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SOMMARIO

EDITORIALE Stefano Rimondi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 09 Claudio Cricelli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 11

ABUSO DI ALCOL Emanuele Scafato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 58 Luciana Quattrociocchi

IN COPERTINA Enrico Garaci . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 12

DISTURBI DELL’UMORE Claudio Mencacci . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 64

RICERCA FARMACEUTICA Massimo Scaccabarozzi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 16 Pier Luigi Canonico

PSICOTERAPIA Federica Caldi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 66

FARMACI Gualtiero Pasquarelli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 20 Gaetano Borgia INTEGRATORI Giorgio Passon . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 28 DIAGNOSTICA Tecnologie in vitro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 30 Pasquale Mosella Giovanni Di Gioia Valeria Viterbo Walter Veneziano INFORMAZIONE E PREVENZIONE Luciano Onder. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 42 Silvio Garattini IL MODELLO LOMBARDIA Elio Borgonovi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 46 Mauro Lovisari Mario Mantovani POLITICHE ANTIDROGA Giovanni Serpelloni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 53

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CARDIOLOGIA Antonio Rebuzzi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 68 Massimo Volpe GASTROENTEROLOGIA Antonio Benedetti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 76 PNEUMOLOGIA Andrea Rossi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 78 ANGIOLOGIA Gualtiero Palareti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 80 Adriana Visonà TUMORE ALLA MAMMELLA Francesco Schittulli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 86 TRATTAMENTO ONCOLOGICO Carlo Pastore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 90 NEOPLASIE Maria Prascina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 94 ORTOPEDIA Claudio Zorzi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 98 Paolo Cherubino Francesco Centofanti Gabriella Porzio Gianfranco Pivato CRIOTERAPIA Antonio Vespasiani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 106

Un’immagine della mostra “Brain – Il cervello, istruzioni per l’uso” a Milano, nelle sale del Museo di Storia Naturale fino al 13 aprile 2014 6

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Da sinistra, Claudio Mencacci, presidente della Società italiana di psichiatria e Paolo Cherubino, presidente della Società italiana di ortopedia e traumatologia DICEMBRE 2013


SOMMARIO

Da sinistra, Giorgio Calabrese, docente di alimentazione e nutrizione umana e Antonio Rebuzzi, docente di cardiologia

FISIOTERAPIA Stefano Gaudenti e Claudio Bazzani . . . . . . . . . . pag. 108

PEDIATRIA Angela Tarchino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 152

DISPOSITIVI MEDICI Myrna Rossi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 110

GENETICA Suyen Benedetto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 154

PARKINSON Francesco Pietrobon . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 112 La terapia Fms

ODONTOIATRIA Luigi Guida. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 156 Giuseppe Gallina Gian Antonio Favero Edoardo Giacometti Giuseppe Giovanni Trapani Claudio Cortesini Carla Branz Domenica Bozzi ed Elio Marinaro Cesare Oppici Marco Bonioli Andrea Vecchi Alberto Calderoli

OBESITĂ€ Nicola Basso. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 116 ALIMENTAZIONE Giorgio Calabrese . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 118 Francesco Brancati Maria Rosaria Taurino e Francesco Gallone OCULISTICA Demetrio Spinelli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 126 CHIRURGIA REFRATTIVA Laservision . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 128 Tullio Perrucchini DIFETTI DELLA VISTA Guido Caramello. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 132 Giancarlo Falcinelli INVECCHIAMENTO CUTANEO Alessio Radaelli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 136 ANDROLOGIA Teresa Leonetti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 140 PROCREAZIONE ASSISTITA Alessandro Di Gregorio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 142 MALATTIE RENALI Eliana De Bella . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 144 ASSISTENZA Roberta Bianco e Luca Servetto . . . . . . . . . . . . . . pag. 146 Ugo Riba Matteo Spangaro

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IMPLANTOLOGIA Ermanno Davide Perin . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 184 Maurizio Ciatti Marco Lombardi Sergio Squarzoni MALATTIE DEL CAVO ORALE Gianfranco Favia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 192 Federico Meynardi CHIRURGIA RIGENERATIVA Francesco Mele . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 196 ODONTOTECNICA Laboratorio Dental Line . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 198 Maurizio Martin BENESSERE Valter Copetti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 202 FORMAZIONE Katia Tallone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 204 RUBRICA Il mondo in pillole . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 206

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EDITORIALE

L’equilibrio necessario tra pubblico e privato di Stefano Rimondi presidente Assobiomedica

a sanità è un sistema fondamentale per la coesione sociale e va salvaguardato per la tutela dei diritti del cittadino. Nei paesi più sviluppati rappresenta un potente traino per l’economia e lo sviluppo industriale in settori ad alta tecnologia e intensità di ricerca. Il nostro servizio sanitario nazionale, dalla sua costituzione fino a oggi, ha dovuto affrontare fin da subito la sostenibilità economica e il mantenimento dell’equilibrio tra garanzie ai cittadini, organizzazione dei servizi, omogeneità e qualità delle prestazioni offerte. La sfida più grande che il nostro Paese ha dovuto sostenere – e sta sostenendo tutt’oggi – è quella di rendere la spesa pubblica per la sanità sostenibile senza pregiudicare la qualità dei servizi sanitari e l’equità di accesso alle cure. Eppure, se prendiamo in esame l’incidenza percentuale sul Pil della spesa sanitaria totale nei Paesi Ocse, vediamo che l’Italia è senza dubbio tra i più virtuosi: la spesa sanitaria pubblica pesa, infatti, solo per il 7,1 per cento sul Pil. E coerentemente con questo quadro, anche la crescita della spesa è stata contenuta,

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segno evidente che non è affatto fuori controllo, ma decisamente controllata. Nonostante ciò, anche la sanità sta pagando un pesante contributo alle politiche di rigore messe in atto dai governi succedutisi fino a oggi, per scongiurare il rischio di una crisi finanziaria del Paese. Nel complesso, si tratta di manovre pesantissime per il servizio sanitario nazionale, tanto pesanti che mai come ora sono a rischio le fondamenta stesse del Ssn, per il quale è previsto che venga ridotto il finanziamento statale in una misura che va ben oltre la soglia del possibile miglioramento dell’efficienza. E gli effetti più evidenti si toccheranno con mano solo tra qualche anno, quando in seguito alla mancanza di prevenzione e cure da parte dei cittadini, il servizio sanitario si troverà a fronteggiare costi nettamente maggiori per curare patologie non diagnosticate per tempo. Le conseguenze saranno, quindi, pesanti con il rischio che nei prossimi anni si vada a creare in modo ancor più evidente un sistema a doppio regime: quello pubblico impoverito, con tecnologie acquistate al prezzo più

basso, quindi di mediocre qualità e obsolete; e quello privato non convenzionato, efficiente e tecnologicamente avanzato, al quale però potranno accedere esclusivamente i cittadini abbienti. Non si eliminano sprechi e inefficienze, introducendo tagli lineari che mettono a rischio l’erogazione delle prestazioni sanitarie che spettano di diritto ai cittadini. È importante che la sanità possa garantire con lo stesso livello di efficienza ed efficacia sia nel pubblico che nel privato convenzionato; entrambi devono risultare complementari nell’erogazione dei servizi ai cittadini e andrebbero ridisegnati secondo criteri di accreditamento comuni in modo da eliminare strutture obsolete e inefficienti e avviare un’appropriata lotta agli sprechi. La politica dovrebbe avere voce nella definizione di questi criteri e nel controllo del livello adeguato delle cure offerte, mettendosi invece da parte nella gestione ordinaria delle strutture sanitarie, che dovrebbero al contrario essere in capo a manager specializzati e professionalmente estranei ai giochi di potere. SANISSIMI

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EDITORIALE

Un’organizzazione primaria efficace di Claudio Cricelli presidente della Società italiana di medicina generale

ambiamento ed evoluzione sono termini quasi abusati in questi mesi. Il sistema salute non fa eccezione e risente di condizionamenti mai verificatesi negli ultimi 50 anni: l’esplosione delle malattie croniche, la drastica e drammatica riduzione delle risorse e, per contro, nuovi bisogni di salute da parte della popolazione. Il cambiamento non si è fatto attendere a livello legislativo e le recenti disposizioni del ministro della Salute introducono elementi del tutto nuovi per l’assistenza ai cittadini. I medici di famiglia si assoceranno per programmare l’attività e lavorare in associazioni mono-professionali ed erogheranno le cure in gruppi composti da medici di medicina generale e altri specialisti. In tal modo si potrà garantire ai cittadini il diritto di trovare sul territorio le migliori cure. La medicina del territorio potrà così avere un respiro più ampio, coordinando anche le prestazioni specialistiche e diagnostiche. La nostra visione delle cure primarie implica il passaggio dalla medicina di attesa a quella della presa in cura. La nuova organiz-

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zazione del territorio comporta la consapevolezza del passaggio da una struttura a bassa intensità di cura e complessità di assistenza a un modello a media intensità di cura e assistenza. In accordo con le prassi del “chronic care model”, il team delle cure primarie esplora continuamente tutte le fasi del processo assistenziale in maniera proattiva e intercetta i bisogni di salute ancora prima che si trasformino in malattie. Il paziente viene cortocircuitato sui percorsi dell’assistenza del territorio che estende il suo intervento verso le cure intermedie. Disabilità e non autosufficienza sono le aree di intervento in grado di accogliere il paziente al domicilio, limitando le complicanze, i ricoveri, le riammissioni e predisponendo tutti gli interventi che oggi rendono faticosa ai presidi l’organizzazione dell’assistenza domiciliare. Un’organizzazione primaria efficace consente di evitare ricoveri impropri in ospedale fino al 35 per cento dei casi e intasamenti dei pronto soccorso. Ma, al di là dei numeri, salda il percorso di continuità di cura con l’ospedale con cui realizza le cure condivise. Nell’Unità di cura - casa della

salute - il cittadino troverà una disponibilità di servizi per i quali occorre oggi recarsi in mille posti diversi, fare lunghe code, attendere molto tempo. Le motivazioni e le criticità che portano oggi al ricovero diminuiranno drasticamente - almeno del 30-40 per cento come gli accessi al pronto soccorso perché nelle Case della salute, non solo ci saranno medici e infermieri tutto il giorno, ma essi avranno a disposizione strumenti e risorse che si trovano oggi solo nell’ospedale. Anche in caso di ricovero l’unità di cura seguirà il suo cittadino non solo nelle cure, ma per programmare insieme con il reparto, le esigenze alla dimissione e l’intervento di presa in carico prima che la persona torni a casa. A domicilio verrà valutato e predisposto l’intervento dell’infermiere, del riabilitatore, del cardiologo, i presidi necessari, le terapie da somministrare. Questo nuovo sistema, è ormai sperimentato da decenni in molti paesi, oltre che in alcune regioni del nostro Paese, funziona assai bene e i suoi risultati sono stati verificati. È dunque il momento di realizzarlo e in tempi assai rapidi. SANISSIMI

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IN COPERTINA • Enrico Garaci

L’UMANIZZAZIONE DELLA MEDICINA APPROPRIATEZZA DELLE CURE, PREVENZIONE, DEOSPEDALIZZAZIONE. SONO ALCUNE DELLE SFIDE CHE ATTENDONO IL SISTEMA SANITARIO NAZIONALE. NE PARLA ENRICO GARACI, PRESIDENTE DEL CONSIGLIO SUPERIORE DI SANITÀ di Francesca Druidi

a sanità italiana è chiamata a confrontarsi oggi con un contesto sociale, economico e medico che richiede interventi e cambiamenti strutturali. In uno scenario che impone la sostenibilità economica come prerogativa fondamentale, obiettivo del sistema sanitario nazionale è garantire una continuità d’azione per quanto riguarda la qualità dell’assistenza, nel passaggio epocale dall’ospedale - che sarà sempre più destinato alla cura dei malati acuti - alla medicina del territorio. Nel frattempo, gli italiani continuano e invecchiare e soffrono di patologie croniche, che identificano la vera problematica sanitaria non solo a livello nazionale. Di fronte a questo fenomeno e ad altre esigenze della popolazione in evoluzione, si rende necessario un nuovo approccio. Enrico Garaci, past president dell’Iss e attuale presidente del Consiglio superiore di sanità, indica le traiettorie e le priorità della sanità in Italia.

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Come si può attuare una politica sanitaria in grado di unire la riduzione degli sprechi, il controllo

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della spesa sanitaria e l’efficienza dell’assistenza? «La principale sfida in questo momento è quella di evitare che la spending review, che dovrebbe essere attuata, incida sulle prestazioni sanitarie e soprattutto sulla qualità dell’assistenza. Bisogna evitare che i tagli lineari colpiscano a 360 gradi la sanità, comprese le prestazioni eccellenti. Per far ciò, è importante realizzare una riforma del sistema sanitario che attui una riduzione della spesa - portando avanti concetti quali riduzione degli sprechi, razionalizzazione dei servizi, definizione costi standard - ma senza incidere sulla qualità dell’assistenza. Mi riferisco innanzitutto al fatto che dovrebbe essere incrementata la prevenzione. È dimostrato che aumentare la prevenzione primaria, concentrandosi sugli stili di vita e sulla lotta all’obesità, influisce sulla percentuale d’insorgenza delle malattie cronico-degenerative, che costano al sistema sanitario ingenti risorse in termini di ricoveri ospedalieri e di utilizzo dei farmaci. Un altro tema cruciale è il processo di umanizzazione della medicina». DICEMBRE 2013

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Enrico Garaci • IN COPERTINA

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IN COPERTINA • Enrico Garaci

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Come si dovrebbe articolare, nello specifico, quest’ultimo punto? «Questo processo potrebbe ridurre i costi della medicina difensiva, che, secondo studi effettuati, costa il 10 per cento dell’intera spesa sanitaria, ossia 12 miliardi di euro. Un processo di umanizzazione che ponga il paziente al centro del sistema di relazioni con medici, operatori sanitari, famiglia, associazioni di pazienti e istituzioni, può eliminare quel contenzioso medico-legale che spesso si instaura. C’è, inoltre, da aggiungere che oggi si è verificata un’evoluzione del paziente, il quale non è più un soggetto passivo che riceve prescrizioni dal medico, ma vuole interagire e sapere. È un soggetto informato, anche grazie a internet. Se fosse stabilito un percorso di vera e propria umanizzazione, con persone capaci di un contatto diretto con il paziente e le sue esigenze, la spesa richiesta da questo sistema potrebbe essere compensata dal risparmio che l’organizzazione ospedaliera riceverebbe dal diminuito costo delle assicurazioni e dal venir meno di molti contenziosi».

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Cosa rappresenta il “patto per la salute” tuttora in fase di discussione? «Il ministro Beatrice Lorenzin ha avviato la proposta di un patto per la salute, nel quale sono stati istituiti diversi tavoli tecnici con le Regioni per esaminare i vari aspetti connessi con il sistema sanitario nazionale e affrontarne i nodi critici: l’appropriatezza delle prestazioni, la deospedalizzazione e la medicina territoriale, ma anche le terapie palliative e del dolore e le politiche di prevenzione. Il ministro ha fatto un ottimo lavoro in questo senso, perché si tratta di tematiche fondamentali che costituiscono l’orizzonte del Ssn nel prossimo futuro». Quali sono i temi che state discutendo o discuterete nel prossimo futuro nell’ambito del Consiglio superiore di sanità? «All’atto dell’insediamento del Consiglio, oltre a confermare i suoi compiti tradizionali - in primis, fornire pareri su vari argomenti - il ministro Lorenzin ha invitato i membri a svolgere un ruolo propositivo, presentando delle proposte e attivandosi per approfondire le tematiche di interesse at-

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Enrico Garaci • IN COPERTINA

traverso convegni e volumi. Un argomento che il Consiglio ha affrontato di recente è l’esame dei “criteri di appropriatezza clinica, tecnologica e strutturale nell’assistenza del paziente complesso”. Il paziente complesso è il profilo che emerge in questo momento, ossia l’assistito - generalmente una persona anziana - che vive e convive con una serie di patologie, spesso croniche. La condizione del paziente complesso, caratterizzata dalla coesistenza di più malattie, richiede necessariamente la ridefinizione dei percorsi diagnostici e terapeutici». Con quali conseguenze? «Si profila sempre più una medicina personalizzata, dove si registrano variazioni in termini di reazione alle patologie anche molto sensibili da paziente a paziente. Le malattie cronico-degenerative rappresentano, di fatto, la sfida sanitaria per l’Occidente nei prossimi anni, in contrapposizione alle cosiddette “malattie della povertà” che affliggono, invece, il sud del mondo. Oltre alle malattie croniche, al paziente complesso e all’umanizzazione della medicina, un’altra frontiera importante di cui ci stiamo occupando è l’autismo, grazie alla presenza nel Consiglio di un’autorità in materia come il professor Gabriel Levi. Sono allo studio, presso l’Istituto Superiore di Sanità, modalità di diagnosi precoce e modalità di organizzazione del sistema sanitario rispetto a questo problema che affligge una percentuale di popolazione anche elevata».

Le malattie cronico-degenerative rappresentano la sfida sanitaria per l’Occidente nei prossimi anni

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I bisogni degli italiani sul fronte della salute crescono, quindi, in complessità e cronicità a causa dell’invecchiamento della popolazione e dei cambiamenti demografici, epidemiologici e anche economici. Uno scenario in cui la ricerca occupa un ruolo preponderante. «Certo, la ricerca è essenziale. Con la ricerca si possono mettere a punto nuovi farmaci, adottare protocolli terapeutici più efficaci e ottenere una sistema di diagnosi precoce, aspetto prioritario nel caso, ad esempio, della cura dei tumori. C’è poi la ricerca che porta ad avere nuovi dati in materia di prevenzione: sul fronte dell’alimentazione, sono state compiute scoperte interessanti che, in precedenza, erano considerate solo il frutto del buon senso. Oggi, con le ricerche epidemiologiche, è stato dimostrato che gli stili di vita influiscono sulla qualità e sulle aspettative di vita».

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RICERCA FARMACEUTICA • Massimo Scaccabarozzi

UN SETTORE SANO E INNOVATIVO MASSIMO SCACCABAROZZI, PRESIDENTE DI FARMINDUSTRIA AL SUO SECONDO MANDATO, ILLUSTRA LE PROPOSTE PER IL FUTURO DEL SETTORE E CHIEDE UN QUADRO DI RIFERIMENTO E REGOLE CERTE PER SVILUPPARE GLI INVESTIMENTI NELLA RICERCA di Renata Gualtieri

er supportare lo sviluppo di un settore strategico per il nostro Paese, come quello dell’industria del farmaco, serve un cambio di rotta. E per attuarlo Farmindustria ha presentato lo scorso luglio, durante l’assemblea annuale, le sue proposte, definite dal presidente Scaccabarozzi «chiare e a costo zero per lo Stato». Innanzitutto, serve un patto di stabilità di 3 anni senza modifiche del quadro normativo. Le imprese del farmaco, infatti, negli ultimi 11 anni hanno subìto 44 manovre (4 solo nel 2012) «che ci hanno impedito di lavorare con tranquillità e dare una maggiore spinta all’economia di questo Paese». In secondo luogo, bisogna rendere più rapido l’iter di accesso a nuovi farmaci e vaccini (alcuni medicinali arrivano in Italia anche con 2 anni di ritardo rispetto agli altri Paesi europei e sono disponibili solo in alcune regioni). È, inoltre, importante superare la frammentazione sanitaria regionale, riequilibrando i poteri e le competenze tra Stato e regioni; serve una cabina di regia tra i ministeri della salute, dell’economia e dello sviluppo economico, con un ruolo attivo di quest’ultimo all’interno dell’Agenzia italiana del farmaco; eliminare i tetti per singolo farmaco e per classi terapeutiche. Infine, bisognerebbe garantire la libertà prescrittiva del medico nel rispetto dell’appropriatezza. Le illustra nel dettaglio il presidente Scaccabarozzi.

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La spesa pubblica per medicinali in Italia è più bassa che nella media dei grandi Paesi Ue di oltre il 25 per cento ed è diminuita dal 2006 al 2012 del 3 per cento. «Siamo partiti circa un anno fa con una serie di iniziative, tra cui un tour nelle regioni italiane denominato “Produzione di valore”, proprio per far capire che il settore è formato da una serie d’imprese che producono salute e da un patrimonio che dovrebbe essere salvaguardato dallo Stato. Abbiamo 174 fabbriche, 63.500 occupati, di cui il 90 per cento laureati e diplomati, 6mila addetti alla ricerca e sviluppo e investiamo nel Paese con 26 miliardi di produzione, di cui il 67 per cento è rappresentato dall’export, e tra R&S pura e produzione investiamo 2,5 miliardi all’anno». Pagamento dei debiti della Pa. Qual è la situazione nel settore? «Il ritardo è ancora notevole perché ci pagano mediamente a 208 giorni, con punte di oltre 700, e abbiamo un credito totale di circa 4 miliardi; se pensiamo che l’investimento che lo Stato fa nella salute e nel farmaceutico è di 12 miliardi, vuol dire che il 30 per cento del nostro fatturato è bloccato dai debiti». È stato riattivato il “tavolo sulla farmaceutica”. Che importanza può rivestire? DICEMBRE 2013


Massimo Scaccabarozzi • RICERCA FARMACEUTICA

Il presidente di Farmindustria, Massimo Scaccabarozzi

La farmaceutica è ai primi posti per produttività, competitività e intensità della ricerca

«Ha un’importanza considerevole perché solo lavorando tutti insieme si possono affrontare le questioni di politica industriale e dare risposte concrete, assicurando il nostro contributo, cioè quello di un’industria economicamente sana». A luglio sono stati presentati gli indicatori farmaceutici. Quali dati emersi giudica positivi e quali meno? «La farmaceutica è tra i primi posti per produttività, competitività e intensità di ricerca e sviluppo. Pensiamo, ad esempio, che per la produzione in Italia siamo secondi solo alla Germania, se poi guardiamo agli ultimi 5 anni, cioè gli anni della crisi, l’export nostro è cresciuto del 44 per cento, rispetto al 7 per cento della media manifatturiera. Come indotto, abbiamo un valore complessivo d’investimenti e tasse pagate di 13 miliardi, che è addirittura al di sopra della spesa farmaceutica in Italia (circa 12 miliardi), oltre a essere un settore molto competitivo per la presenza di tante risorse umane qualificate. I dati negativi, invece, sono principalmente dovuti alle manovre di contenimento della spesa, che hanno portato a perdere 11.500 posti di lavoro, un calo molto più grave rispetto a quello di altri Paesi». DICEMBRE 2013

L’industria farmaceutica in Italia è la prima per impegno in ricerca. Quali i numeri a supporto di questi risultati e, date le difficoltà economiche, quali prospettive vede? «Nell’assemblea del 3 luglio scorso abbiamo presentato l’iniziativa “L’orologio della vita”, accompagnato dallo slogan “vivere di più e meglio” per ricordare che, proprio grazie alla ricerca, ai nuovi farmaci e ai corretti stili di vita, l’aspettativa di vita aumenta di 3 mesi ogni anno, 6 ore al giorno e 15 secondi al minuto. Oggi possiamo sperare di vivere fino a 82 anni, 10 in più rispetto agli anni 70». Quali le regioni rappresentano un modello da imitare? E in quali, invece, occorre cambiare rotta? «Molte regioni usano la farmaceutica per fare cassa ed è un peccato perché il settore ha una presenza importante in quasi tutte le regioni italiane. In Lombardia, ad esempio, abbiamo 100 aziende, 30 centri di ricerca, 100 imprese nelle biotecnologie e 30.000 addetti, a cui vanno aggiunti quelli dell’indotto. È così anche nel Lazio, in Toscana, in Emilia Romagna e nel Veneto, ma anche nel Sud. Noi rappresentiamo un modello economico d’incentivazione all’occupazione e agli investimenti sul territorio, ma purtroppo le regioni questo fanno fatica a comprenderlo».

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RICERCA FARMACEUTICA • Pier Luigi Canonico

DARE IMPULSO ALLA RICERCA di Nicolò Mulas Marcello NEGLI ULTIMI ANNI IN ITALIA SONO STATI RAGGIUNTI IMPORTANTI RISULTATI DALLA RICERCA FARMACOLOGICA. GLI AMBITI DI AZIONE SONO MOLTEPLICI. PIER LUIGI CANONICO NE ILLUSTRA I SUCCESSI E LE DIFFICOLTÀ

a ricerca farmacologica prodotta dal nostro Paese si colloca all’avanguardia nel panorama internazionale. Secondo i dati forniti qualche mese fa da Farmindustria, nel 2012 sono stati 5.950 i ricercatori che hanno potuto contare su investimenti pari a 1.230 milioni di euro. Nonostante l’ostacolo economico rappresentato dalla ricorrente mancanza di fondi, sono ancora molti i giovani che scelgono con passione questa strada: «L’attività

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di ricerca in ambito farmacologico – spiega Pier Luigi Canonico, presidente della Società italiana di farmacologia – è molteplice, spazia dallo studio dei meccanismi fisiopatologici alla base delle malattie, che possono costituire bersaglio per l’identificazione di nuove molecole, ad aspetti che riguardano la ricerca preclinica e clinica, fino a valutazioni di farmacoepidemiologia, farmacoutilizzazione, farmacovigilanza e farmacoeconomia». DICEMBRE 2013


Pier Luigi Canonico • RICERCA FARMACEUTICA

Il futuro della farmacologia italiana non può essere disgiunto dal futuro della ricerca Pier Luigi Canonico, presidente della Società italiana di farmacologia

È possibile tracciare un quadro generale sul livello e sulla qualità della ricerca farmacologica in Italia rispetto agli altri Paesi? «Il livello generale della ricerca farmacologica in Italia, come emerge da specifici indici bibliometrici, è da ritenersi ottimo. Se si escludono, infatti, gli Stati Uniti, che sono di gran lunga i migliori anche in considerazione del grande contributo dato alla ricerca dal settore privato, e Paesi emergenti come Cina e India, il cui livello qualitativo è da ritenersi ancora non esaltante, l’Italia figura tra i primi posti, insieme a Gran Bretagna e Germania, nazioni che dirottano sulla ricerca finanziamenti di gran lunga superiori rispetto al nostro Paese». Quali recenti ricerche in ambito farmacologico hanno una paternità italiana? «Un settore in cui la farmacologia italiana ha sempre dato e continua a dare grandi contributi è quello della neuropsicofarmacologia, in particolar modo le malattie neurodegenerative, le malattie psichiatriche, le tossicodipendenze. Ma, tanto nel mondo farmacologico accademico che in quello extra accademico, significativi risultati sono stati ottenuti nell’ambito della farmacologia oncologica, soprattutto per quanto riguarda la personalizzazione della terapia, nella farmacologia cardiovascolare e metabolica, nelle malattie infiammatorie e dell’immunità. Particolare attenzione è stata di recente data anche allo studio delle malattie rare e neglette, ma possiamo affermare che qualsiasi settore della ricerca farmacologica è ampiamente coperto». DICEMBRE 2013

Come vede il futuro della farmacologia in Italia? «Il futuro della farmacologia non può essere disgiunto dal futuro della ricerca. Se si saprà dare impulso alla ricerca in generale, sia nel settore pubblico che in quello privato, è chiaro che anche la ricerca farmacologica, che già si colloca all’avanguardia in campo internazionale, ne trarrà giovamento. Ciò avvantaggerà le nuove generazioni di ricercatori che, nonostante le difficoltà, continuano a entusiasmarsi alla ricerca e ottengono risultati estremamente significativi. L’attenzione alla ricerca aiuterebbe anche la crescita dell’intero Paese, grazie al conseguente miglioramento della salute individuale e sociale». Come sono i rapporti tra la Società italiana di farmacologia e le istituzioni? «I rapporti sono ottimi e bidirezionali. Chiaramente un interlocutore importante è l’Agenzia italiana del farmaco, nelle cui commissioni siedono autorevoli farmacologi e il cui direttore generale è, tra l’altro, un farmacologo. Inoltre, la farmacologia è presente in maniera significativa nel Consiglio superiore di sanità. Importanti sono i rapporti con i vari ministeri in cui l’interazione con i farmacologi è rilevante, come il Ministero della salute e quello dell’università e della ricerca. Le interazioni diventano ancora più stringenti a livello delle istituzioni regionali e locali».

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di Renato Ferretti

GENERICI, UN’INFORMAZIONE ADEGUATA

I FARMACI GENERICI EQUIVALENTI E LA LORO IMPORTANZA, NELLE PAROLE DI GUALTIERO PASQUARELLI. «HANNO LA STESSA EFFICACIA E TOLLERABILITÀ»

ome capita spesso quando manca l’informazione, nel senso comune si formano credenze e pregiudizi senza nessun fondamento. Lo stesso fenomeno ha colpito i farmaci generici, che per molti hanno provenienze dubbie e per questo si genera il sospetto di scarsi controlli: efficacia o tollerabilità, dunque, non sarebbero garantite. Il dottor Gualtiero Pasquarelli, amministratore delegato della Doc Generici di Milano, la terza impresa farmaceutica in Italia nel campo dei medicinali equivalenti, smentisce seccamente queste convinzioni, cercando di ristabilire un’informazione adeguata sull’argomento. «Prima di tutto – dice PaIl dottor Gualtiero Pasquarelli, squarelli – bisogna chiarire il concetto amministratore delegato stesso di generico. I farmaci generici equidella Doc Generici di Milano valenti sono sostituibili al farmaco origiwww.docgenerici.it nale, previa approvazione dell’Aifa,

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Gualtiero Pasquarelli • FARMACI

Lo sviluppo di un generico richiede competenze e investimenti significativi per essere approvato dall’Aifa

l’Agenzia Italiana del Farmaco, una delle più severe e competenti nel mondo. Dopo le dovute verifiche, l’Aifa rilascia l’autorizzazione all’immissione in commercio e ne sancisce la sostituibilità’ all’originale. In altre parole, i nostri farmaci hanno lo stesso profilo a livello di efficacia e tollerabilità». Eppure c’è chi lo mette in dubbio. «Questo sospetto, del tutto ingiustificato, è il motivo per cui abbiamo sostenuto uno studio, condotto in un bacino di circa 4 milioni di persone in Lombardia, che ha dimostrato l’errore in cui si cade se si pensa al generico come a un prodotto in qualche modo inferiore. I dati raccolti, che confermano l’equivalenza all’originale, verranno resi pubblici nei prossimi giorni. Ma d’altronde è lo stesso risultato che hanno ottenuto gli studi condotti in tutti gli altri paesi del mondo. L’altro mito da sfatare è che lo sviluppo di questi farmaci richieda uno sforzo insignificante. Nulla di più falso: richiede tempo, investimenti che si aggirano intorno a uno, due milioni di euro e competenze di grado molto elevato, per sviluppare un farmaco generico con le carte in regola per ottenere l’approvazione dall’Aifa».

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In che modo si sviluppa la vostra attività? «Appoggiandoci a un network di società, per lo più europee e la cui specialità è lo sviluppo di farmaci generici equivalenti, siamo in grado di coprire tutti i settori terapeutici più importanti. Operiamo sapendo quando i brevetti scadono e quindi con molto anticipo, in modo da portare i nostri generici sul mercato il giorno dopo la scadenza. Tra i più recenti c’è il Sildenafil, il generico del Viagra, che ha fatto molto scalpore: rispetto al Viagra il prezzo è molto più basso e questo ha diverse conseguenze. Tra queste, prima di tutto, si dà l’accesso al farmaco a molti pazienti con malattie cardiovascolari, che non di rado avvertono disturbi riguardo all’erezione, che prima non potevano assumerlo per motivi economici. In più, buona parte del mercato del Sildenafil in passato passava attraverso canali non autorizzati, soprattutto online: il consumo illegale, con il prezzo da noi imposto, è così ridotto». Qual è la politica italiana riguardo ai generici? «Il nostro paese ha una delle leggi più equilibrate in Europa. Infatti, permette di continuare a usare una specialità, dopo la comparsa del relativo generico, pagando di tasca propria la differenza di prezzo dal generico. La legge quindi non impone l’uso del generico in Italia: è molto importante, perché rispetta il diritto del consumatore, il controllo del medico sulla prescrizione e il ruolo del farmacista. Ma non vieta esplicitamente, ed è l’unica pecca, la sostituzione di un generico con un altro generico, in corso di terapia: questo è sbagliato perché il cambio della

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FARMACI • Gualtiero Pasquarelli

Nel 2015 arriveranno anche in Italia importanti biosimilari, “equivalenti” dei farmaci biologici usati per malattie molto gravi in ambito specialistico

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confezione crea confusione e riduce l’aderenza alla terapia soprattutto in quella popolazione di anziani che usa più medicinali». In quale direzione si sta muovendo ora la ricerca farmaceutica? «La tendenza è di non rivolgere più l’attenzione alle patologie più comuni, perché queste ormai sono risolte in modo brillante dai farmaci generici. Ci si è spostati poi dalla chimica classica alla biotecnologia: dal 2015 arriveranno anche in Italia importanti biosimilari, da Dna ricombinante, e con cui si trattano malattie molto gravi come l’artrite reumatoide o alcuni tumori. Lo sviluppo dei biosimilari è costosissimo, si aggira intorno ai 150 milioni di euro, e la molecola è talmente complessa da non poter garantire l’interscambiabilità con il farmaco originatore se non a determinate condizioni. Ma l’entrata sul mercato di questi medicinali è essenziale per il controllo della spesa farmaceutica nel settore ospedaliero. Attualmente, per quanto riguarda la Doc Generici, stiamo valutando il co-finanziamento dello sviluppo di un biosimilare per il trattamento dell’artrite reumatoide».

Quali sono i prossimi generici di Doc? «Dopo l’Irbesartan Idroclorotiazide, lanceremo il Telmisartan, entrambi usati contro l’ipertensione, a Dicembre. In questi giorni è previsto il lancio dei cerotti a base di Rivastigmina e la Memantina, entrambi usati per il trattamento dell’Alzheimer. Quello dei cerotti, in particolare, smentisce in modo inequivocabile chi pensa a uno sviluppo banale dei generici: lo sviluppo di un sistema transdermico richiede competenze molto sofisticate». Che peso ha la vostra struttura sul territorio? «Doc è un’azienda italianissima, 150 dipendenti e agenti, con il cervello a Milano. Collaboriamo per lo sviluppo dei nostri generici con aziende specializzate di tutto il mondo, produciamo prevalentemente in Europa, circa il 90 per cento dei nostri prodotti, e privilegiamo soprattutto i produttori italiani. L’indotto creato in Italia non è indifferente, se si considera che, dei 50 milioni di confezioni che venderemo nel 2013, quasi la metà è prodotta in Italia».

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FARMACI • Gaetano Borgia

PER UNA MIGLIORE DISTRIBUZIONE DEL FARMACO di Renato Ferretti

l tema è trasversale alla gran parte delle aree d’intervento pubblico e sembra in cima alla lista delle agende di tutti i partiti. Eppure lo spreco statale continua a essere un argomento attuale, sempre lontanissimo da una soluzione. Il settore farmaceutico non è immune dal fenomeno, pur essendo tra gli ambiti più delicati su cui la macchina statale è chiamata a dettare procedure e parametri, al fine di un’organizzazione efficiente e sicura dei servizi per la collettività. Ed è proprio nel servizio della distribuzione farmaceutica che il dottor Gaetano Borgia, alla guida della Farmaca Farmaceutici Can-

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GAETANO BORGIA SULL’ATTUALE GESTIONE PUBBLICA, CHE SEMBRA VOLTARE LE SPALLE AI CITTADINI. «IL SISTEMA CHE ORA GESTISCE IL FARMACO IN ITALIA PENALIZZA I PAZIENTI»

A destra, Gaetano Borgia. La Farmaca Farmaceutici Cannone Spa ha sede a Barletta www.farmaca.it

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Gaetano Borgia • FARMACI

Gli enti hanno difficoltà a pagare le forniture, quindi i medicinali necessari ai pazienti non sempre sono disponibili

none Spa di Barletta, punta il dito contro la gestione pubblica. «Mentre nell’attuale contesto politico ed economico – dice Borgia – lo Stato tende a privatizzare determinati servizi pubblici per un contenimento dei costi e senza penalizzarne l’efficienza, al contrario, per quanto riguarda il settore farmaceutico, si nota un fenomeno di ingerenza che tende a pubblicizzare il servizio. Tale fenomeno produce un meccanismo di sperpero di risorse, procurando molto spesso un grave disservizio nei confronti dei pazienti, in particolare per i meno abbienti». La Farmaca Spa, azienda distributrice di prodotti farmaceutici dal 1969, è associata all’Adf, associazione di categoria in cui sono iscritti 56 operatori,

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con 156 magazzini che coprono circa il 75 per cento del mercato nazionale. In realtà, l’esperienza legata alla sua società vanta origini antiche: il dottor Borgia ha raccolto il testimone di una secolare tradizione famigliare nel commercio dei prodotti farmaceutici, che si tramanda di padre in figlio dal 1782. «I nostri clienti – spiega l’amministratore della Farmaca – sono circa 200 farmacie dislocate tra le province di Bari, Foggia, Bat (Barletta, Andria e Trani) e Potenza. Effettuiamo dalle 2 alle 6 consegne giornaliere, numero che dipende dalla distanza tra le farmacie clienti e il nostro magazzino. Movimentiamo 5 milioni di pezzi l’anno, eseguiamo 180mila consegne e in un mese ogni farmacia viene servita circa 100 volte, grazie a questo servizio plurigiornaliero. Le farmacie utilizzano sistemi telematici d’avanguardia, per il collegamento al nostro magazzino, ricevendo risposte sulla disponibilità in tempo reale con la motivazione delle eventuali man-

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FARMACI • Gaetano Borgia

La remunerazione del costo dei servizi riconosciuto ai distributori italiani, è la più bassa d’Europa

¬ canze. Un’efficiente organizzazione interna consente tempi brevissimi d’allestimento dei singoli ordinativi (circa un minuto)». È proprio sulla scorta della sua esperienza che Borgia guarda al settore in cui opera in modo molto critico. Nella fattispecie l’esempio della malagestione pubblica su cui si focalizza, riguarda lo strumento della “distribuzione per conto”. «Questa – continua Borgia – è riferita, almeno per il momento, al criterio di distribuzione di una categoria di farmaci detti Pht, cioè prosecuzione di terapie ospedaliere. Si tratta di specialità farmaceutiche molto innovative e ad alto costo il cui consumo va controllato per la tutela della salute del paziente. Per controllarne il corretto uso, questi medicinali sono distribuiti con la “distribuzione per conto”. In poche parole, vengono acquistati dalle aziende regionali sanitarie e consegnati in giacenza presso i magazzini dei singoli distributori, che provvedono alla distribuzione nelle farmacie, a volte con gravi ritardi sui tempi di consegna al paziente per la difficoltà di reperibilità dei prodotti. Il farmacista, a cui non è consentito di avere scorte di tali farmaci, deve prelevarli dai distributori seguendo una laboriosa procedura». Oltre al controllo per un uso corretto, la motivazione addotta dalle istituzioni a giustificazione di tale meccanismo sta in un ipotetico e non verificato risparmio per la struttura pubblica. «Per quanto riguarda la prima motivazione – dice Borgia – la distribuzione intermedia deve garantire per legge una perfetta tracciabilità del farmaco dalla produzione fino alla farmacia e da questa fino al paziente. Per

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quanto riguarda l’aspetto economico il presunto risparmio è molto dubbio, perché al costo di acquisto vanno sommati i costi del servizio con probabile maggiorazione di spesa per la collettività». L’amministratore della Farmaca, infine, evidenzia un dato che, a fronte di quanto finora descritto, non lascia indifferenti. «La remunerazione del costo dei servizi della distribuzione farmaceutica riconosciuto ai distributori italiani, è la più bassa d’Europa (3 per cento sul prezzo al pubblico iva esclusa). Le nostre autorità dovrebbero riconoscere alla distribuzione intermedia la capacità di svolgere un servizio improntato alla massima efficienza, qualità nel rispetto di tutte le norme settoriali, nonostante il compenso irrisorio. In base a questa consapevolezza, sarebbe auspicabile che affidassero al grossista la distribuzione di suddetti farmaci, portando al livello nazionale centralizzato la trattativa del prezzo di fabbrica, ingenerando così un consistente risparmio di costi. Le risorse liberate potrebbero essere utilizzate a favore dei meno abbienti, oltre a permettere un’immediata disponibilità del farmaco nel rispetto delle esigenze della salute dei cittadini».

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DIAGNOSTICA • Tecnologie in vitro

LA RICERCA AL PRIMO POSTO di Teresa Bellemo IL SETTORE DELLA DIAGNOSTICA IN VITRO È SANO, MA STA AFFRONTANDO UN PERIODO DIFFICILE. TUTTAVIA, PER CONTARE A LIVELLO MONDIALE IN UN AMBITO SEMPRE PIÙ CRUCIALE PER LA MEDICINA, SERVONO NUOVI INVESTIMENTI

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Tecnologie in vitro • DIAGNOSTICA

efficacia dell’assistenza sanitaria e delle strutture sanitarie dipende fortemente dalle tecnologie. E le tecnologie diagnostiche in vitro a loro volta sono importanti fattori produttivi che andrebbero più valorizzati dalle aziende sanitarie. Non solo, la loro funzione diagnostica andrebbe potenziata nei servizi sanitari regionali, a partire dai laboratori di analisi. La motivazione principale risiede nella funzione stessa della diagnostica in vitro, che inventa, sviluppa e distribuisce tutte le tecnologie che sono utilizzate per l’analisi e le refertazioni di laboratorio, fondamentali per individuare e fermare in tempo molte patologie. Dal punto di vista economico, queste aziende rappresentano una parte non trascurabile del Pil italiano e occupano un numero significativo di lavoratori ad alta scolarizzazione. Il tessuto produttivo che le unisce è, infatti, molto sviluppato e nel 2011 ha garantito quattro miliardi di euro di fatturato, ossia lo 0,28 per cento del prodotto interno lordo italiano. Le imprese del diagnostico, inoltre, sono fortemente radicate nel territorio nazionale, e la stragrande maggioranza batte bandiera italiana. Solo una componente minoritaria del comparto è a capitale estero, il 22 per cento, ma, proprio per la loro struttura, a queste è riconducibile la maggior parte del fatturato prodotto, ben il 77 per cento. Inoltre, sebbene le imprese con una struttura multinazionale rappresentino solo il 29 per cento del comparto della diagnostica in vitro, a esse è riconducibile l’87 per cento del fatturato. Sembra dunque chiaro che questo sia un mercato dominato da poche e grandi aziende, molte delle quali a capitale estero, motivo per cui una grande quantità di piccole e micro imprese italiane non riescono a svilup-

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parsi adeguatamente, causando una scarsità di “global player” italiani a livello internazionale e una progressiva riduzione di attrattività del comparto della diagnostica in vitro per il fiorente mondo delle start-up. Il settore della diagnostica in realtà è fondamentale non solo per le sue implicazioni economiche, ma soprattutto per la sua importanza nell’ambito della prevenzione e dello studio delle malattie e delle profilassi. È un settore che ha un forte bisogno di finanziamenti e di un continuo turn-over per tutte quelle apparecchiature e tecnologie di ultima generazione che fanno da supporto ai professionisti della medicina di laboratorio. Si rivela dunque di primaria importanza tornare a investire nel settore della diagnostica, in modo da potenziare le ricadute positive riguardo Pil, occupazione di personale qualificato e sviluppo delle tecnologie di ultima generazione. Il percorso da compiere si può idealmente dividere in due macro-aree. Da un lato, serve intraprendere una politica di promozione e valorizzazione della diagnostica di laboratorio nei confronti dei cittadini. In questo modo la sanità potrà iniziare a essere trattata come un comparto strategico per il Paese, come un comparto su cui investire. Sul piano economico, si potrebbe sviluppare l’imprenditoria nazionale di settore, evitando la chiusura delle imprese italiane, la fuga delle imprese multinazionali e la commercializzazione di tecnologie mature o in declino scarsamente appetibili. Dall’altro, insieme alle società scientifiche, serve individuare aree di razionalizzazione e utilizzo appropriato dei test di laboratorio, con l’obiettivo di garantire un sistema diagnostico di qualità economicamente sostenibile per il Paese, al fine di limitare i danni delle future spending review e di essere più preparati, con meno sprechi.

