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SOMMARIO

p. 76 Chic a Pechino

L’INTERVENTO .............................................................. 8 Ferruccio Dardanello, Guido Carella IN COPERTINA .............................................................. 12 La moda italiana MERCATI ...................................................................... 20 Riccardo Monti, Leonardo Simonelli Santi, Giuseppe Tripoli, Giorgio Squinzi EUROPA ........................................................................ 30 L’accordo con gli Stati Uniti, Roberto Maroni ECONOMIA E FINANZA .............................................. 36 Christine Lagarde, Carlo Sangalli STRATEGIE .................................................................... 42 Antonella Mansi, Gianfranco Carbonato, Alberto Ribolla, Luisa Todini, Bruno Carenini FOCUS VENETO .......................................................... 60 Giulio Pedrollo, Luca Zaia, Marialuisa Coppola, Luigi Schiavo, Franco Antiga CINA .............................................................................. 76 Il sistema fieristico di Pechino, Cesare Romiti

TESSILE .......................................................................... 82 Bruno Amoroso, Raffaella Carabelli, Lavinia Biagiotti Cigna, Laudomia Pucci, Raffaello Napoleone, Pier Andrea Chevallard MODA .......................................................................... 98 Federico Ceschi a Santa Croce, Katia Stefanuto, Nicola Fiorentino, Cristiana Bregolin, Dino Corinna INTERNI ...................................................................... 108 Giovanni Pegoraro, Elena e Carmela Carrara INDIA ............................................................................ 112 Outlook economico, Daniele Mancini

Industria conciaria La conceria italiana detiene il 25 per cento di export di pelli nel mondo

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↑ Luca Zaia presidente della Regione Veneto

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INDUSTRIA CONCIARIA ............................................ 120 Salvatore Mercogliano, Franco Piran SUD-EST ASIATICO .................................................. 130 Outlook economico, Giovanni Salinaro, Giovanni Capannelli ECONOMIA DIGITALE ................................................ 140 Antonio Catricalà, Giorgio Rapari, Paolo Angelucci, Massimo Dal Checco

Tessile

INTERNAZIONALIZZAZIONE .................................... 150 Matteo Oldani, Riccardo e Andrea Rota, Nicola Mason e Alberto Baban

L’export della moda italiana, nei primi sette mesi dell’anno, ha raggiunto 16,1 miliardi di euro

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IMPRESA E SVILUPPO .............................................. 158 Roberto Snaidero EXPORT ........................................................................ 162 Monica, Gisella e Riccardo Colombo, Ettore Benevenia, Francesco Magazzeno e Gilda Faino

TURCHIA ...................................................................... 182 Outlook economico, Gianpaolo Scarante, Nicola Longo Dente, Gian Guido Folloni

INNOVAZIONE ............................................................ 172 Maurizio Longo, Raimondo e Nicola Mattiuzzo, Luigi Ciarlo

INDUSTRIA ORAFA .................................................... 194 Stefano De Pascale, Augusto Ungarelli

MODELLI D’IMPRESA ................................................ 178 Franco Giacomo Coter, Salvatore Pantano

AGROALIMENTARE .................................................. 200 Luigi Scordamaglia, Aurelio Zamboni, Andrea Ferraioli FIERE NEL MONDO ...................................................... 206

↑ Diego Della Valle, presidente e amministratore esecutivo di Tod's

India VALORE EXPORT

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L’INTERVENTO FERRUCCIO DARDANELLO, PRESIDENTE DI UNIONCAMERE

L’export tricolore vince nel mondo

n questi anni grigi, solo l’export ci ha strappato qual-

I

continua a essere positivo chiudendo i primi tre trimestri del

che sorriso. Nonostante la crisi, infatti, la bandiera del 2013 con una variazione del +0,8 per cento. Eppure, oggi, made in Italy non ha cessato di sventolare sui mercati

sono poco più di 200mila gli operatori che hanno accesso ai

internazionali. Anzi. Dall’autunno del 2008, il fattu-

mercati esteri. E se pensiamo che in Italia ci sono oltre 6

rato delle nostre produzioni manifatturiere è cresciuto

milioni di imprese, è facile capire che il potenziale di crescita

oltreconfine più di quello tedesco e francese. L’Italia, resta elevato. Attraverso il Registro delle imprese, conside-

dunque, non è una delle vittime della globalizzazione. Tut-

rando solo il comparto manifatturiero, abbiamo individuato

t’altro. Ha trovato la forza e l’abilità di sintonizzarsi su nuove

ulteriori 73mila realtà produttive che avrebbero le carte giu-

frequenze per intercettare i fabbisogni emergenti del mercato, ste per gettarsi nel mare aperto della competizione ridisegnando così la geografia di un nuovo made in Italy fatto

internazionale, ma da sole non riescono a farlo. Soprattutto

di creatività, tecnologia, rispetto dell’ambiente senza per que-

per loro abbiamo creato Worldpass, la rete di sportelli fisici e

sto rinunciare alla bellezza e alla qualità. Così ora siamo tra i

virtuali, grazie alla quale le Camere di commercio rappre-

primi cinque Paesi al mondo per saldo commerciale.

sentano sul territorio il punto di contatto per le imprese

E continuiamo a crescere. Solo nei primi nove mesi di que- bisognose di assistenza specialistica e di un primo orientast’anno l’avanzo ha superato i 19,6 miliardi di euro. Ma

mento per esportare. Insieme ai ministeri dello sviluppo

oltrepassa il tetto dei 60 miliardi, se si esclude il deficit ener-

economico e degli esteri, all’Ice, a Sace, a Simest e alle

getico che strutturalmente interessa il nostro Paese. In poco

Camere di commercio italiane all’estero ne stiamo facendo

tempo abbiamo conquistato spazi importanti in Paesi lon-

la porta di ingresso unitaria verso i mercati internazionali.

tani. Basti pensare che ben 11,3 dei 19,6 miliardi di surplus Perché se l’internazionalizzazione resta la principale proprovengono dall’area extra Ue. E mentre le esportazioni tri-

spettiva di sviluppo del nostro Paese, occorre sostenerla.

colore verso il Vecchio continente sono diminuite del 2,3 per

In questo senso l’Expo 2015 sarà un appuntamento da non

cento, quelle che travalicano i confini europei sono cresciute sprecare. Noi siamo pronti a dare il nostro contributo, anche del 2,1 per cento. A trainare la crescita verso l’estero sono

attraverso la rete dei circa duemila “autentici” ristoranti ita-

soprattutto i beni di consumo non durevoli (+6,8 per cento). liani nel mondo, presenti in oltre 50 Paesi stranieri, certificati Al contrario, la brusca caduta della produzione energetica (-

dal marchio “Ospitalità italiana”. Il progetto del sistema

20,5 per cento) ne ha frenato il passo.

camerale entrato ufficialmente nell’Agenda Italia 2015 per pro-

Tuttavia, al netto dei prodotti energetici, l’export tricolore

muovere il nostro Paese nel mondo in vista dell’Expo. \\\\\

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L’INTERVENTO GUIDO CARELLA, PRESIDENTE DI MANAGERITALIA

Le imprese devono fare rete e anche squadra

U

na recente indagine realizzata su un

nell’intero pianeta.

migliaio di dirigenti da AstraRicerche

Insomma, chi non è in rete e non collabora è destinato

per Manageritalia e Fondir (Fondo Pari-

a scomparire. Allora potremmo prendere i famosi “due

tetico

piccioni con una fava”, anzi una rete. Quella costituita

Interprofessionale

per

la

Formazione Continua dei Dirigenti del da una serie di aziende che condividono tutti o alcuni Terziario), ci aiuta a capire cosa le aspetti del loro processo produttivo e commerciale, che

aziende stiano facendo per competere al meglio. Emerge

diventa il luogo dove condividere e sviluppare gestione,

che quasi tutte puntano su aumento dei ricavi (91,4 per innovazione e tanto altro. Diventa l’unico modo per chi, cento), contenimento dei costi (85,2 per cento) e produt-

piccolo, vuole andare sui mercati globali ed entrare nelle

tività (83,3 per cento). Elevato anche il numero di chi catene del valore che sono l’asse portante dei vari settori punta su aspetti di innovazione di processo (67,9 per e business. cento) e organizzativa (66,7 per cento).

Certo bisogna cambiare mentalità, cultura, strategia e

Grave è, invece, che solo un terzo punti su export (34,9

approccio al business. Serve mettere a capo della rete un

per cento) e internazionalizzazione e apertura di sedi

manager che ragioni e faccia ragionare, in modo strate-

all’estero (32,4 per cento). In Italia l’andare all’estero è

gico e operativo, tutte le imprese come una squadra

direttamente proporzionale alla crescita dimensionale

coesa e compatta. Serve che questo manager abbia espe-

delle aziende. Soprattutto, le nostre aziende nazionali e rienza e visione e che, fatta la squadra, sappia guidarla multinazionali ci vanno molto meno delle multinazio- sui mercati internazionali. Basta che sia chiaro che nali estere. Come fare per superare questo gap?

andare oltreconfine a vendere, anche solo esportando,

Non saremo mai un’economia di grandi imprese, non implica entrare a pieno titolo, con diritti e doveri, in sarebbe né possibile né logico. Oggi anche la più grande

una o più catene del valore. Non è più il tempo del com-

corporate del mondo è vincente solo se è capace di essere messo con la valigia. Il valore si crea e si mantiene se si parte di una catena del valore nella quale deve per forza

riesce a essere una vera rete di imprese, che opera come

collaborare, al meglio, con fornitori, clienti e anche con

un grande gruppo per diventare un anello indispensa-

gli stessi concorrenti. Gli esempi sono tanti. Ferrero e bile di una o più catene globali. E a guidare, sviluppare Mars hanno collaborato per innovare logistica e distri- e mantenere il tutto ci vogliono imprenditori brillanti, buzione dei prodotti. Boeing ha costruito il 787 manager intelligenti e capaci di consolidare le maglie di Dreamliner che ha il 70-80 per cento dei suoi compo- questa rete, agganciandosi agli anelli delle catene del nenti progettati e prodotti da partner esterni dislocati business globali. VALORE EXPORT

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IN COPERTINA LA MODA ITALIANA

I PROTAGONISTI DELLA MODA ITALIANA NEL MONDO Rappresentano l'Italia migliore. La sua essenza e il suo modo di intendere la vita. Sono i grandi nomi della moda. Ma anche gli artefici di un'industria che porta nel bel Paese 51 miliardi di euro all'anno oi che cosa esportiamo? A differenza di tutti gli altri paesi, compresa la Francia dello Champagne e del fois gras (vende il ricordo di un territorio e di una cultura, non la sua anima immortale, che se ne sta a Parigi), noi non esportiamo merci, noi esportiamo l’Italia. La sua essenza colorata, il suo modo di intendere la vita. L’abito (habitus) del vivere. Il profumo del vivere. Abito vuol dire modo di essere. Forma. E la forma non è l’esteriorità, ma il nostro disvelamento. Non è un’idea e basta. Non si limita a essere una filosofia eterea, che si comunica con parole. La filosofia italiana - a differenza di quella orientale - diventa prassi e materia. L’Italia si versa come latte e miele nelle giare secche di nazioni, paesi e popoli bisognosi di trasfusioni di bellezza. Non vende formule, l’Italia, ma offre al mercato qualcosa che gli altri non sono capaci di fare anche quando ci copiano, e falsificano criminalmente. Il nome, la griffe, non è un’etichetta appiccicata su prodotti casuali, il cui pregio è gonfiato dal marketing. Il nomen è omen: è destino. Be’, questa è la qualità unica dei geni italiani della moda. Il “vestire” la vita si traduce in tessuti e in fogge, e il buon odore del nostro cielo e della maniera di guardarlo e di pensarlo, entra nelle boccette colorate con scritto sopra Armani,

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Versace, Dolce e Gabbana; ed entrambi - sete e profumi si adagiano poi sulla pelle di una donna rendendola se stessa e in fondo italiana. Perché l’Italia da che mondo e mondo è sempre stata universale, protesa con l’Impero Romano oltre se stessa e poi - piaccia o non piaccia - con la Chiesa cattolica che vuol dire universale, e non poteva che aver sede in Roma. Qui proviamo a descrivere con lo strumento umile della scrittura, i meriti e l’unicità di alcuni uomini e donne cui sarebbe buono e giusto inchinarsi. Innanzitutto Giorgio Armani, di cui dispiace notare non sia stato ancora onorato del laticlavio a vita. Senza voler fare graduatorie antipatiche, pochi come lui hanno “illustrato (nel suo caso, letteralmente) la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario”. In questo modo la Costituzione parla dei senatori scelti dal capo dello Stato. E chi più di lui? È l’essenza sobria e piena di eleganza del made in Italy. Quando nel 1996 Al Jazeera - che era già la massima espressione cultural-popolare del mondo arabo - mi contattò per una collaborazione, spiegò che interessavano tre personalità su cui costruire una trasmissione sull’Italia. Due erano politici, di cui non farò il nome. Unico esponente della società civile, ovvio, Giorgio Armani. Il made in Italy del resto s’identifica con lui. InterrogaDICEMBRE 2013


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IN COPERTINA LA MODA ITALIANA

to sul tema, ne dà questa definizione, che in fondo è anche un autoritratto: «Bello, ben fatto e pensato in Italia. Dall’inizio alla fine». Lui fu pensato e prodotto a Piacenza, nel 1934, da genitori che lo capirono in pieno e gli consentirono, dopo tre anni di studi di Medicina a Milano, di pensare e respirare alla Rinascente sotto le guglie del Duomo di Milano, dandole i suoi gusti nella scelta di quanto proporre ai clienti. Da allora Milano, il modo di vestire milanese, cosmopolita e pratico, sono Giorgio Armani. Non lo svolazzo, ma l’essenzialità. L’inversione e la contaminazione dei ruoli: ha dato dolcezza agli abiti da uomo, e forza ai tailleur delle donne, contaminando il maschile con il femminile, non nel segno del lusso, ma della qualità. Ha mostrato che il grigio è un colore e non l’assenza di colori. Armani è l’italiano che smentisce il luogo comune dell’imprecisione degli italiani connessa con la presunzione di essere poeti. È per la perfezione in modo maniacale. È il genio e insieme la regolatezza. La creatività con i conti in ordine. Parla il fatturato della sua azienda interamente italiana: 7.405 milioni di euro con oltre 2.200 punti vendita nel mondo. È diventato ricco, ma non contempla la sua potenza, e si carica ogni mattino di lavoro. Un Re che non conosce 14

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l’ozio e neanche la vacanza. Ho scritto Re. “King George” non è un appellativo di un mese fa per definire il presidente Napolitano, ma è il titolo della copertina di “Time” del 1982 dedicata ad Armani. E dire che era da soli sei anni che aveva presentato la sua prima collezione. Ma aveva già rivoluzionato tutto. La moda grazie a lui comprese che poteva essere un motore per l’economia. Spiegò: «Non quella borghese delle signore in atelier, ma quella che usciva dalle fabbriche, pensata da persone moderne». Eppure si fatica ancora a superare un limite mentale degli italiani. La moda e il tessile fanno arrivare nel Bel Paese 51 miliardi di euro l’anno. Eppure si fatica a uscire dallo schema che sia industria solo ciò che è a base di acciaio e petrolio. Il sottoscritto e voi che mi leggete, adesso siamo qui a testimoniare il contrario. In sintesi. Nessuno è global come DICEMBRE 2013


lui proprio perché italiano. Lo stile proposto è quello incentrato alla comodità di abiti dal taglio orientale che reinterpretano le esigenze europee. Armani tra i primissimi ha proposto camicie con collo alla coreana sotto abiti di rappresentanza, pantaloni con fit comodo, tinte sobrie tra i toni del blu e del grigio. Massima eleganza senza velleità d’esibizionismo. C’è un altro nome grandissimo della moda italiana. Se Armani era Bartali, Gianni Versace era Coppi. Sbagliato. Ho sbagliato a usare il tempo passato. Versace è morto, e tutti sanno come (ucciso) e dove (a Miami). Ma è immortale. Un artista dell’eccesso; così come Armani è quello della sobrietà. Eppure Armani ne ha compreso in pieno la statura, il suo “cuore delicato”. Nella prefazione del libro di Tony di Corcia lo ha ricordato così: “…una fantastica esuberanza, VALORE EXPORT

un senso di allegria che tutto mescola - idee, tendenze, memorie, arte - con una specie di noncurante vitalità”. Parola chiave: “classicismo”. La testa di Medusa che contraddistingue il marchio affonda le radici in un’ideale Magna Grecia da cui Gianni proveniva. Arrivato a Milano dalla Calabria, Gianni aprì la strada a una moda celebrativa e decorativa, colori forti, sgargianti, i contrasti delle tinte pastello con l’oro tipico dei drappi settecenteschi. Una immersione nell’eterno. Con l’arrivo della sorella Donatella alla direzione creativa del brand, il tocco femminile ha conferito una sensualità unica nel prêt-à-porter donna e un’eleganza eccentrica per l’uomo. Il tutto regolato dalla saggezza di Santo, il primogenito, elegantissimo nel pensiero e pronto a dar consistenza manageriale alla grandezza artistica dei fratelli, ora pronto ad accogliere nel gruppo un socio di minoranza. Tanti ancora sono i marchi protagonisti. Ma i marchi della moda sono anzitutto lo stile della persona che le ha fatto muovere i primi passi nel successo. Cosi Miuccia Prada. È vero che la grande signora della moda ha DICEMBRE 2013

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IN COPERTINA LA MODA ITALIANA

I MARCHI DELLA MODA SONO ANZITUTTO LO STILE DELLA PERSONA CHE LE HA FATTO MUOVERE I PRIMI PASSI NEL SUCCESSO assunto la guida della ditta degli avi. Ma è lei ad averla lanciata. La sua creatività è diventata ordinata e ha acquisito la quadratura dell’imprenditorialità con il matrimonio con Patrizio Bertelli. La parola chiave per capire la sua impronta sul mondo è “Luna Rossa”. L’idea della sfida per mare. Il rischio pieno di slancio e di bellezza, nella solidità del progetto. Gucci. La parola chiave “rigore”. La doppia G fiorentina è l’eccellenza del made in Tuscany. Uno stile minimal eppur rigoroso, mai banale, ha consentito al brand di spaziare e diversificare le linee del proprio campionario. Un must nella pelletteria è il bauletto con manici in bamboo. Ultima ma non meno importante, è stata l’acquisizione della Ginori, eccellenza toscana per le ceramiche, per un rilancio in grande stile senza perdere il marchio. Cavalli: parola chiave “savana”. L’animalier è la cifra stilistica del fiorentino Roberto Cavalli, che ha coniugato nel tempo l’eccentricità delle stampe con tigri, pantere, zebre an16

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che e soprattutto allo stile femminile per le grandi occasioni. Ha sfondato con la sincerità del suo graffio. Dolce&Gabbana: parola chiave “sicilianità”. O ancora, amore e morte, eros e thanatos. Vulcano e agrume, profondità del mare e schiuma misteriosa. Domenico Dolce e Stefano Gabbana hanno consegnato all’alta moda lo stile archetipo della loro Sicilia. Ad esempio. Abiti maschili gessati, tre pezzi, tagli vintage ma sempre attualissimi per uno stile senza tempo. Ad esempio. Madonna. E quell’incredibile splendido accostamento tra il suo stile, Scarlett Johansson e la voce di Mina. Trussardi. Parola chiave: “velocità”, luce nel buio. Il levriero nel marchio e nella pelle, bellissima, unica, giovane. Insomma, la moda è uno dei vertici del nostro export. La moda è eterna perché mutevole, nata com’è dal nostro bisogno di cambiamento. E nessuno sa interpretarlo come gli stilisti italiani. \\\\\ Renato Farina, scrittore DICEMBRE 2013





MERCATI RICCARDO MONTI

NUOVI MERCATI DA ESPLORARE

Russia, Cina, India. Non solo, anche Medio ed Estremo Oriente. Quando il mercato si fa globale, il nostro Paese può far valere le sue expertise, basate sulla rinomata fama del “ben fatto” italiano ono soprattutto i cosiddetti Brics, i paesi che un tempo si definivano emergenti, a dare risposte positive alle aziende esportatrici italiane. Seppur con un calo, dovuto alla battuta d’arresto che ha colpito anche queste realtà, oggi l’Italia è seconda solo alla Germania per competitività nel commercio estero e si dimostra prima al mondo per competitività in tre ambiti: tessile, abbigliamento e pelletteria-calzature. Seconda invece, dopo la Germania, nella meccanica non elettronica, nei manufatti di base e in quelli generici. Il nostro Paese, insomma, primeggia proprio in quei settori che sono da sempre i nostri fiori all’occhiello. Da questo punto di vista, un paese come la Russia, ad esempio, con una popolazione di oltre 140 milioni di potenziali consumatori, un ceto medio in si-

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stematica espansione e un immenso fabbisogno infrastrutturale, può di certo rappresentare uno dei mercati più interessanti per le imprese italiane sia dal punto di vista commerciale che sotto il profilo degli investimenti. Sempre per quanto riguarda l’ex Unione sovietica, esiste una forte complementarietà: l’Italia importa prevalentemente materie prime mentre esporta prodotti manufatti che la Russia acquisisce per la maggior parte dall’estero. Ma non si tratta solo di Russia, l’Italia ha davanti a sé paesi in veloce ascesa con un bacino di consumatori particolarmente esteso. Ne parliamo con Riccardo Monti, presidente dell’Ita. Insomma, il prodotto italiano va molto bene nelle nuove piazze di sviluppo, come la Russia. Come state interagendo con questi mercati?

+10,1%

Vendite L’incremento del commercio estero con la Russia per i primi sei mesi del 2013

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LA CONSAPEVOLEZZA È CHE SI VINCE SEMPRE PIÙ CON UNA STRATEGIA DI SISTEMA E NON SOLO CON OTTIMI PRODOTTI

«Le performance dell’export italiano in Russia sono particolarmente positive. Il 2012 si è chiuso con un incremento del 7,4 per cento e i primi sei mesi del 2013 hanno confermato il trend con un aumento delle vendite italiane del 10,1. In collaborazione con le principali associazioni di categoria, abbiamo avviato numerose azioni di scouting nelle regioni russe lontane da Mosca per vari settori come moda, arredamento, materiali per costruzione, meccanica. C’è poi il supporto dei grandi eventi specializzati, come i Saloni worldwide e la Obuv, VALORE EXPORT

che si sono chiusi poco tempo fa con grande successo e per i quali l’Agenzia ha dato un notevole valore aggiunto in termini di comunicazione e invito di buyer. Infine, l’assistenza personalizzata alle imprese, con oltre 3.000 aziende italiane supportate annualmente nella Federazione Russa». E in Cina? «Qui la crescita del Pil, ma soprattutto una diversa strutturazione dell’import, sta offrendo buone performance di crescita ai settori più rappresentativi del DICEMBRE 2013

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MERCATI RICCARDO MONTI

L’ASSE DELLA CRESCITA RESTA SALDAMENTE IN MANO AI MERCATI EMERGENTI. OLTRE I BRICS, CI SONO I COSIDDETTI “NEXT 11”

made in Italy, e in alcuni casi le performance sono addirittura ottime. Le azioni portate avanti dalla nuova Ita mirano a rafforzare il dialogo tra l’offerta italiana e gli imprenditori cinesi che possono offrire distribuzione, utenza e partenariato. Tutto questo non fermandosi solo a Pechino e Shanghai, ma toccando i poli di sviluppo della Cina del futuro, allo scopo di intercettare nuovi mercati, nuovi interlocutori e nuove opportunità d’investimento. Nel settore dei beni di consumo, abbiamo contribuito ai primi passi di internazionalizzazione di brand fieristici come Milano Unica e Micam, nella consapevolezza che si vince sempre più con una strategia di sistema e non solo con ottimi prodotti». Anche l’India potrebbe risultare una buona piazza di espansione. «In India esistono ampi margini di crescita a due condizioni fondamentali. Innanzitutto se sapremo allargare il nostro raggio di azione al di là delle tradizionali piazze di riferimento come Delhi e Mumbai. E poi se sapremo proporci non solo come esportatori delle tradizionali “4 A”, e cioè abbigliamento, arredo, apparecchi e macchine e alimentari, ma anche come partner com22

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plementari in nuovi settori come energie rinnovabili, trattamento acque, gestione rifiuti e catena del freddo». Quali sono invece i mercati che nei prossimi anni potranno dimostrarsi particolarmente dinamici e profittevoli per i prodotti italiani? «Dopo la forte crisi che ha investito per primi i paesi avanzati è chiaro che non basta una dimensione unica a individuare i mercati più promettenti per il futuro. Nella selezione dei mercati, infatti, non basta tenere conto delle tradizionali variabili di sviluppo come la demografia, il Pil, il Pil pro-capite, il livello dei dazi; ma anche la qualità del sistema distributivo, la facilità del doing business, i rischi sovrani, politici, operativi. L’asse della crescita, al di là di oscillazioni congiunturali, resta saldamente ai mercati emergenti. Oltre i Brics, Goldman Sachs ha coniato la formula dei cosiddetti “next 11”: si tratta di Bangladesh, Egitto, Indonesia, Iran, Messico, Nigeria, Pakistan, Filippine, Turchia, Corea del Sud e Vietnam, mercati ad alto potenziale per investimenti ed export, proprio a partire dalle dotazioni di risorse naturali». \\\\\ TERESA BELLEMO DICEMBRE 2013


UNA RETE CHE REALIZZA BUSINESS Leonardo Simonelli Santi spiega come l’associazione delle Camere di commercio all’estero favorisce il radicamento delle imprese italiane sui mercati internazionali. Definendo un comune binario d’azione con quelle italiane ove rappresentanti del sistema camerale italiano più il presidente nazionale di Unioncamere, in qualità di socio al 50 per cento, da un lato, altrettanti delegati delle Camere italiane all’estero, dall’altro. È la composizione del consiglio generale di Assocamerestero, associazione che da fine anni 80 diffonde la conoscenza delle attività camerali nel mondo a sostegno dell’internazionalizzazione delle pmi e la promozione del made in Italy. «Un raccordo in primo luogo di tipo strategico» sottolinea il presidente Leonardo Simonelli Santi, che trova la sua espressione più compiuta proprio in ambito consiliare, laddove «si definiscono le linee di azione raccordate tra sistema camerale italiano e italiano all’estero». In cosa consiste esattamente la vostra attività e in quali fasi si snoda? «Ogni giorno lavoriamo con gli enti camerali italiani e con le strutture specializzate per l’internazionalizzazione nell’orientare ed evidenziare iniziative di promozione congiunte. Nell’ultimo decennio la collaborazione tra la nostra associazione e le Camere italiane è cresciuta. In particolare, il servizio di Assocamerestero verso le Camere di commercio italiane comprende l’organizzazione di missioni, Italia verso l’estero e viceversa, e incontri d’affari tra imprenditori italiani e locali. Questo lavoro assorbe oltre il 60 per cento dei nostri servizi, cui si affianca l’assistenza durante la partecipazione a manifestazioni fieristiche. In questo caso, l’associazione non si occupa tanto dell’allestimento degli spazi, ma cerca di assicurare un prolungamento dell’azione promozionale, facendo sì che i contatti stabiliti durante la manifestazione possano andare a buon fine». Verso quali settori si stanno orientando gli investimenti delle nostre imprese all’estero? E voi come le

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C’È FORTISSIMO INTERESSE NEL CENTRO E SUD AMERICA ↑ Guatemala City DICEMBRE 2013

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MERCATI LEONARDO SIMONELLI SANTI

24mila

Imprese Le aziende italiane che operano nei 54 Paesi in cui hanno sede le Camere di commercio italiane all’estero

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guidate nella scelta dei partner stranieri? «La graduatoria settoriale identifica la fabbricazione di macchine e apparecchi meccanici come la principale voce dei nostri investimenti all’estero, ma è nei contesti dei singoli paesi che vanno identificate le opportunità. Tra l’altro, ci si focalizza molto sulla realizzazione di investimenti all’estero, magari sotto forma di acquisizioni piuttosto che attraverso la formula più impegnativa del greenfield. Ma il vero core d’investimento delle pmi è nelle forme di internazionalizzazione leggera, negli accordi di tipo commerciale e produttivo». Quali spazi si stanno creando in questo ambito? «Spazi a volte impensabili, non solo per i settori manifatturieri, ma anche nei servizi: dal design al restauro, dall’assistenza tecnologica computerizzata all’ambiente, dai processi e tecnologie ambientali al riciclo. Sono questi gli ambiti su cui diverse Camere estere stanno lavorando con grande soddisfazione per le imprese». Nel panorama internazionale, a quali destinazioni commerciali state guardando per espandere il raggio d’azione delle vostre attività? «La rete delle Camere estere è presente in 54 Paesi e nasce perché c’è una comunità di affari che desidera associarsi per sviluppare relazioni con l’Italia. Se volessimo utilizzare la costituzione di nuove Camere come indicatore di sviluppo, vediamo che c’è un fortissimo interesse per i Paesi del Golfo, per l’Asia, in particolare realtà in crescita come Vietnam, Corea, Filippine e Malesia, e per l’Europa dell’est, ad esempio in Ucraina. Ma anche nel centro e sud America: di recente abbiamo associato una realtà in Guatemala, mentre si sviluppa la presenza camerale in Brasile. Tuttavia, opportunità di business si sviluppano ovunque, anche in realtà a noi vicine: pochi sanno, ad esempio, che la Svizzera è il nostro secondo partner extraUe, con un surplus superiore ai 7 miliardi di euro». Ice e Sace sono esempi di altri istituti che promuovono i prodotti italiani sui mercati internazionali. Che tipo di collaborazione esiste con questi soggetti? «Ice e Sace sono organi importanti, ma in effetti il mondo dell’assistenza per l’internazionalizzazione è più ampio: c’è anche Simest, le Regioni, con una competenza costituzionale cosiddetta “concorrente” allo Stato sulle politiche per l’internazionalizzazione. Poi c’è la rete diplomatica, che all’estero sta svolgendo un egregio raccordo delle azioni di promozione. Le Camere italiane all’estero sono soggetti di mercato e quindi hanno strette collaborazioni con tutti questi operatori». In quali aspetti vi differenziate? «Noi ci occupiamo più di promozione sui mercati interDICEMBRE 2013


↓ Leonardo Simonelli Santi, presidente di Assocamerestero

POCHI SANNO CHE LA SVIZZERA È IL NOSTRO SECONDO PARTNER EXTRA-UE, CON UN SURPLUS SUPERIORE AI 7 MILIARDI DI EURO nazionali con una logica di conclusione del business. La Sace svolge azioni di assicurazione dei crediti e la Simest finanzia prevalentemente progetti di joint venture. Con Simest e Sace abbiamo accordi quadro come Assocamerestero e diverse Camere all’estero hanno strette collaborazioni per completare i servizi promozionali. Molto importante è anche la collaborazione con le università e i centri di ricerca, per le attività connesse finalizzate a sviluppare processi di innovazione e internazionalizzazione. Con l’Ice abbiamo storicamente un’azione di lavoro congiunto. Cooperare fa parte del nostro dna e quindi dobbiamo essere capaci per primi di attivare partnership tra soggetti che offrono servizi alle imprese». Pensa che su questo versante si potrebbe fare di più? «Molto di più. Ad esempio, individuando campi vocazionali di operatività. Di recente il ministro dello Sviluppo economico, Flavio Zanonato, ha individuato una buona specificazione di ambiti per le Camere estere: noi siamo vocati ad attività di radicamento per le imprese all’estero, a favorirne collegamenti produttivi e commerciali reciproci, a seguire gli esiti di missioni commerciali e iniziative fieristiche, a VALORE EXPORT

creare contatti con la grande distribuzione all’estero. Gli enti pubblici hanno ambiti più ampi: la diplomazia economicocommerciale, lo sviluppo di opportunità sui mercati dove non c’è ancora un’adeguata presenza italiana, l’organizzazione delle grandi missioni Paese». E sul piano delle risorse? Ne avete a sufficienza per consolidare la vostra azione? «In epoca di spending review, le Camere italiane all’estero oggi ricevono dallo Stato italiano circa il 12 per cento di cofinanziamento dei programmi di attività; in 3 anni le risorse pubbliche sono state ridotte di tre volte. Eppure noi ogni anno, in media, facciamo servizi per circa 70mila imprese e supportiamo la realizzazione di 300mila contatti di affari. Se i clienti ritornano presso di noi è indice di customer satisfaction. A volte mi chiedo: quanti altri soggetti di promozione sarebbero riusciti in questa situazione? Lo dico perché credo che le Ccie rappresentino per tanti versi una best practice di servizio alle imprese e di partenariato pubblico-privato. Di questi tempi forse dovremmo guardare più ai risultati e meno a difese di posizione, come ancora capita». \\\\\ GIACOMO GOVONI DICEMBRE 2013

