumo effettuato dalla subcultura dello spazio e la mercificazione dell’atto performativo. 2.5.4 Le consumer tribe Nella letteratura di marketing le subculture spettacolari di consumo vengono definite come consumer tribe. Le tribù di consumatori utilizzano beni che sono, già a monte, carichi di uno specifico insieme di significati, ma non si limitano a consumare qualcosa senza modificarlo. Instaurano con il bene un rapporto intenso e dialogante: cambiano il prodotto ed allo stesso tempo si fanno cambiare. I membri di una consumer tribe, esattamente come i membri di una subcultura, creano, hanno un atteggiamento attivo e poetico verso le categorie ed i principi culturali collegati al sistema di segni collegati a ciò che consumano. Sono persone che vivono in una situazione sociale e storica particolare e si collocano in una posizione di co-dipendenza con la commercial culture. Chi fa parte di una tribù considera il suo processo di consumo importante per la definizione della sua identità individuale e sociale. Le consumer tribe sono: attivatori, duoble agent, plunderer ed entrepreneur (Cova, Kozinets e Shankar, 2007).

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Activator Questo tipo di consumatore è consapevole del gioco sistemico e consapevolmente manipolano e si fanno manipolare. Può allo stesso tempo essere iper-commercializzato e de-commercializzato (Lipovetsky, 2003). Contengono al loro interno rituali di rifiuto ed opposizione che, più che ideologici, sono giocosi. Sono meno impigliati nelle ideologie e più alla ricerca di una possibilità di liberare la loro identità. Sono giocatori che attivano e rendono attrattivo (seducente) il

processo del commercial meaning e la produzione-consumo

dell’identità (Otnes e Maclaran, 2007). Double agent Le consumer tribe incarnano un paradosso. Si ri-appropriano dei prodotti e dei servizi del consumption system ma non associano a questo atto una volontà oppositiva. Come accade nei flash mobs (Rheingold, 2003) o nelle attività di “Reclaim the street”, il processo di riappropriazione fa trascendere il prodotto da mero merchandise o da mera cosa. Plunderer I consumatori agiscono come pirati, ma per raggiungere un fine ludico. Sono Homini ludens, come li definisce Huizinga (1951). Disobbediscono, ma non si ribellano. Mancano del bisogno di utopia, la loro è solamente una necessità di breaktaking, movin through. Non vogliono combattere il mercato, ci girano solo intorno. Il confronto avviene per sé, non come attivismo. L’esperienza non è rivoluzionaria, ma estetica. Entrepreneur Il loro modo di operare rende le tribù dei produttori di senso tanto quanto i marketer. Per questo i marketer devono porvi maggiore attenzione: devono imparare ad interagire e collaborare con queste nuove realtà. 2.5.5 La ricerca dell’autenticità Generalmente con la parola autenticità si indica la condizione dell’essere genuino, meritevole di fiducia, vero. Il concetto di autenticità, però, muta in base al tipo di contesto culturale in cui viene utilizzato. Kates (2004) definisce l’autenticità, all’interno delle consumer tribe, come la legittimazione morale e cognitiva. In riferimento all’uso di un brand, parla dell’autenticità morale come l’attiva affermazione da parte dei consumatori che quel prodotto realmente genera dei benefici per la comunità in questione, mentre la legittimità cognitiva riguarda la relazione di corrispondenza con i significati assiomatici collegati al prodotto. Traslando lo studio di Kates al PK, doppiamo traslare la definizione dal brand al video della performance (intesa come tracciata, il che implica una commistione tra la tipologia di spazio

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pubblico dove avviene e lo stile del traceur). Una tracciata è considerata autentica (moralmente) quando chi la esegue sceglie dei luoghi adatti (se si fanno delle evoluzioni come un salto mortale lungo una superficie senza ostacoli viene etichettato come freerunning e quindi come non autentica) e rispetta il principio della fluidità. Non deve fare mostra di sé in maniera rischiosa o incosciente e soprattutto non deve mettere a rischio l’immagine della comunità usando l’abilità di traceur per scopi non eticamente corretti (come ad esempio l’esecuzione di un furto o il danneggiamento di una proprietà). Il processo di consumo è autentico (cognitivamente) quando è effettuato, solo ed esclusivamente, per mettersi alla prova ed esplorare nuovi spot. I video delle tracciate funzionano, per le varie crew, come dei brand. Servono a trasmettere un’immagine e costruire il sistema di lenti culturali della comunità. Navigando su youtube, ho potuto notare come i tre frame, che Kates indica relativamente alla legittimità del brand, possano essere adottati per i video delle tracciate: • L’ “insider interpretation”: riguarda il processo di doppia codificazione, cioè il rapporto tra quello che il gruppo autore del video voleva trasmette e come lo stesso video viene letto all’interno delle diverse crew; • Rewarding legitimate brand: quando una crew viene giudicata in modo positivo, la sua popolarità all’interno della comunità cresce; • Punishing illegitimate brand: quando, invece, l’operato di consumo viola i principi di non competizione, di rispetto, di impegno e di costanza, viene messa da parte, boicottata. Per esempio, questo è il caso della crew di Roma che gestisce la community di Parkour.it. In Italia i gruppi “storici”, o meglio i primi ad essersi formati e a cui tutti fanno riferimento, sono tre: la crew di Prato, la crew di Trani e quella di Roma. Le crew di Prato e di Roma hanno fondato il sito di Parkour.it, per permettere ai vari gruppi, ed a chiunque avesse voglia saperne di più, di mettersi e/o mantenersi in contatto. Quando il PK ha iniziato a diffondersi, ad avere una maggiore visibilità, una parte della crew romana ha preso il controllo del sito. Ha fondato un’associazione, prima, e una s.r.l. dopo, per gestire gli incontri, i corsi e le esibizioni. La gestione che è stata fatta andava contro i principi del PK (esibizioni organizzate in luoghi non adatti, corsi eccessivamente costosi, competizione tra i membri per la visibilità). Questo ha portato ad avere ora un processo di messa al bando: le altre crew si stanno organizzando tra loro per costruire, a livello nazionale, una rete indipendente da Parkour.it.

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3. IL PROCESSO DI CONSUMO DEI TRACEUR Il parkour è un fenomeno complesso perché si pone a metà strada tra tutte queste definizioni. Prima di delineare il fenomeno, occorre porre una distinzione teorica. Andremo a concentrare l’analisi del processo di consumo attorno a due tematiche fondamentali: •

Come il fenomeno del PK si pone nei confronti della società e dei media;

Come avviene la costruzione dell’identità per il singolo e per la crew, al suo interno.

3.1 Metodologia di analisi La ricerca è durata circa nove mesi, durante i quali ho analizzato il movimento del PK in Italia. Il fine dell’analisi è riuscire a mostrare il nuovo trend di consumo dello spazio urbano ed, in particolare, approfondire le conoscenze riguardo i valori e le priorità di una delle subculture di consumo emergenti (il Parkour) per analizzare i nuovi modi della costruzione della relazione tra identità e consumo, le possibili implicazioni che questa riscrittura semiotica può avere sul consumo dei brand e l’individuazione di nuove linee guida per il marketing territoriale basate sui processi di consumo delle tribù. L’obiettivo di questo studio è quello di approfondire la conoscenza di un fenomeno di mercato: cercare di coglierne la complessità e la ricchezza di spunti. Dato l’oggetto dello studio, il metodo etnografico è risultato essere il migliore; in quanto aiuta a comprendere “qualunque fenomeno di mercato in cui possano essere rintracciati processi di significazione all’interno dei codici culturali di un gruppo sociale. (…) L’applicazione di tale metodo nelle ricerche di marketing deriva dalla constatazione che le merci hanno un significato che va oltre la loro funzionalità immediata e sono utilizzate nei processi di produzione di senso e di comunicazione sia dagli individui sia dai gruppi sociali” (Molteni e Troilo, 2003, p. 120). Questo metodo prevede la combinazione di diverse tecniche come: l’intervista in profondità, l’osservazione partecipante e l’analisi documentaria (content analisys). Le tracce della cultura di un individuo o di un gruppo si riscontrano anche nel contesto in cui questi vivono e negli eventuali documenti prodotti ed utilizzati. Ho utilizzato due metodi di analisi: (1) l’analisi etnografica e (2) l’analisi semiotica (1) Non avendo contatti diretti, antecedenti l’inizio dello studio, con il fenomeno, l’osservazione partecipata era indispensabile. La partecipazione diretta alle loro attività di consumo mi ha permesso di vestire il punto di vista dei traceur. Il poter essere presente al processo di consumo, durante lo svolgimento nel suo “contesto naturale”, mi ha permesso di riuscire a vivere in profondità il PK, evitando il rischio di inglobare il fenomeno in preconcetti

