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Sommario 13

L’intervento - Laura Frati Gucci In copertina - Lella Golfo

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Politiche antidroga - Elisabetta Simeoni

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Ricerca - Mariella Enoc

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Idee vincenti - Denise De Pasquale

Forniture medicali - Donatella Iervolino

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Racconti dall’estero - Mimosa Martini - Mariolina Sattanino - Giovanna Botteri

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Donne e Pa - Gabriella Alemanno - Silvia Altran - Maria Rita Busetti

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Oftalmologia - Gabriella Paltrinieri

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Ortognatodonzia - Carmela Savastano

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Riforme - Alessandra Ghisleri - Mariastella Gelmini - Donatella Quartuccio

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Modelli d’impresa - Debora Paglieri - Claudia Persico - Osanna Bresci - Laura Platini - Gianna Rebaioli - Sabine Rothenberger - Chiara Astesana - Laura Sartirani - Mariangela Morini

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Innovazione - Cristina Mollis - Elena Tardito - Maria Teresa Deambrosis - Monica Anselmo

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Servizi all’impresa - Roberta e Alessandra Rostagno - Floriana Ferro, Anna Altamura e Roberto Scanavino - Laura Mattoccia - Emanuela Puccinelli Rapporti con le banche - Anna Beltrami

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Dall’impresa al sociale - Anna Loredana Cassina

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Cultura agricola - Pia Donata Berlucchi - Silvia Bosco 10

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Prodotti alimentari - Federica Fileppo Zop - Antonella e Alessandra Gerini

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Branding - Enrica Acuto Jacobacci

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Comunicazione - Laura Rossi - Monica Montanari

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Lo stile italiano - Anna Zegna - Lavinia Biagiotti Cigna - Claudia Piaserico - Lia Gambetta - Giovanna Laura Bendotti

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Evasione fiscale - Daniela Gobbi - Cinzia Romagnolo - Daniela Bruno - Francesca Lamazza

Influenze tra stili - Sara Bracco

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Costruzioni - Giovanna Orsini

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Edifici storici - Ornella Vignolo Lutati

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Eventi - Monica Gaggi

Esperienze artistiche - Elisabetta Bucciarelli

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Mediazione - Lorenza Morello - Mirella Cristina

Tutela della famiglia - Annamaria Bernardini de Pace - Milena Pini - Francesco Alberoni - Gina Pedroni

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Interni - Barbara Targioni

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Interior design - Francesca Frendo La riforma

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Notariato - Nicoletta Morelli - Valeria Sessano

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del condominio - Gisella Casamassima

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Dall’idea alla forma - Architettura al femminile - Lorenza Minoli - Anty Pansera

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Il comparto navale - Monia Bonaventura

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L’intervento

Laura Frati Gucci, presidente di Aidda, associazione donne imprenditrici e dirigenti d’azienda

rano stati chiamati gli Stati Uniti d'Europa, sono diventati la Comunità europea condividendo congiuntamente ideali su libertà, democrazia, sviluppo, economia, solidarietà e pace. Gli Stati Uniti d'Europa hanno richiesto sforzi, anche economici, a tutti i cittadini; sforzi accolti nell'auspicio di creare un futuro migliore per tutti, un futuro più sicuro, più regolamentato, più internazionale e interculturale, più consolidato e stabile rispetto agli altri “potenti paesi”. Così gli Stati Uniti d'Europa si sono rafforzati negli anni puntando ad applicare un'omogeneità di diritti e di obblighi, cercando di dare un assetto omogeneo affinché norme e diritti potessero essere equiparabili, sia nel pubblico che nel privato. Sembravano sforzi condivisi che guardavano a un orizzonte comune, invece, oggi appare evidente quanto siano instabili e non condivisi tanti temi che i diversi governi affrontano. Manca una governance integrata. Possiamo dare la colpa alla crisi economica e finanziaria? Da imprenditrice sono portata a vedere il bicchiere sempre mezzo pieno e voglio augurarmi che questa situazione possa essere considerata provvidenziale per realizzare in concreto quell'alleanza che

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sempre più appare indispensabile per un puzzle di piccoli Stati con tanti temi e problemi comuni. Stare uniti è sicuramente un vantaggio reciproco, forse, addirittura indispensabile. In un'ottica femminile, che non ritengo un “minus” bensì un “plus”, vorrei considerare la situazione europea, utilizzando la forza e l'incisività che hanno i punti di vista delle donne europee all'interno delle proprie famiglie. Sì perchè gli Stati Uniti d'Europa, forse, devono essere visti proprio come una famiglia, dove si aiuta il figlio debole, si sostiene il parente in difficoltà, ci si occupa per una soluzione che a volte apparentemente sembra svantaggiosa per alcuni ma che poi porterà vantaggi a tutti. I panni sporchi si lavano in casa ed è il nome del casato che deve essere sostenuto, mantenuto e protetto. La famiglia è un valore fondante della nostra civiltà europea e in questa ottica vorrei considerare il nostro futuro. Le donne ragionano diversamente dagli uomini - senza voler dire che sono meglio o peggio - partono da approcci diversi ai problemi e analizzano le possibilità a cui danno priorità diverse. Ma quei principi comuni che hanno portato alla costituzione della comunità europea, che vorrei definire “il nostro oggetto sociale”, dove

sono finiti? La solidarietà di cui in tutti gli Stati tanto si parla dov'è finita? Viene da chiedersi se questo è il risultato della non capacità di ascoltare e comprendere quel che sta avvenendo nei paesi arabi e nell'Africa in generale. Occorre ritrovare un'unità di intenti affinché si possa insieme ai nostri concittadini europei rispondere ai grandi mutamenti in uno scenario internazionale di fragili equilibri in cui nessun singolo Stato europeo può avere una voce significante da solo, uniti sì. Come approcciare cambiamenti così grandi se si rinnegano gli accordi e i principi cardine dell'Unione europea? In avvicinamento alle elezioni del 2014, nelle nostre differenze socioeconomiche, noi donne imprenditrici sentiamo forte la necessità di alleanze governative che superino le troppe discussioni e le volontà individualistiche del momento che troppo spesso vengono declinate in ogni singola “regione europea”. Un appello forte affinché si guardi, invece, a un futuro comune per i cittadini tutti dell'Europa unita, cittadini che hanno chiesto e votato principi e valori comuni su cui occorre continuare a impegnarsi. Una voce di donna può sperare di essere ascoltata? 13


In copertina

Capitane coraggiose per il rilancio del Paese

lella golfo

Le recenti ricerche ci restituiscono un profilo d’imprenditrice nuovo e incoraggiante. «Sono donne informate, competenti e competitive» spiega Lella Golfo. Per il presidente della Fondazione Marisa Bellisario sono «professioniste “flessibili”, che raggiungono i loro obiettivi grazie a creatività e intraprendenza» di Renata Gualtieri

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Lella Golfo, presidente della Fondazione Marisa Bellisario

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In copertina

ultimo rapporto “Donna è impresa. Il volto delle imprese femminili a Reggio Calabria 2006-2010” fa emergere nella città calabra la maggiore presenza regionale di imprese al femminile, superiore a quella maschile del 2% in alcuni settori. In Calabria ci sono, infatti, 45.379 imprese femminili e l’Osservatorio sull’imprenditoria femminile di Unioncamere rivela che nel corso dell’ultimo anno è stata la Regione più dinamica sul fronte dell’imprenditoria femminile, con un incremento delle imprese guidate da donne dell’1,6%, a fronte dello 0,4% di quelle maschili. Inoltre, le imprenditrici calabresi hanno mostrato una crescente preferenza verso forme più complesse e mature d’impresa, superando l’ottica della micro-impresa tradizionale. In Calabria, per esempio, l’8,4% delle imprese femminili sono società di capitali: la percentuale maggiore di tutto il Paese. «Ho sempre creduto fermamente che lo sviluppo del Paese passi dal rilancio deciso del Sud – sottolinea Lella Golfo – e dall’investimento sulle sue risorse ed energie più attive e propositive: giovani e donne». Appena cinque anni fa il titolo del premio Bellisario era “Donna e Sud: l’impresa possibile”. La ricerca condotta in quell’occasione confermava che le imprenditrici del Meridione sono donne determinate e combattive, che superano ostacoli e pregiudizi burocratici e creditizi grazie a una gestione improntata alla legalità e trasparenza. Quante sono le imprese a guida femminile nel Sud? «Il Mezzogiorno si segnala per i valori più elevati di femminilizzazione del tessuto imprenditoriale. In totale le imprese meridionali guidate da donne sono 472.864. Questo grande sviluppo in un’area dove i tassi di occupazione femminile sono i più bassi del Paese dimostra che l’impresa è il terreno dove le donne possono esprimere al meglio le loro potenzialità. È dalla vivacità dell’imprenditoria femminile, soprattutto al Sud, che dobbiamo ripartire: le Regioni, le istituzioni locali così come gli istituti di credito devono investire sull’imprenditoria femminile». Cosa serve anche politicamente al Mezzogiorno per diventare «la nuova frontiera della competitività in Europa»? La sinergia tra donna e turismo potrebbe, ad esempio, segnare un nuovo inizio per il rilancio del Sud? «Al Sud servono prima di tutto infrastrutture e investimenti che valorizzino le grandi risorse di cui dispone per colmare quel divario con il resto del Paese e servono trasporti che funzionino. Recentemente sono stati soppressi ben 21 treni che collegavano le due sponde del Paese. Eppure le potenzialità del Sud sono straordinarie: il Mezzogiorno attira da solo il 20% del turismo straniero e potrebbe rappresentarne un volano di sviluppo. Per questo è necessario puntare con decisione sulle enormi potenzialità del binomio donne-turismo. Io ci credo così tanto che il titolo della XVI edizione del Premio Bellisario nel 2004 era “Il turismo italiano: le donne che fecero l’impresa”». Di quali tempi avrà bisogno la legge sulle quote di genere di cui lei è

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Sotto, Lorenza Lei, direttore generale della Rai, riceve la Mela d’Oro 2011; a destra, Elsa Fornero, ministro del Lavoro


Lella Golfo

prima firmataria per portare quella «piccola rivoluzione che farà bene all’economia del Paese»? «Dal 12 luglio 2012 la legge sarà in vigore e i Cda che si rinnoveranno dovranno adeguarvisi. Parliamo di 272 società quotate che attualmente hanno solo il 6,9% di donne nei loro Cda e di 2076 società controllate con circa 13.500 membri nei loro Cda e una presenza attuale di donne che non supera il 4,3%. Quanto alla tempistica, i primi effetti si sono già avuti se società come Mediobanca, Telecom, Pirelli hanno deciso di anticipare la legge e da Gennaio, ben 21 quotate hanno aperto le porte dei loro Cda 24 donne talentuose. E saluto con piacere la sensibilità delle aziende che in procinto dei rinnovi ci chiamano per consultarci e per poter accedere al nostro database di curricula eccellenti. E certamente già dalla fine di quest’anno le aziende coinvolte potranno godere i vantaggi di un miglioramento della governance perché la maggiore presenza femminile determinerà una costruttiva contaminazione di competenze, approcci, sensibilità. Senza contare che “l’onda lunga” di una maggiore parità innescherà un circolo virtuoso e contaminerà tutto il sistema, non solo economico». Perché una donna del Sud, come lei, ha intrapreso con tanta determinazione un percorso dedicato alle donne? «Conosco bene le lotte che le donne del Sud, e in particolare della mia Calabria, hanno condotto per il riconoscimento di conquiste elementari. Sin dall’inizio sono stata al loro fianco e da allora il mio impegno è diventato costante. Credo nelle donne, che siano del Nord o del Sud, italiane e non, e credo e nella loro potenzialità e sono fermamente convinta che nessun Paese possa crescere in modo sostenibile se privato del 50% delle sue riscorse e competenze. E poi forse dalle mie radici meridionali e calabresi ho ereditato una grande determinazione e la passione per le sfide apparentemente impossibili». La Calabria risulta la terza regione come numero di laureati ma i dati sull’occupazione femminile al Sud sono allarmanti. Il pacchetto sviluppo del governo Monti saprà farsene carico? «Al Sud il tasso di disoccupazione femminile è salito del 3% attestandosi al 39% e la flessibilità del mercato del lavoro è in gran parte al femminile: 1 laureata su 2, il 44,6%, lavora a tempo determinato, mentre il 38% delle donne ha un contratto part time. E, ancora, in 16 anni, a fronte di 1 milione e 800.000 donne occupate in più, solo 218 mila, il 12%, vivono nel Meridione. La strategia di crescita del Paese non può che partire dall’eliminazione di questo divario inaccettabile, che penalizza al contempo il Sud e le donne. Mi auguro che la riforma del lavoro vada in questa direzione e ho molta fiducia nelle capacità, nella lungimiranza e serietà del ministro Elsa Fornero (non a caso appena lo scorso giugno abbiamo all’unanimità deciso di consegnarle il nea | gennaio 2012

HO FIDUCIA NELLE CAPACITÀ, NELLA LUNGIMIRANZA E SERIETÀ DEL MINISTRO ELSA FORNERO

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Premio Bellisario). Un primo passo è stato già fatto con l’incremento delle deduzioni sull’Irap, ancora maggiori al Sud, per le aziende che assumeranno donne e giovani con contratti a tempo indeterminato che è in vigore dal 1 Gennaio 2012». La nomina di Giuseppina Di Rosa a commissario straordinario del Comune di Catanzaro è un ulteriore segnale positivo? Mettere assieme donne e sud è l’impresa possibile e vincente? «Il commissariamento di un Comune è sempre un fatto spiacevole e non credo sia un caso che per risollevarne le sorti sia stata scelta proprio una donna, che saprà prendere le redini della situazione e risolverla con autorevolezza. Sono convinta che il contributo femminile alla politica di aree del Paese difficili come quelle meridionali sia fondamentale e che sia necessario adottare strumenti efficaci che pongano rimedio al deficit inaccettabile della loro partecipazione. Le ultime elezioni regionali parlano da sole: nessuna donna eletta in Calabria (lacuna in parte colmata con la nomina di Antonella Stasi come vicepresidente della giunta regionale), solo una in Basilicata, a fronte del 6,7% del Veneto e dell’8,7% della Lombardia. Per questo concordo con la proposta elaborata dalla Commissione regionale per le pari opportunità della Regione Calabria per una modifica della legge elettorale che faccia proprio il sistema della doppia preferenza già introdotto con grande successo in Campania e che ha favorito l’ingresso nel consiglio regionale campano di ben 15 donne». Il nostro futuro passa da giovani e donne. È questo il messaggio che arriva della XXIII edizione del Premio Marisa Bellisario “Donne: innovazione e capitale umano. Le protagoniste 2011”? «È stato questo il nostro grido di speranza e fiducia. Come sempre abbiamo lanciato il sasso nello stagno, regalando la platea del nostro Premio alla giovane e dirompente energia di donne determinate e coraggiose, che portano in dote competenze moderne e tradizioni innovate. Abbiamo dato loro la parola e la scena, valorizzando l’incredibile contributo che da giovani e donne può e deve venire. Su di loro bisogna puntare se vogliamo che l’Italia di domani sia migliore». 18

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ABBIAMO REGALATO LA PLATEA DEL NOSTRO PREMIO ALLA DIROMPENTE ENERGIA DI DONNE DETERMINATE E CORAGGIOSE

In alto, il gruppo Donna, economia e potere



Idee vincenti

Le quote rosa sono una realtà

Un miglior uso del tempo, flessibilità, adattabilità e determinazione. Sono le caratteristiche distintive delle donne sul lavoro che, secondo Denise De Pasquale, presidente della società Progetto Lavoro, trascineranno il Paese verso giorni migliori di Renata Gualtieri

rogetto Lavoro impiega stabilmente più di 400 risorse in varie sedi sul territorio nazionale (Milano, Roma, Torino, Catania). La percentuale delle donne rappresenta oltre l’88% della forza lavorativa impiegata, un caso quasi unico in Italia. Molte di loro sono giovani promettenti che vedono in questa realtà una palestra lavorativa in cui allenare le proprie competenze acquisendo esperienza. Probabilmente l’alta percentuale di donne è anche legata all’uso del part time, soluzione richiesta più spesso dalle donne che dagli uomini. «Tuttavia – ci tiene a precisare la presidente Denise De Pasquale – non vorrei che si pensasse che facciamo discriminazioni in senso inverso: in Progetto Lavoro gli uomini ci sono e sono più che benvenuti». Oggi Progetto Lavoro è la più importante società italiana impegnata nella progettazione e realizzazione di servizi di outsourcing per l’impresa, ma quali sono state le tappe più importanti nella sua “avventura” imprenditoriale e quali le maggiori difficoltà che ha incontrato? «All’inizio della mia carriera, prima ancora di creare

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Progetto Lavoro, mi sono occupata di selezione nell’azienda di famiglia. Ed è in questo contesto che è nata l’idea di Progetto Lavoro. Avevo in mente di dar vita a una realtà in cui la flessibilità, così desiderata dalle donne alle prese con responsabilità familiari e professionali, non fosse vissuta come un limite, ma come una caratteristica distintiva. Così ho scelto la formula della cooperativa, una soluzione dove tutti i lavoratori sono soci e quindi conseguentemente proiettati a dare sempre il meglio, compatibilmente con il tempo che intendono mettere a disposizione del lavoro. Essere un’imprenditrice così giovane, allora avevo solo 20 anni, e con la responsabilità di un numero sempre crescente di persone all’inizio non è stato facile, ma grazie alla mia determinazione e alla bontà dell’idea sono riuscita nel mio intento: dare alle aziende la possibilità di esternalizzare un processo nel 1989 era una novità assoluta». Qual è la potenzialità di un modello di azienda composto prevalentemente al femminile? «Progetto Lavoro esprime appieno le caratteristiche di-


Denise De Pasquale

Consegna Mela d’Oro 2011: al centro Denise De Pasquale, presidente della società Progetto Lavoro

stintive delle donne sul lavoro: ottimizzazione del tempo, flessibilità e determinazione. Oggi più che mai, in un’epoca di grandi incertezze, queste sono qualità importanti per il successo di un’azienda. Per natura guardo sempre al futuro con ottimismo e sono convinta che l’outsurcing potrà trovare spazi d’impiego sempre più ampi. Anzi, ritengo che proprio adesso che ottimizzare i costi diventa una priorità per le aziende, la flessibilità dell’outsurcing si rivelerà uno strumento vincente». Quanto può essere importante il ruolo dell’imprenditoria femminile per il rilancio del Paese? «Credo fortemente nel ruolo delle donne per la ripresa dell’Italia. Saranno la nostra concretezza, il nostro coraggio e la nostra inesauribile forza di volontà a trascinare il Paese verso giorni migliori. Nel nuovo Governo Monti abbiamo esempi eccellenti di quanto possano essere capaci e determinanti le donne. Le tre neoministre sapranno rappresentare un esempio e uno stimolo per tutte quelle donne che, pur avendo un progetto imprenditoriale, non hanno abbastanza coraggio e fiducia in sé stesse per portarlo avanti. La nea | gennaio 2012

legge sulle quote rosa, pur non riguardando nello specifico il mondo imprenditoriale, dovrebbe essere un ulteriore incentivo, in quanto testimonia che il Paese intende supportare i percorsi professionali delle donne in modo serio e sistematico. Di questo dobbiamo essere grate all’eccellente lavoro svolto da Lella Golfo e Alessia Mosca». Come ha accolto il Premio Marisa Bellisario e cosa rappresenta questo riconoscimento in questo momento della sua carriera? «Ottenere questo riconoscimento ha suscitato in me una grande emozione, non solo perché tra le altre premiate c’erano personaggi di grande spessore, come Susanna Camusso, Lorenza Lei ed Elsa Fornero, ma anche perché ho capito che tutto l’impegno di questi anni, non solo mio ma di tutte le donne che come me si battono per dimostrare che non è impossibile conciliare lavoro e famiglia, trovava finalmente un riscontro tangibile. Naturalmente battersi con le donne e per le donne sarà sempre una priorità nella mia vita privata e professionale». 21




Racconti dall’estero

Mimosa Martini, inviata di politica estera per il Tg5


Mimosa Martini

La guerra non è solo una questione di numeri Pensieri, ricordi e sensazioni di una delle giornaliste inviate più note al grande pubblico. Mimosa Martini, corrispondente dall’estero per il Tg5, ricorda come il fattore umano costituisca sempre un elemento imprescindibile nel racconto di un conflitto internazionale di Francesca Druidi

e hanno chiamate le “rivolte 2.0”. Negli episodi rivoluzionari che hanno infiammato Egitto, Tunisia, Libia, un ruolo importante è stato, infatti, giocato dai social network, dai blog, dai siti internet. L’inviato di guerra è, dunque, destinato a diventare una specie in via di estinzione? Mimosa Martini, una lunga gavetta tra carta stampata e radio prima di approdare in televisione, in Rai e poi a Mediaset, impegnata da anni sui fronti più caldi e problematici, non crede che questa tendenza, emersa con forza nell’ultimo anno, possa però sostuire il profilo di un inviato. Svelando alcuni retroscena della sua professione, la telegiornalista ribadisce quanto sia importante nel suo lavoro non fermarsi alla mera contabilità della guerra, ma considerarne anche i suoi protagonisti e le loro storie. Peccato, però, che un servizio trasmesso al telegiornale non basti mai a restituire appieno la complessità e la drammaticità di quanto si è chiamati a testimoniare. Iraq. Afghanistan. Libano. È stata corrispondente dai principali teatri di guerra. C’è un luogo, una situazione, un volto che l’ha in particolare impressionata, da un punto vista professionale ma anche e soprattutto umano? «Per ogni luogo e per ogni situazione, porto con me il ri-

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cordo particolare di volti e di storie, talvolta in situazioni drammatiche, come quella di un bambino che accompagnava il padre, portato urgentemente in ospedale a Bagdad con la pancia aperta da un’esplosione. Non c’erano ancora le autobombe, era il mese di aprile del 2003, in piena guerra, quando la città era nel caos, i carri armati americani appena entrati ancora combattevano e i palazzi andavano a fuoco. C’era la concitazione, c’era il sangue ovunque. C’erano le grida e la disperazione dei medici che non avevano più medicinali. E questo bambino guardava me e l’operatore, degli estranei, degli alieni in quel posto, con uno sguardo interrogativo: quegli occhi ci chiedevano “perché? Perché tutto questo?” È uno di quei momenti in cui ti senti terribilmente impotente. Ma ci sono ricordi anche sorprendenti: in una piazza Tahrir occupata e assediata dall’esercito, un egiziano – sentendomi parlare in italiano – ha cominciato a recitare la Divina Commedia. Da due settimane dormiva per terra, non mangiava o quasi, era stato picchiato dalla polizia e, come centinaia di altri, occupava la piazza rischiando la vita, sembrava un barbone ma era un italianista, laureato a Il Cairo». Qual è l’aspetto più delicato e, al contempo, impor-

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Racconti dall’estero

BISOGNA TENERE IN PRIMO PIANO SEMPRE IL FATTORE UMANO, CHI VIVE IN QUELLE CONDIZIONI E COME

tante che si deve tenere ben presente nel raccontare, nel restituire agli spettatori, gli eventi che accadono nel corso di un conflitto? «La prima cosa da non dimenticare mai è che il giornalista non è la notizia. Bisogna evitare qualunque protagonismo, ma farsi tramite per raccontare. È importante, secondo me fondamentale, riuscire a realizzare una giusta miscela tra fatti ed emozioni, perché non basta informare sulle strategie degli alti comandi o elencare il numero di bombe cadute. Bisogna tenere in primo piano sempre il fattore umano, chi vive in quelle condizioni e come. Soprattutto in guerra, bisogna anche far sentire, trasmettere, a chi è altrove, in pace e a casa, cosa significa invece trovarsi in quelle situazioni». 26

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Ha scritto un romanzo-reportage Kashmir Palace dove fiction e realtà si intrecciano. In base alle sue esperienze dirette, come si delinea questo rapporto in una corrispondenza dall’estero? «Il problema principale per chi fa informazione televisiva da telegiornale è la mancanza di spazi di approfondimento, di spazi, quindi, per poter raccontare più diffusamente la realtà che si viene a conoscere. È rigorosamente un problema di tempi. Da qui una notevole frustrazione, perché di fatto si racconta solo una parte, spesso una piccola parte, anche se importante, e si è costretti a sacrificare tutto il resto. Ho scritto un romanzo per poter “sfogare” questo desiderio di raccontare di più, sfruttando la finzione per allargare senza nessun vincolo questo mio desiderio espressivo». Oggi, secondo lei, quale futuro avrà la figura dell’inviato, soprattutto di guerra? E quali sono le principali caratteristiche che questo deve possedere? «C’è un gran dibattito in corso sulla nuova figura del citizen journalist che, grazie alle nuove tecnologie, potrebbe sostituire l’inviato straniero. Io penso, invece, che le due figure si debbano integrare. Lo sguardo di un inviato che viene da un altro paese, con un’altra realtà, porta con sé quell“innocenza”, quell“ingenuità” che permette di cogliere più facilmente alcuni aspetti sorprendenti, che appaiono normali a chi in un posto è cresciuto e ci vive. C’è anche un coinvolgimento personale emotivo meno intenso, che permette quel giusto distacco necessario per informare. Un inviato deve mantenere sempre la capacità di indignarsi, anche se ne ha viste tante e tali che potrebbe quasi non stupirsi più. E deve sapersi davvero adattare a tutte le condizioni, in certi casi realmente difficili, magari senza un tetto né un letto, senza cibo e dovendo per giunta lavorare e rispondere alle richieste della redazione, talvolta così distanti dalla realtà in cui ci si trova da far perdere la pazienza».



Racconti dall’estero

Racconto all’Italia cosa accade in Europa Dalla Grande Mela a Bruxelles. La corrispondente Rai Mariolina Sattanino svela luci e ombre del suo lavoro di inviata nella capitale belga, dove ogni giorno si decidono i destini dell’Unione europea e, quindi, anche dell’Italia di Francesca Druidi

er Mariolina Sattanino l’avventura di corrispondente inizia nel 1997. E non da un luogo qualunque, ma da New York. «Sono stati anni importanti – spiega la giornalista Rai – anche perché prima avevo fatto l’inviata solo saltuariamente. Mi occupavo della conduzione, prima al Tg3 e poi al Tg2, e lavoravo all’interno della redazione». Cosa le ha lasciato l’esperienza di New York? «Mi ha insegnato a muovermi da sola, a non avere un riscontro immediato e a prendere decisioni in autonomia, valutando le notizie - e le modalità con cui proporle - cercando di capire cosa poteva interessare in Italia. In questo senso, è stato utile fare riferimento alle dinamiche e ai meccanismi assorbiti in redazione». E dal punto di vista culturale? «Partiamo sempre dal presupposto che americani ed europei siano uguali. In realtà, siamo popoli profondamente diversi, tutt’al più abbiamo degli interessi in comune. E tra l’altro, da quando ho lasciato gli Stati Uniti, sono sempre meno questi interessi. Mi sono avvicinata all’America con un grande senso di curiosità e di apertura. Siamo stati talmente bombardati sotto il profilo culturale da questo paese da ritenere di sapere già tutto. Sbagliando. Occorrono almeno due-tre anni per capirlo. Inolte, gli Stati Uniti cambiano in maniera così rapida che nulla può definirsi

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acquisito, tranne il fatto che costituiscono un grande popolo, molto nobile, con ideali straordinariamente radicati. Un popolo che va rispettato sempre, al di là di chi lo rappresenta». Qual è l’aspetto professionalmente più appagante e quello, invece, meno positivo nel lavorare a Bruxelles? «Ci si sente al centro dell’Europa e dei processi decisionali. Questo è l’aspetto più gratificante. Da Bruxelles passano tutti: politici, rappresentanti delle istituzioni, imprenditori. Ci sono possibilità di incontro e di scambio che in Italia non esistono e il dibattito - anche tra colleghi - si sviluppa a un livello sempre molto alto. In questo contesto, purtroppo, un giornalista lavora soltanto sulle carte, sui dossier, che non solo ovviamente fatti della stessa materia delle persone. La mancanza dell’interazione umana identifica, per me, l’aspetto meno appagante in


Mariolina Sattanino

quanto c’ è solo una parte della nostra professionalità che si dispiega. Si cerca allora un’altra chiave, completamente diversa rispetto a quella di una corrispondenza dagli Stati Uniti, dove si richiedono sensibilità, curiosità, studio della storia e della politica del paese. A Bruxelles è necessario conoscere i dossier, dimostrando duttilità nel passare con rapidità da un argomento all’altro: dall’agricoltura all’ambiente, dalla politica estera alla crisi economica. La chiave diventa, quindi, spiegare al pubblico le “cose” europee nella maniera più chiara possibile. Non sem-

LA CHIAVE DELLA MIA CORRISPONDENZA È SPIEGARE AL PUBBLICO LE “COSE” EUROPEE NELLA MANIERA PIÙ CHIARA POSSIBILE

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pre è facile. Non è un giornalismo che può dirsi brillante, ma deve essere chiaro». Ha vissuto da corrispondente il processo di costruzione dell’Unione europea. C’è un episodio che ricorda come il più significativo? «Per me è stato particolarmente importante l’allargamento dell’Europa a est che ho professionalmente vissuto dall’interno. Ricordo la grande cerimonia ufficiale del 1° maggio 2004 a Dublino, con tutte le bandiere degli Stati che si alzavano insieme, come un evento simbolico volto a riconoscere un’Europa finalmente riunificata. Non è stato un processo privo di risvolti critici, ma nonostante tutto, ritengo si sia trattato di un grande successo politico. In generale, penso che tutte le polemiche attorno all’Europa che fa o che non fa, siano piuttosto strumentali. Anche in questo caso, non mancano certo i problemi, ma chi contesta l’Europa dovrebbe anche avanzare un’alternativa. In un mondo ormai globalizzato, cosa farebbe da sola l’Italia?». Come si delinea il ruolo del corrispondente dall’estero nell’epoca dei social network? «È un discorso che va al di là del ruolo del corrispondente, investendo l’intera professione. Resta, secondo me, importante il racconto diretto da parte degli inviati. L’alternativa sarebbe quella di affidarsi a testimonianze non professionali oppure alle grandi agenzie, che però non forniscono garanzie complete di imparzialità. Più fonti di informazione ci sono, più l’utente è garantito. Più informazione significa, infatti, maggiore democrazia. Devono convivere entrambi gli aspetti. La nascita di questo fenomeno porta, però, a pensare che l’informazione sia un servizio gratuito, ma non è così. Si rischia perciò di fare riferimento a informazione gratuita, ma non affidabile». 29


Racconti dall’estero

C’è sempre un’altra parte della storia

È stata una delle inviate di guerra più conosciute e apprezzate del panorama radiotelevisivo italiano. Oggi corrispondente per la Rai da New York, Giovanna Botteri ripercorre i primi passi mossi all’estero, individuando le lezioni apprese e gli obiettivi a cui tendere nel racconto di guerra di Francesca Druidi

l reportage di guerra, da anni, non è più territorio esclusivo degli uomini. Anzi, è sempre più folta la schiera di giornaliste impegnate a raccontare eventi e storie dagli scenari più caldi del pianeta, dal piccolo schermo così come sulla carta stampata. Ognuna a suo modo, seguendo le proprie specificità e inclinazioni. «Una presenza che va al di là dell’immagine», è quella delle inviate, secondo Giovanna Botteri, triestina, telegiornalista Rai specializzata negli affari esteri, oggi di stanza nella Grande Mela. Il suo volto è spesso e volentieri ricondotto al conflitto in Iraq, in particolare al concitato arrivo dei carri armati americani nel 2003, ma la sua esperienza di inviata all’estero parte da lontano, arricchendosi di pagine importanti. Ha seguito da corrispondente alcuni dei più significativi conflitti degli ultimi vent’anni. Come si impara a muoversi in scenari così diversi? «Ho cominciato a seguire i conflitti nell’ex Jugoslavija. Era in assoluto la mia prima importante esperienza professionale. Ma era un paese che conoscevo molto bene e

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il mio direttore di allora, Sandro Curzi, rischiò. Ho cominciato a mandare i pezzi, a raccontare le storie, coprire le notizie, ho imparato a muovermi in zone difficili, rischiose. Così ho continuato a seguire i conflitti, da Vukovar a Sarayevo, dal Kossovo fino all’Algeria, l’Afghanistan, l’Iraq». Quanto influisce la censura o l’autocensura nel raccontare gli eventi da una zona di guerra? «Il giornalismo embedded non riguarda purtroppo solo chi fa giornalismo sul campo, ma anche chi lo fa nei palazzi del potere, economico, politico. Per essere “dentro” finisci per pagare un prezzo molto alto alla tua libertà di giudizio, di espressione. Stare da una parte della barricata può funzionare quando costruisci la notizia a più voci, con più prospettive e punti di vista. Personalmente, credo che il nostro obiettivo resti quello di mantenere un occhio aperto su tutto. Mantenendo quel nostro essere altro da ogni situazione, quel nostro stare con nessuno, evitando giudizi se possibile. Come si fa a


Ivan Leon Cerullo

Giovanna Botteri

PUOI RACCONTARE UNA RIVOLTA ANCHE STANDO DALLA PARTE DEI SOLDATI CHE SPARANO, MA DEVE ESSERCI QUALCUN ALTRO IN PIAZZA CON I RIVOLTOSI


Ivan Leon Cerullo

Racconti dall’estero

In alto a destra, Giovanna Botteri, corrispondente Rai da New York. Sopra, militare americano in Iraq

raccontare una guerra stando con le truppe di occupazione? O almeno, solo con le truppe? Puoi raccontare una rivolta anche stando dalla parte dei soldati che sparano, ma deve esserci qualcun altro in piazza con i rivoltosi. Le immagini, come le parole, sono facilmente manipolabili. Un’immagine privata del contesto in cui è stata girata, può avere altri significati. Ci sono parole che feriscono, e immagini che annoiano. Qualche volta, insieme, possono cambiare i destini delle persone». Prima inviata di guerra, oggi corrispondente da New York. La situazione è cambiata, anche in termini di rischio. Cosa ha rappresentato per lei questa fase? C’è un ricordo, un volto, una sensazione, che le è rimasto particolarmente impresso? «Passare dall’Iraq agli Stati Uniti è stato come passare da una parte all’altra del fronte. Ma è stata un’esperienza straordinaria dal punto di visto professionale. Mi ha costretto a seguire e capire le logiche degli uni e degli altri. Senza preconcetti, senza giudizi dannosi. Jean Hatzfeld, un grande giornalista e scrittore francese, ha perso una gamba a Sarayevo, quando hanno bombardato la macchina su cui viaggiava. Dopo i Balcani, è partito per 32

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l’Africa, per raccontare i massacri etnici del Rwanda. Poi ha capito che c’era bisogno di raccontare anche l’altra parte della storia. Considero la sua una lezione, sempre». Oggi sempre più inviate sono donne. Come interpreta questa tendenza? «La storia delle donne nel giornalismo segue un po’ la strada attraversata da tutte le minoranze nella loro lotta per i diritti. Partendo da una piccola avanguardia di coraggiose, il gruppo è cresciuto via via, acquistando forza e credibilità. Certo, il mondo dell’editoria, chi decide e dà linea, resta un mondo maschile. Ma molte cose stanno cambiando. Le donne sono state messe in televisione perché erano carine, rassicuranti, piacevoli a vedersi. Annunciavano bene, servivano bene i conduttori, aprivano le buste con stile. Cantavano ballavano, e battevano a macchina. Le hanno messe a leggere notizie scritte da altri. Poi qualcuna ha cominciato a scriversele da sola. E ha cominciato ad andare in giro. E a fare domande, cercando risposte. Le notizie da trattare, i luoghi in cui andare, le occasioni in cui farci parlare ancora non possiamo deciderle da sole, ma abbiamo conquistato una presenza che va al di là dell’immagine».



