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SOMMARIO

EDITORIALE Umberto Veronesi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 11 Massimo Scaccabarozzi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 13 IN COPERTINA Paolo Gottarelli. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 14 CHIRURGIA PLASTICA Michele Pascone. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 20 Giuseppe Liardo Michela Salmaso e Alvise Cappello FARMACI Luciano Villanova. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 26 Paolo Lombardi Sergio Pecorelli RICERCA SCIENTIFICA Silvio Garattini. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 34 SPESA FARMACEUTICA Annarosa Racca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 38 COME CAMBIA LA PROFESSIONE Amedeo Bianco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 40 IL RUOLO DELLE REGIONI Luca Coletto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 42 POLITICHE ANTIDROGA Giovanni Serpelloni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 45 COMUNICARE LA SALUTE Luciano Onder. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 50 Michele Mirabella Simona Maurelli

ONCOLOGIA Stefano Cascinu . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 58 Francesco De Lorenzo Alberto Amadori Alessandro Mazzucco Gianpiero Fasola Vittore Pagan Giovanni Lucio Rocca Elisabetta Angelini NEOPLASIE Vincenzo Lattanzio. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 76 Alessandra Mangiameli PREVENIRE IL MELANOMA Costantino Frisario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 80 Laura Fidanza DIAGNOSTICA Massimo D’Amore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 84 Salvatore Polizzi Antonio Trapani Lombardo Fabrizio Italia Giorgio Palù Maurizio Mancini Rocco Del Prete Vittorio Santi TRAPIANTI Alessandro Nanni Costa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 110 Jean De Ville De Goyet Antonio Amodeo Paolo Galassi Luciano De Carlis Umberto Cillo Loreto Gesualdo Paolo Rigotti Duilio Testasecca CARDIOCHIRURGIA Antonio Maria Calafiore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 128 Lucia Torracca Michele Malena

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SOMMARIO

PATOLOGIE VENOSE Ciro Gargano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 134

MICROBIOLOGIA Maria Paola Landini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 180

MANGIAR BENE Lucio Lucchin . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 138 Pietro Migliaccio Giorgio Calabrese

DISPOSITIVI MEDICI Giuseppe Rucci . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 184

DEPRESSIONE Claudio Mencacci . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 144 DISTURBI D’ANSIA Giampaolo Perna. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 148 DERMATOLOGIA Antonino Di Pietro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 150

APPARECCHIATURE MEDICALI Tiziana Fantoni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 186 TRA MEDICO E PAZIENTE Giovanna Zavota. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 188 RIABILITAZIONE Piera Pani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 190 INSUFFICIENZA RENALE Rossana Aliffi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 192

MEDICINA ESTETICA Appuntamenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 154 Aldo e Marco Felici Sabrina Parodi

BENESSERE Giovanni Ricciardi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 194 Park Hotel ai Cappuccini

CHIRURGIA ESTETICA Franco Papadia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 160

IMPLANTOLOGIA Marco Rinaldi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 198

MEDICINA RIGENERATIVA Enrico Lazzaro. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 162 Matteo Tretti Clementoni

ODONTOIATRIA Stefano Aracci. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 202 Egidio Biffi Alvise Cappello e Antonio Olivo

APPROCCIO OLISTICO Poliambulatorio S. Polo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 166 VIRUS STAGIONALI Pierangelo Clerici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 168 MALATTIE INFETTIVE Giuseppe Cornaglia. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 170 MALATTIE ALLERGICHE Gennaro Maietta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 174 Maria Giovanna Orlando FONIATRIA Donatella Croatto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 178

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ODONTOSTOMATOLOGIA Antonino Castellino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 208 OFTALMOLOGIA Roberto Bellucci . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 212 Stefania Bianchi Marzoli ORTOPEDIA Giovanni Baldi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 218 Stefano Astolfi AUTISMO Giuseppe Maurizio Arduino . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 222

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EDITORIALE

Prevenzione dei tumori e stili di vita per la salute di Umberto Veronesi direttore scientifico dell’Istituto europeo di oncologia

a prevenzione oggi è l’arma più efficace a nostra disposizione contro il tumore. Se tutta la popolazione adottasse uno stile di vita salutare, se i responsabili delle politiche sanitarie e ambientali applicassero tutte le conoscenze e le misure preventive, il cancro sarebbe già una malattia sotto controllo. Nell’attesa che si compia questa rivoluzione culturale, lo strumento che attualmente può salvarci è la diagnosi precoce. Un caso emblematico è il tumore del polmone: il big killer più temibile per frequenza e aggressività, si potrebbe quasi sconfiggere se si evitasse il fumo di sigaretta. Il tabacco è infatti il responsabile dell’85-90 per cento dei casi di cancro polmonare, che solo nel nostro Paese ogni anno colpisce 37.000 persone e causa 32.000 vittime, quasi 100 ogni giorno. Il mondo della scienza rimane attonito di fronte a questa sorta di suicidio collettivo: abbiamo la certezza di riuscire a evitare queste morti semplicemente eliminandone la causa, il fumo di sigaretta, ma non abbiamo an-

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cora trovato gli strumenti e i linguaggi per farlo. Io guardo con speranza e fiducia al raggiungimento di questo traguardo, nel frattempo, tuttavia, credo che i fumatori non debbano essere abbandonati dal sistema sociale solo perché hanno fatto una scelta sbagliata. Per questo ho voluto fortemente lo studio Cosmos, continuos observation of smoking subjects, promosso dall’Istituto europeo di oncologia e sostenuto anche dalla mia Fondazione, per la diagnosi precoce del tumore del polmone. I nuovi strumenti oggi a disposizione permettono di associare la Tac spirale a basso dosaggio, efficace nella scoperta di noduli polmonari nell’ordine dei millimetri, a un esame del sangue specifico che indica la presenza di molecole, miRNA, marker tumorali, indicative della presenza del tumore. Avremmo quindi la possibilità non solo di intervenire con chirurgia o terapia mirata in una fase iniziale, ma anche di ottenere diagnosi approfondite e anticipate di questa malattia, curabile nella maggior parte dei casi, se scoperta per tempo.

Oggi più del 70 per cento dei tumori polmonari viene diagnosticato quando la patologia è già in fase avanzata, spesso inoperabile e con una percentuale di guarigione limitata. Con gli strumenti di anticipazione della diagnosi possiamo ribaltare questi valori: studi internazionali dimostrano che più dell’80 per cento dei pazienti con tumore iniziale può essere operato con un intervento conservativo e con un’alta percentuale di guarigione. Proprio dare un’opportunità di guarigione alle persone fortemente a rischio nasce lo studio Cosmos, che coinvolge 6 centri a Milano, Firenze, Roma, Pescara, L’Aquila e Palermo. Ci rivolgiamo a 10.000 forti fumatori o ex fumatori, con più di 55 anni di età, che abbiano fumato almeno 20 sigarette al giorno per un periodo minimo di 30 anni. A loro offriamo gratuitamente due esami, di semplice esecuzione ma di altissima accuratezza, per 5 anni. Noi medici e ricercatori crediamo nella possibilità di proteggere la loro salute, ora chiediamo loro di credere in noi e aderire al nostro studio.

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EDITORIALE

L’industria farmaceutica è leader nella ricerca di Massimo Scaccabarozzi presidente di Farmindustria

re provvedimenti, liberalizzazioni, spending review e decreto salute tutti fortemente penalizzanti e con continue modifiche delle regole - in poco più di sei mesi avrebbero messo in ginocchio qualsiasi realtà produttiva. Ed è quello che sta accadendo all’industria farmaceutica, settore considerato strategico a livello internazionale mentre in Italia è visto solo come fattore di costo. Si dimentica, infatti, che le aziende possono dare un contributo determinante per il rilancio economico con 165 fabbriche che realizzano 25 miliardi di produzione all’anno con un export pari al 61 per cento. Gli investimenti delle imprese raggiungono poi i 2,4 miliardi e i dipendenti sono 65.000. Ma tutto questo potrebbe andare in fumo. La prescrizione con principio attivo ha prodotto notevoli “smottamenti” nell’industria. In sole due settimane si registra la perdita, in media, del 5 per cento del mercato per i prodotti con marchio, in grandi categorie come statine e antibiotici, con punte del 10-15 per cento per le terapie acute e anche supe-

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riori al 30 per cento per alcuni prodotti. Lo Stato non avrà nemmeno un centesimo di risparmio, poiché sostiene già oggi il costo del medicinale a prezzo più basso. Una misura, inoltre, che non aggiunge alcun beneficio al cittadino, che poteva già scegliere il farmaco meno costoso. Anzi ne limita la libertà di scelta. La norma colpisce invece al cuore il marchio, il valore fondante di un settore basato sulla ricerca. Riconoscerne il ruolo è fondamentale per sostenere adeguatamente l’innovazione, gli investimenti e l’export delle imprese del farmaco in Italia, che è secondo produttore in Europa dopo la Germania. Il marchio è un vero e proprio elemento di qualità della produzione e un segno importante di riconoscimento e di fiducia da parte dei pazienti, specie quelli più anziani. Per queste ragioni Farmindustria, anche per evitare il crollo dell’occupazione, chiede con forza l’abrogazione della norma sulla prescrizione con principio attivo. A questo provvedimento si è aggiunto il decreto salute, che estende la possibilità di usare i medicinali per indicazioni non

approvate (off label), anche nei casi in cui esista un’alternativa terapeutica in commercio giudicata eccessivamente onerosa. I pazienti rimangono così privi di un farmaco autorizzato (a favore di quelli non autorizzati ma aventi un costo inferiore), approvato dall’Agenzia italiana del farmaco in base a specifici studi e su cui l’azienda titolare ha investito molte risorse. Cambiamento che può avere pesanti ripercussioni per le imprese che autofinanziano la ricerca per il 90 per cento e per i 6.000 ricercatori - più della metà dei quali donne - altamente qualificati. L’industria farmaceutica è leader a livello internazionale in ricerca: tra le prime 10 aziende al mondo per investimenti in R&S 5 sono farmaceutiche. E in Italia investe 1,2 miliardi l’anno ed è il terzo settore per valore assoluto e il primo in rapporto al mercato. Un vero e proprio patrimonio che l’Italia perderà a breve se viene confermata la norma sugli off label. Una ricerca che produce vita. È indispensabile quindi invertire la rotta per evitare disinvestimenti, chiusure di fabbriche e delocalizzazioni di imprese.

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Il professor Paolo Gottarelli all’interno di una delle sale operatorie della Casa di Cura Madre Fortunata Toniolo, Bologna

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Paolo Gottarelli • IN COPERTINA

UNA RIVOLUZIONE, OLTRE L’ESTETICA HA INFRANTO GLI SCHEMI DELLA CHIRURGIA PLASTICA, CREANDO UNA TECNICA CHE CONIUGA ESTETICA E FUNZIONALITÀ. PAOLO GOTTARELLI, TRA I MASSIMI ESPERTI IN RINOPLASTICA, SPIEGA PERCHÉ, LA SUA DISCIPLINA, DEVE CAMBIARE PASSO di Andrea Moscariello

emplice vezzo, parametro attraverso cui ela- ricerche ed eccellenze chirurgiche, allontanando semborare la percezione di noi stessi, business, pre di più il limite del possibile, insinuando in fattore in grado di aprire le porte del suc- ognuno di noi l’idea che tutto si può correggere, micesso e di farci accettare dagli altri. La so- gliorare, ringiovanire. Ma fino a dove tale limite è società contemporanea ha declinato il significato della stenibile? In molti penseranno che la sostenibilità è parola bellezza adeguandolo alle “necessità estetiche” una caratteristica che poco ha a che fare con il delle nuove generazioni, ritenute, dalla comunità mondo della chirurgia plastica. Eppure rappresenta il scientifica, fisicamente più rocavallo di battaglia di Paolo buste ma psicologicamente più Gottarelli, che in questo terLa bellezza non è fragili rispetto a quelle del pasmine legge la sintesi perfetta tra la perfezione, ma un sato. Fragili, e di conseguenza funzionalità ed estetica. più influenzate dai canoni det- rapporto tra dimensioni, Il professore bolognese, grazie a tati dalle mode e dalle correnti questa sintesi, è divenuto un proporzioni, equilibri caso per chiunque abbia stuculturali. Di rado, invece, il termine beldiato, negli ultimi vent’anni, lezza viene accostato al concetto di “diritto alla sa- chirurgia plastica e medicina estetica. Gottarelli, colute”. Nonostante sia innegabile che il benessere lonna della Casa di Cura Toniolo, una struttura che psicofisico passi anche dallo specchio. attira nel capoluogo emiliano pazienti da tutto il La medicina, attorno al desiderio di apparire al me- mondo, è infatti colui che ha saputo eliminare, dopo glio, ha sviluppato un mondo fatto di innovazioni, anni di ricerca e pratica, la dicotomia tra estetica e

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IN COPERTINA • Paolo Gottarelli

IN UN VOLUME, UN NUOVO APPROCCIO CHIRURGICO ttanta pagine che racchiudono la storia e la tecnica di una delle più significative rivoluzioni chirurgiche degli ultimi anni. Una nuova concezione di rinoplastica, globale, apprezzata già dal 1997 da illustri professionisti della disciplina. “La turbinoplastica inferiore modificata – Un nuovo approccio chirurgico” è il titolo del volume redatto dal professor Paolo Gottarelli edito da Springer e tradotto in varie lingue. Il libro, dedicato a otorinolaringoiatri, chirurghi plastici e maxillofacciali, apre la strada a un nuovo approccio per la soluzione a numerosi problemi associati all’ipertrofia dei turbinati inferiori. Dall’iter diagnostico al trattamento del naso post-traumatico, Gottarelli illustra una metodica che infrange le regole della rinoplastica tradizionale, superando la dicotomia tra intervento estetico e funzionale. Con questo approccio vengono trattate tutte le parti anatomiche del turbinato: si riduce il cornetto osseo, il tessuto cavernoso erettile e, infine, si rimodella con sutura il mantello mucoso. Una tecnica che ha abolito l’utilizzo dei tamponi nasali, da sempre un elemento poco gradito dai pazienti. www.paologottarelli.it

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¬ funzionalità nella rinoplastica. Una rivoluzione riconosciutagli dai più eminenti luminari della chirurgia mondiale, oggi definita “rinoplastica globale”. Perché “apparire bene”, deve necessariamente equivalere a “stare bene”. A Barcellona, nel 2004, il noto chirurgo Jaime Planas, assistette in diretta a un intervento del collega italiano, al termine del quale disse: «Caro Gottarelli, conosco tanti chirurghi che fanno dei bei nasi, ma pochissimi che li sappiano anche fare respirare bene. Se è vero che la tua tecnica funziona, hai messo il dito nella piaga». Perché di questo si tratta. Con la Mit (Modified Inferior Turbinoplasty – Turbinoplastica Inferiore Modificata), non soltanto si è superata la diatriba tra la rinoplastica cosiddetta “aperta” e la rinoplastica “chiusa”, ma anche la distinzione tra interventi di sola chirurgia funzionale e di sola chirurgia estetica. Paolo Gottarelli ha spiegato il valore di questa innovazione. «Su ognuno dei miei interventi vi sono componenti dell’uno e dell’altro approccio – spiega il professore –. Qui stiamo parlando di medicina con la M maiuscola. Io curo le persone, le faccio respirare meglio». Possiamo dire che lei ha cambiato l’approccio alla chirurgia plastica? «Certo. Ma non sono io a dirlo. Se un paziente mi chiede di ridurre le dimensioni del suo naso, devo preoccuparmi di modellarne anche le funzionalità anatomiche interne, che inevitabilmente soffrono di una forma esterna più piccola». Mi perdoni, ma questo non dovrebbe essere scontato? «Purtroppo non lo è mai stato. Migliaia di persone si sono rifatte il naso e respirano male. Ancora adesso, nel mondo, gran parte dei chirurghi plastici agiscono per assecondare richieste meramente estetiche, scindendo dalle necessità funzionali». Chi si rivolge al suo studio, però, immagino lo faccia principalmente per migliorare il suo aspetto. «Infatti è il sottoscritto a dover instradare le persone OTTOBRE 2012


Paolo Gottarelli • IN COPERTINA

verso un progetto che garantisca anzitutto uno stato di salute, di benessere. Un bel naso che respira male rappresenta una disarmonia, mentre io voglio delle armonie».

Utilizzo soltanto i migliori biomateriali. Nel mondo circolano sostanze che, nonostante la marcatura Ce, si sono rivelate tossiche

Quale iter segue? «Poniamo i pazienti dinanzi a un asse cartesiano, con valori da -10 a +10. Più si scende al di sotto dello zero, più si hanno degli ibridi, delle distorsioni, come purtroppo se ne vedono di frequente sui giornali e in televisione. Più si sale verso lo 0, invece, più il naso è regolare. Oltre lo 0 si ha un grado crescente di dismorfia e di disagio del paziente. Attenzione, io non impongo a nessuno un canone, questo test mi occorre per comprendere la percezione che il paziente ha di se stesso. Non devo creare ciò che piace a me. Magari per lei il suo naso è un +7 mentre per me è un +4. Come medico, prima di intervenire, devo avere chiaro il concetto di bellezza del paziente. E in questo il computer interattivo si rivela uno strumento utilissimo. Fui il primo a utilizzarlo in Italia, agli inizi degli anni Novanta».

Pongo i miei pazienti dinanzi a foto di interventi realizzati o di fisionomie che fanno riflettere, magari decostruendo preconcetti e fissazioni irrealizzabili o totalmente inadatte alla propria figura. Grazie a Photoshop, elaboriamo insieme il progetto da portare a termine. Ci tengo a precisare che, a differenza di molti chirurghi, non uso software costosissimi che con un semplice clic ti mostrano un naso perfetto. Non dobbiamo illudere le persone, occorre mostrare loro modifiche sostenibili, fattibili, che non implichino un peggioramento della funzionalità nasale. E in secondo luogo, preferisco superare le aspettative di chi opero, non deluderle».

Poi come si procede? «Si stabilisce un piano di trattamento e, sempre tramite il computer, mostro numerose immagini.

Tra gli esempi che mostra non ci sono solamente nasi. Ma anche dipinti, opere d’arte, architetture.

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IN COPERTINA • Paolo Gottarelli

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«La bellezza non è la perfezione, è un rapporto tra dimensioni, proporzioni, equilibri. Come insegna Fibonacci. In un certo senso cerco di trasmettere una cultura del bello, inteso come valore reale, non plastico. Dobbiamo metterci in testa che anche il difetto è un elemento imprescindibile del bello. L’attuale tendenza ad eliminare ogni imperfezione del volto, porta a creare delle maschere di cera. Ma se io non garantisco il movimento, l’espressività, l’umanità di un volto, allora che bellezza ho creato? Nessuna. Ho realizzato una maschera! Per fare il mio mestiere occorrono, infatti, le cosiddette tre “G”: gusto, garbo e giudizio». Un altro elemento fondamentale è la scelta dei materiali. «Utilizzo soltanto i migliori biomateriali. Nel mondo circolano delle sostanze che, nonostante la marcatura Ce, si sono rivelate tossiche. In pratica si sono avvelenate migliaia di facce. In merito a questo problema, insieme a molti miei colleghi, si è presentato un esposto al ministro della Sanità, Balduzzi». Lei educa i pazienti, aiutandoli nel costruire una percezione di sé più realistica e razionale. Molti suoi colleghi però, mi perdoni il gioco di parole, le storcono il naso.

«Qua si potrebbe aprire un dibattito infinito. Intanto, la mia formazione, a differenza di quella di tanti altri, è multidisciplinare. Per anni mi sono interessato di ogni singolo aspetto del viso. In particolare, ho lavorato moltissimo con dentisti e odontoiatri, categoria per cui ho realizzato numerosi corsi e convegni. La loro categoria sin dalla scuola si forma sul presupposto che estetica e funzionalità marciano di pari passo. Nel mio ambito, invece, si è sentito persino di chirurghi che hanno rifatto un naso senza prima fare una tac. Purtroppo tanti vogliono fare questo mestiere soltanto per guadagnare. Magari accontentando richieste assurde. Ma l’etica di questi professionisti, se possiamo definirla tale, non ha nulla a che vedere con ciò che richiede la professione. Le faccio l’esempio più famoso: secondo lei il chirurgo plastico di Michael Jackson ha creato un qualcosa di sostenibile e funzionale o si è solo fatto staccare un assegno?». Dunque la multidisciplinarietà è la risposta? «Sì, ne sono convinto. Microchirurgia, maxillofacciale, otorinolaringoiatria, odontoiatria, tutto è connesso. Se ho creato la Mit è anche per questo motivo. Pensi soltanto ai laser, sempre più utilizzati

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Paolo Gottarelli • IN COPERTINA

Come medico, prima di intervenire, devo avere chiaro il concetto di bellezza del paziente e la percezione che ha di se stesso

solo in base al prezzo più basso. Ma scegliere un buon chirurgo plastico è un po’ come scegliere un’auto. Una Ferrari non è semplicemente costosa, vale di più, è migliore, ha delle prestazioni nettamente superiori alle altre auto. Dunque, ci sarà un motivo se alcuni chirurghi costano poco e altri no. Consiglio comunque di non fermarsi mai alla prima consultazione, ma di sentire più opinioni».

nel mio campo. Ho creato il più grande centro emiliano romagnolo con laser ablativi e non. Ma senza affiancare l’utilizzo di questa tecnologia all’abilità chirurgica sarei andato poco in là. Il problema, ripeto, è culturale. Qualcuno mi spieghi perché, per fare il radiologo o l’anestesista, occorre la specializzazione, mentre per fare il mio mestiere basta la laurea in Medicina e Chirurgia. E non basterebbe, ci tengo a dirlo, una fantomatica specializzazione in chirurgia plastica. Questa professione andrebbe praticata soltanto da chi dimostra particolari sensibilità estetiche e psicologiche. Quando mi ritrovo dinanzi a un paziente devo comprenderne l’emotività, lo stato psichico. Dobbiamo essere medici e non occuparci solo del taglio e cuci». Ha citato il caso di Michael Jackson. Come lui, tante altre persone note si sono letteralmente rovinate l’aspetto a seguito di decine di interventi. Come mai chi ha grandi disponibilità economiche finisce nelle mani di chirurghi dall’abilità palesemente discutibile? «Anche qui il problema è culturale. Purtroppo, talvolta, a tariffe alte non corrisponde il desiderio di fare realmente bene. Altre volte, invece, si sceglie OTTOBRE 2012

In molti affrontano addirittura i cosiddetti “viaggi della speranza” andando a operarsi all’estero. Lei cosa ne pensa? «Che queste persone non sanno che, a seguito di un intervento di chirurgia plastica, è molto probabile che il paziente abbia bisogno di consigli o anche di essere rivisto. E se non possono tornare al volo dal loro chirurgo, anche la più piccola complicazione diventa un problema. Così, alla fine, anziché sottoporsi a un solo intervento, magari devono subirne altri due. Pagandoli a caro prezzo e senza ottenere i risultati sperati». A tal proposito lei ha creato una Onlus, “Io respiro”, che si rivolge proprio a chi ha scarse disponibilità finanziarie. «È un progetto a cui tengo moltissimo. Sono partito dall’idea che ogni grande professionista potrebbe dedicare un giorno al mese, senza sforzi, per intervenire gratuitamente su pazienti che non possono permettersi la parcella. Certo, il costo del chirurgo viene azzerato e restano i costi agevolati della clinica. E qui entrano in gioco le donazioni, che stanno già arrivando numerose, dimostrando la generosità di noi italiani. Soprattutto, sono contento di costatare come a contribuire al progetto siano anche ex pazienti rimasti soddisfatti del mio operato. Negli anni ho sempre eseguito interventi pro bono, ora tramite la Onlus posso coinvolgere molte più eccellenze».

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CHIRURGIA PLASTICA • Michele Pascone

MENO INVASIVITÀ PIÙ SICUREZZA di Francesca Druidi NON DI SOLA LIPOSUZIONE È FATTA LA CHIRURGIA PLASTICA, RICOSTRUTTIVA ED ESTETICA. STAMINALI, MEDICINA RIGENERATIVA E CHIRURGIA ONCOPLASTICA APRONO NUOVI SCENARI. A ILLUSTRARLI È MICHELE PASCONE, PRESIDENTE DELLA SICPRE

i è da poco concluso a Palermo il 61esimo congresso nazionale della Sicpre, la Società italiana di chirurgia plastica ricostruttiva ed estetica. Il presidente Michele Pascone fa il punto della situazione sui più interessanti orizzonti di trattamento emersi. «I campi di maggior interesse oggi sono quelli che riguardano le tecnologie che permettono di utilizzare, quando possibile, una chirurgia sempre meno invasiva e meno cruenta». Particolare attenzione è stata riservata alla “medicina e chirurgia rigenerativa”, «una branca della medicina di recente acquisizione, volta alla ricerca e all’uso di elementi di origine autologa nel trattamento di varie patologie o di alterazioni a carico del corpo umano. Può anche considerarsi come un innovativo approccio terapeutico, finalizzato alla rigenerazione biologica dei tessuti anziché alla sua sostituzione, che presenta spunti interessanti di ricerca sia nella chirurgia plastica ricostruttiva che estetica».

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Tra i vari campi di interesse del congresso, c’è il trapianto delle cellule staminali. «Sì, le staminali sono state oggetto di studi molto sofisticati, anche grazie al miglioramento delle conoscenze in biologia molecolare, nella tecnologia della coltura delle cellule

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Michele Pascone, presidente di Sicpre, la Societa italiana di chirurgia plastica ricostruttiva ed estetica

e nell’ingegneria genetica applicata ai tessuti. Anche l’esperienza nel campo dei tessuti bioingegnerizzati in varie procedure riparative della cute e di altre strutture corporee, ha raccolto un rilevante consenso in considerazione delle diverse utilizzazioni possibili (dal trattamento dei grandi ustionati alle ulcere, fino alla ricostruzione dopo traumi complessi). Interessanti passi avanti sono stati compiuti nell’ambito della chirurgia della mammella, in cui la combinazione tra chirurgia plastica e oncologica, da cui deriva la nuova terminologia di chirurgia oncoplastica, ha permesso di fare dei progressi considerevoli nel trattamento del cancro della mammella». Quali in particolare? «La possibilità di pianificare l’intervento demolitivo della mammella con la prospettiva di un intervento plastico ricostruttivo è sicuramente frutto della sinergia che, negli ultimi tempi, si è rafforzata tra i chirurghi delle due diverse fasi. Dal coordinamento delle due competenze deriva tutta una serie di vantaggi a favore del risultato morfologico di una ricostruzione mammaria postmastectomia. Il progresso in questo tipo di chirurgia è rappresentato, quindi, per lo più dal raggiungimento di quella sintonia di

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Michele Pascone • CHIRURGIA PLASTICA

pensiero che, da una parte, tende a rispettare la radicalità dell’asportazione con il minor sacrificio tessutale e con incisioni compatibili con una migliore predisposizione al momento ricostruttivo; dall’altra a mettere in atto la migliore tecnica possibile da utilizzare per ottenere un risultato soddisfacente per la paziente, oltre che per il chirurgo. E oggi il chirurgo può contare su una serie di metodiche molto valide per la ricostruzione mammaria». Gli italiani ricorrono come nel recente passato alla chirurgia estetica o la crisi si è fatta sentire anche in questo settore? «Ancora oggi, e più frequentemente che in passato, gli italiani si rivolgono alla chirurgia plastica estetica per migliorare il proprio aspetto, anche se come in altri settori la crisi si fa sentire soprattutto in alcune fasce della popolazione con minore disponibilità economica. Gli interventi più frequenti continuano a essere la mastoplastica additiva, la liposuzione, la rinoplastica, la blefaroplastica, l’addominoplastica e la mastoplastica riduttiva. Importanti novità non sono emerse, se non per quello che riguarda l’introduzione di protesi mammarie sempre più sicure strutturalmente, nonostante la caduta di credibilità determinata dalla faccenda Pip, un imperdonabile attacco alla salute pubblica e soprattutto alla fiducia della popolazione».

sire un’etica professionale e un adeguato bagaglio tecnico e scientifico. Per essere specialista bisogna esserlo in chirurgia plastica ricostruttiva ed estetica e purtroppo, in Italia, esistono molti medici che operano sotto l’etichetta di chirurgo estetico senza essere specialisti. Importante sarebbe, inoltre, il ruolo dei mezzi di comunicazione». In che modo? «Dovrebbero essere diffuse notizie solo da persone ritenute qualificate per meriti professionali e scientifici certificati. Non sempre oggi chi parla di più ha le qualità per farlo. Le eccezioni esistono e vanno rispettate, ma va fatto almeno un tentativo per confinare alcuni ciarlatani. Dinanzi al dilagare delle richieste risarcitorie da parte di pazienti che sperano di ricavare qualche beneficio economico, troppo spesso solleticati da una certa schiera di legali senza scrupoli, il recupero di una dignità professionale - assistita da una competenza professionale adeguata - può servire a ridurre questo fenomeno truffaldino delle facili controversie legali, segno negativo sul piano sociale ed espressione di un degrado dell’antico rapporto fiduciario tra medico e paziente, e a invertire la rotta».

Il chirurgo può contare su una serie di metodiche molto valide per la ricostruzione mammaria

Aumentano le cause legali nei confronti dei chirurghi plastici. Quale ritiene dovrebbe essere l’orientamento dei professionisti in merito a queste tematiche? «Sicuramente sarebbe opportuno che gli organismi ministeriali della sanità intervenissero con decisione per regolamentare la formazione professionale degli specialisti. Occorre innanzitutto chiarire che gli interventi di chirurgia plastica estetica devono essere eseguiti da persone competenti che transitino attraverso una regolare scuola di formazione qualificante, qual è il corso di studi di specializzazione in chirurgia plastica ricostruttiva ed estetica che porta ad acqui-

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CHIRURGIA PLASTICA • Giuseppe Liardo

CONOSCERE LA MASTOPLASTICA ADDITIVA COME SI SVOLGE UN INTERVENTO DI MASTOPLASTICA ADDITIVA? QUANTO DURA LA FASE DI RECUPERO POST-OPERATORIO? MA SOPRATTUTTO, POSSONO INSORGERE DELLE COMPLICANZE? RISPONDE GIUSEPPE LIARDO di Emanuela Caruso ome qualsiasi altro intervento chirurgico anche quello di mastoplastica additiva implica un certo grado di rischio. E anche se per questo tipo di chirurgia le complicanze sono rare, restano comunque possibili. Gli effetti indesiderati possono riguardare ematomi, sanguinamenti prolungati, sieroma, infezioni, cicatrici insoddisfacenti e asimmetrie, ma tutti rispondono prontamente a trattamenti adeguati. A vincere l’appellativo di complicanza più fastidiosa è la contrattura capsulare, poiché è causata da una reazione locale all’impianto protesico con conseguente raggrinzimento della mammella interessata e presenza di dolore. A spiegare come risolvere questo problema è Giuseppe Liardo, responsabile dell’Unità Operativa di Chirurgia Plastica della Clinica Morgagni di Catania. «La soluzione alla contrattura capsulare, se non riesce con farmaci antiedemigeni e antibiotici, può avvenire soltanto in modo chirurgico. In questo caso viene rimossa la protesi, eseguito un lavaggio con soluzione disinfettante e antibiotica, rimossa la capsula periprotesica formatasi e reintrodotta la protesi».

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Il dottor Giuseppe Liardo è responsabile dell’Unità Operativa di Chirurgia Plastica della Clinica Morgagni, sita a Catania www.giuseppeliardo.it

C’è un modo per evitare che insorga questo tipo di complicanza? «Si possono ridurre al minimo le possibilità di contrattura capsulare scegliendo la tecnica migliore di posizionamento della protesi. Se

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si colloca l’impianto protesico nella regione sottoghiandolare, il risultato estetico è più gradevole, ma il rischio di contrattura capsulare è maggiore; mentre se si decide di inserire la protesi nella zona sottomuscolare, l’effetto estetico sarà meno evidente, potrebbe insorgere una certa difficoltà a compiere alcuni movimenti, ma il rischio di contrattura capsulare sarebbe ridotto. Personalmente, preferisco impiegare la tecnica di Tebbets o Dual Plane, che rappresenta una via di mezzo rispetto alle due tecniche appena descritte e consente un risultato finale simile a quello del posizionamento sottoghiandolare, evita problemi nell’affrontare certi movimenti e riduce al massimo la possibilità di contrattura capsulare. C’è da dire che le metodiche non inOTTOBRE 2012


Giuseppe Liardo • CHIRURGIA PLASTICA

terferiscono con allattamenti e con patologie mammarie». Chi può richiedere una mastoplastica additiva? «È un intervento che può essere praticato dopo l’età dello sviluppo in soggetti che siano in buone condizioni di salute e che abbiano un atteggiamento positivo e aspettative realistiche e comunque dopo i 18 anni, a seguito di una legge promulgata in Italia. Alle pazienti rispondenti a questi requisiti vengono prescritti esami di laboratorio, un elettrocardiogramma e una radiografia del torace; e viene loro consigliato di non assumere alcuni medicinali, come aspirina o medicamenti che la contengono, per le due settimane precedenti l’intervento, contraccettivi orali e ridurre sensibilmente il fumo». Come si svolge l’intervento? «Personalmente, svolgo quest’intervento in anestesia generale e, anche se le incisioni possibili sono di quattro tipologie – sottomammaria, periareolare, sottoascellare e ombelicale – preferisco la sottomammaria e la periareolare. La durata dell’intervento può variare dai 45 ai 90 minuti e dipende fondamentalmente dalla scelta delle protesi in corso d’opera e dall’eventualità di associare alla mastoplastica additiva anche altre tecniche. Con la tecnica del Dual Plane, raramente si necessita di drenaggi e le cicatrici risultano di piccole dimensioni. A conclusione dell’intervento preferisco utilizzare sulle medicazioni un reggiseno contenitivo, che dovrà essere mantenuto per almeno 3-4 settimane». Quanto deve aspettare una paziente che si è sottoposta alla mastoplastica per riprendere l’attività fisica e la vita di relazione? «Dopo l’intervento è necessaria una settimana di assoluto riposo e per i primi 5 o 6 giorni si consiglia di non uscire di casa. Per OTTOBRE 2012

Prima e dopo l’intervento di mastoplastica additiva svolto dal dottor Liardo

La posizione delle protesi che preferisco è una via di mezzo tra la tecnica retroghiandolare e quella retromuscolare ed è chiamata Dual Plane almeno 3 settimane è, inoltre, consigliabile dormire con la spalliera del letto sollevata, così da evitare che eventuali rotazioni laterali possano spostare le protesi. Dopo la terza settimana, possono ricominciare in maniera graduale le normali attività fisiche. Infine, l’attività sessuale, così come la guida dell’automobile, può riprendere dopo due settimane dall’intervento».

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CHIRURGIA PLASTICA • Michela Salmaso e Alvise Cappello

APPLICAZIONI DEL LIPOFILLING IL TRAPIANTO DI CELLULE STAMINALI, O LIPOFILLING, IN CHIRURGIA PLASTICA ESTETICA E RICOSTRUTTIVA OFFRE RISULTATI ESTREMAMENTE NATURALI. LA PAROLA AI MEDICI DELLA CLINICA RINÒVA di Emanuela Caruso anto in chirurgia plastica estetica quanto in chirurgia plastica ricostruttiva, l’intervento di lipofilling – letteralmente “riempire con il grasso” – è una tecnica ormai consolidata, che prevede l’innesto di grasso autologo, ossia di grasso prelevato dal paziente stesso. La tecnica con cui viene prelevato il grasso è quella della liposuzione, pertanto il lipofilling può essere abbinato ad altri trattamenti estetici finalizzati a migliorare sedi quali addome e fianchi. A spiegare come avviene l’innesto e a cosa può servire sono la dottoressa Michela Salmaso della Clinica Rinòva, specialista in chirurgia plastica, ricostruttiva ed estetica, e il dottor Alvise Cappello, direttore sanitario di Medical Center Padova, struttura che ospita Clinica Rinòva. «A differenza della liposuzione tradizionale – commenta la dottoressa Salmaso – il lipofilling prevede l’utilizzo di cannule sottili più adatte a trattare con delicatezza il grasso prelevato. Il materiale viene trattato mediante centrifugazione o filtrazione, così da separare la

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La dottoressa Michela Salmaso della Clinica Rinòva, presso Medical Center Padova Srl www.clinicarinova.it

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componente adiposa dal siero e da ottenere un tessuto non soltanto idoneo a essere impiegato come riempitivo, ma anche in grado di fungere da “carrier” per le cellule staminali presenti. Obiettivo specifico di questa tecnica d’impianto di tessuto adiposo è ripristinare volume e contorni di alcune aree del volto, quali in particolare zigomi, guance o labbra. Come specifica il dottor Cappello: «I risultati ottenuti con il lipofilling sono estremamente naturali, permanenti e privi di complicanze a distanza di tempo dall’intervento››. Questa tecnica viene anche utilizzata per migliorare gli interventi di chirurgia mammaria sia ricostruttiva che estetica. In questi casi specifici il lipofilling viene utilizzato per piccole mastoplastiche additive, per la correzione di asimmetrie, per l’aumento di spessore dei tessuti molli sopra la protesi. Nell’ambito della ricostruzione mammaria post oncologica, il grasso reimpiantato porta con sé una buona dose di cellule staminali in grado di riparare i tessuti danneggiati da esiti di trattamenti come la radioterapia». La Clinica Rinòva dispone di strutture tecnologiche modernissime e pone particolare attenzione alle procedure di sterilizzazione degli ambienti e delle strumentazioni. È così che riesce a garantire ai tanti pazienti trattamenti affidabili e sicuri. OTTOBRE 2012



VERSO LA SOSTENIBILITÀ DEL FARMACO di Marco Tedeschi

LE UNIVERSITÀ DEVONO CONFRONTARSI MAGGIORMENTE CON LE AZIENDE DEL SETTORE FARMACEUTICO E NON PORTARE AVANTI SOLO RICERCA DI BASE, SENZA CONSIDERARE I RITORNI ECONOMICI E LE REALI NECESSITÀ DEL MERCATO. QUESTO L’INVITO DEL DOTTOR LUCIANO VILLANOVA DELLA LACHIFARMA DI LECCE

e il settore farmaceutico sta vivendo momenti difficili, quello della nutraceutica e degli integratori alimentari è in decisa crescita. Nell’ultimo anno ha fatto registrare un +5 per cento. Una spinta positiva supportata ovviamente dalla ricerca. «I nostri progetti futuri – spiega Luciano Villanova, Vice Presidente e Qualified Person della Lachifarma di Lecce - riguardano lo sviluppo di prodotti innovativi a base di sostanze di origine naturale che possono trovare applicazione farmaceutica e nutrizionale. Come ad

S Il dottor Luciano Villanova è Vice Presidente della Lachifarma. Nelle altre immagini, i reparti produttivi della società di Lecce www.lachifarma.com

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LucianoVillanova • FARMACI

esempio l’idrossitirosolo, molecola che riduce il rischio di insorgenza di malattie cardiovascolari, frutto di oltre 10 anni di investimenti in ricerca e sviluppo sostenuti da Lachifarma, che su questa sostanza possiede diversi brevetti sia nazionali che internazionali». Lachifarma nasce nel 1985 e opera nel mercato nazionale ed internazionale della salute producendo per conto proprio e per conto terzi farmaci originator, generici, OTC, dispositivi medici, PMC e prodotti nutraceutici. Su cosa occorre fare leva affinché si possa garantire uno sviluppo sempre più innovativo e proficuo del rapporto tra industria farmaceutica e mondo della ricerca? «Bisognerebbe creare dei sistemi di interazione efficaci e veloci tra le università e l’industria farmaceutica. Le università non possono infatti portare avanti solo ricerca di base, che richiede tempi troppo lunghi e che spesso è lontana dalle reali necessità del mercato del farmaco perché fine a se stessa. Se invece ci fosse uno scambio già in fase didattica, durante la quale l’azienda farmaceutica potrebbe suggerire tematiche applicative di ricerca di potenziale sviluppo a livello indu-

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Siamo stati tra i primi ad accogliere l’appello dell’Organizzazione Mondiale della Sanità nei confronti del problema della Malaria nel mondo

striale, si creerebbe maggior innovazione anche a livello nazionale. Ciò offrirebbe la possibilità e l’opportunità di creare impresa dall’università. In altri Paesi Europei, come ad esempio Inghilterra ed Olanda, gli spinoff universitari sono realtà di “normale” successo. E’ più facile competere sul mercato globale quando Università e impresa fanno sistema». Quali le collaborazioni significative che avete avviato con altri centri di ricerca o atenei universitari? «Nei nostri progetti di ricerca ci avvaliamo di collaborazioni con centri di ricerca privati e pubblici. Negli ultimi tempi abbiamo collaborato attivamente con l’Istituto Farmacologico Mario Negri, diversi “IRCCS” (strutture ospedaliere in cui si svolge sperimentazione clinica), il CNR e varie Univer-

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FARMACI • LucianoVillanova

Bisognerebbe creare dei sistemi di interazione efficaci e veloci tra le università e l’industria farmaceutica

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I laboratori di ricerca Lachifarma

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sità. Collaboriamo in maniera continuativa con le università del territorio e con altri atenei italiani ed esteri». Avete in serbo nuove iniziative relativamente al programma Roll Back Malaria? «Noi siamo stati tra i primi ad accogliere l’appello dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per affrontare il problema della malaria nel mondo e di tutta la ricerca correlata a questa malattia, che nell’Africa sub-sahariana rappresenta una pandemia ed è la prima causa di mortalità infantile. Il nostro impegno etico ci porta ad investire continuamente nello studio di nuovi trattamenti anti-malarici. Abbiamo nel cassetto studi su nuove molecole attive contro la malaria e lo sviluppo di nuove formulazioni antimalariche pediatriche meno tossiche e di più facile somministrazione rispetto a quelle attual-

mente in commercio. Tutto l’impegno della nostra azienda in questa direzione, sia da un punto di vista produttivo che di ricerca e sviluppo, è motivato dalla forte convinzione che sia doveroso agire in prima linea per debellare la malaria nel mondo». Questo a testimonianza anche di una visione etica che Lachifarma intende portare avanti. «Per la nostra azienda, la scoperta di soluzioni innovative per il paziente e la visione etica del business rappresentano un credo. È il caso ad esempio delle cure contro la malaria e la tubercolosi, un altro ramo di ricerca da noi sostenuto. Queste malattie infatti vengono considerate patologie “dimenticate”, perché affliggono prevalentemente le zone del terzo mondo e dunque non vi è interesse commerciale a sviluppare nuovi farmaci. Noi

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LucianoVillanova • FARMACI

invece abbiamo una visione etica e morale che ci porta ad investire in queste patologie, perché la salute del paziente è al primo posto nella nostra scala dei valori, a prescindere dal colore della pelle e dal suo reddito pro-capite. Tutto ciò rappresenta un orgoglio per la nostra azienda, ma anche uno stimolo continuo a proseguire nella ricerca con lo stesso impegno da sempre profuso». Quale bilancio può trarre a seguito dell’attività svolta nel corso degli ultimi mesi? «Il bilancio è positivo, per alcuni aspetti direi addirittura sorprendente vista la situazione globale di crisi. Infatti, ci stiamo affermando con successo sia nel panorama farmaceutico nazionale che internazionale. Alla luce di questi sviluppi, l’azienda sta pianificando ulteriori investimenti nell’innovazione tecnologica di alcuni processi produttivi per rispondere alle richieste di un mercato globale, che vede la crescita solo di colossi farmaceutici cinesi e indiani. Lachifarma è una realtà industriale tutta italiana da sempre dotata di una forte predisposizione all’internazionalizzazione. In questo scenario, per affrontare i propri competitors bisogna puntare verso due direttrici, le nostre due I, Innovazione di prodotto e di processo ed Internazionalizzazione». Nel 2011 avete investito il 15,9 per cento. Quanto prevedete di investire, nel nuovo anno, in ricerca, innovazione e sviluppo? «Per quest’anno prevediamo addirittura di aumentare di alcuni punti percentuali l’investimento in ricerca realizzato nel 2011, poiché la migliore strategia anticrisi secondo noi è quella di conquistare nuove “fette” di mercato attraverso le innovazioni frutto della ricerca. Così facendo affrontiamo i mercati con una visione di tipo globale e non locale, mirando a configurarci come azienda innovativa che non rinuncia ai propri valori etici».

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Il vostro è un caso di eccellenza non soltanto per il settore, ma anche per il valore che ricopre sul tessuto produttivo del Mezzogiorno. Quale indotto avete sull’economia regionale? «Noi possiamo definirci un caso atipico di successo industriale, perché il panorama farmaceutico nazionale trova la massima concentrazione geografica in Lombardia, Lazio e Toscana dove si concentrano i principali poli della farmaceutica. Sembrava impossibile a tutti che un’industria farmaceutica potesse nascere e svilupparsi in Puglia e addirittura oltrepassare i confini nazionali del proprio sviluppo. Lachifarma infatti è l’unica azienda farmaceutica pugliese autorizzata da parte dell’agenzia italiana del farmaco alla produzione di specialità medicinali non sterili; ciò ha permesso di creare un polo di eccellenza e di sviluppo industriale che prima della nostra nascita non esisteva sul territorio. L’indotto ha sviluppato negli anni un’alta specializzazione tecnico-scientifica ed ha beneficiato della crescita professionale ed economica della nostra azienda. È il caso di dire che ricerca, tecnologia e sviluppo coniugate a una visione etica del “fare impresa” sono fattori vincenti per lo sviluppo economico del territorio».

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FARMACI • Paolo Lombardi

CHIMICA TERAPEUTICA, VERSO NUOVI FARMACI UN AMBITO CONTROVERSO E OGGETTO DI MOLTE POLEMICHE. MA NON SONO POCHI GLI STUDIOSI CHE SOSTENGONO LA CHIMICA TERAPEUTICA. PAOLO LOMBARDI RIPORTA I SUOI ULTIMI STUDI NEL CAMPO DEI CHEMIOTERAPICI di Renato Ferretti

a ricerca chimica per la medicina rappresenta ancora un ambito di indagine tra i più produttivi per la scoperta e lo sviluppo di nuovi farmaci». Quella del dottor Paolo Lombardi è una convinzione che affronta senza alcun timore tutte le critiche alla chemistry driven drug discovery. Il fondatore di Naxospharma, chemo-biotech company di Novate Milanese (MI), svolge attività di ricerca nella chimica terapeutica «finalizzata all’individuazione di candidati farmaci – precisa Lombardi –, da cedere in licenza per l’ulteriore sviluppo, dopo averne ottenuto la protezione brevettuale e la caratterizzazione preclinica». La società farmaceutica ha dedicato la propria attenzione soprattutto alla ricerca di potenziali chemioterapici. Nell’ultimo periodo il dottor Lombardi e il suo team si sono concentrati su un alcaloide di origine naturale in uso da centinaia d’anni nella medicina cinese e ayurvedica ed estratto da diverse erbe medicinali: la Berberina. «Questo composto – spiega Lombardi – presenta diversi effetti farmacologici e biochimici, come per esempio contro virus e tumori, dimostrando di avere un notevole potenziale curativo in un ampio spettro di applicazioni cliniche, ma non diretto in una terapia speci-

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Naxospharma Srl ha sede a Novate milanese (MI) www.naxospharma.eu

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fica». Quest’ultimo aspetto però non ha scoraggiato il gruppo Naxospharma che ha cercato comunque di portare avanti il progetto. «Scegliendo di selezionare e di potenziare le proprietà antitumorali già presenti nella Berberina parentale, abbiamo inventato e brevettato nuovi derivati che sono risultati selettivi, molto attivi e biologicamente innovativi su linee cellulari di diversi tumori resistenti o refrattari ai farmaci in uso, o rari. Per esempio i mesoteliomi, il cancro ovarico, il cancro del colon, il tumore mammario e alcuni tumori infantili». Dunque più che mai decisi a raccogliere il testimone di Farmitalia Carlo Erba nel campo delle terapie oncologiche. «Abbiamo sempre cercato di portarne la fiaccola, come provato dai conseguimenti ottenuti in ambienti non sempre bendisposti nei confronti delle applicazioni della ricerca». OTTOBRE 2012



FARMACI • Sergio Pecorelli

UN PATTO PER LA FARMACEUTICA SERVONO REGOLE CONDIVISE E STANDARDIZZATE E UN ACCESSO A TUTTI I FARMACI VALUTATI E AMMESSI ALLA RIMBORSABILITÀ IN TUTTE LE REGIONI, SENZA DISTINGUO E RITARDI. NE PARLA SERGIO PECORELLI di Elisa Fiocchi Sergio Pecorelli, presidente dell’Agenzia italiana del farmaco

n Italia, diversamente da quanto accade in ambito europeo e internazionale, le competenze in materia di sperimentazione non fanno capo all’Agenzia dei medicinali, ma sono suddivise tra Aifa, Istituto superiore di sanità e i direttori generali locali. E anche a livello locale, esistono difformità nelle procedure e nelle regole che allungano i tempi per il rilascio dei pareri. Dotarsi di un testo unico consentirebbe dunque di attrarre nuovi investimenti e aumentare la tutela dei soggetti coinvolti nelle sperimentazioni, oltre a regolare l’intera filiera della ricerca clinica con norme semplici e immediate. «Non possiamo permetterci valutazioni estemporanee – afferma Sergio Pecorelli, a capo dell’Agenzia italiana del farmaco – ma dobbiamo stabilire un percorso univoco che permetta di raggiungere i traguardi prefissati, per il bene del cittadino, dello Stato, dell’industria e delle Regioni».

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Qual è il ruolo e l’impegno di Aifa in questo momento delicato per il servizio farmaceutico nazionale? «Quando autorizza un medicinale, il suo

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provvedimento riguarda tutto il territorio nazionale ma, purtroppo, siamo al corrente della presenza, ancora oggi, di una forte disomogeneità a livello regionale nella messa a disposizione dei farmaci ai malati che crea una disparità di accesso non accettabile. L’Agenzia sta inoltre approntando un algoritmo che definisca meglio l’innovazione. Rendere sempre più trasparente e oggettivo questo processo significherà avere regole più precise e quindi procedure più rapide. E le aziende farmaceutiche avranno a disposizione una serie di parametri ben definiti, sulla base dei quali potranno sapere meglio e in anticipo se il prodotto su cui stanno investendo è veramente innovativo». Ha affermato che per la farmaceutica serve un patto forte tra Stato, Regioni, Aifa e industrie: di quali regole precise necessita il nostro Paese? «Il nostro dettato costituzionale conferisce un’assoluta centralità, nell’articolo 32, all’importanza del bene salute nella vita personale e collettiva. Per garantire il rispetto

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Sergio Pecorelli • FARMACI

Nel campo della ricerca l’Italia esporta il 61% di quello che produce

del diritto alla salute, il nostro paese deve superare una serie di criticità e ha bisogno di un patto per la farmaceutica che stabilisca regole condivise ma rigorose, standardizzate, che consentano di disegnare prospettive realistiche di risoluzione dei problemi sia sul breve che sul lungo periodo. In particolare, come già detto, bisogna assicurare l’accesso a tutti i farmaci valutati e ammessi alla rimborsabilità in tutte le Regioni senza distinguo e ritardi».

e vanno studiate le modalità più idonee per adeguare il nostro Paese agli standard internazionali. Le autorizzazioni, inoltre, non fanno capo alla medesima autorità e ciò richiede un ulteriore sforzo di razionalizzazione. Un passo avanti in questo senso è stato fatto con il recente decreto legge 158/2012, che ha trasferito all’Aifa le competenze in materia di sperimentazione clinica dei medicinali per gli studi di fase I già attribuite all’Istituto superiore di sanità».

In quali servizi e ambiti è necessario standardizzare le procedure? «In un contesto come l’attuale, caratterizzato da una crescente globalizzazione, è senza dubbio necessario lavorare nell’ottica di un’armonizzazione delle procedure per la valutazione e l’autorizzazione dei farmaci. Si tratta di un principio che vale non solo per la registrazione e l’autorizzazione all’immissione in commercio ma anche per le prime fasi di vita di un medicinale. In Italia, ad esempio, l’iter della sperimentazione clinica è inevitabilmente condizionato dall’eccessivo numero di comitati etici

In che modo il governo dovrebbe sostenere le industrie del farmaco, oggi penalizzate dai tagli? «Non è nella farmaceutica che si possono rintracciare ulteriori voci di risparmio per la spesa pubblica. Il settore ha risentito in modo particolare dei tagli perché, essendo il sistema più regolato d’Italia, è stato piuttosto agevole individuare quali potessero essere le misure di contenimento da attuare. Le nostre industrie hanno sempre investito molto nella ricerca. In questo campo l’Italia esporta il 61% di quello che produce. Oggi, però, al massimo si può ra-

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FARMACI • Sergio Pecorelli

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zionalizzare. E proprio per questo è importante che Stato, Regioni, Aifa e industrie, in un’ottica di sistema, si confrontino e individuino percorsi condivisi». Per quanto riguarda i tempi di immissione in commercio dei farmaci, quali proposte avanza affinché ogni singola Regione possa andare alla stessa velocità e migliorarne dunque l’accesso? «È evidente che sarebbe auspicabile una revisione del sistema che corregga certe distorsioni del federalismo sanitario, in modo da garantire davvero a tutti i cittadini, senza distinzione di area geografica, il diritto alla salute e alle cure. Le Regioni, cui il nuovo Titolo V della Costituzione ha conferito importanti poteri in materia di sanità pubblica, viaggiano a velocità diverse e ciò comporta una inaccettabile disparità di accesso ai farmaci. Una cosa è certa: non si può far dipendere le scelte in materia di salute da criteri di carattere pu-

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Le Regioni viaggiano a velocità diverse con un’inaccettabile disparità di accesso ai farmaci

ramente economico. Non dobbiamo solo garantire la sostenibilità del sistema, ma anche assicurare ai malati cure efficaci e sicure. Occorre quindi contemperare i rapporti di costo/efficacia e di beneficio/rischio, come fa l’Aifa, applicando un modello di “health technology assessment” che ci è invidiato in tutto il mondo. È un meccanismo che utilizziamo per tutte le terapie, anche le più complesse, rare e costose, cercando di legare la loro specificità a parametri clinici oggettivi».

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Silvio Garattini • RICERCA SCIENTIFICA

RICERCA, PREVENZIONE E SOSTENIBILITÀ di Renata Gualtieri L’ITALIA HA BUONI RICERCATORI, MA NON HA MASSA CRITICA PER AFFRONTARE I PROBLEMI IN MODO SISTEMATICO E MULTIDISCIPLINARE E SOPRATTUTTO, SOTTOLINEA SILVIO GARATTINI, LE RISORSE SONO MENO DELLA METÀ DELLA MEDIA DEI PAESI EUROPEI a accolto con grande entusiasmo la nomina alla guida del Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie e di fronte alle nuove sfide anche economiche che riguardano la sanità Silvio Garattini evidenzia come la prevenzione sia di fondamentale importanza per la sostenibilità del servizio sanitario nazionale e quanto oggi la salute abbia bisogno della ricerca. «Senza ricerca sugli animali e sull’uomo – precisa il direttore dell’Istituto Mario Negri – non vi possono essere progressi. Con un miliardo di euro, che si potrebbe ottenere tassando di 20 centesimi i pacchetti di sigarette, daremmo una posizione a 5.000 ricercatori e una borsa di studio a 10.000 laureati o tecnici».

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Come giudica la qualità della comunità scientifica del nostro Paese e come crede che potrebbe essere valorizzata in maniera migliore? «La comunità scientifica italiana ha molti gruppi di buon livello che possono competere a livello internazionale. Tuttavia sono

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Silvio Garattini, direttore dell’Istituto Mario Negri e presidente del Comitato scientifico del Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie

pochi e non possono esprimere tutte le loro capacità per le limitazioni economiche che, fra l’altro, determinano anche l’impossibilità di effettuare un ricambio generazionale. Infatti, le nuove generazioni rifuggono dalla ricerca in Italia perché ritengono che non vi sia futuro. Per contro un Paese che non ha risorse primarie e ha un costo del lavoro elevato dovrebbe puntare sulla capacità creativa degli italiani. La crisi economica non può venir risolta se l’Italia non privilegia in tutti i sensi il capitale umano».

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RICERCA SCIENTIFICA • Silvio Garattini

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Su quali importanti progetti è impegnato oggi l’Istituto Mario Negri e quali i più importanti risultati sin qui raggiunti? «L’istituto è impegnato nei settori delle malattie neurodegenerative, della ricerca antitumorale, delle malattie cardiovascolari, renali, dei trapianti d’organo e delle malattie rare, ma si occupa anche di ambiente e salute. Tra i successi del passato, si può menzionare la misura delle concentrazione ematiche dei farmaci antiepilettici per ottimizzare la terapia contro l’epilessia; la dimostrazione dell’inutilità del trattamento ormonale per evitare l’aborto spontaneo; la diminuzione di mortalità e infarto cardiaco mediante l’uso dei fibrinolitici; la possibilità di evitare la dialisi attraverso il trattamento con farmaci che agiscono sul sistema dell’angiotensina. In epoca più recente, a livello sperimentale, si può ricordare la possibilità di evitare il rigetto d’organo senza l’impiego di farmaci immunodepressori, lo sviluppo di alcune terapie per malattie rare, tumorali, renali e neurodegenerative, l’importanza del sistema angiotensina per l’invecchiamento, alcuni farmaci promettenti per la malattia d’Alzheimer, per l’ictus cerebrale, nonché l’impiego di cellule staminali nei traumi cranici sperimentali». Quali le possibilità offerte ai giovani laureati meritevoli, preservando il Paese da ulteriori fughe di cervelli? «Attraverso bandi pubblici, offriamo ai giovani la possibilità di formarsi con la parteci-

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pazione a reali progetti di ricerca in un clima internazionale che permette libertà di espressione. I giovani laureati e diplomati vengono inquadrati in una serie di scuole: per monitors della ricerca clinica, per la qualificazione professionale in farmacologia, per il dottorato di ricerca, per ottenere il dottorato in collaborazione con la Open University nel Regno Unito. Abbiamo recentemente “recuperato” dalle università di Harward e Cambridge due “cervelli” grazie ai programmi di Airc e Telethon». Parliamo di tagli alla sanità. Dove sarebbe più giusto intervenire? «Credo che i tagli alla sanità siano dannosi quando indiscriminati. C’è invece molto spazio per ridurre spese che rappresentano sprechi. Abbiamo troppi piccoli ospedali, punti nascita, apparecchiature complesse. Vi sono sperequazioni fra la varie regioni, farmaci inutili o troppo costosi, scarso controllo nell’impiego dei dispositivi medici e un eccesso di personale amministrativo che rappresenta un freno burocratico dell’attività medica. Paghiamo ancora oggi le cure termali e in alcune regioni anche i farmaci omeopatici. Di fronte a questi sprechi i cittadini pagano sempre più ticket per accedere al servizio sanitario nazionale e l’intramoenia per evitare lunghe liste d’attesa. Dobbiamo mantenere la sostenibilità del servizio sanitario nazionale attraverso il potenziamento della prevenzione delle malattie e il rimborso solo dei trattamenti che hanno una evidenza scientifica».