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stabiliti a priori. Permaneva, comunque, il rischio di dare un’interpretazione errata del fenomeno, dovuta al mio mondo valoriale di partenza: ho fatto parte di alcuni gruppi di street art (ho quindi un background particolare per quanto riguarda il consumo di spazio pubblico). Ho cercato di evitare questo problema instaurando un rapporto confidenziale con le persone che intervistavo e con gli informant, questo mi ha permesso di costruire un continuo confronto che andasse oltre il tempo dell’intervista. Il rapporto, che ho costruito con alcune crew mi ha permesso di eseguire osservazioni prolungate e ripetute (a volte si svolgevano per più giorni, durante i quali ho vissuto a stretto contatto con loro tutti i momenti che costituiscono una giornata “tipo” di allenamento). Le osservazioni sono state svolte in diversi contesti, più precisamente sono andata nella città delle crew intervistate: Roma, Torino, Milano e Trani. (2) L’analisi semiotica è stata svolta su materiali sia primari (raccolti ad hoc) sia secondari. Questo tipo di analisi mi ha consentito di esplicitare alcune simbologie condivise dai vari traceur in modo da riuscire a permeare un linguaggio, come quello performativo, che non è di immediata comprensione. Dati secondari I dati secondari sono stati impiegati per: •

Sviluppare una prima conoscenza a livello globale del fenomeno, in quanto non si tratta di una subcultura localmente circoscritta;

analizzare lo sviluppo del rapporto tra i media e i traceur;

comprendere meglio il ruolo del “video”.

I dati secondari che sono stati utilizzati sono di diversa natura ed in particolare riguardano: •

articoli, interviste e reportage sul PK (circa 20 articoli, 54 pagine in totale, e due documentari);

film (i 2 film di Besson con protagonisti i membri della crew Yamakasi: Yamakasi e District 13)

filmati su youtube postati dalle varie crew (circa 100);

siti internet, blog e myspace delle crew e dei traceur italiani. Dati primari

14 interviste in profondità semi-strutturate (circa 189 pagine trascritte; figura 13) ai membri più “anziani” delle crew: mi interessava intervistare i primi che in Italia hanno iniziato a tracciare. Poiché il PK ha bisogno di una lunga preparazione mentale, fisica ed atletica, ho reputato più adatto intervistare chi lo praticava da circa due anni (la data in cui ha iniziato a diffondersi in Italia), perché ha sviluppato una serie di

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capacità che gli consentono una visione più completa delle varie possibilità di movimento. Ho, quindi, individuato (tramite i forum di discussione on-line) i soggetti che, all’interno del fenomeno, fossero ritenuti “critici” in quanto influenzatori delle dinamiche. I traceur intervistati sono stati contattati tramite il metodo “a catena” (ho utilizzato il passaparola tra loro). L’approccio che ho utilizzato è stato molto informale. Ho cercato di avere almeno un incontro con ognuno prima dell’intervista: volevo creare uno strato di complicità e fiducia. Durante il primo incontro (senza microfono e registratore) intavolavo una chiacchierata molto generica per stabilire un contatto. Quando percepivo di avere raggiunto uno stato di sufficiente disponibilità nell’intervistato, gli chiedevo un secondo (o terzo) incontro dove avrei condotto l’intervista vera e propria; •

10 osservazioni dirette di circa 2-3 ore l’una, di cui 6 durante gli allenamenti (2 in palestra e 4 all’aperto) e 4 mini tracciate. Mi è servito per osservare da vicino e vivere le dinamiche all’interno del gruppo durante il processo di consumo. Le esperienze “sul campo” sono state trascritte in un diario;

1 approccio emico: ho raggiunto la crew di Roma durante un allenamento in palestra ed ho provato alcune tecniche come la “king kong”, la “cat walk” e la “monkey” ad un livello base;

fotografie (circa 80) e video auto-registrati dagli intervistati (circa 50 video per 378 minuti totali). NICKNAME

ETA’

CITTA’

PROFESSIONE

PAGINE INTERVISTA

ANNI DI PRATICA DEL PK

Nermeseck

20

Torino

Studente

12

2 e 1/2

Vanja

24

Torino

Studente

14

2

Hamilton

21

Torino

Studente

10

1 e 1/2

Aku

24

Torino

Impiegato

11

1

Axel

25

Trani

Impiegato

15

3

Marck

23

Trani

Studente

13

2

Vigroux

24

Milano

Studente

15

1 e 1/2

Cisco

23

Milano

Studente

17

2

Gise

26

Milano

Impiegato

13

3

Gesù

25

Roma

Studente

9

3 e 1/2

Iron

27

Roma

Impiegato

18

2

Giaco

25

Roma

Studente

13

2

Glider

22

Roma

Studente

15

2

Alex

23

Roma

Studente

14

2

Figura 13 Dati relativi alle interviste

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3.2

Analisi del fenomeno

3.2.1 Gli elementi del consumo: il corpo e la cttà Come è stato anticipato, il processo di consumo dei traceur avviene attraverso la fusione tra il corpo ed il luogo. Il “consumption pattern” ruota completamente attorno a questi due elementi e segue il percorso hegeliano di tesi, antitesi e sintesi. Prima della tracciata il corpo ed i suoi bisogni di movimento sono la tesi che si scontra con le barriere architettoniche (antitesi), fino ad evolversi, tramite la tracciata, ed a vederle come uno spazio performativo ed arrivare alla costruzione delle corpographie (sintesi). Nermeseck riesce a descrivere molto bene la commistione tra corpo e location che è necessaria alla costruzione di una tracciata: “(…) una volta sono andato a Vinovo, dove c’era questa caspita di fabbrica abbandonata. Io non so cosa fosse, probabilmente era una fabbrica meccanica e dentro c’erano questi muri e le attrezzature… sai tipo quando vai dal meccanico, i macchinari che tengono sollevata l’auto? Bellissime.. potevi fare i salti da una parte e dall’altra.Poi sul tetto, bellissimo.. era fatto di un materiale.. che non so, dove avevi un grip molto buono. Poi erano tutti così e salivano, quindi tu dovevi camminare a gatto, veloce… ma guarda spettacolare. Quando invece dovevi tornare indietro che avevi la testa a terra dovevi proprio camminare tipo ragno, dovevi mantenerti con le spalle e con le mani. Bellissimo, c’è quelle cose lì… veramente… sono… sono i miei sogni, i miei sogni”. La preparazione ed il consumo sono fenomeni rituali per i traceur e devono rispettare rigorosamente una serie di principi e valori, pena l’estromissione dal gruppo. Prima di affrontare i rituali, bisogna comprendere a pieno i significati ed i valori che chi pratica il Parkour collega ai due elementi base: il corpo e la città. Il corpo Il corpo è l’elemento fondante della pratica ed è affrontato con estrema cautela ed accortezza dagli intervistati. È un concetto complesso perché è oggetto di una lettura plurima: è lo strumento per attuare il consumo, è considerato un oggetto di consumo come lo spazio e, a livello più astratto, è il limite del consumo. La cura del corpo non è considerata dai traceur un valore assoluto: non è esaltato in quanto tale, ma solamente perché indispensabile alla messa in atto del consumo. Come dice Gise:

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“Pongo molta attenzione al benessere del mio corpo: io non fumo e non bevo… ma non per un’ideologia particolare, solo perché so che mi creerebbe dei problemi con l’allenamento”. La consapevolezza del corpo, in tutte e tre le letture, è la “condicio sine qua non” per essere un valido traceur. Il triplo livello di lettura è esposto molto chiaramente dalle parole di Vanja: “Il bello del pk è la consapevolezza e la coscienza del corpo e dello spazio. Non è solo fare qualcosa di pericoloso, è una filosofia che va ad indagare le possibilità umane del corpo… anche riguardo al movimento. Il parkour ti da una maggiore consapevolezza rispetto al tuo corpo ed all’ambiente che ti circonda, che, quindi, diventano un tutt’uno. Devi avere consapevolezza del tuo corpo prima di tutto”. Il corpo diventa un “corpo performativo” che coincide e si fonde con lo spazio (bobyscape). È ciò che permette di superare, e quindi annullare, la distinzione tra corpo e città fino a far diventare questa ultima un elemento “interno” necessario per l’identificazione del traceur. Il corpo ha esattamente la funzione del “bastone del cieco descritto” da Bateson. È la chiave di accesso per ri-leggere e re-interpretare i codici assegnati allo spazio. La città “Il parkour si nutre della città. Ha bisogno di spazi urbani e noi viviamo in una città. Non hai bisogno di spazio esterno”. Questa espressione di Hamilton è emblematica: rappresenta perfettamente la tipologia di rapporto che i traceur creano con lo spazio pubblico. Si sentono completamente avvolti e coinvolti dalla città, questa non è più solamente uno “scenario” ma diviene una parte imprescindibile e fondamentale del loro modo di essere, tanto da divenire uno spazio “interno”. La città diviene una parte dell’essere e quindi la visione della città cambia completamente, non è più solamente un luogo alienante dove si deve passare del tempo, ma diventa un campo di espressione aperto dove poter giocare: Aku: “Torino mi piace molto di più ora che faccio parkour, rispetto a prima che andavo solamente avanti e indietro. Sei nella città e stai giocando con la città…. Con il parkour vedo Torino come una città più aperta”. All’interno della città, ci sono delle aree privilegiate dai traceur rispetto ad altre. Come ha detto Giaco: “Il parkour è nel suo ambiente naturale quando è in