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MERCATI GIUSEPPE TRIPOLI

RITROVARE IL PRIMATO MEDITERRANEO

Ampliare la rosa delle imprese esportatrici e puntare alle aree ad alto potenziale, come i “next eleven” e l'Africa sub-sahariana. Giuseppe Tripoli traccia la road map strategica per le pmi a caccia di nuovi sbocchi esteri o sanno in Europa. Lo si tocca con mano a ogni verifica congiunturale in Italia: il treno della competitività corre verso i mercati internazionali. Una direzione praticamente obbligata, vista «una dinamica di domanda interna languente, se non recessiva, come quella degli ultimi 4-5 anni». Ad affermarlo è il capo del Dipartimento per l’impresa e l’internazionalizzazione del Ministero dello sviluppo economico, Giuseppe Tripoli, noto anche come Mister pmi. In qualità di garante degli interessi del 99 per cento del tessuto produttivo nazionale e, nella sostanza, di portavoce delle sue istanze nel consesso europeo, Tripoli analizza le performance estere delle nostre piccole e medie imprese e ne delinea gli scenari, sottolineando che «la propensione all’export è sempre stata una dimensione tipica del nostro sistema». Qual è l’attuale livello di competitività delle nostre imprese sulla scena internazionale? «Le nostre esportazioni vanno bene, valgono circa un terzo del nostro Pil, per un valore di circa 490 miliardi nel 2013, con una crescita del 3,2 per cento sull’anno precedente e un saldo attivo di 18 miliardi di euro. Oggi in Italia si contano circa 190mila imprese esportatrici, il 4,2 per cento del totale di quelle attive, di cui circa la metà appartiene al settore manifatturiero. Sebbene siano ancora un numero ridotto nel panorama italiano, una su due ha aumentato le vendite». Da dove giungono i risultati più favorevoli? «Dalle imprese esportatrici che operano in settori ad alta tecnologia e soprattutto di dimensioni medie. Le imprese manifatturiere che hanno esportato con continuità tra il 2010 e il 2012 sono circa 45mila e l’anno scorso hanno esportato beni per un valore di circa 263 miliardi di euro, con un incremento complessivo di ven-

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VALORE EXPORT

dite sul 2010 del 10,9 per cento. Raddoppiare le imprese stabilmente esportatrici e portare il valore del nostro export a 630 miliardi di euro nel prossimo triennio sono due degli obiettivi inseriti nel Piano per l’export che l’Italia si è data recentemente». In quali Paesi i nostri prodotti guadagnano terreno? E dove, invece, sono ancora sottodimensionati rispetto al loro potenziale? «I dati mostrano che stiamo crescendo sui mercati distanti da quelli di più tipica nostra presenza come l’Europa continentale e l’America settentrionale. Ad esempio, nei Paesi Brics, dove nel 2013 siamo saliti del 12,7 per cento in Brasile, dell’11,5 per cento in Russia e del 9,3 per cento in Cina. Puntiamo poi a consolidare il nostro export nei Paesi cosiddetti “next eleven”: Ban-

↑ Da sinistra, Ugo Girardi, Giuseppe Tripoli e Antonio Tajani DICEMBRE 2013


630 mln

Il valore delle esportazioni che il Piano nazionale dell’export varato a inizio anno conta di raggiungere a fine 2015. Oggi siamo a 490

gladesh, Egitto, Indonesia, Iran, Corea del Sud, Messico, Nigeria, Pakistan, Filippine, Turchia e Vietnam, in cui già nel 2011 abbiamo esportato beni per 23,6 miliardi di euro. Infine, un’area di forti potenzialità in cui non siamo ancora abbastanza presenti è l’Africa subsahariana: non a caso, tra fine 2013 e il 2014 è prevista l’apertura di 4 nuovi uffici dell’Agenzia per l’internazionalizzazione ad Addis Abeba, Lagos, Luanda e Maputo». Prendiamo il bacino mediterraneo. Com’è cambiata la presenza dell’Italia in quest’area? «L’interscambio commerciale tra l’Italia e l’area Med nel 2012 è stato pari a 61 miliardi di euro, valore cresciuto del 76,8 per cento tra il 2001 e il 2013, collocandoci al primo posto nella Ue per interscambio con i Paesi transfrontalieri. Nonostante le turbolenze legate alla cosiddetta “primavera araba”, il trend del nostro export è cresciuto del 3,9 per cento anche nel primo semestre del 2013. Da sottolineare come tante imprese meridionali stiano cogliendo le opportunità in quest’area: il Mezzogiorno risulta infatti la seconda macroregione italiana per interscambio verso il Mediterraneo con 14,7 miliardi, con un export in rialzo dell’11 per cento nel 2013. In crescita anche il numero di aziende a capitale italiano che da lì operano a vasto raggio: circa 2.000, solo contando Turchia, Tunisia e Marocco». Quali sviluppi si prevedono in termini di presidio italiano in uno spazio così chiave? VALORE EXPORT

+11%

La crescita dell’export realizzato nel 2013 dalle imprese del Mezzogiorno verso le destinazioni commerciali dell’Area Med

«La sponda sud del Mediterraneo riveste un’importanza strategica per l’Italia, in quanto con il 37,5 per cento delle merci totali trasportate è leader europea nello short seaside shipping per il bacino del Mediterraneo, caratteristica che può facilitarci l’accesso ai mercati limitrofi dell’Africa e del Medio Oriente. Tuttavia, osservando i dati più recenti, non ci dobbiamo nascondere come il nostro Paese abbia una quota di interscambio manifatturiero inferiore alle sue potenzialità e che iniziamo a perdere il primato a favore di altri players quali Germania, Usa e Cina che crescono a ritmi più serrati». Tra i nodi che frenano la voglia di espandersi sui mercati esteri delle piccole imprese c’è una sinergia col mondo del credito da ritrovare. Quali passi occorre compiere su questo terreno? «Credo che la progressiva riduzione delle risorse pubbliche ci spinga ad aumentare la sinergia col sistema di offerta di servizi e consulenza per l’internazionalizzazione privato e associativo. Sul piano del sostegno finanziario, la creazione, in collaborazione col sistema camerale, della sezione speciale per l’internazionalizzazione del Fondo centrale di garanzia, con i suoi 600 milioni di finanziamenti attivabili per progetti a favore delle pmi, rappresenta un buon esempio per sfruttare il leverage pubblico. Stiamo poi lavorando per riorganizzare la finanza per l’internazionaDICEMBRE 2013

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MERCATI GIUSEPPE TRIPOLI

lizzazione: i servizi di Sace e Simest, con esperienza consolidata e ottime professionalità, confluiti nella Cassa depositi e prestiti, verranno orientati a fornire un servizio più integrato e strumenti di credito e garanzie. Si tratta di quel modello di “export bank” che ha ben funzionato, ad esempio, nel caso della IpexBank tedesca». Le politiche nazionali per l’internazionalizzazione delle imprese scommettono sul contratto di rete. Quanto lo stanno utilizzando le nostre piccole realtà produttive? «Nell’ultimo anno si è verificata una crescita esponenziale delle reti, oggi sono oltre 1.000 con più di 5.000 imprese aderenti. In presenza di mercati sempre più integrati, il contratto di rete punta proprio a dare un orizzonte strategico di continuità alle tante collaborazioni informali che caratterizzano spesso le relazioni della nostra manifattura e del nostro made in Italy di qualità. Presentarsi all’estero con altri imprenditori già esperti, metter assieme risorse patrimoniali, professionalità ed esperienze può, infatti, consentire a piccole imprese con prodotti e servizi di qualità promettenti ma che da sole mai si avventurerebbero fuori dei confini nazionali, di tentare la prima esperienza sui mercati esteri». \\\\\ GIACOMO GOVONI

ALL’ESTERO CON UNA REGIA UNICA Muoversi in una logica di sistema per agganciare i mercati globali. La ricetta e le azioni di Confindustria per l’internazionalizzazione

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IL MEZZOGIORNO RISULTA LA SECONDA MACROREGIONE ITALIANA PER INTERSCAMBIO VERSO IL MEDITERRANEO

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n riferimento alle competenze Stato-Regioni, l’articolo 117 comma 3 della Costituzione recita: «Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni e il commercio con l’estero». Non sono le uniche in cui si assegna equivalente potestà legislativa ai due enti, ma rappresentano proprio quelle che il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi riaffiderebbe in toto al governo centrale, in quanto strettamente legate alle strategie d’internazionalizzazione del nostro sistema produttivo. «È assurdo vedere in giro decine di stand di regioni italiane in occasione di eventi internazionali» ammoniva nelle scorse settimane il numero uno degli industriali, bocciando un modello di decentramento che nella pratica genera una promozione degli interessi italiani all’estero frammentata e disomogenea. Proprio laddove a tutti gli attori impegnati per esportare il made in Italy sui mercati più promettenti, si richiede invece di muoversi in maniera coordinata e in sinergia. La stessa che anima, ad esempio, il progetto “Dare valore alle Imprese: estero, crescita, nuova imprenditoria” avviato a marzo scorso da Confindustria Piccola industria, in DICEMBRE 2013


↑ Il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi

È ASSURDO VEDERE DECINE DI STAND DI REGIONI ITALIANE IN OCCASIONE DI EVENTI INTERNAZIONALI collaborazione con Intesa Sanpaolo. Siglato con l’intento di rafforzare il valore delle nostre pmi, l’accordo si pone l’obiettivo, tra le altre cose, di «sostenerne lo sviluppo del business internazionale» e mettere a disposizione «soluzioni finanziarie per la crescita all’estero». Un’iniziativa che fa il paio con quella denominata “Business partnership – Pmi italiane su nuovi mercati”, anch’essa promossa dal comitato Piccola industria di viale dell’Astronomia. In corso ormai da due VALORE EXPORT

anni, si tratta di uno strumento propedeutico offerto agli associati per lo sviluppo del partenariato industriale e commerciale con i Paesi del Mediterraneo, Africa e Medio Oriente. Organizzato in forma di laboratorio sperimentale online assieme ad Assafrica & Mediterraneo, rappresenta un luogo di incontro attraverso cui entrare in contatto con imprese aderenti alle Confindustrie di questi Paesi, considerati i più interessanti in proiezione futura. \\\\\ GIACOMO GOVONI DICEMBRE 2013

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EUROPA L’ACCORDO CON GLI STATI UNITI

IL FUTURO DEL SISTEMA COMMERCIALE

Le trattative per il trattato di libero scambio fra l’Unione europea e gli Stati Uniti si stanno rivelando complesse ma è un’opportunità da non perdere opo lo scandalo delle intercettazioni da parte dell’intelligence Usa e lo shutdown che ha portato lo scorso ottobre alla chiusura di numerosi uffici e attività federali negli Stati Uniti sono ripartite le trattative del Ttip, il Transatlantic trade and investment partnership. Partito a fine giugno con l’intento di creare una zona di libero scambio transatlantico, il Ttip prevede una serie di negoziati volti a eliminare gli ostacoli commerciali in molti settori economici, semplificando l’acquisto e la vendita di beni e servizi tra l’Ue e gli Usa. Un accordo su commercio e investimenti tra le due maggiori economie al mondo allo scopo di dare impulso alla crescita e all’occupazione sulle due sponde dell’Atlantico. Unione europea e Stati Uniti

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+8%

Crescita dell’export italiano grazie all’accordo di libero scambio Ue-Usa che si può rivelare un punto di svolta per il nostro Paese

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sono le due aree economiche più importanti del pianeta, insieme rappresentano circa la metà del Pil mondiale e circa un terzo degli scambi commerciali a livello globale. L’Ue ha effettuato valutazioni d’impatto dei potenziali effetti dell’accordo che confermano i benefici per entrambe le economie. Uno studio indipendente del Centro di ricerca per la politica economica di Londra rivela, ad esempio, che il beneficio per l’economia dell’Ue potrebbe ammontare a 119 miliardi di euro l’anno - equivalente a un importo supplementare pari a 545 euro per una famiglia media dell’Ue - e a 95 miliardi di euro l’anno per gli Usa. Aumenteranno le esportazioni per tutti i comparti dell’economia e ciò comporterà un effetto positivo per l’occupazione. Si parla di un aumento delle esporta-

187 mld

Il valore delle esportazioni europee verso gli Usa previsto grazie agli effetti del Ttip

DICEMBRE 2013


AUMENTERANNO LE ESPORTAZIONI PER TUTTI I COMPARTI DELL’ECONOMIA E CIÒ COMPORTERÀ UN EFFETTO POSITIVO PER L’OCCUPAZIONE zioni europee verso gli Usa pari a 187 miliardi di euro e un aumento delle esportazioni americane verso l’Ue pari a 159 miliardi. Le esportazioni di autoveicoli Ue verso gli Usa, ad esempio, dovrebbero aumentare del 149 per cento. È prevista anche una crescita delle esportazioni europee verso gli altri Paesi. L’export di prodotti metallici verso il resto del mondo dovrebbe aumentare del 12 per cento, quello degli alimenti trasformati e dei prodotti chimici del 9, del 6 per gli altri prodotti finiti e i mezzi di trasporto. Il Ttip sarà un accordo commerciale che favorirà anche le pmi tramite l’esportazione diretta o come fornitori di imprese più grandi. Una nuova trance di negoziati dovrebbe riprendere in questi giorni, ma ciò che è certo è che le discussione transatlantiche andranno per le lunghe. Se, infatti, la fine dei negoziati era stata inizialmente prevista per la fine del 2014 ormai appare chiaro che per la conclusione del trattato ci vorranno diversi anni. E le discussioni potrebbero arrivare fino al 2015. L’accordo Ttip di libero scambio Ue-Usa si può rivelare un punto di svolta anche per l’Italia per incrementare l’export dell’8 per cento. «L’Italia - ha dichiarato il viceministro per lo Sviluppo economico, Carlo Calenda - con l’accordo di libero scambio tra Unione europea a Stati Uniti sarebbe il paese europeo che ne trarrebbe i maggiori benefici, se VALORE EXPORT

l’intesa transatlantica riuscisse a raggiungere l’obiettivo di un accordo per abbattere le barriere tariffarie e non. È un punto di svolta per l’Italia perché la struttura del mercato americano oggi è piuttosto punitiva per le esportazioni italiane. Noi abbiamo deciso di fare una cosa che troppo spesso in passato non è stata fatta. Vale a dire cominciare a lavorare sugli effetti dell’accordo, nel periodo in cui l’accordo viene negoziato. La nostra idea è che questo anno e mezzo che servirà per la chiusura, gli Stati Uniti diventino i il mercato focus della promozione internazionale italiana». «Stiamo negoziando nuovi accordi commerciali che precedano incentivi alla crescita, nuove assunzioni e investimenti. Sono vantaggi per tutti. Penso che l’Italia capisca che si tratta di accordi essenziali, come sono essenziali le riforme» ha ricordato l’ambasciatore Usa a Roma, John Phillips, parlando del Transatlantic trade and investment partnership. «Lo scambio è chiaro: l’America farà tutto quanto possibile per facilitare nuovi investimenti, l’Italia deve renderli attraenti per gli stranieri. L’Italia ha tanti doni: dalla creatività alla storia, dal design all’esperienza nell’industria delle macchine utensili. Il brand made in Italy è rispettato in tutto il mondo. Perché voi italiani non sfruttate la vostra buona reputazione per ricominciare a muovervi?». \\\\\ GLORIA MARTINI DICEMBRE 2013

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STRATEGIE LUISA TODINI

AMBASCIATORI DELL’ITALIA NEL MONDO Il sostegno all’internazionalizzazione delle imprese italiane è la mission del Comitato Leonardo. Ne parla la presidente Luisa Todini

premi Leonardo e Leonardo Qualità Italia vengono conferiti ogni anno ad aziende e imprenditori che si sono distinti per innovazione e qualità, combinate a una forte proiezione internazionale. L’elemento che accomuna tutti gli assegnatari di questi riconoscimenti è non soltanto l’aver conseguito importanti risultati sui mercati esteri, ma anche l’attitudine, ovvero saper guardare al futuro con coraggio e lungimiranza, continuando a investire e a crescere, promuovendo occupazione e sviluppo nel nostro Paese. «Il Comitato Leonardo – precisa la presidente Luisa Todini – assegna, inoltre, ogni anno il premio Leonardo In-

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↗ Luisa Todini, presidente del Comitato Leonardo, al XII forum annuale del Comitato tenutosi il 4 luglio scorso in Campidoglio

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ternational, riservato a una personalità straniera che abbia contribuito a rafforzare i legami economici e commerciali tra l’Italia e il suo paese di origine. Lo scorso anno abbiamo premiato l’imprenditore turco Mustafà V. Koç, presidente della Koç Holding, principale gruppo industriale turco che ha finalizzato importanti accordi con imprese italiane operanti in Turchia». In che direzione si procederà per le prossime edizioni e quali caratteristiche saranno sempre più essenziali per gli imprenditori impegnati sui mercati internazionali? «È stata già individuata la rosa dei candidati alla prossima edizione dei premi, che verranno consegnati in Quirinale nell’ambito delle celebrazioni della “Giornata della qualità Italia” a inizio 2014. Quest’anno la scelta dei vincitori da parte della giuria sarà davvero ardua poiché tutti i candidati sono figure imprenditoriali di spicco, appartenenti a settori chiave del made in Italy, dall’abbigliamento all’agroalimentare, fino all’arredamento, inDICEMBRE 2013


IL COMITATO LEONARDO PARTECIPERÀ ALLE MISSIONI IMPRENDITORIALI, PROMUOVENDO GLI INCONTRI CON LA BUSINESS COMMUNITY ESTERA cludendo anche ambiti forse meno conosciuti ma nei quali sicuramente il nostro Paese vanta primati di eccellenza, quali la chimica-farmaceutica, le apparecchiature elettroniche e il green building. Oggi alle imprese che operano sui mercati internazionali è richiesto uno sforzo di competitività che implica ricerca e innovazione di processo e prodotto costanti. Bisogna essere camaleontici, aver la capacità di adattarsi a contesti di business realmente globali, dove gusti e preferenze dei consumatori mutano velocemente. Guadare all’estero sì, ma in un’ottica di filiera - un must per le nostre piccole e medie imprese - e con strategie che favoriscano una presenza commerciale stabile e duratura, soprattutto sui mercati emergenti più promettenti». Che successo ha registrato l’incontro “Tecnologia, innovazione e marketing: le sfide per una nuova agroindustria” organizzato dal Comitato Leonardo a Catania? Quali interessanti spunti sono emersi nell’ottica dell’internazionalizzarsi? VALORE EXPORT

«A Catania abbiamo dato voce alle eccellenze della Sicilia, che è terra di filiera naturale e d’imprenditori lungimiranti che hanno saputo trasformare la varietà e ricchezza del proprio territorio in un asset industriale. È emersa la consapevolezza che puntare sull’export, in particolare verso i nuovi mercati emergenti in crescita, è diventata non un’opzione, ma una necessità per le imprese italiane dell’agroalimentare. Nel prossimo futuro diverrà altrettanto indispensabile da una parte agire in un’ottica di filiera per fare sistema, dall’altra affinare la qualità delle produzioni valorizzando proprio i vantaggi competitivi dei territori». I dati sull’export dimostrano la vitalità del made in Italy e la capacità delle nostre imprese di mantenersi competitive, nonostante la crisi, sui mercati di tutto il mondo. È quello che ha sottolineato Diana Bracco durante il XII Forum del Comitato Leonardo. Ma cosa occorre oggi perché le imprese italiane possano ritrovare la via della crescita e conquistare nuove quote di mercato all’estero? DICEMBRE 2013

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STRATEGIE LUISA TODINI

LA CHIMICA, LA FARMACEUTICA E IL GREEN BUILDING SONO SETTORI MENO CONOSCIUTI MA IL NOSTRO PAESE QUI VANTA PRIMATI DI ECCELLENZA «Condivido pienamente le parole della presidente Bracco. Gli ultimi dati positivi sull’andamento delle nostre esportazioni e le numerose iniziative d’investimento all’estero testimoniano un tessuto industriale vivo e pulsante, costituito da grandi gruppi e piccole imprese che continuano a crescere, nonostante i tanti ostacoli imposti dalla crisi e dal rallentamento della domanda interna e mondiale. La sempre maggiore globalizzazione dei mercati in futuro richiederà alle imprese che vorranno continuare a essere competitive uno slancio deciso di produttività e il superamento dei limiti dimensionali caratteristici del nostro tessuto industriale. Ed è proprio in questa prospettiva che il sostegno da parte delle istituzioni diverrà indispensabile. Un supporto che deve realizzarsi attraverso investimenti mirati a favorire l’upgrading competitivo dell’industria nel suo complesso. Il potenziale dell’industria italiana è altissimo, non dimentichiamoci che siamo la seconda manifattura d’Europa e il nono esportatore di merci al mondo». Con quali iniziative il Comitato Leonardo continuerà a sostenere le imprese italiane sui mercati internazionali? «Il sostegno all’internazionalizzazione delle imprese italiane è la mission del Comitato Leonardo. Continueremo a lavorare con impegno ed entusiasmo per raggiungere questo importante obiettivo, sia fuori confine che in Italia. All’estero, partecipando alle prossime missioni imprenditoriali di sistema e promuovendo l’incontro tra la business community italiana e ed estera, anche attraverso il Premio Leonardo Internatio-

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nal. In Italia, da un lato, favoriremo il confronto costruttivo a livello territoriale su temi legati al made in Italy e presenteremo aziende che raccontano storie di successo sui mercati internazionali, dall’altro, stimoleremo la conoscenza dei mercati esteri per affinare l’intelligence delle imprese e favorire l’attivazione di nuove iniziative d’internazionalizzazione. Naturalmente proseguiremo la nostra azione incessante di scouting per individuare e riconoscere, attraverso i nostri premi, aziende e imprenditori che contribuiscono con la loro attività a rafforzare l’immagine di eccellenza del made in Italy nel mondo». \\\\\ RENATA GUALTIERI DICEMBRE 2013


L’APPETIBILITÀ DEI MERCATI Prima di scegliere dove investire serve un’attenta analisi di valutazione. Bruno Carenini descrive le fasi di un progetto di espansione internazionale olti imprenditori credono erroneamente che bastino uno o due elementi di richiamo a stabilire se un mercato è quello giusto per accedervi. In realtà, la percentuale di imprese che vanifica sforzi economici per un’errata valutazione degli elementi alla base della loro scelta d’internazionalizzazione è del 32 per cento negli ultimi 5 anni, una cifra davvero alta se consideriamo il periodo di pesante crisi finanziaria che investe le pmi nazionali. «Si tende a scegliere un Paese - spiega l’international business manager, Bruno Carenini - perché garantisce un costo del lavoro più basso rispetto al nostro o perché promette contributi a fondo perduto, quasi sempre irraggiungibili. In realtà, elementi davvero importanti, quali verifica dei piani di programmazione quinquennali del Paese, occupazione, scolarizzazione, cultura, diritto del lavoro, per citarne solo alcuni, non vengono mai presi seriamente in considerazione».

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Quali i mercati internazionali oggi più promettenti? «La Cina oggi comincia ad affrontare qualche bolla finanziaria ma resta un Paese dalle forti potenzialità, considerando la sua estensione e forza demografica. Nei prossimi cinque anni, nell’area nord-orientale del Brasile, tra cui lo Stato del Cearà, sono previsti grandi investimenti infrastrutturali e leve di agevolazione finanziaria da parte governativa. L’India, nonostante i problemi valutari, presenta delle aree di sicuro interesse strategico, fortemente consigliate alle reti d’impresa o ai distretti di sub-fornitura. L’Angola, finora terra d’investimento brasiliano, portoghese e cinese, vede un piano di variazione della bilancia commerciale - oggi nutrita dai soli ricavi provenienti da estrazione e vendita di greggio - e prossimamente molti saranno gli investimenti industriali provenienti da diversi Paesi del mondo. Inoltre, cito la Turchia, il Marocco e la fascia balcanica come secondarie; ma oggi il mercato più appetibile a mio avviso resta quello russo, accompagnato dalla sola diffidenza al processo di riforme democratiche perennemente in corso e mai terminato». In che modo supporta gli imprenditori che vogliono attuare una strategia di internazionalizzazione? «Da venticinque anni mi occupo di politica istituzionale internazionale e strategie d’impresa nei mercati esteri. Ho realizzato quattro importanti distretti industriali italiani nel mondo aggregando la sub-fornitura. In virtù di questa esperienza sul campo, ascolto l’imprenditore per comprendere qual è la sua idea d’investimento in nuovi mercati e aiutarlo ad attuarla. Inoltre, credo che il processo d’internazionalizzazione non finisca con DICEMBRE 2013

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STRATEGIE BRUNO CARENINI

← Bruno Carenini, international business manager difficoltà emergono subito. Difficile poi ricomporre situazioni di rottura tra la direzione italiana e i dipendenti locali. Come affrontarli? Dedicando tempo alla valutazione e pianificazione di ogni singola fase progettuale». Quali sono le caratteristiche indispensabili perché un professionista possa attuare un valido progetto di

l’accensione dell’impianto, ma prosegua con un’attenta pianificazione in termini di comunicazione, relazioni istituzionali e sociali sul territorio». In quale fase si possono incontrare i maggiori ostacoli? Quali quelli più ricorrenti e come vanno affrontati? «Le fasi considerate ad alto rischio di fallimento sono due, entrambe riferite agli investimenti produttivi. La prima riguarda la fase di progettazione degli impianti produttivi. È ricorrente, nelle riunioni di valutazione del progetto, un punto di non ritorno. Gli italiani, nonostante assumano un atteggiamento politically correct, alla prima divergenza si irrigidiscono e sottintendono di essere i migliori. A volte pretendono di utilizzare un progetto fatto in casa, senza tener conto delle normative tecniche vigenti nel Paese e degli ingenti costi di un adeguamento. La seconda fase è quella della gestione risorse. Troppo spesso viene sottovalutata pensando alla sola mano d’opera ma, senza quadri e dirigenti preparati, le 56

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penetrazione in nuovi mercati? «Un professionista serio, ma lo dico pensando ai molti giovani che si avviano a questa professione, deve innanzitutto amare la conoscenza di culture differenti dalla propria. Interloquire con le persone, dagli studenti agli operai, dai manager ai politici o amministratori del Paese ove intende operare. Un Paese si studia ma soprattutto si vive. Solo così sarà facile mediare posizioni divergenti, influire sulle scelte di investitori, certi delle loro ragioni ma privi della sensibilità necessaria alla conoscenza della cultura locale. Indispensabili competenze di comunicazione, diritto internazionale, protocolli diplomatici, sociologia, nonché conoscenza delle metodologie di sviluppo d’impresa. Per lo specifico ci si accompagna sempre a professionisti di competenza legale, tributaria o fiscale, operare in team è sinonimo di successo». Qual è l’approccio giusto da adottare sui mercati internazionali? «La globalizzazione ha destrutturato le regole nei processi di internazionalizzazione, ha fatto emergere con prepotenza le nostre criticità e apprezzare valori che DICEMBRE 2013


LE FASI CONSIDERATE AD ALTO RISCHIO DI FALLIMENTO SONO DUE, ENTRAMBE RIFERITE ALL’INSEDIAMENTO PRODUTTIVO avevamo facilmente dimenticato. Oggi tutto può sembrare più complesso, ma serve solo la volontà di cambiare il nostro approccio al processo, ovvero la nostra cultura di espansione in mercati differenti dal nostro. Il made in Italy è appetibile ovunque, ma quando si esce dai nostri confini bisogna essere visibili, comunicare, uscire dall’isolamento. È indispensabile uno scatto d’orgoglio della nostra capacità produttiva e del know-how, ma soprattutto, è utile rivalutare l’uomo quale motore di veicolazione del prodotto, il quale da solo, seppur altamente qualitativo, non è più vendibile o competitivo. Promuovo ostinatamente il confronto, la cooperazione, la sinergia tra i miei clienti, li sfido a mettersi in gioco attraverso la creazione di reti d’impresa, oggi unico mezzo per conquistare opportunità nei mercati internazionali. Ecco l’approccio del futuro: uomini che escono dall’egoismo del profitto individuale per realizzare azioni destinate al profitto collettivo». \\\\\ RENATA GUALTIERI VALORE EXPORT

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FOCUS VENETO GIULIO PEDROLLO

GIOVANI ED EXPORT, LEVE PER LA CRESCITA

Rilancio del concetto di reputazione d’impresa e massima apertura all’innovazione e alle start up. Su questi valori s’incardina la mission di Giulio Pedrollo a tutela del tessuto industriale scaligero È uno degli alfieri più rappresentativi della nuova classe dirigente di quarantenni. Giulio Pedrollo, eletto il 13 maggio scorso alla presidenza di Confindustria Verona, succede ad Andrea Bolla e assume la guida dell’associazione per il quadriennio 20132017. Ingegnere e amministratore unico di un’azienda operante nel settore dell’energia sostenibile, nel suo mandato il neo leader degli industriali scaligeri conserverà la stessa cifra che in precedenza aveva contraddistinto la sua presidenza dei giovani imprenditori veronesi. «Sento di poter contare su un contesto forte – spiega – che sicuramente saprà supportarmi al meglio per l’intera durata del mio incarico». Qual è lo stato di salute del sistema industriale locale, anche rispetto al quadro sia regionale che

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nazionale? «Il nostro sistema si trova in una situazione difficile, nasconderlo non ha senso. Ma Verona sta sfruttando al meglio i propri punti di forza e ha dimostrato una buona tenuta. Pensiamo ad esempio alla nostra propensione all’internazionalizzazione e allo scambio con l’estero o alla presenza di settori produttivi anticiclici. Sono queste le caratteristiche su cui poggiamo saldamente. Del resto ci sono anche dati confortanti, come il 4,4 per cento di disoccupazione nella nostra provincia, un terzo di quello nazionale. Mi sembra lo specchio migliore della nostra forza. Pur in un contesto difficile gli imprenditori veronesi si sono mostrati capaci non solo di resistere, ma soprattutto di reagire». Quali saranno i punti chiave della sua agenda? «Ci sono temi urgenti nell’agenda di chiunque si trovi oggi a rappresentare le imprese: il credito, il costo del lavoro e la burocrazia. Ma per caratterizzare i progetti del mio quadriennio ho scelto di concentrarmi su alcune tematiche. Una su tutte è la reputazione d’impresa. Per il mondo imprenditoriale è determinante sia prendere coscienza di quanto le aziende italiane hanno saputo esprimere dal dopoguerra a oggi in tema di innovazione, qualità, dedizione al lavoro e impegno sociale, sia imparare a comunicare questo valore che, a mio avviso, rappresenta un inestima-

← Giulio Pedrollo, presidente di Confindustria Verona

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bile fattore di competitività». Lei ha già guidato il gruppo dei giovani imprenditori di Verona. Come spenderà quest’esperienza nell’attenzione alle nuove leve veronesi? «I giovani e le start up sono essenziali, da un lato, per mantenere vivo un tessuto produttivo e, dall’altro, per offrire gli stimoli che mancano alle imprese mature. Nella mia attività di imprenditore ho avuto modo di ospitare in azienda un giovane e aiutarlo a sviluppare la sua idea d’impresa nel settore delle lampade a led. Questa esperienza mi ha dimostrato che per un imprenditore in erba poter avere una sede e dei supporti fisici, come internet, telefono, fax, ma anche un confronto continuo con chi l’impresa già la vive, è una ricchezza che va ben oltre il valore materiale delle cose. Per la mia azienda invece ha rappresentato uno stimolo e un nuovo settore in cui potremmo inserirci e crescere. L’adozione di start up innovative può essere un’occasione concreta di rilancio per molte aziende in difficoltà o a rischio sparizione». Come favorire la proiezione internazionale delle

MACROREGIONE ED EUROPA, LE SFIDE DEL VENETO li Stati nazionali hanno fallito, le ag-

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gregazioni, quindi le macroregioni no». Così ha detto il governatore del Veneto,

Luca Zaia, a margine dell’incontro avvenuto a Grenoble lo scorso ottobre per discutere sulla Strategia europea per la macroregione alpina da parte di Stati e Regioni. Proprio quello della Macroregione e dei rapporti con gli Stati vicini è da sempre uno dei temi più dibattuti dal presidente Zaia, che qui affronta la

2,2 mld

Export Il valore complessivo registrato dalle esportazioni veronesi nel primo trimestre 2013. Perso l’1,5% rispetto all’anno precedente

questione dell’ingresso della Croazia nell’Ue. Da luglio la Croazia è ufficialmente entrata a fa parte dell’Unione europea. Quali sono le positive ripercussioni che si attende? «Sono da sempre favorevole all’ingresso della Croazia nell’Ue e mi sono battuto perché ciò accadesse. L’ho sostenuto anche quando ho assunto la presidenza dell’Euregio, auspicando che la macroregione con la Carinzia si allargasse proprio alla Croazia e alla Slovenia. Considero i croati fratelli di sangue. L’Istria croata parla veneto. Adesso il percorso che ci attende è quello di individuare quello che possiamo fare insieme, migliorando le nostre relazioni commerciali». La richiesta da parte della Regione di frenare la piena attuazione della libera circolazione dei cittadini croati in Italia può però rischiare di innervosire il dialogo tra i due paesi? «Il Veneto conta oggi oltre 150mila disoccupati, il 25 per cento di disoccupazione giovanile e i Neet (giovani inattivi che non studiano né lavorano o si stanno formando, ndr) sono circa 122mila; in questo difficile contesto, è nostro compito tutelare i