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SPESA FARMACEUTICA • Annarosa Racca

NUOVE REGOLE PER LE FARMACIE ANNAROSA RACCA CHIEDE UNA DISTRIBUZIONE DEI FARMACI ATTRAVERSO LE FARMACIE COME OPPORTUNITÀ DI RISPARMIO PER LE REGIONI, I CITTADINI E L’INTERO SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE di Elisa Fiocchi

na ricerca promossa da Federfarma ha messo in evidenza come i costi dei medicinali ritirati direttamente dall’utente presso la struttura sanitaria siano superiori rispetto alla spesa sostenuta per lo stesso prodotto se commercializzato sul territorio. In altri termini, la distribuzione diretta dei farmaci che avviene dalla Asl al paziente non fa risparmiare, ma incide del 30 per cento sulla spesa sostenuta per l’acquisto del medicinale. Annarosa Racca, al vertice di Federfarma, chiede pertanto nuove soluzioni e regole per riequilibrare il settore farmaceutico anche in occasione del-

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l’apertura di un tavolo sulla farmaceutica presso la sede del Ministero dello Sviluppo economico a cui hanno partecipato le istituzioni, i rappresentanti di categoria e le organizzazioni sindacali. «Davanti al ministro Passera – spiega – gli attori della filiera hanno presentato tutte le difficoltà del settore e come Federfarma abbiamo esposto i dati della spesa farmaceutica territoriale in continuo calo e predisposto un piano di lavoro». Piano che, secondo la federazione delle farmacie italiane, deve mirare alla centralità della farmacia nella distribuzione del farmaco e al rafforzamento del rapporto con il territorio.

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Annarosa Racca • SPESA FARMACEUTICA

È necessario ridare centralità alla farmacia nella distribuzione del farmaco e rafforzarne il rapporto con il territorio Annarosa Racca, presidente di Federfarma

Oltre alla distribuzione diretta dei farmaci attraverso le farmacie, che consentirebbe un risparmio e una razionalizzazione dei costi, quali altri interventi avrebbero ricadute positive sull’intero servizio farmaceutico? «Una recente ricerca realizzata dal Cref, il Centro ricerche economia e formazione, costituito da Cassa di risparmio di Udine, Provincia di Udine, Confindustria Udine, Confcommercio Udine, con il supporto della Regione Friuli Venezia Giulia, dimostra, numeri alla mano e con assoluta chiarezza, come la distribuzione diretta dei farmaci abbia dei costi aggiuntivi rispetto al puro e semplice costo di acquisto. Tali costi aggiuntivi sono stati finora sottovalutati. La loro quantificazione permette, invece, di valutare l’effettivo impatto economico della distribuzione diretta e di dimostrare come la distribuzione dei farmaci attraverso le farmacie costituisca per le Regioni e per il servizio sanitario nazionale un’opportunità di risparmio e razionalizzazione e avvantaggi i cittadini grazie a un più agevole accesso al farmaco. Anche lo sviluppo di nuovi servizi effettuati in farmacia offrirebbe ai cittadini un’assistenza sanitaria migliore, nella direzione di quella territorializzazione dell’assistenza di cui tanto si parla e che costituisce un obiettivo esplicito del governo». Su quali servizi e attività ricadranno maggiormente i tagli previsti dalla spending review? «I dati sono chiari: la spesa farmaceutica a carico del servizio sanitario nazionale nell’ultimo quinquennio è in costante calo, è diminuita dell’8,6% nel 2011 e continua a decrescere ancora di più nel 2012, segnando un -11,5% nel primo quadrimestre. La spesa farmaceutica pro-capite pesata per età in Italia è tra le più basse in Europa. La stessa Corte dei Conti, nel rapporto 2012, evidenzia il

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costante calo della spesa farmaceutica territoriale che rispetta il tetto previsto e ha contribuito in misura rilevante alla flessione della spesa sanitaria nel 2011». Qual è invece l’andamento della spesa farmaceutica convenzionata? «Nel 2011 è risultata in netta diminuzione, pari al 9%, grazie alle misure di contenimento varate negli anni precedenti, al miglioramento del monitoraggio sull’appropriatezza delle prescrizioni terapeutiche e a ulteriori misure destinate a conseguire risparmi di spesa con oneri a carico di grossisti e farmacisti. Tra le voci in aumento, invece, la Corte segnala la spesa collegata alla scelta delle Regioni di ricorrere in misura massiccia alla distribuzione diretta dei farmaci. È chiaro, quindi, che la farmacia non può essere oggetto di ulteriori penalizzazioni». Parlando della cancellazione della norma che impone una distanza minima tra una farmacia e un'altra, inizialmente prevista dal decreto-legge sulla sanità, quali difficoltà avrebbe arrecato in termini di servizi al cittadino? «La pianificazione delle sedi e la distanza minima tra farmacie sono norme poste a difesa della capillarità del servizio farmaceutico fornito ai cittadini, non a favore dei farmacisti. Cancellarle porterebbe al posizionamento delle farmacie in zone remunerative e più centrali, sguarnendo le periferie delle città e di territori interi. Abbiamo visto quanti piccoli negozi hanno chiuso perché “soffocati” dalla grande distribuzione, con il risultato che le luci delle periferie si sono spente. La farmacia è il primo sportello del servizio sanitario nazionale e deve stare dove c’è la gente. Il farmaco va preso se e quando serve, non si deve aumentarne il consumo».

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COME CAMBIA LA PROFESSIONE • Amedeo Bianco

IL FUTURO DELLA MEDICINA OCCORRE DELINEARE UNA PROSPETTIVA PER LA PROFESSIONE MEDICA IN GRADO DI FARLE ATTRAVERSARE LA FASE DI EMERGENZA ECONOMICA, POLITICA E SOCIALE DEL NOSTRO PAESE. NE PARLA AMEDEO BIANCO, PRESIDENTE FNOMCEO

di Francesca Druidi Amedeo Bianco, presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri

e nuove tecnologie applicate alla salute, che trovano espressione nella telemedicina, nell’Ehealth, ma anche nell’influenza esercitata da siti internet e social forum, hanno profondamente rinnovato lo scenario medico attuale. I sistemi sanitari, la ricerca, la diagnosi, la cura, le questioni economiche, attraverso la rete si intrecciano e si coinvolgono a vicenda, andando a delineare quella nuova categoria concettuale della medicina che viene denominata cybermedicine. Una due giorni di studio a Padova, svoltasi il 28 e 29 settembre, ha permesso di sviscerare alcuni dei nodi salienti della materia. «Il massiccio ingresso delle Ict, delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione in medicina e nella sanità è un fenomeno presente già da alcuni anni – afferma Amedeo Bianco, presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (Fnomceo) –. Il convegno ha approfondito i riflessi positivi, i rischi e le minacce insite in ogni processo di cambiamento, rappresentato in questo caso dalla cybermedicine».

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Quali tendenze sono emerse dal convegno di Padova dedicato alla cybermedicine? «Ne abbiamo innanzitutto valorizzato i benefici. L’applicazione delle Ict sia in medicina che in sanità consente grandi balzi in avanti sul piano della ricerca, della

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gestione dei processi sanitari, dello sviluppo in efficacia e in efficienza di tutte le procedure. Vi sono però anche dei rischi, connessi ad esempio a un potenziale impoverimento del cuore della medicina, che come Fnomceo riteniamo debba restare nella forte relazione tra chi cura e chi è curato, tra medico e paziente, non per amore di uno stereotipo, ma in ragione della complessità della moderna medicina rispetto all’evoluzione del sentire delle persone assistite». Ulteriori nodi critici? «Un altro tema delicato è quello relativo alla sicurezza: occorre prestare grande attenzione alla gestione dei dati sensibili, nella costruzione delle biobanche, nel campo della ricerca, nel fascicolo sanitario elettronico previsto dall’agenda digitale del governo. È inoltre importante che l’impiego delle tecnologie non produca un deficit di equità del sistema, valore che deve sempre essere garantita. Abbiamo compiuto un lungo cammino nelle innovazioni, ma alla fine bisogna prendere il binario giusto per ritornare alla vecchia stazione, che non è la vecchia medicina o la vecchia sanità, ma la finalità etica di tutto, ossia il bene della persona». È stato recentemente riconfermato alla guida di Fnomceo. Su quali priorità intende lavorare, data la

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Amedeo Bianco • COME CAMBIA LA PROFESSIONE

complessità del momento attuale? «Abbiamo un problema di rimodellamento epistemiologico della medicina, occorre cioè ridisegnare e rivedere i fini e i significati della medicina in ragione dell’evoluzione della medicina stessa, dei suoi contenuti e dei suoi destinatari. Occorre soprattutto ridefinire gli scopi della moderna medicina al di là del tradizionale paradigma biomedico che ne ha ispirato e consentito lo straordinario sviluppo di questo secolo e che continua ad aprire progressi nella diagnosi e nella cura delle malattie. Mi riferisco, in particolare, ai limiti dell’incontro tra questa medicina e la persona, con il suo vissuto, i suoi valori di riferimento. Da una parte, quindi, la potente macchina della moderna medicina, dall’altra l’individuo rispetto a come vive la malattia. Entrambi hanno un problema: quale organizzazione sociale garantisce meglio quest’incontro? Quale organizzazione è in grado di portare a sintesi queste due spinte? Da qui, la necessaria riflessione sulla sostenibilità dei sistemi di tutela della salute, del servizio sanitario universalistico e solidale di fronte a tutte le difficoltà economiche e politiche attuali». Quale la sua valutazione del decreto presentato dal ministro Balduzzi? «Il mio parere va in parte fuori dal coro perché, al di là di alcune previsioni insufficienti quando non errate, colgo lo sforzo del decreto di affrontare questioni rimaste in sospeso da anni. La sanità è sempre stata investita da provvedimenti legislativi che portavano via qualcosa in termini di risorse e non solo, il decreto Balduzzi ha il merito di aver preso alcune questioni irrisolte e di aver offerto una soluzione. Ripeto, si tratta di un testo perfettibile, di cui posso comprendere le critiche perché io

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Bisogna tornare alla finalità etica di tutto, ossia il bene della persona

stesso non condivido alcune misure, ma è pur sempre un segnale importante. Guardo con favore alla proposta di riorganizzazione delle cure primarie, in questi anni oggetto di provvedimenti in alcune regioni ma che oggi richiede un assetto ordinamentale sulla cui base contestualizzare, nelle diverse realtà, modelli organizzativi e funzionali. Non è solo il ridimensionamento drastico della rete ospedaliera a richiedere un assetto più efficace delle cure primarie, ma soprattutto la transizione epidemiologica verso il prevalere di malattie croniche invalidanti e la necessità di nuove forme di educazione alla salute, di prevenzione, di cura e di assistenza basate su un offerta proattiva, di tutele sanitarie, la cosiddetta medicina di iniziativa da svolgere sui territori, negli ambienti di vita e di lavoro». Sul fronte della responsabilità professionale? «È una bomba già implosa da anni nel sistema. Il servizio sanitario pubblico spende 500-600 milioni di euro all’anno per le polizze assicurative, senza contare quello che spende per i professionisti. Non si ferma il trend di crescita di costi, paure, atteggiamenti difensivi; la legge era ferma da due anni al Senato, serviva fare qualcosa. Certo, si poteva fare di più, ma bisognava avere il coraggio di mettere su questa piaga un lenimento».

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IL RUOLO DELLE REGIONI • Luca Coletto

COSTI STANDARD PER LA SANITÀ di Elisa Fiocchi «È IL MIGLIOR METODO PER TAGLIARE GLI SPRECHI» AFFERMA LUCA COLETTO, CHE SI OPPONE A UNA POLITICA BASATA SUI TAGLI LINEARI CHE NON TENGONO CONTO DEI MERITI OGGETTIVI DI QUEI SISTEMI SANITARI REGIONALI VIRTUOSI. «IL RISCHIO È CHE SI VADA VERSO L’INSOSTENIBILITÀ ECONOMICA» on l’approvazione del decreto legge del ministro Renato Balduzzi, si apre una fase di riordino del sistema sanitario nazionale, dell’assistenza territoriale e del sistema delle cure primarie. Il testo, che si compone di 16 articoli contro i 27 della prima bozza, ha mantenuto le norme di principale interesse sanitario, tra cui le cure primarie, i farmaci e l’intramoenia, e prevede una maggiore trasparenza nelle nomine dei direttori generali che saranno scelti da un elenco regionale attraverso una commissione costituita da esperti indipendenti. «Potremmo trovarci di fronte a numerosi cambiamenti» dichiara l’assessore alla Sanità del Veneto, Luca Coletto, nonché coordinatore della Commissione salute della Conferenza delle Regioni. «È un decreto che contiene luci e ombre».

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Quali sono le sue osservazioni dopo l’analisi del testo di legge? «È condivisibile la riforma della medicina territoriale con l’obiettivo di renderla fruibile 24 su 24, 7 giorni su 7. Operazione che in Veneto, in accordo con le rappresentanze dei medici, abbiamo avviato da più di un anno e cominciato a realizzare a luglio con un primo step focalizzato al 31 dicembre, anticipando di fatto il decreto del ministro Balduzzi». E quali i punti ancora da chiarire? «La forte preoccupazione di fondo riguarda le risorse finanziarie. Tra la spending review e gli annunciati tagli ai futuri riparti del fondo sanitario nazionale, c’è la concreta ipotesi che si vada verso l’insostenibilità economica, soprattutto se tutti gli oneri della riforma dovessero ricadere sulle Regioni. Lo abbiamo detto chiaramente nel documento che, come Commissione salute, abbiamo prodotto per la conferenza dei presidenti.

Luca Coletto, coordinatore della Commissione salute della Conferenza delle Regioni

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Luca Coletto • IL RUOLO DELLE REGIONI

Non è pensabile far rientrare tutto nella spesa sanitaria, bisogna dare la giusta capienza al fondo per la non autosufficienza pesantemente tagliato Prima di mettere la parola fine a questo processo occorre che il governo accetti un confronto serrato e concreto con le Regioni, voce per voce, passo dopo passo».

profondamente ingiusto soprattutto per i cittadini di quelle regioni, come Veneto, Lombardia, Toscana ed Emilia Romagna, da anni virtuose».

Come valuta il passaggio contenuto nel decreto di trasferire alle regioni tutte le responsabilità in materia di assistenza alla non autosufficienza? «Anche in questo caso, il problema sono i finanziamenti e la loro fonte. A livello regionale fare delle economie senza tagliare servizi è possibile, e il Veneto lo ha dimostrato portando in attivo, seppur di poco, il proprio bilancio sanitario. Per quanto riguarda la non autosufficienza occorre non fare confusione tra spesa sanitaria e spesa sociale. Sanità e sociale a mio avviso sono, in assoluto, i due servizi più importanti per la popolazione e, come accade storicamente in Veneto, più sono integrati e meglio è. Tuttavia, non è pensabile risolvere la questione delle risorse facendo rientrare tutto nella spesa sanitaria. Occorre invece che si dia la giusta capienza al fondo per la non autosufficienza che invece mi risulta pesantemente tagliato. Insomma, pensar di risolvere tutto con delle economie, che pur è doveroso fare, è utopistico e anche

E quali interventi “più strutturati” chiedono le Regioni sui medici di medicina generale? «Occorre che la nuova organizzazione sia supportata da linee guida condivise e da un’adeguata disponibilità finanziaria per tradurre in concreto quanto delineato».

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Lei ha affermato che le Regioni non possono assorbire ulteriori oneri economici dopo le manovre e la spending review: di quali disposizioni urgenti necessita ora il sistema sanitario? «Il sistema sanitario ha bisogno di due cose: non subire più per nessun motivo, tagli lineari che non tengono in nessun conto gli oggettivi meriti dei sistemi sanitari regionali virtuosi e l’introduzione, che considero urgente, di criteri standard con i quali arrivare alla determinazione dei costi standard, da applicare su tutto il territorio nazionale. Sarebbe il miglior “taglia sprechi” del mondo e produrrebbe miliardi di risparmi veri, non di tagli».

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RUBRICA SULLA PREVENZIONE DELL’USO DI DROGHE

LIBERI DI ESSERE LIBERI - prevenzione - ricerca - cura - riabilitazione - valutazione - reinserimento - formazione - contrasto


ALCOL: RISCHI ED EFFETTI DELL’ABUSO di Fiorella Calò ANCHE IN ITALIA TRA I GIOVANI SI STA DIFFONDENDO IL COSIDDETTO “BINGE DRINKING” E SONO LE RAGAZZE LE PIÙ ESPOSTE AI RISCHI PER LA SALUTE. IL PUNTO DI GIOVANNI SERPELLONI, CAPO DIPARTIMENTO POLITICHE ANTIDROGA DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO

alcol è la sostanza più abusata in Italia, in Europa e in gran parte del mondo. Un fenomeno che riguarda più di nove milioni di persone, che quotidianamente consumano quantità di bevande alcoliche superiori ai limiti consigliati dall’Organizzazione mondiale di sanità, e che causa costi sociali e sanitari elevati.

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Professor Serpelloni, a quanto ammonta la spesa che lo Stato italiano affronta annualmente per gli effetti sulla salute e la sicurezza dell’abuso di alcol? «La spesa supera gli 11 miliardi di euro, ivi compreso quanto viene investito per fronteggiare il fenomeno del binge drinking». Che cosa si intende per binge drinking e quanto è diffuso nel nostro Paese? «Per binge drinking si intende il consumo di oltre sei bicchieri di bevande alcoliche di qualsiasi tipo,

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assunti consecutivamente in un breve lasso di tempo. Modalità di consumo sviluppatasi nei paesi del nord Europa ma ormai, purtroppo, diffusa anche in Italia, soprattutto tra i giovani. Si tratta di un fenomeno che ha implicazioni di natura sia sociale che sanitaria e, di conseguenza anche economica, che nasce con il preciso intento di ubriacarsi, di raggiungere l’intossicazione alcolica e che spiega i sempre più frequenti episodi di coma etilico soprattutto nelle ragazze. Dal punto di vista della diffusione, nel 2010 il 16,6% dei giovani ha dichiarato di aver consumato alcol con questa modalità almeno una volta negli ultimi dodici mesi. Il consumo di alcol fuori

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Giovanni Serpelloni • POLITICHE ANTIDROGA

Bisogna poi aiutare i giovani a fronteggiare le pressioni sociali al bere, accompagnandoli con interventi informativi ed educativi, di motivazione al cambiamento

pasto tende a crescere maggiormente fra le ragazze, nel 2000 coinvolgeva il 12,2 per cento, mentre nel 2010 il 14,6, ma rimane comunque più diffuso fra i maschi, con un aumento dal 16,8 per cento del 2000 al 19,1 del 2010». Dal punto di vista sanitario, quali danni provoca il binge drinking? «Oltre a esporre nell’immediato al pericolo di infortuni e di incidenti stradali, può causare a medio termine alterazioni delle capacità cognitive e di orientamento conseguenti a danni irreversibili di una zona specializzata del cervello, l’ippocampo. Inoltre, può provocare perdita di coscienza o di memoria causando incapacità di ricordare dettagli di eventi, o addirittura eventi interi, intercorsi in un determinato lasso di tempo. Il rischio più grave però rimane il coma etilico». Il consumo di alcol, indipendentemente dalle modalità di assunzione, è comunque pericoloso per i più giovani. Perché? «Le giovani generazioni dovrebbero sapere che l’alcol è una sostanza tossica se assunta quotidianamente

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oltre un certo quantitativo. L’Organizzazione mondiale della sanità ha stabilito i limiti, per uomini e donne, oltre i quali il consumo di alcolici può causare danni: un’unità alcolica per le donne, corrispondente a un bicchiere abbondante di vino, e due unità per gli uomini. Per i giovani, tuttavia, il discorso è differente perché fino a 18-21 anni il nostro organismo non produce l’alcoldeidrogenasi, cioè l’enzima che serve a metabolizzare la sostanza. Per questo, l’abuso di alcol, specialmente in età adolescenziale, spesso conduce al coma etilico. Dopo i vent’anni il rischio diminuisce per riacutizzarsi dopo i sessantacinque, età dopo la quale il suddetto enzima non viene più prodotto in quantità sufficienti». Fin qui abbiamo parlato dei giovani ma anche per i consumatori adulti elevate dosi di alcol sono dannose, non è vero? «Sì, bisogna tener ben presente che l’alcol è sistemico: una volta assorbito, infatti, i suoi danni si espandono a tutto l’organismo, principalmente al fegato, all’apparato gastroenterico (stomaco e intestino) e al sistema nervoso, colpito in particolare nel lobo prefrontale, area responsabile del controllo dei

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POLITICHE ANTIDROGA • Giovanni Serpelloni

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comportamenti volontari. Inoltre, nel lungo periodo, l’abuso di alcol interferisce gravemente sulle aree cerebrali della gratificazione, dell’attenzione e della memorizzazione, con deficit di memoria reversibili e irreversibili. L’alcol, inoltre, nel corpo umano, ha effetti cancerogeni e incrementa quindi il rischio di sviluppare neoplasie». Nel campo delle tossicodipendenze la distinzione di genere è un tema per il quale l’attenzione del mondo scientifico sta crescendo. Un discorso valido anche nel caso dell’alcol? «In effetti, la differenza di genere, rispetto ai modelli e alle conseguenze del consumo di sostanze stupefacenti e psicotrope, riguarda anche l’alcol che pur non essendo uno stupefacente è una sostanza psicotropa. Nello specifico, le donne sono più vulnerabili degli uomini alle numerose conseguenze mediche dovute al consumo di bevande alcoliche, quali ad esempio la cirrosi, la cardiomiopatia (danno al muscolo cardiaco), la neuropatia periferica (danno al sistema nervoso). Due studi, condotti con tecniche di visualizzazione attraverso tomografia computerizzata, effettuati su uomini e donne consumatori di alcol, hanno messo a confronto il rimpicciolimento

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del cervello (comune indicatore del danno cerebrale) e hanno riportato in entrambi i sessi un significativo ridimensionamento, rispetto ai soggetti del gruppo di controllo, con problemi di apprendimento e di memoria. L’unica differenza riscontrata è stata che le donne alcoliste hanno riferito di aver bevuto fortemente per un periodo di tempo equivalente a circa la metà di quello degli uomini. Ciò significa che il cervello delle donne, al pari degli altri organi, è più vulnerabile ai danni causati dall’alcol, rispetto a quello degli uomini». Restando in ambito femminile, le evidenze scientifiche sottolineano con sempre maggior enfasi il pericolo al quale viene esposto il feto se si consuma alcol durante la gravidanza. In cosa si traduce questo pericolo? «L’assunzione di alcol nel corso della gravidanza può causare danni al feto che poi si manifestano e persistono anche dopo la nascita compromettendo il regolare sviluppo infantile. Nel corso della vita uterina, l’esposizione all’alcol può provocare il rischio di aborto spontaneo, di basso peso alla nascita, di parto prematuro e di ritardo nella crescita. Dalla nascita in poi, il rischio più grande è quello che il

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Giovanni Serpelloni • POLITICHE ANTIDROGA

L’assunzione di alcol nel corso della gravidanza può causare danni al feto che poi si manifestano e persistono anche dopo la nascita compromettendo il regolare sviluppo infantile bambino sviluppi la cosiddetta “sindrome feto alcolica” (Fas), che causa riduzione delle funzioni e delle capacità intellettive, difficoltà nell’apprendimento verbale, nella memoria spaziale e nel ragionamento, lentezza di riflessi, problemi di equilibrio e ritardi in altre funzioni cognitive e motorie. Deficit che possono colpire anche bambini non affetti da Fas e che crescono con l’aumentare delle quantità di alcol a cui sono stati esposti». Nonostante il consumo eccessivo di alcol sia un problema diffuso e sia causa di elevati costi sociali ed economici, nel nostro Paese rimane comunque un problema circoscritto? «In generale, possiamo dire che nel nostro Paese i consumatori hanno dimezzato il consumo medio pro-capite di alcol, raggiungendo livelli medio-bassi. Resta tuttavia uno zoccolo duro, costituito da un 810% di individui non emarginati socialmente, appartenenti a fasce di età diverse e trasversali, che sono risultati poco ricettivi rispetto alle campagne di sensibilizzazione o ai programmi di prevenzione». Per questo motivo, dunque, l’attenzione deve restare sempre alta e l’attività di prevenzione va

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proseguita, pensando anche a diversificazioni degli interventi in base ai target? «Sì, esatto. Bisogna prima di tutto agire sull’identificazione precoce del consumo problematico e dell’abuso per poi intervenire a livello motivazionale, non solo su chi già consuma alcol ma anche sui soggetti a rischio e sui loro familiari. Bisogna poi aiutare i giovani a fronteggiare le pressioni sociali al bere, provenienti da contesti differenti ma di forte impatto, come la scuola, i luoghi di divertimento, di socializzazione, dello sport, realizzando non solo interventi di intercettazione precoce del consumo a rischio, ma accompagnandoli con importanti interventi informativi ed educativi, di motivazione al cambiamento».«La mini invasività è il dogma della medicina estetica. In effetti i trattamenti permettono di tornare alle proprie normali occupazioni sempre in brevissimo tempo. E devo ricordare che in alcuni casi possiamo ottenere un vero lifting medico del volto con un decorso post-procedura molto modesto. Possiamo oggi pensare alla rinoplastica “medica”, della quale sono tra i pionieri. La correzione di moltissimi nasi che presentano difetti minori, con tecniche completamente mediche, con qualche punturina, è reale, a volte con risultati eccezionali.

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L’ETICA DELLA MEDICINA IN TV PER LUCIANO ONDER FARE INFORMAZIONE SULLA SALUTE È LAVORO COMPLESSO MA MOLTO UTILE PER PREVENIRE E RENDERE PIÙ CONSAPEVOLI I CITTADINI. PER QUESTO ALLE SPALLE CI DEVE ESSERE SERIETÀ E UNA GRANDE PREPARAZIONE di Teresa Bellemo l tessuto informativo che supporta la salute diventa ogni giorno più ampio e ramificato. Giornali, riviste, internet, pubblicazioni, sono sempre di più i mezzi che aiutano il cittadino a essere più consapevole del suo stato fisico e degli strumenti utili per prevenire malattie e contribuire al proprio benessere. Minimo comun denominatore di questa moltitudine di vettori è sicuramente la necessaria qualità delle informazioni che vengono diffuse e l’attenzione a non cedere a facili sensazionalismi, preferendo piuttosto dati corretti e documentati. A questa categoria appartiene Luciano Onder, giornalista Rai, specializzato in medicina ma laureato in storia. I primi passi del suo lavoro di giornalista li ha fatti proprio da storico, firmando programmi tematici sul fascismo e sul nazismo. Ma è la salute ormai il suo terreno. Da trentatre anni, infatti, cura la trasmissione Medicina 33, in onda tutti i giorni come rubrica del Tg2, e in tutto questo tempo non è mai stata interrotta neanche per una settimana. La caratteristica principale della trasmissione di Onder è fare un servizio pubblico e come tale ha come obiettivo di guidare il cittadino, facendogli capire l’importanza della prevenzione e delle giuste cure. E così il giornalista riassume l’etica del suo lavoro: «La buona informazione contribuisce a fare buona medicina ed è utile

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al cittadino, la cattiva invece aggrava i problemi e lo danneggia». Cosa significa parlare di salute in televisione? «Innanzitutto significa fare qualcosa di utile per il cittadino, realizzare ciò che cui la Rai è chiamata a fare, un servizio utile per gli utenti che attraverso la trasmissione ricevono una serie di informazioni con le quali poi possono muoversi nel mondo della sanità. È utilissimo sapere come si fa la diagnosi precoce del tumore al seno, come si fa quella per il tumore alla prostata o che stile di vita adottare per ottenere una buona salute e difendersi dalle malattie. C’è dunque un aspetto etico nell’informazione medica in televisione così come in una testata giornalistica, per cui si devono dire cose sensate, documentate, serie e ben fatte». Dopo molti anni di trasmissione ha notato un cambiamento nel pubblico? «Durante i trentatre anni di questo programma il pubblico è molto cambiato. Le persone sono molto più informate oggi piuttosto che in passato. Basta girare un po’ i canali della tv o fare un giro in edicola per vedere quante trasmissioni, servizi, articoli e riviste ben fatti ci

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Luciano Onder • COMUNICARE LA SALUTE

Più il cittadino è informato, più saprà difendersi. Questo discorso vale sempre, a maggior ragione quando si parla di salute

Luciano Onder, conduce Medicina 33 del Tg2

sono e tutti hanno contribuito al miglioramento culturale degli italiani». Questa maggior diffusione del sapere medico può avere dei rischi? «Un solo rischio: nessun rischio. Più il cittadino è informato, più si saprà difendere. Questo discorso è valido in ogni campo, a maggior ragione nel campo della salute. Non c’è alcun rischio ad avere più informazioni. Certo, se il cittadino è fragile di personalità ripeterà l’analisi due volte, se per esempio la vede positiva la ripeterà perché lui è convinto di sentirsi davvero male e il cittadino ansioso invece la ripeterà due volte in ogni caso. Ma qui la colpa non è dell’informazione, la colpa è dell’ansia del cittadino. In ogni caso, più è informato a tutti i livelli più si saprà organizzare e saprà difendere la propria salute». Quali sono i temi più interessanti per il pubblico? «In linea di massima i più seguiti sono i temi delle grandi malattie. Poi le cose pratiche, ad esempio come si misura la pressione, perché va sempre curata e come, ma anche la caduta dei capelli, la dermatologia sotto ogni aspetto. I cittadini sono interessati alle patologie di cui soffrono loro, i loro parenti e i loro amici. Siccome il pubblico della televisione molto spesso è composto da anziani, è chiaro

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che le puntate in cui trattiamo le malattie croniche che li affliggono sono molto seguite. Non sono invece seguiti gli scoop, il sensazionalismo; raccontare delle panzane o delle cose non vere ai cittadini non è mai garanzia di successo. Dire che è stata trovata una cura miracolosa per chissà quale grave malattia darà magari una breve popolarità al giornalista che lo scrive, ma farà sorridere il cittadino che invece lo rifiuta. In conclusione, ciò che paga è fare cose semplici, corrette e ben fatte, magari anche apparentemente banali come l’alluce valgo, il dito a scatto nell’ortopedia, la gotta e i dolori alla schiena, le dermatiti di vario genere; insomma, tutto ciò che coinvolge e interessa ciascuno di noi e i nostri cari». Nel momento di maggior diffusione del virus H1N1 si sono acquistati milioni di vaccini rimasti poi inutilizzati con una grossa spesa per il servizio sanitario nazionale. Quanto i mass media hanno collaborato a esasperare questa situazione? «Innanzitutto bisogna dire che questo è successo in tutto il mondo e non soltanto in Italia. Il fatto è che tutti sono sempre in attesa della catastrofe, e in questo caso di essere devastati da chissà quale epidemia e puntualmente tutto questo ovviamente non si verifica. D’altra parte, è difficile bloccare la macchina scientifica e dire “non facciamo nulla e aspettiamo che arrivi” perché poi se arriva davvero un contagio di massa non si è abbastanza preparati. Sono scelte difficili. È chiaro però che in questo caso la responsabilità dei giornalisti è stata enorme. Il problema, infatti, non è stato soltanto spingere il sistema sanitario nazionale a comprare vaccini in milioni di dosi più di quanto era realmente necessario, o a prendere dei provvedimenti particolarmente restrittivi, ma anche creare una psicosi e una serie di paure ingiustificate nei cittadini tanto da provocare in alcuni casi comportamenti poco razionali».

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COMUNICARE LA SALUTE • Michele Mirabella

PARLARE DI MEDICINA COL SORRISO DAL 1996 SU RAI 3 VA IN ONDA ELISIR, UNA DELLE TRASMISSIONI DI MEDICINA PIÙ SEGUITE. IL SUO VOLTO È QUELLO DI MICHELE MIRABELLA, UOMO DI TEATRO E CULTURA UMANISTICA MA APPASSIONATO DI SCIENZA

di Teresa Bellemo uali sono gli ingredienti principali per parlare di salute in tv? Certamente la competenza e la chiarezza, ma anche la freschezza. Quasi sempre la protagonista è la malattia, che però non deve essere né raccontata con timidezza né con troppa serietà, anche per riuscire a raggiungere un pubblico ampio, nel quale spesso si trova proprio chi da quella malattia è affetto. In questi casi il rischio è quello di ottenere l’effetto contrario: amplificare la paura e l’imbarazzo attorno a certe tematiche. Per rendere ulteriormente chiari certi argomenti è necessaria anche la giusta dose di leggerezza, in modo da riportare la malattia a ciò che è: una delle tante componenti dell’essere umano. Elisir riesce a essere un programma leggero e d’approfondimento allo stesso tempo: prende i temi della medicina e cerca di rendere il pubblico più consapevole, in modo da educare al benessere e in qualche modo anche prevenire. Il mattatore di Elisir, che presto tornerà con una nuova edizione completamente rinnovata, è Michele Mirabella, regista di prosa e di lirica, autore radiotelevisivo e teatrale ma che ormai ha prestato la sua immagine al programma medico. Un uomo di cultura umanistica ma anche fortemente interessato alla scienza e alla medicina. Non a caso, nel 2001, l’Università di Ferrara gli ha conferito la laurea honoris causa in Farmacia. «È me-

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Michele Mirabella, attore, regista e conduttore di Elisir

ritata, ma diciamo che per questa ho dovuto faticare un pochino meno» riconosce Mirabella, per il quale uno dei segreti del successo di Elisir è il suo vero protagonista: «Il corpo, il primo livello di cultura per l’essere umano». Dal 1996 conduce Elisir. Come mai ha abbracciato la divulgazione medica? «Ovviamente il primo motivo è perché mi è stato chiesto. E poi perché ho sempre nutrito un grande interesse per la medicina, la cura della salute, la scienza e tutto quello che salda la frattura ipotetica tra i due saperi,

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Michele Mirabella • COMUNICARE LA SALUTE

Abbiamo conosciuto prima la Polinesia delle isole del pancreas. Per questo adesso il corpo è diventato il nuovo centro di interesse quello scientifico e quello umanistico. La medicina mi è sempre sembrata un’eccellente maniera per unire i due interessi che avevo sin dall’epoca dei miei studi».

migliore sistema sanitario del mondo, è maestra in questo campo; gli Stati Uniti invece stanno ancora litigando. Non è possibile».

Quanto sono importanti per il pubblico programmi di questo genere? «Nell’epoca contemporanea, per quanto liquida, l’interesse culturale più diffuso riguarda il corpo. Il corpo non solo come strumento di contatto con lo spazio, col tempo con la storia e l’esistenza, ma come territorio da esplorare, perché è stato a lungo trascurato. Abbiamo esplorato i pianeti, le isole, l’Himalaya e le caverne ma non il corpo. Abbiamo conosciuto prima la Polinesia delle isole del pancreas. Per questo adesso, data anche l’aspettativa di vita più incoraggiante, il corpo è diventato un centro di interesse non soltanto estetico, ma funzionale e culturale: ci piace occuparcene perché è un mondo straordinario, è un territorio filosofico. L’interesse quindi cade su tutto quello che lo riguarda, anche la malattia, intesa come comportamento anomalo del corpo».

Quanto lavoro c’è nella preparazione di una puntata per filtrare temi e linguaggi specialistici in altri invece più semplici? «Ce n’è molto. Intanto le puntate non si preparano in un giorno, il lavoro è molto perché devi tentare di avere l’ospite giusto, l’esperto giusto e non è sempre facile. Tanto dipende dalla programmazione, che deve contemperare le necessità del palinsesto e le necessità di programmazione col pubblico, quindi delle necessità espressamente televisive. Ci vuole una redazione e un insieme di interessi che non sempre sono armonizzabili. Poi bisogna tenere alta l’attenzione sull’attualità perché dobbiamo competere con fonti che continuamente elargiscono informazioni medico-scientifiche, ci misuriamo in un foro molto affollato. Anche le riviste e la stampa specializzata, ad esempio, fanno un eccellente lavoro sotto questo aspetto».

A volte non si rischia di innescare preoccupazioni esagerate nei telespettatori? «Questo è un rischio che è insito in quello che ho detto prima. Il livello di competenza che abbiamo circa il nostro corpo però non va giudicato dal rischio che può comportare una maggiore conoscenza o maggior indottrinamento, bisogna avere la voglia di rischiare ed è anche necessario. Ecco perché esiste il medico e non esiste più lo sciamano, depositario di capacità segrete che interpreta il mistero. Il medico oggi è il tutore del nostro corretto rapporto con il corpo. In questo senso la medicina è la cultura più attuale della società contemporanea. Non è un caso che nei paesi civili si dedichi la più alta percentuale del proprio bilancio alla salute, alla cura, alla prevenzione e al benessere. L’Italia, che ha il

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Come concilia il suo lato professionale di attore con quello di divulgatore scientifico? «Torno a confermare quello che dicevo prima: non credo che ci sia contrasto o contraddizione tra la mia formazione di uomo di spettacolo di cultura umanistica e il mio compito di divulgatore televisivo. Non credo ci sia incompatibilità tra questi due mondi, anzi il successo di Elisir, se posso dirlo, è dovuto proprio al fatto che a condurlo non è un medico, ma un uomo di spettacolo che conosce i tempi della televisione. Non puoi mettere un medico a fare televisione e non puoi mettere un attore a fare il medico: il medico può aiutare me e viceversa, dobbiamo essere insieme ma i compiti devono essere sempre distinti».

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COMUNICARE LA SALUTE • Simona Maurelli

LA COMUNICAZIONE ALLEATA DELLA SANITÀ di Marco Tedeschi ulturalmente il tema della “malattia” non è più considerato un tabù come poteva essere in passato. Resta complesso, però, il determinare le forme e i linguaggi attraverso cui parlarne, specie se occorre rivolgersi a un pubblico ampio e trasversale. In questo diventa fondamentale il ruolo che ricoprono la comunicazione e le realtà impegnate nel campo. Come Pro Format Comunicazione, la cui attività è la comunicazione sociale di pubblica utilità, di cui una parte importante è quella sanitaria. «L’obiettivo delle nostre iniziative - spiega il general manager Simona Maurelli - è assicurare attraverso la comunicazione maggiore informazione e quindi promuovere comportamenti più responsabili, scelte più appropriate, livelli più alti di salute e benessere».

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A tal proposito quali sono stati i passi in avanti più significativi compiuti dal settore e, nello specifico, dalla vostra azienda? «Di passi in avanti ce ne sono stati moltissimi. Agli inizi degli anni 90, quando iniziai questo lavoro, all’interno dei titoli degli articoli di giornale non era assolutamente permessa la citazione della parola “tumore”, o “cancro”; le cose da questo punto di vista sono molto cambiate. Sicuramente è anche aumentata la ricerca, la medicina e la complessità della materia. Il nostro lavoro è proprio quello di far capire quali sono le ricadute della ricerca scientifica sui pazienti. Molto spesso sulla stampa vengono enfatizzati gli effetti delle malattie e avvengono distorsioni che portano il paziente a disorienSimona Maurelli tarsi. Per noi è importante far capire è general manager della Pro Format Comunicazione alla popolazione quello che oggi è di Roma veramente possibile fare per migliowww.proformatcomunicazione.it rare il livello di salute generale, sfa-

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IN TEMA SANITARIO, IL COMPITO DELLA COMUNICAZIONE È ASSICURARE IL MAGGIOR NUMERO D’INFORMAZIONI. PROMUOVENDO COSÌ LIVELLI PIÙ ALTI DI SALUTE E BENESSERE. NE PARLIAMO CON SIMONA MAURELLI

tando tabù e trovando anche linguaggi diversi adatti a un pubblico variegato». Quanto s’investe in Italia nella comunicazione socio sanitaria? «Sicuramente la crisi economica ha contratto anche gli investimenti nella comunicazione. In ogni caso nel pubblico, ma soprattutto nel privato, non si perde di vista quanto la co-

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Simona Maurelli • COMUNICARE LA SALUTE

municazione ha oramai un ruolo strategico. Per questo continuano a esserci investimenti da parte delle aziende farmaceutiche, le più interessate alla comunicazione. La collaborazione con i medici e i ricercatori continua inoltre a essere costante; soprattutto nelle campagne di sensibilizzazione in cui ci occupiamo di patologie importanti, come oncologia, malattie neurologiche, Aids. Patologie che sono diventate un problema socio-sanitario. Si pensi ad esempio alle famiglie che devono convivere con un malato di Alzheimer o di Parkinson. In questi casi utilizziamo dei format in cui cerchiamo di comunicare alla popolazione attraverso le opinioni di medici ed esperti, ma anche coinvolgendo con spettacoli e con campagne piacevoli. E in questi casi ci rivolgiamo soprattutto alle famiglie». Quale peso ricoprono il web e i social network e quanto si utilizzano ancora i mezzi tradizionali? «I media tradizionali restano fondamentali. Anche la televisione continua a essere il mezzo più immediato e potente. I nuovi media sono complementari ai vecchi media. L’iniziativa sul web deve essere accompagnata da informazioni sui vecchi media. Nella medicina e nelle problematiche importanti come quelle che trattiamo, si richiede infatti una grande delicatezza e precisione. E, nel nostro caso, il web è ancora visto come un mezzo potenzialmente pericoloso. Alcune cose infatti possono essere comunicate in maniera esatta, ma contemporaneamente possono trovarsi anche inesattezze. Bisogna pertanto stare molto attenti a utilizzare solo il web, pur riconoscendo il fatto che rimane un mezzo fondamentale». Quali sono stati i progetti più significativi realizzati di recente? «Ultimamente abbiamo realizzato una campagna sull’Epatite B promossa da 4 società

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Per noi è importante far capire alla popolazione quello che oggi è veramente possibile fare per migliorare il livello di salute generale

scientifiche e sostenuta da un’azienda farmaceutica, in cui facevamo in modo che la popolazione si sottoponesse al test. Nel caso dell’Epatite B esiste oggi infatti un grande sommerso. Mettendo in moto un numero considerevole di strumenti di comunicazione come advertising, radiofonia e altri abbiamo realizzato una campagna di grande successo. Più di 7000 persone sono andate a fare l’esame dell’epatite. Un consenso importante, anche dovuto al grande numero di media che abbiamo utilizzato: web, affissionistica, radio, stampa, call-center per prenotare il test. Una grande campagna».

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LA PREVENZIONE È SINONIMO DI CORRETTA INFORMAZIONE UNA CORRETTA ALIMENTAZIONE E ATTIVITÀ FISICA REGOLARE SONO FONDAMENTALI PER SCONGIURARE I PRINCIPALI FATTORI DI RISCHIO PER LO SVILUPPO DEI TUMORI. L’ANALISI DI STEFANO CASCINU, PRESIDENTE DI AIOM Stefano Cascinu, presidente dell’Associazione italiana oncologia medica

di Nicolò Mulas Marcello

onostante gli scarsi finanziamenti e le lacune normative, il settore della ricerca oncologica in Italia rimane di alto livello. Occorre però investire ancora molto nella prevenzione e nell’informazione: «Il target di una corretta informazione – sottolinea Stefano Cascinu, presidente dell’Associazione italiana oncologia medica – non dovrebbe essere solo quello delle persone adulte ma bisognerebbe cominciare dalle giovani generazioni».

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È possibile fare un quadro generale della ricerca in ambito oncologico? «Quella italiana è sicuramente una delle più sviluppate in Europa e siamo al quarto posto nella classifica mondiale dietro Stati Uniti, Giappone e Regno Unito. Non ci sono particolari differenze tra ricerca di base e clinica perché entrambi i settori sono ugualmente sviluppati, inoltre c’è una forte interazione tra la ricerca di base e l’applicazione pratica nel trattamento dei pazienti. Il problema nasce nel momento del finanziamento, soprattutto per quanto riguarda quella di base. Per quella

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clinica esistono, oltre a problemi di finanziamento, anche nodi burocratici, come comitati etici che ancora non hanno visto una definizione completa della loro destinazione legislativa. Nelle varie regioni non si sa quanti comitati etici devono essere posti in essere in relazione alla popolazione e agli istituti di ricerca. Inoltre, la normativa sulla ricerca spontanea, ovvero non quella legata all’industria, dovrebbe essere completata da circa 10 anni, con alcune norme specifiche per renderla effettivamente praticabile. Per questo motivo in molti ospedali l’attività di molti ricercatori è limitata». Sono state scoperte nuove interazioni certificate tra alimentazione e cancerogenesi? «L’alimentazione è più che altro uno dei punti chiave per la prevenzione. Più che la quantità, si è scoperto che è importante la qualità del cibo che si assume, ovvero le calorie introitate rappresentano il pericolo più grande. Essere in sovrappeso, anche solamente del 20%, aumenta il rischio di sviluppare una neoplasia. Questo perché sono stati identificati i meccanismi alla base di questo ri-

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Stefano Cascinu • ONCOLOGIA

schio. Magari prima il grasso si poteva interpretare come fattore di rischio per i tumori alla mammella, perché si sa che nel grasso vengono prodotti gli estrogeni e quindi gli ormoni potevano spiegare il motivo per cui nelle donne in sovrappeso potevano nascere più frequentemente tumori di questo tipo. In realtà anche per i tumori del colon o della prostata si è notata questa relazione, in quanto l’obesità provoca uno stato infiammatorio che favorisce lo sviluppo di alcuni tumori».

Neoplasie, i numeri in Italia i stima che nel 2012, in Italia, verranno diagnosticati circa 364.000 nuovi casi di tumore maligno, di cui circa 202.000 (56 per cento) negli uomini e circa 162.000 (44 per cento) nelle donne. Sono esclusi i carcinomi della cute, che per le loro peculiarità biologiche e cliniche e per la difficoltà di stimarne esattamente il numero vengono conteggiati separatamente. Escludendo questi ultimi, il tumore più frequente risulta essere quello del colon-retto, con oltre 50.000 nuove diagnosi stimate per il 2012, seguito dal tumore della mammella, con 46.000 nuovi casi, di cui il 99% nelle donne; seguono il tumore del polmone, con 38.000 casi, dei quali un quarto nelle donne, e il tumore della prostata, con 36.000 casi. Tra gli uomini prevale il tumore della prostata, che rappresenta il 20% di tutti i tumori diagnosticati; seguono il tumore del polmone (15%), del colon-retto (14%), della vescica (10%) e dello stomaco (5%). Tra le donne, il tumore della mammella è il più frequente, rappresentando il 29% di tutti i tumori, seguito dai tumori del colon-retto (14%), del polmone (6%), del corpo dell’utero (5%) e della tiroide (5%). Per quanto riguarda i decessi, si stima che nel 2012 nel nostro Paese saranno circa 175.000 (99.000 fra gli uomini e 76.000 fra le donne). I tumori sono la seconda causa di morte (30 per cento di tutti i decessi), dopo le malattie cardio-circolatorie (38%). Il peso dei tumori è più rilevante tra gli uomini, dove causano un numero leggermente superiore a quello dei decessi delle malattie cardio-circolatorie (34%) che tra le donne (25% dei decessi).

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Fonte “I numeri del cancro in Italia 2012” a cura di Aiom e Airtum

E per quanto riguarda lo stile di vita, come si possono contrastare fattori di rischio? «L’attività fisica sicuramente può ridurre in maniera rilevante l’incidenza dei tumori più diffusi che sono, appunto, quello della mammella, del colon e della prostata. Quindi occorre un’attività fisica regolare per tre volte alla settimana e una dieta che permetta di rimanere nel peso forma, seppur con piccole oscillazioni. Infine, ovviamente, ci si deve ricordare che tra i nemici numero unno c’è il fumo». Si fa, secondo lei, una corretta informazione su questo tipo di patologie? «La cosa più sorprendente è che noi parliamo molto di costi economici per i trattamenti e le cure, mentre ci si accorge che si potrebbe far ammalare il 30% in meno di persone comunicando in maniera migliore le informazioni su attività fisica e dieta. Sul fumo le campagne sono state fatte, invece per questi due fattori le informazioni continuano a essere carenti. Il target non dovrebbe essere solo quello delle persone adulte ma bisognerebbe cominciare dalle giovani generazioni». A suo avviso si sta sviluppando tra la popolazione una cultura della prevenzione? «Se si analizzano i dati del 2012 su incidenza e mortalità delle neoplasie ci si può rendere conto che siamo di fronte a una riduzione in entrambi i casi. Sicuramente questo è dovuto alla prevenzione. Le donne sono quelle più attente e si prestano di più a campagne di screening rispetto agli uomini. Per questo si è notato un miglioramento dei dati di sopravvivenza tra le donne».

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ONCOLOGIA • Francesco De Lorenzo

UNA MIGLIORE CONDIZIONE PER I MALATI LA QUALITÀ DI VITA DI CHI È AFFETTO DAL CANCRO È NOTEVOLMENTE MUTATA NEL CORSO DEGLI ANNI GRAZIE ALLA RICERCA E AL SUPPORTO OFFERTO DALLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO. FRANCESCO DE LORENZO SPIEGA LE RECENTI CONQUISTE di Nicolò Mulas Marcello on le nuove terapie e la diagnosi precoce, la vita delle persone colpite dal cancro è oggi diversa dal passato. Il numero delle persone che guariscono è aumentato negli ultimi anni in maniera notevole e riguarda in media Francesco De Lorenzo, più del 50% delle perpresidente di Aimac sone colpite da patologie neoplastiche. Per loro la vita torna alla normalità in circa 2 anni dal trattamento chemioterapico in una elevatissima percentuale di casi. Può succedere però che la normalità non si raggiunga in tutto e per tutto, come ad esempio nel caso delle donne operate per tumore al seno o uomini operati per cancro alla prostata. «Rispetto al passato – spiega Francesco De Lorenzo, presidente dell’Associazione italiana malati di cancro – c’è da parte dei pazienti una fortissima spinta a riprendere la propria vita normale. Una parte dei malati convive con la malattia per molti anni e questa cronicità viene vissuta in maniera diversa. Ci sono donne operate al seno che possono convivere con la malattia anche per decenni sottoponendosi a cure per tenere sotto controllo la malattia che, tuttavia, non incidono sulla quotidianità». In che modo la legge aiuta i malati di cancro?

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«Possiamo dire con grande soddisfazione che le associazioni dei malati hanno cambiato le leggi in Italia. Ci siamo resi conto che le nostre associazioni, Aimac e Favo, hanno avuto un impatto molto forte sul governo e il Parlamento. Ad esempio, nella Legge Biagi abbiamo ottenuto una norma che pone il nostro paese all’avanguardia in Europa. Ogni anno sono colpite dal cancro in Italia 275mila persone e sono 2,25 milioni le persone che hanno vissuto l’esperienza del cancro, di questi non sappiamo sempre quali danni sulla vita sociale e sul lavoro la malattia ha loro arrecato. Secondo gli studi del Censis, tra mancati introiti e spese aggiuntive, il costo sociale delle famiglie che hanno malati di cancro ammonta a circa 30mila euro all’anno. Costi dovuti fondamentalmente alla mancanza di lavoro di chi si ammala e di chi assiste il malato. Dal ministro Sacconi nel 2004 abbiamo ottenuto il riconoscimento del diritto del malato di cancro di poter avere, durante il trattamento terapeutico, la possibilità di passare dal rapporto di lavoro a tempo pieno a quello a tempo definito reversibile. Questa norma ha cambiato la vita dei malati di cancro, in quanto anche durante la terapia possono continuare a lavorare part time». Cosa altro avete ottenuto sul piano giurisprudenziale? «La seconda legge risale al 2006 e riguarda i caregiver, ovvero le persone che assistono il parente malato. C’è la possibilità anche per loro di chiedere e ottenere

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Francesco De Lorenzo • ONCOLOGIA

dal datore di lavoro il passaggio da tempo pieno a tempo definito. Inoltre, grazie al rapporto col Governo Berlusconi e l’Inps, siamo riusciti a ottenere la modifica del riconoscimento della disabilità per i malati di cancro in maniera uguale su tutto il territorio nazionale entro due mesi. Infine, dopo anni di forti rivendicazioni siamo riusciti a ottenere che nel recente decreto venisse inserita una norma che restituisce ai malati di cancro il diritto ad avere l’accesso ai farmaci innovativi indipendentemente dal luogo di residenza». La rivista Nature ha diffuso la notizia che la chemioterapia anziché sconfiggere il cancro ne favorirebbe addirittura la crescita. Questo tipo di notizie non tendono a confondere le idee dei malati di cancro? «Noi riteniamo che il mondo dell’informazione a

volte abbia gravi e grandi responsabilità. Abbiamo cercato di responsabilizzare chi fa i titoli per non creare false aspettative o deviare l’attenzione del malato rispetto a trattamenti terapeutici che sono essenziali. Io stesso ho avuto un cancro al colon e sono guarito con la chemioterapia, senza la quale la maggioranza delle persone non guarirebbe. Non c’è dubbio che la chemioterapia colpisca le cellule malate e anche quelle sane e, quindi, può alterare il Dna e dar vita a effetti collaterali. Dallo studio che lei cita è emerso che in alcuni casi un prodotto chemioterapico agisce in una prima fase e poi il suo effetto si arresta. Questo succede perché avendo un effetto anche sulle cellule normali, esse tendono a difendersi secernendo una proteina che interferisce con l’effetto della chemioterapia. Questo ovviamente non è un motivo per dire che la chemioterapia fa male, ma suggerisce che è il momento di passare a una seconda fase di trattamento». Un certo tipo di alimentazione può favorire lo sviluppo di tumori? «È stato documentato che un’alimentazione priva di verdura e di frutta può essere una concausa dell’aumento dei tumori del tubo gastroenterico. Così come il ricorso a un eccesso di grassi e la condizione dell’obesità possono anch’esse favorire il tumore alla mammella o quello alla prostata. In generale, sappiamo che se certi alimenti provengono da aree inquinate, ovviamente si possono sviluppare certi tumori ma questo non dipende direttamente dal cibo in sé. Non possiamo individuare, quindi, una responsabilità diretta degli alimenti ma sappiamo piuttosto che l’assunzione di frutta, verdura e pochi grassi animali, può essere una dieta protettiva nei confronti della possibilità di sviluppare il cancro».

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ONCOLOGIA • Alberto Amadori

RISULTATI E PROSPETTIVE DELLA LOTTA AL CANCRO di Eugenia Campo di Costa

Il professor Alberto Amadori, direttore scientifico dell’Istituto oncologico veneto con sede a Padova

a ricerca scientifica ha fatto passi da gigante nell’individuazione e nella cura di alcune tipologie di tumore anche se, nel contempo, stili di vita e fattori ambientali non limitano l’insorgere della malattia, anzi. «Il fatto più preoccupante è che si sta abbassando la soglia di età in cui insorge la malattia – afferma il professore Alberto Amadori, direttore scientifico dell’Istituto oncologico veneto, Irccs specializzato nella cura e nella ricerca sul cancro –. Il tumore, infatti, è sempre stato identificato come un male proprio dell’invecchiamento, invece oggi si assiste a una crescita del numero dei tumori giovanili, in particolare di cancri alla mammella nelle donne tra i 35 e i 50 anni. Il dato positivo è che la mortalità è in netto calo grazie alla prevenzione primaria e secondaria, ai nuovi presidi terapeutici e ai medicinali. L’obiettivo della ricerca scientifica è quello di arrivare a guarire i tumori, o per lo meno, di riuscire a ridurli a malattie croniche da tenere sotto controllo».

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Con gli strumenti oggi a disposizione, come si può limitare l’insorgere del tumore? «Con la prevenzione primaria e secondaria, ambiti in cui c’è ancora molto da fare. Una vita sana, una dieta ricca di fibre vegetali e antiossidanti, la limitazione dei

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CRESCE IL NUMERO DEI MALATI DI CANCRO, MA OGGI, DI CANCRO, SI MUORE MENO. «L’OBIETTIVO DELLA RICERCA SCIENTIFICA È QUELLO DI ARRIVARE A GUARIRE I TUMORI, O PER LO MENO, DI RIUSCIRE A RIDURLI A MALATTIE CRONICHE». IL PUNTO DI ALBERTO AMADORI grassi, delle carni, l’abolizione del fumo e l’attività fisica quotidiana sono buone abitudini in grado di ridurre i tumori, che si calcola potrebbe arrivare anche al 30 per cento. Il problema è che ancora troppe persone non riescono a sradicare le cattive abitudini, o semplicemente ignorano l’importanza di uno stile di vita corretto. Anche nell’ambito della prevenzione secondaria, che comunque viene già effettuata per individuare diverse tipologie di tumore attraverso la mammografia, il sangue occulto nelle feci, esami periodici alla prostata, si può ancora migliorare. C’è molto da fare, inoltre, nella definizione dei sottotipi tumorali, perché oggi parlare di cancro alla mammella o al colon in generale non ha più senso: esistono tipi diversi di cancro a un determinato organo e ciascuna tipologia ha un proprio profilo di alterazione preciso e richiede un trattamento mirato». L’Istituto ha un approccio olistico al tumore, che spazia dalla diagnosi alla terapia, fino alla qualità della vita dei pazienti. «Siamo inseriti in una rete europea di oltre 70 centri oncologici in Europa che si occupano del tumore sotto tutti gli aspetti: prevenzione, diagnosi, terapia, ricerca e didattica. Lo Iov lavora in convenzione con l’Univer-

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Alberto Amadori • ONCOLOGIA

sità di Padova ed è sede della scuola di specializzazione in oncologia medica, di un dottorato di ricerca in oncologia chirurgica. All’aspetto clinico, pertanto, si affianca l’attenzione alla ricerca e alla didattica che fa del nostro un istituto di ricovero e cura a carattere scientifico. La ricerca è fondamentale per la nostra missione e si svolge soprattutto per capire qual è il meccanismo di origine di un tumore». Quali i risultati ottenuti finora nell’individuazione dell’origine del tumore? «Oggi sappiamo che il cancro è una malattia dei geni, però in uno stesso tipo tumorale i geni che si rompono o si alterano possono essere diversi e originano quadri clinici e prognostici diversificati. La nostra preoccupazione è appunto quella di individuare la terapia in funzione dello spettro di alterazione molecolare che caratterizza quel singolo tumore. Ci indirizziamo cioè verso la medicina personalizzata: in funzione delle alterazioni che ci sono nel tumore e che lo caratterizzano, nonché in funzione di quel particolare gruppo di pazienti, possiamo usare determinati farmaci perché sappiamo che il tumore potrà essere responsivo a quella terapia, mentre la stessa terapia non sortirà effetti su altre tipologie di tumore o di paziente. Attraverso un’analisi molecolare delle alterazioni che sono nei tumori, usiamo il particolare farmaco efficace per quella specifica alterazione». Lo Iov si occupa anche dell’immunologia dei tumori. Quali le prospettive in quest’ambito? «Nel giro di una ventina di anni circa si potrà arrivare a vaccinare i pazienti per determinate tipologie di tumori. Non sarà una vaccinazione preventiva ma curativa e rappresenterà un aiuto in più per il paziente che

affronterà la terapia con un approccio integrato di chirurgia, radioterapia, chemioterapia nelle giuste combinazioni, e anche immunoterapia, probabilmente vaccinoterapia in casi selezionati». Lo Iov ha ricevuto finanziamenti per studiare le cellule staminali tumorali. Quali linee seguirà questo tipo di ricerca e su quali altri fronti vi concentrerete nel prossimo futuro? «Concentreremo la ricerca sulle cellule staminali tumorali, sulla farmacogenomica e sulla farmacogenetica. Il tumore nasce da cellule che si autoriproducono e originano tutta la massa tumorale. Oltre a estirpare chirurgicamente la massa tumorale, bisogna riuscire a colpire selettivamente le cellule che la originano e che sono particolarmente maligne perché si nascondono alle terapie più comuni, restano quiescenti per mesi o per anni, per poi riprodurre il tumore e generare metastasi. Oggi gran parte della ricerca in tutto il mondo è orientata sulle cellule staminali, primordiali, generative della massa tumorale; colpire queste cellule è una priorità. L’altro aspetto fondamentale è quello della farmacogenetica e della farmacogenomica. Non tutte le terapie sono adatte a tutti i pazienti perché ognuna agisce su un’alterazione molecolare presente solo in certi particolari sottotipi di tumori. Inoltre, non tutti i pazienti rispondono a una data terapia nello stesso modo. La farmacogenetica e la farmacogenomica si occupano pertanto di capire la risposta in termini di tossicità dei pazienti a certi farmaci, perché non tutti gli individui metabolizzano i farmaci allo stesso modo: chi ha un metabolismo più rapido può necessitare di dosi più elevate, viceversa, su chi metabolizza i farmaci in maniera più lenta bisogna stare particolarmente attenti agli effetti collaterali».