Donne e Pa

Il vero cambiamento delle quote rosa Secondo Gabriella Alemanno, le donne sono adatte a ricoprire ruoli di responsabilità e di direzione «perché in possesso di grande forza decisionale e di una naturale tendenza al dibattito, al confronto e alla mediazione» di Elisa Fiocchi al luglio 2008, Gabriella Alemanno ricopre il ruolo di direttore dell'Agenzia del Territorio, dopo una lunga carriera nella pubblica amministrazione, in cui ha ricoperto anche il ruolo di direttore per le strategie dell’amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato, di cui è stata vicedirettore. «Per le donne quelli più difficili da ottenere sono sicuramente i ruoli di vertice, anche se nel settore pubblico qualcosa è iniziato a cambiare». Quali sono le linee guida e i valori che scandiscono il suo lavoro? «Mi sono sempre impegnata per valorizzare le professionalità interne dell’agenzia, cercando di individuare le migliori risorse, troppo spesso sottovalutate, con lo scopo di migliorare la performance dell’intera organizzazione. L’obiettivo che mi sono posta sin dai primi giorni del mio insediamento è stato poi quello di rafforzare lo spirito di coesione di una struttura che ha una diffusione capillare su tutto il territorio nazionale. Per questo motivo ho cercato, quando possibile, di recarmi personalmente nelle nostre sedi regionali e provinciali, per capirne le criticità dei vari territori e proporre soluzioni adeguate». In termini di soluzioni per istituzioni, cittadini e professionisti, quale contributo ha offerto in questi anni presso l’Agenzia del Territorio e in quale direzione vanno i nuovi progetti del 2012? «Con l’avvio del processo di informatizzazione, è completamente mutata la visione del catasto: basti pensare che oggi un professionista può risolvere l’intera attività con l’agenzia direttamente dal proprio ufficio, collegandosi attraverso Internet a una sorta di ufficio

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Gabriella Alemanno In apertura, Gabriella Alemanno, direttore dell’Agenzia del Territorio

virtuale, il che comporta per tutti un risparmio economico, di tempo e di personale. Chi non ha accesso alla rete può comunque recarsi presso i nostri uffici provinciali o nei circa 1.200 comuni con cui sono stati siglati dei protocolli d’intesa, oppure presso i 6mila sportelli di Poste Italiane aderenti al progetto “Reti amiche”, con cui l’agenzia ha stipulato una convenzione per il rilascio delle visure catastali. Per quanto riguarda il mercato immobiliare, invece, è stata presentata lo scorso anno un’applicazione che offre gratuitamente agli operatori e ai cittadini il servizio di consultazione delle quotazioni dell’Osservatorio del mercato immobiliare. Nel campo della pubblicità immobiliare è recente l’introduzione, a titolo facoltativo in otto città italiane, della trasmissione telematica di una copia dell’atto notarile». Come valuta il grado di accesso delle donne italiane alle più importanti cariche amministrative, anche comparandolo alla sfera del privato? «È ancora decisamente compresso, sia nel pubblico che nel privato, anche se negli ultimi anni ci sono stati dei piccoli segnali di discontinuità con alcune nomine al femminile in importanti ruoli di aziende o enti. Ritengo in ogni caso che solo l’introduzione delle quote di genere possa essere il vero impulso al cambiamento». Cosa è stato fatto finora in ambito pubblico? «Innanzitutto la regolamentazione di accesso agli incarichi dirigenziali, disciplinata dai concorsi pubblici, e poi si è visto che le donne manager mostrano una determinazione ed una capacità organizzativa non sempre riscontrabili tra i colleghi uomini. È necessario porre in essere un cambiamento culturale che veda oltre i pregiudizi e gli stereotipi che si sono consolidati nel tempo». Quali difficoltà e opportunità ha incontrato nelle cariche amministrative da lei ricoperte in carriera? «Ho sempre considerato il mio percorso di carriera un’opportunità di crescita professionale e umana. È chiaro che ho incontrato anche delle difficoltà, ma le ho vissute come una sfida al pari di tutte le altre vicende della vita in cui si viene messi alla prova». nea | gennaio 2012

L’ACCESSO AI VERTICI PUBBLICI E PRIVATI È ANCORA COMPROMESSO, ANCHE SE NEGLI ULTIMI ANNI CI SONO STATI DEI SEGNALI DI DISCONTINUITÀ GRAZIE AD ALCUNE NOMINE AL FEMMINILE IN IMPORTANTI RUOLI

C’è un ruolo che avrebbe il piacere di ricoprire in un futuro e perché? «Quando si lavora nella pubblica amministrazione i ruoli non vengono scelti bensì affidati. Spero che se in futuro mi verranno offerti altri incarichi diversi da quello che attualmente ricopro con orgoglio e spirito di servizio, abbia sempre la possibilità di dimostrarmi all’altezza della situazione». 35


Donne e Pa

La mia Monfalcone «La difficoltà sta nell’imporre un cambiamento di stile nei rapporti», afferma Silvia Altran. «Non amo la politica urlata perchè quello che conta, alla fine, è il risultato» di Elisa Fiocchi

Silvia Altran, sindaco di Monfalcone

a prima donna a occupare la poltrona di sindaco, il quindicesimo di Monfalcone a partire dal dopoguerra, è Silvia Altran, classe 1955, che nel comune di oltre 27mila abitanti in provincia di Gorizia è nata e cresciuta, e ora vive assieme al marito e ai due figli. Con un consenso elettorale che ha sfiorato la quota del 56% nelle ultime elezioni, il nuovo sindaco abbandona la carica di vice che ha ricoperto negli ultimi dieci anni, raccogliendo il testimone di Gianfranco Pizzolito: un compito non facile al governo di una città che soffre la crisi economica e occupazionale dove, oggi più che mai, la coesione sociale resta il traguardo primario da raggiungere. Com’è riuscita a vincere questa sfida? «È una sfida che non ho vinto da sola, ma grazie all’appoggio dei tanti che mi hanno sostenuta in campagna elettorale e che mi hanno scelta alle urne. Penso che il mio punto di forza, oltre all’aver già dimostrato il mio impegno per la città nella precedente amministrazione, sia stato quello di non aver promesso mari e monti ma di aver espresso una chiara visione della “mia” Monfalcone: una città viva, solidale, accogliente. Una visione senza voli pindarici bensì fatta di progetti solidi e concreti. E i cittadini hanno apprezzato». E quali sono i pro è contro di essere la prima donna sindaco di Monfalcone? «I monfalconesi hanno accettato di buon grado il fatto di avere una donna sindaco, quando mi salutano spesso mi chiedono se voglio essere chiamata signor sindaco o sindachessa, ma quello che è importante è

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Silvia Altran

MONFALCONE È UNA CITTÀ COMPLESSA, SEDE DI GRANDI REALTÀ INDUSTRIALI COME FINCANTIERI, SEDE DI UN PORTO, NODO LOGISTICO FONDAMENTALE CON L'EST EUROPA

“sentire” che si fidano del mio modo di gestire la città e i suoi problemi. La difficoltà sta in qualche modo nell’imporre un cambiamento di stile nei rapporti. Io non amo la politica urlata, preferisco costruire, con paziente tenacia, percorsi utili in modo pacato, e questo a volte può essere scambiato per docilità o indecisione. Alla fine, però, quello che conta è il risultato». La pregressa esperienza di vicesindaco quanto l’ha avvicinata ai bisogni e alle esigenze della città? «Sicuramente aver potuto sperimentare in precedenza cosa significa amministrare una realtà complessa come quella di Monfalcone ha avuto un peso importante. Di molte situazioni conoscevo i pregressi e, per molte, mi ero impegnata in prima persona. Ho avuto modo di entrare in contatto con i problemi, le speranze, i desideri dei cittadini e, quindi, sapevo che cosa loro si aspettavano da me. La mia precedente esperienza è comunque solo un punto di partenza, da adesso in poi è tutto nuovo». E invece quali nuovi valori vuole trasmettere? «Il concetto che ha guidato la nostra campagna elettorale, e sul quale adesso entreremo nel vivo nella nostra programmazione, è quello della coesione sociale. Negli ultimi anni Monfalcone si è rinnovata con nuove strutture e contenitori culturali. Questo è stato l’harnea | gennaio 2012

dware. Adesso è il momento di lavorare sul software, riempiendo queste strutture di contenuti. E quello a cui puntiamo è far recuperare ai cittadini quel senso di comunità che, con il passare del tempo, si è appannato. Il momento è difficile, solo stando uniti riusciremo ad andare avanti». Qual è il compito più difficile, ma anche quello più stimolante, nel guidare questa città? «Monfalcone è una città complessa, che ospita grandi realtà industriali come Fincantieri, sede di un porto che è nodo logistico fondamentale con l’est Europa, punto più a nord del Mar Mediterraneo. È una città che vive i grandi cambiamenti, sia in positivo sia, purtroppo, in negativo, come in questo ultimo periodo. Difficile è trovarsi a dire ai propri cittadini, con sincerità, che i prossimi mesi non saranno facili. Stimolante è lavorare per riuscire a vincere questa sfida e aiutarli a credere nelle loro potenzialità e capacità. Lo faremo sfruttando la posizione strategica di questa città, progettandone la crescita in modo intelligente e innovativo, guardando al futuro con lungimiranza e fiducia. Abbiamo delle frecce al nostro arco, tra cui la voglia di lavorare, l'eterogeneità dei miei concittadini, la nostra apertura verso il mondo: non per niente, in fondo, siamo una città di mare». 37


Donne e Pa

Oltre le insicurezze lla guida del Comune di Thiene dal 2007, ha ricevuto anche la nomina di nuovo segretario provinciale della Lega Nord di Vicenza nel febbraio dell’anno scorso, raccogliendo il testimone di Paolo Franco. «Quando da donna ci s’impegna su un percorso politico-amministrativo si deve comunque rinunciare a una parte del proprio spazio personale» sostiene. È il prezzo da pagare per la vicentina Maria Rita Busetti, classe 1948 e madre di due figli, che crede fermamente nella libertà concessa a tutti di accedere alle cariche pubbliche. Il problema, se mai, va individuato nell’approccio femminile alla carriera: «Le donne dovrebbero avere più coscienza delle proprie capacità – afferma – ma a volte si chiudono da sole la strada, perchè non si ritengono all’altezza di affrontare un ruolo amministrativo». Questo traguardo cosa rappresenta a livello personale e per la sua carriera politica? «A livello personale è sicuramente una grande esperienza umana e una riprova della possibilità anche per le donne di affrontare con coscienza le problematiche del territorio. Nell’ambito della carriera politica credo che la carica di sindaco sia abbastanza anomala e comunque differente da ciò che si definisce abitualmente carica politica». Quali azioni sta intraprendendo per favorire lo sviluppo del territorio e quali progetti in particolare ritiene prioritari? «Lo sviluppo del territorio si basa sulla rivalutazione delle risorse che il territorio stesso ha. Nel caso specifico del Thienese, risorse ce ne sono molte, bisogna saperle usare in rete con altre realtà, come le associazioni di categoria. Questo può significare, ad esempio, creare posti di lavoro per la riqualificazione urbanistica delle aree dismesse, cosa che rientra proprio nei progetti prioritari del mio mandato». In questi anni di governo quali proposte ha elaborato in favore delle donne? «Poiché credo fermamente nell’eguaglianza tra

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«È più facile a volte, e lo sarebbe stato per me, pensare a una carriera politica piuttosto che fare il sindaco» racconta Maria Rita Busetti «ma ho scelto coscientemente di mettermi a servizio del territorio» di Elisa Fiocchi

Maria Rita Busetti, sindaco di Thiene e segretario provinciale della Lega Nord di Vicenza

uomo e donna e nella possibilità delle donne, comunque, di mettersi in gioco politicamente, non ritengo ci debbano essere proposte specifiche a loro favore ma forse un’educazione diversa che permetta a molte giovani di prendere coscienza delle proprie potenzialità. È ben vero che ho voluto fermamente la nascita di un tavolo di incontro e di approfondimento sulle problematiche femminili fatto dalle donne, però questo non mette in primo piano la ricerca delle possibilità politiche, ma il diritto della donna nel mondo a essere rispettata».



Politiche antidroga

Accordi internazionali per la prevenzione La prevenzione e il contrasto all’abuso di sostanze stupefacenti passa anche da intese bilaterali e scambio di informazioni tra ricercatori stranieri. L’esperienza di Elisabetta Simeoni, responsabile per le attività internazionali del Dipartimento politiche antidroga di Giacomo Govoni

n solido asse con gli Stati Uniti per imprimere un’accelerazione nella lotta contro la droga, arginare su scala internazionale il dilagare delle tossicodipendenze e alcool dipendenze e, non ultimo, concordare strategie di prevenzione fondate sulla collaborazione scientifica. È piena di risultati positivi la valigia con cui il Dipartimento politiche antidroga, che fa capo alla delega per la cooperazione internazionale e l’integrazione retta dal ministro Andrea Riccardi, ha fatto rientro pochi giorni fa dalla spedizione alla Casa Bianca. Un ciclo di incontri bilaterali tra gli organi governativi italiani e americani,

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La dottoressa Elisabetta Simeoni con il rappresentante della Casa Bianca, Kevin Sabet, dopo la firma dell’agreeement

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a definitivo coronamento della doppia intesa firmata lo scorso luglio in materia di tutela e contrasto all’abuso di sostanze tossiche. Oggi come allora, a tirare le fila di questo fruttuoso negoziato, è stata Elisabetta Simeoni, direttore tecnico-scientifico e responsabile per le attività internazionali del Dpa. L’ultimo atto del vostro impegno internazionale è stata la firma di due accordi con l’Office of national drug control policy, Ondcp, e con il Nida, National institute on drug abuse. Cosa ci può dire in merito? «La nostra collaborazione con gli Stati Uniti si è rafforzata in occasione dei recenti negoziati a Vienna e New York, dove abbiamo fatto fronte comune, in quanto le nostre politiche in materia di droga sono molto simili. In quelle sedi abbiamo deciso di estendere il “memorandum of intent” sottoscritto nella prima decade di luglio, su espressa volontà dell’allora sottosegretario Carlo Giovanardi e del direttore del dipartimento americano, Gil Kerlikowske, entrambi firmatari del concordato. Abbiamo potuto approfondire tematiche riguardanti la prevenzione e la riabilitazione, oltre alla repressione del traffico e dello spaccio. Abbiamo poi sottoscritto un ulteriore accordo con l’organo tecnico-scientifico del governo americano e del Nida, alla presenza del capo del Dipartimento politiche antidroga, Giovanni Serpelloni e Kevin Sabet, consigliere della Casa Bianca dell’ufficio antidroga statunitense». Quali sono stati i termini dell’accordo con gli Stati Uniti? «Il primo obiettivo è stato porre le basi per la collaborazione, cooperazione e partenariato in tema di politiche antidroga e della ricerca. In secondo luogo, il memorandum d’intenti mira a costituire gruppi di collaborazione internazionale per la discussione di problematiche e strategie tese a rafforzare gli impegni delle rispettive parti nel controllo della droga e ad attivare collaborazioni, per affrontare in modo sempre più efficiente il problema della dipendenza». Qual è il valore principale del documento? «L’accordo rappresenta un passaggio molto importante per il nostro Paese perché per la prima volta verranno condivise e create le basi per implementare la collaborazione bilaterale con gli Usa in materia di prevenzione, ricerca nel campo delle neuroscienze e riabilitazione delle persone dipendenti da droghe, nonché delle politinea | gennaio 2012

È IMPORTANTE INCENTIVARE LA CONDIVISIONE DI COLLABORAZIONI TRA RICERCATORI, TERAPISTI ED EDUCATORI, ORIENTANDO GLI STUDI SCIENTIFICI VERSO AREE DI UTILITÀ PRATICA

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Alla destra del senatore Carlo Giovanardi, la dottoressa Nora Volkow, direttore del National institute on drug abuse. Alla sua sinistra, Kevin Sabet e Giovanni Serpelloni

che e strategie generali di azione». Nel testo si legge che il memorandum sarà anche la base per la creazione di accordi tra istituti di ricerca e centri clinici in materia di salute pubblica nei settori della prevenzione, dell’intervento precoce, del trattamento, della riabilitazione, del recupero e del reinserimento. «Sì, quello siglato con il Nida è un atto più operativo in tema di ricerca, che costituirà la nostra base di lavoro per i prossimi anni». La ricerca non è però il solo obiettivo di questo documento. «No, vogliamo costruire un network di risorse e competenze tecniche per migliorare sempre l’offerta dei nostri servizi e coprire in modo più accurato i bisogni delle persone affette da dipendenza e dei loro familiari. Un impegno di fronte al quale ora abbiamo appunto un alleato in più, gli Stati Uniti, con cui condividiamo la convinzione che la tossicodipendenza è una malattia prevenibile, curabile e guaribile, ma spesso cronica e soggetta a ricaduta. E che pertanto necessita di ricerche costanti, sempre più improntate alle neuroscienze, e aggiornamenti continui. Per questo è importante incentivare la condivisione di collaborazioni tra ricercatori, terapisti ed educatori, orientando gli studi scientifici verso aree di utilità pratica. In questo senso, puntiamo anche allo sviluppo e all’attivazione di trials clinici e nuovi processi educativi che si rivelino di aiuto ai trattamenti integrati della tossicodipendenza». A tre anni dal suo insediamento, qual è la posizione italiana nel panorama internazionale in materia di lotta alla droga e alle tossicodipendenze? «Dall’istituzione di questo dipartimento abbiamo raggiunto buoni risultati. Oltre a questi accordi con l’Ondcp, 42

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l’Italia ha presentato a Vienna un’importante risoluzione sottoscritta da tutti gli Stati, in occasione dell’ultima Commissione narcotics drug delle Nazioni Unite sulla riabilitazione. Inoltre, con l’Osservatorio europeo di Lisbona e la rete europea Reitox, di cui sono responsabile per l’Italia, siamo diventati punto di riferimento per la formazione, in virtù della creazione di un network di osservatori regionali per le dipendenze. Infine, stiamo affiancando operativamente l’osservatorio di Lisbona, in vista della prossima realizzazione di Mednet, una rete mediterranea di cooperazione sulle droghe e sulle dipendenze mirata a promuovere la cooperazione, lo scambio e il trasferimento reciproco di conoscenze tra i paesi del bacino del Mediterraneo e i paesi europei membri del Gruppo Pompidou». Ci sono altri risultati del suo lavoro a cui tiene particolarmente? «Ogni singolo passaggio o contatto che si stabilisce è di enorme importanza perché le reti si costruiscono un passo per volta. Tra gli altri risultati recenti, c’è il rafforzamento della collaborazione con l’Unodc con il quale sono in corso importanti attività in collaborazione con l’Oms. Recentemente il nuovo direttore esecutivo, Yuri Fedotov, ha incontrato il nostro Sottosegretario e il nostro capo dipartimento: le identità di vedute tra le nostre organizzazioni agevolano il proseguimento di progetti attivi e la programmazione di iniziative future in ambito preventivo e di formazione dei policy makers. I motivi per essere soddisfatti del lavoro svolto sono molteplici e i meriti non vanno solo a tutta l’equipe del nostro dipartimento, ma anche ai colleghi delle amministrazioni centrali e periferiche con cui ci confrontiamo e dai quali riceviamo un valido supporto».



Sanità

Investiamo nella ricerca Nonostante la sanità debba fare i conti con una liquidità sempre più scarsa, la ricerca non si ferma. E si continua anche a investire in attrezzature all’avanguardia e terapie innovative. Il punto di Mariella Enoc di Eugenia Campo di Costa

l progresso in campo medico va di pari passo con le evoluzioni della scienza e della ricerca. Proprio di recente, dalla collaborazione scientifica tra Roche e Fondazione Filarete, è nata una piattaforma che consentirà di misurare lo stato delle cellule ogni 15 secondi, aumentando le possibilità di individuare gli effetti avversi e la tossicità di composti estranei alle cellule. «La ricerca in campo medico sta proseguendo con tutti i problemi economici di cui risente – afferma Mariella Enoc, presidente della Fondazione Filarete e della Casa di cura I Cedri di Fara Novarese -. È chiaro che ogni sviluppo della ricerca è importantissimo sul piano del trasferimento tecnologico. Questo è proprio il compito di Filarete, impegnata anche nel saper attrarre aziende che vogliano sperimentare nuove e innovative tecniche, soprattutto diagnostiche». La ricerca, quindi, non si ferma, nonostante le difficoltà di un sistema sanitario che deve fare sempre più spesso i conti con scarsa liquidità e con i pesanti ritardi nei pagamenti da parte della Pubblica amministrazione. Quali provvedimenti crede dovrebbero essere presi per migliorare la situazione delle imprese sanitarie italiane che sempre più spesso lamentano ritardi nei pagamenti da parte della Pubblica amministrazione?

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Mariella Enoc, presidente della Casa di cura I Cedri di Fara Novarese (NO). Nella pagina accanto, un’immagine della struttura www.icedri.it


Mariella Enoc

«In effetti quello del ritardo nei pagamenti è un problema serio. Basti pensare che in Francia questi avvengono a 15 giorni. È chiaro che il pagamento rapido delle prestazioni consentirebbe un risparmio finanziario e una rimessa in circolo di importanti cifre di denaro. Per le aziende sanitarie in particolare, già penalizzate da continui tagli di budget regionali e da tariffe risalenti ad anni lontani, sarebbe una vera boccata di ossigeno. Nel frattempo, una valida soluzione potrebbe essere la possibilità di vincolare il pagamento delle imposte sul reddito al momento della regolazione di incassi e pagamenti delle poste che determinano l’imposizione fiscale». Il progresso tecnologico è una costante nella sua Casa di cura I Cedri. In particolare, quali sono le tecnologie e i servizi più innovativi presenti? «La Casa di cura I Cedri rinnova periodicamente le attrezzature. Sono state appena sostituite Tac, Risonanza Magnetica e metodi di refertazione. Voglio sottolineare, comunque, che il progresso tecnologico non è legato solo alle apparecchiature, ma anche a una revisione costante dei processi. La formazione del personale, sia medico che paramedico, è uno dei principi ispiratori della casa di cura». Un’area importante è dedicata al centro residenziale vegetativo permanente. Cosa si può fare oggi per aiutare le persone in stato vegetativo e fino a che punto è possibile migliorarne la condizione? «Proprio il prossimo 9 febbraio il Ministro della Salute dedicherà una giornata di studio a questa particolare condizione patologica. La Casa di cura I Cedri è stata chiamata a portare la sua esperienza ultradecennale. Da noi i pazienti arrivano in condizione stabilizzata e quindi il nostro compito è quello di stimolarli con sedute di fisioterapia e logopedia. Il paziente viene mantenuto in condizioni ottimali prevenendo quindi la formazione di piaghe da decubito o di altre patologie connesse. I parenti hanno la possibilità di rimanere accanto al malato 24 ore su 24 e possono disporre di tutti i servizi alberghieri connessi. Ove possibile, i pazienti sono periodicamente posizionati su carrozzelle speciali e portati anche all’esterno del reparto. Certo, la comnea | gennaio 2012

plessità della patologia non ci permette al momento di fare di più». Siete una delle pochissime strutture in Piemonte a ospitare anche un centro iperbarico. Quali patologie sono trattabili attraverso la terapia iperbarica e quali risultati permette di ottenere? «Attraverso la terapia iperbarica vengono tuttora trattate le patologie contemplate dalla normativa vigente. In alcuni casi, la camera iperbarica è stata anche sperimentata quale supporto terapeutico per i pazienti in stato vegetativo. Attualmente le patologie più comunemente curate ambulatorialmente in camera iperbarica

RINNOVIAMO PERIODICAMENTE LE ATTREZZATURE, MA IL PROGRESSO TECNOLOGICO È LEGATO ANCHE A UNA REVISIONE COSTANTE DEI PROCESSI sono rappresentate da ulcere cutanee, trofiche e da decubito, oltre che patologie di tipo traumatologico, oculistico, dermatologico e in otorinolaringoiatria. La camera iperbarica della Casa di cura I Cedri svolge il servizio di emergenza per la Regione Piemonte, tramite attivazione di apposita procedura. I casi più ricorrenti sono le intossicazioni da monossido di carbonio e, più raramente, le patologie da decompressione, le embolie e gangrene gassose». 45


Forniture Medicali

L’efficienza nella distribuzione medicale In un mercato che ruota attorno alla rapidità e all’efficacia della distribuzione, la creazione di una rete capillare di contatti di fornitura e la garanzia di reperibilità e celere evasione delle consegne sono caratteristiche fondamentali, come spiega Donatella Iervolino di Lodovico Bevilacqua

a distribuzione di presidi medico-chirurgici costituisce un mercato molto delicato, dove la qualità del servizio e l’affidabilità della merce commercializzata si presenta – più che come parametro di competitività – come ineludibile condizione deontologica. L’efficienza del servizio, inoltre, ricopre un ruolo di primaria importanza: la celerità della distribuzione, l’efficacia organizzativa, la disponibilità dei prodotti così come la loro rapida reperibilità, sono i principi che determinano l’affidabilità delle società impegnate in questo specializzato ambito distributivo. L’esperienza imprenditoriale diventa così – in questo più che in altri campi – un valore aggiunto, che mette in grado gli operatori di offrire al cliente un servizio preciso e professionale, grazie all’istituzione di capillari reti di contatti commerciali, alla gestione ottimale di tempi e modalità di consegna e stoccaggio dei prodotti, alla matura confidenza raggiunta con le esigenze del mercato di riferimento. Una conferma arriva da Donatella Iervolino, portavoce della società per azioni Defarma di Brescia. «La storia dell’azienda si distende nel tempo parallela a quella della nostra famiglia, che ha fondato la società nel 1972 e sempre l’ha diretta. La generazione di cui faccio parte – insieme alle mie tre sorelle – è dunque cresciuta con una formazione imprenditoriale efficacie e accurata,

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Donatella Iervolino della Defarma Spa di Brescia www.defarma.it

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Donatella Iervolino

appassionata al compito che svolgiamo e consapevole del suo valore etico». Che risultati commerciali ha ottenuto la Defarma nei suoi quarant’anni di attività? «Dei risultati importanti e prestigiosi. Siamo infatti diventati un punto di riferimento di primaria importanza per le forniture medicali nella vasta area settentrionale che comprende le province di Brescia,

indispensabili con cui ha conquistato affidabilità, e sono la qualità, l’innovazione, la competitività e soprattutto la professionalità. Per la natura dell’attività che svolgiamo, sono molto apprezzate l’efficienza e la precisione dei nostri servizi di distribuzione, caratterizzati da una disponibilità immediata dei prodotti, dall’efficacia dello smistamento delle merci – ottenuta grazie a un servizio di consegna con mezzi pro-

LA CARATTERISTICHE DI EFFICIENZA E PRECISIONE CHE CI HANNO PERMESSO DI RAGGIUNGERE QUESTI OBIETTIVI COMMERCIALI VANNO MANTENUTE E SE POSSIBILE, IMPLEMENTATE

Mantova, Cremona, Piacenza, Pavia e Bergamo, gestendo un volume di forniture decisamente importante. Abbiamo inoltre istituito partnership commerciali con i più titolati produttori di presidi medico-chirurgici, dei cui prodotti siamo i distributori». È un risultato che comporta molti oneri, oltre che onori? «Naturalmente sì, dal momento che con il portafoglio clienti aumenta anche la responsabilità del servizio erogato. La caratteristiche di efficienza e precisione che ci hanno permesso di raggiungere questi obiettivi commerciali vanno mantenute e – se possibile – implementate. In questa direzione è orientata la nostra politica di investimento, recentemente concretizzatasi – per esempio – nell’acquisto di una sede operativa di 2500 metri quadri, con lo scopo di razionalizzare i processi distributivi e, soprattutto, aumentare la superficie dedicata alla vendita al dettaglio dei prodotti che forniamo». Qual è dunque la vostra più preziosa caratteristica, che convince clienti e fornitori della vostra affidabilità? «Per Defarma sono quattro le condizioni necessarie e nea | gennaio 2012

pri, anche entro le 48 ore –, dall’offerta di assistenza e ricambistica con prodotti originali, così come dalla consulenza e dalla preparazione altamente professionali garantite dal nostro staff; molta attenzione, come sottolineato in precedenza, è infine riservata al rapporto con la clientela, che dispone della possibilità di consultare il nostro catalogo di prodotti, di valutare i nostri prezzi e di richiedere preventivi direttamente nella nostra area di vendita al dettaglio oppure on line attraverso il nostro sito internet». Sì può infine tracciare un bilancio dell’attività recente, anche in riferimento alla situazione attuale del mercato? «La negativa congiuntura attuale non ha condizionato i fatturati degli ultimi anni. L’efficienza organizzativa della struttura unita alla dedizione della proprietà, alla professionalità dello staff e alla fiducia accumulata negli anni presso clienti e fornitori, ci ha permesso di conseguire bilanci comunque soddisfacenti, garantendo i posti di lavoro dei nostri dipendenti - una ventina fra impiegati e agenti - e, soprattutto, conservando inalterata la qualità del servizio offerto». 47


Oftalmologia

Microchirurgia laser Eliminare il difetto visivo con un intervento a bassa traumaticità, senza tagli e ferite. Le possibilità aperte dalle nuove tecniche laser di microchirurgia illustrate dalla dottoressa Gabriella Paltrinieri di Valerio Germanico

a chirurgia oculistica, nell’arco di pochissimi anni, ha compiuto passi da gigante grazie all’introduzione delle innovative tecnologie laser per la microchirurgia. Questo ha permesso di evitare il ricorso alle tecniche invasive che prevedevano l’utilizzo del bisturi – con tutto ciò che questo comporta per il paziente, sia dal punto di vista fisico che psicologico. Adesso è quindi possibile liberarsi della dipendenza dagli occhiali, o dalle lenti a contatto, sottoponendosi ad un intervento non invasivo. Inoltre si sono accorciati i tempi per un ritorno totale alla vita quotidiana, grazie a un ridotto decorso postoperatorio, dovuto proprio all’assenza di tagli sull’organo visivo. Ad interessarsi in maniera particolare a questa nuova possibilità offerta dall’avanzamento tecnologico è Gabriella Paltrinieri, medico chirurgo specialista in oculistica e titolare del Centro medico oculistico di Varese: «Grazie alla tecnologia laser è finalmente possibile correggere tutti i tipi di difetti visivi, vale a dire miopia, astigmatismo e ipermetropia. Anche la presbiopia oggi non è più un problema, in quanto esiste una nuova tecnica laser che permette di eliminare gli occhiali anche per la visione da vicino».