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FOCUS VENETO GIULIO PEDROLLO

Luca Zaia presidente della Regione Veneto

lavoratori dei nostri territori. Ho scritto al presidente Letta con l’obiettivo di mettere sul tavolo un problema reale: quello della forza lavoro a basso costo che potrebbe arrivare dalla Croazia in Veneto. Si tratta di un potenziale fattore di criticità per chi cerca un’occupazione qui da noi, soprattutto per i nostri giovani. Io continuerò a battermi perché questa opportunità di lavoro per i nostri ragazzi sia salvaguardata e perché sul versante del nostro mercato occupazionale non si riversi questo ulteriore fattore negativo e destabilizzante». La presidente del Friuli Venezia Giulia, Debora Serracchiani, privilegia l’asse dell’Euregio alla creazione della macroregione. Cambia qualcosa nel piano di attuazione? «Rimango convinto che la vera sfida sia quella della macroregione, che non è un’operazione della politica. Essa è riconosciuta come soggetto giuridico sia a livello comunitario che nazionale. Ho sempre manifestato la mia piena disponibilità a dialogare con il Friuli Venezia Giulia. L’Euroregione non è altro che un allargamento della macroregione, che si estende così più a est». 62

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aziende scaligere? «Quest’ultima fase della crisi ci dimostra che solo chi internazionalizza resta sul mercato. La domanda interna è ferma, se non in calo, e le prospettive migliori vengono dai Paesi extra Ue. Le imprese veronesi hanno una buona propensione all’internazionalizzazione, ma ci sono ancora delle resistenze, per lo più culturali, soprattutto da parte delle realtà più piccole. Ed è proprio su attività mirate per le pmi che intendo lavorare. Non intendo organizzare missioni imprenditoriali esplorative, ma punterò prevalentemente alla concretezza di incontri d’affari o alla costruzione di reti ed accordi con potenziali partner». Lei attribuisce una grossa responsabilità della crisi al deficit di cultura industriale. Nel vostro territorio come la incoraggerete? E quali misure si augura in tal senso dal fronte politico? «Purtroppo ce ne rendiamo conto ogni giorno. Il nostro Paese non ha ancora preso coscienza del fatto che solo il sistema produttivo può far rimettere in moto i consumi o far sì che si riduca il debito pubblico. E non perché l’impresa abbia poteri magici, ma perché produce ricchezza, genera lavoro e di conseguenza introiti fiscali. Perciò è essenziale rimettere al centro della politica l’impresa. I temi all’ordine del giorno ormai li conosciamo tutti e li ho trovati anche nelle parole del presidente Letta e del ministro Zanonato all’ultima assemblea di Confindustria. Sono stati entrambi molto concreti e focalizzati sulla questione industriale: ora, però, è il tempo dei fatti e su quelli esprimerò il mio giudizio». \\\\\ GIACOMO GOVONI DICEMBRE 2013



FOCUS VENETO MARIALUISA COPPOLA

«O SI FA SVILUPPO O SI IMPLODE» Interventi di stabilizzazione patrimoniale nel breve periodo e fondi d’investimento allargati per progetti di ricerca a lunga gittata. Marialuisa Coppola illustra le iniziative della Regione a sostegno del sistema produttivo o spirito imprenditoriale è un ingrediente che al Veneto non ha mai fatto difetto. Ma se nel corso degli anni il sistema economico regionale si è imposto come modello, lo deve anche a una stretta sinergia alimentata nel tempo fra aziende, istituzioni e lavoratori non sempre rintracciabile in altre aree. Un punto di forza a cui tutti gli operatori territoriali devono appellarsi, soprattutto oggi che la fotografia dell'economia veneta, scattata da Unioncamere al secondo trimestre 2013, registra sì un arresto di caduta, ma avverte come diversi indicatori - occupazione e mercato interno in primis - destino ancora preoccupazioni. «Per questo - spiega l'assessore regionale all'economia, Marialuisa Coppola abbiamo creato strumenti per informare delle opportunità messe in campo, fra cui una newsletter inviata a decine di migliaia di imprese, nonché il numero verde 800.177.750». Al contempo, però, ci sono da sciogliere nodi come quello occupazionale, in flessione dell'1,2 per cento su base annua, secondo Unioncamere. «La mera lettura dei dati, per lo più ancora negativi, deve essere accompagnata da una visione strategica

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↗ Marialuisa Coppola, assessore all’economia e sviluppo, ricerca e innovazione del Veneto

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del Veneto, almeno nel prossimo decennio. Un imprenditore investe, e quindi crea opportunità, se è convinto che il futuro, anche se non nell'immediato, disegnerà traiettorie di sviluppo. Quindi, come Regione stiamo lavorando su due livelli: nel breve periodo, con l'ampio utilizzo di ammortizzatori sociali quali la cassa integrazione guadagni in deroga, e con strumenti che favoriscono la liquidità alle imprese per esigenze di capitale circolante; nel medio periodo, con interventi strutturali che riguardano le infrastrutture di ricerca, gli investimenti per l'innovazione, il rafforzamento patrimoniale e la crescita culturale delle nostre imprese». Da qualche tempo la Regione ha annunciato l'attivazione di percorsi di finanza agevolata a favore DICEMBRE 2013


delle imprese. Quali sono già operativi? «In collaborazione con la finanziaria regionale Veneto Sviluppo, le banche e i consorzi fidi, abbiamo messo a punto importanti strumenti finanziari. Abbiamo allargato l'operatività dei fondi di rotazione di oltre 600 milioni di euro, includendo anche il microcredito e finanziamenti per esigenze di liquidità a breve, ad esempio nel caso di crediti non riscossi o di contratti che generano fabbisogni per l'acquisto delle materie per realizzare i prodotti. Ricordo anche un'iniziativa appena avviata, che facilita le garanzie concesse dai confidi attraverso operazioni di riassicurazione pubblica. Grazie all'effetto leva, si potranno attivare circa 750 milioni di euro di finanziamenti assistiti da garanzia. Consultando www.piucredito.veneto.it, appositamente creato, si trovano tutte le informazioni». Lei ha sempre messo in risalto il tema dell'innovazione come leva di rilancio del sistema produttivo regionale. Con quali iniziative regionali lo supportate? «La Regione negli ultimi due anni ha stanziato circa 17 milioni di euro per finanziare imprese che realizzino progetti di ricerca in collaborazione con università e VALORE EXPORT

17 mln

Euro La somma stanziata nell’ultimo biennio dalla Regione per finanziare imprese che realizzino progetti di ricerca con università e laboratori

laboratori pubblici e privati, incentivando così lo scambio di conoscenze tra mondo economico e accademico. Con Unioncamere e Confindustria abbiamo realizzato “Innoveneto”, portale online che consente la mappatura dei centri di ricerca sul territorio. Abbiamo, inoltre, istituito da poco, a favore delle pmi che innovano, contributi a fondo perduto e agevolazioni finanziarie con l'utilizzo di fondi di rotazione, con un plafond di circa 20 milioni di euro». A livello regionale ci sono strumenti che possano favorirne l'ingresso e la stabilizzazione dei giovani nel mercato del lavoro? «Abbiamo molto a cuore i giovani e il loro futuro, che è poi il futuro della nostra società. Ecco perché da DICEMBRE 2013

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ANCHE LA NUOVA PROGRAMMAZIONE EUROPEA 2014-2020 INDIVIDUA TRA LE AZIONI TRAINANTI LA CREAZIONE DI NUOVI POSTI DI LAVORO A FAVORE DEI GIOVANI tempo è operativa una policy in favore di futuri imprenditori, attraverso il programma di formazione e informazione per l'imprenditoria giovanile e femminile. Una strumentazione “a sportello” che prevede un contributo in conto capitale, assieme a un finanziamento agevolato, e alcuni bandi finanziati con risorse comunitarie. L'ultimo, aperto a febbraio 2013, ha registrato in pochi giorni la richiesta di oltre 500 nuove imprese formate da giovani, per circa 14 milioni di contributi e 28 milioni di investimenti, cui abbiamo in breve dato risposta positiva. Anche la nuova programmazione europea 2014-2020 individua tra le azioni trainanti la creazione di nuovi posti di lavoro a favore dei giovani, anche per evitare la cosiddetta fuga dei cervelli». Come si riflette questa linea d'azione comunitaria sul vostro territorio? «Con iniziative di sostegno che mettono a disposizione oltre 5 milioni di euro risorse europee. L'ultimo bando, gestito a sportello, si è chiuso ad agosto e ha visto la presentazione di oltre 200 domande da parte di imprese. Ogni impresa ha avuto 66

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la possibilità di assumere un giovane ricercatore con un contratto di almeno 12 mesi per attività di ricerca. Considerato il successo di tale iniziativa, è in programma già per la fine di quest'anno lo sblocco di ulteriori risorse finanziarie per procedere con analoghe misure pensando anche a forme contrattuali di più lunga durata». Tra le politiche adottate di recente dal governo, quali considera favorevoli al rilancio dell'economia? «È assolutamente prioritario abbattere il cuneo fiscale, nonché ridurre la tassazione sulle imprese. Ogni azione orientata alla ripresa economica è ben accetta, tuttavia ritengo che le politiche per le piccole imprese debbano essere attuate dalle Regioni, in un quadro di coordinamento, in quanto enti più vicini al territorio. Non ha senso che il governo metta in campo risorse, peraltro insufficienti per l'intero territorio nazionale, allo scopo di volerle gestire a livello centrale. Il Veneto ha già dimostrato di saper spendere le risorse assegnate in maniera veloce ed efficace: siamo pronti a svolgere un ruolo ancora più importante». \\\\\ GIACOMO GOVONI DICEMBRE 2013


FOCUS VENETO LUIGI SCHIAVO

L’EDILIZIA CHIEDE PIÙ ELASTICITÀ Guardare fuori dai confini nazionali oggi è fondamentale per continuare a stare sul mercato, ma la ripresa dell’edilizia passerà dal rilancio della domanda interna. Così come il futuro del Paese, secondo Luigi Schiavo, è legato alla crescita dei consumi e degli investimenti l settore delle costruzioni non è certo immune dalla crisi, ma non ci sarà ripresa senza il rilancio di questo comparto. «È ormai un assunto che risponde a un dato di fatto» commenta il presidente Ance Veneto, Luigi Schiavo, facendo il punto della situazione a livello regionale. «Gli Stati Uniti hanno dato grande rilevanza agli investimenti in infrastrutture e in opere pubbliche. Ora ne stanno raccogliendo i frutti. Così è stato fatto in molti paesi dell’Ocse all’inizio della crisi. In Italia questo capitolo è stato colpevolmente trascurato, solo di recente sono state assunte dal governo decisioni importanti». Quali a suo avviso? «L’anticipazione del 10 per cento nei lavori pubblici, l’eliminazione dell’Imu, la conferma dei bonus sulle ristrutturazioni, il piano casa per le giovani coppie. La vera ripresa passerà soltanto dal rilancio della domanda interna. Obiettivo che può essere raggiunto attivandosi nell’immediato su tre importanti fronti: la riformulazione dei vincoli del patto di stabilità, la riduzione delle imposte sul lavoro e un accesso al credito più facile. Senza liquidità è difficile che le imprese possano programmare investimenti e garantire occupazione». Cosa fare per contrastare il credit crunch? «Occorre che le banche diventino più elastiche nella concessione del credito e si decidano a sostenere concretamente il sistema produttivo. Oggi paghiamo lo scotto di un sistema che in passato ha concesso credito con troppa facilità». Quale appello si sente di fare agli istituti di credito

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↑ Luigi Schiavo, presidente di Ance Veneto

regionali? «Essere più flessibili e pronti nelle risposte. Si dice di no con troppa facilità, e spesso con poca chiarezza. Le imprese devono imparare ad adeguarsi a maggiori accorgimenti di bilancio, ma gli istituti di credito devono una volta per tutte garantire procedure rapide, certe e chiare. Ci vuole più attenzione verso i giovani e le nuove famiglie che vogliono acquistare casa. I dati ci dicono che la richiesta per la prima abitazione è ancora alta. In passato si è costruito troppo e male da un punto di vista urbanistico, ma non c’è mai stata una bolla speculativa. I criteri di sviluppo devono necessariamente cambiare, e ci sono ampi margini di intervento. Ad esempio, si DICEMBRE 2013

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FOCUS VENETO LUIGI SCHIAVO

I DATI CI DICONO CHE LA RICHIESTA PER LA PRIMA ABITAZIONE È ANCORA ALTA

potrebbe partire dal recupero del parco immobiliare più vecchio, scuole ed edifici pubblici in primis, e dall’adeguamento energetico degli stessi». Quali i principali problemi affrontati dalle imprese? «Un problema molto sentito è quello legato ai ritardi di pagamento della pubblica amministrazione. Ancora oggi non si sa quanto il decreto “sblocca crediti”, riuscirà effettivamente a mobilitare. I meccanismi di anticipazione del credito da parte delle banche non sono stati fin qui favorevoli alle aziende, costrette a sostenere gli interessi sulle somme anticipate. Più del saldo per i lavori già eseguiti, preoccupa la prospettiva degli investimenti. Senza nuovi lavori le imprese sono comunque destinate a chiudere i battenti». 68

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Il sistema dei confidi in che misura può rappresentare uno strumento per combattere il credit crunch? «Il sistema dei confidi ha consentito alle aziende meno strutturate di accedere più facilmente al credito, ma essi svolgono funzioni di garanzia, a dover prestare denaro sono sempre le banche. Ci possono essere altre soluzioni, l’Ance ha proposto l’emissione di specifici bond destinati a pochi e selezionati investitori istituzionali da destinare esclusivamente al finanziamento dei mutui prima casa per le giovani coppie. Per quanto riguarda le imprese guardiamo con attenzione alla recente costituzione di una Sgr unica tra Veneto e Friuli Venezia Giulia che sia in grado di aumentare la capacità di raccolta di risorse con cui sostenere il sistema produttivo del territorio». \\\\\ RENATA GUALTIERI DICEMBRE 2013



FOCUS VENETO FRANCO ANTIGA

TRAIT D’UNION DA ESPORTAZIONE Arrivare in un altro paese per fare affari non è sempre facile. È per questo che gli istituti di credito sempre più spesso fungono da collettore tra diverse realtà n un’ottica di risposta e attenzione al cliente, diventa ↑ Franco Antiga, vicepresidente di Veneto Banca necessario offrire ciò di cui quest’ultimo ha bisogno.

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E in un momento di forte tendenza all’export, la necessità non può che essere quella di un’assistenza nelle proprie attività all’estero. Su questo fronte, Veneto Banca è stato uno dei primi istituti a capire la por-

tata del fenomeno e per questo molto presto si è impegnato a facilitare le procedure e le modalità di accesso agli strumenti di agevolazione e supporto. Nello scegliere l’area geografica su cui scommettere maggiormente per i propri progetti di internazionalizzazione, il Gruppo ha puntato sull’Europa dell’est. Di certo ha influito fortemente il momento storico in cui tutto questo è avvenuto. Infatti, è attorno al 2000 che Veneto Banca ha iniziato a porsi l’obiettivo di fare finanza vicino alle imprese italiane e di esplorare al contempo le potenzialità di crescita dei Paesi nei quali si trovava a operare. Lo spiego meglio Franco Antiga, vicepresidente del Gruppo creditizio. Quali sono oggi i progetti per l’internazionalizzazione della banca? «Il sostegno alle imprese che internazionalizzano è un’at- centemente siglato numerosi accordi con realtà specializtività che il Gruppo svolge da tempo. Grazie all’esperienza zate nell’internazionalizzazione».

maturata negli anni e all’attenzione costante alle esigen-

Uno di questi riguarda Sace. Quali i vantaggi e le pro-

ze delle pmi, oggi siamo in grado di offrire un servizio in- spettive per le imprese? novativo. Nono offriamo solo prodotti tradizionali, come an- «L’intesa tra Veneto Banca e Sace prevede un plafond di 20 ticipi export, finanziamenti per fiere e manifestazioni oltre milioni di euro dedicati a finanziamenti a medio e lungo terconfine, apertura di rapporti con banche corrispondenti o mine per progetti di internazionalizzazione. L’accordo unigaranzie internazionali, ma anche consulenza specializza- sce la presenza capillare nel territorio del Gruppo Veneto Banta e percorsi formativi per le aziende che intendono aprir-

ca e l’expertise di Sace nell’assunzione di rischi. Il risultato è

si ai mercati internazionali. A questi si aggiungono stru- un sostegno concreto alle esigenze di liquidità non adementi di trade finance, di grande utilità per le aziende che guatamente soddisfatte delle pmi, che possono quindi afesportano, soprattutto nei mercati extra Ue. Con l’obietti- frontare con maggiore tranquillità il rischio Paese e quello vo di ampliare questi servizi, inoltre, Veneto Banca ha re- legato alla solvibilità della controparte estera». 70

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Avete scelto di puntare sull’Est Europa. Quali le ragioni bank in Moldova mettono a disposizione dei nostri ime come stanno reagendo aziende e territorio?

prenditori tutti i servizi e l’assistenza necessari per operare

«Siamo stati tra i primi a capire l’importanza che la deloca- in quattro Paesi dalle grandi potenzialità. Oltre ai presidi nellizzazione stava assumendo per i nostri imprenditori, ac- l’Est Europa, Veneto Banca offre assistenza professionale atcompagnandoli prima in Romania e successivamente in Mol- traverso la partecipata Sintesi 2000, con uffici a Hong Kong davia, Croazia e Albania. Oggi le controllate Banca Italo Ro- e Shangai, e grazie ai servizi My export friend e My intermena, Veneto Banka Croazia, Veneto Banka Albania ed Exim- national friend, portali che assistono e facilitano l’attività con le controparti estere, sia a livello informativo, sia con servizi e prodotti specifici. I numeri dimostrano la forte propensione delle imprese nazionali a lavorare con l’estero. Lo dimostrano anche le recenti stime di Unioncamere: ci sono circa 70mila imprese che sarebbero pronte a varcare i confini nazionali, ma non si sono ancora decise. È nei loro confronti che stiamo focalizzando la nostra attenzione». Come vi rapportate con le aziende estere che in quei Paesi vogliono lavorare e investire insieme alle aziende italiane? «Una delle funzioni più importanti è quella di fare da collettore tra le imprese italiane che vogliono lavorare all’estero e le imprese estere che vogliono lavorare in Italia. Sono un esempio in questa direzione il recente accordo con Ireipe, l’Istituto relazioni economiche Paesi dell’Est, che si occupa di svolgere attività finalizzate allo sviluppo dei rapporti commerciali, industriali, agricoli e finanziari con la “nuova Europa” e la partecipazione dell’Istituto a Matching 2013, appuntamento imperdibile per le imprese che vogliono guardare ai mercati esteri, internazionalizzare, fare sistema e innovazione. Inoltre, indirettamente, tutto ciò che è rivolto al rafforzamento dei fattori competitivi delle pmi, italiane ed estere, si può riflettere in modo positivo sulla loro propensione a internazionalizzare. I recenti finanziamenti dedicati al mondo-impresa spingono verso la strada dell’innovazione di processo e di prodotto, due fattori strategici per aumentare la competitività e agganciare la corrente della crescita mondiale». \\\\\ TERESA BELLEMO

SETTANTAMILA IMPRESE SAREBBERO PRONTE A VARCARE I CONFINI NAZIONALI. È NEI LORO CONFRONTI CHE STIAMO FOCALIZZANDO LA NOSTRA ATTENZIONE VALORE EXPORT

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CINA IL SISTEMA FIERISTICO DI PECHINO

PECHINO, LA FIERA DEL DRAGONE La capitale cinese si conferma come uno dei poli fieristici maggiormente attrezzati e strategici non solo per il mercato interno, ma anche per gli scambi internazionali e fiere rientrano fra gli strumenti di promozione all’estero maggiormente utilizzati dalle imprese italiane. Identificano, infatti, strategiche occasioni di contatto e di individuazione di partner e fornitori, con l’obiettivo di intercettare nuovi clienti. Se questo è vero per tutti i mercati stranieri, è altrettanto vero che sul mercato cinense questa scelta acquista un ulteriore valore aggiunto. Per quanto certamente costoso, partecipare a una rassegna fieristica in Cina permette, infatti, di accedere a un mercato esteso e in crescita come quello asiatico, toccando con mano le dinamiche che caratterizzano questa realtà, ad esempio sul fronte del costo del lavoro. Molti sono i centri nevralgici del sistema fieristico cinese: Hong Kong, Shanghai, Shenzen, Guangzhou, Chongqing e Tianjin, ma la capitale Pechino occupa un ruolo naturalmente cruciale, ospitando alcuni degli appuntamenti fieristici più importanti dell’intero continente, come ad esempio l’International Book Fair, il principale appuntamento per lo scambio dei diritti d’autore nell’area asiatica (al quale hanno partecipato nell’edizione 2013 undici aziende italiane), la Fiera Internazionale per il turismo d’affari e del tempo libero (Bite), Alpitec China (fiera della tecnologia alpina), Chic e il Woodworking Machinery and Furniture. Pechino è dotata di numerose strutture all’avanguardia per ospitare fiere, convention, conferenze e incontri d’affari: dalla prima autentica sede congressuale di livello di Pechino, il Beijing Exhibition Center (Bec), aperto nel 1954, al Beijing International Convention Center, che nel 2002 ha accorpato anche il Beijing Continental Grand Hotel; dal China National Convention Center (Cncc), eredità dell’organizzazione dei Giochi Olimpici nel 2008 (quando ospitava il centro stampa, il centro trasmissioni e le gare di scherma) al New China International Exhibition Center (Nciec), sede fieristica per eccellenza della capitale che accoglie i trade show e le fiere con i numeri più elevati, quelli a più estesa partecipazione internazionale. \\\\\ LEONARDO TESTI

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CHIC E WMF, CHANCE PER IL MADE IN ITALY

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hic (China international clothing and accessories fair) è una delle manifestazioni fieristiche più grandi e soprattutto più influenti per quanto ri-

guarda il settore moda in Asia. Oggi giunta alla sua 22esima edizione, Chic si svolgerà dal 26 al 29 marzo 2014 nel New China International Exhibition Center di Pechino, in un’area espositiva che supera i 100mila metri quadrati. Anche l’edizione 2014, oltre ai padiglioni dedicati a moda donna, uomo, bambino, abbigliamento casual, pelli e pellicceria, prevede uno spazio riservato agli espositori stranieri. Questa fiera business to business, che attrae oltre 1000 brand cinesi e internazionali, rappresenta per i player dell’industria del fashion un’ideale piattaforma di scambio e comunicazione che permette di recepire le nuove tendenze e, soprattutto per i marchi internazionali, di accedere al mercato cinese estendendo lo spettro dei mercati di riferimento. Sono state 73 le aziende italiane (produttrici di 89 marchi) che hanno partecipato alla collettiva che l’Ice ha organizzato per la 21esima edizione di Chic, svoltasi a marzo 2013. In una fiera ormai ampiamente internazionalizzata, le imprese italiane del settore possono dire la loro. Altrettanto significativo è l’appuntamento con WMF 2014 - Woodworking

Machinery

and

Furniture

Manifacturing

Equipment, un evento in Asia per l’industria del legno che si terrà dal 25 al 28 febbraio prossimi, sempre nel China International Exhibition Center di Pechino. Di carattere biennale, la fiera espone macchinari per la lavorazione del legno e del mobile, materiali e accessori per mobili, prodotti in legno ed ecologici, prodotti e materiali decorativi; per l’edizione 2014 si attendono più di 600 espositori e oltre 30mila visitatori. Sostenuta da Eumabois, la federazione europea che raccoglie gli interessi di 13 associazioni nazionali e oltre 800 produttori europei di tecnologie e attrezzature per l’industria del mobile e del legno, WMF si contraddistingue per la partecipazione di buyer provenienti da oltre 75 paesi del mondo. FD

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CINA CESARE ROMITI

TERZO MILLENNIO MISSIONE CINA

Gli imprenditori italiani che accettano la sfida del mercato cinese aumentano. La Fondazione Italia Cina le accompagna in un percorso non sempre facile l governo cinese ha selezionato sette settori strategici che faranno da pilastro allo sviluppo di una nuova struttura industriale del Paese nei prossimi anni. Risparmio energetico e protezione ambientale, tecnologie informatiche di ultima generazione, biotecnologie, produzione di macchinari avanzati, energie alternative, nuovi materiali e veicoli ecologici. Sono questi, dunque, i settori che gli imprenditori italiani intenzionati a entrare nel mercato cinese dovranno presidiare. Ne è convinto Cesare Romiti, alla guida della Fondazione Italia Cina, il quale sottolinea quanto quel Paese costituisca molto più spesso una risorsa piuttosto che una minaccia. «Nel corso di questi anni la Fondazione ha organizzato decine di eventi per mostrare le opportunità che derivano dalla crescita cinese e conferire visibilità ai casi di successo delle nostre imprese in Cina». Quali sono, dunque, le potenzialità dell’interazione tra Italia e Cina? «Dal punto di vista del mercato, secondo i dati che ogni anno elabora il nostro centro studi, le prospettive di crescita per le imprese estere continuano ad aumentare. Nello specifico vediamo che, rispetto al 2012, il valore dell’export italiano in Cina è cresciuto del 3,8 per cento nei primi 7 mesi del 2013. Da un punto di vista culturale, registriamo una sempre maggiore attenzione allo studio della lingua e della cultura cinese sia da parte di studenti che di professionisti e imprenditori. La nostra scuola di formazione permanente lavora proprio su questo, assicurando una proposta didattica di qualità e su misura». In che modo sta cambiando il sistema econo-

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↑ Cesare Romiti, presidente della Fondazione Italia Cina

mico-sociale cinese? «Le imprese straniere devono fare i conti con il momento di transizione politica di questi ultimi mesi, continuando però a guardare al Dodicesimo piano quinquennale, che dice molto sulle linee di sviluppo economico e sociale dei prossimi anni e può perciò fare da guida per gli investimenti. Diffuso nel gennaio 2011, il piano concentra l’attenzione sulla continua urbanizzazione del Paese e su un minore affidamento dell’economia nazionale alle esportazioni e agli investimenti in capitale fisso. In questo senso, dal punto di vista macroeconomico, si andrà a ridurre il deficit tra Cina e Italia, in quanto le imprese cinesi saranno più orientate ai consumi interni. Cresceranno, dunque, le opportunità per le aziende che esportano in Cina, ma anche per le aziende insediate su altri mercati che hanno sofferto la concorrenza cinese in passato». In quali settori specifici l’Italia dovrebbe scommettere di più? «I settori più interessanti sono quelli delle energie pulite, del terziario e della sanità. Una strategia vinDICEMBRE 2013


+3,8%

Export L’aumento tendenziale delle esportazioni italiane verso la Cina nei primi 7 mesi del 2013

GLI ASPETTI PIÙ CRITICI DEL MERCATO CINESE SONO LE DIFFERENZE LINGUISTICHE E CULTURALI

cente è concentrarsi sulla fascia alta del mercato e sulle nicchie. Non è più possibile pensare di servire il mercato cinese senza una presenza commerciale diretta, quindi il tema dell’export è direttamente legato a quello degli investimenti diretti. Anche il posizionamento territoriale è fondamentale: entro il 2035, in Cina, oltre un miliardo di persone vivrà in 600 città, con un aumento della popolazione urbana di circa 340 milioni di abitanti. Sicuramente le nostre imprese devono essere pronte a modificare le proprie strategie in funzione dei cambiamenti che la Cina sta attraversando». I cinesi come vedono l’impresa italiana? «L’Italia per i cinesi è il paese del gusto, della bellezza e della qualità: la nostra tecnologia è un’eccellenza che dobbiamo proteggere e diffondere. E in Cina questa nostra capacità viene riconosciuta e apprezzata, soprattutto in alcuni settori, come quello dei macchinari avanzati. Ma ci sono anche gli aspetti negativi. Le nostre aziende scontano un approccio poco pragmatico al mercato, dovuto alla frammentazione del “sistema Italia”, ciò penalizza i nostri imprenditori che purtroppo VALORE EXPORT

faticano a essere supportati dalle istituzioni». Per un imprenditore italiano quali sono le maggiori difficoltà, non solo economiche, ma anche culturali, nel penetrare il mercato cinese? «Gli aspetti più critici sono la violazione della proprietà intellettuale, le differenze linguistiche e culturali, le difficoltà nel trovare adeguati partner locali e gli aspetti legati alla burocrazia. Da un punto di vista culturale è fondamentale per i nostri imprenditori essere debitamente preparati. Come mi piace ripetere, una corretta interpretazione del mercato cinese parte da una corretta interpretazione della realtà cinese». Oltre alla formazione, quali sono gli altri aspetti su cui puntare? «Una strategia da non sottovalutare è quella delle risorse umane: un’impresa italiana che desidera avere successo in Cina deve mettere in conto che il management locale è fondamentale per poter comprendere il consumatore cinese, prendere decisioni in tempi rapidi e condurre in modo appropriato le relazioni politiche con le istituzioni cinesi». \\\\\ TERESA BELLEMO DICEMBRE 2013

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TESSILE BRUNO AMOROSO

IL FUTURO È NELLA TRACCIABILITÀ Il sistema di certificazione Traceability & Fashion permette di attestare provenienza, storia e qualità dei prodotti italiani. Lo spiega Bruno Amoroso

→ Bruno Amoroso, presidente del Comitato filiera moda di Unionfiliere

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arantire ai consumatori la massima trasparenza nella catena di produzione, valorizzando i prodotti delle filiere moda e oro italiane. È l’obiettivo del progetto “TFashion - Traceability & Fashion”, promosso da Unioncamere e gestito da Unionfiliere (l’Associazione delle Camere di Commercio per la valorizzazione delle filiere del made in Italy). Bruno Amoroso, presidente del comitato filiera moda di Unionfiliere, traccia un primo bilancio dell’iniziativa, che mostra positive ricadute per la tutela e la promozione del sistema fashion italiano sui mercati internazionali. Quante aziende in Italia hanno già puntato sulla tracciabilità volontaria? «Credo di poter dire che la scommessa che avevamo fatto nel 2009, lanciando il progetto “TFashion – Traceability & Fashion”, è stata vinta. Il bilancio è estremamente positivo, specie se consideriamo il difficile momento economico in cui l’iniziativa ha visto la luce. Infatti, nonostante le imprese siano impegnate, in primo luogo, a fronteggiare la crisi, TFashion è stata accolta con estremo favore. Segno evidente che sta crescendo tra gli operatori la consapevolezza che un’informazione completa e trasparente verso il consumatore costituisce un fattore premiante. Al momento, sono oltre 200 le imprese che hanno ottenuto la certificazione. Ciò significa che, essendo previste verifiche anche presso i fornitori e i contoterzisti, sono state verificate oltre 1.200 aziende». Questa etichetta di qualità rappresenta per il tessile e l’abbigliamento un valore aggiunto sui mercati internazionali? «In un mercato sempre più complesso e globalizzato, con una crescente consapevolezza da parte del consumatore, la possibilità per un’impresa di far certificare da un ente terzo, come sono per definizione le Camere di commercio italiane, l’origine delle diverse fasi del processo produttivo, costituisce senza dubbio un “plus” molto apprezzato all’estero, forse ancor più che nel nostro Paese. A testimonianza di ciò, vi sono le numerose richieste di traduzione dell’etichetta TFashion in inglese, giapponese, tedesco, cinese, nonché il successo delle diverse iniziative di presentazione e promozione del progetto, realizzate grazie anche all’impegno di Unioncamere e delle Camere di commercio all’estero. In particolare, desidero ricordare le conferenze stampa tenute a Berlino,

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Mosca, New York e le missioni di operatori e opinion leader stranieri in Italia per incontrare le imprese di quello che mi piace chiamare il “sistema TFashion”». Basterà questo sistema ad arginare la contraffazione e l’Italian sounding anche nel tessile e nell’abbigliamento? «Certamente, l’iniziativa TFashion da sola non basta, ma garantisce al consumatore un’informazione esaustiva e chiara, offrendo così alle imprese un ulteriore e valido strumento per contrastare questa concorrenza sleale. Ritengo che anche la proposta di regolamento comunitario che prevede l’obbligatorietà dell’indicazione di origine dei prodotti, attualmente all’esame del Parlamento e del Consiglio europei, vada in questa direzione e, pertanto, mi auguro possa essere approvata in tempi brevi. Ciò nonostante, rimane di primaria importanza l’azione contro la contraffazione e l’abusivismo commerciale da parte dei competenti organi dello Stato e dalle forze dell’ordine. Proprio per questo, Unionfiliere, insieme all’intero sistema camerale, collabora attivamente con la Direzione generale per la lotta alla contraffazione del ministero dello Sviluppo economico». Sono previste ulteriori azioni? «L’iniziativa TFashion è centrale nell’attività del Comitato moda di Unionfiliere. Oltre a una sua ulteriore diffusione DICEMBRE 2013