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DIAGNOSTICA • Pasquale Mosella

SE LA DIAGNOSTICA SI FERMA di Teresa Bellemo I TAGLI ALLA SPESA PUBBLICA SPESSO COINVOLGONO LA SANITÀ IN MANIERA ARBITRARIA, PRIVANDOLA DELLA POSSIBILITÀ DI RISPONDERE ALLE ESIGENZE DEI CITTADINI. E INDEBOLENDO UNA DELLE NOSTRE ECCELLENZE, LA DIAGNOSTICA

biettivo prioritario delle imprese che operano nel settore della diagnostica in vitro è quello di valorizzare la medicina di laboratorio, troppo spesso sottovalutata, quando invece il 70 per cento di successo nelle terapie avviene anche grazie a una diagnosi accurata. Oggi, infatti, sarebbe quanto mai necessario investire sulle tecnologie, che sono in grado di fornire risultati veloci e precisi nell’individuazione di diagnosi e cure. Quello che sta facendo Assodiagnostici, l’associazione di Assobiomedica che riunisce le imprese della diagnostica di laboratorio, è di fare sistema con tutti gli stakeholder, dalle società scientifiche ai decisori politici, dai rappresentanti economici alle associazioni dei cittadini e dei pazienti. Pasquale Mosella, presidente di Assodiagnostici, traccia il percorso: «Tutti questi soggetti devono cominciare a lavorare insieme per dare il giusto peso alla medicina di laboratorio, recuperando innanzitutto ruolo e visibilità del professionista di laboratorio, con l’obiettivo di dare un corretto percorso di guarigione alla persona assistita».

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Qual è lo stato attuale del settore? «Gli investimenti in ricerca e innovazione rendono il nostro settore vivo e competitivo, oltre a contribuire a innovare la sanità e a migliorare la qualità della vita dei cittadini. Il calo della domanda pubblica del 5 per cento registrato nei confronti del settore è un dato sconfortante, che dimostra come il servizio sanitario nazionale stia pian piano rinunciando a investire in innovazione tecnologica a discapito della qualità delle cure. È

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Pasquale Mosella • DIAGNOSTICA

Pasquale Mosella, presidente di Assodiagnostici

Si profila il rischio che la sanità pubblica si impoverisca pian piano, senza garantire servizi efficienti

importante ricominciare a crescere, anche puntando a promuovere una sanità pubblica che premi l’innovazione». Come operare, dunque, per rendere il comparto fonte di sviluppo per l’economia del Paese? «L’Italia ha enormi potenzialità in campo medicoscientifico, grazie a un’ottima classe medica e a un’industria che produce tecnologie di livello. Se questi soggetti fossero messi in condizione di lavorare insieme, si metterebbe un primo tassello per la crescita e la creazione di nuovi posti di lavoro. Finora abbiamo dovuto andar incontro alle richieste che ci venivano fatte dalle amministrazioni di ridurre i prezzi di acquisto, nonostante il continuo investimento in ricerca e sviluppo. Abbiamo sperato che ci fosse una riorganizzazione critica, che prevedesse appropriatezza nell’erogazione delle prestazioni. Ma questo ha, invece, determinato solo un calo del 7 per cento in volume, e del -3 in valore». Quanto i tagli alla sanità hanno influito nell’efficienza del sistema? «In una situazione già critica per il Paese, non ha aiutato la spending review nella sanità, che ha introdotto tagli lineari quando sarebbe stato meglio ottimizzare i costi, in modo da spendere DICEMBRE 2013

meglio per spendere meno. Infatti, i recenti tagli hanno ulteriormente messo in difficoltà l’industria e allontanato il cittadino dalle strutture per fare controlli di prevenzione. Ce li ritroveremo un domani ospedalizzati, con malattie non diagnosticate per tempo e con costi maggiori per il sistema sanitario. Si profila il rischio concreto che la sanità pubblica si impoverisca pian piano, non riuscendo a garantire ai cittadini prestazioni adeguate e servizi efficienti». Quali i rischi per il prossimo futuro? «È in questi momenti di crisi e di difficoltà oggettiva, dovuti principalmente alla necessità di contenere spese e ridurre i costi, che bisogna puntare proprio sul futuro, con investimenti mirati, che tendano a premiare le nuove idee e le nuove tecnologie, magari sfruttando quelle che ci sono, cercando di aprire nuove prospettive nel campo diagnostico, con applicazioni innovative e che possono concretamente aiutare la popolazione a vivere meglio, in salute e soprattutto a continuare a guardare alla diagnostica come a un punto fondamentale e un fiore all’occhiello del nostro sistema sanitario. È successo già molte volte che tecnologie nate per fare ricerca abbiano poi rivoluzionato il mondo della diagnostica ma se non impariamo a osare e ad avere maggiore fiducia nelle nostre capacità, tutti insieme, saremo costretti ad assistere passivamente al declino del nostro servizio sanitario nazionale». SANISSIMI 33


DIAGNOSTICA • Giovanni Di Gioia

DIAGNOSTICA, CAMBIANO METODI E TECNOLOGIE di Marco Tedeschi TEMPISTICHE CHE SI RIDUCONO, PROCEDURE PIÙ VELOCI E DIAGNOSI PIÙ PRECISE. GRAZIE ALLA DIAGNOSTICA PER IMMAGINI LA PRATICA CLINICA STA ATTRAVERSANDO UN DECISO MIGLIORAMENTO. L’ANALISI DI GIOVANNI DI GIOIA

n un periodo di forte evoluzione tecnologica, come quello attuale, l’attività di diagnostica per immagini ha riscontrato una notevole crescita con un aumento della complessità operativa. In questo contesto, i progressi nella diagnostica per immagini hanno permesso negli ultimi anni di migliorare notevolmente anche la pratica clinica. «Esiste uno stretto legame – spiega Giovanni di Gioia, fondatore e amministratore della Sud Imaging – tra il progresso nella medicina e il perfezionamento delle possibilità diagnostico-operative. Ciò non significa pensare che il progresso nella medicina sia esclusivamente di tipo tecnologico, ma certamente, strumentazioni sempre più sofisticate, permettono di osservare in maniera più approfondita l’organismo umano, affinando tecniche impensate fino a qualche tempo fa». La Sud Imaging è una società che opera da più di 40 anni nel settore della Diagnostica per immagini, al servizio di ospedali pubblici, Irccs, cliniche e studi privati. Il progresso in tale disciplina ha avviato un profondo cambiamento, tanto tecnologico quanto metodologico. Tra gli ambiti disciplinari più interessati dal cambiamento c’è sicuramente la radiologia interventistica. «Il ruolo del radiologo sta diventando sempre più attivo. Oggi infatti la tecnologia offre gli strumenti per poter effettuare diagnosi più approfondite oltre che precoci. Nel caso di un tumore, che sia al polmone o osteoarticolare, è possibile intervenire, ad esempio con la termo ablazione. Questo è reso possibile da diagnostiche più performanti e immagini sempre più accurate; sistemi di

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Sud Imaging ha la sede a Rutigliano (BA) www.sudimaging.it

navigazione che, essendo estremamente precisi, consentono di intervenire su noduli più piccoli e dunque in stadio non avanzato; nuove metodologie di trattamento, basate su ultrasuoni, microonde o onde elettromagnetiche». Un avanzamento tecnologico che impone nuovi investimenti da parte delle strutture Sanitarie. «Le tecnologie all’avanguardia si stanno purtroppo scontrando con un momento di difficoltà economica generale e di

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Giovanni Di Gioia • DIAGNOSTICA

Strumentazioni sempre più sofisticate permettono di osservare in maniera più approfondita l’organismo umano

razionalizzazione della spesa. In questo momento si percepisce una contrazione degli investimenti dovuta alla scarsità di risorse disponibili. Sarebbe demagogico dire che andrebbero evitati gli sprechi, ma probabilmente si deve pensare a un modo per ottimizzare i fondi a disposizione. Investire in una maniera più appropriata, razionalizzando gli acquisti, può significare anche un risparmio: si pensi a quanto si potrebbe recuperare, in termini di ospedalizzazione, incrementando le procedure mini-invasive». Malgrado le difficoltà del momento, la necessità resta quella di conciliare metodologie diagnostiche più snelle e diagnosi più efficaci e precoci. «Tutto ciò è possibile sfruttando le attuali possibilità concesse dalla tecnologia. Oggi si hanno a disposizione strumenti che consentono di evitare interventi cosiddetti a cielo aperto. Ad esempio le procedure di biopsia o il trattamento di una metastasi (termo o crio ablazione), necessitano di un accurato posizionamento dell’ago d’intervento. In generale, il posizionamento è verifi-

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cato attraverso una serie di scansioni Tac o fluoroscopiche che, intanto, producono radiazioni per il paziente e in più richiedono tempo, impiego della diagnostica e “usura” della stessa. Con il nostro sistema di navigazione, partendo da una Tac o un Angiografo, è possibile ottenere una ricostruzione virtuale 3D, all’interno della quale si può navigare visualizzando in real time lo strumento operatorio nel corpo umano e il suo posizionamento. In questo modo non è necessario ricorrere a ulteriori scansioni, le tempistiche si accorciano e le procedure si snelliscono». Potendo seguire la traiettoria con elevata precisione, è possibile affinare le diagnosi e raggiungere obiettivi più piccoli, inferiori al centimetro. «È dimostrato scientificamente – conclude Di Gioia - che, nel caso del tumore al polmone, se questo viene diagnosticato in tempo (stadio I), il tasso di sopravvivenza a 5 anni aumenta del 60 per cento, fino a raggiungere un valore compreso tra l’80 e il 90 per cento se la dimensione del nodulo è inferiore ai 3 cm».

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DIAGNOSTICA • Walter Veneziano

NUOVI STRUMENTI PER LA DIAGNOSI TUMORALE di Valerio Germanico

olti tumori presentano una conduttività elettrica sostanzialmente diversa da quella dei tessuti sani adiacenti. Questo ha consentito l’applicazione di tecnologie che sfruttano la differenza di conduttività. All’avanguardia nell’adozione di queste metodologie diagnostiche è il poliambulatorio Nuova Equipe di Azzate, nel varesino, struttura diretta dal dottor Walter Veneziano. «Il nostro poliambulatorio è uno fra i pochi in Italia a utilizzare apparecchi innovativi come il bioscanner TrimProb, ossia un sistema elettromedicale non invasivo per la diagnostica di patologie

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Walter Veneziano, direttore responsabile del poliambulatorio medico specialistico e odontoiatrico Nuova Equipe di Azzate (VA) www.poliambulatorionuovaequipe.it

WALTER VENEZIANO PRESENTA DUE SISTEMI PER L’INDIVIDUAZIONE DI TESSUTI CANCEROSI. SISTEMI CHE SFRUTTANO LA CONDUTTIVITÀ ELETTRICA E I CAMPI ELETTROMAGNETICI

tumorali, e il Meik-Eit, utilizzato per la diagnostica del tumore al seno». Le innovazioni su cui ha investito Nuova Equipe riguardano però anche l’originaria attività di studio odontoiatrico. «In questo ambito abbiamo introdotto metodiche di chirurgia implantologica non invasiva, che hanno abbreviato i tempi di protesizzazione e ridotto i disagi post intervento, eliminando punti di sutura, reinterventi per la superficializzazione dell’impianto, edemi e relativo dolore». Come funziona la diagnosi con il Meik? «È un mammografo per computer basato sull’uso dei metodi della tomografia elettroimpedenziale ed è destinato alla visualizzazione e alla diagnosi dei cambiamenti patologici del tessuto della ghiandola mammaria. Il mammografo consente di visualizzare la distribuzione dell’elettroconduttività dei tessuti biologici in alcuni tagli trasversali del corpo e scoprire eventuali tumori sulle raffigurazioni acquisite». Quali sono i suoi vantaggi rispetto alle altre tecnologie di diagnosi? «I principali sono quelli dell’assoluta non-

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Walter Veneziano • DIAGNOSTICA

Il TrimProb è un sistema elettromedicale non invasivo per la diagnostica di patologie tumorali

dannosità dell’esame e dell’alta capacità informativa collegata a una considerevole correlazione dell’elettroimpedenza dei tessuti biologici con il loro stato fisiologico. Inoltre, l’apparecchio ha notevoli pregi rispetto ai sistemi che usano la rappresentazione bidimensionale dell’elettroimpedenza. In tali sistemi non esiste la raffigurazione spaziale della profondità della rilevazione e lo stato della pelle (ferite, nèi, umidità relativa) può influenzare notevolmente la raffigurazione. Il Meik, invece, consente di ricostruire la distribuzione tridimensionale dell’elettroconduttività e di ottenere rappresentazioni di maggiore qualità e dettaglio, indipendentemente dallo stato della superficie cutanea». Quando e perché si utilizza, invece, il sistema per la diagnostica TrimProbe? «Questo sistema, interagendo con il metabolismo del paziente, rileva lo stato di salute dell’organo in esame e ne localizza eventuali stati anomali, discriminando fra patologie benigne e maligne. Come Meik, è un sistema elettromedicale non invasivo, con elevata efficacia diagnostica e risultati immediati».

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Quale principio sfrutta? «TrimProb genera un particolare campo elettromagnetico a bassissima potenza. I livelli di interferenza fra l’apparecchiatura e la struttura in esame sono analizzati da un ricevitore, elaborati attraverso algoritmi proprietari e visualizzabili in tempo reale attraverso una grafica di facile interpretazione. Il sistema fornisce così la risposta elettromagnetica associata allo stato patologico dell’organo in esame e non la sua immagine morfologica». Per quali diagnosi è possibile utilizzare questa tecnologia? «È stata sperimentata con successo nella diagnosi del tumore alla prostata su oltre 20mila pazienti. In questo caso si è rivelato particolarmente efficace nell’individuare le patologie di tale organo, distinguendo quelle maligne (carcinomi) da quelle di altra natura (ipertrofia prostatica, prostatite). Inoltre, è in corso la sperimentazione di fase tre per valutarne la valenza diagnostica per le patologie neoplastiche della vescica e prosegue l’attività di ricerca con la sperimentazione su altri organi, come stomaco, mammella, fegato, polmone, tiroide, retto, rene, ovaie».

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Luciano Onder, vicedirettore del Tg2 e conduttore di Medicina 33

L’IMPORTANZA DELL’INFORMAZIONE LA COMUNICAZIONE SANITARIA, SOPRATTUTTO IN MATERIA DI PREVENZIONE, DOVREBBE INFORMARE I CITTADINI, MA SENZA ALLARMISMI E INTEGRALISMI CONTROPRODUCENTI. L’OPINIONE DEL GIORNALISTA E CONDUTTORE TELEVISIVO, LUCIANO ONDER di Francesca Druidi

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Luciano Onder • INFORMAZIONE E PREVENZIONE

Occorre far capire i benefici che derivano da uno stile di vita equilibrato, senza alimentare fobìe o estremismi

mezzi di informazione - giornali, radio, televisione e oggi anche internet - svolgono un ruolo centrale nel processo di divulgazione medico-scientifica, consentendo ai cittadini di acquisire maggiore consapevolezza su tematiche di ordine sanitario e di compiere, quindi, scelte più ragionate riguardo alla propria salute. Restano, però, delle zone d’ombra nel trattare di questi argomenti, in particolare sul fronte della prevenzione. Luciano Onder, che con la rubrica del Tg2 Medicina 33 si occupa da oltre trent’anni di informazione medica, fornisce il proprio punto di vista sulla comunicazione sanitaria.

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Nell’ambito dell’informazione dedicata alla salute, quale importanza deve assumere la prevenzione? «La prevenzione è fondamentale in sanità, perché un gran numero di problemi può essere tenuto sotto controllo con la prevenzione e con la diagnosi precoce. Pensiamo al caso dei tumori, ad esempio del colon-retto. In Italia, si registrano 53mila nuovi casi ogni anno di questa neoplasia, tra uomini e donne. La stragrande maggioranza potrebbe essere evitata se fosse applicata una prevenzione completa, come la ricerca del sangue occulto nelle feci e colonscopia, azione che i medici suggeriscono e che le campagne di screening promuove in tutte le regioni. Il fattore tempo è chiaramente indispensabile. Questo vale anche per le politiche di prevenzione dei tumori femminili, dal cancro al collo dell’utero a quello del seno, contro i quali si consiglia di eseguire il PapDICEMBRE 2013

test ed esami quali mammografia ed ecografia mammaria. Ma la prevenzione non è solo riferita ai tumori, basti pensare al vaccino antinfluenzale o al vaccino contro il morbillo. I vaccini identificano un aspetto importante della prevenzione. Il lavoro di chi si occupa di informazione in medicina deve insistere molto sulla prevenzione in tutti i rami, dall’osteoporosi alle malattie della pelle». Come valuta attualmente lo stato dell’informazione in merito ai temi della prevenzione? Si corre il rischio di inseguire il sensazionalismo oppure l’omologazione dei contenuti? «Ogni giornalista cerca di raccontare la notizia al meglio, pensando sempre al pubblico che leggerà l’articolo o guarderà il servizio in televisione. Molti giornalisti hanno svolto nel corso degli anni un’opera educativa importante nel sensibilizzare l’opinione pubblica su malattie infettive come Aids ed epatite. Certo, i giornalisti sono anche spinti dalla notizia, soprattutto se questa suscita clamore, ma non va mai dimenticata l’azione di prevenzione alla quale contribuiscono. Tornando al tumore del colon-retto, le campagne di screening in alcune regioni italiane incontrano una risposta molto elevata, prossima al 100 per cento, mentre in altri territori la ricezione è pericolosamente scarsa. C’è, in questi casi, da porsi seriamente il problema di cosa non funzioni: è la comunicazione istituzionale relativa all’importanza della prevenzione del tumore del SANISSIMI 43

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INFORMAZIONE E PREVENZIONE • Luciano Onder

Proliferano le notizie sugli stili di vita da seguire. È un bene? «Una forma di prevenzione è certamente rappresentata dall’indicazione degli stili di vita che aiutano l’organismo a prevenire l’insorgere di alcune patologie. Fare attività sportiva, mangiare sano, non abusare di alcol e non fumare sono abitudini che portano solo vantaggi alla salute. L’informazione ha il compito di diffondere e radicare questi messaggi culturali, soprattutto tra i giovanissimi per quanto riguarda l’abuso di droghe e di alcol. Occorre far capire i benefici che derivano da uno stile di vita equilibrato, senza alimentare fobie o estremismi. Bisogna prestare particolare attenzione al linguaggio che si utilizza, evitando di risultare intransigenti».

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colon-retto a non essere recepita o manca la fiducia da parte dei cittadini?». Come sceglie per Medicina 33 gli argomenti da trattare, soprattutto quando si parla di prevenzione? «Li scelgo in base alla mia sensibilità, alla mia cultura, a ciò che recepisco, leggo o sento attorno a me. Mi sto occupando in questo momento del tumore al pancreas perché ne avverto l’importanza. Mi pongo delle domande - se le neoplasie al pancreas siano tutte uguali, quale sia la strada migliore per affrontarle - e poi vado ad approfondire. Grazie ai mezzi che ho a disposizione in Rai, posso informarmi ad ampio spettro e questo agevola il compito». Quali istanze andrebbero maggiormente approfondite in tema di prevenzione? «Senza dubbio il tema dei vaccini, che costituiscono un’arma efficace per sradicare alcune malattie. Ci sono paesi in cui il morbillo è stato debellato grazie a una vaccinazione capillare, con grandi vantaggi per le società e i cittadini che hanno visto una riduzione di epidemie e focolai. In generale, è essenziale far capire che un vaccino previene le patologie anche e soprattutto nell’interesse delle generazioni future. Insistere sull’importanza del vaccino è fondamentale; sollecitare le categorie a rischio, tra cui le persone anziane e quelle affette da malattie croniche o patologie cardiovascolari, a vaccinarsi contro l’influenza o la polmonite non è un elemento secondario».

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Cosa pensa dell’attuale diffusione del web nella divulgazione medica? «È un fenomeno di cui tengo senz’altro conto. Internet mette a disposizione una serie di informazioni prima di difficile accesso, sia di tipo pratico che più prettamente medico. Rappresenta, quindi, una risorsa non indifferente. Bisogna, però, imparare a gestirla. Entrano, ancora una volta, in gioco la cultura e la preparazione del singolo individuo che, interrogando un motore di ricerca online, dovrebbe essere in grado di scremare le fonti e rifiutare, o almeno ponderare, quelle informazioni che magari nascondono interessi economici e non solo. Una guida in grado di filtrare e indirizzare gli utenti è, perciò, sempre in qualche modo auspicabile».

La prevenzione non è solo riferita ai tumori, basti pensare ai vaccini, che identificano un aspetto importante della prevenzione

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Silvio Garattini • INFORMAZIONE E PREVENZIONE

PREVENZIONE SU TUTTI I FRONTI NON SOLO GLI OPERATORI DEL SISTEMA SANITARIO, MA ANCHE LE AGENZIE DI SOCIALIZZAZIONE E I MEDIA DEBBONO OCCUPARSI CON CONTINUITÀ DI POLITICHE DI PREVENZIONE. L’OPINIONE DI SILVIO GARATTINI di Francesca Druidi

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un’arma preziosa la prevenzione, ma che richiede un background culturale ancora tutto da costruire in Italia. Lo sostiene lo scienziato e farmacologo Silvio Garattini.

Qual è lo stato delle politiche di prevenzione in Italia? «Purtroppo l’interesse per la prevenzione è molto basso nel nostro Paese perché non esiste la cultura della prevenzione. Dobbiamo intervenire sugli stili di vita, che rappresentano un’importante modalità per abbattere la frequenza delle malattie. Fumo, eccesso di alcol, sovrappeso e sedentarietà sono alcune delle parole chiave su cui si deve insistere attraverso interventi appropriati». Quali sono i comportamenti a rischio? «Diabete, tumori e malattie cardiovascolari sono determinati in gran parte dai nostri comportamenti. Si calcola che circa il 50 per cento delle malattie potrebbero essere evitate con l’adozione di buoni stili di vita. Bisogna non solo parlare di prevenzione, ma creare le occasioni e le strutture per poterla esercitare. Abituare i giovani ad attività sportive, a evitare il fumo, l’alcol, i cibi ricchi di grassi saturi e così via richiede uno sforzo congiunto delle famiglie, della scuola, delle Asl, ma anche dei mass media, della televisione, dei social network. La prevenzione deve essere un impegno di tutti i giorni e non un’attività occasionale». DICEMBRE 2013

Silvio Garattini, direttore dell’Istituto Mario Negri e presidente del Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ccm)

Oggi molte persone cercano notizie sulla salute online. Cosa ne pensa? «Purtroppo le informazioni che si ritrovano su internet sono spesso contraddittorie, perché ripropongono spesso interessi economici o pregiudizi ideologici. Di per sé, le informazioni sono un bene, ma solo se vengono recepite da persone che hanno una formazione adeguata a selezionarle, valutarle e tradurle in comportamenti. Di nuovo entra in gioco la scuola, dove la scienza è ancora un’estranea». Quali sono gli accorgimenti sul consumo di farmaci? «Bisogna essere sempre cauti nell’uso dei farmaci, ricordando che non esistono farmaci innocui. Tutti i farmaci, interferendo con le funzioni dell’organismo, sono portatori di tossicità. I cittadini dovrebbero essere più attenti nell’impiego di prodotti che non hanno alcuna base scientifica e che servono soprattutto a chi li vende. Integratori alimentari, prodotti erboristici e omeopatici vengono propagandati come prevenzione, ma è meglio evitarli per adottare, invece, buoni stili di vita». SANISSIMI 45


VERSO UNA SOCIETÀ DELLA SALUTE I BISOGNI DI ASSISTENZA CAMBIANO E AL SISTEMA SANITARIO SI CHIEDE DI RISPONDERE CON MENO SOLDI. NON CON NUOVE STRUTTURE, SOTTOLINEA ELIO BORGONOVI, MA SCOMMETTENDO SU «FIGURE PROFESSIONALI SPECIALIZZATE PER LE FASI PRE E POST RICOVERO» di Giacomo Govoni

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Elio Borgonovi • IL MODELLO LOMBARDIA

Elio Borgonovi, presidente del Centro di ricerche sulla gestione dell'assistenza sanitaria e sociale presso la Bocconi

n moderno sistema di tutela della salute non può concedersi il lusso di cullarsi sugli allori. Neppure se la rete sanitaria in questione è quella lombarda, tradizionalmente considerata un modello e con picchi di eccellenza ospedaliera che la classifica stilata da Agenas relativa al 2012 non manca di immortalare. Prestazioni mediche ottime, 6 ospedali regionali nella top ten delle strutture sanitarie italiane: eppure la Regione sta pensando a una «revisione del modello di governance» del sistema sanitario lombardo. Una logica che Elio Borgonovi, presidente di Cergas, centro di ricerche sulla gestione dell’assistenza sanitaria e sociale presso la Bocconi, sottoscrive a pieno. «Gli eccellenti risultati ottenuti dal Piano nazionale esiti – osserva – non significano che non si possa ancora migliorare».

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In quali aspetti in particolare? «La governance va ripensata in tre direzioni: individuazione di una rete ospedaliera dell’area

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Le nuove tendenze richiederanno soprattutto di potenziare l’assistenza infermieristica, sia in regime di ricovero sia sul territorio

metropolitana milanese; organizzazione della rete milanese e lombarda, individuando ospedali ad alta, media e bassa complessità; collegamento dell’assistenza in regime di ricovero o di day hospital con l’assistenza territoriale. Mentre il sistema lombardo eccelle nell’offerta ospedaliera, sia pubblica che privata, esistono elevati margini di miglioramento sull’applicazione del principio di continuità della cura».

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IL MODELLO LOMBARDIA • Elio Borgonovi

Luci e ombre della rete ospedaliera n un panorama sanitario nazionale che si sta muovendo per migliorare la produttività, l’efficienza e la sostenibilità finanziaria del suo sistema, una certezza c’è: la qualità della rete ospedaliera italiana. Complessivamente buona, al netto di scarti talvolta anche sensibili da una regione all’altra, e in graduale miglioramento, come mostrano i nuovi risultati del Programma nazionale di valutazione degli esiti curato da Agenas. Più di 1.400 gli ospedali pubblici e privati - accreditati e non - passati al setaccio dall’agenzia, che come di consueto ha misurato il rendimento delle varie strutture su un totale di 114 indicatori. A livello geografico, la regione più premiata dai numeri risulta la Toscana, che registra il 23,3 per cento di strutture in grado di offrire prestazioni al di sopra della media. Si tratta della percentuale migliore d’Italia in relazione, ad esempio, alla mortalità per ictus a 30 giorni dal ricovero e all’ospedalizzazione per scompenso cardiaco. Appena dietro si piazzano l’Emilia Romagna, dove spicca la più bassa proporzione di tagli cesarei ottenuta dall’ospedale Ramazzini di Carpi, e la Lombardia, in cui operano strutture eccellenti come il Niguarda di Milano e l’ospedale di Lecco, capaci di azzerare il rischio di morte associato all’intervento di bypass arto coronarico. Tante luci anche in Umbria e nelle Marche, quest’ultima protagonista di un significativo scatto in avanti, anche grazie alle performance eccellenti messe a segno sul fronte degli infarti da presidi come il Lancisi di Ancona e il Mazzoni di Ascoli Piceno. Ma la vera sorpresa è rappresentata dal contributo positivo giunto finalmente dalla regione Sicilia che, correggendo le deficienze accumulate negli anni precedenti, ha risollevato la media italiana. Nei bassifondi della classifica stazionano, invece, molte regioni del Sud, che ancora zoppicano su alcuni indicatori ritenuti essenziali per valutare l’appropriatezza delle cure. Tra le più in ritardo il Molise, che riporta diversi esiti inferiori agli standard richiesti e la Puglia, dove per esempio l’ospedale S. Caterina Novella di Galatina e il S. Paolo di Bari non raggiungono l’1 per cento nel trattamento dell’infarto miocardico acuto, quando la media italiana è del 30 per cento. Fanalino di coda è anche quest’anno la Campania, che continua a scontare numerose criticità, tra cui l’eccessivo ricorso al taglio cesareo. GG

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L’ultimo rapporto Cergas-Bocconi avverte che la coperta dei finanziamenti al sistema sanitario continua ad accorciarsi. Con quali riflessi sulla rete clinica e assistenziale lombarda? «La riduzione delle risorse, tendenza non solo italiana, impone di mantenere i livelli assistenziali riordinando l’offerta. Per quanto concerne la Lombardia, i riflessi prevalenti riguardano l’individuazione di sovrapposizioni, in quanto in passato l’aumento del finanziamento e la capacità di attrazione nei confronti di cittadini extra-regionali avevano portato a un’espansione dell’offerta. Ora il contenimento del finanziamento assegnato alla Regione e le politiche che altre Regioni adotteranno per ridurre la loro mobilità passiva richiedono di individuare per le varie specialità gli ospedali, i dipartimenti, le unità organizzative migliori e ad altri ospedali e dipartimenti di potenziare l’offerta in aree diverse». Da un lato si parla di chiudere i piccoli ospedali, dall’altro di potenziare i presidi sanitari territoriali. C’è un punto di equilibrio? «Credo che il concetto di chiusura di piccoli ospedali possa creare percezioni negative. Il punto è partire dai bisogni reali della popolazione, meno legati alle acuzie, al ricovero in ospedale e sempre più collegati a condizioni degli anziani, di persone con patologie croniche e non autosufficienti. Inoltre, i bisogni di salute sono sempre più

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Elio Borgonovi • IL MODELLO LOMBARDIA

medici-popolazione, vi sarà una carenza di 15mila medici, di cui circa 2.500-3.000 in Lombardia. Razionalizzando l’offerta si potranno utilizzare i medici nelle strutture in cui è richiesta un’assistenza di media e alta complessità, lasciando maggior autonomia e responsabilità a infermieri e altre figure assistenziali. In Lombardia si dovranno sviluppare politiche legate a esigenze specifiche del territorio e di Asl che probabilmente saranno da ripensare».

caratterizzati da come vengono svolte le fasi precedenti (accessibilità e tempestività nella diagnosi) e successive al ricovero. Pertanto, il cambiamento richiede di pensare a percorsi assistenziali più che a strutture fisiche, a muri. La cosiddetta “società della salute” necessita di persone professionalmente preparate capaci di operare in equipe, all’interno di strutture o domicili adeguatamente attrezzati». Dove si può intervenire per ottimizzare il personale sanitario? «Le nuove tendenze richiederanno di utilizzare al meglio i medici e, soprattutto, di potenziare l’assistenza infermieristica, sia in regime di ricovero sia sul territorio. Esistono stime secondo cui nel 2018-2020 in Italia, fino a 30 anni fa il Paese col più alto rapporto

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Quali sono i livelli di assistenza più a rischio per via dell’austerity e quali andranno comunque preservati? «Questa pressione di risorse determina un paradosso, per cui saranno più a rischio gli interventi di prevenzione primaria e secondaria come diabete, ipertensione, obesità e altre, nonostante molti studi dicano che nel medio-lungo periodo la prevenzione sarà la principale politica di sostenibilità del sistema. Sarà, comunque, necessario mantenere la capacità di rispondere a bisogni complessi e a costo elevato, mentre per bisogni di minor portata occorrerà forse orientarsi verso soluzioni assicurative o casse integrative. Tuttavia il tema non va affrontato con la paura che venga meno il servizio a copertura universale e solidaristico, ma con concrete soluzioni che lascino ai pazienti la libertà di decidere se la salute è un bisogno prioritario nell’ambito delle proprie scelte di vita».

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IL MODELLO LOMBARDIA • Mauro Lovisari

BEST PRACTICE E CONTI A POSTO di Giacomo Govoni NEL LECCHESE OPERA UNA DELLE AZIENDE OSPEDALIERE CHE MEGLIO ESPRIME LA QUALITÀ E L’EFFICIENZA DEL SISTEMA SANITARIO LOMBARDO. MA «SULL’APPROCCIO ALL’EMERGENZA SI PUÒ FARE ANCORA DI PIÙ», SOSTIENE MAURO LOVISARI n ricorso ai tagli cesarei dell’8,1 per cento, contro una media nazionale del 26,2 per cento, e un tasso di mortalità a 30 giorni da intervento di valvuloplastica pari a zero. È grazie a risultati come questi che l’ospedale Manzoni di Lecco figura nelle posizioni di vertice del Programma nazionale valutazione esiti 2013 pubblicato annualmente da Agenas. Un presidio d’eccellenza che fa parte dell’Azienda ospedaliera della provincia di Lecco, guidata da Mauro Lovisari. «Queste ultime rilevazioni – osserva il direttore generale – confermano che l’offerta ospedaliera delle nostre strutture è fra le migliori del Paese, in particolare in ambito cardiovascolare e materno-infantile e nel campo della chirurgia oncologica».

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Per quali ulteriori aspetti l’azienda da lei diretta rientra nella top ten degli ospedali nazionali? «Il primo aspetto è l’equilibrio fra i costi e i ricavi, migliorato in particolare nell’ultimo triennio. Mi riferisco al controllo dei costi aziendali, pur in presenza di un incremento dell’attività sanitaria. Un secondo aspetto riguarda l’organizzazione: siamo riusciti a creare aree dipartimentali per intensità di cura e assistenziale, come quella chirurgica e medica, e per attività complesse onnicomprensive con diagnostica, cura delle acuzie, riabilitazione intensiva, come quella cardiovascolare e di neuroscienze». Rispetto a quali indicatori qualitativi state compiendo i maggiori progressi in termini numerici? «Gli impegni sono rilevanti e riguardano l’utilizzo più efficiente delle sale operatorie, incrementando anche

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Mauro Lovisari, direttore generale dell’Azienda ospedaliera della Provincia di Lecco

A Lecco abbiamo introdotto un accesso riservato ai codici rossi e gialli, creando una sala d’attesa assistita per le barelle

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Mauro Lovisari • IL MODELLO LOMBARDIA

In un recente convegno ha rimarcato alcune criticità del sistema sanitario lombardo, tra cui la regolamentazione degli afflussi al Pronto soccorso. Come funziona nella vostra realtà? «L’approccio all’emergenza è uno dei pochi punti deboli del sistema lombardo. A Lecco abbiamo introdotto un accesso riservato ai codici rossi e gialli, ai quali abbiamo dato assoluta priorità, creando una sala d’attesa assistita per le barelle. Abbiamo creato, altresì, un ambulatorio dedicato ai codici minori, riducendo i tempi di attesa di chi dovrebbe o potrebbe evitare di venire in Pronto soccorso».

gli spazi per l’attività a pagamento; il trattamento della frattura del femore da rendere più tempestivo; l’estensione della chirurgia laparoscopica e conservativa per il trattamento del tumore renale; una maggior appropriatezza dell’uso degli antibiotici; un più efficace approccio al politrauma in emergenza; l’ampliamento dell’attività di chirurgia robotica, se supportata da adeguati finanziamenti». A proposito di fondi, quanto avete investito per l’aggiornamento delle strutture e degli impianti tecnologici? «Gli investimenti sono la nota dolente della nostra azienda. I tagli operati dallo Stato hanno provocato una contrazione dei fondi per gli interventi sugli immobili, sugli impianti, sulla tecnologia clinica e sull’informatica. Come si usa dire, stringiamo la cinghia fino all’ultimo buco, anche se è assurdo per una regione come la Lombardia, che produce di più di un quinto del Pil nazionale. Comunque sia, la dotazione strumentale della nostra azienda è all’altezza delle attese di salute dei cittadini che, anche al di fuori della provincia, decidono di affidarsi alla cura degli specialisti dei nostri ospedali».

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Quali nuovi approcci andrebbero studiati in questa direzione? «Il problema vero è che ci deve essere una netta separazione nel trattamento dell’emergenza. Il caso complesso, che non può essere risolto in continuità assistenziale dal medico di famiglia e dalla guardia medica, deve transitare nel Pronto soccorso ospedaliero. Il caso minore, con codice bianco o verde non impegnativo, va trattato nei poliambulatori o negli ambulatori dei medici di medicina generale associati». Da alcuni mesi lei è anche membro della Consulta regionale della sanità. Su quali nodi strategici richiamerà maggiormente l’attenzione? «La consulta è un vasto organismo partecipato di cui sono onorato di far parte. Tuttavia temo che l’elevato numero dei suoi membri comporti una prevalenza dell’elemento politico rispetto a quello tecnico scientifico, del contributo critico su quello propositivo, rendendolo meno efficace. Per quanto mi riguarda, se potrò, mi batterò per valorizzare tre questioni che reputo strategiche: la creazione di un’agenzia dei servizi sanitari che studi le best practice lombarde per diffondere meglio le eccellenze; la configurazione di un diverso ruolo delle società inhouse (Finlombarda, Infrastrutture Lombarde, Lombardia Informatica e Cra) per creare e favorire economie, finanziamenti, vantaggi, progressi tecnologici per le aziende sanitarie; lo sviluppo di una maggior organizzazione nel territorio per un’effettiva integrazione delle risposte sanitarie e sociali, specie nei confronti della cronicità».

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IL MODELLO LOMBARDIA • Mario Mantovani

UNA SANITÀ CHE PREMIA I VIRTUOSI di Teresa Bellemo L’ASSESSORE MARIO MANTOVANI HA LE IDEE CHIARE, RIFORMARE IL SETTORE CONTINUANDO LA STAFFETTA TRA PUBBLICO E PRIVATO, CHE NEGLI ANNI SI È RIVELATA EFFICACE E VICINA AI BISOGNI DEI CITTADINI La sanità per la Lombardia è diventata una pedina fondamentale sia a livello economico che qualitativo. Con i conti in pareggio in un momento di forte difficoltà per l’amministrazione della cosa pubblica, viene spesso presa ad esempio dalle altre regioni in un’ottica di miglioramento dei servizi ai cittadini e di riduzione della spesa. Mario Mantovani, vicepresidente regionale e assessore alla Sanità, ha intenzione di proseguire questo percorso rendendo però più facile la vita dei pazienti lombardi, nonostante la riduzione delle risorse. Un obiettivo che passa per una maggiore efficienza, una riduzione delle liste d’attesa e la valorizzazione delle tante eccellenze, senza perdere mai di vista il dialogo e il confronto con gli enti locali e i soggetti pubblici e non pubblici attivi sul territorio. L’assessore inoltre rilancia: «Dobbiamo provvedere al riordino delle reti d’offerta, dando particolare attenzione alla prevenzione e all’ottimizzazione di risorse e strutture».

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Sia lei che Maroni avete voluto sottolineare che il riordino non consisterà in una riduzione di fondi ma in una riorganizzazione in base alle esigenze.

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Mario Mantovani, vicepresidente della Regione Lombardia e assessore alla Sanità

Però la Regione ha a disposizione 225 milioni di euro in meno. «Procederemo, da una parte, chiedendo qualcosa in più a chi ha di più e in questo senso stiamo studiando una rimodulazione dei ticket sanitari. Dall’altra, abbiamo già iniziato a lavorare con il ministero affinché le realtà virtuose come la nostra siano premiate e non penalizzate dal governo. La Lombardia rispetto ad altre regioni continua ad avere il bilancio in pareggio sul fronte sanitario. Chiediamo pertanto più rispetto e maggiore equità di fronte a riduzioni, tagli e trasferimenti ridotti». Uno dei punti su cui si è soffermato di più è la riduzione dei tempi d’attesa. Quali sono le problematiche più grandi per i cittadini e di cosa ha bisogno il sistema per funzionare meglio? «Quando una persona vive l’esperienza della malattia ha

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Mario Mantovani • IL MODELLO LOMBARDIA

Non si tratta né di ridurre né di accorpare, ma di trasformare i servizi in base ai bisogni emergenti diritto ad avere in tempi ragionevoli una risposta. Vogliamo per questo ulteriormente lavorare per la riduzione dei tempi di attesa. Procederemo quanto prima alla sperimentazione di nuove forme di collaborazione con il privato accreditato e all'individuazione di ulteriori modalità di lavoro con i professionisti prescrittori, proprio per accelerare i tempi di risposta». Rimaniamo sul tema dei bisogni dei cittadini. La riorganizzazione della rete ospedaliera e delle Asl non creerà delle difficoltà? «La sfida è continuare a garantire una sanità d’eccellenza, pur in un quadro economico ed organizzativo in notevole mutamento. Per un cittadino è importante sapere che sul proprio territorio sia garantita la presenza di strutture all’avanguardia, capaci di rispondere con immediatezza ed efficacia alle principali patologie e problematiche. Non si tratta dunque né di ridurre né di accorpare, ma di trasformare i servizi in base ai bisogni emergenti. Sono per questo nati dei gruppi di lavoro con i direttori generali che avranno il compito di valutare la situazione lombarda nelle varie province e formulare le prime proposte, anche in base alla loro diretta esperienza».