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Figura 14 Foto del quartiere Eur.


periferia”. La periferia, a cui fanno riferimento, è un campo lasciato vuoto anche dall’attività economica come una vecchia fabbrica. Sono spot che non vogliono essere occupati e che facilitano la costruzione di narrazioni creative (Ilardi, 2007). Gli spot vuoti sono essenziali perché permettono di scatenare con la narrazione le forze latenti: permettono di trasformarlo da un luogo statico in uno dinamico. Per esempio la crew romana, di cui Giaco fa parte, si allena principalmente all’Eur (Figura 14). L’Eur è caratterizzato da una tipologia di architettura nata per rappresentare “l’istituzione” e non la socialità urbana: si sviluppa attraverso volumi compatti e spazi geometrici e regolari. L’architettura d’epoca fascista esalta l’ordine e il controllo, sono spazi che non facilitano il vissuto sociale quotidiano, sospendono l’azione portandosi in una condizione di astrazione da tempo e spazio. La parte adibita alla socialità, come i parchi, sono strutturati in modo rigido (con muretti e sculture che delineano gli spazi in maniera secca in base alle funzioni loro assegnate). È un luogo che non viene “vissuto”, è come una pagina bianca. Il centro della città è, preferibilmente, evitato durante le tracciate per rispetto verso il senso di storicità che porta con se: è visto come espressione del senso storico della città, racconta una storia e ne è, allo stesso tempo, testimonianza: Mark: “Non è bello allenarsi in centro, se no le rovini. Abbiamo un atteggiamento da scout, vediamo il posto, lo puliamo, cerchiamo di non rovinarlo perché sai che lo utilizzerai il giorno dopo. Poi le persone ti vedono come un estraneo a casa loro e non puoi permetterti di rovinarlo. C’è moltissimo rispetto per ciò che ci circonda”. Il consumo di un bene pubblico è complesso, specie nella personalizzazione, la quale non dovrebbe essere invasiva o permanente. Il consumo da parte di una persona deve considerare il (possibile) consumo successivo da parte di altri. È interessante che Mark estenda il concetto di “casa” anche alla strada. Il Parkour si può considerare un “passo avanti” rispetto agli altri fenomeni, all’interno del movimento della Street art6, perché pone un’attenzione maggiore verso la possibilità di lasciare, anche agli altri consumatori, la possibilità di utilizzare il bene in maniera autonoma e senza alcun tipo di condizionamenti (anche se questi sono effettuati all’interno del concetto, positivo, di “dono”). Riconosce la proprietà collettiva degli spazi e se ne appropria solamente in modo non permanente. La temporaneità del loro “possesso” e della loro “personalizzazione”, infatti, non limita o intacca un’ulteriore possibile costruzione di senso da parte di terzi. Non vogliono imporre la loro presenza, come avviene nei writer, non chiamano l’attenzione “su di loro”, ma per trasmette 6

Intendiamo come “street art” tutte le forme performative ed artistiche che utilizzano lo spazio urbano come proscenio per la loro messa in atto.

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un nuovo modo di pensare a chi li osserva. La scelta delle location è abbastanza rigorosa anche secondo altri punti di vista: devono sottostare a delle specifiche tecniche di sicurezza; devono essere strutturate in modo che la tracciata non rovini ciò che viene utilizzato e devono essere caratterizzate da “ostacoli”. Axel: “Poi gli spot devono sottostare a delle norme di sicurezza e di mantenimento. Non fai una tracciata per distruggere, anzi”. La creatività, fondamentale nella costruzione della tracciata, viene fuori quando il suo percorso evade da quelli che sono i limiti spaziali decisi a livello sociale: Vanja:” In montagna per esempio i percorsi sono già definiti dalle asperità, in città è più difficile sbloccarsi perché i percorsi sono solo definiti a livello sociale. Non hai ostacoli che riconosci come tali”. La rottura dei percorsi socialmente definiti sullo spazio non implica la rottura di tutti i valori sociali. Il rispetto dei valori, reputati “cardine della comunità”, è considerato, dai traceur, indispensabile per permette una corretta ri-lettura dei codici da parte del “pubblico” (il fine ultimo del Parkour è la dimostrazione pratica di una diversa coscienza di società e di condivisione). Il PK è una subcultura di consumo spettacolare che presta molta attenzione alle componenti spaziali, temporali e comunicative. I traceur giocano con i significati e li sconvolgono; vogliono attirare l’attenzione del pubblico attraverso il meccanismo della sorpresa e del consumo innaturale, ma l’intento critico, di portare alla riflessione chi li osserva, li porta ad avere un atteggiamento costruttivo e non distruttivo. La frattura, che compiono sugli schemi di senso, non è caratterizzata da un’assenza di regole. La messa in discussione dei canoni vigenti è funzionale alla proposta di nuovi stili sostenibili di comunità. Come vedremo nell’analisi sul processo di consumo, poiché la condivisione sociale è fondamentale, la tracciata “deve” rispettare il concetto di comunità. Non è un processo esclusivamente autoreferenziale. I traceur partono dalla loro individualità, seguendo regole molto ferree, per dimostrare che è possibile una ridiscussione dello stato di fatto senza escludere o distruggere il concetto di comunità. Quindi il loro processo di consumo equilibra molto bene, a livello complessivo, le “componenti” individuali e quelle sociali. Come vedremo nel prossimo paragrafo, il peso relativo di queste “componenti” varia in base alla fase del processo di consumo.

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3.2.2 Il processo di consumo Dalle interviste sono emersi tre poli principali, attorno ai quali ruota l’interno sistema dei valori: (1) la sfida individuale (la costruzione dell’identità del singolo), (2) il forte senso di appartenenza ad un gruppo (la costruzione dell’identità di gruppo) e (3) il rapporto con il resto della società (il pubblico ed i media). A queste macrocategorie, sono collegate diverse parole chiave che possono essere raggruppate in questo modo: • La costruzione dell’identità del singolo: il limite, la costanza, l’impegno, il corpo, il coraggio, il talento, il sacrificio, la forza, l’onestà, la determinazione, la lettura del contesto, la creatività; • La costruzione dell’identità del gruppo: l’amicizia, il divertimento, l’aiuto, il rispetto, la solidarietà, la positività, l’empatia, il confronto con le altre crew, la non competizione, l’essere propositivi, l’umiltà; • Il rapporto con la società: il rispetto dello spazio pubblico, la necessità di non rovinare i beni che si utilizzano, la ricerca di comunicazione con gli “spettatori”, le autorità e i media, il rifiuto di atteggiamenti non etici. L’ordine, in cui sono state esposte le categorie, è impostato sulla successione temporale del processo di consumo: •

La costruzione della tracciata fonda le sue basi sulla preparazione e l’esecuzione individuale. Il traceur deve allenarsi costantemente (sia a livello mentale sia fisico) e confrontarsi con i suoi limiti. Inoltre nella fase di consumo, l’applicazione della tecnica al contesto (gli ostacoli architettonici) è eseguita individualmente: è il traceur a compiere fisicamente l’evoluzione (rituali di preparazione e di possesso);

La tracciata non è effettuata in solitaria, ma all’interno di un gruppo (crew). Il rituale di scambio durante il consumo è fondamentale: aiuta a migliorare il livello qualitativo delle esecuzioni, crea sicurezza e aiuta a superare i limiti, aumenta il divertimento, rafforza la rete sociale. Le tracciate solitamente sono riprese e i video aiutano la relazione con le altre crew. I video dimostrano il livello di adesione ai principi della singola crew, sono la dimostrazione della sua autenticità;

Sempre nel rituale di scambio, però in un momento successivo al consumo vero e proprio, entrano anche altri attori come: il pubblico (le persone che incontrano durante l’allenamento o la tracciata) ed i media (con questa parola si