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Imprese Le aziende che hanno scelto la trasparenza della tracciabilità volontaria ottenendo la certificazione TFashion, di cui 168 nel settore moda

tra le imprese, il Comitato sarà impegnato nella promozione del progetto sia sul mercato interno che internazionale, insieme al rafforzamento della community delle imprese tracciate TFashion. A questo scopo, sono state individuate tre aree di intervento: quella della comunicazione, cioè la progettazione e realizzazione di materiale multimediale divulgativo avendo come riferimento target diversi (aziende, Camere di Commercio, Istituzioni, media, consumer e stakeholder) e l’utilizzo degli strumenti offerti da internet (portale TFashion, social network, ecc.); quella delle aziende, ovvero quelle attività rivolte alle imprese sia per diffondere il valore della certificazione TFashion sia per fidelizzare le aziende certificate offrendo supporto e valorizzando il concetto di “community”; e, infine, quella dei progetti, cioè la creazione di sinergie con diversi attori operativi a livello locale o nazionale, la promozione del valore della certificazione su specifici target di aziende e l’interazione con soggetti diversi del settore Fashion mediante la partecipazione ad iniziative e-o progetti». \\\\\ FRANCESCA DRUIDI 84

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OLTRE LA CINA

Le prospettive del settore italiano delle macchine tessili guardano al sud-est asiatico e all’Africa. Lo spiega Raffaella Carabelli, presidente di Acimit e esportazioni rappresentano l’83 per cento della produzione totale italiana di macchine tessili e da anni sono il driver dell’intera attività produttiva per le nostre aziende». Raffaella Carabelli, presidente dell’Acimit, l’associazione dei costruttori di macchine per l’industria tessile, riassume lo scenario di un settore vocato all’internazionalizzazione, che conta 300 aziende per una produzione che nel 2012 è stata di 2.417 milioni di euro. Il mercato cinese è in frenata. Per quali motivi? «In Cina si è effettivamente registrato un calo delle vendite di macchinario estero, non solo italiano. Tra le cause della minore richiesta c’è la diffusa contrazione dei consumi nei mercati occidentali, che ha comportato un rallentamento dell’export di prodotti tessili e d’abbigliamento cinese. A ciò si aggiunga la “crescita rallentata” che sta caratterizzando l’economia cinese e

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TESSILE RAFFAELLA CARABELLI

→ Raffaella Carabelli, presidente di Acimit (Associazione dei costruttori italiani di macchine tessili)

che influenza negativamente anche i piani di investimento delle imprese tessili cinesi. Per i costruttori europei occorre poi sottolineare come il rafforzamento dell’euro penalizzi la nostra offerta sui principali mercati di destinazione». Il territorio cinese resta, però, terra di conquista per le macchine tessili italiani. «La Cina già ora assorbe una larga percentuale della domanda di tecnologia tessile: circa il 21 per cento delle importazioni mondiali di macchine tessili nel 2012 ha preso la strada dell’Impero di Mezzo. Sicuramente, in futuro vi sarà una crescita del meccano-tessile cinese che produrrà un effetto di import substitution, ma restiamo convinti che l’offerta tecnologica italiana, con il suo alto livello innovativo, potrà rafforzare ulteriormente le opportunità di business nel mercato cinese». Quali caratteristiche hanno i mercati più promettenti per il prodotto italiano? «I mercati più promettenti sono quelli che nel medio termine sono destinati a divenire basi produttive caratterizzate da un basso costo della manodopera, come l’Etiopia o il Myanmar. Altrettanto interessanti sono i paesi che, per le dimensioni del mercato interno o per la necessità di rendere maggiormente competitive le proprie produzioni sui mercati internazionali, sono impegnati in una profonda opera di ammodernamento tecnologico del loro parco macchine. Etiopia, Indonesia, Brasile e Sudafrica sono tutti paesi oggetto di un monitoraggio costante da parte di Acimit. L’attività dell’Associazione, infatti, non prevede solo la promozione del settore sui maggiori mercati, ma VALORE EXPORT

anche il supporto alle aziende in quelli che già ora rappresentano mercati potenzialmente interessanti, tra cui il Myanmar, l’Uzbekistan e il Vietnam». Cosa rende la tecnologia italiana competitiva oltre confine? «L’innovazione è il comune denominatore delle imprese di successo e le nostre aziende sono altamente innovative. Pur essendo nella maggior parte dei casi di dimensioni contenute, esse sanno eccellere nella propria specifica nicchia di mercato, grazie a un’offerta affidabile e al competitivo rapporto qualità-prezzo». Fiere e missioni organizzate di concerto con l’Ice restano il veicolo di promozione più efficace per il settore? «Questi mezzi di promozione all’estero restano fondamentali perché impattano su un bacino di potenziali acquirenti davvero vasto. Ma con l’Ice pensiamo di aver strutturato un programma promozionale ampio e articolato. È sentita, ad esempio, la necessità di mettere in contatto le nostre aziende con il mondo accademico, attraverso la realizzazione di centri tecnologici all’estero in collaborazione con primari istituti di formazione, oppure attraverso la concessione di borse di studio per studenti stranieri. Promuovere il settore vuol dire anche informare il mercato in merito ai nuovi progetti avviati dall’Associazione. È il caso del progetto “Sustainable technologies”, l’iniziativa di Acimit diretta a testimoniare l’impegno dei nostri costruttori nel contribuire a creare un ciclo produttivo rispettoso dell’ambiente e attento alla riduzione dei consumi». \\\\\ FRANCESCA DRUIDI DICEMBRE 2013

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TESSILE RAFFAELLO NAPOLEONE

COMUNICARE PER ESPORTARE

La promozione sui mercati esteri è essenziale per le pmi e deve essere sempre più multicanale. Lo sostiene Raffaello Napoleone, ad di Pitti Immagine rende il via il 7 gennaio 2014 l’edizione numero 85 di Pitti Uomo, la piattaforma più importante a livello internazionale per le collezioni di abbigliamento e accessori uomo e per il lancio dei nuovi progetti che riguardano la moda maschile. Carattere distintivo della manifestazione è l’internazionalità, con il 40 per cento delle aziende partecipanti provenienti dall’estero da oltre 30 paesi - e un pubblico di buyer come sempre rappresentativo delle realtà più significative del fashion globale. A organizzare Pitti Uomo, così come Pitti Bimbo, Pitti W (il salone-evento dedicato ai progetti speciali di moda donna che si tiene in contemporanea a Pitti Uomo), Pitti Filati, Pitti Fragranze, Modaprima e Super, è Pitti Immagine, azienda specializzata nell’organizzazione di alcune tra le manifestazioni fieristiche più rilevanti a livello mondiale per quanto riguarda l’industria e il design della moda, grazie alla sua integrazione con eventi culturali e di comunicazione di ampio respiro. Pitti Immagine rappresenta, dunque, una cartina di tornasole dello stato di salute del tessile e dell’abbigliamento italiani, nonché delle prospettive delle imprese del comparto sul fronte dell’internalizzazione. Ad approfondire lo scenario è Raffaello Napoleone, amministratore delegato di Pitti Immagine.

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↑ Raffaello Napoleone, amministratore delegato di Pitti Immagine

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16,1 mld Qual è la situazione della moda italiana e le sue prospettive a livello internazionale? «Dopo un 2012 che si è archiviato in lieve flessione, nel 2013 per l’industria italiana della moda è iniziato a farsi strada un miglioramento delle performance di mercato, grazie alle vendite oltreconfine che hanno, in molti casi, sostenuto il fatturato delle aziende italiane. Secondo i dati di Smi-Sistema moda Italia, nel primo trimestre 2013 il fatturato totale ha subito una flessione del 4,6 per cento, ma nel secondo trimestre il segno meno è stato sostituito da un +1,9 per cento, e tra luglio e settembre 2013 le stime fornite indicano invece un +0,9. Il mercato interno, come ben sappiamo, è ancora in sofferenza e la crescita è stata, quindi, totalmente da attribuire all’export, che nei primi sette mesi dell’anno ha raggiunto 16,1 miliardi di euro. Il 2013 è un anno storico per l’industria italiana della moda: per la prima volta le nostre esportazioni verso i mercati extra Unione europea hanno superato in valore quelle verso i paesi dell’Europa. La stagnazione dell’Eurozona è un dato di fatto a cui non si può sfuggire, almeno per i prossimi due anni, ma fuori dall’Europa il quadro è più brillante, e per le aziende attrezzate alle esportazioni i margini di crescita sono interessanti». VALORE EXPORT

Export L’ammontare delle esportazioni delle imprese del tessile-moda italiano nel periodo gennaio-lulio 2013

L’obiettivo di Pitti Immagine è mettere le aziende nelle condizioni di entrare in contatto con i mercati più vitali a livello internazionale. Dal vostro osservatorio, quali sono i mercati più promettenti per il tessibile e l’abbigliamento made in Italy? «Gli ultimi dati dagli Usa mostrano una ripresa ormai in moto e i consumi cresceranno tra il 2 e il 3 per cento nei prossimi due anni. In Giappone la fiammata dei consumi del 2012 e 2103 si attenuerà nel prossimo biennio, ma sempre con volumi in crescita. E tra i mercati più interessanti ci sono quelli emergenti del Far East, con la Cina in crescita stabile, seppur meno intensa che negli scorsi anni. L’onda della crescita, attraverso l’export nei mercati che stanno performando meglio, è un’occasione da cogliere; per le imprese più dinamiche del made in Italy - quelle della moda in primis - rappresenta una fonte di ossigeno nel prossimo biennio. Il problema da risolvere per l’Italia è come estendere queDICEMBRE 2013

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© F. Guazzelli

TESSILE RAFFAELLO NAPOLEONE

LAVORIAMO IN STRETTA SINERGIA CON GLI UFFICI ICE IN ALCUNI DEI PAESI PIÙ STRATEGICI PER IL MADE IN ITALY sta opportunità al maggior numero possibile di imprese, incluse quelle di piccola e media dimensione». Come si sviluppa l’azione di Pitti con l’Ice? Quali eventi state portando avanti? «Alla luce di quanto appena detto, aggiungo che le azioni di promozione sui nuovi mercati sono uno strumento fondamentale per le nostre imprese. Con l’Ice collaboriamo da tempo con iniziative di comunicazione e promozione. Lavoriamo in stretta sinergia con gli uffici Ice in alcuni dei paesi più strategici per il made in Italy, con l’obiettivo di organizzare la partecipazione di missioni di operatori e giornalisti internazionali ai saloni di Firenze. E come Pitti Immagine stiamo investendo molto anche sull’online attraverso la piattaforma e-pitti.com, lanciata da Fiera Digitale: un servizio di business-tobusiness multilingue che permette alle nostre aziende espositrici di presentare le loro collezioni anche in forma virtuale - attraverso oltre 50mila immagini e mille video

↗ Gaetano Marzotto (secondo da sinistra), presidente Pitti Immagine, con Riccardo Monti (al centro), presidente di Ice, all’inaugurazione di Pitti Uomo 83 (gennaio 2013)

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di prodotto ad alta risoluzione - al termine dei saloni, per un mese circa, moltiplicando le possibilità di contatti commerciali con buyer da ogni parte del mondo». Con quali strumenti e strategie le imprese italiane possono allora affrontare la sfida dell’internazionalizzazione? «Credo che per vincere la sfida dell’internazionalizzazione sia indispensabile un mix di strumenti: dalla partecipazione ai saloni di riferimento, come gli appuntamenti di Pitti, che nei fatti sono vere piattaforme per contatti internazionali, sia commerciali che di comunicazione; agli strumenti di promozione e comunicazione online, ormai imprescindibili per una penetrazione sulla scena globale; e poi operazioni di co-marketing, co-branding e sinergie con operatori locali sui vari mercati, indispensabili per avere il polso reale dei mercati esteri. Le aziende che perseverano su queste direttrici hanno sicuramente buone possibilità di successo. E poi sicuramente sono indispensabili strumenti di politica economica e promozione internazionale che possono arrivare dal governo e dai suoi organismi, che di fatto rappresentano un spinta incisiva alla penetrazione di nuovi mercati e allo sviluppo di quelli già consolidati». \\\\\ FRANCESCA DRUIDI DICEMBRE 2013



MODA FEDERICO CESCHI A SANTA CROCE

CRESCE L’EXPORT “SU MISURA” Il tessile made in Italy continua a registrare una crescita costante all’estero. Soprattutto se il tessile in questione ha il fascino indiscusso della sartoria su misura. Ne parliamo con Federico Ceschi a Santa Croce

econdo le previsioni del Rapporto Export di Sace per il periodo 2013-2014, le esportazioni italiane dei settori connessi alla moda verso i mercati esteri continueranno a salire in percentuale, raggiungendo un tasso di crescita medio annuo dell'8,3 per cento. Le migliori prospettive riguarderanno le produzioni d'alta gamma italiane, che oggi detengono il 13 per cento del mercato globale. Il tessile made in Italy nei prossimi anni realizzerà i più elevati volumi di export nei mercati di riferimento più tradizionali, che offrono, tuttavia, margini di crescita in calo. Francia (+4 per cento e 4,7 miliardi di euro di export), Germania (+2,7 per cento circa 4,2 miliardi), Svizzera (+8,7 per cento pari a quasi 3 miliardi) Usa (+7,1 per cento equivalente a 2,7 miliardi di export) e Russia (+8,2 per cento e 2,5 miliardi).

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www.nhsartoria.it

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Gli amanti del made in Italy continuano pertanto a crescere nel comparto fashion, soprattutto se i prodotti in questione provengono dal fascino indiscusso della sartoria su misura. «Nella mia sartoria – racconta Federico Ceschi a Santa Croce, titolare di N.H. Sartoria - arrivano da tutta Italia, dal Belgio, dalla Francia, dalla Germania, dalla Svizzera e dall’Inghilterra, oltre che dal Giappone e da Hong Kong. Con il committente estero cerchiamo sempre di interpretare i singoli stili e gusti, senza mai tradire l’impronta italiana e conservando allo stesso tempo uno stile personale e il gusto della nostra radicata tradizione sartoriale». N.H. Sartoria è situata nel centro di Milano. Qui è possibile comporre il guardaroba, comprese scarpe, camicie e cravatte. Il tutto rigorosamente su misura. «Cerchiamo sempre di soddisfare le singole esigenze dei nostri acquirenti stranieri. Siamo una sartoria su misura e seguire le richieste è lo scopo primo del nostro lavoro. È importante in ogni caso non tralasciare i principi di stile, di qualità e soprattutto di artigianalità made in Italy che ci conDICEMBRE 2013


I TESSUTI PROVENGONO DALLE PIÙ IMPORTANTI E TRADIZIONALI MANIFATTURE D’ITALIA, INGHILTERRA E SCOZIA traddistinguono. Normalmente il committente straniero rimane molto colpito dalla nostra linea e dal look in grado di caratterizzare ed enfatizzare le singole personalità». I tessuti della sartoria vengono tutti rigorosamente selezionati. «Nella maggior parte dei casi, seguo il mio gusto personale e l’alta qualità che meglio si adatta alla nostra lavorazione artigianale. I tessuti provengono dalle più importanti e tradizionali manifatture in Italia, in Inghilterra e in Scozia. Il percorso della realizzazione di un abito su misura parte in ogni caso dalla rilevazione delle misure del cliente; segue poi la scelta della stoffa. Dopo 15 giorni si effettuano tutte le prove necessarie fino a raggiungere la totale soddisfazione dei nostri Clienti e il pieno ottenimento dei nostri parametri qualitativi». Seguendo tali VALORE EXPORT

↑ Federico Ceschi a Santa Croce è titolare di N.H. Sartoria di Milano

principi N.H. Sartoria è riuscita a realizzare modelli unici e particolari. «Tra i lavori più interessanti non posso non citare il cappotto modello “Ulster”, lo smoking (rigorosamente “midnight blue”), il tight e ultimo, ma non meno importante e forse più difficoltoso, il frac per un direttore d’orchestra. La nostra sartoria si caratterizza inoltre per alcuni tratti distintivi come la lavorazione della giacca sfoderata che si indossa quasi come un guanto». Altra peculiarità di questa storica sartoria milanese è il rapporto che si crea con il committente. «Se un cliente decide di acquistare un abito su misura da noi può poi riceverlo direttamente a casa, anche se risiede all’estero. L’importante è che abbia effettuato almeno una prova da noi. Riusciamo a entrare in contatto con il cliente in qualsiasi parte del mondo si trovi attraverso il nostro sito e con i diversi canali di social network. I nostri committenti – conclude Ceschi – possono inoltre inviare direttamente le stoffe scelte da loro, purché siano dello stesso livello qualitativo di quelle da noi selezionate e sulle quali diamo sempre la piena garanzia». \\\\\ MATTEO GRANDI DICEMBRE 2013

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MODA CONFEZIONI BARBON

TRASFORMARE LE IDEE IN MATERIA

Nella moda di fascia alta, la qualità è la base e non più il punto di arrivo. L’empatia con il marchio, secondo Katia Stefanuto

affermazione delle catene multinazionali dell’abbigliamento low cost non rappresenta un pericolo per l’alta qualità delle produzioni made in Italy. È questa l’opinione di Katia Stefanuto, amministratrice, insieme alle sorelle, della Confezioni Barbon, azienda trevigiana specializzata nella produzione di abbigliamento in jersey per conto di prestigiosi marchi dell’alta moda italiana e estera. «La presenza sul mercato di più fasce di prodotto, in un’epoca in cui è difficile individuare ancora delle tendenze moda univoche – afferma Katia, che nell’azienda di famiglia cura la parte creativa dello studio dei modelli e la ricerca materiali –, è per me un fenomeno assolutamente democratico. Del resto, continua a esistere una fascia di consumatori che vuole e ha la possibilità di acquistare capi qualitativamente superiori rispetto ai prodotti massificati. E nel produrre questo tipo di capi, attraverso la mediazione dei grandi marchi nazionali e internazionali, la manifattura italiana ha ancora molto da offrire». Trasformare le idee in materia, con lavorazioni sartoriali e una cura minuziosa del particolare e della vestibilità, che non esclude l’uso di tecnologie e strumenti di ultima generazione. È così, che in poche battute, può essere riassunto il know how di Confezioni Barbon. «Quello che riceviamo dai nostri committenti è soltanto uno schizzo di design, che ci fa capire in che modo il capo andrà collocato nella collezione del marchio e come interpretarne il sapore unico. Il resto del lavoro è affidato a noi e al nostro ufficio di progettazione e modellistica. Facciamo ri-

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cerca sui materiali, progettiamo i cartamodelli, confezioniamo i capi e realizziamo il campionario internamente (a tutela dell’esclusività delle singole collezioni) per poi passare a tutte le diverse fasi della produzione, fino alla consegna del capo finito». La cura prestata a ogni particolare della lavorazione ha consentito all’azienda di conquistare la fiducia del mercato, che riconosce e diffonde il nome Barbon anche per mezzo del passaparola, e di realizzare, nel 2012, il 25 per cento del proprio fatturato con l’export, soprattutto concentrato DICEMBRE 2013


← Da destra, le sorelle Paola, Katia, Monica e Lara Stefanuto, amministratrici della Confezioni Barbon Srl di Vascon di Carbonera (TV)

LE LAVORAZIONI SARTORIALI E UNA CURA MINUZIOSA DEL PARTICOLARE E DELLA VESTIBILITÀ NON ESCLUDONO L’USO DI TECNOLOGIE E STRUMENTI DI ULTIMA GENERAZIONE in Germania. «Se il 2012 è stato un buon anno, nel 2013 abbiamo avvertito qualche nota stonata, riassumibile con una contenuta contrazione delle commesse assegnate. Per questo puntiamo ad ampliare il nostro pacchetto di committenti esteri, guardando prima di tutto all’Europa, ma non escludendo collaborazioni con partner extra europei. Per fare questo non basta più puntare sulla sola qualità della lavorazione e del capo finito, parimenti disponibili anche in altre aree produttive del globo. I committenti, in questo momento, chiedono anche altro: flessibilità, servizio, disponibilità, collaborazione, velocità e affidabilità nei tempi di consegna. Bisogna poi entrare in empatia con il cliente: nel nostro caso questa è una necessità, poiché gestiamo diversi

www.confezionibarbon.it

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marchi e linee e abbiamo pertanto clienti molto eterogenei nelle loro esigenze. Si va dal marchio improntato a un gusto classico a un altro con un gusto estremamente raffinato e di alta moda e per ognuno dobbiamo calarci in un ordine di idee e una filosofia diversi». Oltre all’avvio di contatti con committenti di nuovi paesi, uno degli obiettivi per il futuro delle sorelle Stefanuto è quello di tutelare la struttura aziendale e le sue professionalità maturate in oltre 50 anni di esperienza, nonché l’indotto che vi ruota attorno (tutto rigorosamente made in Italy). «Naturalmente le due cose – spiega in conclusione Katia – sono complementari. Perché avere molti committenti è, prima di tutto, un modo per incrementare la ricchezza delle competenze: lavorando con diverse firme siamo portati puntualmente ad adeguare le nostre conoscenze, a migliorarle, a fare ricerca e ad acquisire nuove tecnologie, questo ci mantiene competitivi ed interessanti». \\\\\ LUCA CÀVERA DICEMBRE 2013

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INTERNI GIOVANNI PEGORARO

IL DINAMISMO DELL’ABITARE

Culto dei dettagli e abbinamenti innovativi per un arredo cosmopolita. Giovanni Pegoraro presenta strategie e filosofia del gruppo che ha portato l’arredo nei cinque continenti a dedicato gli ultimi anni a rafforzare nel mondo la fama del design, della tecnologia e dell’innovazione nell’arredo made in Italy per ufficio, comunità e contract. Stringendo partnership con importanti gruppi europei, nord, centro e sud americani, mediorientali, dell’Estremo Oriente e dell’Oceania, distribuendo oggi i propri prodotti in ottantuno paesi. In poche battute è questo il passato recente di Omp, gruppo industriale trevigiano guidato da Giovanni Pegoraro. «La nostra è un’organizzazione articolata. Tanto sul fronte produttivo, quanto su quello commerciale e della presenza all’estero. Questo ci permette di proporre una gamma esaustiva a catalogo e, al tempo stesso, di realizzare prodotti custom su progetto». Sono quattro le realtà produttive che compongono il gruppo: Omp, Metalseat, Omp Plastic Division, Omp Wood Division e numerose le controllate dislocate in diversi paesi. «Se ogni controllata ha una propria rete commerciale e grazie alla localizzazione è vicina alle esigenze specifiche di ogni mercato, la strategia è unica e irradiata dalla direzione italiana. Allo stesso tempo, pur producendo prodotti diversi, i diversi corpi produttivi del gruppo sono accomunati dalla medesima anima, votata alla ricerca e

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www.ompchairs.com

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sviluppo, allo studio dei materiali, alla messa a punto di tecnologie innovative, all’attenzione a ergonomia e funzionalità. Oltre alle sinergie positive che nascono dalla stretta collaborazione fra le nostre quattro imprese, un apporto ulteriore è quello che ci danno designer e product engineer di studi di ingegneria specializzati». Alla centralità commerciale e strategica, si affianca dunque il dinamismo specifico di ogni divisione, che si occupa ai massimi livelli della ricerca e della lavorazione nel settore delle materie plastiche, dei metalli e del legno curvato. «La più recente concretizzazione della nostra filosofia progettuale è il brand Infiniti di sedie e tavoli. A questo fanno capo oggetti intensamente coinvolti nel quoDICEMBRE 2013


→ Giovanni Pegoraro, alla guida del gruppo Omp di Castello di Godego (TV)

tidiano delle persone, che servono a lavorare, condividere, rilassarsi, accogliere. Ogni modello è pensato per essere utile e rispettare la salute del corpo, offrire piacere allo sguardo, essere intelligente nelle soluzioni, durare nel tempo grazie a materiali e tecnologia». Il target di Infiniti si trova a Barcellona come a New York, a Londra come a Tokyo, Berlino e Venezia. E lo spirito cosmopolita del brand si esprime però in una mission unica: proporre oggetti che appartengano alla vita quotidiana di chiunque, ovunque egli si trovi. «A ispirare i nostri designer sono stati valori dinamici, giovani e vitali. Come l’energia, intesa

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come insieme di forme e colori che interpretano un ritmo contemporaneo e danno vitalità e allegria ai luoghi dell’abitare. Il dinamismo, tipico di un modo di pensare pronto alla sorpresa e al cambiamento. Lo stile, che si ritrova nel culto dei dettagli e negli abbinamenti innovativi tra materiali e colori. La creatività, la voglia di osare, sorprendere, divertirsi. E ancora l’innovazione, che per Infiniti significa spostare l’orizzonte sempre più in là, alla ricerca di forme e materiali nuovi. E infine l’emozione, perché quello che Infiniti si propone di essere è un viaggio nel pianeta per coglierne i colori e i sentimenti, fissando istanti di vita vissuta». Gli elevati standard qualitativi, così come i procedimenti industriali che rispettano le più severe norme ecosostenibili internazionali, investono tutti i materiali con cui Infiniti realizza i prodotti di design. «Fiore all’occhiello della produzione è il legno, lavorato con cura ed esperienza, e usato in tridimensionale multistrato, perfetto per forme estetiche originali e all’avanguardia. Per tutelare la salvaguardia dell’ambiente e migliorare la gestione delle foreste in tutto il mondo, utilizziamo soltanto legname certificato Fsc (Forest Stewardship Council). A questo si aggiunge l’accorciamento della filiera commerciale, che, evitando le intermediazioni fra produttore e consumatore, abbatte anche tempi e costi. E in questo modo, i prodotti Infiniti, pur rivolgendosi a un target medio-alto, si rivelano perfetti per entrare con il loro design accattivante nelle case di tutto il mondo».\\\\\ VALERIO GERMANICO DICEMBRE 2013

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INTERNI ELENA E CARMELA CARRARA

LA RICERCA SUI TESSUTI Di fronte a un mercato dell’arredo di interni in difficoltà, Elena e Carmela Carrara stanno investendo per portare all’estero la tenda artigianale na quota di export che nel 2012 ha raggiunto il 35 per cento sul fatturato complessivo, con un incremento dei risultati sul mercato russo e nord africano. È questo il bilancio della Blum società produttrice di tende, diretta da Elena e Carmela Carrara. «Stiamo facendo investimenti continui per l’apertura di nuovi mercati – spiega Elena Carrara –. In particolare, il nostro ufficio estero sta lavorando per intrecciare rapporti con i maggiori studi di architettura e le società di contract che agiscono direttamente sui mercati esteri». Prosegue Carmela Carrara: «La crisi economica ha penalizzato anche il settore dell’arredo di interni. Nei primi mesi del 2013 abbiamo risentito gravemente di una forte riduzione della domanda nel mercato italiano, che siamo però riusciti a bilanciare aumentando l’apertura verso i mercati esteri. Questo è stato possibile soprattutto perché non abbiamo smesso di investire nello sviluppo e nel miglioramento dei nostri prodotti». A caratterizzare ulteriormente il made in Italy di Blum è la lavorazione artigianale dei tessuti naturali e delle fibre sintetiche di alta qualità, riconoscibili per la morbidezza al tatto. «La nostra produzione si rivolge a un target medio-alto – prosegue Carmela Carrara –. Alla continua ricerca sui tessuti, sugli accessori e sui sistemi di montaggio di alto livello, si

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www.blumsrl.com

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La Blum Srl ha sede a Pradalunga (BG)

somma un design dalle linee pulite, dall’immagine fresca e nuova, per dare alla finestra e all’abitazione una copertura grafica capace di interpretare l’atmosfera dell’ambiente circostante». Un appuntamento fisso per l’azienda di Pradalunga, nel bergamasco, è la presenza al Salone del Mobile di Milano. «Da trent’anni – ricorda in conclusione Elena Carrara – il Salone è un evento immancabile per la nostra azienda, ed è l’occasione durante la quale presentiamo le nuove collezioni e i tessuti che abbiamo inserito nella nostra produzione. Questi vengono poi distribuiti, in Italia, attraverso una rete di rivenditori e negozi specializzi, mentre, all’estero, attraverso il nostro ufficio export». \\\\\ VD DICEMBRE 2013



INDIA OUTLOOK ECONOMICO

UN MERCATO PROMETTENTE E DINAMICO

Un importante polo di attrazione d’investimenti produttivi e una grande propensione ai rapporti con l’estero. L’India tra opportunità e rischi

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INTERSCAMBIO COMMERCIALE ITALIA-INDIA valori in milioni di euro (gennaio - agosto) 2012

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Fonte: Elaborazioni ICE su dati ISTAT

Nuova Delhi, capitale dell’India, è la seconda città più popolosa dopo Bombay

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on una popolazione che supera il miliardo e un tasso di crescita del Pil notevole (+8,6 nel 2010, +8,8 per cento nel 2011) che ha registrato un rallentamento solo nell’anno 2012-2013 (+3,3 per cento), e grazie alla grande apertura del Paese agli investimenti internazionali, quella indiana si rivela una delle economie più dinamiche al mondo. Il governo locale, sin dagli anni Novanta, ha favorito l’espansione economica del Paese puntando sugli investimenti esteri e applicando misure adatte a rendere la crescita nazionale più sostenibile e a mantenere forte l’appeal della sua economia: la liberalizzazione delle politiche economiche ha comportato una riduzione del controllo statale sulle importazioni e sugli investimenti e una crescita dei flussi di capitale in entrata nel Paese. L’elemento di forza del Paese è rappresentato dal settore dei servizi, in particolare quelli di It e di outsourcing. L’arredo-design rappresenta un mercato promettente, confermato anche dall’ingresso del colosso Ikea nel Paese. È l’Italia il quinto partner commerciale dell’India tra i Paesi Ue, dopo Germania, Belgio, Gran Bretagna e Francia. Le esportazioni italiane in India sono calate nel corso del 2012 del 10 per cento, assieme alle importazioni dall’India, che sono diminuite del 21 per cento. Il caso “Enrica Lexie” ha destato grande preoccupazione in migliaia d’imprenditori italiani che detengono rapporti economici con l’India e ha fatto pensare a una crisi diplomatica e commerciale. La meccanica strumentale rappresenta il settore principale per l’export italiano, mentre i prodotti tessili e del comparto moda sono i beni più importati dall’India, circa un terzo del totale delle importazioni. Sono circa 400 le entità legali e stabilimenti italiani in India e le principali aree geografiche d’insediamento sono i poli industriali di Delhi, Gurgaon, Noida e Pune. Gli investimenti italiani in India interessano principalmente il settore dei servizi, specie trasporti, consulenza, servizi finanziari e la componentistica auto. Tra i grandi gruppi italiani presenti in India ci sono Fiat, Ferrero, Perfetti Van Melle, Lavazza, Piaggio, Prysmian, Maire Tecnimont, Techint, Luxottica, Assicurazioni Generali, Danieli, Brembo, Finmeccanica, StMicroelectronics. \\\\\ RENATA GUALTIERI

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INDIA DANIELE MANCINI

GLI ITALIANI RISCOPRONO L’INDIA L’ambasciatore italiano a New Delhi, Daniele Mancini, illustra le opportunità esistenti per le nostre aziende su un mercato delle grandi potenzialità come quello indiano

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ALCUNE AZIENDE ITALIANE, COME FIAT E PIAGGIO, SONO STATE PIONIERE IN QUESTO MERCATO SIN DAGLI ANNI 60

n’azienda non presente sui mercati emergenti vive nel passato e difficilmente potrà vincere le sfide di questo millennio. L’India, nonostante la sua complessità e un “clima d’affari” non semplice, rimane un Paese su cui puntare. «Di ciò sono ben consapevoli i nostri competitor, europei e non solo, che stanno approntando politiche promozionali particolarmente aggressive in Turchia, con ingente impegno di risorse» commenta l’ambasciatore Daniele Mancini, riflettendo su rischi e opportunità che comporta la scelta d’investire su questo mercato. Non solo perché si tratta di un mercato da 1,2 miliardi di persone, con una classe media in continua crescita e abitudini di vita e consumo che tendono gradualmente a occidentalizzarsi, ma anche perché l’India può fungere da “hub produttivo” per l’Asia del sud, grazie alla disponibilità di capitale umano - compresi ingegneri - a costi relativamente ancora bassi e una buona rete di accordi di libero scambio con i Paesi limitrofi. Sono tante le sfide poste dall’attuale congiuntura in entrambi i Paesi. Come vanno affrontate, quali le prospettive dell’economia indiana e il sostegno che arriverà dall’Ambasciata alle imprese italiane che operano in India? «L’interscambio Italia-India è sceso da 8,5 miliardi di euro nel 2011 a 7,1 nel 2012 e ha continuato a diminuire nei primi otto mesi del 2013. Le ragioni non vanno ricercate solo nella crisi che ha fatto seguito al caso Enrica Lexie e che ha portato al virtuale congelamento dei