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Gabriella Paltrinieri, medico chirurgo specialista in oculistica nel suo studio di Varese mgpaltrinieri@hotmail.it

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Gabriella Paltrinieri

LA TECNOLOGIA LASER PERMETTE OGGI DI CORREGGERE IN MANIERA NON INVASIVA I PIÙ DIFFUSI DIFETTI VISIVI

Quali differenze ci sono fra la microchirurgia oculistica tradizionale e quella laser? «La microchirurgia tradizionale utilizza microscopio, bisturi e ferri e prevede l’apertura dell’occhio, la sostituzione di alcune parti, come per esempio il cristallino, l’introduzione di lenti artificiali e la sutura della ferita tramite l’applicazione di punti. La microchirurgia che si avvale del laser, invece, non ha bisogno dell’apertura dell’occhio, in quanto ne va a modellare le strutture esterne, in particolare la cornea, correggendo così tutti i difetti visivi». Oltre a quelli appena citati, quali altri vantaggi presenta un intervento eseguito con il laser? «Innanzitutto, una probabilità di complicazioni molto bassa. L’utilizzo delle apparecchiature laser nella microchirurgia richiede sempre però una profonda conoscenza della situazione del paziente al fine di consigliare la tecnica più idonea per la correzione del difetto visivo. Le metodiche più utilizzate sono la PRK e la LASIK. Entrambe agiscono sulla cornea, la lente più esterna dell’occhio, modificandone la curvatura. La durata dell’intervento è nell’ordine di qualche minuto e l’anestetico è un collirio. Il decorso post-operatorio nel caso della PRK è di qualche giorno, mentre per la LASIK è di poche ore. Il paziente deve attenersi scrupolosamente alle indicazioni del chirurgo per un risultato ottimale». nea | gennaio 2012

Oltre all’astigmatismo, alla miopia e all’ipermetropia, quali altri difetti visivi è possibile correggere con la tecnologia laser? «La continua innovazione del settore oculistico ha fatto sì che oggi sia possibile curare con il laser anche la presbiopia, il cheratocono e la cataratta. Fino a poco tempo fa, non esisteva una tecnica appositamente pensata per correggere la presbiopia, oggi, invece, grazie al laser si può guarire del tutto. Il cheratocono, poi, è una patologia molto diffusa che prima poteva essere curata solo con il trapianto di cornea; con l’applicazione del laser anche in questo campo si evita il trapianto , chirurgia molto invasiva e complessa perché richiede la necessità di un donatore . Per quanto riguarda la cataratta, infine, nonostante in Italia l’utilizzo del laser sia ancora in fase di analisi e verifica, è una tecnica molto precisa, in grado di eliminare l’opacità del cristallino». A cosa è dovuta questa prudenza nell’applicazione routinaria del laser anche alla cataratta? «Il motivo frenante dello sviluppo di questa tecnologia nell’intervento di cataratta è da ricercare nel fatto che l’utilizzo del laser per eseguire la capsuloressi e la frantumazione del cristallino opaco richiede una precisione tecnologica incredibile. Sicuramente nel giro di qualche anno questa tecnica si sostituirà alla facoemulsificazione, tecnica comunemente utilizzata oggi nell’intervento di cataratta». 49


Ortognatodonzia

Curare le malocclusioni Spesso sottovalutate, le malocclusioni danno origine a un’ampia gamma di disturbi, a volte anche gravi. La dottoressa Carmela Savastano illustra le terapie più evolute, che oggi permettono cure efficaci e meno invasive di Lucrezia Gennari

e malocclusioni sono alterazioni che possono andare dai più lievi disallineamenti dentali ai più complessi dismorfismi cranio-facciali e riguardano sia l’età infantile sia quella adulta. Come spiega la dottoressa Carmela Savastano, specialista in odontoiatria e protesi, in ortognatodonzia, già presidente della Società italiana di ortodonzia e della Società italiana di ortodonzia prechirurgica, «più è grave la malocclusione, maggiore sarà il difetto funzionale dell’apparato stomatognatico, con riduzione delle capacità masticatorie e digestive, respiratorie, fonatorie, con difficoltà a mantenere una buona igiene, nonché alterazione dell’estetica del volto». La funzione alterata e non curata può anche danneggiare l’articolazione temporo-mandibolare, creando un quadro di sintomatologia dolorosa che va da disturbi locali, sino alla cefalea, o addirittura al blocco del movimento della bocca, e in alcuni casi all’alterazione della postura dell’apparato locomotore. «Il periodo infantile precoce e quello pre-adolescenziale – continua la dottoressa - sono i momenti chiave per raggiungere l’obiettivo di una faccia dritta e in salute: ecco perché è particolarmente importante la prevenzione dell’aggravamento delle anomalie facciali, e una diagnosi precoce, già intorno ai quattro o cinque anni di età». La disciplina che si occupa delle malocclusioni è l’Ortognatodonzia, in grado di correggere sia la posizione scorretta dei denti che quella

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dei mascellari. Vi sono patologie specifiche che possono essere curate anche con un trattamento ortognatodontico? «Ad esempio una delle principali problematiche diffuse presso la generalità dei pazienti di diverse età, tanto infantili che adulte, recentemente sempre più riconosciuta, consiste nelle patologie da “russamento” fino alle forme più gravi come la Sindrome


Carmela Savastano

delle Apnee Ostruttive Notturne (Osas), spesso poco conosciuta e trascurata, diagnosticata con difficoltà, anche se potenzialmente pericolosa per la vita. Il segno clinico più evidente di questa sindrome è il russamento e la sonnolenza diurna, potendo subentrare anche episodi di arresto del respiro durante il sonno. La progressiva riduzione del livello di ossigeno nel sangue che ne deriva aumenta il rischio di malattie cardiovascolari e cerebrali». Come si possono curare? «L’American Academy of Sleep Medicine suggerisce l’utilizzo di apparecchi intraorali nei russamenti e apnee lievi e moderate come una delle prime opzioni terapeutiche. Il trattamento con gli apparecchi intraorali aumenta il volume delle vie aeree superiori, riducendo così il numero delle apnee notturne. Ciò che molti pazienti “russatori” non immaginano è che in particolari casi, la sola applicazione durante la notte di un apparecchio ortodontico può curare definitivamente forme medie e lievi di tali patologie, oltre ad apportare tutti i rimanenti benefici già nominati». Quali novità si sono introdotte nel trattamento delle malocclusioni? «Oggi si studia per individuare i fattori genetici determinanti delle malocclusioni e si conducono ricerche per individuare i marker genetici che controllano le risposte alla terapia. La terapia genica potrebbe davvero rappresentare il futuro nella gestione delle anomalie cranio-facciali. Anche se le tecniche odierne rendono il paziente sempre più libero, l’eccellenza del risultato terapeutico dipende anche dalla sua collaborazione durante tutta la terapia attiva e successivamente durante la contenzione, fase necessaria alla stabilizzazione anche neuromuscolare della nuova posizione dentale e mascellare raggiunta. C’è un grande fermento di studi internazionali per arrivare a ridurre i tempi di trattamento, accelerando il movimento dentale. Esistono apparecchi tradizionali, fissi e removibili, e altri più estetici, che un osservatore esterno nota meno, fino a essere invisibili, da mascherine totalmente trasparenti ad apparecchi linguali, che non si vedono affatto perché posizionati sul lato interno dei denti. Oggi curiamo nea | gennaio 2012

Nella pagina a fianco, la dottoressa Carmela Savastano nel suo studio privato di Firenze con il dottor Ludovico Antonio Lunghi, specializzato in Ortognatodonzia. In questa pagina, prima e dopo la terapia ortognatodontica www.ortodonzia-savastano.it - www.ortodonzia-firenze.it

IL PERIODO INFANTILE PRECOCE E IL PERIODO PRE-ADOLESCENZIALE SONO I MOMENTI CHIAVE PER RAGGIUNGERE L’OBIETTIVO DI UNA FACCIA DRITTA E IN SALUTE con sistemi esteticamente validi e meno invasivi per l’adulto e per il bambino, e con tempi sempre più rapidi, basandoci sia sulla nostra esperienza che su evidenti dati scientifici». Poiché le cure evidenziate richiedono comunque tempo ed energie, quali sono i benefici finali apportati dall’ortognatodonzia? «Un sorriso in perfetta forma è basilare per una funzione masticatoria ottimale ma svolge anche un ruolo di primaria importanza nel nostro benessere, dando bellezza e serenità. Ciò viene notato non solo quando si sorride ma anche quando si parla. Si evidenzia un immediato miglioramento dell’autostima del paziente: molte persone si vergognano della propria bocca, non sorridono mai e si sentono a disagio quando parlano, mangiano, baciano ecc. Risolvere tali problemi porta a un marcato aumento della sicurezza di sé». 51




Riforme

Misure dure ma necessarie Il Governo Monti piace agli italiani seppur le misure adottate risultano in certi casi impopolari. Non bisogna trascurare però che regna un velo di pessimismo sul Paese, dovuto ai sacrifici che saremo chiamati a fare nella seconda metà dell’anno. Alessandra Ghisleri illustra gli ultimi sondaggi di Nicolò Mulas Marcello

onostante la manovra denominata lacrime e sangue, e le liberalizzazioni che coinvolgono vari settori, l’indice di fiducia nell’attuale governo sembra mantenere un livello decisamente alto. Gli italiani non hanno perso la fiducia nella politica, seppur quella nei partiti da tempo abbia iniziato a scricchiolare. «Gli italiani – spiega Alessandra Ghisleri, direttrice di Euromedia Research – cercano punti di riferimento ma ciò che allontana e che diventa pericoloso è il fatto che in un momento di crisi del nostro paese, le liti al vertice erano diventate di carattere politico e non legate a questioni del nostro paese e del benessere dei cittadini». A quasi tre mesi dal suo insediamento, gli italiani confidano nell’attuale governo tecnico? «Il governo era partito con grandi speranze da parte degli italiani, con le prime misure della manovra la fiducia era scesa al di sotto del 50%, per poi invece risalire nel mese successivo. Una delle cause di questi dati è sicuramente il fatto che questo governo ha dato l’impressione, con i blitz di Cortina e di Roma, di voler dare un impulso alla lotta all’evasione e questo è sicuramente piaciuto, forse non nelle forme ma nella volontà di cambiare marcia per la lotta all’evasione». Per quanto riguarda le liberalizzazioni, qual è

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l’opinione degli italiani? «In generale agli italiani le liberalizzazioni piacciono ma, se prima di Natale il 70% aveva un giudizio positivo a riguardo, con il nuovo anno il consenso è sceso al 60%. Questo perché la gente pensa che ci sarà un mercato più accessibile. Quando scendiamo però all’interno delle diverse categorie ci sono delle differenziazioni ma è evidente che partendo dall’energia e dai grandi servizi, i consensi degli italiani sono ampi sulle liberalizzazioni».


Alessandra Ghisleri

Qual è la percezione della crisi economica da parte dei cittadini e quali sono le speranze degli italiani per il futuro? «Gli italiani sanno che non è una crisi legata solamente al nostro Paese ma è una crisi globale. Per il futuro gli italiani sono molto timorosi, in quanto temono un’altra manovra. La paura vera nasce dal fatto che la recente manovra del governo non sia

IN GENERALE AGLI ITALIANI LE LIBERALIZZAZIONI PIACCIONO MA, SE PRIMA DI NATALE IL 70% AVEVA UN GIUDIZIO POSITIVO A RIGUARDO, CON IL NUOVO ANNO IL CONSENSO È SCESO AL 60%

Alessandra Ghisleri, direttrice di Euromedia Research

sufficiente per sanare i conti e che si torni a mettere le mani sempre nelle stesse tasche. Perciò una parte degli italiani crede che, dal punto di vista economico, il peggio debba ancora venire. Quello che abbiamo registrato è che tra la maggioranza delle persone si è sparso un pessimismo legato al secondo periodo del 2012. Sicuramente dettato dall’ondata di tasse indotte e dirette che si abbatteranno sugli italiani». Gli italiani hanno ancora fiducia nella politica del nostro Paese? nea | gennaio 2012

«Gli italiani hanno fiducia nella politica ma meno fiducia nei partiti politici. Gli italiani cercano punti di riferimento ma ciò che allontana e che diventa pericoloso è il fatto che in un momento di crisi del nostro Paese, le liti al vertice erano di carattere politico e non legate prettamente al benessere dei cittadini. Gli italiani desiderano quindi una nuova politica e la fiducia nei partiti politici è molto bassa. Questa è una crisi trasversale, non ha colore. Basti pensare che il primo partito italiano è quello degli indecisi». 55


Riforme

Programmi adeguati per la crescita del paese La politica del rigore deve ora essere seguita da un’adeguata strategia mirata alla crescita. A sostenerlo è Mariastella Gelmini, la quale spiega cosa occorre fare per non penalizzare i professionisti di Nicolò Mulas Marcello

e misure finora adottate dall’attuale governo tecnico, secondo Mariastella Gelmini, sono giuste ma ora occorre misurarsi con la crescita. Monti, secondo l’ex ministro, deve dare continuità alle modifiche che il precedente esecutivo aveva impostato. «Sembrava che fosse tutta colpa di Berlusconi e del suo governo – sottolinea la deputata – e invece registriamo il fatto che oggi lo spread è ancora elevato, che i mercati non hanno dato fiducia all’Italia e che addirittura c’è stato un declassamento da parte di un’agenzia di rating». Il tema delle liberalizzazioni ha scosso gli italiani quasi di più di quello delle tasse. Quale scenario si prospetta adesso? «Le liberalizzazioni devono essere vere e coraggiose, efficaci e mirate a migliorare la qualità di vita dei cittadini. Questo vuol dire concorrenza ma anche riduzione dei costi dei servizi. È chiaro che le liberalizzazioni porteranno beneficio al paese e il Pdl sarà in prima linea a difenderle e a promuoverle. Se invece esse appariranno come una penalizzazione delle categorie, sarebbero un’occasione perduta, perché le liberalizzazioni di cui gli italiani hanno bisogno solo quelle legate a banche, assicurazioni, poste, trasporti e servizi pubblici locali. Quindi ben vengano purché siano tali e a patto che il governo abbia il coraggio di essere lungimirante, senza essere forte con i deboli e debole con i forti». Sotto i riflettori non ci sono solo taxisti e commercianti ma anche il mondo delle professioni. Cosa pensa dell’idea, per ora solo paventata, di eliminare gli ordini professionali?

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Mariastella Gelmini, deputata del Popolo della Libertà


Mariastella Gelmini

LE RIFORME DI CUI GLI ITALIANI HANNO BISOGNO SONO QUELLE LEGATE ALLE BANCHE, LE ASSICURAZIONI E I TRASPORTI

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«Credo che una riforma degli ordini sia auspicabile. L’eliminazione apparirebbe un provvedimento semplicistico e inadeguato. Innanzitutto questo governo deve attuare ciò che è stato promosso dal Governo Berlusconi, pensiamo all’abolizione delle tariffe minime, alla possibilità di fare pubblicità, alle società di capitali. Sono già state introdotte importanti modifiche e innovazioni nella riforma del settore degli ordini professionali, quindi credo che dovremmo attuare queste, poi serve una discussione e un confronto con i professionisti». Accanto al tema delle liberalizzazioni per certe categorie rimane il problema dell’accesso alla professione. Non crede che siano due aspetti strettamente legati? «Sono sicuramente legati. C’è un provvedimento che il precedente governo aveva assunto e che deve essere completato, per esempio per quanto riguarda l’avvocatura va nella direzione di voler anticipare un anno del praticantato nell’ultimo anno prima della laurea, in modo da risparmiare un anno. Sicuramente occorre anche affrontare tematiche complesse come per esempio il fatto che, sempre per quanto riguarda gli avvocati, non abbiamo un numero limitato di professionisti, anzi forse ne abbiamo un numero eccessivo. Quindi non è un problema quantitativo, ma semmai occorre modificare l’accesso alla professione e la qualità del servizio che viene erogato». Come valuta le misure finora prese dal Governo Monti? «È prematuro dare un giudizio in quanto il tema della crescita viene affrontato proprio in queste settimane. Sembrava che fosse tutta colpa di Berlusconi e del suo governo, e invece registriamo il fatto che oggi lo spread è ancora elevato, che i mercati non hanno dato ancora fiducia all’Italia e che addirittura c’è stato un declassamento da parte di un’agenzia di rating. Questo significa che è andata bene la parte del rigore però occorre misurarsi con la crescita, quindi vanno bene le liberalizzazioni ma occorre anche la riforma del mercato del lavoro, l’accesso al credito da parte delle pmi e serve rivedere i ritardi nel pagamento dei debiti della pubblica amministrazione. È chiaro che il Pdl è pronto a sostenere il Governo Monti perché noi tifiamo Italia e quindi anteponiamo gli interessi dell’Italia a quelli del partito. Ma per esprimere un giudizio occorre attendere i prossimi provvedimenti e capire se essi saranno adeguati a intercettare la crescita». 57


Riforme

Un aumento possibile dei notai in Italia «Il notariato si è impegnato per dare opportunità ai giovani, mantenendo alto il livello della qualità e della selezione attraverso il merito». Donatella Quartuccio spiega come il settore abbia anticipato le riforme di Nicolò Mulas Marcello

Donatella Quartuccio, segretario del Consiglio nazionale del notariato

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Donatella Quartuccio

notai sostengono che negli ultimi quattro anni il loro lavoro è diminuito del 38%, un forte calo che ha messo in crisi molti studi. «Riteniamo – spiega Donatella Quartuccio, segretario del Consiglio nazionale del notariato – che si debba fare uno sforzo in un momento così difficile, ma puntiamo al dialogo con le istituzioni competenti, assicurando senso di responsabilità e chiedendo equilibrio nell’intervento legislativo, salvaguardando il corretto esercizio della pubblica funzione, che è nell'interesse di tutti e in particolar modo dei cittadini». Cosa occorre fare per migliorare il settore? «Occorre prestare attenzione alle esigenze della società, proseguendo con la politica di apertura che il notariato ha intrapreso in questi anni. Abbiamo aperto tavoli di confronto con le associazioni dei consumatori per ridurre le asimmetrie informative su temi fondamentali per i cittadini, come la casa o le successioni, e sono state avviate su tutto il territorio nazionale centinaia di iniziative di sportelli di consulenza gratuita. Le guide per il cittadino, gratuite, stanno riscontrando volumi di distribuzione incre-

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IL NOTARIATO SI È IMPEGNATO PER DARE OPPORTUNITÀ AI GIOVANI, MANTENENDO ALTO IL LIVELLO DELLA QUALITÀ E DELLA SELEZIONE ATTRAVERSO IL MERITO dibili, scaricabili gratuitamente anche sul sito www.notariato.it e disponibili su iPhone e iPad con l’app iNotai. Abbiamo cercato di supportare anche le piccole e medie imprese con un accordo con Confindustria che prevede incontri e consulenze specifiche per aiutarle in un momento di grande crisi». Per quanto riguarda l’accesso alla professione, qual è la situazione per i giovani aspiranti notai? «Il percorso per diventare notaio è molto selettivo, l’accesso alla professione è subordinato al superamento di un concorso gestito dal Ministero della Giunea | gennaio 2012

stizia che richiede una preparazione giuridico-fiscale di altissimo livello. Il notariato si è impegnato per dare opportunità ai giovani, mantenendo alto il livello della qualità e della selezione attraverso il merito, l’82,5% dei notai in esercizio non è figlio di notaio, mi piace inoltre precisare che la percentuale di donne notaio è del 29%. Attualmente sono in corso due concorsi da 200 posti e uno da 150». Parliamo di liberalizzazioni. Quali scenari si prospettano per il vostro settore? «Gli ultimi governi hanno introdotto riforme che il notariato ha già anticipato: la riduzione della pratica da 24 a 18 mesi e l’assicurazione obbligatoria per legge per tutti i notai, dal 2006; l’introduzione del principio di terzietà nei procedimenti disciplinari con le Commissioni di disciplina regionali presiedute da un magistrato. Si parla, inoltre, di aumento dei posti da notaio. Su questo punto lo scorso dicembre, sono stati istituiti 467 nuovi posti, +10% rispetto alla pianta organica precedente». 59


Modelli D’impresa

La Paglieri punta all’export Profumeria, alimentari, farmacie. Prosegue con successo il piano di diversificazione produttiva e distributiva di uno dei più noti brand della detergenza italiana. La parola a Debora Paglieri di Andrea Moscariello

on oltre 130 anni di storia imprenditoriale, Paglieri si conferma uno dei marchi italiani più riconosciuti e apprezzati nel mondo. Un brand che ha saputo dare anche al mercato delle detergenze il valore aggiunto del made in Italy e che oggi, dopo ingenti investimenti in ricerca e innovazione, si apre all’intero mondo del benessere e della bellezza. «Qualità e tradizione, coniugate a grande innovazione nella realizzazione di prodotti per la cura della persona e della casa, restano i nostri punti cardine» spiega Debora Paglieri, presidente della società, che coglie l’occasione per fare un bilancio su un 2011 quanto mai strategico per il gruppo, negli ultimi mesi la società ha acquisito il celebre marchio Schiapparelli, e per esprimere le sue aspettative sul 2012. L’ampliamento della Paglieri parte anzitutto dall’utilizzo, su più fronti, del vostro prodotto di punta, Felce Azzurra. «Chiaramente in questo la riconoscibilità di Felce Azzurra da parte dei nostri consumatori le sta permettendo di vivere con successo un’importante operazione di brand stretching. Il nostro obiettivo è fare in modo che il prodotto diventi una parte integrante di molti momenti della quotidianità dei consumatori. Non soltanto sapone, ma anche prodotti per la pulizia della casa, detersivi per i capi d’abbigliamento e, non ultima, una linea creata appositamente per l’uomo». Il vostro gruppo ora si sta ampliando anche sul fronte dell’integrazione alimentare. Come si è

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giunti a questa scelta? «Il settore della pulizia è naturalmente accostato a quello della salute, e i consumatori italiani sono sempre più attenti all’alimentazione. Anche per questo abbiamo deciso di implementare questo segmento di business proponendo prodotti dietetici, sani, seguendo la stessa filosofia di qualità e piacere che da sempre contraddistingue la produzione Paglieri». Il 2011 si è concluso all’insegna dell’acquisizione di Schiapparelli, un brand storico ma che, in passato, ha trovato successo attraverso canali distributivi differenti dal vostro. «Con Schiapparelli siamo riusciti finalmente a penetrare


Debora Paglieri Nella pagina a fianco, Debora Paglieri, presidente della Paglieri Spa www.paglieri.it

l’importante mercato delle farmacie. Per noi rappresenta un fondamentale incremento della nostra rete distributiva. Il mercato al momento è critico, ma sono convinta che questa sia la strada giusta da percorrere. I nostri agenti stanno già ottenendo buoni riscontri. I consumatori e gli esercenti accoglieranno con entusiasmo la possibilità di ritrovare alcuni prodotti di un marchio storico italiano, cui apporteremo importanti innovazioni». Paglieri ha superato da tempo la soglia dei 100 milioni di fatturato, nonostante la congiuntura. Per il nuovo anno quali strategie intende attuare per rafforzare i vostri brand? «Le strade da perseguire sono quelle dell’innovazione di prodotto e, soprattutto, della diversificazione produttiva. Tra le altre cose abbiamo finalmente concluso un importante accordo nel settore dei profumi cui abbiamo lavorato strenuamente per quasi due anni. In questo modo, oltre alla Gdo e alle farmacie, entreremo nel canale delle profumerie. Abbiamo acquisito alcuni brand che, si spera, ci permetteranno di aumentare esponenzialmente i nostri introiti sul mercato statunitense. Pochi mesi fa abbiamo aperto una nostra filiale commerciale negli Usa». Dunque sempre più attenzione all’export? «Purtroppo è sempre stato l’aspetto più trascurato da parte della società. Ma ora ci concentreremo maggiormente sui mercati esteri. Negli ultimi anni ci siamo consolidati e ora per noi l’internazionalizzazione rappre-

NEGLI ULTIMI ANNI CI SIAMO CONSOLIDATI E ORA PER NOI L’INTERNAZIONALIZZAZIONE RAPPRESENTA UN OBIETTIVO PIÙ REALIZZABILE senta un obiettivo oggettivamente più realizzabile». Lei è da sempre molto attenta ai bisogni dei consumatori. E gli italiani, ora, devono fare i conti con un sensibile calo del loro potere di acquisto. Come devono reagire gli imprenditori? «Nei momenti di difficoltà economica e sociale il consumatore si sente spaesato, ha bisogno di certezze. Per quenea | gennaio 2012

sto si rifugia nei marchi storici, legati al territorio, come i nostri. Quello di cui sono convinta, è che non bisogna mai perdere di vista il giusto rapporto tra la qualità e il prezzo. Vogliamo distinguerci su un mercato che propone ormai quasi solo grandi produzioni industriali, ponendo sugli scaffali prodotti realizzati seguendo ancora canoni di qualità artigianale, ma a prezzi accessibili». 61


Modelli d’impresa

Con lo sguardo rivolto a nuovi mercati La ricerca di soluzioni innovative e la voglia di guardare oltre i confini tradizionali. Accettando le sfide poste dall’evoluzione dei mercati. La parola a Claudia Persico di Valerio Germanico

l passaggio dalla modellazione del legno alla realizzazione di stampi in acciaio e alluminio richiede una forte spinta innovativa. Così come pure lo slancio verso nuovi mercati, lontani geograficamente e culturalmente, ma non dal punto di vista produttivo. Di questi temi parliamo con Claudia Persico, direttore generale della divisione rotomoulding dell’azienda di famiglia, specializzata principalmente nella produzione di sistemi per l’industria automobilistica e che ha all’attivo anche la completa realizzazione, con la divisione marine, di importanti vele come Luna rossa e l’Abu Dhabi Ocean Racing. Claudia, da donna manager e di industria, racconta la gavetta che l’ha condotta in pochi anni alla guida di una delle quattro divisioni della Persico e a ottenere risultati importanti – 18 milioni di euro il fatturato della sua rotomoulding division nel 2011. Cosa significa e come interpreta il concetto di innovazione la vostra azienda?

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Claudia Persico, direttore generale della Rotomoulding Division di Persico Spa, Nembro (BG) www.persico.com

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Claudia Persico

«L’innovazione è nel Dna di Persico, non ci accontentiamo mai dei risultati raggiunti vogliamo costantemente migliorare la qualità, viviamo di innovazione e grazie all’innovazione. Per questo abbiamo dato vita a un reparto dedicato interamente allo studio di innovazioni tecnologiche che possano migliorare i prodotti, crearne di nuovi e ottimizzare i processi di produzione. Questo reparto si occupa anche di collaudare gli stampi prodotti da tutte le altre divisioni e realizzare le preserie, in modo da verificarne la funzionalità e ridurre i tempi per la presentazione dei primi prototipi. Al nostro reparto interno si aggiunge la partecipazione all’Intellimech, Intellimech, un consorzio di aziende che fa ricerca interdisciplinare nell’ambito della meccatronica per applicazioni in settori industriali differenti». Cosa ha spinto la vostra azienda a imboccare la strada dell’internazionalizzazione? «Il nostro percorso è iniziato nella seconda metà del 2008 ed è stato mosso da un improvviso calo degli ordini da parte dei nostri partner localizzati nei mercati per noi tradizionali. All’epoca infatti lavoravamo ancora solo all’interno dell’ambito europeo. Durante quella situazione di difficoltà quindi ci siamo interrogati sull’opportunità di esplorare nuovi mercati, anche quelli dei paesi emergenti. Oggi siamo consapevoli che, pur continuando a ideare e realizzare i prototipi in Europa, i progetti dai numeri importanti si svilupperanno sempre di più in Brasile, Turchia, Russia, India, Cina». Come è strutturata la Persico e come si è evoluta nel tempo? «L’azienda è stata fondata da mio padre ed è nata come modelleria per legno, per poi evolversi verso la produzione di stampi in acciaio e alluminio per i rivestimenti interni, l’isolamento acustico e termico di vetture e veicoli industriali. È nata così l’automotive nea | gennaio 2012

SIAMO CONSAPEVOLI CHE I PROGETTI PIÙ IMPORTANTI SI SVILUPPERANNO SEMPRE DI PIÙ IN BRASILE, TURCHIA, RUSSIA, INDIA, CINA

division, nella quale si producono stampi e impianti chiavi in mano per la produzione di pannellature fonoassorbenti di vetture – questa divisione è la più grande per fatturato e organico. Abbiamo anche una divisione marine. Questa, progetta e realizza barche complete – ne è un esempio l’Abu Dhabi Ocean Racing che sta competendo nella Volvo Ocean Race 2011-12. Infine abbiamo i reparti engineering e rotomoulding. L’engineering produce macchinari dal ciclo completamente automatizzato, grazie alla sinergia maturata dalla collaborazione con le altre divisioni del gruppo. Nel 2011 abbiamo fatturato complessivamente circa 72 milioni di euro». Quali sono state le sue tappe dell’ingresso in azienda? «Dopo un’esperienza statunitense che mi aveva fatto conoscere il polietilene, nel 1999 sono entrata come assistente marketing nella rotomoulding division, per poi passare in ambito commerciale, fino ad affiancare il direttore generale e poi gestire in prima persona l’intera divisione. Tuttavia da azienda padronale ci stiamo strutturando per diventare un’azienda manageriale, in cui ogni figura dirigenziale ha funzioni chiare e ben definite. Sebbene uno dei presupposti aziendali rimarrà il lavoro di squadra e la collaborazione, che sono gli elementi che insieme all’innovazione ci hanno portato a questi traguardi». 63


Modelli d’impresa

Energia, calore e ambiente Osanna Bresci descrive il percorso verso le energie rinnovabili del principale gruppo privato italiano del settore idrocarburi. E presenta una nuova generazione di centrali elettriche galleggianti a basso impatto di Valerio Germanico

nergia per i trasporti, per l’industria, calore per la casa. Queste sono le tre voci che rappresentano la percentuale più alta del consumo di combustibili. Non a caso l’approvvigionamento di combustibili fossili è una delle attività strategiche per ogni nazione, dato che le energie rinnovabili – pure in un forte sviluppo – non sono ancora in grado di garantire il fabbisogno in tutti i settori di consumo.