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Dal punto di vista occupazionale, qual è la situazione? «Regione Lombardia, in un periodo che tutti sappiamo complesso dal punto di vista economico, ha deciso di investire importanti risorse per continuare a garantire occupazione e mantenere alti i livelli di professionalità. Mi sembra un risultato importante che le parti sociali e soprattutto gli operatori e le loro famiglie apprezzeranno». La Lombardia è un esempio per l’Italia in campo sanitario. Quali sono secondo lei i punti più facilmente emulabili a livello nazionale, in un ottica di razionalizzazione delle risorse? «La nostra esperienza ci dice che la collaborazione tra pubblico e privato accreditato ha garantito in questi anni, attraverso regole e controlli certi, un sistema virtuoso per il cittadino che si è visto garantire la libertà di scegliere dove curarsi. Si tratta di un’esperienza che intendiamo proseguire, rivedendo quelle modalità come le funzioni non tariffabili che avevano creato qualche problema. Rafforzeremo così il sistema che ad oggi continua ad essere un punto di riferimento non solo per l’Italia ma per l’intera Europa. E la ricerca sarà il perno su cui far leva per una sanità eccellente».

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RUBRICA SULLA PREVENZIONE DELL’USO DI DROGHE

LIBERI DI ESSERE LIBERI - prevenzione - ricerca - cura - riabilitazione - valutazione - reinserimento - formazione - contrasto


NUOVE STRATEGIE PER NUOVE SOSTANZE PSICOATTIVE di Fiorella Calò NEGLI ULTIMI ANNI SI ASSISTE ALLA COMPARSA DI STUPEFACENTI DI ORIGINE SINTETICA PARTICOLARMENTE PERICOLOSI. «UN FENOMENO IMPORTANTE, MA SOTTO CONTROLLO» SPIEGA GIOVANNI SERPELLONI, A CAPO DEL DIPARTIMENTO POLITICHE ANTIDROGA, CHE HA MESSO A PUNTO UN PIANO NAZIONALE allerta per le nuove sostanze psicoattive (Nsp), quelle sintetiche, ha invaso ormai tutti i Paesi europei. È vero, il consumo di sostanze stupefacenti ha registrato negli ultimi tre anni un trend in discesa, soprattutto per eroina, cocaina, allucinogeni, stimolanti e cannabis, perché il comportamento di assunzione delle droghe è cambiato, ma si affacciano nuovi problemi che derivano da internet. Giovanni Serpelloni, capo del Dipartimento politiche antidroga della Presidenza del Consiglio dei mi-

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nistri, segnala che oggi alcuni consumatori - adolescenti e non - tendono a usare le nuove droghe psicoattive, disponibili a prezzi inferiori rispetto a quelle tradizionali (da 10 a 30 euro per una dose), il cui mercato, gestito anche e soprattutto tramite internet, le rende sempre più facilmente accessibili. «Si assiste sempre più spesso alla comparsa di nuove droghe sintetiche maggiormente “specializzate”, soprattutto nel campo dei cannabinoidi sintetici, ma anche delle amfetamine e metamfetamine, ottenute sintetizzando sostanze che produDICEMBRE 2013


Giovanni Serpelloni • POLITICHE ANTIDROGA

Giovanni Serpelloni, capo del Dipartimento politiche antidroga della Presidenza del Consiglio dei ministri

cono simultaneamente effetti di tipo eccitante e allucinatorio» spiega il professor Serpelloni. L’uso voluttuario di questi principi psicoattivi, comporta conseguenze per la salute sia fisica che mentale, talvolta imprevedibili, in quanto sono sostanze molto poco conosciute sia da un punto di vista farmacologico che tossicologico. Prodotte in laboratorio, derivanti da progettazioni di potenziali farmaci per uso terapeutico e mai arrivati alla fase di sviluppo farmacologico, o addirittura dagli scarti delle industrie farmaceutiche provenienti nella maggior parte dei casi dalla Cina e rielaborati nei Paesi dell’Est (so-

prattutto in Romania e Repubblica Ceca ma anche in Olanda, in Inghilterra e in Germania), vengono poi immessi sul mercato come prodotti falsamente dichiarati naturali. Purtroppo queste sostanze, spesso utilizzate anche dagli adolescenti, il più delle volte portano a percorsi evolutivi di dipendenza e di uso contemporaneo di altre droghe e alcol, causando talvolta decessi. «Bisogna sottolineare con forza continua il capo del Dipartimento politiche antidroga – che questo fe-

nomeno sta assumendo rilevanza di sanità pubblica, affiancandosi e spesso sovrapponendosi, anche in termini di policonsumo, con quello delle droghe tradizionali quali cocaina, eroina, cannabis e amfetamine. L’assunzione delle nuove sostanze psicoattive sfugge ai tradizionali controlli di laboratorio e clinici per la carenza di standard analitici di riferimento e di conoscenze tecnico-scientifiche, oltre che di tecnologie adeguate per la loro determinazione». È da sottolineare che rilevanti

Sono state monitorate 294 nuove sostanze, fra cui le droghe da stupro. Sino al 2011 queste droghe potevano essere acquistate nei vari smart shop

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POLITICHE ANTIDROGA • Giovanni Serpelloni

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sono le problematiche psichiatriche correlate e i vari disturbi che ne scaturiscono, soprattutto cardiaci, renali e respiratori che costantemente vengono aggravati proprio per il contemporaneo uso di alcol e altre droghe. Proprio al fine di individuare precocemente i fenomeni potenzialmente pericolosi per la salute pubblica e attivare segnalazioni di allerta che tempestivamente coinvolgano le strutture deputate alla tutela e alla promozione della salute, in conformità alle disposizioni europee in materia, il Dipartimento politiche antidroga ha attivato il Sistema nazionale di allerta precoce e risposta rapida per le droghe. Dal 2009, infatti, sono state monitorate ben 294 nuove sostanze,

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fra cui le droghe da stupro. Sino al 2011 queste droghe potevano essere acquistate nei vari smart shop diffusi sull’intero territorio nazionale, fenomeno notevolmente ridotto grazie alla costante attività di contrasto svolta dalle forze dell’ordine e al rapido aggiornamento delle tabelle delle sostanze stupefacenti che le rende illegali. Tuttavia, sono ancora tantissimi i siti che offrono sostanze stupefacenti legali o illegali fra cui farmaci stimolanti, sedativi di varia natura per dimagrire o migliorare le prestazioni atletiche, definite falsamente naturali per celarne gli effetti negativi. Questa modalità d’offerta che si è così tanto sviluppata, probabilmente per la facilità che hanno i

giovani nella fruizione dei mezzi telematici e per la tranquillità che nutrono nella salvaguardia dell’anonimato tramite l’acquisto in rete, ha prodotto un ingente giro d’affari. Le organizzazioni criminali che commerciano questo tipo di sostanze, infatti, hanno caratteristiche diverse da quelle tradizionali proprio perché utilizzano il web per sistemi per gli ordini, il pagamento e la spedizione della merce del tutto legali e ordinari, permettendo inoltre un’area d’azione senza limiti geografici. «Il DPA ha quindi ritenuto opportuno azionare, attraverso il Sistema di allerta precoce, una specifica unità di monitoraggio web per l’individuazione dei siti che commercializzano le nuove droghe. Dal

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Giovanni Serpelloni • POLITICHE ANTIDROGA

Queste sostanze, spesso utilizzate anche dagli adolescenti, il più delle volte portano a percorsi evolutivi di dipendenza e di uso contemporaneo di altre droghe e alcol

2011 sono stati individuati ben 54 siti in lingua italiana, situati quindi sul territorio nazionale, e 491 pagine web prontamente segnalate alle forze dell’ordine. Di queste, il 63,3% è stato rimosso, il 18,9% è stato oscurato e il 10,8% risulta chiuso. Solo il 2,9% delle segnalazioni risultano in corso di indagine. «Questo fenomeno così in forte espansione – sottolinea il professor Serpelloni – deve essere tempestivamente e adeguatamente combattuto. È necessaria una forza coordinata tra le varie amministrazioni coinvolte e interessate alle DICEMBRE 2013

azioni di riduzione della domanda e al contrasto dell’offerta. Proprio per questo, nei mesi scorsi, è stato presentato con il ministro Beatrice Lorenzin, il nuovo Piano di azione nazionale sulle nuove sostanze psicoattive, realizzato dal DPA in collaborazione con il Ministero della Salute, con il patrocinio della Nazioni unite e di dieci importanti società scientifiche» ha precisato Serpelloni. Il Piano ha dato origine anche a un up-date itinerante su tutto il territorio nazionale, che permetterà di analizzare, tra l’altro, i diversi aspetti che lo costitui-

scono, fornendo informazioni tecnico-scientifiche in ambito clinicotossicologico e bio-tossicologico alle strutture sanitarie interessate e alle forze dell’ordine che sono con noi impegnate in questa nuova sfida contro la droga. «Gli incontri – ha concluso il capo del Dipartimento – saranno utili quindi agli operatori dei servizi per le tossicodipendenze, al personale di laboratorio, a quello delle unità di emergenza-urgenza, che quotidianamente sono in prima linea per combattere questo preoccupante fenomeno». SANISSIMI 59


MOLTI BICCHIERI DI TROPPO GLI INTERESSI ECONOMICI ATTORNO AI PRODOTTI ALCOLICI SONO COSÌ FORTI DA IMPEDIRE UNA CONCRETA INFORMAZIONE SUI DANNI CHE L’ALCOL PUÒ CAUSARE. LA PREVENZIONE, INFATTI, PUÒ RIDURRE DI MOLTO IL DANNO E LE SUE CONSEGUENZE di Teresa Bellemo livello mondiale, il primato per il consumo di alcol spetta all’Europa. Dal punto di vista sanitario e sociale significa che in Europa anche la mortalità prematura, la disabilità e le malattie croniche dovute all’alcol sono maggiori rispetto al resto del mondo. A partire da questo assunto, il lavoro da fare è ancora molto. Infatti, considerati i costi sociali e sanitari che provoca, si spende molto poco per la sua prevenzione, a dimostrazione che la cultura della prevenzione è ancora da costruire, nonostante i danni siano dimostrati. Secondo l’Oms, in questa cultura influiscono molto gli interessi commerciali, prevalenti rispetto alla promozione della salute, nonostante i richiami della comunità scientifica. Secondo Emanuele Scafato, direttore dell’Osservatorio nazionale alcol e direttore del Reparto salute della popolazione e suoi determinanti dell’Iss, fenomeni come il binge drinking, il consumo minorile e la deriva alcolica dei contesti ricreazionali e di aggregazione giovanile, «sono fenomeni sino a

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Emanuele Scafato, direttore dell’Osservatorio nazionale alcol e direttore del Reparto salute della popolazione e suoi determinanti dell’Iss

qualche decennio fa sconosciuti in Italia, ispirati da una cultura mediterranea in dissolvimento». L’alcol fa comunque parte della cultura e della tradizione di molti popoli. Come comportarsi da questo punto di vista? «Essere liberi di bere vuol dire saper declinare un comportamento in funzione di situazioni e contesti, evitando di consumare quando c’è il rischio di esporre se stessi e gli altri a un pericolo. Non è accettabile vedere esaurita la comunicazione nel messaggio “bevi responsabilmente”, un imperativo e un avverbio che non lasciano margini di scelta. La prevenzione esige parole chiare, lontane dalle ambiguità, con le quali da anni si sono costruiti disvalori e messaggi ingannevoli. Unico antidoto nell’immediato, secondo il Comitato internazionale economico delle Nazioni Unite, è la riduzione della disponibilità sia economica che fisica dell’alcol e un regime più articolato di prezzi e tassazioni su tutte le bevande alcoliche».

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Emanuele Scafato • ABUSO DI ALCOL

“Se guidi non bere” è un messaggio logico e di buon senso ma alla luce degli esiti correnti non è ancora abbastanza Quali sono le fasce di popolazione più a rischio e perché? «Tutti sono a rischio, se non si seguono stili e modelli di consumo moderati. Le linee guida nazionali identificano limiti quotidiani di 1 e 2 drink alcolici per donne e uomini, di 1 per gli ultra 65enni, di nessuno al di sotto dei 18 anni. Piccole quantità che hanno già una pur piccola rischiosità per oltre 60 patologie e 12 tipi di cancro. L’alcol può essere metabolizzato grazie a un enzima, l’alcoldeidrogenasi (Adh), che matura intorno ai 18-20 anni e nelle donne è attivo in forma dimezzata. Inoltre, la sua efficienza metabolica si riduce drasticamente dopo i 65 anni, un dato poco conosciuto alla maggior parte dei consumatori e raramente comunicato dai medici». Sotto l’aspetto della prevenzione, come si sta comportando il nostro Paese? Quali i provvedimenti? «Molto è stato fatto per ottemperare a quanto previsto dalla Legge 125/2001 ma molto resta da fare. Il Piano di azione europeo sull’alcol indica che la prevenzione deve essere sempre parte della strategia di identificazione precoce del rischio alcolcorrelato, in modo di non arrivare a gestire alcol dipendenti, ma al massimo consumatori a rischio. Molti risultati sono stati conseguiti per quanto riguarda la guida, in particolare per i più giovani, con le note modifiche del codice della strada, ma i minori sono ancora lungi dall’essere tutelati. Sarebbe indispensabile concentrarsi di più sull’alcoldipendenza per riuscire a

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trattare il milione di alcolisti, stimato dalla Società italiana di alcologia e dall’Osservatorio nazionale alcol Cneps dell’Iss, di cui solo 58mila giungono a farsi seguire dai servizi. Una nota dolente è l’assenza cronica di finanziamenti per la ricerca sull’alcol, l’unico strumento che può realmente orientare le strategie di azione». Ha ricordato la patente a punti e la maggior sensibilizzazione sulle tematiche legate all’alcol. Queste pratiche hanno ridotto gli incidenti causati da guida in stato di ebbrezza? Hanno influito sui consumi? «L’idea che i consumi possano essere influenzati dalle normative è in parte discutibile. Non ci sono norme che possano tutelare 24 ore su 24. La maggior parte dei consumi si registra a livello domestico e il numero di incidenti fatali legati all’alcol rappresenta ancora il 37 per cento circa di tutti gli incidenti. Soprattutto tra i giovani, incomincia però a farsi strada una cultura del rispetto normativo, con la diffusione della pratica del guidatore designato. Tuttavia, il guidatore sobrio non legittima l’ubriachezza dei trasportati, che con i loro comportamenti fuori controllo possono esporre a rischi, nonostante una guida accurata e prudente. “Se guidi non bere” è un messaggio di buon senso, ma alla luce degli esiti correnti non è ancora abbastanza. Ottime norme risultano disattese, se non vengono applicate con rigore e certezza della pena. E in questo l’Italia ha ancora molto da imparare».

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ABUSO DI ALCOL • Luciana Quattrociocchi

BOOM DELL’ALCOL FUORI PASTO di Teresa Bellemo È QUANTO EMERGE DALLA RICERCA ISTAT DI LUCIANA QUATTROCIOCCHI. UN FENOMENO CHE SFOCIA NEL COSIDDETTO BINGE DRINKING E COINVOLGE SOPRATTUTTO I PIÙ GIOVANI, CHE ADOTTANO L’ABITUDINE DI BERE PER SOCIALIZZARE

li stili di vita condizionano il rischio di contrarre malattie e l’alcol è considerato uno dei maggiori fattori di rischio per la salute dell’uomo. Inoltre, i danni che ne derivano producono effetti anche sulle famiglie e, in generale, sul contesto sociale. Dal 1993 l’Istat, attraverso l’indagine “Aspetti della vita quotidiana”, monitora il consumo alcolico degli italiani. Le informazioni, diffuse mediante il report “L’uso e l’abuso di alcol in Italia”, riguardano tutti gli aspetti fondamentali di questo fenomeno. Dal report 2012 emergono notizie positive: sono in calo i consumatori di alcol a rischio.

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Le donne e i giovani stanno progressivamente aumentando i consumi. «Stanno avvenendo dei lenti cambiamenti. In alcuni casi si tratta di piccoli e positivi segnali di inversione di tendenza nei consumi, in altri emergono criticità per specifici gruppi particolarmente esposti al rischio di abuso. In Italia negli ultimi dieci anni sono diminuiti i consumatori di bevande alcoliche, passando dal 70,2 per cento al 66,6. Si registra, inoltre, un graduale abbandono del consumo giornaliero tipico dei paesi mediterranei (-24,6%)

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mentre emergono comportamenti caratteristici del nord Europa, contraddistinti da un consumo occasionale (+6,4 per cento) e più frequentemente fuori pasto (+3,8). Se si considerano il genere e l’età, si osserva che tra i giovani diminuisce principalmente il consumo giornaliero, fra gli adulti e gli anziani aumenta il numero dei consumatori occasionali e, in particolare, fra gli adolescenti e le donne cresce il numero di consumatori di alcol fuori pasto. A proposito di queste ultime, gli incrementi di maggiore intensità si registrano tra le giovani con età compresa tra 25 e 44 anni (+47,5 per cento) e per le ultrasessantacinquenni (+51)».

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Luciana Quattrociocchi • ABUSO DI ALCOL

Cresce dunque il consumo di alcol fuori pasto. A quali comportamenti sociali è correlato, secondo le sue analisi? «Il fenomeno è emergente, come abbiamo visto, soprattutto tra i giovani e le donne. Però, quel che maggiormente preoccupa è la diffusione di comportamenti a rischio come il consumo giornaliero non moderato di alcol o il binge drinking (bere per ubriacarsi) o ancora il consumo di alcol da parte dei ragazzi di 11-15 anni. Nel 2012, 7 milioni e 464mila persone sono state interessate da comportamenti a rischio nel consumo di alcol. Per i giovani l’abuso di alcol è legato per lo più a momenti di socializzazione. Dalle nostre analisi emerge che tra i giovani di 18-24 anni che frequentano assiduamente le discoteche i comportamenti di consumo di alcol a rischio sono più diffusi rispetto ai loro coetanei che non vanno in discoteca. Stesse differenze si riscontrano tra frequentatori e non di spettacoli sportivi e concerti. Anche il consumo non moderato da parte dei genitori sembra influenzare il comportamento dei figli».

La crisi come incide su queste abitudini? «È difficile poter fare considerazioni a questo proposito. Si può reagire alle difficoltà economiche sia riducendo le spese sia, spinti dalle difficoltà, aumentando i comportamenti a rischio. Possiamo solo dire che nel nostro Paese si osserva un trend discendente dei consumatori a rischio. La quota di 18enni che presentano almeno un comportamento a rischio diminuiscono dal 16,7 del 2007, anno pre-crisi al 14 per cento del 2012. La riduzione si osserva sia per il consumo giornaliero non moderato (che passa dal 10,4 all’8,1) che nella riduzione dell’abitudine al binge drinking (che passa dall’8,2 al 7,2 per cento). I numeri ci porterebbero a pensare che in tempi di crisi i consumi di bevande alcoliche vengono contenuti piuttosto che aumentati. Naturalmente servirebbero ulteriori approfondimenti e analisi per capire meglio come, ad esempio, alla perdita del lavoro possano corrispondere variazioni nell’abitudine al consumo di alcol».

Nel nostro Paese si osserva un trend discendente dei consumatori a rischio

Luciana Quattrociocchi, responsabile Istat dell’indagine “Aspetti della vita quotidiana”

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DISTURBI DELL’UMORE • Claudio Mencacci

È ALLARME ANTIDEPRESSIVI di Renata Gualtieri LE STATISTICHE CONFERMANO L’AUMENTO DEI DISTURBI DELL’UMORE: DEPRESSIONE, MA ANCHE ANSIA, INSONNIA, ABUSO DI ALCOL E DI DROGHE. PROBLEMI CHE, RICORDA CLAUDIO MENCACCI, INTERESSANO IL 38,2 PER CENTO DELLA POPOLAZIONE EUROPEA

econdo il rapporto dell’Osservatorio nazionale sull’impiego dei medicinali, presentato dall’Aifa lo scorso settembre, negli ultimi otto anni è cresciuto l’uso di antidepressivi, +4,5 per cento nel 2012 rispetto al 2004, che oggi rappresentano una delle voci principali della spesa farmaceutica pubblica del nostro Paese. Quattro milioni di persone soffrono di depressione e otto milioni di di-

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sturbi severi d’ansia, a cui si aggiungono altri quattro milioni che soffrono di insonnia. Nonostante numeri così importanti, meno della metà delle persone ricorrono a operatori della salute e sono ancora meno quelli che si rivolgono a psichiatri. «È una tendenza sicuramente destinata ad aumentare commenta il presidente della Società italiana di psichiatria, Claudio Mencacci - è nel segno dei tempi. Un bisogno che per tanti

anni è rimasto nascosto e che con la crisi è venuto fuori». Come la Società italiana di psichiatria sollecita le istituzioni e l’opinione pubblica a prendere coscienza del diffondersi di questi disturbi? Su quali temi chiede maggiore impegno? «Quella dei disturbi mentali è la vera sfida del ventunesimo secolo. Chiediamo il potenziamento dei servizi perché i dati europei ci dicono che in tempi di crisi all’aumento dell’1 per cento della disoccupazione corrisponde la crescita dei tassi suicidari dello 0,79 per cento. Ciò vuol dire che dobbiamo saper intervenire e prevenire, tenendo presente che la stragrande maggioranza di questi disturbi compare nel 75 per cento dei casi entro i 25 anni d’età e che riguarda prevalentemente una popolazione giovanile, che ne soffrirà le conseguenze nella vita adulta. Ci auguriamo, dunque, un potenziamento dell’innovazione e della ricerca per aumentare la capacità di prevenzione e di riconoscimento precoce di questi disturbi».

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Claudio Mencacci • DISTURBI DELL’UMORE

Ci auguriamo un potenziamento della ricerca per aumentare la capacità di prevenzione e riconoscimento precoce dei disturbi mentali Claudio Mencacci, presidente della Società italiana di psichiatria e direttore del Dipartimento di neuroscienze del Fatebenefratelli di Milano

In relazione a quali di questi disturbi auspica che ci siano maggiori progressi nella ricerca? «C’è una fortissima richiesta d’innovazione e ricerca nel campo dei disturbi affettivi, bipolari e della schizofrenia, patologie diffuse e particolarmente severe che condizionano l’esistenza. Noi utilizziamo le potenzialità della ricerca meno di un decimo di quanto vengono sfruttate in area oncologica. Nella severità delle patologie un tema importante è rappresentato anche dai disturbi di abuso d’alcol o droghe, che hanno conseguenze gravissime». Secondo il Rapporto Osmed, le più assidue frequentatrici della farmacia sono le donne e comprano soprattutto antidepressivi. Quali componenti influenzano questi risultati? «Il genere femminile è esposto per diversi motivi a una maggiore prevalenza di depressione, di ansia e di stress e a condizioni ambientali critiche, come un grosso impegno lavorativo e una frequente esposizione a violenze domestiche. Esiste poi nelle donne una DICEMBRE 2013

disposizione di genere a una maggiore ricerca di aiuto e di adesione alle cure. Lo dimostra il fatto che le donne ricerchino o assumano più farmaci e antidepressivi, così come fitoterapici». Quasi il 50 per cento di tutti i disturbi psichici compare in adolescenza e il 75 per cento entro i 25 anni. Da cosa è stata determinata l’accentuazione negli ultimi decenni? Quali sono i disturbi moderni? «Oggi assistiamo alla crescita dell’impulsività, stimolata dall’accelerazione di comunicazione e dalla necessità di avere risposte immediate, e fortemente sostenuta da un aumento nell’uso di sostanze stimolanti come la caffeina, la nicotina o l’alcol. Tutto questo comporta la comparsa di disturbi del sonno. Gli adolescenti di oggi dormono un’ora in meno rispetto alle generazioni precedenti e il sonno è il più grande protettore del cervello che abbiamo. Questo, assieme a una serie di altri fattori come una maggiore rapidità di spostamento, maggiore dispo-

sizione ai cambi di luce solare, causa l’aumentata comparsa di disturbi psichici. Oggi il cervello è esposto a cambiamenti rapidissimi, abbiamo assistito a trasformazioni epocali che le generazioni precedenti compivano in 200 anni, e questa necessità di plasticità celebrale e capacità di adattamento a nuove situazioni comporta qualche difficoltà». Il Codacons, commentando i dati sul consumo dei farmaci in Italia, ha puntato il dito anche sulle forti differenze tra nord e sud del Paese. Perché si registrano queste differenze? E quanto incide sulla spesa farmaceutica in Italia? «Spesso al Sud si prescrivono dosaggi più alti che in altre aree. Va detto, però, che il costo delle terapie farmacologiche è di per sé inesistente rispetto ai gravissimi costi indiretti. La depressione, più di qualsiasi altra patologia, con il maggior numero di giorni di lavoro persi, è quella che ha le più forti conseguenze sulla vita relazionale delle persone». SANISSIMI 65


I SINTOMI DELL’INFARTO L’INFARTO È DI SOLITO PREANNUNCIATO DA SEGNALI BEN PRECISI: DOLORE AL PETTO, ALLO STERNO, MAL DI STOMACO, ANCHE SE A VOLTE SI PRESENTA CON SEGNALI INDECIFRABILI. IL PROFESSOR ANTONIO REBUZZI CI AIUTA A RICONOSCERLI

di Renata Gualtieri econdo gli ultimi dati, il numero di persone colpite da infarto attualmente in Italia si aggira intorno ai 120mila all’anno. Di questi, però, circa un quarto muore nel tragitto da casa all’ospedale. La mortalità a trenta giorni, invece, può variare in relazione alla precocità e al tipo di intervento (angioplastica o trombolisi) che si pratica, ed è tra il 7 e 10 per cento. Gli uomini vengono colpiti da 3 a 4 volte più delle donne. Tale rapporto si dimezza dopo la menopausa. «Questa tendenza - commenta Antonio Rebuzzi, docente di cardiologia all’università Cattolica di Roma - sembra non aumentare nei paesi occidentali, mentre dovrebbe esserci un incremento netto nei Paesi in via di sviluppo».

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Quanto costa ogni infarto al sistema sanitario nazionale? «Il costo di un infarto per il sistema sanitario nazionale è mediamente intorno ai 7.500 euro. Gran parte dipende però dalle complicanze che si registrano in seguito all’infarto. Se il paziente necessita di un pacemaker o, peggio, di un defibrillatore, i costi possono lievitare in maniera esponenziale. Si aggiunga a tutto ciò la differenza tra le

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varie regioni, che rende i costi molto variabili». Quali sono i campanelli d’allarme cui prestare attenzione? E come occorre intervenire? «Il sintomo principale è il dolore precordiale, cioè al centro del petto, dietro lo sterno. Si possono avere irradiazioni alla mandibola o al braccio sinistro. Nei diabetici la percezione del dolore può essere ridotta o addirittura del tutto assente. Nell’infarto della parete inferiore del cuore, poi, il dolore si presenta a livello gastrico e può essere confuso con un banale mal di stomaco. Qualora il dolore si presenti durante uno sforzo o dopo un pasto abbondante è utile sentire un cardiologo e procedere agli accertamenti del caso. Può capitare, però, che l’infarto sia la prima manifestazione di una cardiopatia ischemica. È, quindi, importante periodicamente, in particolare se si è in una categoria a rischio (ipertesi, ipercolesterolemici, diabetici, obesi, pazienti con insufficienza renale) sottoporsi a una valutazione cardiologica magari accompagnata da un ecocardiogramma e un test da sforzo». Quali sono le complicazioni che derivano da un atDICEMBRE 2013


Antonio Rebuzzi • CARDIOLOGIA

È importante periodicamente sottoporsi a una valutazione cardiologica, accompagnata da un ecocardiogramma e un test da sforzo tacco di cuore? Cosa prevede la riabilitazione dopo l’infarto miocardico? «Le complicanze dell’infarto possono essere acute, come aritmie anche mortali, disfunzioni del muscolo che portano a un rapido scompenso, alterazioni gravi delle valvole cardiache. Vi sono poi complicanze più tardive, come la pericardite, lo scompenso cardiaco cronico che compare dopo qualche giorno. Le complicanze acute richiedono un rapido intervento in unità di terapia intensiva. Per quelle croniche vale la prevenzione attraverso un periodo di riabilitazione post infarto in reparti adatti. Qui i pazienti vengono sottoposti a terapia riabilitativa con l’aiuto di un’attenta monitorizzazione e di personale specializzato». Quali sono le classi di farmaci maggiormente impiegate nella terapia contro l’infarto al miocardio? E quali le novità in merito alle tecniche utilizzate negli interventi che vengono compiuti per questa patologia? «Nella fase acuta dell’infarto la terapia migliore è l’angioplastica. Con un catetere che si introduce attraverso l’arteria radiale o dall’arteria femorale si arriva all’imbocco della coronaria interessata dall’ostruzione. A questo punto si fa passare nell’arteria coronarica ostruita un palloncino che si gonfia all’altezza dell’ostruzione. La placca o il trombo che chiudono la coronaria vengono quindi schiacciati sulla parete del vaso eliminando quindi l’ostruzione. Questa terapia richiede personale molto preparato e attrezzature che possono permettersi solo pochi ospedali. Per gli ospedali meno attrezzati esistono, però, farmaci (trombolitici), praticati endovena, che possono sciogliere il trombo che occlude la coronaria. Successivamente i malati dovrebbero comunque sottoporsi a uno studio invasivo per valutare in maniera chiara la situazione delle arterie. Recentemente, per gli infarti molto gravi, sono state introdotti delle pompe cardiache che, messe nel ventricolo sinistro, prendono il sangue e lo pompano in aorta, facendo quindi il lavoro del cuore danneggiato e consentendo ai cardiologi di intervenire sulle coronarie dei pazienti più gravi». DICEMBRE 2013

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ANALISI SPECIALISTICHE • Massimo Volpe

Fibrillazione atriale, diagnosi e cure È una patologia tipica dell’età avanzata che in molti casi rimane silente. La parola allo specialista Massimo Volpe, che ci indica sintomi, rischi e terapie per affrontare l’insorgenza di questa aritmia Renata Gualtieri

econdo le ultime stime, la fibrillazione atriale è l’aritmia più diffusa, poiché colpisce circa l’1-2 per cento della popolazione. In Europa circa sei milioni di persone ne sono affette e c’è da aspettarsi un’ulteriore crescita negli anni. Le stime dicono che la prevalenza di questa aritmia raddoppierà nei prossimi 50 anni a causa dell’invecchiamento della popolazione. In Italia ne soffrono circa 600mila persone, in prevalenza maschi. I pazienti più a rischio sono quelli colpite da patologie dell’apparato cardiocircolatorio, gli obesi, i diabetici e le persone affette da broncopneumopatia cronica ostruttiva. Sono numeri importanti, come sottolinea anche il direttore della cattedra di cardiologia dell’Università La Sapienza di Roma, Massimo Volpe, che devono sollecitare una maggior attenzione verso questo problema, oggi ampiamente sottovalutato perché alcune persone ne soffrono senza esserne a conoscenza.

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Quanto aumenta con l’età il rischio di esserne affetti e quanto è comune nei pazienti con altre patologie cardiocircolatorie?

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«La prevalenza di questa patologia è minore dello 0,5 per cento nella fascia di età tra i 40 e i 50 anni, mentre sale al 5-8 per cento nelle persone che superano gli 80. Una persona di 40 anni ha il 25 per cento di possibilità di sviluppare fibrillazione atriale nel corso della vita. Spesso le persone affette da questa patologia presentano altre malattie dell’apparato cardiovascolare che hanno un ruolo nel perpetuarla. Mi riferisco all’ipertensione arteriosa, all’insufficienza cardiaca, che può essere una causa o una conseguenza della fibrillazione atriale, alle valvulopatie, soprattutto a carico della valvola mitrale, e alla cardiopatia ischemica. Esistono anche condizioni extra-cardiache che possono favorire l’insorgenza della fibrillazione atriale, come l’ipertiroidismo e le apnee notturne». Come si può limitare l’insorgenza della fibrillazione atriale o prevenire lo sviluppo di questa pericolosa aritmia? Quanto è importante la prevenzione? E come la si attua fin dalla diagnosi? «La fibrillazione atriale progredisce da brevi e rari episodi ad attacchi più lunghi e più frequenti.

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Massimo Volpe, direttore della Scuola di specializzazione in malattie cardiovascolari presso La Sapienza, capo della divisione di cardiologia e del Dipartimento di scienza cardiotoracica e vascolare dell’Azienda ospedaliera Sant’Andrea di Roma

In Italia, si stima che il peso economico della fibrillazione atriale sia circa 2.700 euro annui per paziente, di cui l’83 per cento è dovuto alle ospedalizzazioni per recidive e interventi

Nel corso del tempo molti pazienti sviluppano la forma cronica. Solo una piccola proporzione dei pazienti senza condizioni favorenti resta ferma allo stadio di atriale parossistica per diversi decenni (2-3 per cento dei pazienti). La terapia a monte per prevenire o ritardare il rimodellamento miocardico associato a ipertensione, insufficienza cardiaca o infiammazione, ad esempio dopo chirurgia cardiaca, può scoraggiare l’insorgenza di fibrillazione atriale (prevenzione primaria) o, una volta stabilita, il suo tasso di recidiva o la progressione allo stadio di permanente (prevenzione secondaria). La terapia con Ace-inibitori, bloccanti del recettore dell’angiotensina - Arb - antagonisti dell’aldosterone, statine e acidi grassi omega-3 polinsaturi si sono dimostrati utili a questo fine». Come è possibile identificare la fibrillazione atriale? Da quali sintomi e come va curata? «Le manifestazioni della fibrillazione atriale sono molteplici. Spesso questa aritmia rimane silente e il paziente non sa di esserne affetto. I sintomi percepiti più frequentemente sono le palpitazioni, la dispnea, l’astenia, le vertigini o il

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ANALISI SPECIALISTICHE • Massimo Volpe

¬ dolore toracico, fino a quelli più gravi come la sincope. La gestione della fase acuta dei pazienti con fibrillazione atriale dovrebbe concentrarsi sulla risoluzione dei sintomi, sulla valutazione del rischio cardiologico associato tramite la ricerca di condizioni predisponenti all’aritmia e alle sue complicanze e sulla stima del rischio tromboembolico. Attualmente esistono sistemi a punteggio, come il “Cha2Ds2-Vasc Score”, che prendono in considerazione i fattori predisponenti al tromboembolismo e indicano la necessità di iniziare la terapia profilattica anticoagulante. Finora quest’ultima è stata efficacemente gestita con i farmaci dicumarolici, che pure necessitano di un prelievo periodico, spesso bi-trisettimanale, per il monitoraggio dei parametri della coagulazione. Attualmente sono in commercio nuove molecole (Dabigatran, Rivaroxaban e Apixaban) e altre sono in corso di sperimentazione , come l’Edoxaban, per la profilassi del trombo-

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embolismo che non necessitano del periodico controllo della coagulazione». La forma più benigna ed episodica come va tenuta sotto controllo e come occorre invece intervenire sulle forme più pericolose e persistenti? «La fibrillazione atriale parossistica è auto-terminante, di solito entro le 48 ore. Il limite di tempo di 48 ore è clinicamente importante, in quanto dopo questo la probabilità di conversione spontanea è basso e la profilassi tromboembolica con anticoagulante deve essere considerata. Seppure si tratti di una forma episodica, non per questo è meno pericolosa. Il passaggio dalla fibrillazione atriale al ritmo sinusale rappresenta, infatti, un momento importante di rischio tromboembolico. La fibrillazione atriale si definisce persistente quando un episodio dura più di sette giorni o viene sottoposto a cardio-

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La prevalenza di questa patologia è minore dello 0,5 per cento tra i 40 e i 50 anni, mentre sale al 5-8 per cento sopra gli 80

versione, ovvero a una strategia di controllo del ritmo. In questo caso si può ricorrere all’uso di farmaci antiaritmici o alla cardioversione elettrica. Si parla invece di fibrillazione atriale permanente quando la presenza dell’aritmia è accettata dal paziente e dal medico e quindi gli interventi per il controllo sul ritmo sono non perseguiti mentre si procede al controllo della frequenza ventricolare al fine di ridurre i sintomi associati a questa aritmia». Che rilevanza ha, anche in termini di costi, per la sanità pubblica? «La fibrillazione atriale costituisce una causa importante di mortalità, morbidità e compromissione della qualità della vita. Questa patologia è associata a un rischio di decesso quasi raddoppiato. La gestione dei pazienti colpiti da fibrillazione atriale costituisce un peso sempre maggiore per i sistemi sanitari di tutto il mondo

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in termini di costi di gestione dell’ictus e della terapia, sia nel caso di pazienti ospedalizzati che di pazienti ambulatoriali. Diversi studi hanno identificato i costi diretti e le ospedalizzazioni come le principali determinanti dei costi. In Italia, si stima che il peso economico della fibrillazione atriale sia circa 2.700 euro annui per paziente, di cui l’83 per cento è dovuto alle ospedalizzazioni per recidive e interventi. La fibrillazione atriale rende la persona colpita 5 volte più a rischio di ictus cerebri rispetto alla popolazione generale. Complessivamente, si stima che essa sia responsabile per circa il 15 per cento di tutti gli ictus. La prevalenza di ictus nei pazienti di età superiore ai 70 anni affetti da fibrillazione atriale raddoppia con ciascuna decade. Inoltre, gli ictus correlati a fibrillazione atriale sono associati a esiti più scarsi rispetto agli ictus non correlati a fibrillazione atriale. In Italia, si stima che il costo dell’ictus sia circa 12.000 euro per paziente».

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LA RICERCA DEI FATTORI DI RISCHIO LA SCIENZA È IMPEGNATA NELLA RICERCA DI TARGET MOLECOLARI RESPONSABILI DELLA GENESI DEL COLANGIOCARCINOMA. ANTONIO BENEDETTI SPIEGA I PASSI IN AVANTI FATTI NELLO STUDIO DI QUESTA PARTICOLARE NEOPLASIA E DEL SUO TRATTAMENTO

di Nicolò Mulas Marcello

aumento dei casi di colangiocarcinoma negli ultimi 15 anni in Italia non ha motivazioni chiare, ma la scienza si sta prodigando per conoscerne le cause ed effettuare diagnosi precoci. Questa neoplasia, infatti, spesso viene diagnosticata in stato già avanzato e il trattamento più efficace è rappresentato dall’asportazione chirurgia. «Non si conoscono ancora con precisione i fattori di rischio» spiega Antonio Benedetti, docente di Gastroentorologia presso l’Università Politecnica delle Marche, «l’unico certo è la colangite sclerosante primitiva, ma anche in questo caso non ci sono protocolli diagnostici efficaci per fare una sorveglianza strumentale».

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Parliamo di colangiocarcinoma. Come si manifesta e quali sono gli esami a cui sottoporsi per una corretta diagnosi? «Il colangiocarcinoma è una neoplasia che nasce dalle cellule delle vie biliari. I sintomi differiscono significativamente se la neoplasia si localizza all’interno del fegato o all’esterno, cioè in quel tratto di via biliare che emerge

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dal fegato e si dirige all’intestino. Nel primo caso, la neoplasia è quasi sempre asintomatica o dà sintomi vaghi, come stanchezza, calo dell’appetito e febbricola. Quando invece origina nelle vie biliari extra-epatiche, il segno classico è quello dell’ittero, cioè del colorito giallastro della cute e delle mucose visibili. A questo possono associarsi febbre e brividi. Purtroppo, in entrambi i casi, la neoplasia si manifesta solo quando è già nella fase avanzata. Le metodiche migliori per la diagnosi sono quelle strumentali, in particolare la risonanza magnetica. La conferma può essere ottenuta con il prelievo istologico». In ambito diagnostico sono stati fatti passi in avanti per l’individuazione di questa patologia? «La diagnosi di colangiocarcinoma non è di per sé complessa, lo è, invece, fare una diagnosi precoce. Infatti non si conoscono ancora con precisione i fattori di rischio. L’unico certo è la colangite sclerosante primitiva, ma anche in questo caso non ci sono protocolli diagnostici efficaci per fare una sorveglianza strumentale. Tutto ciò dipende dal fatto che le conoscenze sulla paDICEMBRE 2013


Antonio Benedetti • GASTROENTEROLOGIA

Come per tutte le malattie neoplastiche, la terapia migliore è quella chirurgica

togenesi di questa malattia sono ancora estremamente limitate. Di fatto, sappiamo ancora pochissimo di cosa la causi, come insorga e, dunque, come possa essere prevenuta e trattata».

Per quanto riguarda il trattamento, a che punto è la ricerca? «Come per tutte le malattie neoplastiche, la terapia migliore è quella chirurgica. Solo che la maggior parte dei pazienti, al momento della diagnosi, si presentano con una malattia in fase avanzata o che comunque non consente una rimozione radicale attraverso l’atto chirurgico. L’alternativa è, dunque, la terapia oncologica, per quanto con un’efficacia complessivamente limitata. La ricerca internazionale si sta concentrando sulla ricerca di target molecolari, cioè sulla definizione di molecole che abbiano un ruolo importante nella genesi della neoplasia e che possano essere dunque bloccate con farmaci selettivi. Un certo interesse c’è attorno a molecole che bloccano il segnale dei fattori angiogenici oppure di molecole che attivano la proliferazione cellulare. Un altro grande sforzo che sta facendo la ricerca è quello di identificare dei profili molecolari che permettano di definire quali pazienti sono a rischio e quali no».

Antonio Benedetti, docente di gastroentorologia presso l’Università Politecnica delle Marche

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Qual è l’incidenza di questa malattia in Italia? È stata provata una relazione tra l’insorgenza della malattia e stili di vita particolari? «Purtroppo, come d’altro canto in tutti i paesi occidentali, l’incidenza del colangiocarcinoma è in netto incremento. In Italia, negli ultimi 15 anni, c’è stato un aumento pari a circa 7 volte, particolarmente accentuato nelle donne. A cosa questo sia dovuto ancora non è chiaro. Ci sono varie ipotesi, dall’andamento di alcune malattie infettive, come l’epatite C, a tossici di natura ambientale. Anche su questo la ricerca sta lavorando, allo scopo di identificare con chiarezza cosa metta a rischio una persona per lo sviluppo di una patologia aggressiva come questa». SANISSIMI 77


MAGGIORE ATTENZIONE AI POLMONI LE TECNICHE DI INDAGINE PER SCOPRIRE LA PRESENZA DI PATOLOGIE RESPIRATORIE HANNO FATTO PASSI DA GIGANTE. ANDREA ROSSI SPIEGA IL LORO FUNZIONAMENTO E L’IMPORTANZA DELLA DIAGNOSI PRECOCE Andrea Rossi, presidente dell’Associazione italiana pneumologi ospedalieri

di Nicolò Mulas Marcello

e patologie respiratorie continuano a registrare un costante aumento di casi sulla popolazione a livello mondiale. Le cause sono di varia natura e la diagnosi precoce è come sempre efficace per evitare complicanze: «Le prove di funzionalità respiratoria e l’imaging – spiega Andrea Rossi, presidente dell’Associazione italiana pneumologi ospedalieri – hanno raggiunto livelli tecnologici molto avanzati per scoprire la presenza di patologie particolari».