Oggi gran parte della ricerca in tutto il mondo è orientata sulle cellule staminali, primordiali, generative della massa tumorale, colpire queste cellule è una priorità

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ONCOLOGIA • Alessandro Mazzucco

L’ECCELLENZA DELLA RICERCA E I SUOI RISULTATI di Nicolò Mulas Marcello LA RICERCA MEDICA EFFETTUATA NEI LABORATORI DELL’UNIVERSITÀ DI VERONA HA OTTENUTO RECENTEMENTE IMPORTANTI RISULTATI RICONOSCIUTI A LIVELLO INTERNAZIONALE. ALESSANDRO MAZZUCCO SPIEGA COME SONO STRUTTURATI GLI STUDI E I CENTRI DOVE OPERANO I RICERCATORI

razie all’istituzione di Arcnet, il centro di ricerca applicata sul cancro, Verona è l’unica città italiana coinvolta nel progetto mondiale “Genoma del cancro”. Gli studi effettuati nei laboratori dell’Università di Verona hanno ottenuto importanti risultati: «La ricerca avanza e continua – spiega Alessandro Mazzucco, rettore dell’ateneo – anche in altri ambiti, dal diagnostico molecolare, per l’identificazione di marker predittivi del rischio di patologie cardiovascolari, alla messa a disposizione di strumenti robotici per la chirurgia, attività che vede collaborare attivamente i dipartimenti di

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Alessandro Mazzucco, rettore dell’Università di Verona

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chirurgia e informatica del nostro ateneo». Come è strutturata la ricerca? «Anche grazie all’intervento della Fondazione Cariverona e ad altri finanziatori vicini a noi, siamo tra i pochi atenei ad aver mantenuto un elevato numero di borse di dottorato di ricerca, nonostante i pesanti tagli ministeriali su questo settore; abbiamo anche stimolato l’attività di ricerca a livello post-dottorato, finanziando numerosi assegni di ricerca. Infine, da anni interveniamo in modo sostanzioso a livello di attrezzature scientifiche e di servizi bibliotecari. Stiamo costituendo il Centro grandi attrezzature di ateneo, che oltre ad aiutare i gruppi di ricerca interni a utilizzare al meglio e a bassi costi un patrimonio tecnologico ingente e di alta qualità, specialmente per quel che riguarda le varie tecniche di imaging, dal macroscopico al molecolare, sarà a disposizione del sistema produttivo territoriale per ricerche applicative condotte in collaborazione con i nostri ricercatori. Abbiamo un ufficio ricerca che offre servizi di supporto ai ricercatori nell’acquisizione di fondi e alle società del territorio per collaborare scientificamente con noi, e che è stato giudicato da un’analisi del Politecnico di Milano, uno dei più efficienti in Italia. Infine stimoliamo con specifici finanziamenti la collaborazione tra i nostri ricercatori e le imprese del territorio e l’imprenditorialità diretta come dimostra la nascita

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Alessandro Mazzucco • ONCOLOGIA

Abbiamo ottenuto importanti risultati in diversi settori della ricerca medica che ci hanno consentito di aprire inaspettate frontiere

di alcuni spin-off nel settore delle biotecnologie e della robotica applicate alla medicina». Quali importanti risultati hanno ottenuto i ricercatori dell’Università di Verona negli ultimi anni? «Abbiamo avuto importanti risultati in diversi settori della ricerca medica che hanno consentito a diversi gruppi di aprire inaspettate frontiere verso l’identificazione di nuovi target per la cura di importanti malattie nonché di pubblicare sulle più importanti riviste scientifiche del mondo. Tra questi cito i dati prodotti dai nostri patologi generali che hanno dimostrato il significato patologico dei leucociti nel cervello e quindi aperto nuove frontiere per la terapia di malattie come l’epilessia e la sclerosi multipla. Un’altra scoperta, che sentiamo nostra in quanto essa è nata proprio a Verona dal lavoro di due nostri giovani all’interno dei laboratori della farmacologia e dell’ematologia, riguarda l’identificazione di cellule staminali neurali nelle meningi. La scoperta stravolge molte idee sulle capacità rigenerative del cervello. Inoltre, la possibilità di ottenere queste cellule da meningi di pazienti adulti apre la strada all’utilizzo su ampia scala di cellule staminali neurali per la terapia delle malattie neurodegenerative senza le attuali imitazioni etiche

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legate al fatto che la fonte di tali cellule ancora oggi è rappresentata da embrioni umani. Senza dimenticare i risultati ottenuti dal Dipartimento di medicina nell’ambito del metabolismo del ferro e dei fattori di rischio di patologie cardiovascolari e gli studi del Dipartimento di patologia che hanno portato alla definizione della patogenesi della fibrosi polmonare e soprattutto all’individuazione di nuove strategie terapeutiche per la cura di questa malattia altrimenti mortale». Avete in atto collaborazioni con altri istituti di ricerca? «Favoriamo le collaborazioni attraverso uno specifico programma di collaborazione internazionale interamente finanziato dal nostro ateneo e che denominiamo “CooperInt”. A questa tipologia di progetti abbiamo dedicato quasi 500 mila euro nel 2011 con i quali i nostri docenti e, soprattutto, i nostri studenti di dottorato hanno potuto effettuare periodi di lavoro in laboratori di prestigio situati in paesi della Comunità europea e del nord America. Il progetto ha consentito anche a diversi colleghi stranieri di venire a lavorare nei nostri laboratori, contribuendo così ancora di più al già cospicuo livello di internazionalizzazione della vita di ricerca in Verona».

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ONCOLOGIA • Gianpiero Fasola

CURE TUMORALI INNOVATIVE E SOSTENIBILI di Giacomo Govoni

LA PRESENZA DI COMPETENZE CHIRURGICHE D’ECCELLENZA È UNO DEGLI STIMOLI PRINCIPALI PER L’ONCOLOGIA MEDICA DELL’OSPEDALE S. MARIA DELLA MISERICORDIA DI UDINE, CHE GESTISCE ANCHE STUDI CLINICI INNOVATIVI, COME QUELLO SUI TUMORI DEL DISTRETTO CERVICO-FACCIALE. IL PUNTO DI GIANPIERO FASOLA

Gianpiero Fasola, direttore del dipartimento di oncologia dell’ospedale S. Maria della Misericordia di Udine

n sintonia con il nuovo piano oncologico regionale in via di realizzazione, pochi mesi fa in Friuli Venezia Giulia ha preso il via la prima scuola di “governo clinico” nella pratica oncologica. Un esperimento pilota che coinvolge una ventina di primari e altre figure direttive della sanità regionale, finalizzato ad accrescere le competenze dei professionisti in una disciplina d’avanguardia nella realtà friulana. «Negli ultimi tempi – spiega Gianpiero Fasola, direttore del dipartimento di oncologia dell’ospedale S. Maria della Misericordia di Udine – ci siamo anche dedicati alla qualità organizzativa delle attività oncologiche, collaborando con l’Università Bocconi di Milano alla pubblicazione di uno studio che analizza i percorsi dei pazienti, i costi evitabili e i fattori che influenzano la sostenibilità delle cure».

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Nelle graduatorie nazionali di ricerca oncologica, il vostro ospedale occupa le posizioni di vertice. Come è stato raggiunto questo risultato? «Inizialmente abbiamo sviluppato la ricerca nelle patologie più frequenti o “big killer”, cioè i tumori del polmone, della mammella e dell’apparato gastrointestinale. Di seguito abbiamo attivato studi clinici importanti nei tumori dell’encefalo, del capo-collo, nel melanoma e nei tumori genito-urinari: l’oncologia medica è influenzata positivamente dalla presenza in quest’ospedale di competenze chirurgiche d’eccellenza, dalla chirurgia generale alla neurochirurgia, alle chirurgie specialistiche». In precedenza accennava al tema dei costi, oggi al centro del dibattito. Un cruccio che tocca anche la sfera oncologica?

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Gianpiero Fasola • ONCOLOGIA

Stiamo testando un agente virale che sembra favorire la morte delle cellule tumorali del distretto cervico-facciale

«Il rischio che l’aumento esponenziale dei costi per la cura del cancro divenga insostenibile per i sistemi sanitari dei Paesi occidentali è un tema di grande attualità, come è emerso negli ultimi due anni sulle principali riviste scientifiche e al congresso della Società americana di oncologia clinica lo scorso giugno a Chicago. Credo che in un periodo critico come questo, dovremmo far tesoro dell’approccio anglosassone e avere la capacità di produrre evidenze scientifiche, attraverso le metodologie dell’Health technology assessment e la ricerca comparativa sui modelli».

mella, dopo chirurgia, per ridurre il rischio di ricaduta. Infine, partecipiamo a due sperimentazioni internazionali multicentriche su nuovi farmaci a bersaglio molecolare nei tumori avanzati del polmone. Anche in questo caso si tratta di interrompere o rallentare la crescita del tumore interferendo direttamente con le vie metaboliche della cellula neoplastica».

Quali sperimentazioni state gestendo attualmente e quali nuove frontiere state esplorando? «Gestiamo oltre trenta studi clinici che riguardano diverse neoplasie. Tra i più innovativi vi è uno studio per i tumori del distretto cervico-facciale, all’interno del quale stiamo sperimentando la somministrazione di un agente virale che sembra in grado di rallentare la crescita e favorire la morte delle cellule tumorali».

Nell’ambito della strumentazione diagnostica, quali progressi ha compiuto la vostra struttura negli ultimi tempi? «Abbiamo acquisito la strumentazione più aggiornata per la diagnostica molecolare, un pirosequenziatore di ultima generazione che analizza la genetica dei diversi tumori, identifica le mutazioni potenzialmente sensibili a trattamenti personalizzati e consente quindi un utilizzo ragionato dei farmaci innovativi, a bersaglio molecolare. Alcuni sono già in commercio, altri sono disponibili per i pazienti inseriti nelle sperimentazioni citate».

Per quanto riguarda gli altri organi? «Stiamo sperimentando due promettenti nuovi farmaci a bersaglio molecolare nel tumore dello stomaco, un inibitore di una proteina, codificata dall’oncogene Met, coinvolta nella crescita tumorale e un anticorpo monoclonale rivolto contro un recettore espresso dalle cellule del tumore gastrico che esprimono Her2 (pertuzumab). Utilizziamo questa molecola anche in uno studio sul tumore della mam-

Su quali partnership potete contare? «Abbiamo attive collaborazioni con le principali organizzazioni internazionali per la ricerca sul cancro, come Eortc e Ibcsg, con la fondazione Michelangelo, il Gruppo italiano mammella e altri gruppi cooperativi. In Italia collaboriamo con diverse istituzioni: il San Raffaele di Milano, l’Istituto oncologico veneto di Padova, l’Università di Pisa e naturalmente il Cro di Aviano».

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ONCOLOGIA • Vittore Pagan

ALTA TECNOLOGIA CONTRO I “BIG KILLER” IL RUOLO DI PRIMO PIANO DEL CENTRO DI RIFERIMENTO ONCOLOGICO DI AVIANO NEL PANORAMA DEGLI OSPEDALI D’ECCELLENZA ITALIANI SI È RAFFORZATO ULTERIORMENTE CON L’INNESTO DI VITTORE PAGAN, MEDICO ESPERTO NEL CAMPO DELLA CHIRURGIA POLMONARE di Giacomo Govoni on oltre 38mila casi ogni anno e il trend di sopravvivenza a 5 anni più basso rispetto a tutte le altre neoplasie, il cancro al polmone è storicamente una delle bestie nere della medicina oncologica. Tra i primi tre “big killer” sia per gli uomini che per le donne, oggi questa tipologia di tumore sta assistendo tuttavia a un incremento dei tassi di curabilità e guarigione, in primis per merito di programmi di screening e di terapie più efficaci. Nuove armi nella lotta contro i tumori che non mancano di certo all’interno del Centro di riferimento oncologico di Aviano. Un istituto d’eccellenza che da circa un anno si avvale della consulenza di Vittore Pagan, chiamato ad Aviano per supervisionare la crescita di una nuova equipe specializzata in chirurgia oncologica polmonare. «L’inseri-

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mento è avvenuto in un ambito polidisciplinare medico e infermieristico più ampio – spiega Pagan – poiché tutte le strutture interne al Cro erano già predisposte per occuparsi di patologia oncologica toracica». Quali competenze ha portato e quali peculiarità ha trovato in questo istituto? «Ho trovato un organico già integrato, in cui abbiamo particolarmente potenziato e sistematizzato l’attività di valutazione pre-operatoria e di chirurgia maggiore, soprattutto polmonare, ma anche del mediastino e della pleura. A tutt’oggi sono stati eseguiti 71 interventi maggiori sul torace senza nessuna complicanza post-operatoria, che hanno riguardato più del 60% di pazienti di altre regioni e l’80% di tumori primitivi del polmone. Le linee stra-

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Vittore Pagan • ONCOLOGIA

Aviano è stato il primo centro a istituire un’equipe specializzata per seguire il paziente oncologico guarito Vittore Pagan, consulente operativo di chirurgia oncologica toraco-polmonare al Cro di Aviano

tegiche che stiamo sviluppando mirano al conseguimento del minimo trauma chirurgico con la massima radicalità di cura, cioè assicurando la migliore qualità di vita. Incisioni sì, ma molto piccole e anche ben nascoste, nel tentativo di non asportare mai tutto il polmone, ma solo il lobo e quando possibile, solo il segmento del lobo. Fino agli interventi di auto-trapianto o cosiddetti di risparmio che si limitano all’asportazione della parte malata, ricostruendo la parte sana e lasciandola sul posto». Come si è evoluta ultimamente la tecnica d’intervento terapeutico su una neoplasia toracica? «Le principali linee di cura moderna si basano sulle tecniche che hanno dato i migliori risultati rispetto al passato. Penso all’approccio multidisciplinare, alla ricognizione scrupolosa dello stadio della malattia e alla definizione migliore possibile dell’assetto biologico e funzionale dell’individuo. Altro progresso è quello relativo all’integrazione fra i trattamenti. Porto due esempi per chiarezza: la riduzione pre-operatoria del tumore del polmone mediante la chemioterapia che garantisce al successivo intervento la massima curabilità possibile, oppure l’irradiazione intraoperatoria, che permette di applicare una maggior prevenzione delle recidive. Non va dimenticato, infine, l’ottimale controllo del dolore e la

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fisioterapia post-operatoria per recuperare rapidamente respirazione e muscoli». In che modo le nuove tecniche incidono sui tempi di trattamento di un tumore? «Secondo le disposizioni europee e nazionali, la diagnosi andrebbe completata nell’arco di 2-3 settimane, un tempo ragionevole per malattie per lo più lente, con un evoluzione non galoppante, come le neoplasie toraciche. Il trattamento del tumore invece dovrebbe avvenire entro 30 giorni dalla diagnosi. La degenza per polmone, infine, è mediamente di 6 giorni, più 15-30 giorni per il recupero funzionale primari. Tutte tempistiche che al Cro sono ampiamente rispettate». Come sta cambiando il tasso di sopravvivenza dopo la diagnosi di neoplasia polmonare? «L’attenzione massima che popolazione e medici di base hanno sul problema, han fatto sì che oggi la diagnosi del tumore al polmone avvenga abbastanza precocemente, fattore chiave per aumentare la quota di sopravvivenza. Con chemioterapia e radioterapia pre-operatoria, poi, riusciamo a portarne una buona quota come se fossero in stadio iniziale. Tutto ciò ha portato a migliori risultati. Dal 2007 si registrano a livello internazionale sopravvivenze a 5 anni dopo il trattamento del tumore primitivo intorno al 73 per cento, e tra il 45 e il 60

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ONCOLOGIA • Vittore Pagan

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per i tumori meno avanzati. Un range grezzo, comprensivo anche dei decessi non dovuti al ripresentarsi di quella malattia, in cui la proiezione statistica sui 70 casi trattati nell’ultimo anno al Cro s’inscrive a pieno».

gole e la capacità della radiologia di distruggere i tumori minuscoli con la termoablazione. Infine Aviano è stato il primo a istituire un’equipe specializzata per seguire il paziente oncologico guarito».

Quali punti di forza offre il Cro nell’aggressione ai tumori, polmonari in primis? «Il primo strumento d’avanguardia è lo stesso Cro, struttura unica e logisticamente attrezzata per provvedere al paziente oncologico dall’ingresso alle dimissioni. Il secondo è il percorso predeterminato: in qualunque punto il paziente prenda contatto con l’istituto (radiologia, chirurgia, radioterapia), scatta un protocollo di accertamento e approfondimento uniforme».

Dalla prospettiva oncologica toracica, quali sono le nuove minacce per il nostro organismo? «Il primo pericolo individuale, voluttuario, è sempre il fumo, a cui si debbono l’80-90% dei tumori polmonari. Di converso, è altrettanto vero che solo il 10-15 per cento dei fumatori sviluppano un tumore. Significa che ci sono anche fattori genetici predisponenti o esterni non correlati al fumo. La nuova frontiera pertanto è individuare quei geni protettori che vengono inibiti nella loro azione di difesa, a causa del fumo, ma anche dell’amianto, del radon e le radiazioni. Poi ci sono altre tendenze allo studio per capire se il nesso d’insorgenza è casuale o causale: l’inquinamento atmosferico (i particolati e il diesel), i virus, il fumo passivo, la sedentarietà, le esposizioni lavorative, la dieta, i processi infiammatori. Quanto alla prevenzione primaria, il primo rimedio è la cessazione del fumo. In più sono sotto esame possibili farmaci per la chemio-prevenzione, quali il cortisone a basse dosi, l’aspirina e i precursori della vitamina A, ma al momento evidenze certe non ci sono ancora».

Quale le apparecchiature d’avanguardia? «Nella gamma di strumenti impiegati negli esami pre-ricovero, spiccano la Pet e la capacità di eseguire biopsie con micro prelievi, per dare poi la risposta più affidabile, ovvero quella istologica. Si aggiungano i cicli di chemioterapia guidati dalla biologia molecolare, una delle frontiere dell’oncologia, e la radioterapia detta tomoterapia che permette anche applicazioni stereotassiche (gamma knife) che irradiano solo la lesione. Da rimarcare infine, la terapia intensiva oncologica con stanze di degenza sin-

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ONCOLOGIA • Giovanni Lucio Rocca

LA TERAPIA BIOLOGICA DEI TUMORI di Mauro Terenziano

lleviare la sofferenza dell’uomo è un atto medico che non può avvenire a discapito dell’integrità fisica e psichica del paziente. Quindi ogni nostro sforzo per raggiungere questo scopo non ha prezzo e limite di fronte alla vita della persona». È questa la filosofia alla base dell’impegno clinico del dottor Giovanni Lucio Rocca, direttore sanitario del centro di medicina polispecialistico Manara 31 di Monza, che ha messo a disposizione la sua esperienza nel campo della medicina non invasiva per la prevenzione e la terapia biologica dei tumori. Fra le terapie proposte il centro Manara 31 è specializzato nell’ipertermia clinica capacitiva. «Questa – come spiega il dottor Rocca – consiste nell’utilizzo di fonti di calore allo scopo di ottenere un aumento di temperatura degli

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Il dottor Giovanni Lucio Rocca, direttore sanitario del centro di medicina polispecialistico Manara 31 di Monza www.studiomedicomanara31.com

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L’IPERTERMIA CLINICA. UN TRATTAMENTO INNOVATIVO CHE AFFRONTA CON EFFICACIA LA TERAPIA ONCOLOGICA, RIDUCENDO AL MINIMO GLI EFFETTI COLLATERALI. LA PAROLA A GIOVANNI LUCIO ROCCA

organi e dei tessuti. Il fine è quello di incrementare la sensibilità delle cellule cancerogene ai trattamenti antineoplastici». Quali sono le possibilità offerte dall’ipertermia clinica nel trattamento dei tumori? «La stimolazione biomolecolare, ottenuta attraverso il calore, permette di raggiungere quattro obiettivi terapeutici fondamentali: una febbre artificiale (di 39-40 gradi), con aumento quantitativo e qualitativo della linea cellulare immunocompetente contro il tumore; un incremento significativo delle endorfine circolanti (a 40-41 gradi) con una migliore gestione clinica del dolore – il cosiddetto effetto antalgico; l’induzione dell’apoptosi cellulare (42-43 gradi) per le linee cellulari cancerogene. Infine, un sensibile potenziamento dell’effetto dei trattamenti farmacologici e radioterapici previsti, con possibile riduzione dei dosaggi e una minore tossicità relativa». In che modo viene stimolato il riscaldamento? «Il riscaldamento può essere indotto in tutto l’organismo o soltanto in alcune parti di esso – in quest’ultimo caso si parla di ipertermia loco-regionale. Nella pratica clinica, l’ipertermia loco-regionale, mirata su alcuni

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Giovanni Lucio Rocca • ONCOLOGIA

L’ipertermia è una valida tecnica complementare di potenziamento dell’attività di tutte le altre terapie del cancro

organi e tessuti, si è dimostrata più efficace per la sua versatilità e sicurezza di applicazione. Il razionale scientifico su cui poggia l’ipertermia clinica ci dimostra che il target biomolecolare del calore, alle temperature suddette, è la molecola del Dna. In particolare nel suo momento replicativo, quando subisce un processo di de naturalizzazione che esita nella morte cellulare. Alla luce delle recenti scoperte scientifiche in particolare in campo oncologico e infettivologico, questi risultati clinici hanno sensibilmente aumentato l’interesse per questa metodologia terapeutica innovativa». Quali sono stati i risultati principali? «È stato dimostrato che con l’ipertermia molte molecole farmacologiche usate nella terapia dei tumori (cisplatino, oxaliplatino, gemcitabina, ciclofosfamide) aumentano sino a quattro-cinque volte di efficacia a parità di dose; una reale possibilità di protrarre le terapie, su dati clinici evidenti, per periodi più lunghi, a bassi dosaggi e con minor tossicità; un sensibile miglioramento della qualità di vita e un aumento della longevità del paziente oncologico. L’ipertermia, quindi, è una valida tecnica complementare di potenziamento dell’attività di tutte le altre terapie del cancro, consentendo in alcuni casi la regressione del tumore, in altri, numerosi, l’arresto della malattia per periodi più o meno lunghi».

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Quali sono le patologie nelle quali è possibile applicare l’ipertermia clinica? «Questa terapia può essere applicata sia ai tumori superficiali – melanomi, epiteliomi, sarcomi delle parti molli, tumori connettivali, pacchetti linfonodali –, sia a quelli profondi – pancreas, fegato e vie biliari, polmone, stomaco, colon retto, reni, prostata, vescica, larnge, faringe e lingua, tessuto osseo, pelvi, organi genitali femminili, cervello». Qual è il sistema diagnostico più avanzato che utilizzate nel centro? «Per l’individuazione del tumore della mammella utilizziamo l’esame ottico del seno Dobi Comfortscan. È un sistema non invasivo, che non emette radiazioni pericolose e che permette di ottenere un’immagine ottica e dinamica della mammella. Le immagini innovative del sistema danno al medico nuove informazioni fisiologiche che, associate all’attività neonagiogenetica, aiutano a rilevare la dinamica, la tendenza e lo sviluppo dei tumori mammari. E poiché migliora, in modo sensibile, le attuali immagini diagnostiche convenzionali soprattutto in termini di precisione, velocità, comfort, sicurezza e facilità d’uso, l’impiego della metodica ComfortScan è consigliato in supporto alla mammografia, all’ecografia e all’esame obiettivo».

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ONCOLOGIA • Elisabetta Angelini

UTILIZZIAMO GLI ALIMENTI COME FARMACI di Elisabetta Angelini, oncologa

apevate che tutti i cibi che mettiamo giornalmente sulla nostra tavola contengono dei principi farmacologici? Così come anche le erbe medicinali di cui ormai si fa largo uso: la differenza è che per il cibo si fa fatica ad ammetterlo e, soprattutto, a seguire suggerimenti su come usarlo come cura. Usiamo il cibo per dimagrire, per piacere, per motivi sociali, ma raramente pensiamo a quanto davvero ciò che mangiamo impatta e cambia il nostro corpo. Il modo in cui mangiamo può aumentare o diminuire i fattori infiammatori, la presenza dei quali può promuovere l’insorgere di malattie croniche e cronicodegenerative con il possibile sviluppo di cellule tumorali. Il tumore, per manifestarsi in organismo, passa attraverso alcune fasi: un’alterazione cellulare che porta alla nascita di una cellula tumorale (o meglio, una cellula staminale che vira verso la malignità), l’inizio

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La dottoressa Elisabetta Angelini è laureata in medicina e chirurgia e specializzata in oncologia. Master di secondo livello in psiconeuroimmunologia www.elissamed.it

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IL MODO IN CUI MANGIAMO PUÒ AUMENTARE O DIMINUIRE I FATTORI INFIAMMATORI, LA PRESENZA DEI QUALI PUÒ PROMUOVERE L’INSORGERE DI MALATTIE CRONICHE E CRONICODEGENERATIVE CON IL POSSIBILE SVILUPPO DI CELLULE TUMORALI

della divisione della cellula malata e, infine, la crescita incontrollata con la successiva invasione del tessuto di origine e la relativa metastatizzazione. Nel 1889 il chirurgo inglese Stephen Paget, pubblicò sulla rivista The Lancet un interessante articolo, che fa scuola ancora oggi, in cui tratta questo tema chiamandolo “Il seme e la terra” e suggerendo che le cellule tumorali per crescere e dare metastasi hanno bisogno di un “terreno” fertile su cui far crescere i loro “semi”: proprio come fanno le piante. Ad oggi si sa che se nell’ambiente circostante il tumore, (il cosiddetto “terreno”), non ci sono i fattori infiammatori necessari alla crescita neoplastica, il cancro non riesce a svilupparsi, anche in presenza di cellule cancerose fortemente aggressive. I fattori infiammatori - il fertilizzante del cancro - li procuriamo noi con il nostro stile di vita (stress, esposizione ad agenti fisici, chimici ecc…) e con la conseguente alimentazione in cui abbondano zuccheri raffinati e cibi ad alto indice glicemico che fanno salire il tasso insulinico e di IGF (che funzionano da fattori di crescita tumorali), la carenza di omega 3 (EPA+DHA) e il conseguente eccesso di omega 6, gli ormoni della crescita presenti nella carne o in certi latticini che stimolano a loro volta l’IGF e così via. L’alimentazione è in grado di fornirci anche gli “antipromotori” come i composti fitochimici di certe verdure e di certi frutti che contrastano i meccanismi infiammatori. Le ultime ricerche hanno portato alla scoperta che tutti i cibi che hanno proprietà acidificanti (o con alto indice glicemico) posOTTOBRE 2012


Elisabetta Angelini • ONCOLOGIA

sono promuovere l’aumento dei fattori infiammatori (per gli addetti ai lavori le citochine infiammatorie) mentre tutti i cibi che hanno proprietà alcalinizzanti portano a una diminuzione di tali fattori. Inoltre, si sa che il pH extracellulre dei tumori è acido (da 6.5 a 6.9) mentre il pH dei tessuti sani è alcalino (da 7.2 a 7.5). Tutto ciò è talmente comprovato che il National Institutes of Health ha stanziato 2 milioni di dollari al dottor Mark Pagel, dell’Università dell’Arizona per studiare l’efficacia della terapia personalizzata con bicarbonato di sodio per il trattamento del cancro al seno. Quindi lo studio e la messa a punto di un’alimentazione specifica che diventi uno stile di vita in grado di abbassare i fattori infiammatori e che renda l’organismo “alcalino” invece che “acido” può solo che migliorare le nostre condizioni fisiche, qualunque esse siano. Come fare a sapere se già ci sono in atto, nel nostro organismo dei processi infiammatori cronici? E come intervenire? È possibile oggi, tramite delle apparecchiature diagnostiche, che utilizzo da anni (BIA-ACC e TOMEEX) che valutano lo stato infiammatorio del nostro organismo tramite lo studio della Matrice Extracellulare. Dall’analisi emerge la composizione corporea del paziente (percentuale di massa grassa, percentuale massa magra, acqua totale ecc...), metabolismo basale, infiammaOTTOBRE 2012

zioni tissutali e, più importante, valutano l’acqua extracellulare e “l’angolo di fase” che in oncologia vengono utilizzati come indice prognostico dello stato di integrità delle membrane cellulari: se le membrane cellulari non sono integre, aumentano le citochine infiammatorie, varia il pH dei tessuti e si innesca tutta la cascata biochimica che dalla semplice infiammazione può portare al tumore. In più una valutazione del potassio e di altri elettroliti che, se presentano alti valori, mostrano la presenza di ritenzione idrica e infiammazione della matrice extracellulare. L’alimentazione prescritta è personalizzata, ovviamente, a seconda dei risultati del test ma è comunque semplice e applicabile, anzi possiamo dire che altro non è che un ritorno al mangiare sano ed equilibrato dei nostri antenati. La terapia alimentare prescritta si adatta inoltre al nostro stile di vita moderno, non prevede il calcolo delle quantità, non obbliga a cucine elaborate e può essere seguita da chi sta fuori casa tutto il giorno. Inoltre, con tali informazioni, vi è la possibilità di monitorare la variazione tissutale e biochimica del paziente, valutando gli effetti dell’alimentazione e delle eventuali terapie. I vantaggi di una alimentazione tale sono evidenti da subito, sia per i pazienti oncologici, che per coloro che vogliono riacquistare la forma perduta.

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NEOPLASIE • Vincenzo Lattanzio

IL DIAGNOSTA “DEDICATO” ALLA LOTTA AL CARCINOMA di Marco Tedeschi

ggi la disponibilità di metodiche diagnostiche sempre più numerose e la loro continua evoluzione tecnologica rende possibile la scoperta e la caratterizzazione di lesioni tumorali alla mammella anche piccolissime, in fase pre-clinica, consentendo di raggiungere livelli rimarchevoli di affidabilità diagnostica per il radiologo e di sicurezza elevata per la paziente. Elementi che garantiscono alla donna terapie conservative e soprattutto la riduzione della mortalità. «La competenza specifica e l’esperienza consolidata Il professor Vincenzo Lattanzio con la collega, del radiologo senologo – dottoressa Guerrieri. Lattanzio ha creato sottolinea il professor Vinla struttura Senologia e Salute a Bari. cenzo Lattanzio – devono Nella pagina a fianco, esempio di tomosintesi sottoposte a mammografia di screening essere però requisiti irrisenologia salute@alice.it nunciabili». vlattanzio@alice.it

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IN ITALIA VENGONO DIAGNOSTICATI PIÙ DI 36MILA NUOVI CASI ALL’ANNO DI CARCINOMA MAMMARIO. LA DIAGNOSI PRECOCE È IL MEZZO PER CONSENTIRE UN'EFFICACE “PREVENZIONE SECONDARIA”. LA PAROLA A VINCENZO LATTANZIO

Quali sono le innovazioni tecnologiche più significative in ambito diagnostico in senologia? «A parte l’uso mirato della risonanza magnetica in taluni casi, notevoli progressi sono stati compiuti anche grazie alla mammografia digitale e alle sue ultime applicazioni. Prima fra tutte la Tomosintesi, che riducendo la sovrapposizione dei tessuti, migliora il contrasto della lesione e consente un’analisi tridimensionale della stessa, e l’introduzione del mezzo di contrasto come tentativo di ottenere uno studio funzionale e non solo morfologico. L’affinamento delle metodiche non invasive di prelievo di tessuto mammario - i prelievi microistologici - ha inoltre ridotto drasticamente il ricorso alle biopsie a cielo aperto». Qual è il grado di sensibilizzazione delle donne ai temi della prevenzione? «L’informazione è fortunatamente recepita da un numero sempre più alto di donne. Questa sensibilizzazione e consapevolezza ha determinato una crescente richiesta d’indagini mammografiche. Il problema maggiore è la discrepanza tra questa domanda e l’offerta di prestazioni diagnostiche». Molte regioni hanno avviato pro-

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Vincenzo Lattanzio • NEOPLASIE

grammi gratuiti di screening mammografico; esistono altre possibilità e modelli organizzativi per ampliare l’attività di diagnosi precoce? «La diagnosi precoce in ambito clinico viene realizzata quotidianamente nei servizi di radiologia o in strutture autonome di diagnostica senologica, in cui viene fornito in un tempo unico, contestualmente, un percorso diagnostico integrato con una diagnosi conclusiva in tempo reale, a partire dai 40 anni. Di fatto l’attività di diagnostica senologica clinica assicura una parte preponderante di esami senologici sul territorio nazionale». Esistono punti critici in queste metodologie di diagnosi precoce offerte alla popolazione? «Nonostante l’attività di screening in Italia sia mediamente operativa da più di un ventennio, rispetto a una popolazione Istat di 7.473.000 donne nella fascia di età 5069 anni, solo 1.375.000 ha aderito effettuando una mammografia. La comunicazione del risultato negativo dell’esame di base, il richiamo per la conclusione diagnostica differita a distanza di tempo e l’intervento terapeutico solo nel 36 per cento dei programmi attivi sono compresi tra 20 e 60 giorni. Molti programmi lavorano con volumi di attività troppo ridotti per garantire adeguati livelli di esperienza degli operatori e di efficienza e stabilità operativa. Il prolungamento del tempo sanitario tra la diagnosi e l’intervento è causa di disagi e ansia spesso ingiustificata della paziente. Un altro problema è la non inclusione nella maggioranza dei programmi di screening delle donne di età compresa tra 40 e 49 anni. Esistono ovviamente problematiche anche nella diagnostica clinica come la richiesta di un numero abnorme di esami senologici, impossibile da gestire tutti nelle strutture radiologiche pubbliche.Sia nello screening che nella diagnostica clinica c’è OTTOBRE 2012

Rispetto a una popolazione di oltre 7,4 milioni di donne nella fascia di età 50-69 anni, solo 1,3 milioni si sono sottoposte a mammografia ancora molto da fare per la formazione e l’aggiornamento continuo degli operatori». Lei ha realizzato recentemente Senologia e Salute una struttura privata divenuta ormai un punto di riferimento: com’è organizzata? «Senologia e Salute è una struttura interamente dedicata alla diagnostica senologica, dotata di attrezzature moderne e rispondenti a ogni necessità clinica, in cui opero coadiuvato dalla dottoressa Angela Guerrieri, radiologa di grande esperienza anche in senologia interventistica. L’elemento caratterizzante è l’offerta di un ciclo diagnostico completo e contestuale che fornisca, in un tempo unico una diagnosi definitiva e conclusiva. Questo facilita l’approccio alla prevenzione secondaria e garantisce un follow up personalizzato. La struttura ha collegamenti con altre strutture e professionisti operanti nelle varie discipline inerenti la senologia, consentendo così alla paziente sintomatica di poter affrontare e risolvere le differenti problematiche correlate al suo specifico caso clinico».

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NEOPLASIE • Alessandra Mangiameli

NUOVI STRUMENTI PER LA PREVENZIONE LA DIAGNOSI PRECOCE DEL TUMORE MAMMARIO E DI ALTRE PATOLOGIE ONCOLOGICHE È RESA POSSIBILE DALL’INTRODUZIONE DI NUOVE TECNICHE. IL PUNTO DI ALESSANDRA MANGIAMELI di Roberta De Tomi

n Italia l’incidenza del tumore al seno è in aumento, soprattutto tra le più giovani: nelle donne tra i 25 e i 44 anni si registra, infatti, negli ultimi 6 anni, un aumento del 28,6 per cento. Si tratta di una popolazione attualmente esclusa da qualsiasi campagna di screening, situazione che riguarda anche le donne con elevato rischio familiare ed eredo-familiare». È il quadro fornito dalla dottoressa Alessandra Mangiameli, specializzata nel settore oncologico, che nel contesto di un accesso al programma nazionale di screening ancora limitato da parte della popolazione femminile, evidenzia l’impiego di nuove metodiche legate agli ultrasuoni quali l’elastosonografia e l’Arfi, finalizzate alla

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La dottoressa Alessandra Mangiameli ha lo studio a Catania a.mangiameli@tiscali.it

diagnosi precoce di diverse patologie, tra cui il carcinoma mammario. A livello nazionale, a che punto siamo con l’attuazione del programma di screening dedicato alla prevenzione del tumore mammario? «Nel nostro paese la percentuale di donne sottoposte a screening resta bassa: si aggira intorno al 33,3 per cento del totale nazionale. Purtroppo molte strutture di riferimento per il Centro-Sud registrano bassi volumi di attività (meno di 10 mila e spesso meno di 5 mila esami all’anno) e nessun centro di riferimento regionale supera i livelli auspicabili di 20 mila esami per programma. Il detection rate dei carcinomi invasivi inferiori o uguali al centimetro si attesta intorno all’1,18 per 1.000 esami alla prima chiamata e all’1,28 nel caso di test ripetuto; la proporzione delle lesioni in situ è pari al 13,3 al primo esame e al 14,7 al secondo test. Questi dati risultano nettamente inferiori rispetto al Nord Italia, dove il detection rate delle lesioni invasive è salito al 5,4 per 1.000 esami, anche se purtroppo rimane ancora alto il tasso di richiami». Se il programma trovasse una più ampia applicazione, quali sarebbero gli esiti? «Attualmente i programmi di screening diagnosticano in forma anticipata circa 6.000 casi di tumore all’anno, che corrispondono al 35 per cento circa dei tumori della mammella che si manifestano in un anno fra i 50 e 69 anni, ovvero la popolazione complessiva ideale

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Alessandra Mangiameli • NEOPLASIE

target dello screening. Se le fasce di screening venissero ampliate in tutta Italia, il numero potenziale delle nuove neoplasie diagnosticate in forma anticipata potrebbe essere di circa 1.100 tumori nella fascia d’età compresa tra i 45 ei 49 anni e di circa 1.700 tumori nella fascia tra i 70 ei 74 anni». Quali strumenti vengono impiegati nella diagnostica precoce della patologia mammaria? «L’ecografia può diagnosticare un cancro in situ o al di sotto del centimetro nelle donne giovani dove la mammografia non è in grado di fare diagnosi per le caratteristiche del seno con un’affidabilità del 92 per cento, soprattutto con gli ecografi di ultima generazione più sofisticati. Inoltre sul mercato sono presenti ecografi con tecnologie aggiuntive, tra cui l’elastosonografia legata agli ultrasuoni, e l’Arfi». Come si esplicano le potenzialità dell’elastosonografia? «Le potenzialità dell’elastosonografia si rilevano soprattutto nei casi di noduli tiroidei, un problema che colpisce quasi il 50 per cento della popolazione e che per quanto sia spesso di tipo benigno, può presentarsi in forma maligna e all’inizio non essere visualizzato con la semplice ecografia. Tale metodica ha il vantaggio di non essere invasiva per il paziente. Applicata all’ambito della senologia è di particolare aiuto al clinico durante lo studio sui noduli di piccole dimensioni che si presentino

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L’elastosonografia consente di orientare meglio gli ulteriori passi diagnostici da compiere, evitando fastidi per la paziente

come casi dubbi. Anche in questi casi, infatti, l’elastosonografia riesce partendo dal grado di elasticità della formazione, a orientare meglio gli ulteriori passi diagnostici da compiere evitando fastidi e disagi per la paziente qualora non necessari. Inoltre tale metodica può essere utilizzata anche per la diagnosi precoce delle lesioni pancreatiche e renali». Il sistema Arfi si applica invece alle patologie, quali la fibrosi epatica. «Esatto. L’Arfi, sfruttando la velocità di propagazione degli ultrasuoni, può aiutare a ottenere informazioni utili sull’evoluzione della fibrosi epatica del fegato e sulla diagnosi di cirrosi. L’Arfi con la Virtual Touch tissue quantifications è una promettente applicazione che ci consente un’immediata diagnosi differenziale espressa in numeri della durezza dei tessuti. Con un’ecografia, quindi, si possono avere tutta una serie di parametri che rispetto al passato ci consentono di limitare i checkup invasivi o le diagnosi errate. Anche l’ecografia con mezzo di contrasto, soprattutto nel fegato, consente di effettuare differenziazione diagnostica più adeguata e precoce».

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PREVENIRE IL MELANOMA • Costantino Frisario

COSA BISOGNA SAPERE SUI NEI di Martina Carnesciali

I NEI, LE EFELIDI, LE LENTIGGINI: TUTTE MACCHIE DELLA PELLE, MA CON DIVERSE PROBLEMATICHE CORRELATE. I NEI, DIFATTI, SONO QUELLI PIÙ SOGGETTI A CAMBIAMENTO: LA PREVENZIONE È FONDAMENTALE PER EVITARE I MELANOMI MALIGNI. IL FOCUS DI COSTANTINO FRISARIO

disturbi dermatologici non vanno trascurati, richiedono attenzione e cura: molti italiani infatti hanno un problema dermatologico, senza però rendersene conto. Questo perché vi sono equivoci sulle diverse caratteristiche delle lesioni pigmentate di più frequente riscontro, e cioè le efelidi (che compaiono solo nelle zone cronicamente e intensamente esposte alla luce solare, soprattutto il volto e il décolleté), le lentiggini (accumuli di melanina molto superficiale che possono essere presenti su tutto il corpo) e i nei (costituiti da aggregati di cellule melanocitiche che si presentano generalmente di colore scuro) che molto spesso vengono tra loro confuse dal grande pubblico. La parola al dottor Costantino Frisario, dermatologo.

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Il dottor Costantino Frisario nel suo studio di Barletta dottfriscos@virgilio.it

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Cosa sono, esattamente, i nei? «Le macchie scure presenti su ogni essere umano sono un'anomalia della pelle. In genere non sono singoli, ma multipli e si distribuiscono su tutto l’ambito cutaneo senza alcuna predilezione di sede di localizzazione e senza alcuna predilezione di sesso. Quelli presenti fin dalla nascita sono definiti nevi congeniti, mentre quelli acquisiti invece compaiono dopo il primo anno di vita e nel tempo aumentano di numero, ma anche di dimensioni non superando, di norma, i 5mm di diametro. Questi possono modificare il loro aspetto sia durante l’età evolutiva che successivamente. Vi è concordanza nel mondo scientifico nel ritenere che il sole e i raggi UV inducano danni in senso di tra-

sformazione della cellula melanocitaria in senso maligno, quindi poter indurre la trasformazione di un neo in melanoma». Il melanoma cutaneo, tumore maligno ad elevata mortalità che si forma sulla pelle sana, ma anche da un neo preesistente, si può prevenire? «Il melanoma maligno si può evitare, come per tutte le patologie neoplastiche, con un’attenta e metodica prevenzione da adottare tenendo presente prima di tutto i fattori di rischio, cioè la pigmentazione (gli individui con capelli castano chiaro, biondi o rossi presentano rischio relativo del 50-100 per cento più elevato), il numero di nei (è il più importante fattore di rischio conosciuto) e l’esposizione al sole (è considerata la principale causa del melanoma). Tuttavia, la relazione tra sole e melanoma è molto complessa. Fattore di rischio è senz'altro l'esposizione solare intensa e intermittente (per intenderci, quella del turista e di chi si espone intensamente nel week-end), che impedendo alla cute di mettere in moto tutti i meccanismi fisiologici di fotoprotezione naturale, si espone a un maggior rischio di melanoma». È dunque possibile individuare da soli un melanoma? «Un neo può rivelarsi un melanoma cutaneo quando cambia rapidamente aspetto nel giro di pochi mesi. Già da molti anni le società scientifiche dermatologiche promuovono campagne di prevenzione attraverso la diffuOTTOBRE 2012


Costantino Frisario • PREVENIRE IL MELANOMA

sione della conoscenza di semplici regole, fornendo così dei parametri di riferimento da tenere sotto controllo. Questi sono l’asimmetria, dato che la maggior parte dei melanomi è asimmetrica, mentre i comuni sono rotondi e simmetrici; i bordi, che nei melanomi in fase iniziale sono irregolari e frastagliati; il colore, poichè varie sfumature di marrone o di nero sono spesso i primi segnali del melanoma; il diametro, un neo con un diametro superiore ai 5-6 mm è esposto ad un più alto rischio di trasformarsi in melanoma; l’evoluzione, sicuramente il carattere più importante: la storia di un neo, la sua comparsa recente o la sua variazione nel giro di alcune settimane o di pochi mesi può cambiare completamente la diagnosi e la prognosi della malattia. Quando una macchia cutanea o un neo ha richiamato l’attenzione, rispondendo ad almeno 3 su 5 delle caratteristiche esposte, e quando il paziente ha un numero elevato di nei, è bene che si sottoponga periodicamente (almeno una volta l’anno) a visita dermatologica integrata da indagine Videodermatoscopica (o Microscopia a EpiLuminecenza) che permette di aumentare l’accuratezza diagnostica nell’8090 per cento dei casi». In che cosa consiste, più nel dettaglio, questa tecnica? «La Dermatoscopia o Microscopia a Epiluminescenza consente di aumentare da 20 a 70 volte il potere di osservazione dell’occhio nudo e di poter analizzare numerosi caratteri microscopici del neo, specifici per la diagnosi di benignità o malignità. Con questo strumento è possibile esaminare in modo molto dettagliato non solo la superOTTOBRE 2012

Il melanoma maligno si può evitare con un’attenta e metodica prevenzione tenendo presenti i parametri di riferimento: asimmetria, bordi, colore, diametro, evoluzione ficie ma anche e soprattutto la “profondità” della lesione. L’esame è assolutamente innocuo in quanto la Epiluminescenza non è altro che una telecamera ad alta definizione provvista di una lente che ingrandisce il neo, connessa a un sistema computerizzato che permette la memorizzazione e l’archiviazione delle immagini da tenere sotto controllo nel tempo».

Sopra, immagini di videoderamatoscopica di “nei a rischio”

Riassumendo, quali precauzioni deve prendere, quindi, chi ha molti nei? «Chi ha molti nei deve esporsi al sole con moderazione, deve evitare le ore centrali della giornata e utilizzare prodotti schermanti, ricordando che generalmente il rischio di ammalarsi di melanoma aumenta con il passare degli anni».

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PREVENIRE IL MELANOMA • Laura Fidanza

MELANOMA, NUOVI ORIZZONTI TERAPEUTICI di Renato Ferretti

l melanoma cutaneo rappresenta una delle emergenze oncologiche più rilevanti di questi ultimi anni». A sostenerlo è la dottoressa Laura Fidanza, dell’ArtemisiaLab di Roma, che riporta le ultime statistiche dell’Agenzia Internazionale per la ricerca sul Cancro e spiega il fenomeno. «Lo IARC – dice – ha stimato oltre 160.000 nuove diagnosi di melanoma cutaneo ogni anno nel mondo, di queste oltre 62.000 nei paesi europei. In Italia si stima che il carico diagnostico per il melanoma sia nell’ordine di circa 600 nuovi casi per anno. Considerando i tassi d’influenza per fasce di età, a differenza di altri tumori epiteliali, il melanoma raggiunge incidenze relativamente elevate già in età giovani, infatti oltre il 50 per cento viene diagnosticato prima dei 59 anni di età. Il melanoma è il quarto tumore più frequente nella fascia di età 0-44». L’aumento dell’incidenza è oggi indubbiamente legato ad una migliore capacità diagnostica. «Grazie all’avvento di tecniche come la dermatoscopia è possibile effettuare una corretta mappatura nei nevi e diagnosticare il melanoma in fase precoce, guaribile con un semplice intervento chirurgico. Nei casi più pericolosi è necessario procedere alla valutazione del linfonodo sentinella con lo scopo di ottenere una precisa e definitiva radicalità chirurgica». Purtroppo per la malattia in fase avanzata le possibilità di trattamento sono ancora insoddisfacenti. «I tassi di sopravvivenza – continua la dottoressa Fidanza – si aggirano intorno al 30-35

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La dottoressa Laura Fidanza dell’ArtemisiaLab di Roma www.artemisialab.it

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È IL QUARTO TUMORE PIÙ FREQUENTE PRIMA DEI 44 ANNI, MA OGGI SONO PRESENTI TECNICHE IN GRADO DI DIAGNOSTICARLO IN TEMPO. LAURA FIDANZA ANALIZZA IL FENOMENO E LE NUOVE PROSPETTIVE TERAPEUTICHE

per cento in 5 anni. In tal senso, i nuovi progressi in ambito di patologia molecolare hanno recentemente permesso di dimostrare la presenza di proteine recettoriali a funzione alterata che sostengono la crescita e la progressione tumorale». Il 21 settembre presso l’Istituto Superiore di Sanità di Roma, Artemisia Onlus ha presentato un convegno internazionale sull’argomento, dove un gruppo di esperti ha affrontato in maniera dettagliata le nuove metodologie diagnostiche e terapeutiche per il melanoma unitamente alla presentazione di dati sperimentali non ancora pubblicati. E le prospettive non sono poi così negative. «Fortunatamente sono oggi disponibili farmaci cosiddetti “intelligenti” cioè in grado di bloccare specificatamente questi recettori alterati (B-RAF, c-KIT) migliorando sensibilmente la risposta alle terapie. Nuovi orizzonti terapeutici stanno anche emergendo in ambito dell’immunoterapia per il melanoma, come gli anticorpi anti-CTLA, in grado di riattivare un’efficiente risposta immuno cellulo-mediata. Nuove metodologie diagnostiche e terapeutiche sono quindi imminenti anche per il melanoma cutaneo con la reale possibilità di migliorare sia la prognosi che la qualità di vita dei pazienti affetti da questa diffusa patologia».

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DIAGNOSTICA • Massimo D’Amore

LA LOTTA AL CARCINOMA EPATOCELLULARE di Marco Tedeschi

individuazione e la caratterizzazione delle lesioni epatiche a focolaio, rappresentano un importante problema clinico; il carcinoma epatocellulare (HCC, Hepato Cellular Carcinoma) si pone al quinto posto infatti tra le neoplasie più frequenti. Questo tipo di tumore costituisce il 5 per cento di tutti i tumori maligni e si origina dalle cellule del fegato (epatociti). Alcuni fattori che predispongono allo sviluppo del carcinoma sono l’infezione da virus d’epatite B e C e la presenza di cirrosi epatica (post-epatitica, postetilica, da malattia autoimmune). Circa il 7 per cento dei pazienti con tumore epatico ha un'età superiore a 65 anni. Negli uomini, l'incidenza cresce rapidamente con l'aumentare dell'età, passando da 3 per 100.000 nel gruppo con età inferiore a 45 anni, a 32 per 100.000 nei pazienti con età compresa tra 60 e 64 anni, per finire a 62 per 100.000 nel gruppo di pazienti d'età superiore a 75 anni. Sono invece frequenti i tumori secondari, ovvero le metastasi, che colonizzano il fegato provenendo da altri organi. Il fegato rappresenta infatti l'organo più colpito da metastasi di neoplasie primitive di altri organi. Lesioni epatiche benigne come l’iperplasia nodulare focale e l'angioma hanno un’alta prevalenza tra la popolazione. «Il carcinoma epatocellulare, così come le Il dottor Massimo D’Amore altre lesioni focali - spiega il dottor dello Studio Massimo D’Amore Massimo D’Amore, dello Studio di Aci Bonaccorsi Catania Massimo D’Amore di Aci Bonaccorsi mdamore@sirm.org (CT), realtà specializzata nella dia-

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IL CARCINOMA EPATOCELLULARE SI PONE AL QUINTO POSTO TRA LE NEOPLASIE PIÙ FREQUENTI. L’INTRODUZIONE DEL MEZZO DI CONTRASTO ECOGRAFICO RAPPRESENTA IL METODO PIÙ SICURO E MENO INVASIVO PER INDIVIDUARLO. LA PAROLA A MASSIMO D’AMORE

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Massimo D’Amore • DIAGNOSTICA

Il mdc è un esame molto meno dannoso per il paziente, meno costoso e che comporta informazioni maggiori e più precise

gnostica per immagini, provvista di due apparecchiature di risonanza magnetica aperta, una Tac spirale 16 slice e un ecografo con mezzo di contrasto - si presentano senza nessun segno in particolare. Sono gli esami di laboratorio occasionali che ti portano verso l’individuazione della malattia; i soggetti più a rischio sono sicuramente gli alcolisti e chi fa uso di droghe. Si sa ad esempio che i malati di cirrosi sono molto colpiti da questo tipo di tumore. Si tratta in ogni caso di un carcinoma che può sorgere anche senza avere problematiche legate ad alcool o droga. Non è diverso da tutti gli altri tipi di tumore. Dipende da casualità, stili di vita, genetica». L’individuazione del carcinoma è sicuramente un aspetto di fondamentale e basilare importanza. «L'ecografia US rappresenta di solito la tecnica di imaging più diffusamente impiegata per la diagnosi delle lesioni a focolaio del fegato, ma essa presenta bassa specificità, per cui bisogna approfondire con l’esame TC (tomografia computerizzata) con mezzo di contrasto o con la Risonanza Magnetica, esami molto invasivi per la quantità di radiazioni ionizzanti assorbite in un esame TC. L’introduzione, invece, di mezzo di contrasto (mdc) ecografico (CEUS), effettuato tramite microbolle di gas, in particolare quello di seconda generazione costituito da esafloruro di zolfo, con la loro capacità di emissione armonica, garantisce un imaging continuo in tempo reale. Uno strumento quindi molto più innocuo per il paziente, ma attraverso il quale si riesce a portare a termine la stessa diagnosi.

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Questo riguarda anche gli studi successivi dell’evoluzione della malattia». Un tipo di metodica che grava in misura meno considerevole anche sulle casse dello Stato e quindi della Regione. «Se si ha un semplice angioma e ogni anno ci si sottopone a una TC si produce un duplice danno. Nei confronti del paziente, per le radiazioni a cui viene esposto, e per la spesa che ne deriva. L’esame con contrasto CEUS è un esame molto meno dannoso per il paziente, meno costoso e che comporta informazioni maggiori e più precise. Soprattutto per patologie che colpiscono il fegato e i reni». Il mezzo di contrasto è una tecnica introdotta da diversi anni. «Si tratta di una tecnologia all’avanguardia ma che non sempre viene presa in considerazione dai medici che spesso preferiscono la TC o la RM. Questa metodica ecografia invece è stata perfezionata nel corso degli anni e oggi è sicura nel risultato». L’esame dura circa mezz’ora e il paziente non deve preparasi in maniera particolare. «Si tratta – conclude D’Amore - di una semplice ecografia in cui vengono richiesti i classici accorgimenti, ovvero una dieta povera di scorie a tre giorni dall’esame. I risultati si sanno subito, in tempo reale. Il fastidio per il paziente è minimo e la tossicità degli agenti di contrasto è quasi nulla».

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DIAGNOSTICA • Salvatore Polizzi

PREVENIRE LE NEOPLASIE CON LA MAMMOGRAFIA di Valerio Germanico UN CONTROLLO ANNUALE È OTTIMALE PER IDENTIFICARE E PREVENIRE L’INSORGENZA DEL TUMORE AL SENO. SALVATORE POLIZZI PRESENTA LE PRINCIPALI TECNICHE DIAGNOSTICHE E I VANTAGGI DELLA LORO COMBINAZIONE

econdo uno studio dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel mondo compaiono all’anno circa 10 milioni di nuovi casi di cancro invasivo. Di questi, il 10 per cento è costituito dal tumore al seno, il secondo tipo di neoplasia maligna dopo il cancro al polmone. Inoltre, il tumore al seno è il più diffuso tra tutti quelli che colpiscono le donne, con un’incidenza di circa il 22 per cento. «L’unica prevenzione possibile contro il tumore al seno – spiega Salvatore Polizzi, responsabile amministrativo e direttore sanitario della branca di diagnostica per immagini della Maedica Healthcare Group di

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Sopra, esami mammografici; nella pagina seguente, esami ecografici eseguiti presso il Maedica Healthcare Group di Catania www.maedica.it - maedicasrl@tiscali.it

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Catania – inizia con la sua identificazione. Pertanto l’efficacia della prevenzione è condizionata dai tempi della diagnosi e dalla sua tempestività». La prevenzione del tumore della mammella si basa su un insieme di regole e indicazioni che hanno come scopo la riduzione della mortalità dovuta a questa malattia. «Tra gli strumenti disponibili per combattere i tumori è di fondamentale importanza una prevenzione primaria, che passa attraverso l’adozione di uno stile di vita sano. Tuttavia ancora più rilevante è diagnosticare la malattia nel più breve tempo possibile. Per questo è necessario essere supportati da strutture che affianchino la paziente con esami specifici. Grazie a una diagnosi precoce – prosegue Polizzi – è possibile identificare il tumore fin dalle prime fasi della sua esistenza. E in questo modo applicare le cure sia mediche sia chirurgiche possibili, aumentando la percentuale di guarigione e quindi di sopravvivenza». In questo senso, il poliambulatorio Maedica Healthcare è una struttura multibranca che, con particolare riferimento alla diagnostica per immagini, da molti anni si occupa della prevenzione delle patologie neoplastiche, con accessi mirati per l’esecuzione di esami mammografici con l’utilizzo della tecnica digitale. «I principali esami clinici sono l’ecografia e la mammografia – esami che spesso sono complementari. Di massima si può afOTTOBRE 2012


Salvatore Polizzi • DIAGNOSTICA

fermare che l’ecografia evidenzia noduli solidi o liquidi (cisti) e permette di controllare i linfonodi. Mentre lo scopo della mammografia è evidenziare le microcalcificazioni, primo indizio possibile di un tumore (anche se esistono microcalcificazioni benigne). La frequenza ottimale per massimizzare i benefici è di un controllo all’anno, con un’efficacia limitata di prevenzione nella fascia di età tra i 40 e i 49 anni, mentre risulta importante (fino a una riduzione del 70 per cento della mortalità) nella fascia di età tra i 50 e i 59 anni (fonte: World Health Organization). In caso di riscontro dubbio dell’ecografia e della mammografia, si può procedere a un prelievo di tessuto con un ago aspirato – agendo sotto la guida dell’ecografo, nel caso in cui il nodulo non sia palpabile e identificabile al tatto – e al successivo esame citologico, cioè all’indagine al microscopio per identificare il tipo di cellule. Altri esami utili possono essere la semplice radiografia del torace oppure anche la determinazione di alcuni specifici esami ematochimici, che possono dare un contributo nella prevenzione di molte altre patologie tumorali». L’assetto multidisciplinare del poliambulatorio Maedica Healthcare consente alla paziente di venire presa in carico per tutte le sue esigenze diagnostiche. «Questo è stato OTTOBRE 2012

reso possibile attraverso l’integrazione di differenti branche della specialistica ambulatoriale nella stessa sede: come la diagnostica per immagini (radiologia, ecografia, mammografia, Tc, Rm), la medicina nucleare (scintigrafie miocardiche ossee, Pet), il centro prelievi per esami ematochimici, la cardiologia ortopedia e la fisioterapia». Questo assetto permette di associare più esami come la Pet e la Tc. «Il primo – spiega in conclusione il dottor Polizzi – è un esame funzionale che sfrutta alcuni meccanismi della biologia molecolare e in particolare il metabolismo del glucosio, sostanza della quale sono avide le lesioni tumorali. L’associazione con la Tc consente una localizzazione anatomica più precisa, che va a fare da integrazione della valutazione funzionale della Pet».