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Energia, calore e ambiente sono quindi le parole chiave che descrivono la vocazione del primo operatore privato italiano nella commercializzazione al consumo e all’ingrosso di prodotti petroliferi raffinati. «La nostra vocazione – spiega Osanna Bresci, presidente e fondatrice di Europam, azienda che possiede dodici depositi di oli minerali nel Nord Italia e circa 300 stazioni di servizio di convenzionate con le principali compagnie italiane e multinazionali – è quella di soddisfare tutte le


Osanna Bresci

Osanna Bresci, presidente e fondatrice di Europam Srl, Genova www.europam.it

esigenze di energia, sia a livello di singole utenze, sia a livello di impresa. E di farlo rispettando l’ambiente. Siamo di fronte a un momento dinamico, di crescita e di allargamento del mercato, con una moltiplicazione dell’offerta. Anche alla luce delle complesse temperie politiche e geografiche – che investono regioni e stati strettamente legati all’estrazione, alla raffinazione e alla commercializzazione di idrocarburi – stiamo puntando sulle fonti rinnovabili». Come siete entrati nel settore delle energie pulite? «La nostra società si è concentrata prevalentemente su due fonti rinnovabili: il fotovoltaico e la cogenerazione da olii e biomasse. Questo processo di diversificazione è iniziato con il progetto Tritone – presentato a Genova nel settembre 2011 –, con il quale abbiamo avviato uno specifico programma per entrare nel settore delle energie rinnovabili, puntando sulla produzione di energia elettrica e calore, utilizzando biocombustibili costituiti da oli vegetali grezzi no food. Il progetto prevede una nuova generazione di centrali elettriche galleggianti, che potranno essere posizionate a qualche miglio dal litorale». Con quali vantaggi e prospettive? «I principali vantaggi saranno quelli di una ridotta necessità di superficie e del massimo contenimento dell’impatto ambientale. La scelta delle rinnovabili è, per così dire, inscritta nel Dna di Europam, che con la propria logistica e quella delle compagnie petrolifere partner movimenta ogni anno oltre 500mila metri cubi di prodotti liquidi. Il progetto Tritone, prevediamo, ci consentirà di diventare uno dei principali player a livello nazionale per la produzione di energia verde». Come giudica l’impegno dell’imprenditoria femminile italiana sul settore energetico, settore prevalentemente composto da uomini? «Per la verità sono ancora poche le donne italiane impegnate direttamente nelle aziende del settore energetico. Questo è un fatto che considero negativo e che nea | gennaio 2012

taglia in maniera trasversale le aziende, che siano multinazionali, nazionali o aziende a impronta familiare, anche se ho sempre apprezzato l’intelligenza, l’intuizione e la dedizione al lavoro di mio marito, Mario Costantino, amministratore del Gruppo. Sulla base della mia esperienza personale posso dire che, se da un lato il confronto con i colleghi uomini spesso è stato duro, dall’altro il fatto di essere donna mi ha agevolato in alcune situazioni, soprattutto quando erano contrapposte visioni differenti su scelte importanti». Dinanzi alla congiuntura negativa dell’ultimo triennio, in che modo avete impostato le vostre strategie gestionali, operative e commerciali? «Benché la nostra società abbia dimostrato in più occasioni, in passato, di saper fronteggiare le crisi economiche che ciclicamente si presentano, l’ultima – che stiamo ancora vivendo – ha rappresentato una delle sfide più difficili. Si tratta probabilmente di una tra le crisi più acute registrate nel corso della storia economica moderna e contemporanea. Tuttavia questa non ci ha colti impreparati. Già nel 2008, ai primi segnali, ab-

NEL 2011 ABBIAMO AVVIATO UNO SPECIFICO PROGRAMMA PER ENTRARE NEL SETTORE DELLE ENERGIE RINNOVABILI 65


Modelli d’impresa A sinistra, render del progetto Tritone e, sotto, il primo distributore a marchio Europam a Genova

RITENIAMO STRATEGICO PROCEDERE GRADUALMENTE ALLA DIFFUSIONE DEL NOSTRO MARCHIO NELLA DISTRIBUZIONE STRADALE

biamo iniziato a riorganizzare il gruppo, per renderlo più competitivo – puntando anche alla differenziazione produttiva – e più solido dal punto di vista patrimoniale. Abbiamo cercato di dare a queste misure la maggiore strutturazione possibile. Crediamo infatti che questa trasformazione del business, passato da un sistema basato sul debito e sul capital gain a quello basato sull’economia reale e sulla produttività, durerà almeno fino al 2020». Alla luce di questa situazione e dei vostri interventi correttivi, quale bilancio potete trarre, anche in termini di fatturato, dell’attività di Europam relativamente al 2011? «Il nostro bilancio 2011 si è chiuso con risultati molto soddisfacenti, sia in termini di fatturato – 480 milioni di euro, con un incremento del 10% rispetto all’esercizio precedente – che di cash flow – 12 milioni di euro. Rispetto al 2010 la società ha inoltre migliorato il proprio grado di liquidità corrente, rappresentata dal rapporto fra attivo circolante e debiti a breve, che si è attestato al valore di 0,98, è notevolmente migliorativo rispetto alla media del settore, che è pari a circa 0,75». Come si è inserito in questo quadro di successo l’avvio, nel 2010, della vostra catena di distribuzione 66

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di carburanti? «Il marchio Europam applicato alla distribuzione ha ottenuto un grande successo, con un incremento delle vendite mediamente superiori di tre, quattro volte l’erogato precedente con marchi di altre compagnie petrolifere. Riteniamo quindi strategico per la crescita della nostra società procedere gradualmente alla diffusione del nostro marchio, fino a collocarlo su tutti i nostri circa 300 distributori stradali». Quali altre sfide attendono Europam nel prossimo futuro? «Quest’anno ci vedrà sicuramente impegnati in un’opera di consolidamento e di mirata espansione. Infatti non crediamo sia questo il momento più adatto per esporsi troppo con investimenti importanti su attività dal futuro ancora incerto – anche se ritengo che, in periodi di crisi, le selezioni sono inevitabili e quindi potranno esserci opportunità di investimento, che però andranno valutate con attenzione. Nei prossimi anni sarò inoltre impegnata in un cambio generazionale che investirà i miei figli Michele e Francesca e qualche nipote e, mi creda, ritengo questo processo un passaggio importante della mia vita. Spero, e ne sono sicura, che i miei discendenti amino la nostra azienda come io l’ho sempre amata».



Modelli d’impresa

Il controllo dell’energia l risparmio energetico è una delle nuove frontiere dello sviluppo sostenibile. Risparmiando energia è possibile aumentare il numero di attività e processi completati, diminuendo il consumo di risorse deperibili e inoltre abbattendo la quantità di emissioni nocive per l’ambiente. Oggi esiste una vasta gamma di soluzioni elettroniche per il controllo dei consumi e il monitoraggio della qualità dell’energia. Queste soluzioni trovano applicazione sia nell’ambito industriale, sia nel terziario che nei contesti civili. All’avanguardia nella progettazione e realizzazione di queste soluzioni è una società del Nord Italia, Algodue Elettronica, non a caso nata in un territorio industrializzato e tecnologicamente avanzato come quello piemontese-lombardo. L’ingresso in azienda di Laura Platini – oggi managing director –, figlia del fondatore, ha permesso il raggiungimento di importanti obiettivi, fra questi il consolidamento sui mercati internazionali. «Rappresento – spiega Laura – la seconda generazione di una famiglia che fa questo mestiere da 25 anni: siamo un’azienda di elettronica industriale del settore metal-

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Laura Platini, managing director di Algodue Elettronica Srl di Fontaneto d’Agogna (NO), insieme al padre Pietro Platini, fondatore dell’azienda www.algodue.it

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Un passaggio generazionale vincente. Laura Platini spiega come ha portato l’azienda di famiglia, che produce sistemi di monitoraggio dei consumi elettrici, alla conquista del mercato globale di Manlio Teodoro

meccanico, nata nel 1986 dalla volontà di mio padre con l’obiettivo di sviluppare, progettare e commercializzare soluzioni per il risparmio dell’energia elettrica. Il passaggio generazionale che mi ha portato in azienda è stato segnato da una serie di tappe tutte conclusesi con un successo. Ho esordito nel reparto di produzione, introducendovi moderne procedure produttive computerizzate, ottimizzando così costi e tempi. In seguito mi sono occupata dell’ufficio acquisti. Questa esperienza mi ha permesso di acquisire le competenze per condurre una trattativa e identificare i fornitori più qualificati». Le innovazioni portate da Laura hanno permesso all’azienda di valorizzare le loro soluzioni completamente made in Italy. «Anche nella gestione del personale e nella direzione del reparto commerciale ho avviato un processo di ristrutturazione, con l’ambizioso obiettivo di creare per l’azienda un trampolino di lancio verso nuovi mercati. Puntando sulla passione e lo spirito di gruppo siamo riusciti a ottenere una crescita commerciale con l’acquisizione di importanti OEM esteri». Con la realizzazione di contatori di energia certificati MID, sensori Rogowski e analizzatori di rete l'azienda è posizionata in tutto il mondo. «Oggi, come risultato di un’attività pluriennale sui mercati internazionali, abbiamo acquisito una solida esperienza sia nel rapporto con i partner, sia nella capacità di proporre soluzioni innovative».



Modelli d’impresa

Alta tensione al femminile Il valore dell’imprenditoria femminile deve essere finanziato, agevolato e riaccreditato. Ecco uno degli obiettivi da raggiungere nel 2012. Gianna Rebaioli racconta la sua esperienza di Emanuela Caruso

ra le tematiche che il Governo Monti ha dimostrato di avere più a cuore spicca sicuramente la questione del lavoro femminile, da sempre poco considerato dagli ingranaggi economici, imprenditoriali e lavorativi dell’Italia. Il premier ha ribadito più volte il valore e l’importanza per il mercato italiano dell’impegno e dell’ingegno femminile e a sostenerlo in tali constatazioni sono proprio le società dislocate sul territorio nazionale dirette, gestite e amministrate con sapienza e competenza dalle donne lavoratrici. Un buon esempio di quanto una donna possa condurre una carriera imprenditoriale di successo è portato da Gianna Rebaioli, che dopo la scomparsa improvvisa del padre ha preso in mano le redini dell’azienda di famiglia. «Da un giorno all’altro – racconta Gianna Rebaioli, attuale presidente dell’impresa e aiutata nella gestione dalle sorelle e dai tanti nipoti, maschi e femmine – mi sono trovata a dover dirigere uno staff composto da 120 uomini. Nessuno di loro mi ha accolto con diffidenza e tutti hanno creduto da subito nelle mie capacità. Oggi, è necessario dare alle donne l’opportunità di dimostrare quanto valgono anche in campo lavorativo». Di che cosa si occupa la società Rebaioli e con quali settori opera maggiormente? «La nostra attività è molto differenziata e spazia dalla realizzazione di linee elettriche alla produzione di torri per telecomunicazioni, fino ad arrivare alla costruzione di impianti tecnologici. Tra queste, siamo specializzati nell’installazione di linee elettriche a bassa, media e alta tensione. Il servizio che offriamo è “chiavi in mano”, in

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Gianna Rebaioli

In basso, Gianna Rebaioli, presidente della Rebaioli di Boario Terme (BS) www.rebaioli.it

quanto comprende la progettazione, la fornitura del materiale, la costruzione, l’installazione e il mantenimento in esercizio degli impianti. Ci occupiamo, inoltre, della fornitura e della posa in opera di reti di illuminazione pubblica. Nonostante la società abbia portato a termine lavori per il settore pubblico, ad esempio per le scuole, preferiamo dedicarci al privato». Da circa dieci anni, una delle attività in cui siete più impegnati è la manutenzione delle linee elettriche. «Le linee elettriche del territorio italiano, così come quelle europee, necessitano di migliorie e manutenzioni, in particolare le linee dell’alta tensione. Negli ultimi anni ci siamo concentrati molto in questa attività, nonostante non sia tra le più vantaggiose, in quanto non si dispone di un cantiere fisso e, di conseguenza, i costi riguardano sia i lavori che i trasferimenti. Oltre a spese più sostenute, la manutenzione delle linee elettriche prevede anche un

SIAMO SPECIALIZZATI NELL’INSTALLAZIONE DI LINEE ELETTRICHE E NELLA REALIZZAZIONE DI IMPIANTI FOTOVOLTAICI A SERRA metodo di organizzazione molto diverso da quello studiato per un’installazione di un cantiere fisso». Il vostro raggio d’azione tocca solo l’Italia o si espande anche a livello internazionale? «Lavoriamo moltissimo anche all’estero, in particolar modo in Austria, Svizzera, Grecia, Etiopia, Portogallo, Bulgaria e Medio Oriente, dove nel 2010 abbiamo aperto una filiale a Dubai. Acquisiamo le commesse estere partecipando alle gare d’appalto o venendo contattati e interpellati dalle grandi aziende, come ad esempio la Salini S.p.A. - Roma, che si occupa della realizzazione di grosse infrastrutture, tra cui centrali elettriche e dighe, che richiedono anche il nostro intervento per le linee elettriche». nea | gennaio 2012

La Rebaioli si occupa anche di energia rinnovabile? «Sì, siamo specializzati nella realizzazione e installazione di impianti fotovoltaici. Fino a oggi, i pannelli fotovoltaici sono sempre stati posati sul terreno, rubando così spazio alle coltivazioni ortofrutticole. Per risolvere tale situazione, è stato messo a punto un sistema particolare in grado di non sprecare terreno; realizziamo delle serre, ovvero sostegni in lamiera a supporto dei pannelli, in modo da lasciare libero il terreno e coprirlo con l’impianto fotovoltaico. Sono impianti di notevoli dimensioni e hanno costi abbastanza sostenuti, ma rappresentano l’unico metodo con cui sfruttare contemporaneamente tanto le risorse del territorio quanto quelle del sole». 71


Modelli d’impresa

Comunicare l’innovazione Avere un marchio forte e una stabile presenza nel mercato non è più sufficiente. Le informazioni più accessibili, se da un lato migliorano la comunicazione, dall’altro rendono la competizione più complessa. Il punto di Sabine Rothenberger sul settore idrotermosanitario di Amedeo Longhi

a iniziato come direttore generale della filiale italiana del Gruppo nel 2008 e, quindi, molte delle innovazioni da lei introdotte sono legate alla difficile situazione economica. Si tratta di Sabine Rothenberger, dirigente dell’omonimo gruppo, operante da sessant’anni nel settore idrotermosanitario. «Il più grande cambiamento nella politica aziendale è stato la sensibilizzazione del personale verso gli obiettivi d’impresa. Ho voluto interagire in gruppo e condividere collegialmente i flussi del lavoro. Abbiamo creato un team di gestione in cui i membri hanno accesso a tutti i dati rilevanti, sulla base dei quali tutte le decisioni vengono prese collettivamente. Ho cercato di migliorare la comunicazione tra dipartimenti diversi, per far capire che dobbiamo fare gioco di squadra». Quali sono state le eventuali difficoltà con cui si è dovuta confrontare per emergere in questo ambito? «La più grande difficoltà è stata cambiare completamente l’approccio al lavoro. Da un momento all’altro non è più bastato avere un marchio forte e la presenza nel mercato, ma è diventato necessario prendere a cuore le esigenze congiunturali del cliente, non più disposto ad acquistare grossi quantitativi essendo più oculato allo stock. Molti rivenditori di materiale idrotermosanitario hanno infatti, negli ultimi anni, ridotto la disponibilità di prodotti in magazzino acquistando dai fornitori solo

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Sabine Rothenberger, dirigente della Rothenberger Italiana di Settimo Milanese (MI) www.rothenberger.com


Sabine Rothenberger quanto richiesto dagli utenti finali. Ci siamo adoperati per venire incontro al nostro rivenditore. Abbiamo spostato il focus sull’installatore con dimostrazioni e incentivazioni e, al nostro interno, abbiamo cercato di sensibilizzare tutti sulla situazione di mercato che ci richiede la stessa qualità di sempre a prezzi competitivi». Nel nostro paese siete attivi da trent’anni: cos’è cambiato dal punto di vista commerciale e tecnologico in questo lasso di tempo? «Sono troppo giovane per avere una visione completa di quello che è cambiato, ma i miei colleghi mi insegnano che il commercio è diventato molto più competitivo, abbondano prodotti di importazione e il valore delle cose si va spesso perdendo a favore del prezzo. Le informazioni alle quali oggi possiamo accedere con facilità da un lato rendono le cose più comode ma dall’altro rendono la competizione più aspra. Dobbiamo concorrere con diversi canali di vendita che prima non esistevano. Chi avrebbe mai pensato che si può vendere un prodotto termoidraulico tramite internet e senza contatto personale con il venditore? Oggi si acquista con e-bay e si scaricano filmati dimostrativi da Youtube. Una promozione si fa tramite sms e in una notte contattiamo 4000 installatori

ABBIAMO CREATO UN TEAM DI GESTIONE IN CUI I MEMBRI HANNO ACCESSO A TUTTI I DATI RILEVANTI, SULLA BASE DEI QUALI TUTTE LE DECISIONI VENGONO PRESE COLLETTIVAMENTE tramite mailing. Tutto è diventato più veloce. Anche dal punto di vista tecnologico le cose sono cambiate, come tutto nell’ambiente idrosanitario, riscaldamento e condizionamento: il materiale dei tubi, il modo di connetterli, le regole a tutela dell’ambiente che richiedono un adattamento tecnico per un lavoro sostenibile anche nella realizzazione di impianti. Poi c’è l’energia rinnovabile, un tema molto caro al nostro settore». Quanto è importante la componente umana nella vostra attività? «Le aziende familiari sono una specie “sui generis”, dove l’aspetto umano è uno dei più importanti. Lavorare in una realtà simile significa lavorare anche per la famiglia e sicuramente i rapporti sono più “emotivi”. Cerchiamo nea | gennaio 2012

sempre di valorizzare l’aspetto umano e creare un ambiente solidale e accogliente. Sono convinta che motivazione e passione si creino solo quando in un’azienda si riesce a coinvolgere le persone con il cuore. Nel nostro gruppo la squadra italiana è famosa per la sua unità e per il legame che in questi trent’anni è riuscita ad instaurare con la clientela. Ogni volta che colleghi della Germania o di altri paesi vengono a visitare la Rothenberger Italiana rimangono impressionati dalla passione e dal calore che l’azienda trasmette. Gran parte dai nostri impiegati è cresciuta da noi e questo è un valore inestimabile, crea un legame forte e sicuro non solo tra i colleghi ma anche con i nostri clienti ed è un segno di grande qualità per il nostro marchio». 73


Modelli d’impresa

La diversificazione che premia Tanta passione, ma anche una buona dose di razionalità, necessaria per ponderare scelte e investimenti. La storia imprenditoriale di Chiara Astesana di Guido Puopolo

Chiara Astesana, che insieme ai suoi cugini è al vertice della Astesana Spa di Villafalletto (CN) e gestisce due alberghi a Saluzzo (CN) www.astesanaspa.it - www.sangiovanniresort.it - www.balossdipoggio.it

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Chiara Astesana

impegnata su più fronti Chiara Astesana, erede di una tradizione imprenditoriale che affonda le sue radici nel Piemonte del secondo dopoguerra. È qui infatti che sua nonna, Angela Ballario, coadiuvata dai tre figli, iniziò a commerciare cereali e mangimi per animali. Oggi, infatti, Chiara Astesana è alla guida, assieme ai suoi due cugini di un gruppo di aziende con interessi in numerosi ambiti, che spaziano dal settore della produzione di mangimi, all’allevamento a quello immobiliare, fino al settore energetico. «A partire dagli anni 60, prima azienda sul territorio cuneese, abbiamo iniziato ad allevare suini. Ancora oggi questa attività, con il mangimificio, rappresenta il nostro core business, che portiamo avanti attraverso le aziende agricole “Società Agricola Asso” e “Villagricola” e alla mangimi Astesana Spa». Qual è, allo stato attuale, la situazione del settore suinicolo, anche in considerazione della crisi che attanaglia l’economia mondiale? «La provincia di Cuneo è la terza in Italia per quel che riguarda la produzione di suini. Oggi però il settore sta vivendo un momento di grande difficoltà, che abbiamo affrontato cercando di ottimizzare e razionalizzare i nostri processi produttivi. Alleviamo infatti i nostri suini “a siti”, con una tecnica che ha migliorato notevolmente le condizioni di vita degli animali, garantendo elevati livelli di igiene e la massima qualità del prodotto finale». Tra le attività collaterali della vostra famiglia c’è anche la gestione di immobili, principalmente strutture alberghiere, che portate avanti attraverso la società Sma Snc. Quali sono i risultati ottenuti in questo campo? «Per me questa è un’attività molto gratificante, che, per così dire, mi permette di “evadere” dalla realtà quotidiana e di dare libero sfogo alla mia fantasia. Infatti ho seguito in prima persona i lavori di ristrutturazione di due alberghi situati nel comune di Saluzzo, I Baloss di Poggio Radicati e il San Giovanni Resort. Quest’ultima struttura, in particolare, è un antico convento di frati del Quattrocento, di proprietà del Comune di Saluzzo, che abbiamo ottenuto in gestione per i prossimi diciotto anni. Qui, affiancati dall’architetto Marco Tanga di Saluzzo e sotto il controllo della Soprintendeza alle Belle Arti, abbiamo svolto un lavoro di restauro veramente eccezionale, cercando di rispettare il più possibile le atmosfere tipiche del luogo, attraverso l’utilizzo di

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INTENDIAMO PUNTARE CON FORZA SULLO SVILUPPO DELLA NOSTRA ATTIVITÀ IN CAMPO ENERGETICO, DOVE ABBIAMO AVVIATO IMPORTANTI PROGETTI NON SOLO IN ITALIA MA ANCHE IN CILE materiali e arredamenti molto raffinati, capaci però di conferire un fascino “grezzo” alle stanze e ai saloni dell’albergo. Ancora non so quale potrà essere il ritorno economico derivante da questo progetto, ma sono convinta che, a volte, sia necessario lasciare da parte la ricerca ossessiva del profitto per cercare invece di realizzare qualcosa di bello e appagante, a prescindere da tutto il resto». Lei è anche Presidente del Consorzio di Promozione e Tutela del Crudo di Cuneo. Cosa significa per lei questo incarico? «È un’attività che porto avanti esclusivamente per passione, con l’obiettivo di valorizzare una delle eccellenze della nostra terra. A questo proposito il Crudo di Cuneo nel dicembre del 2009 ha ottenuto l’iscrizione definitiva nel registro della denominazione di origine protetta dell’Unione Europea, ed è pertanto la prima, e per il momento anche l’unica, DOP del Piemonte nel settore dei salumi. Per me, che mi sono battuta in prima persona per questo obiettivo, è stata una grande soddisfazione, oltre che un risultato straordinario, che ha coronato un impegno di dieci anni di lavoro. L’ottenimento della DOP ha infatti aperto prospettive nuove per lo sviluppo di questo prodotto, con possibili positive ricadute soprattutto per gli allevatori suinicoli del Piemonte occidentale». Quali sono, infine, gli obiettivi della famiglia Astesana per il prossimo futuro? «In questi anni abbiamo sostenuto notevoli sforzi per modernizzare le strutture e i metodi di allevamento, adeguandoli alle sempre più esigenti normative di carattere internazionale. Oggi la situazione non è delle più facili, e un imprenditore ha il dovere di ponderare bene le sue scelte. Per questo, senza tralasciare il nostro business principale, intendiamo puntare con forza sullo sviluppo della nostra attività in campo energetico, dove abbiamo avviato importanti progetti non solo in Italia ma anche in Cile, perché crediamo che questo sia il settore che nel futuro potrà regalarci le maggiori soddisfazioni». 75


Modelli d’impresa

L’inossidabile qualità italiana Ricerca e sviluppo, e continui investimenti nell’innovazione tecnologica hanno portato alla recente automazione di alcune fasi produttive che fino a poco tempo fa venivano gestite manualmente. Laura Sartirani fa il punto sulla produzione di acciaio di Erika Facciolla

a scoperta dell’acciaio inossidabile risale al 1913 quando l’inglese Harry Brearly ne sperimentò l’incredibile resistenza alla corrosione su delle rudimentali canne per armi da fuoco. Da allora la metallurgia degli anni Quaranta e Sessanta fece largo uso dell’acciaio inox ampliandone l’applicazione in vari settori industriali, come l’energetico, il minerario, il petrolchimico, il nucleare e addirittura l’alimentare. Le aziende italiane che hanno imparato a fare della lavorazione di questa lega un’arte, sono riuscite a proporre con successo al mercato dei prodotti unici per qualità e stile, grazie all’esperienza maturata e all’inconfondibile tocco italiano. Una di queste è Ferplast, nata nel 1970 e diventata ben presto leader di riferimento nel settore della produzione di filtri convogliatori in acciaio inox, sia in Italia che all’estero. Eleganza, qualità e funzionalità: sono queste le caratteristiche di prodotti che hanno trovato applicazione in opere di fama mondiale come la Vela Burji Al Arab di Dubai, in vari edifici delle Palm Island e nel celebre Atlantis Hotel. Ne parla la titolare di Ferplast, Laura Sartirani. Qual è, ad oggi, lo stato di salute del settore e come ha reagito la vostra azienda alla crisi dei mercati? «Direi che Ferplast gode di un buono stato di salute avendo reagito molto bene alla crisi dei mercati; la stra-

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Laura Sartirani, titolare di Ferplast con sede a Pettenasco (NO) www.ferplastsrl.com


Laura Sartirani

tegia è stata quella di promuovere il nostro prodotto partecipando a manifestazioni fieristiche in tutto il Mondo e organizzando missioni imprenditoriali nei paesi emergenti. Abbiamo studiato nuovi prodotti progettati con l'ausilio della nostra clientela, cercando di dare anche quel tocco di raffinatezza che contraddistingue lo stile del made in Italy». In tal senso qual è stata, a suo avviso, la vetrina più proficua nella campagna promozionale intrapresa? «La fiera che ci ha aiutato di più è stata la ‘Big 5’, manifestazione fieristica di Dubai dove si ritrova la fetta più grande del nostro mercato di riferimento». A proposito di mercati e target di riferimento, quali sono quelli che, nel breve periodo, offrono le prospettive di crescita più interessanti? «Sicuramente quelli del Medio Oriente, ma stiamo lavorando per espanderci anche nell’Est europeo e in Sud Africa». Come si dispiega la vostra offerta e quali tipologie di produzione rappresentano la percentuale maggiore del core business? «Il core business si basa sulla produzione di un articolo dalle linee semplici e raffinate come solo noi italiani sappiamo fare, di semplice utilizzo e manutenzione, garantito per vent’anni anni e sinonimo di qualità». Ma come nasce un prodotto firmato Ferplast? «I nostri articoli vengono prodotti interamente all'interno dell'azienda; seguendo tutte le fasi di lavorazione da vicino siamo in grado di offrire il giusto rapporto qualità/prezzo a tutte le tipologie di clientela». Com’è strutturato il settore di ricerca e sviluppo e quale percentuale degli investimenti aziendali è destinata all’innovazione tecnologica? «Dedichiamo da sempre molte energie a ricerca e sviluppo, soprattutto per soddisfare nel miglior modo ogni richiesta; ecco perché continuiamo a investire nell'innovazione tecnologica come dimostra la recente automazione di alcune fasi produttive che fino a poco tempo nea | gennaio 2012

IL NOSTRO CORE BUSINESS SI BASA SULLA PRODUZIONE DI UN ARTICOLO DALLE LINEE SEMPLICI E RAFFINATE COME SOLO NOI ITALIANI SAPPIAMO FARE fa venivano gestite manualmente». Su quali aspetti si concentreranno i vostri investimenti nel 2012? «Nel corso del 2012 dedicheremo ogni sforzo ed energia alla valorizzazione del nostro più importante investimento, vale a dire la nuova sede operativa, una struttura molto più spaziosa e funzionale che ci permetterà di organizzare meglio tutti i reparti delle fasi di lavorazione». Per concludere, possiamo fare un bilancio, anche in termini di fatturato, dell’ultimo biennio e delineare le prospettive per l’anno appena cominciato? «Nell'ultimo biennio abbiamo avuto bilanci costanti nonostante l'andamento altalenante delle vendite registrato nel 2011. Per questa ragione abbiamo motivo di credere che i primi sei mesi del 2012 si manterranno sugli stessi livelli, vista la crisi globale, ma con molto ottimismo speriamo che nel secondo semestre ci sia una risalita. Cercheremo, quindi, di resistere e fare in modo che l'azienda possa continuare a lavorare al meglio». 77


Modelli d’impresa

Illuminare il mercato Oggi, godere di una buona capacità di magazzino e mettere a disposizione una vasta scelta di articoli è il modo giusto per dimostrarsi competitivi. Ne parla Mariangela Morini di Emanuela Caruso

n questa congiuntura economica di grave crisi, avere la capacità di mantenere un vasto magazzino e offrire prodotti validi da rivendere ai grossisti è l’arma vincente della Rossini Illuminazione che fin dal 1929, l’anno della sua fondazione, ha sempre dimostrato di potere ben reggere all’impatto con il mercato e con le sue flessioni. «Sin dall’inizio dell’attività – spiega Maria Angela Morini, presidente della società succeduta al marito – la forza della nostra impresa familiare è stata quella di poter disporre di una capacità di magazzino molto elevata. I produttori di fiducia, in prevalenza italiani, che lavorano per noi ci riforniscono di prodotti finiti e materiali, con cui noi, a nostra volta, riforniamo i grossisti. Mettiamo a loro disposizione una scelta vastissima di lampade che coniugano un’ottima qualità ad un prezzo competitivo». La vera arma vincente di Rossini Illuminazione è il catalogo, aggiornato ogni due anni in base alle richieste ed esigenze del mercato. «Il nostro catalogo rappresenta uno strumento di intermediazione tra l’azienda e il bacino d’utenza. Gli installatori della Rossini Illuminazione lo portano in tutta Italia, così da farlo conoscere ai possibili acquirenti. I clienti, una volta scelto ciò che è più consono ai loro bisogni, vengono nella nostra sede di Segrate a comprarlo». Rossini Illuminazione è il punto di riferimento in grado di rispondere a qualsiasi problematica legata al mondo dell’illuminazione, in quanto fa parte del più ampio Rossini Group, che comprende l’eccellenza di Overlite,

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Mariangela Morini, presidente della Rossini Group di Milano www.rossinigroup.it

showroom con i migliori brand dell’illuminazione di design volti a soddisfare le necessità degli architetti più esigenti, e l’avanguardia di Plexiform, azienda di produzione specializzata nell’ambito tecnico. L’impegno, la volontà e la serietà della Rossini Illuminazione si sono rafforzati nel tempo e lo sono ancora oggi: a breve, infatti, sarà aperta a Roma una succursale dell’azienda. «Nonostante il periodo non sia dei migliori, perché le banche non concedono credito e l’edilizia, a cui siamo molto legati, è ferma, abbiamo deciso di aprire una filiale nella capitale, così da proporci come punto di riferimento per il mercato del centro sud, altrimenti privo di una realtà come la nostra».



Innovazione

La rivoluzione digitale on è una web agency né una società di consulenza tradizionale, bensì una evolutionary company l’iniziativa imprenditoriale che Cristina Mollis ha creato nel 2008 a Milano. NuvÓ, questo il nome della società, si è posta come missione aziendale accompagnare le realtà del mercato italiano nell’era digitale e di contribuire alla loro crescita attraverso l’introduzione di soluzioni innovative, nuovi modelli di business e servizi strate-

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gici all’avanguardia. «Il nostro obiettivo – spiega Cristina, che ricopre il ruolo di amministratore unico della NuvÓ – è reinventare il digitale in Italia, confrontandoci quotidianamente con nuove sfide e precorrendo i tempi e le tecnologie, ovvero provando in prima persona ciò che domani potrebbe essere di uso

Cristina Mollis, amministratore unico della Nuvò Srl di Milano www.nuvoconsulting.it

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Dimostrare la validità di un’idea e fare business attraverso soluzioni innovative. Così una evolutionary company aiuta il mercato italiano nell’era digitale. L’analisi di Cristina Mollis di Emanuela Caruso

comune e lanciando progetti pilota o rivoluzionari concept per dimostrare la validità di un’idea». E proprio l’innovazione è il fulcro dell’attività portata avanti dalla NuvÓ, che si nutre di un pensiero strategico e di un approccio concreto nelle metodologie di lavoro. «Oggi l’impresa fattura più di 5 milioni di euro all’anno e vanta clienti del calibro di Telecom Italia, Allianz, Postemobile, Motivi, Impresa Semplice, Matrix, Mcs Marlboro Classics, Bellora e Galli Sport». I valori alla base dell’“approccio NuvÓ” sono il rispetto delle persone, l’eccellenza professionale e la passione per il proprio lavoro. «Sono sempre stata convinta del fatto che una vera impresa non possa prescindere dal rispetto verso chi la compone e quindi verso lo staff aziendale – continua Cristina – Questo significa poter lavorare bene insieme, con un team affiatato formato da persone diverse, ma tutte rispettose del tempo e dei bisogni altrui. Attualmente possiamo contare su trenta professionisti, di età media attorno ai trent’anni, specializzati in vari settori di competenza; ognuno di loro gode di una posizione stabile all’interno della società e di una particolare attenzione e disponibilità verso le necessità della propria vita privata e familiare. Questo grande spirito di gruppo ci consente di affrontare con serenità anche i progetti più complessi e ci da grande fiducia per il futuro. I risultati che stiamo ottenendo sono la dimostrazione lampante che la fatica e il tempo spesi per portare avanti la nostra idea di “impresa eccezionale” vengono ripagati in pieno».