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Le malattie dell’apparato respiratorio sembrano in significativo aumento, quali sono le cause di queste patologie? «Il fumo, l’inquinamento e l’invecchiamento della popolazione. L’incremento, ad esempio, negli Stati Uniti tra il 1980 e il 2000 è stato di +164%. È la categoria di malattie più in ascesa, anche senza considerare il tumore al polmone. Questo incremento è imputabile soprattutto alla diffusione del fumo tra le donne, ma anche alle polveri sottili presenti nell’at-

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mosfera dovuti all’inquinamento. Infine, influisce anche l’invecchiamento della popolazione in quanto l’allungamento della vita dà più tempo alle malattie croniche di manifestarsi». Quali passi in avanti ha fatto la ricerca per il trattamento delle più diffuse malattie respiratorie croniche come la bronco pneumopatia cronica ostruttiva? «Sono stati fatti significativi progressi nel trattamento della Bpco sul fronte dell’introduzione di molti farmaci. Credo che il 2012 sia stato l’anno in cui sono stati introdotti contemporaneamente più farmaci da parte di più aziende. Si tratta di farmaci da assumere per via inalatoria, uno ha una funzione antiinfiammatoria e altri appartengono alle classi degli antagonisti muscarinici, cioè degli anticolinergici e dei beta stimolanti e degli steroidi inalatori. Si tratta di diverse combinazioni che vengono prese in considerazione dalle linee guida per personalizzare sempre di più la terapia».

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Andrea Rossi • PNEUMOLOGIA

L’imaging consente un’indagine atomica approfondita e inimmaginabile fino a qualche anno fa

La conferma degli esperti n un rapporto pubblicato recentemente l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha quantificato in 223mila le persone che nel 2010 sono morte a causa di vari tipi di tumore provocati dall’inquinamento atmosferico. Gli esperti sostengono che vi sono prove sufficienti che l’aria sporca provoca il cancro ai polmoni e può essere causa del tumore della vescica. Nello studio i ricercatori hanno anche richiamato l’attenzione sulle principali fonti di inquinamento: gli scarichi delle auto, le emissioni delle centrali elettriche, le attività agricole quelle industriali. Secondo i rappresentanti dell’Oms, queste prove dovrebbero costringere i governi ad adottare azioni concrete per la riduzione delle emissioni. L’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) ha classificato l’inquinamento atmosferico tra gli agenti cancerogeni nella stessa categoria del fumo e delle radiazioni UV. «L’aria che respiriamo – sostiene Kurt Straif, capo della IARC – è contaminata da una miscela di sostanze cancerogene. Ora sappiamo che l’inquinamento atmosferico è diventato non solo una minaccia per l’ambiente, ma sono anche una delle principali cause di cancro». NMM

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Sul piano diagnostico, quali sono i test che vengono effettuati per accertare la presenza di una patologia cronica? «I test più comuni e moderni sono fondamentalmente due. Le prove di funzionalità respiratoria che comprendono, non solo la spirometria, ma anche la misura della capacità di diffusione, la resistenza e la tolleranza dell’esercizio fisico, tutto effettuato attraverso apparecchiature sempre più tecnologiche, precise, accurate e adatte a una diagnosi precoce. Poi c’è l’imaging, questo esame mette a disposizione immagini fantastiche perfino dei piccoli bronchi, che consentono un’indagine atomica approfondita e inimmaginabile fino a qualche anno fa». La tosse cronica è sempre sintomo di una patologia respiratoria? Quando occorre rivolgersi a uno specialista? «La tosse cronica è quel tipo di tosse che persiste in maniera costante per diverse settimane. Le cause più frequenti sono il fumo, l’asma bronchiale, la sinusite e il reflusso gastroesofageo. Esse vanno subito indagate. Se non siamo in presenza di una tosse cronica, bisogna distinguere tra tosse secca e quella produttiva. Quest’ultima, con presenza di catarro, è dovuta a malattie come bronchiectasie e infezioni di varia natura. Se è secca invece può essere dovuta ad altre malattie polmonari più rare. Nel caso della tosse cronica è necessario sempre rivolgersi a uno specialista il quale indagherà le cause principali e consiglierà quali esami endoscopici effettuare dalla broncoscopia, alla laringoscopia per scoprirne la genesi».

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MEDICINA ALL’AVANGUARDIA LA RICERCA SCIENTIFICA HA NOTEVOLMENTE CONTRIBUITO A MIGLIORARE LA QUALITÀ DELLA TERAPIA ANTICOAGULANTE NEGLI ANNI. IL PUNTO DI GUALTIERO PALARETI SPECIALISTA DEL POLICLINICO S. ORSOLA MALPIGHI DI BOLOGNA di Renata Gualtieri

a terapia anticoagulante ha lo scopo di mantenere più fluido il sangue allo scopo di evitare la formazione di coaguli dentro vasi sanguigni, vene o arterie; questi coaguli (trombi) ostacolano totalmente o parzialmente la circolazione negli organi interessati e ne impediscono la loro normale funzione con gravi conseguenze per il paziente. Il rischio di formazione di trombi è presente in numerose condizioni cliniche. «Per questo motivo i soggetti che ricevono terapia anticoagulante sono molto numerosi - sottolinea Gualtiero Palareti, specialista in malattie cardiovascolari - e molti altri ancora dovrebbero essere trattati in questo modo, ma purtroppo non lo sono». Nel nostro Paese si stima che il numero dei pazienti trattati non sia lontano dal milione, con punte più alte in alcune regioni rispetto ad altre.

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Quando si usano gli anticoagulanti orali? «Numerose condizioni cliniche richiedono un trattamento anticoagulante per curare una patologia o per prevenire gravi complicazioni circolatorie. La fibrillazione atriale è un disturbo del ritmo cardiaco frequente nella popolazione, specie anziana, associato a un alto rischio che si formi un trombo nella cavità cardiaca e che da lì il trombo si muova (tromboembolia) andando a chiudere un vaso sanguigno nel cervello (ictus) o nella circolazione periferica. La fibrillazione atriale è attualmente la patologia che più frequentemente porta a un trattamento anticoagulante. Un’altra frequente condizione clinica che richiede la terapia anticoagulante è costituita dal verificarsi di trombosi nelle vene degli arti (trombosi venosa profonda) che può complicarsi con un’embolia polmonare, vale a dire una tromboembolia che colpisce la circolazione del polmone, con possibili

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Gualtiero Palareti • ANGIOLOGIA

Gualtiero Palareti, direttore responsabile dell’Unità operativa di angiologia e malattie della coagulazione Marino Golinelli del Policlinico S. Orsola Malpighi di Bologna

Chi ha subìto interventi di cardiochirurgia, con sostituzione di valvole con protesi meccaniche, richiede una costante protezione anticoagulante

gravi conseguenze, anche a rischio vitale. Pazienti che hanno subito interventi di cardiochirurgia con sostituzione di valvole con protesi meccaniche richiedono una costante protezione anticoagulante per evitare complicazioni a partenza dalla valvola sostituita. Tutte queste, e altre ancora, sono patologie che richiedono terapia anticoagulante, che è estremamente efficace nell’evitare complicanze». Come si sceglie la dose giusta? «Finora è stata disponibile un’unica tipologia di farmaci anticoagulanti, i cosiddetti “antivitamina K”, con nomi commerciali quali Coumadin o Sintrom. Poiché l’effetto di questi farmaci è variabile tra i diversi soggetti, e anche nello stesso paziente in momenti diversi, la loro dose giornaliera può cambiare ed è regolata secondo il risultato di un test di laboratorio, l’Inr, che richiede un prelievo di sangue

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e che deve essere ripetuto abbastanza frequentemente. L’obiettivo del controllo di questi farmaci è pertanto quello di mantenere il loro effetto entro specifici valori di Inr. Nella maggior parte delle indicazioni l’Inr deve essere mantenuto tra 2,0 e 3,0». Quanto occorre fare attenzione all’alimentazione in presenza di una terapia con anticoagulanti orali? «Il meccanismo d’azione degli anticoagulanti antivitamina K si basa sull’inibizione della vitamina K, che è indispensabile per avere livelli normali di alcune proteine - fattori coagulativi - necessarie per far coagulare il sangue. Inibendo la vitamina K, il livello di questi fattori si riduce e quindi è ridotta la coagulabilità del sangue, con minor rischio di formazione di trombi. La vitamina K è presente in diversa quantità negli alimenti. Variazioni improvvise della dieta alimentare possono influenzare

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ANGIOLOGIA • Gualtiero Palareti

¬ l’effetto di questi anticoagulanti. Per questo è da raccomandare costanza e stabilità del tipo di alimentazione, senza tuttavia porre restrizioni per alcuni alimenti».

La dose giornaliera degli anticoagulanti è regolata dall’Inr, un test che richiede il prelievo di sangue e che va ripetuto frequentemente

Sono disponibili nuovi coagulanti orali. L’Aifa ha sottolineato diverse raccomandazioni a pazienti e medici prescrittori. Quali i rischi e i vantaggi, in termini di efficacia, e i progressi rispetto ai vecchi coagulanti orali? «Alcuni nuovi farmaci ad azione anticoagulante sono stati messi a punto e valutati mediante studi clinici di grandi dimensioni e di alto valore scientifico. Alcuni di essi sono da anni disponibili per l’uso clinico in molti Paesi e più recentemente anche nel nostro. Hanno meccanismi d’azione diversi tra loro e, comunque, del tutto differenti da quello degli antivitamina K. Gli studi clinici finora disponibili hanno dimostrato una loro efficacia e sicurezza almeno uguale rispetto agli anticoagulanti tradizionali e in alcuni casi anche maggiore. I potenziali vantaggi sono numerosi; a partire dell’uso di dosi giornaliere fisse, senza necessità di controlli di laboratorio di routine, con conseguente miglioramento della qualità di vita dei pazienti e, soprattutto, una significativa minore frequenza di emorragie intracraniche, problema grave specie per pazienti anziani. Anche questi nuovi anticoagulanti hanno limitazioni e controindicazioni, quali ad esempio la presenza di grave disfunzione renale, per cui è essenziale che siano prescritti seguendo le necessarie indicazioni e precauzioni. Vi sono ancora punti critici relativamente al loro uso, come la mancanza di antidoti, cioè la possibilità di neutralizzarne rapidamente l’effetto quando ce ne fosse necessità». Che progressi ha fatto la ricerca? Ritiene che l’Italia sia all’avanguardia rispetto agli altri Paesi? «I progressi nell’uso clinico allargato della terapia anticoagulante sono stati notevoli in questi

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Gualtiero Palareti • ANGIOLOGIA

anni, aumentando la sicurezza di questo trattamento salvavita, il cui rischio principale è quello della comparsa di emorragie, anche gravi. La ricerca scientifica ha contribuito in modo notevole a migliorare la qualità e i risultati di questa terapia. I clinici e i ricercatori italiani hanno dato un contributo notevole alle acquisizioni scientifiche e alle applicazioni pratiche in questo campo, contributo che è sicuramente riconosciuto a livello scientifico internazionale. Per quanto riguarda gli aspetti pratici-organizzativi, in Italia è attiva una rete di Centri trombosi, presenti in tutte le aree del Paese, che contribuisce in modo rilevante ad assicurare una buona qualità del trattamento anticoagulante a una porzione rilevante dei pazienti anticoagulati». Quali i principali risultati raggiunti presso l’Unità operativa di angiologia e malattie della coagulazione Marino Golinelli? E in cosa la struttura rappresenta un’eccellenza? «Il reparto di Angiologia e malattie della coagulazione dell’Azienda ospedaliero-universitaria di Bologna si è

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da sempre occupata dei trattamenti antitrombotici e di quelli anticoagulanti in particolare. È stato messo a punto un Centro per l’anticoagulazione, nel quale a una buona pratica clinica si è associata una ricerca scientifica di grande valore basata sull’osservazione dell’esperienza pratica, che ha prodotto centinaia di lavori scientifici pubblicati nelle maggiori riviste mediche internazionali di prestigio. La ricerca si è focalizzata sulla diagnosi delle malattie vascolari trombotiche e loro terapia anticoagulante nella fase acuta e in quella di lunga durata, con particolare riferimento a cercare di definire la durata ottimale dell’anticoagulazione in alcune condizioni cliniche. Grazie alla presenza di un laboratorio specialistico di coagulazione, è stata affrontata con importanti risultati scientifici la frequenza e rilevanza di alterazioni coagulative, congenite o acquisite, che possono costituire un fattore predisponente alla comparsa di patologia trombotica. Il ruolo dell’Unità di angiologia nella pratica clinica e nella ricerca scientifica sulle malattie trombotiche e il loro trattamento anticoagulante è riconosciuto a livello nazionale e internazionale».

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ANGIOLOGIA • Adriana Visonà

UN CONGRESSO MULTIDISCIPLINARE di Renata Gualtieri SIAPAV È LA PRINCIPALE SOCIETÀ MEDICA ITALIANA A OCCUPARSI DI PATOLOGIA VASCOLARE A TUTTO TONDO. LA PRESIDENTE ADRIANA VISONÀ ILLUSTRA L’ULTIMO EVENTO REALIZZATO ALL’INTERNO DELLE GIORNATE NAZIONALI DI ANGIOLOGIA 2013 i è da poco concluso a Milano il XXXV Congresso nazionale della Società italiana di angiologia e patologia vascolare, che ha visto la collaborazione di Siapav in simposi congiunti con nove società scientifiche - Sic, Sisa, Isf, Fadoi, Sinsec, Sicve, Cif, Siset, Sidv Giuv – all’interno dei quali sono state affrontate problematiche comuni nell’ottica di una politica di confronto, scambio e multidisciplinarietà. «Tra le principali novità affrontate in questa edizione - sottolinea Visonà - segnalo l’importanza della microcircolazione nelle malattie vascolari, l’ictus giovanile, alcune novità in tema di controllo del rischio cardiovascolare, i nuovi anticoa-

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gulanti e le nuove prospettive di profilassi con gli stessi, le insidie dell’embolia polmonare, la multidisciplinarietà nella gestione dell’arteripatia periferica». Quali le tematiche di maggior rilievo? «I temi trattati riguardano le malattie arteriose, trattamento delle dislipidemie, microcircolo, tromboembolia polmonare, malattia venosa cronica, malformazioni vascolari, linfedema, sindromi neurovascolari. Particolare attenzione è stata osservata alla terapia con le cellule staminali del tessuto adiposo per l’ischemia critica, a uno studio epidemiologico sulle malattie vascolari in corso a Bellusco, alle malattie vascolari e all’Hiv».

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Adriana Visonà • ANGIOLOGIA

All’interno del congresso è stato dato ampio spazio ai giovani ricercatori, quali risultati sono stati raggiunti? «Siapav ha riservato ai giovani tre simposi, ognuno dei quali ha ospitato nove presentazioni di studi in corso o appena conclusi, con la copresenza del mentore, figura centrale nei programmi di formazione; il mentore è la persona che attraverso le sue azioni e il suo lavoro aiuta il giovane, che lo ha scelto, a realizzare il proprio potenziale, come professionista e come individuo. Il suo esempio dovrebbe condizionare positivamente il giovane che inizia il suo impegno nella ricerca scientifica e nella pratica clinica. Il direttivo Siapav ritiene che questo ruolo sia importante anche nell’avvicinare il giovane alla vita associativa. Il mentore affianca il giovane nella discussione consentendogli di acquisire dimestichezza con quanto avviene in ambito scientifico, pianificando eventualmente gli ambiti di ricerca da perseguire». Può trarre un bilancio delle Giornate nazionali di angiologia che si sono svolte nel 2013? «Vi hanno partecipato circa 400 esperti di malattie vascolari tra relatori e iscritti, giovani e meno giovani. Molti temi attuali e controversi sono stati affrontati con un ampio sguardo multidisciplinare. Molti giovani hanno avuto occasione di presentare

ricerche innovative alla Siapav, portando alta la bandiera del loro gruppo di ricerca con orgoglio e soddisfazione. Soci meno giovani hanno ugualmente presentato ricerche di cui hanno informato la comunità scientifica per la prima volta con dati preliminari». Quali i prossimi appuntamenti che vedranno impegnata la Società di angiologia? «La Società è già impegnata nelle regioni con i simposi delle sezioni regionali, in convegni scientifici internazionali, tra cui il Cevf e Iua, e in eventi congiunti con altre società». Di recente ha sottolineato che il sistema sanitario nazionale dovrebbe costituire una risorsa per il Paese. Quale può essere il contributo della Siapav per garantire un servizio adeguato al paziente ottimizzando le risorse? «Siapav sta portando avanti modelli di appropriatezza, di presa in carico multidisciplinare per il trattamento del paziente vascolare cronico e fragile, sta offrendo modelli di Pa per patologie vascolari alle regioni, sta affiancando le regioni con proposte per la pianificazione regionale, che dimostrano chiaramente che lo specialista vascolare dedicato nel Ssn fa risparmiare, offrendo servizi più appropriati ed efficienti». Adriana Visonà, presidente Società italiana di angiologia e patologia vascolare

Siapav ha riservato ai giovani tre simposi, ognuno dei quali ha ospitato nove presentazioni di studi in corso o appena conclusi DICEMBRE 2013

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TUMORE ALLA MAMMELLA • Francesco Schittulli

TUMORE AL SENO: UNA LOTTA INFORMATIVA di Andrea Moscariello

ono circa 46mila i nuovi casi di tumore alla mammella stimati nell’ultimo anno in Italia. Un dato crescente, ma da valutare in considerazione di due varianti fondamentali: l’allungamento della vita media e la riduzione, importante, della mortalità causata dalla patologia. A parlarne è il professor Francesco Schittulli, presidente nazionale della Lega Italiana per la lotta contro i Tumori (Lilt), senologo-chirurgo oncologo. «Siamo davvero a un buon punto nella lotta al cancro al seno spiega Schittulli a conclusione della campagna Nastro Rosa, dedicata alla lotta a questa delicata patolo-

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OCCORRE PREVENZIONE, MA SOPRATTUTTO UNA FORTE PRESA DI COSCIENZA, DA PARTE DELLE DONNE E DELLE ISTITUZIONI, SU COME AFFRONTARE LA PATOLOGIA. LA PAROLA AL PRESIDENTE DELLA LILT, IL SENOLOGO FRANCESCO SCHITTULLI

gia -. Oggi siamo all’87 per cento di guaribilità. E scoprendo tumori piccoli, al di sotto di 1 centimetro, potremmo raggiungere il 98 per cento». Le donne crede siano sufficientemente informate e attente alla prevenzione? «Hanno preso coscienza e consapevolezza di questa problematica e si informano sul percorso da compiere per “prevenire” il cancro alla mammella. Sanno dell’importanza della diagnosi precoce che garantisce, sempre più, una maggiore guaribilità. Per questo praticano l’autopalpazione al seno, chiedono periodicamente esami diagnostici strumentali come l’ecografia e la mammografia».

Il professor Francesco Schittulli, presidente nazionale della Lega Italiana per la lotta contro i Tumori (Lilt), senologo-chirurgo oncologo www.legatumori.it

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I casi di cancro al seno aumentano, ma al tempo stesso diminuisce la mortalità. Per quali motivi? «La mortalità, anche se lentamente, diminuisce in maniera costante. Essenzialmente per tre ragioni. In primis, oggi disponiamo di una tecnologia diagnostica molto più precisa, sofisticata rispetto al passato. Basti pensare all’evoluzione dell’imaging e all’apporto degli ultrasuoni. Tutto questo ci permette di scoprire una lesione tumorale sin dalla sua fase iniziale, minimale, quando è ancora di pochi millimetri, con un processo quindi di metastasizzazione pressoché nullo. In secondo luogo, possiamo usufruire di terapie innovative, i cosiddetti “farmaci intelligenti”, a bersaglio, che colpiscono solo le cellule tumorali. Ma

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Francesco Schittulli • TUMORE ALLA MAMMELLA

Occorre dotare il nostro Paese di un modello organizzativo-scientifico basato su strutture di qualità, come la Breast Unit

anche la robotica, la nanotecnologia e le cellule staminali giocheranno un ruolo fondamentale. Infine, ma non per importanza, siamo testimoni di un sempre maggiore coinvolgimento della donna, attivo e diretto, nell’affrontare questa patologia. Le donne italiane sono più informate e consapevoli». Quali i principali fattori di rischio che possono comportare lo sviluppo della malattia? «Sono molteplici, dalla familiarità alla rivoluzione dell’attività riproduttiva, penso ad esempio al menarca precoce, alla menopausa tardiva, alle prime gravidanze, che spesso si verificano dopo i 30-35 anni, alla diminuzione dell’allattamento. Incidono anche un’errata alimentazione e malattie metaboliche, come il diabete». La familiarità è uno dei fattori di rischio più temuti. Si può contrastare? «Attualmente siamo in grado di individuare alcune alterazioni dei geni premonitori di un eventuale sviluppo del cancro (BrCa1 - BrCa2). Questo ci pone nelle condizioni di agire preventivamente tramite controlli, farmaci e interventi».

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Quali i principali sintomi di un tumore al seno? «Il sintomo principale è rappresentato dalla percezione di un nodulo (duro, di consistenza lignea). Per questo è importante l’autopalpazione, un autoesame da eseguire mensilmente. Non si tratta ovviamente di un esame diagnostico bensì conoscitivo per la donna del proprio corpo, tramite cui si acquisisce una sorta di confidenza con quest’organo». Quanto incidono i programmi di screening? «Lo screening comporta un aumento della guaribilità di oltre il 30 per cento». I trattamenti conservativi dei tumori al seno sono sicuri? «Sì, siamo passati dal massimo trattamento tollerabile al minimo efficace, ottenendo un risultato più che sicuro». Quando, invece, si è costretti ad asportare la mammella? «Quando il tumore è di grosse dimensioni, oltre i 25 millimetri; quando è multicentrico e quando si è dinanzi a un basso rapporto mammella/tumore».

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TUMORE ALLA MAMMELLA • Francesco Schittulli

¬ E i linfonodi dell’ascella? «Di fronte a tumori iniziali, di piccole dimensioni, si asporta il cosiddetto linfonodo, “sentinella”. Se questo non è interessato dal tumore, non si asportano gli altri linfonodi ascellari». Qual è l’obiettivo della Lilt? «Mortalità zero. È per questo che occorre una corretta informazione. Ma, soprattutto, occorre dotare il nostro Paese di un modello organizzativo-scientifico basato su strutture di qualità, come le Breast Unit: un’unità interamente dedicata alla senologia cui ruotano attorno solo professionisti esperti, dedicati a questa tematica». A proposito di Breast Unit, dal 2016 diventeranno obbligatorie. Perché sono così importanti? «Perché oggi siamo nell’epoca della raffinatezza della specializzazione. Non bisogna rivolgersi semplicemente a reparti di chirurgia generale, ma a realtà che hanno saputo costruire la loro esperienza dedicandosi, nello specifico, su una determinata patologia d’organo. Mi sento di dire, considerando i 46mila nuovi casi, che le strutture che non eseguano annualmente almeno 200 o 250 interventi sul cancro al seno, non sono strutture idonee, da considerare Breast Unit. Questa logica deve valere in tutta la “filiera”. Non serve un radiologo, ma un radiologo esperto in senologia, e così via». In quali aree del Paese riscontra le maggiori criticità? «Nel Sud Italia. In quei territori il cancro alla mammella ha un’incidenza inferiore rispetto al

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Nord, ma la mortalità è maggiore. Il motivo? Una carenza nei servizi. Non si possono tollerare tempi di attesa lunghi mesi, se non oltre, per eseguire degli esami diagnostici. Bisogna cambiare il sistema. Se vi sono attrezzature tecnologiche queste devono funzionare tutti i giorni, dodici ore al giorno». La parola chiave resta comunque prevenzione. «La prevenzione è oggi l’arma vincente contro il cancro. La primaria, vale a dire la rimozione delle cause che sviluppano un tumore, come la lotta al tabagismo e alla cancerogenesi ambientale e professionale, la corretta alimentazione, la regolare attività fisica. La secondaria, vale a dire l’anticipazione diagnostica dei tumori più frequenti (big killer), come la mammella, il collo dell’utero, il colon-retto, il polmone, la prostata, la cute, il cavo orale. In questo modo possiamo raggiungere una guaribilità del cancro (oggi attestata complessivamente al 60 per cento circa) ad oltre l’80 per cento dei casi».

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TRATTAMENTO ONCOLOGICO • Carlo Pastore

IL CALORE NELLA TERAPIA DEI TUMORI di Valerio Germanico

ncora poco presente sul territorio nazionale, l’ipertermia è molto conosciuta nel resto del mondo, soprattutto in Germania e viene impiegata come utile coadiuvante sinergico insieme alle classiche metodiche di trattamento oncologico. «Essendo scarsamente conosciuta nel nostro paese, esistono poche strutture pubbliche in convenzione con il sistema sanitario nazionale che permettono di sottoporsi all’ipertermia. E altrettanto poche sono anche le strutture in regime privato». Questo lo scenario della diffusione di questa

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Carlo Pastore, primario della divisione di oncologia medica della clinica Villa Salaria di Roma, che ospita un centro di ipertermia oncologica www.ipertermiaitalia.it

L’IPERTERMIA ONCOLOGICA NEL TRATTAMENTO MULTIMODALE DEL CANCRO. CARLO PASTORE PRESENTA IL FUNZIONAMENTO E LE APPLICAZIONI DI UNA METODICA POCO DIFFUSA IN ITALIA

metodica nel nostro paese secondo il dottor Carlo Pastore, primario della divisione di oncologia medica della clinica Villa Salaria di Roma, che ospita uno dei pochi centri italiani di ipertermia oncologica. «Naturalmente, la complessità del fenomeno cancro impone un trattamento multimodale. E in quest’ottica si parla di ipertermia oncologica in abbinamento alla chirurgia, alla chemioterapia e alla radioterapia. All’interno di un approccio integrato alla patologia oncologica, talune condizioni si avvantaggiano particolarmente dell’ipertermia, tuttavia le risultanze sono variabili da paziente a paziente in base alla condizione clinica di partenza e alla precocità dell’inizio del trattamento». Come funziona e agisce l’ipertermia oncologica? «Il trattamento di ipertermia oncologica profonda prevede l’innalzamento della temperatura dell’organo interessato fino al raggiungimento di una temperatura compresa fra i 42 e i 43 °C. Questo apporto di energia termica determina un cambiamento nell’omeostasi dei sistemi cellulari. A tale temperatura, infatti, le cellule tumorali, che posseggono una membrana cellulare alterata

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Carlo Pastore • TRATTAMENTO ONCOLOGICO

L’ipertermia facilita l’accesso al bersaglio dei chemioterapici nei distretti mal vascolarizzati (aberrante), non riescono a smaltire il calore e l’ipertermia attiva degli enzimi intracellulari, denominati caspasi, che spezzettano il Dna portando la cellula maligna all’apoptosi o morte cellulare programmata». Quali sono i vantaggi che l’ipertermia presenta in combinazione con le terapie oncologiche classiche? «Prima di tutto la capacità di facilitare l’accesso al bersaglio da parte dei chemioterapici, soprattutto in quei distretti corporei mal vascolarizzati (per esempio il peritoneo) che rappresentano le cosiddette nicchie farmacologiche, nelle quali i farmaci arrivano poco e male. Taluni chemioterapici presentano, poi, un effetto maggiore se somministrati con ipertermia. Inoltre, il mutamento della vascolarizzazione locoregionale provocato dall’ipertermia rende l’ambiente meno idoneo alla proliferazione delle cellule tumorali. Per quanto invece riguarda la radioterapia combinata con l’ipertermia, la prima ottiene un effetto maggiore per sommazione di danno e per induzione della morte in cellule danneggiate in modo subletale». Esistono tipologie tumorali per le quali è più indicata?

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«Sfruttando principalmente le alterazioni di membrana comuni a tutte le cellule tumorali che riducono la capacità di resistenza al calore, l’ipertermia non è istotipo specifica. Può essere impiegata in tutti i tumori solidi, purché il paziente non abbia pacemaker e/o defibrillatore impiantato, voluminose placche metalliche o stent metallici nella regione corporea da trattare, ascite (in caso di trattamento in addome, controindicazione comunque relativa e non assoluta poiché se viene drenato il liquido ascitico si può poi procedere al trattamento) o versamento pleurico massivo (se si deve trattare la regione toracica e vale quanto detto per il versamento ascitico riguardo la possibilità di trattare dopo drenaggio). Di per sé, comunque, oltre alla sinergia con chemioterapia e radioterapia, l’ipertermia ha un effetto proapoptotico diretto (induzione di morte cellulare programmata), immunomodulante (stimola le risorse immunitarie dell’organismo), antalgico (contro il dolore). E poi liberate endorfine (sostanze che danno al paziente una sensazione di benessere) e disturba la formazione di nuovi vasi sanguigni nel tumore».

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TRATTAMENTO ONCOLOGICO • Carlo Pastore

La terapia ha effetto proapoptotico diretto, immunomodulante e antalgico. E applicazioni extra oncologiche

¬ Come viene somministrata la terapia? «L’ipertermia è terapia ambulatoriale, generalmente da eseguire a giorni alterni a blocchi di dieci applicazioni della durata di circa un’ora ciascuna. È una metodica ripetibile nel tempo e non invasiva. Occorre valutare ovviamente tutta la documentazione clinica al fine di ottimizzare il trattamento oncologico al quale si affianca». Esistono casi in cui l’ipertermia è sufficiente e può non essere abbinata ad altre terapie? «L’indicazione è di utilizzarla da sola esclusivamente in pazienti con insufficienza d’organo, ovvero pazienti non candidabili a chemioterapia e/o radioterapia, pazienti in età molto avanzata, pazienti con prevenzione di principio verso altre metodiche di cura oncologica. Sostanzialmente pazienti nei quali eseguire ipertermia è certamente meglio che non far nulla, se non altro per migliorarne la qualità di vita. Inoltre, fuori dall’ambito oncologico, è utile nella risoluzione della patologia osteoartromuscolare. L’impiego in reumatologia sfrutta la medesima apparecchiatura regolando il macchinario a una potenza differente e per una durata di

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esposizione minore alla radiofrequenza. In tal modo è possibile ottenere grande beneficio, con azione antidolorifica, antiinfiammatoria, di contrasto alle contratture, al dolore da artrosi, alla rigidità e allo spasmo muscolare». In futuro quali ulteriori passi potrà compiere l’ipertermia? «La comunità medico-scientifica può fare molto per ottenere maggiori risultati, naturalmente attraverso la collaborazione e lo sviluppo della ricerca. Di base quindi è opportuno condividere le esperienze e portare avanti ampi trial, con lo scopo di esplorare nuove strategie di applicazione della metodica. Con un approccio multimodale alla patologia oncologica, sarà possibile guarire più persone e anche laddove non vi fosse possibilità di guarigione, far stare meglio il più a lungo possibile. Dal punto di vista tecnologico, poi, come ogni apparecchio elettromedicale anche il dispositivo per eseguire ipertermia va incontro a obsolescenza – la vita media di tali apparecchiature è di circa cinque anni. Tuttavia l’evoluzione tecnologica sull’erogazione del calore, sul targeting e sui farmaci da abbinare condurrà certamente a miglioramenti sostanziali della metodica».

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NEOPLASIE • Maria Prascina

MELANOMA E PREVENZIONE di Marco Tedeschi

i tratta del terzo tumore più frequente al di sotto dei 50 anni, con 10.500 nuovi casi stimati in Italia nel 2013. Il melanoma, una neoplasia della pelle particolarmente aggressiva e in costante crescita in entrambi i sessi, sta facendo registrare negli ultimi decenni anche un incremento della mortalità fra gli uomini (+2,3 per cento all’anno) a causa del ritardo nella diagnosi, quando la malattia è in stadio già avanzato. Circa 81.000 persone in Italia convivono oggi con una pregressa diagnosi di melanoma, mentre l’85 per cento dei nuovi casi nel mondo interessa le popolazioni del Nord America, dell’Europa e dell’Oceania. Il rischio d’in-

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La dottoressa Maria Prascina, specialista in dermatologia e venereologia, ha lo studio a Barletta mariaprascina@yahoo.it

NEL CORSO DEL 2013 SI SONO REGISTRATI 10.500 NUOVI CASI DI MELANOMA. UN TUMORE AGGRESSIVO MA CURABILE SE PRESO IN TEMPO. NE PARLIAMO CON MARIA PRASCINA

sorgenza è legato a fattori genetici e ambientali come l’esposizione ai raggi UV, sia in rapporto alle dosi assorbite che al tipo di esposizione (intermittente più che cronica) e all’età (a maggior rischio quella infantile e adolescenziale). «Il melanoma – spiega la dottoressa Maria Prascina - è un tumore che, attualmente è in netto aumento in tutto il mondo. L’età maggiormente a rischio è dai 25 ai 50 anni e risultano più interessate le donne. Si tratta di un tipo di tumore molto aggressivo che deriva dalla trasformazione maligna dei melanociti e che può insorgere in seguito alla modificazione di un preesistente neo o su cute sana». Chi ha le maggiori probabilità di sviluppare il melanoma? «Sicuramente chi ha avuto casi analoghi in famiglia deve farsi controllare frequentemente perché la famigliarità per melanoma è tra i fattori a rischio. È inoltre necessario ricorrere a un dermatologo se si registra la comparsa in età adulta di un nuovo neo, se si hanno uno o più nei congeniti grandi o uno o più nei irregolari. Altri fattori di rischio sono la pelle molto chiara, compromessa da precedenti scottature solari, specie nell’età infantile o adolescenziale».

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Maria Prascina • NEOPLASIE

Attraverso l’immagine visibile sul monitor, l’esaminatore riesce a interpretare gli aspetti morfologici e a individuare possibili melanomi in fase iniziale

Quali armi possono essere utilizzate contro il melanoma? «La prevenzione innanzitutto. Se il tumore viene scoperto e asportato correttamente in fase iniziale, il rischio è quasi nullo. Oramai tutti conosciamo le regole per farci insospettire di quella macchia un po’ strana sulla nostra pelle. Asimmetria, bordi, colore, dimensioni ed evoluzione. Quando due di questi elementi sono presenti, il paziente deve recarsi in un centro di riferimento specialistico. Il melanoma infatti presenta caratteristiche diverse in rapporto alla sua fase di sviluppo e durante la visita dermatologica, oltre all’osservazione ad occhio nudo, si possono effettuare esami strumentali. Posizionando gli strumenti direttamente sulla lesione, ad un occhio esperto, possono subito apparire sospetti alcuni aspetti morfologici della lesione nevica in esame, sui quali sarà poi necessario effettuare una diagnosi». Quali sono gli strumenti tecnologici maggiormente utilizzati? «Oggi lo strumento di elezione è rappre-

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sentato dalla videomicroscopia a sonda ottica. Lo strumento è costituito da una sonda, una telecamera e un computer con un software cosi avanzato da consentire risultati sempre migliori nella diagnosi preventiva del melanoma. La telecamera riprende la lesione, la cui immagine è visibile sul monitor a colori del computer. In questo modo l’esaminatore esperto riuscirà a interpretare gli aspetti morfologici a volte estremamente complessi e a individuare melanomi in fase iniziale; poter usare un maggior ingrandimento della lesione, poter analizzare velocemente più lesioni presenti su uno stesso paziente e poter archiviare le immagini relative a lesioni sospette è estremamente importante. È inoltre fondamentale poter seguire l’evoluzione delle lesioni nel caso non vengano immediatamente asportate (mappatura nei). Per questo tipo di valutazione è importante rivolgersi presso strutture di riferimento. La diagnosi certa sarà sempre basata sul referto istologico, ma è altrettanto importante asportare le lesioni considerate dubbie o atipiche dal dermatologo».

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ORTOPEDIA • Claudio Zorzi

GINOCCHIO SOTTO STRESS SONO MOLTE LE PATOLOGIE CHE COLPISCONO IL GINOCCHIO E, GRAZIE ALLA RICERCA, INIZIANO A DIFFONDERSI NUOVI TECNOLOGIE CHIRURGICHE. PRIMA DI TUTTO, PERÒ, BISOGNEREBBE ADOTTARE MISURE PREVENTIVE PER EVITARE I TRAUMI di Teresa Bellemo

Claudio Zorzi, primario di ortopedia e traumatologia all’ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Verona

uella del ginocchio è un’articolazione delicata, con patologie ben differenziate per fascia d’età. La popolazione giovane è affetta per lo più da problematiche derivanti dalla traumatologia dello sport, come le lesioni meniscali o legamentose, che molto spesso trovano soluzione nell’ambito della chirurgia artroscopica. Per queste patologie un’attività fisica costante è la prima misura utile. Queste lesioni, infatti, si verificano in situazioni di gioco o di gesto atletico anche banali, spesso in ambito ludicosportivo. Per gli sportivi agonisti, oltre l’allenamento costante, è fondamentale aggiungere un buon lavoro defaticante. Poi ci sono quelle patologie che derivano da alterazioni morfologiche che determinano usura cartilaginea precoce. Per i soggetti over 50, invece, si incontrano problemi legati all’usura della cartilagine articolare, sia nella forma di artrosi che negli stadi che la precedono, più difficili da risolvere nell’ambito della chirurgia biologica. In questi casi l’obiettivo principale deve essere quello di preservare quanto più possibile il rivestimento cartilagineo articolare. Per questo, da un punto di vista non chirurgico, è importante evitare il sovrappeso e carichi articolari eccessivi, praticare sport di tipo

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aerobico, meglio se in acqua ed evitare di mantenere per lungo tempo posizioni che sottopongono il ginocchio a stress. Ne parliamo con Claudio Zorzi, primario di ortopedia e traumatologia all’ospedale Sacro Cuore Don Calabria in provincia di Verona. Quali le attività più dannose per l’usura di quest’articolazione? «In ambito sportivo, lo sci, il calcio, il rugby e tutti gli sport che sottopongono il ginocchio a ripetuti movimenti di rotazione o torsione in carico, ancora di più se di contatto. In ambito lavorativo, sicuramente quelle attività che prevedono sollevamento di pesi, salti o il mantenimento di posizioni obbligate, come l’accovacciamento prolungato. Di contro, anche stili di vita eccessivamente sedentari, associati a un’alimentazione non corretta, possono giocare un ruolo negativo sulla corretta omeostasi articolare». Quali i fattori determinanti dell’artrosi? «Sono determinanti sia fattori generali che locali. Tra i primi menzioniamo sicuramente il sovrappeso o in maggior misura l’obesità, come pure l’età, l’eredita-

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Claudio Zorzi • ORTOPEDIA

Verso un rapido ritorno alla normalità La ricerca continua a fare passi avanti nel campo ortopedico. L’obiettivo è sempre lo stesso, migliorare la vita del paziente. Ne parla Paolo Cherubino, presidente della Siot

ivello internazionale nell’ortopedia vi sono continui progressi volti a conseguire risultati migliori per il paziente. In particolare, nella chirurgia protesica articolare la ricerca procede per ottenere un miglior posizionamento dell’impianto in modo da ridurre al massimo la frizione, e quindi l’usura, dell’articolazione artificiale. Per quanto riguarda la collaborazione con l’industria, questa ha portato a una sempre maggiore attenzione ai materiali utilizzati per gli impianti. Il fallimento per una rottura oggi è eccezionale, legato spesso a un difetto di fabbricazione o a un mancato controllo di qualità. È in questo ambito che gli studi sulla resistenza dei materiali stanno portando sempre più a costruire protesi in titanio, con un’attenzione sempre maggiore per la finitura di superficie, in modo da garantire una maggiore fissazione dell'osso all'impianto. Anche le tecniche chirurgiche evolvono nel cercare una minore invasività e minor traumatismo dei tessuti, per ridurre i tempi di ospedalizzazione e per tornare più rapidamente alla vita quotidiana. Sul fronte della guarigione, infine, procede anche la ricerca, soprattutto nel campo delle biotecnologie.

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In Italia come sta la ricerca su questo fronte? «Per quanto riguarda ortopedia e traumatologia, la nostra specialità è sempre stata in linea, o meglio, ai primi posti

rietà, per lo più per problematiche artritiche, l’influenza ormonale, in particolare modo per le donne. Tra i fattori locali l’alterazione della distribuzione dei carichi per difetti di asse, come nel ginocchio varo o valgo, ancora di più se accompagnati da alterazioni della funzione meniscale dello stesso compartimento sovraccaricato, o anche da alterazioni legamentose, sono gli elementi che maggiormente determinano l'insorgenza della patologia artrosica». In cosa consiste il KineSpring system e come funziona? «Il sistema KineSpring rappresenta una nuova opzione chirurgica nel trattamento dell’osteoartrosi di ginocchio. In particolare è importante chiarire che si tratta di una possibilità terapeutica riservata a pazienti relativamente

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Paolo Cherubino, presidente della Siot, Società italiana di ortopedia e traumatologia

proprio nella ricerca piuttosto che nella clinica». Quanto i tagli alla spesa pubblica possono penalizzare i passi avanti in questa specialità? «I tagli della spesa pubblica possono penalizzare non solo la ricerca, ma anche l’utilizzo dei presidi ortopedici di qualità perché spesso costano di più. Questo è un danno soprattutto per i pazienti, che devono essere tutelati in tutto l’iter dell’applicazione di quei device figli di studi approfonditi in tutte le fasi della produzione, e che quindi richiedono più cure». Ci sono margini di miglioramento e perfezionamento nella gestione del dolore? «Oggi è finalmente legge la gestione del dolore, che permette al paziente di vivere senza dolore, grazie all’utilizzo di farmaci appropriati. Il perfezionamento si deve ottenere al più presto educando tutti i medici, e gli ortopedici in particolare, a recepire e ottemperare gli obblighi di legge. Ovviamente anche le amministrazioni e gli ospedali devono essere coinvolti». TB

giovani, con artrosi in uno stadio iniziale e con interessamento del solo compartimento interno, in assenza di gravi alterazioni del ginocchio. Rappresenta, quindi, un trattamento tra quelle che possono essere definite opzioni biologiche/conservative e quelle che, invece, appartengono più propriamente alla chirurgia protesica sostitutiva. La funzione di questo nuovo device è quella di risolvere il dolore scaricando il compartimento degenerato, attraverso un sistema ammortizzatore extra-articolare. Il vantaggio di questo sistema è che l’articolazione resta inviolata, per cui risulta essere una procedura reversibile e non preclude un'eventuale sostituzione protesica successiva. Dunque, nella moderna chirurgia ortopedica, in cui la parola chiave è preservare e non più sostituire, il KineSpring rappresenta un’ulteriore arma nelle mani del chirurgo articolare».