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rapporti istituzionali tra i due Paesi, ma anche in fattori domestici che hanno causato un rallentamento dell’economia indiana. Per essa le previsioni di crescita per l’anno in corso si assestano attorno al 5 per cento, troppo basso per le dinamiche di crescita demografica del Paese. L’India rimane, tuttavia, un Paese che presenta ancora tutte le potenzialità e gli spazi aperti propri di una “rising economy”. Al di là delle criticità contingenti, le aziende italiane devono ragionare in un’ottica di medio-lungo termine, poiché su tali orizzonti temporali questo Paese non potrà che crescere. Le aziende italiane in India possono giovarsi dell’assistenza di un sistema istituzionale completo e specializzato, che comprende non solo l’ambasciata e i due consolati generali di Mumbai e Calcutta, ma anche due uffici dell’Ice, sei uffici della Camera di commercio Indo-italiana, un’antenna Enit e una rappresentanza Sace a Mumbai». Nel panorama indiano qual è l’attuale livello di visibilità delle imprese italiane? E in quali settori le produzioni italiane hanno più possibilità di affer-

↑ Daniele Mancini, ambasciatore italiano a New Delhi

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INDIA DANIELE MANCINI

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Le aziende italiane ad oggi stabilmente presenti su questo mercato in varia forma, quasi tutti big player

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L’interscambio Italia-India nel 2012, in diminuzione rispetto agli 8,5 miliardi di euro del 2011

marsi? «Alcune aziende italiane, come Fiat e Piaggio, sono state pioniere in questo mercato, sin dagli anni 60: la Fiat 1100 e la Vespa, ma anche la Lambretta, sono prodotti ancora vivi nell’immaginario collettivo di questo Paese e vasta è la simpatia con cui il popolo indiano guarda all’Italia e al made in Italy. Oggi le aziende italiane stabilmente presenti su questo mercato in varia forma sono oltre 400: quasi tutti i big player sono già qui; la sfida è portarvi le medie aziende, che dispongono di minori risorse e capacità di scouting e per questo hanno maggiormente bisogno dell’aiuto delle istituzioni e delle associazioni di categoria. Quanto ai settori, accanto a quelli tradizionali - automotive e componentistica, macchinari e alimentare - occorre puntare su nuovi settori strategici: rinnovabili, infrastrutture e costruzioni, food processing, trattamento delle acque e dei rifiuti, nanotecnologie». In che modo l’ambasciata di New Delhi promuove l’interazione con le aziende italiane presenti su questo mercato? «L’ambasciata intende costituire un punto di riferimento costante per le aziende italiane in India, non solo per fornire assistenza in caso di problemi e diffi116

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coltà, ma anche per condividere successi ed esperienze. Nei primi undici mesi del mio mandato ho personalmente visitato numerose produzioni italiane qui radicate e sono oltre 25 le missioni che ho compiuto sullo sterminato territorio indiano, accompagnato dagli altri attori del sistema Italia. In tali occasioni ho sempre previsto incontri con i rappresentanti delle aziende italiane di quell’area, poiché sono convinto che un franco scambio d’idee con i nostri operatori economici sia indispensabile per individuare le linee d’azione più efficaci. Sto inoltre incoraggiando la partecipazione delle stesse aziende italiane alle mie missioni in India e in Nepal, al fine di facilitare contatti con le autorità locali ed esplorare opportunità in Stati diversi da quelli di attuale insediamento». Lo scorso 10 settembre si è svolta presso l’Ambasciata d’Italia a New Delhi una giornata dedicata all’Italia, con la partecipazione di tutti gli attori istituzionali italiani in India e delle imprese. Quali importanti riflessioni sono emerse nel corso dell’evento? «Si è trattato di appuntamento importante, l’occasione per fare la sintesi di quanto fatto sinora, ma anche e DICEMBRE 2013


← Daniele Mancini con il Dr. Ab Mandal, direttore dell’Istituto centrale di ricerca sulla pelle (Central Leather Research Institute)

NELL’ATTUALE FASE DI SOSPENSIONE DEI CONTATTI POLITICI TRA I DUE PAESI, STIAMO LAVORANDO SU MISSIONI IMPRENDITORIALI SETTORIALI E FORTEMENTE SPECIALIZZATE soprattutto per discutere ed elaborare le linee strategiche per il futuro, sul modello di quel “laboratorio Italia in India” che stiamo qui costruendo con il contributo di tutte le articolazioni del “sistema Paese”. Ciò che è emerso è che bisogna riscoprire l’India utilizzando una nuova lente, mettendo in campo un mix d’interventi tradizionali e innovativi, prevedendo le future tendenze della domanda indiana, i nuovi settori strategici e i processi di urbanizzazione che porteranno all’espansione delle città di secondo e terzo livello. Per fare la differenza occorrerà agire come un sistema coordinato e usare contemporaneamente le tre leve strettamente interconnesse della promozione economico-commerciale, culturale e della cooperazione scientifico-universitaria». Quali saranno le prossime missioni in programma e che settori interesseranno? «Nell’attuale fase di sospensione dei contatti politici tra i due Paesi, stiamo lavorando su missioni imprenVALORE EXPORT

ditoriali settoriali e fortemente specializzate, anche con il coinvolgimento delle associazioni di categoria e delle Regioni italiane. Ad esempio, di recente abbiano ospitato una consistente delegazione del settore della meccanica agricola, organizzata da Federunacoma per la partecipazione alla fiera Eima Agrimach di New Delhi, con il supporto della Regione e del sistema camerale dell’Emilia Romagna. Entro fine anno sono, inoltre, previste una missione nel settore arredo, coordinata da Ice e Federlegno e una partecipazione collettiva alla fiera Plastvision di Mumbai, settore macchine per la plastica. A febbraio, inoltre, è prevista, in collaborazione con le associazioni di categoria Acimac e Amafond, la partecipazione d’imprese italiane a due importanti fiere in Gujarat, India Ceramics and Ifexindia, rispettivamente nei settori delle macchine per lavorazione della ceramica e delle tecnologie per l’industria fondiaria». \\\\\ RENATA GUALTIERI DICEMBRE 2013

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INDUSTRIA CONCIARIA DIEGO DELLA VALLE

STILE, ELEGANZA E SEMPLICITÀ. UN’IMMAGINE DELL’ITALIA NEL MONDO Imprenditore di successo. “Super borghese” senza snobismo. Orgoglioso della sua terra d’origine, le Marche: “dove la bellezza non urla”. Il ritratto di uno degli italiani più famosi del mondo, ambasciatore del Made in Italy: Diego Della Valle

on poteva che essere di qui, delle Marche. Certe sue sciarpe - si noti come l’ortografia sia parente fantasiosa della biografia: sc(i)arpe - sembrano pensate per circondare il collo, e arricchirlo, come una gorgiera, per un ritratto di Federico Barocci. Marchigiano come lui, barocco, innovatore del colore, sempre stupito della luce, tale da segnare il cambio d’epoca nel senso del gusto e dell’estetica, questo è stato il Barocci, detto il Fiori. Tale e quale il genio di Diego Della Valle. Sessant’anni. Uno dei pochi uomini d’Italia davvero famosi nel mondo, oltre che tra i più ricchi. Di certo anche detestato, invidiato, oggetto di campagne mediatiche urticanti, come quelle dedicategli dal sito Dagospia. D’altra parte è bravissimo a catturare inimicizie. Ad essere amico circolare e inaspettato, da destra a sinistra, da Paolo Mieli a Enrico Mentana. E da Clemente Mastella, con un bel salto logico, ma non per Della Valle, cui non importa un fico secco del parere dei salotti radical chic, fino a Luca Cordero di Montezemolo. Quest’ultimo prediletto dall’allegra brigata dellavalliana per le birichinate a Capri, ma anche e soprattutto per aver reinventato con lui il made in Italy, trasformando l’artigiano di eccellenza in lusso casto, in un modo di essere “superborghese”, ma senza snobismo. Una cosa perbene e insieme perbello, se il lettore è così accomodante da accettare un neologismo. Tod’s e Ferrari in

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↑ Diego Della Valle, presidente e amministratore esecutivo di Tod's

coppia, per far vincere l’immagine del Bel Paese nel mondo - tecnologia e semplicità della forma, profumo di cuoio e di benzina. E con Berlusconi? Non se le sono mandate a dire. Un’amicizia sì, ma di quelle contropelo, fatte di sciabolate e attrazione adrenalinica. Al contrario delle sue scarpe che sono morbide, dolci, riposanti, Della Valle scuote, fa vibrare il capitalismo italiano, dove arriva lui cambiano gli equilibri, al contrario delle sue calzature: equilibrate e perfette, come le borse, i profumi, le poltrone, che sono avvolgenti senza far dormire, rendono il tempo vibrante senza acidità, sono serene come le sue Marche. DICEMBRE 2013


↑ Ritratto di giovane uomo, F. Barocci, 1595 .ca, Strasburgo, Musée des Beaux-Arts

LA FABBRICA DI SANT’ELPIDIO È UN MODELLO DI QUESTO STILE: NON CI SONO INSEGNE, È COME UN BEL FUNGO NEL BOSCO DELLE MARCHE VALORE EXPORT

Dicevamo del loro modo di essere diversamente italiani, di quella diversità che genera la corrente elettrica che muove le locomotive. Però amicizia comunque. Cementata dalla comune frequentazione del giornalista meno provinciale e più berlusconiano del mondo e insieme attaccatissimo alla provincia: Carlo Rossella, libanese e americano, e senza fare un plissé contemporaneamente pavese fino al midollo. In questo combaciante con Della Valle, il quale è internazionalissimo ma riposa bene solo nella fabbrica del nonno e poi del padre, a Sant’Elpidio a Mare, provincia di Fermo. Eccoci dunque a Sant’Elpidio. Di solito un certo stereotipo vede in contrasto la natura e il lavoro. La natura - si pensa - ha bisogno, per essere se stessa, di essere lasciata in pace. E il lavoro, con le sue polveri grevi e sottili e i suoi scarti inevitabili, quando non è agro-pastorale per forza di cose ferisce e spezza, insomma abbruttisce il paesaggio, ridisegna il cielo, e normalmente non per DICEMBRE 2013

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INDUSTRIA CONCIARIA DIEGO DELLA VALLE

renderlo più puro. Le Marche no. Le Marche in questo sono il cuore dell’Italia. Lavoro e natura si parlano in rima. La bellezza delle Marche non urla. Non grida la natura, ma nemmeno strepitano le macchine. La morbidezza delle valli (Della Valle...) entra nelle cittadine le quali le baciano con un’architettura che somiglia alla natura, esaltando però la inventiva degli uomini, i quali creano ma non feriscono la terra con la presunzione di essere meglio della mano divina che ha disegnato le colline e le coste. Le mani dei marchigiani con pazienza e fatica tagliano, cuciono le pelli, disegnano le tomaie, trasformano la scarpa in una carrozzeria che ha la classe delle Ferrari degli anni Cinquanta, guidate da drivers gentiluomini che non possono che indossare le Tod’s con i 133 pallini della suola. Per questo, logicamente, si fanno nelle Marche le scarpe più belle del mondo. Perché natura e lavoro sono la stessa cosa. Specie intorno a tre città: Fermo, Civitanova Marche e Macerata. Ci sono paesi (come Monte Urano), dove il 90 per cento di chi lavora fa scarpe. Sono borghi che, tranne le tre città sopra citate, capitali di tre distretti dove si producono scarpe e materiale per confezionarle, non superano i 3.500 abitanti. Sono circa 35mila addetti, 2.500 aziende, delle quali 400 di tipo industriale. La cultura del marchigiano fa sì - e questa è una unicità italiana - che non esista il concetto del capitalismo feroce, per cui mors tua, vita mea. È una concorrenza solidale, una specie di gara di squadra, dove se vince uno vincono tutti, trascinati dal successo del leader. Dopo di che, Della Valle se ne va da Sant’Elpidio. E ac122

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quista marchi prestigiosi a Parigi (Schiapparelli di place Vendome), a Londra, magazzini in America come i mitici Saks Fifth Avenue. Investe nella finanza. Banche, editoria. Litiga per svecchiare, non ha paura di farsi nemici potenti, ci gode pure a essere un monello per bene. Ascende ai vertici della finanza, ma essa è per il lavoro, non il contrario. L’economia reale deve sottomettere quella virtuale ma non virtuosa, dove i soldi producono soldi ma soprattutto catastrofi. E il lavoro, nella sua idea di Cavaliere del Lavoro, è per l’uomo (e per le donne) e non viceversa. Così come le scarpe (Tod’s, Hogan, ecc.), come i profumi Acqua di Parma, gli occhiali, le poltrone Frau, non sono da esibire anche se gli altri li notano eccome, ma da usare per stare meglio e far stare meglio gli altri. Come il gioco della Fiorentina praticato dalla Fiorentina, che dev’essere bello per essere vincente, dominato dal fair-play, senza però esagerare, perché viola sarà anche il colore di fiori per le tisane, ma è vibrante, dà pace ma non lascia tranquilli. E qualche volta, con fair-play, ma incavolarsi è necessario se si è uomini. DICEMBRE 2013


SI FANNO NELLE MARCHE LE SCARPE PIÙ BELLE DEL MONDO. PERCHÉ NATURA E LAVORO SONO LA STESSA COSA. SPECIE INTORNO A TRE CITTÀ: FERMO, CIVITANOVA MARCHE E MACERATA

Della Valle si è ritrovato già dellavallizzato sin da piccolo, nipote e figlio di fabbricanti di scarpe. Ricorda ancora l’odore e lo sguardo del nonno e del papà, le sgridate di quando lasciava le impronte delle sue dita sul dorso (si dice così?) di scarpe che riposavano la notte per essere svegliate e tirate a lucido la mattina. Gli è rimasto dentro il modo con cui trattavano i lavoratori, capitale umano ma più umano che capitale. La fabbrica di Sant’Elpidio è un modello di questo stile: non ci sono insegne, è come un bel fungo nel bosco delle Marche. Il mattino arrivano le mamme che lasciano all’asilo nido i piccini, li vanno a trovare nelle pause, hanno anche il tempo di un’ora di palestra (è una fabbrica con palestra, la prima in Italia e forse la sola). Escono VALORE EXPORT

e tornano a casa con i bambini, come una volta le contadine lasciavano i pargoli nell’erba, ma era un altro mondo. Non si può fare roba bella se si fabbrica in un posto brutto e la gente che lavora sta male. Il prodotto assorbe per forza una positività o una negatività, in rapporto alla felicità degli artigiani od operai (una volta si diceva le maestranze). Un giorno a Diego Della Valle fu proposto l’acquisto in società di un grande laboratorio inglese. Ci andò. Tanta produzione, pretesa di far oggetti lussuosi, ma il luogo e i rapporti di lavoro gli fecero torcere le budella. Non comprò nulla. Il made in Italy è anche questa visione del mondo (e delle scarpe con cui camminarci). \\\\\ DICEMBRE 2013

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INDUSTRIA CONCIARIA SALVATORE MERCOGLIANO

EXPORT E LUSSO TRAINANO LA CONCERIA Nonostante la competizione internazionale, le pelli made in Italy conservano competitività. L’analisi di Salvatore Mercogliano ualità, sviluppo tecnologico, innovazione stilistica e sostenibilità ambientale restano i fattori competitivi di un’industria, quella conciaria, che tiene alta la bandiera del made in Italy. Il valore della sua produzione pesa, infatti, a livello mondiale per il 16 per cento, un dato destinato a salire fino al 65 per cento per quanto riguarda l’Unione europea. «La conceria italiana esporta il 72 per cento del suo prodotto in 120 paesi, 20 anni fa erano 98. Oggi detiene il 25 per cento dell’export di pelli finite nel globo» sottolinea Salvatore Mercogliano,

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direttore di Unic (Unione nazionale industria conciaria) e amministratore delegato di Lineapelle, la più importante fiera internazionale dedicata alla pelle. «Questi risultati vengono raggiunti nonostante la concorrenza sleale dei principali competitor (India, Brasile, Cina), che traggono vantaggio dal protezionismo sulla loro materia prima e contemporaneamente dalle pratiche di dumping sociale e ambientale». Riguardo alle principali destinazioni d’uso della pelle e ai mercati esteri maggiormente promettenti, quali tendenze si possono segnalare? «In questi ultimi anni, abbiamo visto ridursi la destinazione calzatura e arredamento. La pelletteria sta tenendo e cresce la carrozzeria. Per noi italiani rimane fondamentale l’area Cina, che assorbe quasi il 30 per cento del nostro prodotto. Per il 18° anno consecutivo, resta la nostra principale destinazione estera». Si registra un peggioramento delle condizioni di approvvigionamento delle materie prime per le azien-

← Salvatore Mercogliano, direttore dell’Unic (Unione nazionale industria conciaria) e amministratore delegato di Lineapelle

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VALORE EXPORT

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INTERSCAMBIO COMMERCIALE DELL’ITALIA PER CUOIO CONCIATO E PELLETTERIA valori in milioni di euro (gennaio - agosto) 2012

2013 esportazioni

importazioni

7000 6000 5000 4000 3000

INNOVAZIONE E STILE DA SEMPRE VOCATA ALL’INTERNAZIONALIZZAZIONE, L’INDUSTRIA DELLA CONCIA ITALIANA FA LEVA SUL CONNUBIO TRA QUALITÀ E SOSTENIBILITÀ

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onta 1.300 aziende, che riuniscono circa 18mila addetti, per un fatturato annuo di quasi 5 miliardi di euro. L’industria conciaria italiana mantiene

una posizione di leadership a livello mondiale, nonos-

2000

tante l’agguerrita concorrenza dei competitor stranieri

1000

che applicano misure protezionistiche ed effettuano

0 Fonte: Elaborazioni ICE su dati ISTAT

pratiche di dumping. Un elemento importante per il settore è l’import di materia prima, considerando che l’approvvigionamento estero copre oltre il 90 per cento del fabbisogno dell’industria. È perciò oltremodo sentito il tema del protezionismo sulla materia prima, operato in

de europee del settore. Il rischio che la filiera concia-pelletteria sta correndo è di non essere in grado di soddisfare la domanda mondiale per scarsità della materia prima o per livello eccessivo dei prezzi. Come si esce dall’impasse? Cosa chiedete all’Ue? «Quello della materia prima è per noi fonte di continua preoccupazione, sia per la sua disponibilità e quotazione, sia per le azioni di rastrellamento pianificato delle risorse europee. Praticamente la metà del gettito comunitario va ai competitor, il 63 per cento a cinesi, balcanici, subcontinente indiano, Africa occidentale, Turchia. Ventidue stati bloccano il libero accesso e sequestrano il 50 per cento delle disponibilità universali. Abbiamo più volte sollevato il problema in sede Ue, senza nessun riscontro. Tra l’altro, di recente, il commissario europeo al commercio, Karel De Gucht, ha risposto al nostro viceministro allo Sviluppo economico, che aveva richiesto un intervento comunitario a difesa del nostro settore nell’approvvigionamento della materia prima. Brutalmente è stata negata la gravità della problematica ed è stata rifiutata la sospensione del sistema delle preferenze generalizzate ai paesi protezionisti nel grezzo, nonostante espressamente prevista dall’accordo». L’edizione di Lineapelle svoltasi a ottobre ha fatto segnare numeri importanti di in termini di visitatori ed espositori, con un VALORE EXPORT

maniera invasiva dai principali concorrenti extra-Ue, quali Brasile, India, Argentina, Russia. Ad ogni modo, l’Italia realizza il 65 per cento della produzione europea e il 16 per cento di quella internazionale, ma non è solo una questione di freddi numeri. La concia made in Italy si contraddistingue per la qualità delle lavorazioni, l’elevato sviluppo tecnologico e la capacità innovativa in termini di design. L’innovazione tecnologica si lega sempre più al tema della sostenibilità, declinata in senso ambientale, sociale ed etico. La cultura della sostenibilità rappresenta per le produzioni italiane un ulteriore fattore competitivo che, in un contesto di crisi trasversale e generalizzato, contribuisce ad aumentare la

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percezione di qualità già alle nostre produzioni. Il settore conciario è caratterizzato, da una parte, da un forte radicamento sul territorio e, dall’altra, da un potente slancio verso i mercati esteri. Composto in larga parte da pmi, vede il 90 per cento circa della sua produzione provenire da tre distretti: quello di Arzignano in Veneto, la cui principale specializzazione riguarda le pelli

↑ Uno stand dell’ultima edizione della fiera Lineapelle

bovine grandi per arredamento e calzatura; quello di Santa Croce sull’Arno in Toscana, le cui specializzazioni in particolare bovine e vitelline destinate alla moda - si distinguono per artigianalità e flessibilità; e, infine, quello di Solofra in Campania, la cui produzione, inizialmente limitata alla destinazione tomaia, si è diversificata in abbigliamento, calzatura e pelletteria. Il settore della concia è uno dei comparti maggiormente

35%

Alta gamma Percentuale di produzione di pelli italiana assorbita dal mercato del lusso (produzione di borse e scarpe di griffe soprattutto francesi e italiane)

internazionalizzati nell’ambito della manifattura italiana; i suoi prodotti sono, infatti, assorbiti da 120 nazioni, Cina in testa. Gli ultimi dati (seppur parziali) relativi all’export dell’industria conciaria nei primi cinque mesi del 2013, diffusi da Unic in occasione dell’edizione invernale di Lineapelle (salone internazionale dedicato a pelli, accessori, componenti e sintetici, modelli per calzatura, pelletteria, abbigliamento e arredamento), sono confortanti. Si registra, infatti, un incremento dell’8 per cento delle vendite di pelli conciate all’estero. Nello specifico, sono in calo i mercati di Francia e Germania (rispettivamente -6 per cento e -4), mentre segnalano buone performance quelli di Vietnam, Turchia, Polonia, Corea e i mercati di Cina e Stati Uniti. Positivo anche il dato relativo alla produzione del settore, che nel periodo gennaio-maggio registra una crescita complessiva del 6 per cento in valore e del 3 per cento in volume di metri quadrati (con eccezione per il dato relativo al cuoio da suola). La destinazione d’uso più brillante oggi è la pelletteria, seguita dalla carrozzeria. Vivono, invece, una fase di maggiore incertezza l’abbigliamento e l’arredamento. LT 126

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aumento delle presenze, il 12 per cento delle quali provenienti da oltre confine. Quale futuro vede per la manifestazione? «Intorno a Lineapelle ruota un universo di 50mila aziende e un giro d’affari di 115 miliardi di dollari. È un appuntamento imprescindibile per l’area pelle mondiale e l’ultima edizione, con i suoi numeri, ne è stata un’ulteriore conferma. Tratto distintivo della sua centralità è il costante primato di innovazione stilistica e qualitativa. La manifestazione ha saputo diversificare la sua offerta attraverso eventi di nicchia, ormai affermati: Trend Selection New York, Trend Selection Londra, Anteprima, Lineapelle Asia. Per venire incontro alle esigenze del mercato, in particolar modo quello del lusso che assorbe il 35 per cento di ciò che produciamo, ma trascina di fatto tutto il resto, dal 2014 si attuerà una graduale anticipazione di date. La prossima edizione è fissata per l’11-13 marzo 2014». \\\\\ FRANCESCA DRUIDI DICEMBRE 2013



SUD-EST ASIATICO OUTLOOK ECONOMICO

RIPARTIRE DALL’ORIENTE

Oltre a Cina e India anche altre economie sono in crescita. Molte sono, infatti, le opportunità che i paesi del sud-est asiatico possono offrire alle imprese italiane

↑ Una veduta di Singapore

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e imprese europee puntano sui mercati del sudest asiatico per rilanciare l’economia e lo fanno cercando di penetrare in paesi finora praticamente inesplorati di questa vasta regione, come Myanmar e Filippine. A metà novembre sono partite alcune nuovi missioni europee in Vietnam, ex Birmania e Thailandia, guidate da Antonio Tajani, vicepresidente della Commissione Ue, responsabile per industria, imprenditoria e turismo. Al suo fianco, un centinaio di imprese, associazioni e realtà europee, di cui una quindicina italiane, che hanno sondato il terreno per nuove opportunità di business.

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VIETNAM Dopo la Cina, l’Europa è il secondo partner commerciale del Vietnam, con un disavanzo stimato nel 2012 di oltre 13 miliardi di euro. La maggior parte dell’export europeo verso il Vietnam è costituito da macchine e apparecchiature elettriche

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(22,3%) e veicoli e mezzi di trasporto (20,9%). Quanto all’export vietnamita verso l’Europa, oltre ai prodotti agricoli, spiccano calzature e prodotti di abbigliamento (11,5%). A giugno 2012 sono stati lanciati i negoziati per un accordo di libero scambio, tuttora in corso. MYANMAR L’ex Birmania, dopo decenni d’isolamento, rappresenta oggi grandi opportunità per le aziende occidentali, e in particolare per quelle europee: situata in una posizione strategica a cavallo tra il sud-est asiatico, la Cina e il sub-continente indiano, rende questo paese il punto di accesso privilegiato verso un potenziale mercato di 2 miliardi di consumatori. Bisogna ricordare che esso è ancora il paese più povero della regione, ma le previsioni dicono che la sua economia crescerà quest’anno del 6,8%. Un’ottima prospettiva se confrontata con il 5,5% del 2012, con un incremento del 60% delle esportazioni Ue rispetto al 2011.

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+6,8%

Pil La previsione di crescita del Pil del Myanmar nel 2013

THAILANDIA Le potenzialità del mercato della Thailandia, una delle economie più avanzate dell’area Asean, non sono ancora pienamente sfruttate. Nel 2012, gli scambi tra paesi europei e Bangkok sono stati pari a 32 miliardi di euro, ponendo l’Ue come terzo partner commerciale dopo Cina e Giappone. In questo paese occorrono soprattutto investimenti nei settori dell’energia e delle costruzioni, in cui molte imprese europee sono leader mondiali con tecnologie di punta. È in crescita, inoltre, anche il consumo locale di prodotti di fascia alta e di lusso. Il paese ha siglato proprio il 7 novembre un accordo di partnership e cooperazione con l’Ue, che si affiancherà al futuro accordo di libero scambio per cui sono stati avviati i negoziati lo scorso marzo. INDONESIA L’Indonesia ha iniziato il 2013 con enormi potenzialità di crescita, sia economica che sociale. La terza democrazia più popolosa del mondo dopo India e Stati Uniti ha mantenuto, nel corso del 2012, un tasso di crescita medio del Pil del 6,4%. Se-

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Yangon, capoluogo dell'omonima regione di Yangon nel Myanmar

condo il Consiglio indonesiano per il coordinamento degli investimenti (Bkpm), gli investimenti esteri diretti in Indonesia sono aumentati da 10,8 milioni di dollari nel 2009 a 18,9 milioni di dollari nel 2011 e, nella sola prima metà del 2012, hanno raddoppiato l’intero ammontare raggiunto nell’anno precedente. Questi dati nascondono tuttavia un’importante debolezza strutturale, ovvero la povertà delle infrastrutture, su cui comunque si sta lavorando. SINGAPORE L’elettronica stampata o quella organica, così come l’elettronica “verde”, la bioelettronica e i dispositivi di sicurezza rappresentano aree di crescita emergenti per il settore della plastica di Sangapore. Secondo le affermazioni dell’Economic Development Board (Edb), l’elettronica stampata contribuisce già per il 10% alla produzione nazionale complessiva di articoli elettronici ed entro il 2020 è prevista un’espansione del 30%, rispetto al mercato globale dove ci si attende una crescita superiore a 9,4 miliardi di euro nel 2016, stando alla Bcc Research. \\\\\ NICOLÒ MULAS MARCELLO

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SUD-EST ASIATICO GIOVANNI SALINARO

LE OPPORTUNITÀ DELL’ESTREMO ORIENTE Giovanni Salinaro spiega come il calo di investimenti occidentali ha, seppur lievemente, rallentato la crescita delle economie emergenti l calo della domanda di beni e servizi da parte dei paesi avanzati ha avuto ripercussioni su tutte quelle economie, in particolare dei paesi il cui sistema è trainata dalle esportazioni, che hanno legami commerciali con i paesi dell’Occidente. Anche i paesi del sud-est asiatico hanno subìto un rallentamento della crescita economica connesso alla crisi dei paesi avanzati. Il legame è stato in alcuni casi diretto (paesi asiatici che commercializzano direttamente con l’Occidente), in altri indiretto (per effetto indotto dal rallentamento dei big dell’area asiatica, India e Cina). «Il sud-est asiatico – spiega Giovanni Salinaro, analista Sace per i mercati Asia e Pacifico – resta l’area geografica con le dinamiche di crescita più sostenute e ha reagito al calo della domanda da parte dei paesi avanzati con l’incremento degli scambi commerciali intra-regionali (al-

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l’interno dell’Asia). La crisi globale ha fatto sentire i suoi effetti anche in termini di minore afflusso di investimenti esteri in questi paesi, sebbene si siano registrati lodevoli eccezioni (come Indonesia o Filippine) che stanno mostrando trend in crescita». Secondo un vostro studio, l’Indonesia è uno dei paesi più promettenti per il made in Italy. Da cosa dipende questo trend e quali sono i settori in cui il made in Italy può avere più opportunità? «L’Indonesia ha vissuto nel passato recente una storia di crescita impressionante, grazie anche alle risorse naturali di cui dispone. Ha registrato il record di afflusso di investimenti esteri nel 2011 (circa 20 miliardi di dollari) soprattutto diretti al settore minerario e allo sviluppo infrastrutturale. È il quarto paese più popoloso al mondo (circa 250 milioni di persone) e con un’età media relativamente bassa. Inoltre, essendo un paese in rapido sviluppo necessita di notevoli investimenti

↑ Una veduta di Manila, capitale delle Filippine

← Giovanni Salinaro, analista di Sace per i mercati Asia e Pacifico

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← Una veduta di Naypyidaw capitale del Myanmar (ex-Birmania)

TRA I MERCATI POCO ESPLORATI DAGLI IMPRENDITORI ITALIANI MA CON PROSPETTIVE POSITIVE CI SONO FILIPPINE E MYANMAR sia per sviluppare le carenti infrastrutture, sia per migliorare l’efficienza e la produttività del settore manifatturiero (che rappresenta circa il 25% del Pil nazionale). In questo contesto, la meccanica strumentale - settore di eccellenza italiano - può soddisfare le esigenze della rapida industrializzazione e il versante dei beni di consumo può invece puntare sull’espansione del ceto medio indonesiano che conta oggi già circa 130 milioni di individui». Quali altri paesi dell’area asiatica offrono occasioni di investimento per gli imprenditori italiani? «Tra i mercati ancora parzialmente inesplorati dagli imprenditori italiani e che mostrano prospettive molto positive segnaliamo Filippine e Myanmar. L’arcipelago delle Filippine registra oggi i più elevati tassi di crescita all’interno del sud-est asiatico e dei fondamentali economici abbastanza robusti. È un’economia basata sulla domanda interna (specialmente consumi privati che rappresentano circa il 70% del Pil) e con una forza lavoro a basso costo e numerosa, giovane e istruita (l’inglese è largamente diffuso e, insieme all’India, è principale destinazione degli investimenti in Bpo data la diffusione dei servizi It). Lo sviluppo dell’industria manifatturiera e dell’edilizia residenziale offrono op134

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portunità per il made in Italy. Il Mynamar, invece, è un paese che esce da una chiusura internazionale durata 60 anni. Dopo la cancellazione delle sanzioni da parte dell’Ue, sta lentamente aprendo le porte alla comunità internazionale. Gli investitori esteri sono molto interessati al paese, data la vasta disponibilità di risorse naturali (oil&gas, energia idroelettrica, minerali preziosi) che però ha forte necessità di investimenti nel settore delle infrastrutture di base. In linea generale chi si affaccia al sud est asiatico può beneficiare anche degli accordi commerciali stipulati in sede Asean». Quali sono, infine, i fattori di rischio che questi mercati più o meno emergenti possono nascondere? «In generale, particolare cautela va dedicata all’analisi del contesto operativo e legale. Spesso la normativa è poco chiara, la corruzione diffusa e la burocrazia agisce da ostacolo agli investimenti. Per quanto riguarda il sud-est asiatico non bisogna dimenticare le frequenti catastrofi naturali che arrecano ingenti danni agli impianti produttivi. Alcuni paesi possono essere considerati più “sicuri”, in quanto economie più mature, tra questi Thailandia, Singapore e Malaysia, mentre altri sono particolarmente rischiosi: Myanmar, Laos e Cambogia». \\\\\ NICOLÒ MULAS MARCELLO DICEMBRE 2013