Innovazione

Spazi dedicati al business

Gli imprenditori nei viaggi d’affari verso la città della Lanterna possono usufruire di spazi attrezzati ad hoc e di professionisti capaci di gestire attività d’ufficio senza alcun investimento. Elena Tardito ne spiega i vantaggi di Giulio Conti

e società o i professionisti che hanno la necessità di essere presenti a Genova senza sostenere alcun costo di start up logistico e organizzativo, che intendono usufruire di un ufficio completamente arredato e funzionale con segretaria in reception che accoglie gli ospiti, controlla e smista la posta e riceve le telefonate rispondendo con il nome della società e con la garanzia di usufruire di un servizio completo e altamente professionale scelgono di affidarsi a business center come Trade Centre. «La tipologia di professionisti e imprenditori che si rivolge a noi è molto varia; in prevalenza sono prevalentemente società con sede a Milano e Roma, o estere, che

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Elena Tardito della Trade Centre Srl di Genova www.executivegenova.it

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necessitano una base operativa o un ufficio di rappresentanza a Genova; non per ultime, nuove realtà che si affacciano al mercato». Chi è riuscita a cogliere la portata innovativa di un servizio ad hoc per dinamici attori dell’imprenditoria italiana è Elena Tardito, che dal 1983 ha fatto di Trade Centre un vero e proprio punto di riferimento per professionisti e società interessati alla piattaforma d’affari collocata a Genova. Ma all’organizzazione di uffici con attrezzature e professionalità idonee poste al servizio di businessmen in viaggio d’affari alla città della Lanterna, Trade Centre affianca anche uffici a giornata, sale riunioni, traduzioni e la fruizione di un “ufficio virtuale”. «Si tratta di un servizio che permette un’operatività immediata senza una struttura fissa, senza la necessità della presenza fisica del cliente, senza costi di installazione e gestione ma con tutti gli ausili per lavorare con un alto standard di qualità e professionalità – spiega Elena Tardito –. Con l’ufficio virtuale il cliente può disporre immediatamente di numero telefonico esclusivo al quale una segretaria risponde con risposta personalizzata, annota i messaggi o trasferisce la chiamata; di un indirizzo di prestigio, di uffici o sale riunioni a giornata, e di sistemi segretariali tecnologicamente all’avanguardia». Per la portavoce di Trade Centre è inoltre fondamentale sottolineare la collaborazione fattiva con il network Executive Service: «Essere parte di un network nazionale è un punto di forza nella vendita dei servizi perché i clienti apprezzano una struttura capillare e la possibilità di usufruire del servizio con le stesse caratteristiche anche in altre città».



Innovazione

Tecnologie ecofriendly Anche il filtro del frigorifero si sta sempre di più adeguando alla causa ambientale. Maria Teresa Deambrosis, parla del funzionamento e delle applicazioni di questo prodotto di Marco Tedeschi

e metamorfosi di un settore rimasto sostanzialmente stabile nel corso degli anni si sono verificate in modo particolare nella ricerca di nuovi materiali e nuovi gas refrigeranti sempre più ecofriendly. È stato dimostrato infatti che i gas refrigeranti hanno un forte impatto sull’ambiente sia perché danneggiano lo strato dell’ozono sia per il loro effetto serra. «Da alcuni studi è emerso che il freon risulta dannoso per l’ambiente. Per questo motivo le società produttrici si sono applicate nella ricerca di nuovi

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Maria Teresa Deambrosis è titolare della DE.NA di Casale Monferrato (AL) insieme al marito Daniele Francia www.dena.it

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gas e noi, come produttori di componenti, dobbiamo rimanere al passo con le nuove tecnologie. In questi ultimi anni gli studi si stanno concentrando particolarmente sul CO2 come gas refrigerante e noi ci stiamo di conseguenza muovendo in questa stessa direzione. Oltre a ciò, la ricerca di una sempre maggiore qualità è continua». Maria Teresa Deambrosis titolare della DE.NA, introduce così uno degli aspetti verso cui la ditta con sede in Casale Monferrato è più sensibile. Il filtro di un frigorifero è un prodotto di cui la maggior parte della gente ignora l’esistenza, ma senza il quale il frigorifero non potrebbe funzionare correttamente. «Il freon, gas refrigerante che passa all’interno del frigorifero, deve essere privo di umidità, dannosa e corrosiva per l’impianto. Passando all’interno del filtro, il setaccio molecolare ne assorbe l’eventuale umidità». La DE.NA è nata e continua a essere una società familiare che può contare su quarant’anni d’esperienza. « In questi anni si sono verificati notevoli cambiamenti sia qualitativi sia commerciali, anche se, formalmente, il prodotto è lo stesso». La durata di un filtro dipende anche molto dall’ambiente esterno, diverso da paese a paese. «A oggi abbiamo raggiunto una percentuale di export, sia diretta sia indiretta pari circa al 70% della nostra produzione e in questo sono di aiuto le varie Fiere di settore sia italiane sia internazionali, come la Expocomfort che si terrà a Milano a Marzo. Siamo una piccola realtà che comunque cerca di portare ovunque nel mondo il nome e la qualità del prodotto italiano, fatto in Italia».



Innovazione

Tecnologie produttive Alta tecnologia e velocità sono le due qualità principali che devono avere i sistemi per realizzare la pasta, prodotto che partendo dall’Italia ha conquistato il mondo. Ne parla Monica Anselmo di Amedeo Longhi

n alimento, la pasta, che evoca il nostro passato e che oggi è motivo di orgoglio per il successo commerciale delle esportazioni, sia del prodotto che degli impianti necessari per produrlo. «Vendere impianti sofisticati e costosi sul mercato mondiale è difficile, soprattutto se non si è una società di dimensioni tali da potersi permettere una struttura adeguata alla complessità del prodotto e alle dimensioni del mercato», spiega Monica Anselmo, figlia del fondatore della Anselmo Spa, direttrice finanziaria e membro

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Monica Anselmo, direttrice finanziaria e membro del Consiglio di Amministrazione della Anselmo Spa di Bene Vagienna (CN) www.anselmoitalia.com

del Consiglio di Amministrazione. «Ecco allora la valenza dei due vocaboli: l’alta tecnologia per fornire impianti in grado di produrre pasta eccellente in contesti estremamente diversificati e la velocità come vantaggio competitivo nei confronti dei concorrenti più grandi e strutturati». L’intera azienda è chiamata a dare molto in termini qualitativi e quantitativi. La famiglia, con il suo esempio, rende naturale questa disponibilità del personale, che è tuttavia insita nel Dna di chi nasce e vive nella provincia agricola del Piemonte. Anselmo ha raddoppiato il fatturato dal 2005 al 2010 e per il 2015 prevede una crescita importante, con una quota export stabile attorno all’85%. «Le difficoltà legate al periodo storico che stiamo vivendo investono tutta la struttura produttiva del Paese. Servono i capitali e questi oggi sono difficili da ottenere dal sistema bancario e i costi sono in crescita. Non penso però che le condizioni oggettive dell’Italia nel contesto internazionale siano peggiorate. Continuiamo purtroppo a pagare l’inadeguatezza alle nuove necessità imposte da un mondo che è cambiato velocemente negli ultimi anni. A tutto questo si aggiunge un generale atteggiamento di negatività che certamente non aiuta. Personalmente, mi sento molto vicina alla definizione di “imprenditori coraggiosi” utilizzata dalla nostra Presidente di Associazione a livello provinciale, Nicoletta Miroglio, in occasione dell’Assemblea annuale del 2010».



Servizi all’impresa

Esternalizzare i processi aziendali L’esternalizzazione delle pratiche amministrative e di back office è un’opportunità per le aziende. Roberta e Alessandra Rostagno spiegano il funzionamento di un servizio che permette di risparmiare tempo e risorse di Luca Cavera

e attività amministrative che le imprese sono tenute a svolgere per legge hanno un peso consistente sull’organizzazione e la suddivisione del lavoro fra le varie risorse. Spesso queste attività – necessarie, ma collaterali – gravano tanto sull’impresa da sottrarre tempo e personale dalle mansioni specifiche di core business. Tale problema investe

Photo ©Massimo Ravera

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nella stessa misura tanto le aziende fortemente strutturate quanto quelle con un’organizzazione essenziale. Le prime sono spesso troppo grandi e ramificate per garantire la flessibilità adatta a gestire documentazioni massive, le seconde, invece, mancano di figure dedicate e formate. Da queste esigenze sono nate delle società di Office

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Roberta e Alessandra Rostagno

Nella pagina a fianco, Roberta e Alessandra Rostagno, titolari della Comete Srl di Cuneo www.cometesrl.com

Problem Solving, specializzate nella gestione esternalizzata di processi aziendali e in grado di dare una risposta a entrambe le tipologie di impresa. Come spiega Alessandra Rostagno, titolare della società Comete insieme alla sorella Roberta: «Il nostro obiettivo è quello di lasciare all’interno delle aziende nostre partner tutta l’attività che riguarda il loro core business e di prendere in carico la parte amministrativa e di back office collaterale, che spesso è quella più onerosa. Esternalizzare queste attività vuol dire liberare ore, personale e risparmiare risorse». Aggiunge Roberta: «Solitamente le attività non inerenti direttamente al core business vengono cogestite su turnazione dal personale interno. Questo si traduce nel fatto che una certa mole di lavoro deve essere “spalmata” su più persone, dato che queste non possono dedicarvi la totalità del tempo. Esternalizzando queste mansioni a società come la nostra, invece, la stessa mole di lavoro è affidata a un sin-

tenimento – cioè lavorare per non generare ulteriori arretrati. La nostra attività è tipicamente d’ufficio, svolta principalmente tramite terminali, anche perché i nostri partner si stanno orientando sempre di più verso una digitalizzazione delle pratiche, delle fasi di controllo e degli archivi. In generale la carta è usata sempre meno a vantaggio di documenti digitali, gestibili dai software

LA NOSTRA ATTIVITÀ È, SVOLTA TRAMITE TERMINALI, ANCHE PERCHÉ I NOSTRI PARTNER SI STANNO ORIENTANDO SEMPRE DI PIÙ VERSO LA DIGITALIZZAZIONE golo operatore. In questo modo, in scala, riusciamo a smaltire la stessa quantità di lavoro con un numero di persone inferiore e anche in un intervallo di tempo più breve – questo grazie alla nostra flessibilità e all’organizzazione per gruppi di lavoro specializzati». Il servizio svolto da Comete è quindi di stretta collaborazione con l’impresa, con il vantaggio però di essere dislocato all’esterno e organizzato in maniera indipendente, con la garanzia di tempi certi, controllo e requisiti di output. «Benché utile per le imprese – spiega Alessandra –, il nostro servizio non è ancora un prodotto facilmente riconoscibile, per questo ci proponiamo direttamente al cliente. Una volta avuto il contatto, ci viene sottoposto un problema organizzativo o un arretrato. Questo implica inizialmente una fase di organizzazione, sia per lo smaltimento che per il mannea | gennaio 2012

gestionali. Questa spinta verso la tecnologia ci permette anche di poter lavorare direttamente dai nostri uffici di Cuneo su pratiche caricate da tutta Italia. Siamo specializzati nel settore bancario, ma operiamo in molti altri settori con strutture idonee. In ogni caso siamo sempre pronti a riorganizzarci per venire incontro alle esigenze specifiche di un nuovo partner». Roberta, in conclusione, fornisce qualche dato: «Sul fronte del controllo documentale massivo gestiamo 180.000 registrazioni contabili e 80mila fascicoli all’anno. Prima questa mole di lavoro veniva gestita interamente su supporto cartaceo. Progressivamente, insieme ai nostri clienti, ci siamo spostati verso un’informatizzazione maggiore e oggi gestiamo tutto in maniera digitale, con un risparmio ingente di carta e inchiostro e quindi di risorse». 89


Servizi all’impresa

Nuovi scenari nel recupero crediti L’attività di recupero crediti rappresenta attualmente una risorsa strategica, spesso determinante per la sopravvivenza stessa delle imprese. L’evoluzione del settore illustrata da Floriana Ferro, Anna Altamura e Roberto Scanavino di Matteo Rossi

l recupero degli insoluti è un nodo centrale nella vita di ogni azienda. Qualsiasi impresa che commercializzi prodotti o servizi, infatti, è inevitabilmente esposta finanziariamente nei confronti dei clienti. Partendo da questi presupposti si può facilmente intuire quanto sia importante una gestione del recupero crediti efficace e tempestiva. Tutto ciò assume una rilevanza ancora maggiore in riferimento al contesto attuale, caratterizzato da una crescente complessità della gestione economica aziendale e dalle enormi difficoltà finanziarie del momento. Profonda conoscitrice del settore è Floriana Ferro, fondatrice e amministratrice unica della Inagec Srl, società di Alba nata nel 1980 e specializzata nell’analisi e nella risoluzione delle problematiche relative alla gestione e al recupero dei crediti finanziari e com-

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merciali. «In questi trent’anni abbiamo assistito a una radicale trasformazione della società in cui viviamo, con riflessi importanti anche per il nostro lavoro. Rispetto al passato, infatti, oggi ci si interfaccia con persone di stampo diverso, dotate di un livello di cultura e di educazione notevolmente superiore, e questa evoluzione della parte debitrice ha determinato una naturale evoluzione anche del ruolo del recuperatore». «La crisi del 2008 ha costituito una sorta di spartiacque in questo processo», le fa eco Anna Altamura, responsabile commerciale di Inagec: «Al giorno d’oggi chi opera nel campo del recupero crediti può essere infatti considerato come una sorta di “consulente”, non soltanto per il proprio committente ma anche per il debitore stesso, che spesso, stretto nella morsa della crisi, è realmente impossibilitato a saldare il debito contratto. Per questo credo sia importante riuscire a instaurare un dialogo costruttivo tra le parti, che possa portare al raggiungimento di un accordo condiviso, vantaggioso non soltanto per il creditore ma anche per il debitore». Soprattutto in un momento come quello attuale, quindi, come spiega Roberto Scanavino, che insieme a Fabiana Tondi si occupa della direzione tecnica del gruppo, «le aziende devono, in primo luogo, cercare di

L’amministratore unico della Inagec Srl, Floriana Ferro. La società ha la sua sede ad Alba (CN) www.inagec.it


Floriana Ferro, Anna Altamura e Roberto Scanavino

ridurre i rischi di insolvenza, prevenendo il sorgere di eventuali problemi finanziari attraverso l’attuazione di efficaci politiche interne di analisi del rischio, che comprendano anche un costante e preciso monitoraggio dei propri clienti. Per quel che riguarda i creditori, invece, nel momento in cui si verifica l’insoluto, è consigliabile rivolgersi in outsourcing a società specializzate in tempi rapidi, entro 60/90 giorni, perché più il tempo passa più il recupero del credito diventa problematico». Se oggi Inagec è una consolidata realtà nel suo settore di riferimento, con oltre tremila clienti distribuiti su tutto il territorio nazionale, molto dipende dagli investimenti sostenuti in questi anni dall’azienda che, in un’ottica di continuo miglioramento delle proprie performance, ha puntato con forza sulla formazione delle risorse a sua disposizione, per assi-

LA PARTECIPAZIONE A CONVEGNI, SEMINARI E CORSI D’AGGIORNAMENTO È PARTE INTEGRANTE DEL NOSTRO LAVORO, PER RIMANERE AL PASSO CON LE CONTINUE EVOLUZIONI CHE CARATTERIZZANO IL SETTORE curare ai propri partner standard qualitativi difficilmente riscontrabili altrove. «La partecipazione a convegni, seminari e corsi d’aggiornamento è parte integrante del nostro lavoro, indispensabile per rimanere al passo con le continue evoluzioni non solo tecnologiche, ma anche normative e legali, che caratterizzano il settore. È innegabile – prosegue l’amministratrice - che la formazione, se fatta bene e con criterio, diventa sinonimo di professionalità e di crescita aziendale, garantendo un valore aggiunto capace di fare la differenza sul mercato. È proprio grazie a questa impostazione che, in oltre trent’anni di attività, siamo stati capaci di rinnovarci e di adattarci alle mutate esigenze dei nostri committenti, nea | gennaio 2012

che giustamente pretendono competenze sempre più specialiste». Sulla base di queste considerazioni sono tante, infine, le aspettative di Inagec per il 2012, come evidenza Altamura: «L’attività di recupero crediti sta assumendo un valore crescente per il nostro tessuto socio-economico, perché le risorse che recuperiamo, se fino a qualche anno fa potevano rappresentare un “surplus”, oggi spesso sono quelle che permettono alle aziende di proseguire nella loro attività. Per questo per il futuro intendiamo consolidare quanto fatto fino a ora, continuando a operare, con la professionalità che da sempre ci contraddistingue, per la piena soddisfazione dei nostri partner». 91


Servizi all’impresa

Quando l’impresa crea sinergia Laura Mattoccia applica un modello di “rete” tanto tra le società del suo gruppo, quanto con le aziende che assiste. Un modus operandi che le permette anche di migliorare i rapporti tra imprenditori e istituti di credito di Filippo Belli

ei rapporti tra imprese e istituti di credito si giocherà molto probabilmente la partita decisiva per il rilancio del sistema Paese. Risultano sempre più strategici, quindi, tutti quei professionisti chiamati a intermediare tra i soggetti coinvolti. Attori che fungono da guide indispensabili alle imprese, specie in questo periodo di congiuntura negativa. Un ruolo che Laura Mattoccia conosce ormai da anni, essendo a capo di una società, la T&T Srl, da anni impegnata nel prestare assistenza sulla tenuta delle scritture contabili e nell’amministrazione in favore delle

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Pmi. Ma T&T è solo il tassello di un gruppo in cui operano sinergicamente anche lo Studio commerciale Teatini e la società di servizi e di marketing Erretì. Una vera e propria piattaforma di servizi per le imprese. «Le aziende con cui operiamo in questi ultimi anni hanno sofferto a causa di una forte limitazione di liquidità. La forte riduzione di concessione del credito ha fatto venire meno numerosi investimenti», spiega Laura Mattoccia. Nonostante la stretta creditizia, la sua società ha portato a termine alcuni importanti accordi con gli istituti bancari.


Laura Mattoccia

«Questo è stato fondamentale al fine di fare ottenere significativi affidamenti alle imprese nostre clienti, sotto ogni forma. Ciò è stato possibile grazie alla predisposizione di un accurato studio sul fabbisogno di capitale, sull’identificazione della redditività d’impresa e sul Cash-Flow operativo. Il tutto completato dall’apposito Report Form». La pressione fiscale incide ovviamente sugli investimenti delle imprese. Quali strategie si possono attuare per farvi fronte? «Il peso contributivo ha fatto sì che le Pmi da noi assistite abbiano subito un forte freno verso la crescita e l’espansione. A questo punto ci siamo impegnati affinché, nel pieno rispetto delle leggi vigenti, fosse messa a loro disposizione una gamma di servizi volti a sfruttare al meglio gli incentivi rivolti alle piccole e medie aziende». Soprattutto quale reazione osserva, dinanzi alla crisi, da parte degli imprenditori locali? «La crisi è di per sé una paura che paralizza anche l’imprenditore più navigato. Cosicché del tutto fuori dai canoni, l’imprenditore va alla ricerca di ogni soluzione che possa agevolare la sua ascesa ai piani alti delle relazioni industriali e commerciali. La nostra struttura, al fianco dei suoi partner, ha studiato e interposto un’evoluzione sempre più accelerata verso la creazione di sinergie che favoriscono l’ottenimento di servizi utili alle aziende. Al tempo stesso si è cercato, nel rispetto della legge, di creare un sistema di rete tra le Pmi da noi assistite». Con quali risultati? «È emersa una dinamica di relazioni economiche fra imprese nostre clienti e fra queste e il mercato, tali da agevolare al meglio e accelerare la loro evoluzione. In questo modo si stanno creando maggiori sinergie sia nell'ambito della stessa filiera, ma soprattutto nell'ambito di relazioni nuove che costringono il singolo a misurarsi sempre di più con contesti globali e con nuovi paradigmi della creazione del valore». Su quali asset vorrà far crescere ulteriormente la sua società? «Continueremo a offrire assistenza e consulenza nella riorganizzazione contabile e amministrativa, anche grazie alla collaborazione con lo Studio Teatini. Punteremo nea | gennaio 2012

Laura Mattoccia della T&T Srl di Roma www.studioteatini.it - info@studioteatini.it

NUOVE RELAZIONI COSTRINGONO IL SINGOLO A MISURARSI SEMPRE DI PIÙ CON CONTESTI GLOBALI E CON NUOVI PARADIGMI DELLA CREAZIONE DEL VALORE a specializzarci sempre di più nella predisposizione e nella redazione dei bilanci di esercizio, assistendo le imprese anche nella predisposizione dei budget e dei report annuali o infrannuali. Non solo, punteremo anche alle attività di consulenza giuslavoristica. Tutto questo ovviamente è fattibile solo attraverso un consolidamento sinergico tra le varie società del nostro gruppo. È questo che ci rende competitivi e, soprattutto, che ci permette di mettere a disposizione delle aziende un patrimonio professionale multidisciplinare difficilmente riscontrabile altrove. Mi piace ricordare una frase di Leonardo Da Vinci, divenuta il nostro motto: “Quelli che s'innamorano di pratica senza scienza sono come il nocchiere, ch'entra in un navilio senza timone o bussola, che mai ha certezza dove si vada. Sempre la pratica deve essere edificata sopra la bona teorica”». 93


Servizi all’impresa

Ricerca per l’impresa Disporre di dati e informazioni su soggetti e imprese prima di procedere all’avvio di qualsiasi attività economica è oggi fondamentale. Ne parla Emanuela Puccinelli di Manlio Teodoro

ono molte le categorie produttive e i privati che, per la loro attività e i loro affari, necessitano di informazioni commerciali e investigazioni, servizi di marketing, elaborazione dati, ricerche di mercato, analisi economiche e gestionali. Queste attività possono essere affidate a risorse interne oppure essere gestite da professionisti che sia nell’offline che nell’online hanno la tecnologia e le competenze per ottimizzare tempi, costi e risultati. Emanuela Puccinelli è presidente del Cda di Veritas, storica società di informazioni commerciali: «Le informazioni commerciali sono un supporto fondamentale per le scelte strategiche dell’azienda, che si tratti di valutare l’affidabilità di un nuovo cliente, di adottare decisioni mirate e veloci per recuperare un credito non pagato (evento assai ricorrente in questi tempi di crisi) o per scegliere le corrette strategie di penetrazione su nuovi mercati. Altro importante settore di attività sono le investigazioni per conto di compagnie assicurative contro i tentativi di truffa, purtroppo frequenti in questo settore, con danni economici che ricadono sulla collettività. Soprattutto nel campo delle Banche Dati Economiche (Camere di commercio, protesti, pregiudizievoli immobiliari e di tribunale) i nostri competitors sono spesso multinazionali; ciò che fa di noi un’azienda di nicchia, altamente specializzata, è la capacità di fornire un servizio personalizzato». Veritas è sul mercato dal 1925 e ha acquisito una profonda conoscenza delle tecniche utilizzabili per produrre una “informazione investigata” che sia di reale utilità per il richiedente. La specifica natura dei servizi offline, infatti, che non risulta automatizzabile, necessita di un notevole intervento umano, altamente professionale; in Veritas il personale è in prevalentemente femminile: forse per la particolare sensibilità e “astuzia” delle donne? «Limitarsi alla fornitura di mere informa-

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Emanuela Puccinelli, presidente del Cda della Veritas Srl di Firenz www.veritas.it

zioni “riportate” – aggiunge Puccinelli, che svolge questa professione da molti anni, essendosi inserita in una preesistente attività di famiglia, sviluppandola e rafforzandola – sminuirebbe la nostra professionalità e non andrebbe incontro alle esigenze specifiche dei clienti. La produzione delle informazioni commerciali per affidamento o recupero, così come gli accertamenti per le assicurazioni, avviene mediante l’aggregazione di dati pubblici – per esempio dati camerali, bilanci – e attraverso il controllo degli atti pregiudizievoli. Alla produzione di informazioni tramite questi canali si aggiunge la rilevazione di informazioni in loco, tramite una rete capillare di collaboratori». Veritas è in grado di raccogliere informazioni commerciali in tutti i paesi del mondo grazie all’accurata selezione di partner internazionali avvenuta in anni di esperienza sul campo.



Rapporti con le banche

Tra banche e imprese «Più spesso di quanto si creda, le comunicazioni degli istituti di credito alla Centrale Rischi della Banca d’Italia vengono effettuate in modo errato, e ciò basta ad apportare un peggioramento nelle condizioni del credito concesso». Anna Beltrami spiega come rimediare di Luca Cavera

n questa fase in cui si riscontrano difficoltà nell’accesso al credito, è fondamentale per le imprese porre attenzione al proprio posizionamento presso la Centrale rischi della Banca d’Italia. I dati e le comunicazioni inviate dalle banche alla Centrale rischi, infatti, vengono consultate dagli intermediari finanziari, dai quali dipendono il rating e i tassi di interesse che poi vengono applicati alle richieste di credito da parte degli imprenditori. Con l’accordo di Basilea II sui requisiti minimi di capitale e, successivamente, con Basilea III, il tema del rating d’impresa è divenuto quanto mai centrale. Soprattutto perché, come spiega la commercialista Anna Beltrami: «Più spesso di quanto si creda le comunicazioni vengono effettuate dagli istituti di credito in modo errato, ma sufficiente ad apportare un peggioramento nelle condizioni del credito concesso. Tuttavia, con un’operazione semplice e assolutamente poco costosa, è possibile capire come le banche “vedono” un’impresa. Ed è possibile rettificare eventuali errori di comunicazione, aggiornando la posizione dell’azienda». La prima mossa per l’azienda è quella di effettuare un’autodiagnosi: cioè verificare in che modo l’azienda è percepita all’esterno. «Ciò si realizza attraverso l’esame dei profili presenti nelle banche dati d’informazione aziendale e con la verifica dei coefficienti patrimoniali, reddituali e finanziari – ovvero patrimonializzazione, duration finanziarie di debiti e crediti, coefficiente di indebitamento, redditività. Fatto ciò è poi fondamentale la verifica periodica dei dati contenuti nella Centrale rischi. In questa possono essere presenti informazioni erronee

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Anna Beltrami, commercialista dello studio Beltrami di Milano anna.beltrami@studiobeltrami.com

fornite dalle banche alla Banca d’Italia, come esposizioni scadute e sconfinate, classificazioni di insolvenza, rischi autoliquidanti. Di queste va chiesta immediata rettifica, pena il peggioramento dell’ammontare dei fidi concessi e delle condizioni». L’atteggiamento da tenere con la propria banca, poi, è quello della massima informazione. «Ci sono aspetti che non emergono compiutamente dalla lettura dei dati e che, se opportunamente spiegati, danno una chiave di lettura della realtà aziendale assolutamente più positiva. Per esempio, una segnalazione di “cattivo pagatore” pesa nella Centrale Rischi in modo diverso che quella di “soggetto in sofferenza”».



Dall’impresa al sociale

Verso nuovi orizzonti Il Gruppo Fustiplast è passato dal Cassina Packaging Group alla multinazionale americana Greif. Anna Loredana Cassina spiega le ragioni personali e imprenditoriali alla base di questo passaggio di Amedeo Longhi

el 2011 ha suscitato un notevole interesse l’acquisizione, da parte del produttore statunitense di packaging Greif, del Gruppo Fustiplast, importante azienda dell’area bergamasca, con una sede a Brescia, due in Germania e una joint-venture in Brasile. L’operazione ha contestualmente segnato l’abbandono della scena economica da parte di Anna Loredana Cassina, noto personaggio della comunità imprenditoriale che per quasi quattro decenni è stata animatrice di Fustiplast. «L’azienda – ricorda Cassina – è stata fondata nel 1947 ed è specializzata nella produzione di contenitori e fusti in materiale plastico a uso industriale». Come è avvenuto il suo ingresso in azienda? «Quando ho terminato il mio periodo di apprendistato ho iniziato a prendere confidenza con i meccanismi d’impresa e con il mercato. Un periodo non certo breve e non certo facile». Ritiene che la capacità relazionale abbia influito positivamente sulla sua carriera? «Ho sempre tenuto a far sì che profondi rapporti umani, prima che d’interesse o professionali, venissero prima dei ruoli e questo penso sia stato un fattore determinante della femminilità a cui non ho mai rinunciato. Ci tengo però a sottolineare che il lavoro non è stato tutto per me. Sono una moglie e una madre felice, perché ho voluto stabilire i giusti confini tra i momenti dell’impegno lavorativo e

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Anna Loredana Cassina

quello della vita famigliare. Questo non toglie che l’impegno di un imprenditore alla guida di un gruppo con un fatturato superiore ai centotrenta milioni di euro e con cinquecento addetti sia veramente gravoso. E qui bisogna sottolineare il valore delle risorse umane, che ogni giorno profondono passione, energia creativa, competenza, spirito di sacrificio, in un continuo susseguirsi di confronti, anche di scontri». Questo però può accadere quando al timone ci sono figure fortemente motivanti. «Sicuramente sì, c’è bisogno di fare squadra con i propri collaboratori. Altrimenti non si sarebbe passati indenni attraverso momenti difficili come i periodi delle intense lotte sindacali, dello shock petrolifero, del mutamento dei consumi, della globalizzazione e dell’ancor attuale crisi economica. A questo proposito ci terrei a citare l’estratto di un biglietto d’auguri di un collaboratore della Fustiplast: “Anche se non ci vedevamo spesso io sapevo che lei era lì, che con grande dedizione, correttezza e professionalità, e aggiungo, amore, ha dedicato gran parte della sua vita per un progetto aziendale

Anna Loredana Cassina con il Governatore della Lombardia Roberto Formigoni in occasione della consegna del premio “Rosa Camuna”

HO SEMPRE TENUTO A FAR SÌ CHE PROFONDI RAPPORTI UMANI, PRIMA CHE D’INTERESSE O PROFESSIONALI, VENISSERO PRIMA DEI RUOLI E QUESTO PENSO SIA STATO UN FATTORE DETERMINANTE DELLA FEMMINILITÀ così grande. La ringrazio per tutto quello che ha fatto e ci ha dato”». Anche alla luce di queste ultime considerazioni, può spiegare la decisione che ha determinato la cessione di Fustiplast? «Dopo tanto lavoro e tante lotte, viene la voglia di misurarsi in qualcosa di diverso. In questo periodo sto dando libero sfogo alla mia immaginazione e vennea | gennaio 2012

gono alla mente una quantità di idee. Potrei impegnarmi, con il bagaglio di esperienze acquisite in tutti questi anni, nel sociale. È un territorio che già da ragazza pensavo di coltivare. Poi le vicende e le mie scelte mi hanno portato altrove. Questa è un’ipotesi che tengo in grande considerazione. Per ora preferisco non escludere nulla e godere il piacere di avere un orizzonte libero». 99




Cultura agricola

Una “tedesca” che fa amare il vino italiano I Berlucchi sono una famiglia profondamente radicata nelle terre di Franciacorta. Pia Donata Berlucchi oggi gestisce un’azienda vinicola di prestigio, amata nel mondo. Un’ imprenditrice che ha saputo mettere nel suo lavoro immaginazione, tenacia e dedizione di Mario Cervi

ono una tedesca” dice di sé Pia Donata Berlucchi. Volendo con questa definizione esprimere un modo di essere, di vivere, di pensare che è ispirato a rigore, a metodo, a tenacia. Poi magari capita d’incontrare dei tedeschi che sono arruffoni e approssimativi. Lei non lo è di sicuro. Ispira sicurezza e consapevolezza del suo ruolo: che è quello del boss - così la chiama la figlia Tilli che con lei lavora in maniera “pasïonaria” e burrascosa, classico fra madre e figlia - d’una azienda vinicola ammirata nel mondo come fiore all’occhiello dell’agricoltura italiana. Una di quelle tante e non abbastanza lodate pepite d’oro che, in mezzo a molto fango, l’imprenditoria di casa nostra può vantare.