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ORTOPEDIA • Francesco Centofanti

L’ORTOPEDIA CHE CORRE VELOCE di Giacomo Govoni L’UOMO CHE DA OTTOBRE CONVIVE CON UN GINOCCHIO TRAPIANTATO OGGI “LO SENTE SUO”. PER LA SODDISFAZIONE DI FRANCESCO CENTOFANTI, PRIMO IN ITALIA A TENTARE QUESTO INTERVENTO CHE COMUNQUE, AVVERTE, «PRESENTA ANCORA ALCUNI RISCHI POST OPERATORI» a circa 40 anni combatte una battaglia professionale contro le infezioni osteoarticolari. E l’anno scorso, giusto in questo periodo, ha colto una delle vittorie più belle. Era il 10 ottobre e l’Italia assisteva al primo trapianto al ginocchio, mai neppure tentato in precedenza. A realizzarlo il professor Francesco Centofanti, direttore del reparto di ortopedia dell’istituto Codivilla-Putti di Cortina, che di quel giorno ricorda tutto. «La storia clinica del paziente – spiega l’ortopedico – cominciò nel 2005, quando in seguito a un banale dolore al ginocchio, dovuto a problemi rotulei, si sottopose a intervento di artroscopia».

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Cosa andò storto, tanto da indurvi a procedere con un intervento mai sperimentato fino ad allora? «Un anno dopo riapparvero i dolori, per cui si

sottopose a un secondo intervento, cioè la trasposizione dell’apofisi tibiale dell’apparato estensore. Purtroppo l’intervento non dette i risultati sperati, a causa della comparsa di un’infezione nel sito chirurgico con successiva osteomielite nel terzo superiore della tibia e osteoartrite del ginocchio. Il paziente subì 5 interventi per eseguire pulizie chirurgiche e asportazione di sequestri ossei, purtroppo senza successo. A noi giunse dopo 7 interventi». A quali trattamenti l’avete sottoposto prima di decidere per il trapianto e quali sono state le difficoltà in fase di reperimento dell’articolazione? «Per due anni abbiamo curato l’infezione con terapie mediche locali e generali e siamo riusciti a stabilizzare l’infezione. Però il processo settico aveva leso, oltre al terzo superiore della tibia, la rotula, i legamenti e i tendini del ginocchio. La situazione si presentava tale da non permettere alcun tipo di protesi. A questo punto le possibilità erano due: bloccare il ginocchio o tentare il trapianto da cadavere. Dietro il consenso del paziente ed eseguiti gli accertamenti radiografici del caso, abbiamo ordinato il pezzo anatomico alla banca dell’osso di Treviso da donatore deceduto. Siamo stati fortunati perché ci è giunto nel giro di poco tempo». Quali sono stati i passaggi più delicati durante l’intervento? «La fase più delicata è stata l’osteosintesi del

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Francesco Centofanti • ORTOPEDIA

A distanza di 10 mesi dall’intervento non abbiamo avuto nessun segno di recidiva d’infezione Francesco Centofanti, direttore del reparto di ortopedia dell’istituto Codivilla di Cortina

pezzo anatomico alla tibia eseguita con fili metallici e viti. L’intervento è durato circa 4 ore, con due equipe. Una operava sul paziente, l’altra sul tavolo anatomico, in cui si preparava il pezzo adattandolo alla parte del paziente». Spesso si enfatizza l’abbattimento di una nuova frontiera chirurgica prima di vedere gli effettivi esiti del decorso post operatorio. Nella fattispecie, come sta rispondendo il paziente con la nuova articolazione? «A distanza di 10 mesi dall’intervento, non abbiamo avuto nessun segno di recidiva d’infezione e abbiamo osservato una perfetta integrazione dell’osso del donatore. Quanto al risultato, fanno testo le dichiarazioni del paziente fatte pubblicamente: “Sto benissimo, il ginocchio lo sento mio e non sento di avere dentro qualcosa di estraneo”. Inoltre, il paziente ha esibito le sue performance fisiche di fronte a una platea di giornalisti: ha sgambettato, ha saltellato sul posto, si è piegato». Per la cura di quali infezioni o patologie l’intervento al ginocchio potrà d’ora in avanti rivelarsi una valida terapia? E in quali casi potrà, ad esempio, “risparmiare” un’amputazione? «Naturalmente questo intervento è stato fatto in mancanza di altre soluzioni, in quanto è sempre da preferire una protesi

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articolare e meccanica che non quella da donatore. Qui la strada è ancora irta di rischi di rigetto, di infezione e di non integrazione del pezzo anatomico. Per questo continuo a esser più favorevole alla protesi. Va, inoltre, precisato che l’articolazione non dà sintomi da rigetto come il trapianto d’organo». Quanto è importante l’approccio multidisciplinare a questo genere di infezioni ossee e come è attrezzato l’istituto in cui opera in questo senso? «Nella cura dell’osteomielite si tende molto spesso a mettere il paziente nelle mani dell’infettivologo. Per quanto concerne il Codivilla-Putti, è dal 1923 che si occupa di infezioni ossee. Da qualche anno lo specialista in malattie infettive si interessa della cura delle infezioni ossee anche perché delegato dall'ortopedico. L’infettivologo è però un internista e non un chirurgo, prescrive la terapia antibiotica quando l’infezione si è stabilizzata a seguito di qualche mese di antibiotico e rimanda il paziente dall’ortopedico, il quale spesso non sa come proseguire nel trattamento. Alcuni infettivologi suggeriscono perfino quando l’ortopedico deve operare o quale intervento effettuare. Personalmente ritengo che una multidisciplinarità nella cura sia giusta, ma che il regista debba in ogni caso restare l’ortopedico».

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ORTOPEDIA • Gabriella Porzio

IL PLANTARE SENSOMOTORIO di Valerio Maggioriano L’INNOVAZIONE NELL’ORTESI PER IL PIEDE OLTRE L’IDEA TRADIZIONALE DEL PURO SOSTEGNO BIOMECCANICO. A ILLUSTRARNE I VANTAGGI È GABRIELLA PORZIO

a spinta innovativa nella progettazione e realizzazione di protesi, ortesi e ausili si scontra con l’arretratezza normativa. La codifica dei dispositivi, infatti, è ancora quella stabilita dall’elenco 1 (nomenclatore tariffario) approvato dal decreto ministeriale 332 del 1999. Come evidenzia la dottoressa Gabriella Porzio, dell’Ortopedia Porzio di Udine: «Al di là del problema economico che questo pone nel rapporto con le aziende sanitarie (dato che il nomenclatore riporta ancora le tariffe in lire ed è stato solo ritoccato con esigue percentuali nel corso degli anni), esiste una criticità maggiore sotto il profilo tecnologico, visto che il decreto fa riferimento a quanto era disponibile sul mercato quasi quindici anni fa. Inoltre, relativamente all’elenco 2 dello stesso decreto, tutti gli ausili riportati, sono stati messi a gara d’appalto di grosso valore, disumanizzando, in questo modo, lo stretto rapporto tra tecnico ortopedico e utente che nel tempo si era creato». Come superare questo scoglio paradossale? «Stiamo lavorando per far ricondurre almeno i prodotti su misura dell’elenco 1 a tariffe che ragionevolmente sono aumentate nel tempo, rapportandole alle nuove tecnologie e ai nuovi materiali, più idonei e confortevoli. Però molte innovazioni, frutto anche della nostra ricerca, possono essere realizzate solo con l’impegno economico diretto di un privato che crede nell’utilità dell’innovazione tecnologica. Purtroppo nel nostro paese si fa molto per cercare di allungare la vita media ma pochissimo per migliorarne

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Lavorazione sul tutore in fibra di carbonio. Nella pagina successiva, Enrico Cividino impegnato nella realizzazione del plantare sensomotorio. La pedana baropodometrica dell’Ortopedia Porzio di Udine www.ortopediaporzio.it

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Gabriella Porzio • ORTOPEDIA

la qualità». È stato con le proprie forze che Porzio è riuscito a sviluppare prodotti e tecniche innovative. Porzio, per esempio, crede nel sistema Cad Cam che è utilizzato nella realizzazione di protesi di arto e nei busti rigidi, nella ricerca continua di nuovi materiali, componenti elettroniche per tutori e protesi.«Il tutore tradizionale è in metallo ed è un’ortesi invalidante a causa del suo peso: per questo la nostra proposta è quella di utilizzare la fibra di carbonio, che è un materiale leggerissimo, abbinato a un rivestimento in materiale anallergico e l’introduzione, in alcuni casi, di articolazioni elettroniche. Così pure per le protesi che possono impiegare componenti come il ginocchio o il piede elettronico». Ma la ricerca sui materiali non si è fermata qui: «Nel 2001 siamo stati i primi, a Udine, a installare una pedana baropodometrica per effettuare un’analisi computerizzata della dinamica del passo e realizzare plantari con una valutazione in statica e in dinamica. I dati ottenuti con questo metodo permettono, utilizzando un sistema Cad Cam, di progettare un plantare che corrisponde precisamente alle caratteristiche del piede del paziente. Abbiamo inoltre sperimentato l’introduzione di nuovi materiali sia per la struttura di base sia per i rivestimenti. Abbiamo scelto i materiali più adatti per ogni esigenza, tenendo conto della sudorazione, della rigidità della scarpa, di

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eventuali problemi di diabete e delle situazioni di utilizzo». Con questo spirito Porzio ha sposato la filosofia di un prodotto rivoluzionario che ha sovvertito la tradizionale concezione di plantare «completamente diverso dall’idea tradizionale di puro sostegno biomeccanico: la nuova frontiera dei plantari si chiama plantare sensomotorio. Il suo funzionamento sfrutta il principio dell’attivazione e inibizione dei fasci muscolari. Questa ortesi viene realizzata basandosi sui dati ricavati dalla baropodometria e viene utilizzata nel trattamento delle patologie infantili (piede piatto valgo, retropiede valgo, camminatori sulle punte ecc.) e nell’adulto, fino a ridurre la claudicatio dovuta a emiparesi. Il suo impiego è rivolto anche allo sportivo per migliorarne la performance. La pedana baropodometrica viene utilizzata successivamente per un controllo periodico volto a verificare l’eventuale evoluzione delle condizioni somatiche iniziali». Il prossimo passo sarà far recepire il messaggio alle aziende sanitarie. «Spazio Salute è il nostro motto, perché nell’ortopedia le persone non devono solo riconoscere una necessità ma il luogo giusto dove ricevere consigli utili da personale altamente qualificato. Stando meglio si può avere un’attitudine psicologica positiva e noi cerchiamo di offrire al pubblico piccole iniezioni di ottimismo e fiducia».

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AUSILI TECNICO-RIABILITATIVI • Gianfranco Pivato

AUSILI TECNICI, INNOVAZIONE E RICERCA di Marco Tedeschi

l mercato dei produttori e distributori degli ausili tecnico riabilitativi in Italia è in pieno fermento. Il cliente - sia utilizzatore finale o ente pubblico – in teoria è sempre più “esperto” nella scelta dei prodotti, ma in realtà si scontra con l’aumentare della complessità dell’offerta». È questa l’opinione di Gianfranco Pivato, presidente di Adm Areha, associazione che raggruppa e rappresenta i produttori e distributori italiani di ausili tecnico-riabilitativi. L’associazione ha, tra i suoi primari obiettivi, quello di promuovere e tutelare Nella pagina a fianco, una foto il valore del prodotto e del serviscattata durante l’ultimo Expo Sanità di Bologna zio nel settore dell’orto protesica

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e Gianfranco Pivato www.admareha.org

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GLI AUSILI TECNICI NON DEVONO SOLO ESSERE “UTILI”, MA OFFRIRE ANCHE LA MIGLIORE PERSONALIZZAZIONE E USABILITÀ DA PARTE DELL’UTILIZZATORE. NE PARLA GIANFRANCO PIVATO, PRESIDENTE DI AREHA

e degli ausili. «Certo, ora in Italia vi sono molte informazioni disponibili. Ma spesso, in particolare dal S.S.N. nel nostro Paese, non vengono utilizzate le informazioni giuste per fare le scelte più razionali. Per questo è importante una valutazione che non si riduca ai costi di acquisizione del prodotto, ma consideri le differenze anche sostanziali delle opzioni in marche e modelli proposti sul mercato. Quando finalmente sarà disponibile e operativo il Repertorio degli ausili, con le informazioni utili per le comparazioni del caso, sarà un bel passo avanti». I produttori italiani del settore sono sempre più impegnati a proporre sul mercato ausili tecnici capaci di rispondere alle reali esigenze della persona. «Occorre puntare alla salute, al benessere e all’autonomia dell’individuo, prima che alla cura della malattia. Ciò significa che gli ausili tecnici devono non solo essere realmente “utili”, cioè rispondere a scopi terapeutici, di supporto e riabilitazione, ma offrire allo stesso tempo la migliore personalizzazione e usabilità da parte dell’utilizzatore. Per questo, siamo impegnati a livello nazionale e internazionale affinché per gli ausili vi siano precise norme di riferimento, al passo con l’evoluzione tecnologica». Evoluzione che molto spesso comporta costi elevati per i prodotti di qualità. «Un prodotto

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Gianfranco Pivato • AUSILI TECNICO-RIABILITATIVI

Siamo impegnati affinché per gli ausili vi siano precise norme di riferimento, al passo con l’evoluzione tecnologica

è utile se “serve” per soddisfare una necessità, un bisogno, un desiderio. Leggere il prodotto nell’ottica dell’innovazione, capire quindi come aumentarne il valore percepito al fine di renderlo più utile, più facile da usare, più desiderabile, implica valutare le interazioni tra il prodotto e l’utilizzatore. Un ausilio utile e facile da usare darà maggior autonomia alla persona interessata, produrrà più integrazione e meno costi sociali succedanei. Infatti, i costi da considerare non sono mai solo quelli dell’acquisizione, ma anche quelli connessi e indotti. In ogni caso, noi ci impegniamo per la crescita e proponiamo prodotti sempre più rispondenti alle esigenze reali: è il miglior contributo per uscire dalla crisi». I prodotti per ausili tecnico riabilitativi sono spesso di serie. «La personalizzazione del prodotto è un fattore molto importante. Infatti, specie per prodotti come gli ausili tecnici per disabili, il successo è dato proprio dalla mi-

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glior interazione con l’utilizzatore. Adm Areha è anche partner in un progetto d’innovazione che punta proprio – attraverso il portale web Dialogo sul prodotto – al dialogo collaborativo tra produttori e utilizzatori». Sfide che richiedono innovazione, ricerca, sviluppo tecnologico, formazione continua delle competenze e adeguamento ai diversi e complessi sistemi regolatori. «A livello internazionale, talvolta il made in Italy ha un valore riconosciuto ancor più che nel nostro Paese. Per competere, occorre investire in tecnologia, lavorare su nicchie precise, cercare clienti anche in Paesi lontani. Lo scorso ottobre, ad esempio, abbiamo partecipato alla fiera Crexpo di Pechino, promuovendo iniziative sui temi della normazione tecnica di settore. Ciò in collaborazione con Adm Areha, il Consorzio Igis, l’Ice, l’ambasciata Uk a Pechino e l’Università di Padova. Lo sforzo comune ha prodotto un buon risultato in termini di immagine e di contatti, e l’esperienza andrà valorizzata. Un’altra importante occasione per presentare i nostri prodotti e le nostre attività – conclude Pivato - è una fiera internazionale che si svolge a maggio a Bologna: Exposanità. Si tratta di un incontro ormai tradizionale delle imprese e dei cittadini che vogliono vedere le novità e provare i prodotti, ma anche partecipare a iniziative di aggiornamento e confronto».

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FISIOTERAPIA • Stefano Gaudenti e Claudio Bazzani

VIBRAZIONI, NUOVE OPPORTUNITÀ TERAPEUTICHE LE RECENTI SOLUZIONI IN AMBITO FISIOTERAPICO OFFERTE DALLA TECNOLOGIA VIBRATORIA, LASCIANO INTRAVEDERE UTILI APPLICAZIONI INEDITE ANCHE PER PATOLOGIE MOLTO COMPLESSE di Remo Monreale

opportunità era conosciuta dal 1949. Ma solo con le moderne tecnologie si sono aperti veri e propri scenari terapeutici per la riabilitazione tramite vibrazioni. A parlare delle nuove possibilità metodiche sono Stefano Gaudenti, amministratore dell’ambulatorio di recupero e rieducazione funzionale di primo livello Fisiorom, e il dottor Claudio Bazzani, socio della a circle Stefano Gaudenti, amministratore Spa. Entrambi stanno utilizzando dell’ambulatorio Fisiorom, un nuovo sistema basato sulle vicon sede a Rivarolo Canavese (TO) www.fisiorom.it brazioni in campo fisioterapico, anche se da punti di vista differenti

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e complementari: Bazzani è infatti il product manager di Vibra, un nuovo sistema a onde pressorie (aria) per il trattamento non invasivo di patologie muscolari e neuro-muscolari, apparecchio acquisito dal Centro Fisiorom «Il nostro ambulatorio – spiega Gaudenti – offre un servizio di fisioterapia dalla riabilitazione ortopedica a quella neurologica, post-traumatica, conservativa, post-chirurgica e sportiva. I risultati delle terapie con Vibra sono interessanti. Stimoli meccanici periodici, di lieve intensità, protratti nel tempo, somministrati in forma di vibrazione sono un potente segnale per i propriocettori muscolo-articolari. In particolare, dati della letteratura, suggeriscono la possibilità di impiegare la vibrazione a fini terapeutici in casi di spasticità». Il dottor Bazzani ne spiega il funzionamento più nel dettaglio. «Tramite le onde pressorie – dice Bazzani –, Vibra genera vibrazioni opportunamente modulate e rese stabili, che inducono risposte adattive di tipo metabolico e meccanico nelle strutture muscolari e articolari. Le onde meccano-sonore emesse interagiscono principalmente con i recettori sensoriali e di conseguenza l’attivazione degli alfa-motoneuroni. Poiché ogni recettore sensoriale è caratterizzato da una diversa sensibilità alla frequenza di vibrazione, Vibra permette la regolazione ottimale sia in ampiezza che in intensità delle emissioni di onde

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Stefano Gaudenti e Claudio Bazzani • FISIOTERAPIA

meccano-sonore». Secondo i dati raccolti, l’attività fisica dopo la seduta con Vibra è determinante per un incremento dei risultati «perché rende più efficace il sistema sensori motorio – continua Bazzani – e di conseguenza una maggiore capacità di reclutamento delle fibre muscolari. L’innocuità terapeutica (il sistema funziona ad aria) è un ulteriore plus di questa metodica. Vibra è in grado di migliorare la propriocezione e l’equilibrio posturale, mantenere e ottimizzare il tono e il trofismo muscolare, aumentare la resistenza fisica, migliorare la coordinazione muscolare. Quindi ne è previsto l’uso in trattamenti come per il recupero pre e post-operatorio, per la neuro riabilitazione, per la terapia del dolore, a sostegno dell’attività sportiva, per la terza età e, infine, per la medicina estetica». Secondo l’esperienza di Gaudenti si ottengono ottime risposte dai pazienti, a più livelli. «Innanzitutto – dice l’amministratore di Fisiorom –, il trattamento è piacevole per il paziente, aspetto non trascurabile in un percorso riabilitativo in cui il dolore è spesso presente. Ha una durata breve, da alcuni minuti fino a circa mezz'ora, e non ha limiti di applicazione su una programmazione settimanale. Ad esempio, nei casi molto frequenti di lombosciatalgia in fase acuta, e in particolare in quei soggetti refrattari alla terapia farmacologica di

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Le vibrazioni sembrano essere utili nella riabilitazione dei disturbi motori conseguenti all’ictus cerebrale

primo impiego, l'uso delle vibrazioni ha concesso al paziente intere giornate libere dal dolore. In campo sportivo, si riferisce un vantaggio in particolar modo nel recupero della fatica post allenamento/gara. In conclusione, ritengo che, se gli studi clinici intrapresi confermeranno i risultati preliminari, le vibrazioni potranno rappresentare uno strumento strategico anche nel trattamento di quei disturbi del tono derivanti da anomalie di origine centrale, come negli esiti di ictus cerebrale o, ad esempio, nelle paralisi cerebrali infantili».

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PARKINSON • Francesco Pietrobon

IL TEMPIO DELLA NEUROSCIENZA APPLICATA

È UN POLO DI RIFERIMENTO NEL TRATTAMENTO RIABILITATIVO DI PATOLOGIE COME ICTUS, PARKINSON E SCLEROSI LATERALE di Giacomo Govoni AMIOTROFICA. FRANCESCO PIETROBON DESCRIVE L’ATTIVITÀ DALL’ALTO PROFILO SCIENTIFICO ella graduatoria dei progetti di ricerca fi- SVOLTA DAL SAN CAMILLO

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nalizzata ammessi l’anno scorso al finanziamento ministeriale, ben tre portano la firma dell’Ircss Fondazione ospedale San Camillo. Punta di diamante nel campo delle patologie relative alle neuroscienze, l’istituto veneziano è considerato una struttura d’eccellenza nel panorama sanitario regionale, con un valore dell’attività scientifica riconosciuto su scala internazionale. «Il nostro ospedale – spiega il direttore generale, Francesco Pietrobon – è noto per l’attività molto specifica che svolge in ambito neuroriabilitativo. Prendiamo in carico i casi più complessi esaminandoli sotto il profilo fisico, motorio, neuropsicologico, logopedico e occupazionale, pensando al rientro a domicilio dei pazienti. L’approccio globale alla persona è il nostro punto di forza». In virtù di quali servizi al paziente il vostro istituto si è guadagnato questa fama? «Noi abbiamo circa 600 ricoveri l’anno per circa 35mila giornate di degenza. Come previsto dalla norma, garantiamo almeno tre ore al giorno di esercizi individuali riabilitativi, grazie a un’equipe di logopedisti, fisioterapisti, psicologi, infermieri, terapisti occupazionali e personale esperto nell’ippoterapia. Altro nostro vanto è che come Ircss svolgiamo per legge ricerca traslazionale, per cui i nostri ospiti beneficiano subito dei risultati delle ricerche. Da ultimo disponiamo di una serie di apparecchiature all’avanguardia, tra cui quella per l’analisi del passo e dispositivi per la realtà virtuale, per consentire al paziente un recupero in diverse situazioni che ritroverà nella vita normale».

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Francesco Pietrobon, direttore generale della Fondazione ospedale San Camillo Irccs

Al San Camillo sviluppate una notevole attività di ricerca scientifica. Quali sono le aree d’intervento? «Una prima area è quella della realtà virtuale, utilizzata come esperienza speculativa. Siamo stati i primi in Europa ad adottare queste metodiche per il recupero del sistema motorio, oggi di uso corrente. Poi la robotica, ovvero l’uso sistematico di sistemi robotici che progettiamo e costruiamo insieme alla facoltà di ingegneria dell’università di Padova e che poi impieghiamo sui pazienti per la riabilitazione. Svolgiamo ricerche sulle stimolazioni corticali attraverso campi elettrici e magnetici, per indurre al recupero le cellule cerebrali lese».

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Francesco Pietrobon • PARKINSON

Altri studi prossimi all’applicazione clinica? «Due su tutti: la tele riabilitazione intensiva, testata in collaborazione con l’Asl di Venezia, che tramite un pc con webcam e una serie di sensori, mette il fisioterapista in condizione di seguire un paziente nella riabilitazione domiciliare dalla nostra sede e di monitorarne le reazioni dell’organismo. Il secondo è la Brain computer interface, un sistema che tramite elettrodi applicati al cervello, riceve comandi dall’attività cerebrale. In questo modo anche un paziente immobilizzato - noi lo utilizziamo per i malati di sclerosi laterale amiotro-

Disponiamo di più apparecchiature all’avanguardia, tra cui quella per l’analisi del passo e dispositivi per la realtà virtuale

fica - può utilizzare un pc o altre apparecchiature semplicemente usando il proprio cervello. Uno studio invece su cui non abbiamo ancora evidenze pubbliche riguarda il funzionamento del sistema motorio, settore con ampi margini di inesplorabilità». Torniamo ai bandi del Ministero della salute che vi siete aggiudicati l’anno scorso. Di che si tratta e che sviluppi stanno avendo? «Il primo progetto in cui il San Camillo è risultato vincitore riguarda l’utilizzo di uno strumento robotico realizzato nei nostri laboratori per favorire il recupero della mobilità delle singole dita della mano nei pazienti colpiti da ictus. Il secondo prevede lo studio di nuovi farmaci per ridurre i danni cerebrali derivanti da ischemia. Infine l’ultimo, che mira a differenziare l’invecchiamento normale da quello patologico, punta all’identificazione di un marcatore biologico di malattia per la diagnosi preclinica del morbo di Alzheimer, prima ancora che si sviluppi la demenza». Il vostro istituto si avvale del supporto della fondazione. A sostegno di quali progetti sta orientando la sua missione in questo periodo? «Abbiamo cercato di convogliare le risorse della onlus in particolare su due progetti: il primo è uno studio sull’Alzheimer e il secondo indaga le possibilità che uno specifico biomarcatore possa essere indicatore della potenzialità di recupero dell’attività cerebrale. Entrambi sono in larga misura sostenuti dalla fondazione». Nei mesi scorsi si è parlato di un possibile trasferimento di parte della struttura a Noale. Ci sono novità e cosa cambierebbe se tale riassetto logistico avvenisse? «Se ne è parlato molto l’anno scorso. Ammetto che ci sono stati contatti con la Regione e con il Comune di Noale, ma a oggi non c’è nulla di concreto. A breve usciranno le schede di programmazione che definiranno qualcosa di più preciso, ma credo che la nostra sede resterà quella attuale. Tengo a precisare che nessuno ci ha forzato a cambiar sede: è una possibilità che ci era stata ventilata, ma senza costrizione».

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UNA GONDOLA PER CAMMINARE MEGLIO SI CHIAMA FOOT MECHANICAL STIMULATION ED È UNA TERAPIA PER MIGLIORARE LA QUALITÀ DELLA VITA DEI PAZIENTI AFFETTI DA PARKINSON, IN PARTICOLARE LA VELOCITÀ DI CAMMINO, GRAZIE AL DISPOSITIVO GONDOLA

di Camilla Gargano i chiama stimolazione plantare meccanica ed è una terapia di riabilitazione per pazienti affetti dal morbo di Parkinson che mira a recuperare parte delle capacità motorie e dell’autonomia in diverse attività quotidiane. La terapia si basa sulla stimolazione del sistema nervoso periferico mediante impulsi meccanici (di durata inferiore ai due minuti) in specifiche aree dei piedi, mediante un dispositivo medico chiamato Gondola (una specie di “scarpa” tecnologica) che può essere utilizzato direttamente dal paziente ed è stato sviluppato dalla società svizzera Ecker Technologies. È importante precisare che la foot mechanical stimulation non sostituisce la cura farmacologica prescritta dal neurologo, ma è complementare rispetto ai farmaci, che devono quindi essere assunti normalmente secondo le indicazioni. La prima pubblicazione sugli effetti della foot mechanical stimulation in pazienti affetti dal morbo di Parkinson è stata presentata circa un anno fa, durante il 23esimo Simposio mondiale sul sistema nervoso autonomo, poi comparsa sulla rivista americana “Cli-

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nical Automic Research”. Gli studi hanno dimostrato che, a 24 ore dalla stimolazione, nei pazienti sono aumentate la velocità e la lunghezza del passo, così come la velocità di rotazione; in tali pazienti si sono misurati anche miglioramenti nel funzionamento del sistema nervoso autonomo, con conseguente probabile riduzione dei sintomi non-motori. Da allora sono diversi gli studi clinici effettuati sulla Fms, tra i più recenti quello condotto dal professor Fabrizio Stocchi, direttore del Centro di ricerca sul Parkinson e sui disturbi motori dell’Irccs San Raffaele di Roma, il quale ha spiegato che i risultati hanno fatto registrare «un incremento della velocità di cammino pari al 27% rispetto alle condizioni di partenza e un allungamento del ciclo del passo pari a circa il 15%». A breve partiranno nuovi studi clinici che vedrà coinvolti la Clinica di neuroriabilitazione dell’Università politecnica delle Marche, il Centro di cura e prevenzione per il Parkinson del San Raffaele Cassino, l’Ambulatorio per la malattia di Parkinson del Dipartimento di neuroscienze, oftalmologia e genetica dell’Università di Genova, il Centro Parkinson e disturbi del movimento del dipartimento di medicina

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La terapia Fms • PARKINSON

Molti pazienti hanno potuto recuperare gran parte dell’autonomia motoria e, soprattutto, della qualità della vita

L’intervento di un operatore specializzato presso un Centro di riabilitazione convenzionato con Ecker Technologies è richiesto solo per la configurazione iniziale e per gli interventi di manutenzione periodici (come la sostituzione delle batterie).

e chirurgia dell’Università degli studi di Salerno, il Dipartimento di neuroriabilitazione dell’Irccs San Camillo di Venezia, oltre all’Irccs San Raffaele Pisana di Roma. «Siamo particolarmente orgogliosi del fatto che gli studi clinici a cui è stato sottoposto il dispositivo Gondola siano positivi e che stia crescendo l’interesse attorno a questa importante novità per i pazienti Parkinson» ha dichiarato Francesco Cecchini Manara, amministratore delegato di Ecker Technogies, «in questi mesi siamo stati incoraggiati dagli ottimi risultati avuti su molti pazienti che hanno potuto recuperare gran parte dell’autonomia motoria e, soprattutto, della qualità della vita». COME FUNZIONA Gondola è stata progettata per consentire l’autoerogazione della terapia Fms a domicilio in base alle necessità del paziente, con l’assistenza di un adulto adeguatamente formato. Durante l’applicazione il paziente deve rimanere sdraiato o seduto. La stimolazione dura circa due minuti, mentre il tempo totale richiesto dall’inizio alla fine del trattamento è di circa dieci minuti.

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IL PARKINSON È una malattia neurodegenerativa, a evoluzione lenta ma progressiva, che coinvolge funzioni quali il controllo dei movimenti e dell’equilibrio. La malattia è la più frequente tra quelle patologie definite “disordini del movimento”. La malattia colpisce circa il 3 per mille della popolazione mondiale e l’1% degli over 65. Si riscontra in entrambi i sessi, con una lieve prevalenza forse in quello maschile. L’età media di esordio è intorno ai 58-60 anni, ma circa il 5% dei pazienti può presentare un esordio giovanile tra i 21 e i 40 anni. Prima dei 20 anni è estremamente rara. Sopra i 60 anni colpisce l’1-2% della popolazione, mentre la percentuale sale al 35% quando si superano gli 85. Le strutture coinvolte nella malattia di Parkinson si trovano in aree profonde del cervello (nuclei caudato, putamen e pallido), che partecipano alla corretta esecuzione dei movimenti. La malattia si manifesta a causa di un calo consistente della produzione di dopamina nel cervello. Le cause non sono ancora note e sembra che vi siano molteplici elementi che concorrono al suo sviluppo. I fattori sono principalmente di tipo genetico oppure connessi con l’esposizione a sostanze tossiche (ad esempio in ambito lavorativo). I principali sintomi motori della malattia sono il tremore a riposo, la rigidità, la lentezza dei movimenti automatici e, in una fase avanzata, la perdita di equilibrio; questi sintomi si presentano in modo asimmetrico (un lato del corpo è più interessato dell’altro).

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IL GOLD STANDARD ANTI OBESITÀ L’INDICE DI MASSA CORPOREO STABILISCE QUANDO UN PAZIENTE SOVRAPPESO DIVENTA PATOLOGICO. SOLO QUI SI INTERVIENE IN LAPAROSCOPIA, TECNICA A BASSA INVASIVITÀ CHE FAVORISCE UNA PRECOCE MOBILIZZAZIONE. LO SPIEGA NICOLA BASSO di Giacomo Govoni on toccherà i picchi del 25-30 per cento a cui si attesta oltreoceano, ma anche in Italia l’obesità rappresenta un’emergenza sanitaria. Per la collettività, perché una persona in sovrappeso costa al nostro servizio sanitario in media il 25 per cento in più di una normopeso. E per l’individuo, dal momento che «la speranza di vita di un obeso patologico si riduce statisticamente di circa 10 anni, per un aumento delle malattie cardiovascolari, diabete, tumori». A ricordarlo è Nicola Basso, presidente della Società italiana di chirurgia dell’obesità e delle malattie metaboliche e pioniere della laparoscopia, tecnica chirurgica mini-invasiva che ha rivoluzionato l’approccio terapeutico all’obesità patologica, inserita peraltro come terzo obiettivo assoluto del Piano sanitario nazionale.

ternazionali sono il bendaggio gastrico, più praticato in Europa; il bypass gastrico, più praticato in Usa; la resezione gastrica a manica o sleeve gastrectomy, in più rapida ascesa; la diversione biliopancreatica».

Quali sono le tipologie di procedura chirurgica più praticate su un paziente obeso? «La più semplice procedura non è chirurgica, ma endoscopica: il cosiddetto palloncino intragastrico. Le procedure chirurgiche, anestesia generale e laparoscopia, attualmente accettate dalle convenzioni scientifiche in-

Quando la condizione di sovrappeso diventa patologica al punto da richiedere l’intervento della chirurgia? «Il peso corporeo viene valutato in relazione alla superficie corporea, con una semplice formula: indice di massa corporea, ovvero il peso espresso in chilogrammi, diviso

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Quali effetti determinano sui pazienti che vi si sottopongono? «Il palloncino e il bendaggio gastrico agiscono con un meccanismo restrittivo, aumentando il senso della sazietà, mentre il bypass gastrico e la sleeve gastrectomy, attraverso un meccanismo ormonale, aumentano il senso di sazietà e fanno diminuire quello dell’appetito. Ai meccanismi sopra citati, la diversione biliopancreatica aggiunge una diminuita assimilazione in particolare dei grassi».

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Nicola Basso • OBESITÀ

Dopo un intervento in laparoscopia il paziente può alzarsi dal letto il giorno stesso dell’intervento e cominciare a bere dopo 24 ore

l’altezza dell’individuo elevata al quadrato. Quando l’Imc è compreso fra 20 e 25 è considerato normale, fra 25 e 30 sovrappeso, fra 30 e 40 obeso, oltre 40 patologico». L’avvento della laparoscopia ha segnato una svolta nella cura dell’obesità. Quali i rischi e i vantaggi legati a questa tecnica? «La laparoscopia è il gold standard della chirurgia dell’obesità. I rischi, al di là di quelli generali della chirurgia e dell’anestesia generale, dipendono sostanzialmente dall’inesperienza. Di converso i vantaggi sono molteplici. Oltre a quello estetico, visto che comporta solo un piccolo taglio, i vantaggi principali sono una precoce mobilizzazione, meno dolore e meno complicanze trombo-emboliche e respiratorie, abbinata a una precoce ripresa funzionale a livello di alimentazione e di attività intestinale. Da ciò deriva una notevole abbreviazione della degenza ospedaliera che da una media di circa 12 giorni “nell’era a cielo aperto” scende a 2-4 giorni dopo laparoscopia». Come si svolge il decorso postoperatorio e in base a quali elementi si può parlare di guarigione? «Dopo un intervento chirurgico in laparoscopia il paziente si può alzare dal letto il giorno stesso dell’intervento e cominciare a bere dopo 24 ore. La permanenza in ospedale è di circa 2- 4 giorni. Una settimana facoltativa di riposo a casa. Per circa 2 settimane si consiglia dieta liquida per poi passare a quella semiliquida per altre 2 settimane. Dopo tale periodo si può ritenere ottenuta la guarigione chirurgica. Invece per guarire dall’obesità

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patologica bisogna scendere durevolmente sotto l’indice di massa corporea di 35/30». Com’è variato in termini numerici il ricorso a interventi chirurgici per curare l’obesità negli ultimi tempi? «Negli anni Cinquanta del secolo scorso negli Usa la media annua di interventi era di circa 5-6 mila; negli ultimi anni gli interventi assommano a circa 250-300 mila per anno. Un trend simile si è verificato anche in Europa e in Italia dove, in particolare, si è passati da 500 interventi nei primi anni Novanta a 7600 nel 2012. Quest’ultima cifra rappresenta meno dell’1 per cento delle reali indicazioni nel Paese. I motivi di questo aumento sono da cercare sia nella crescita esponenziale dell’obesità che nella maggiore accettazione - o compliance - della cura chirurgica dovuta all’avvento della laparoscopia». Che andamento si prevede in prospettiva e quali criticità restano da risolvere? «Particolarmente preoccupante è il fenomeno obesità in età adolescenziale. L’Italia ha purtroppo il primato europeo di obesità infantile. Una campagna di prevenzione nella scuola primaria è fondamentale per evitare la pandemia obesità negli adolescenti, oltre che l’unico strumento di vero contrasto al fenomeno in età adulta. Proprio in relazione alle problematiche dell’obesità e della prevenzione in particolare, è in programma in questi giorni (5 dicembre, ndr) presso il Ministero della salute, un convegno con la partecipazione ai lavori del ministro».

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ANALISI SPECIALISTICHE • Giorgio Calabrese

Il giusto apporto di tutto Nel mondo dell’alimentazione circolano numerose credenze. A volte con un fondo di verità, altre gonfiate o sospinte dall’onda della moda. Giorgio Calabrese le passa in rassegna, cercando di mettere ordine Giacomo Govoni

i sono le barrette dietetiche che dovrebbero far dimagrire e invece appesantiscono più delle merendine. La margarina che ieri era un veleno per il cuore, mentre oggi è migliore del burro. O la carne bianca che è molto più magra della rossa, tranne nei casi in cui quella rossa è più magra della bianca. Incongruenze e paradossi informativi che fioccano sui giornali, in tv o sul web - ogni volta che si parla di corretta nutrizione e di prodigiose diete per buttar giù chili in un batter di ciglia. Nuovi stili alimentari che per il dietologo e docente di nutrizione umana Giorgio Calabrese, spesso si rivelano un coacervo di falsi miti, figli della convinzione che per perdere peso si debba necessariamente mangiare poco. «Invece per dimagrire – spiega Calabrese – occorre fare più pasti al giorno, 5 o anche 6, per interrompere la produzione di insulina in eccesso in modo da arrestare la formazione di grassi».

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Periodicamente spuntano nuovi prodotti che promettono miracoli per la dieta. Quali sono le bufale dimagranti che l’hanno colpita negli ultimi mesi? «Questo è un tema su cui mi sto battendo con forza. Giusto qualche giorno fa sono stato ospite in una trasmissione televisiva contrapposto a Pierre Dukan, il nutrizionista che da mesi lancia

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il messaggio che mangiando solo proteine si dimagrisce perfettamente. Falso. È una dieta che danneggia il fegato, i reni e il cuore e, nel contempo, ti illude di perdere chili per poi farti ingrassare più di quanto in precedenza smaltito». Altre suggestioni alimentari, più modaiole che fondate? «Ad esempio è in voga il concetto che mangiare lo zucchero semplice sia cancerogeno, quando invece si tratta di consumarlo con moderazione. Così come è diffusa l’idea che il latte provochi i tumori, eppure fino allo svezzamento lo assumiamo regolarmente e le presunte intolleranze dipendono per lo più da questioni enzimatiche. Questo pregiudizio sul latte è un retaggio di derivazione orientale, dove per migliaia di anni non si è mai bevuto. Per cui, quando hanno iniziato a berlo, hanno avuto dei disturbi dovuti alla disabitudine. Bisogna smettere di raccontare questa bugia: il latte è fondamentale non solo per la crescita per i bambini, ma per le donne con problemi di osteoporosi in menopausa o per chi si procura una frattura». Spesso si sentono voci discordanti anche rispetto al comportamento alimentare da associare all’attività fisica intensa. Qual è la sua posizione? «Io sono da anni il dietologo della Juventus e la

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Giorgio Calabrese, dietologo specializzato in scienza dell'alimentazione e docente di nutrizione umana

Il segreto non è assimilare pochi alimenti come prevedono le diete “strong”, ma suddividerne tanti nell’arco della giornata

mia attività ruota attorno a un concetto molto chiaro: non si può fare un lavoro fisico superiore alla norma senza la sicurezza di avere un corretto apporto di proteine. Molti pensano che assumendone molte un atleta diventi più potente, senza contare le ricadute su fegato e reni. Pertanto il mio consiglio è sempre lo stesso: seguire la dieta mediterranea, imparare a essere onnivori e lavorare su prodotti ricchi di carboidrati complessi, in un regime di ripetitività nella differenziazione». Che disturbi si evitano in tal modo? «Quando uno mangia una volta al giorno, magari solo la cena, digerisce e dorme male, si alza stanco e durante il giorno sarà sempre in ipoglicemia perché privo di carburante. Ne consegue che il cuore patisce e muscoli, fegato e reni soffrono. Pertanto il segreto non è assimilare pochi alimenti come prevedono le diete “strong”, ma suddividerli nell’arco della giornata per metabolizzarli bene. Se la stessa quantità di cibo la mangi una volta al dì, sicuramente ingrassi». Il recente caso dei pomodori della cosiddetta “terra dei fuochi” ha ravvivato i timori sulla sicurezza alimentare. Quali sono le precauzioni sempre valide per difendersi dai cibi insalubri? «Senza dubbio l’arma principale resta la lettura

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dell’etichetta. L’Università Federico II di Napoli, dove insegno, sta studiando gli alimenti sotto inchiesta nella “terra dei fuochi”. Ebbene, ci siamo resi conto che stiamo parlando dell’1 per cento dei prodotti coltivati in quell’area. Quindi è importante lanciare un messaggio: i prodotti sono fondamentalmente controllati, tuttavia è bene capire da dove provengono, da quale zona. Ad esempio, a Caivano sono stati sequestrati terreni dove il prodotto era buono, ma veniva annaffiato col cloroformio. Non è solo un problema di zona, dunque. La cosa importante è conoscere i propri fornitori o il supermercato presso cui si compra». Si avvicinano le festività natalizie, tempo di abbuffate. Cosa concedersi e cosa evitare? «Il Natale non è tempo di scorpacciate, ma un’occasione per mangiare meglio. Prendiamo i piatti della tradizione natalizia: non c’è bisogno di mangiarne tre porzioni, basta consumarli in giusta quantità senza rinunciare a nulla. L’accortezza semmai può arrivare nel pasto successivo, in cui si può alleggerire con un pranzo o una cena prettamente a base di verdura. E infine l’ultima raccomandazione: durante le sedute natalizie a tavola possiamo concederci tutto, purché non le si faccia iniziare a fine novembre e terminare a metà gennaio».