SUD-EST ASIATICO GIOVANNI CAPANNELLI

OPPORTUNITÀ DI INVESTIMENTI Lo sviluppo economico dei paesi dell’Asia orientale rappresenta oggi un’ottima opportunità per le imprese italiane. Il punto di Giovanni Capannelli Asia ha risentito in misura significativa della crisi economica, ma gli effetti sono stati relativamente contenuti se confrontati con quelli delle economie dei paesi occidentali. Secondo l’Asian Development Bank (Adb), sebbene il colpo subìto in termini di crescita del Pil sia stato forte, l’Asia è riuscita a crescere più del 6% nel 2008 e intorno al 5% nel 2009. Nel 2010 la crescita del Pil è esplosa a più 9%, per poi rientrare al 7,3% nel 2011 e al 6,1% l’anno scorso. Le previsioni Adb sulla crescita economica della regione dicono che crescerà del 6% quest’anno e del 6,2% nel 2014. Questi dati non includono il Giappone, la cui economia è comunque in aumento. «Avendo sistemi economici molto aperti agli scambi commerciali ed essendo i paesi dell’Asia orientale cresciuti negli ultimi decenni a traino delle esportazioni - spiega Giovanni Capannelli, principal economist e special adviser del Dean dell’Adb Institute di Tokyo gli effetti della crisi economica globale sui paesi asiatici si sono manifestati inizialmente tramite il canale del commercio». La crisi economica in Oriente ha colpito in prevalenza le esportazioni? «Il crollo delle esportazioni asiatiche ha causato una crescita negativa del Pil per il 2009 in paesi, quali Singapore, Hong Kong, Taiwan, Malesia e Thailandia, che hanno un rapporto di esportazioni rispetto al Pil molto elevato, e comunque superiore al 100%. Negli altri paesi asiatici, a parte il Giappone, la crescita economica nel 2009 è risultata positiva. In Cina il Pil è cresciuto a un tasso dell’8,7%, in India del 7,2% e in Indonesia del 4,5%. Il repentino calo delle esportazioni è

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VALORE EXPORT

↑ Giovanni Capannelli, principal economist e special adviser del Dean dell’Adb Institute di Tokyo

dovuto al crollo della domanda da parte dei paesi occidentali. Un recente studio dell’Adb ha mostrato che sebbene il tasso di interscambio commerciale tra i paesi dell’Asia orientale sia intorno al 55% per via dell’elevata quota del commercio costituita dai beni intermedi, circa il 70% della domanda di beni finali prodotti in Asia si deve agli Usa e all’Europa». Quali altri aspetti ha toccato la crisi in Asia? «Il secondo canale tramite cui l’Asia ha risentito della crisi globale è stato quello finanziario. Le disponibilità liquide hanno scarseggiato e le banche centrali di Corea del Sud, Indonesia e Singapore hanno dovuto ricorrere ad accordi di swap bilaterali su valute locali contro il dollaro con la Federal Reserve. C’è da dire che DICEMBRE 2013

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SUD-EST ASIATICO GIOVANNI CAPANNELLI

600 mln

Euro Il flusso di investimenti italiani in Asia nel 2011 esistenti a fine 2011, solo l’8-9% erano in Asia. Occorre fare di meglio, anche se durante gli ultimi anni, il flusso di investimenti italiani verso l’Asia è cresciuto considerevolmente, passando da 90 milioni di euro nel 2000 a 2 miliardi e 600 milioni nel 2011. La Cina è il primo paese dove investono le nostre imprese. Riguardo, invece, al flusso di investimenti diretti dall’Asia verso l’Italia, è il Giappone a fare la parte del leone con il 70% del totale, seguito da Cina e Hong Kong». Quali sono i paesi del sud-est asiatico che attualmente possono offrire importanti opportunità

quando la crisi ha colpito, i paesi asiatici avevano posizioni macroeconomiche relativamente solide per via delle politiche introdotte dopo la crisi finanziaria che si era abbattuta sulla regione nel 1997/98. In risposta alla crisi finanziaria asiatica, i paesi dell’Asia orientale hanno infatti messo in piedi una serie di riforme strutturali che gli hanno permesso di migliorare i sistemi economico-finanziari e di affrontare la crisi da posizioni relativamente solide, incluse le variabili fiscali, i prestiti in sofferenza, e gli altri “macro-prudential indicators”». Possiamo fare un breve quadro dei flussi di investimenti tra Italia e Asia negli ultimi anni? «Le imprese italiane hanno un notevole potenziale di aumentare la propria presenza in Asia. Basti pensare che, sulla base di dati Ice, delle 27mila imprese straniere all’estero con partecipazioni azionarie italiane 136

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di relazioni commerciali per l’Italia? «Una buona parte dell’economia asiatica si basa sulla presenza di network produttivi dove i beni finali risultano dall’assemblaggio di diverse componenti che non vengono necessariamente prodotte localmente, ma importate da altri paesi. In molti settori del manifatturiero la produzione si può infatti “frammentare” in componenti che sono a loro volta formate da parti prodotte in varie località e assemblate nei paesi che offrono vantaggi comparati per questo tipo di processi. Industrie quali l’elettronica, l’automobilistica e i macchinari ne sono esempi tipici. La Cina è, in primis, il paese dove le imprese di assemblaggio tendono a concentrarsi. La Thailandia e la Malesia svolgono un ruolo importante nel campo automobilistico, la prima, e in quello elettronico la seconda. L’Indonesia e le Filippine stanno emergendo in produzioni di specifiche componenti elettriche, mentre il Vietnam, dato il costo del lavoro relativamente basso, si sta inserendo nella produzione di parti e componenti ad alto contributo lavorativo. Tra gli altri paesi particolarmente interessanti per l’Italia va citato il Myanmar, su cui si dovrebbero concentrare molti sforzi, sia pubblici che privati, per poter far leva sull’enorme fermento che si respira nel paese e su un inserimento, che si prevede rapido, all’interno delle supply chains asiatiche». DICEMBRE 2013


BUONA PARTE DELL’ECONOMIA ASIATICA SI BASA SU NETWORK PRODUTTIVI CHE ASSEMBLANO COMPONENTI PRODOTTI ALTROVE Quali sono, infine, i fattori di rischio che questi mercati più o meno emergenti possono nascondere? «L’Asia non è ovviamente immune da rischi che le nostre imprese devono tenere presenti quando decidono di inserirsi nei mercati di questa parte del mondo. Anche se, a differenza dell’Europa, l’Asia non ha mai scatenato guerre mondiali, negli ultimi anni si riscontra l’intensi-

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ficazione di tensioni dovute a dispute territoriali e a conflitti etnici e religiosi che ne minano la stabilità politica. Altri fattori di rischio più strettamente economici riguardano il possibile rallentamento della crescita nei mercati principali asiatici (l’Ue e gli Stati Uniti) e possibili cambiamenti repentini nei flussi di capitali a breve termine indotti dalle politiche monetarie seguite attualmente dagli Stati Uniti, Regno Unito e Giappone. C’è poi l’aumento dei disastri naturali, che colpiscono purtroppo sempre più di frequente e possono avere ripercussioni economiche significative. Va anche detto che la Cina ha appena introdotto una nuova fase di riforme economiche che si prevede riusciranno a contribuire in misura significativa al rafforzamento dell’economia del paese e al mantenimento di elevati tassi di crescita. Resta, però, possibile che verifichino delle incrinature nel delicato rapporto tra il sistema politico, quello del business, e le nuove classi lavoratrici e dirigenziali, dove i giovani potrebbero reagire ai soprusi nel campo delle libertà individuali. Il Giappone, infine, sebbene l’Abenomics stia per ora producendo risultati insperati, potrebbe entrare in una nuova fase depressiva in seguito all’aumento della tassa sui consumi che si prevede verrà portata dal 5 all’8% nell’aprile 2014, e successivamente al 10% nel 2015». \\\\\ NICOLÒ MULAS MARCELLO DICEMBRE 2013

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INTERNAZIONALIZZAZIONE MATTEO OLDANI

Omar Technology ha la sede a San Donato Milanese (MI)

TECNOLOGIE MILITARI A causa della crisi l’Italia ha limitato negli ultimi anni le spese dedicate al comparto militare. Questo ha portato le aziende del settore a puntare sempre di più all’internazionalizzazione. Ne parliamo con Matteo Oldani l capo dello Stato italiano, nel corso dell’ultima Festa delle Forze armate ha spiegato come sia indispensabile per l’Italia tornare ad avere strumenti di difesa e offesa "efficienti" come quelli degli alleati europei e atlantici. «La crisi latente che oramai da anni attanaglia il nostro paese – spiega Matteo Oldani, titolare della Omar Technology - ha ridotto sempre più gli stanziamenti in ambito militare. Per questo motivo ora dobbiamo rivolgerci principalmente a un mercato globale». Omar Technology, società fondata nel 1975 come azienda specializzata nella trasformazione di veicoli industriali, dall’inizio degli anni 80 ha convertito totalmente la sua linea produttiva, dividendola in due settori principali, quello aeronautico-militare e quello dell’emergenza sanitaria. «Oggi ab-

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www.omartechnology.it

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I NOSTRI PRODOTTI HANNO PARTECIPATO A TUTTE LE OPERAZIONI DI PEACE KEEPING SOTTO L’EGIDA DELLA NATO E DELLE NAZIONI UNITE biamo rapporti di collaborazione diretta in molti stati come Svezia, Germania, Belgio, Repubblica Ceca, Grecia, Sud Africa, Thailandia e Turchia. Nel resto del mondo ci avvaliamo del supporto commerciale della società AgustaWestland, che commercializza i nostri prodotti poiché inseriti come accessori in dotazione agli elicotteri stessi. Questo ci permette di essere presenti un po’ ovunque: Stati Uniti, Nuova Zelanda, Arabia Saudita, Australia e India». Entrambi i settori coperti da Omar Technology hanno avuto nel corso dell’ultimo anno un andamento decisamente positivo malgrado le difficoltà. «Nel 2013, considerando la crisi generale, siamo riusciti ad ottenere dei risultati più che soddisfacenti. Nel settore aeronautico ultimamente abbiamo avuto delle importanti soddisfazioni con l’affidamento da parte della Società Agustawestland, dello studio di nuove attrezzature di supporto al suolo collegate ai nuovi modelli di elicotteri. Per quanto riguarda il comparto sanitario invece, abbiamo ottenuto l’assegnazione da parte di un Paese africano di un progetto di alcuni ospedali mobili legati allo sviluppo sanitario del paese». In entrambe le aree d’intervento l’operato dell’azienda richiede una stretta collaborazione con gli enti preposti a conVALORE EXPORT

trollare il territorio di riferimento, colpito dall’emergenza. «Dobbiamo ricordare che l’acquisizione delle attrezzature per emergenze sanitarie deve essere fatta in modo preventivo e non ordinando attrezzature nel momento dell’evento calamitoso». Le acquisizioni avvengono mediante emissione di bandi di gara internazionali, sia in Italia che nei paesi Europei. «Per quanto riguarda i Paesi africani e alcuni Paesi asiatici, siamo riusciti a ottenere delle trattative dirette grazie alla qualità del prodotto. I nostri prodotti hanno partecipato a tutte le operazioni di peace keeping sotto l’egida della Nato e delle Nazioni Unite, a partire dalla Somalia nel 1992 e di seguito Mozambico, Albania, Kosovo, Afganistan Iraq e ultimamente in Ciad ottenendo ottimi risultati sia sotto il profilo sanitario che sotto quello logistico e di affidabilità. Non a caso il valore che ci viene spesso riconosciuto è proprio quello del problem solving». Per il futuro, la società guarda con ottimismo ad alcuni progetti sviluppati con alcuni Paesi africani. «Allo stesso tempo – conclude Oldani - intendiamo proseguire il nostro rapporto con la Società AgustaWestalnd nella progettazione di nuovi prodotti per l’industria Aeronautica». \\\\\ MATTEO GRANDI DICEMBRE 2013

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INTERNAZIONALIZZAZIONE RICCARDO E ANDREA ROTA

→ Riccardo e Andrea Rota, Ad di Sei Rota & C. Srl di Liscate (MI)

LA SOSTENIBILITÀ, UNA LEVA PER L’EXPORT Materiali sicuri e non tossici per l’ufficio e la scuola. Sei Rota esporta il modello eco-friendly in Europa e nei Bric

hi utilizza l’internazionalizzazione come leva per la creazione di valore sostenibile, parte con il piede giusto, soprattutto in tempi di crisi. La sostenibilità ambientale è la chiave della strategia della milanese Sei Rota, che da oltre mezzo secolo realizza articoli e soluzioni per l’ufficio e per la scuola. «Le strategie che ci permettono di guadagnare quote di mercato oltre confine – sottolinea Riccardo Rota, che insieme al fratello Andrea segue l’impresa di famiglia – sono frutto della consapevolezza e della necessità di conciliare il business con le istanze ambientali, il rispetto della natura e l’utilizzo di materiali sicuri, duraturi e certificati. Produciamo materiale di archiviazione, autoadesivi, accessori per meeting, congressi e corrispondenza partendo dalla manifattura della macchina fino alla realizzazione del prodotto. Abbiamo anche lanciato un marchio, Creatointalia, perché riteniamo che l’originalità e la creatività molto apprezzate all’estero, siano un valore aggiunto». Sei Rota è una realtà con una lunga e affermata presenza nei paesi europei, da vari anni in Belgio, Svizzera, Inghilterra e Grecia, attualmente sta implementando l’export management per promuovere il brand nel Nord Europa, soprattutto Germania e paesi limitrofi, spingendosi fino all’Est Europa. «Ma per spingere verso l’estero e superare le difficoltà di entrare in mercati vastissimi,

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70%

Energia È quella prodotta autonomamente dall’impianto fotovoltaico della Sei Rota, sul totale del suo consumo energetico

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www.seirota.it

NONOSTANTE L’ATTUALE CONTESTO DI RECESSIONE E CRISI ECONOMICA, CI ASPETTIAMO UNA RIPRESA PROPRIO DALL’EUROPA OCCIDENTALE in cui nessuno ti conosce e i competitor sono imprese multinazionali, è fondamentale essere preparati, poter contare su una continuità interna e personale specializzato spiega Riccardo Rota -. In passato abbiamo fatto l’errore di non essere pronti, oggi più consapevoli della complessità dell’internazionalizzazione puntiamo anche su Medio Oriente, Cina, e Nord Africa, con l’intenzione di espanderci fino ai mercati Bric. Nell’attuale contesto di recessione e crisi economica, ci aspettiamo però una ripresa proprio dall’Europa occidentale. In realtà riteniamo sia già in atto, c’è da aspettare solo che i tempi siano maturi per rilanciare il sistema e le imprese italiane verso i mercati esteri. Nel frattempo, abbiamo scelto di investire nella sostenibilità e nell’uso di materiali biocompatibili. Per noi, il rispetto dell’ambiente è fon-

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damentale, ecco perché in azienda ci siamo dotati di pannelli fotovoltaici, generando prodotti in gran parte riciclabili». Sei Rota, infatti, produce autonomamente con il suo impianto fotovoltaico circa il 70 per cento dell’energia consumata. Dall’avvio dell’impianto, nel gennaio 2011, questo si è già tradotto nel risparmio di ben 1.686.000 kg di CO2. Inoltre tutti gli scarti di produzione in pvc, polipropilene, carta, cartone e parti metalliche vengono interamente riciclati per la produzione di manufatti per l’agricoltura, l’edilizia e l’industria. Per quanto riguarda i materiali plastificanti, oltre ad utilizzare solo materiali sicuri come il polipropilene, l’impresa non fa uso di componenti chimici, in linea con la nuova normativa europea (Reach). Innovazione, sicurezza e sostenibilità vanno così di pari passo. Persino gli impianti termici interni sono convertiti a gas metano da anni, proprio allo scopo di non immettere anidride carbonica nell’aria. \\\\\ VIVIANA DASARA DICEMBRE 2013

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INTERNAZIONALIZZAZIONE NICOLA MASON E ALBERTO BABAN

INGEGNERIA INDUSTRIALE E DESIGN

Nicola Mason e Alberto Baban raccontano la loro esperienza di espansione su tutti i mercati internazionali grazie alla qualità e al design

ome per le grandi firme italiane della moda e dell’automobilismo, anche il tappo si è trasformato negli anni, riflettendo i gusti e le tecnologie delle varie epoche. Oggi i tappi in materiale plastico espanso di ultima generazione prodotti da Tapì sono considerati capolavori di ingegneria industriale e di design e da oltre dieci anni l’azienda è leader mondiale nella produzione di Tappi a T. Le parole di Tomasi di Lampedusa, “occorre che cambi tutto, perché non cambi niente”, riflettono lo spirito che anima l’azienda: i tappi progettati da Tapì permettono all’imbottigliatore di rinnovare la propria immagine, restando al passo con i tempi e con le nuove tecnologie, mantenendo la qualità e le tradizioni di sempre. La storia del marchio Tapì inizia nel 1998, in risposta alle richieste del mercato per un prodotto industriale d’alta qualità con specifiche caratterizzabili e replicabili: oggi l’azienda cresce nel mondo grazie all’intuizione originale dei titolari, Alberto Baban e Nicola Mason, di aprire il mercato dei distillati al tappo in materiale plastico espanso. Quali scelte strategiche vi hanno permesso di diventare una realtà nota a livello internazionale? Nicola Mason: «Sicuramente lo sviluppo di nuovi impianti e strutture modulari di produzione in Argentina, Russia e Messico per rispondere all’urgenza globale di ridurre la “carbon footprint” e per ottenere una maggior effi-

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www.tapigroup.com

cienza nei servizi, nella produzione e nella logistica. Attraverso la creazione di squadre di lavoro internazionali con compiti precisi, il gruppo è in grado di garantire il clima necessario per introdurre nuove idee e modelli capaci di conquistare così nuovi mercati. Negli ultimi due anni, per esempio, ci siamo rivolti verso i mercati dell’Europa dell’Est e Russia e il successo riscontrato non ha precedenti nella storia del gruppo. Attualmente circa un quinto della produzione Tapì è destinata a quell’area geografica. Anche i paesi asiatici rappresentano una grande sfida ma per il momento siamo concentrati sul consolidare l’esistente visto che ha ancora una forte possibilità di crescita». Quanto conta l’estetica e il made in Italy per il vostro prodotto? N.M.: «Credo che l’estetica e il made in Italy contino moltissimo ma non siano tutto. All’estero, in molti riconoDICEMBRE 2013


← Nicola Mason e Alberto Baban, amministratori della Tapì Spa con sede a Massanzago (PD)

52% Europa Più della metà delle vendite della Tapì Spa è effettuata in Europa, mentre il 38% in Nord America e il 10% in Sud America

scono all’Italia qualità e design e noi sicuramente ci distinguiamo in questo, ma come tutto il made in Italy, dobbiamo tener conto che il nostro prodotto verrà copiato dai competitor stranieri con un costo del lavoro molto più basso. Il lato positivo è che questo ci porta a essere continuamente innovativi con nuove tecnologie e soprattutto evidenziando l’originalità di ogni prodotto». In che modo? Alberto Baban: «Il programma d’investimenti per infrastrutture, tecnologie e formazione del personale ha permesso all’azienda di consolidare la propria presenza in diciannove paesi nel mondo con una copertura di oltre sessanta nazioni. Ora, grazie al nostro consolidamento a livello globale siamo in grado di anticipare le tendenze e di influenzare il mercato stesso. Il risultato? Oltre 600 milioni di chiusure prodotte e vendute nel mondo solo nel 2013». Lei è il nuovo presidente di Piccola industria di ConVALORE EXPORT

findustria: come affronterà il suo impegno e quale futuro vede per le aziende venete? A.B.: «Affronterò la mia nuova carica con estrema responsabilità. Il ruolo di rappresentanza è soprattutto rivolto all’ascolto delle esigenze e delle problematiche delle imprese per poi esprimere in sintesi delle proposte che possano aiutare il nostro sistema produttivo. Le aziende venete hanno grandi capacità e probabilità di riscossa e dobbiamo fare in modo che ciò accada al più presto perché ogni azienda che chiude è una perdita immensa di conoscenza e competenza. Gli imprenditori vanno supportati nella loro battaglia per superare gli ostacoli del mercato che è diventato globale e tremendamente competitivo. Dobbiamo orientare le nostre produzioni su un alto valore aggiunto perché purtroppo sono troppi i paesi al mondo che concorrono con costi del lavoro impensabili per il nostro sistema economico. Confindustria chiede un Paese normale e delle condizioni che ci permettano di competere almeno nel sistema Europeo. Costi energetici, fiscalità, semplificazione burocratica, cuneo fiscale e credito a supporto delle attività sono i nostri principali interessi sindacali. L’Italia può ancora farcela ma non ci resta molto tempo per continuare a essere ottimisti». \\\\\ RENATO FERRETTI DICEMBRE 2013

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IMPRESA E SVILUPPO ROBERTO SNAIDERO

LE NUOVE ROTTE DEL DESIGN FederlegnoArredo in una mostra itinerante a bordo della portaerei “Cavour”, in tour nelle località strategiche del Golfo Persico e dell’Africa

inque mesi di navigazione, sedici tappe. Il 13 novembre la portaerei della Marina Militare Italiana “Cavour” è partita da Civitavecchia, per un’operazione molto diversa da quelle cui è abituata: smetterà i panni dell’arma per vestire quelli inusuali di ambasciatrice dello stile. Impiegata come “fiera galleggiante”, l’ammiraglia resterà sei mesi lontano dall’Italia facendo sosta nelle località commercialmente più strategiche del Golfo Persico e dell’Africa, con rientro il 7 aprile 2014, per un tour di promozione del made in Italy. La missione è duplice. Da una parte umanitaria, fortemente voluta dal ministro della Difesa Mario Mauro. Dall’altra il bisogno di mostrare a paesi in via di sviluppo, o già sviluppati, le eccellenze della produzione italiana. «Nei container – spiega Roberto Snaidero, presidente di FederlegnoArredo – c’è la nostra area espositiva: 150 metri quadrati per esporre i 90 prodotti delle 36 aziende che hanno deciso di accettare questa sfida internazionale. L’Operazione Cavour rappresenta l’occasione per consolidare proficue sinergie tra le aziende, le istituzioni e le associazioni di categoria di settore allo scopo di garantire ritorni tangibili non solo in termini di immagine, ma anche sotto il profilo dei risultati commerciali, presidiando mercati strategici per l’eccellenza del made in Italy. Gli altri paesi guardano all’Italia come alla patria del design. Molti vengono alle fiere di settore, come il Salone del Mobile o Made Expo.

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↑ Roberto Snaidero, presidente di FederlegnoArredo ↗ Veduta della mostra “Il cuore dell’abitare italiano. La nostra passione è la tua casa”

www.federlegnoarredo.it

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L’AREA ESPOSITIVA È NEI CONTAINER DELLA NAVE: 150 METRI QUADRATI PER 90 PRODOTTI DI 36 AZIENDE In questo caso siamo noi ad andare direttamente a casa loro». La Cavour ha fatto tappa a Gibuti, sul Mar Rosso, per mettere a punto aspetti tecnici dell’allestimento espositivo, per poi partire con il percorso vero e proprio da Abu Dhabi, alla fine di novembre. Poi Kuwait, Dubai, il Mozambico, Città del Capo in Sudafrica intorno a febbraio. Angola, Congo, Nigeria, Ghana, Senegal, Marocco, Algeria e per finire Taranto, dove la Cavour approderà ad aprile. Cinque mesi in cui verranno organizzati incontri fruttuosi dando vita a un B2B (business to business) in movimento su una portaerei. L’installazione, dal titolo “Il cuore dell’abitare italiano. La nostra passione è la tua casa” prevede l’esposizione di prestigiosi arredi e finiture made in Italy che costruiranno un percorso ideale, per mostrare l’Italia come vera e propria culla di manualità, ricerca e innovazione. «La casa è l’anima del design – dice Snaidero –. Per questo vogliamo portare pezzi di casa italiana, in giro per il mondo, per dare un messaggio positivo dell’Italia e del suo stile unico. Vi sarà un insieme di moduli di legno che presenteranno i prodotti come in una sorta di set. L’offerta VALORE EXPORT

di ciò che mostreremo sarà ampia sia in termini di categorie, che di tipologie di prodotti (arredamento, accessori, illuminazione, legno e altri materiali) per mostrare un po’ di tutto ai paesi che ci ospiteranno. Già molti ambasciatori ci hanno confermato che verranno a visitare la Cavour. E vorremmo anche che venissero portati in visita scuole, studenti e università». Quella sulla “Cavour” si inserisce in un contesto piuttoDICEMBRE 2013

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IMPRESA E SVILUPPO ROBERTO SNAIDERO

LE MISSIONI DI FEDERLEGNOARREDO l tour sulla portaerei “Cavour” non è l’unica

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iniziativa che FederlegnoArredo ha in programma per supportare il made in Italy del legnoarredo

«Tra le altre – ricorda Roberto Snaidero, presidente di Federlegno Arredo – si segnalano, in particolare, le prossime missioni negli Emirati Arabi e in Qatar l’8-12 dicembre (arredo, legno strutturale e case in legno) e in India il 9-13 dicembre, per il settore porte e finestre, arredo urbano e pavimenti in legno. Con oltre 40 milioni di euro nel 2011 il nostro paese è risultato il quarto esportatore in India dopo Cina, Germania e Malaysia. Non a caso, la nostra Federazione opera qui da 8 anni: il mercato asiatico in generale rappresenta una

grande

opportunità

per

il

settore

legno-

arredamento. Ma il programma 2014 prevede missioni B2B non solo in Asia, come in Cina, Azerbaijan, Qatar, Indonesia, Arabia Saudita, ma anche in Russia, Ghana, Nigeria, Kenya, Libano, Kazakistan, Algeria, Iran, Turchia, Marocco, Emirati Arabi, Iraq, Israele, Stati Uniti e Messico».

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sto numeroso di iniziative. «Abbiamo un articolato programma di missioni (B2B) – continua Snaidero –, partecipazioni fieristiche, attività di scouting per le aree focus e un follow up mirato sugli operatori internazionali e sulle imprese associate, con l’obiettivo di allargare gli orizzonti e creare nuove opportunità di business per le aziende dei settori legati al legno e all’edilizia». Sono venticinque le aziende associate coinvolte: Alias, Annibale Esposti, Artemide, Ceramiche dal Prà, Fantoni, Galassia, Gallotti & Radice, Golran, Koh-I-Noor Carlo Scavini & C, La Murrina, Leucos Group, Magis, Modenese Gastone Group, Molteni & C, OAK Industrie Arredamenti, Pataviumart, Poliform, Rapsel, Seguso Gianni, Sistem Costruzioni, Smania Industria Italiana Mobili, Stratex, Unifor, Villari e Zanaboni Salotti Classici. «Uno dei fattori che hanno consentito al settore di superare le fasi più dure della crisi è sicuramente la forte spinta all’internazionalizzazione – ha aggiunto Snaidero – che, però, va adeguatamente supportata con missioni B2B, incoming e iniziative di larga portata. Capaci di dare la giusta visibilità alle aziende associate, soprattutto in aree dalle enormi potenzialità di sviluppo come l’Africa e il Medio Oriente che nel prossimo futuro saranno sempre più ricettive per i nostri prodotti». \\\\\ CHIARA SIRIANNI DICEMBRE 2013



EXPORT MONICA, GISELLA E RICCARDO COLOMBO

ACCIAIO PER L’ASIA

↓ Monica, Gisella e Riccardo Colombo della trafileria Colombo Srl di Magnago (MI)

La terza generazione di una trafileria storica fa il punto sul 2013 e svela gli obiettivi futuri. La parola a Monica, Gisella e Riccardo Colombo on la crisi tuttora irrisolta del mercato italiano e la diminuzione della domanda dall’estero, a causa di una concorrenza più forte, le prospettive per un settore export oriented come quello della trafileria dell’acciaio dipendono dall’accesso ai mercati asiatici. A confermarlo è Monica Colombo, che, insieme a Gisella e Riccardo Colombo, rappresenta la terza generazione alla guida della trafileria Colombo di Magnago, nel milanese: «Quest’anno abbiamo registrato un calo del 10 per cento rispetto al 2012. Infatti, il mercato ci ha costretto a ridurre i prezzi di vendita, unica strategia che ci ha consentino di acquisire nuovi ordini». La trafileria Colombo, specializzata nella produzione di piatti e quadri trafilati e di profili trafilati, a spigoli vivi e bordi tondi, crudi o ricotti, ha alle spalle una lunga storia di internazionalizzazione, tanto che oggi l’export vale il 70 per cento del fatturato aziendale. «Ci siamo affacciati ai mercati esteri negli anni Ottanta, quando, con l’intensificarsi della nostra presenza sul mercato italiano, iniziò a delinearsi per noi una situazione economica favorevole per spingerci oltre confine, inizialmente soprattutto nel mercato europeo». Quali sono stati negli ultimi anni i paesi di riferimento per il vostro business? Riccardo Colombo: «Ci siamo affermati in Germania, mercato fondamentale per la società. A questo seguono paesi come Svezia, Austria, Danimarca, Spagna, Grecia, Brasile,

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LO SVILUPPO DELLA PRODUZIONE DELL’ACCIAIO STA PESANDO NELLA COMPETIZIONE COMMERCIALE

Messico, Australia, Egitto e Israele. Tuttavia, la situazione che si sta delineando per la siderurgia e per altri settori non è certamente delle migliori. Negli ultimi mesi si sta verificando una situazione simile a quella del 2009: tutte le aziende si trovano ancora una volta in gravi difficoltà finanziarie a causa di un forte rallentamento della domanda, con il conseguente calo di acquisizione degli ordini. Il tutto è aggravato dal mancato supporto dei sistemi bancario e governativo. Accanto al consistente calo degli ordini, si pone anche la questione delle modalità troppo lunghe di pagamento». A proposito del problema concorrenza, da dove arrivano le sfide maggiori? VALORE EXPORT

Gisella Colombo: «Lo sviluppo della produzione dell’acciaio in altri stati, per esempio in Spagna, ha avuto un peso determinante nell’accrescere la competizione di mercato. In particolare, il paese iberico riesce a produrre sia materie prime sia prodotto finito a prezzi ultra competitivi, rovinando il nostro mercato. Ed è stato questo che ci ha costretto a rivedere i listini al ribasso. Tuttavia i nostri i prezzi non possono scendere al di sotto di una certa soglia. Se infatti il costo della materia prima non ha avuto un gran peso nelle difficoltà 2013 – perché è rimasto invariato –, rispetto ad altri paesi risentiamo molto del problema del costo dell’energia – per attutire il colpo, quest’anno abbiamo attuato la procedura per il rimborso delle accise». DICEMBRE 2013

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EXPORT MONICA, GISELLA E RICCARDO COLOMBO

70%

Export Quota della produzione della trafileria Colombo destinata ai mercati esteri

37%

Germania Quello tedesco è il mercato principale. Seguito dall’8% del Regno Unito e dal 4% di Stati Uniti, Francia, Olanda, Svizzera e Austria

A quali settori vi rivolgete prevalentemente e quali canali di promozione utilizzate per farvi conoscere all’estero? Monica Colombo: «I nostri articoli sono destinati a diversi ambiti: dai componenti per i motori delle automobili alle guide di precisione per gli automatismi e per i morsetti per la falegnameria, passando per le griglie dei fornelli, i profili per ascensori, le armi, le applicazioni per l’edilizia e l’agricoltura, le valvole per oleodinamica. Sono settori molto distanti fra loro, quindi per quanto riguarda la promozione fieristica abbiamo fatto delle scelte. Recentemente abbiamo partecipato alla Made in Steel a Milano e come di consuetudine parteciperemo, nel 2014, alla Tube & Wire di Düsseldorf». L’impostazione industriale orientata allo sviluppo sostenibile è sentita più all’estero che in Italia. Voi quali politiche avete messo in campo sotto questo profilo? 164

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www.trafileriacolombo.com

R. C.: «La nostra politica ambientale segue il rispetto della legislazione vigente in materia degli impatti ambientali significativi ed effettuiamo un controllo continuo del processo di produzione per monitorare gli impatti ambientali relativi. Inoltre, siamo impegnati a eliminare i rischi legati alla sicurezza delle persone e qualora non sia possibile eliminarli del tutto a ridurli al minimo». Qual è il vostro impegno, invece, sul fronte dell’innovazione tecnologica? M. C.: «L’attuale trafileria Colombo si basata su cinque impianti di produzione e trasformazione dell’acciaio. Di recente è stato rinnovato tutto il parco macchine, altro passo che si collega direttamente alla necessità di investire nella ricerca e nello sviluppo, aspetto questo che ci ha permesso di essere riconosciuti in molti paesi europei per la qualità dei nostri acciai. Abbiamo poi programmato l’inserimento di un nuovo banco per trafila, che ci permetterà di ampliare la nostra gamma di produzione e, citando un verso di una canzone Gaber: “Un’idea, un concetto, un’idea finché resta un’idea è soltanto un’astrazione… Se potessi mangiare un’idea avrei fatto la mia rivoluzione”. Noi lo speriamo». \\\\\ VITTORIA DIVARO DICEMBRE 2013



EXPORT ETTORE BENEVENIA

L’EUROPA DEI METALLI Secondo Ettore Benevenia molte delle lavorazioni che in questi anni sono migrate verso i paesi esotici sono già rientrate, e altre rientreranno

70%

Europa Quota di export della Italchimici Spa destinata al vecchio continente. Il rimanente 30% è distribuito tra i paesi emergenti

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causa della stretta correlazione con la finanza, il mercato globale dei metalli ha risentito gravemente della crisi economica del 2009. Già all’indomani della crisi, a causa delle oscillazioni mostruose dei prezzi delle materie prime, iniziava un processo che, in pochi anni, ha ridistribuito le parti agli attori in campo, detronizzando molti protagonisti e portando sotto i riflettori piccole aziende fino a quel momento relegate sullo sfondo. «Guardando in retrospettiva e all’andamento dell’anno che si avvia a conclusione – spiega Ettore Benevenia, amministratore della bresciana Italchimici –, possiamo affermare di aver avuto conferma della correttezza della strategia intrapresa al principio della crisi». Italchimici è un gruppo che comprende due controllate : Lmp (Lavorazione metalli Preziosi) e Copper Italia. Il grup-