“S Pia Donata Berlucchi Amministratore delegato dell'Azienda Agricola F.lli Berlucchi Spa

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M’è piaciuto d’approfondire un po’ discorrendo con Pia le vicende di questo marchio familiare profondamente radicato nelle terre di Franciacorta: con sede a Borgonato di Corte Franca, così chiamato per il remoto passaggio dei Franchi. È straordinario come in tante aree della nostra lacerata e bellissima penisola il nobile profumo della storia s’intrecci a quello non meno nobile dei vini. Pia racconta bene, con un piglio risoluto e con un linguaggio diretto ed efficace. E’ riuscita a tratteggiare, a mio uso e beneficio, le vicende d’una dinastia che oggi come oggi è anche un clan importante, capace d’affiancare innovazioni moderne alla solida tradizione del passato. La madre di Pia, Antonia, era una milanese colta in un’epoca di donne incolte. Sapeva di greco e di latino, ed era stata, al liceo Parini, compagna di Luchino Visconti. Un tipo o tipaccio, lui, di ragazzo indisciplinato, che amava scivolare lungo le ringhiere anziché scendere le scale, e che tutto sommato risultava piuttosto antipatico. Dunque Antonia “venne a Brescia con i suoi vent’anni e con un pianoforte a coda”, dopo aver conosciuto e sposato un uomo che aveva vent’anni più di lei e che lei chiamava con orgoglio ed infinito amore “il re delle acque” perché costruiva dighe nella nostra Lombardia. Sennonché Antonia rimase vedova a 42 anni, con cinque figli (Pia aveva sette anni, Francesco, il fratello maggiore ventuno). E con nessunissima pratica d’affari. Questa giovane signora intellettuale seppe diventare una buona amministratrice, si vede che è un dono di famiglia. I 70 ettari di vigne che i Berlucchi avevano e hanno furono e sono il nocciolo


Pia Donata Berlucchi

duro delle loro fortune (tanti altri noccioli duri furono da tanti altri sperperati). I Berlucchi ebbero invece l’intelligenza di adeguarsi ai tempi, e alle mutazioni epocali sopravvenute in una agricoltura che, se non si aggiornava, rischiava di morire di vecchiaia. Tra le “rivoluzioni” agricole vi fu la scomparsa della mezzadria. I “padroni”, che un tempo potevano permettersi il lusso di affidare ai mezzadri la gestione della terra e limitarsi ad incassare il frutto della gestione stessa, dovettero imparare a lavorare in proprio. Il che richiedeva dedizione, immaginazione tenacia. Un identikit che sembra fatto su misura per la Pia Berlucchi d’oggi. Peraltro lontana, negli anni della giovinezza, dall’idea di diventare un giorno nientemeno che amministratore delegato d’una azienda importante per il fatturato e per il prestigio. La Pia d’allora voleva diventare medico, ed in questa aspirazione metteva la passione che mette in tutte le cose (non potendolo diventare in prima persona sposò un medico, che, sia detto per inciso è di Lecce). Nessuno dunque potrebbe addebitarle schizzinosità nordiste. Spiega infatti che ama molto il sud, ma all’occorrenza ne bastona senza fare sconti le neghittosità e il vittimismo. Con il marito ha avuto una profonda intesa proprio perché hanno non solo origini ma gusti opposti. Lui per il mare, lei per la neve, lei per la musica classica, lui…francamente non so. Dalla medicina la distolse l’esigenza di dare una mano nell’impresa di famiglia. Alla sua maniera metodica e implacabile cominciò ad addentrarsi nei segreti di un prodotto, il vino di qualità, che è insieme natura, commercio, arte, gusto. Riuscì ad armonizzare i suoi talenti con quelli dei fratelli e finì per diventare, con la sua loquela avvincente e la sua grinta travolgente, la portavoce e l’immagine dei Berlucchi. I fratelli quando parlano di lei con altri sono prodighi di lodi e di ammirazione, ma - racconta Pia - negli incontri familiari hanno il mugugno facile. Da quasi tedeschi con la quasi tedesca. Hanno grandi orizzonti imprenditoriali e culturali, questi Berlucchi. Al progetto di marketing della Sda Bocconi hanno dato il motto “Portate il cuore”. Per il lancio del loro Franciacorta Pas Dose’ millesimato, cullato e vezzeggiato come un neonato umano, hanno tirato in ballo Hemingway, Brecht, Collodi. Pia apprezza il buon vino. Ma ne beve poco, afferma, nea | gennaio 2012

PER IL LANCIO DEL LORO FRANCIACORTA PAS DOSE’ MILLESIMATO, CULLATO E VEZZEGGIATO COME UN NEONATO UMANO, HANNO TIRATO IN BALLO HEMINGWAY, BRECHT, COLLODI perché le provoca spesso l’emicrania. Oppure, sospetto io, per essere sempre lucidissima e fare quello che le piace fare, a modo suo. Questa personificazione del successo femminile non è femminista, non gradisce le associazioni femminili e le quote rosa: il valore, sentenzia, non ha sesso. Concordo. Aggiungendo che il valore non ha età. Ho conosciuto imbecilli di vent’anni rimasti coerentemente tali fino alla più tarda età, e persone intelligenti il cui cervello non è stato infiacchito dal tempo. Nonostante questo difficile periodo di vacche magre Pia Berlucchi è ottimista per i destini d’Italia. Confida nelle risorse della nostra gente dalle molte vite e - mi sembra - anche nello “stellone” che da tempo immemorabile assiste questa nostra nave ingovernabile ed inaffondabile. Diamo il meglio nei momenti drammatici, ricorda. Toccato il fondo ci sarà il colpo di reni della ripresa. Spero che abbia ragione. 103


Cultura agricola

L’agricoltura italiana è rosa e consapevole Alcune recenti statistiche evidenziano come un terzo delle aziende agricole italiane sia in mano a donne. Il dato è positivo e, come sottolinea Silvia Bosco, si accompagna a una sempre maggiore presa di coscienza da parte dei consumatori di Francesco Bevilacqua ue buone notizie arrivano oggi dai campi italiani. La prima è che l’imprenditoria femminile si sta affermando sempre più nel settore agricolo, investendolo delle qualità tipiche delle donne: sensibilità, creatività, spirito innovativo e capacità di comunicare. La seconda è relativa agli ottimi frutti che sta dando lo sforzo teso ad aumentare la consapevolezza degli italiani, spiegando loro l’importanza del consumo di cibo sano e locale, di una filiera corta che aiuti le imprese del territorio e di una cultura alimentare che faccia riscoprire le grandi tradizioni che l’Italia vanta in questo settore. «Ci sentiamo pienamente coinvolti in questa grande opera di sensibilizzazione – spiega Silvia Bosco, coordinatrice nazionale di Donne Impresa di Coldiretti – poiché la nostra organizzazione, di concerto con gli altri operatori del settore, si è spesa molto per accrescere il grado di consapevolezza dei consumatori italiani, soprattutto dei più giovani». Ritiene importante promuovere uno stile di consumo basato sulla filiera corta e sul cibo locale, capace di rivitalizzare le aziende agricole da un lato e di migliorare la qualità dell’alimentazione dall’altro? «Ritengo che favorire il consumo di prodotti locali, genuini e di stagione sia importante per la salute dei cittadini, per la salvaguardia dell’ambiente e per il sostegno all’economia nazionale, in un momento di difficile congiuntura economica. Investire sul valore del territorio, sull’identità e sulla genuinità delle produzioni per farle conoscere ai consumatori è l’impegno che gli imprenditori della Coldiretti stanno portando

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Silvia Bosco, coordinatrice nazionale Donne Impresa di Coldiretti

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IN ITALIA DI FATTO QUASI UN’AZIENDA AGRICOLA SU TRE È CONDOTTA DA UNA DONNA

avanti nelle aziende, nei mercati di Campagna Amica e negli agriturismi di Terranostra, ma anche direttamente nelle scuole. Educare è la migliore “arma” a nostra disposizione». Pensa che sia necessario avvicinare nuovamente gli italiani, in particolare le giovani generazioni, alla cultura agricola. Tramite quali iniziative si potrebbe perseguire questo obiettivo secondo lei? «Il nostro impegno nelle scuole ha messo in evidenza un grande deficit di conoscenza ma anche un forte interesse a capire cosa c’è dietro al cibo, quali percorsi produttivi, quali garanzie. Bisogna partire dalle nuove generazioni, intese come consumatori del domani, perché consumatori informati ed emancipati sono il motore dell’economia. Adottando nuove misure per promuovere la creazione di mercati agricoli direttamente amministrati dagli agricoltori, la costituzione di punti vendita dove i produttori possano offrire i loro prodotti direttamente ai consumatori e l’introduzione di programmi volti a incoraggiare la vendita di prodotti nei mercati locali». All’interno del mondo dell’agricoltura com’è strutturata la rappresentanza femminile? Che valore aggiunto pensa che possano dare le donne al comparto agricolo? «In Italia si contano circa 250mila aziende in “rosa” nel settore agricolo, dove di fatto quasi un’azienda su tre è condotta da una donna. Il rispetto per l’ambiente e la qualità della vita a contatto con la natura semnea | gennaio 2012

brano essere fra le principali ragioni del crescente interesse dell’universo femminile nei confronti della moderna agricoltura. L’importanza e la presenza delle donne nelle aziende agricole italiane è dovuta anche al grande apporto creativo e innovativo che sanno offrire e che consente loro di estendere e di moltiplicare le attività aziendali, seguendo così il principio della multifunzionalità. È così che le aziende femminili offrono realtà differenti fra loro, comprendenti le fattorie didattiche e le fattorie sociali, gli agriasilo, le attività legate all’agriturismo e al benessere. Importante è anche lo sforzo profuso per la diffusione della filiera agricola corta, che punta ad avvicinare il produttore al consumatore, diminuendo al minimo i passaggi intermedi». Reputa sufficiente lo sforzo predisposto dalle istituzioni italiane ed europee a tutela delle tipicità e della genuinità dei prodotti tipici o ritiene che sia necessario fare di più? «Si deve sicuramente fare di più. Scontiamo ritardi enormi nella trasparenza dell’informazione ai cittadini. Per pasta, formaggi, prosciutti e molti altri prodotti non è ancora possibile conoscere la reale provenienza della materia prima impiegata. Bisogna mettere subito in campo azioni volte a emancipare i consumatori dell’Unione europea, dando loro informazioni accurate ma anche assicurando la trasparenza dei mercati in termini di prezzi, scelte, qualità e sicurezza». 105


Prodotti alimentari

Cresce l’export del gorgonzola Dop Il gorgonzola Dop italiano è apprezzato anche oltre confine. In linea con il trend che vede crescere l’export dei prodotti alimentari made in Italy. Con Federica Fileppo Zop ripercorriamo le tappe di una storica azienda italiana di Eugenia Campo di Costa

ell’anno appena concluso il made in Italy sulle tavole mondiali ha raggiunto il massimo storico di circa 30 miliardi nel valore delle esportazioni, per effetto di una crescita del 9 per cento. Questi sono i dati che emergono da un’analisi della Coldiretti sulla base degli andamenti registrati nel commercio estero agroalimentare dall'Istat nei primi nove mesi del 2011. Secondo il presidente della Coldiretti, Sergio Marini, le performance positive registrate sui mercati internazionali dal settore più rappresentativo dell’economia reale dimostrano che il Paese può tornare a crescere solo se investe nelle proprie risorse: i territori, l’identità, la cultura e il cibo. In particolare, l’agroalimentare è una leva competitiva formidabile per trainare il made in Italy nel mondo. In linea con la tendenza che ha visto quest’anno una crescita nelle esportazioni agroalimentari nei paesi dell’Unione Europea, ma anche negli Stati Uniti e nei mercati emergenti come quelli asiatici, è il percorso della storica azienda Mario Costa, specializzata nella produzione di Gorgonzola. «Oltre il 30% della nostra produzione è destinata ai paesi stranieri – afferma Federica Fileppo Zop, alla guida dell’azienda insieme al fratello Davide, dopo la scomparsa del padre, Federico Fileppo Zop -. In particolare i rapporti storici e preferenziali sono con le catene della vicina Svizzera». Il Gorgonzola è senza ombra di dubbio uno dei for-

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Federica Fileppo Zop, amministratore – con il fratello Davide - della Mario Costa Spa www.mariocosta.it

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maggi italiani DOP più apprezzati nel mondo. Voi oggi vi distinguete tra i produttori di questa specialità, non solo per la qualità dei vostri formaggi ma anche per la fedeltà alla lavorazione tradizionale. «Naturalmente le innovazioni tecnologiche sono necessarie e continue, ma nel nostro caso non hanno scalfito la fedeltà alla tradizione. Ogni giorno trasformiamo in gorgonzola centinaia di ettolitri di latte selezionato. Gli antichi riti sapienti si sono amalgamati ad una politica vivace e coinvolgente, che crede nella tradizione del passato con passione e genuinità. La qualità come scelta imprescindibile, il rispetto della buona tradizione lattiero-casearia italiana, integrate da un apparato produttivo costantemente aggiornato


Prodotti alimentari In queste immagini, momenti di lavoro all’interno dell’azienda novarese

sono alla base della nostra strategia imprenditoriale». La vostra è un’azienda storica. Ripercorriamo brevemente le tappe che vi hanno portato ai successi odierni. «L’azienda porta ancora il nome del suo fondatore, Mario Costa, che nel 1919 diede inizio all’attività di trasformazione del latte in una cascina di Vinzaglio, nel Novarese. In quegli anni si produceva solo il Gorgonzola a due paste, quello piccante. Il prodotto dolce e cremoso che oggi si è affermato sui mercati non era ancora nato, anche se in azienda si lavorava già al “Dolcificato Costa”, che pochi anni dopo sarebbe stato premiato con la massima onorificenza alla Mostra casearia di Milano del 1924. Presto Costa lasciò Vinzaglio per trasferirsi in città, dove costruì il primo vero caseificio in quella che era periferia e che ora invece è il cuore di Novara, dove ancora oggi l’azienda ha sede e dove ancora produciamo l’eccellente Dolcificato Costa». Quando l’azienda è passata a vostro padre e a voi? «All’inizio degli anni ’70. Federico Fileppo Zop, nostro padre, era nipote del fondatore e riuscì a dare nuovo impulso alla produzione, triplicandola in pochi anni. Vinse la sfida di un mercato sempre più articolato, concretizzando un’azienda solida, moderna ed evo108

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luta, e sempre all’altezza della sua tradizione fatta di bontà e naturalità. Mio fratello e io, la quarta generazione, siamo entrati in azienda nel 1999, affiancando con successo nostro padre nella gestione di un’azienda solida, moderna ed evoluta che viveva già una realtà sempre più europea. Nel 2008, in seguito alla improvvisa scomparsa di papà, la guida dell’azienda è passata a noi, che continuiamo a seguire le tracce e gli insegnamenti lasciatici». Quali sono oggi i punti di forza della Costa e quali gli aspetti su cui lavorare per migliorare ancora? «Siamo una piccola azienda e la costante ricerca della qualità è sempre stato il nostro punto di forza. Cerchiamo di lavorare per ottimizzare i costi, visto che oggi il fattore prezzo è diventato molto importante, ma teniamo sempre ben presente che la qualità dei nostri prodotti è di vitale importanza per l’azienda». Già da alcuni anni, infatti, l’azienda ha ottenuto le due importanti certificazioni internazionali BRC ed IFS. «L’applicazione di questi standard, riconosciuti dai principali retailer operanti su scala nazionale e internazionale, rappresenta una sorta di minimo comune denominatore, uno strumento di garanzia riconosciuto circa l’affidabilità aziendale sotto tutti gli


Federica Fileppo Zop

IN AZIENDA LA QUALITÀ PRODUTTIVA E LO SCRUPOLOSO RISPETTO DELLE NORME IGIENICO-SANITARIE SI ATTESTANO AI MASSIMI LIVELLI DURANTE OGNI FASE DELLA LAVORAZIONE

aspetti. In Costa, in effetti, la qualità produttiva e lo scrupoloso rispetto delle norme igienico-sanitarie si attestano ai massimi livelli durante ogni fase della lavorazione: dalla pastorizzazione, alla trasformazione del latte, alla stagionatura, sino al confezionamento finale». Il mercato è sempre alla ricerca di prodotti innovativi. Come possono reagire le imprese del mondo delle DOP a questa domanda di novità? «Nei prodotti DOP gli spazi per l’innovazione sono sempre ridotti. Questo non significa, però, che non ci sia modo di rinnovare. Si lavora per rendere più efficienti i sistemi di produzione e gli stabilimenti. Non va dimenticato che ci sono grandi possibilità nella domanda di servizio che arriva dai consumatori, che ci porta a realizzare nuovi formati e nuovi sistemi di confezionamento, e dall’industria di seconda trasformazione che ha capito il valore delle nostre produzioni e comincia a valorizzare le proprie preparazioni nea | gennaio 2012

con i nostri prodotti, che sono ingredienti di grande qualità». Quali prospettive vi attendono per il futuro in un momento storico di particolare difficoltà? «A causa delle forti tensioni del mercato degli ultimi anni è sicuramente complicato orientarsi, ma noi crediamo fortemente in quello che facciamo e nelle straordinarie caratteristiche del nostro prodotto. Siamo convinti che se sapremo seguire le tracce e gli insegnamenti che ci ha lasciato nostro padre potremo arrivare lontano. È per questo motivo che vogliamo continuare a gestire la nostra azienda nel suo nome e nel suo spirito, con entusiasmo, profonda correttezza, umanità, onestà ed etica professionale, senza cercare facili scorciatoie, ma con grande rispetto per i collaboratori e per i concorrenti, senza mai perdere l’ottimismo, il sorriso e la voglia di credere nei nostri progetti. È uno stile che ci piace e che con gli anni è diventato quello dell’azienda. Grazie a lui». 109


Prodotti alimentari

Tradizioni toscane Salumi e prodotti tipici toscani, la cui genuinità è garantita da innovativi strumenti tecnologici e dall’abilità di chi lavora ancora con passione e metodi artigianali. L’esperienza di Antonella e Alessandra Gerini di Diego Bandini

un’attività che si tramanda da oltre tre secoli quella del Salumificio Gerini, storica realtà produttiva della provincia fiorentina, specializzata nella lavorazione di carni e salumi tipici della tradizione toscana. «La tradizione di lavorazione delle carni del Salumificio Gerini nasce addirittura nel 1700, con il capostipite Pietro Gerini, macellaio in Pontassieve», racconta Antonella Gerini, attualmente alla guida dell’azienda insieme alla sorella Alessandra. «All’attività della “bottega” Pietro ha poi associato, con successo, la lavorazione dei salumi e degli stagionati tipici toscani,

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che ancora oggi portiamo avanti all’interno del nostro stabilimento di Pontassieve». Negli ultimi decenni l’azienda ha notevolmente ampliato l’attività, assumendo sempre di più connotazioni industriali, senza però mai abbandonare la tradizione artigianale dalla quale è nata. Quale, in sintesi, il percorso da voi seguito? Alessandra Gerini: «All’inizio degli anni '60 nostro padre Fernando, decide di spostare l’attività dal centro del paese alla periferia, costruendo il primo nucleo di quello stabilimento nel quale ancora oggi lavoriamo. È una scelta lungimirante, il passo importante che ci ha permesso di poter crescere. Oggi la nostra è un’azienda dinamica, che per effetto delle frequenti e tempestive innovazioni e ristrutturazioni, operate tanto nelle dimensioni quanto nella dotazione di impianti e attrezzature, ha raggiunto una posizione di rilievo nel mercato toscano. Abbiamo quindi cercato di coniugare al meglio i vantaggi offerti dalle moderne tecnologie con la migliore tradizione artigianale toscana, che, nel nostro piccolo, cerchiamo di difendere e di diffondere attraverso il nostro lavoro quotidiano». Come riuscite a garantire sempre l’ottimo livello qualitativo dei vostri prodotti? Antonella Gerini: «La cura nella scelta delle carni rappresenta il fulcro della nostra attività, perché crediamo che la bontà del prodotto finale dipenda soprattutto dalla qualità della materia prima. Tutte le


Antonella e Alessandra Gerini

Le sorelle Alessandra e Antonella Gerini, titolari del Salumificio Gerini Spa di Pontassieve (FI) www.gerinispa.com

nostre lavorazioni avvengono inoltre in ambienti moderni, dotati di impianti costantemente adeguati alle tecnologie più evolute e in linea con i rigorosi criteri europei di igiene e funzionalità, in modo da garantire un indispensabile supporto agli antichi metodi di lavorazione della Gerini, nel solco della migliore tradizione alimentare toscana». Quali sono, nello specifico, i prodotti che caratterizzano maggiormente la vostra attività? Alessandra Gerini: «La carne bovina, ed il suo simbolo più importante, la bistecca alla fiorentina e poi la produzione di salumi, stagionati e cotti tipici della tradizione toscana, come le salsicce fresche, i salami, le finocchione, le pancette, le coppe, le gote, le spalle, i prosciutti e gli arrosti. Soprassata e porchetta figurano invece tra le specialità cotte. La tradizione dei salumi toscani è strettamente legata a quella dei norcini umbri. E questo è testimoniato anche dal fatto che la nostra famiglia già dagli anni 40 aveva contatti con i famosi norcini che, stagionalmente, tornavano alla “bottega di Pontassieve” per lavorare il maiale. Discende da questo legame il fatto che ancora oggi fra le nostre referenze figuri il prosciutto di Norcia (che da diversi anni si fregia del riconoscimento IGP) stagionato nello stabilimento di Todiano di Preci (Norcia) che, affiancato al Prosciutto Toscano DOP e al Prosciutto della Montagna Fiorentina, rappresenta la punta di diamante della nostra produzione. Nella vasta gamma dei salumi possiamo poi menzionare la Finocchiona (normale o sbriciolona), il Salame Toscano di puro suino, le Pancette tese e arrotolate speziate alla toscana, il Lardo aromatizzato della Montagna Fiorentina e il Bardiccio, una salsiccia “povera” tipica della Val di Sieve e futuro presidio Slow Food». Quali sono attualmente i mercati di riferimento per la Gerini? Antonella Gerini: «La nostra società opera essenzialnea | gennaio 2012

CREDIAMO CHE LA BONTÀ DEL PRODOTTO FINALE DIPENDA SOPRATTUTTO DALLA QUALITÀ DELLA MATERIA PRIMA

mente a livello regionale, ma si rivolge anche alla ristorazione di fascia medio-alta e alle gastronomie specializzate dell’Italia intera, oltre che a quei mercati esteri alla ricerca di prodotti tipici di elevata qualità. In particolare nel corso di questi anni abbiamo istaurato un consolidato rapporto di fornitura con un importante importatore/distributore inglese, che consente ai nostri prodotti di presenziare nei più blasonati ristoranti londinesi. La tipologia dei nostri clienti è variegata e comprende ingrossi di carne e di salumi, negozi alimentari, gastronomie e macellerie, ristoranti, bar, mense, piccoli supermercati e catene operanti nella grande distribuzione, ai quali riusciamo a offrire un servizio sempre puntuale ed efficiente, grazie soprattutto a un’organizzazione logistica di primissimo livello». 111




Branding

Valorizzare e tutelare il brand o sempre pensato che la qualità di un professionista sia legata alla qualità del cliente. Più il cliente è "demanding", più si cresce professionalmente. Per questo il contatto con la Jacobacci ha acuito il mio desiderio di migliorare e crescere professionalmente. L’obiettivo è che il brand Jacobacci&Partners sia sinonimo di servizi ad alto valore aggiunto nel settore della proprietà industriale». La passione di Enrica Acuto nei confronti del mondo del brand inizia da lontano, dagli studi universitari. Seguono una specializzazione come brand manager e l'incontro e il matrimonio con Fabrizio Jacobacci, quarta generazione della famiglia che si dedica alla tutela dei diritti in proprietà industriale. Quali sono le sue considerazioni sul mondo del brand in Italia? «Ho iniziato a lavorare come brand manager in una

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Oggi il focus per fare del buon branding è sul target, sempre più sofisticato e difficile da individuare. Non basta avere un prodotto o servizio di qualità per essere scelti. E poi, grazie ai nuovi media, non si può solo comunicare, ma dialogare. Il punto di Enrica Acuto Jacobacci di Nicoletta Bucciarelli

multinazionale di beni di largo consumo e poi successivamente, a metà degli anni novanta, ho contribuito a fondare Eclettica-Akura specializzata in brand and interactive communication. Ho imparato che il valore del brand dipende da una semplice regola algebrica, più


Enrica Acuto Jacobacci

Enrica Acuto Jacobacci si occupa di brand management ed è consigliere delegato della Jacobacci&Partners www.jacobacci.com

esperienze positive vengono percepite dal consumatore in ogni momento di contatto con la marca, maggiore sarà il valore. L'attività di branding non si limita alla promozione pubblicitaria, ma si tratta di un insieme coordinato di azioni per aumentare l'equity, ovvero il valore della marca. In Italia, con brand eccezionali dal punto di vista della notorietà mondiale, ma dotati di bassa equity, c'è molto lavoro da fare, proprio a partire dal brand Italia». Qual è il compito fondamentale di un brand manager? «Oggi il focus per fare del buon branding è sul target, sempre più sofisticato e difficile da individuare. Non basta avere un prodotto o servizio di qualità per essere scelti, il rapporto con il cliente non finisce con l'acquisto, ma inizia una relazione che va mantenuta. Non solo comunicare, ma dialogare. E per dialogare occorre sensibilità per usare il tono ed il linguaggio più adatto alle diverse situazioni, persino con lo stesso target. Tutti noi possiamo avere atteggiamenti ed aspettative diverse tra quando facciamo acquisti on line o sul punto vendita, ma la nostra esperienza deve essere sempre positiva. Dopo l'esperienza professionale aziendale iniziale il suo mondo si è incrociato con quello della Jacobacci&Partners. Che cosa ha apportato questa collaborazione nel suo universo professionale? «Certo l'incontro e il matrimonio con Fabrizio Jacobacci, non ha fatto altro che far crescere la mia passione. Con la nascita dei tre figli e con la decisione di abbandonare la carriera aziendale ho iniziato ad avvicinarmi alla Jacobacci. Poichè tra i clienti della Jacobacci ci sono almeno la metà dei brand più importanti al mondo, ho la grande fortuna di potere osservare da un punto di vista privilegiato le strategie adottate per valorizzare e tutelare gli assets immateriali. Questa esperienza ha ponea | gennaio 2012

IN ITALIA, PAESE CON BRAND ECCEZIONALI DAL PUNTO DI VISTA DELLA NOTORIETÀ, C'È ANCORA MOLTO LAVORO DA FARE, A PARTIRE PROPRIO DAL BRAND ITALIA tenziato le mie capacità di analizzare e cogliere i comportamenti che rendono alcuni brand unici». Potrebbe parlarci di qualche iniziativa che l'ha vista protagonista recentemente? «Uno dei progetti che ho patrocinato è la nostra nuova extranet MyJacobacci, un database accessibile dai clienti ove possono trovare le informazioni relative al proprio porfolio IP. Si tratta di un progetto sviluppato a più mani per fornire un servizio all'avanguardia, ispirato da regole di usability, in fondo tutti noi quotidianamente navighiamo, ricerchiamo le informazioni su internet in modo intuitivo, lo stesso quando lavoriamo. Sotto il profilo manageriale, in tempi recenti abbiamo modificato la struttura organizzativa: la direzione aziendale è oggi affidata ad un executive board, che rappresenta le principali funzioni aziendali e nel quale ho una delega operativa al marketing. Il confronto costante ci permette di affrontare insieme opportunità e rischi valutandoli sotto diversi punti di vista, ma anche di prendere decisioni veloci, visto che il mercato attuale chiede fles-

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Branding

Enrica Acuto Jacobacci insieme all'executive board della Jacobacci&Partners

sibilità e capacità di adattamento costanti». Come vede il futuro del settore sia dal punto di vista dell'immagine che sotto il profilo legale? «Possiamo uscire dalla crisi solo investendo in innovazione e qualità, fortunatamente c'è bisogno dei nostri servizi per valorizzare e tutelare questi sforzi. Stiamo assistendo ad una polarizzazione, sia sociale che economica, le aziende più grandi potranno permettersi maggiori investimenti sia nell'immagine che nella tutela dei propri brand. Tuttavia gli investimenti vanno sempre fatti consapevolmente, indipendentemente dalla quantità, anzi minori risorse impongono una più chiara identificazione delle strategie e per questo servono parteners esperti». Il mondo collegato alla comunicazione e al brand è probabilmente uno di quelli che negli ultimi anni ha avuto una crescita esponenziale sotto tutti i punti di vista. «Le teorie che davano il brand in declino, non si sono fortunatamente avverate, anzi in un mondo sempre più globale si sente di più la necessità di identificazione e di differenziarsi per emergere, basta guardare ai comportamenti di consumo dei paesi emergenti. La Jacobacci inoltre si occupa anche di brevetti, settore anticiclico rispetto ai marchi; le aziende italiane sono attive 116

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e siamo fiduciosi che la ricerca in Italia, a lungo fanalino di coda europeo, possa tornare ad essere un settore trainante». Jacobacci&Partners ha differenti sedi dislocate per l'Europa. Quali sono i progetti in cantiere? «Dal 1997 siamo regolarmente collocati al vertice nelle classifiche internazionali come migliori consulenti italiani di proprietà intelletuale, ma speriamo di crescere in Europa visto che siamo già presenti nei principali paesi dell'area mediterranea. Stiamo infatti rinforzando la nostra presenza in Spagna, assumendo e dislocando su quella sede risorse altamente qualificate e più recentemente abbiamo aperto un ufficio a Parigi». Quanto conta la partnership nel suo universo professionale? «È basilare. Ho sempre creduto e investito nella squadra nella quale mi piace giocare alla pari. Credo moltissimo nella delega e nell'organizzazione manageriale, non sono una solista. Solo insieme si vince e solo rispettando e mettendo a fattore comune competenze diverse potremo uscire da questo periodo complesso. Sentiamo talmente il tema della partnership che vi abbiamo dedicato l'immagine 2012, anche citando un proverbio africano: se vuoi arrivare primo, corri da solo. se vuoi arrivare lontano, cammina insieme».



Comunicazione

La comunicazione è un investimento Seppure in tempi di crisi, l’investimento in progetti di comunicazione può rappresentare un grande valore aggiunto. Per le imprese, ma anche per l’intera società. L’esperienza di Laura Rossi di Eugenia Campo di Costa

er Natale Roma si è accesa di luci tricolori. Un omaggio ai 150 dell’Unità d’Italia, uno scenario magico che ha fatto da cornice alle feste nella Capitale. “Roma si mette in luce”, l’iniziativa che ha dato vita all’atmosfera scintillante della città, e che ha anche coinvolto cittadini e turisti con spettacoli e interazioni supportate dalla tecnologie web intelligente 3.0, è stata realizzata dalla Laura Rossi International, agenzia specializzata in comunicazione integrata e organizzazione di eventi sia al livello nazionale che internazionale. «Le luci natalizie della capitale quest’anno sono state innovative rispetto alle luminarie degli altri anni – commenta Laura Rossi, titolare dell’agenzia -. Senz’altro mi rimetterò in pista anche il prossimo anno per sostenere questo progetto, che ho già in mente di riproporre con ulteriori novità». Quanto la crisi, a suo parere, ha impattato sulla comunicazione e l’organizzazione di eventi? «Direi moltissimo. Le aziende hanno ridotto notevolmente i budget, i pagamenti sono ritardati. Anche i grandi marchi, che hanno sempre investito molto sulla comunicazione, oggi difficilmente accettano di fare sponsorizzazioni o sostenere iniziative, hanno fatto tagli importanti. Eppure la comunicazione, proprio nei momenti di crisi, è quanto mai necessaria, per ottenere visibilità e catturare interesse».