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intende tutto il sistema di significazione e codificazione che utilizza i canali mainstream della comunicazione di massa: giornali, tv, radio e cinema). 3.2.3 Costruzione individuale dell’identità “Nella ricerca di una propria spazialità, a volte si prendono differenti strade, una può essere il parkour, un'altra la poesia...” Vanja Il ruolo del traceur, come è stato anticipato precedentemente, non è totalizzante: non rende difficoltoso per il consumatore l’assunzione di altri ruolo, anzi. Ma è uno state of being pervasivo perché modifica le lenti culturali di lettura. Nella pagina su Myspace di Vanja capeggia una frase significativa: “Il Parkour non cambia il mondo, ma il modo in cui lo guardi”. Questo racconto di Nermeseck ci dimostra come la filosofia del Parkour, una volta assimilata non venga messa da parte anche durante i momenti in cui non si pratica il consumo: “Io, sinceramente, di solito non mi ricordo i sogni. Però hai presente quando sogni che sei un po’ sveglio e un po’ no? Ecco tutti quei sogni lì sono sul parkour. Boh, sarò andato… secondo me molto probabile. Ormai la testa… Non so, c’è sempre qualcosa che.. tipo l’altra volta ho sognato una traccia.. poi mi stavo allenando con altri ragazzi e ho detto: guardate si può fare questa cosa e io me la ero proprio viualizzata… mamma mia veramente… sto andando fuori di testa. (…) Sono quasi drogato. Mi fa sentire libero… non so. (…) Diciamo che non riesco ad avere una vera vita, ora che sto a Torino… abitando da solo devi anche gestire la casa, non c’è la mamma che ti prepara da mangiare… Il parkour è il mio modo di liberarmi, di non pensare a niente.” Il ruolo ludico è fondamentale nel consumo; i traceur vogliono sentirsi liberi. Il PK è visto come una fuga dalla routine quotidiana. Tracciare li aiuta a trovare una via di fuga dai ruoli che devono assumere all’interno della società, è un modo che gli permette di sperimentare nuovi spazi e di annullare le limitazioni con cui devono confrontarsi, ma allo stesso tempo fa acquisire una serie di valori “genitoriali” che permangono anche quando si assume un ruolo diverso da quello del traceur.

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Rituale di preparazione La preparazione della tracciata è fondamentale e segue un rituale preciso. I traceur devono mantenere il corpo costantemente allenato: sono consapevoli di ciò che il loro consumo (la tracciata) comporta (infortuni, danni alle “attrezzature, ecc.) e questo li spinge verso l’assunzione di un ruolo “proattivo”. Se l’allenamento e l’esercizio preparatorio non sono svolti responsabilmente la qualità dello stesso consumo ne risente. I principi che gli intervistati collegano con questa fase sono: la costanza, l’impegno, il sacrificio, la determinazione, il coraggio (la paura) e la conoscenza dei limiti. Glider: “ Il Parkour è una cosa seria, non ci si deve fermare allo spettacolo iniziale. (…) È palese la necessità di un allenamento costante… ti salva le ginocchia! Non siamo come dei videogame: il limite non lo superi con capacità in più, scopri semplicemente come sfruttare ciò che già hai”. La costanza, l’impegno e la determinazione sono le basi essenziali per sviluppare le capacità fisiche necessarie. L’allenamento, come per ogni sport, non può essere preso con leggerezza. Nermeseck: “Sì. Dipende come vivi il parkour. Se hai una passione.. sì. Per dirti… io all’inizio mi annoiavo a fare potenziamento… però non puoi arrivare a fare certe cose se non fai potenziamento. Aumentando il tuo livello fisico, aumenti anche ciò che riesci a fare con il parkour. Infatti, sai quante volte mi alzo la mattina prestissimo per fare parkour? Specie quando torno giù al mare. Sei lì che ti alzi alle 6 e 30 del mattino per allenarti e ritornare a casa alle 14… però quella voglia non te la toglie nessuno. Mia madre mi faceva: ‘ma come ti fai ad alzare ogni giorno a quell’ora?’ E ‘io ehh mi alzo’”. La condivisione del sistema valoriale non è immediata, la si acquisisce con il tempo ed un certo grado di “vissuto”. La costanza, l’impegno, il sacrificio e la determinazione non sono caratteristiche innate, vengono “coltivate”: questo genere di approccio viene inizialmente assimilato all’interno della crew; poi, quando il giovane traceur inizia a vedere i miglioramenti, comincia a renderlo proprio. La fase di apprendimento delle tecniche e di potenziamento muscolare, non aiuta solamente a migliorare le prestazioni fisiche, ma trasmette al traceur uno stato di benessere che gli permette di allargare anche le potenzialità della sua visione mentale. Giaco: “Scoprire e conoscere meglio le tue potenzialità ti aiuta ad espanderti. Inizi piano piano e poi ti si aprono le possibilità… se per esempio prima in un posto vedevo solo una scala… ora vedo anche la ringhiera il muro etc… sono

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vie. Le vedo come un modo per giocare o per sfuggire dalle barriere architettoniche e quindi dalle società. Più ti alleni più ti sviluppano le diverse vie”. Aku: “Devi visualizzare bene le cose nella testa. Io mi vedo un ninjettino che lo fa. Per esempio già da piccolo lo facevo… in macchina con le dita mi costruivo i percorsi”. La conoscenza del corpo e delle proprie potenzialità fisiche, aiuta ad accettare il concetto di limite anche a livello sociale. La consapevolezza delle proprie capacità scoraggia l’antagonismo ed aiuta il processo di “accettazione”. L’allenamento è fondamentale per i traceur ed occupa un posto di rilievo nella pianificazione giornaliera del tempo. Hamilton: “ Il parkour è la prima cosa nella pianificazione giornaliera. Noi ci alleniamo due volte a settimana per due ore consecutive, in più organizziamo le uscite durante i week end”. L’attenzione al corpo è collegata anche al concetto di rischio. Il Parkour mette costantemente alla prova chi lo pratica. I salti, i movimenti rapidi e le evoluzioni mettono i traceur in condizione di dover fronteggiare la paura e superarla. Non è facile lanciarsi e compiere un salto di precisione, indipendentemente dall’altezza da cui lo si esegue. Iron: “La paura è fondamentale, solo se hai paura puoi trovare il coraggio. Ci vuole la consapevolezza delle proprie possibilità”. E’ importante notare come, all’interno della preparazione, l’allenamento fisico e quello mentale abbiano un ruolo equivalente. Il Parkour è un vero e proprio modus vivendi: fornisce delle costruzioni base, che devono essere condivise pena l’esclusione, su cui ognuno può costruire la propria personalità in maniera completamente autonoma e creativa. Per esempio le tecniche consistono nell’indicare i movimenti base per superare i vari ostacoli, ma non indicano uno stile considerato “migliore”. Ogni traceur ha il suo stile ed il suo modo di vivere ed interpretare il movimento e la città. Rituale di possesso In questa categoria possono essere inserite tutte le azioni, le tecniche, le norme ed i principi che vengono usati durante la vera e propria tracciata. I valori predominanti in questa fase sono: Il limite, il coraggio, il talento, la creatività, la forza, la lettura capace del contesto ed il rispetto dello spazio pubblico (inteso come la necessità di non rovinare i beni che si utilizzano).

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Durante la fase di possesso è predominante l’attenzione al luogo. Il traceur deve entrare in contatto con gli ostacoli del percorso: li studia, li tocca, li analizza e, quando è necessario, li aggiusta (ripulisce da rifiuti i possibili piani di atterraggio, aggiusta i pali che sono in cattivo stato. Si assicura, specie se frequenta spesso lo spot in questione, che tutto sia riutilizzabile). La capacità di lettura ed il rispetto della location sono le basi su cui si struttura l’azione della tracciata. Vanja: “Generalmente prima di tracciare, io vado in giro a toccare le cose…”. Gise: “Nel parkour cambia l’ambiente, devi avere l’occhio per riconoscere il tipo di ostacolo. Devi mettere in conto la possibilità che l’ostacolo non regga, devi mettere in atto delle tecniche che ti permettono di recuperare se cade. Un esempio comune è la gabbietta del gas, devo scegliere la tecnica giusta: peso in basso o tangenziale? Ovviamente, siccome sono di plastica scelgo la tecnica che punta il peso in basso anche se perdo di fluidità”. Nermeseck: “Ma noi non siamo lì a spaccare le cose, anzi. Io se vedo una bottiglia a terra dico: ma no che ci fa lì? La prendo e la butto. Specie se sto facendo allenamento, perché potresti farti male. Anzi noi ci teniamo che gli oggetti vengano tenuti bene. Magari certo capita che lasciamo le pedate sul muro… ma comunque sempre meglio che andare a farsi le canne. Si certo… inoltre rompere qualcosa significa anche sbagliare l’esercizio e questo va contro la nostra ricerca della perfezione. Se rompi qualcosa significa che hai sbagliato la valutazione del salto, magari che hai visto l’ostacolo come troppo resistente e non lo era oppure sei arrivato in modo sbagliato. Prima di tracciare solitamente studi il percorso”. La pratica del Parkour si fonda sul creare dei movimenti creativi a partire dalle possibilità peculiari di chi lo pratica (forza, agilità e allenamento). Un traceur di “talento” è quello che riesce a sbloccare la sua mente. All’interno della crew (il gruppo di riferimento) l’approvazione non dipende dalle capacità prettamente fisiche, ma dal tipo di approccio che si utilizza: è un bravo traceur chi riesce a leggere sempre in modo nuovo e divertente tutti gli oggetti che quotidianamente incontriamo per strada. Nermeseck: “Io spesso, quando scendo giù a Lecce, sono troppo contento perché ogni 10 metri c’è sempre qualcosa. Prima dicevo: no quello non si può fare… cioè nemmeno la pensavi, ora invece la vedo diversamente. Qualsiasi cosa, un muro, i cassonetti… per dirti prima io i cassonetti non li guardavo neanche quando camminavo… invece ora dico ‘sì che bello un cassonetto!’ “.