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DIAGNOSTICA • Antonio Trapani Lombardo

IL TUMORE POLMONARE: DIAGNOSI PRECOCE DOPO L’INSTALLAZIONE DI UNA TC A 128 STRATI, DATA MEDICA PROMUOVE UNA CAMPAGNA PER LA DIAGNOSI PRECOCE DELLA PRIMA CAUSA DI MORTE PER CANCRO. LA PAROLA AD ANTONIO TRAPANI LOMBARDO E AGLI SPECIALISTI DI UNO DEI CENTRI DI ECCELLENZA PER LA MEDICINA PREVENTIVA di Mauro Terenziano

l tumore del polmone è una delle cause più frequenti di mortalità nel mondo occidentale. E, secondo l’Istituto Superiore di Sanità, nel nostro paese, questa patologia è la prima causa di morte per cancro, con circa 45mila nuovi casi ogni anno. È da questa consapevolezza che è nata l’iniziativa di Data Medica, centro romano con alle spalle 40 anni di specializzazione nella medicina preventiva, che ha deciso di dedicare gli ultimi mesi del 2012 a una campagna di prevenzione per la diagnosi precoce del tumore del polmone, mediante Tc toracica Hd. L’iniziativa è stata possibile grazie alla recente dotazione, da parte del centro, di una Tc a 128 strati con bassa emissione di radiazioni. «Questa macchina – spiega l’ingegnere Antonio Trapani Lombardo, amministratore unico di Data Medica – è universalmente riconosciuta come il mezzo più idoneo per la diagnosi precoce del tumore del polmone. Ed è particolarmente indicata per i pazienti a rischio, come i fumatori ultracinquantenni». Oltre che per il tumore polmonare, l’impiego della Tc a 128 strati dà risultati e contributi diagnostici anche nel caso di numerose altre patologie, come spiega il professor Claudio Buoni, direttore tecnico della Radiologia: «L’installazione di questa apparecchiatura ci permette di offrire quanto di meglio è disponibile oggi per la

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A fianco, l’ingegnere Antonio Trapani Lombardo, amministratore unico di Data Medica, centro specializzato nella medicina preventiva con sede a Roma www.datamedicaroma.it

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diagnosi di tutte le patologie che sono investigabili radiologicamente. In particolare per quanto riguarda la Tc coronarica, possiamo intervenire in maniera minimamente invasiva e senza introduzione di un catetere nell’aorta, bensì semplicemente con l’iniezione in una vena del braccio e ottenendo comunque un quadro assolutamente affidabile delle condizioni delle coronarie». Un ausilio importante sarà anche quello della colonscopia virtuale. «Questa – OTTOBRE 2012


Antonio Trapani Lombardo • DIAGNOSTICA

spiega il dottor Francesco De Bella, direttore sanitario di Data Medica – ci consente di visualizzare piccoli polipi o iniziali alterazioni tumorali del colon, che possono non dare alcuna sintomatologia e che una volta individuati si asportano chirurgicamente, con altissime probabilità di guarigione. La preparazione per questo esame è semplice, consistendo in un paio di giorni di dieta, senza la fastidiosa preparazione intestinale richiesta per la colonscopia tradizionale. E senza alcuna necessità di sedazione durante l’esame stesso». Inoltre, la Tc a 128 strati offre un programma speciale di tomografia computerizzata dedicato alle patologie della mandibola e della mascella, particolarmente utile per odontoiatri, otorino e maxillo-facciali. L’introduzione di questa strumentazione, che colloca Data Medica fra i centri di eccellenza dell’area romana, per la qualità delle immagini ottenibili, è l’ulteriore conferma della missione che il centro si è dato con la propria specializzazione nella mediOTTOBRE 2012

cina preventiva. «Negli ultimi anni – spiega Trapani Lombardo – il tema della prevenzione è sempre più sentito come centrale. Soprattutto per merito dei mass media, che hanno aiutato molto le istituzioni a sensibilizzare in tal senso la popolazione. Inoltre, poiché siamo convinti che i medici di famiglia siano molto attenti al tema della prevenzione, per favorire l’accesso dei pazienti agli esami utili, la nostra azienda collabora con i medici di base, per fornire ai loro assistiti gli accertamenti diagnostici di laboratorio, di radiologia e le prestazioni specialistiche ambulatoriali». Il centro romano, come dimostra l’ultimo investimento nella Tc a 128 strati, segue costantemente l’evoluzione della tecnica medica. Ma la sua attività sul fronte della prevenzione è molto più ampia, come spiega il direttore sanitario De Bella: «Abbiamo le professionalità e le strumentazioni utili per eseguire numerosi accertamenti diagnostici mirati per la prevenzione oncologica – dalla mammografia ¬ SANISSIMI

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DIAGNOSTICA • Antonio Trapani Lombardo

L’installazione della Tc a 128 strati ci permette di offrire la migliore tecnologia per la diagnosi di tutte le patologie investigabili radiologicamente

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Sopra, il professor Claudio Buoni direttore tecnico della Radiologia

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ed ecografia mammaria alla colposcopia, dal pap test e tipizzazione Hpv per l’apparato genitale femminile alla gastroscopia e colonscopia per l’apparato digerente – e per la prevenzione cardio-vascolare, attraverso Ecg, holter cardiaco, monitoraggio della pressione arteriosa, ecocolordoppler. Inoltre, facciamo prevenzione anche da un punto di vista più ampio, attraverso i nostri specialisti nel campo della scienza dell’alimentazione. Infatti un comportamento alimentare corretto è fondamentale per una buona prevenzione, specialmente se associato a uno stile di vita non del tutto sedentario. Ci rivolgiamo a un’utenza particolarmente varia e molti dei nostri pazienti sono impiegati degli uf-

fici del quartiere Prati; proprio per questo abbiamo organizzato gli orari di erogazione dei nostri servizi in maniera tale da renderli compatibili con gli orari di lavoro». Questa organizzazione e il sistema delle convezioni dirette e indirette – combinato con i tempi di attesa particolarmente lunghi che caratterizzano la sanità laziale – stanno avvicinando sempre più gli utenti verso centri come Data Medica. «C’è da parte degli utenti – afferma in conclusione Trapani Lombardo – una crescente richiesta di servizi sanitari erogati in un ambiente professionale, confortevole e qualitativamente elevato. Proprio per venire incontro a queste necessità, Data Medica si è impegnata a stipulare un notevole numero di convenzioni con assicurazioni, fondi di assistenza, aziende e altri enti. Questo ci ha permesso anche di stimolare l’accesso alla nostra struttura da parte di utenti residenti in tutte le zone della città». OTTOBRE 2012



DIAGNOSTICA • Salvatore Polizzi

UNA DIAGNOSTICA MULTIDISCIPLINARE RENDERE FACILE E VELOCE L’ACCESSO ALLE CURE AMBULATORIALI A TUTTI PAZIENTI. È IL PROPOSITO DEL MAEDICA HEALTHCARE GROUP CHE OFFRE IN UN’UNICA STRUTTURA L’OPPORTUNITÀ DI SVOLGERE DIFFERENTI ESAMI DIAGNOSTICI di Nicoletta Bucciarelli

ra le armi per combattere i tumori è di fondamentale importanza una prevenzione primaria attraverso l’adozione di uno stile di vita sano. Ma ancora più rilevante è diagnosticare la malattia nel più breve tempo possibile. Per questo è necessario essere supportati da strutture che affianchino il paziente con esami mirati da effettuare possibilmente all’interno dello stesso edificio. È con questi propositi che nei primi anni ottanta nasce la Maedica Healthcare Group, struttura concepita come poliambulatorio multidi-

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Maedica Healthcare Group ha sede a Catania www.maedica.it

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sciplinare. Ne discutiamo con il dottor Salvatore Polizzi, responsabile amministrativo e direttore Sanitario della branca di diagnostica per immagini. Maedica Healthcare Group è un poliambulatorio che consente al paziente di effettuare nella stessa giornata esami che spesso vengono eseguiti in luoghi differenti. «Il nostro assetto multidisciplinare – dice Polizzi – consente al paziente di venire preso in carico per tutte le sue esigenze diagnostiche evitando così attese e accessi in diversi punti della città. Questo è possibile attraverso l’integrazione di differenti branche della specialistica ambulatoriale presenti nella stessa sede, come la diagnostica per immagini (radiologia, ecografia, mammografia, tc, rm), la medicina nucleare (scintigrafie miocardiche ossee, Pet), il centro prelievi per esami ematochimici, la cardiologia ortopedia e la fisioterapia». Dal punto di vista della prevenzione in Italia non si è ancora fatto abbastanza. «Molti passi sono stati fatti al riguardo – ammette Polizzi –, ma alcuni fattori sociali e culturali spesso non rendono efficiente ed efficace la prevenzione; la Regione Sicilia appare finalmente impegnata a percorrere attivamente questa strada, ma ci si scontra con l’assoluta inadeguatezza e insufficienza dei luoghi preposti e con le lunghissime liste di attesa. Per questo noi privati accreditati abbiamo chiesto di essere parte in causa del piano di prevenzione con i nostri ambulatori». OTTOBRE 2012



DIAGNOSTICA • Fabrizio Italia

NUOVE FRONTIERE NELLA DIAGNOSTICA ONCOLOGICA NUOVI ACQUISTI QUALI LA BIOLOGIA MOLECOLARE E LA TELEPATOLOGIA STANNO DANDO APPORTI CONSISTENTI ALLA DIAGNOSTICA ANATOMOPATOLOGICA E ONCOLOGICA. IL PUNTO DI FABRIZIO ITALIA di Anastasia Martini

evoluzione tecnologica sta fornendo apporti consistenti all’analisi diagnostica negli ambiti dell’anatomopatologia e dell’oncologia. «L’Anatomia Patologica – spiega il dottor Fabrizio Italia – è una branca medica alla quale compete la formulazione di diagnosi, attraverso lo studio della morfologia di organi, tessuti e cellule e delle loro alterazioni. Importanti novità nel processo diagnostico sono state determinate dall’utilizzo di tecnologie informatiche e telematiche grazie alle quali si è sviluppata la Telepatologia, ovvero una tecnologia che consente di inviare dovunque nel mondo, le immagini di un preparato istologico per un secondo parere. I sistemi più moderni consentono un completo controllo a distanza di un microscopio ottico grazie al quale poter osservare un preparato istologico (digitalizzato) da qualunque parte del mondo. Telepatologia vuol dire controllo di qualità, basato sul giudizio diagnostico di esperti, per esempio su casi difficili o su patologie rare. L’aspetto più interessante di questa tecnologia innovativa è che si possono anche discutere in tempo reale le diagnosi, sfruttando, da parte degli stessi patologi, le potenzialità didattiche e formative del sistema e ricavandone, in prospettiva, migliorate “performances” diagnostiche». «Il compito dell’anatomopatologo, – puntualizza l’esperto – non si esaurisce con la diagnosi, infatti, per alcune neoplasie, deve valutare i numerosi parametri biologici che rivestono un ruolo prognostico predittivo, ma principalmente terapeutico, in grado di condizionare la

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scelta di terapie mirate. È il caso, per esempio, dell’HercepTest per il carcinoma della mammella; dell’Egfr per i tumori del polmone; della mutazione K-Ras per i tumori del grosso intestino; delle mutazioni Raf e Ret per i tumori della tiroide. La Biologia Molecolare, che studia appunto queste alterazioni, si sta affermandosi sempre più come la naturale evoluzione dell’anatomia patologica: dove l’osservazione del patologo si ferma per i naturali limiti ottici del microscopio, inizia lo studio della biologia riferita alla scala molecolare con la ricerca OTTOBRE 2012


Fabrizio Italia • DIAGNOSTICA

L’Onco Path Srl ha sede a Floridia (SR) onco-path.it

La corretta diagnosi di cancro deve essere continuamente arricchita di nuovi contenuti che tengano conto del progredire delle nostre conoscenze

delle mutazioni genetiche e fenotipiche che sono responsabili di quelle alterazioni cellulari alla base delle patologie neoplastiche». «La moderna terapia oncologica – continua – è basata sulla valutazione di fattori prognostici (eventi attesi come il tasso di recidiva e di mortalità) e di fattori predittivi (risposta della malattia ai diversi trattamenti terapeutici). La corretta diagnosi di cancro deve essere continuamente arricchita di nuovi contenuti che tengano conto del progredire delle nostre conoscenze, se si vuole OTTOBRE 2012

che sia veramente utile per il paziente e non un mero e ripetitivo esercizio compilativo. L’istopatologia tradizionale viene sempre più considerata come una sorgente imperfetta ed esaurita di informazione prognostica e predittiva, mentre la personalizzazione della terapia e l’identificazione di nuovi fattori predittivi, prognostici e diagnostici sono invece sempre più appannaggio della moderna medicina molecolare. Pertanto, accanto alla tradizionale attività diagnostica, sta emergendo la figura del patologo molecolare, che dovrebbe correlare i profili geno-fenotipici dei tumori con i parametri clinico-patologici pertinenti, identificando con ciò bersagli adeguati da utilizzare per migliorare non solo la diagnosi, ma soprattutto il trattamento dei pazienti mediante l’utilizzo di farmaci selettivi nei confronti delle cellule neoplastiche». «Grazie all’integrazione delle nuove tecnologie – conclude il dottor Italia – e di una dinamica quanto efficace gestione delle risorse umane ed informatiche, diverse strutture, quali OncoPath, possono fornire oggi risposte tempestive, corrette e validate a pazienti in procinto di sottoporsi a un intervento chirurgico o a intraprendere un percorso terapeutico. Per quanto riguarda l’attività svolta dalla nostra società, quanto descritto si traduce, in una realtà come la Sicilia, in un notevole risparmio di risorse economiche pubbliche, nella riduzione dei cosiddetti “viaggi della speranza” e nella possibilità di concretizzare e valorizzare la competenza e l’esperienza delle professionalità mediche presenti sul territorio».

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DIAGNOSTICA • Giorgio Palù

NUOVI TEST PER LA TUBERCOLOSI SI VALUTA CHE CIRCA UN TERZO DELLA POPOLAZIONE MONDIALE SIA AFFETTO DA TUBERCOLOSI LATENTE, CON LA POSSIBILITÀ CHE QUESTA SI RIATTIVI TRASFORMANDOSI IN MALATTIA. I TEST IGRA SONO UN VALIDO STRUMENTO PER INDIVIDUARLA. LA PAROLA AL PROFESSOR GIORGIO PALÙ di Marco Tedeschi a tubercolosi è una patologia causata dal batterio Mycobacterium tuberculosis o bacillo di Koch (dal suo scopritore tedesco) che, nella maggior parte dei casi, colpisce i polmoni. È sempre stata una malattia grave con un’elevata incidenza di mortalità, soprattutto nei Paesi sottosviluppati. Negli anni 40, grazie alla scoperta dei farmaci antitubercolari unita al miglioramento delle condizioni socio-sanitarie, il numero di casi patologici diminuì moltissimo fino quasi ad arrestarsi. Ma in realtà non scomparve: l’infezione da HIV, le nuove terapie immunosoppressive e l’aumento esponenziale della mobilità della popolazione contribuirono negli anni 80 all’incremento dei casi di TBC. Per questo la dichiarazione che ha recentemente rilasciato il Presidente del consiglio Mario Monti risulta essere di fondamentale importanza. Nel suo intervento al Forum della Cooperazione Internazionale di Milano Monti ha affermato che non bisogna dimenticare le grandi campagne delle Nazioni Unite che il nostro Paese ha profondamente ispirato, prima fra tutte quella per il sostentamento del Fondo Globale per la lotta all'Aids, la tubercolosi e la malaria, cui l’Italia intende continuare a contribuire. Il professor Giorgio Palù, direttore dell’Uoc di Microbiologia e Virologia dell’Azienda Ospedaliera di Padova, approfondisce l’incidenza

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Il professor Giorgio Palù è direttore dell’UOC di Microbiologia e Virologia dell’Azienda Osperdaliera di Padova e direttore del Dipartimento di Medicina Molecolare dell’Università di Padova giorgio.palu@unipd.it

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che questa malattia riveste ancora nel nostro Paese e indica l’utilizzo dei nuovi test. Quali sono i primi sintomi da monitorare e quali i soggetti più a rischio? «I sintomi sono tosse, perdita di peso, dolore toracico, febbre e sudorazioni. Nel tempo, la tosse può essere accompagnata da presenza di sangue nell’espettorato. Gli International Standards for Tuberculosis Care invitano a eseguire un esame colturale dell’espettorato in tutti quei pazienti con tosse di ndd che perdura per più di 2-3 settimane ed è resistente alle comuni terapie antibiotiche e con quadri dubbi radiologici. Fra i fattori, la condizione OTTOBRE 2012


Giorgio Palù • DIAGNOSTICA

di recente immigrato da zone a elevata endemia tubercolare e l’immunodepressione sono le principali condizioni associate a un aumentato rischio di malattia». Sotto quali aspetti i Test Igra consentono una migliore diagnosi? «Intanto bisogna dire che i Test Igra sono stati validati dal CDC americano per la diagnosi d’infezione tubercolare latente (una forma dell’infezione tubercolare totalmente asintomatica e non trasmissibile) e non per la malattia attiva, per la quale l’esame colturale rimane il Gold Standard. Si valuta che circa un terzo della popolazione mondiale sia affetto da tubercolosi latente e che la possibilità che questa si riattivi trasformandosi in malattia, nel corso della vita, sia intorno al 5 per cento. Gli Igra, come del resto la Mantoux, nella diagnosi di malattia sono solo di supporto e devono essere utilizzati in associazione alle informazioni relative alla storia clinica e alla radiografia toracica del paziente. I maggiori vantaggi dei test Igra rispetto alla più tradizionale Mantoux sono una maggior specificità, la mancanza delOTTOBRE 2012

Questi tipi di test sono il frutto di decenni di ricerche genetiche e immunologiche sul micobatterio tubercolare l’effetto booster, la presenza di un controllo positivo che permette di valutare con più accuratezza i risultati nei bambini e nei soggetti immunocompromessi e una maggior standardizzazione del test. Questi test al contrario della Mantoux, sono alquanto dinamici. Se ciò può sembrare un fatto negativo, per la necessità di ricontrollare il dato con ulteriori prelievi e conseguenti costi aggiuntivi, in realtà essi permettono una valutazione più attenta del paziente nel suo stato attuale». Perché l’introduzione degli IGRA sul test Mantoux è così importante? «Il test Mantoux, che risale a circa un secolo fa, è rimasto invariato dalla sua introduzione nella pratica clinica che prevede l’inoculazione sottocute di una sostanza derivata dal micobatterio tubercolare, la cosiddetta tubercolina (o PPD), e la rilevazione dell’eventuale reazione cutanea dopo 2-3 giorni. Pur essendo ¬ SANISSIMI

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DIAGNOSTICA • Giorgio Palù

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un test ampiamente diffuso, recentemente alcune importanti aziende hanno sospeso la produzione di tubercolina e perciò il suo approvvigionamento è diventato più problematico». Da quanto tempo utilizza invece la metodica degli IGRA? «Abbiamo iniziato a utilizzare questi test fin dalla loro prima apparizione sul mercato nel 2005. Questi test sono il frutto di decenni di ricerche genetiche e immunologiche sul micobatterio tubercolare. Proprio queste ricerche di base hanno consentito di identificare le proteine specifiche di questo micobatterio che sono utilizzate in questi test».

pressi e altri pazienti prima della somministrazione di farmaci biologici». Quali rischi si riducono per gli operatori sanitari? «Ricordando che la TBC è una malattia professionale, un controllo seriale degli operatori

In quali condizioni cliniche è utilizzabile? «Secondo le linee guida del CDC americano può essere utilizzato per il monitoraggio degli operatori sanitari, e in soggetti appartenenti a categorie a rischio quali malati oncologici, trapiantati, HIV positivi, pazienti immunode-

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Giorgio Palù • DIAGNOSTICA

sanitari in base al rischio permette di identificare i soggetti con infezione tubercolare latente, nei quali è utile intraprendere un’eventuale chemioprofilassi». In quanto tempo e attraverso quali iter si riescono a consegnare le analisi? «Per casi urgenti il referto può essere consegnato nel giro di 48 ore. Il referto può essere cartaceo o elettronico. Una comodità soprattutto per il paziente che, in quest’ultimo caso, può visionare i risultati del test direttamente dal computer di casa». In Italia quanto è diffuso tale sistema? «I test IGRA sono stati largamente adottati in tutte le regioni e dai principali centri clinici». Il test potrebbe essere utile per effettuare eventuali screening su soggetti a rischio, come immigrati provenienti da zone dove la patologia è più diffusa? «Questo è un tema dibattuto. Mentre l’utilità dello screening negli operatori sanitari è ormai comprovata e largamente adottata, più difficile risulta valutare tale screening su una popolazione vasta e difficilmente controllabile come quella degli immigrati. Il problema che si pone non è solo quello dello sforzo economico che ciò comporterebbe, ma è soprattutto legato alla gestione degli eventuali soggetti positivi cui somministrare un’eventuale profilassi con i relativi problemi di compliance». Dal suo punto di osservazione trova che si stia investendo sufficientemente oppure in Italia si sta sottovalutando il pericolo Tubercolosi? «Il pericolo non è sottovalutato, ma ovviamente maggiori investimenti diretti al controllo di questa importante malattia sarebbero auspicabili». Quali ulteriori step o evoluzioni tecnologiche e diagnostiche auspica per il futuro? «Molto è stato fatto. Recentemente, ad esempio, è stata messa in commercio e da noi adotOTTOBRE 2012

LA TUBERCOLOSI IN ITALIA econdo i dati riportati in “La TBC in Italia-anno 2008” effettuati dal Ministero della Salute nel decennio 1999-2008 i tassi d’incidenza di tubercolosi sono stati stabili e inferiori ai 10 casi per 100.000 abitanti, valore che pone l’Italia tra i Paesi a bassa endemia. Tuttavia, sono presenti notevoli differenze tra Regioni sia nei tassi grezzi di incidenza totali sia nei tassi disaggregati per classi di età e nazionalità, che riflettono da una parte la differenza a livello territoriale delle caratteristiche della popolazione suscettibile, e dall’altra una diversa sensibilità e scarsa considerazione del problema da parte dei servizi e degli operatori sanitari (con conseguente sottonotifica di casi o possibile selettività nei confronti di specifiche fasce di popolazione).

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tata una sonda diretta che permette di evidenziare non solo la presenza del micobatterio nei materiali respiratori, ma anche una sua eventuale resistenza alla rifampicina con ricadute positive per il clinico. Poter avere a disposizione anche dei marker biologici che indichino il passaggio da una condizione di latenza alla malattia attiva, sarebbe sicuramente un ulteriore e positivo passo avanti».

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DIAGNOSTICA • Maurizio Mancini

NUOVA DIAGNOSTICA CON LA PET CT RAPIDA ED EFFICACE, LA PET CT STA RISCUOTENDO SEMPRE PIÙ SUCCESSO TRA I CLINICI. IL DOTTOR MAURIZIO MANCINI MOSTRA LE POSSIBILITÀ E LE PROSSIME FRONTIERE DI UTILIZZO DELL’ESAME. «PROSPETTIVE SUGGESTIVE PER L’ALZHEIMER» di Renato Ferretti

n un’unica somministrazione di tracciante radioattivo, è possibile esplorare da capo a piedi l’intero organismo. Potrebbe essere questa in breve una descrizione della Pet Ct, tecnica di medicina nucleare e di diagnostica medica utilizzato per la produzione di bioimmagini. La sigla sta per Positron emission tomography e di fatti le immagini sono costituite da un tomografo Pet e un tomografo Tac spirale (Tomografia Assiale Computerizzata). Il dottor Maurizio Mancini, direttore sanitario della Irmet di Torino, espone i vantaggi dell’esame e come funziona. «La Tac – dice il dot-

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Il dottor Maurizio Mancini, direttore sanitario della Irmet con sede a Torino www.irmet.it

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tor Mancini – fornisce un’accurata visualizzazione anatomica di sezioni trasversali del corpo umano mentre la Pet consente l’individuazione di alterazioni di tipo funzionale. La sua rapidità ed efficacia stanno riscontrando sempre più successo in ambito diagnostico, dati i vantaggi che comporta: la Pet infatti monitora la risposta terapeutica di un trattamento, sostituisce procedure multiple di diagnostica con un’unica analisi, aiuta a valutare l’indicazione per un intervento chirurgico, identifica eventuali metastasi occulte e diagnostica precocemente patologie anche prima che le alterazioni strutturali dei tessuti diventino identificabili. Per quanto riguarda Irmet, pensiamo che la rapidità sia decisiva, per questo garantiamo un’analisi immediata anche il giorno dopo la richiesta». La sua utilità in oncologia è fuori dubbio. «La Pet Ct, con la possibilità di indagare i processi metabolici, è in grado di aumentare la sensibilità e la specificità dell’analisi a valori superiori al 90 per cento rispetto a Tac e risonanza magnetica». Ma l’ultima novità è rappresentata dalla possibilità di intervenire terapeuticamente sull’Alzheimer. «Una prospettiva suggestiva – ammette Mancini –, ma bisogna evitare annunci intempestivi: mancano ancora dei dati certi che ne garantiscano l’efficacia; studi recentissimi sembrano prospettare possibilità terapeutiche nella patologia del morbo: individuando precocemente con la Pet la presenza di placche di beta-amiloide nel cervello, causa presunta della malattia, sarà possibile un trattamento efficace almeno a ritardare e rallentare la progressione, oggi inesorabile, di questa demenza». OTTOBRE 2012



DIAGNOSTICA • Rocco Del Prete

ALLE AZIENDE SANITARIE SERVONO VERI MANAGER NEL 2012 IL BUDGET ECONOMICO ASSEGNATO ALLE ASL PER LE STRUTTURE PRIVATE È STATO RIDOTTO ULTERIORMENTE PER IL QUINTO ANNO CONSECUTIVO, RENDENDO COSÌ SEMPRE PIÙ DIFFICOLTOSO IL LORO CONTRIBUTO AL SISTEMA SANITÀ. LA PAROLA A ROCCO DEL PRETE di Marco Tedeschi na rete capillare di circa 1.200 strutture provvisoriamente accreditate sul territorio campano, che assicurano in toto circa 8.000 posti di lavoro, e che hanno comportato la possibilità di contare su un servizio efficiente. Con un risparmio notevole sulla spesa pubblica. Questo è stato l’apporto delle strutture convenzionate sul “sistema” sanità. «Secondo i dati in nostro possesso, - spiega il dottor Rocco Del Prete, amministratore della struttura Igea - una prestazione effettuata presso una struttura provvisoriamente accreditata privata, costa circa 6-8 volte in meno rispetto

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a quella eseguita presso una struttura a gestione pubblica. Il Ssn affida infatti a due tipologie di strutture, pubbliche e private, entrambe accreditate, l’esecuzione delle prestazioni richieste dal medico per il suo paziente, con libera scelta da parte di quest’ultimo. La differenza tra i due tipi di strutture sta nel fatto che la struttura privata, investe il capitale a rischio proprio. Nella struttura pubblica il capitale investito è a carico dello Stato e quindi del contribuente». Il contenimento delle spese è fondamentale nella sanità. Come si può risolvere? OTTOBRE 2012


Rocco Del Prete • DIAGNOSTICA

Ultimamente abbiamo introdotto in laboratorio l’utilizzo della biologia molecolare per identificare virus e batteri

«Il problema è che vi sono troppi passaggi: dal ministero della Sanità si passa alla Regione Campania, quindi alle Asl per finire alle strutture convenzionate. Si dovrebbe accentrare il servizio di tesoreria e istituire un centro regionale unico di pagamento per il personale e per i fornitori di beni e servizi. La Sanità campana a mio parere, dovrebbe essere standardizzata, nel senso che tutto, a partire dalle gare di appalto per forniture di beni e servizi, dovrebbe essere di pertinenza nazionale. Ma soprattutto alle aziende sanitarie servono veri manager. Nella realtà, le scelte per la direzione vengono effettuate con criteri lontani da quelli propri dell’azienda, con nomine esclusivamente politiche più che meritocratiche. Le Asl dovrebbero ricevere solamente finanziamenti per progetti di prevenzione e salute per il territorio». L’Igea, come laboratorio di analisi e centro radiologico, è tra i più attrezzati in Campania. «L’Igea è stata tra i primi laboratori in Campania a introdurre sul territorio metodiche con OTTOBRE 2012

radio-isotopi (1983) che hanno permesso la conoscenza e la diffusione di alcuni dosaggi tra cui i marker delle epatiti, i marker tumorali e i dosaggi ormonali. Dal 1993 la società si è ulteriormente qualificata, iniziando attività radiologiche. Oggi, a distanza di qualche decennio, non si deve più parlare di radiologia nella sua accezione classica, dal momento che la struttura offre una diagnostica per immagini che si avvale anche di Ecografia, T.C. e R.M. La tecnologia usata è sicuramente all’avanguardia: si possono effettuare TC a strati multipli, che permettono l’approccio per lo studio di angiografie, endoscopie virtuali e altre applicazioni in ricostruzione; si possono effettuare risonanze magnetiche ad alto campo per lo studio di organi, vasi, articolazioni e tanto altro con performance non eseguibili con apparecchiature a campo medio-basso. Inoltre, previa autorizzazione del paziente, le immagini e i referti, possono essere trasmessi via web a specialisti che, anche a distanza, richiedano la consultazione. Ultimamente è stato allestito un nuovo centro di polispecialistica medica in cui primeggia la senologia, l’oculistica, la gastroenterologia, l’otorinolaringoiatria e altre specialistiche, aumentando di molto le collaborazioni di specialisti».

Il dottor Rocco Del Prete è amministratore della struttura Igea di Frattamaggiore (NA) www.igearadiodiagnostica.it

Puntate molto sulla tecnologia? «Il successo dei nostri centri

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DIAGNOSTICA • Rocco Del Prete

Nella sanità si sta delineando il progetto di un terzo settore, che definirei “virtuale” e che interpella sia il settore pubblico che quello privato

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è estremamente legato all’attenzione prestata alle nuove tecnologie. Ultima introduzione, in laboratorio, è l’utilizzo della biologia molecolare per identificare virus e batteri e per quantificare il materiale genomico virale in casi d’infezioni da virus delle epatiti in corso di terapia. La tecnica è di significativa rilevanza nella ricerca di virus della sfera uro-genitale (HPV), ritenuti responsabile del carcinoma del collo dell’utero. Non meno importante è la possibilità offerta da tale tecnologia di rilevare la presenza nei materiali patologici di batteri difficilmente identificabili con i tradizionali metodi colturali (micobatteri, Clamidia, Micoplasmi). Vorrei poi sottolineare

che ogni metodologia, sia in laboratorio che in radiologia, viene sottoposta a verifica di controllo di qualità Csq Iso 9001:2000». Ultimamente stiamo osservando uno stato di agitazione della categoria. Quali sono i motivi? «Il primo motivo è il ritardo nei pagamenti e i tagli delle fatture per prestazioni già effettuate per conto delle Asl. Con l’aziendalizzazione delle Asl si è esaltata l’importanza del momento economico rispetto a quello sanitario. I ritardi nei pagamenti sono sistematici e altrettanto sistematico diventa il ricorso al credito bancario da parte dei privati, che erode OTTOBRE 2012


Rocco Del Prete • DIAGNOSTICA

LA RM NELLA LOTTA AI GLIOMI gliomi costituiscono circa il 70 per cento dei tumori primitivi cerebrali e presentano le maggiori difficoltà nel campo della neuro-oncologia. La prognosi in genere è infausta, con una percentuale di sopravvivenza globale a 5 anni di circa il 30 per cento. Una diagnosi precoce e un’approfondita valutazione della reale estensione del tumore, sono elementi fondamentali. «L’esame gold standard – spiega Mario Cirillo specialista in Neuroradiologia della II Università di Napoli – è lo studio isto-patologico su tessuto prelevato attraverso stereotassi o resezione chirurgica, metodi entrambi invasivi. Da qui la necessità di utilizzare modalità di studio non invasive che possano

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condurre ad una diagnosi il più vicino possibile a quella istologica, senza rischi per il paziente. In questa prospettiva s’inserisce la Risonanza Magnetica». La RM consente d’identificare la lesione, stabilirne la sede intrassiale, definirne la precisa localizzazione e proporre un’ipotesi di natura. Nel tentativo di risolvere anche il problema della diagnosi differenziale, di predire il grado di aggressività e la prognosi di

ben il 70 per cento del margine operativo lordo. Il fatto poi che vengono applicati tetti di spese a posteriori, cioè dopo che le prestazioni sono già state effettuate, riduce l’interesse dell’impresa sanitaria pressoché a zero. Quest’anno per esempio il budget economico assegnato alle Asl per i privati è stato ridotto ulteriormente per il 5° anno consecutivo, raggiungendo una riduzione di circa il 25 per cento rispetto a quello del 2004. Inoltre, proprio in questi giorni, il governo Monti prepara il definitivo pretesto per disaffezionarci al Ssn. La riduzione del rimborso delle prestazioni di laboratorio di oltre il 40 per cento rispetto a quelle vigenti in Regione Campania». OTTOBRE 2012

queste lesioni negli ultimi anni si utilizzano ulteriori tecniche di RM quali la Diffusione (Dwi), la Perfusione (Pwi) e la Spettroscopia (H-mrs). «Queste tecniche di secondo livello, dovrebbero essere usate come strumento complementare alla RM morfologica, in quanto forniscono informazioni aggiuntive sulle caratteristiche biologiche, fisiologiche e metaboliche dei tumori dalle quali non è possibile prescindere per la pianificazione chirurgica-terapeutica». D’altra parte il loro utilizzo ha aumentato significativamente la durata dell’esame RM con maggiore impegno da parte del personale dedicato e dei costi di gestione, richiedendo un'alta specializzazione del personale medico, tecnico e fisico-ingegneristico.

Ci sono però anche delle novità positive. «Si tratta di un nuovo progetto: la creazione di un terzo settore, che definirei “virtuale”, nella sanità, interpellando sia il settore pubblico che quello privato. Una specie di call center cui ricorrere per ricevere informazioni esatte e che si preoccuperebbe di organizzare tutto l’iter richiesto al paziente per effettuare una qualsiasi prestazione, che va dal semplice esame delle urine all’intervento complesso. Insomma un risparmio di tempo e fatica non indifferente per il paziente che si muove con difficoltà nella giungla burocratico- amministrativa del mondo della sanità».

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DIAGNOSTICA • Vittorio Santi

LA TECNOLOGIA NON È SUFFICIENTE di Emanuela Caruso VISITA MEDICA TRADIZIONALE E TECNOLOGIE AVANZATE UNISCONO LE FORZE PER OTTENERE DIAGNOSI ECOGRAFICHE ACCURATE E PRECISE. A PARLARNE È VITTORIO SANTI n trent’anni di pratica ecografica ho consolidato la convinzione che senza orientamento clinico, ovvero senza la vecchia visita eseguita con l’esame obiettivo e l’anamnesi, cioè con l’aiuto delle mani e delle domande al paziente, le tecnologie diagnostiche perdano gran parte della loro efficacia e rischino di creare ambiguità e confusione nei confronti tanto del paziente quanto dei medici stessi». Il dottor Vittorio Santi si occupa di ecografia diagnostica dal 1982 e nel suo studio di Bologna esegue esami ecografici dal 1984; dalla Il dottor Vittorio Santi, specializzato in medicina

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interna e gastroenterologia, opera a Bologna vittorio.santi.eco@alice.it

grande esperienza accumulata negli anni ha constatato che la visita medica tradizionale rappresenta ancora uno step fondamentale per la perfetta riuscita di una diagnosi, in particolar modo se ecografica. «Ancora troppo spesso – chiarisce il dottor Santi – mi sento dire “Ho fatto l’esame, ma non ho capito che cos’ho”, oppure mi vengono consegnati referti di esami ecografici che, seppur tecnicamente ben fatti, girano intorno al vero problema senza centrarlo. Parte di queste “mancanze” è senz’altro dovuta al fatto che spesso vengono prescritti ed eseguiti esami diagnostici senza aver prima interrogato il paziente e aver proceduto a un’accurata visita medica». L’efficacia delle tecniche ecografiche dipende quindi dalla competenza dell’operatore. Quali accorgimenti garantiscono che una visita possa essere svolta con la massima accuratezza e calma? «Innanzitutto, l’ambulatorio dovrebbe essere isolato da rumori e comparse inappropriate di altre persone, poiché se un tempo si sapeva tutto di tutti, oggi il paziente ha bisogno e diritto alla riservatezza e, soprattutto, a un medico che si concentri esclusivamente su di lui. Inoltre, è indispensabile assicurarsi che tra medico e paziente si instauri una giusta comunicazione. Sono infatti vari i momenti cruciali durante i quali una comunicazione non corretta può causare confusione e ansia. Tra questi si colloca sicuramente la fase in cui l’ecografista procede con l’esame: durante

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Vittorio Santi • DIAGNOSTICA

Visitare in modo tradizionale il paziente e conoscerne l’intera storia clinica è essenziale ai fini di un referto ecografico corretto

l’esplorazione del corpo del paziente, il volto del medico è costantemente osservato e, di conseguenza, un’espressione preoccupata, un sopracciglio alzato o una frase pronunciata in tono allarmante possono indurre nel paziente una forte tensione». Una fase delicatissima della visita ecografica è la comprensione del referto, perché? «La consegna del referto nelle mani del paziente è un momento delicato poiché nonostante sia un documento indirizzato al medico curante, verrà letto in primis dal paziente stesso, che di fronte all’utilizzo di specifici termini tecnici potrebbe fraintendere il referto e preoccuparsi in maniera eccessiva delle proprie condizioni di salute. Ecco perché preferisco spiegare personalmente il significato del referto sia nei casi non patologici sia, a maggior ragione, in quelli in cui sia stata riscontrata una patologia seria. Senza interferire nelle decisioni che spettano ad altri colleghi, il paziente ha il diritto di conoscere il proprio stato di salute». Come è nata e si è poi sviluppata la sua convinzione che la visita tradizionale sia indispensabile per un corretto referto ecografico? «Il mio primo maestro di medicina è stato mio nonno, gli unici strumenti che aveva a disposizione per individuare e risolvere il problema

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del paziente erano le mani, le domande e il ragionamento. Inoltre il mio maestro di ecografia e attuale clinico medico a Bologna, mi stimolò a conoscere tutta la storia clinica dei pazienti prima di prendere in mano la sonda ecografica e procedere all’esame diagnostico». Ciò esige tempo e un’ottima organizzazione. «Attualmente, l’organizzazione del nostro lavoro richiede che si esegua nel minor tempo possibile il maggior numero di esami diagnostici, compresi quelli ecografici. Così facendo, però, si rischia di avere a disposizione tecnologie preziosissime e modernissime mal utilizzate sia in fase di preparazione dell’esame che in fase di esecuzione e conclusione. Tutto questo può portare a diminuire l’efficacia diagnostica complessiva delle moderne tecnologie o all’impiego in maniera controproducente delle stesse. Personalmente, operando nel mio studio privato ho la fortuna di poter decidere in piena autonomia i tempi di lavoro e di poter gestire l’esecuzione delle visite come ritengo più opportuno. In altre parole, godo della grande possibilità e soddisfazione di fondere il mio essere ecografista moderno con lo stile del vecchio medico di famiglia».

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PROFESSIONALITÀ E TRASPARENZA LA REGIA EUROPEA DI PROGETTI FORMATIVI E DI RICERCA RICONOSCE IL VALORE ASSOLUTO DEL SISTEMA ITALIANO DEI TRAPIANTI SULLA SCENA CONTINENTALE. NE PARLA ALESSANDRO NANNI COSTA

di Giacomo Govoni

portare avanti i 111 programmi di trapianto attivi in Italia nel 2011, sono state «81 equipe autorizzate, concentrate in 44 strutture ospedaliere su tutto il territorio nazionale». Numeri emblematici, secondo il direttore del Centro nazionale trapianti Alessandro Nanni Costa, della razionalizzazione organizzativa di un sistema italiano «ai vertici in Europa per attività di donazione e trapianto, dietro a Spagna e Francia e davanti a Paesi con sistemi sanitari ben organizzati, come Germania e Regno Unito».

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Rispetto a quali parametri la rete italiana dei trapianti può essere considerata un’eccellenza? «Oltre ai numeri complessivi, relativi alle donazioni e ai trapianti, i fattori che permettono all’Italia di essere considerata un punto di riferimento continentale sono la trasparenza del sistema e il servizio informativo per tutti i pazienti in attesa di trapianto: siamo l’unico Paese che pubblica i dati relativi all’attività di ogni singolo centro trapianti. Questo è reso possibile dal si-

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stema informativo trapianti, un unicum nel panorama europeo per una gestione integrata dei dati sull’intero processo di donazione e trapianto». Una reputazione che ci viene riconosciuta anche a livello continentale? «La consolidata esperienza dell’Italia nel contesto europeo ha fatto sì che il Cnt, grazie al lavoro dell’intera rete trapiantologica, potesse ricevere dalla Commissione europea il coordinamento di 9 progetti e, sempre dal 2002, la partecipazione ad altri 18. In particolare, siamo capofila di alcune iniziative di formazione di personale sanitario e medico in tutti quei paesi che si affacciano sul Mediterraneo». Com’è cambiato negli ultimi anni il tempo medio di attesa al trapianto per ogni organo? «Negli ultimi anni abbiamo registrato una certa stabilità delle liste di attesa. I dati di fine 2011 indicano che i pazienti iscritti e in attesa di ricevere un trapianto sono 8.731, di cui 6.542 sono in attesa di

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Alessandro Nanni Costa • TRAPIANTI

Siamo riusciti a mantenere costante il tempo di attesa, nonostante l’aumento dell’età media dei donatori influisca sul numero complessivo di organi idonei al trapianto formazione degli operatori impegnati nel processo di donazione e sulla cura della comunicazione tra medico e familiari del donatore».

Alessandro Nanni Costa, direttore del Centro nazionale trapianti

un trapianto di rene, 1.000 per il fegato, 733 per il cuore, 382 per il polmone, 236 per il pancreas e 23 per l’intestino. Con riferimento al 31 dicembre 2011, i tempi medi di attesa in lista sono di 2,8 anni per il rene, 2,1 per il fegato, 2,5 per il cuore, 2,12 per il polmone e 3,58 per il pancreas. Siamo riusciti a mantenere costante il tempo di attesa, nonostante l’aumento dell’età media dei donatori influisca sul numero complessivo di organi idonei al trapianto». Nonostante il numero dei trapianti in Italia sia in aumento, non mancano le opposizioni alla donazione: dove sono da ricercare le cause e come limitare questo trend? «È sempre molto difficile indagare i motivi di un “no” alla donazione. Da alcune indagini conoscitive, relative alle fasi della comunicazione della morte e della proposta di donazione, è emerso che la difficoltà di spiegazione della morte cerebrale e le incomprensioni nella relazione tra medici curanti e familiari del paziente sono tra le principali cause di opposizione. Proprio per questo, il Cnt ha puntato molto sulla

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Sul piano normativo, quali strumenti hanno contribuito o potrebbero incentivare l’attitudine alla donazione? «In Italia a ogni cittadino maggiorenne è offerta la possibilità di dichiarare il proprio consenso o diniego alla donazione di organi e tessuti dopo la morte. Infatti, nel nostro Paese vige il principio del consenso o dissenso esplicito mentre quello del cosiddetto silenzioassenso non ha trovato attuazione. È possibile dichiarare la propria volontà registrandola presso l’Asl di appartenenza, firmando e conservando tra i propri documenti personali il tesserino blu inviato dal Ministero della salute nel 2000 oppure una delle donor card di associazioni di donatori e pazienti. Il progetto sperimentale per la registrazione di volontà presso gli uffici anagrafe nei comuni di Perugia e Terni rappresenta un’utile e importante possibilità per invitare i cittadini a dichiarare la propria volontà». Un’operazione che avrà un seguito? «Dati gli ottimi risultati raggiunti da marzo scorso a oggi, siamo più che fiduciosi che la prossima estensione a tutti i comuni d’Italia, grazie a una direttiva dei ministero degli Interni e della Salute, possa accrescere il numero di cittadini che si esprimono sulla donazione di organi e tessuti. Il valore aggiunto di questa nuova possibilità risiede nel fatto che la dichiarazione di volontà, rilasciata contestualmente al rinnovo o ritiro della carta d’identità, possa essere registrata nel sistema informativo trapianti, il database del Cnt consultabile in modo sicuro e 24 ore su 24 dai medici del coordinamento in caso di possibile donazione».

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TRAPIANTI • Jean De Ville De Goyet

NUOVI ORGANI PER NUOVE TERAPIE SIA COME “BRIDGE” CHE COME TERAPIA DEFINITIVA, SPIEGA JEAN DE VILLE DE GOYET, IL TRAPIANTO D’ORGANO COSTITUISCE «UNA GRANDE OPPORTUNITÀ DI MIGLIORAMENTO DELLA QUALITÀ DI VITA». NON DI MENO PER I PICCOLI PAZIENTI CHE, A LIVELLO DI TRAPIANTOLOGIA ADDOMINALE, TROVANO NEL BAMBINO GESÙ UN ISTITUTO ALL’AVANGUARDIA di Giacomo Govoni

oro unanime di sì quello che lo scorso 8 maggio, alla Camera dei deputati, ha sancito l’approvazione delle nuove norme in materia di trapianti fra vivi. Polmone, pancreas e intestino sono i nuovi organi che vanno ad aggiungersi a reni e fegato e che d’ora in avanti si potranno donare a chi ne manifesta il bisogno. Un provvedimento che va ad ampliare il ventaglio delle possibilità terapeutiche a disposizione dei pazienti italiani e implementerà l’attività dei nostri centri di eccellenza sul fronte della trapiantologia. «Al Bambino Gesù per esempio – osserva Jean De Ville De Goyet, direttore del Dipartimento chirurgia e centro trapianti – nell’ultimo anno si è registrata una percentuale di trapianti di reni da vivente del 40%, rispetto all’11% della media nazionale».

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Sul piano della ricerca scientifica e del progresso della medicina, quali sono le prossime frontiere legate al tema dei trapianti? «I punti più importanti su cui si articola e si arti-

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Jean De Ville De Goyet, direttore del Dipartimento chirurgia e Centro Trapianti del Bambino Gesù

colerà la discussione sui trapianti d’organo sono la disponibilità di organi per trapianto, le possibilità di dialisi epatica, tecnica attualmente allo stato sperimentale che favorisce l’eliminazione di sostanze tossiche dal fegato nelle patologie gravi, e il trapianto di epatociti, terapia cellulare sostitutiva. Gli studi attuali si incentrano inoltre sulla prevenzione delle recidive di malattie virali come l’epatite B e C, nell’adulto e in particolare per ciò che riguarda i pazienti pediatrici, la prevenzione, sia nel medio che nel lungo termine, della fibrosi e della steatosi cronica del graft». Nel trattamento delle malattie rare, in che misura il trapianto d’organo può costituire una soluzione terapeutica “vincente”? «Il trapianto rappresenta una possibile terapia quando viene considerato come soluzione ponte in attesa che altri approcci o terapie siano sviluppati: è il caso della terapia cellulare/genetica. Inoltre, allo stato attuale va detto che il trapianto rappresenta per molti pazienti affetti da malattie

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Jean De Ville De Goyet • TRAPIANTI

L’istituto vanta per esempio il più alto numero in Italia di trapianti pediatrici di cuore e rene

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rare un’opportunità molto importante di miglioramento della qualità di vita». Sul versante della trapiantologia, quali prerogative - professionali e tecnologiche - il Bambino Gesù può mettere in campo? «L’ospedale pediatrico Bambino Gesù mette a disposizione sia dei piccoli pazienti, sia dei medici trapiantatori, una vasta expertise con casistiche tra le prime in Europa e differenti competenze specialistiche, tutte specificamente pediatriche. Il tutto associato a una visione globale del bambino come paziente. Questo consente l’utilizzo di equipe multidisciplinari, di fondamentale importanza per esempio nei casi di trapianti combinati. L’ospedale offre, inoltre, uno strumentario al- ¬ SANISSIMI

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TRAPIANTI • Jean De Ville De Goyet

Il cuore in miniatura che salva la vita Il trapianto cardiaco compiuto lo scorso marzo al Bambino Gesù su un paziente di neppure un anno e mezzo sposta ulteriormente in avanti la frontiera della cardiochirurgia pediatrica. Lo spiega il professor Antonio Amodeo

l Bambino Gesù di Roma è stato eseguito lo scorso marzo il trapianto del più piccolo cuore artificiale mai impiantato su un essere umano. A riceverlo è stato un bimbo di soli 16 mesi, affetto da miocardiopatia dilatativa, con una grave infezione del sistema di assistenza ventricolare. Per impiantare l’apparecchio è stato necessario chiedere un apposito permesso al Food and drug administration e al Ministero della Salute. «Tentare di salvare la vita di un bambino che altrimenti non avrebbe avuto alcuna possibilità di sopravvivenza – spiega Antonio Amodeo, responsabile dell’Unità di progetto assistenza meccanica del Bambino Gesù – è stata l’unica motivazione che ci ha spinto a provare un intervento senza precedenti». Quali sono state le fasi più delicate dell’operazione? «La fase più delicata è stata l’impianto del cuore artificiale, trattandosi di un prototipo non sapevamo se avrebbe funzionato e per quanto tempo. L’altro momento difficile è sopraggiunto quando, dopo due settimane di funzionamento, il cuore artificiale miniaturizzato ha avuto un problema

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elettrico. Nonostante le possibilità di successo fossero in quel momento scarse, abbiamo deciso di continuare ad assistere il bambino sperando in un trapianto poi eseguito con successo». Quali sono le caratteristiche del dispositivo impiantato? «Si tratta di una turbina in titanio alimentata da batterie al litio. Il cuore pesa soltanto 11 grammi e ha uno spessore di un centimetro ed è impiantabile all’interno del cuore con il cavo di alimentazione che viene tunnellizato e fatto uscire dal-

¬ l’avanguardia e un supporto logistico avanzati per quanto riguarda il trapianto di cellule, di organi e tessuti. Grazie a tutto ciò, i risultati sul piano dell’outcome sono ottimi: l’istituto vanta per esempio il più alto numero in Italia di trapianti pediatrici di cuore e rene. Questi ultimi, unitamente a quelli di fegato, registrano inoltre il più alto tasso di sopravvivenza nel lungo termine su scala nazionale». Quali sono oggi le tecniche trapiantologiche che rispondono all’esigenza di “minima invasività per massima efficacia”? «Per definizione, il trapianto d’organo richiede un

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Jean De Ville De Goyet • TRAPIANTI

l’addome, dove poi viene connesso alla batteria, ognuna delle quali dura dalle 8 alle 10 ore. Il grande vantaggio di questo dispositivo è che il bambino non è attaccato a una consolle come gli altri cuori artificiali, ma può muoversi liberamente avendo solo il cavo di alimentazione che fuoriesce dall’addome». Quali problematiche ha presentato il decorso operatorio e come le avete gestite? «Il decorso operatorio è stato molto delicato in quanto, non essendo mai stata inserita una turbina cosi piccola in un essere umano, non sapevamo come avrebbero reagito gli organi interessati. Basti pensare che la turbina gira a una velocità di 24.000 giri al minuto e l’impatto di questa velocità sul sangue era del tutto imprevedibile. La stessa scoagulazione che è mandatoria in questi casi è stata difficile da ottenere. Dopo una fase di scompenso generalizzato, durata tre giorni, tutti gli altri organi hanno ripreso a funzionare normalmente adattandosi al nuovo dispositivo». Alla luce di questo intervento, che prospettive terapeutiche si delineano nel panorama della cardiochirurgia infantile? «Senza dubbio l’impianto di questo cuore miniaturizzato apre uno scenario del tutto nuovo. La possibilità di inserire turbine di peso cosi piccolo permetterà in un prossimo futuro di dimettere

questi bambini dall’ospedale, che potranno quindi aspettare a casa, nell’ambiente familiare, l’arrivo di un cuore per il trapianto cardiaco. Purtroppo oggi questo è impossibile poiché l’unico dispositivo disponibile per bambini di basso peso è quello di un “cuore paracorporeo” connesso a una consolle esterna vicino al letto del paziente». È realistico pensare che, a medio-lungo termine, si possa arrivare a dispositivi permanenti anche per bambini nei primi anni di vita? «All’inizio del 2013 inizieremo il trial clinico per il cuore artificiale pediatrico impiantabile che potrà essere impiantato su bambini a partire dai tre anni. Soltanto più tardi nel 2014 sarà possibile iniziare un analogo trial per i neonati. Purtroppo questi dispositivi non saranno pronti per l’uso clinico prima di due o tre anni». Quanto la qualità della dotazione professionale e strumentale ha contribuito alla buona riuscita dell’intervento? «Il successo dell’impianto di un cuore artificiale miniaturizzato, che attualmente rappresenta il massimo della tecnologia, è il risultato di un lavoro di gruppo. Solo la possibilità di avere competenze multidisciplinari permette il successo di queste iniziative. E un grande ospedale come il Bambino Gesù ha la possibilità di esprimere queste competenze».

approccio chirurgico convenzionale (toracotomia, laparotomia) e al momento sono ancora minime le indicazioni laparoscopiche. Esistono report di trapianto di rene in laparoscopia, ma attualmente si trovano a livello di “sperimentazione clinica” e vengono applicati all’ambito della chirurgia degli adulti. In pratica, nel trapianto tradizionale, potremmo parlare di “mini-invasività” nel ricevente in questi termini: ottimizzare la selezione del graft e le tecnica chirurgica in corso di trapianto in modo da ridurre al minimo i rischi di complicanze e di disfunzione del graft, la durata del ricovero in terapia intensiva e il numero di eventuali ulteriori interventi. Tutti fattori che vanno a incidere di-

rettamente sulle aspettative e sulla qualità della vita del piccolo trapiantato».

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E dal punto di vista del donatore, le tecniche di espianto che genere di garanzie offrono? «In termini di interventi mini-invasivi, il prelievo di un organo, come ad esempio un rene o il fegato, può essere invece realizzato con tecniche laparoscopiche nel donatore vivente. Questo permette di incoraggiare il ricorso a tale metodica che è una valida alternativa al classico trapianto da donatore cadavere, con tutti i vantaggi in termini di maggiore sopravvivenza dell’organo e conseguente miglioramento della qualità di vita del trapiantato».

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TRAPIANTI • Paolo Galassi

UN’AZIENDA CHE PRODUCE SALUTE NEL RISPETTO DEI CRITERI D’EFFICIENZA COMMISURATI AL BUDGET E CON LO SGUARDO PROTESO A PERCORSI QUALIFICANTI SUL PIANO TECNICO E GESTIONALE, PAOLO GALASSI GUIDA UN OSPEDALE DAI NUMERI TRAPIANTOLOGICI IN LINEA CON I MIGLIORI RENDIMENTI INTERNAZIONALI di Giacomo Govoni

Paolo Galassi, direttore generale degli Ospedali Riuniti di Ancona

attività di trapianto di organi, tenuta a battesimo a fine maggio del 2005, è una realtà consolidata nelle Marche, oggi tra le regioni italiane più attive sotto questo profilo. Più di 500 pazienti trattati e ricondotti in larga parte a una qualità di vita ottimale ripagano gli sforzi della comunità trapiantologica marchigiana che negli Ospedali Riuniti di Ancona concentra una fetta importante del suo patrimonio professionale. «Il forte sentimento donativo che contraddistingue la popolazione marchigiana fin dal 2004 – osserva il direttore generale Paolo Galassi – è stata la base di partenza comune da cui il nostro ospedale, l’università e la Regione si sono impegnati nell’avvio dell’attività trapiantologica di fegato e di rene».

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Un’attività di qualità coronata dal recente superamento dei 500 interventi. Attraverso quale percorso siete approdati a questo risultato? «Il primo passo verso questo importante traguardo fu l’adesione delle Marche al Nit nel 1989, seguita dall’applicazione della legge 91/99 sui trapianti di organi e tessuti da parte della giunta della Regione. Una norma che ha disposto l’istituzione del coordinatore regionale e di quello locale per il prelievo di organi in tutti gli ospedali della regione. Nel 2005, infine, l’istituzione del centro trapianti di fegato, rene e pancreas presso la nostra azienda ospedalierouniversitaria è stata l’ultima tappa che ha portato a ottenere questo risultato».