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Laura Rossi della Laura Rossi International di Roma. www.laurarossi.it


Laura Rossi un’immagine di “Roma si mette in luce” e Giorgio Armani e Antonella Guglielmo per il Calendario 2007 a favore dell’Associazione Italiana Persone Down - “E se domani…”

LE LUCI NATALIZIE DELLA CAPITALE QUEST’ANNO SONO STATE INNOVATIVE RISPETTO ALLE LUMINARIE DEGLI ALTRI ANNI. MI RICANDIDERÒ ANCHE IL PROSSIMO ANNO PER QUESTO PROGETTO, CHE HO GIÀ IN MENTE DI RIPROPORRE CON ULTERIORI NOVITÀ

Quali realtà soffrono di più nel vostro settore? «Direi le grandi agenzie che hanno sempre lavorato con budget milionari. Nel momento in cui i clienti hanno tagliato decisamente i costi destinati alla comunicazione, i grossi importi ne hanno risentito tantissimo». La sua agenzia impronta gran parte dei suoi progetti sulla comunicazione sociale. «Sì. Un tempo circa l’80% dei miei lavori era legato alla responsabilità sociale e solo il 20% ad altri progetti profit. Oggi, a malincuore, ho dovuto un po’ rivedere questa impostazione ma la comunicazione sociale rappresenta ancora una parte importantissima del nostro core business. Nella mia carriera ho avuto occasione di collaborare con molte associazioni benefiche, operanti nei settori più diversi». Come si è avvicinata a questo tipo di progetti? «Il mio sogno, fin da ragazza, era sempre stato quello fare un lavoro che potesse anche essere di aiuto alle persone più deboli. L’occasione è arrivata con il primo calendario a favore delle persone Down. In un momento in cui tutti i calendari mostravano corpi statuari di belle donne, il nostro lavoro ha voluto mostrare il cuore. In quel periodo, era il 2002, le pernea | gennaio 2012

sone affette dalla sindrome di Down venivano ancora vissute in maniera sbagliata, non cogliendone il più delle volte la straordinarietà. Attraverso gli scatti con testimonial eccellenti quali Giorgio Armani, Laura Pausini e Fiorello, abbiamo mostrato l’ironia e la dolcezza che c’è in loro. Il risultato è stato che, da quel momento in poi, si è iniziato a scoprirli e conoscerli, aprendo loro le porte di tutti i settori. La nostra è stata un’iniziativa importantissima, cui sono seguiti molti altri progetti di solidarietà sociale che hanno sempre ottenuto ottimi risultati, sia in termini di comunicazione che di fund raising». Quali sono i prossimi progetti in programma? «I prossimi progetti guardano allo scenario internazionale. Uno in particolare, molto importante, si chiamerà “Italia Straordinaria” e mira a far conoscere negli Stati Uniti la bellezza del nostro Paese e i suoi prodotti di eccellenza. È un progetto ambizioso, di altissima qualità, cui tengo molto, che prevede la realizzazione di un programma televisivo che sarà trasmesso sui canali americani. Per quanto riguarda la responsabilità sociale, stiamo lavorando a più progetti legati ai bambini e ai giovani, che sono il futuro della società». 119


Comunicazione

Comunicazione strategica Per approdare verso i mercati internazionali, le imprese necessitano servizi linguistici che ne facilitino innanzitutto la comunicazione. L’esperienza di Areacontext nelle parole di Monica Montanari di Giulio Conti

mezzi di comunicazione crescono in numero, tecnologia ed efficacia, e la lingua continua a rappresentare lo strumento comunicativo per eccellenza, nonché la base per la maggioranza dei sistemi annessi. Per le relazioni globali, la traduzione linguistica è dunque imprescindibile. Lo sa bene Monica Montanari che dal 1998, con la fondazione di Areacontext, ha implementato un range di servizi linguistici di cui le imprese possono avvalersi per comunicare e interagire su piattaforme internazionali. «Alla base delle nostre attività vige la convinzione che un servizio di traduzione corretto e puntuale sia la carta vincente per chi ha veramente bisogno di trasferire e comunicare la propria immagine nel mondo, in maniera efficace, utilizzando la

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Monica Montanari della società Areacontext di Modena www.areacontext.com

lingua del paese di destinazione come mezzo essenziale per poter entrare professionalmente su un determinato mercato». I più grandi nomi del settore automotive come Ferrari e Maserati, o dell’industria farmaceutica e del packaging, come IMA Spa, rappresentano i principali attori del mercato odierno che hanno scelto di affidarsi ai professionisti di Areacontext. «Per queste aziende abbiamo tradotto e creato graficamente manuali tecnici e di istruzioni, informazioni tecniche e di aggiornamento prodotto, brochure illustrative, programmi di eventi e iniziative commerciali destinati alla divulgazione per la stampa e sul web – spiega la dottoressa Montanari –. Anche per le realtà imprenditoriali che ci impegnano nella traduzione di intere campagne pubblicitarie, la portata comunicativa dei servizi linguistici, ogni giorno di più, si rivela imprescindibile per la conquista di nuovi mercati». Per questo Areacontext si avvale di collaboratori professionisti e opportunamente valutati per svolgere attività di traduzione, interpretariato, localizzazione, voice over e servizi connessi, e di un pool di traduttori esterni certificati per la gestione di attività legate a ogni lingua del mondo e a innumerevoli loro combinazioni. «Revisioniamo tutti i lavori prima della consegna e lavoriamo con l’ausilio di tecnologie informatiche di ultima generazione, per garantire qualità, rapidità di consegna, consistency terminologica e di contenuti – afferma Monica Montanari –. È fondamentale che chi usufruisce del servizio di traduzione conosca i principali strumenti informatici attualmente a disposizione, comprenda le differenze fra una traduzione processata da una macchina e quelle prodotte dall’ingegno creativo dell’uomo e in questo modo si affidi a un partner professionale in grado di soddisfare le proprie esigenze di comunicazione globale. Il nostro motto? Just what you mean».



Eventi

Nuovi concept per gli spazi espositivi Il mondo delle esposizioni vive una fase di profonda trasformazione, che inevitabilmente si ripercuote sugli operatori del settore. Monica Gaggi analizza la situazione attuale, tra criticità e interessanti prospettive di sviluppo di Guido Puopolo

er un’azienda la valorizzazione della propria immagine è un elemento fondamentale, capace di conferire quel qualcosa in più oggi necessario per differenziarsi dalla concorrenza ed emergere sul mercato, a prescindere dal settore di appartenenza. Per questo in occasioni speciali, come fiere ed esposizioni, diventa indispensabile affidarsi a professionisti del settore, che sappiano individuare le soluzioni migliori per soddisfare ogni specifica esigenza: «Uno spazio espositivo non deve essere inteso come un semplice contenitore, quanto piuttosto come un luogo in cui possano risaltare l’immagine e le qualità principali di chi espone», sottolinea Monica Gaggi, amministratrice unica della A&G Srl, società di Bologna che da oltre un ventennio progetta, realizza e installa stand che raccontano e rappresentano imprese di ogni settore merceologico, non soltanto in Italia ma anche all’estero. «Oggi purtroppo le aziende, a causa delle difficoltà generate dalla crisi economica, in un’ottica di contenimento dei costi, tendono a ridurre gli investimenti in campo pubblicitario, rinunciando a partecipare a eventi e manifestazioni fieristiche». Questo naturalmente si è tradotto in un calo delle opportunità di la-

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voro anche per A&G, che ha però cercato di far fronte a questa situazione in maniera costruttiva e propositiva: «Naturalmente le aziende sono sempre più orientate a richiedere un servizio economicamente vantaggioso, rinunciando in parte alla qualità del prodotto finale. Fin dal principio - afferma la signora

Sopra, Monica Gaggi. La A&G Srl ha la sua sede a Bologna www.aegstand.com - info@aegstand.com


Monica Gaggi

LA PERSONALIZZAZIONE DEGLI AMBIENTI ESPOSITIVI, ATTRAVERSO LO STUDIO DI SOLUZIONI AD HOC, RAPPRESENTA SICURAMENTE IL FULCRO DEL NOSTRO LAVORO Gaggi – noi abbiamo invece cercato di coniugare alti standard qualitativi e costi ridotti, ottimizzando la nostra attività e riducendo all’essenziale i componenti strutturali. In questo modo i nostri partner pagano unicamente i servizi richiesti, senza alcun tipo di costo aggiuntivo. Crediamo infatti che le idee, i concetti e le immagini siano le componenti fondamentali del valore del servizio, e la bontà di questa strategia è confermata anche dal fatto che, al contrario anche di nomi prestigiosi del settore, costretti a chiudere i battenti, noi siamo ancora in pista». Elemento fondamentale nel successo di A&G è l’attenzione che viene riservata a ogni singolo progetto, come evidenzia l’amministratrice. «La personalizzazione degli ambienti espositivi rappresenta sicuramente il fulcro del nostro lavoro, un valore aggiunto che siamo in grado di offrire ai nostri partner attraverso lo studio di soluzioni ad hoc, che permettono di realizzare spazi “su misura”, per esaltare l’immagine di un’azienda e renderla così riconoscibile agli occhi dei visitatori, qualunque sia il suo settore di riferimento. Siamo dotati di una struttura flessibile, all’interno della quale opera personale giovane e dinamico, caratterizzato da una spiccata propensione al problem solving e da grande creatività». Pronea | gennaio 2012

prio la creatività, infatti, è l’arma in più che permette all’azienda bolognese di competere su un mercato in cui le aziende tedesche la fanno da padrone. «Oggi le principali fiere si svolgono proprio in Germania. I tedeschi sono sicuramente molto efficienti, ma rispetto a loro possiamo mettere in campo quello spirito creativo tipico degli italiani. Per noi è infatti motivo di grande orgoglio contribuire alla valorizzazione del “made in Italy” nel mondo, affiancando le imprese nelle loro attività promozionali, anche se ci piacerebbe che le fiere italiane tornassero a svolgere quel ruolo da protagoniste che ricoprivano fino a qualche anno fa. Perché questo accada, però, è però necessario che i quartieri fieristici rivedano le politiche e le strategie attuate in questi ultimi anni, cha alla luce dei risultati ottenuti si sono dimostrate fallimentari». Nonostante l’anno appena concluso abbia risentito della congiuntura sfavorevole, A&G guarda al futuro con rinnovato ottimismo: «Siamo pronti a mettere le nostre competenze al servizio di chiunque lo richieda», conclude Monica Gaggi. «In particolare ripongo grandi aspettative sul mondo della green economy e delle nuove tecnologie, due ambiti che non sembrano conoscere crisi e che potrebbero regalarci nuove e interessanti opportunità di business». 123


Esperienze artistiche

Laboratori creativi affinata espressione artistica e laboratorio di intuizione e creatività, il cinema ha sempre riscosso un significativo successo, tanto come intrattenimento quanto come forma d'arte. Il potenziale comunicativo di una pellicola si esprime – tuttavia – in modi molto più complessi e numerosi di quanto il grande pubblico sia in grado di immaginare; molto spesso, infatti, la gerarchia dei contributi artistici viene privata di molti dei suoi più valenti fautori, competenti per tutto ciò che riguarda la gestione dell'aspetto sonoro del film. Capace di individuare nel doppiaggio e nella post-produzione audio un vero e proprio universo di espressività e intensità, sufficiente ad appassionarla profondamente, Elisabetta Bucciarelli, grande nome del doppiaggio italiano e responsabile artistica dello studio

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Nella pagina a fianco, Elisabetta Bucciarelli, responsabile artistica dello studio Sound Art 23 di Roma www.soundart.it

Spesso ingiustamente trascurata, la fase di doppiaggio e realizzazione della colonna sonora nell'industria cinematografica è un compito di grande professionalità che richiede pregevoli doti interpretative. Ne parliamo con Elisabetta Bucciarelli di Lodovico Bevilacqua

Sound Art 23, si è ormai ritagliata uno spazio di grande autorità e considerazione nell'industria cinematografica. «Le prime sensazioni che mi sono state trasmesse dal mondo del doppiaggio sono ancora vivide e piacevoli, probabilmente anche per merito del carisma e della personalità di colui che mi ha iniziato a questa attività – Pierpaolo Pasolini. Selezionatami per doppiare l'edizione italiana di “Sweet movie”, mi ha permesso di cono-


Elisabetta Bucciarelli

scere ed amare fin da subito il mondo del doppiaggio, facendomi scoprire una vera passione per l'aspetto più artistico e creativo della lavorazione dell'audio di un film e facendomi capire quanto questo incidesse sulla qualità stessa della pellicola». La carriera di Elisabetta Bucciarelli dunque si evolve e pianta, nel suo dipanarsi, i semi per quello che sarà il futuro – quindi attuale – appagante ruolo professionale, ovvero quello di direttore artistico di uno dei più titolati studi del settore. «La mia esperienza professionale, unita alla passione per questo lavoro, mi hanno donato competenza ed entusiasmo; l'allestimento di uno studio che si avvale dell'utilizzo delle più avanzate tecnologie digitali e satellitari mi ha quindi permesso – senza dimenticare l'apporto di valenti professionisti – di istituire una prestigiosa rete di collaborazioni artistiche con numerose produzioni italiane ed estere, conquistate dalla nostra professionalità e serietà». Un merito che – come sottolinea la stessa Bucciarelli – va diviso con la figlia Marzia dal Fabbro. «Marzia ha compiuto un per-

LE PRIME SENSAZIONI TRASMESSE DAL MONDO DEL DOPPIAGGIO SONO ANCORA VIVIDE E PIACEVOLI, ANCHE PER MERITO DI COLUI CHE MI HA INIZIATO A QUESTA ATTIVITÀ – PIERPAOLO PASOLINI corso formativo efficace e completo, che le ha garantito una grande competenza e ha valorizzato la sua innata attitudine comunicativa e imprenditoriale; è infatti grazie a lei che abbiamo istituito prestigiose collaborazioni con produzioni internazionali, per le quali siamo diventati dei veri e propri punti di riferimento». Un'attività, dunque, affascinante ma poco conosciuta, e per questo spesso considerata una fase marginale della produzione cinematografica. «Il doppiaggio e la realizzazione della colonna sonora di un film – ivi compresi i cosiddetti “rumori” – occupano un ruolo fondamentale e ricoprono una grande responsabilità nella qualità finale del prodotto». In questo lavoro, aspetto artistico e tecnologico si fondono e l'uno sostiene e valorizza l'altro. «E dunque – prosegue Bucciarelli –, in Sound Art 23, abbiamo sentito l'esigenza di affrontare anche la questione dell'innea | gennaio 2012

novazione tecnologica. Abbiamo cercato di comprendere il panorama globale degli studi di post-produzione la cui forza principale sta nella loro altissima specializzazione, nell'esperienza e nella conoscenza approfondita degli strumenti e dei processi di post-produzione video e audio. Ed è proprio questo bene prezioso che abbiamo deciso di sfruttare al servizio della ricerca e dell'innovazione, per elaborare strumenti che possano facilitare alcuni processi attualmente laboriosi – e quindi dispendiosi in termini di tempi e costi – e poter così permettere ai tecnici di spendere più tempo sui processi creativi della ricostruzione, ad esempio, degli effetti sonori. Proprio oggi, in tempo di crisi, siamo persuasi, più che mai, che sia doveroso appellarci alla nostra creatività e alle nostre energie per trasformare la difficoltà in opportunità». 125


Lo stile italiano

Una vera esperienza sartoriale a globalizzazione è la dimensione sempre più concreta in cui sono immerse le aziende di moda, costrette a confrontarsi con aspettative comuni, dal punto di vista degli standard di qualità, con le differenti esigenze espresse dai mercati. L’atteggiamento che ha aiutato la maison Zegna a far fronte a questo orizzonte dinamico e differenziato è stata la fedeltà ai valori di qualità e innovazione, principi trasversali e apprezzati in qualsiasi Paese e continente. Anche la creatività e l’innovazione Zegna sono vissuti come elemento multidimensionale e vengono applicati a tutti i livelli della filiera, dalla materia prima per la realizzazione di un tessuto di pregio al capo in collezione, dall’abito sartoriale su misura alla cura di ogni dettaglio d’ambiente e di servizio dei negozi. A questo va aggiunta la visione “glocal”: una profonda conoscenza del mercato da cui deriva un imponente sviluppo del segmento retail. «Abbiamo aperto store monomarca a

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Anna Zegna, presidente della Fondazione Zegna

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«L’innovazione è visione strategica». Anna Zegna, image director e presidente della Fondazione Zegna, spiega come sta cambiando l’industria della moda tra ricerca della qualità, rispetto per l’ambiente e fedeltà alla tradizione sartoriale italiana di Renata Gualtieri

gestione diretta in tutto il mondo. È questo modello di rete – sottolinea Anna Zegna, image director e presidente della Fondazione Zegna – il vero elemento vincente nella strategia delle global luxury brands». Quale attenzione c’è per l’italian style sui mercati internazionali? «L’italian style da sempre è apprezzato in tutto il mondo. A settembre, per esempio, abbiamo celebrato i vent’anni della nostra presenza in Cina e in Turchia, dove i nostri clienti stanno imparando a conoscere sempre di più la cultura italiana del prodotto di alto profilo, il nostro modo di realizzare qualcosa di unico, grazie alla straordinaria tradizione della sartoria. Gli ultimi anni hanno messo in evidenza un notevole interesse dei clienti cinesi per il look tradizionale dell’uomo d’affari e per l’abbigliamento casual d’alta gamma. L’innovazione è anche e soprattutto visione strategica. In questo caso, essere i primi a entrare in questi Paesi ci ha permesso di avviare una sorta di “educazione” al gusto per l’italianità, cui lo stile Zegna risponde ai più alti livelli in tutti i Paesi dove è presente». Cosa chiede oggi il consumatore italiano a un marchio d’eccellenza come Zegna? «Quello che il cliente chiede al nostro brand è una vera e propria esperienza sartoriale per l’aspetto estetico e l’esperienza di una qualità estrema, frutto dell’enorme lavoro che precede il prodotto finito. La nostra clientela è fortemente indirizzata all’abbigliamento su misura,


ELEMENTO CHIAVE NELLA SODDISFAZIONE DEL CLIENTE È IL TOTAL LIFESTYLE ZEGNA

che esprime il grado più alto dei presupposti di unicità e di eccellenza tipici della tradizione sartoriale italiana. Siamo riusciti inoltre ad applicare il servizio di personalizzazione anche alla maglieria in cashmere con il progetto “Personalized premium cashmere”, collezione rivolta in particolare agli estimatori della maglieria di pregio, che possono scegliere di adattare in lunghezza maglie girocollo, scollo V e mezza zip, grazie al servizio “size exstension”, adattando busto e maniche del capo rispetto alle taglie standard. La richiesta verte inoltre sull’abbigliamento casual e sui capi sportivi, dove l’innovazione tecnologica trasforma in qualche cosa di completamente nuovo le fibre naturali come la seta o i tessuti tecnici, come nylon e poliestere, per creare nuovi materiali altamente performanti. L’altro elemento chiave nella soddisfazione del cliente è il total lifestyle Zegna, la scelta di completare un guardaroba che nasce dal tessuto con collezioni di leather goods, scarpe e accessori che esprimono la medesima impronta di eleganza e la medesima cura della qualità». Quali i progetti più interessanti in cui è impegnata la Fondazione Zegna? «La fondazione ha sviluppato un ventaglio di iniziative no profit in campo ambientale, culturale, sociale e scientifico. Tra le attività di tutela ambientale c’è la collaborazione con la fondazione Care & Share, attraverso la quale la nostra fondazione provvede all’istruzione e all’assistenza di bambini e ragazzi indiani che vivono un nea | gennaio 2012

“Microsilk”, innovativo abbinamento di giacca casual e impermeabile realizzati in materiali tecnici e performanti, Ermenegildo Zegna P/E 2012

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L’INNOVAZIONE TECNOLOGICA TRASFORMA LE FIBRE COME SETA, NYLON E POLIESTERE

Trench bicolore rivestito da uno strato di resina ad altre prestazioni, Ermenegildo Zegna P/E 2012

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contesto di povertà e disagio nelle zone rurali e nei ghetti urbani. Dal 2006 sosteniamo, inoltre, il St. Jude children’s research hospital nella lotta contro la leucemia infantile e condivide da molti anni la missione del Fai, del quale sono membro del consiglio di amministrazione dal 2009, promuovendo una cultura di rispetto della natura, dell’arte, della storia e delle tradizioni d’Italia. In campo ambientale internazionale, abbiamo scelto di collaborare dal 2004 con Wwf China nella zona delle montagne del Qinling, con il progetto “Corridoio del panda”, per promuovere l’abbinamento fra ecoturismo e conservazione, salvaguardando l’habitat del panda gigante; Quest’anno, in occasione del Natale, Zegna sosterrà Amref attraverso una donazione, alla quale tutti potranno contribuire, per fronteggiare l’emergenza umanitaria dovuta alla siccità che si è abbattuta sul Corno d’Africa; l’obiettivo è la realizzazione di nuovi punti di approvvigionamento idrico». Come la moda può essere sostenibile? «La ricerca della qualità, il rispetto per l’ambiente e per le persone sono capisaldi che Zegna si è sempre impegnata a rispettare anche nel fare “moda”. Nell’area prodotto, in questi anni, abbiamo realizzato Ecotene, attraverso un approccio applicato a quei materiali tecnici dove il valore aggiunto dato all’uomo e legato alla funzionalità si sposa con il rispetto dell’ambiente. Questo capo “intelligente” è realizzato da tessuto in poliestere ad alte prestazioni, ricavato al 100% riciclando materiale rigenerato, che viene utilizzato per strato esterno, fodere, nastratura delle cuciture e membrana interna. La ricerca ci ha inoltre consentito di realizzare tessuti le cui funzionalità s’ispirano alla natura, come Elements. Si tratta di un capo d’abbigliamento innovativo, che si adatta alle temperature esterne in maniera autonoma ispirandosi alla natura e al lavoro della pigna, di cui riproduce la flessibilità e la reattività alla temperatura, grazie alla reazione della fibra che si dilata o si richiude. E infine Oasi cashmere, un tipo di lavorazione e di tintura dei tessuti completamente naturale, senza uso di prodotti chimici. Tutti questi prodotti e best practicies sono figli della stessa visione e del medesimo amore per la natura e per l’ambiente».



Lo stile italiano

Cashmere tricolore in passerella Dalla prima sfilata a Pechino nel 1988, al Grande teatro del Cremlino nel 1995, agli ultimi defilé, con la bandiera italiana come protagonista. Lavinia Biagiotti Cigna, vicepresidente di Biagiotti Group, racconta una storia fatta di moda e arte di Renata Gualtieri

Lavinia Biagiotti Cigna, dal 2005 è vicepresidente e responsabile del settore Licenze e della comunicazione di Biagiotti Group

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Lavinia Biagiotti Cigna

ell’anno delle celebrazioni per l’Unità d’Italia i grandi marchi della moda riflettono sull’importanza del made in Italy nel mondo. «È un valore molto importante che mi è stato insegnato sin da quando ero bambina – sottolinea Lavinia Biagiotti Cigna –. Siamo stati i primi a portare in passerella i grandi campioni dello sport, dopo le Olimpiadi di Sidney 2000, dopo che il presidente Ciampi aveva richiamato l’attenzione del nostro Paese sulla bandiera italiana». Da allora l’azienda si è sentita in dovere di puntare sull’eccellenza italiana attraverso i suoi prodotti. Quest’anno sono diventate un must le sciarpe di cashmere tricolore, indossate da Laura e Lavinia Biagiotti nel finale della sfilata della collezione di febbraio, interamente dedicata all’Unità d’Italia. Chanel diceva: «Se non sono forte in Francia non posso esserlo in nessun altro posto». Qual è la forza della maison in Italia e quale la prossima sfida per il futuro dell’azienda? «Avere successo in Italia è per noi sicuramente una grande soddisfazione. Il profumo Roma, dedicato alla Capitale, è il simbolo della nostra italianità. In questo 2011, anno delle celebrazioni dell’Unità d’Italia, abbiamo anche rilanciato un nostro grande cult: il profumo Venezia. In un momento in cui il mercato italiano sta soffrendo bisogna continuare a investire proprio in Italia. Oggi ottiene buoni risultati di fatturato chi lavora molto bene all’estero, in particolare in Cina e in Russia. Si tende a disinvestire in Italia ma questo non ci trova d’accordo, anzi cerchiamo di offrire sempre emozione, sogno e qualità, ma anche con un’attenzione maniacale ai costi e di conseguenza ai prezzi». Diversi anni fa la maison Biagiotti è stata tra le prime case di moda a sfilare in Cina. Cosa è cambiato da allora? Dopo la prima sfilata a Pechino, quali i mercati a esteri a cui prestate più attenzione? «Quando mia madre andò lì nel 1988, il marchio Biagiotti era visto come l’impero del lusso, adesso le parti si sono quasi invertite. Dunque è abbastanza sconvolgente quello che è successo in soli venti anni. Andarci allora è stato davvero pioneristico e un po’ folle ma ci ha permesso di aprire un mercato che rimane per noi un riferimento molto importante. La Cina dunque e la Russia, che è un altro dei mercati in cui noi siamo stati i primi

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ad andare a sfilare con la moda italiana nel 1995. La Cina rimane un mercato più difficile, mentre la Russia è uno dei mercati più forti per il Gruppo e poi grande importanza all’Europa». Quale il contributo che può venire dalla Camera della moda? «Io ho avuto l’opportunità e l’onore di essere stata la più giovane consigliera mai eletta, all’età di 24 anni, e questo rafforza il mio senso di appartenenza al made in Italy. Mio papà è stato per tantissimi anni vicepresidente della Camera della moda e, alla sua scomparsa, è diventata vicepresidente mia madre, quindi la storia della mia famiglia è legata inevitabilmente a questo ente. Oggi il presidente Boselli sta facendo un lavoro davvero straordinario, in un momento molto difficile, e i soci e le griffe stanno rispondendo bene. La Camera ha contribuito a svegliare lo spirito di squadra degli stilisti italiani che solitamente sono molto individualisti come tutti i creativi». Tecnologia e moda e arte e moda sono binomi fortunati? «Sono tre mondi che possono lavorare molto bene insieme. Arte e moda è un binomio importantissimo per la nostra azienda e per tutto il made in Italy. Nelle nostre collezioni c’è sempre un’ispirazione d’arte, dalla forma del profumo Roma, che ricorda una colonna romana, ai riferimenti futuristici di Giacomo Balla del quale possediamo, attraverso la Fondazione Biagiotti Cigna, oltre 200 opere. Trovo importantissima, ad esempio, l’operazione che Della Valle sta facendo con il Colosseo, perché ciò vuol dire che la moda può sostenere l’arte in maniera concreta. Noi abbiamo fatto tanti restauri, anche con il contributo dei nostri profumi, tra cui quello della Scala Cordonata di Michelangelo in Campidoglio nel 1999». Cosa ha imparato da sua madre e qual è l’importanza dei giovani in azienda? «È fondamentale puntare sulla formula junior più senior, è la forza dell’Italia. Mia madre, a prescindere dal mio ingresso in azienda, ha sempre amato contornarsi di giovani. L’ideale è un’osmosi tra i due elementi: uno assicura qualità e continuità e l’altro freschezza e idee e questo è il modo migliore di lavorare con umiltà e pazienza. E auguro ai giovani una sete disperata di imparare, a qualsiasi costo». 131


Lo stile italiano

Gioielli innovativi Le sue creazioni sono un inno alla vita, nate perchè una donna si crei un’immagine e racconti una parte di sé. Claudia Piaserico spiega cosa vuol dire oggi reinventare un gioiello di Renata Gualtieri

a XXIII edizione del premio Bellisario è stata dedicata a “Donne, innovazione e capitale umano”, con uno sguardo particolare al mondo dei giovani talenti. «È il nostro grido di speranza e fiducia – ha spiegato la presidente della Fondazione, Lella Golfo, il nostro contributo di meritocrazia e il “filo rosso” che può trasformare l’anniversario dei 150 anni dell’Unità d’Italia in una straordinaria occasione per riflettere, per ritrovare unità di obiettivi e azioni, per stringere un nuovo patto tra generazioni». L’edizione 2011 ha visto, tra le giovani artefici dell’eccellenza italiana nel mondo, la vicentina Claudia Piaserico, designer di Misis, nota azienda vicentina di gioielli in argento. «Il mio estro è un impulso che parte da dentro – racconta la designer – nasce spontaneo da improvvise intuizioni, prendendo forma grazie alla collaborazione di tanti collaboratori. Un’organizzazione fatta di persone motivate, competenti, che ogni giorno contribuisce con me a far crescere quello in cui crediamo». Avvocato di formazione ma creativa di professione, Claudia Piaserico rappresenta ciò che il premio vuole identificare: «una donna motivata, capace, dinamica, in grado di prendere in mano un’azienda e capovolgerla secondo il proprio sentito». Come ha accolto il premio e in cosa le sue creazioni sono veramente innovative? «È stata una sorpresa perché è un premio importante

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Claudia Piaserico, designer di Misis;

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Claudia Piaserico

I CLIENTI RICONOSCONO LE MIE CREAZIONI NELL’ANIMA CHE TRASMETTE UN MODO DI VIVERE

per una donna italiana e non credevo di esserne all’altezza, quindi l’ho ricevuto provando grande soddisfazione e anche una punta d’orgoglio. Il mio concetto d’innovazione è legato alla capacità di trasferire le attitudini e le passioni mie e della mia famiglia nei gioielli che realizzo. Gran parte delle collezioni, ad esempio, è dedicata al mare perché in famiglia siamo tutti appassionati di immersioni subacquee e Misis è il nome di un gambero. Il mio obiettivo è quello di plasmare in un oggetto una passione. Uno dei complimenti più belli che mi hanno rivolto, durante le fiere, è stato il fatto che vedendo i gioielli si riconosceva la mia persona. Mi piace definire le mie creazioni come un inno alla vita, nate perchè una donna sappia costruirsi una propria immagine e racconti una parte di sé». City hall invece è legata al tema del viaggio, altra passione della sua famiglia. «Sì, ripercorre gli skyline delle principali città del nea | gennaio 2012

mondo, accompagnato da un piccolo aeroplanino di pavet di zircone, che dà l’idea del viaggio da una città all’altra. In quei gioielli ci sono l’evasione e il sogno: sono, insomma, piccole città da indossare». A chi sono dedicate le creazioni Misis? «Il target è molto ampio, va dai 15-18 anni per arrivare fino ai 60; sotto il profilo della personalità si rivolgono a donne forti, con carattere, che creano il proprio look a prescindere dai brand. Donne che hanno il gusto della personalizzazione e vogliono essere creative». La crescita dell’azienda porta a un confronto con marchi di alto livello. Su quale terreno si gioca oggi la sfida imprenditoriale? «Ricordandomi un complimento che mi viene rivolto dai miei clienti, posso dire che le mie creazioni hanno un’anima che trasmette un modo di vivere. Il prezzo poi passa in secondo piano perché ci rivol-

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Dall’idea alla forma

Lella Golfo consegna a Claudia Piaserico la Mela d’Oro 2011

giamo a un target alto di mercato, che in questo momento non soffre la crisi. Quello che rende differenti i miei gioielli è il fatto che sono indissolubilmente legati a uno stile di vita. L’attenzione dunque non è solo rivolta alla lavorazione, pur garantendo fedeltà alla manifattura migliore e alla ricerca di tecnologie che mantengano alta la resistenza del prodotto e la sua validità. La vera differenza con le creazioni degli altri designer è lo spirito particolare che hanno implicito in sé». Che ruolo gioca l’innovazione nella creazione del marchio Boclamien, nato dall’unione di due celebri famiglie di orafi vicentini? «Questo marchio è nato perché le clienti affezionate al marchio Misis mi hanno chiesto di creare anche un gioiello in oro. Io, che provenivo dall’argento, non avevo alcun know-how in materia di oreficeria e gioielleria, quindi ho chiesto aiuto a Roberto, Michele e Enrico Bovo, eredi della Fratelli Bovo, una ditta specializzata in produzione orafa piuttosto classica. Ma la nostra è una storia di amicizia prima che di busi134

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ness, abbiamo unito le forze di due aziende sfruttando la creatività di Misis e la competenza tecnologica di Bovo. È un’azienda particolarmente concentrata sullo studio e lo sviluppo dell’innovazione tecnologica. L’innovazione gioca un ruolo determinante nel nuovo progetto: il marchio è riconoscibile, ha un’anima Misis, ma sotto il profilo della manifattura viene realizzato con tecniche certamente all’avanguardia per il nostro settore». Quali saranno le tendenze del mercato orafo per il futuro? «Il mercato si svilupperà tenendo presente due realtà completamente diverse; da un lato continuerà a esserci la gioielleria classica, che rappresenta stabilità e solidità, e dall’altro rimarrà fondamentale la ricerca di qualcosa che sia particolare e innovativo dal punto di vista della manifattura e sotto il profilo estetico. È difficile prevedere cosa andrà di moda, ma vincerà sempre la particolarità del gusto estetico e la capacità di stimolare la donna ad acquistare qualcosa che, una volta indossato, le dia un valore aggiunto».