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Le nuove capacità di lettura, che vengono acquisite dai traceur, non vengono limitate esclusivamente al momento dell’allenamento o della tracciata, ma divengono il punto di partenza per la vita di tutti i giorni e li aiutano a renderla più agevole, piacevole, divertente e personale: Vanja: “Le tecniche del parkuor le applichi tutti i giorni è un allenamento continuo. Ad esempio vedi una sbarra e dopo dieci metri il passaggio pedonale… e vedi passare due 15 uno di fila all’altro e sai che devi aspettare poi un’ora, in questo caso le tecniche del parkour ti sono utilissime”. Vigroux: “L’utilità è poter utilizzare il parkour in modo naturale per tutta la vita”. La forza, il controllo delle paure e la ricerca di un nuovo modo di vivere, che concilia la parte ludica con quella responsabile, fanno in modo che i traceur si costruiscano una personalità molto definita che li aiuta nel confronto e nella costruzione di legami basati sulla sincerità e la non competizione. Aku durante l’intervista ha affermato che una delle cose più belle, che il Parkour lo ha aiutato a realizzare, è stata la capacità di crearsi una personalità completamente sua che venisse accettata e rispettata dal gruppo. All’interno del gruppo di riferimento non ci sono pressioni che spingono verso il conformismo: quello che si richiede è l’adesione ad un sistema valoriale base che aiuti ognuno a creare una visione propria. Per questo, come vedremo, la competizione non è ben vista dai traceur. Aku: “Chi fa parkour riesce a crearsi una personalità molto forte, è bellissimo…”. 3.2.4 Costruzione dell’identità di gruppo Anche se la pratica del Parkour esalta la costruzione di un’individualità propria ed originale, il ruolo del gruppo è fondamentale per il consumo. La tracciata può essere eseguita anche “in solitaria”, ma secondo i traceur, in questo modo, perde l’aspetto ludico ed è più difficile riuscire a migliorarsi. L’osservazione ed il confronto sono indispensabili per correggere gli errori ed un occhio esterno aiuta ad ampliare la consapevolezza dei propri movimenti. Hamilton: ”Farlo insieme ti da energia. Se salto da solo mi viene timidezza.. mi sento un coglione… se siamo in due o tre sei più sicuro, c’è più empatia”. Nermeseck: “Poi andiamo lì e proviamo… la cosa bella è quando si sta tutti insieme. Soli a volte è anche difficile vederla una cosa… è normale… un cassonetto è quello e ci puoi fare pochi trick… però ci sono delle tecniche tipo il king kong, il cat… sono tutte cose che comunque sono abbastanza complesse… quindi per vederle devi anche avere l’occhio in quel momento… Uno guarda e dice… mmmh qua si può fare qualcosa, arriva l’altro e dice sì è vero, anche qua… e poi si prova. L’ultima volta stavamo con tre amici e c’era un muretto qua

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e un muretto qua, abbastanza lontano. Bisogna correre ed aggrapparsi al muretto. Sono arrivato io e ho detto questo bisogna farlo, perché era una cosa che volevo provare da tanto. Però mi spaventavo… avevo paura di arrivare troppo forte e non ci riuscivo. Provavo a lanciarmi, però… provavo, provavo… niente. Alla fine un mio amico, questo è un ragazzo che fa arrampicata, quindi diciamo che non se ne frega un cazzo proprio… ha detto basta ci provo. Arriva, bum e si lancia. Io ho pensato: lo ha fatto lui lo devo fare anche io. È sempre così. Mi lancio, bum! E l’ho fatto anche io. Ecco perché, la cosa più bella è farlo in gruppo. Farlo insieme”. Rituale di scambio Il rituale di scambio include tutte le azioni che comportano la condivisione del significato. Nel Parkour non implica uno scambio fisico di beni, inteso come passaggio da un consumatore ad un altro; ma comporta un passaggio di “visioni”. La capacità di scambiarsi punti di vista ed influenzarsi vicendevolmente è fondamentale. Si pone grandissima attenzione a questo passaggio. Nermeseck: “Sì tu devi stare lì e fare allenamento e impegnarti per andare avanti, altrimenti rimani sempre fermo allo stesso livello. L’importante è “confrontarsi” con altre persone, perché impari un sacco (…). (‘Confrontarsi’ lo ha messo tra virgolette) perché confrontarsi ha anche dentro di sé un qualcosa di contro… non deve essere io contro di te. Deve essere più un io insieme a te, un facciamo qualcosa”. Il rituale di scambio, di condivisione segue regole diverse a seconda di colui a cui è rivolto. Possiamo identificare quattro categorie: (1) il gruppo, la crew di cui il traceur fa parte; (2) le altre crew, (3) il pubblico esterno che li osserva durante l’allenamento o la tracciata; (4) i media. (1) il ruolo del gruppo Il sentimento di appartenenza al gruppo è molto forte e deve essere autentico. I valori che sono collegati all’ “essere membri” di una crew sono: l’amicizia, il divertimento, l’aiuto, la solidarietà, l’essere positivi, l’empatia e l’umiltà. L’amicizia è messa al primo posto perché durante l’allenamento o una tracciata, il traceur deve potersi fidare di ciò che gli dicono i compagni, altrimenti non sarà in grado di poter migliorare. L’umiltà e la solidarietà sono importanti perché aiutano a creare un ambiente che sia

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rispettoso delle singolarità individuali e che sia capace di esaltarle. Una crew, per essere creativa e capace di crescere, deve essere variegata: Vanja: “La crew deve avere una struttura simile al villaggio tibetano: il maestro, l’esperto… bisogna valorizzare le singole capacità. C’è un discorso di amicizia e di umiltà dietro che è fondamentale. Noi abbiamo costruito una scena seria: soprattutto per quanto riguarda l’insegnare. Dobbiamo formare i giovani che vogliono approcciare questa filosofia di vita. Vogliamo una crew allargata. Cerchiamo di mantenere i contatti con tutti. Sentiamo molto il nostro ruolo di anziani”. Aku: “Il bello è che hai a che fare con persone diverse… Ognuno è fatto per i cazzi suoi, cosa centra l’artista con l’ingegnere bigotto? Ti permette di far incontrare diverse realtà”. Hamilton: “Per creare un gruppo, ci devono essere persone a differenti livelli, non siamo solo amici, siamo un gruppo sportivo. Ci vuole una figura di insegnante. Ci sono le persone che si tolgono dai gruppi più seri per formarne altri. Non è competitivo… ma a volte i ragazzini… lo rendono tale… ma non è così”. La crew rispecchia la struttura delle vecchie famiglie allargate. Ogni componente assume il ruolo più adatto alla sua personalità ed alle sue competenze e si attiva per aiutare tutti a “crescere”. Non è presente una struttura gerarchizzata all’interno del gruppo, la parte di leader è affidata a persone diverse in base alle loro “specializzazioni”. È interessante che il Parkour sia definito da chi lo pratica una “filosofia di vita”: questa espressione ci fa notare come sia predominante la consapevolezza del ruolo sociale che si assume e a volte diventa una vera e propria “missione”. Il ruolo all’interno del gruppo è assegnato, in maniera non formalizzata in base al riconoscimento di particolari capacità: contano molto l’anzianità, l’esperienza ed il commitment. Più capacità vengono riconosciute ad un componente, più aumenta il suo “dovere” verso i componenti più giovani. Alex: “Il rispetto non deve essere imposto, ma è una cosa spontanea… interna” L’impegno richiesto aiuta a costruire dei forti legami amicali, che facilitano il confronto, la discussione e la volontà di prendersi cura degli altri: Vanja: “Quando tracci con tutta la crew devi stare dietro al ragazzino e quindi non puoi osare più di tanto…”. Gise: “Riesci a superare ostacoli maggiori, lo fai da solo però è il confronto che conta per migliorare. Non ci sono tecniche scritte. Il gruppo crea empatia, ti rende recettivo e ti stimola. Tu leggi l’ambiente in base alle tue possibilità, andare insieme ti amplia la visione. Condivi le possibilità”.