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ALIMENTAZIONE • Francesco Brancati

QUANDO LA SICUREZZA ALIMENTARE FA NOTIZIA di Giacomo Govoni CONSUMARE UN ALIMENTO CREATO E DISTRIBUITO IN VIOLAZIONE DELLE NORME IGIENICO-SANITARIE È UN RISCHIO PER LA SALUTE. UNA CORRETTA INFORMAZIONE AIUTA A «MATURARE LA CONSAPEVOLEZZA CHE LE FRODI ESISTONO». NE PARLA FRANCESCO BRANCATI

ra gli effetti negativi connessi al fenomeno della contraffazione alimentare, rientrano le minacce e i possibili danni alla salute pubblica. Per questo, nella catena di soggetti che si impegnano a vario titolo a tutelarla, un ruolo centrale è ricoperto dagli organi di informazione che, com’è noto, influenzano in misura significativa le scelte dei consumatori. Un aspetto che non sfugge ai giornalisti e divulgatori dell’Unione nazionale medico scientifica d’informazione, attiva da oltre 50 anni nella diffusione dell’educazione sanitaria. «I giornalisti dell’Unamsi – spiega il presidente Francesco Brancati – si occupano di informazione in tema di sanità, salute e ricerca biomedica. Le fonti del giornalista medico-scientifico sono autorità sanitarie, medici, ricercatori e studi pubblicati».

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Perché una corretta informazione sui temi relativi alla salute alimentare può rappresentare un argine contro il dilagare di prodotti contraffatti? «Perché è proprio l’informazione, se corretta e completa, a far crescere e maturare la coscienza critica nel cittadino. Da un lato, l’informazione del cronista che riferisce sulle operazioni di polizia contro le sofisticazioni; dall’altro, quella del giornalista specializzato che interroga l’esperto per trasferire al lettore le possibili conse-

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guenze di una frode alimentare sulla sua salute. Certo, se un’etichetta è falsificata è molto difficile accorgersene, allora bisogna rendere meno probabile la frode». In che modo? «Facendo acquisti presso negozianti di fiducia o scegliendo le grandi catene di distribuzione, quelle che sottopongono a controllo fornitori e merci, che non venderebbero un prodotto contraffatto perché non è loro interesse farlo. Questo comportamento nasce dalla consapevolezza che le frodi esistono e possono far male alla salute. Consapevolezza che solo una corretta informazione può dare». La vostra associazione s’impegna a creare un ponte fra addetti alla comunicazione e operatori medico-scientifici. Come giudica l’attuale intesa fra questi due mondi? «Quanto più autorevole è la fonte, tanto più le sue notizie saranno vere e utili al lettore. Per questo, non può non esserci un ponte con medici e ricercatori. Il problema è, semmai, avvicinare l’esperto giusto cui porre le giuste domande relative al tema trattato. E una volta ottenute, riuscire a tradurre concetti difficili in termini comprensibili da tutti. Fra il mondo della comunicazione e quello degli operatori medico-scientifici c’è reciproca in-

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Francesco Brancati • ALIMENTAZIONE

tesa. Proprio perché il giornalista, pur preparato, non può fare informazione in prima persona, ma deve sempre riferire, in modo corretto e completo, notizie apprese dalle sue fonti». Attraverso quali azioni si può perfezionare, in chiave di sicurezza alimentare per il consumatore? «Il tema della sicurezza alimentare non è fra i più trattati sui media. In genere le notizie su questo tema sono legate alla cronaca: la mozzarella blu, la passata di pomodoro cinese, la carne agli estrogeni, l’operazione dei carabinieri che sequestra e arresta. Qui la notizia va sempre in pagina, così come il commento dell’esperto in scienze alimentari. Ma il tema è troppo importante perché se ne parli solo in cronaca nera». Del resto, il giornalista ha bisogno di una notizia. «Lo capisco bene. Ma in un’epoca in cui lo spazio dedicato dai quotidiani e dalle trasmissioni televisive alla gastronomia la fanno da padrone, mi domando: perché le aziende che producono alimenti sani non cercano di promuovere convegni, non convocano conferenze stampa per spiegare quali accorgi-

menti prendono per evitare problemi da cattiva alimentazione e insegnare al consumatore a essere più accorto?». Tra le cause di morte e patologie gravi ci sono anche le cosiddette malattie non comunicabili, al centro di una vostra recente iniziativa. Quali hanno a che fare col consumo di alimenti di bassa qualità spesso contraffatti- e come prevenirle? «Le malattie non comunicabili sono quelle non trasmesse da un’infezione: patologie cardiovascolari, diabete, obesità, ipertensione, malattie renali. È stato calcolato che tutte insieme causano l’80% delle morti e il 70% delle invalidità. I giornalisti dell’Unamsi hanno raccolto l’appello lanciato dall’Onu ai governi del mondo affinché sostengano programmi di prevenzione di queste malattie. E hanno distribuito nelle farmacie di Roma e Milano l’opuscolo “Salva la vita con stile”, realizzato assieme a 5 esperti italiani, ciascuno specialista di una o più malattie non trasmissibili, per spiegare ai lettori come fare prevenzione. Basta mangiare in modo più sano, anche sul piano della qualità dei cibi, eliminare il fumo, usare meno l’auto. Dalla nostra, in Italia abbiamo la dieta mediterranea riconosciuta in tutto il mondo come elisir di salute».

Il tema della sicurezza alimentare è troppo importante perché se ne parli solo in cronaca nera DICEMBRE 2013

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ALIMENTI SANI • Maria Rosaria Taurino e Francesco Gallone

di Emanuela Caruso

L’EUROPA SOSTIENE I CONTROLLI SUGLI ALIMENTI ono in molti a non sapere che dal 2008 sono entrate in vigore normative a livello europeo, che tutelano i consumatori dal punto di vista dei residui di contaminanti rimasti sugli alimenti dopo i trattamenti effettuati al fine di ottenere una produzione e una raccolta migliori. Le case di produzione di fitofarmaci e concimi, infatti, hanno creato nel corso degli anni prodotti specifici in grado di proteggere le coltivazioni dall’attacco di insetti e dalla presenza di infestanti. Regolarmente impiegate durante la produzione, queste sostanze non devono essere utilizzate in maniera indiscriminata. Devono invece

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LA REGOLAMENTAZIONE EUROPEA SUI RESIDUI DI FITOFARMACI HA EVIDENZIATO L’IMPORTANZA DELLA VERIFICA DI CONFORMITÀ DEI PRODOTTI ALIMENTARI. IL PUNTO DI MARIA ROSARIA TAURINO E FRANCESCO GALLONE

L’Agro.Biolab Laboratory Srl si trova a Rutigliano (BA) www.agrobiolabitalia.it

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Foto di Lara Mariani

Maria Rosaria Taurino e Francesco Gallone • ALIMENTI SANI

seguire le vigenti regolamentazioni che tutelano il consumatore da concentrazioni di principi attivi non accettabili. Per fare in modo che gli alimenti rispettino le norme attuali, le aziende seguono un percorso di qualità che include l’analisi del prodotto condotta da laboratori specializzati. Tra questi laboratori troviamo l’Agro.Biolab Laboratory di Rutigliano. «Il nostro – spiega la dottoressa Maria Rosaria Taurino, responsabile del laboratorio – è un laboratorio privato e indipendente che offre servizi analitici finalizzati alla verifica di qualità e sicurezza dei prodotti ortofrutticoli freschi, delle materie prime e dei prodotti dell’industria alimentare. In particolare, su richiesta delle imprese di produzione, di distribuzione e di trasformazione controlliamo che i residui di agrofarmaci sulle produzioni abbiano una concentrazione conforme ai livelli massimi ammessi dai regolamenti europei. Operare in modo responsabile a favore della salute del consumatore e delle attività produttive del settore agroalimentare, valorizzando le produzioni di qualità è, infatti, la nostra mission». «I servizi alle aziende – aggiunge Francesco Gallone, responsabile tecnico del laboratorio – inclu-

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L’Italia è uno dei Paesi più attenti alla conformità degli alimenti alle normative europee e alla tutela dei consumatori

dono anche una serie di controlli analitici di parametri agronomici (analisi dei suoli e delle acque) e di caratterizzazione degli alimenti come l’analisi dei valori nutrizionali». «Focalizzando l’attenzione sulle analisi dei residui di fitofarmaci, la nostra principale attività analitica, le problematiche sono diverse - interviene nuovamente Taurino -. Tra queste segnaliamo l’individuazione di principi attivi non autorizzati sui prodotti analizzati o valori di concentrazioni superiori ai limiti massimi ammessi». L’armonizzazione della normativa europea ha reso possibile un grande passo in avanti, ma su alcuni punti bisognerà continuare a lavorare. «Ad esempio, le registrazioni dei prodotti chimici utilizzati, sono vincolate a problematiche diverse in merito alle tecniche di produzione o alle condizioni cli-

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ALIMENTI SANI • Maria Rosaria Taurino e Francesco Gallone

Il controllo pubblico italiano necessita di un maggior sostegno e una maggiore tutela da parte delle istituzioni

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matiche dei vari Stati, e spesso è difficile trovare accordi soddisfacenti - spiega Taurino -. Inoltre non esistono limiti di legge comuni su prodotti trasformati come i succhi, i vini e gli oli, che costituiscono una fetta consistente dell’export italiano dell’agroalimentare». Guardando più nello specifico al nostro territorio, è opportuno evidenziare una criticità tutta italiana, legata al controllo pubblico. Come chiarisce la dottoressa Taurino questo, «avrebbe bisogno di una tutela maggiore e di un maggiore coinvolgimento dei tecnici nelle decisioni riguardanti il settore. In altri Paesi, come la Germania, il livello del controllo pubblico è estremamente elevato, con una rete posta su tutto il territorio. In Italia occorrerebbe potenziare questo aspetto: una più attenta vigilanza, indurrebbe un maggior numero di aziende di produzione, trasformazione e distribuzione dei prodotti alimentari ad adottare sistemi di controllo interno, valorizzando le competenze delle risorse umane coinvolte nel settore (agronomi, chimici, biologi, tecnologi alimentari, etc). Ciò do-

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vrebbe innescare un circolo virtuoso, in grado di innalzare ulteriormente l’affidabilità del “made in Italy”». L’Agro.Biolab Laboratory, da sempre attento alle evoluzioni delle normative, alle novità e alle allerta nel settore alimentare, è una della realtà che investe molto in ricerca, sviluppo e formazione, anche attraverso la partecipazione a convegni, meeting internazionali e collaborazioni con Università e altri Enti Pubblici. La partecipazione programmata e proficua a “Proficiency Tests” (Test di competenza) conferma la capacità di Agro.biolab Laboratoy di fornire risultati analitici accurati e affidabili grazie al confronto con le migliori strutture europee che lavorano nello stesso settore. La realtà del laboratorio è in continua trasformazione, lo staff tecnico è giornalmente impegnato nella messa a punto di nuovi metodi analitici e nell’individuazione degli strumenti migliori per affrontare tematiche nuove e nuove esigenze nell’ambito della valorizzazione delle produzioni e della sicurezza agroalimentare.

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DEFICIT VISIVO, UN DISTURBO DA NON SOTTOVALUTARE CON L’AUMENTO DI ATTIVITÀ PROFESSIONALI LEGATE ALLA GUIDA O ALL’UTILIZZO DI APPARECCHIATURE TECNOLOGICHE, CRESCE LA PERCENTUALE DI PERSONE AFFETTE DA DISTURBI OCULARI. NE PARLIAMO CON DEMETRIO SPINELLI di Giacomo Govoni

alutazione dell’idoneità lavorativa, svolgimento di perizie in campo penale, civile e assicurativo e conoscenza della legislazione e della giurisprudenza. Sono tra le principali funzioni che fanno capo alla professionalità dell’oftalmologo, o più comunemente dell’oculista, in particolare quello che agisce nel panorama medico-legale. Intorno a questo perimetro disciplinare, il quale il 4 ottobre scorso si è articolato il 16esimo congresso nazionale Siol, società italiana di oftalmologia legale che attraverso corsi di aggiornamento, convegni, screening rivolti al mondo degli oculisti e campagne di informazione destinate alla popolazione, declina larga parte delle sue iniziative sul terreno della prevenzione. A partire, ad esempio, dalle problematiche visive inerenti alla guida. «È dimostrato – osserva il presidente Demetrio Spinelli – che il 59,1 per cento degli incidenti stradali sono attribuibili più o meno direttamente a cause legate a vista inadeguata, che il 20 per cento della popolazione ha una visione non adeguata pur indossando gli occhiali e una persona su tre ha deficit visivi oltre il minimo consentito dalla legge».

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In generale, qual è la casistica dei disturbi visivi che si possono contrarre? «Per disturbo visivo s’intende soprattutto la riduzione più o meno completa della funzione visiva centrale o del campo visivo. La legge 138 del 2001 sulla classificazione e quantificazione delle minorazioni visive distingue le seguenti categorie: ciechi totali; ciechi parziali, con visus residuo inferiore a 1/20 o residuo perimetrico binoculare inferiore al 10%; ipovedenti gravi, con visus residuo inferiore a 1/10 o residuo perimetrico binoculare minore del 30%; ipovedenti medio-gravi e, infine, ipovedenti lievi, con visus residuo inferiore a 3/10 o residuo perimetrico binoculare inferiore al 60%». Da quali cause e contesti sono determinati questi disturbi? «Le patologie che causano la riduzione della funzione visiva sono per il 57 per cento riconducibili ai vizi refrattivi non corretti; a questi seguono la cataratta, per quasi il 19%, e il glaucoma nel 3% dei casi. Ci sono poi la degenerazione maculare legata all’età, la retinopatia diabetica, le patologie corneali, le malattie oculari pediatriche. contribuiscono, infine, anche

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Demetrio Spinelli • OCULISTICA

Demetrio Spinelli, presidente della Società italiana di oftalmologia legale

le condizioni di salute generali, i fattori genetici e familiari, i fattori nutrizionali. Ricordo che anche i farmaci e la luce solare spesso influiscono sulla comparsa di una o più malattie sopra riportate». Come si deve comportare la persona che si accorge di soffrire di problemi oculari? «La vita dell’ipovedente è molto difficoltosa e determinata, talvolta per lunghi periodi, dalla capacità più o meno elevata dell’individuo di mettere in atto le soluzioni più idonee e dipendente dall’ausilio, non sempre disponibile, di terzi. La legge 284/1997 tutela e riconosce i centri di riabilitazione visiva a livello nazionale promuovendone le attività». Su quale supporto sanitario può contare? «Pazienti affetti da deficit funzionali importanti possono essere inseriti in un percorso di recupero delle autonomie, ma il loro riscontro è in genere limitato alla soddisfazione del recupero di autonomie legate alle cosiddette “attività visive da vicino” quali la lettura, la scrittura e l’uso del pc. Grazie all’evoluzione tecnologica, gli ipovedenti possono utilizzare oggi ausili di eccellente qualità per l’accesso al pc o a testi scritti. Persiste una carenza della risposta educativa-riabilitativa intesa nel senso più ampio del termine, ovvero legata al recupero delle autonomie di carattere sociale, culturali e lavorative». Qual è il ruolo del medico nel determinare l’idoneità o l’inabilità al lavoro di un paziente con

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deficit visivo? «È fondamentale. Nell’ambito della medicina preventiva, con la visita preassunzione e con visite periodiche, il medico esprime un giudizio di idoneità specifica, eventualmente con prescrizioni o limitazioni. In ambito medico-legale, egli interviene valutando l’opportunità per il lavoratore di svolgere una data attività professionale, e quindi con un giudizio o di inidoneità assoluta o relativa al servizio, o di diritto a fruire di trattamenti previdenziali oppure di eventuale collocabilità alternativa. Di per sé la riduzione dell’efficienza visiva, sino alla cecità assoluta, non può riconoscersi nel concetto di permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa». Quali sono le novità normative legate alle patologie della vista? «La normativa civile che riguarda la vista fa riferimento alle seguenti leggi: la 66/62 sul diritto a pensione di ciechi assoluti e parziali, la 406/68 relativa al diritto all’indennità di accompagnamento per i ciechi assoluti, la 382/70 che distingue le categorie di ciechi civili, assoluti e parziali. Poi ci sono il decreto legislativo 509/88, riguardante la revisione delle categorie delle menomazioni e malattie invalidanti, e il decreto ministeriale del 5 febbraio 1992 con le tabelle sulle percentuali d’invalidità. Infine c’è la Legge 138 del 2001, di particolare importanza in quanto classifica le alterazioni del campo visivo nei diversi quadri di disabilità visiva, anche con ritorno economico».

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CHIRURGIA REFRATTIVA • Laservision

CHIRURGIA REFRATTIVA, L’AVANGUARDIA TECNOLOGICA di Emanuela Caruso

aggiore sicurezza durante i trattamenti e possibilità di effettuare interventi un tempo impensabili. Ecco quali sono le innovazioni e le più importanti differenze che si possono riscontrare nel mondo della chirurgia refrattiva e della diagnostica rispetto agli ultimi 10 o 15 anni. Una rivoluzione che è stata possibile grazie all’incessante progresso tecnologico di cui è protagonista tutto il settore che si occupa della salute dei nostri occhi. Lo conferma il centro di chirurgia refrattiva Laservision di Bologna, nato con l’obiettivo di proporre un servizio completo di correzione dei vizi refrattivi – miopia, ipermetropia e astigmatismo miopico e ipermetropico – e di diagno-

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GRAZIE ALLA TECNOLOGIA, OGGI È POSSIBILE REINTERVENIRE SU OCCHI CHE, PUR ESSENDO STATI GIÀ OPERATI, HANNO CONTINUATO A PRESENTARE PROBLEMATICHE E IRREGOLARITÀ, ELIMINANDOLE. L’ESPERIENZA DELLO STAFF MEDICO DI LASERVISION

Il centro di chirurgia refrattiva Laservision si trova a Bologna www.chirurgiarefrattivabologna.it

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Laservision • CHIRURGIA REFRATTIVA

Scheimpflug cameras e cross-linking accelerato sono le ultime innovazioni tecnologiche stica per la cornea – con trattamenti specifici per il cheratocono effettuati tramite le tecniche del cross-linking e degli anelli intrastromali. A spiegare come le nuove tecnologie aiutino nel concreto a risolvere le patologie degli occhi sono i soci di Laservision, i dottori Piero Barboni, Giuseppe Muraca, Massimiliano Perrone, Giacomo Savini e Gioia Sighinolfi, direttore sanitario. «Le tecnologie di ultima generazione che sono riuscite a rivoluzionare il nostro lavoro sono senz’altro i nuovi laser per la chirurgia femto-lasik, che riescono a creare dei flap in maniera più precisa e riproducibile. Ciò significa che se un tempo disponevamo di strumenti meccanici che avevano un’accuratezza di circa 20-30 micron, oggi questa stessa accuratezza è arrivata a 5 micron, producendo così tagli più riproducibili e aumentando di molto la sicurezza dell’intervento. Oltre a questi laser, possiamo vantare nuovi software che ci permettono di intervenire su occhi prima intrattabili. La possibilità di connettere direttamente il topografo corneale, uno strumento in grado di misurare la curvatura della cornea, al laser ci consente di trasferire direttamente al laser le informazioni acquisite sul singolo occhio. Grazie a questa tecnologia ci è possibile reintervenire su occhi che pur essendo stati già operati hanno continuato a presentare problematiche e irregolarità, eliminandole. Sempre attraverso strumenti di ultima generazione possiamo trattare astigmatismi irregolari, ovvero cornee irregolari con forme particolari. Una vera e propria rivoluzione se con-

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sideriamo che in passato disponevamo solo di software per trattamenti standard che non si adattavano a pazienti con cornee irregolari. Oggi, invece, riusciamo a eseguire trattamenti customizzati per risolvere l’astigmatismo e, grazie alla tecnologia femto, possiamo creare piani di clivaggio intracorneali da utilizzare in caso di cheratocono (per l’inserimento di anelli specifici) o di presbiopia (per l’inserimento di lenti che eliminano la difficoltà nel leggere da vicino che tipicamente insorge dopo i 45 anni)». L’evoluzione tecnologica non ha però portato miglioramenti solo nel campo della chirurgia refrattiva laser, ma anche nel comparto della diagnostica. «Attualmente, disponiamo di una nuova generazione di macchine, le Scheimpflug cameras, che permettono di visualizzare la superficie posteriore della cornea, consentendoci quindi di acquisire nel giro di un secondo delle informazioni di cui prima non si era nemmeno a conoscenza». E seguendo una filosofia di continuo sviluppo tecnologico e migliori prestazioni per i pazienti del centro, nel 2014 Laservision si doterà del rivoluzionario cross-linking accelerato. «Il cross-linking esiste già da tempo e serve per stabilizzare la cornea nei casi di cheratocono. È un intervento che ha sempre richiesto circa un’ora di trattamento a occhio, comportando anche un notevole disagio dei pazienti in termine di dolore e bruciore post operatorio. Con la versione accelerata, invece, sarà possibile effettuare il cross-linking in 20 minuti e diminuire notevolmente il fastidio per i pazienti».

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OGGI È PIÙ FACILE RECUPERARE LA VISTA DIFETTI COME LA MIOPIA, LA PRESBIOPIA E L’ASTIGMATISMO SONO SEMPRE PIÙ FACILI DA CORREGGERE. CON BUONI TEMPI econdo quanto emerso al Congresso Inter- DI RECUPERO VISIVO. IL PUNTO nazionale di Chirurgia della Cataratta e della DI TULLIO PERRUCCHINI

di Marco Tedeschi

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Refrattiva che si è svolto recentemente a Milano, le previsioni sulle condizioni della miopia sono tutt’altro che rosee. 30 anni fa 1 europeo su 10 era affetto da miopia mentre oggi sono più di 3 su 10. La situazione è inoltre destinata a peggiorare per colpa dell’uso sempre maggiore di tv, tablet, pc e smartphone. Un aiuto da questo punto di vista viene dai progressi che stanno interessando la chirurgia refrattiva, quella branca dell’oculistica che si propone di azzerare o ridurre i difetti refrattivi. «Anni fa – precisa il dottor Tullio Perrucchini, specialista in oftalmologia – questa branca riguardava solo la miopia, oggi invece si riferisce a tutti i difetti compresa la presbiopia». Quali tecniche ne consentono il suo utilizzo? «Si va dalla chirurgia con la sostituzione del cristallino naturale con una lente intraoculare per le miopie molto elevate (sopra le 18 diottrie), all’impianto di lenti in aggiunta al cristallino naturale per difetti tra le 12 e le 18 diottrie. Per le miopie meno elevate, per

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l’ipermetropia, per l’astigmatismo e per la presbiopia si usa la foto ablazione con laser ad eccimeri. La Prk è la tecnica più comunemente utilizzata in Italia e prevede la rimozione dello strato più superficiale della cornea per l’effettuazione del trattamento; la Lasik o FemtoLasik necessita della creazione di uno “sportello o flap” sull’apice corneale che viene sollevato per eseguire l’ablazione. Il trattamento vero e proprio (uguale nelle diverse tecniche) è fatto mediante la luce del laser che brucia i tessuti della parte media della cornea assottigliandola e rimodellandola per ridurre i difetti refrattivi». Che differenza c’è tra Lasik e FemtoLasik? «La prima (anche in ordine di età) definisce l’esecuzione del flap con un apparecchio a lama, la seconda invece utilizza il più recente laser a femtosecondi che

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Tullio Perrucchini • CHIRURGIA REFRATTIVA

Lo studio del dottor Tullio Perrucchini e il Centro Oculistico Bergamasco si trovano a Bergamo perrucchinitullio@virgilio.it

ne permette l’esecuzione con una precisione micrometrica».

Le tecniche laser valgono per

Su quali tipologie di pazienti e per quali miopie tra -1 e -10 diottrie, patologie è indicata? ipermetropie da +1 a +5 e uguale «Su persone con età superiore ai 18 anni e con difetti refrattivi stabili da almeno un anno, in range per gli astigmatismi assenza di patologie oculari particolari e di malattie autoimmuni gravi; le motivazioni che spingono un paziente verso il trattamento laser hanno una notevole importanza quasi quanto, cessazione del dolore». da parte del medico, l’illustrazione di tutto l’iter e di quello che dovrebbe essere il risultato. Le aspettative Quale iter deve seguire il paziente? non devono essere deluse: la promessa dei fatidici «Una visita oculistica approfondita e un’esauriente 10/10 ad una persona che non li vede nemmeno con spiegazione di cosa si può fare e di cosa ci si deve le migliori lenti a contatto può produrre solo pro- aspettare. Il secondo passo consiste in una serie di fonde delusioni. Le tecniche laser valgono per miopie esami per verificare la possibilità d’effettuare il trattra -1 e -10 diottrie, ipermetropie da +1 a +5 e uguale tamento in sicurezza e la conferma dei dati rifratrange per gli astigmatismi. Per la presbiopia sono ne- tivi. Il terzo step è dato dal trattamento laser. Il cessari almeno un piccolo difetto di base e un’età su- primo controllo è a 3-5 giorni dalla foto ablazione, periore ai 45 anni». quindi tre controlli a scadenza mensile per la verifica dei processi riparativi e la modulazione della Quali le differenze in termini d’invasività e re- terapia (a base di colliri), quindi un controllo a sei cupero post-intervento? mesi per la conferma dei risultati ottenuti». «I trattamenti Lasik in generale sono più lunghi e più invasivi, richiedono un ambiente semisterile e sono più Quali tecnologie utilizza? fastidiosi per i pazienti. Permettono però un recupero «Il mio studio è attrezzato per la visita oculistica inivisivo più rapido. Per la Prk nei due occhi l’esecuzione ziale e per l’effettuazione di uno screening di base. dura circa 10 minuti, si sente una pressione sull’occhio Poter dire subito a un paziente se può o se non deve per circa 20 secondi prima del trattamento laser, ma fare un trattamento foto rifrattivo secondo me è di noprevede un probabile dolore oculare nelle 24-48 ore tevole importanza. Per gli esami d’idoneità utilizzo il successive. Per cominciare a vedere si deve attendere la centro dove eseguo il trattamento».

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DIFETTI DELLA VISTA • Guido Caramello

LA TERAPIA LASER PER I PROBLEMI OCULISTICI di Arianna Lesure

evoluzione tecnologica dei laser per la correzione delle ametropie oggi consente di correggere tutti i difetti visivi. Non solo i difetti più comuni, come la miopia, l’ipermetropia e l’astigmatismo, ma anche quelli meno diffusi, come le aberrazioni sferica, comatosa e a trifoglio. «Il trattamento, personalizzato, assicura una qualità visiva incredibilmente elevata, consentendo al paziente di vedere anche più di

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Il dottor Guido Caramello del Centro laser cuneese www.centrolasercuneese.it

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UNA TECNICA TOTALMENTE SENZA BISTURI PER CORREGGERE TUTTI I DIFETTI VISIVI. GUIDO CARAMELLO PRESENTA LE POSSIBILITÀ OFFERTE DAI NUOVI LASER E QUELLE CHE SARANNO DISPONIBILI A BREVE

10/10 (in alcuni casi anche 14-15/10). Ovviamente questi risultati possono essere raggiunti con laser di ultimissima generazione». A presentare le potenzialità della terapia laser nella risoluzione dei problemi oculistici è il dottor Guido Caramello del Centro laser cuneese. «L’intervento viene eseguito all’interno del tessuto corneale grazie a sofisticati programmi che consentono di ablare il tessuto, senza creare cicatrici (opacità corneali), rispettando la superficie corneale. Questo è possibile grazie all’associazione del Femto laser con il laser a eccimeri (tecnica Lasik) in cui spot di 1 micron della durata di 1-2 secondi tagliano il tessuto, mentre il laser a eccimeri vaporizza il tessuto corneale, togliendo una diottria di difetto ogni secondo. Possiamo quindi parlare di una tecnica totalmente senza bisturi». Dopo il trattamento, il paziente deve seguire alcuni accorgimenti per raggiungere la completa risoluzione del disturbo. «Negli ambienti molto assolati, per circa sei mesi, si dovranno indossare occhiali protettivi anti Uv (raggi ultravioletti) e si dovrà evitare, nel post operatorio, di

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Guido Caramello • DIFETTI DELLA VISTA

sfregare o truccare gli occhi. La terapia dopo il Lasik è di breve durata (circa 7-10 giorni), mentre dopo il Prk (Cheratectomia Fotorefrattiva) è più lunga (2-3 mesi) e prevede l’uso di colliri a base di lacrime artificiali e cortisonici di superficie, associati solo nel primo periodo ad antibiotici». Sono diverse le tempistiche anche per il riscontro dei risultati. «Con la tecnica Lasik già il giorno dopo l’intervento l’80 per cento della visione è recuperata e il giorno successivo il paziente può riprendere la propria attività, sia lavorativa (anche al video terminale) sia sportiva. Più lento è il recupero definitivo dopo il trattamento di superficie Prk, che si raggiunge solo dopo 2-3 mesi». A dicembre il Centro laser cuneese inaugurerà una nuova struttura, grazie alla quale saranno introdotte anche altre terapie. «La principale novità sarà la correzione della presbiopia, difetto che colpisce tutte le persone dopo i 45 anni. Potremo correggere questo difetto introducendo un lenticolo all’interno della cornea, eseguendo un tunnel corneale con il Femto laser. Questa lente consente una visione da vicino monoculare (dell’occhio trattato) conservando la propria visione a distanza. Inoltre, potremo eseguire un trattamento bilaterale laser, la cosiddetta Presby-Lasik, che svincola il paziente dall’uso degli occhiali e consente di correggere contestualmente il difetto visivo – nei casi selezionati si possono togliere totalmente gli occhiali, una con lieve perdita di contrasto nella vi-

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L’intervento viene eseguito all’interno del tessuto corneale grazie a sofisticati programmi che consentono di ablare il tessuto, senza creare cicatrici sione a distanza. Nei pazienti con cataratta al di sopra dei 55 anni potremo impiantare delle lenti intraoculari al posto del cristallino naturale, che consentono una buona visione per lontano e vicino, correggendo contestualmente il difetto naturale presente (miopia, astigmatismo, ipermetropia)». A queste innovazioni si aggiunge la prossima possibilità per i professionisti del Centro laser cuneese di eseguire trapianti di cornea utilizzando il Femto laser. «L’utilizzo di questa tecnica anche nel trapianto corneale, rispetto alla tecnica tradizionale con il bisturi, assicura un recupero visivo e una stabilità della refrazione molto maggiore».

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INVECCHIAMENTO CUTANEO • Alessio Radaelli

I PROGRESSI NELLA CURA DEL VISO LA MEDICINA ESTETICA STA FACENDO PASSI DA GIGANTE, SOPRATTUTTO PER QUANTO RIGUARDA LE TECNICHE MINI INVASIVE. ALESSIO RADAELLI ILLUSTRA LE MODERNE APPLICAZIONI CHE RIGUARDANO I TRATTAMENTI SUL VISO di Nicolò Mulas Marcello

pesso si confonde la medicina estetica con la chirurgia estetica. La prima rappresenta una specialità medica con una sua dimensione, acquisita molto chiaramente negli ultimi 10 anni, che cura l’invecchiamento cutaneo con tecniche mini invasive. «Sino a qualche anno fa - spiega Alessio Radaelli, specialista in chirurgia vascolare e flebologia ed esperto in medicina estetica - questi interventi erano impensabili su parti del volto che una volta appannaggio esclusivo della chirurgia plastica estetica».

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Parliamo della cura del viso. Il peeling è uno dei trattamenti più diffusi tra le donne. Sono stati fatti passi in avanti a riguardo? «Tra le tecniche che la medicina estetica può utilizzare nella cura dell’invecchiamento del volto, il peeling (dall’inglese to peel, pelare) è utilissimo nella rimozione delle iperpigmentazioni, nel miglioramento della trama cu-

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tanea e nella stimolazione del collagene e dell’elastina. Sono stati immessi in commercio numerosi nuovi peeling con formulazioni sempre più evolute negli ultimi anni, per evitare gli effetti collaterali più comuni e guarigioni troppo lunghe rispetto ai risultati poi ottenuti. Personalmente utilizzo il peeling di Jessner o quello all’acido tricloroacetico, un peeling medio utile nel miglioramento delle rughe. Utilizzo anche peeling superficiali, come il mandelico o le varie maschere alla tretinoina, utili in sinergia con le biorivitalizzazioni per la stimolazione della crescita collagenica e nella prevenzione dell’invecchiamento». Quali sono, invece, i rimedi più efficaci per le rughe? «Su questo aspetto sono stati fatti passi da gigante. La mimica è una delle cause di maggior impatto sulla genesi delle rughe e l’utilizzo sapiente e moderato del botulino

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Alessio Radaelli • INVECCHIAMENTO CUTANEO

Alessio Radaelli, specialista in chirurgia vascolare e flebologia, ed esperto in medicina estetica

ci ha permesso di migliorare gli inestetismi dovuti a una mimica eccessiva. Nei casi di difetti volumetrici, l’acido ialuronico è tuttora il filler ideale. Oggi abbiamo filler ben tollerati, anzi utili all’organismo. Infatti, i moderni acidi ialuronici, oltre a durare nel tempo, sono utili nell’idratazione e stimolazione della crescita del collagene e dell’elastina e nell’idratazione profonda della cute e del sottocute. Vi sono poi filler nuovi, come la carbossimetil-cellulosa, ma a mio parere bisogna attendere ancora un po’. Nei casi di difetti della tonicità dei tessuti, abbiamo imparato a utilizzare materiali noti e molto efficaci, come l’acido polilattico, evitandone i principali effetti collaterali. Sono stati ottenuti risultati che solo qualche anno fa sarebbero stati insperati». In quali casi viene utilizzato prevalentemente il laser e quali sono i risultati? «I laser, molto attivi nel trattamento degli strati cutanei superficiali, sono indicati in due campi: il miglioramento della superficie cutanea e la stimolazione della crescita del collagene mediante il riscaldamento oculato degli strati superficiali sotto epidermide e derma. Io utilizzo il laser frazionato perché permette una guarigione veloce e standardizzata dei tessuti, anche in fototipi estremi. È possibile al termine del trattamento stendere uno strato di plasma ricco di piastrine (ottenuto con un prelievo dal paziente pochi minuti prima della seduta) che permette una guarigione assai più veloce e omogenea. Il laser viene utilizzato anche nella rimozione della macchie, nel miglioramento della texture cutanea, nella rimozione di numerose neoformazioni cutanee benigne e nei trattamenti di resurfacing del volto, il cosiddetto lifting medico del volto, utilizzando molte tecniche integrate tra loro».

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In quali ambiti vi è un maggior impiego di nuove tecnologie? «Sempre nel campo dei laser e dei trattamenti basati sull’impiego della luce, non posso non ricordare la luce pulsata (Ipl) e i trattamenti mediante led (Pdt). Le macchine moderne, specialmente per quanto riguarda la luce pulsata, sono molto più sicure e danno risultati, ad esempio nell’epilazione, uniformi e con effetti collaterali assai ridotti. Poi abbiamo nuovi laser a radiofrequenza anche frazionata, laser nel campo dell’infrarosso - IR e nuove macchine evolute anche nel campo della rimozione dei tatuaggi (Q-Switched) -. Tra le nuove tecnologie vorrei ricordare il needling, una stimolazione superficiale fatta con un rullo dotato di finissimi aghi di lunghezze varie». Per quanto riguarda i nuovi trattamenti mini invasivi invece? «Sino a qualche anno fa essi erano impensabili su parti del volto una volta appannaggio solo della chirurgia plastica estetica. Mi riferisco in particolare al naso. Io sono stato un pioniere della tecnica denominata “rinoplastica medica” (con una pubblicazione scientifica sul Journal of drugs in dermatology sin dal 2008). Non esiste al giorno d’oggi un solo congresso medico o chirurgico in tutto il mondo nel campo dell’estetica dove non vi siano intere sessioni o almeno alcune relazioni su questo argomento. L’utilizzo in questo e altri casi di cannule smusse ha permesso l’avvento di risultati molto regolari, il più delle volte solo con una anestesia topica, con una crema applicata per il giusto tempo prima della seduta».

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ANDROLOGIA • Teresa Leonetti

CURARE LA STERILITÀ E LA SESSUALITÀ MASCHILE di Renato Ferretti TERESA LEONETTI SPIEGA COME AFFRONTARE E RISOLVERE PROBLEMI ANDROLOGICI RECUPERANDO IL PIACERE SESSUALE E MIGLIORANDO LA FERTILITÀ

La dottoressa Teresa Leonetti, responsabile del centro di Andrologia e di Procreazione Assistita Pro.Andròs con sede a Barletta (BT) www.chirurgiaandrologica.it

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Andrologia è una branca specialistica formatasi dalla progressiva integrazione di competenze internistiche, chirurgiche e psicologiche, affermatasi come disciplina distinta e separata, con precisi limiti e competenze, nell'ambito del quadro delle problematiche legate alla salute sessuale maschile e alla sfera della fertilità. Ne parla la dottoressa Teresa Leonetti, specializzata in ostetricia e ginecologia, clinico ed embriologo della riproduzione umana, responsabile del Centro Certificato di Andrologia, Chirurgia Andrologica e Procreazione Assistita Pro.Andròs di Barletta. «La prevenzione, le diagnosi e le terapie praticate nel Pro.Andròs – spiega la dottoressa Leonetti - mirano al recupero del piacere nella relazione sessuale e di coppia da parte degli uomini che vengono alla consultazione, al miglioramento della fertilità maschile e al recupero della "self image" sessuale dei pazienti affetti da dismorfofobia (non accettazione estetica) sia della forma (Incurvamenti penieni congeniti e acquisiti) che delle dimensioni dell'apparato genitale (ipoplasia peniena)».

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Che rapporto c’è tra la virilità comunemente intesa e le richieste che vi sono rivolte più frequentemente? «Molti pazienti desiderano e richiedono interventi di ingrandimento del pene senza essere affetti da alcuna patologia che possa definire una condizione di “micropene”. La richiesta è legata a una problematica psicologica (dismorfofobia peniena) con le conseguenze personali e relazionali che tale problematica comporta. L’importanza psicologica dell’allungamento del pene è sottolineata dal fatto che l’operazione non migliora la funzione sessuale o la “performance”. Il paziente operato beneficerà di un miglioramento morfologico, ma la fun-

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Teresa Leonetti • ANDROLOGIA

Bisogna considerare non solo la natura psicologica ma sociale che i problemi della sessualità maschile possono generare

zionalità del suo pene, l’intensità del suo desiderio, i suoi tempi di eiaculazione, le sue prestazioni sessuali non cambieranno. Cambierà invece, e di parecchio, la sua attitudine psicologica al sesso e alle relazioni, perché avendo una migliore immagine di sé si sentirà più sicuro, con inevitabili benefici sia su questo, sia su altri piani della vita quotidiana. Il fenomeno della sindrome del pene piccolo sembra essere in costante aumento e l’importanza di una definizione delle dimensioni è utile a fare chiarezza: la lunghezza media del pene in erezione in Italia è di 13.5 cm, per una circonferenza di 9.2 centimetri e l’incremento ottenibile con la tecnica della falloplastica non può superare i 2-4 centimetri». Quali sono le altre patologie e disfunzioni che siete più spesso chiamati a curare? «Le principali disfunzioni sessuali maschili sono rappresentate dalla disfunzione erettile e dalla eiaculazione precoce. Per la disfunzione erettile, chiamata un tempo impotenza, intendiamo l’incapacità, parziale o totale, di ottenere o mantenere un’erezione valida per portare a termine un soddisfacente rapporto sessuale, mentre per eiaculazione precoce intendiamo l’eiaculazione che insorge prima che lo si desideri. In entrambe queste situazioni è fondamentale discernere tra cause organiche (fisiche) e cause psicologiche, che comunque spesso si associano. Una corretta diagnosi orienterà il clinico a intraprendere la terapia medica, chirurgica e/o psicosessuologica, più appropriata».

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Al centro dell’attività sanitaria ci sono la salute, la fertilità e il benessere maschile «Vera innovazione del centro Pro.Andròs è l’aver saputo mettere insieme un team di figure professionali altamente specializzate nel campo dell’Andrologia e della Procreazione Medicalmente Assistita in una struttura totalmente innovativa dal punto di vista tecnologico, scientifico e organizzativo che pone al centro la salute, la fertilità e il benessere maschile». Cosa si intende per procreazione medicalmente assistita? «Sono procedure sanitarie che comportano il trattamento di ovociti, spermatozoi ed embrioni nell’ambito di un progetto finalizzato a una gravidanza. Pro.Andròs offre alle coppie infertili una vasta gamma di servizi e prestazioni terapeutiche quali l’inseminazione intrauterina (Iui), la fecondazione in vitro ed embryo transfer (Fivet), l’iniezione intracitoplasmatica degli spermatozoi (Icsi), l’iniezione intracitoplasmatica di spermatozoi morfologicamente selezionati (Imsi), l’aspirazione epididimaria (Pesa) e testicolare (Tesa) degli spermatozoi e il congelamento dei gameti». Perché congelare i propri gameti? «Congelare i propri gameti, ovociti e spermatozoi, per poter far figli “dopo”, quando arriverà il momento “giusto”, può diventare una concreta possibilità per rallentare l’orologio biologico e per proteggere il proprio potenziale riproduttivo dai rischi che l’età, alcune terapie, particolari interventi chirurgici e determinate malattie comportano».