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Paolo Galassi • TRAPIANTI

La struttura deputata ai trapianti svolge la sua attività rispettando perfettamente gli indicatori economici di efficienza prestabiliti In quali tipologie di trapianti la vostra struttura ha migliorato le sue performance? «Sicuramente il centro trapianti di Ancona sta affrontando percorsi migliorativi in tutti i campi di applicazione. Basti ricordare i 20 casi di trapianti compiuti attraverso la tecnica nota come “split liver”, che consiste nella separazione di un fegato da donatore cadavere in due parti funzionalmente autonome e trapiantabili, e altrettanti casi di trapianto di fegato su soggetti Hiv positivi, con percentuali di sopravvivenza assolutamente lusinghiere e in linea con i migliori risultati riportati nelle più ampie statistiche internazionali, quali l’European live transplant registry e l’Organ procurement and transplantation network». Di recente ha definito l’attività del suo ospedale sul versante dei trapianti “efficiente come un’industria”. Su quali elementi portanti si regge? «La struttura organizzativa dipartimentale deputata ai trapianti svolge la sua attività rispettando perfettamente gli indicatori economici di efficienza prestabiliti in sede di budget dalla direzione, riuscendo nel contempo a raggiungere i livelli qualitativi di eccellenza in ambito nazionale e con il minimo indispensabile di risorse umane a disposizione sia nella componente universitaria che ospedaliera». I dati aggiornati dicono che le Marche è la prima regione d’Italia come tasso di procurement di organi. E le stime del 2012 vanno nella stessa direzione. All’azione di quali soggetti, interni ed esterni alla vostra azienda, si deve la presenza di un serba-

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toio tanto vasto di donatori? «Questo tasso di donazione così elevato, pari a 44,1 per milione di abitanti, oltre a testimoniare la grande sensibilità della popolazione a questo tema, è frutto anche dell’impegno di due “entità” lontane tra loro, ma accomunate dall’unico scopo della donazione: le associazioni dei volontari, Aido e Avis in testa, e il personale delle rianimazioni delle Marche. In particolare va sempre curato e aggiornato l’aspetto formativo del personale delle rianimazioni, cui spetta il delicato compito della raccolta del consenso e l’ottimale gestione della donazione stessa. In questo ambito è fondamentale il ruolo del coordinatore ospedaliero all’attività di donazione. Tale figura, presente in tutti gli ospedali, rappresenta un indispensabile supporto delle rianimazioni in questo campo, tant’è vero che il coordinatore dell’azienda ospedaliero-universitaria di Ancona assolve a questo incarico a tempo pieno». In virtù di un bilancio finora incoraggiante, quali le sfide del prossimo futuro e quali traguardi vi ponete? «Nel campo trapiantologico tante e affascinanti sono le sfide che si aprono, ma noi siamo marchigiani, persone che vengono tradizionalmente descritte come “coloro che hanno sempre i piedi piantati in terra”. Anche in questo campo preferiamo raggiungere in breve tempo traguardi concreti quali l’incremento dei trapianti di rene da vivente e la realizzazione, anche per l’organo epatico, di questo particolare tipo di trapianto, di pari passo al miglioramento delle strutture dedicate all’attività trapiantologica».

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TRAPIANTI • Luciano De Carlis

AUMENTANO DONAZIONI E ORGANI UTILIZZATI di Elisa Fiocchi IL NOSTRO PAESE MANTIENE UN BUON LIVELLO DI DONATORI NEL CONTESTO EUROPEO. NE PARLA IL PROFESSOR LUCIANO DE CARLIS, RESPONSABILE DELL’UNITÀ OPERATIVA DI TRAPIANTI DEL FEGATO ALL’OSPEDALE NIGUARDA DI MILANO, DOVE DAL 1972 A OGGI SONO STATI ESEGUITI OLTRE 1.400 INTERVENTI l Secondo le proiezioni per il 2012 elaborate dal Centro nazionale trapianti, il numero di donatori per milione di abitanti salirà entro la fine dell’anno a 23,5 rispetto al 21,9 registrato nel 2011. Al Niguarda di Milano sono già 60 i trapianti di fegato compiuti nel 2012, 55 quelli di rene e 6 quelli di pancreas. «Come direttore della chirurgia generale 2 e dei trapianti – spiega il professor Luciano De Carlis – posso confermare che la nostra attività è cresciuta rispetto agli ultimi anni in maniera compatibile con le proiezioni nazionali». Merito di un’efficace attività di coordinamento all’interno del dipartimento e di una mirata politica territoriale. Inoltre, da un’analisi dei costi, oggi il

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trapianto dal punto di vista economico è considerato meno dispendioso della dialisi: «è più conveniente rispetto al trattamento dialitico o a quello dell’epatopatia cronica che richiede cure mediche più costose, complesse e meno efficaci». Quali fattori hanno reso possibile un aumento delle donazioni? «Sicuramente ha inciso una politica di maggiore attenzione da parte del coordinatore regionale della Lombardia nei confronti della donazione. Mi auguro che l’incremento delle donazioni sia fisiologico, visto che è anche ampliato nei centri trapianti il ventaglio di donazioni e donatori che fino a qualche anno fa non erano utilizzati. Inoltre, dobbiamo considerare le maggiori condizioni di sicurezza, ma anche la maggiore esperienza e conoscenza, dei limiti della donazione e dei successivi passi da compiere. Sono poi aumentate le tipologie di trapianto, come quello di doppio rene o la scelta di donatori selezionati che hanno la positività degli anticorpi per epatite C e B. Questo ci consente di incrementare anche il numero di organi utilizzati». L’attesa media per un trapianto di fegato è di 2,1 anni e il

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Luciano De Carlis • TRAPIANTI

L’Italia deve incrementare il trapianto da donatore vivente, soprattutto per il rene, come avviene in Inghilterra, dove si sfiora il 50 per cento Il professor Luciano De Carlis

tasso di mortalità durante l’attesa è del 7,13 per cento. Per la fine del 2012 ci si aspettano 1.040 di questi trapianti. Quali sono le tipologie maggiormente richieste? «Il più richiesto in termini di numeri e di lista di attesa resta il trapianto renale, compiuto per la prima volta nel 1954 e nel 1972 presso l’ospedale Niguarda. I pazienti in lista per un trapianto di rene sono tantissimi, ma attraverso la dialisi possono sopravvivere, mentre per quelli che attendono un trapianto di fegato, che vanno incontro a un’insufficienza epatica o a un tumore, l’impellenza è maggiore. Il Niguarda forse è il primo ospedale in regione se si considera la casistica di tumori e sappiamo che senza il trapianto di fegato questi malati moriranno: è un intervento salvavita». Nel 2008 il Niguarda ha raggiunto il traguardo dei mille trapianti di fegato. Come incide la parte organizzativa, il lavoro dello staff medico-infermieristico e dei reparti di rianimazione nel bilancio finale? «è un lavoro d’equipe: non c’è solo il chirurgo in sala operatoria, ma l’anestesista, il rianimatore, l’infettivologo, il nefrologo e tante altre figure ospedaliere. Di recente abbiamo cominciato un programma di trapianti di fegato su pazienti Hiv positivi, che necessita di un supporto infettivologico ed epatologico enorme. Dietro a tutto questo poi, l’intero ospedale deve fare la sua parte e funzionare al OTTOBRE 2012

meglio: la radiologia interventistica e per immagini, l’anatomia patologica, il laboratorio, la microbiologia, gli infermieri. Siamo stati uno dei primi ospedali in Italia a creare un dipartimento trapianti e mi auguro che non saremo penalizzati dalle prossime manovre di spending review. I risultati ottenuti si vedono in termini di sopravvivenza: l’Italia è riuscita a creare una rete di trapiantologia che ha dato risultati eccellenti a livello mondiale». Quali saranno le nuove frontiere della ricerca nell’ambito della trapiantologia? «Si può parlare di cellule staminali ma non è ancora il momento, tutto è in fase sperimentale. Tra gli obiettivi prossimi, c’è la volontà di incrementare ulteriormente la donazione che è competenza dell’organizzazione sanitaria e il trapianto da donatore vivente, soprattutto per il rene: l’Italia dovrebbe seguire l’esempio dell’Inghilterra, dove quasi il 50% di trapianti renali provengono da donatori viventi. Nel nostro paese, l’unico programma robotico di donazione offre molti vantaggi al donatore perché consiste in una tecnica mini invasiva con pochi danni sia funzionali sia estetici. Lo stesso vale per il trapianto di fegato: il Niguarda, assieme all’ospedale di Palermo, è l’unica struttura a compiere interventi da vivente. Incrementare questo trapianto per certi tipi di riceventi offre ottimi risultati dopo una scelta accurata dei pazienti. Lo stesso vale per il trapianto di doppio rene».

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TRAPIANTI • Umberto Cillo

TECNICHE MINI INVASIVE PER LA CURA DEI TUMORI di Elisa Fiocchi IN LAPAROSCOPIA SI POSSONO CURARE TUMORI DI PICCOLE DIMENSIONI ALL’INTERNO DEL FEGATO UTILIZZANDO RADIOFREQUENZE E MICROONDE, CON RISULTATI A LUNGO TERMINE MOLTO BUONI. NE PARLA UMBERTO CILLO

Unità di chirurgia epatobiliare e trapianto epatico dell’Azienda ospedaliera universitaria di Padova è leader nell’utilizzo di tecniche mini invasive nel trattamento e nella cura dei tumori al fegato. Attraverso queste metodologie, gli interventi sono meno traumatici, con degenze ridotte e con livelli di dolore molto contenuti o assenti. «Quest’anno si è festeggiato anche il nostro trapiantato più lungovivente: 21 anni da quel giorno, mentre lo scorso febbraio è stata effettuata la prima resezione epatica con fegato curato fuori dal corpo». Il professor Umberto Cillo, responsabile del reparto, illustra i progressi avanzati dalla ricerca e spiega come l’utilizzo delle nuove metodiche chirurgiche riduca le controindicazioni all’intervento, permettendo di operare su pazienti di qualsiasi età o affetti da comorbidità che non possono accedere a interventi chirurgici tradizionali.

pianto di fegato in Italia da donatore vivente con collaborazione internazionale. Nel 2004 è avvenuto il primo di fegato da vivente tra gemelli omozigoti con l’enorme vantaggio, per il fratello trapiantato, di poter evitare la terapia antirigetto. Il primo trapianto di fegato “ausiliario” d’Italia nel 2007, infine, il più giovane trapiantato di fegato del Centro di chirurgia epatobiliare di Padova su un bimbo di appena 40 giorni di vita di 2,5 kg».

Quali altri traguardi ha raggiunto il polo di alta specialità di Padova? «Nel 1997 in questo centro veniva realizzato il primo tra-

Quali sono i progetti attualmente in fase di sperimentazione? «La ricerca in ambito clinico, tra le tante iniziative, si ri-

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Umberto Cillo • TRAPIANTI

Abbiamo appena avviato uno studio prospettico sul trapianto di fegato per pazienti con colangiocarcinoma, un tipo di neoplasia finora esclusa dalle liste d’attesa volge soprattutto alla cura dei tumori del fegato (tumori primitivi e metastasi) con metodiche mini invasive. Oggi, in casi ben selezionati, in laparoscopia si possono curare tumori di piccole dimensioni all’interno del fegato utilizzando particolari onde come le radiofrequenze e le microonde. I risultati a lungo termine sono molto buoni con il vantaggio di ridurre la degenza ospedaliera e il dolore post-operatorio accelerando il ritorno del paziente alla sua vita normale. Stiamo mettendo a punto sistemi di puntamento intraoperatorio (centramento) del tumore sempre più precisi. Una nuova terapia sperimentale, l’elettroporazione, indicata solo in casi super selezionati, veicola l’elettricità dentro il tumore, provocando l’apertura irreversibile dei pori delle membrane cellulari con perdita di acqua e morte cellulare del tumore per disidratazione. Conduciamo anche studi sulla rigenerazione del fegato dopo l’intervento e sull’uso delle staminali per favorire questa rigenerazione». Il centro vanta un’esperienza ventennale di trapianti di fegato, oltre mille quelli eseguiti, di cui 105 pediatrici: quali nuove frontiere attendono questa tipologia di trapianto? «Guardiamo allo sviluppo di strategie per ridurre e sospendere la terapia antirigetto dopo il trapianto, in una parte dei pazienti selezionati con test immunologici, con enormi vantaggi sulla quantità e qualità di vita dei pazienti. Da anni ci occupiamo di “macchine di perfusione”, che permettono di migliorare la preservazione del fegato durante le ore del trasferimento da un organismo all’altro. Lo scopo è di aumentare il numero di organi OTTOBRE 2012

idonei al trapianto e quindi di ridurre la mortalità in lista di attesa. Stiamo, inoltre, muovendo i primi passi nello sviluppo di biomatrici integrate a cellule staminali per la realizzazione, in un futuro, di organi bio-artificiali». In che cosa consiste l’autotrapianto di fegato? «È proposto a quei pazienti affetti da una neoplasia epatica estesa e considerata inoperabile e prevede la completa rimozione dell’organo del paziente dalla cavità addominale. Il fegato rimosso viene posto in un sistema di perfusione continua, fuori dal corpo, dove vengono eseguite complesse resezioni e ricostruzioni vascolari necessarie per l’eliminazione del tumore. Il fegato del paziente “ripulito” è quindi reimpiantato in addome. Si tratta di una tecnica cui si ricorre solo in particolari situazioni e quando non sia possibile raggiungere la parte malata dall’interno del corpo. Abbiamo eseguito cinque casi di questa complessa metodica nell’ultimo anno dopo una lunga fase di sperimentazione preclinica». Quali sono i principali problemi organizzativi da migliorare nell’ambito dei trapianti? «Credo che in futuro l’organizzazione sanitaria debba prevedere che i centri di alta specialità per il trattamento delle patologie d’organo diventino sempre di più punto di riferimento per coordinare i percorsi diagnostici e terapeutici e organizzare la ricerca clinica. Questa coordinazione porterebbe a importanti riduzioni di spesa sanitaria, a una maggiore omogeneità delle cure erogate e a un notevole incremento della competitività dell’Italia in campo scientifico».

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TRAPIANTI • Loreto Gesualdo

UN FARMACO PER RIDURRE IL RIGETTO di Concetta S. Gaggiano LA SCIENZA HA FATTO PASSI IMPORTANTI VERSO IL MIGLIORAMENTO DELLA QUALITÀ DELLA VITA DEI PAZIENTI NEFROPATICI E DELLE CONDIZIONI DEI TRAPIANTATI. MA OGGI, PER IL PROFESSOR LORETO GESUALDO, IL PROBLEMA DA RISOLVERE È IL PROCUREMENT ai dati forniti dal Ministero della Salute si apprende che nel 89,8% dei casi i pazienti italiani sottoposti a trapianto di rene lavorano e sono pienamente reinseriti nella normale attività sociale. Un successo della ricerca e un merito per il sistema trapiantologico italiano, che può contare su una rete di 44 ospedali su tutto il territorio nazionale in cui si svolge attività di trapianto. Uno di questi è il Policlinico di Bari, uno dei due centri regionali autorizzati a effettuare trapianti di rene, l’altro è l’Ospedale Vito Fazzi di Lecce. A Bari a dirigere la Divisione di nefrologia, dialisi e trapianto è il professor Loreto Gesualdo, la cui equipe attraverso studi e ricerca sta sperimentando i cosiddetti Pac service e un farmaco che agisce sul sistema immunitario.

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Il trapianto di rene, seppur non considerato tra quelli salva-vita, migliora la qualità della vita dei trapiantati. Negli anni quali sono state le tappe più importanti? «La scoperta dei farmaci immuno-soppressori, come la Ciclosporina negli anni 70, ha determinato grandi passi avanti nel contrastare il rigetto dell’organo trapiantato. In seguito la ricerca ci ha dotato di nuovi farmaci, come il Micofenolato o la Rapamicina, capaci di inibire il sistema immunitario a diversi livelli, permettendo una lunga sopravvivenza del rene trapiantato. In Puglia abbiamo oltre 700 pazienti in lista d’attesa, che per tre volte a settimana devono sottoporsi a sedute di dialisi di quattro ore ciascuna. Al contrario, le

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persone trapiantate possono tornare a viaggiare, lavorare, fare sport o avere figli. Se a questo sommiamo anche gli elevati costi della dialisi rispetto al trapianto si comprende come la donazione contribuisca a ridurre la spesa sanitaria». Come potenziare l’attività di trapianto e ridurre le liste d’attesa? «In Puglia abbiamo avviato un’attività di promozione del trapianto di rene da donatore vivente, realizzando pacchetti ambulatoriali complessi, i cosiddetti Pac service, con i quali saremo in grado di studiare il paziente e il potenziale donatore in meno di trenta giorni, senza la necessità del ricovero ma sfruttando percorsi ambulatoriali dedicati. Questo tipo di trapianto rappresenta la migliore terapia sostitutiva per il paziente nefropatico, sia in termini di sopravvivenza del paziente che di funzionalità dell’organo trapiantato». L’innovazione tecnologica ha un peso fondamentale nella medicina. Cosa ci dobbiamo aspettare nel breve-medio termine dalle attività di ricerca? «Nel nostro istituto di ricerca stiamo sperimentando nuovi farmaci capaci di inibire il sistema immunitario già nelle prime ore del trapianto, quando avviene il cosiddetto danno da “ischemia-riperfusione”. Questo farmaco, il C1-inibitore, si è dimostrato molto efficace nel proteggere il rene dall’attacco del sistema immune e potrà essere sperimentato entro pochi anni sui nostri OTTOBRE 2012


Loreto Gesualdo • TRAPIANTI

Loreto Gesualdo, direttore della Struttura complessa di nefrologia, dialisi e trapianto dell’Azienda ospedaliero-universitaria consorziale Policlinico di Bari

pazienti. Di notevole interesse sono anche i risultati della ricerca scientifica derivanti da nuovi approcci di farmaco-genomica che ci permetteranno di personalizzare la terapia immunosoppressiva, minimizzare gli effetti collaterali o addirittura individuare i pazienti “tolleranti” che potranno sospendere i farmaci anti-rigetto». Nel 2011, secondo rete Airt, in Puglia l’attività di trapianto si è attestata a 14.5 p.m.p. rispetto al 12 del 2010. A cosa è dovuto questo incremento? «L’incremento è il risultato del progetto triennale (2008-2010) Seusa, Spanish, European and Usa models for organ donation, che ha avuto l’obiettivo di ristrutturare e recuperare qualità ed efficienza in tutta l’attività di procurement di organi nella regione. Frutto della collaborazione tra la Regione Puglia, il Centro regionale trapianti e un pool di esperti di valore internazionale, il progetto ha previsto una capillare indagine del territorio evidenziando i punti di debolezza dell’intera fase di procurement di organi e individuando i relativi piani di intervento». Non sono invece confortanti i numeri dei primi 6 mesi del 2012. Come è possibile risolvere il problema delle opposizioni? «Le cause dell’arresto del trend positivo delle donazioni sono diverse e, data la complessità del processo di donazione e trapianto che coinvolge molteplici settori della sanità, devono essere rintracciate, in prima istanza, a livello OTTOBRE 2012

strutturale-organizzativo nell’ambito del sistema sanitario regionale. Inoltre, è aumentata la percentuale di opposizioni: nei primi sei mesi del 2012 si è attestata al 37%, contro il 31,5% del 2011. La latente sfiducia del cittadino nei confronti del sistema sanitario gioca certamente un ruolo determinante in tale processo. L’affidabilità, la serietà e la trasparenza della struttura, come la certezza che il paziente sia stato curato al meglio, passano attraverso una gestione corretta della relazione». Parliamo di opposizioni. In che modo si può migliorare l’attività di comunicazione? «Il Centro nazionale trapianti è molto attivo sul territorio italiano con le annuali campagne “Un donatore moltiplica la vita”, realizzate grazie alla collaborazione di associazioni di volontariato quali l’Aido, l’Aned e tante altre, che svolgono un ruolo fondamentale sui territori regionali. Tuttavia, io ritengo che si dovrebbero sfruttare i social network, Facebook e Twitter. La donazione d’organo deve essere una scelta consapevole, che si realizza attraverso il confronto dialettico in famiglia o nei gruppi di discussione con gli amici, colleghi. Dobbiamo far comprendere che grazie alla donazione possiamo salvare la vita a tante persone, tra cui i bambini. Ricordo che di recente, grazie al “grande gesto” di un piccolo donatore pediatrico in una delle nostre regioni, tanti bambini italiani hanno ricevuto l’organo a loro necessario, risolvendo gravi malattie».

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TRAPIANTI • Paolo Rigotti

AUMENTANO I TRAPIANTI DA DONATORE VIVENTE di Elisa Fiocchi NEL 2011 SONO STATI ESEGUITI IN VENETO 52 TRAPIANTI DI RENE DA VIVENTE, NUMERO TRIPLICATO RISPETTO A CINQUE ANNI PRIMA. E IN TERMINI DI SOPRAVVIVENZA L’ATTIVITÀ ITALIANA È DEL TUTTO SOVRAPPONIBILE A QUELLA DELL’EUROPA E DEGLI STATI UNITI l professor Paolo Rigotti è responsabile del centro trapianti di rene e pancreas dell’Azienda ospedaliera di Padova ed è anche alla guida di “NordItalian Transplant”, rete trapiantistica nazionale, tra le più importanti d’Europa, che riunisce e coordina i centri trapianti di Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Marche e della Provincia autonoma di Trento. Nel 2011 il tasso di donatori di questo dipartimento è stato pari a 23,5 per milione di popolazione permettendo l’esecuzione di 1.267 trapianti. «Per alcuni organi come il rene e il fegato – spiega il professor Rigotti – vi è stato un incremento rispetto al 2010, per altri come il cuore o il polmone, invece, una riduzione dettata dall’aumento dell’età media dei donatori che influenza negativamente la possibilità di trapianto degli organi toracici».

questo è sicuramente un problema mondiale e non solo italiano. In Europa, ad esempio, vi sono nazioni come il Regno Unito o la Germania che hanno percentuali di donazione inferiori all’Italia».

Come giudica i livelli raggiunti dal nostro Paese in merito ai trapianti? «Indubbiamente in Italia si sono raggiunti degli ottimi risultati sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo. Certamente rimane il problema della disponibilità di organi che non riesce a soddisfare il fabbisogno dei pazienti con i conseguenti lunghi tempi di attesa, ma

Qual è il ruolo del Veneto nel sistema nazionale trapianti? «è sicuramente una delle regioni più attive, sono presenti cinque centri per il trapianto di rene, di cui uno pediatrico, due per il trapianto di fegato, due per il cuore, uno per il polmone e uno per il pancreas. Nel 2011 sono stati utilizzati in Veneto 110 donatori deceduti e sono

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E in termini di sopravvivenza? «Nel caso del rene, supera il 90% a un anno. Recentemente il Centro nazionale trapianti ha reso noto i risultati della sopravvivenza dei trapianti eseguiti in Italia nell’ultimo decennio, confrontandoli con i risultati europei e americani, ed è emersa la validità dell’attività italiana che è del tutto sovrapponibile a quella riportata in Europa o negli Stati Uniti. Proprio la possibilità offerta dal centro nazionale di poter conoscere i risultati dell’attività dei singoli centri locali è un altro elemento altamente qualificante di questo settore della sanità».

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Paolo Rigotti • TRAPIANTI

Paolo Rigotti, presidente della NordItalian Transplant e responsabile dei trapianti di rene e pancreas nell’Azienda ospedaliera di Padova

Nel 2011 sono stati eseguiti 379 trapianti così suddivisi: 222 di rene, 36 di cuore, 96 di fegato, 10 di pancreas e 19 di polmone stati eseguiti 379 trapianti così suddivisi: 222 di rene, 36 di cuore, 96 di fegato, 10 di pancreas e 19 di polmoni». Quali progressi sono stati compiuti attraverso il programma regionale di sviluppo del trapianto da donatore vivente? «Tale attività avuto negli ultimi anni un notevole incremento. Nel 2011 sono stati eseguiti in Veneto 52 trapianti di rene da vivente, numero triplicato rispetto a cinque anni prima. Gran parte del merito di questo incremento è del Coordinamento regionale trapianti, che ha attuato un programma di formazione nei vari reparti di nefrologia degli ospedali del Veneto. L’incremento dei trapianti di rene da vivente e la promozione di questa scelta terapeutica rappresentano un obiettivo strategico della Rete nazionale trapianti, anche nell’ottica di un progressivo aumento dell’aspettativa di vita della popolazione italiana e di un conseguente innalzamento dell’età media dei donatori per quanto concerne il prelievo di organi da cadavere». Qual è l’identikit del donatore vivente? «Nel 2011 in Italia si è superata la soglia dei 200 trapianti di rene da vivente, 200 vuol dire 3,5 trapianti di OTTOBRE 2012

rene effettuati per milione di abitanti in Italia. È interessante notare la spiccata polarizzazione di genere tra donatori e riceventi: il 69 per cento dei donatori è di genere femminile contro il 31 di genere maschile; in particolare, il 36 per cento dei reni trapiantati da donatore vivente è donato dalla madre a un figlio, il 29 per cento dalla moglie al marito». E quali progressi sono stati raggiunti nello studio dei trapianti di rene e di pancreas? «Il trapianto simultaneo di rene e pancreas è un’altra attività altamente qualificante del programma trapianti della regione. Questo tipo di trapianto viene eseguito in pochissimi centri italiani per la complessità della procedura e le problematiche di questi pazienti. L’indicazione è rappresentata dal paziente con diabete tipo I insulino dipendente che, a seguito della malattia, ha sviluppato anche un’insufficienza renale. Il doppio trapianto permette di correggere sia il diabete che la malattia renale, i vantaggi che ne derivano per il paziente sono quindi molto evidenti. Purtroppo i numeri di questi trapianti sono esigui perché il pancreas è un organo molto delicato e può essere utilizzato per il trapianto solo quando prelevato da donatori deceduti in età giovanile».

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TRAPIANTI • Duilio Testasecca

CRESCITA DEI TRAPIANTI OLTRE LE ASPETTATIVE È LA “CULTURA DEL DONO”, COME LA DEFINISCE DUILIO TESTASECCA, IL TRAMPOLINO CHE NEGLI ULTIMI ANNI HA PROIETTATO L’ATTIVITÀ TRAPIANTOLOGICA MARCHIGIANA VERSO UN TREND DI CRESCITA, TRAINATA DAI TRAPIANTI DI RENE E FEGATO di Giacomo Govoni

er fare una trapiantologia di qualità servono competenza, organizzazione, ma soprattutto numeri. Senza quelli, tanto vale «trasferire le attività dedicate agli organi con poche richieste in altra sede» e concentrarsi, ad esempio, su rene e fegato che in soli sette anni hanno consentito al Crt, Centro marchigiano dei trapianti, di toccare quota 518 interventi. In una prospettiva di ottimizzazione di sforzi e risorse, secondo il direttore del centro e coordinatore regionale del Nitp, Duilio Testasecca, «non ha senso far partire un’attività trapiantologica di cuore, a fronte di soli 7 pazienti in lista d’attesa per quest’organo». Meglio, semmai, valorizzare i punti di forza espressi dal territorio, come l’elevata propensione dei marchigiani alla donazione.

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Quanto ha influito questa virtuosa attitudine sulla nascita di un centro trapianti anche nelle Marche? «La scelta di aprire questo centro maturò nel 2005, proprio dopo aver constatato quanto fosse generosa e nutrita la famiglia di donatori marchigiani. Nel 2004, infatti, la nostra regione registrò il tasso di donazione più alto d’Italia. Fu quella la molla che ci convinse che era il momento giusto per realizzare un centro regionale dedicato all’attività trapiantologica, inaugurato il 30 maggio 2005 con il primo trapianto di rene, un punto di riferimento territoriale che non costringe più i pazienti marchigiani a viaggi della speranza fuori regione». Da quali organi arrivano i risultati più significa-

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Duilio Testasecca • TRAPIANTI

In collaborazione con l’Aido facciamo informazione negli ospedali con basso procurement, oggi concentrati soprattutto nell’area ascolana

Duilio Testasecca, direttore del Centro regionale trapianti e coordinatore per le Marche del Nitp

tivi e come avete ampliato le terapie nel tempo? «Gli organi con cui ci manteniamo ampiamente sopra gli standard nazionali, fissati rispettivamente a 30 e 25 trapianti l’anno, sono il rene e il fegato. Diverso il discorso per il cuore, come accennavo prima, la cui bassa richiesta ci induce a non mettere in campo un’attività trapiantologica dedicata. Sugli atri fronti, invece, le altre tappe fondamentali sono state il 2007, coinciso con l’inizio dei trapianti su soggetti Hiv, oggi arrivati a quota 20, e dei trapianti di pancreas e trapianti combinati. E il 2010, quando abbiamo dato il via ai trapianti di rene da vivente». Siete la sola regione dell’area centro-meridionale compresa nel Nord italian transplant program. Che importanza riveste l’adesione a questa rete? «La vicinanza del Nitp nelle sue funzioni fondamentali di assegnare gli organi e di sorvegliare su tutto il processo che va dalla gestione delle liste d’attesa all’esecuzione degli esami immunologici è stata determinante. Ma non vanno dimenticate altre tre componenti focali che hanno reso possibili questi risultati: una cultura del dono sempre più radicata, l’entusiasmo e l’abnegazione degli operatori sanitari, e il supporto delle istituzioni, attraverso una sinergia fra ospedale, università e Regione, che ha deliberato molto in materia». Restando sulla cultura del dono, ricalcata appunto dal più alto tasso di procurement d’Italia, come la capitalizzate? «Come Crt ci dedichiamo alla formazione continua degli operatori che fanno procurement negli ospedali, coltivando gli ottimi rapporti già instaurati con i re-

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parti di rianimazione che hanno sposato il progetto e, quindi, sanno benissimo che di fronte a un soggetto con morte encefalica va fatto l’accertamento di morte. In questi casi il tasso di accertamenti è elevato e la quota delle donazioni, salita dal 36 del 2005 al 44,1 per milione di abitanti di oggi, è l’espressione più lampante di questa attività». Quali altri soggetti partecipano alla diffusione di questa sensibilità? «Da tempo portiamo avanti un’intensa collaborazione con l’Aido per fare informazione e sollecitare gli ospedali con basso procurement, che oggi si concentrano soprattutto nell’area ascolana. Qui inizieremo presto il progetto già avviato in Umbria che prevede l’attestazione di volontà sulla donazione di organi e tessuti nella carta d'identità. Altrettanto importanti sono le misure introdotte dalla Regione, che per esempio ha esteso ai direttori generali dell’azienda gli obiettivi dei coordinatori ospedalieri. Primo fra tutti, il monitoraggio degli accertamenti di morte encefalica ai fini delle donazioni, che si riflette a caduta sui direttori dei dipartimenti, sui primari delle rianimazioni e sui coordinatori inseriti nel processo». Quali nodi restano da sciogliere per il futuro? «L’obiettivo prioritario resta la riduzione dei tempi d’attesa per i trapianti. Dobbiamo poi aumentare il trapianto di rene da vivente e iniziare quello di fegato da vivente, di cui attendiamo l’autorizzazione ministeriale. In parallelo, servono adeguamenti dimensionali delle strutture che possano sopportare anche l’attrazione da altre regioni, tenendo conto che finora il 20% dei 256 pazienti trapiantati di reni e il 41% di fegato hanno avuto una provenienza extra-regionale. Dati che hanno comportato un aumento della mobilità attiva del 30% e che nei prossimi anni ci impegneremo a incrementare».

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NUOVE TECNICHE MINI INVASIVE GLI INTERVENTI CHIRURGICI ESEGUITI PER RIPRISTINARE IL CORRETTO FUNZIONAMENTO DELLE VALVOLE CARDIACHE SONO OGGI COMUNEMENTE ESEGUITI NEGLI OSPEDALI ITALIANI. ANTONIO MARIA CALAFIORE SPIEGA L’EVOLUZIONE DELLE ATTUALI TECNICHE di Nicolò Mulas Marcello

li sviluppi recenti della cardiochirurgia sono stati diretti al perfezionamento di quanto era già utilizzato nella pratica clinica. La presenza di meccanismi sempre più miniaturizzati ha cambiato non poco l’approccio chirurgico: «Si è avuta – spiega Antonio Maria Calafiore, cardiochirurgo presso il Prince Sultan Cardiac Center di Riyadh in Arabia Saudita – una diffusione più ampia di vie di aggressione chirurgica alternative alla classica sternotomia mediana, quali le toracotomie destre, più o meno limitate, per la chirurgia della valvola aortica e mitralica, le toracotomie sinistre per la chirurgia coronarica (in realtà poco diffuse), le sternotomie limitate per chirurgia della valvola aortica. Nel campo protesico vi sono stati pochi cambiamenti. L’unica novità sostanziale è stata l’introduzione di protesi valvolari biologiche “sutureless”, cioè la cui fissazione non è fatta utilizzando punti di sutura».

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tie dilatative cosiddette idiopatiche era predominante, oggi vi è una grande incidenza di cardiomiopatie ischemiche. In alcuni casi la chirurgia convenzionale, indirizzata sulla valvola mitralica o sul rimodellamento ventricolare, rimane di grande efficacia. Nella maggioranza dei casi però vi è la necessità di assistere il ventricolo sinistro, inadatto ormai a poter far circolare una quantità di sangue adeguata. In questo campo, che prevede la sostituzione della funzione ventricolare sinistra con una pompa meccanica impiantabile, vi sono stati i maggiori progressi. I sistemi di assistenza ventricolare temporanea sono migliorati in maniera importante. La presenza di meccanismi di terza generazione, sempre più miniaturizzati e altamente affidabili e molto sicuri, permettono di sostituire efficacemente la funzione ventricolare sinistra per lungo tempo, in attesa di trapianto o, sempre più spesso, come terapia definitiva».

Ci sono nuove tecniche nella cura delle cardiomiopatie dilatative? «Mentre nel passato la percentuale di cardiomiopa-

E nell’ambito della chirurgia coronarica mininvasiva? «La chirurgia coronarica mininvasiva non ha più un

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Antonio Maria Calafiore • CARDIOCHIRURGIA

grande sviluppo. Le tecniche di angioplastica e gli stent coronarici sono ormai sempre utilizzati nelle malattie di una sola coronaria, la discendente anteriore, verso la quale si indirizzavano le minitiracotomie sinistre. L’uso della chirurgia robotica nella chirurgia coronarica non ha avuto successo, sia per i costi elevati che per la modesta qualità dei risultati; per questo motivo, nell’ambito della rivascolarizzazione miocardica, le tecniche utilizzate sono quelle classiche, di grande efficacia in termini di risultati sia immediati che a lungo termine».

Chirurgia cardiaca, scende la mortalità In cima alle motivazioni che hanno permesso all’ospedale anconetano di compiere un numero di interventi valvolari tra i più alti in Italia, c’è «la scelta vincente della Regione di avere un unico centro di cardiochirurgia», sottolinea Laura Torracca

indagine sulle prestazioni e sui ricoveri condotta pochi mesi fa dall’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, riconosce al presidio Lancisi degli Ospedali riuniti di Ancona alcuni punti di eccellenza, tra cui un indice di mortalità dello 0,43 per cento a fronte del 3,17 per cento nazionale e numeri da primato in fatto di interventi di sostituzione e riparazione valvolare cardiaca. «Il riconoscimento ottenuto dall’Agenas – spiega Lucia Torracca, direttore del reparto di cardiochirurgia (nella foto) – deriva dall’analisi dei risultati di mortalità combinati con le dimensioni della casistica».

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Quali i maggiori motivi di soddisfazione per la vostra struttura? «Il nostro centro ha mostrato livelli di mortalità per la chirurgia valvolare molto bassi, pur effettuando numerosi interventi. L’alto numero della popolazione preso in esame è un dato importante in quanto avvalora un risultato calcolato non su un piccolo campione di pazienti selezionati ma su una popolazione ampia che comprende tutti i pazienti, anche quelli ad alto rischio chirurgico». In che modo la scelta di creare una cardiochirurgia unica ha inciso sulla qualità dell’offerta clinica? «Tale scelta, compiuta dalla Regione, è vincente in

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quanto ci consente di avere un bacino di utenza ampio e quindi di effettuare un grosso numero di interventi. Attualmente la cardiochirurgia dell’adulto del nostro ospedale è la più grande in Italia tra i centri pubblici per numero di procedure effettuate e al terzo posto, comprendendo anche le strutture private. Del resto, in cardiochirurgia è ben documentato come i centri capaci di produrre una maggior attività riescano di solito a ottenere gli standard di qualità più elevati. In quest’ottica, l’esposizione quotidiana a un cospicuo numero di situazioni cliniche diverse contribuisce notevolmente ad accrescere la professionalità di operatori, chirurghi, anestesisti e personale infermieristico». In precedenza sottolineava quanto il basso tasso di mortalità registrato dal suo presidio resti ben al di sotto della media nazionale. Quanto l’aggiornamento tecnologico e il livello di preparazione dello staff sanitario ha influito su questo virtuoso trend? «Il raggiungimento di un obiettivo di qualità come quello evidenziato da Agenas è il frutto di un aggiornamento scientifico costante. Il nostro lavoro richiede uno studio e una discussione continuativi e la verifica dei processi e dei risultati. L’aggiornamento tecnologico è fondamentale perché ci offre gli strumenti per garantire, insieme alla nostra preparazione scientifica, la migliore qualità possibile nella cura dei nostri pazienti».

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CARDIOCHIRURGIA • Michele Malena

NOVITÀ IN CARDIOCHIRURGIA L’ECCELLENZA ITALIANA NELLA CARDIOCHIRURGIA MININVASIVA. IL PROFESSOR MICHELE MALENA ESPONE I RISULTATI RAGGIUNTI NELL’APPLICAZIONE DELLA TECNICA TAVI. CHE, NEI CASI DI STENOSI VALVOLARE AORTICA, PERMETTE DI INTERVENIRE SUL CUORE SENZA APRIRE IL TORACE di Luca Cavera on il riconoscimento ottenuto nel 2011 nel progetto “Mattone Outcome-Bypass”, dell’Istituto Superiore di Sanità, l’Hesperia Hospital di Modena ha confermato il proprio status di centro di eccellenza nella cura delle patologie cardiache. La struttura, accreditata definitivamente con il Ssn, ha investito in strumentazioni – raddoppiando le sale operatorie

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ibride – e competenze, consolidando l’esperienza del proprio team di cardiochirurghi nell’applicazione delle più moderne procedure. Fra queste la Tavi (Transcatheter Aortic Valve Implantation), tecnica mini-invasiva che permette di operare evitando l’apertura dello sterno e senza il ricorso alla circolazione extracorporea. Come spiega il professor Michele Malena, direttore generale dell’HespeOTTOBRE 2012


Michele Malena • CARDIOCHIRURGIA

Non aprendo il torace ed evitando la circolazione extracorporea, il decorso postoperatorio è molto più rapido rispetto all’intervento a cuore aperto

ria Hospital di Modena: «La Tavi rappresenta una delle maggiori novità per la cardiochirurgia e le patologie cardiache. Permette di sostituire la valvola aortica, inserendone una artificiale, utilizzando dei cateteri attraverso le arterie, e nel caso che questa sia l’arteria femorale si realizza una vera e propria procedura percutanea come una coronarografia». In quali patologie del cuore può essere impiegata la Tavi? «È un tipo di intervento rivolto ai pazienti affetti da stenosi valvolare aortica severa, patologia che comporta un restringimento della valvola aortica. Si tratta di una delle una delle patologie del cuore più diffuse, insieme alla coronaropatia. E dopo i 60-65 anni, per l’invecchiamento fisiologico della valvola, diventa la principale patologia nei cardiopatici, cioè il motivo più frequente in cui si ricorre all’intervento. Soprattutto negli anziani, la possibilità di non ricorrere all’apertura del torace di evitare la circolazione extracorporea – dato che il cuore non viene mai fermato –, consente di avere un decorso postoperatorio molto più rapido se paragonato a quello che segue le tecniche di intervento tradizionali». Quindi è una tecnica indicata soprattutto per i pazienti anziani? «Non esclusivamente. È rivolta ai pazienti ad alto rischio in cui spesso rientrano i pazienti anziani o quelli non operabili con la tecnica tradizionale. Il nostro centro di cardiochirurgia e chirurgia toracovascolare tratta i pazienti di tutte le fasce di età e per tutte le patologie e utilizzando le tecnologie e le tecniche più avanzate disponibili in questo settore. E in Italia, sia guardando al pubblico che al privato, rappresentiamo ancora uno dei pochissimi centri a mettere a disposizione la completezza delle prestazioni cardiovascolari. Certamente esistono altri centri in cui si esegue la procedura Tavi, ma se guardiamo ai volumi, cioè a quanti interventi venOTTOBRE 2012

Il professor Michele Malena, direttore generale dell’Hesperia Hospital di Modena www.hesperia.it

gono eseguiti all’anno – indice importantissimo per quel che riguarda il livello di competenza clinica – il nostro Dipartimento si conferma come uno dei principali a livello nazionale, anche per quanto riguarda l’ingegneria tissutale, la chirurgia dello scompenso cardiaco e la chirurgia mini-invasiva, ambiti nei quali stiamo introducendo tecniche sempre più evolute». Per quali altri tipi di intervento applicate queste tecniche mini-invasive? «Per arrivare al cuore e sostituire o riparare una valvola aortica si può procedere in diversi modi. Si può aprire il torace, come nella chirurgia tradizionale, oppure, come con la Tavi, ottenere un accesso transaortico, transfemorale o transapicale. Se non è possibile passare attraverso le arterie, esiste comunque un’alternativa all’apertura toracica, ovvero i mini-accessi: anziché aprire tutto l’osso sternale se ne può aprire solo una parte con una mini-sternotomia. Oppure, anziché passare dallo sterno, si può agire lateralmente con delle mini-toracotomie. In entrambi i casi, sia con la Tavi che con i mini-accessi, gli studi hanno dimostrato risultati eccellenti».

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CARDIOCHIRURGIA • Michele Malena

Siamo stati fra i primi centri in Italia a portare avanti la ricerca sull’impiego di cellule staminali nella cura dello scompenso cardiaco

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In cosa consiste il vostro impegno nell’ambito dell’ingegneria tessutale? «Insieme alla Humboldt-Universität di Berlino collaboriamo a un progetto sulle valvole cardiache biologiche, con l’obiettivo di ridurre i problemi – di degenerazione o rigetto – derivanti dall’utilizzo di tessuti provenienti da altre specie animali. Infatti, le proprietà immunologiche di ciò che viene da un altro essere non vengono riconosciute come proprie dal nostro sistema immunitario, che quindi cerca di distruggere l’oggetto che considera estraneo. Quello che noi abbiamo sperimentato è l’asportazione di tutto ciò che è immunocompetente nel materiale animale, per rivestirlo con cellule del paziente al quale è destinato l’impianto, in modo che la valvola, ricoperta di cellule del paziente non venga riconosciuta come estranea».

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Ci sono altri fronti sui quali state portando avanti ricerche in collaborazione con enti esteri? «La Duke University, una delle principali università mediche degli Stati Uniti ha finanziato, in parte, il nostro lavoro sulla chirurgia dello scompenso cardiaco e il rimodellamento. Lo scompenso causa una deformazione del muscolo cardiaco, che, dalla forma di ellissoide, assume una forma sferoide. Il rimodellamento consiste nel riportare il cuore alla sua forma “normale”, tagliando e modificando la struttura cardiaca. In questo tipo di intervento stiamo sperimentando anche l’impiego di cellule staminali. Queste vengono prelevate prima dell’intervento dal midollo del paziente, per poi essere reiniettate nel cuore. I primi risultati hanno dimostrato la possibilità di un ritorno della funzionalità contrattile, grazie alla differenziazione di OTTOBRE 2012


Michele Malena • CARDIOCHIRURGIA

RICONOSCIMENTI INTERNAZIONALI

queste cellule staminali in miociti. Siamo stati fra i primi centri in Italia a portare avanti questo tipo di lavoro». Perché avete scelto di investire sulla Tavi e le altre tecniche in ambito cardiochirurgico? «Nel 2004, il ministero della Salute – all’epoca guidato dal professor Sirchia – ha avuto la volontà e il coraggio di pubblicare i dati dei centri di cardiochirurgia in Italia e la nostra struttura è risultata fra le migliori del paese. Alla luce di questo riconoscimento – confermato nel 2011 dal “progetto Mattone” –, il nostro ragionamento è stato: per essere i migliori dobbiamo raggiungere l’eccellenza in tutte le nuove tecnologie e metodiche. Ragionamento, che oltretutto, abbiamo esteso anche ad altre branche mediche». Per esempio in quali altre? «In ambito ortopedico, siamo un centro di eccellenza per la chirurgia della colonna vertebrale. Per questo tipo di patologie un tempo gli italiani erano costretti a recarsi all’estero, per esempio a Lione. Adesso è possibile ricevere questo tipo di prestazioni sanitarie anche presso la nostra struttura. Le patologie spinali colpiscono in gran parte pazienti in tenera età. Spesso si tratta di malattie congenite, che si accompagnano ad altre patologie che colpiscono il funzionamento del cuore e dei polmoni. Per queste ragioni nel nostro centro abbiamo puntato a creare dei team in cui i neuro-ortopedici sono affiancati da cardiochirurghi pediatrici, cardiologici pediatrici e anestesisti pediatrici». È l’investimento costante nella specializzazione che quindi vi ha consentito di posizionarvi ai primi posti nella ricerca e nella formazione. «L’investimento unito allo scambio costante con università e centri di ricerca di vari paesi. Fin dall’inizio, Hesperia ha puntato ad avere tecnologie, organizzazione e personale qualificato con requisiti aggiuntivi rispetto agli altri ospedali, e ciò ci conOTTOBRE 2012

esperia Hospital dal 2000 fa parte del gruppo Garofalo, al quale fanno capo 16 strutture di eccellenza italiane dislocate sul territorio nazionale. Nonostante la complessità e le incertezze del panorama sanitario in Italia, il gruppo ha raggiunto altissimi livelli di qualità e di competenza. La sua filosofia organizzativa e gestionale si è ritrovata in quella del gruppo Hesperia. Quest’ultimo ha mantenuto alto il livello dei risultati e la sua immagine nell’ambito dell’adeguamento alle normative, senza perdere il passo con l’evoluzione scientifica, tecnologica e lo sviluppo di procedure innovative e affermate. Fiori all’occhiello di Hesperia sono la cardiologia medico-chirurgica – riconosciuta con attestato di “Centro di Cardiochirurgia Nazionale” migliore d’Italia da parte del ministero della Salute –, l’ortopedia e l’urologia. Inoltre, la Duke University americana ha inserito Hesperia fra i centri mondiali per la chirurgia dello scompenso “Stich” e il centro è risultato il secondo al mondo per numero di pazienti trattati e risultati ottenuti in questa patologia.

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sente di essere classificati come struttura di fascia A. E questi requisiti vengono mantenuti non solo negli interventi di alta specialità, ma anche in quelli di routine. Ecco perché non si può equiparare – come oggi purtroppo spesso accade – una struttura dotata di requisiti avanzati, a disposizione anche per interventi di routine, con quelle che non eseguono interventi di alta specialità e non posseggono gli stessi requisiti».

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PATOLOGIE VENOSE • Ciro Gargano

QUALE NESSO TRA LE DUE MALATTIE? di Renato Ferretti

e certezze sono poche, ma sono bastate a far saltare sulla sedia la comunità scientifica internazionale. Si tratta della terapia per la sindrome da insufficienza venosa cronica cerebro spinale (CCSVI), i cui risultati hanno fatto scalpore per la possibile connessione con la sclerosi multipla. Molti dei pazienti affetti dalla patologia neurodegenerativa, infatti, sono anche colpiti dalla CCSVI e alcuni dei sintomi legati alla prima sono addirittura scomparsi curando la seconda. Il dottor Ciro Gargano, medico chirurgo, specialista in radiologia vascolare interventistica, che ha dedicato il suo studio alle patologie venose, avanza con cautela nella disamina delle implicazioni. «Con il trattamento alla CCSVI – ammonisce Gargano – noi non curiamo la sclerosi multipla, che rimane una malattia neurodegenerativa, al momento incurabile con qualsiasi farmaco. Ci tengo a sottolinearlo per non creare false speranze.

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Il dottor Ciro Gargano, il suo studio ha sede a Napoli www.studiomedicogargano.com

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I BENEFICI DELLA CURA ALLA CCSVI. DA UNA PARTE IL BASSO RISCHIO DELL’INTERVENTO, DALL’ALTRA LE POSSIBILI CONNESSIONI CON LA SCLEROSI MULTIPLA. L’ANALISI DI CIRO GARGANO

È altrettanto vero però che molti dei pazienti con la sclerosi multipla, una percentuale altissima che supera il 90 per cento, soffre anche di CCSVI e dopo l’intervento chirurgico contro quest’ultima i miglioramenti sono significativi e non trascurabili». In cosa consistono e che implicazioni hanno con la sclerosi multipla? «Un’associazione definitiva tra le due patologie non è stata ancora accertata perché abbiamo ancora bisogno di studi clinici randomizzati, che ci auspichiamo vengano portati a termine. Dopo essere stati operati per curare la CCSVI, una percentuale molto elevata dei pazienti affetti da sclerosi multipla vedono l’affievolirsi significativo, se non la scomparsa, di sintomi tipici della sclerosi multipla come la stanchezza, l’incontinenza, si è registrato il miglioramento della deambulazione e la scomparsa del mal di testa. Questo non significa guarire la sclerosi multipla, ripeto. Ma i miglioramenti sono evidenti, dati alla mano. Per questo bisogna andare avanti con la sperimentazione e la ricerca, per capire qual è il nesso tra le due malattie. Potrebbe rivelarsi una svolta nelle indagini adesso in corso». OTTOBRE 2012


Ciro Gargano • PATOLOGIE VENOSE

Questo è un intervento che ha compiuto più di mille volte. Come avviene e quanto è rischioso? «In sintesi la CCSVI, sindrome scoperta dal professor Paolo Zamboni di Ferrara, è una condizione per cui alcune anomalie del sistema venoso non permettono al sangue di ritornare in maniera efficace al cuore per poter ricominciare la circolazione: sono difetti che si riscontrano sia alle vene giugulari nel collo, sia alla vena azygos al centro del petto. In breve l’obiettivo è il ripristino di un flusso sanguigno corretto, compromesso con la CCSVI e personalmente non ho mai riscontrato complicanze gravi dopo l’intervento. Si entra all’interno della vena femorale dall’inguine con un catetere e si sale fino a poter illuminare l’albero venoso. Poi si individua la stenosi, cioè il punto di chiusura della vena precedentemente valutato con l’eco color doppler. A questo punto si interviene inserendo un palloncino che raggiunge la parte interessata, viene gonfiato e in questo modo si vince la resistenza del vaso sanguigno che torna alla sua normale dilatazione. Infine viene sfilato senza lasciare nessuna traccia dell’intervento. Una possibile OTTOBRE 2012

Con il trattamento alla CCSVI noi non curiamo la sclerosi multipla. Ma i miglioramenti sono evidenti e significativi, come la scomparsa dei sintomi, nel 70 per cento dei casi complicanza dell’intervento è la restenosi, cioè di una nuova otturazione del vaso che può avvenire con gli anni. Ma in tal caso si può reintervenire». Lei ha definito un protocollo che prevede l’interazione tra più specialisti: che significa? «Il nostro protocollo prevede lo studio anche dal punto di vista neurologico, neuropsicologico e vascolare di tutti i pazienti sia prima che dopo l’intervento. È grazie a questi test specifici che si sono appurati i miglioramenti dei parametri in esame. Il professor Dino Franco Vitale, biostatistico, analizza puntualmente i dati raccolti. Resta da capire il legame di causa ed effetto tra le due patologie».

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OBESITÀ, MANCA LA CULTURA DELLA PREVENZIONE UNO SPECIALISTA DELL’ALIMENTAZIONE IN OGNI STRUTTURA CLINICA E UN FARO ACCESO SUL DILAGANTE FENOMENO DELL’OBESITÀ INFANTILE. È QUANTO INVOCA LUCIO LUCCHIN PER «CAMBIARE PARADIGMA» IN CAMPO NUTRIZIONALE

di Giacomo Govoni ra le prestazioni sanitarie comprese nei livelli di assistenza rimodulati dal Decreto Balduzzi, approvato a inizio settembre dal Consiglio dei ministri, «sembra che la nutrizione clinica, sia normale che artificiale, non compaia in alcun capitolo». Lucio Lucchin, presidente dell’Associazione italiana di dietetica e nutrizione clinica, considera «un errore gravissimo» mettere in secondo piano tale problematica, centrale nel contrasto terapeutico a patologie come l’obesità, che negli ultimi tempi sta assumendo i contorni di un’epidemia. In Europa, dove con il sovrappeso è responsabile di 12 milioni di malati l’anno e in Italia, dove quasi un bambino su quattro, fra i 6 e i 17 anni, soffre di un problema di chili in eccesso. «Guardiamo agli Stati Uniti, paese più grasso al mondo, tentando di scimmiottare la campagna sull’obesità promossa da Michelle Obama – osserva Lucchin – ma non ci preoccupiamo di fare prevenzione».

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La vostra attenzione a questa tematica trova conferma nella stesura degli standard italiani per la cura dell’obesità 2012-2013, curati assieme alla Sio. Che

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dimensioni ha raggiunto questa “piaga” in Italia? «Il fenomeno dell’obesità è in preoccupante aumento, cominciando dai giovani. L’Italia ha il tristissimo primato europeo dell’obesità infantile, figlio di una politica sanitaria nei confronti della nutrizione ancora altamente insufficiente. I tagli di questo periodo stanno smantellando le pochissime strutture specialistiche che si occupano di nutrizione e obesità, anche se a parole è considerata una priorità d’intervento. Occorre cambiare paradigma. Noi chiediamo che la nutrizione clinica, unica terapia in grado di garantire uno stato di salute ottimale alla popolazione, venga introdotta nelle università, che invece cominciano a dismettere questo insegnamento. Poi bisogna pretendere la presenza di specialisti nelle strutture sanitarie, perché non si capisce in base a quali criteri un ospedale debba avere un cardiologo e non un dietologo». Di questo tema dibatterete anche al 20esimo congresso Adi, al via fra poche settimane. Su quali ulteriori questioni vi focalizzerete? «Affronteremo anche il tema della malnutrizione negli

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Lucio Lucchin • MANGIAR BENE

Noi chiediamo che la nutrizione clinica venga introdotta nelle università, che invece cominciano a dismettere questo insegnamento

Lucio Lucchin, presidente dell’Associazione Italiana di dietetica e nutrizione clinica

ospedali, dove si continua a ignorare che tanta gente invece di migliorare il suo stato di nutrizione lo peggiora per colpa di una cattiva pratica sanitaria. Bisogna smettere di accampare scusanti e rendersi conto che soprattutto per i ricoveri lunghi la qualità della nutrizione è un problema, con ripercussioni sanitarie sul paziente ed economiche per l’aumento dei costi». Quali sono i nuovi rischi connessi a un’alimentazione sregolata e che progetti formativi e informativi avete in agenda al riguardo? «Le campagne di informazione ed educazione sono in corso e siamo reduci dal nostro Obesity Day del 10 ottobre scorso, in cui ogni anno sensibilizziamo su questo tema smettendo di colpevolizzare i pazienti. È un problema di cui deve farsi carico l’intera società, che commette un sacco di errori e porta le persone ad ammalarsi. Altre criticità crescenti sono la malnutrizione legata alla crisi, le intolleranze alimentari e il coinvolgimento della nutrizione nella patologia tumorale, che ci mette lo zampino nel 30-40% dei casi. Per non parlare delle malattie

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cardiovascolari, prima causa di morte in Italia e nel mondo, in cui l’alimentazione è centrale». In un recente incontro lei ha divulgato i dati più aggiornati sulla dieta mediterranea. Quali spunti forniscono per decifrare il nostro odierno approccio al cibo? «L’approccio attuale vede gli italiani in rapido allontanamento dai dettami della dieta mediterranea e che nell’80% dei casi, non la conoscono. Abbiamo fatto battage perché l’Unesco ci riconoscesse un regime alimentare che poi, all’atto pratico, non stiamo seguendo. Altro dato paradossale è che ad allontanarsi di più sono le popolazioni pugliesi, campane e siciliane, dove questa dieta è nata. Un fenomeno, tra l’altro, acuito dalla crisi che ha favorito l’aumento dei prezzi dei cibi tipici della dieta mediterranea e li ha resi di nicchia, spingendo le aziende a indirizzare le loro proposte verso prodotti diversi e meno salubri sotto il profilo nutrizionale». Quali sono le fasce più esposte al rischio di cattiva alimentazione e perché? «La fascia in assoluto più sensibile è sempre quella degli anziani, perché spesso vivono soli e hanno disponibilità economiche ridotte. A loro si stanno aggiungendo anche persone appartenenti al ceto medio che, faticando ad arrivare alla terza settimana, si stanno rivolgendo alle mense e forme di assistenza alimentare. Con le ricadute più preoccupanti sui bambini, che rischiano di non poter disporre di tutti quei principi nutritivi fondamentali per la fase di crescita». Da quali indizi possiamo riconoscere gli alimenti nutrizionali da quelli non nutrizionali? «I cibi associati a una vita più lunga e a basso rischio di patologia sono tipicamente quelli della dieta mediterranea: il vino, meglio rosso e non oltre un bicchiere a pasto; i cereali come pane, pasta, riso, meglio se integrali; l’olio di oliva, ricco di proprietà positive, molta verdura, preferibilmente cruda e di vario colore; la frutta fresca, ma anche 30 grammi al giorno di quella secca; il pesce, una o due volte a settimana anche surgelato. O ancora, l’apporto di carne rossa o bianca, da compensare con la riscoperta dei legumi nei giorni in cui non la si assume. Fermo restando che la ricetta più sana per la nostra specie s’ispira al concetto di “alzarsi da tavola con un po’ di fame” dei nostri nonni, ovvero alla sobrietà, distintiva della dieta mediterranea».

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MANGIAR BENE • Pietro Migliaccio

VIGILARE SULL’APPORTO CALORICO di Giacomo Govoni

noressia, bulimia e obesità rappresentano gli stati patologici più conosciuti derivanti da una cattiva alimentazione. Tre disturbi alimentari in progressivo aumento non solo in Italia, che non esauriscono tuttavia la casistica di patologie correlate all’errata assunzione di cibo, riportate anche sul sito del Ministero della Salute. Le cui indagini, peraltro, colgono le avvisaglie di una “transizione nutrizionale”, in cui una società sempre più fisicamente passiva, sta man mano rimpiazzando la frutta e la verdura con cibi grassi, ipercalorici e spesso non freschi. Cattive abitudini in via d’espansione che il presidente della Società italiana di scienza dell’alimentazione, Pietro Migliaccio, individua in primis nei cosiddetti soft drink. «L’uso eccessivo e sregolato di bevande zuccherine – spiega Migliaccio – ricorre specialmente in ragazzi e bambini, con un surplus di introduzione di calorie, in particolare di carboidrati semplici».