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Nermeseck: “In realtà è più bello quando c’è un aspetto di condivisione reciproca. E di questo sono contento. Io sono felice di fare allenamento con gente che ne sa molto più di me, per imparare cose nuove. Infatti adesso che scendo devo troppo fare allenamento con questi ragazzi…”. La fase di costruzione e di assestamento di una crew è lunga e complessa. I legami che si vengono a costruire devono essere solidi e basati sulla fiducia: la tua possibilità di migliorare è legata all’abilità del resto del gruppo. Poiché la buona riuscita del processo di consumo individuale è strettamente dipendente dagli altri membri, l’identità di gruppo è molto sentita e chi non rispetta le norme valoriali o è escluso o si auto-esclude. Se per esempio un membro della crew da maggiore attenzione alla capacità fisica ed alle evoluzioni acrobatiche viene definito dagli altri come free runner7, non come traceur. Hamilton: “L’identità di gruppo è molto forte, per stare dentro tu ti devi allenare.. Noi siamo fantastici insieme, ma è stata un’evoluzione lenta: ci si insegna vicendevolmente, ti aiuta a crescere”. Iron: “Non puoi saltare sulla macchina di qualcuno, un ragazzino ieri mi ha detto: “e chi se ne frega tanto io poi scappo e vado via…”. No! Chi se ne frega e come! È sbagliato proprio da un punto di vista civico e di cittadino”. Marck: “Anche se molti vogliono allenarsi con gli altri per far vedere che riescono a fare qualcosa in più rispetto agli altri è questo è brutto”. (2) i rapporti tra i diversi gruppi Come anticipato nel paragrafo sull’autenticità, la registrazione video, i siti internet ed i blog curati dalle singole crew servono a comunicare la propria immagine (stile) agli altri gruppi. L’uso di internet e delle web community serve ad ufficializzare lo stile del gruppo, a creare il suo “brand”. La legittimazione tra i gruppi avviene se l’immagine costruita rispecchia i canoni della non competizione, del divertimento, permette un libero confronto e non è ritenuta offensiva sia verso gli altri traceur sia verso “il pubblico”. Spesso però viene riscontrato un abuso di questa possibilità di confronto: Aku: “Con Youtube il problema è che la valanga di informazione deve essere regolata, io non so scegliere. Vedi i commenti…. Frasi riportate per moda e non per un motivo serio”. 7

Il free running è una disciplina molto simile al parkour nella sua realizzazione pratica, infatti le due vengono facilmente confuse. Il free running, però, a differenza del PK non ha una dimensione sociale forte. È prettamente una pratica individuale ed è caratterizzata da uno spirito competitivo. Nel caso del free running si parla di trick (e non di tecniche) che hanno caratteristiche ben definite (derivano dall’acrobatica) che devono essere rispettate.

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L’intento principale dei video è quello di chiedere aiuto ad altri per la correzione degli errori, per mostrare e condividere i nuovi percorsi trovati, per allargare la sfera di contatto della crew. Gise: “Non ha senso di dichiararsi forte di fronte agli altri perché salti da grandi distanze, non è quello lo spirito. Non puoi fare le cose solo perché è figo, ti crepi le ginocchia. (…) E poi fare i video e metterli su internet, e condividerli è importante perché le persone che li vedono e ti danno delle dritte: dicono guarda qui hai sbagliato a fare questo, oppure bello fatto così… e via dicendo”. Internet e le web community vengono usate principalmente per creare contatti con altri gruppi, spazialmente, lontani. Solitamente il network che si crea viene ripreso nella realtà con l’organizzazione di raduni, workshop o incontri (sia a livello internazionale sia nazionale sia locale). (3) Il rapporto con il pubblico Chi pratica il Parkour è pienamente cosciente di assumere un ruolo sociale, vuole comunicare un messaggio. I traceur sono attentissimi e vogliono fare in modo che il modo di vedere su cui si basa il loro consumo sia recepito in modo corretto. Ricercano un confronto dialettico con gli “spettatori” e le autorità sociali. Vogliono esprimere uno stato di disagio rispetto alla struttura metropolitana così come è strutturata ora. Vogliono mostrare la necessità di adottare altri schemi di lettura incentrati sul consumo responsabile dello spazio e sulla necessità che il consumo non sia solamente individuale, ma di gruppo. Cercano di essere capiti ed accettati dalla società, per questo il loro processo di consumo ha una forte componente etica e di rispetto per i punti di vista altrui. Hamilton: “Prendiamo l’esibizione come modo di mostrare davvero cosa sia il pk anche spiegando bene cosa succede (…). Nei parchi ti guardano… ma niente di che, anzi… vengono anche a chiederti qualcuno, ah ma che fate (…) Io mi fermo e spiego tutto con calma”. Iron: “Tendenzialmente quando ci alleniamo in zone che non sono parchi ci arriva una volante. Chi ci vede e si ferma e ci parla, chi non si ferma chiama la polizia. Magari non so forse pensano che potresti andare a rubare…” Nermeseck: “Mah, comunque se ti vedono in un parco possono anche dire… ok stanno facendo gli stupidi… e nulla più. Però se ti vedono in una casa abbandonata che ti alleni… il dubbio ti viene no? Capisco come possano pensare male (..).Ti prendono per ladro… ah per dirti… ci sono Ivan e Vania che hanno

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inventato questa maglietta qua: non sono un ladro… ma faccio parkour. Bellissima (…). Poi dietro c’è la carta d’identità. Leggermente modificata… Almeno arriva qualcuno e tu gli dici: no guarda… è il mio sport, c’è scritto qua. Tral’altro se vuoi copiati i dati dalla carta d’identità, segnalami se vuoi. Gise: “Quando facciamo i video sui tetti, chiediamo il permesso…” Attraverso la rete, risulta difficoltoso trasmettere i valori dell’originalità e dell’autenticità. Il problema è sentito specialmente per i ragazzini che vedono i video ed, in maniera inconsapevole, si lasciano affascinare esclusivamente dalla parte spettacolare della performance. Si crea un misunderstanding che li potrebbe portare a spingersi oltre i propri limiti e le proprie capacità. Vanja: “La preoccupazione maggiore sono i ragazzini: vengono, guardano e ti imitano. Quelli di 6- 7 anni sono i più pericolosi. Il nostro intento è quello di insegnare filosoficamente il parkour, ma questo è difficile tramite Youtube. Però ogni volta che ci alleniamo non tracciamo davanti ai bambini oppure ci mettiamo lì e spieghiamo. Facciamo anche potenziamento all’aperto per far vedere che c’è una fase preparatoria prima (…). I ragazzini che iniziano a praticare il parkour… lo conoscono attraverso internet (…) ci sono dei tutorial che ti spingono a fare di testa tua. Ogni persona può saltare da 4 metri senza farsi male, questo non significa che non avrai ripercussioni. I traceur non saltano solitamente più di 2,5 metri”. (4) Il rapporto con i media Conoscono il “sistema” ed i suoi funzionamenti. Da questo punto di vista sono gli Activator descritti da Cova, Kozinets e Shankar: sono consapevoli delle regole del gioco e le manipolano

e

si

fanno

manipolare.

Passano

facilmente

dallo

stato

di

ipercommercializzazione (non hanno problemi a farsi intervistare o farsi pagare per eseguire una performance, pur essendo consapevoli che l’interesse deriva esclusivamente dal lato spettacolare del loro consumo). La loro opposizione, però, pur essendo giocosa è anche e soprattutto ideologica. Agiscono come dei pirati per portare ad una riflessione sugli spazi e su cosa la loro privatizzazione sta creando. Non possono essere considerati esclusivamente gli Homini ludens delle consumer tribe. Il fenomeno si colloca a metà strada tra una subcultura (Hebdige, 1979) ed una moderna consumer tribe (Cova, Kozinets e Shankar, 2007). Si elevano consapevolmente e volontariamente allo stesso livello dei marketer nella creazione di significati e collaborano volentieri con loro. Giocano con il Fashion System e