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MALATTIE RENALI • Eliana De Bella

INSUFFICIENZA RENALE, NUOVE TERAPIE IL FUNZIONAMENTO DELLA TERAPIA EMODIALITICA E LE PIÙ MODERNE TECNOLOGIE PER LA SUA PRATICA. ELIANA DE BELLA ILLUSTRA LE CAUSE E LE RISPOSTE ALLE MALATTIE RENALI di Arianna Lesure

e principali cause dell’insufficienza renale cronica sono le malattie nefrovascolari, come l’ipertensione arteriosa, la stenosi o l’occlusione delle arterie renali. A queste si aggiungono il diabete, le glomerulonefriti, le nefropatie infettive oppure ostruttive e le malattie ereditarie, fra le quali la principale è la nefropatia policistica. «Non esiste un’età specifica per l’insufficienza renale, in quanto le diverse patologie che vi sono alla base possono insorgere in un’età compresa fra la giovinezza e l’anzianità, benché l’ipertensione arteriosa in genere La dottoressa Eliana De Bella, specialista in nefrologia, dirige compaia solo dopo i quaranil centro dialisi della casa di cura t’anni. In ogni caso, la malattia reVilla Anna Maria di Roma nale cronica terminale impone al www.villannamaria.com paziente di sottoporsi all’emodia-

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lisi, trattamento che gestisce l’insufficienza renale e sostituisce parzialmente la funzione renale». A spiegarlo è la dottoressa Eliana De Bella, specialista in nefrologia e direttrice del centro dialisi della casa di cura Villa Anna Maria di Roma. In che modo l’emodialisi gestisce l’insufficienza renale cronica? «Innanzitutto va precisato che esistono diversi tipi di emodialisi. In ogni caso, però, il trattamento si propone l’obiettivo di depurare il sangue dai prodotti azotati derivanti dal metabolismo proteico, presenti in alte concentrazioni nello stato uremico, e riequilibrare il bilancio idro-elettrolitico e acidobase. L’emodialisi standard è un processo diretto, che necessita di un accesso vascolare (fistola o catetere venoso centrale) e di una macchina che agisce come un rene artificiale. La terapia richiede in genere tre sedute settimanali (ogni trattamento dura dalle tre alle quattro ore) e si esegue quasi esclusivamente in centri specializzati con personale infermieristico addestrato. In alcuni casi però si esegue anche nel domicilio del paziente». Quando è possibile la terapia domiciliare? «Oltre all’emodialisi esiste anche la dialisi peritoneale. Quest’ultima è un processo indiretto che utilizza il peritoneo come membrana dializzante e può essere eseguita a domicilio con frequenza quotidiana e durante le ore notturne, mentre il paziente

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Eliana De Bella • MALATTIE RENALI

dorme, quindi è una tecnica autogestita. La dialisi peritoneale è possibile nei pazienti instabili dal punto di vista cardiovascolare, nei bambini e nei giovani con diuresi conservata. Inoltre è preferibile per i pazienti con accesso vascolare difficile e in generale per i pazienti in grado di autogestire la malattia». Quali sono le possibili complicanze dell’emodialisi? «Le complicanze intradialitiche possono essere legate alla non fisiologicità del trattamento dialitico. Possono essere classificate in due gruppi. Uno che comprende ipotensione, sindrome da squilibrio, ipopotassiemia, aritmie cardiache e ipossia. L’altro, emolisi, embolia gassosa, reazione al filtro, febbre e brividi ed emorragia. Però, ormai, con le nuove tecniche e le nuove macchine, che consentono un controllo completo sul paziente, l’errore umano è limitato al minimo». Nel vostro centro è possibile effettuare l’emodiafiltrazione on line. In cosa differisce questa dall’emodiafiltrazione standard? «L’emodiafiltrazione è una metodica dialitica che sfrutta sia la diffusione sia la convezione, che permettono, rispettivamente, l’eliminazione delle sostanze a basso peso molecolare e di quelle a medio peso. Tuttavia, al processo va aggiunta una fase di reinfusione attraverso dei liquidi in sacca che permettono un’eliminazione più efficace delle sostanze tossi-

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Il trattamento emodialitico si propone l’obiettivo di depurare il sangue dai prodotti azotati derivanti dal metabolismo proteico

che. La tecnica on line, invece, elimina la necessità di attingere a liquidi in sacca, poiché sfrutta l’acqua della rete idrica opportunamente filtrata. La nostra preferenza per l’adozione della tecnica on line si basa sul fatto che eliminando i liquidi in sacca si ottiene una maggiore sicurezza e maggiori performance, e inoltre non c’è la necessità di smaltire il materiale delle sacche». Avete programmato nuovi investimenti per il futuro? «L’obiettivo è sostituire alcune delle macchine con delle nuove, per avere una gestione più dinamica del paziente e, in più, per rendere meno gravoso il lavoro del personale infermieristico. E migliorare così la qualità complessiva e del servizio di emodialisi».

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ASSISTENZA • Roberta Bianco e Luca Servetto

UN SOSTEGNO CONTINUATIVO di Marco Tedeschi

econdo quanto riportato nella relazione sullo stato sanitario del Paese dal Servizio Sanitario Nazionale, la riabilitazione consiste nel «prendere in carico la persona, al fine di consentirle di raggiungere, nell’ottica del reale empowerment, le condizioni di massimo livello possibile di funzionamento e partecipazione, in relazione alla volontà e al contesto». Ed è proprio questo l’intento che viene portato avanti all’interno della struttura La Residenza, un’opera sociale con finalità sanitaria e assistenziale. «La Residenza – spiega il dottor Luca Servetto, responsabile medico - è nata come risposta pilota ai problemi della terza età, facendosi carico di offrire assistenza mo-

S La Residenza si trova a Rodello (CN) www.laresidenza-rodello.it

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UN’UNICA STRUTTURA SPECIALIZZATA NELLA RIABILITAZIONE E NEL SOGGIORNO PER ANZIANI, IN CUI IL PAZIENTE PUÒ GODERE DI UNA COMPLETA ASSISTENZA AD HOC. LA PAROLA A LUCA SERVETTO E A ROBERTA BIANCO

rale, spirituale e sanitaria. All’interno de La Residenza viene dato grande spazio alla riabilitazione. Disponiamo di 100 posti letto con terapie in regime di degenza; non vengono svolte pertanto attività ambulatoriali. Si registrano circa 1000 ricoveri l’anno con pazienti affetti da neuro lesioni ed esiti di chirurgia protesica, traumi, poli-traumi e fratture». L’attività riabilitativa viene svolta in quattro unità operative. «Presso ogni unità sono presenti un medico fisiatra, un internista, fisioterapisti, logopedisti, terapisti occupazionali e infermieri. Se le condizioni cliniche lo consentono, grazie al lavoro del nostro staff, il paziente riesce a svolgere la riabilitazione due volte al giorno». L’età media dei pazienti ospitati nel centro di riabilitazione va dai 65 ai 75 anni. «Registriamo anche casi di giovani che si rivolgono a noi in seguito a poli-traumi da incidenti o ictus». I tempi della riabilitazione variano molto a seconda dei casi. «Dobbiamo sottolineare comunque – prosegue il dottor Servetto - che il tempo di recupero per l’anziano è spesso una sorpresa. Superata la fase ac uta l’anziano, già a distanza di un mese da una frattura, spesso riesce a camminare bene. Ovviamente si serve di un ausilio, ma ha raggiunto in ogni caso un’autonomia. Si tratta di

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Roberta Bianco e Luca Servetto • ASSISTENZA

ottimi risultati che derivano soprattutto dall’importante lavoro dei chirurghi». All’interno della struttura sono dedicati alla riabilitazione due piani di palestra. «Uno è riservato principalmente all’attività motoria mentre l’altro ha una valenza più cognitiva, con trattamenti del linguaggio, della memoria e deficit neuropsicologici ed è utile soprattutto nei casi d’ictus ma anche per l’anziano che ha difficoltà cognitive. Per questo tipo di riabilitazione i tempi si allungano leggermente. Normalmente infatti un paziente colpito da ictus ha un periodo di recupero di circa 2 mesi. Esistono per questo motivo programmi mirati a seconda dei casi e delle condizioni dell’ospite. Un percorso quotidiano studiato ad hoc anche attraverso l’utilizzo di tecnologia robotica e analisi cinematica del movimento». Una parte importante della Struttura è inoltre dedicata al soggiorno anziani. «Il complesso – spiega la responsabile, Roberta Bianco - è autorizzato al funzionamento per 100 posti letto di cui 60 in Residenza Assistenziale Sanitaria (R.S.A.) e 40 in Residenza Assistenziale (R.A.). Si gestiscono ricoveri a carattere definitivo o temporaneo, si accolgono letti di prossimità e ricoveri in convenzione con l’Asl Cn2 Alba-Bra e altre». Tra le caratteristiche principali si segnala l’accoglienza e la riservatezza di cui possono godere gli ospiti. «Le persone - prosegue Bianco - scelgono questa

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struttura perché possono usufruire di una camera singola e personalizzabile, con bagno privato. Con un moderato sostegno da parte dello staff riescono quindi a condurre una vita in autonomia. Per quanto riguarda gli ospiti non autosufficienti, siamo strutturati in 3 nuclei composti da camere di degenza singole e doppie, tutte dotate di bagno privato. L’assistenza tutelare è garantita 24 ore su 24 da operatori sociosanitari; gli infermieri operano quotidianamente per la somministrazione delle terapie e per le necessità sanitarie. È presente in struttura un fisioterapista che svolge la sua attività in reparto e nella palestra, quest’ultima con libero accesso a tutti gli ospiti. Inoltre operano all’interno della struttura i medici di base, lo psicologo e l’educatore professionale». Esistono poi momenti di socializzazione, soprattutto nel grande salone comunitario in cui le persone possono incontrarsi, conversare, vedere film e partecipare a feste, alle quali sono invitati anche i familiari degli ospiti. Tra le recenti innovazioni si evidenzia l’attivazione dello sportello Alice Onlus, gestito da una neuropsicologa e da un’assistente sociale. «Si tratta di un supporto offerto in modo particolare ai parenti dei pazienti colpiti da ictus. In questo modo riescono - conclude Bianco – a prendere coscienza dell’evoluzione del malato, soprattutto se si tratta di un paziente giovane».

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VERSO L’ALLEANZA TERAPEUTICA INFORMARE IN MANIERA PIÙ EFFICACE SUL TRATTAMENTO IMPLANTO-PROTESICO PORTA VANTAGGI AL PAZIENTE, ALL’ODONTOIATRA E ALLA DISCIPLINA. LO SPIEGA LUIGI GUIDA, PRESIDENTE DELLA SIO di Francesca Druidi

implantologia osteointegrata vive, in questi anni, una fase di grande dinamismo. Questo progresso può paradossalmente generare disorientamento nell’odontoiatra, che si trova di fronte a molteplici possibilità di cura, e confusione anche in chi si rivolge a un professionista. Per questo, la Sio (Società italiana di implantologia osteointegrata), guidata da Luigi Guida, si sta impegnando a lavorare su una migliore comunicazione tra professionista e paziente.

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Si può parlare di requisiti per una buona pratica clinica nel campo dell’implantologia osteointegrata? «Il trattamento implanto-protesico, che rappresenta la principale opzione di riabilitazione dell’edentulia, si fonda su solidi principi scientifici e clinici, ma contemporaneamente dispone oggi di tecnologie fortemente innovative. Queste ultime consentono di ampliare le indicazioni al trattamento e di migliorarne i risultati, ma possono anche ingenerare disorientamento nell’odontoiatra a causa delle molteplici opzioni di cui oggi egli dispone. L’odontoiatra deve, infatti, saper coniugare l’innovazione con la tradizione e, a tal fine, deve essere dapprima correttamente for-

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Luigi Guida, presidente della Società italiana di implantologia osteointegrata

mato e, successivamente, costantemente aggiornato. La Sio promuove la diffusione della corretta pratica professionale implanto-protesica, che mira a ottenere validi e duraturi risultati funzionali ed estetici e, contemporaneamente, a ridurre invasività, durata e costi del trattamento». Tra i progetti sviluppati c’è “La corretta informazione e il consenso del paziente in implantologia”. In che cosa consiste nello specifico l’iniziativa? «Scopo del progetto è realizzare un documento efficace e facile da consultare per il professionista, che possa consentire la definizione di regole per la corretta e completa informazione del paziente da sottoporre a terapia riabilitativa implanto-protesica. Un ulteriore importante obiettivo è quello di realizzare un documento destinato al paziente - “modulo

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Luigi Guida • ODONTOIATRIA

Il trattamento implantoprotesico si fonda su solidi principi scientifici e clinici, ma contemporaneamente dispone oggi di tecnologie fortemente innovative

di informazione e consenso” - per informarlo in maniera completa e con un linguaggio comprensibile, nonché per ottenere il suo consenso alle procedure diagnostiche e terapeutiche implantoprotesiche. I due documenti sono ormai pronti e verranno ufficialmente presentati nell’ambito del congresso Sio, che si terrà tra pochi mesi».

chiarire quali sono le possibilità e i limiti delle tecnologie digitali in una corretta pratica professionale. È, inoltre, prevista una sessione per gli igienisti dentali che riguarderà le modalità più efficaci di comunicazione con il paziente e l’aggiornamento sui sistemi di prevenzione e di trattamento delle patologie dei tessuti perimplantari».

Il documento è in linea con l’obiettivo perseguito dalla Sio di contribuire alla formazione dell’odontoiatra implantologo. «Sì, per la tutela della salute del paziente e quella del professionista. Quando l’odontoiatra, infatti, riesce ad associare al sapere e al “saper fare”, anche il saper comunicare e informare, crea tutti i presupposti per instaurare un’alleanza terapeutica con il paziente. La corretta pratica dell’implantologia, la predicibilità e l’elevata qualità dei risultati, l’aumento del grado di informazione, coinvolgimento e soddisfazione del paziente, determinano che quest’ultimo diventi il protagonista centrale nella diffusione di un messaggio positivo collegato all’implantologia».

Jeffrey Schnapp, full professor alla Harvard University di Boston, aprirà il convegno scientifico con un argomento particolarmente attuale: l’impatto di internet e dei social network sulla società e sul mondo professionale. «Sì, questo intervento farà da preludio alle successive relazioni che mireranno ad approfondire il ruolo delle tecnologie digitali nella diagnosi, nel piano di trattamento, nella comunicazione all’interno del team e con il paziente, nella chirurgia implantare, nel rilevamento dell’impronta e nella realizzazione protesica. I relatori consentiranno ai partecipanti di approfondire e ampliare le proprie conoscenze sulle tecnologie digitali, con una positiva ricaduta sulla loro attività pratica professionale. È, infatti, importante per i professionisti aggiornarsi, evitando di utilizzare tecniche che necessitano di ulteriore validazione scientifica e adottando tecnologie e protocolli operativi che contribuiscono a ridurre l’invasività, la durata e il costo economico del trattamento al fine di migliorare i risultati funzionali ed estetici».

A febbraio 2014 si terrà il prossimo congresso della Sio. Quali temi verranno trattati? «L’edizione numero 22 del congresso internazionale, dal titolo “Digital technology for good clinical practice in implant and prosthetic dentistry”, mira a

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ANALISI SPECIALISTICHE • Giuseppe Gallina

Verso un restauro più estetico Più attenzione al restauro estetico, minor sacrificio di tessuto dentale. Sono le linee guida dell’odontoiatria conservativa che, tra tecniche adesive e prevenzione delle carie, vive una fase di sviluppo. Ne parla Giuseppe Gallina Francesca Druidi

e scoperte dell’ultimo ventennio, in particolare sui materiali e le tecniche adesive, hanno consentito di realizzare il sogno di ogni conservatore: limitare l’asportazione di tessuto a quello strettamente patologico, sostituendolo con materiali biocompatibili e bioestetici». Giuseppe Gallina, presidente della Società italiana di odontoiatria conservatrice (Sidoc), nonché docente presso l’Università degli studi di Palermo e direttore dell’Unità operativa di odontostomatologia presso l’Azienda ospedaliera “P. Giaccone” di Palermo, illustra le nuove frontiere della disciplina, che presuppone sempre meno invasività nei trattamenti.

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Qual è lo stato dell’odontoiatria conservativa oggi? «Rappresenta il naturale sviluppo di quella disciplina di base dell’odontostomatologia che, da sempre, ha avuto come obiettivo il ripristino morfologico e funzionale dell’elemento dentario nei suoi molteplici rapporti con i tessuti molli del

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cavo orale, con le ossa mascellari e con l’intero apparato stomatognatico. Fino a qualche decennio fa, molti restauri, cosiddetti conservativi, richiedevano complesse ritenzioni, utilizzavano materiali poco o nulla estetici e spesso necessitavano di tecniche di tipo invasivo conservativoprotesico. L’approccio conservativo era, perciò, più un auspicio inappagato che non la realtà clinico-operativa. Questa è una filosofia di approccio che per il conservatore ha sempre costituito un obbligo ma che, ormai, sta interessando tutte le branche dell’odontoiatria». Quanta influenza esercita l’estetica sull’evoluzione della disciplina? «L’estetica del restauro conservativo, la sua resa in termini di miglioramento del sorriso, di armonia con i tessuti molli periorali, ha oggi una rilevanza nell’equilibrio psico-fisico del paziente e nei suoi rapporti sociali, sia in ambito familiare che lavorativo, come mai in passato. È chiaro che un professionista attento non farà mai prescindere tali obiettivi da quelli funzionali tipici dell’apparato masticatorio, non ultimo l’aspetto fonetico. La tanto vituperata

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Giuseppe Gallina, presidente della Società italiana di odontoiatria conservatrice (Sidoc)

società dell’apparire può, una volta tanto, fungere da stimolo positivo per ricercare risultati a elevata valenza estetica che appagano l’odontoiatra tanto quanto il paziente, sia esso di giovane età che più avanti negli anni. Un aspetto cui si assiste sempre più spesso è la ricerca di soluzioni estetiche conservative anche da parte di una fascia di pazienti over 60 che, fino a pochi anni fa, accettava compromessi non solo poco estetici e funzionali, ma talvolta anche soluzioni terapeutiche invasive, demolitive o, peggio, si rassegnava precocemente a condizioni di grave edentulia». Resine composite, materiali ceramici. Quali sono gli effettivi vantaggi per i pazienti, ma anche i limiti e le principali indicazioni d’uso di questi materiali? «Un conservatore preparato e coscienzioso oggi può attingere a un vasto panorama di materiali e tecniche a sua disposizione. L’avvento dell’odontoiatria adesiva minimamente invasiva ha anche ridotto il gap tra restauri in materiali compositi, tradizionalmente utilizzati in conservativa, da quelli in materiali ceramici, terreno di

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Un conservatore preparato e coscienzioso oggi può attingere a un vasto panorama di materiali e tecniche a sua disposizione

applicazione della protesi. I costi si sono ridotti, anche se l’approccio conservativo rimane sempre più economico, aspetto questo che, in tempi di crisi economica, non va trascurato. Nel settore anteriore i materiali ceramici, utilizzati con tecniche indirette che richiedono l’ausilio del laboratorio odontotecnico, rimangono quelli più performanti, ma l’enorme miglioramento cui sono andati incontro i materiali compositi in termini di caratteristiche strutturali e resa estetica consentono oggi di avere delle valide alternative, sia nelle tecniche di ricostruzione diretta che indiretta. Inoltre, un restauro in resina composita, in caso di frattura o distacco, può es- ¬ SANISSIMI

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ANALISI SPECIALISTICHE • Giuseppe Gallina

Le scoperte dell’ultimo ventennio, in particolare sui materiali e le tecniche adesive, hanno consentito di limitare l’asportazione di tessuto a quello strettamente patologico

¬ sere riparato con costi minimi, mentre una défaillance di un restauro eseguito con materiali ceramici comporta - quasi sempre - il suo rifacimento ex novo». Per quanto riguarda, invece, i restauri dei settori posteriori? «Le resine composite, utilizzate con tecniche dirette (ovvero eseguibili dall’operatore in bocca al paziente) e indirette, rappresentano la soluzione migliore in termini di costi, ripristino della funzione e armonizzazione con gli altri componenti dell’apparato stomatognatico». Quali sono le tecniche e le metodologie di restauro più all’avanguardia? «Certamente quelle adesive. Dal ripristino morfologico e funzionale di elementi trattati endodonticamente con perni in fibra di vetro cementati con adesivi e finalizzati con monconi in resina, da restauri indiretti o corone metal free si passa alle faccette estetiche ultrasottili in ceramica nei difetti cromatici com-

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plessi e nei difetti di forma e talvolta di allineamento dei settori anteriori, agli intarsi in resine composite nei settori posteriori. Molte di queste tecniche si avvalgono oggi dell’ausilio di macchine a controllo numerico, cosiddette Cad-Cam, che consentono di rilevare in modalità digitale le impronte e di ottenere manufatti in tempi rapidi, con un elevato livello di precisione e finitura che riduce sempre più la necessità di un intervento correttivo manuale. Tutto questo sta aprendo a una platea sempre più ampia di odontoiatri la possibilità di ottenere risultati estetici e funzionali prima limitati a pochi professionisti di riferimento». Si registrano novità significative per quanto riguarda la diagnosi delle carie? «L’introduzione sul mercato di apparecchi e metodiche sempre più efficaci per rilevare, sotto il profilo fisico e microbiologico, il tessuto dentario affetto da carie è certamente un ulteriore ausilio per l’odontoiatra di base che nell’intercettamento precoce, oltre che nella prevenzione,

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della patologia cariosa ha uno dei suoi compiti sanitari primari. La sempre maggiore sofisticatezza dei dispositivi di “caries detection” li rende un valido complemento a quello che non deve mai mancare, ovvero un attento esame clinico secondo collaudati canoni: anamnesi ed esame obiettivo e strumentale tradizionale». Come si articola nello specifico questo passaggio? «Ancora oggi i due auspicati controlli annuali presso una struttura odontoiatrica, con l’esecuzione di un’attenta visita periodica e di rx endorali bite wing, rappresentano il modo più efficace e sicuro per prevenire, diagnosticare e trattare sul nascere la patologia cariosa, che ha un’elevata incidenza nel mondo occidentale con costi elevatissimi per il suo trattamento e per quello delle sue complicanze a breve e a lungo termine. Costi che mettono in crisi i bilanci sanitari regionali, e molto spesso anche quelli familiari, se consideriamo che l’intervento della sanità pubblica

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in odontoiatria non sempre è completo e non interessa tutte le fasce sociali». Sul fronte della formazione, qual è la situazione? «Tradizionalmente, gran parte dell’odontoiatria in Italia viene esercitata da professionisti privati di adeguata preparazione e l’Università italiana è certamente in grado di formarli al meglio, se è vero che vengono ricercati in tutti i paesi dell’Ue. Fondamentale in tal senso è anche la formazione post laurea, in cui oltre alle università intervengono le associazioni di categoria, gli ordini professionali e le società scientifiche. Tra queste la Sidoc, di cui mi onoro di essere presidente in carica, ha rappresentato negli ultimi vent’anni un riferimento per il mondo odontoiatrico universitario e libero-professionale. Dal 13 al 15 febbraio 2014 si terrà il Congresso nazionale, nel corso del quale i migliori professionisti italiani e stranieri che si occupano di conservativa proporranno gli aggiornamenti in termini di tecniche e soluzioni terapeutiche».

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ODONTOIATRIA • Gian Antonio Favero

TURISMO DENTALE, IL GAP È NELL’INFORMAZIONE di Renato Ferretti

l contributo scientifico italiano è sempre stato di prim’ordine: la medicina, e in particolare l’odontoiatria, non fa eccezione. È anche grazie ai ricercatori italiani che si deve il progresso nelle tecniche e negli strumenti, come nel caso delle cure più sofisticate offerte dalla moderna implantologia. Uno di questi è il professor Gian Antonio Favero, che fin dal 1984 è membro del gruppo internazionale di studio sull’osteointegrazione diretto dal professor Bränemark, oltre ad avere ricoperto varie cariche come quella di direttore e primario della Clinica Odontoiatrica dell’Università di Padova. Favero, che considera lo stesso Bränemark il suo maestro e da pioniere ha portato in Italia gli studi del professore svedese, ha varie cliniche lungo la penisola e non solo: da Belluno a Napoli, da Cagliari a Roma, fino allo studio che porta il suo nome a Londra. Con l’esperienza accumulata negli anni, lo studioso odontoiatra di origini venete scuote la testa di fronte alle condizioni in cui versa il nostro paese. «Il Collegio Nazionale dei Docenti di Odontoiatria – dice Favero – ha denunciato una drastica riduzione delle spese effettuate dalle famiglie per la cura dei denti. Il diminuirsi degli investimenti sulle terapie odontoiatriche è molto grave: spesso sento di persone che non riescono neanche a pagare il ticket per le cure negli ambulatori pubblici o convenzionati».

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Come giudica l’intervento delle istituzioni a riguardo? «Le politiche sanitarie pubbliche puntano a un’ulteriore diminuzione di questo tipo di servizi. Sono i cittadini, però, a subirne le con-

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GIAN ANTONIO FAVERO SULLE CONDIZIONI ATTUALI DELL’ODONTOIATRIA IN ITALIA. «BISOGNA CAPIRE L’IMPORTANZA DELLA PREVENZIONE E DELLA QUALITÀ DEL SERVIZIO»

Il professor Gian Antonio Favero le cui cliniche principali si trovano a Treviso e Padova www.gianantoniofavero.it www.clinicafavero.it

seguenze. Prendiamo l’esempio della pulizia del tartaro, che serve per mantenere una situazione ottimale dei tessuti paradontali: la sanità pubblica prevede la riduzione del relativo quantitativo di prestazioni. Questo significa andare incontro a problemi della salute orale anche molto complessi da trattare e sicuramente più dispendiosi. Insomma, risparmi oggi per pagare il triplo domani».

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Gian Antonio Favero • ODONTOIATRIA

Il vero problema è l’informazione. Solo chi ha una scarsa conoscenza della materia finisce per scegliere di andare all’estero o di affidarsi a un centro low cost La crisi ha fatto la sua parte per rendere le cose se possibile peggiori. «La disponibilità economica è cambiata, ma il vero problema è l’informazione. Solo chi ha una scarsa conoscenza della materia, infatti, finisce per scegliere di andare all’estero oppure di affidarsi a un centro low cost. I prezzi praticati dalle nostre cliniche sono accessibili se si considera la qualità offerta, con la garanzia a lungo termine sulle cure, sugli impianti e sulle protesi, con materiali di qualità e con l’alta professionalità erogata : sono queste cose a fare la differenza con un centro low cost. Le cure che si ricevono in centri come il nostro sono garantite per un certo numero di anni, cosa che non avviene in una struttura che gioca al ribasso. Inoltre il low cost si avvale spesso di professionisti anche molto giovani e poco esperti, che non sempre sono in grado di proporre e affrontare tutte le situazioni e le terapie più complesse».

un esempio, un impianto di qualità, in termini di materie prime, costa di solo materiale sui 300-400 euro, per uno studio come il nostro. In un centro all’estero questa, invece, è la cifra con cui fanno tutta l’operazione, quindi non so cosa usino perché possano abbassare di tanto il prezzo finale. Andare all’estero, poi, non solo significa pagare il viaggio, ma anche rinunciare alla detrazione fiscale delle spese sanitarie, e spesso con l’insorgere di problemi dopo l’operazione si è costretti a tornare più volte con un inevitabile aumento dei costi, per non parlare dell’ostacolo linguistico. Alla fine, questi pazienti si stancano, e dopo aver speso comunque una cifra considerevole si rivolgono al dentista vicino casa, chiamato a riparare i danni».

Quali conseguenze porta, invece, il turismo dentale? «Lo stesso discorso fatto per i centri low cost vale per il turismo dentale, anche se forse le condizioni in quel caso peggiorano. Per fare

Ci sono delle responsabilità dei dentisti italiani nella genesi di questi fenomeni? «Indubbiamente la nostra categoria ha commesso i suoi errori. Tanti dentisti non hanno saputo cogliere i cambiamenti nella nostra at-

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ODONTOIATRIA • Gian Antonio Favero

L’implantologia del futuro sta nella rigenerazione dell’osso con l’uso dei fattori di crescita e nel digital smile design

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tività, hanno difeso ottusamente le proprie posizioni e condizioni, senza comunicare, informare. Si ritorna al problema dell’informazione: la soluzione da parte nostra sta nel fare chiarezza, anche sui prezzi, spiegando perché c’è una differenza. Se a questo si aggiungesse la garanzia delle cure, il fenomeno del low cost non avrebbe vita facile. Infatti, non bisogna sottovalutare l’effetto rebound delle cure scadenti eseguite con materiali non adeguati. Capita spesso che questi centri si ritrovino sommersi di contestazioni dai pazienti che hanno ricevuto un trattamento non risolutivo, se non addirittura dannoso».

Come hanno reagito le sue cliniche nel contesto? «Nonostante un calo complessivo del settore del 50 per cento, noi abbiamo mantenuto abbastanza bene le nostre posizioni. Sono convinto che questo risultato sia dovuto alla qualità e alla completezza del servizio che proponiamo. Noi trattiamo tutta l’odontoiatria: conservativa, endodonzia, igiene dentale, paradontologia, ortodonzia, chirurgia orale, Giacomo Favero, dottore in chirurgia implantologia e protesi estetica dentale. Nella pagina a fianco, il dottor Gian Antonio Favero con i suoi studenti (dove siamo leader), il digital smile design con i trattamenti

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estetici del sorriso e del viso con l’uso di faccette e filler. Le nostre cliniche hanno gli strumenti tecnologici più avanzati per tutti i tipi di trattamento: dalla piorrea trattata con il laser al microscopio, alla correzione delle malposizioni dentarie con l’uso di apparecchi invisibili, all’implantologia avanzata con la risoluzione implantologica con protesi fissa dei grandi riassorbimenti ossei senza ricorrere ai trapianti. Inoltre collaboriamo con laboratori americani per la preparazione di faccette estetiche, dalle Veneers alle Lumineers: spesse come una lente a contatto, totalmente innocue per lo smalto dentale e utili per correggere leggeri difetti di posizione o discromie». Il suo nome è conosciuto anche all’estero. Qual è il vantaggio di un network clinico così vasto? «Per il momento abbiamo una clinica a Londra, gestita da mio figlio, Giacomo: lui ha recentemente vinto un Award come miglior giovane dentista di Londra, un bel risultato se si calcola che sono 25mila i giovani dentisti della capitale inglese. I miei due figli, Giacomo e Giovanni, si sono specializzati alla New York University con il professor Turnow, in implantologia e protesi estetica, e hanno trasferito questa loro esperienza nelle cliniche di cui sono referenti, Giacomo a Londra, Giovanni in Italia dove si occupa di implantologia avanzata e rigenerazione con notevolissimi successi per l’alta abilità

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Gian Antonio Favero • ODONTOIATRIA

Lo sbiancamento naturale chirurgica e per la profonda conoscenza delle tecniche implantologiche». In che direzione stanno andando la ricerca e l’indirizzo clinico? «Uno degli aspetti fondamentali dell’implantologia e quindi del trattamento dell’edentulia sta nella rigenerazione dell’osso con l’uso dei fattori di crescita contenuti nel sangue del paziente stesso, già da tempo in uso nelle nostre cliniche. Questo permette di evitare i trapianti di osso, a fine implantologico, e porta a un miglioramento estetico e funzionale senza interventi importanti a scapito del paziente. Questa tecnica (detta “PRGF” fattori di crescita rigeneranti) favorirebbe e velocizzerebbe la guarigione nella zona d’intervento e la rigenerazione ossea, con una significativa riduzione del dolore e del gonfiore post-operatorio, il tutto programmabile a computer e con un trattamento eseguibile in un solo giorno. Il paziente esce con un nuovo sorriso in poche

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e cliniche del professor Gian Antonio Favero non si trovano solo in Italia. Una sede è a Londra, gestita dal figlio Giacomo, uno dei suoi allievi. «Il nostro studio a Londra – spiega Favero – è il quinto per fama in città. Proprio qui abbiamo sviluppato il mega white, un trattamento con cui sbianchiamo i denti senza l’uso di perossido di idrogeno, senza agenti quindi che rovinino lo smalto: il trattamento prevede l’uso di ingredienti naturali e bicarbonato di sodio attivati da una luce laser, quindi un cosmetico sbiancante che si può ripetere frequentemente, non danneggia e non dà sensibilità ai denti e a basso costo. Sul Daily Mirror a Londra hanno scritto un articolo che ne parlava, intasando lo studio di richieste».

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ore. Ma il futuro è legato a una nuova frontiera: il “digital smile design”. Si progetta a computer la nuova morfologia del sorriso del paziente rimuovendo imperfezioni, inestetismi e correggendo malformazioni o malposizioni dentarie, dopo di che una volta che il paziente gradisce il suo nuovo sorriso si passa alla fase operativa in bocca per rendere reale il cambiamento. Un sorriso migliore per una nuova qualità della vita».

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ODONTOIATRIA • Edoardo Giacometti

IL LOW COST NON È UN RISPARMIO IL PROFESSOR EDOARDO GIACOMETTI È PERPLESSO SULL’OFFERTA DELLE PRESTAZIONI DENTISTICHE A BASSO COSTO. E PROPONE UN’IMPOSTAZIONE CHE ABBRACCIA ELEVATA QUALITÀ E TARIFFE ACCESSIBILI di Valerio Germanico

n ambito sanitario e in particolare in quello dentistico, la minore possibilità di spesa delle famiglie, in molti casi, ha spostato l’obiettivo del paziente dalla qualità al costo contenuto della prestazione. Questo è quello che riscontra il professor Edoardo Giacometti, medico chirurgo e odontoiatra. Esperto di estetica e risoluzione di gravi atrofie ossee, nel 2000 ha ottenuto il post-graduate di implantologia e paradontologia presso la New York University, è stato tutor per la Nyu Cde association per diversi anni e tuttora clinical coordinator; nel 2001 ha ottenuto il post-graduate di cura dei disturbi a carico dell’articolazione temporomandibolare presso la Tuft University di Boston. Oltre a svolgere l’attività nello studio di Torino e in altri studi a Milano e nel cuneese, Giacometti collabora Il professor Edoardo Giacometti, con diverse aziende del

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medico chirurgo e odontoiatra con studio a Torino edoagiac@libero.it

settore odontoiatrico per lo sviluppo di nuovi materiali e nuove tecnologie, e ha contribuito in particolare allo sviluppo di un innovativo sistema di implantologia. «Se una volta era il passaparola a determinare la fama di un professionista, con l’affacciarsi sul mercato dei centri cosiddetti low cost è entrata in campo la pubblicità. Questa è per definizione autoreferenziale, ma riesce a intercettare la domanda di tariffe più basse. E purtroppo i pazienti più esposti sono le fasce più deboli della popolazione». A fronte di una fattura più accessibile, qual è l’offerta qualitativa del dentista low cost? «La mia sensazione è che venga offerto poco e che questo poco venga fatto pagare moltissimo rispetto all’effettiva qualità della prestazione. Personalmente credo che un professionista debba offrire il massimo della qualità contenendo i prezzi e questo è il modo in cui ho sempre agito. Inoltre, ho potuto confrontare i listini del cosiddetto low cost e non ho trovato grandi differenze coi prezzi di un qualsiasi professionista. Il rischio, però, è che se il paziente pensa di risparmiare, in realtà sta correndo il rischio di spendere di più. La strategia del low cost spesso è risolvere frettolosamente il problema sul momento, con il rischio, in alcuni casi, di generare grossi problemi nel medio periodo». Può fare qualche esempio pratico? «Se in un intervento di implantologia il paziente ha poco osso e quindi andrebbe sottoposto a una tecnica di rigenerazione, per stringere su tempi e costi, potrebbe essere saltato questo passaggio fondamentale, realizzando però ugualmente l’impianto. Un altro esempio può essere quello dell’estetica. Quest’ultima non è soltanto una questione di applicazione delle fac-

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Edoardo Giacometti • ODONTOIATRIA

La strategia del low cost è risolvere frettolosamente il problema sul momento, con l’effetto, spesso, di generare grossi problemi nel medio periodo cette. Al contrario, di base dovrebbe esserci uno studio su come ristabilire al meglio l’armonia della bocca. Quindi entrano in gioco molte voci, come il biotipo gengivale o lo spessore della gengiva. Insomma, anche l’intervento estetico va inserito in un contesto. Purtroppo spesso non funziona così e paradossalmente saltare un passaggio analitico non fa risparmiare. Anzi, perché fatta un’analisi approfondita prima, è difficile che poi si debba correggere l’intervento». A proposito della sua attività di ricerca, quali sono le caratteristiche del nuovo sistema implantologico? «Tutti gli impianti, dopo circa sei mesi, tendono a perdere l’osso crestale a livello della base dell’impianto (circa mezzo millimetro). Questo rappresenta ovviamente un fattore di rischio. Sono quindi intervenuto disegnando un nuovo tipo di impianto che grazie alla sua forma, elaborata tenendo conto dei fattori biomeccanici, impedisce il riassorbimento dell’osso a livello dell’impianto. I risultati di questo lavoro, che ha coinvolto molti dentisti italiani, è in fase di pubblicazione, però è già stato presentato in diversi congressi e ha dimostrato la sua validità in oltre 400 impianti inseriti».

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Come si affronta un impianto in caso di scarsità di osso? «In pazienti che altrimenti non potrebbero essere sottoposti al trattamento di riabilitazione, prima dell’impianto va necessariamente incrementato l’osso. È una tecnica che ancora non tutti i dentisti praticano e per questo, oltre alla professione e alla ricerca, svolgo attività didattica a livello nazionale per fare formazione sulle tecniche di ricostruzione dell’osso. Questa attività formativa è naturalmente figlia della mia attività di ricerca e collaborazione con le aziende che sviluppano nuove tecnologie». Qual è il riscontro che ha dalle platee dei colleghi? «Esiste un grande interesse al rinnovamento delle competenze. Tuttavia le curve di apprendimento in queste tecniche sono molto lunghe e quindi è importante fare molti interventi e bene. Personalmente, dal 1987 a oggi, ho realizzato circa 8mila impianti e questo mi ha portato a essere in grado di formare anche altri professionisti. E sono riuscito a fare così tanti interventi anche perché ho sempre mantenuto delle tariffe mediobasse a fronte di un elevato livello qualitativo. Questa scelta forse mi ha fatto guadagnare meno, ma mi ha permesso di crescere professionalmente».

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ODONTOIATRIA • Claudio Cortesini

IL SISTEMA CEREC, LA VERA INNOVAZIONE di Renato Ferretti

l futuro della professione sta andando verso l’innovazione computerizzata, con tecniche sofisticate che permettono all’odontoiatra di ridurre i tempi di lavorazione e dare sicurezza e successo al lavoro svolto». A parlare è l’ex presidente della Commissione Odontoiatri di Roma, il dottor Claudio Cortesini, la cui analisi di settore tocca anche il profilo economico. I due aspetti sono almeno in parte connessi: al contrario di quel che si può pensare, infatti, le nuove tecnologie permettono

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Il dottor Claudio Cortesini, medico-chirurgo odontoiatra il cui studio si trova a Roma studiocortesini@studiocortesini.it

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CLAUDIO CORTESINI SPIEGA RISVOLTI E IMPLICAZIONI DELLE TECNOLOGIE PIÙ AVANZATE ORA A DISPOSIZIONE DEI DENTISTI, NON SOLO IN TERMINI TERAPEUTICI MA ANCHE DI RISPARMIO ECONOMICO

anche un risparmio. «L’intento – spiega Cortesini – è di offrire prestazioni odontoiatriche a livelli superiori rispetto al passato e a costi contenuti: con la moderna odontoiatria possiamo fare interventi meno invasivi, più sicuri e in tempi brevi». A quale tecnologia si riferisce in particolare? «La radiologia digitale (3D) ci dà la possibilità di fare una diagnosi corretta, questo ci permette di eseguire interventi sul paziente con sicurezza. La novità assoluta è rappresentata dall’acquisizione delle immagini attraverso un sistema (Cerec) il quale ci permette di prendere impronte digitali con un’acquisizione perfetta. Questo offre la possibilità di fare una protesi direttamente in studio in pochi minuti, (possiamo fare la ricostruzione di un dente cariato prima togliendo la parte malata, per poi fotografarla digitalmente ricostruendolo in modo perfetto la parte mancante del dente). Se invece dobbiamo fare una terapia canalare a un dente parzialmente distrutto, possiamo ricostruirlo completamente con lo stesso sistema facendo nella stessa seduta una corona estetica in circa 30 minuti. In alcuni casi più complessi, possiamo trasferire le immagini

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Claudio Cortesini • ODONTOIATRIA

La novità assoluta è rappresentata dall’acquisizione delle immagini digitali attraverso un sistema (Cerec), con cui prendere le impronte

acquisite in studio, a un laboratorio odontotecnico. Prima dovevamo prendere l’impronta e aspettare che il laboratorio realizzasse la protesi. Adesso non esiste più quel problema e in dieci minuti fotografiamo la parte che ci interessa da ricostruire (intarsi), e la realizziamo grazie al sistema Cerec». Un’innovazione che garantisce più di un vantaggio. «Praticare un’odontoiatria assistita dal digitale significa creare valore aggiunto stando al passo con i tempi. Per cambiare bisogna adeguarsi e rifornirsi di queste nuove strutture tecnologiche facendo un adeguato investimento. Inoltre, questa tecnica è apprezzata dai pazienti perché oltre a essere un sistema innovativo e moderno, permette di risolvere il tutto in una singola seduta. Questo sistema, in pratica, riduce i tempi e i costi evitando di utilizzare leghe preziose, utilizzando materiali resistenti e altamente estetici, più adatti a simulare il dente naturale». A suo parere quale novità si imporrà

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nel prossimo futuro? «Il futuro sarà l’implantologia guidata. Possiamo vedere i denti e la bocca in 3D e intervenire senza creare complicazioni, potremmo misurare il diametro e la lunghezza dell’impianto. La radiologia digitale trasferisce al Cerec i dati e le informazioni, che preparerà una mascherina chirurgica pronta per guidarci a inserire gli impianti. Il tutto senza dover sempre incidere sui tessuti gengivali, quindi senza suture, con una guarigione immediata senza complicanze». Nonostante questo, si registra un sensibile aumento della richiesta alle Asl rispetto agli ambulatori privati. Che tipo di intervento auspica dalle istituzioni? «Il discorso è politico e amministrativo, le Asl potrebbero funzionare meglio. Dal mio punto di vista dovrebbero essere previste tre fasce, in modo che il ticket sia commisurato al reddito. Oggi si paga un ticket di trenta euro circa, che spesso non va a coprire neanche i costi, ma lo può fare chiunque, anche chi dispone di un reddito elevato».