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La Italchimici Spa si trova a Lumezzane (BS)

po è divenuto una realtà operante sui mercati nazionali e internazionali nel trading di metalli, prodotti galvanici, produzione di semilavorati in rame e produzione di semilavorati di argento nella forma di lastre e nastri, utilizzati nella produzione di posateria, vasellame, vassoi e altri utensili. La strategia della Italchimici per affrontare la crisi è stata articolata in due fasi. «La prima consistente nella scelta delle aree verso le quali spingere la nostra azione. La seconda nella scelta dei partner locali più affidabili per rendere concreta l’azione. Il risultato è che, oggi, la Italchimici realizza più del 50 per cento del suo fatturato con consumatori finali dislocati fuori dall’Italia. L’Europa vale il 70 per cento della quota export e il rimanente 30 per cento è distribuito tra i paesi emergenti. L’azione di riposizionamento geografico a livello commerciale non è stata solo una nostra prerogativa, ma l’appartenenza al territorio bresciano ha dato certamente un valore aggiunto alla serietà del nostro sforzo. Infatti, da sempre Brescia fa rima con metalli, per formazione mentale degli operatori, ma anche per quell’indotto, che contribuisce a quell’efficienza senza la quale le porte di molti mercati si chiudono. Abbiamo ben presente, però, che molti dei nostri concorrenti hanno sede nel Nord Europa, dove l’efficienza non dipende solo dall’azienda ma anche dal sistema statale». Come rivela la quota export maggioritaria del gruppo, l’Europa è un mercato sul quale Italchimici crede fortemen-

www.italchimici.it

te. «A nostro parere l’Europa recupererà parte del terreno perso e quindi puntiamo ancora molto su questo mercato. La bassa qualità crea costi di gran lunga superiori a quelli dell’alta qualità e di conseguenza molte delle lavorazioni che in questi anni sono migrate verso i paesi esotici sono già rientrate, e altre rientreranno in futuro». In quest’ottica si spiega l’apertura di un ufficio commerciale in Francia e di un ufficio e un deposito in Repubblica Ceca. «Inoltre, a livello mondiale, nel tempo, abbiamo costruito rapporti stabili e duraturi con alcuni dei più importanti produttori del settore. L’argento lo acquistiamo direttamente dall’Italia o dalla Germania. Il Sud America è l’area di provenienza del rame che lavoriamo, dal Canada proviene il nickel – sono produttori che per entità delle risorse disponibili e capacità di elaborare strategie a medio-lungo termine sono destinati a rimanere dei punti di riferimento. I prodotti chimici, invece, provengono dal Sud Africa o dall’Europa». \\\\\ VALERIO GERMANICO DICEMBRE 2013

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EXPORT FRANCESCO MAGAZZENO E GILDA FAINO

L’ARTE DEL RIPOSO? È ITALIANA Tecnologie, materiali e competenze alla base di materassi che valicano i confini nazionali, nell’esperienza di Francesco Magazzeno e Gilda Faino

evoluzione tecnologica ha ridefinito gradualmente il concetto di riposo. La produzione di materassi, infatti, negli anni ha vissuto cambiamenti frequenti e repentini, verso soluzioni alla ricerca di un sonno che risultasse realmente ristoratore. Inseguire le novità della ricerca, però, non basta a confezionare prodotti migliori. Anche in questo caso la cultura artigianale italiana si è dimostrata in grado di ricalibrare le proprie conoscenze alla luce di materiali del tutto inediti, come dimostra il caso di Francesco Magazzeno e Gilda Faino, da quasi quarant’anni nel setto-

L’

www.afgmaterassi.it

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VALORE EXPORT

re. «All’aumentare delle possibilità tecniche – spiega Faino – aumentano le esigenze dei clienti e quindi il nostro compito rimane quello di continuare a imparare: l’esperienza è solo una base da cui ripartire ogni giorno. In questo modo la nostra artigianalità ha valicato i confini nazionali: il 90 per cento della nostra produzione, infatti, va all’estero, in particolare Francia e Stati Uniti». Per i titolari della Afg Materassi di Montecorvino Pugliano (SA), uno degli aspetti più importanti è conoscere le diverse esigenze che ognuno può avere durante il sonno. «Le combinazioni possibili – spiega Magazzeno – sono più numerose di quanto si possa immaginare: dipende dalla posizione preferita, il grado di traspirazione della pelle, oltre ai vari disturbi come mal di schiena, cervicale o dolori articolari. Per ognuna delle condizioni che possono crearsi, esiste un DICEMBRE 2013


PER IL FUTURO SONO IN CORSO TRATTATIVE CON MOLTI PAESI, TRA CUI LA DANIMARCA, LA COREA E IL SENEGAL

materasso che meglio risponde all’insieme delle esigenze. Per questo sul nostro sito, un mezzo che si è dimostrato sempre più utile a livello strategico, abbiamo inserito un questionario al termine del quale si suggerisce il materasso più adatto. Ma è solo indicativo, la nostra è una piccola azienda la cui forza sta proprio nella flessibilità produttiva e, quindi, seguiamo passo dopo passo il committente secondo i suoi desideri». L’autentico made in Italy ha aiutato la società campana nelle attività di export. «Ma non dappertutto vige la stessa regola – precisa Faino –. Quotidianamente, ci troviamo a personalizzare la produzione a seconda del mercato di riferimento. Ogni nazione ha le sue esigenze particolari. Per il prossimo futuro sono in corso trattative con molti altri paesi, tra cui la Danimarca, la Corea e il Senegal: ci adatteremo anche alle loro abitudini». Tra le tendenze attuali, a livello internazionale, Magazzeno riscontra una predilezione per il memory e i materassi sfoderabili. «Con il termine memory – continua il titolare della Afg – si indica una schiuma sintetica a lento ritorno elastico. È certamente un materiale con cui ultimamente lavoriamo molto, ma non è il solo. Le più avanVALORE EXPORT

La Afg Imbottiti Srl ha sede a Montecorvino Pugliano (SA)

zate tecnologie hanno contribuito a crearne di nuovi che, rispettando l'ecosistema, si prendono cura del riposo garantendo un alto grado di comfort. Per questo proponiamo una vasta gamma di lastre multistrato: dal mind foam al materasso arricchito con oli essenziali, da quello con uno strato di malva a quello con estratti di arancio. Una cosa è certa: lo studio che conduciamo sulle materie prime assicura un prodotto di qualità estremamente superiore a quello che di solito si può incontrare sul mercato». \\\\\ REMO MONREALE DICEMBRE 2013

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INNOVAZIONE MAURIZIO LONGO

IL MEDICALE INDICA LA VIA PER LA RIPRESA Per sopperire all’immobilismo del mercato italiano le imprese devono puntare su export e innovazione, come ci spiega Maurizio Longo

Assut Europe Spa ha sede a Roma

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VALORE EXPORT

n Italia il mercato interno continua a stagnare e a vivere fasi di profonda incertezza. Riduzione del potere di acquisto e reticenza ad investire in sviluppo sono fattori che stanno piegando numerose imprese italiane. L’esportazione diventa quindi la stella polare in grado di illuminare il sentiero della ripresa. In

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IL 60 PER CENTO DELLA PRODUZIONE È ESPORTATO. I NOSTRI SETTORI DI PUNTA SONO NELL’AMBITO DEL MONOUSO CHIRURGICO

tal senso potrebbe fare scuola l’esperienza di Assut Europe, azienda tutta italiana con riconosciuta leadership nella produzione di suture chirurgiche, e non solo. «Il 60 per cento della nostra produzione è esportato. Il restante 40 per cento va sul mercato interno e i nostri settori di punta – spiega il vice presidente Maurizio Longo – sono prevalentemente nell’ambito del monouso chirurgico. Puntiamo moltissimo sull’internazionalizzazione e i mercati più rilevanti sono Europa, Sud America, Brasile in primis, e Russia». Per il futuro prossimo la società guarda con fiducia all’Asia. «Qui abbiamo già contatti e registrazioni in atto – prosegue Longo - per le autorizzazioni alla vendita». Quindi l’internazionalizzazione è il fil rouge su cui si basa la strategia aziendale di Assut Europe. Oggi l’azienda produce e commercializza in tutto il mondo i prodotti di un’articolata pipeline, tra cui fili di sutura assorbibili e non, reti chirurgiche, devices ortopedici e traumatologici e dispositivi per tutte le specialità chirurgiche. «Siamo presenti in numerosi paesi come Spagna, Inghilterra, Russia, Bielorussia, America Latina, Stati Uniti, Tunisia, Algeria e Marocco – dichiara Maurizio Longo - possiamo contare su oltre 200 dipendenti, di cui 120 in Italia, e un fatturato prossimo ai 45 milioni di euro, di cui 20 solo in Italia, che si è incrementato del 15 per cento tra il 2010 e il 2012».

www.assuteurope.com

VALORE EXPORT

Assut Europe si è aggiudicato il “Premio Ok Italia 2013” bandito da Unicredit, destinato ai progetti di eccellenza realizzati dalle piccole e medie imprese nazionali. Il riconoscimento è stato assegnato ad Assut Europe proprio in virtù di un notevole dinamismo internazionale, nella categoria “Espansione sui mercati esteri: sviluppo e crescita grazie all’introduzione di novità e discontinuità da parte del giovane imprenditore con particolare riferimento al mercato estero”. L’altra faccia della medaglia dell’export però è la staticità del mercato interno che fatica a riprendere i ritmi precrisi. «Il mercato nazionale soffre e più in generale il sistema Italia non supporta adeguatamente le imprese dichiara il vice presidente di Assut - rallentandone il passo, con tempi di rimborso tristemente noti per quanto sono dilatati». Maurizio Longo sa che per conquistare le esigenti platee internazionali è fondamentale investire con costanza in sviluppo, ricerca e innovazione tecnologica, specie in un campo in continuo fermento come quello medicale. «Per innovare – afferma Longo - investiamo ogni anno il 5 per cento del nostro fatturato. A Magliano dei Marsi abbiamo tre ingegneri che studiano i prodotti nuovi e hanno rapporti stretti con centri di ricerca italiani e stranieri. Tra questi, il Policlinico Umberto I e l’Università Tor Vergata di Roma, per lo sviluppo di nuove reti chirurgiche, e l’Università di Madrid. Per fare un esempio abbiamo brevettato un filo che rende superfluo il nodo in sede operatoria e s’è imposto per facilità d’uso».\\\\\ LORENZO BRENNA DICEMBRE 2013

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INNOVAZIONE RAIMONDO E NICOLA MATTIUZZO

LA STAMPA E IL NUOVO MERCATO INTERNO L’Europa è il mercato a cui devono rivolgersi le aziende italiane. La parola a Raimondo e Nicola Mattiuzzo

→ La Raxy Line Srl si trova a Spresiano (TV)

rmai da tempo, il concetto di mercato interno si è ampliato, andando a comprendere tutti i Paesi appartenenti alla Comunità Europea, mentre tutto il resto, ovvero ciò che si distacca dal contesto europeo, è diventato il mercato estero. Comprendere e accettare questi nuovi confini commerciali e di sviluppo è sicuramente la chiave per dimostrarsi competitivi e farsi conoscere in Europa e nel mondo. Lo confermano anche Raimondo e Nicola Mattiuzzo, titolari della Raxy Line, società specializzata da trent’anni nella stampa sublimatica e specialistica per la produzione di articoli promozionali personalizzati. «Avendo capito le grandi opportunità offerte dal confronto con i territori europei e internazionali – spiega Raimondo Mattiuzzo – siamo stati in grado di relazionarci molto più rapidamente ed efficacemente con Paesi come Francia, Spagna, Germania e Finlandia, oggi nostri mercati di riferimento, e di ampliare il portafoglio clienti grazie ai mercati extraeuropei. Non è un caso, quindi, che l’export rappresenti per la nostra realtà la quota di fatturato di maggior rilevanza, quota che continuerà ad aumentare nel lungo termine, grazie anche alla politica di espansione che

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VALORE EXPORT

stiamo mettendo a punto per riuscire a penetrare nei mercati esterni all’Europa». Nonostante uno sguardo perennemente puntato al mercato globale, la Raxy Line ha scelto di svolgere l’intero iter di produzione in Italia, «perché – commenta Nicola Mattiuzzo – anche se il mercato italiano soffre di una forte decrescita sia nella produzione che nei consumi, ed è quindi necessario operare in un’ottica più vasta e internazionale, siamo convinti che perseguire gli obiettivi societa-

30 mln

metri Nastri e lanyards prodotti dalla Raxy Line, uno dei maggior produttori di nastri stampati

DICEMBRE 2013


ATTUALMENTE, I MERCATI DI RIFERIMENTO DELLA RAXY LINE SONO FRANCIA, GERMANIA, SPAGNA E FINLANDIA ri attraverso quelle qualità e capacità che hanno saputo rendere forte l’impresa italiana non sia altro che un enorme valore aggiunto per qualsiasi cliente estero». E sempre pensando a ciò che è meglio per i clienti, la Raxy Line ha fatto proprio del bacino d’utenza il fulcro del suo processo produttivo. «Farsi conoscere dalla clientela in tempi rapidi è importante – continua Raimondo Mattiuzzo – ma lo è ancora di più capire velocemente quali siano i suoi obiettivi e le sue esigenze, e altrettanto velocemente soddisfarli in modo efficace e puntuale. Ecco perché sin dal primo approccio con il cliente cerchiamo di trasmettergli la sicurezza in merito al risultato finale. Dopo il primo contatto con la nostra azienda, tutte le informazioni raccolte vengono tradotte in dati oggettivi con cui il reparto grafico dà forma all’immaginazione del cliente; una volta approvato il progetto, questo passa in produzione mediante un sistema informatico integrato in grado di monitorare in ogni singolo istante tutti gli elementi che compongono il prodotto da realizzare – passando dalla stampa su-

www.raxyline.com

VALORE EXPORT

blimatica alla stampa serigrafica e altre tipologie di lavorazione fino ad arrivare all’imballo del prodotto. La collaborazione e l’affidabilità dei nostri fornitori è un’ altra componente importante del nostro processo produttivo». L’attenzione della Raxy Line non si ferma a livello del ciclo produttivo, ma continua anche con la partecipazione a fiere e manifestazioni, step essenziale per instaurare un contatto diretto, infondere fiducia e garanzia, e far toccare con mano ciò che si propone al mercato. «Tutti gli eventi fieristici sui quali stiamo puntando – chiarisce Nicola Mattiuzzo – sono appartenenti al settore promozionale. La nostra priorità resta il mercato europeo. Quest’anno, come ormai da molti anni, abbiamo partecipato a manifestazioni quali: Psi di Düsseldorf, in Germania; Ctco di Lione, in Francia; Road-Show di News Week, che ci ha visti toccare ben cinque città tedesche; e Premium Sourcing di Parigi». Infine, non si può non menzionare il fatto che per rendersi sempre più competitiva, la Raxy Line ha avviato una politica aziendale che porterà alla diminuzione dei prezzi di vendita e, al contempo, all’aumento della qualità offerta. Una politica che si sta concretizzando attraverso il processo di certificazione Oeko-Tex e Iso 9001. \\\\\ EMANUELA CARUSO DICEMBRE 2013

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MODELLI D’IMPRESA FRANCO GIACOMO COTER

TECNOLOGIE PER GLI IMPIANTI AGROALIMENTARI

Nell’estrazione di olio da semi oleici il know how italiano è tra i più avanzati. Il punto sul settore dell’ingegner Franco Giacomo Coter

al girasole all’ibiscus, dalle olive alla jojoba. L’elenco dei semi da cui ottenere olii, per gli usi più disparati, è lunghissimo. Basta questo a far capire la grande opportunità produttiva che ha chi può vantare il know how di spremitura più avanzato. Anche in questo campo l’Italia detiene un primato invidiabile, come spiega l’ingegner Franco Giacomo Coter, da più di quarant’anni nel settore con la bergamasca Bracco Srl. «La nostra – dice Coter – è un’azienda specializzata nello studio e realizzazione di macchine e impianti agroalimentari, per l’estrazione di olio ed essenze. Si passa, quindi dalla produzione, a Bagnatica, di olio di vinacciolo, a quella di olio alimentare biologico, fino a quella di biocarburante. I nostri impianti, in particolare, sono rivolti a imprese che utilizzano le estrazioni di tipo meccanico e a freddo, con l’esclusione di solventi o reagenti chimici. La spremitura chimica, molto più diffusa, è senza dubbio notevolmente peggiore per la qualità del prodotto finale anche se più semplice da realizzare, soprattutto con l’aumento della quantità da produrre».

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www.braccosrl.it 178

VALORE EXPORT

La ricerca costante nell’ambito ha portato Coter ha collaborare con università e istituti di ricerca, che fanno da garante per un livello tecnologico d’eccellenza riconosciuto in tutto il mondo. «L’80 per cento delle nostre macchine – continua il titolare della Bracco – è venduta all’estero: in particolare, abbiamo lavorato in passato con la Cina, mettendo a disposizione la nostra tecnologia, tanto che tuttora, a svariati anni di distanza, continuiamo a ricevere royalties. Ora è il momento dell’Africa, in paesi come il Congo, l’Etiopia e la Tanzania. Anche il Sud America è un mercato per noi importante, così come i paesi dell’ex Unione Sovietica». Ma con l’Africa la società bergamasca ha un rapporto particolare. «In Kenya – spiega Coter – abbiamo trovato l’ambiente giusto per la nostra attività: possediamo 500 ettari in cui coltiviamo molte specie diverse di semi. DICEMBRE 2013


La Bracco Srl ha sede a Bagnatica (BG)

IN KENYA ABBIAMO TROVATO L’AMBIENTE GIUSTO PER LA NOSTRA ATTIVITÀ, DOVE PORTIAMO AVANTI LE NOSTRE RICERCHE

Con questi portiamo avanti le nostre ricerche: oltre a coltivare, lavoriamo questa materia prima come se fossimo dei produttori, e infine abbiamo il nostro oleificio, dove testare quasi tutti i tipi di semi oleici. In questo modo siamo in grado di fare consulenza per quanto riguarda tutto il processo, dalla coltivazione alla preparazione dei semi, oltre che alla spremitura, fino alla vendita dell’olio». Il risultato dell’impegno da parte della Bracco non passa inosservato. «Quest’anno – osserva Coter – il fatturato è aumentato del 250 per cento. È un dato che bisogna guardare nella prospettiva, giusta: il nostro è un lavoro che si sviluppa sul medio e lungo termine. Per esempio, abbiamo appena consegnato una commessa molto importante a Cuba, da circa 700mila euro: si tratta di un impianto fatto ad hoc, un prototipo per cui abVALORE EXPORT

biamo lavorato molto. Ci aspettiamo un aumento di bilancio considerevole anche per l’anno prossimo, in cui partiremo con il progetto di un nuovo un oleificio di semi particolari, come il baobab, che è una nostra specialità, da cui si estrae un olio per la cura della pelle». Un esempio della varietà d’indirizzi che il know how di Coter può assumere, è la produzione di biocarburanti. «Abbiamo introdotto una nuova spremitrice per la produzione di biodiesel, in risposta al continuo rincaro dei carburanti. La spremitura del seme costituisce la parte più importante del ciclo di lavorazione e per effettuarla nel modo migliore abbiamo creato la “Coter 110-250”, una pressa caratterizzata da un’alta capacità di spremitura e da un ridotto consumo di energia elettrica. L’olio prodotto, viene poi filtrato e può essere impiegato direttamente come carburante per motori diesel». \\\\\ REMO MONREALE DICEMBRE 2013

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SOTTO IL SEGNO DELLA MEZZALUNA Avamposto dell’Occidente per tutto ciò che stava oltre il Bosforo, anche oggi la Turchia dimostra il suo forte legame con l’Europa. E in particolare con l’Italia

↑ Una veduta di Istanbul

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TURCHIA OUTLOOK ECONOMICO

Principali destinazioni delle esportazioni della Turchia nel 2012

Principali fornitori delle importazioni della Turchia nel 2012 9%

8,6% 11,3%

Germania

7,1%

Germania

Russia

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Iraq

Cina

6,5%

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Iran

Italia

4% Italia

73,8% Altri Paesi

64,7% Altri Paesi

Altri Paesi (73,8%)

Altri Paesi (64,7%)

1) Germania (8,6%)

1) Russia (11,3%)

2) Iraq (7,1%)

2) Germania (9%)

3) Iran (6,5%)

3) Cina (9%)

7) Italia (4%)

5) Italia (6%)

il triplicato da 231 a 772 miliardi di dollari tra il 2002 e il 2011, popolazione numerosa ed estremamente giovane, ambiente imprenditoriale favorevole. Sono queste le caratteristiche che rendono la Turchia uno dei migliori partner commerciali ed economici, non soltanto per il nostro Paese. Una vocazione radicata nei secoli, resa tradizione grazie al suo essere un naturale ponte tra Oriente e Occidente. Un’apertura e un’osmosi che fanno parte della storia di questo paese, che da sempre funge da cancello per le due ideali parti degli scambi commerciali. Nonostante in questi mesi il Paese sia impegnato nel complesso assestamento tra la laicità di Ataturk e la maggioranza di un partito di matrice islamica che dura dal 2002, i rapporti commerciali continuano a essere eccellenti, e l’Italia si colloca sempre ai primi posti tra i principali partner della Mezzaluna (con il livello record di interscambio del 2011 pari a 21,3 miliardi di dollari e un ottimo risultato

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VALORE EXPORT

fatto segnare nel 2012 con circa 20 miliardi). In particolare, nel 2012, il saldo tra importazioni ed esportazioni ha un attivo di 7 miliardi di dollari a favore dell’Italia. Per quanto riguarda gli investimenti, nonostante dal 1996 tra Turchia e Unione europea sia in vigore un’unione doganale che ha contribuito a rendere l’Ue il primo partner commerciale del Paese, la crisi nell’Eurozona si è fatta sentire. Il flusso degli investimenti italiani, però, ha fatto segnare una costante crescita nel 2011 e nel 2012, con oltre mille società e aziende con partecipazione italiana. Anche in materia di appalti pubblici e investimenti, l’Italia rappresenta un partner fondamentale in settori d’importanza strategica, soprattutto nel campo delle costruzioni, trasporti, energia - anche rinnovabile -, servizi di comunicazione e macchinari. Negli ultimi anni l’Italia ha infine registrato ottimi risultati nelle vendite di prodotti bancari, di tessuti e abbigliamento, alimentari, elettrodomestici, mobili, apparecchiature meccaniche e chimica. \\\\\ TERESA BELLEMO

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TURCHIA GIANPAOLO SCARANTE

CONQUISTARE I GIOVANI TURCHI Promozione del made in Italy, assistenza alle imprese italiane e attrazione degli investimenti in Italia sono i tre pilastri dell’azione diplomatica italiana in Turchia

er la Turchia l’Italia è il quarto partner commerciale, con un interscambio annuo di circa 20 miliardi di dollari. Qui sono presenti più di 1.000 imprese a capitale italiano, che spesso hanno bisogno di un partner istituzionale valido che le accompagni nel percorso imprenditoriale. È l’ambasciata italiana a mantenere le relazioni con il governo locale, a mettere in campo azioni a sostegno delle imprese e a svolgere una funzione di coordinamento delle diverse istituzioni presenti (rete consolare, Ice, Sace, Banca d’Italia, Camere di commercio bilaterali, Istituti italiani di cultura, associazioni imprenditoriali). In questo quadro, risulta fondamentale assicurare una sistematica informazione sulle opportunità d’affari e sulle gare d’appal-

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↑ Gianpaolo Scarante, ambasciatore italiano in Turchia

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VALORE EXPORT

to, ma promuovere anche un’azione di presidio e tutela degli interessi delle nostre imprese contro le difficoltà della legislazione e delle prassi amministrative locali. Gianpaolo Scarante, ambasciatore italiano in Turchia, snocciola i programmi per il 2014. «Vorremmo focalizzarci sull’attrazione di nuovi investimenti turchi in Italia e sullo sviluppo di partnership tra imprese nazionali e locali. La lotta alla contraffazione è un settore che seguiamo con molta attenzione e l’imminente apertura di un nuovo desk presso l’ufficio Ice di Istanbul rafforzerà la nostra azione». L’obiettivo è, dunque, affiancare le aziende italiane ma anche offrire alle istituzioni turche, alle imprese e al pubblico locale una panoramica delle eccellenze italiane in modo da creare un humus favorevole allo sviluppo e al rafforzamento delle relazioni bilaterali tra i due paesi. Gli investitori italiani trovano interessante il mercato turco. Quali le motivazioni? «Le nostre imprese guardano a questo mercato perché la Turchia è fra i paesi con il tasso di crescita più alto al mondo, che ha triplicato il suo Pil nell’ultimo decennio e che ha una popolazione di quasi 80 milioni di persone, giovane (circa DICEMBRE 2013


LA TURCHIA È FRA I PAESI CON IL TASSO DI CRESCITA PIÙ ALTO AL MONDO, CHE HA TRIPLICATO IL SUO PIL NELL’ULTIMO DECENNIO la metà ha meno di 30 anni), dinamica e istruita. Le possibilità economiche dei consumatori turchi sono in costante crescita e i gusti si aprono sempre più al “bello”. L’eccellenza del made in Italy è pertanto molto apprezzato: solo per fare alcuni esempi, Eataly sta aprendo una sede qui a Istanbul e numerosi marchi italiani inaugurano nuovi negozi e incrementano la loro presenza nei centri commerciali. Sul versante produttivo, poi, l’industria turca ha bisogno di macchinari e beni intermedi italiani. Infine, non bisogna dimenticare che la Turchia è un ponte naturale tra Europa, Asia e Medio Oriente, e dispone di sbocchi efficienti verso i mercati più importanti di queste aeree, che danno accesso a un bacino di circa 1,5 miliardi di persone». La Turchia in questi ultimi mesi ha dato l’impressione di non essere più quel “ponte laico per l’Oriente” che negli anni scorsi l’aveva candidata a fare parte delVALORE EXPORT

l’Unione europea. Come sta la democrazia turca? «Valutare lo stato della democrazia turca solo alla luce di quanto accaduto negli ultimi mesi rischia di essere fuorviante. L’impetuosa crescita economica che ha registrato questo Paese trova una sua fonte cruciale anche nella sua crescita sotto il profilo democratico di questi anni. La Turchia partiva da standard nettamente al di sotto del livello medio europeo. Basta ricordare che l’attuale Costituzione della Repubblica di Turchia fu adottata nel 1982 e di fatto imposta dal regime militare. Nel corso dell’ultima decade il modello democratico turco ha registrato notevoli avanzamenti verso gli standard europei proprio grazie alla prospettiva di adesione all’Unione europea. Naturalmente, resta da compiere ancora molta strada e i limiti odierni sono dettagliatamente evidenziati ogni anno dalla Commissione euroDICEMBRE 2013

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TURCHIA GIANPAOLO SCARANTE

LA LIRA TURCA È CARATTERIZZATA DA UNA CERTA VOLATILITÀ E IL PAESE, ANCHE DI RECENTE, HA CONOSCIUTO SPIRALI INFLAZIONISTICHE

pea nel suo Progress report. In questo, ridare credibilità ai negoziati di adesione tra Turchia e Ue, aprendo i capitoli attualmente bloccati da alcuni Stati membri, è un passaggio cruciale per stimolare l’ulteriore crescita del modello democratico turco». Quali consigli trova utile dare a un imprenditore italiano che volesse investire in Turchia? «A chi mi chiede un consiglio, dico sempre di guardare con fiducia a questo Paese, che negli ultimi anni ha fatto grandi passi avanti. Venendo in Turchia, l’imprenditore italiano troverà un ambiente favorevole con una media di sei giorni per la costituzione di una società. Il nuovo codice commerciale, di recente emanazione, ha notevolmente migliorato i meccanismi di governance aziendale e, più in generale, il clima per gli investimenti. Infine, il governo turco ha creato un sistema di benefici che prevede importanti sgravi fiscali e sussidi per un’ampia gamma di investimenti. Consiglio sempre di appoggiarsi al cosiddetto “sistema Italia” in Turchia. Inoltre, qui esiste una rete molto efficiente che può offrire un supporto concreto alle nostre imprese che è composta 186

VALORE EXPORT

dalle principali banche italiane e da numerosi studi legali e di consulenza che hanno maturato un’esperienza molto profonda del mercato locale». Quali i possibili rischi? «Alcuni dei rischi principali sono legati alle condizioni macro-economiche del Paese, che devono essere sempre tenute presente da chi decide di investire qui. La lira turca è caratterizzata da una certa volatilità e il Paese, anche di recente, ha conosciuto spirali inflazionistiche, spesso a causa dell’aumento dei prezzi dei beni di importazione. Inoltre, sono piuttosto diffusi i fenomeni dell’economia sommersa e della violazione della proprietà intellettuale. Per quanto riguarda i rischi operativi, invece, nonostante dal 1996 sia in vigore tra la Turchia e l’Unione europea un’unione doganale, permangono alcune rigidità che possono rendere più difficili ed onerosi gli scambi. Detto questo, il governo turco è impegnato in un’azione per ridurre i costi della burocrazia e rendere più veloce la risoluzione delle controversie giudiziarie. Quindi, consiglierei di sicuro a un imprenditore italiano di venire qui e di guardare con attenzione a questo Paese». \\\\\ TERESA BELLEMO DICEMBRE 2013



TURCHIA NICOLA LONGO DENTE

L’OPPORTUNITÀ DI ANDARE A EST

Per le imprese che puntano al mercato turco risulta importantissimo avere un partner che possa facilitare gli investimenti. Ne parla Nicola Longo Dente di Yapi Kredi a Turchia è un mercato particolarmente vivace e dinamico e sta offrendo da tempo grandissime opportunità alle aziende italiane. Yapi Kredi è la quinta banca per totale attivo in Turchia, la quarta tra le banche private, opera con oltre 16mila dipendenti su tutto il territorio turco con più di 900 filiali e serve quasi dieci milioni di clienti. Controllata da una holding company in joint venture (50/50) tra Unicredit e il gruppo turco Koc, si colloca come uno dei principali player, specializzata nell’offerta di finanziamenti cross border destinati a investimenti industriali di qualsiasi dimensione. È su questo fronte che Yapi Kredi può considerarsi la principale banca turca. Nicola Longo Dente, responsabile della clientela internazionale dell’istituto, evidenzia i settori più profittevoli per le aziende italiane in Turchia. «Gli ambiti che presentano le maggiori opportunità sono quelli in cui le eccellenze italiane possono inserirsi bene e competere alla pari dei maggiori gruppi internazionali e locali, mantenendosi in linea con le necessità e i vettori di sviluppo turchi». Quali i fronti su cui l’economia turca sta dimostrando maggior vitalità? «In questi anni si può riscontrare un grande sforzo per il continuo upgrade e ampliamento delle infrastrutture e la diversificazione delle fonti di energia per ridurre la dipendenza dalle importazioni di petrolio e gas. Attraverso operazioni in project financing, il Paese prevede di completare investimenti per oltre 65

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miliardi di dollari nei prossimi cinque anni. C’è, inoltre, l’impegno per attrarre centri di sviluppo e tecnologie avanzate al fine di aumentare la produzione a livello locale. Il settore immobiliare presenta un particolare dinamismo nei principali centri del Paese».