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DIGIUNI E DIETE MONO-CIBO O IPERPROTEICHE, PER PIETRO MIGLIACCIO, SONO DISTORSIONI DI UN REGIME NUTRIZIONALE IN CUI «NESSUN ALIMENTO È PROIBITO», PURCHÉ A FINE GIORNATA LA BILANCIA DELLE CALORIE CHIUDA IN PAREGGIO

È questo il peggiore dei mali nell’odierno comportamento nutrizionale? «È certamente uno dei più seri. Basti pensare che una lattina di 330 ml di qualsiasi bibita apporta circa 33-34 grammi di zucchero semplice. Bevendone due o tre a cuor leggero, si assumono le stesse calorie presenti in un piatto di pastasciutta. Questa cattiva abitudine viene incentivata dai produttori. Mi sento uno sconfitto nell’aver sostenuto la tassazione delle bevande zuccherine, perché oltre al contenimento dei consumi, speravo che l’effetto fosse la riduzione spontanea di zuccheri semplici quali lattosio, fruttosio, saccarosio da parte delle aziende alimentari. Conoscendo l’etica delle nostre imprese, tuttavia, sono sicuro che a breve l’industria italiana saprà intervenire in questo senso». Uno dei fenomeni tipici del nostro tempo è senz’altro quello dell’aperitivo. Quali controindicazioni porta con sé?

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Pietro Migliaccio • MANGIAR BENE

«L’eccesso di carboidrati, che si aggancia a quanto esposto in precedenza, induce un insulino-resistenza, che è l’anticamera dell’obesità. Il giro metabolico è questo. Riguardo l’happy-hour, bisogna distinguere tra quello alcolico e non alcolico, e tra quello abbondante e quello limitato a una sola consumazione. In tutti i casi, ai nutrizionisti e ai comunicatori non si chiede certo di combattere un momento di socialità e aggregazione, ma di mettere in condizione chi lo pratica di non stravolgere l’introito di calorie giornaliero. Io, ad esempio, liberalizzo l’aperitivo e poi la sera per bilanciare consiglio di mangiare solo una macedonia di frutta». Tra le diete che lei propone, c’è anche la “dieta da non fare”. Ce la può sintetizzare per sommi capi? «La dieta da non fare annovera i comportamenti alimentari da evitare, che sono innanzitutto il digiuno assoluto perché fa davvero male, specie se prolungato nel tempo. Seguono le diete mono-cibo e quelle iper-proteiche spinte, ovvero completamente prive di carboidrati. Sconsiglio, infine, le diete solo a base di frutta o anche l’ampeloterapia, che va bene per un paio di giorni, ma non per 15 giorni e oltre come si faceva nell’800». Quali i falsi miti che ancora reggono e che, invece, sarebbe ora di sfatare? «Sono diversi. Penso alle diete che prescrivono l’abolizione delle uova o del burro. Non se ne vede il motivo, visto che il burro apporta vitamina D, vitamina A e acidi grassi a catena corta, facilmente metabolizzabili. Per sintetizzare, un’alimentazione equilibrata non avviene per sottrazione di presunti cibi dannosi, ma passa per la corretta distribuzione dei pasti nella giornata. Una prima colazione, un pranzo e una cena più due spuntini a metà mattina e metà pomeriggio, utilizzando tutti gli alimenti, salvo non ci siano particolari intolleranze, come ad esempio quella al lattosio». Quali rischi si nascondono dietro l’assunzione frequente di integratori alimentari?

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«Gli integratori alimentari sono molto utili in presenza di una dieta che non riesca a coprire il fabbisogno dell’organismo. Si possono avere dei sovradosaggi, per cui l’integratore va prescritto solo di fronte a una carenza specifica. D’altro canto, esistono già diversi prodotti addizionati che si rivolgono al consumatore generico. Penso agli yogurt con l’aggiunta di calcio, al sale iodato oppure, negli Stati Uniti, all’aggiunta dell’acido folico nelle farine. A livello specifico, ci possono essere integrazioni di sodio o potassio. Certo, io sono contrario alle integrazioni massicce con tutte le vitamine e minerali, di provenienza spesso americana. Se non ci sono indicazioni specifiche come osteoporosi o anemia, bisogna ascoltare il medico e non fare un’integrazione aspecifica che può portare all’eccesso di determinati nutrienti». Quali alimenti diventano nemici con l’avanzare dell’età? «Salvo controindicazioni di ordine medico, nessun alimento è proibito, fritture e salami compresi. L’unica cosa a cui prestare attenzione andando avanti con l’età è la quantità, perché si tende a muoversi e consumare meno, ad avere un ritmo metabolico più basso e aumentare di peso». Fino a dove può spingersi lo strappo alla regola, per non sconfinare nella cattiva abitudine? «Se si fa una o due volte a settimana, non si corre nessun rischio. È bene ricordare una cosa: fa più male la rinuncia che il consumo di un determinato alimento. Non dobbiamo crearci troppi patemi nel rivolgerci al salame, alla frittura o ai formaggi, perché un soggetto in salute dispone di un organismo che sintetizza e secerne tutti quegli enzimi adatti a digerirla in modo migliore».

In apertura, Pietro Migliaccio, nutrizionista e presidente della Società italiana di scienza dell’alimentazione

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MANGIAR BENE • Giorgio Calabrese

SOBRIETÀ MEDITERRANEA, CON UN TOCCO D’ORIENTE L’EQUILIBRATA DISTRIBUZIONE DEI PASTI DURANTE IL GIORNO E LA CORRETTA INTERPRETAZIONE DELLA DIETA MEDITERRANEA SI CONFERMANO, SECONDO GIORGIO CALABRESE, GLI INGREDIENTI VINCENTI DI UNA SANA ALIMENTAZIONE di Giacomo Govoni Giorgio Calabrese, docente di nutrizione umana e dietoterapia presso l’Università del Piemonte orientale di Alessandria

ella giungla di diete in cui appare sempre più difficile orientarsi, alcuni capisaldi di buona nutrizione non tramontano mai. L’assunzione regolare di verdure, cereali, legumi e un’armonica alternanza di carne e pesce sono regole ormai universali e riconducibili a quella dieta mediterranea che, secondo Giorgio Calabrese, docente di nutrizione umana all’Università del Piemonte orientale di Alessandria, rimane «il regime alimentare adeguato a ogni periodo dell’anno».

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Quali restano i suoi indiscussi punti di forza? «Attingendo a una larga varietà di cibi, la dieta mediterranea consente di passare dall’abbondante consumo di pomodoro e mozzarella in estate, alla scamorza arrostita o la bistecca in inverno. È un regime alimentare che sfrutta molto la stagionalità. Invece, le diete un po’ strane, come quelle iper-proteiche, non sono mai legate a un discorso di stagionalità e di climatizzazione». Passiamo al vino, qual è l’apporto corretto in un’alimentazione regolare? «Per persone senza problemi di peso la presenza di un bicchiere e mezzo di vino a pasto per l’uomo e di uno per la donna è una misura regolare. Mai a digiuno e neppure abbinato a un toast, ma accompagnato a un pranzo che comprenda almeno un primo o un secondo

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con verdura». Si può agire sull’orario dei pasti per mettere a punto il proprio equilibrio nutrizionale? «Certo. Bisognerebbe fare cinque piccoli pasti al giorno: colazione, uno spuntino a metà mattina, un pranzo frugale alle 13.30 o alle 14, un break verso le 17.30 per poi fare cena attorno alle 20.30. Questi sono i ritmi più indicati per bloccare l’eccesso di insulina che porta a ingrassare». In un’epoca di sedentarietà diffusa, come va aggiornata l’equazione dieta-attività fisica? «Curare la salute fisica non significa per forza andare in palestra. Bisogna muoversi non solo per dimagrire, ma per migliorare la qualità di vita. Questo vuol dire fare un movimento aerobico, camminare molto, anche con tapis roulant o cyclette, e mettersi in condizione di fare almeno 10mila passi al giorno». Quali buoni spunti andrebbero mutuati dalle cucine estere? «La cucina orientale ci ha insegnato a mangiare più pesce. Io la amo molto perché mi permette anche di mangiare più legumi e diffonde la buona abitudine di passare le verdure al vapore nel wok, tecnica di cottura molto salutista. Ci sono anche regole da dimenticare, come l’eccesso di fritture».

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LA SALUTE È PRIMA DI TUTTO MENTALE di Francesca Druidi DALLA DEPRESSIONE ALLE DIPENDENZE, LA SFIDA PER LA SOCIETÀ ITALIANA DI PSICHIATRIA GUIDATA DA CLAUDIO MENCACCI È LA PREVENZIONE. AVVICINANDO LA POPOLAZIONE A DIAGNOSI E CURE APPROPRIATE

el 2020 sarà la seconda causa di disabilità al mondo e nel 2030 sarà la patologia cronica più frequente. Anche per questi motivi, il 10 ottobre scorso, la Giornata mondiale per la salute mentale 2012 è stata dedicata alla depressione. «La depressione identifica ormai un’emergenza globale, in virtù della crescita di questa patologia in tutto il mondo – sottolinea Claudio Mencacci, presidente della Società italiana di psichiatria e direttore del Dipartimento di psichiatria dell’Ospedale Fatebenefratelli di Milano –. Le stime parlano di 350-400 milioni di persone colpite, un numero che non tiene inevitabilmente conto di aree dove non ci sono sistemi di rilevazione e dove la depressione è più complessa da verificare». Il World Mental Health Day ha coinciso con il 46esimo congresso nazionale della Società italiana di psichiatria, in programma a Milano dal 7 all’11 ottobre. E proprio durante il congresso sono stati presentati i risultati di un’indagine condotta dal centro studi e ricerche in psichiatria dell’Asl 2 di Torino, in collaborazione con Doxa, realizzata intervistando mille

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italiani rappresentativi della popolazione nazionale, per valutare la conoscenza degli italiani in tema di depressione. Il quadro emerso è ambivalente: se da una parte, gli italiani conoscono la depressione meglio che in passato, dall’altra, lo stigma nei confronti di questa malattia resta ancora elevato e molto c’è ancora da fare. Il 75 per cento degli italiani, infatti, ritiene la depressione un problema di cui non è opportuno parlare, da vivere e affrontare in solitudine; il 30 per cento la considera una patologia da cui è possibile uscire senza chiedere aiuto e il 25 per cento crede addirittura che sia una malattia pericolosa per gli altri, quasi a rischio “contagio”. La depressione è una malattia ben lontana dall’essere risolta. «In tutti gli studi tende a emergere un dato significativo: una persona su venti mostra almeno un episodio di depressione nell’arco dell’anno. Ciò ci fa comprendere la diffusione di questa patologia che presenta differenze di intensità, gravità e tipologia che vanno dalla demoralizzazione, che riguarda il

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Claudio Mencacci • DEPRESSIONE

La depressione è un disturbo biologico, di cui non bisogna vergognarsi 100 per cento delle persone, alla depressione, evento che per intensità e durata è molto superiore a quello che ciascuno di noi sperimenta nella demoralizzazione. Di fronte alla diffusione trasversale della depressione - a essere colpite sono infatti tutte le fasce di età (le donne più del doppio degli uomini) - il vero problema è che molte persone non vengono tutt’oggi riconosciute come malate e non si avvicinano né alla diagnosi né alla cura. L’aspetto che ci sta maggiormente a cuore è pertanto avvicinare le persone a cure il più possibile efficaci. La depressione è, infatti, una patologia dalle caratteristiche peculiari che va curata da persone competenti». Quali soluzioni possono essere messe in campo? «Occorre innanzitutto far comprendere che questo disturbo è biologico, che si tratta di una malattia di cui non bisogna vergognarsi perché non implica una valutazione morale della persona. È una condizione biologica come qualsiasi altra patologia, che sia l’asma oppure un disturbo gastrointestinale. Presenta, infatti, manifestazioni che noi percepiamo di carattere emotivo, ma in realtà ha le stesse manifestazioni di alterazioni cardiache, coagulazione del sangue, alterazione ormonale e del sistema immunitario di tante altre malattie. È importante sdoganare la depressione da valutazioni morali negative». In base alla ricerca, il primo specialista che

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Claudio Mencacci, presidente della Società italiana di psichiatria e direttore del Dipartimento di psichiatria dell’Ospedale Fatebenefratelli di Milano

viene in mente di consultare in caso di depressione è lo psicologo, non lo psichiatra. Inoltre, il medico di medicina generale viene considerato come un importante punto di riferimento. A chi è opportuno rivolgersi? «Lo specialista della depressione di grado medio e grave è sicuramente lo psichiatra, per la depressione nella sua forma lieve o “sotto soglia”, così come viene definita, il medico di famiglia continua a svolgere un ruolo centrale. Tra i messaggi che abbiamo lanciato in occasione del 46esimo congresso c’è una campagna contro la depressione, che intendiamo sviluppare con l’aiuto del ministero della Salute e delle Regioni, perché riguarda una fascia di popolazione sempre più ampia e soprattutto perché la depressione impoverisce sia il cittadino che il Paese. Una persona che soffre di depressione si trova nella condizione cognitiva di non riuscire a trovare una soluzione ai problemi. Curare la salute mentale non significa solo curare la salute della singola persona, ma anche dell’Italia nel suo complesso». Un altro tema affrontato nel corso del congresso è stato quello delle dipendenze online. Ne esistono vari tipi: quella dal sesso virtuale, la dipendenza cyber-relazionale, in cui i rapporti sociali virtuali prendono il sopravvento su quelli reali, il web shopping compulsivo e il net gaming, ovvero la dipendenza dai giochi in rete. Gli psichiatri italiani sono pronti ad affrontare

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DEPRESSIONE • Claudio Mencacci

Gruppi di psichiatri si stanno concentrando in modo particolare sulla gestione delle dipendenze online

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questi fenomeni? «Abbiamo approfondito il tema delle addiction per non creare alcuna differenzazione. Si tratta di dipendenze - la cui base è sempre biologica - che assumono diverse sfaccettature. Si distinguono addiction da o senza sostanze. Gruppi di psichiatri si stanno concentrando in modo particolare sulla gestione di questi tipi di dipendenza e devono senza dubbio interfacciarsi con caratteristiche nuove, intervenendo - laddove sia possibile - con terapie di tipo cognitivo e, nelle forme più gravi, con interventi farmacologici. La questione primaria è impedire la dipendenza, prevenirla. Per quanto riguarda le sostanze in modo particolare, l’informazione e la sensibilizzazione sono determinanti. Le prossime generazioni, di fatto native digitali, saranno sempre più esposte a questi fenomeni, ma è altrettanto vero che il futuro di molte cure passerà attraverso la rete. Servirà allora trovare un punto di equilibrio che distingua la dipendenza dall’utilizzo fruibile e vantaggioso di internet per la salute della persona». Quali altri nodi sono stati presi in esame al congresso? «Il rapporto degli adolescenti con l’alcol e le droghe. E poi c’è lo sviluppo delle neuroscienze. “Nutrire la

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mente” è stato il tema del congresso, in evidente connessione con “Nutrire il pianeta”, tema dell’Expo 2015. Del resto, il pianeta lo potremo nutrire solo se avremo nutrito la nostra mente. Uno dei temi chiave resta anche l’epigenetica, la modificazione dell’interazione genetica-ambiente e i suoi riflessi in quelli che sono gli stili di vita. Il cervello va nutrito in maniera adeguata con cibi non solo di tipo alimentare, ma anche culturale, sociale e relazionale. Noi cambiamo con le relazioni che creiamo. La domanda cruciale da porsi è che cosa può fare la psichiatria per la salute dei cittadini, ma soprattutto che contributo può dare per una società più affettiva». Quale risposta sente di dare? «La risposta è che non c’è salute se non c’è salute mentale. Dobbiamo occuparci oggi di prevenzione, di adolescenti, di giovani. Abbiamo gli strumenti per prevenire e per iniziare degli interventi medici e psicoterapeutici per tempo, facendo comprendere alle persone che il tema della sofferenza psichica non è un fatto di cui vergognarsi ma da affrontare. È questa la nuova frontiera: in un mondo in rapidissimo cambiamento, il nostro cervello deve trovare delle risposte e noi vogliamo poter essere d’aiuto in questo percorso».

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Giampaolo Perna • DISTURBI D’ANSIA

DALL’ANSIA SI PUÒ GUARIRE IN UNA SOCIETÀ SEMPRE PIÙ FRENETICA E COMPETITIVA, CRESCE IL NUMERO DEGLI ANSIOSI PATOLOGICI. LA COMBINAZIONE TRA TERAPIA FARMACOLOGICA E PSICOTERAPIA PUÒ AIUTARE. LO SPIEGA LO PSICHIATRA GIAMPAOLO PERNA di Francesca Druidi

pesso non è solo una condizione passeggera, determinata da una specifica situazione di pericolo, ma di una sofferenza generalizzata che impedisce a chi ne è vittima di condurre un’esistenza serena e appagante. L’ansia è il tunnel nel quale rischiano di rimanere intrappolati molti italiani, anche perché si tratta di una malattia ancora non facilmente diagnosticabile. «I disturbi d’ansia – conferma Giampaolo Perna, psichiatra e primario della clinica Villa S. Benedetto Menni di Albese con Cassano, nonché direttore scientifico del Centro europeo per i disturbi d’ansia ed emotivi – colpiscono oltre 6 milioni di italiani e necessitano di cure appropriate, senza le quali facilmente questi disturbi cronicizzano. A esserne colpite, in prevalenza, sono le donne e, in particolare, le persone giovani». Autore di numerose pubblicazioni e di alcuni volumi (tra cui “Ansia. Come uscire dalla gabbia e riprendersi la vita”, edito da Piemme), Giampaolo Perna illustra le ultime scoperte riguardanti lo studio e soprattutto la cura dell’ansia.

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In che modo da stato emotivo l’ansia diventa condizione patologica? «L’ansia è un fenomeno emotivo universale con l’importantissima funzione di proteggerci dai pericoli e in questo caso potenzia le nostre capacità fisiche e

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Giampaolo Perna, primario del Dipartimento di neuropsichiatria presso la casa di cura Villa San Benedetto ad Albese con Cassano (Como) e direttore scientifico del Cedans di Milano

mentali. L’ansia diventa patologica quando è eccessiva rispetto al pericolo che l’ha scatenata, come nel caso dell’ansia generalizzata, oppure quando compare improvvisamente senza alcun motivo, come nel caso dell’attacco di panico». Quali tipologie di disturbi legati all’ansia si possono distinguere oggi? «Parlare di disturbi d’ansia vuol dire parlare di un gruppo di disturbi che hanno caratteristiche differenti. Riconoscerli è fondamentale per scegliere la terapia corretta. Esistono tre tipi diversi di fenomeni ansiosi patologici: l’ansia propriamente detta, caratterizzata dall’anticipazione dei pericoli, che trova nell’apprensività e nell’eccessiva preoccupazione gli elementi cardine; l’attacco di panico, che si contraddistingue per un’esplosione di malessere fisico, soprattutto cardiorespiratorio, posturale e gastrointestinale, accompagnato da un intenso senso di angoscia; la fobia, ossia una paura esagerata di oggetti o situazioni. Dalla combinazione di questi tre feno-

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DISTURBI D’ANSIA • Giampaolo Perna

Se curati e diagnosticati correttamente, i disturbi d’ansia possono essere superati e la persona può ritrovare la propria serenità e libertà

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meni ansiosi nascono i diversi disturbi, tra i quali i più comuni sono il disturbo di panico, segnato da attacchi di panico, ansia anticipatoria e varie fobie; il disturbo d’ansia generalizzato, che si esprime con un’esagerata apprensione e la necessità di avere tutto sotto controllo e le fobie, compresa la fobia sociale, che si declina in una forte paura del giudizio altrui». Come si può sconfiggere questo disagio? Basta una terapia psicologica o è necessario affiancarvene una farmacologica? «Se curati e diagnosticati correttamente, i disturbi d’ansia possono essere superati e la persona può ritrovare la propria serenità e libertà. A tutt’oggi la terapia più efficace è rappresentata dalla combinazione di una terapia farmacologica con sostanze che agiscono sulla serotonina e sulla noradrenalina, trasmettitori che influenzano l’umore e l’ansia, con una psicoterapia ben precisa, quella cognitivo-comportamentale. Accanto a questi baluardi della terapia dei disturbi d’ansia è importante affiancare un’adeguata attività fisica aerobica almeno tre volte alla settimana per 30 minuti: corsa, cyclette o ballo, vanno bene tutti. In taluni casi, anche tecniche di rilassamento, terapie respiratorie specifiche e meditazione possono essere di aiuto». In che modo amici e familiari possono sostenere nel modo migliore chi soffre di disturbi d’ansia? «Prima regola chiave è non dire mai “mettici la buona volontà”. I disturbi d’ansia non sono superabili con la semplice volontà e non sono né un capriccio né il segnale di una debolezza di carattere. Sono l’espressione di un vero e proprio disturbo

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mentale legato a meccanismi emotivi che non funzionano adeguatamente. Gli ansiosi vanno compresi e creduti. Accanto a ciò, è molto importante incoraggiarli a rivolgersi a uno psichiatra e a seguire le sue indicazioni sapendo che né la farmacoterapia né la psicoterapia agiscono istantaneamente. È molto importante trasmettere la comprensione e la solidarietà a persone che si sentono impotenti e troppo spesso sole in questa loro sofferenza». Quali passi in avanti si sono compiuti sulla conoscenza di questi disturbi e come questa conoscenza viene messa al servizio dei pazienti? «I passi avanti sono sicuramente stati molti e proseguono senza sosta. Ogni giorno almeno 20 articoli scientifici vengono pubblicati su tematiche relative all’ansia. Dal punto di vista diagnostico, si stanno affinando sempre più i criteri per identificare i disturbi e alcuni marcatori biologici sembrano essere promettenti (ad esempio l’ipersensibilità all’ipercapnia nel disturbo di panico). Dal punto di vista terapeutico, sia dal punto di vista farmacologico che cognitivo-comportamentale, negli ultimi anni le tecniche sono diventate sempre più efficaci e fruibili. Basti pensare alle terapie cognitivo-comportamentali online delle fobie, che hanno un’efficacia sovrapponibile a quelle fatte in studio, e lo sviluppo sempre maggiore della realtà virtuale come strumento terapeutico. Gli ultimi sviluppi fanno prevedere l’introduzione di terapie innovative: la terapia respiratoria antipanico, la riabilitazione psicovestibolare per alcune fobie e terapie farmacologiche antifobiche, capaci di potenziare e velocizzare gli effetti della psicoterapia cognitivo-comportamentale».

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DERMATOLOGIA • Antonino Di Pietro

COME AVERE UNA PELLE GIOVANE ACIDO IALURONICO, PEELING E DERMOCOSMETICI: LE NUOVE FRONTIERE DELLA DERMATOLOGIA PLASTICA ILLUSTRATE DA ANTONINO DI PIETRO di Francesca Druidi

lasmare e rigenerare la pelle, mirando a una bellezza sana e autentica. Questo, in sintesi, l’approccio della dermatologia plastica, che si sta imponendo come valida alternativa alla chirurgia. «Fino a pochi anni fa l’unico modo per cancellare i segni del tempo dal viso era il lifting – spiega Antonino Di Pietro, dermatologo plastico e presidente dell’Isplad (International society of plastic-regenerative and oncologic dermatology) –. Negli ultimi anni, invece, si sono messe a punto metodiche e terapie, grazie alle quali è possibile migliorare un viso o un corpo senza ricorrere al bisturi».

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La parola d’ordine della dermatologia plastica è, quindi, “rigenerazione”. «Seguendo questa strada si evitano gli errori commessi negli ultimi anni: mi riferisco ai riempimenti tout court, effettuati senza prendersi cura della pelle, o alle paralisi muscolari, effetto principalmente della tossina botulinica. La lotta all’invecchiamento si conduce aiutando la pelle a vivere, migliorando la qualità di vita delle cellule e mettendole in condizione di produrre più collagene ed elastina. In questo modo, l’epidermide diventa più elastica, viene frenato il cedimento dei tessuti, si attenuano le pieghe e aumentano la compattezza e la luminosità: il risultato è un aspetto più giovane, ma naturale». Quali sono, in particolare, gli strumenti che hanno reso possibile un cambio di marcia nella lotta contro i segni del tempo? «Sicuramente la radiofrequenza, la luce pulsata, il laser. Una netta evoluzione per la sua specificità di bersaglio è costituita dal laser q-switched, con cui vengono emessi impulsi inferiori a un millisecondo colpendo

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Antonino Di Pietro, dermatologo plastico e presidente di Isplad

selettivamente il melanosoma, l’organulo cellulare contenente la melanina. Con questo tipo di laser si possono trattare gran parte delle lesioni pigmentate: le lentigo, le efelidi, le chiazze caffelatte e, inoltre, possono essere trattate le iperpigmentazioni post-infiammatorie e da farmaci. Strumenti fondamentali sono anche il peeling, che con l’impiego di acidi riesce a eliminare uno strato di cellule superficiali invecchiate; i filler, materiali che vengono iniettati nella pelle a pochi millimetri di profondità e che distendono le rughe, e le sostanze bio-rivitalizzanti, capaci non solo di distendere le rughe ma anche di nutrire la pelle. Tutte queste metodiche consentono una plastica di tipo dermatologico e non chirurgico». La sostanza che attualmente garantisce i risul-

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Antonino Di Pietro • DERMATOLOGIA

Sono contrario alla tossina botulinica: il risultato è una forma artificiale di bellezza

tati migliori e più sicuri è l’acido ialuronico. Come agisce? «Nella sua forma naturale è un rigenerante potente: immesso nella cute, stimola le cellule a riprodursi e a produrre maggiori quantità di collagene ed elastina. Esistono poi acidi ialuronici uniti a sostanze chimiche reticolanti, che rivestono una funzione di filler e vengono assorbiti lentamente, nell’arco di sette-otto mesi: non solo stimolano e nutrono, quindi, ma hanno anche un effetto riempitivo. Il bravo dermatologo plastico è in grado di dosare, in base alle necessità di ogni paziente, i differenti tipi di acidi». Prima c’è stato il boom poi, però, si è registrata una controtendenza nell’opinione pubblica circa l’impiego della tossina botulinica. Molte attrici famose, come Nicole Kidman, sono state criticate per questa loro scelta, non proprio felice visto il risultato finale. Qual è il suo parere sull’uso della tossina botulinica come anti-aging? «Sono contrario: paralizzare un muscolo e impedire la mimica cutanea si traduce in un metodo per ringiovanire il viso che sfocia in una forma artificiale e

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non autentica di bellezza. Credo che le terapie applicate a scopo estetico debbano avere un minimo comune denominatore: non nuocere ai pazienti, ovvero non creare patologie in pazienti già di per sé sani. La seconda regola è che il paziente deve essere informato in modo esaustivo, quasi paranoico, sui reali risultati che si possono ottenere e sui rischi che si possono correre, dal semplice arrossamento della durata di pochi minuti alla rottura di un vaso capillare, fino a problemi più seri come granulomi e paralisi più ampie di quelle ipotizzate». Un momento importante e piuttosto delicato per l’individuazione delle giuste terapie è quello della prima visita. «Certo, è la fase in cui il dermatologo cerca di farsi un’idea dei principali problemi: una disidratazione superficiale o profonda, l’eventuale presenza di disturbi del microcircolo, di macchie o di perdita di tono. È da quest’analisi che il professionista partirà per stabilire le cure: cercherà in primis di migliorare il turgore e l’elasticità attraverso sostanze rigeneranti. Tra le metodiche più utilizzate il picotage, dal fran-

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DERMATOLOGIA • Antonino Di Pietro

La luce pulsata e il laser consentono una plastica di tipo dermatologico e non chirurgico

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cese pizzicotto, che agisce sullo strato più superficiale della pelle, a pochi millimetri di profondità. È questo lo strato che reagisce maggiormente alla distruzione da parte dei raggi solari. La tecnica consiste in una serie di microiniezioni superficiali, a distanza di circa un centimetro l’una dall’altra, nelle pieghe di viso, collo e decolleté, di acido ialuronico naturale. In genere, vengono effettuati due trattamenti ravvicinati, prima dell’estate o comunque prima di esporsi per lungo tempo al sole, e uno di mantenimento ogni due mesi».

logo anche in questo caso sta nell’eliminare il giusto spessore. Rimuovendo le cellule morte di superficie, la pelle risulta più liscia, compatta, uniforme e, riflettendo meglio la luce, più luminosa».

E di fronte a rughe già marcate? «In questo caso si utilizzerà un filler di acido ialuronico reticolato, scendendo a 3 o 4 millimetri di profondità, per ottenere effetti di distensione e riempimento. L’abilità del dermatologo consiste nel fermarsi prima di esagerare, evitando di creare facce di gomma. Migliorati l’impalcatura e i segni più marcati, si agisce poi sulla superficie cutanea».

Dopo le terapie, cosa consiglia ai pazienti per mantenere giorno dopo giorno i risultati ottenuti? «I dermocosmetici, sempre più evoluti, migliorano la qualità delle cellule della pelle: contengono principi attivi utilissimi, ad esempio i fosfolipidi, sostanze che penetrano molto velocemente e irrobustiscono le membrane cellulari. All’uso dei dermocosmetici va associata l’assunzione di integratori, che aiutano la pelle dall’interno con sostanze naturali, vitamine, amminoacidi, sali minerali: i flavonoidi, presenti nei frutti di bosco, aiutano la microcircolazione e, di conseguenza, l’ossigenazione della pelle; gli omega 3 e 6 migliorano l’idratazione profonda e quindi il turgore della pelle; gli oligoelementi, come ferro, rame e zinco, sono utili per irrobustire le cellule e mantenerle più efficienti».

In che modo? «Una pelle che invecchia trattiene sulla superficie cellule morte a isole, che conferiscono all’epidermide un colore irregolare e un aspetto opaco. Si interviene, quindi, con il peeling usando acidi, glicolico, salicilico, tricloroacetico o piruvico, scelti a seconda della profondità alla quale si vuole arrivare, per eliminare uno strato più sottile o più spesso di pelle. In alternativa si possono utilizzare i laser: l’abilità del dermato-

Quali sono le nuove frontiere della dermatologia plastica, tenendo conto anche dei progressi della ricerca? «Si punta decisamente sulle cellule staminali. Allo stato attuale vengono coltivate in laboratorio e poi introdotte nei tessuti. Credo che l’orizzonte futuro consisterà nel riuscire a stimolare, con le sostanze più adatte, le cellule staminali di cui sono già ricchi la nostra pelle e il sangue che in essa circola».

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MEDICINA ESTETICA • Appuntamenti

IL MONDO DELL’ESTETICA SI RIUNISCE A MILANO TUTTO PRONTO PER IL QUATTORDICESIMO CONGRESSO INTERNAZIONALE DI MEDICINA ESTETICA. IL CAPOLUOGO LOMBARDO SARÀ NUOVAMENTE, DAL 18 OTTOBRE, LA CAPITALE DELLA BELLEZZA. PRESENTI I MASSIMI ESPONENTI DEL SETTORE CHE ILLUSTRERANNO I RISULTATI PIÙ SIGNIFICATIVI DAL MONDO DELLA RICERCA di Filippo Belli

prirà i battenti il prossimo 18 ottobre, a Milano, il 14esimo Congresso Internazionale di Medicina Estetica. Un appuntamento che vedrà coinvolti alcuni tra i nomi più rappresentativi del settore. Sempre più ampio lo spettro di interventi e tematiche in programma. A introdurre i progetti del Collegio delle Società Scientifiche Italiane di Medicina Estetica sarà il professor Alberto Massirone. Soprattutto, il Congresso rappresenta un’occasione per fare il punto sulle innovazioni che determineranno lo sviluppo di un settore sempre più rilevante sullo scenario medico italiano, capace di creare un importante in-

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dotto economico e occupazionale. In cima al programma dell’evento, un focus sulle novità riguardanti il volto. Dalle nuove tecniche sul ringiovanimento alla ridefinizione della linea mandibolare. Centrali saranno gli incontri sulle ultime novità in tema di filler e botulino. Durante la prima giornata del congresso, in particolare, si parlerà del minilifting medicochirurgico e della Full Face Restoration, una nuova tecnica per la correzione dei principali difetti estetici del viso. Seguiranno approfondimenti sull’utilizzo combinato della radiofrequenza frazionata con l’acido retinoico. Grande attenzione al tema della Bio-Rivolumetria. Il viso, nelle sue varianti morfologiOTTOBRE 2012


Appuntamenti • MEDICINA ESTETICA

che, presenta delle peculiari caratteristiche legate alla distribuzione dei volumi nei vari distretti, rappresentati dalla struttura osseo-muscolare, e dalla presenza del grasso compartimentale. La domanda che ci si porrà al congresso è: sono solo questi volumi che, venendo meno con il passare del tempo, rappresentano la causa fondamentale delle alterazioni fisiognomiche legate all’invecchiamento? In realtà, da quanto presenteranno a Milano gli esperti, c’è dell’altro. Infatti nel corso degli anni troviamo, accanto a tale involuzione, una progressiva riduzione del liquido negli spazi giunzionali e intracellulari, oltre che un’alterazione strutturale dell’impalcatura dermo-epidermica. Sul tavolo del Congresso anche il restyling cellulare, con le nuove tecniche integrate che favoriscono l’aumento dell’ossigenazione cellulare, la diminuzione dell’acidità tessutale e della stasi linfatica, con l’attivazione del metabolismo cellulare, l’attivazione della microcircolazione e l’aumento del tono venolinfatico. Tra gli temi trattati, anche quello della nutrizione. La scienza ha compiuto passi da gigante nello studio degli effetti e del ruolo dei nuOTTOBRE 2012

trienti, e di altri componenti della dieta, nello stato di salute o malattia dell’uomo lungo tutto il ciclo della sua vita. Una disciplina che punta alla comprensione dei primi meccanismi di interazione gene-nutriente. Si sta entrando, in effetti, in una nuova era della medicina, chiamata appunto nutrigenomica. Oggi si può osservare come un particolare tipo di dieta possa influenzare l'espressione genica e di conseguenza influenzare la sensibilità dell'organismo nei confronti di malattie e disturbi. I nutrienti sono così visti come biosegnali che indicano al corpo come comportarsi, pertanto sostanze biochimiche dietetiche possono influenzare l'espressione genica direttamente o indirettamente.

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CHIRURGIA E MEDICINA ESTETICA • Aldo e Marco Felici

RINGIOVANIMENTO FACCIALE, UN APPROCCIO INTEGRATO di Matteo Grande UNA PANORAMICA DI TECNICHE CHE CONSENTONO DI OTTENERE CHIRURGICAMENTE E NON IL RINGIOVANIMENTO DEL VOLTO E DEL COLLO. IL PROFESSOR ALDO FELICI FA IL PUNTO SULL’APPROCCIO MULTIFATTORIALE ALLA CHIRURGIA ESTETICA RIGENERATIVA

n’indagine internazionale condotta dal Gruppo Aufeminin ha interpellato 1500 donne, di cui circa 300 in Italia, chiedendo il loro parere sui trattamenti di medicina e chirurgia estetica. Un’italiana su tre si dichiara “completamente favorevole” in proposito: a loro si aggiunge un 42 per cento “abbastanza favorevole”. Le donne italiane e quelle spagnole (36 per cento) si sono dimostrate le più propense a livello europeo a intervenire con trattamenti estetici. Merito anche dei progressi e dei risultati che si sono ottenuti in questo campo. Ne parliamo con il professor Aldo Felici, Primario Emerito di Chirurgia Plastica Ricostruttiva ed Estetica dell’Ospedale San Camillo – Forlanini, affiancato dal dottor Marco Felici, specialista in Chirurgia Plastica Ricostruttiva ed Estetica e dottorando presso l’Università di Roma Tor Vergata in Chirurgia rigenerativa.

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Il professor Aldo Felici è primario emerito di Chirurgia plastica ricostruttiva ed estetica dell’ospedale San Camillo – Forlanini aldo.felici@libero.it

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Quali sono le tecniche di ultima generazione? «L’importante oggi è soprattutto un approccio multifattoriale. Si parte da applicazioni meno invasive che si avvalgono di apparecchiature che consentono il fotoringiovanimento non ablativo del volto, del collo, delle

mani e del decolletè tramite l’applicazione di laser che consentono la rivitalizzazione della cute, la stimolazione del rinnovamento cellulare, la riduzione delle rughe e l’eliminazione delle macchie senili o dovute a una troppo prolungata esposizione al sole, al fumo e all’assunzione di taluni farmaci. Con l’applicazione di luce infrarossa o di apparecchiature a radiofrequenza è possibile intervenire sulle problematiche inerenti il tono cutaneo di volto e collo». Esistono però anche dei laser ablativi. «Si tratta di laser che diventano indispensaOTTOBRE 2012


Aldo e Marco Felici • CHIRURGIA E MEDICINA ESTETICA

Tramite l’applicazione di luce infrarossa o di apparecchiature a radiofrequenza è possibile intervenire sulle problematiche inerenti il tono cutaneo di volto e collo

bili quando si richiede un trattamento più profondo dei segni del tempo ma che permettono anche di ridurre sensibilmente i danni residui di cicatrici di varia natura, comprese quelle da acne. Parliamo ad esempio di laser ablativi come il laser a Co2 frazionato. Le più innovative tecniche consentono di integrare il laser a Co2 frazionato con l’utilizzo dei fattori di crescita ottenuti dal plasma dello stesso paziente (Prp). Ciò consente una rigenerazione dei tessuti cutanei che si gioveranno di un trattamento profondamente rivitalizzante. L’inserimento di filler di acido ialuronico e di sostanze biocompatibili consentono invece il trattamento di rughe più profonde e la possibilità di correggere inestetismi più gravi dovuti ad esempio a perdite di sostanza causate da traumi di varia natura». Esistono dei casi in cui è necessario inOTTOBRE 2012

tervenire anche chirurgicamente? «Se si riscontra un cedimento importante può essere necessario intervenire chirurgicamente, anche se i livelli di intervento possono essere anche qui molteplici: dalla semplice correzione delle palpebre (blefaroplastica) superiore e inferiore, alla rinoplastica, fino ai lifting medio facciali (che riposizionano i tessuti di zigomi e guance) fino al vero e proprio lifting facciale, eventualmente integrato con tecniche di lipofilling che utilizza tessuto adiposo proprio del paziente che andrà a ristrutturare e rivitalizzare il tono del volto». Un approccio multifattoriale. «Parliamo di tecniche diverse che possono essere utilizzate singolarmente con buoni risultati, ma che consentono, una volta integrate fra loro, di proporre a ciascun paziente un percorso personalizzato che tenga in considerazione tutte le sue necessità».

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MEDICINA ESTETICA • Sabrina Parodi

LA LUCE CHE CURA di Eugenia Campo di Costa DAL TRATTAMENTO DI PATOLOGIE EPIDERMICHE E TESSUTI MUSCOLARI ALLE NUMEROSISSIME APPLICAZIONI IN CAMPO ESTETICO. SABRINA PARODI PRESENTA IL RIVOLUZIONARIO METODO I.LIGHT-MED, BASATO SULLA LUCE FREDDA A LED

ultima frontiera della dermatologia e della medicina estetica si basa sulla luce fredda a Led. E ha elaborato metodiche sempre più efficaci per il trattamento sia di patologie importanti, come psoriasi e acne, che di lesioni dei tessuti muscolari, attraverso lunghezze d’onda più profonde. La logica conseguenza è stata l’applicazione della luce fredda a Led anche in campo estetico, in abbinamento ai trattamenti visocorpo-mani: da quelli anti-age al rassodamento delle atonie dei tessuti, dal trattamento di smagliature e cicatrici, a quello della cellulite e dell’adipo-

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Sabrina Parodi della Keratrade Medica. Nella pagina accanto, fasi di trattamento con il metodo i.Light-Med www.keratrademedica.com

sità localizzata, fino al linfodrenaggio di viso e corpo. In Italia è possibile usufruire dei benefici della luce fredda a Led grazie a i.Light-Med di Keratrade Divisione Medicale. Sabrina Parodi, responsabile di Keratrade Medica, illustra i benefici di questa tecnica. Quali risultati si possono ottenere attraverso la luce fredda a Led? «La luce cancella le rughe e le macchie della pelle e coadiuva tutti i trattamenti medici ed estetici, aumentandone notevolmente i risultati, abbreviandone i tempi d’applicazione e prolungandone l’effetto. Nello specifico, i.Light-Med rinnova l’attività delle cellule, promuovendo la formazione di collagene ed elastina, che danno luminosità e tonicità al tessuto epidermico». Come agisce la luce sui tessuti? «La luce a Led naturale stimola la funzione delle cellule, come fa il sole. Proprio come quando ci si espone ai raggi del sole, e ci si abbronza, l’esposizione a una fonte luminosa adeguatamente calibrata, stimola una reazione positiva a livello cellulare, e rimette in moto tutti i processi di funzionalità cellulare, ossigenando le cellule stesse. La Nasa ha dimostrato l’azione sul metabolismo cellulare dei Led: stimolano i fibroblasti, la microcircolazione e riducono i fenomeni infiammatori. È dimostrato che agiscono in particolare sui mitocondri, vera centrale energetica delle cellule. Dato che in un solo fibroblasto (cellula deputata alla formazione di elastina e collagene) ci sono circa 3.000 mitocondri, immaginiamo cosa significhi mettere in moto questi processi».

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Sabrina Parodi • MEDICINA ESTETICA

Quali sono le ultime frontiere nell’applicazione della luce Led? «Recenti lavori scientifici condotti con i.Light-Med hanno rivelato che le sue speciali emissioni luminose, associate a una terapia topica che inibisca la caduta del capello direttamente nel follicolo pilifero, stimolano la ricrescita dei capelli. i.Light-Med è inoltre un ottimo ausilio anche in caso di autotrapianto di capelli o terapia con gel piastrinico. Grazie a questi studi, i centri tricologici avanzati stanno cominciando a sfruttare il potere della luce Led per aiutare la ricrescita dei capelli in modo naturale e indolore». Come si regola l’intensità della luce a seconda del tipo di trattamento da effettuare? «Attraverso un particolare software, i.Light-Med emette una “cascata di fotoni ad hoc”, che rende il lavoro dell’operatore semplicissimo, visualizzando sullo schermo la manualità da eseguire con la sonda ottica. Attraverso sedute di soli 20 minuti con i.Light-Med si ottengono risultati straordinari, sia sul ringiovanimento, che sulle atonie dei tessuti o sulla riduzione delle adiposità, visibili fin dalla prima applicazione». È possibile che si verifichino effetti collaterali? «L’apparecchiatura è studiata perché non possa arrecare danno, né dolore, in nessun caso. Il trattamento con i.Light-Med è assolutamente fisiologico, privo di effetti collaterali e può essere effettuato con OTTOBRE 2012

i.Light-Med rinnova l’attività delle cellule, promuovendo la formazione di collagene ed elastina, che danno luminosità e tonicità al tessuto epidermico

tranquillità anche su soggetti affetti da patologie che spesso li escludono da trattamenti con apparecchiature. i.Light-Med è stato definito, da importanti ricercatori nel campo dei neuro-recettori, la “macchina del futuro”, per gli innumerevoli campi di applicazione sulla stimolazione cellulare. Maggiori informazioni su i.Light-Med sono disponibili sul sito www.keratrademedica.com, dove è anche attivo l’e-shop “myshop”, per acquistare direttamente dall’azienda i prodotti di medicina estetica viso/corpo e la Linea Anticaduta Capelli Naturale che inibisce la caduta direttamente nel follicolo pilifero, evitando gli effetti collaterali tipici dei farmaci anticaduta».

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CHIRURGIA ESTETICA • Franco Papadia

PER UNA GLUTEOPLASTICA SICURA di Roberta De Tomi IL MODELLAMENTO DEI GLUTEI PASSA PER INTERVENTI SEMPRE MENO RISCHIOSI, PER UN RISULTATO CHE CONSENTA L’ARMONIZZAZIONE DELLE FORME CORPOREE. IL PUNTO DEL PROFESSOR FRANCO PAPADIA

na metodica meno pericolosa rispetto a quella in cui vengono utilizzate protesi di silicone è la gluteoplastica basata sulla “plicatura” muscolo-aponeurotica, in cui il riempimento della zona avviene attraverso tessuti adiposi della stessa paziente: una tipologia di intervento sempre più richiesto, proprio perché meno rischioso. «Il fondo schiena – spiega il dottor Franco Papadia professore universitario di chirurgia plastica – ha sempre rappresentato un forte richiamo sessuale ed è una componente essenziale per l’armonia e la bellezza del corpo. La chirurgia estetica può apportare importanti miglioramenti alle forme, a patto che non si ecceda, né che si ricorra a interventi rischiosi. D’altro canto le creme, i massaggi e l’attività fisica, pur aiutando a tonificare la muscolatura, non cambiano la forma, il volume e la proiezione dei glutei, che sono determinati dal patrimonio genetico familiare e razziale e influenzati da improvvisi dimagrimenti o da accumuli adiposi e dall’età». «Solo la chirurgia – chiarisce – può intervenire efficacemente, accentuando in misura notevole con la liposuzione il

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Il dottor Franco Papadia è professore associato, già direttore della cattedra e della scuola di specializzazione di chirurgia plastica ed estetica dell’università di Parma lamira@libero.it

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giro-vita, eliminando i cuscinetti adiposi dei fianchi, della regione sacro coccigea e delle cosce, per dare rotondità e produrre maggiore evidenza e proiezione della massa glutea muscolo-grassosa. Nei casi di dimagrimento e di “sedere invecchiato “ con ptosi muscolo-cutanea, e nei casi costituzionalmente conformati di “ sedere basso”, si deve asportare l’eccesso di pelle e sollevare i muscoli mediante tecniche appropriate». «Personalmente – afferma l’esperto – eseguo la “plicatura” muscolo-aponeurotica dei muscoli glutei, rinforzandola con reti in parte riassorbili. Questi si possono eseguire in anestesia locale assistita e sono privi di rischi e di complicazioni, presenti nelle gluteo-plastiche in cui si usano le protesi di silicone. Faccio riferimento a infezioni dislocamento delle protesi, perforazioni delle protesi per iniezioni intramuscolari e la compromissione del nervo sciatico».

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MEDICINA RIGENERATIVA • Enrico Lazzaro

LE APPLICAZIONI DEL PRP di Marco Tedeschi

UNA METODICA BASATA SULLE PROPRIETÀ DEI “FATTORI DI CRESCITA” PRESENTI NEL PLASMA. INDICATA PER LA MEDICINA DELLO SPORT PUÒ ESSERE UTILIZZATA ANCHE IN TRATTAMENTI ESTETICI E TRICOLOGIA. ENRICO LAZZARO DESCRIVE IL PRP

latelet Rich Plasma. Ovvero plasma arricchito di piastrine. Il Prp rappresenta una fonte dei fattori di crescita che stimolano lo sviluppo osseo e dei tessuti del nostro organismo e migliora in modo sensibile la risposta ai danni biologici, favorendo inoltre la guarigione delle ferite. Prodotto grazie ad una tecnica che prevede la centrifugazione del sangue dello stesso paziente, il Prp va innestato nella zona da trattare. In questo modo si accelera la proliferazione cellulare, favorendo, i processi riparativi e la rivascolarizzazione della pelle e del cuoio cappelluto oltre alla sintesi di collagene. «Le applicazioni del Prp sono veramente molto ampie – spiega il dottor Enrico Lazzaro del Centro Medico Integra -. L’applicazione ha una forte validità in campo post operatorio grazie alle proprietà rigeneranti al fine di velocizzare la guarigione tissutale. Un secondo ambito di applicazione è quello sportivo per la cura di lesioni tendinee, tendiniti, patologie legamentose e articolari acute o croniche, lesioni cartilaginee e artrosi. Non meno importanti sono le applicazioni in medicina estetica e nella tricologia».

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Il dottor Enrico Lazzaro di Integra, Centro Medico Multidsciplinare di Montegrotto Terme (PD) info@integramed.it

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Parlando nello specifico di medicina dello sport, in quali ambiti può essere applicato il Prp? «Il trattamento è ideale per tutti i tipi di atleti, professionisti e non. Non essendoci

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Enrico Lazzaro • MEDICINA RIGENERATIVA

Essendo il Prp prodotto dal sangue del paziente stesso, non possono verificarsi intolleranze o problemi medici di alcuna natura

controindicazioni nella cura, non ci sono nemmeno persone non predisposte a tale trattamento. Naturalmente in medicina dello sport le applicazioni possono essere veramente molteplici e dedicate sia alla cura delle sofferenze derivanti da sport logoranti, sia per tutti i traumi legati alla pratica intensa di un’attività sportiva quali lesioni tendinee, tendiniti, patologie legamentose e articolari acute o croniche e lesioni cartilaginee». Ha sottolineato il fatto che nel trattamento non sono presenti controindicazioni. Perché? «Quest’aspetto è uno dei fondamentali punti di forza di questa metodologia. Essendo il Prp prodotto dal sangue del paziente stesso, non possono verificarsi intolleranze o problemi medici di alcuna natura». Esiste invece il rischio della contaminazione del plasma? «No, la lavorazione del plasma avviene tramite il sistema a camera chiusa, e i trattamenti vengono tutti eseguiti tramite autorizzazione dell’Azienda Ospedaliera di Padova e sotto il controllo del Centro Trasfusionale». Per quanto riguarda la medicina estetica e la tricologia? «Il Prp è particolarmente usato nel rinnovamento cellulare della cute delle mani del viso, del collo e del decolletè, ma è anche utilizzato per l’addome e le gambe. Il risultato di tali applicazioni è una pelle più giovane, contemplando addirittura la cura dell’acne. Subito dopo l’applicazione, si apprezza un

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“effetto filler” nelle zone interessate, ma i risultati più evidenti si manifestano nell’arco di un mese circa. Questa tecnica è altrettanto promettente anche per contrastare la caduta dei capelli, come valida alternativa alle tradizionali terapie mediche anti-caduta che prevedono il ricorso a farmaci, dai molti effetti collaterali. Il principio è sempre lo stesso: i fattori di crescita presenti nelle piastrine sono in grado di stimolare l’attività delle cellule staminali dei bulbi piliferi ancora presenti, ma silenti o sofferenti». Quante sedute sono necessarie? «Per quanto riguarda i trattamenti estetici le sedute andrebbero ripetute una volta ogni 3 mesi per 3-5 volte in totale, in base alle caratteristiche e al grado di foto - e crono-aging della pelle. Si tratta di una metodica ambulatoriale che richiede circa un’ora e mezza. Contro la calvizie invece, dopo aver anestetizzato la zona da trattare, lo specialista passa sul cuoio capelluto un roller, provvisto di micro-punte, in grado di effettuare una lieve abrasione, per favorire l’attivazione dei fattori di crescita del capello. Infine si inietta la soluzione ottenuta, per poi procedere al massaggio del cuoio capelluto che ne favorisca la distribuzione. Per entrambe le applicazioni non è richiesta convalescenza: il paziente può riprendere immediatamente le attività abituali».

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MEDICINA RIGENERATIVA • Matteo Tretti Clementoni

UNA TECNICA CONTRO LA CALVIZIE IL PRGF PERMETTE DI ESTRARRE DAL PLASMA LE SOSTANZE RESPONSABILI DELLA RIGENERAZIONE DEI TESSUTI. UNA PRATICA CHE SI È DIMOSTRATA MOLTO EFFICACE PER RISOLVERE LA CALVIZIE, SENZA EFFETTI COLLATERALI O POSSIBILITÀ DI ALLERGIE E RIGETTO di Matteo Grandi con la consulenza del dottor Matteo Tretti Clementoni

hiamata scientificamente alopecia, la calvizie consiste in una progressiva perdita dei capelli. Le cause principali sono fondamentalmente due: l’attività degli ormoni maschili (androgeni) e la predisposizione familiare. Altre cause possono essere lo stress, il malfunzionamento della tiroide o la carenza di ferro e di aminoacidi. Recentemente è stata approntata una nuova metodologia che ha fornito risultati estremamente incoraggianti, mantenendo un profilo di sicurezza molto elevato. Il nome di questa metodica è PRGF (acronimo di Plasma Rich in Growth Factors) che significa plasma ricco di fattori di crescita. Si preleva al paziente, in modo assolutamente sterile, un campione di sangue (come da normale prelievo per gli esami ematochimici) che viene posizionato per qualche minuto in un’apposita centrifuga. La ro-

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Il dottor Matteo Tretti Clementoni, specialista in chirurgia plastica ricostruttiva e direttore sanitario di Hospitadella Medical Center www.hospitadella.it

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tazione della centrifuga permette di separare il campione di sangue in più parti: la parte più pesante (i globuli rossi e i globuli bianchi) si deposita sul fondo della provetta, separandosi da quella più leggera, che appare di colore giallastro. Il liquido di colore giallastro è il plasma, che oltre ad essere ricco di acqua, proteine, vitamine e molti elementi chimici, è anche ricco di piastrine. All’interno delle piastrine si concentrano numerosi fattori di crescita tissutale. Le piastrine sono infatti componenti del sangue che servono principalmente a riparare le ferite; quando una zona dell’organismo viene lesionata, le piastrine si ammassano nella ferita e si legano fra loro, in modo da creare una rete che favorisce la coagulazione. Il PRGF sfrutta questo effetto, ma per amplificarlo utilizza proprio la centrifugazione del sangue, che viene in questo modo separato nelle sue diverse componenti: globuli rossi e bianchi vengono separati dalle piastrine, in modo che il concentrato contenga principalmente piastrine e fibrina. Così facendo il PRGF diventa un vero e proprio concentrato piastrinico, ricco di fattori di crescita che possono velocizzare i processi di guarigione dell’organismo. In ambito tricologico i fattori di crescita hanno offerto risultati estremamente po-

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Matteo Tretti Clementoni • MEDICINA RIGENERATIVA

I fattori di crescita hanno offerto risultati molto positivi nel 60-70 per cento dei casi. Dopo 3-4 mesi s’inizia a osservare una ricrescita dei capelli, a volte molto imponente

sitivi nel 60-70 per cento dei casi. Dopo 3-4 mesi s’inizia a osservare una ricrescita dei capelli, che a volte è molto imponente. I fattori di crescita sono in grado di stimolare l’attivazione del follicolo pilosebaceo determinandone l’entrata nella sua fase di sviluppo (fase anagen). Tale tecnica risulta particolarmente utile nelle fasi non troppo avanzate di calvizie maschile (I-IV Hamilton) e femminile (I-II Ludwig). L’obiettivo è quello di far risvegliare i bulbi piliferi dormienti. La tecnica del PRGF non presenta inoltre nessun rischio di effetti collaterali per il paziente che si sottopone al trattamento. Il sangue prelevato da ogni soggetto viene raccolto in provette sterili a circuito chiuso che immediatamente vengono inserite nella centrifuga. Il PRGF, come ogni altra procedura medica, risente di numerose variabili proprie di ogni singolo paziente, che possono modificare anche di molto il risultato finale. I fattori di crescita non sono però implicati solo nella crescita dei capelli, ma svolgono un ruolo estremamente importante anche nella produzione e nel rimodernamento del collagene della pelle. Per tale motivo, un altro utilizzo di questa meto-

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dica è quello del ringiovanimento cutaneo. Il PRGF è infatti utilizzato su volto, dorso delle mani e décolleté, dove i segni dell’invecchiamento indotto dall’esposizione solare sono maggiori. Il PRGF, infatti, favorisce un’attenuazione delle rughe e un aumento di spessore e luminosità della pelle rendendola più levigata e rimpolpata. Questa tecnica, inoltre, trova applicazione in odontoiatria, sia per colmare difetti ossei conseguenti alla malattia paradontale (piorrea) che nell’integrazione della porzione di osso necessaria a inserire gli impianti dentali ad esempio nei casi di elevazione del seno mascellare e nelle aree post-estrattive. I fattori di crescita intervengono nei processi di guarigione delle ferite e vengono utilizzati per accelerare la cicatrizzazione nelle sedi d’intervento. Una tecnica che funziona pertanto per patologie molto differenti tra di loro.

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UNA RISORSA POLISPECIALISTICA l Poliambulatorio S. Polo è una struttura specialistica, sorta a partire dagli anni 30, prima come Casa di Cura e successivamente come Poliambulatorio. Tutti i locali sono accessibili alle persone diversamente abili grazie alla presenza di specifici dispositivi per l’abbattimento delle barriere architettoniche. All’interno svolgono la propria attività di libera professione numerosi specialisti, garantendo un’offerta altamente qualificata in un’ampia gamma di differenti specialità: una trentina quelle presenti ad oggi, cui si accompagnano le medicine complementari. Tra gli specialisti emergono profes-

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sori universitari di fama internazionale, due allergologi (di cui una dottoressa pediatra), un angiologo, tre cardiologi, un dermatologo, due specialisti in chirurgia plastica, estetica e della mano, un dietologo, una laserista, due ecografisti, un endocrinologo, due fisiatri, un ortopedico, un podologo, un flebologo, un foniatra, una gastroenterologa internista, cinque ginecologi, due neurologi, due neurochirurghi, una neurologa pediatra, due psicologhe, due psichiatri, un reumatologo, un oncologo, un ematologo, un otorinolaringoiatra, un urologo. È operativo anche un servizio per la prevenzione, diagnosi e cura dell’osteoporosi e delle alterazioni me-


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taboliche e biochimiche dell’osso. Tra le specialità del Poliambulatorio vi è anche l’Oculistica, cui numerosi medici specialisti gestiscono un reparto dotatosi recentemente di due importanti e nuovi strumenti: - il campo visivo computerizzato utilizzato per lo studio della sensibilità luminosa della retina e del nervo ottico: una metodica fondamentale per lo studio della patologia glaucomatosa e per il monitoraggio della sua eventuale progressione subclinica. L’esame è di facile esecuzione e non invasivo; - l’OCT (Tomografia Coerenza Ottica), una delle più recenti tecniche diagnostiche, che permette di ricostruire l’anatomia della retina nella regione maculare senza effettuare prelievo anatomico. Inoltre, un ambulatorio di odontoiatria gestito personalmente da un noto chirurgo maxillo-facciale, offre un servizio di chirurgia orale e implanto-

logia, protesi fissa e mobile,conservativa, ortodonzia adulti e bambini, estetica del sorriso. Nello stesso stabile si trova anche un’altra società, il Poliambulatorio Arcella Sas che, per comodità del paziente, esegue esami strumentali di diagnostica per immagini quali radiografie, risonanza magnetica, mammografie, TAC, anche con software per Dental Scan 3D. Presso la medesima struttura opera un importante e qualificato centro di terapie fisiche e riabilitative utilizzando anche apparecchiature all’avanguardia come le onde d’urto per la dissoluzione delle calcificazioni. Vi è inoltre la possibilità di eseguire esami diagnostici di laboratorio clinico completi, essendoci al piano terra la Società Arcella Analisi Mediche Biolab Srl, che da oltre trent’anni opera nel settore.