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l’Advertising per diffondersi in maniera virale, ma non hanno ancora perso la volontà di apportare un cambiamento. Aku: “Dai media vengono esaltate le caratteristiche ancestrali. Viene presentato più come un “Vaaa che figggaaaattaaa (…). Quando uno mi chiede che cos’è il parkour

io rispondo “non gioco a calcio”. Poi magari ti fermi e dici: “sai gli

spostamenti, mi arrampico, salto etc…”e poi gli dico… sai hai presente il video di madonna… e tutti subito: “ah quelli che saltano dai tetti”. Allora poi quando te lo chiedono tu dici “ah mi lancio dai tetti”. Da come ci descrivono sembriamo dei super uomini… forse dovrei tirarmela di più…”. Vanja: “In realtà si è andato a puntare sulla spettacolarizzazione, questo ha confuso le idee a chi vede il parkour per la prima volta. Jackass, free running etc… tutti insieme. Noi andiamo dietro agli articoli per correggere ciò che viene scritto, ad esempio gli ultimi sono stati quelli di focus e donna moderna (…) Fanno sempre due azioni aumentano la spettacolarizzazione e denunciano come il male (…) Non è molto forte perché fa molta presa sui giovani, quindi scelgono lo spettacolo perché la denuncia non sarebbe molto seguita”. Sono consci dell’attenzione che si sta ponendo sulla parte spettacolare della performance (basti pensare al video “Jump” di Madonna, o all’incredibile sequenza dell’inseguimento in “Casino Royal” eseguita da Foucan, o l’undicesima puntata della prima serie di CSI NY “Triborough”). Questo processo è visibile anche in Italia, dove iniziano ad arrivare richieste per spettacoli o esibizioni a pagamento. Per il momento a gestire questo genere di cose c’è l’associazione di Parkour.it, ma sta generando scontenti e malumori tra le maggiori crew italiane. L’accusa che viene mossa è quella di non rispettare la filosofia di base del parkour e di sfruttarlo esclusivamente a livello economico. Le lamentele riguardano: l’inesattezza dei comunicati stampa per quanto concerne la spiegazione del fenomeno, l’organizzazione di esibizioni in luoghi inadatti e la preminenza economica su quella sociale. I ragazzi della crew di Torino hanno espresso la loro volontà di slegarsi da Parkour.it e di fondare un’associazione not for profit indipendente. Vanja: “Chi ama il parkour vuole spiegare cosa è davvero, noi passiamo molto tempo a stare dietro agli articoli e correggerli e a cercare di diffondere tutto il pensiero collegato a questa pratica. Questo ci ha fatto pensare al formare una società non a fini di lucro per portare avanti il tutto, anche perché ci contattano per le esibizioni”. La volontà di autogestione è il sintomo più evidente del processo di istituzionalizzazione che il Parkour sta affrontando in Italia (in Francia tale processo è già avvenuto). È, però, un

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processo di istituzionalizzazione anomalo. Usualmente, per le subculture, le vere driving force di questo processo sono prettamente esterne (nel caso del punk, ad esempio, la fase di istituzionalizzazione, cioè di accettazione all’interno della società, avvenne tramite il fashion system. Una delle principali fautrici fu, infatti, la stilista Vivienne Westwood); nel PK, almeno in Italia, il bisogno di istituzionalizzarsi nasce invece dai suoi stessi membri. I traceur sono consapevoli che la notorietà del fenomeno condurrà lo stesso ad essere inglobato dalla cultura mainstream, così preferiscono anticipare la trasformazione per riuscire a mantenere il controllo sull’autenticità. Si muovono e ragionano come dei marketer: stanno adottando una strategia da first mover. Sono gli entrepreneur descritti da Cova, Kozinets e Shankar (2007). 4. CONCLUSIONI 4.1 Dove posizionare il Parkour? Cova, Kozinets e Shankar nel libro “Consumer Tribes” propongono un modello tassonomico per le tribù di consumatori che si basa su coppie di valori dicotomici8 (2007, p.6). Le due assi del modello sono il degree of market annexation ed il degree of market appropriation (figura 15). Figura 15 Mapping consumer tribes (Cova, Kozinets e Shankar, 2007) Entrepreneur

degree of market annexation

Duoble agent

Plunderer

Activator

degree of market appropriation

Il Parkour, come abbiamo osservato, ha le principali caratteristiche attribuite alla categoria entrepreneur ed a quella di double agent. Infatti, ha un elevato livello di market annexation: i traceur stanno affrontando un processo di istituzionalizzazione interna che esprime la loro volontà di porsi allo stesso livello dei marketer (come possono essere i media 8

Le coppie dicotomiche proposte sono: consumption e production; primitivism e postmodernism; the commercial e the communal; nature e culture; past e present; oppression e liberation; conformity e trascendence.

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ed i comuni) e cercano con loro un discorso paritario. Allo stesso tempo sono dei double agent, in quanto, attuano un processo intenso di ri-appropriazione dello spazio: usano la sua manifestazione fisica per elevare lo spazio da uno status di semplice mercificazione, come una tabula rasa a cui aggiungere significati. È, però, riduttivo ricondurre il fenomeno Parkour esclusivamente a questa definizione, nella tassonomia proposta manca una parte fondamentale: per Cova, Kozinets e Shankar, i membri delle consumer tribe hanno un fine esclusivamente ludico, la loro opposizione non è posta su un piano ideologico. Il Parkour, invece, pur essendo un fenomeno di aggregazione non permanente, porta con se una volontà di denuncia e di riflessione molto forte. Alcuni concetti come l’essere cittadino, la cura per gli altri e la costruzione del wisdom basata sul rispetto reciproco diventano così radicati all’interno del modo di essere dei traceur che vanno oltre il momento del consumo. Temi come la cura per gli altri, il consumo etico e sostenibile nel lungo periodo sono “caldi” all’interno della discussione accademica riguardo al marketing e non si riscontrano esclusivamente nel Parkour. Il Parkour ha solamente il merito di riportarli alla luce in maniera spettacolare e sorprendente, ha una maggiore capacità di destare interesse. Hélène Cherrier e Caroline Lego Munoz nell’articolo “A reflection on Consumers’ Happiness: The Relevance of Care for Others, Spiritual Reflection, and Financial Detachment “ dimostrano come la visione dei marketer, che collega la felicità dei consumatori alla semplice soddisfazione dei loro bisogni, sia riduttiva (questa tesi era già stata esposta da Belk, 1985; O’Connell, 2002; Richins, 1994; Richins e Dawson, 1992; Tatzel, 2003). Nella società occidentale il materialismo è concettualizzato come un valore (Richins e Dawson, 1992) o come un tratto della personalità (Belk, 1985), ma qualcosa sta cambiando. Nel loro studio Cherrier e Munoz dimostrano come il financial detachment, la care for others e la spiritual reflection siano fortemente correlate, in maniera positiva, con la felicità del consumatore. Care for others

Financial Detachment

Spiritual reflection

HAPPINESS

Figura 16 Modello proposto da Cherrier e Munoz (2007)

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Dall’analisi affrontata nel capitolo precedente è emerso con chiarezza come la care for others e la spiritual reflection, siano le due condizioni base richieste per essere un traceur. La cura degli altri (con altri si intendono sia i membri della crew di appartenenza sia le altre crew, ma anche gli altri consumatori della città), come afferma Foucault, “involves complex relations with the other, because this ethos of freedom is also a way to be able to care for others” (1997, p. 287). La cura per gli altri, come abbiamo osservato, non è un meccanismo automatico “is a compuond of two principal function: restraint and activity. With regard to consumer behavior, individuals who consciously care for others are concerned with the common good” (Cherrier e Munoz, 2007, p.6). L’attenzione dei traceur verso lo spazio pubblico e la loro volontà di costruire, all’interno del gruppo, legami di amicizia nascono dall’impegno richiesto durante l’allenamento, impegno essenziale per avere coscienza e controllo del proprio corpo e della propria mente in modo attivo. Un traceur non può semplicemente lasciarsi trasportare, ma deve partecipare attivamente a tutti i rituali di consumo. Questo tipo di comportamento è stato definito come socially responsible consumption behavior (Mohr et al. 2001). I traceur sono caratterizzati dalla volontà di intraprendere una “altruistic and pro-social behaviors” (Mick et al., 2004, p. 209), l’atteggiamento che premiano è quello del dare l’esempio. Il loro consumo può essere definito etico: “ethical consumerism attempts to utilise the rhetotic of consumer power to actively shape the market in a particolar way. It therefore draws both on conceptualisations of the consumer society as well as the wider debate surronding the process of sustainable development” (Coles e Harris, 2006). Il consumo etico forgia nuove tipologie di relazione tra consumo e mercato, nel caso specifico i traceur creano un nuovo modo di relazionarsi alla città ed alle istituzioni che la governano. Mostrano, in maniera sorprendente, come gli individui, se agiscono come cittadini, compiano scelte diverse rispetto a quando agiscono egoisticamente da consumatori: mostrano un fortissimo interesse nella protezione dell’enviroment. Si vengono a scontrare due diverse ottiche: una che agisce nel lungo periodo e l’altro che agisce nel breve. Questo è anche il motivo per cui il Parkour mostra un livello di consapevolezza maggiore rispetto ad altre forme di Street art.