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ODONTOIATRIA • Domenica Bozzi ed Elio Marinaro

OCCLUSIONE E POSTURA, L’INTERRELAZIONE di Matteo Grandi

ottenimento del massimo confort occlusoposturale deriva da un connubio di mezzi e tecniche all’avanguardia, ma anche dall’unione d’interventi odontoiatrici multidisciplinari. I disordini posturali a seguito di un’occlusione sono infatti quadri patologici molto frequenti e non solo in età pediatrica. «A un’epidemiologia piuttosto elevata - spiega la dottoressa Domenica Bozzi che insieme al dottor Elio Marinaro opera presso il proprio studio odontoiatrico a Bari - spesso seguono sia un inquadramento diagnostico incompleto, sia un

L’

La dottoressa Domenica Bozzi e il dottor Elio Marinaro. Insieme operano presso il proprio studio odontoiatrico in Bari. Nella pagina accanto, l’esecuzione di un esame sulla pedana posturo-stabilometrica studiomarinarobozzi@andinet.it www.studiomarinarobozzi.it

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L’IPOTESI CHE UNA MALOCCLUSIONE POSSA RIPERCUOTERSI SULL’EQUILIBRIO POSTURALE È AVVALORATA DA MOLTE TESI. PER QUESTO IL RUOLO DEL DENTISTA DIVENTA BASILARE. LA PAROLA A DOMENICA BOZZI ED ELIO MARINARO

trattamento piuttosto sommario. Ne consegue che molti casi “borderline” non vengono approfonditi e molti altri sono addirittura considerati nell’ambito della normalità». Molto spesso è proprio il contributo interpretativo del dentista a mancare. «Il dentista – spiega il dottor Marinaro può svolgere un ruolo determinante nel sottolineare piccoli difetti distrettuali che potrebbero essere considerati, se scorporati dal quadro generale, insignificanti o “normali”. L’ipotesi che una malocclusione possa ripercuotersi sull’equilibrio posturale è avvalorata dall’esistenza di rapporti anatomici e funzionali intimi tra cranio, mandibola, muscoli masticatori, vertebre cervicali e sistema nervoso. Basta osservare inoltre il decorso clinico e la risposta terapeutica delle alterazioni psico-fisiche che possono accompagnare problematiche a carico della colonna vertebrale e degli arti, cefalee ed emicranie, disturbi visivi, otalgie, acufeni e vertigini, parafun-

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Domenica Bozzi ed Elio Marinaro • ODONTOIATRIA

Il dentista svolge un ruolo determinante nel sottolineare piccoli difetti che potrebbero essere considerati insignificanti

zioni (serramento notturno, bruxismo, deglutizione atipica) e affaticamento psicofisico», nonché la frequente sovrapponibilità dei risultati ottenuti mediante metodiche strumentali, fra le quali la pedana posturostabilometrica computerizzata occupa un ruolo di primaria importanza. È importante in ogni caso sottolineare come l’assenza di sintomatologia in un soggetto con malocclusione non escluda la presenza di alterazioni posturali. «In questi casi – riprende la dottoressa Bozzi - le alterazioni possono venir evidenziate da un attento esame clinicostrumentale. Le problematiche occlusali associate a disordini posturali di più frequente riscontro sono le malocclusioni scheletriche, le latero-deviazioni mandibolari, la deglutizione atipica e il bruxismo; alcune di esse non sempre sono primarie, ma indotte da trattamenti odontoiatrici errati. In ogni caso, l’ortodontista che corregge la sola malposizione dentale, si comporta come l’ortopedico che pretende di correggere gli atteggiamenti scoliotici o il cedimento dell’arco plantare senza domandarsi se stia davvero rimuovendo una patologia o piuttosto sottraendo al paziente un’indispensabile sistema di compenso». Nei soggetti con problematiche occlusali è importante pertanto compiere un corretto iter diagnostico. «Si parte – spiega il dottor Marinaro - con un’anamnesi generale e seguono un’anamnesi stomatognatica, un esame intraorale, un esame occlusale, statico e dinamico, un esame posturale, prove semeiologiche, esami strumentali prettamente correlati alle problematiche occlusali ed esami strumentali per la valutazione della postura». Nell’iter diagnostico è comunque fondamen-

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tale una collaborazione reciproca, a seconda dei casi, tra vari specialisti. «A seconda dei casi – sottolinea la dottoressa Bozzi - è necessaria la cooperazione tra l’ortodontista, lo gnatologo, il protesista, l’implantologo, il parodontologo, l’endodontista nonché il pediatra, l’ortopedico, il fisiatra, il fisioterapista, l’osteopata, l’oftalmologo, l’otorinolaringoiatra, il vestibologo, il logopedista e lo psicologo che operino nel rispetto reciproco delle proprie competenze. Da un punto di vista strettamente ortodontico la terapia si avvale dell’impiego di bite e di apparecchi ortodontici. Il posizionamento di un bite di svincolo rappresenta spesso il primo momento terapeutico. Esso, oltre a ridurre e spesso eliminare la sintomatologia clinica del paziente, riesce a riprogrammare la corretta postura mandibolare in previsione di una successiva stabilizzazione dell’occlusione con gli altri mezzi definitivi». Un altro valido supporto è rappresentato dal trattamento rieducativo posturale globale. «Quest’ultimo – conclude il dottor Marinaro - laddove vi siano chiari rapporti occluso-posturali, deve sempre precedere e/o affiancare una riabilitazione orale, avvalendosi d’interventi odontoiatrici multidisciplinari per l’ottenimento di risultati ottimali».

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ODONTOIATRIA • Cesare Oppici

MASTICAZIONE ERRATA E PROBLEMI DI POSTURA L’OCCLUSIONE INFLUISCE SUL RESTO DELL’ORGANISMO. CESARE OPPICI SPIEGA IL RUOLO DELLA FISIODINAMICA OCCLUSALE PER LA DIAGNOSI E LA TERAPIA DI NUMEROSI DISTURBI di Luca Càvera

siste una scarsissima informazione sulla correlazione fra molti disturbi e le incongruenze della fisiodinamica occlusale, ovvero le malocclusioni fra le arcate dentali e la conseguente cattiva masticazione. Questi disturbi possono essere rappresentati da emicranie, dolori cervicali, otiti, problemi al rachide, lombosciatalgia, plantare, sindrome di Ménierè, problemi digestivi. Come spiega il dottor Cesare Oppici, odontoiatra specializzato in protesi dentale, chirurgia orale, implantologia e ortogna-

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Il dottor Cesare Oppici svolge servizio ambulatoriale nei due studi di Mantova e Castiglione delle Stiviere (MN) cesare.oppici@libero.it

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todonzia: «Non c’è sufficiente coscienza del ruolo che l’allineamento fra le arcate ha nella postura e nell’equilibrio della colonna vertebrale, che a sua volta ha effetti su tutti gli organi. E l’effetto di questa inconsapevolezza è che spesso si ricorre a rimedi che tamponano momentaneamente i sintomi, ma che non risolvono assolutamente le cause». Perché è così difficile mettere in relazione i problemi del cavo orale con queste manifestazioni sintomatiche? «Perché le manifestazioni sono multiple e spesso l’individuazione della causa nella masticazione non è immediata. L’ortognatodonzia, come pratica ortodontica, esiste da tempo, ma solo negli ultimi anni si è potuto scoprire quante problematiche e patologie collaterali possono accompagnare una malocclusione. Quindi molti pazienti risentono oggi di problemi masticatori trascurati, o meglio, ignorati anche per decenni. Anche per questo motivo è fondamentale la collaborazione fra più specialisti: neurologo, internista, ortopedico, posturologo, fisiatra, otorino». In che modo si riesce a diagnosticare un problema connesso con una malocclusione? «Come diagnosi, per individuare una malocclusione, in primis c’è un’esame clinico, al quale segue un esame radiologico (ortopantomografia e teleradiografia latero-laterale) e, se necessario, quasi sempre si procede con una stabilometria posturale, tecnologia di ultima generazione. Questa consiste in una pedana stabilo-metrica che permette di verificare l’equilibrio del rachide (colonna vertebrale) e di tutte le articolazioni annesse e di individuare pro-

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Cesare Oppici • ODONTOIATRIA

La pedana stabilo-metrica permette di capire se il paziente ha problemi posturali che possono dipendere da una malocclusione blemi che potrebbero dipendere dalla masticazione errata. Si prosegue poi con il Sensor T-scan che, attraverso la sollecitazione delle due arcate dentarie, con aperture e chiusure veementi, attraverso il computer stabilisce se ci sono dei deficit masticatori. Da una loro analisi è poi possibile capire come intervenire». Quali sono le terapie? «Nel caso in cui i denti siano perfettamente sani (senza carie né gengiviti), si può intervenire con degli apparecchi ortodontici di natura fissa – i mobili hanno un’applicazione limitata e transitoria. Queste apparecchiature fisse, portate per un periodo stabilito, in rapporto al tipo di anomalia, hanno lo scopo di raddrizzare i denti laddove ci sono le cosiddette anomalie alveolodentali. Le anomalie possono essere di vari tipi: protrusione inferiore (avanzamento mandibolare), e latero-deviazioni (avanzamento troppo evidente dell’arcata superiore rispetto all’arcata inferiore). Per questo ogni paziente è un caso a sé e va studiato nella sua specificità. Anche i controlli periodici variano in base

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alla situazione patologica: si va da uno standard di un controllo mensile fino a controlli settimanali». Come si interviene nei casi di pazienti più maturi? «Il consiglio è di effettuare anche una Tac (Tomografia Assiale Computerizzata), con la quale, accertata un’anomalia, laddove si prevede la difficoltà o l’impossibilità di arrivare al risultato soltanto con gli apparecchi ortodontici, si può procedere anche con un intervento di chirurgia maxillo-facciale. Un esempio è quella che viene definita terza classe scheletrica secondo Angle, cioè un avanzamento dell’arcata inferiore sostenuto più del dovuto. In questo caso, previa installazione di apparecchio ortodontico, si interviene chirurgicamente. La finalizzazione, infatti, consiste in un intervento chirurgico che elimina l’eccesso di osso dalla mandibola (sagittale) per riallineare le arcate. Altro caso di intervento chirurgico necessario è quello in cui il mascellare superiore presenta un avanzamento maggiore rispetto alla mandibola. Qui si applica la tecnica chirurgica di tipo Le Fort».

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ODONTOIATRIA • Alberto Calderoli

CURARE LA PERSONA E NON SOLO I SUOI DENTI di Renato Ferretti I DENTI SI ROVINANO QUANDO SIAMO SOTTOPOSTI A UN CRESCENTE CARICO DI STRESS E DIGRIGNIAMO TROPPO. SECONDO ALBERTO CALDEROLI, NELLA CURA NON SI PUÒ CONSIDERARE SOLO L’ORGANO OGGETTO DEL SINTOMO, MA IL PAZIENTE NEL SUO COMPLESSO PSICOEMOTIVO

denti non servono solo per masticare e parlare. C’è un’altra funzione, dominante: scaricare lo stress». È solo un esempio tra quelli che il dottor Alberto Calderoli, odontoiatra di Bergamo, può fare seguendo una visione diversa della stessa disciplina. Ma basta forse per intuire l’ampiezza delle conclusioni cui si può giungere con un approccio olistico legato all’odontoiatria. Il dottor Calderoli spiega i Il dottor Alberto Calderoli, il cui studio si trova a Bergamo vantaggi che si possono trarre dralbertocalderoli@libero.it dalla nuova impostazione. «Per esercitare un’odontoiatria effi-

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cace, meno invasiva possibile, economicamente sostenibile e soprattutto stabile nel tempo bisogna considerare il paziente nel suo insieme di corpo, mente e spirito, e non solo l’organo oggetto del sintomo. Per questo, nell’esempio dei denti, è importante riflettere anche sul carico di stress cui sono sottoposti e rendere le persone consapevoli della funzioni dell’organo masticatorio (dottor Slavicek). Come nelle altre manifestazioni patologiche, infatti, il corpo è lo specchio del nostro equilibrio emotivo, spirituale e fisico: tutto questo ora è scientificamente comprensibile con le scoperte della Fisica quantistica, la Psico-neuroendocrinoimmunologia e l'Epigenetica». Nel caso specifico dei denti, come influisce l’emozione negativa? «Mentre mastichiamo, parliamo, deglutiamo o esprimiamo emozioni i denti sono appena sfiorati, quindi non subiscono traumi particolari, non si rompono o consumano. Il problema insorge quando digrigniamo inconsciamente per scaricare stress, sia di notte che di giorno. Quest’azione è fisiologica e permette di liberare sostanze (endorfine) mentre il cervello rielabora i pensieri in sospeso (esperienze non ancora terminate). Quando si sviluppano sintomi o segnali dentali, come ipersensibilità, abrasioni, sbeccature, indolenzi-

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Alberto Calderoli • ODONTOIATRIA

menti, dolori e scatti articolari, tensioni muscolari e mal di testa, significa che siamo troppo stressati emotivamente e digrigniamo troppo. Sia ben chiaro che questo, chiamato bruxismo, non è una malattia, è il fantastico segnale del corpo per renderci consapevoli di disagi emotivi da elaborare». Come si può intervenire? «In associazione alle consuete terapie odontoiatriche del caso ci sono due possibili soluzioni. La prima odontoiatrica è di proteggere denti e articolazioni temporomandibolari utilizzando un bite per distribuire il sovraccarico su più denti possibile. La seconda, molto più efficace e di enorme soddisfazione per tutti, è di considerare il paziente con un approccio olistico, in modo da poterlo aiutare a prendere coscienza di come riportare il livello di stress al minimo. La società oggi spinge le persone a pensare di comprare anche la salute, in realtà basta solo conoscere come funzioniamo per guarire e mantenersi in salute, è necessario assumersi la responsabilità della propria salute, non delegarla ad altri». Quindi bisognerebbe spostare l’attenzione sull’aspetto emotivo del paziente? «Recentissime ricerche epidemiologiche mondiali hanno evidenziato come dal 70 al 90 per

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Ipersensibilità, abrasioni o sbeccature, con tensioni e mal di testa, derivano dal fatto che siamo troppo stressati e digrigniamo troppo i denti cento delle malattie (sistema immunitario, tumori, patologie psichiche e degenerative croniche) siano causate da stress emotivo. La medicina e l'odontoiatria sono arrivate a poter ricostruire quasi ogni organo, ma resta ancora costante l'idea che le patologie siano il problema da risolvere e che il paziente è “più o meno sbagliato e quindi lo si debba aggiustare” con un intervento esterno. Come dimostra, invece, lo studio della ricercatrice Candice Pert, le emozioni negative o positive che proviamo provocano la liberazione di neuro peptidi che fanno ammalare o guarire le cellule. Un esempio di quanto già evidente per la metamedicina e la medicina cinese: le malattie o disfunzioni sono la manifestazione precisa di un disagio interiore della persona, non sono il problema da curare ma la sua manifestazione. Questo tipo di approccio ha una rilevanza notevole a livello sociale per un benessere collettivo, con un abbassamento di costi sanitari per i pazienti».

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IMPLANTOLOGIA • Ermanno Davide Perin

IL PROGRESSO DIGITALE di Remo Monreale

aratteristiche software votate all’esattezza, in cui non ci sarà più posto per l’errore umano. Ecco il prossimo scenario dell’odontoiatria. Ma non è l’unico fattore a distinguere il progresso digitale già in corso all’interno della disciplina. Finora le tecniche implantologiche rappresentano l’area d’intervento tecnologicamente più avanzata, come spiega il dottor Ermanno Davide Perin, dello studio dentistico Perin-Sernagiotto di Montebelluna (TV). «L’implantologia – precisa Perin – è l’insieme delle diverse tecniche curative per il ripristino delle funzioni masticatorie, mediante perni, chiamati appunto impianti, in-

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Il dottor Ermanno Davide Perin, dello studio dentistico Perin-Sernagiotto di Montebelluna (TV) www.studiodentisticoperinsernagiotto.it perinermanno@tiscali.it

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ERMANNO DAVIDE PERIN SULLE NUOVE TECNICHE DISPONIBILI E QUELLE CHE PRESTO SI AFFERMERANNO. «LA SIMULAZIONE AL COMPUTER RAPPRESENTA UN VANTAGGIO, NON SOLO PER LA PRECISIONE»

seriti nelle ossa mascellari o mandibolari. L’avanguardia scientifica odierna è rappresentata dalla tecnica della chirurgia computer assistita, con la quale, tramite software specifici, si pianifica l’inserimento degli impianti. In questo modo è possibile prevedere meglio l’aspetto estetico del singolo caso: su questo piano, sono possibili accortezze altrimenti non così precise. Inoltre, è una tecnica che rende gli interventi più sicuri, perché le zone delicate sono protette dall’esattezza garantita dalla simulazione al computer. Bisogna considerare come ulteriore beneficio la riduzione dei tempi durante l’intervento e soprattutto un post chirurgico molto meno traumatico in quanto l’inserimento dell’impianto avviene per via transmucosa senza eseguire grossi tagli sulla gengiva. Infine, l’operazione di implantologia non ha limiti d’età e si deve evitare solo in caso di patologie particolari». La sequenza dei passaggi necessari all’intervento dà un’idea più della precisione delle operazioni. «Io uso il sistema Sky plan x della Bredent – dice Perin –. Sul suo software, viene caricata una tac precedentemente eseguita dal paziente in un centro radiologico, con una dima radiologica che gli è stata fatta preparare in studio. Una volta caricati i dati sul software si ottiene la visualizzazione dell’immagine tridimensionale, da questa si sviluppa la pianificazione dell’inserimento degli impianti. La

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Ermanno Davide Perin • IMPLANTOLOGIA

La simulazione tridimensionale della tecnica computer guidata rende gli interventi più sicuri prima considerazione da fare è che i punti in cui s’intende intervenire devono presentare caratteristiche ossee che consentano l’intervento stesso. Gli impianti sono messi in funzione laddove verrà costruito l’apparato protesico: grazie al software ci si assicura un’esattezza altrimenti poco predicibile. Quindi possiamo inserire l’impianto visualizzato tridimensionalmente con l’inclinazione, l'altezza, il diametro dove è presente l’osso e la posizione dove sarà applicata la protesi, il ponte o il circolare. Infatti, oltre la pianificazione implantare è possibile eseguire anche una pianificazione protesica dalla quale si sviluppa prima un provvisorio e successivamente la protesi definitiva. Nel caso di una protesi totale, per esempio, se l’osso lo consente, il paziente può andare a casa in giornata con i denti fissi, anche se provvisori: quello che viene chiamato carico immediato. Dopo tre mesi, il tempo necessario per l'osteointegrazione dell'impianto, si può procedere all'esecuzione della protesi definitiva. Un altro vantaggio è la relazione con i pazienti. Grazie alla visualizzazione tridimensionale della mandibola, infatti, posso mostrare al paziente dove si può o non si può eseguire l'intervento implantare e di giustificare laddove siano necessarie rigenerazioni ossee». Questa tecnica si può usare nella gran parte

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dei casi clinici e quelle possibili sono molto varie. «Per esempio – continua il dottor Perin – nei settori posteriori e inferiori si possono mettere degli impianti in una posizione che eviti la rigenerazione ossea come nella tecnica “Fast & Fixed”. Esistono molte possibilità protesiche fisse ancorate sugli impianti, come le protesi totali in resina fissa, in metallo-ceramica oppure il Bio HPP materiale di ultima generazione, con valori di flessibilità ed elasticità paragonabili all'osso umano. Bisogna rilevare che, nel caso di una buona pianificazione, il risultato finale sarà migliore sia esteticamente sia per la longevità. Infatti, posizionando gli impianti nel modo più corretto, si garantisce una minore sollecitazione ed una distribuzione migliore del carico masticatorio: un aspetto fondamentale per la durata dell’impianto stesso». Il futuro dell’odontoiatria è digitale, su questo pochi dubbi. «Noi investiamo molto in tecnologia – conclude Perin –: abbiamo in programma di acquisire un macchinario per le impronte digitali. Il nuovo strumento abbatterebbe i costi sia per noi sia per il paziente. Prendere un’impronta risulterebbe molto meno fastidioso, e anche in questo caso ne gioverebbe la precisione. Siamo ancora agli albori della tecnologia, ma di anno in anno si fanno molti passi avanti».

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IMPLANTOLOGIA • Marco Lombardi

LA TECNOLOGIA SEMPLIFICA LA RIABILITAZIONE di Valerio Maggioriano SI ACCORCIANO I TEMPI DI RECUPERO DOPO LA RIABILITAZIONE IMPLANTARE. MARCO LOMBARDI RIASSUME I VANTAGGI DELL’APPLICAZIONE DELLE NUOVE TECNOLOGIE. SOMMATI ALL’ESPERIENZA DEL CLINICO

egli ultimi anni, la riabilitazione implantare ha avuto una notevole evoluzione, sia a livello medico sia nell’immaginario dei pazienti. Questi ultimi, sempre più spesso, auspicano e chiedono ai professionisti una riabilitazione della funzione masticatoria con impianti osteo-integrati. E come spiega il dottor Marco Lombardi dell’omonimo studio dentistico di Milano: «Questa soluzione chirurgico-protesica può essere adottata per riabilitare la quasi totalità dei pazienti che ha perso uno o più elementi dentali. Nello specifico possiamo riabilitare elementi dentali persi per traumi e fratture, possiamo ripristinare interi settori andati persi per malattia parodontale, nonché riabilitazioni totali». Nel suo studio dentistico completamente digitalizzato, il dottor Lombardi, affiancato da collaboratori e specialisti in ortognatodonzia e chirurgia maxillo-facciale, affronta tutte le patologie del cavo orale. «Ci siamo attrezzati con una moderna piattaforma software per lo studio tridimensionale Il dottor Marco Lombardi delle Tac, consentendo un’efficace dell’omonimo studio dentistico di Milano programmazione degli interventi chiwww.studiomarcolombardi.it rurgici e risolvendo casi solo qualche anno fa difficilmente affrontabili».

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Quando è necessaria la riabilitazione totale? «Nei casi in cui sia sopravvenuta la perdita di un’intera arcata dentaria. Questa perdita è la somma di vari fattori sovrapposti e protrattasi per molti anni, che spesso hanno portato il paziente alla protesi totale mobile come riabilitazione protesica iniziale, protesi oggi socialmente meno accettata e pertanto sempre più spesso sostituta con una protesi fissa, sostenuta da impianti osteo-integrati». In che modo, nello specifico, avviene la riabilitazione dentale? «La riabilitazione del dente perso si compone di due fasi. Una prima fase chirurgica in cui si innesta l’impianto nel mascellare superiore o inferiore del paziente. E una seconda fase protesica, in cui si costruisce l’elemento dentale che andrà ancorato in modo stabile all’impianto stesso. Il tempo che intercorre tra le

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Marco Lombardi • IMPLANTOLOGIA

due fasi è variabile in base al caso da affrontare, alle condizioni cliniche del paziente e alla soluzione protesica scelta dal professionista». Le innovazioni tecnologiche hanno migliorato questo tipo di intervento? «L’evoluzione di questa soluzione riabilitativa è stata ulteriormente migliorata dall’utilizzo del Pc e delle Tac digitali nella progettazione ed esecuzione di tutte le fasi terapeutiche. I vantaggi che ne sono derivati sono numerosi e notevoli, sia per il professionista sia per il paziente. In particolare la progettazione al Pc, con l’ausilio di software specifici certificati, ci permette di progettare l’intervento e il posizionamento degli impianti in modo più efficace in relazione alla protesi finale e all’osso residuo del paziente. Ciò riduce i tempi dell’intervento, la necessità di ricorrere a innesti e rigenerazioni ossee, incidendo positivamente sui costi e sui tempi di guarigione del paziente». Quanto tempo può durare un intervento di implantologia osteo-integrata? «La tecnologia e la confidenza sempre più specifica con i protocolli chirurgici hanno ridotto notevolmente i tempi di intervento, tanto che possono dire che, nella mia esperienza clinica, per impianti semplici, si può arrivare a interventi della durata di mezz’ora. In ogni caso,

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L’utilizzo del Pc e delle Tac digitali permette di progettare l’intervento in maniera più efficace e ridurre notevolmente i tempi di esecuzione ciò dipende dall’esperienza chirurgica del clinico e dalla possibilità di simulare più e più volte il medesimo intervento, analizzando fasi e difficoltà prima che si presentino, riducendo nel contempo errori e tempi di esecuzione». Concluso l’intervento, dopo quanto si può riprendere una masticazione normale? «In molti casi a poche ore dall’intervento, con alcuni accorgimenti in funzione del settore riabilitato, del numero di denti sostituiti e delle condizioni iniziali del paziente. Sicuramente bisognerà seguire una terapia farmacologica di supporto per evitare eccessivi edemi e infezioni. Inoltre, la zona interessata dovrà essere funzionalmente lasciata a riposo per un periodo che va da poche ore a sei settimane, per poi essere progressivamente sollecitata fino alla completa osteo-integrazione che avviene generalmente nell’arco di quattro mesi».

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IMPLANTOLOGIA • Sergio Squarzoni

È FINITA L’ERA DELLA DENTIERA MOBILE UNA SOLUZIONE DURATURA, SICURA E CON POCHI RISCHI PER RISOLVERE I PROBLEMI LEGATI ALLE PROTESI omplice l’allungamento medio della vita, MOBILI. AD APPROFONDIRE sempre più persone utilizzano protesi mo- LE TEMATICHE IMPLANTOLOGICHE bili. Uno dei problemi più diffusi, a tal È SERGIO SQUARZONI

di Matteo Grandi

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proposito, è “tenere fissa la dentiera”. «Le protesi mobili o dentiere – spiega il dottor Sergio Squarzoni - non sono più la soluzione corretta per chi ha perso tutti i denti. Non essendo fisse possono provocare notevoli disagi: dolori, difficile masticazione, difficoltà nel parlare, imbarazzo nel relazionare con altre persone. Oggi l’evoluzione dell’implantologia osteointegrata rappresenta la soluzione più appropriata per risolvere questi problemi». Grazie all’esperienza acquisita, ormai ultraventennale, nell’implantologia moderna secondo le tecniche di Branemark, il dottor Squarzoni è in grado di risolvere casi complessi di tipo chirurgico-protesico ed estetico, avvalendosi anche della Il dottor Squarzoni, medico chirurgo odontoiatra, specialista in implantologia (docente per il master di implantologia presso l’università di Padova). Lo studio si trova a Fontane di Villorba (Treviso) s.squarzoni@libero.it

tecnica di chirurgia guidata al computer senza tagliare la gengiva (flapless). In che maniera l’implantologia, e in particolare la tecnica da lei utilizzata, risolve alla radice questi problemi? «Sono disponibili varie soluzioni mirate per rendere stabili e confortevoli le protesi mobili, o dentiere. Nella mandibola bastano solo 2 impianti (Overdenture) per poter ancorare la protesi mobile alla gengiva (osso); nel mascellare necessitano invece 4 impianti, poiché l’osso è più tenero. Questi vengono collegati con una barra e la protesi (dentiera) viene ancorata con delle clips, fornendo un supporto molto stabile ed evitando l’ingombro del palato. Tutto ciò consente una masticazione più funzionale ripristinando la sensazione del gusto». Quale iter segue il paziente che decide di optare per la sua soluzione? «L’intervento è molto semplice ed è eseguito in anestesia locale come una semplice estrazione dentaria. Finito l’intervento chirurgico verranno prescritti dei farmaci antinfiammatori e analgesici per il dolore post-operatorio assieme a una terapia antibiotica. Per i pazienti ansiosi o che assumono farmaci salvavita, l’intervento viene fatto in sedazione cosciente con l’aiuto di un professionista anestesista che controlla costantemente i parametri vitali del paziente. Cosa molto importante è il controllo della sterilizzazione dei materiali e degli operatori. Per questo l’intervento viene eseguito in una sala chirurgica opportunamente predisposta».

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Sergio Squarzoni • IMPLANTOLOGIA

L’intervento è molto semplice ed è eseguito in anestesia locale come una semplice estrazione dentaria

È sempre possibile fare implantologia? «Ogni paziente deve essere visitato attentamente, ma importante è la presenza di una quantità di osso sufficiente per poter inserire un impianto. Per avere una valutazione esatta bisogna avvalersi di immagini radiografiche (endorali, ortopantomografie e tac). Il paziente non deve essere affetto da malattia parodontale (piorrea) in fase attiva ed è stato dimostrato scientificamente che i fumatori possono andare incontro a un fallimento. Altra condizione è che il paziente non sia affetto da patologia sistemica tipo diabete o malattie del sangue o terapie antitumorali in corso». Nel caso vi sia un’insufficiente quantità di osso è possibile fare una chirurgia implantologica? «Quasi sempre, in quanto abbiamo a disposizione varie tecniche rigenerative e biomateriali per poter sostituire l’osso mancante. L’utilizzo dell’innesto di osso autologo (gold standard) e dell’osso di banca ci permette di inserire degli impianti anche in zone critiche». Dopo quanto tempo dall’intervento chirurgico

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si possono utilizzare gli impianti per ripristinare gli elementi dentari? «Per caricare gli impianti, in generale, si attende 2 mesi nell’arcata inferiore e 3 o 4 mesi per l’arcata superiore. Oggi grazie alla diagnostica 3D pre implantare e la chirurgia computerizzata si possono inserire gli impianti senza tagliare la gengiva (flapless) e poter inserire una protesi immediatamente nella stessa giornata dell’intervento». Quali sono i rischi e le complicanze dell’intervento implantologico? «Effettuando una precisa diagnosi con l’ausilio di radiografie e tac, i rischi e le complicanze locali sono assai ridotte. Sicuramente ogni intervento chirurgico viene valutato correttamente secondo le condizioni di salute generale del paziente. Raramente si verifica un fallimento implantare ovvero una mancata osteointegrazione dell’impianto, dovuta a cause molteplici e non prevedibili. La letteratura documenta un fallimento dal 2 al 3 per cento. Se un impianto fallisce, a guarigione avvenuta (2-3 mesi) si posiziona un nuovo impianto nello stesso sito».

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MALATTIE DEL CAVO ORALE • Gianfranco Favia

LA BOCCA, INDICATORE DI PATOLOGIE SISTEMICHE di Luca Càvera

a diagnosi precoce delle malattie della bocca (oncologiche e non) garantisce una buona prognosi e una percentuale di guarigione che, nei casi di cancro in fase iniziale, supera il 90 per cento, e consente inoltre, di intervenire con terapie meno aggressive e a bassa invasività. «Le malattie del cavo orale sono possibili campanelli di allarme per patologie maggiori. Per questo motivo il paziente affetto da problemi odontostomatologici va consiA destra, il professor Gianfranco Favia derato nella sua complessità e di Bari. Nella pagina accanto, questo permette spesso di scomalformazione vascolare della guancia prima e dopo il trattamento prire per tempo problematiche

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di fotocoagulazione laser www.faviagianfranco.it cmedoraldisease@gmail.com

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FORMULARE UNA DIAGNOSI SALVAVITA DALL’ESAME OBIETTIVO DEL CAVO ORALE. LA VISIONE DI GIANFRANCO FAVIA E LE TERAPIE LASER PER INTERVENTI A BASSA INVASIVITÀ

extra odontoiatriche». A portare avanti questa visione globale del paziente è il professor Gianfranco Favia, ordinario di Malattie Odontostomatologiche all’Università di Bari e direttore dell’unità operativa complessa di Odontostomatologia del Policlinico di Bari, già consigliere delle Società europea e italiana di patologia e medicina orale. «Qualsiasi patologia può avere riflessi sulla bocca, che non va intesa solo come denti, ma nella totalità delle sue strutture: lingua, guance, labbra e palato, tessuto osseo. Anche perché queste regioni possono essere coinvolte, in maniera diretta e indiretta, e spesso come prima manifestazione clinica di malattie che non sono proprie della bocca. Per esempio, ulcere sulla lingua portano alla diagnosi precoce di malattie con auto anticorpi muco-cutanee (pemfigo, lupus, lichen, psoriasi..)». Nel suo studio il professor Favia, utilizzando in modalità ambulatoriale tecnologie come il laser a diodo e il bisturi a radiofrequenza, affronta casi di malattie importanti delle mucose orali e delle ossa (mascella e mandibola) e la successiva riabilitazione odontoiatrica, che pone problemi tecnici e concettuali diversi rispetto all’odontoiatria ordinaria. «Nel campo

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Gianfranco Favia • MALATTIE DEL CAVO ORALE

Nel caso degli angiomi, il laser non intacca i tessuti sani e consente un decorso post operatorio più rapido e senza fastidi

delle malformazioni vascolari, un esempio è rappresentato dagli angiomi, che possono comparire sulle guance e sulla lingua e che colpiscono tutte le fasce di età. Fino a qualche anno fa, in questi casi, che interessano circa il 15 per cento della popolazione, si interveniva con terapie fastidiose e pericolose, chirurgiche o sclerosanti. Oggi, invece, è possibile arrivare alla guarigione con un paio di sedute di fotocoagulazione laser, senza toccare i tessuti e quindi non si operano tagli, e il decorso post operatorio è più rapido e senza dolore». Quello di cui si occupa Favia, però, non è la mera eliminazione dell’angioma, ma l’accertamento di eventuali altre patologie connesse in corso. «Un’alterazione della parete dei vasi può essere acquisita, o può essere il primo sintomo di una sindrome genetica a carico anche del cervello e di altri organi (polmone, rene, fegato). È opportuno quindi, in presenza di un angioma, eseguire sempre degli accertamenti sul sistema nervoso centrale e altri organi. Le applicazioni del laser non si limitano solo alla cura non invasiva delle malformazioni vascolari. «Oltre all’impiego senza contatto, come nella fotocoagulazione, il laser è efficace

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anche nel trattamento di patologie precancerose e cancerose della bocca. Per queste ultime si utilizza un laser chirurgico ad alta potenza, che come un bisturi taglia con emostasi, crea minori alterazioni nei tessuti, e ha un effetto selettivo che non danneggia altre strutture. In questo modo anche la guarigione è più rapida (fino al 40 per cento rispetto alla chirurgia tradizionale) e cala il rischio di un edema post operatorio». Il successivo intervento odontostomatologico presenta problemi specifici. «Dopo un’operazione di cancro alla mascella, bisogna riabilitare le arcate dentali, precedentemente demolite, lavorando quindi con impianti e protesi fisse e mobili per restituire al paziente sia la funzione che l’estetica della bocca. Si interviene con questi strumenti anche nella gestione di pazienti “a rischio” per problemi oncologici (chemioterapie), cardiologici (anticoagulanti), per terapie con antiepilettici e calcioantagonisti, oltre ai casi di pazienti affetti da malattie genetiche rare. In tutti questi pazienti con esigenze speciali (special needs), infatti, è indispensabile programmare terapie odontostomatologiche individuali e speciali».

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ODONTOTECNICA • Laboratorio Dental Line

CURA E LABORATORIO, LA SINERGIA ORIANO MORSANUTTO ESPONE IL VALORE E LE ATTUALI POSSIBILITÀ DELL’ODONTOTECNICA. «ALLA BASE C’È UNA MULTIDISCIPLINARITÀ CHE PERMETTE DI RISOLVERE OGNI SINGOLO CASO» di Remo Monreale

a maggior parte dei pazienti che entrano in uno studio dentistico non ne sono consapevoli, ma dietro le quinte delle cure più o meno complesse cui si sottopongono, lavorano figure il cui operato è indispensabile alla buona riuscita dell’intero processo. Quella tra odontotecnici e odontoiatri è una collaborazione molto stretta, uno scambio reciproco e fitto, che incide direttamente sulla qualità del servizio offerto ai pazienti. «Spesso il laboratorio diventa luogo di incontro dove analizzare e diLuciano Carnieletto, Giorgio Spizzamiglio, Lauro Moratti scutere i casi unendo le proprie e Oriano Morsanutto, titolari competenze». I titolari del labodel Laboratorio Dental Line di Udine ratorio Dental Line, si addendental_line@virgilio.it

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trano in un mondo del tutto sconosciuto a molti. «La nostra attività – spiega Oriano Morsanutto, alla guida del laboratorio insieme a Luciano Carnieletto, Giorgio Spizzamiglio, Lauro Moratti – riguarda la realizzazione di protesi fisse, mobili e su impianti. L’odontoiatra elabora per ogni paziente il piano di trattamento, analizza il caso e progetta le fasi successive in collaborazione con il laboratorio. Da ciò deriva che la nostra è una produzione che non può essere standardizzata: richiede differenti approcci a seconda dei casi a noi sottoposti. Per questo il laboratorio è provvisto di attrezzature per lavorazioni di precisione e ogni addetto è dotato di strumentazione di controllo per garantire la massima accuratezza di tutti i passaggi. Alla base della nostra multidisciplinarità vi è una conoscenza che ci permette di spaziare dall’implanto-protesi alle ceramiche estetiche in disilicato». Come avete affrontato il grande progresso del vostro settore negli ultimi anni? «Abbiamo continuato ad approfondire le nostre conoscenze attraverso corsi pratici e conferenze tenute congiuntamente da tecnici e medici. I costanti aggiornamenti ci hanno portato ad applicare protocolli di lavorazione che permettono al clinico di guada-

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Laboratorio Dental Line • ODONTOTECNICA

gnare tempo prezioso in studio e con minori disagi anche per i pazienti. Per noi dietro ogni lavoro c’è una persona, ognuna diversa, a cui l’odontoiatra ha dedicato impegno e passione». In che modo si abbreviano i tempi di realizzazione? «Introducendo tra studio e laboratorio delle metodiche che diminuiscono la possibilità di errore. Le lavorazioni risultano più precise seguendo dei protocolli, attraverso i quali riusciamo a eliminare dei passaggi, permettendo così all’odontoiatra di ridurre gli appuntamenti in studio». Quale fattore distingue il vostro laboratorio? «La capacità di adattamento alle diverse richieste dai nostri clienti, studiamo caso per caso e grazie alla nostra esperienza suggeriamo e risolviamo problematiche tecniche, avvalendoci anche delle tecnologie cad cam più evolute presenti al momento sul mercato».

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I protocolli di lavorazione permettono al clinico di guadagnare tempo in studio, con minori disagi anche per i pazienti

Il periodo di recessione ha influenzato il vostro lavoro? «Anche il nostro settore come altri risente della congiuntura economica, noi abbiamo continuato a puntare sulla qualità delle nostre produzioni; ciò ci sta permettendo di lavorare con professionisti qualificati e di conseguenza di sopperire alle mancanze che la crisi ha imposto in questo periodo». Che direzione ha preso la ricerca tecnologica nell’odontotecnica? «L’introduzione, anche nel nostro settore, delle lavorazioni digitali, permetterà sempre più di ridurre i tempi di alcune fasi di lavorazione. Oggi la tecnologia è sicuramente accessibile a una più vasta utenza nella quale siamo ben lieti di rientrare».

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Sanissimi in pillole Come è fatto un neurone?

Lo spiega la mostra scientifica “Brain – Il cervello, istruzioni per l’uso”, a Milano dal 18 ottobre 2013 al 13 aprile prossimo, nelle sale del Museo di Storia Naturale. L’evento, unica tappa italiana, è promosso e prodotto dal Comune di Milano, Codice. Idee per la cultura, Gruppo 24 Ore. L’esposizione nasce da una collaborazione fra il Museo di storia naturale di Milano e l’American museum of natural history di New York. Attraverso postazioni interattive e ricche animazioni, realizzate tramite coinvolgenti allestimenti sensoriali con riproduzioni giganti, installazioni, giochi e filmati, i visitatori saranno guidati a cogliere tutte le caratteristiche del cervello • BRAIN ll cervello, istruzioni per l’uso 18 ottobre 2013-13 aprile 2014 Milano, Museo di Storia Naturale

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Dieta salutare? Bastano 2 euro Per via della crisi, circa un milione di over 65 sono “costretti” a seguire una dieta povera e sbilanciata. La Sigg, la Società italiana di geriatria e gerontologia, in collaborazione con esperti della medicina dello sport e nutrizionisti, ha pubblicato un volume per suggerire agli anziani quali sono i cibi da comprare per spendere poco e mantenersi in salute: verdure e frutta di stagione, carne bianca, uova, pesce azzurro e legumi a volontà. Seguendo questi consigli, è possibile mangiare bene spendendo da un minimo di 1,62 euro a un massimo di 5,20 euro al giorno, vale a dire da meno di 50 euro al mese fino a poco più di 150. «La malnutrizione aumenta del 25% il rischio di ricoveri e accresce la mortalità» ha spiegato Giuseppe Paolisso, presidente Sigg e autore del libro •

Un portale per orientarsi Dal 30 ottobre è online un sito internet che aiuta i cittadini a scegliere tra più di mille strutture quella che offre l’assistenza migliore per una specifica patologia. Digitando sul proprio computer www.doveecomemicuro.it sarà possibile interrogare la rete e individuare il centro o la clinica che fa per noi o quella più vicina. Il motore di ricerca, sviluppato dal team del professor Walter Ricciardi dell’Università Cattolica, si basa su 50 indicatori di qualità selezionati da fonti fornite da Ministero della salute, Istat Fondazione Veronesi, Agenas e altri enti •

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L’Australia vieta i lettini solari PER L’ORGANIZZAZIONE MONDIALE DELLA SANITÀ SONO CANCEROGENI, COSÌ COME LE SIGARETTE. IL BRASILE LI HA GIÀ PROIBITI DAL 2009. ED ENTRO IL 2015 ANCHE GLI AUSTRALIANI DOVRANNO DIRE ADDIO A LAMPADE FACCIALI E LETTINI SOLARI. IL GOVERNO AUSTRALIANO TENTA COSÌ DI CONTRASTARE L’AUMENTO DI CASI DI CANCRO ALLA PELLE, CHE RAPPRESENTANO L’80% DI QUELLI DI TUTTO IL PAESE. L’UNICO STATO CHE, PER ORA, NON HA ADERITO AL DIVIETO È L’AUSTRALIA OCCIDENTALE MA KIM HAMES, MINISTRO DELLA SALUTE, HA GIÀ ANNUNCIATO CHE «UN ANALOGO PROVVEDIMENTO DI VETO SARÀ PRESENTATO NEL GIRO DEI PROSSIMI TRE MESI» •

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Cuffia anti-caduta

Gli italiani promuovono il pubblico Due italiani su tre (il 65,1%) si dicono soddisfatti dell’assistenza sanitaria pubblica rispetto a quella privata. A dirlo è il rapporto “Il cuore degli italiani”, condotto dall’istituto di ricerca Demos e da Atbv (gruppo di studio aterosclerosi e trombosi) che ha chiesto agli italiani un giudizio sul sistema pubblico. Conveniente ed equa, è stata la risposta. Il 54% degli intervistati ha premiato i costi più competitivi rispetto a quella privata, il 53% vede nella garanzia di accesso per tutti un punto a suo favore. La nota dolente resta ancora la lunghezza delle liste di attesa •

Una cuffia hi-tech per proteggersi dalla caduta dei capelli durante le sedute di chemioterapia. Questo sistema di raffreddamento del cuoio capelluto è sperimentato in Inghilterra già dal 1997, dove è utilizzato da mille strutture. E più di recente è stata adottata negli ospedali di Svizzera, Francia, Germania e Giappone. In Italia il primo ospedale a dotarsene è stato quello di Avellino e da pochi mesi, con il sostegno dell’Associazione malati oncologici, anche quello di Carpi. Il costo è di 30 mila euro e il caschetto hi-tech evita nel 50-70% dei casi che il paziente sottoposto alla cura contro il tumore perda tutti i capelli, uno dei contraccolpi psicologici più forti durante la malattia •

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