Poliambulatorio S.Polo Via Tiziano Aspetti, 106 - 35133 Padova Tel: 049.8643200 segreteria@poliambulatoriosanpolo.it


VIRUS STAGIONALI • Pierangelo Clerici

NUOVA INFLUENZA, ISTRUZIONI PER L’USO di Teresa Bellemo IL VIRUS INFLUENZALE QUEST’ANNO SARÀ PIÙ ACUTO, PERCHÉ DIVERSO DA QUELLI DELLE STAGIONI PRECEDENTI. PER QUESTO SARÀ IMPORTANTISSIMO PREVENIRLO CON L’ORMAI CLASSICO VACCINO E OSSERVARE QUALCHE PICCOLA SEMPLICE REGOLA on l’inizio dell’autunno è naturale iniziare a preoccuparsi per l’imminente periodo invernale e i conseguenti malanni di stagione. L’influenza sarà come ogni anno la protagonista. Dopo due anni di relativa tranquillità, l’inverno alle porte sarà invece contraddistinto da un virus più complesso e acuto. Ci saranno due nuovi ceppi virali, oltre a quello già conosciuto e presente dalla stagione 2009-2010, ossia l’H1N1. Dal punto di vista della patologia non sarà invece diversa dalle altre influenze: cefalee, mialgie, dolori ossei-articolari, febbre e tutto ciò che si può ricondurre a una classica sindrome influenzale. In conclusione, quello che ci può allertare, ma non certo farci preoccupare oltre misura, sarà l’ampiezza della sua diffusione. Per questo diventa necessaria una maggiore attenzione nei confronti delle vaccinazioni, dando come sempre la precedenza alle categorie a rischio. Pierangelo Clerici, presidente dell’Associazione microbiologi clinici italiani, ci aiuta a fare il punto della situazione. «I due nuovi ceppi B e H3N2 troveranno, quindi, la popolazione immunologicamente scoperta, per questo la problematica potrà nascere dall’entità di diffusione dell’influenza stessa. Se non si procede con una campagna vaccinale adeguata, potremmo trovare a letto 5, 6 o anche 7 milioni di italiani».

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Quando l’influenza avrà il suo apice e come comportarsi per limitare gli effetti? «Il suo apice, come per tutte le stagioni influenzali, sarà tra dicembre e gennaio. Limitare gli effetti è quasi impossibile se non si è vaccinati o se non risponde alla vaccinazione. Si possono attuare però delle norme di igiene

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e prevenzione molto semplici: non frequentare ambienti affollati, come ad esempio il cinema se non si sta troppo bene, mettersi sempre una mano davanti alla bocca quando si tossisce o si starnutisce e utilizzare i fazzolettini di carta usa e getta in modo da non lasciare virus che circolano. Infine, lavarsi sempre le mani. Anche l’Organizzazione mondiale della sanità lo ha indicato come prima premura per abbattere il rischio di infezione. Sembra strano, ma è stato riscontrato che una cosa banalissima come questa può essere una delle azioni che riducono maggiormente il contagio». Oltre al virus influenzale quest’anno ci saranno anche altri virus cosiddetti parainfluenzali. Come riuscire a distinguerli? «Non vi è un’evidenza clinica tale da poter distinguere i virus parainfluenzali da quelli influenzali. Sono sostanzialmente sovrapponibili. L’unico riconoscimento può essere fatto attraverso dei test di laboratorio di microbiologia. Una cosa che non avviene mai, tranne nel caso di pandemie e diffusioni particolari del virus. L’influenza, infatti, è una patologia che viene risolta con un trattamento sintomatico da parte del medico di base e quasi mai si va a indagare sul virus che ha generato la sindrome. È il medico di famiglia il primo anello della catena di sorveglianza e per questo dovrebbe essere lui a segnalare di aver riscontrato un certo numero di pazienti con una determinata sindrome». A volte si fa l’errore di assumere antibiotici per avere una guarigione più rapida. Quanto può essere dannoso questo comportamento e quando invece cominciare ad adottarli? OTTOBRE 2012


Pierangelo Clerici • VIRUS STAGIONALI

Pierangelo Clerici, microbiologo e presidente dell’Associazione dei microbiologi clinici italiani

Non assumere mai antibiotici durante un fenomeno influenzale, non agiscono infatti contro i virus, ma solo sui batteri «Non si devono assolutamente assumere durante un fenomeno influenzale, il prodotto antibiotico infatti non ha nessuna finalità distruttiva nei confronti dei virus, ma agisce solo sui batteri. L’antibiotico quindi deve essere assunto innanzitutto sempre previa prescrizione medica e soltanto nel caso in cui si presentassero delle sovra-infezioni batteriche, cosa che può capitare, soprattutto in un individuo particolarmente debilitato a causa dell’influenza. Si può incorrere infatti in un’infezione da streptococcus pneumoniae o da pneumococco e prendere la polmonite. In questo caso è fondamentale e indispensabile intervenire con l’antibiotico. Ma ripeto, mai assumere antibiotici se si ha l’influenza, men che meno con l’auto-prescrizione. Non serve assolutamente a nulla». Quali sono i soggetti a cui è più consigliato il vaccino? L’omeopatia può essere un’alternativa su questo campo? «Per quanto riguarda la vaccinazione, i soggetti a rischio sono gli over 65, chi ha patologie croniche cardiache e all’apparato respiratorio, i trapiantati; viene poi consigliata anche ai bambini che possono preOTTOBRE 2012

sentare problemi respiratori di natura cronica come l’asma. Dall’anno scorso la vaccinazione è indicata anche per quelle gravide che raggiungeranno il secondo e terzo quadrimestre di gravidanza nel periodo di picco della diffusione del virus. Questa indicazione fa capire una volta in più che il vaccino è completamente innocuo. Per le categorie a rischio, compresi tutti gli operatori sanitari, è prevista la gratuità della vaccinazione, mentre tutti gli altri che ritengono opportuno vaccinarsi dovranno acquistarlo in farmacia e farselo somministrare dal proprio medico di base o presso gli ambulatori dell’asl. Esiste infatti – ed è un fattore molto positivo – un’ampia fetta di popolazione che, pur non essendo a rischio, è abituata a vaccinarsi tutti gli anni. Per quanto riguarda l’omeopatia, è sicuramente un intervento di sostegno. Esistono infatti delle preparazioni che vengono assunte preventivamente, in attesa del periodo influenzale e sembrano aiutare a difendersi nei confronti delle sindromi influenzali e parainfluenzali. In ogni caso l’omeopatia non è un farmaco, quindi per intervenire sull’influenza, sulla febbre e sul dolore articolare si deve assumere un farmaco sintomatico».

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MALATTIE INFETTIVE • Giuseppe Cornaglia

I VIRUS CHE MINACCIANO IL VECCHIO CONTINENTE di Teresa Bellemo LE MIGRAZIONI, I VIAGGI E LE VARIAZIONI CLIMATICHE STANNO CONTRIBUENDO A MODIFICARE IN MANIERA RADICALE L’EUROPA. SI STANNO DIFFONDENDO NUOVI VIRUS E CERTE CATTIVE ABITUDINI TIPICAMENTE OCCIDENTALI ACUISCONO IL PROBLEMA

o scenario europeo delle malattie infettive sta affrontando delle trasformazioni che si allineano a quelle che stanno avvenendo contemporaneamente a livello sociale. Si stanno, infatti, diffondendo molte patologie che finora erano proprie di paesi extraeuropei e che l’Europa non conosceva. I fattori principali sono innanzitutto la maggior frequenza dei viaggi internazionali, le variazioni climatiche, gli scambi e i commerci. Siamo dunque alle prese con patologie virali nuove. L’esempio classico è quello delle febbri emorragiche, i virus che le causano stanno arrivando dall’Est europeo e dalla Turchia e sono sempre più diffusi. Ci sono poi altri virus che arrivano dal Sudamerica seguendo i flussi migratori verso la Spagna o quelli provenienti dal Maghreb e dal basso Mediterraneo per quanto riguarda l’Italia. Tutti questi movimenti banalmente turistici o dovuti a motivi politico-sociali creano un rimescolamento che sta progressivamente azzerando il panorama tradizionale delle malattie infettive in Europa. A queste dinamiche si aggiungono anche le conseguenze dei comportamenti che da decenni o soltanto da pochi anni stanno prendendo piede nella società europea: l’uso distratto degli antibiotici e la recente diffidenza attorno ai classici vaccini contro il morbillo o la rosolia rischiano di alterare

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ulteriormente il panorama. Ne parliamo con Giuseppe Cornaglia, professore all’Università di Verona e fino alla scorsa estate presidente dell’Escmid, la Società europea di microbiologia clinica e delle malattie infettive. In quest’ultimo periodo si riscontra un ritorno del virus della tubercolosi in Europa. Quali le possibili cause? «Questa diffusione è in parte legata alle dinamiche migratorie, ma per la tubercolosi il problema è legato soprattutto all’aumento della resistenza del virus alla terapia. Abbiamo quindi l’aumento dei casi ma anche un estensione di batteri multiresistenti. Addirittura ci sono delle teorie riguardo un aumento di batteri para-resistenti che non possono cioè essere trattati efficacemente con nessun farmaco disponibile». A questo proposito alcuni batteri sembrano appunto resistere maggiormente all’antibiotico. Quali i motivi principali di questa dinamica? «Questo è un problema molto grosso che non nasce ora ma circa trent’anni fa. Il problema è che adesso si sta manifestando in tutta la sua importanza. Ci sono molte patologie, non solo a livello ospedaliero, ma anche banali problemi ambulatoriali legati a batteri che cominciano a essere OTTOBRE 2012


Giuseppe Cornaglia • MALATTIE INFETTIVE

molto difficili da trattare e alcune volte, francamente, non abbiamo nessuna scelta terapeutica disponibile». In questi casi la responsabilità è soltanto della maggior resistenza del batterio o ci sono delle implicazioni attribuibili ai cittadini? «C’entrano entrambe le cose. Ci sono sicuramente dei comportamenti sbagliati da parte delle persone ma, d’altra parte, i batteri sono notoriamente molto furbi e sfruttano tutti i varchi che lasciamo aperti. I batteri forse riuscirebbero lo stesso a combattere e superare gli ostacoli, ma di certo gli stiamo facilitando il compito. Gli antibiotici sono farmaci che si usano solo contro i batteri, invece non solo da oggi c’è l’abitudine di utilizzarli ad ampio spettro per curare patologie che non sono di natura batterica. Inoltre, è diffusa l’abitudine di abbondare con le quantità e di fare prescrizioni disordinate. Io metterei l’accento, quindi, sull’abuso degli antibiotici e anche sul loro cattivo uso. Usare antibiotici sbagliati o inefficienti per quel batterio in situazioni che non lo richiedono può provocare risposte inverse, ad esempio una resistenza a quell’antibiotico. Se non uccido subito il batterio gli do il tempo di pensarci e sviluppare la contromisura facendo così un danno enorme».

Stanno tornando anche alcune malattie tipiche dell’infanzia come il morbillo, la pertosse, la varicella. Quali sono le mancanze dei cittadini a questo riguardo? «Enormi. Proprio questo è uno dei fili conduttori delle recenti campagne degli enti internazionali, soprattutto di Stoccolma e dell’Ecdc, il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie. L’Irlanda, per esempio, ha avuto dei grossi problemi dovuti al calo del tasso di vaccinazione contro il morbillo, che ha provocato un ritorno di questa malattia non sempre benigna, soprattutto se non la si contrae nell’infanzia. Oggi ci sono già avvisaglie che delineano un fenomeno simile per la rosolia. Sia l’Ecdc che l’Organizzazione mondiale della sanità sono allertate su questo fronte proprio perché la diffidenza sulle vaccinazioni e certi movimenti anti-vaccinali presenti in tutta Europa stanno creando un danno enorme a tutta la comunità». Esistono terapie alternative al vaccino come qualcuno suggerisce? «No, il vaccino non è terapia ma prevenzione. Non esistono alternative. La cosa paradossale è che gli argomenti degli antivaccinali sono abbastanza simili a quelli dei primi che si opponevano alla vaccina-

Giuseppe Cornaglia, professore di microbiologia clinica all’Università di Verona

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MALATTIE INFETTIVE • Giuseppe Cornaglia

Nel caso dell’epidemia H1N1, la cosiddetta suina, gli allarmismi e i tamtam sul web hanno soffocato un dibatto scientifico molto serio

zione nell’Ottocento. Il mondo quindi non è cambiato così tanto, ma dal nostro punto di vista è cambiato molto. Sfido chiunque a guardare un telefilm, un film o a leggere un libro ambientato in quell’epoca e non inorridire di fronte al numero di persone che morivano di vaiolo, di tifo o di altre malattie che oggi debelliamo. Vorrei che queste persone capissero quale poteva essere il dolore di una madre che vedeva i propri figli nati malformati a causa della rosolia. Il mondo prima del vaccino non era un posto più bello rispetto a quello di oggi. E questo lo dobbiamo alla vaccinazione». Una delle principali motivazioni della nascita di questi movimenti è il rischio che certe vaccinazioni fatte in età precoce possano danneggiare il bambino tanto da causare a volte l’autismo. «Quello dell’autismo è stato uno dei motivi per cui la vaccinazione contro il morbillo è andata incontro a un ostracismo. Il fatto è che la correlazione è stata smentita da un

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lungo lavoro e da pubblicazioni su riviste molto autorevoli. Come spesso accade, però, si diffonde molto più rapidamente la notizia negativa piuttosto che quella positiva, per cui si è data più importanza alla minaccia piuttosto che al messaggio rassicurante della comunità scientifica. La stessa cosa è accaduta con l’epidemia H1N1, la cosiddetta suina. Gli allarmismi e i tamtam su internet hanno soffocato un dibatto scientifico molto serio che non è stato abbastanza visibile. In questo caso la dimostrazione sarebbe sotto gli occhi di tutti. Uno dei cavalli di battaglia degli anti-vaccinali era, infatti, che il vaccino non era stato testato a sufficienza ed era stato lanciato sul mercato troppo in fretta solo per favorire le industrie farmaceutiche. Anche ammettendo che queste critiche avessero un senso, la sperimentazione “naturale” data dall’uso del vaccino in tutta Europa ha fornito numeri ampiamente superiori a qualunque sperimentazione e ci ha dimostrato che il vaccino, nella maggioranza dei casi, era perfettamente innocuo». OTTOBRE 2012



MALATTIE ALLERGICHE • Gennaro Maietta

PERCHÉ AUMENTANO LE ALLERGIE di Valerio Germanico

aumento delle malattie allergiche è un fenomeno al quale assistiamo ormai da mezzo secolo. Negli anni Cinquanta appena il 5 per cento della popolazione era colpita da allergia, mentre, allo stato attuale, si parla di percentuali che variano dal 20 al 25 per cento. Anche la tipologia delle malattie allergiche è in progressivo aumento. Come spiega il dottor Gennaro Maietta – responsabile dell’ambulatorio di Allergologia accreditato con l’Asl Lecce Nord e consulente scientifico del dipartimento di Immunologia del laboratorio Pignatelli della stessa città, nonché membro attivo dell’Accademia Europea di Allergologia e Immunologia Clinica –, che da circa 20 anni studia i meccanismi alla base delle malattie allergiche, indirizzando la sua attenzione sui basofili.

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Il dottor Gennaro Maietta, immunologo leccese gmaietta2001@yahoo.it

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Perché assistiamo a un forte aumento delle allergie? «L’incremento delle malattie allergiche è dovuto allo stile di vita occidentale, caratterizzato da un’estrema attenzione all’igiene, all’attenta prevenzione delle malattie infettive, all’uso ec-

IL FENOMENO OGGI COLPISCE IL 25 PER CENTO DELLA POPOLAZIONE, APPENA IL 5 PER CENTO MEZZO SECOLO FA. GENNARO MAIETTA SPIEGA LE CAUSE E IL RUOLO DEI BASOFILI: ESECUTORI MATERIALI DELL’ALLERGIA cessivo di antibiotici, anche negli alimenti. Questo ha ridotto in maniera importante il contatto tra il nostro sistema immunitario e tutta una serie di agenti infettivi, in particolar modo quelli responsabili di malattie a contagio orofecale, che avevano, un tempo, un effetto protettivo sull’insorgenza delle allergie. Il risultato è che il nostro sistema immunitario, “disoccupato” per mancanza di particolari malattie infettive, reagisce verso sostanze normalmente innocue, come pollini, acari e alimenti». Come avviene la reazione del sistema immunitario? «Quando il sistema immunitario del soggetto allergico si trova in contatto con alcune determinate sostanze, inizia una reazione anormale verso di esse. Gli esecutori materiali della reazione allergica sono i basofili. Questi, insieme ai mastociti – i primi nel sangue e i secondi sulle mucose –, catturano, per esempio, il polline che penetra nella cavità nasale o nella mucosa oculare e, di conseguenza, si attivano, producendo una serie di sostanze. Una di queste è ben conosciuta: l’istamina, responsabile dei fenomeni di prurito, starnutazione, lacrimazione, asma, gonfiore della gola, fino a quadri particolarmente gravi come lo shock anafilattico. Sebbene non sia possibile guarire da un’allergia, si può insegnare al sistema immunitario del soggetto allergico a reagire in maniera “inoffensiva” verso i bersagli che ha scelto. E questo è possibile solo utilizzando il vaccino».

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EDITORIALE

IDROCOLONTERAPIA E AGOPUNTURA CONTRO LE ALLERGIE di Maria Giovanna Orlando

eccesso di cibo, la manipolazione degli alimenti, l’uso di coloranti e conservanti, l’inquinamento ambientale, lo stress psicofisico sono tutti nemici del nostro stato di salute e, oggi più che mai, determinano un sensibile incremento di allergie e intolleranze alimentari negli adulti e sempre più nei bambini. Le manifestazioni cliniche di un’allergia o di un’intolleranza possono interessare numerosi organi e apparati con modalità differenti per cui, se è facile collegare un caso di rinite, di orticaria o di asma a fenomeni allergici, sicuramente lo è meno quando la manifestazione si presenta come una reazione generale e diffusa. Nei bambini al primo anno di vita, la sintomatologia più frequente riguarda l’apparato gastroenterico con coliche addominali, reflussi, diarree e/o l’apparato cutaneo con quella che viene definita “dermatite atopica” che si manifesta con prurito, crosta, pelle secca e desquamata. Con l’avanzare degli anni, allergie e intolleranze interessano molto più spesso l’apparato respiratorio con riniti, tonsilliti, ipersecrezione di muco. Accanto ai sintomi riferibili a un solo organo o apparato, si possono inoltre osservare anche espressioni di coinvolgimento generali con tipici disturbi del comportamento. La ricerca e l’eliminazione delle cause scatenanti - quali intolleranze, carenze vitaminiche, flora intestinale alterata - è sicuramente il primo passo da fare, ma non il solo. A questo primo step deve seguire l’impostazione di un’alimentazione equilibrata che, con l’apporto dei giusti nutrienti, rimetta in sesto e fortifichi tutti i mattoni di una vita sana. Nei soggetti adulti, un validissimo aiuto viene dato anche dalla pulizia dell’intestino, idro-

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La dottoressa Maria Giovanna Orlando, agopuntore e nutrizionista, è specializzata nella cura dell’intestino e nel trattamento di idrocolonterapia presso il centro romano Genesis® genesisorlando@tiscali.it

colonterapia, e dall’agopuntura. All’interno del nostro organismo, in un rapporto simbiotico, sono presenti batteri di varie specie e tutte le condizioni che alterano l’equilibrio tra ospite e microbo, portano alla malattia. Tra le innumerevoli funzioni della microflora intestinale, un cenno particolare va dato alla sua funzione di organo immunitario per eccellenza, per cui una sua alterazione determina una variazione del sistema di difesa intestinale con esiti di ipo o iperattività che si manifestano con sintomi di intossicazione cronica o di allergia. Una pulizia efficace e un riequilibrio della flora permette all’organismo di difendersi da tutti gli agenti stressogeni e acquistare e mantenere la sua funzione di “dogana”. Oggi la conoscenza scientifica dimostra sempre più che la materia, attraverso le molecole che la compongono, viene regolata da forze elettromagnetiche che stabiliscono percorsi che portano all’equilibrio dei vari apparati e organi nel campo umano. Sotto questa luce, l’agopuntura è un ulteriore aiuto per risolvere quello squilibrio energetico che determina le allergie. OTTOBRE 2012



FONIATRIA • Donatella Croatto

CURARE LA SORDITÀ INFANTILE di Anastasia Martini LA DIAGNOSI DELLA SORDITÀ FATTA IN TEMPI RAPIDI, PUÒ CONSENTIRE DI PREVENIRE GRAVI DISTURBI, CON CONSEGUENTI DISAGI SOCIALI PER IL BAMBINO. LO SOTTOLINEA DONATELLA CROATTO gni anno in Italia nasce un bambino sordo ogni mille, ed è fondamentale che tale patologia venga diagnosticata precocemente per evitare che si instaurino problemi di linguaggio, disturbi relazionali e comportamentali». Lo rileva la dottoressa Donatella Croatto del Centro Medico di Foniatria, che si occupa della prevenzione, diagnostica, terapia (medica e chirurgica) e riabilitazione logopedica. «Fin dalla nascita – afferma l’esperta – ogni bambino è esposto alle parole, sviluppando la comprensione e la produzione del linguaggio. La presenza di un deficit uditivo alla nascita interrompe tale processo, impedendo l’apprendimento verbale». «Alla diagnosi – continua la dottoressa Croatto – deve seguire un percorso riabilitativo ar-

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Il Centro Medico Foniatria ha sede a Padova www.centrofoniatria.it

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ticolato, in cui convergono diverse competenze e strutturato su due tappe: la protesizzazione e l’adattamento protesico (cioè la regolazione delle protesi acustiche in funzione del grado di perdita uditiva) e l’avvio del trattamento riabilitativo logopedico. Per quanto riguarda la prima tappa, grazie all’adozione di strategie digitali nelle protesi e all’avvento degli impianti cocleari, che sostituiscono a pieno titolo una coclea mal funzionante, è possibile nella stragrande maggioranza dei casi ottenere ottimi risultati percettivi e verbali, a patto che vengano attuate strategie riabilitative adeguate. Per quanto concerne il trattamento logopedico, che è il cuore della riabilitazione, inizialmente verte sul training acustico, sull’avvio dei prerequisiti cognitivi alla comunicazione, e sul counseling ai genitori; in seguito può essere affiancato da altri interventi quali la psicomotricità, e la musicoterapia». Un aspetto centrale delle attività messe in campo per la cura della sordità infantile, è la multidisciplinarietà, realizzata all’interno del Centro Foniatria dove «c’è la possibilità per audiologi, foniatri, otochirurghi, neuropsichiatri infantili, logopedisti, audiometristi e audioprotesisti, psicologi, neuropsicomotricisti di lavorare fianco a fianco all’interno di una vera e propria rete riabilitativa sinergica, che copre tutte le tappe, dalla diagnosi alla protesizzazione, all’intervento chirurgico qualora necessario, alla riabilitazione, consentendo di ottenere il massimo dei risultati grazie al continuo confronto tra operatori ed alla condivisione di informazioni e competenze».

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MICROBIOLOGIA • Maria Paola Landini

L’AUTOMAZIONE NELLA MICROBIOLOGIA CLINICA di Marco Tedeschi MICROBIOLOGIA IN FASE LIQUIDA, OVVERO LA POSSIBILITÀ DI TRASFORMARE QUASI TUTTI I MATERIALI PATOLOGICI IN UN’UNICA FORMA, CIOÈ IN LIQUIDI. È STATO QUESTO UNO DEI PASSAGGI CHE HA PERMESSO L’AUTOMAZIONE IN MICROBIOLOGIA. L’ANALISI DELLA PROFESSORESSA MARIA PAOLA LANDINI

n Italia gli investimenti per la diagnosi e il controllo delle malattie infettive non sempre sono sufficienti per coprire tutte le necessità. Nuovi virus, agenti d’infezioni tropicali che oramai sono presenti anche nei nostri Paesi, e soprattutto quelle che ormai vengono definite le piaghe del nostro millennio, ovvero le infezioni da batteri resistenti a tutti gli antibiotici, sono solo alcune delle nuove situazioni appartenenti alla sfera delle malattie infettive. «L’Unione Europea – spiega la professoressa Maria Paola Landini, Direttore dell’Unità Operativa di Microbiologia dell’azienda Ospedaliero-Universitaria di

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Bologna – ha collocato il problema del contenimento dell’antibiotico-resistenza tra le priorità sanitarie da affrontare. Anche il Ministro Balduzzi ne ha parlato con toni preoccupati. Speriamo che seguano fatti concreti tra cui il potenziamento della rete di laboratori di Microbiologia clinica». Un mondo che, come per i laboratori di Patologia clinica, sta andando sempre di più verso l’automazione. A che punto siamo con l’automazione nei laboratori di microbiologia clinica? «L’automazione sta prendendo sempre più campo, anche se con un certo ritardo doOTTOBRE 2012


Maria Paola Landini • MICROBIOLOGIA

Siamo stati uno dei primi laboratori in Italia ad adottare il sistema WASPLab. La sperimentazione ci ha fatto subito constatare i vantaggi derivati dal suo utilizzo

vuto al fatto che alcuni aspetti del lavoro che tradizionalmente viene svolto nei laboratori di microbiologia clinica possono essere definiti “artigianali”. Basti pensare a quanti diversi materiali patologici ci vengono inviati (urina, sangue, feci, saliva, aspirati bronchiali, espettorati, frammenti bioptici, tamponi, pezzi di unghie, di capelli, pus, sperma) ognuno dei quali deve essere trattato in modo diverso. Per di più, da sempre, ognuno di questi campioni arriva in un contenitore differente. È ovvio, quindi che l’automatizzazione è stata complessa. Inoltre non dimentichiamo che in questi materiali noi ricerchiamo la presenza di batteri e virus patogeni per l’uomo, con ovvi problemi di sicurezza per gli operatori, ma anche di complicazione per l’automazione. Questi aspetti però sono stati in buona parte superati e l’automazione è ormai entrata anche nei laboratori di microbiologia che erano fermi alla fine del 1800 con le tecniche di Robert Koch e Richard Petri».

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Avete dovuto fare modifiche sui materiali da analizzare per poterli avviare verso l’automazione? «Certamente. Per prima cosa abbiamo dovuto cambiare i contenitori e renderli il più uniformi possibile e non è stato facile visto il numero dei diversi materiali e il fatto che li riceviamo da 10 diversi Ospedali e 120 diversi punti prelievo. E poi abbiamo cercato di trasformare la maggior parte dei materiali in campioni in fase liquida».

La professoressa Maria Paola Landini

Cosa significa? «In realtà abbiamo seguito un’idea di Copan che, per puntare all’automatizzazione, ha ideato il concetto di microbiologia in fase liquida, cioè la possibilità di trasformare tutti o quasi tutti i materiali patologici in un’unica forma, cioè in liquidi. Avere tutti (o quasi) i campioni prelevati dai pazienti in forma liquida permette l’automazione attraverso un unico sistema automatico con riflessi positivi in termini di flusso di lavoro, ripetibilità dei risultati, formazione del personale e, non ultimo, i costi». In questo contesto si inserisce il sistema WASPLab. Di cosa si tratta? «Grazie alla disponibilità del campione in fase liquida (LBM), è oggi possibile realizzare in laboratorio quella rivoluzione orga-

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MICROBIOLOGIA • Maria Paola Landini

possiamo contare su un’assoluta accuratezza del processo lavorativo sviluppato dallo strumento, garantita dal controllo continuo di ogni singola fase operativa, e su un elevato livello di sicurezza per l’operatore in quanto tutte le operazioni di contatto diretto con il campione biologico e terreni vengono eliminate». Su quali presupposti anche lei ha scelto di utilizzare il sistema WASPLab? «Sulla base di una valutazione dello strumento e di strumenti analoghi abbiamo messo in evidenza: maggiore uniformità e ripetibilità, ma soprattutto distinzione delle singole specie in colture miste, piuttosto che batteri specifici».

In comparazione al lavoro manuale, l’acquisizione dell’automazione WASPLab introduce molteplici vantaggi e apporta numerosi benefici

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nizzativa da tanto tempo auspicata, grazie all’introduzione di una stazione robotica pre-analitica per batteriologia. In comparazione al lavoro manuale, l’acquisizione dell’automazione WASPLab introduce molteplici vantaggi e apporta numerosi benefici. Innanzitutto la sicurezza dell’operazione, in secondo luogo l’accuratezza e il controllo delle fasi operative, la qualità produttiva è inoltre maggiore e la forza lavoro viene notevolmente ridistribuita. Non ultimo, è possibile avere una tracciabilità precisa. Praticamente grazie al WASPLab

Da quanto tempo lo utilizza? «Siamo stati uno dei primi laboratori in Italia ad adottare il sistema WASPLab. Abbiamo iniziato a usare la prima versione del WASPLab, meno completo di quello attuale, all’inizio del 2009 in fase sperimentale e nel settembre 2009 stabilmente in quanto la sperimentazione ci aveva fatto constatare i vantaggi derivati dal suo utilizzo». Questa strumentazione viene utilizzata regolarmente presso il Policlinico S. Orsola di Bologna? «Da quando è stato introdotto non ne abbiamo più fatto a meno. Anche una parte del personale tecnico che all’inizio era titubante, velocemente si è convinto. Del resto l’introduzione dell’automazione ha permesso al personale tecnico di dedicarsi maggiormente a compiti più elevati. Direi che nel complesso l’introduzione dell’automazione favorisce l’aumento del livello dell’attività svolta in laboratorio, sempre che le risorse umane vengano lasciate al loro posto. Purtroppo i tempi che stiamo OTTOBRE 2012


Maria Paola Landini • MICROBIOLOGIA

LA TECNOLOGIA ITALIANA DIETRO WASPLAB attraversando sono tali per cui non sempre l’auspicato va a buon fine». La sicurezza degli operatori è un tema ancora più difficile in questo campo. «Il nostro lavoro ci mette a contatto con materiali biologici potenzialmente pericolosi poiché sono stati prelevati da pazienti che hanno le più diverse infezioni, e quindi tutto il personale è a rischio infettivo. Il rischio è ben conosciuto e controllato attraverso idonei strumenti di protezione individuale e una formazione adeguata, ma qualunque cosa si può fare per diminuire il livello di rischio, deve essere fatta. Il rischio, grazie all’automazione, è notevolmente diminuito poiché il personale viene meno a contatto con i materiali patologici dei pazienti. Praticamente si tocca il materiale nel momento dell’accettazione in laboratorio, nel momento dell’introduzione in WASP e poi quando, finito il processo, lo si elimina negli idonei contenitori o lo si conserva per eventuali utilizzi ulteriori». Può fare un esempio di come è migliorata la precisione nell’esecuzione delle indagini? «Non vi è dubbio che la variabilità dovuta alle diverse modalità di lavoro del personale è completamente abolita. Ora tutto viene eseguito nello stesso modo. Basta pensare che prima si era costretti a ripetere il 5-10 per cento delle semine dei materiali su piastra per problemi tecnici legati all’operatore. Oggi non più». Migliora la diagnosi di qualche infezione in particolare? «In effetti alcuni patogeni (ad esempio Streptococco agalactiae, Stafilocco Mrsa, Escherichia coli e Candida) vengono isolati meglio rispetto alle metodiche manuali e, quindi, i pazienti infettati da questi agenti, OTTOBRE 2012

l sistema robotico-preanalitico può vantare una produzione e una tecnologia italiana. Realizzato a Brescia dalla Copan Italia Spa è distribuito in Italia da a.d.a. srl. In programma ci sono anche ulteriori passi in avanti per una sempre maggiore automazione nel processo. È in fase di studio una nuova strumentazione che potrà leggere anche le piastre, le metterà in termostato nella posizione voluta e se trova il positivo lo evidenzierà per far decidere cosa fare. Parte delle attività successive, necessarie a identificare quali patogeni sono presenti nel campione, possono essere svolte da questo stesso sistema. In questo modo l’unica operazione da effettuare manualmente resterà il prelievo. Implementando questo tipo di tecnologie potrebbero bastare 3 laboratori di microbiologia per l’intera città di Milano la cui funzione potrebbe garantire una copertura molto più estesa del servizio oggi fornito, riducendo i tempi di lavorazione e aumentando significativamente la qualità dei risultati prodotti.

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ne beneficiano. Vorrei sottolineare anche un altro aspetto positivo, che è quello di una miglior possibilità di identificare infezioni causate da due o tre patogeni diversi. La semina automatica infatti separa molto bene le colonie permettendo di capire meglio se in un determinato campione, vi è una sola specie batterica, oppure due o molte». La strumentazione di cui parliamo è un esempio di come i laboratori di microbiologia clinica possano compiere decisivi passi in avanti per la diagnosi di importanti patologie infettive. Si può automatizzare di più? «Certamente un’automatizzazione maggiore sarebbe possibile e auspicabile. Io vedrei bene una fase preanalitica comune tra la batteriologia e la virologia e magari anche il molecolare».

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DISPOSITIVI MEDICI • Giuseppe Rucci

DISPOSITIVI IN SICUREZZA di Emanuela Caruso emissione delle norme tecniche armonizzate Uni En Iso 7396-1 e 7396-2 ha reso possibile un’evoluzione profonda nell’ambito dei dispositivi medici, in particolare degli impianti per la distribuzione di gas medicinali. Evoluzione che ha portato alla formalizzazione di una procedura di gestione dei rischi finalizzata a identificare le cause e le situazioni pericolose in relazione agli obiettivi di sicurezza, e all’introduzione di una linea guida per la gestione operativa degli impianti stessi destinata ai gestori delle strutture sanitarie. Come spiega Giuseppe Rucci, amGiuseppe Rucci, ministratore delegato della Medical amministratore delegato della Device Factory, impresa specializ-

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M.D.F. Srl di Bitonto (BA) www.mdfsrl.it

NELL’AMBITO DEI DISPOSITIVI MEDICI AUMENTANO LE NORME TECNICHE E LA CONSAPEVOLEZZA DELLE AZIENDE SANITARIE, MA NON L’ARMONIZZAZIONE CON LE PROCEDURE PROPOSTE. NE PARLA GIUSEPPE RUCCI zata proprio nella progettazione, installazione, marcatura Ce, manutenzione e assistenza post vendita di dispositivi medici: «Il fine ultimo di queste norme è quello di garantire il continuo e sicuro funzionamento di un impianto nel suo intero ciclo di vita, coinvolgendo in modo attivo le figure sanitarie in operazioni legate all’utilizzo dei gas medicinali». In Italia, quanta attenzione si presta al particolare ambito degli impianti medici e quanto, pubblico e privato, investono in tal senso? «In Italia, l’attenzione agli sviluppi della gestione degli impianti e dei dispositivi medici e alle conseguenti implicazioni sotto il profilo delle responsabilità dei fabbricanti e degli utilizzatori è piuttosto viva, e lo dimostrano i numerosi seminari e convegni organizzati sul tema soprattutto dalle associazioni di categoria e dagli stessi fabbricanti. Resta, invece, carente l’iniziativa pubblica, forse anche a causa della criticità economica del periodo». Quanto sono consapevoli le aziende sanitarie delle responsabilità legali cui vanno incontro?

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Giuseppe Rucci • DISPOSITIVI MEDICI

La sperimentazione nell’ambito della sanitizzazione degli ambienti comunitari e ospedalieri ha portato a una riduzione di circa il 50 per cento della concentrazione batterica

«Nonostante le aziende sanitarie possano ritenersi sufficientemente consapevoli delle responsabilità cui vanno incontro nella gestione degli impianti e dispositivi medici, rimane da denunciare l’inadeguata armonizzazione alle procedure proposte dalle norme tecniche. Infatti, sono ancora poche le realtà sanitarie che possono vantare l’adozione di un organigramma delle figure centrali per il funzionamento degli impianti e per la salvaguardia della salute e della sicurezza di pazienti e operatori, come invece viene altamente suggerito nell’Appendice G della norma Uni En Iso 7396-1». Tra i servizi più recenti e interessanti della M.D.F. si colloca quello relativo alla sanitizzazione degli ambienti di aggregazione sociale, quali scuole, ospedali, laboratori e mezzi di trasporto pubblico. Qual è stato l’iter sperimentale seguito in merito e attraverso quali procedure oggi riuscite a ridurre la contaminazione biologica degli ambienti? «La sperimentazione è stata portata avanti tramite una serie di prove, effettuando il servizio di sanitizzazione in diversi ambienti e in presenza di differenti condizioni. Si è provveduto a quantificare la carica batterica presente nell’ambiente prima e dopo il servizio e a confrontarne i risultati alla luce dei criteri di accettabilità in uso nei vari settori. La M.D.F.

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ha eseguito i primi test in collaborazione con il Dipartimento di Scienze Biomediche e Oncologia dell’Università degli studi di Bari, e insieme abbiamo valutato in particolare l’attività sanitizzante del perossido d’idrogeno al 4 per cento su ceppi multiresistenti di origine umana, responsabili di complicanze infettive sia in ambito comunitario che ospedaliero. I risultati hanno confermato l’efficacia del nostro sistema di sanitizzazione su tutti i ceppi nosocomiali testati, ottenendo una riduzione della concentrazione batterica del 40-50 per cento, valori in linea con i range di accettabilità prescritti dalle norme di settore vigenti». Su quali tipologie di ambienti intervenite con il servizio di sanitizzazione? «Gli interventi di sanitizzazione più rilevanti vengono eseguiti in ambito ospedaliero, soprattutto privato, e in altri settori nei quali la sperimentazione ha già portato al raggiungimento di ottimi risultati, settori quali l’alimentare e lo scolastico. Tra gli obiettivi futuri dell’azienda c’è sicuramente quello di espandere questa tecnica anche ad altri comparti».

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APPARECCHIATURE MEDICALI • Tiziana Fantoni

INNOVAZIONI NELLE TECNOLOGIE PER USO MEDICALE di Emanuela Caruso IL SETTORE DELLE TECNOLOGIE PER USO MEDICALE È UNO DI QUELLI CHE NON CONOSCE PAUSE IN MERITO ALLO SVILUPPO DI INNOVAZIONI E NUOVE APPARECCHIATURE. TENDENZA QUESTA CHE CONTINUERÀ ANCORA NEGLI ANNI A VENIRE. L’ESPERIENZA DELL’ESPERTA TIZIANA FANTONI

ormai un dato di fatto che l’invecchiamento della popolazione continuerà a rappresentare uno dei cambiamenti strutturali più significativi dei prossimi anni. Alcune ricerche portate avanti dall’Onu hanno infatti stimato che intorno al 2050 il numero di ultrasessantenni toccherà circa i due miliardi. A fronte di un tale progressivo fenomeno di invecchiamento degli essere umani sono stati individuati tre importanti fattori che giocheranno un ruolo di primo piano negli anni a venire: l’inevitabile incremento delle malattie legate alla vecchiaia; la crescita della già ben sviluppata attività dell’industria farmaceutica; e l’espansione del settore delle tecnologie medicali. Quest’ultimo, in particolare, trarrà ulteriori vantaggi anche dall’aumento del benessere e dalla crescita economica dei nuovi paesi emergenti. Nello specifico settore delle tecnologie

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La ATS Srl ha sede a Torre de’ Roveri (BG) www.atsmed.it

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medicali si colloca la ATS, Applicazioni Tecnologie Speciali, di Torre de’ Roveri, in provincia di Bergamo. «Da trent’anni – commenta Tiziana Fantoni, presidente della società – produciamo e commercializziamo, sia in Italia che all’estero, apparecchiature elettroniche, elettriche e meccaniche per uso medicale. Tra quelle più richieste al momento figurano i sistemi di diagnostica per immagini e le tecnologie radiologiche mobili da utilizzare durante interventi in tempo reale». Dal 1981, anno di inizio della loro attività, ad oggi, il progresso tecnologico ha rivoluzionato ogni ambito produttivo. In tal senso, la ATS ha assistito e preso parte nello sviluppo produttivo e applicativo di tecnologie per uso medicale. «Il progresso tecnologico di questi ultimi tre decenni – continua la Fantoni – ha presentato al settore e al mercato davvero tante novità e innovazioni. Tra le evoluzioni OTTOBRE 2012


Tiziana Fantoni • APPARECCHIATURE MEDICALI

più importanti possiamo citare l’uso sistematico delle tecnologie digitali sia con microprocessori che con architetture Pc, la trasmissione di immagini con tecnologie wireless, e la trasmissione, l’archiviazione e la consultazione delle immagini diagnostiche attraverso l’impiego di sistemi informatici e di comunicazione chiamati Pacs. Molto rilevante è stata anche l’introduzione di tecnologie di immagine composte da amplificatori di brillanza e da telecamere digitali per diagnostiche a raggi X a bassa dose; e di sistemi di immagine formati da detettori matriciali, i cosiddetti Flat Panel, per diagnostiche completamente digitali filmless». Poi la dottoressa passa a illustrare le ultime novità prodotte da ATS e come funzionano. «L’ultima innovazione che abbiamo presentato al mercato e ai clienti è un’apparecchiatura mobile per radiografie con sensori Flat Panel digitali e con trasmissione wireless delle immagini. È una tecnologia adatta a essere utilizzata in pronto soccorso, in radio-pediatria, nei reparti di rianimazione e nei casi di radiografie dirette su pazienti al letto di degenza. Questo macchinario prevede la trasmissione delle immagini acquisite alla stazione di refertazione direttamente dal luogo di esecuzione dell’esame. Ciò è possibile sia OTTOBRE 2012

grazie all’uso della rete informatica ospedaliera sia mediante esportazione su dispositivi di memoria quali chiavi Usb e cd rom». Un capitolo a parte merita l’aspetto commerciale dell’azienda. «Sin dall’inizio abbiamo distribuito i nostri prodotti a società nazionali e internazionali interessate a integrare il proprio catalogo con le apparecchiature ATS e a venderle in tutto il mondo; a società controllate o partecipate estere che svolgono in prevalenza l’attività di vendita e di assistenza tecnica postvendita nei paesi stranieri; e a vari ospedali e cliniche private dislocati su tutto il territorio nazionale». Un’azienda come ATS ha bisogno di seguire il progresso degli ambiti medicali specialisti cui rivolge la propria attenzione. Ecco le strategie operative seguite dal team. «Le idee per nuovi prodotti e per le loro caratteristiche provengono dalla continua ricerca di innovazione e dalla partecipazione a congressi internazionali di radiologia, come ad esempio l’Ecr europeo, il Jfr francese, l’Rsna americano e il Sirm italiano, e a svariate fiere medicali. Interessanti input derivano anche dalle partnership strette con le aziende produttrici di componenti strategici ad altissima tecnologia e con gli ospedali universitari, quali il Civili di Brescia e il Trusseau di Parigi».

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TRA MEDICO E PAZIENTE • Giovanna Zavota

MALPRACTICE E DENUNCE SUPERFLUE NEGLI ULTIMI TEMPI SI È ASSISTITO A UN INCREMENTO CONSIDEREVOLE DELLE DENUNCE CONTRO I MEDICI. MA NELL’80 PER CENTO DEI CASI INTERVIENE UN PROVVEDIMENTO DI NON LUOGO A PROCEDERE. L’AVVOCATO GIOVANNA ZAVOTA SPIEGA PERCHÉ di Marco Tedeschi

innegabile che la conflittualità tra medici e pazienti, negli ultimi anni, sia aumentata in maniera rilevante». È questa l’immagine fotografata dall’avvocato Giovanna Zavota dall’Osservatorio della Sanità. L’Ania, Associazione nazionale delle imprese italiane, stima infatti, che tra il 1994 e il 2008 il numero dei sinistri denunciati alle compagnie per le coperture dell’area medica, della struttura sanitaria e dei singoli operatori, è più che triplicato, passando da 9.567 a 29.597. «Occorre però fare un distinguo in quanto l’analisi dei dati ha evidenziato che ad aumentare non sono state le denunce contro i medici, bensì quelle presentate nei confronti della struttura sanitaria e della relativa Asl. Questo fenomeno è dovuto al fatto che, a differenza della responsabilità penale che è strettamente personale, la responsabilità civile in materia di malpractice medica, è di natura contrattuale e la struttura sanitaria è tenuta a rispondere in via solidale, con il medico».

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Sostanzialmente il medico non è direttamente interessato da queste denunce? «Purtroppo non è così, poiché molti cittadini intraprendono la strada della denuncia penale, indubbiamente meno onerosa di quella civile, talora senza condurre un accertamento preventivo accurato della reale sussistenza della colpa del medico. Non è un caso, infatti, che nell’80 per cento dei casi, intervenga un

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L’avvocato Giovanna Zavota dell’Osservatorio Sanità www.osservatoriosanita.com

provvedimento di non luogo a procedere, ovvero una sentenza di assoluzione. Tuttavia il medico è sottoposto a uno stress che rischia di ripercuotersi sulla vita professionale e privata». È possibile limitare il fenomeno delle denunce superflue? «Un ruolo fondamentale per controllare il fenomeno è nelle mani degli studi legali e delle associazioni che si occupano della malpractice. L’associazione con cui collaboro, Osservatorio Sanità, annovera tra i consulenti, medici esperti di medicina legale e di altre specialistiche, che esercitano un controllo rigidissimo sull’attendibilità delle segnalazioni pervenute». Quindi il suo studio fornisce assistenza solo ai cittadini? «Tendenzialmente il cittadino, dopo attenta verifica viene assistito per lo più in sede civile. Personalmente rappresento molti medici, e in particolare, radiologi».

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RIABILITAZIONE • Piera Pani

PROGRAMMI SPECIFICI PER GLI SPORTIVI di Roberta De Tomi utti possono praticare la corsa, a ogni età, l’importante è evitare il “fai da te” e che si segua un programma di allenamento preciso». Lo afferma la dottoressa Piera Pani, terapista della riabilitazione specializzata nella traumatologia sportiva, che ha maturato la sua esperienza preparando sia atleti professionisti, che non, in particolare partecipanti alla maratona di New York. «Il programma di training di chi intende partecipare a questa celebre kermesse sportiva – spiega – inizia a marzo, per poi concludersi a metà ottobre. Per quanto riguarda i pazienti che seguo, punto soprattutto alla prevenzione da traumi e micro-traumi ricorrenti in questa pratica sportiva. Li visito una volta alla settimana, effettuando il massaggio di scarico. Le persone che tratto hanno trascorsi di traumi: i più semplici sono piccoli strappi o stiramenti, localizzati nel muscolo. In questi casi mi avvalgo della fibrolisi, una tecnica molto invasiva, ma che, attraverso la rottura della cicatrice, consente la rigenerazione del muscolo, con il conseguente ripristino di tutta la sua funzionalità. Un altro aspetto importante è la postura, che in molti casi è errata e, dunque, va corretta». L’esperta enuclea anche alcuni accorgimenti: «Chi corre deve utilizzare calzature adeguate, che devono essere cambiate due volte all’anno. Per quanto riguarda l’abbigliamento, considerando che la temperatura ideale per un maratoneta si aggira intorno ai 14-16 gradi, sono indicati maglietta e calzoncino, badando a coprirsi attentamente La dottoressa Piera Pani, quando c’è freddo. Relativamente alterapista della riabilitazione, l’alimentazione, molto spesso gli atleti ha lo studio a Roma sono indisciplinati, né tengono conto pierapani@alice.it alla necessità di seguire una dieta spe-

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UN PROGRAMMA DI ALLENAMENTO DEFINITO E UNO STILE DI VITA ADEGUATO SONO INDISPENSABILI PER UN MARATONETA, E NON SOLO. IL PUNTO DI PIERA PANI

cifica. Il piano alimentare di uno sportivo deve contemplare sei pasti al giorno: colazione, spuntino a metà mattina, il pranzo a base di insalata (se il lavoro lo consente) e alimenti che contengano carboidrati e proteine, un altro spuntino nel pomeriggio, la cena e prima di andare a dormire, ci si può concedere un pezzo di cioccolata o un frutto. Molti

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Piera Pani • RIABILITAZIONE

atleti ricorrono agli integratori alimentari, tra cui anche quelli naturali come miele e frutta, assunti in grande quantità. Infine, nell’atto della corsa il fegato è sottoposto a uno sforzo notevole, che comporta la produzione di tossine, che vengono eliminate attraverso le vie urinarie; perciò gli atleti devono bere molta acqua. Devono invece evitare i dolci e l’alcol». La dottoressa Pani ha all’attivo esperienze professionali con atleti del calibro di Stefano Tilli, specializzato nella velocità, e di Marlene Ottey, che ha partecipato a otto olimpiadi. Inoltre esercita la professione anche presso il Montecitorio Running Club. «La Ottey – afferma – è arrivata in Italia nell’89 e correva 100 metri in 11’’ e 24. Quando è andata via dal nostro paese, li correva a 10’’ 84. Tale risultato è stato ottenuto grazie al cambiamento nell’assetto della corsa e dell’alimentazione. In quest’ultimo caso, è stata introdotta la pasta, quando prima Marlene mangiava solo riso. Io la trattavo due o

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Tutti possono praticare la corsa, a ogni età, l’importante è evitare il “fai da te” e seguire un programma di allenamento

tre volte a settimana e la seguivo quando faceva i meeting. Lavorare con lei è stato molto positivo, senza contare che, a parte un blocco alla schiena causato da una piccola ernia, non ha mai avuto problemi. Rispetto al Montecitorio Running Club, invece, preparo i deputati per la maratona, con esiti positivi, grazie ad appositi programmi personalizzati». Sul fronte degli apparecchi, la Pani effettua i trattamenti avvalendosi di diversi strumenti. «Privilegio la prevenzione, per cui impiego soprattutto le mani per effettuare diverse pratiche. Mi avvalgo però anche di macchinari, ovvero l’ipertemia e la tecar. Si tratta di strumenti i cui meccanismi si basano sulle onde elettromagnatiche, solo che una è programmata per drenare, mentre l’altra agisce che agisce sulle ossa». E per chi volesse iniziare a correre, l’esperta raccomanda di: «fare le analisi del sangue e della pressione, l’elettrocardiogramma a riposo e sottosforzo, i test per la verifica del consumo di ossigeno. Questo per una pratica sportiva sicura, che, pur essendo rivolta a tutti, non deve mai essere improvvisata».

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INSUFFICIENZA RENALE • Rossana Aliffi

ANCHE IN VACANZA CI SI PUÒ CURARE di Emanuela Caruso ttualmente, in Italia, l’incidenza dell’insufficienza renale cronica si aggira attorno al 5-6 per cento. E proprio per i soggetti che appartengono a quel 5-6 per cento, a Noto, capitale del Barocco, sulla costa sud della provincia di Siracusa, è attivo da più di trent’anni l’Ambulatorio di Nefrologia ed Emodialisi Nefral. Il nefrologo e direttore sanitario dell’ambulatorio, Rossana Aliffi, spiega che «l’obiettivo primario di Nefral è sempre stato quello di mettere a disposizione cure, assistenza e visite e trattamenti medici non solo ai malati della zona di Noto e Siracusa, ma anche a tutti quei turisti affetti da insufficienza renale che decidono di recarsi in vacanza nella Sicilia orientale, permettendo loro di viaggiare senza doversi preoccupare di organizzare le sedute di dialisi e di ricevere un’assistenza ottimale tanto dal punto di vista del trattamento dialitico quanto dal punto di vista dell’organizzazione dei servizi – per esempio, modalità e prenota-

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È UN AMBULATORIO DEDICATO AI PAZIENTI CHE SOFFRONO DI INSUFFICIENZA RENALE QUELLO CHE, A NOTO, PERMETTE AI TURISTI NEFROPATICI DI USUFRUIRE DI ADEGUATE CURE MEDICHE ANCHE IN VACANZA. A PARLARNE È ROSSANA ALIFFI zione delle sedute, trasporto da e per l’albergo dei pazienti attraverso apposita navetta, consulenza farmacologica per i pazienti stranieri». Il principale trattamento medico offerto dall’ambulatorio Nefral è l’emodialisi, terapia sostitutiva della funzione renale che consiste nella depurazione del sangue, attraverso speciali membrane, dalle scorie che si accumulano nel momento in cui i reni perdono la loro capacità di filtrare acqua e soluti. «Nel nostro

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Rossana Aliffi • INSUFFICIENZA RENALE

Ai nostri pazienti assicuriamo trasporto da e per il loro alloggio, assistenza medica 24 ore su 24 e prenotazioni anticipate delle sedute ambulatorio – continua la dottoressa Aliffi – abbiamo cercato di mantenere elevati gli standard qualitativi, proponendo metodiche e materiali innovativi e ponendo grande attenzione alla cura e al comfort dei pazienti. Offriamo, quindi, la possibilità di eseguire tecniche emodialitiche standard o personalizzate, quali Hdf e Afb, supportate dall’utilizzo di apparecchiature di ausilio come l’emogasanalizzatore e il bioimpedenziometro». Con pazienti provenienti da tutte le regioni italiane, nonché da molti paesi esteri, l’ambulatorio Nefral ha sviluppato un forte senso di accoglienza e benvenuto, che cerca di trasmettere al paziente per infondergli speranza e fiducia e migliorarne la qualità di vita. Commenta, infatti, Rossana Aliffi: «L’accoglienza nei nostri ambulatori è massima, così come la disponibilità a rispondere alle esigenze specifiche dei singoli pazienti è totale. I nostri utenti devono poter conciliare il periodo di cura con l’attività turistica, in modo da trascorrere una piacevole vacanza. Essendo ben consapevoli che il paziente nefropatico è un soggetto molto complesso, spesso politrattato farmacologicamente e anche provato emotivamente dal tentativo di riuscire a conciliare la propria vita con il turno dialitico – impresa che all’inizio sembra quasi impossibile – noi cerchiamo di rendere quanto più “sereno e semplice” questo passaggio, facilitando la fase di adattamento e il recupero di un discreto stato di benessere fisico e, quindi, permettendo al paziente di avvicinarsi a una qualità di vita sicuramente migliore». Come spiega ancora la dottoressa Aliffi: «Le

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Da sinistra, Silvia Frasca, Licia Bruno, Rossana Aliffi, Pina Chiaramonte e Concetta Sipione dell’Ambulatorio di Nefrologia e Dialisi Nefral Srl di Noto (SR) www.nefral.com

cause principali che conducono, gradualmente o repentinamente, all’insufficienza renale possono essere il diabete, l’ipertensione, la calcolosi renale, le infezioni croniche delle vie urinarie, alcune malattie sistemiche e genetiche e l’abuso di farmaci nefrotossici. Per quanto riguarda le alterazioni renali modeste, invece, queste sono asintomatiche ed evidenziabili soltanto con esami di laboratorio, ragion per cui i soggetti a rischio di insufficienza renale dovrebbero essere monitorati dal nefrologo. Possono determinare un rallentamento della progressione della malattia il supporto della terapia farmacologica mirata – per esempio, il controllo accurato della pressione arteriosa e della glicemia – la restrizione di sodio e proteine – senza però giungere a una malnutrizione proteico-calorica – l’abolizione del fumo, e una regolare attività fisica».

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BENESSERE • Giovanni Ricciardi

L’ITALIA SVOLTA VERSO IL BENESSERE di Matteo Grande LA CULTURA DEL BENESSERE STA CONOSCENDO UNA NOTEVOLE ESPANSIONE IN ITALIA. SI MOLTIPLICANO LE SPA E LA CURA DEL CORPO ATTRAVERSO COSMESI NATURALE. «SIAMO PERÒ ANCORA INDIETRO RISPETTO AI PAESI DEL NORD EUROPA». LA PAROLA A GIOVANNI RICCIARDI

n Italia si sta diffondendo sempre di più la cultura del benessere. «Nella nostra nazione – spiega il dottor Giovanni Ricciardi, fondatore della Cr Cosmetici -, la cultura del benessere sta conoscendo in quest'ultimo decennio una notevole impennata, sebbene siamo ancora piuttosto indietro rispetto a Paesi come la Germania o l’Austria, in primis, e altri Paesi del Nord Europa, dove questo tipo di cultura è quasi uno stile di vita». Dopo anni di specializzazione nel settore farmaceutico il dottor Ricciardi decide alla fine del 2011 di dedicarsi alla creazione di un’azienda cosmetica che sposa in pieno i principi di una filosofia e di una cultura del benessere.

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Come vede il futuro della cultura del benessere in Italia? «Sono abbastanza ottimista. Dagli ultimi sondaggi, il popolo italiano si sta avvicinando sempre più a questo mondo e, di conseguenza, molti imprenditori stanno investendo in resort, Spa e centri benessere su tutto il territorio nazionale. Basterebbe solo fare un tuffo nel passato, magari informandoci sul modus vivendi dei nostri avi in epoca romana ed etrusca, per amare un po' di più questo stile di vita e divenirne anche noi un po’ più cultori».

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Giovanni Ricciardi • BENESSERE

Lo staff della Farmacia Ricciardi dr Giovanni di Otranto (Le) farm.ricciardi@yahoo.it

Quale bilancio può trarre a seguito dei primi mesi di attività della CR Cosmetici? «Fare un bilancio non è ancora possibile, ma ciò che posso dire, con estremo entusiasmo, è che i prodotti dermocosmetici linea Erre’C della Cr Cosmetici fino adesso commercializzati ci hanno regalato feedback più che positivi, la clientela è soddisfatta e io, in primis, gratificato. Speriamo col nuovo anno che l'azienda vada sempre meglio e che riesca a imporsi bene sia a livello regionale che a livello nazionale. Siamo anche in procinto di lanciare una nuova linea dermatologica e ginecologica». Sempre in un’ottica di miglioramento del benessere del paziente, quanta attenzione si presta a chi soffre di gravi malattie croniche come Sla o Alzheimer? «Nel caso di patologie così gravi e disabilitanti innanzitutto dovremmo essere maggiormente ricettivi e più aperti alla comprensione di queste malattie e delle problematiche a esse associate. Ogni singolo cittadino è chiamato a farlo, basterebbero dei piccoli e semplici gesti o anche solo una costante, anche se breve, riflessione. Oltre alle tante associazioni di volontariato e non (e questo dà notevole merito all'Italia), la Sanità privata si sta attrezzando per garantire un benessere psicofisico all'ammalato e ai parenti dell'assistito. Servono risorse economiche, specializzazioni, tanta professionalità e soprattutto molta sensibilità». Quale ruolo devono e possono ricoprire in questo contesto le strutture private al fine di garantire uno sviluppo e un miglioramento dei servizi sanitari presenti sul territorio? «La Sanità privata può svolgere un importante ruolo, solo se riesce a individuare e colmare i tanti vuoti lasciati scoperti dalla Sanità pubblica in ambito assistenziale e in ambito di servizi, di prima e seconda necessità, nei confronti del cittadino sano e malato. Anche la prevenzione sul nostro intero territorio nazionale non è sviluppata nel migliore dei modi e andrebbe, a mio modesto parere, migliorata e rivista,

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Basterebbe informarci sul modus vivendi dei nostri avi in epoca romana ed etrusca, per amare un po' di più uno stile di vita improntato al benessere

sia per risparmiare sui costi delle varie terapie per patologie diagnosticabili anticipatamente, sia per rendere la vita di ogni utente la migliore e la più lunga possibile». A breve inaugurerete anche una Rssa. Di cosa si tratta? «È una struttura attrezzata con 80 posti letto residenziali, e con un'area sanitaria dotata di 35 posti letto, piscina e palestra, ideata per la riabilitazione motoria di ammalati con sclerosi multipla e Sla e con servizi per malati di Alzheimer. Lo stato attuale dei lavori è comunque appena agli inizi, sono stati solo risolti tutti i problemi di carattere burocratico, in attesa di procedere con i lavori di modifica e ampliamento di una struttura già esistente».