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4.2 Il marketing tribale usato per la promozione del territorio Il “prodotto-territorio” è un prodotto complesso sia per il suo essere un “bene pubblico” sia perché il suo consumo è un consumo sociale e non individuale sia perché è un complesso mix di beni e servizi. Il territorio metropolitano è il nuovo polo di attrazione, negli ultimi anni abbiamo assistito ad una crescita della competizione infra-cittadina per attrarre o generare nuovi investimenti imprenditoriali e, contemporaneamente, per aumentare la competitività delle imprese locali. Le città hanno iniziato ad agire come delle imprese, fino a registrare un proprio marchio (basti pensare a New York e a Barcellona). Il compito dei policy maker locali è quello di operare per rendere visibile ed attraente il territorio. L’attrattività ed il valore del prodotto-territorio non consistono esclusivamente nel disporre di spazi, ma nell’avere competenze strategiche e gestionali da mettere in gioco. La governance è diventata la nuova parola chiave, questa deve, per garantire il successo, coinvolgere tutti gli attori chiave che agiscono sul territorio urbano. I nuovi scenari della globalizzazione hanno radicalmente trasformato gli approcci al territorio (Rizzi e Scaccheri, 2006): • Passaggio dalla competizione strutturale a quella volontaria; • La competizione si basa su un mix di elementi endogeni ed esogeni, in cui l’innovazione gioca un ruolo fondamentale; • Le analisi dei fattori di competitività seguono la logica del problem solving; • Gli approcci strategici devono svilupparsi in modo reticolare non solo per la fase di progettazione, ma anche in quella di realizzazione.

Rafforzamento del tessuto economico

Sviluppo di una nuova imprenditorialità Le funzioni del marketing territoriale

Diffusione di competenze e innovazione

Attrazione di potenziali utenti

Figura 17 Le funzioni del marketing (Rizzi e Scaccheri, 2006, p. 123)

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Si tratta di applicare gli strumenti del marketing per attuare uno sviluppo di lungo termine (figura 17). Come anticipato precedentemente, il consumo del territorio è un consumo sociale e la sua gestione e promozione non può esulare dalla considerazione delle dinamiche sociali. La governance e le strategie, attuate fino ad ora in Italia, hanno utilizzato il marketing come studio del comportamento del consumatore concentrandosi ad analizzare e comprendere l’uomo medio, il target più rappresentativo (i cittadini di prima fila). Hanno così lasciato in disparte tutti i consumatori atipici (gli esclusi), fastidiosi perché non categorizzabili, producendo uno sviluppo ed un’immagine non sostenibili nel lungo periodo (emblematico è il caso delle banlieue parigine). Si sta assistendo al ritorno del “desiderio di comunità” (Cova, 2003), del tribalismo come espressione di un ideale comunitario proprio dell’individuo postmoderno che cerca di infrangere il suo isolamento. Il marketing tribale va ad operare sull’espressione dell’ideale di comunità. Questo tipo di approccio si sforza di sostenere il legame sociale, deve riuscire, quindi, a conciliare concetti economici con concetti sociali (Figura 18).

Figura 18 La doppia estensione del marketing tribale (Cova, 2003, p. 48)

• • • • •

Consumatore Cliente Utente Acquirente Ecc.

• • • • •

Collezionisti Habituè Adepti Esperti Ecc.

Il marketing tribale opera su tre livelli: (1) la diversificazione del prodotto, (2) la fidelizzazione del cliente, (3) la creazione dell’immagine (Cova, 2003). Questo di processo può essere utilizzato all’interno della governance cittadina per promuovere il territorio. (1) Il territorio può essere diversificato segnalando il signicato di aggregazione che rappresenta nel rapporto effettivo tra le persone che lo occupano. (2) Il marketing per la promozione del territorio deve riuscire a sviluppare una fiducia affettiva basata sul senso di appartenenza ad una comunità. (3) La città deve riuscire a costruirsi un “rivestimento” sociale, deve porsi cioè come una “impresa solidale”. Per fare ciò, gli attori coinvolti in maniera primaria nella governance devono porre molta attenzione alle subculture che nascono e si muovono all’interno della città (sono degli ottimi indicatori per individuare i trend emergenti), devono riuscire a sfruttare il potenziale legato

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all’immagine comunitaria della città e, infine, devono valorizzare il valore del legame tra l’individuo e la città. Primo compito: individuare i raggruppamenti sociali Una subcultura non è cristallizzata, è effervescenza sociale. Non è un oggetto socioeconomico ben definito, è un’aggregazione momentanea, emotivamente galvanizzata, fra persone dissimili a priori. Non è mai un oggetto chiuso. Tuttavia, le sottoculture urbane lasciano sempre delle tracce: nel tempo e nello spazio. La subcultura è la rivelazione eclatante che rivela una logica sotterranea più durevole. Gli spazi sono essenziali in questo processo. Gli spazi associativi, i luoghi della memoria e quelli di ritrovo costituiscono i punti di riferimento spaziale in cui avvengono i riti di passaggio, crescita e consumo. Sono pratiche comunitarie e quotidiane (Figura 19). Figura 19 Il quadrifoglio di una tribù (Cova, 2003) Immaginario

LE ADUNANZE

I LUOGHI Dimensione visibile

invisibile

Occasionale

Dimensione

LA SFERA DI INFLUENZA

Istituzionale

LA PRATICA QUOTIDIANA

Vissuto

Il modello si muove lungo due dimensioni: quella visibile e quella invisibile. La dimensione visibile pone una distinzione tra le pratiche occasionali e quelle istituzionali (ripetitive), mentre la dimensione invisibile distingue il vissuto dall’immaginario. In base a queste due dimensioni si possono individuare i ruoli delle subculture: gli aderenti (a livello istituzionale); i partecipanti (raduni); i praticanti (pratica quotidiana) ed i simpatizzanti (a livello di movimento).

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Secondo compito: offrire legami più che servizi Il vantaggio competitivo, che rende attrattiva una città, non è costituito esclusivamente dai servizi offerti ad imprenditori, cittadini, consumatori visti come soggetti isolati. È fondamentale promuovere il territorio in un’ottica sociale, bisogna agire con l’ottica tipica del distretto: creazione delle condizioni ambientali che riescano a favorire la nascita di valori comuni e che coadiuvino l’integrazione. Terzo compito: mettere in comune le competenze Non basta soddisfare le esigenze delle subculture per riuscire a creare un rapporto costruttivo, bisogna sostenerle e renderle partecipi del processo di governance. Bisogna attuare un processo di empowerment del consumatore/cittadino. Le subculture hanno un grandissimo potenziale attrattivo per quanto riguarda il passaparola ed il marketing virale che, se usato con attenzione, potrebbe risultare una mossa vincente per ravvivare aree considerate “morte”. La loro forza persuasiva si basa sulla mancanza di interessi puramente commerciali, sono “estimatori” che svolgono discussioni senza pregiudizi o tabù. Attuare questo tipo di approccio è un processo complesso: non si limita ad atti puramente puntuali ed opportunistici, ma richiede un mutamento radicale del pensiero (comportamento etico, attenzione al sociale ed ottica di lungo periodo). Si deve sostituire “l’idea di servizi” con “l’idea di legami”. Questo comporta l’integrazione di uno sguardo psicosociale con uno sguardo etno-sociale. Lo studio successivo è la traduzione del vissuto e delle esperienze in proposte commerciali ed economiche. Questo avviene fornendo sia un supporto al substrato sociale innovativo già presente nell’area urbana (marketing tribale intensivo), sia mettendo a frutto l’immaginario collegato alle subculture (marketing tribale estensivo), sia sublimando e unendo le due cose a sostegno della costruzione di legami sociali, al fine di usufruire della ripercussione positiva. 4.3 Limiti della ricerca e future linee di ricerca I risultati di questa ricerca non rappresentano una rappresentazione esaustiva del consumo di spazio pubblico. L’analisi del processo di consumo dei traceur è solamente un passo all’interno del consumo di spazio pubblico come uno spazio relazionale. Lo studio voleva portare all’attenzione un processo nuovo di consumo di beni collettivi. Il Parkour, da quanto visto qualitativamente, incarna il modello proposto da Cherrier e Munoz, sarebbe interessante svolgere una analisi qualitativa delle relazioni che ci sono tra i

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valori e la felicità. Inoltre, non è stata approfondito in questa ricerca la capacità attrattiva dei raduni e delle esibizioni per chi non fa parte della subcultura. Possibili linee future di ricerca potrebbero riguardare: •

I nuovi trend del bisogno di comunità;

La crescente necessità della costruzione di un consumo responsabile e le implicazioni che può avere sulla costruzione del marketing;

Le modalità con cui gli esterni si rapportano al Parkour e come questa pratica modifica la loro visione;

La capacità attrattiva del fenomeno sul pubblico all’interno degli studi sul turismo sportivo.

I limiti di questa ricerca sono dovuti: all’inesperienza del ricercatore; alla reticenza di alcuni intervistati verso la Bocconi; al rischio di un’interpretazione influenzata dal background culturale di partenza del ricercatore ed all’alta complessità del target selezionato.

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Altre fonti usate: http://www.urbandictionary.com/define.php?term=chav http://www.theothersmag.com/content/view/117/47/ http://www.laguiatv.com/serie/episodios/CSI-Nueva-York/143698 Video di alcune crew http://www.youtube.com

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