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↓ Nicola Longo Dente, responsabile clientela multinazionale di Yapi Kredi

CON IL PROJECT FINANCING IL PAESE PREVEDE DI COMPLETARE INVESTIMENTI PER OLTRE 65 MILIARDI DI DOLLARI NEI PROSSIMI CINQUE ANNI Come vi approcciate alle aziende italiane che intendono operare in Turchia? «Abbiamo un dialogo continuo con le società, anche attraverso seminari e incontri one to one che organizziamo sia in Italia che in Turchia, oltre al rapporto con le istituzioni italiane all’estero, le Camere di commercio e le società di consulenza che offrono un servizio di supporto all’internazionalizzazione e alla ricerca di partner commerciali. Per l’azienda italiana che si avvicina al mercato turco offriamo non solo il prodotto bancario e i servizi di advisory della banca, ma anche assistenza tramite consulenti esterni di tipo legale, amministrativo, fiscale, strategico e commerciale, mettendo a disposizione la nostra capacità di networking locale. Yapi Kredi può fare leva su rapporti con oltre 9 milioni di clienti e un partnership agreement con il maggior conglomerato bancario turco: il gruppo Koc». Come operate invece con le aziende turche? «I nostri rapporti con clienti turchi partner di aziende italiane stanno costantemente aumentando, anche grazie alla crescente consapevolezza presso le aziende turche della validità di avere un partner banVALORE EXPORT

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65 mld

Dollari Gli investimenti che nei prossimi cinque anni la Turchia ha intenzione di investire ricorrendo, in particolare, al project financing

COLLABORAZIONI COMPLEMENTARI

cario locale e internazionale al tempo stesso». Quali le principali differenze tra il sistema fiscale italiano e quello turco? «La corporate tax in Turchia è del 20 per cento, cui va ad aggiungersi una Withholding tax del 15 per cento sulla distribuzione dei dividendi. L’Iva è attualmente al 18. Esistono, inoltre, pacchetti di incentivi per gli investitori che, a seconda delle aree del Paese, sono più o meno vantaggiosi e offrono sensibili risparmi fiscali. Per quanto riguarda le tasse sul reddito vanno dal 15 al 35 per cento a seconda del livello di reddito individuale». Converrebbe delocalizzare, dunque. «La tassazione è sì più contenuta che in Italia, ma il vantaggio fiscale non va inquadrato in ottica di delocalizzazione produttiva. Investire in Turchia significa, infatti, poter entrare in un nuovo mercato di oltre 76 milioni di abitanti e una classe media in forte espansione, una demografia molto interessante, con un’età media di 29 anni. Inoltre, attraverso la Turchia è possibile sviluppare nuovi mercati difficilmente penetrabili dall’Italia, penso ad esempio all’Azerbaijan e ad altri paesi del Medio Oriente». \\\\\ TERESA BELLEMO 190

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Il ruolo di Isiamed nei paesi del Mediterraneo, vicini all’Italia per geografia e opportunità economiche

ggi più che mai è fondamentale uscire dal mercato interno e promuovere la cooperazione internazionale. La visione deve, però, essere globale: non fermarsi soltanto all’economia, ma tenere conto anche della politica e della cultura. È questa la missione dell’Istituto italiano per l’Asia e il Mediterraneo. Nato nel 1974, ha raccolto l’iniziativa di parlamentari, imprenditori e uomini di cultura con lo scopo di aiutare il nostro Paese a scoprire il continente asiatico, ma oggi è soprattutto il Mediterraneo il protagonista. Attualmente Isiamed opera a stretto contatto con la nostra diplomazia e le ambasciate, attraverso 23 associazioni di cooperazione con numerosi paesi asiatici e mediterranei. Tra le collaborazione attive ci sono quelle con Egitto, Pakistan, Iran, Uzbekistan, Tunisia, Algeria e Turchia. Sulla partnership turca Gian Guido Folloni, presidente dell’Istituto, ha un’opinione molto positiva: «Si tratta di una nazione stabile e affidabile, con un invidiabile tasso di crescita. Ed è, inoltre, un partner ideale per l’Italia, con cui condivide la proiezione mediterranea e verso Oriente». Quali i settori di cooperazione tra Italia e Turchia? «Nel corso del 2013, le iniziative rivolte in direzione della Turchia sono state molto numerose e hanno esplo-

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TURCHIA GIAN GUIDO FOLLONI ← da sinistra, Igor Gabrovec, consigliere regionale del Friuli, Francesco Peroni, assessore alle Politiche comunitarie del FVG, Ettore Rosato, parlamentare ed Enrico Samer, console onorario di Turchia durante un incontro a Trieste

NON ESISTE SETTORE IN CUI LA COOPERAZIONE TRA ITALIA E TURCHIA NON POSSA DISPIEGARSI CON RECIPROCO BENEFICIO rato quasi tutti i settori della partnership bilaterale. Un primo settore è certamente quello turistico, campo nel quale la Turchia ha assunto un ruolo da protagonista di prima grandezza. Nel campo del manifatturiero, i settori che Isiamed ha verificato essere di particolare interesse sono le energie rinnovabili, l’ambiente, le materie plastiche, la cosmetica, l’industria del marmo e della ceramica. Molto interesse rivestono anche la logistica e la filiera agroalimentare. Tuttavia, la mia impressione è che non esista settore in cui la cooperazione tra Italia e Turchia non possa dispiegarsi con reciproco beneficio». Quattro missioni imprenditoriali in Turchia. Quali i risultati? «Le missioni si sono svolte tra aprile e giugno. Una dedicata al turismo, una seconda realizzata in collaborazione con la Camera dell’Industria di Istanbul, la terza

↓ Gian Guido Folloni, presidente di Isiamed

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con il Deik Foreign economic relation board. Infine, l’ultima, ha portato sei rappresentanti del Centro agroalimentare di Bologna a Mersin e Antalya, nel sud della Turchia. A parte i risultati che le singole realtà economiche hanno potuto approfondire in proprio, mi preme far notare quelli di follow up: un workshop sul corridoio logistico che vedrebbe nel Caab di Bologna l’hub italiano di smistamento dei prodotti ortofrutticoli turchi e francesi e la visita dell’ambasciatore Akil a Trieste all’incontro “International business cooperation Friuli Venezia Giulia – Turkey”, con lo scopo di creare una nuova strategia di cooperazione nei campi della nautica, del trasporto marittimo e della logistica». Quali sono le maggiori analogie del mercato turco con quello italiano? «Tra Italia e Turchia ci sono analogie e complementarietà utili a operare su più vasti mercati. Ad esempio, nell’area del Mediterraneo, dove l’interscambio dell’Unione europea verso il nord Africa è più che raddoppiato negli ultimi dieci anni, l’Italia è in testa. L’area nordafricana (160 milioni di abitanti) presenta sbocchi differenti per le esportazioni italiane e turche, in questo modo non dovrebbe esserci concorrenza tra i due paesi. L’Italia, infatti, appare più concentrata sulla meccanica e la Turchia sulla metallurgia. Si potrebbero esplorare possibilità d’investimenti congiunti e partnership commerciali italo-turche, soprattutto nel settore delle costruzioni e della meccanica in Libia e del tessile in Marocco e Tunisia. Inoltre, nell’area del Medio Oriente (230 milioni di abitanti) la Turchia è particolarmente forte. Proprio per questo abbiamo riscontrato ulteriori sinergie possibili con l’Italia nei settori delle costruzioni, della meccanica specializzata, della collaborazione scientifica e della ricerca». \\\\\ TERESA BELLEMO DICEMBRE 2013

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FARE LARGO AL BELLO E BEN FATTO

La competitività orafa italiana poggia sull’export. In quest’ottica, osserva Stefano De Pascale, anche le cessioni a marchi esteri assumono una chiave positiva

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INDUSTRIA ORAFA STEFANO DE PASCALE

uno dei comparti manifatturieri di punta del brand Italia nel mondo e tra i più exportoriented all’interno del segmento moda. Con una quota di vendite estere che si aggira attorno al 75 per cento del suo giro d’affari complessivo, il settore orafo guarda al di là dei confini nazionali. Vuoi perché il rapporto “Esportare la dolce vita” realizzato dal centro studi di Confindustria e Prometeia prevede che nei trenta principali nuovi mercati le importazioni dal mondo di prodotti di pregio cresceranno da 115 miliardi di euro del 2012 ai 169 nel 2018, vuoi perché nell’ultimo anno il fatturato del comparto orafo derivante dal mercato interno si è ulteriormente contratto. «Nell’ultimo quinquennio – osserva Stefano De Pascale, direttore di Federorafi – il valore delle vendite di gioielli e oreficeria si è ridotto più di un terzo. Rispetto al 2007, i dati ci collocano su livelli inferiori di oltre il 35 per cento». Come è proseguito quest’anno e quali fattori ne stanno complicando l’andamento? «Il congelamento della domanda interna persiste. Anche nel 2013 non abbiamo segnali di inversione di tendenza, in linea del resto con gli altri settori. E le politiche non votate alla ripresa dei consumi, ma severe e castranti rispetto alla disponibilità verso l’acquisto di oggetti non di prima necessità, non aiutano. Tant’è vero che l’anno scorso abbiamo avuto un’ulteriore flessione del 10 per cento. Per quest’anno mancano ancora dati certi, ma la sensazione è che registreremo nuovi valori negativi. Dalla grande griffe al piccolo laboratorio, le aziende stesse ci confermano che a non avere cadute di com-

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petitività sono solo quelle fortemente sbilanciate sull’export, nell’ordine del 60-70 per cento del fatturato totale. Sotto il 50 per cento, battono in testa». Dal rapporto che avete realizzato con Prometeia si evince che a trainare le vendite di gioielli nel prossimo quinquennio saranno i nuovi mercati, specie quelli orientali. Come si stanno preparando le nostre aziende a questa sfida? «Le stime positive provenienti dal fronte estero rappresentano una grande opportunità, ma con un pesante handicap perché i Paesi Bric e gli asiatici sono di fatto inaccessibili ai gioielli per via di forti barriere in entrata a livello di dazi e di controlli. In più la creazione di piattaforme logistiche tipo Hong Kong e Dubai in Asia o Panama in sud America distorce per il mercato, perché

↗ Stefano De Pascale, direttore di Confindustria Federorafi

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LE AZIENDE SONO GIÀ PRONTE A MISURARSI SULLA SCENA INTERNAZIONALE. MA I PESANTI DAZI, DAL 6% IN USA AL 20% IN CINA, ERODONO GRAN PARTE DEL VALORE AGGIUNTO l’azienda italiana con un rapporto formalmente corretto con quella del posto, perde il controllo sui suoi prodotti, non sa come entrano o come vengano commercializzati. Per questo stiamo incalzando le istituzioni per liberalizzare gli accessi verso queste aree. Le aziende sono già pronte a misurarsi sui palcoscenici internazionali, se non fosse che vendere un prodotto orafo medio in Usa, con dazio al 6%, erode oltre il 60 per cento del valore aggiunto. E la Cina lo stesso dazio l’ha al 20 per cento». L’aspetto dimensionale è uno dei freni principali alla crescita della fascia dell’alta gamma e spesso induce le nostre realtà a muoversi per cessioni o acquisizioni. In chiave di internazionalizzazione, come si può ovviare a questo limite? «Come dimostrano anche le scelte recenti adottate da grandi marchi, soprattutto nel tessile e nel calzaturiero, nell’imprenditoria italiana c’è una scarsa attitudine ad aggregarsi a salvaguardare i poli di eccellenza produttiva. Questo è un dato generale, di mentalità. Nello specifico del nostro settore, ci conforta sapere che le nostre firme di primo livello acquisite di recente da marchi esteri, Bulgari e Pomellato per citarne due su tutte, nel medio termine abbiano incrementato i livelli produttivi, riportando un po’ di produzione in Italia. Ciò significa che le nostre maestranze sono eccellenti e che in termini di costi siamo competitivi anche nelle real-

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tà di marca. È vero che il portafoglio emigra all’estero, ma le attività produttive ne escono rafforzate. Per le realtà minori occorre invece fare di più, specie sul piano dell’incentivazione dei contratti di rete». In materia di contraffazione, si attendono passi decisivi dall’Europa sulla tutela del marchio d’origine. «Introdurre una regolamentazione europea che obblighi a specificare sul prodotto il “made in” è una priorità. Al contrario di chi lo considera un costo aggiuntivo per le imprese, come Confindustria lo riteniamo un elemento distintivo anche in chiave di tracciabilità per risalire alla fonte dell’illecito». Poi c’è l’attività di intelligence e di repressione, decisiva per difendere il settore orafo e i suoi consumatori. Che lavoro svolge l’Italia su questo fronte? «Un lavoro eccellente, ma in uno scenario in cui rappresenta una mosca bianca. Ne abbiamo avuto conferma in un recente incontro con l’Agenzia delle dogane, che ci ha segnalato come le loro operazioni di filtro nei porti e aeroporti, vengano spesso vanificate quando le stesse merci intercettate in Italia vengono ad esempio scaricate poche settimane dopo a Rotterdam. Manca un’uniformità di controlli. Ma di primaria importanza è anche l’informazione del consumatore. Da perseguire attraverso progetti nelle scuole che spieghino come, oltre a costituire reato, l’acquisto di un prodotto alimenti una catena di illegalità». \\\\\ GIACOMO GOVONI

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INDUSTRIA ORAFA AUGUSTO UNGARELLI

KNOW HOW CHE VALE ORO Giuseppe Ungarelli spiega come la sua associazione si impegna a promuovere «l’intelligenza italiana del gioiello», uno stile da far brillare nel mondo i va da Valenza, piattaforma piemontese dell’alta gioielleria italiana, al polo produttivo di Arezzo per la fascia medio-bassa, passando per l’area campana specializzata in coralli e cammei. In mezzo c’è la polisettorialità del distretto vicentino e l’importante realtà argentiera nelle Marche. È la spina dorsale attorno alla quale si sviluppa la grande capacità produttiva dell’industria italiana dei preziosi, formata da migliaia di aziende che incarnano la cultura dell’alto artigianato di cui è capace il nostro Paese. Una schiera qualificata di questo scacchiere si riunisce all’interno del Club degli orafi Italia che «non è un’associazione sindacale di rappresentanza – tiene a precisare il presidente, Augusto Ungarelli – ma un punto di riferimento in termini di scambio di cultura professionale e di relazioni personali tra i soci». Qual è la vostra missione e in quali attività si declina? «Il Club degli orafi è un’associazione trasversale tra imprese leader di tutta la filiera orafa: dai brand ai produttori, dai dettaglianti alle organizzazioni internazionali di promozione di oro, platino e diamanti. È un importante

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↑ Augusto Ungarelli, presidente del Club degli orafi Italia

hub per il settore, una fucina di cultura imprenditoriale e manageriale e un protagonista nel made in Italy del gioiello. La nostra missione è promuovere quell’intelligenza italiana del gioiello che rende il nostro Paese unico al mondo sia attraverso attività interne per i soci sia esterne per favorire conoscenza, cultura e formazione. Una delle maggiori sfide oggi per un settore come quello del gioiello, oltre al saper fare che ci viene riconosciuto globalmente, è farci conoscere e comunicare». Orafi e gioiellieri hanno dovuto fronteggiare la crisi come tutti gli altri. Come procede il cammino verso la ripresa e quali problematiche preoccupano il vostro comparto? «I numeri del settore sono lo specchio della salute del comparto: da dicembre 2012 a metà 2013 le imprese italiane gioielleria-oreficeria sono passate da 9.088 a 8.869; il numero di addetti è sceso da 29.831 a 28.866. Questi dati mostrano anche le problematiche del settore in Italia: il consumatore appare depresso e preoccupato per il futuro, poco incline agli acquisti, come in molti comparti del made in Italy, e ha rivisto la sua lista dei desideri». La domanda di gioielli italiani mostra vigore soprattutto all’estero. Su quali fattori di successo ha puntato il made in Italy orafo in queDICEMBRE 2013

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INDUSTRIA ORAFA AUGUSTO UNGARELLI

sti anni e su quali dovrà scommettere anche in futuro? «Le esportazioni vanno meglio, anche se vendere all’estero è complesso e rischioso in alcuni mercati e bisogna essere ben attrezzati e sapersi muovere. Il made in Italy del gioiello ha puntato su qualità, stile, tradizione, creatività che nascono da una lunga storia di lavoro artigiano e che si realizza oggi in modo rinnovato grazie alle nuove tecnologie. Una delle sfide principali è la creazione di alleanze tra operatori italiani per raggiungere mercati lontani usufruendo di economie di scala. Ovviamente ci vorrebbe un maggior sostegno delle istituzioni nazionali per cercare di ridurre i dazi doganali in molti Paesi e per organizzare più iniziative ed eventi promozionali e commerciali nel mondo». In che misura le contaminazioni, spesso legate a storici passaggi di mano dei nostri imprenditori di punta, apportano o tolgono valore alla produzione orafa italiana? «Per quanto sia ovviamente dispiaciuto come italiano degli stravolgimenti negli assetti proprietari di alcune aziende storiche, da un punto di vista prettamente pragmatico ritengo possano rappresentare una grande opportunità di crescita e sviluppo in un mercato che oggi richiede risorse finanziarie e capacità manageriali di cui forse non disponevano. Questo contribuirà positivamente a una maggior presenza del gioiello italiano attraverso i suoi marchi nel mondo. Questa è la cosa più importante 198

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8.869

Imprese Il totale delle aziende registrate nel comparto gioielleria-oreficeria a metà del 2013. A fine 2012 erano 9.088

per mantenere e alimentare la vasta capacità produttiva e di creatività del tessuto manifatturiero italiano». Cambia la percezione del gioiello, visto non più solo come oggetto prezioso, ma come veicolo di emozioni. Come si stanno adeguando i nostri produttori a questa tendenza e quali strumenti chiedono per interpretarla meglio? «La percezione del gioiello si sta evolvendo, ma da sempre e per sempre sarà simbolo di emozioni importanti. La preziosità oggi va espressa e interpretata, oltre che con le materie prime preziose, attraverso design, stile, qualità, brand e nell’esperienza complessiva d’acquisto, come momento significativo nella propria vita. Acquistare un gioiello deve voler dire entrare in un mondo e fare un’esperienza unica e diversa. I clienti sono sempre più sofisticati, cercano prodotti che siano al contempo espressione di esclusività, ma anche di affermazione di identità e appartenenze sociali. Si tratta di un percorso che va costruito e promosso e che oggi le aziende più innovative sia tra i produttori che nel dettaglio stanno intraprendendo». \\\\\ GIACOMO GOVONI DICEMBRE 2013



IL TRIONFO DEL MADE IN ITALY Tutte le popolazioni che aumentano il loro livello di benessere vogliono mangiare italiano. Luigi Scordamaglia spiega il perché di questo successo

a richiesta di food and beverage italiano è in costante aumento sui mercati mondiali. Gli sbocchi nell’area Ue coprono ormai una quota poco superiore al 60 per cento, mentre si situavano ben oltre i due terzi fino a pochi anni fa. Crescono sempre più, infatti, i mercati extracomunitari, dell’Est Europa, di alcuni paesi medio-orientali e del Far East asiatico, mentre gli Stati Uniti sono il mercato leader del vino italiano. Per far crescere sempre più la richiesta di prodotti agroalimentari italiani a livello globale è però necessario garantire il loro accesso su una serie di mercati caratterizzati da numerose barriere non tariffarie che bisogna impegnarsi a smantellare. «Lo si può fare - spiega il consigliere incaricato di Federalimentare per l’internazionalizzazione, Luigi Scordamaglia - tramite gli accordi bilaterali che la Commissione europea sta negoziando con molti di questi Paesi e con un più stretto coordinamento delle diverse autorità italiane. È proprio questo l’obiettivo su cui stiamo lavorando, nell’ambito del tavolo per l’export agroalimentare presieduto dal viceministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda». Qual è stata la presenza di aziende italiane registrata

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alla 32esima edizione di Anuga a Colonia? «La partecipazione delle imprese italiane ad Anuga è aumentata ancora quest’anno, raggiungendo la quota importante di oltre 1.100 imprese espositrici sulle 6.700 presenti. Questo traguardo non si lega soltanto alla crescita del nostro export sul mercato tedesco, che rimane di gran lunga il primo sbocco estero del nostro food and beverage, ma anche alla crescente domanda di prodotti italiani nel mondo e a un maggiore interesse delle nostre aziende a puntare sull’export, in presenza dei trend deludenti del mercato interno». In questa occasione si sono, però, riscontrati casi di prodotti e stand che usano la bandiera italiana impropriamente. Qual è stata la reazione dei produttori italiani e come s’impegnerà Federalimentare nella lotta all’Italian sounding? «Purtroppo, parallelamente all’aumento della partecipazione delle aziende italiane, è aumentata la presenza alla fiera dell’Italian sounding. La reazione degli operatori italiani presenti alla fiera ha portato a formalizzare proposte di consorzi tra corpo forestale, Ice e Federalimentare dirette a ottenere interventi concreti, ovvero sequestri da parte della polizia tedesca d’imiDICEMBRE 2013


AGROALIMENTARE LUIGI SCORDAMAGLIA

→ Luigi Scordamaglia, consigliere incaricato di Federalimentare per l’internazionalizzazione

tazioni di prodotti a denominazione protetta ottenuti in altri Paesi. Sull’Italian sounding Federalimentare, con organizzazioni agricole e di consumatori, sta valutando apposite iniziative giuridiche da avviare nei Paesi dell’area Ue». Qual è l’importanza delle fiere per la promozione dei prodotti italiani all’estero e quali i prossimi appuntamenti più importanti in campo internazionale? «Le fiere internazionali sono appuntamenti importanti per la promozione dei propri prodotti e per l’incontro

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Le imprese italiane espositrici presenti alla 32esima edizione della fiera Anuga a Colonia

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tra domanda e offerta specie per le pmi. Federalimentare, del resto, è molto sensibile su questo tema, in quanto comproprietaria del marchio Cibus, prima fiera alimentare italiana. Per le grandi aziende le fiere sono occasione per incontrare sia i contatti già consolidati che quelli potenziali. Più che fiere frequenti, per singoli mercati, servono però sempre più appuntamenti fieristici a scadenze non troppo ravvicinate e realmente globali. Il prossimo appuntamento globale per il food, nel 2014, è il Sial, a Parigi, nel mese di ottobre. Tra quelle importanti per il settore del food and beverage italiano, invece, da ricordare Cibus a Parma in maggio». Con quale obiettivo nasce il progetto “Taste”? «Questo progetto di formazione, studiato per rispondere alle esigenze delle imprese dell’agroalimentare, soprattutto pmi, nasce allo scopo specifico di formare professionisti dotati di competenze tecniche multidisciplinari, manageriali e di business, commerciali, di marketing, di promozione e amministrazione: figure in grado di leggere e realizzare approfondite indagini di consumo attraverso cui valorizzare la produzione sul piano nazionale e internazionale. A tal fine, è stato sviluppato un percorso formativo mirato: un vero e proprio modello pilota, focalizzato sull’internazionalizzazione e le analisi di mercato, replicabile ed estendibile a tutte le principali categorie del made in Italy rappresentate in Confindustria dalle Federazioni di settore». \\\\\ FRANCESCA DRUIDI DICEMBRE 2013

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AGROALIMENTARE AURELIO ZAMBONI

TRASPORTI E SICUREZZA ALIMENTARE Il mercato ortofrutticolo europeo dal punto di vista della distribuzione. Aurelio Zamboni spiega prospettive, difficoltà e soluzioni messe in pratica dai trasportatori italiani

La Zamboni Transervice Srl si trova a Vigasio (VR)

50%

Export La gran parte dei produttori che affidano alla Zamboni Transervice Srl i prodotti ortofrutticoli provengono da Spagna, Olanda e Germania

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n materia di sicurezza alimentare l’Italia rimane tra i paesi più severi. È un dato che si riflette sulle abitudini degli operatori posti sui diversi livelli delle varie filiere. Quella ortofrutticola, trattando prodotti ad alta deperibilità, rappresenta uno degli ambiti più complessi da questo punto di vista, soprattutto quando si parla di distribuzione. Nella descrizione che fa Aurelio Zamboni, alla guida insieme al fratello della Zamboni Transervice di Vigasio (VR), le caratteristiche richieste a un’azienda dedita a questo tipo di trasporti, non sono facili da soddisfare. Soprattutto se l’obiettivo è lavorare con i produttori e clienti esteri che in Italia trovano un mercato importante. «Noi trasportiamo prodotti ortofrutticoli su tutta la penisola, usando come base la nostra piattaforma in provincia di Verona. La maggior parte del nostro lavoro – dice Zamboni – lo svolgiamo per aziende tedesche, olandesi e spagnole. Il motivo per cui si sono stabilite collaborazioni così durature oltre confine sta soprattutto nella garanzia che offriamo riguardo alla sicurezza durante il trasporto: la certificazione Dasa-Raegister En Iso 9001/2000 prova la nostra capacità in tutto il mondo. Mensilmente nelle strutture aziendali, sui veicoli e sulla merce che teniamo in deposito, effettuiamo una specifica procedura di autocontrollo Haccp (Hazard Analysis and Critical Control Point – Analisi dei pericoli e dei punti critici di controllo). Lo stesso controllo ma ancor più approfondito è eseguito annualmente da un laboratorio chimico esterno certificato». Date le frequenti relazioni con le imprese degli altri paesi europei per quei clienti che hanno bisogno di trasportare la merce per un lungo tragitto sulla direttrice Nord-Sud Eu-

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© Photo Lara Mariani

ESCLUSI ALCUNI APPENA RIFATTI, MOLTI MERCATI ORTOFRUTTICOLI SONO VECCHI E RISALGONO ANCHE A PIÙ DI 50 ANNI FA ropa, offriamo un servizio di piattaforma logistica e trasbordo: trasferiamo il carico da un camion all'altro, senza fasi di stoccaggio o deposito, in tempi rapidi e sempre in condizione di temperatura controllata e ottimale, per poi essere trasportato direttamente a destinazione. Il viaggio delle merci, inoltre, è garantito da una flotta di automezzi specializzati per i trasporti refrigerati, dotata di sistemi all'avanguardia per garantire il mantenimento delle temperature ottimali e il controllo completo delle condizioni di consegna». Nonostante l’impegno, anche economico, spesso le imprese del settore si ritrovano ad affrontare inefficienze soprattutto a livello infrastrutturale. «Fatta eccezione per qualche mercato ortofrutticolo appena rifatto – spiega Zamboni – molti sono vecchi, e alcuni risalgono anche a più di 50 anni

www.zambonitranservice.it

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fa: in questi casi, l’igiene è dubbia. Il nostro lavoro per mantenere la temperatura dei prodotti e garantirne la conservazione durante il viaggio, così viene compromesso. Bisogna considerare che i mercati sono gestiti da enti pubblici: quando ne costruiscono di nuovi, passa troppo tempo tra la progettazione e l’esecuzione dei lavori, tanto da ritrovarsi con un mercato progettato secondo norme completamente cambiate». La contraddizione interna alle istituzioni grava su contesto commerciale già di per sé svantaggioso per le imprese italiane. «Il nostro settore – continua Zamboni – è in mano alla Spagna e all’Olanda, perché i prodotti provenienti da questi due stati sono più duraturi. I motivi dietro questa proprietà mi rimangono sconosciuti, eppure ci sono fragole spagnole, per esempio, che si mantengono anche per 10 giorni: quelle che vengono da Verona dopo 3 giorni già non sono più idonee alla vendita. Forse nel far rispettare certe regole le nostre autorità sono più rigorose, di quanto non lo siano quelle degli altri stati europei. Ma sono certo che se dovessimo guardare alla qualità, allora il prodotto italiano dovrebbe costare di più. Invece per assurdo è più costoso quello estero». \\\\\ REMO MONREALE DICEMBRE 2013

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AGROALIMENTARE ANDREA FERRAIOLI

UN VINO CHE SA DI ROCCIA

Andrea Ferraioli presenta l’asprezza di Furore e le sue bottiglie, inimitabili per eleganza, equilibrio e morbidezza. Apprezzatissime all’estero

© Photo Bruno Bruchi

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↑ Andrea Ferraioli, con la moglie Marisa Cuomo e i figli, delle Cantine Marisa Cuomo di Furore (SA). Foto di Bruno Bruchi 204

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n’enclave nell’enclave. Un’anomalia geomorfologica assunta a unicità nell’insediamento campano di Furore, in provincia di Salerno. Costoni di roccia ai quali da tempo immemore gli uomini, eroicamente, strappano le risorse per il

sostentamento, con un’opera ciclopica durata secoli. Opera che ha reso fertili i costoni rocciosi di una falesia che si arrampica dal fiordo, con una pendenza che supera sempre il 50 per cento, fino ai 650 metri sul livello del mare. «Questa è una terra estrema. E produce vini estremi». A dichiararlo è Andrea Ferraioli dell’azienda Marisa Cuomo, impresa vitivinicola che Andrea ha intitolato alla propria moglie subito dopo esser convolato a nozze. «Tutto ciò che si fa qui è inimmaginabile altrove. Siamo in un territorio complesso dal punto di vista geomorfologico. È un suolo dolomitico-calcareo, emerso dal mare. Per questo porta con sé del salmastro, arricchito nei secoli dalle eruzioni del Vesuvio (cenere e lapilli). E proprio questo dà ai nostri vini caratteristiche organolettiche irripetibili». L’uomo di Furore, nei secoli, ha dovuto inventare gli spazi per la coltivazione. E l’ha fatto a partire dal VI-VII secolo dopo Cristo, cominciando a costruire muretti a secco, le cosiddette “macere” o “macerine”, alti anche quattro metri. Ma non bastava. I costoni erano scarsi di terra e quindi si integrava recuperando, con degli imbrigliamenti, il terriccio che l’acqua piovana trascinava giù nelle valli verso il mare – terriccio che veniva riportato su a spalla per le colmature. Il maggiore dei vini di Marisa Cuomo è il pluripremiato Furore Bianco Fiorduva, il cui nome fa riferimento al Fiordo di Furore, altra eccezionalità locale. «Tutti i nostri vini sono ricavati esclusivamente da vitigni storici “autoctoni” confinati in questo areale, che vanta oltre 42 varietà, con prevalenza a bacca bianca, e che dal 1994 al 1998 sono state oggetto di un accurato studio condotto dal professor Luigi Moio, ordinario di Enologia, presso la Federico II di Napoli». Il Fiorduva nasce da Fenile, Ginestra e Ripoli, la cui combinazione dona un vino giallo carico con riflessi oro. Un odore che ricorda l’albicocca e i fiori di ginestra, con richiami di frutta esotica. Al gusto è morbiDICEMBRE 2013


IL NOSTRO ESORDIO, NELLA FASCIA ALTA DEL MERCATO, È AVVENUTO NEGLI USA

do, denso e caratterizzato da un’importante persistenza aromatica di albicocca secca, uva passa e canditi. La sua non replicabilità è stata riconosciuta nel 2005 con il Best of Class Award Limited Production ricevuto alla Los Angeles County Fair, Wines Of The World Competition, e nel 2006 con l’Oscar per il Migliore Bianco d’Italia. Riconoscimenti ottenuti sia per la specificità dei vitigni, sia per le condizioni ambientali particolarissime nelle quali vengono coltivati. E anche nel 2012

www.marisacuomo.com

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ha ottenuto il titolo di Miglior vino bianco dell’anno al Wine & Food Festival di Cortina. In questi luoghi di incomparabile bellezza, i vini prodotti da Marisa Cuomo, con i consigli del professor Moio, fin dall’inizio hanno impressionato in positivo per l’eleganza, l’equilibrio e la morbidezza i tanti turisti stranieri e non solo, in vacanza in Costa d’Amalfi. «Tutto ciò, ha da subito reso facile l’ingresso nell’alta ristorazione degli Stati Uniti, in particolare nello stato di New York e in seguito in California. Contestualmente si è approcciato anche il mercato giapponese e oggi esportiamo il 25 per cento della nostra produzione, ovvero circa 26mila bottiglie». Ferraioli ripete spesso di non fare vino “per passione”, ma per amore. Amore per una storia vitivinicola di famiglia dalle radici molto profonde e amore per questo territorio da molti definito un angolo di paradiso. \\\\\ LUCA CÀVERA DICEMBRE 2013

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FIERE NEL MONDO

Le capitali della moda Milano Moda Uomo, 11-14 gennaio 2014 Mode Masculine Paris, 15-19 gennaio 2014 Project New York, 21-23 gennaio 2014

Milano Moda Uomo è l’appuntamento internazionale con le novità del prèt-à-porter per uomo presentate dalle maison più importanti della moda Italiana; la manifestazione ospita più di 100 sfilate e presentazioni e circa 10.000 buyers. Project New York presenterà, invece, oltre oceano il meglio delle collezioni uomo designers, contemporary e jeanswear. A Parigi, Mode Masculine è l’evento annuale per tutti gli amanti dei grandi marchi internazionali, con sfilate nel Carrousel du Louvre e in giro per la città.

Gennaio PITTI IMMAGINE FILATI

22-24 gennaio 2014 Fortezza da Basso, Firenze

L’appuntamento internazionale di riferimento del settore dei filati per maglieria. Laboratorio di ricerca ma anche osservatorio per le nuove tendenze del lifestyle globale, Pitti Filati presenta l’eccellenza della filatura su scala internazionale al suo pubblico, buyer provenienti da tutto il mondo e designer dei marchi più importanti del fashion business, che arrivano a Firenze in cerca di suggestioni creative.

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BIT 13-15 febbraio 2014 Fiera Milano, Rho

Da anni punto di riferimento dell’offerta turistica italiana e non solo, la Borsa internazionale del turismo per la prossima edizione presenta alcune novità: free matching tra gli espositori e gli operatori professionali verificati dalla segreteria organizzativa, una destination room a disposizione degli espositori esteri per presentare le novità del 2014 e rafforzamento del palinsesto degli eventi formativi.

Febbraio Le missioni di Federlegno Con le consociate Assarredo, Assobagno, Assoluce, EdilegnoArredo, Assopannelli, Assolegno, Fedecomlegno e Assuficio, FederlegnoArredo sarà nei seguenti Paesi con missioni B2B nei primi sei mesi del 2014: a febbraio, dal 4 al 6 in Azerbaijan, dal 10 al 14 in Kenya, dal 16 al 20 negli Emirati Arabi e in Quatar. A marzo, dal 4 al 6 in Indonesia e dal 16 al 20 in Arabia Saudita. A maggio, dall’8 al 13 in Ghana e Nigeria e dal 26 al 30 in Russia. Infine, dal 9 al 13 giugno a Miami. Per maggiori informazioni www.federlegnoarredo.it VALORE EXPORT

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