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BENESSERE • Park Hotel ai Cappuccini

ARMONIA DI CORPO E MENTE di Emanuela Caruso TRATTAMENTI DI BELLEZZA, MASSAGGI AL CORPO, BAGNI IN ACQUE RICOSTITUENTI, GINNASTICA FACCIALE E RIGENERANTE. COSÌ SI RAGGIUNGE IL BENESSERE PSICO-FISICO. IL COMMENTO DI MARIA CARMELA COLAIACOVO

orpo-mente-ambiente, ovvero armonia tra corpo, spirito e ambiente circostante, comunanza profonda con la natura e utilizzo di prodotti naturali. È questa la filosofia di Aveda, azienda che da svariati anni si fa aiutare dall’ayurveda per incrementare il benessere psico-fisico. Una serie di prodotti e trattamenti ispirati alla cultura ayurvedica, ma totalmente rivisti e resi terapeutici dagli aromi funzionali adottati dal centro benessere del Park Hotel ai Cappuccini, situato a due passi dal centro storico medievale di Gubbio. Come racconta Maria Car-

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mela Colaiacovo, amministratore delegato dell’hotel: «Nel nostro centro benessere abbiamo unito la filosofia estetica di Aveda a un ambiente armonioso sia dal punto di vista architettonico che dal punto di vista naturalistico. Dai trattamenti offerti all’ambientazione ricreata, tutto è stato pensato per trasmettere relax e senso di accoglienza. E questo tanto al corpo quanto alla mente e alle emozioni – proprio secondo i principi base dell’ayurveda e di Aveda – ragion per cui le nostre massaggiatrici e terapiste mescolano ai massaggi e ai rituali di bellezza il benessere trasmesso attraverso il tatto».

Il Parco Acque indoor del Park Hotel ai Cappuccini di Gubbio www.parkhotelaicappuccini.it

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Park Hotel ai Cappuccini • BENESSERE

Sono due le zone che costituiscono l’area benessere del Park Hotel ai Cappuccini: la Spa, caratterizzata da legni caldi e pietre grigie, e il Parco Acque indoor, che si distingue per un’architettura futurista, le forme giallo limone e l’affresco di Arnaldo Pomodoro raffigurante le onde del mare. Come spiega ancora Maria Carmela Colaiacovo: «Oggi, essere belli significa essere sicuri di sé, tranquilli, sereni e in uno stato psicofisico di totale armonia. Ecco allora che la nostra Spa e la zona acqua ci permettono di portare gli ospiti verso questo traguardo tramite un’ampia gamma di trattamenti al viso e al corpo e trattamenti termali

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esfolianti, anti-age per viso e corpo, foot e hand spa». Tra i trattamenti più interessanti svolti nel centro benessere del Park Hotel ai Cappuccini rientra sicuramente l’utilizzo della terra di Nocera – cittadina a pochi chilometri da Gubbio e stazione termale già in epoca romana – che conta un’elevata valenza terapeutica per il benessere della pelle. «Durante i nostri trattamenti l’argilla di Nocera viene impiegata, nella formula di fanghi o cataplasmi, anche per risolvere casi di processi infiammatori della pelle. Nel Parco Acque, invece, le attività principali in vasca grande tra cui si può scegliere sono idromassaggi, nuoto controcorrente e getti d’acqua, mentre nella stanza delle vasche si può utilizzare la vasca al magnesio e potassio, in cui questi integratori importantissimi per l’uomo vengono trasmessi attraverso la pelle, la vasca salina o di galleggiamento, e la vasca idrojet muscolare, pensata per funzioni prettamente sportive». All’interno dell’area Cappuccini Wellness & Spa infine, benessere e sport vengono uniti in soluzioni appositamente studiate per i manager o gli staff aziendali che soggiornano nella struttura. «Per loro – conclude Maria Carmela Colaiacovo – mettiamo a dispozione lezioni di yoga, pilates e ginnastica correttiva volte a facilitare il controllo psico-motorio e delle emozioni e a insegnare la gestione dello stress e dei blocchi muscolari. Queste lezioni vengono prenotate, organizzate e personalizzate. Sempre indirizzato alle persone in carriera che accogliamo nel nostro hotel è il corso di ginnastica facciale, valido per la conoscenza e il controllo del viso e anche per l’effetto antirughe che produce attraverso lo sviluppo della muscolatura del volto».

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QUANDO È IL COMPUTER A GUIDARE di Francesca Druidi A BOLOGNA UN CONGRESSO INTERNAZIONALE AGGIORNA SUI PROGRESSI DELLA CHIRURGIA IMPLANTARE COMPUTER GUIDATA. NE PARLA MARCO RINALDI, PRESIDENTE DI SIMPLANT ACADEMY ITALY Marco Rinaldi, presidente della Simplant Academy Italy e consulente dell’Istituto stomatologico Beretta

i terrà il 26 e 27 ottobre il sesto simposio internazionale della SimPlant Academy “Innovative solutions in guided implantology”, dedicato alla chirurgia implantare computer guidata, tecnica che utilizza software innovativi per pianificare l’intervento di implantoprotesi. A organizzare l’evento, che si svolgerà presso l’Ospedale Maggiore di Bologna, sono l’Istituto stomatologico Beretta, diretto da Angelo Mottola, e l’unità operativa di chirurgia maxillofacciale, diretta da Luciano Gentile, in collaborazione con la SimPlant Academy Italy. A presentare in dettaglio questo appuntamento, concentrandosi sugli attuali sviluppi della chirurgia implantare computer guidata, è proprio il presidente di Simplant Academy Italy, Marco Rinaldi.

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Quali sono le linee guida di questo appuntamento internazionale? «Va ricordato, innanzitutto, che la Simplant Academy riunisce con finalità di scambio culturale gli utilizzatori del software di pianificazione implantare

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SimPlant di tutto il mondo ed è organizzata con un presidente nazionale e dei consiglieri che fanno capo a study club presenti nelle principali città, i quali si riuniscono quattro volte l’anno per portare contributi clinici o di ricerca nel congresso nazionale. Già nel 2008 abbiamo organizzato al Maggiore il primo Symposium SimPlant Academy, dando il via alla diffusione su larga scala del software SimPlant, prodotto in Belgio dalla Materialise, la più grande industria di prototipizzazione stereolitografica (3D Printing) del mondo. È, infatti, il 2008 l’anno di apertura della sede italiana di Materialise Dental. Questa volta, abbiamo voluto realizzare un evento internazionale per fare il punto sullo stato dell’arte delle applicazioni cliniche della chirurgia computer guidata». Come avete selezionato i contributi? «Abbiamo invitato tutti gli utenti del software SimPlant a sottoporre lavori clinici o di ricerca al comitato scientifico del congresso, formato dal sottoscritto e dai dottori Luciano Gentile e Angelo Mottola, per selezionare i contributi più significativi

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Marco Rinaldi • IMPLANTOLOGIA

Pianificazione implantare in visione 3D

e scegliere le relazioni congressuali. Alla fine, abbiamo accettato una quarantina di relatori provenienti da tutto il mondo; abbiamo avuto contributi da Stati Uniti, Francia, Germania, Spagna, Cina, Austria e naturalmente dall’Italia. Tra i moderatori, potremo inoltre contare su molti docenti universitari provenienti dagli atenei di diverse città italiane». In quale nazione si stanno registrando gli sviluppi più promettenti in questo campo? «Mi sentirei di rispondere l’Italia per varie ragioni. Proprio nel nostro Paese abbiamo organizzato questo primo evento internazionale, ma soprattutto l’Italia è oggi al terzo posto dopo Stati Uniti e Giappone - ma davanti a Germania, Francia, Spagna e Gran Bretagna - nel numero di casi trattati con le guide chirurgiche prodotte da Materialise (SurgiGuide). In Italia la diffusione della chirurgia guidata sta attualmente registrando una crescita “double digit”, nonostante la situazione di crisi economica. Inoltre, posso affermare con certezza, dopo essere stato relatore a un recente congresso sull’implantologia computer

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guidata a New York, che il livello di preparazione dei clinici italiani è altissimo, sicuramente tra i migliori al mondo in questo campo». Quali sono le ultime applicazioni tecnologiche nell’ambito della chirurgia guidata e della pianificazione in 3D? «La chirurgia implantare computer assistita rappresenta una realtà che ha modificato molte tecniche e protocolli chirurgici, aprendo nuove possibilità di trattamento in tutte le situazioni cliniche. Attraverso la stereolitografia (Stl) è possibile, partendo dei dati Tac, realizzare modelli anatomici tridimensionali dei mascellari dei pazienti per valutare i dettagli anatomici o progettare interventi di chirurgia ricostruttiva nei casi di gravi atrofie. In altri casi, si può evitare di ricorrere a innesti posizionando, in modo guidato, gli impianti in sedi strategiche. Attraverso la simulazione computerizzata si può progettare il piano di trattamento, rapportando la posizione degli impianti alla protesi. Il progetto viene poi trasferito al paziente attraverso guide chirurgiche anch’esse stereolitografi-

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IMPLANTOLOGIA • Marco Rinaldi

Una chirurgia implantare sicura non può prescindere dalla precisa conoscenza tridimensionale dell’anatomia ¬

che. Si può anche realizzare la protesi provvisoria prima della chirurgia e riabilitare immediatamente il paziente. Le applicazioni del software in chirurgia ortognatica consentono una simulazione con previsione del risultato estetico dei tessuti molli anche attraverso la sovrapposizione fotografica gestita in 3D». Il suo libro “Superamento degli ostacoli anatomici in chirurgia implantare”, scritto con Angelo Mottola, è dedicato alla chirurgia computer guidata. Come potrebbe sintetizzare i benefici di questa tecnica per il paziente? «I vantaggi per il paziente sono enormi, ma evitando ogni sensazionalismo, siamo partiti dal concetto che una chirurgia implantare sicura non possa prescindere dalla precisa conoscenza tridimensionale dell’anatomia; conoscenza che le comuni immagini radiografiche bidimensionali non possono fornire. Vi sono sempre piccoli o grandi ostacoli anatomici al posizionamento degli impianti, costituiti dallo spessore, dall’altezza dell’osso, dai seni mascellari, dai nervi alveolari, per citarne alcuni. La chirurgia computer guidata ci fornisce gli strumenti per capire meglio e per superare questi ostacoli. La sicurezza rappresenta il vantaggio più grande per il paziente e per citare Scott Ganz, pioniere nel campo dell’implantologia computer guidata, rimarcherei il fatto

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che è pericoloso rimanere legati a concetti bidimensionali in un mondo tridimensionale, “There is a danger when we are bound by two dimensional concepts in a three dimensional world”». Quali margini di sviluppo prevede per la chirurgia implantare computer guidata? «Oggi, in realtà, la chirurgia implantare computer guidata tende a essere utilizzata per i casi complessi e comunque solo il 10 per cento circa degli implantologi utilizza i software di progettazione, ma si prospetta una sua diffusione molto rapida in tutto il mondo anche per i casi più semplici». A che punto è la diffusione e l’evoluzione di questa tecnica nel mondo? «Ogni anno Materialise produce per il mercato mondiale circa 30.000 guide chirurgiche». Quali margini di sviluppo prevede, invece, per la chirurgia implantare computer assistita? «Uno studio del Millenium Research Group, che considera una proiezione al 2013, riporta che un impianto su cinque sarà posizionato attraverso una dima chirurgica. Probabilmente, si arriverà presto ad avere delle piccole macchine 3D printing anche per uso ambulatoriale».

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ODONTOIATRIA • Stefano Aracci

SEMPRE PIÙ FORMAZIONE PER GLI ODONTOIATRI di Matteo Grande

l livello di difficoltà dei casi clinici sui quali lavoriamo è volutamente elevato. Abbiamo riscontrato infatti che la capacità di apprendimento è maggiore nei casi di studio più complessi rispetto alla norma». È con queste parole che il dottor Stefano Aracci, primario del Centro di Odontoiatria e di Implantologia al Policlinico S. Marco di Venezia e presidente dell’Associazione italiana di Odontoiatria Operativa, attiva nell’organizzazione di corsi pratici di formazione e aggiornamento per lo specialista presenta i metodi d’apprendimento che vengono utilizzati all’interno dell’Associazione. «L’Associazione italiana di odontoiatria operativa – prosegue Aracci – ha iniziato la sua attività nel 1985. È stata storicamente la prima a organizzare in Italia corsi pratici con simulatori con tessuti in cui i partecipanti eseguono personalmente tutte le procedure odontoiatriche insegnate. In questi 27 anni più di 9.000 odontoiatri hanno partecipato ai corsi nella sede didattica di Padova».

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Che cosa caratterizza i corsi di formazione e aggiornamento dell’associazione? «I corsi si concentrano sull’esposizione delle metodiche operative di procedure odontoiatriche, con successiva esercitazione pratica da parte del corsista. Ogni partecipante ha dedicata una postazione al riunito e tutti i materiali e gli strumenti necessari. Segue la spiegazione didattica del docente a video e, subito dopo, passa dalla teoria alla pratica sui simulatori con tessuti. L’affiancamento continuo di un tutor permette poi di soddisfare ogni suo dubbio sull’intervento. Tutto questo consente al partecipante di prendere da subito confidenza con ogni procedura, mettendolo nelle condizioni di replicarle con sicurezza, sui propri pazienti. I

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IN 27 ANNI, PIÙ DI 9000 ODONTOIATRI SI SONO FORMATI PRESSO LA SEDE DI PADOVA DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI ODONTOIATRIA OPERATIVA. TRA METODICHE OPERATIVE ED ESERCITAZIONI PRATICHE. IL PUNTO DI STEFANO ARACCI

Il dottor Stefano Aracci è primario del Centro di Odontoiatria e di Implantologia al Policlinico S. Marco di Venezia e presidente dell’Associazione italiana di Odontoiatria Operativa www.centriodont.it - www.odop.it

corsi pratici su simulatori con tessuti sono corsi istituzionali che riguardano tutte le procedure odontoiatriche, dalla conservativa all’endodonzia e protesi, dalla ortodonzia all’implantologia, dalla chirurgia parodontale alla levigatura delle radici, dalla chirurgia orale alla chirurgia endodontica. Sono rivolti anche a odontoiatri che non hanno alcuna esperienza clinica». OTTOBRE 2012


Stefano Aracci • ODONTOIATRIA

Da dove nasce l’idea di corsi sul paziente a domicilio? «Nasce proprio da un’esigenza degli odontoiatri. Fin dai primi anni, abbiamo organizzato un servizio di consulenze chirurgiche a domicilio negli studi per affiancare gli specialisti nei primi casi chirurgici e per fare loro acquisire progressivamente anche le procedure più complesse, in particolare quelle di chirurgia implantologica per il rialzo del seno e di bypass del canale mandibolare». Come sono organizzati i nuovi corsi ECM? «Con l’introduzione dell’ECM abbiamo fornito un ulteriore servizio, accreditando i casi chirurgici trattati dal docente come corsi pratici su paziente. In questo modo i colleghi che richiedono l’aiuto del docente nel loro studio possono ottenere i crediti ECM, che nel caso dell’implantologia vanno da 10 a 40 crediti per ogni paziente». I corsi Ecm su paziente sono attivati anche al Policlinico S. Marco di Venezia? «Sì, e i partecipanti possono utilizzare per i pazienti una struttura ospedaliera con servizio anestesioloOTTOBRE 2012

gico ed essere guidati nell’esecuzione dei loro casi clinici, acquisendo anche in questa sede crediti per ogni intervento chirurgico eseguito assieme al docente, per diventare progressivamente autonomi anche nei casi clinici più complessi». Quale altra attività viene svolta al Centro di odontoiatria del Policlinico San Marco di Venezia? «Si tratta di una struttura polispecialistica che offre tutti i trattamenti più complessi, dalle riabilitazioni di intere arcate con impianti in anestesia generale alle procedure ortodontiche e di chirurgia mascellare. Il centro di Odontoiatria del Policlinico San Marco di Venezia è anche il centro di riferimento per gli odontoiatri che aderiscono alla rete di studi dentistici autonomi sotto la denominazione di CentriOdont. Gli studi dentistici affiliati si caratterizzano per livello qualitativo dei trattamenti offerti ai pazienti e acquisite ai corsi dell’associazione. Inoltre sono collegati direttamente al Centro di Odontoiatria di Venezia per tutti i trattamenti odontoiatrici più impegnativi che è preferibile affrontare in ambiente ospedaliero».

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ODONTOIATRIA • Egidio Biffi

ESTETICA E SALUTE DEI DENTI di Elisa Fiocchi

on sono poche le variabili da considerare nel campo della cura dentale. Se è vero, infatti, che l’ortodonzia permette di trattare le anomalie dell’apparato stomatognatico, riportando i denti e il profilo facciale nella posizione più corretta, è altrettanto vero che ci sono distinzioni necessarie tra paziente e paziente. A differenza del bambino, per esempio, nell'adulto è possibile intervenire solo con movimenti dentali e non scheletrici. Il dottor Egidio Biffi, che esercita presso l’Ambulatorio Odontoiatrico Biffi di Carvico (BG), illustra come sia possibile intervenire nell'adulto nei casi di seconde e terze classi scheletriche. «Questi casi – spiega – sono delicati e complessi: la causa è genetica e porta a conseguenze serie per la salute del cavo orale».

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Dottor Egidio Biffi, odontoiatra e protesista dentale presso l’ambulatorio odontoiatrico Biffi di Carvico (BG) www.ambulatorioodontoiatricobiffi.it

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DOPO LA TERAPIA ODONTOIATRICA, IL PAZIENTE RITROVA UN CORRETTO ALLINEAMENTO DEI DENTI E UN’ARMONIOSA ESTETICA DEL VISO. IL PUNTO DI EGIDIO BIFFI

Quali sono i principali rischi per il paziente? «Queste patologie possono causare la perdita di denti dovuta a mal occlusione, problemi respiratori, compromissione della fonetica, problemi all'articolazione temporo-mandibolare e, non per ultimo, l’interazione tra l'apparato stomatognatico e il corpo "postura". Un altro fattore importante è l'estetica del volto, che risulta danneggiata dal difetto osseo». Come intervenire con terapie mirate? «Con i miei collaboratori ci occupiamo da molti anni di questi casi complessi con una casistica talmente ampia da diventare il nostro punto di forza. La risoluzione di questi problemi comporta una lunga terapia e il coinvolgimento del paziente con varie figure professionali. Il risultato delle terapie complesse dipende dal team odontoiatrico altamente qualificato che è coinvolto per interagire con il paziente e che svolge una doppia funzione: da un lato educativa, per motivarlo all'igiene orale e a farOTTOBRE 2012


Egidio Biffi • ODONTOIATRIA

gli comprendere l'importanza dei controlli, dall'altra terapeutica con un percorso personalizzato». Qual è il ruolo dell’odontoiatra e dell’ortodonzista? «Il primo ha il compito di recuperare gli elementi dentali compromessi e, dove necessario, con terapie parodontali riportare un’adeguata situazione di salute del cavo orale, e preparare il campo all’ortodontista. Questo è chiamato a riallineare i denti e a ristabilire nuovi piani occlusali per consentire allo specialista maxillo facciale di riportare la parte scheletrica in posizione adeguata per la risoluzione del caso. Infine, lo specialista odontoiatra avvalendosi di manufatti protesici, come ad esempio corone e faccette in ceramica, ridarà al paziente la funzione occlusale ottimale e finalmente un nuovo sorriso. È importante sottolineare, inoltre, come dopo la tera-

Lo specialista odontoiatra avvalendosi di manufatti protesici, come corone e faccette in ceramica, ridarà al paziente la funzione occlusale ottimale pia, grazie ad una nuova estetica del viso, il paziente acquisisca maggior sicurezza e autostima influenzandone positivamente le relazioni sociali». Si tratta di terapie molto costose? «Sono terapie costose perché lunghe e complesse, non è possibile offrire determinati risultati con le cifre “low cost” che oggi si sentono sul mercato. Il mio obiettivo è di puntare alla miglior soluzione funzionale ed estetica». Tra i pazienti, quali sono i casi d’intervento più diffusi? «Il nostro ambulatorio si occupa di tutto, dalla conservativa al parodonto, dalle terapie per i bambini all’implantologia. Seguiamo con grande interesse la parte estetica perché riteniamo sia importante e manteniamo strette collaborazioni con la maxillo che spaziano oltre l’odontoiatria». Quali sono le novità in campo odontoiatrico? «C’è stata un’evoluzione nel campo degli impianti con l'utilizzo di impianti zigomatici, da prima utilizzati esclusivamente su pazienti oncologici ora anche per persone che hanno particolari carenze d’osso. Sono interventi che richiedono un ricovero e l'utilizzo di sala operatoria presso strutture adeguate, si ottengono ottimi risultati».

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ODONTOIATRIA • Alvise Cappello e Antonio Olivo

IMPIANTI ZIGOMATICI, I VANTAGGI OGGI, È POSSIBILE RIDARE CONFORT FUNZIONALE ED ESTETICO AI PAZIENTI CHE SOFFRONO DI ATROFIA AL MASCELLARE ATTRAVERSO GLI IMPIANTI ZIGOMATICI. NE PARLANO ALVISE CAPPELLO E ANTONIO OLIVO di Emanuela Caruso ggi, gli impianti zigomatici sono l’alternativa migliore all’innesto d’osso nei casi di marcata atrofia al mascellare. In quanto, a parità di costi, questi impianti permettono trattamenti più veloci, maggiori probabilità di successo e minor disagio per il paziente». Ad affermarlo sono il dottor Alvise Cappello, specialista in odontostomatologia, e il dottor Antonio Olivo, specialista in chirurgia maxillo facciale – premiati nel 2008 al Nobel Biocare World Tour con una pubblicazione sugli impianti zigomatici –, rispettivamente direttore sanitario e direttore I dottori Antonio Olivo e Alvise Cappello, scientifico di Medical Cenrispettivamente direttore scientifico e ter Padova, struttura dosanitario del Medical Center Padova www.medicalcenterpadova.it tata delle più moderne tecnologie radiologiche per la diagnosi delle malattie della bocca, dieci sale operative con poltrone odontoiatriche, una sala operatoria attrezzata per anestesie generali e un’area sterilizzazione.

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Perché gli impianti zigomatici sono una soluzione migliore rispetto

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all’innesto dell’osso? Antonio Olivo: «L’innesto d’osso è una soluzione che raramente riesce a ricostruire e restituire un’anatomia normale ed è quindi necessario accettare importanti compromessi, quali per esempio ingombranti strutture per compensare i difetti rimasti. L’innesto d’osso, inoltre, ha svariati altri limiti, tra i quali l’impossibilità di prevedere quanto osso ci sarà a guarigione avvenuta, tempistiche di circa 8-12 mesi per farsi rimontare i denti dopo l’intervento, la necessità di sottoporsi a ben due operazioni chirurgiche e probabilità di successo che variano dal 60 all’80 per cento». Cosa sono quindi gli impianti zigomatici e quali vantaggi presentano? Alvise Cappello: «Sono impianti che si ancorano al processo zigomatico e sui quali, salvo imprevisti intraoperatori, si può realizzare il cosiddetto carico immediato. Grazie a questi impianti è possibile risolvere il problema dell’atrofia al mascellare con un solo intervento chirurgico e ottenere la protesi provvisoria fissa dei denti entro tre giorni, in modo da dare al paziente un confort funzionale ed estetico elevato. Inoltre, le probabilità di successo sono alte, tra il 98 e il 100 per cento, e il disagio post operatorio è contenuto». OTTOBRE 2012



ODONTOSTOMATOLOGIA • Antonino Castellino

ALL’ORIGINE DEL DOLORE di Mario Rossi uanto c’è di vero nel fatto che sindromi dolorose come il mal di testa, dolori facciali, dolore cervicale, dolore alle spalle, mal di schiena o un deficit nella deambulazione possono dipendere dai denti? A rispondere è un esperto in materia: il dottor Antonino Castellino, che dirige gli studi di odontostomatologia e di gnatologia integrata a Catania e Monterosso Almo (RG).

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Come possono le suddette sindromi dipendere dai denti? «In verità i denti centrano poco. Le suddette sindromi, se non sono di altra origine, principalmente sono conseguenza della disfunzione dell’articolazione temporo-mandibolare, un’affezione che colpisce l’articoGli studi di odontostomatologia lazione che permette l’apertura e e di gnatologia integrata diretti dal dottor Antonino Castellino chiusura della bocca». si trovano a Catania e Monterosso Almo (RG) www.studiocastellino.com

IL MAL DI TESTA, IL DOLORE CERVICALE E IL MAL DI SCHIENA POSSONO DIPENDERE DAI DENTI? ANTONINO CASTELLINO, ATTRAVERSO LA GNATOLOGIA INTEGRATA, PROPONE UNA TERAPIA “SISTEMICA” A PARTIRE DA UN APPARATO MASTICATORIO DEFICITARIO

Quindi si tratta di un dolore la cui origine è articolare? «Quasi mai. È un dolore di origine muscolare, a partenza cioè dai muscoli preposti alla posizione di riposo e attività motoria della mandibola. In pratica accade che quando uno di questi muscoli è soggetto a iperfunzione è molto facile che si determini un dolore a distanza come la cefalea, la cervicalgia, il mal di schiena o altro ancora». Si spieghi meglio. «Tecnicamente si dice che un muscolo in iperfunzione produca uno o più “trigger point”, formazioni responsabili della sintomatologia dolorosa a distanza. “Trigger point” significa appunto “punto grilletto”, punto cioè da cui parte, localizzandosi a distanza, il dolore». Ma come si relazionano il mal di schiena e la cervicalgia con i muscoli masticatori? «Bisogna partire dall’idea di “sistema”, di “complessità” e di sistemi biologici che interagiscono, concetti che stanno alla base della scienza sistemistica».

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Antonino Castellino • ODONTOSTOMATOLOGIA

Cosa intende dire? «Tutto in natura è “sistema”, dal semplice atomo all’universo. Così l’apparato masticatorio a tutti gli effetti è un “sistema complesso”, composto cioè da elementi (denti, muscoli e articolazione) che solo relazionandosi tra loro possono produrre una funzione, quale per esempio il masticare, il parlare o altro. Ma proprio perché il sistema masticatorio è un sistema, esso non può non interagire con altri sistemi biologici, consentendo così l’unità dell’essere vivente, che a sua volta interagisce con l’ambiente circostante nell’ottica della sua sopravvivenza». Lei parla di sistema e di interrelazione. Ma cosa intende praticamente? «Si pensi per esempio all’interrelazione del sistema masticatorio con il sistema muscolo-posturale nello stesso individuo. Il sistema tonico posturale è quel sistema che permette la stazione eretta e la locomozione. L’esperienza clinica dimostra che molte cefalee, cervicalgie, lombo-sciatalgie, gonalgie, sindromi vertiginose o anche alterazioni nella deambulazione, se non sono sostenute da particolari affezioni loco-regionali dimostrabili, sono quasi sempre l’espressione di uno squilibrio nell’apparato masticatorio che ha prodotto squilibri nel settore muscolo-posturale o viceversa. Bisogna entrare nell’ottica che l’essere vivente non è, come si pensava nel 700, una macchina. Né il suo funzionamento è di tipo meccanico. Alla base di tutto esiste un processo di informazioni che partendo dalla periferia raggiunge il sistema nervoso centrale, quindi il cervello, che decodifica tali informazioni e mette in atto una serie di processi, soprattutto muscolari, per ottemperare a particolari esigenze. Se esiste una disfunzione articolare, dovuta per esempio a uno spostamento della mandibola da una posizione fisiologica a un’altra (cosa che può verificarsi per vari motivi), il sistema

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L’esperienza clinica dimostra che molte cefalee e lombo-sciatalgie sono l’espressione di uno squilibrio nell’apparato masticatorio nervoso centrale né è a conoscenza e adotta contemporaneamente un “compenso” muscolare sistemico a tale anomalia. Ne consegue un’attività muscolare sbilanciata e foriera di formazione di trigger point, responsabili poi di sintomatologie dolorose». Allora è sufficiente curare i denti per risolvere queste sindromi dolorose? «Non esattamente. A volte può accadere esattamente il contrario. Può succedere per esempio che la sintomatologia dolorosa si instauri qualche tempo dopo aver curato i denti o aver subito una qualche protesizzazione dentaria oppure una correzione ortodontica. In pratica accade che l’equilibrio vigente prima di curare i denti nel sistema muscolare, sia sistemico che loco regionale, sia stato compromesso e abbia

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ODONTOSTOMATOLOGIA • Antonino Castellino

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dato il posto a un altro equilibrio comportante un sovraccarico muscolare in determinati muscoli, responsabile poi di sintomatologia dolorosa».

questo che si occupa la gnatologia: ripristinare un sistema masticatorio che non comporti un sovraccarico muscolare locoregionale e sistemico».

Sembrerebbe che lei correli l’odontoiatria con la posturologia. «Semmai con la gnatologia, una scienza che si occupa dell’articolazione temporo-mandibolare. E chi si occupa di gnatologia, inevitabilmente sfocia nella posturologia. Denti e articolazione temporo-mandibolare sono tra loro in simbiosi, una simbiosi che ha bisogno di un “motore”, quale il sistema muscolare masticatorio, perché i suddetti apparati possono essere relazionati, permettendo così una funzione d’insieme. Quando uno di questi è deficitario, tutto il sistema masticatorio diventa deficitario, alterando di fatto i singoli componenti del sistema masticatorio, con il risultato di ciò che viene definita “disfunzione temporo-mandibolare”. Non è curando solamente i denti che si risolve il problema, quanto rimuovendo le cause che hanno determinato i danni dentali (che sono quasi sempre di origine disfunzionale) e le alterazioni consequenziali nel sistema muscolare e articolare, oltre che posturale. Ed è proprio di

Si spieghi meglio. «Nel mio quotidiano ambulatoriale a Catania e Monterosso Almo, ricevo prevalentemente pazienti affetti da disfunzione dell’articolazione temporo-mandibolare, pazienti cioè che accusano pesanti sintomatologie dolorose come cefalee, dolori facciali, cervicalgie invalidanti, dolori al ginocchio, lombalgie, sindromi vertiginose, deficit nella deambulazione e altro. Sono essenzialmente pazienti che presentano alterazioni nel sistema masticatorio, accompagnate da sintomatologie dolorose sistemiche. Nel sito www.studiocastellino.com alla voce Testimonianze, è possibile verificare l’iter che hanno subito tali pazienti prima di risolvere la loro sintomatologia dolorosa. Vale la pena ascoltarli. Naturalmente è importante che le stesse sindromi dolorose non siano conseguenza di situazioni specifiche loco regionali, nel qual caso è indispensabile un’importantissima concertazione con specialisti del settore».

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CACCIA AI LADRI SILENZIOSI DELLA VISTA «UNA MENTALITÀ ATTENTA AL BENE DELLA VISTA - RICORDA ROBERTO BELLUCCI, DIRETTORE DI OCULISTICA PRESSO L’AZIENDA OSPEDALIERA DI VERONA È IL PRIMO IMPORTANTE ELEMENTO CHE DOVREBBE ESSERE INSEGNATO NELLE SCUOLE E DIFFUSO FRA GLI ADULTI»

econdo l’indagine mondiale “Barometer of Global eye health”, condotta da Bausch + Lomb, la maggior parte degli intervistati ritiene di avere informazioni ampie e pertinenti circa il proprio stato di salute oculare. Una quantità di informazioni così grande deriva soprattutto dal materiale che circola nella rete internet: blog di pazienti e di loro associazioni, notizie di stampa cartacea e virtuale, informative pubblicitarie dei medici. Si tratta però in gran parte di materiale non controllato, in molti casi superficiale, errato o fraudolento. «Credo che l’appropriatezza dell’informazione sia un punto cruciale della sanità moderna – commenta Roberto Bellucci, direttore di Oculistica presso l’Azienda ospedaliera di Verona – e sarebbe importante trovare un metodo per caratterizzare il tipo di informazione che troviamo nella rete. È il caso di ricordare che le riviste scientifiche pubblicano articoli di medici solo dopo averli sottoposti a un comitato di redazione che ha il compito di trovare difetti e incongruità».

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Quali i luoghi comuni da sfatare tra le persone

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di Renata Gualtieri

spesso poco informate sulla salute degli occhi? «Incontro spesso persone convinte che usare poco o nulla gli occhiali comporti un danno per la vista, cosa che è vera solo talvolta e solo per bambini. In realtà l’uso dell’occhiale favorisce la visione e il benessere degli occhi, ma l’anatomia e la fisiologia dell’occhio rimane la stessa. Mi viene spesso detto che le lenti a contatto arrestano la progressione della miopia, cosa in realtà mai dimostrata. Spesso chi vede bene con un occhio teme si possa “consumare” per il troppo uso, anche questa è una leggenda mai confermata. Altre volte il pregiudizio è pericoloso, come quando si pensa che il fumo di sigaretta possa solo uccidere. In realtà, il fumo ci fa ammalare prima di ucciderci e gli occhi possono risentirne in misura fortissima». Su cosa occorre puntare per salvaguardare la salute degli occhi? «Se tutti i giorni ci laviamo i denti perché trascuriamo i nostri occhi? Una mentalità attenta al bene della vista è una delle cose che dovrebbero essere insegnate nelle scuole e diffuse fra gli adulti. Non fu-

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Roberto Bellucci • OFTALMOLOGIA

Roberto Bellucci, direttore dell’Unità operativa di oculistica presso l’Azienda ospedaliera di Verona

mare è il secondo provvedimento utile a livello sociale perché il fumo altera la superficie dell’occhio causando irritazione ed è in grado di danneggiare la retina favorendo la degenerazione maculare senile. Se nella società è trascurata, la salute degli occhi è ben considerata sui luoghi di lavoro e andrebbe da lì esportata nelle nostre case. Vi è poi la prevenzione secondaria, intesa come diagnosi precoce, che viene realizzata attraverso visite ed esami periodici cui possiamo sottoporci presso il nostro oculista». Quanto è importante la prevenzione e da quali accorgimenti parte? «Sono molte le malattie definite “ladri silenziosi” della visione. Nell’infanzia anche un piccolo e inapparente difetto può dare luogo ad ambliopia, ossia a deprivazione visiva in assenza di alterazioni anatomiche, che è irrecuperabile dopo i 7-8 anni. L’età adulta è più risparmiata, ma dopo i quarant’anni è il glaucoma a chiedere tributo, una malattia del nervo ottico assolutamente indolore che è spesso sostenuta da un innalzamento della pressione intraoculare. In Italia il glaucoma interessa purtroppo fino al 4 per cento della popolazione e fino al 10 per cento dei soggetti più anziani. Fra questi ultimi, la degenerazione maculare è la prima causa di danno della visione, con gravi conseguenze specie sulla capacità di lettura. La prevenzione parte da una visita oculistica, l’unica che può rilevare stati iniziali delle malattie e indicare i provvedimenti necessari per evitare o limitare i danni. Da notare che la cataratta, l’opacità della lente naturale dell’occhio che colpisce ogni anno più di 300mila persone in Italia, non è considerata fra i ladri silenziosi perché non “ruba” la vista, ma la “nasconde” dove la possiamo ritrovare tutta

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con l’intervento chirurgico». Quanti controlli oculistici sono necessari all’anno per cogliere eventuali disturbi collegati? «Meno di uno. Se consideriamo che il primo screening viene effettuato dal pediatra alla nascita, direi che in assenza di sospetti la visita oculistica è indicata ogni 3 anni fino ai 12, poi a bisogno fino ai 40, poi ogni 2-3 anni fino ai 70, e poi ogni anno. L’oculista ci dirà se dobbiamo farci visitare più di frequente. Questi intervalli sono comunque arbitrari e non sono mai stati indicati da alcuna autorità sanitaria. In realtà temo gli italiani vengano a visita meno frequentemente, anche per la limitatezza delle risorse pubbliche e private». Quali patologie che colpiscono altri organi si manifestano con alterazioni della vista? «La più comune è il diabete, che spesso col tempo interessa la retina causando emorragie, infarti, edema fino a gravi danni visivi e cecità. I centri antidiabetici ci mandano i pazienti, ma notiamo che manca in loro la consapevolezza della terribile posta in gioco, e spesso sono perplessi di fronte alla necessaria terapia laser. Opportune campagne di screening basate su fotografie del fondo oculare eseguite da tecnici e inviate per via telematica a centri di lettura aiuterebbero molto. La seconda per importanza è l’ipertensione arteriosa, che è spesso associata a disturbi della circolazione della retina fino a occlusioni vascolari con gravi danni permanenti della vista. Vi sono poi i disturbi circolatori, che spesso producono microembolie che interrompono per poco la visione. Infine, molte malattie sistemiche possono avere riflessi sull’organo della vista».

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OFTALMOLOGIA • Stefania Bianchi Marzoli

OCCHI: UNA FINESTRA SULLA SALUTE SPESSO DETERMINATI DISTURBI SONO L’UNICO SINTOMO O IL PRIMO CAMPANELLO DI ALLARME DI MALATTIE DI ALTRA NATURA. STEFANIA BIANCHI MARZOLI INDICA QUALI SONO LE PRINCIPALI MANIFESTAZIONI DELL’APPARATO VISIVO DA GUARDARE CON SOSPETTO E DIETRO LE QUALI SI POSSONO CELARE MALATTIE ALTRIMENTI INSOSPETTABILI

di Renata Gualtieri apparato visivo è costituito da strutture i cui tessuti hanno affinità dal punto di vista istologico e vascolare con altri sistemi del nostro corpo e, in particolare, con quelli encefalici. Inoltre, circa il 45 per cento del sistema nervoso centrale contribuisce alle funzioni visive sia sensoriali che motorie. Questi aspetti sottolineano il fatto che spesso la prima, o addirittura unica, manifestazione di malattia neurologica o sistemica possa essere rappresentata da un corollario di sintomi visivi. Alcune patologie sistemiche coinvolgono direttamente le strutture visive, in altri casi le manifestazioni visive avvengono per crescita o diffusione contigua del processo patologico; in altri ancora i disturbi della vista rappresentano la conseguenza a distanza, mediata da meccanismi indiretti, della patologia di base. «Un inquadramento diagnostico precoce – precisa Stefania Bianchi Marzoli, responsabile del Servizio di neuroftalmologia ed elettrofisiologia oculare presso l’Istituto auxologico italiano di Milano – della patologia sistemica o neurologica

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è fondamentale non solo per il mantenimento delle funzioni visive ma anche per la prognosi correlata alla patologia di base». Quali le malattie sistemiche che possono dare sintomi oculari? «L’apparato visivo può essere coinvolto nell’ambito di patologie infettive, infiammatorie o disimmuni, tumori cerebrali primitivi o secondari, malattie ischemiche o traumatiche, complicanze tossiche o metaboliche, e nel contesto di patologie degenerative del sistema nervoso centrale e in sindromi geneticamente determinate. La neurite ottica può rappresentare la manifestazione d’esordio di sclerosi multipla o sarcoidosi; i nervi cranici che regolano i movimenti oculari possono essere coinvolti in un’infiammazione a sede intracranica o per compressione da un tumore; un’ischemia cerebrale può manifestarsi mediante la comparsa di un difetto del campo visivo bilaterale; un meningioma intracranico può crescere lentamente e arrivare a comprimere il nervo

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Stefania Bianchi Marzoli • OFTALMOLOGIA

In apertura Stefania Bianchi Marzoli, responsabile del Servizio di neuroftalmologia ed elettrofisiologia oculare presso l’Istituto auxologico italiano di Milano; qui sopra esecuzione di un esame elettrofisiologico

ottico, il chiasma ottico o la regione orbitaria; una ipoplasia del nervo ottico può essere associata a malformazioni delle strutture nervose il cui riconoscimento s’impone per le gravi complicanze sistemiche. Infine, una patologia su base autoimmunitaria può coinvolgere la tiroide e precocemente causare sintomi o segni a livello delle strutture palpebrali o orbitarie». Quali sono i sintomi neuroftalmologici da non sottovalutare? «Tra i sintomi neuroftalmologici che possono rivelare patologia sistemica sono inclusi: perdita della funzione visiva acuta o progressiva, monolaterale o bilaterale, alterazione della percezione dei colori o della visione in condizioni di bassa illuminazione, anomalie della posizione delle palpebre o dei diametri pupillari, diplopia binoculare intermittente, acuta o progressiva, oscillopsia o disturbi dei movimenti oculari coniugati e infine edema dei tessuti periorbitari o esoftalmo».

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Dove non basta una comune visita oculistica, cosa occorre fare e a quali specialisti rivolgersi? «Quando sintomi visivi non trovano giustificazione attraverso modificazioni dell’aspetto delle strutture del bulbo oculare o del fondo oculare o non siano motivati da alterazioni legate alla refrazione è bene approfondire l’esame della funzione visiva per rivelare patologie che interessano le strutture neurologiche correlate all’apparato visivo. Una valutazione neuroftalmologica completa prevede che vegano esaminate le funzioni del sistema visivo afferente e di quello efferente. L’insieme di una raccolta approfondita dei dati anamnestici con un esame obiettivo mirato consentono di arrivare alla localizzazione della struttura interessata dalla patologia. Questo rappresenta il presupposto fondamentale affinché si possa impostare un corretto iter diagnostico clinico, strumentale e di laboratorio. In molti casi è necessario l’impiego di tecniche di imaging neuroradiologico e d’interazione con altri specialisti nell’ambito

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OFTALMOLOGIA • Stefania Bianchi Marzoli

L’equipe della dottoressa Stefania Bianchi Marzoli all’Istituto auxologico italiano

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delle neuroscienze, dell’immunologia o dell’ endocrinologia». Il Servizio di neuroftalmologia ed elettrofisiologia oculare in cosa esprime la sua unicità a livello nazionale? «Il servizio è strutturato per rispondere a quesiti clinici, nella maggior parte dei casi di terzo livello, spesso formulati da altri specialisti. Applica le competenze cliniche e di diagnosi strumentale per la valutazione complessa della funzione e dell’integrità strutturale dell’apparato visivo attraverso l’impiego di una moderna strumentazione dedicata all’analisi elettrofunzionale e tomografica della retina e del nervo ottico. Inoltre, si avvale di esperienza e collaborazioni interdisciplinari, acquisite nel corso di anni, indispensabili per impostare la migliore qualità di gestione diagnostico-terapeutica nei diversi ambiti clinici e a seconda delle patologie di base». L’attività dell’Istituto come interviene davanti ad alterazioni del campo visivo di un paziente? «Il campo visivo viene esaminato nell’ambito della visita neuroftalmologica attraverso strumentazione e con metodiche appropriate mirate a definire sede, profondità ed estensione di un difetto. Al termine della valutazione neuroftalmologica, formulata l’ipotesi di diagnosi differenziale, viene consigliato, e se

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possibile attivato, un percorso diagnostico e terapeutico che richiede la collaborazione da parte di specialisti di altre discipline, in alcuni casi operanti presso altri istituti». Quali i progetti più interessanti, attivi o in cantiere, nel campo della ricerca? «I progetti di ricerca clinici attualmente attivi riguardano i meccanismi patogenetici dell’ipertensione intracranica idiopatica; il trattamento radiante di meningiomi del nervo ottico; il trattamento di forme di neurite ottica a possibile genesi disimmune; le modalità di gestione diagnostica precoce e di trattamento dell’ orbitopatia associata a patologia tiroidea. Di grande interesse gli aspetti che riguardano la neuroprotezione, la neurorigenerazione e la neuroriabilitazione. Uno degli obiettivi è quello di individuare a livello del sistema visivo indicatori precoci di alcune malattie degenerative del sistema nervoso centrale. L’interesse è anche concentrato sullo studio attraverso metodiche Rm non convenzionali degli effetti a livello della corteccia cerebrale e della integrazione multisensoriale di patologie ereditarie del nervo ottico o della retina. Una particolare attenzione è rivolta alla coordinazione e allo sviluppo di collaborazione tra gli aspetti neurofalmologici e quelli neuroriabilitativi e neuropsicologici in pazienti con lesioni del sistema nervoso centrale con disturbi legati alla visione».

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L’ALTA INGEGNERIA APPLICATA ALLE OSSA I LABORATORI DI RICERCA DELL’ISTITUTO RIZZOLI DI BOLOGNA TRACCIANO LE NUOVE TRAIETTORIE DELL’ORTOPEDIA, SVILUPPANDO PROTESI E TESSUTI OSSEI SEMPRE PIÙ AFFIDABILI. PAROLA AL DIRETTORE GIOVANNI BALDI

di Giacomo Govoni al 2010, anno di nascita del Dipartimento di ricerca e innovazione tecnologica dell’Istituto ortopedico Rizzoli, l’attività dei laboratori che vi operano intesse relazioni con il mondo industriale, muovendosi su specifici binari di ricerca. Attraverso brevetti, test e nuovi processi produttivi, i risultati della ricerca consentono al dipartimento di proporsi come punto di raccordo tra l’istituto e la rete regionale dell’alta tecnologia, nota anche come Tecnopolo di Bologna. «La creazione del tecnopolo – spiega Giovanni Baldi, direttore generale del Rizzoli – è legata a fondi europei per lo sviluppo regionale e a processi di autofinanziamento. All’interno di questo sistema ci sono sei laboratori sorti tre anni fa».

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a tutte le ortopedie italiane e ha sviluppato rapporti nazionali e internazionali per utilizzare in modo innovativo questi segmenti che, al posto delle protesi, sostituiscono pezzi d’osso mancanti per tumori o traumi». Per quanto concerne gli altri due filoni? «Uno è relativo alla cosiddetta “cell factory”, che si occupa dell’espansione in vitro di cellule per la rigenerazione dell’osso, della cartilagine e dei tendini. L’ultimo

Tra questi, uno si occupa di ingegneria dei tessuti in ortopedia. In cosa consiste l’attività nel dettaglio? «Il laboratorio di medicina rigenerativa e tissue engineering ortopedica si muove su tre filoni di attività. Il primo si fonda sullo sviluppo delle tecnologie legate all’osso. Al Rizzoli opera la banca del tessuto muscolo-scheletrico dell’Emilia Romagna, che fornisce il 50% del tessuto osseo

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Giovanni Baldi • ORTOPEDIA

compatibilità delle protesi ortopediche per anca e ginocchio. Gli spiacevoli accadimenti che di recente hanno visto alcune industrie ritirare protesi o sostituire quelle già impiantate per malfunzionamento, hanno portato alla ribalta il tema spesso sottovalutato dell’affidabilità e della durata delle protesi. Si consideri che sulle protesi d’anca la percentuale di reimpianto a 10 anni oscilla fra l’1-2%, ma per altre tipologie può arrivare al 6-7%».

Giovanni Baldi, direttore generale dell’Istituto ortopedico Rizzoli di Bologna

filone è quello dei tessuti decellularizzati, che ha dato vita a brevetti fra noi e la Banca della cute di Cesena, in quanto dalla cute senza cellule possono derivare anche strutture sostitutive per i tendini. Secondo gli accordi del Tecnopolo, entro il 2014 i sei laboratori dedicati al trasferimento tecnologico saranno chiamati a trovare un sistema di autofinanziamento per almeno il 30% del loro costo. E se regole del gioco non cambieranno in corsa, dovremmo farcela». Nel complesso, come si è evoluto il dipartimento delle patologie ortopediche del Rizzoli negli ultimi tempi? «Il cambiamento dell’organizzazione complessiva del Rizzoli è iniziato nel 2006, concluso il processo di commissariamento ministeriale, con l’equiparazione come Ircss alle aziende ospedaliere regionali. Da allora sono stati ripianificati gli impianti dei reparti d’assistenza, dei laboratori e sono stati creati due dipartimenti ortopedici, caratterizzati da un’elevata integrazione tra ricerca e assistenza e tra componente ospedaliera e universitaria, come prevede l’accordo attuativo siglato con l’università di Bologna per la didattica all’interno dell’istituto». Il Rizzoli conta anche un laboratorio di tecnologia medica. Quali i progetti più innovativi approdati di recente alla pratica clinica ortopedica? «A questo laboratorio, uno dei nove storici del Rizzoli, spetta il compito di testare la resistenza protratta e la

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Sul fronte dell’ortopedia oncologica, quali nuove modalità di cura state vagliando? «L’ortopedia oncologica si fonda su un mix di chirurgia e terapia farmacologica. Le terapie sui farmaci avviate trent’anni fa dal professor Campanacci hanno dato ottimi risultati, nell’ordine del 70% di guarigioni, il che significa però anche il 30% di recidive. Oggi si cerca di superare questa barriera storica con farmaci di origine monoclonale più selettivi. Per quanto concerne la terapia chirurgica, i progressi hanno portato a ridurre le amputazioni per tumori agli arti e ad adottare, nel 95% dei casi, una chirurgia conservativa, che sostituisce il pezzo d’osso malato con tessuti provenienti dalla banca dell’osso o protesi metalliche. In questo ambito, l’ultima innovazione sono le protesi allungabili magnetiche, utilissime soprattutto perché i tumori delle ossa colpiscono i bambini che crescono. In passato bisognava rioperarli, oggi invece grazie a dei magneti, è possibile allungare le protesi dall’esterno, adattandole alla crescita dell’individuo». In chiave di potenziamento dell’offerta clinica del Rizzoli, come s’inserisce l’esperienza del dipartimento in Sicilia e quali primi esiti ha prodotto? «Come istituto scientifico ma di tipo pubblico, dobbiamo attenerci alle regole della finanza pubblica. Quindi, pur avendo 20mila pazienti in lista d’attesa, abbiamo vincoli su personale e strutture da rispettare. In quest’ottica abbiamo deciso, in accordo con la Regione Emilia Romagna e la Regione Sicilia, di portare una struttura di ortopedia e riabilitazione in Sicilia, con l’obiettivo di ridurre la mobilità di pazienti che per problemi di ortopedia complessa si trasferivano non solo al Rizzoli, ma in Emilia e Lombardia. Contando che l’attività è partita appena lo scorso marzo, lo sviluppo è più che buono. Le cifre parlano di 7.500 visite effettuate, più di 1.000 persone operate e una lista di attesa che supera i 2.000 pazienti, con prenotazioni fino a marzo 2013. Entro la fine del prossimo anno è, inoltre, prevista l’apertura di un reparto di chirurgia ortopedica oncologica».

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ORTOPEDIA • Stefano Astolfi

UN PALLONCINO PER LE FRATTURE VERTEBRALI UNA METODICA PER SALVARE LA SCHIENA A FRONTE DI FRATTURE VERTEBRALI, PROVOCATE SOPRATTUTTO DALL’OSTEOPOROSI. LA SUA FUNZIONALITÀ È ILLUSTRATA DA STEFANO ASTOLFI di Anastasia Martini

n Italia sono più di 100 mila i casi di fratture delle vertebre che si verificano ogni anno. Una delle cause più frequenti è l’osteoporosi, come spiegato anche dal dottor Stefano Astolfi, specialista in Ortopedia e Traumatologia. «A differenza di quello che si crede comunemente – rileva – l’osteoporosi non è una condizione che riguarda la riduzione della qualità, quanto della quantità di osso. L’osteoporosi colpisce soprattutto le donne: in Italia sono circa 3milioni ad esserne affette, in particolare nella fascia di età compresa tra i 50-55 e 75 anni. Negli ultimi anni si sono verificati 100-150 mila casi di fratture vertebrali, numeri superiori a quelli relativi alla frattura del polso e del femore, che si aggirano ambedue intorno agli 80 mila casi. Le zone più colpite sono la colonna toracica e la lombare». A “salvare la schiena”, è la cifoplastica con palloncino, ideata proprio per la risoluzione delle fratture, laddove vengono spesso utilizzati busti ortopedici. «Questa metodica consiste nell'introduzione, attraverso il peduncolo vertebrale, mediante apposito strumentario, di un cemento acrilico "a presa rapida", con la possibilità di un’espansione del corpo vertebrale mediante apposito palloncino. Questa tecnica è stata ideata per ridurre prima e stabiliz-

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Il dottor Stefano Astolfi è specialista in Ortopedia e Traumatologia a Roma www.chirurgiavertebrale.com

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zare poi la frattura in modo controllato, correggere quando possibile le deformità della colonna vertebrale, prevenire l’insorgenza di nuove fratture, alleviare il dolore in modo rapido e prolungato, migliorando quindi la qualità di vita del paziente. Dalla mia equipe sono stati eseguiti oltre 580 procedure su 350 pazienti affetti da crolli singoli o multipli del tratto dorsale e lombare della colonna vertebrale». «Questa metodica, che utilizzo dal 2001, è ormai diventata la tecnica di elezione per alcuni tipi di fratture da compressione, osteoporotiche e non, grazie agli alti benefici che si ottengono a fronte di un basso rischio chirurgico. Il paziente che vi si sottopone ha tempi di recupero immediati tali che gli consentono un rapido ritorno alla normalità. L’importante è che l’intervento venga effettuato in una sala operatoria sterilizzata come da prassi, adeguatamente attrezzata per effettuare l’operazione, che si realizza preferibilmente in anestesia locale». OTTOBRE 2012



AUTISMO

UN LABORATORIO TOUCH PER L’AUTISMO LA TECNOLOGIA TOUCHSCREEN A SUPPORTO DELLA CURA DELL’AUTISMO. È QUESTO IL PROGETTO CHE SI STA SPERIMENTANDO AL CENTRO AUTISMO E SINDROME DI ASPERGER DI MONDOVÌ di Tiziana Achino

l primo laboratorio touch riabilitativo italiano per persone autistiche è attivo presso il C.A.S.A., Centro autismo e Sindrome di Asperger dell’Asl 1 di Cuneo presso l’Ospedale Regina Montis Regalis di Mondovì. Il centro fa parte del Servizio di neuropsichiatria infantile diretto dal dottor Franco Fioretto. Il laboratorio touch è parte di un progetto più ampio, Touch for autism (t4A), la cui realizzazione vede la collaborazione tra l’Asl 1 di Cuneo, la Fondazione Asphi, il Csp di Torino, l’Istituto superiore Vallauri di Fossano e il Cio Cuneo, con il sostegno delle Fondazioni Crc, Crt e Specchio dei tempi. Giuseppe Maurizio Arduino, psicologo e dirigente responsabile del Centro, illustra le funzioni e la potenzialità.

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Dottor Arduino, perché un touchscreen per l’autismo? «La scelta di orientare il nostro interesse sulle tecnologie touch segue quella, portata avanti da diversi anni nel nostro centro, di utilizzare le tecnologie informatiche come supporto all’intervento abilitativo rivolto a bambini, adolescenti e adulti con autismo. Le persone con autismo sono in genere molto at-

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tratte dal computer e dagli strumenti elettronici e spesso sono molto competenti nell’utilizzarle. Questi soggetti, infatti, pur avendo importanti disabilità sul versante della comunicazione e dell’interazione sociale, sono in genere molto abili in quelle attività che richiedono attenzione e comprensione di messaggi visivi. Da questo punto di vista computer, tablet e altri dispositivi dotati di uno schermo rappresentano strumenti che favoriscono l’apprendimento nelle persone con autismo». Cosa vi ha portato a credere nell’innovazione in questo settore? «Toccare uno schermo è qualcosa di intuitivo e immediato, che la maggior parte dei bambini fa spontaneamente quando viene messo di fronte a uno schermo. E, in questo, i bambini con autismo non fanno eccezione. L’uso del mouse, per esempio, richiede competenze di coordinazione motoria che, in qualche caso, può non essere presente nei bambini con autismo; l’uso della tastiera richiede capacità di attenzione e di “selezione” dei tasti da digitare che in bambini con autismo, soprattutto in quelli più piccoli, può essere limitata. Inoltre, l’uso della tastiera implica la capacità di leggere e scrivere, abilità che

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può essere appresa dalla maggior parte dei bambini con autismo, ma non da tutti. I dispositivi touch, inoltre, sono facilmente trasportabili e possono essere utilizzati in ambienti diversi. Uno dei punti fermi nel trattamento dell’autismo è quello che prevede il coinvolgimento dei genitori e della scuola: poter condividere un progetto abilitativo ed educativo rappresenta una delle variabili che favoriscono il raggiungimento di risultati migliori. Ad esempio, se vogliamo insegnare a un bambino con autismo a vestirsi riducendo al minimo l’aiuto del genitore, possiamo creare una guida, attraverso una sequenza di immagini sul tablet che orienta il bambino passopasso all’esecuzione di questo compito. Se il tablet “accompagna” il bambino, la stessa strategia può essere usata dall’insegnante a scuola o dall’educatore che segue il bambino in piscina». Quali risultati avete già raggiunto? «Il progetto è stato avviato quest’anno e verrà completato a fine 2013. È quindi in corso sia la parte di costruzione di software per il tablet, sia la sperimentazione con bambini. Tra le cose che sono state attivate c’è il laboratorio touch, una stanza in cui, oltre al tablet, è disponibile un tavolo multitouch con schermo 40 pollici, dove vengono proposte attività abilitative sul versante dell’apprendimento e della comunicazione ed effettuati compiti che simu-

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lano l’esecuzione di attività domestiche (per esempio, apparecchiare la tavola) o si basano sull’uso del videomodeling, una tecnica che consente di insegnare un’abilità utilizzando brevi video. È inoltre stata realizzata la prima parte di un applicativo su tablet Android per la costruzione di liste di insegnamento (task analisys) e storie sociali (brevi racconti che guidano il soggetto nella messa in atto di comportamenti sociali adeguati). Un’altra realizzazione operativa, curata nella parte di progettazione informatica dal Csp di Torino, è un applicativo web in grado di comunicare con il tablet del bambino, che consente di costruire un programma di lavoro individualizzato e di monitorare la sua evoluzione». Quali invece i prossimi passi? «Nell’immediato futuro il progetto prevede il completamento degli applicativi sul tablet e sul tavolo multitouch e la loro sperimentazione, con circa 40 bambini, adolescenti e adulti con disturbi autistici. Per l’utilizzo dei tablet è previsto un corso di formazione per i genitori con l’obiettivo di renderli competenti nell’uso dello strumento e degli applicativi realizzati. È, inoltre, un obiettivo del progetto quello di mettere a disposizione di tutti i bambini e delle loro famiglie gli applicativi realizzati di cui sia stata dimostrata l’efficacia e l’utilità nel trattamento delle persone con autismo».

SANISSIMI

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