Moda

Il cashmere più raffinato La fibra più nobile e soffice si combina con lo stile della maglieria italiana. Ed è un successo globale. L’esperienza della signora Lia Gambetta, una delle prime imprenditrici a credere nella lana di cashmere di Luca Cavera

na volta provato il cashmere, sarà impossibile indossare qualsiasi altra lana. È stata questa l’osservazione che ha spinto Luigia Gambetta, imprenditrice nel settore della maglieria per uomo e donna, ad abbandonare gli altri tipi di lana e abbracciare il cashmere, realizzando in oltre cinquant’anni di attività, stagioni e stagioni di capi di alta qualità, da abbinare ad accessori ricercati. «Comprai i primi tre chili di cashmere seguendo un suggerimento. Allo stesso prezzo, all’epoca, avrei potuto acquistare trenta chili di lana. Le caratteristiche di questa fibra, bella e soffice, mi colpirono subito e inizai a prendere confidenza con le tecniche per lavorarla, imparando come andava trattata e come esaltarne le caratteristiche nella confezione dei capi. A quei tempi il cashmere era ancora una lana di nicchia, ma la nostra produzione fu un successo. A conferma della nostra scelta, presto le richieste crebbero tanto da superare la nostra capacità di soddisfarle». La signora Luigia ricorda così l’ingresso dell’azienda, Liapull, nel mondo della maglieria in cashmere. L’azienda oggi esporta in tutto il mondo, proponendo i capi con marchi propri. Oltre alle caratteristiche speciali del cashmere,

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Lia Gambetta, titolare di Liapull Srl di Genova. Lia è il soprannome di Luigia, nome di battesimo della signora Gambetta. Dall’amichevole diminutivo è poi derivato il nome dell’azienda www.liapull.it

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Lia Gambetta quali sono stati i punti di forza che vi hanno permesso di raggiungere il vostro attuale posizionamento sul mercato? «Sin dalla nascita, Liapull ha cercato di interpretare i gusti e le tendenze della moda, puntando però al contempo a un target di fascia alta molto specifico. Questo ci ha permesso di esprimerci nella ricerca stilistica e nella proposta di capi di qualità, sperimentando nuove tecniche e lavorazioni, sempre con alla base però il puro cashmere e altre fibre pregiate. Certamente un punto di forza, ma anche un motivo di orgoglio, è il fatto che abbiamo sempre mantenuto il nostro intero processo produttivo in Italia, dal disegno in laboratorio alla creazione in serie, portando così all’estero il design raffinato e l’alta qualità tipici del migliore made in Italy». Quali sono i paesi esteri verso i quali esportate il vostro prodotto? «Il nostro mercato migliore, in Europa, è quello tedesco. Nonostante ciò, a livello globale, il nostro cliente più importante è in Corea del Sud. Al di là di questi due paesi, che assorbono la quota maggiore di export, i nostri marchi sono presenti in Francia, Belgio, Austria, Regno Unito, Russia, negli Stati Uniti e in Giappone. Abbiamo avuto anche dei rapporti commerciali con i Paesi Arabi, ma non hanno avuto la continuità degli altri mercati». Quali sono i vostri marchi e a chi si rivolgono? «Abbiamo una linea classica che porta lo stesso nome dell’azienda. A questa si è aggiunto Avant Toi. Questo brand è stato ideato da mio figlio, interpretando le richieste di un target più giovane rispetto a quello di Liapull e ispirandosi al mondo dell’arte. Avant Toi si divide in due linee: Avant Toi Black e Avant Toi White. La linea Black si differenzia dalla prima per uno stile più vintage ottenuto con trattamenti particolari quali spruzzature a mano, sovratinture, laminature ecc.». In questi anni, anche la vostra fascia di riferimento ha risentito della crisi? «Penso che la crisi sia stata avvertita da tutte le fasce di mercato. La nostra azienda ha vissuto un periodo difficile nel 2009. Tuttavia non abbiamo ceduto e non abbiamo messo nessuno dei nostri dipendenti in cassa integrazione – nonostante molti consulenti ci consigliassero di alleggerire i costi aziendali. Questo perché consideriamo sempre le difficoltà come delle sfide da vincere. E anche questa è stata vinta. Nel 2010 abbiamo recuperato le perdite dell’anno precenea | gennaio 2012

ANCHE SE ESPORTIAMO IN TUTTO IL MONDO, ABBIAMO SEMPRE MANTENUTO L’INTERO PROCESSO PRODUTTIVO IN ITALIA dente e nel 2011 siamo tornati a crescere». Quali sono gli investimenti che avete in programma di affrontare nel 2012? «Abbiamo già fatto recentemente degli investimenti per il rinnovo dei macchinari – portando la nostra linea produttiva all’avanguardia. Quindi i prossimi investimenti saranno orientati a potenziare la nostra partecipazione alle fiere. L’obiettivo è quello di raggiungere il mercato cinese. Noi esportiamo già in Cina, ma non direttamente, bensì attraverso vari passaggi di intermediazione commerciale. Vogliamo quindi porre le basi per avere un rapporto diretto con quella realtà ed esservi presenti in prima persona». 137


Moda

Tra identità e stile Uno spaccato di stile e gusto nel cuore di Lovere. Giovanna Laura Bendotti descrive Spinnaker, una realtà che ha saputo reinventarsi, mettendosi sempre in discussione di Nicoletta Bucciarelli

inizio del 2012 ha fatto registrare un trend negativo degli acquisti, confermando le previsioni. Codacons ha calcolato un calo medio delle vendite di circa il 25% rispetto alle precedenti stagioni di sconti. «Anche l'afflusso di gente - ha spiegato l'associazione dei consumatori - ha subìto un calo del 35%». In questo scenario in cui i negozi di abbigliamento sono stati tra le realtà più colpite dalla crisi è di vitale importanza scommettere su se stessi. «Spinnaker possiede sia il comparto donna che quello uomo, oltre agli accessori. A novembre inoltre, abbiamo deciso di effettuare una riorganizzazione della nostra attività per cercare di “attaccare” nel vivo questa crisi che sta toccando tutti i settori. Abbiamo infatti definito l’acquisto dello spazio della gioielleria di fianco al nostro punto vendita donna per allargare ancora di più l’area a disposizione e permettere al negozio di accessori donna, che era lontano, di venir conglobato entro maggio-giugno. Fa parte del mio carattere mettermi in discussione ogni volta e, forse, è per questo che siamo riusciti ad andare avanti, affrontando i costi e reinvestendo nelle nostre attività». Giovanna Laura Bendotti, proprietaria del negozio Spinnaker di Lovere, introduce la sua realtà attraverso la ricetta adottata per attaccare nel vivo la crisi. Per quanto riguarda la clientela che si rivolge al negozio questa, ha subìto una variazione consistente nel corso degli ultimi anni. «Qualche anno fa, quando l’economia andava bene», precisa Giovanna Laura Bendotti, «avevamo un pacchetto sostanzioso di clienti, ma ovviamente con la chiusura di molte aziende nei dintorni parte di questi ha evidente-

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mente diminuito il budget destinato all’abbigliamento. Non c’è modo di sopperire, per questo stiamo contenendo gli acquisti ed è per il medesimo motivo che ho voluto unire i due negozi. Nel reparto donna lavoro molto con mia figlia Cristina, il mio braccio destro, mentre il negozio uomo è gestito da mio figlio Antonio. Abbiamo lo stesso gusto, le stesse idee e un carattere che ci accomuna. Impostare gli acquisti sul nostro buon senso e il nostro gusto è stata una conseguenza naturale. Ritengo che il modo per andare avanti sia quello di darsi un’identità ben precisa, non seguendo le mode. Tra i lati positivi di


Giovanna Laura Bendotti Spinnaker si trova a Lovere (BG) www.spinnakerlovere.it

questa crisi forse ci sarà una presa di coscienza delle persone che condurrà a vestirsi sempre con una maggiore identità». Per quanto riguarda lo stile che caratterizza i negozi Spinnaker, questi sono connotati da un gusto ben preciso.«All’interno degli spazi è possibile acquistare un po’ di tutto, dagli accessori, come accennato, ad ogni tipo di capo. Potendo sempre contare su una ga-

Nel frattempo, se gli acquisti hanno fatto registrare già ad inizio 2012 un andamento negativo, a dispetto del quadro congiunturale le previsioni del centro studi Smi (Sistema moda Italia, la federazione del tessile-moda) indicano segnali di tenuta del trend 2011 e di crescita per il 2012. «Ci auguriamo che la situazione migliori rispetto all’anno passato, in cui abbiamo potuto osservare un vistoso calo delle ven-

RITENGO CHE IL MODO PER ANDARE AVANTI SIA QUELLO DI DARSI UN’IDENTITÀ BEN PRECISA, NON SEGUENDO LE MODE

dite, soprattutto nel periodo natalizio, che di solito rappresentava ossigeno per la nostra economia. Fortunatamente siamo sempre riemersi dalle difficoltà ma per far questo è necessario investire in nuove attività così come intendiamo fare attraverso l’allargamento del negozio, una prospettiva importante e stimolante per il periodo primavera-estate. Inoltre è indispensabile fare affidamento su se stessi e allo stesso tempo poter contare sugli altri come io ho fatto con i miei figli. Sono partita da sola, ma voglio trasmettere loro tutta la mia esperienza, producendo così una continuità».

ranzia di fondo che passa attraverso la qualità delle marche. Marche in cui io per prima mi riconosco. I principali brands proposti sono: Givenchy, Celine, Lanvin, Fendi, Miu Miu, Missoni, Emilio Pucci, Claudia Schiffer, Moncler, Fay, Sartorio, Lardini, Cruciani, Finamore, Tod’s, Hogan, Prada». nea | gennaio 2012

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Mediazione

Il processo non è più sufficiente Parla la numero uno dei mediatori italiani, Lorenza Morello, la quale lancia un appello affinché in Italia, per tornare a crescere, si possa finalmente contare su una giustizia più flessibile di Andrea Moscariello

TRE GRADI DI GIUDIZIO PER OGNI CONTROVERSIA, INDIPENDENTEMENTE DALLA SUA NATURA E DAL SUO VALORE, SONO UN LUSSO CHE NON POSSIAMO PIÙ PERMETTERCI

Lorenza Morello, Presidente nazionale APM e socio fondatore e consigliere di FormaMed Srl. Sopra, la Morello durante un convegno tenutosi all’ultimo Salone della Giustizia di Roma www.formamed.it

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a Giustizia è un fattore d’impulso per l’economia e, pertanto, può contribuire a far uscire il Paese dalla crisi». Così Lorenza Morello, presidente nazionale dell’Associazione Avvocati per la Mediazione (APM), ribadisce il ruolo decisivo che l’apparato giuridico avrà nel rilanciare il sistema Paese. E lo fa con un ruolo di rappresentanza che non le ha evitato polemiche, essendo ormai quello della mediazione uno dei temi più discussi, nel bene e nel male, dal gotha della giustizia italiana. Il punto, quello spinoso, resta lo stragiudiziale. «L’Italia non può affidarsi soltanto allo strumento processuale». Non è più sufficiente? «È uno strumento non sempre risolutivo, basti considerare il fatto che il codice di procedura civile ha conosciuto quasi una decina di riforme in poco più di quindici anni, senza che la durata dei processi sia per nulla diminuita. Tuttavia, come ha recentemente sostenuto Michele Vietti, qualcosa si può fare. Sono per ridurre la rigidità delle regole processuali secondo una logica assiomatica. A maggiore complessità della causa corrisponde maggiore garanzia procedurale, a minore difficoltà maggiore elasticità delle forme processuali. Un intervento prima di altri: tre gradi di giudizio per ogni controversia, indipendentemente dalla sua natura e dal suo valore, sono un lusso che non possiamo più permetterci». Il Governo Monti sta mettendo mano alla questione Giustizia. «Il Consiglio dei ministri del 16 Dicembre ha varato alcune misure in tema di giustizia. Accanto a innovazioni alla normativa penitenziaria e a quella del rito penale. Per il momento tutte azioni positive. Per ciò che concerne il nostro ambito di intervento, proprio il neo ministro Paola Severino ha già dimostrato di credere nella

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Lorenza Morello mediazione, e anche il TAR Lazio ci ha dato ragione, rigettando le tesi dell'avvocatura ostile alla riforma». Su quali aspetti, in futuro, possiamo attenderci una maggiore presenza dei mediatori? «Sicuramente su tutte quelle domande di giustizia che necessitano di iter risolutivi più rapidi, per non bloccare il Paese e la società. Penso, quindi, tanto alla contrattualistica quanto ai rapporti di vicinato, alla liquidazione dei danni ma anche ai rapporti personali e alle liti di famiglia. Anche per questo nel corso del 2012 la nostra associazione intende creare un corpo di mediatori ancora più forte e all’avanguardia, proseguendo nel suo percorso di “educazione civica” alla mediazione». Nel 2012, secondo lei, cosa dovrà combattere? «La priorità è ridurre drasticamente il flusso di controversie in entrata, che rallenta in maniera intollerabile la risposta alla domanda di giustizia. Per farlo occorre proseguire nella promozione di forme di tutela che non si risolvano nella lettura “tribunale-centrica” dell'articolo 24 della Costituzione, nell'illusione che il ricorso al giudice sia la panacea di ogni male. Un’illusione abbastanza pertinace, almeno a leggere la assai complessa disciplina sull’insolvenza del debitore civile che pure compare in altra parte dello stesso decreto. I percorsi alternativi al processo, quindi mediazione obbligatoria, tentativo di conciliazione e arbitrato, vanno seriamente incentivati». A seguito delle nomine ai dicasteri del Governo Monti, sui media si è evidenziata l’importante presenza femminile all’interno dei ministeri più importanti. Perché, secondo lei, in Italia fa ancora scalpore l’affermarsi della “donna tecnica”? «Quella italiana è una realtà che, più di altre, fatica a liberarsi di quella visione dualistica secondo cui una donna deve scegliere tra professione e famiglia. Tutto questo, poi, si riscontra nuovamente all’interno del tipo di professione da scegliere. Quella, ovvero, che privilegia l’uso della mente rispetto all’ostentazione del corpo. Si fa ancora molto fatica a contemplare, e la scelta del verbo non è casuale, che un bell’involucro possa avere anche un grande contenuto e che questo possa essere ritenuto più importante. Non dobbiamo però cadere nel giogo del femminismo che, con tutte le battaglie che ha sostenuto anche in questo paese, credo debba ritenersi ormai anacronistico. La vera “vittoria” per le donne sarà quando in nessun ambiente lavorativo ci si porrà più il falso problema del genere sessuale». 143


Mediazione

Ossigeno per l’economia Favorire il funzionamento del mercato interno di un paese. Questo è lo scopo con cui le direttive europee hanno promosso la mediazione civile. L’analisi dell’avvocato Mirella Cristina di Marco Tedeschi

L’avvocato Mirella Cristina ha lo studio professionale a Verbania avvmirellacristina@libero.it - www.mirellacristina.com

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Mirella Cristina

l Ministro della Giustizia Paola Severino è intervenuta di recente in tema di giustizia civile, dichiarando di essere già al lavoro sulla velocizzazione del processo civile. A questo proposito, dichiara, sarà molto importante puntare sulla mediazione civile: «Mi aspetto molto dall’estensione, entro marzo, della mediazione obbligatoria ai contenziosi più corposi». La mediazione civile, obbligatoria in Italia da marzo 2011 ha rappresentato una svolta significativa per il nostro paese. «È per certo espressione della più recente evoluzione normativa». Afferma l’avvocato Mirella Cristina di Verbania. «L’obiettivo perseguito dal Legislatore con l’introduzione della mediazione è quello di ridurre il contenzioso giudiziario, e diffondere la cultura del ricorso a soluzioni alternative in modo da dirimere le controversie. La stessa direttiva europea del maggio 2008 ritiene che la mediazione possa contribuire a favorire il miglior funzionamento del mercato interno di un paese». Si ravvisano precedenti di mediazione/conciliazione prima dell’introduzione del Decreto Legislativo 4 marzo 2010, n. 28? «Nel 1978 il legislatore ha fatto emergere un’esperienza di conciliazione come condizione dell’azione in relazione alle controversie locatizie sull’equo canone, nel 1982 nelle controversie agrarie e, nel 1998, come procedibilità dell’azione, nelle controversie di lavoro. Occorre comunque distinguere tra la conciliazione giudiziale e quella stragiudiziale. L’ordinamento in precedenza conosceva solo l’esperienza di una conciliazione facoltativa ma all’interno della giurisdizione, attraverso una normativa che oggi è tutta riassunta e contenuta nell’art. 185 del nostro codice di procedura civile per il rito ordinario». La polemica sorta di contrasto alla mediazione ha visto anche il suo coinvolgimento? «No, anzi, ho subito partecipato ad uno dei primi corsi organizzati dall’Istituto Lodo Arbitrale di Roma accreditato al Ministero della Giustizia per la formazione di mediatore civile/conciliatore societario professionista; ottenuto il titolo, unitamente ad un paio di altri miei Colleghi di corso abbiamo fondato una società di Mediazione la “Concilio S.r.l.” accreditata al Ministero di Giustizia con il n° 264».

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Cosa pensa della Legge di Stabilità? «Le norme rilevanti di questa legge del 12 novembre 2011 interessano tre settori fondamentali: lo smaltimento del contenzioso arretrato, le spese di giustizia e le comunicazioni riguardanti i procedimenti. Questa legge contiene un’ennesima modifica in materia di contributo unificato, ovvero al costo che il cittadino deve sopportare per adire gli organi giudicanti, costo purtroppo sempre più elevato. Il contributo economico necessario per cominciare una causa è aumentato infatti della metà per i giudizi di impugnazione ed è addirittura raddoppiato per i processi innanzi alla Corte di Cassazione. Non solo. La predetta disciplina è modificata per il caso in cui la parte modifichi in corso di

L’OBIETTIVO PERSEGUITO DAL LEGISLATORE CON L’INTRODUZIONE DELLA MEDIAZIONE È QUELLO DI RIDURRE IL CONTENZIOSO GIUDIZIARIO giudizio la propria domanda, proponga domanda riconvenzionale, chiami in causa un terzo o svolga intervento autonomo nel processo». Lei svolge anche il ruolo di Consigliere di Parità della Provincia del Verbano Cusio Ossola, chi si rivolge al Consigliere di Parità e per quali necessità? «La figura della Consigliera di Parità è stata introdotta nel nostro ordinamento nel lontano 1986, ma solamente in tempi recenti, tramite il Dlgs 196/2000, è stata dotata dei necessari strumenti operativi per svolgere una funzione significativa nei confronti del lavoro femminile. Si tratta di una figura dotata di numerose potenzialità di intervento, sia in ambito istituzionale che individuale. Questa figura istituzionale è chiamata da un lato a svolgere attività di promozione dell’occupazione femminile, incentivando l’adozione di azioni positive, dall’altro ha il compito di contrastare ed eliminare ogni discriminazione sessuale nel lavoro, tutelando e sostenendo le lavoratrici oggetto di discriminazione. Si sappia comunque che al Consigliere di parità si rivolgono anche gli uomini che subiscono discriminazioni». 145


Evasione fiscale

Il punto sul contenzioso Le prospettive future per il sistema della giustizia tributaria non sono favorevoli. «Destinare al suo rafforzamento le risorse derivanti dall’introduzione del contributo unificato» è una delle proposte di Daniela Gobbi di Michela Evangelisti

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econdo l’ultima relazione di monitoraggio sullo stato del contenzioso tributario e sull’attività delle relative commissioni, nel 2010 il numero totale di ricorsi presentati, considerando entrambi i gradi di giudizio, è rimasto sostanzialmente invariato rispetto al 2009; nel dettaglio, però, risulta diminuito presso le commissioni provinciali e aumentato presso quelle regionali. «Questa inversa tendenza, che vede un aumento dell’11% circa degli appelli, potrebbe rappresentare il sintomo di un’accresciuta attenzione dei contribuenti alla definizione a proprio favore del contenzioso e alla salvaguardia dei propri interessi – commenta Daniela Gobbi, al vertice del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria –. La crisi economica, già presente nel 2010, ha certamente avuto il suo effetto nello stimolare i ricorrenti a non prestare acquiescenza al giudizio di primo grado, tentando di sovvertirlo nel grado successivo».

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Daniela Gobbi

IL PREVALERE DELLE RAGIONI DEI CONTRIBUENTI RISPETTO A QUELLE DEGLI UFFICI FINANZIARI È UNA TENDENZA CONFERMATA DA ALMENO UN TRIENNIO Il sistema di giustizia tributaria potrebbe essere ulteriormente snellito e velocizzato? «La giustizia resa dalle commissioni tributarie è senza dubbio la più veloce del nostro sistema giudiziario. I tempi di deposito delle sentenze dalla data di presentazione del ricorso sono circa 2 mesi dalla discussione in udienza. Un tempo record. Le prospettive sono meno favorevoli. Per azzerare l’arretrato, presente perché in generale gli organici sono insufficienti, il Consiglio di presidenza ha disposto il ripristino delle 4 udienze mensili per collegio. A breve entreranno a far parte del corpo giudicante 960 nuovi giudici tributari, tutti provenienti dalla magistratura ordinaria, amministrativa, contabile e militare. Astrattamente si può ritenere che la presenza di nuovi giudici accelererà il processo di smaltimento dell’arretrato». E invece? «Da alcune parti è stato evidenziato il timore che, trattandosi di ingressi riservati ai soli magistrati di carriera, la maggior parte dei quali già ampiamente oberati dal carico di lavoro presente nelle amministrazioni di rispettiva provenienza, il problema dell’arretrato potrebbe non trovare soluzione, anzi, essere destinato ad aumentare. Il Consiglio di presidenza potrebbe ovviare ai problemi di avvio e riorganizzazione del sistema giudiziario monitorando le singole situazioni delle commissioni tributarie, ma i recenti tagli di bilancio, che hanno ridotto la dotazione finanziaria di circa il 45% rispetto a quella riconosciuta nel 2007, ha di fatto impedito che proseguisse nella ricerca di soluzioni specifiche e di pronta applicazione». Le recenti manovre hanno introdotto numerose novità anche in materia di processo tributario. «In primo luogo si rileva l’introduzione dell’accertamento esecutivo, i cui effetti possono essere temperati solo da una pronuncia di sospensione cautelare del provvedimento in sede giudiziale. Diversamente, il contribuente prima dovrà pagare e poi, se ha presentato ricorso, sperare in una sentenza favorevole. Vi è comunque da osservare che l’introduzione del contributo unificato, in un primo tempo pensato per reperire nuove nea | gennaio 2012

risorse da destinare alla giustizia tributaria e al miglioramento complessivo del sistema, di fatto si sta traducendo in un’entrata certa per lo Stato, la cui destinazione non è ancora stata definita. Se le risorse non saranno devolute in massima parte al miglioramento della giustizia tributaria, si potrà affermare che il contribuente sarà stato penalizzato due volte. In primo luogo perché per difendersi dal pagamento di un tributo che reputa ingiusto o illegittimamente preteso dovrà versare un ulteriore tributo, in secondo luogo perché, anche se dovesse risultare vincitore, comunque avrà versato un’imposta per la quale non è previsto il rimborso». Come ovviare dunque al problema? «Destinando le risorse agli organi che operano a favore della giustizia tributaria, alla formazione e all’aggiornamento dei giudici, al potenziamento delle strutture e al loro ammodernamento, ai giudici tributari stessi, riconoscendo loro un compenso idoneo alla funzione che svolgono, in modo tale che l’intero sistema ne tragga un miglioramento in termini di efficienza e produttività: così i vantaggi avrebbero un ritorno concreto sul contribuente». Per chiudere più facilmente le liti minori pendenti è stato definito un mini condono riguardante le cause tributarie di valore inferiore ai 20 mila euro. Servirà ad alleggerire il lavoro delle commissioni? «Alla data di entrata in vigore della norma che permette la definizione dei ricorsi presentati contro l’Agenzia delle Entrate e di importo inferiore a 20.000 euro il numero di essi è stato stimato in circa 290.000 sui 624.000 pendenti. In termini percentuali rappresenterebbero quindi circa il 46% del totale arretrato e, ovviamente, il loro smaltimento con tale procedura semplificata alleggerirebbe non poco il numero di quelli che i giudici tributari sono chiamati a decidere; tuttavia il vero dato significativo sarà quello del numero di coloro che decideranno di utilizzare lo strumento della definizione extragiudiziale. Solo allora potrà esserne valutato l’impatto sul lavoro ordinario delle commissioni». 147


Evasione fiscale

Strumenti sempre più efficaci L’Agenzia delle Entrate si aspetta quest’anno un ulteriore balzo in avanti nel recupero dell’evasione. «L’analisi del rischio per tipologia di contribuente – spiega il direttore aggiunto Accertamento Cinzia Romagnolo – è uno dei cardini dell’attività di controllo» di Michela Evangelisti

ndici miliardi di euro già recuperati e tredici da scovare nel corso del 2012. É questa la tabella di marcia tracciata da Cinzia Romagnolo, direttore aggiunto Accertamento dell’Agenzia delle Entrate. Nel corso del 2010 l’attività di recupero dell’evasione si è rafforzata rispetto agli esercizi precedenti; sono state recuperate entrate per circa 10,5 miliardi di euro, con un +16% rispetto ai 9,1 miliardi di euro del 2009. Un notevole balzo in avanti rispetto ai 3,7 miliardi recuperati nel 2001, anno di nascita dell’Agenzia, e ai 4,4 del 2006. La direzione centrale accertamento programma, indirizza e coordina l’azione di controllo. Come stanno evolvendo strategie e metodologie? «Le numerose misure antievasione messe in campo in questi ultimi anni rispondono a una precisa strategia: potenziare gli strumenti per intercettare le più diffuse forme di evasione e contrastarle più efficacemente, sia nella fase del controllo sia in quella del recupero effettivo del gettito pregresso. L’analisi del rischio per tipologia di contribuente (grandi contribuenti, imprese medie, imprese di piccole dimensioni e professionisti, enti non commerciali) è uno dei cardini dell’attività di controllo poiché permette di fare delle selezioni mirate». Di recente è partita la sperimentazione del nuovo “redditometro”. Come funzionerà? «Il nuovo redditometro rappresenta più uno strumento di compliance che di controllo; infatti sarà messo a disposizione dei contribuenti affinché possano misurare

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Cinzia Romagnolo, direttore aggiunto Accertamento dell’Agenzia delle Entrate

IL FISCO HA A DISPOSIZIONE UN VENTAGLIO DI STRUMENTI EFFICACI: PROBABILMENTE LA PRINCIPALE DIFFICOLTÀ CHE SI INCONTRA NEL NOSTRO PAESE È DI CARATTERE CULTURALE la coerenza tra quanto spendono e quanto dichiarano al fisco. La base di calcolo prende a riferimento cinque aree geografiche, undici tipi di nuclei familiari per cinquantacinque gruppi omogenei e oltre cento voci di spesa rappresentative di tutti gli aspetti della vita quotidiana che contribuiscono alla stima del reddito, ad esempio iscrizione a club esclusivi e palestre, gioielli. Lo strumento, in buona sostanza, punta alla “coerenza” del reddito dichiarato rispetto alla capacità di spesa, e solo in presenza di un elevato scostamento tra i due fattori fa scattare la fase del controllo». Quanto conta lo sforzo di cooperazione per combattere l’evasione fiscale e, al contempo, incrementare la fiducia dei contribuenti italiani? Quali risultati vi aspettate, in particolare, dalla collaborazione con commercialisti e Comuni? «L’Agenzia delle Entrate ha inaugurato da diversi anni una fitta collaborazione con l’Inps e la Guardia di Finanza, attraverso un sistema di scambio dati. Un ruolo centrale, poi, è riservato alla collaborazione con i Comuni, che sta dando risultati in linea con le attese sia in termini di numero di segnalazioni utili all’avvio di controlli e accertamenti, sia in termini di maggiori imposte accertate e sanzioni. Inoltre, esiste da tempo una collanea | gennaio 2012

borazione con i commercialisti, con i quali sono stati siglati diversi protocolli d’intesa a livello regionale. Dunque, ci aspettiamo di continuare su questa strada perché i risultati finora ottenuti dalla sinergia con gli altri interlocutori istituzionali sono stati utili al rafforzamento del recupero dell’evasione e alla semplificazione del rapporto con i contribuenti». Nella recente manovra finanziaria sono presenti nuove norme relative alla lotta all’evasione. Quale scenario si prospetta? «Negli ultimi anni Governo e Parlamento hanno varato numerose norme che ci hanno consentito di incrementare i risultati raggiunti nel recupero dell’evasione. Tra le misure più efficaci, il contrasto alle indebite compensazioni e alle frodi Iva, il rafforzamento delle misure cautelari, lo spesometro e il nuovo redditometro. L’ultima manovra, inoltre, permette al fisco di utilizzare i dati finanziari presenti nell’anagrafe dei conti correnti per la formazione di liste di contribuenti che presentano anomalie rispetto ai dati dichiarati. In questo modo, possiamo focalizzare in maniera estremamente precisa il rischio di evasione, migliorando ulteriormente la qualità della nostra azione di recupero».

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SECONDO STIME UFFICIALI, L’EVASIONE FISCALE SOTTRAE OGNI ANNO ALLO STATO CIRCA 120 MILIARDI DI EURO

In particolare la manovra ha introdotto alcune norme relative alle cosiddette società di comodo. Scoprirle non sempre è un compito facile: quali sono le armi a disposizione del fisco? «È in atto una stretta sulle società di comodo, cioè quelle imprese che non sono create per esercitare un’attività economica, ma solo per sfruttare i vantaggi (come la deducibilità dei costi) che derivano dall’intestare dei beni, anche di lusso, a una società. Le ultime misure prevedono un innalzamento dell’aliquota Ires sul reddito minimo delle società di comodo di 10,5 punti percentuali. Le società in perdita fiscale per 3 anni consecutivi si considerano non operative a partire dal quarto periodo d’imposta. Un’altra norma affina ulteriormente le armi del fisco su questo fronte: se il corrispettivo annuo stabilito per il godimento di beni dell’impresa da parte di soci o familiari è inferiore al valore di mercato, la differenza costituisce reddito per gli utilizzatori e i costi relativi a questi beni non sono deducibili. Infine, è diventato obbligatorio comunicare i dati relativi a questi rapporti: l’Agenzia effettuerà dunque controlli sistematici sulla posizione fiscale degli utilizzatori dei beni». Si parla addirittura di 200 miliardi l’anno, rispetto ai quali i 10,5 recuperati risultano una minima parte. È possibile fare una stima veritiera rispetto al valore dell’evasione fiscale nel nostro Paese? «Secondo stime ufficiali, l’evasione fiscale sottrae ogni anno allo Stato circa 120 miliardi di euro. Dal 2008 al 2010 l’Agenzia ne ha recuperati circa 30. Se poi consideriamo il lavoro svolto insieme a Inps e a Equitalia, nel solo 2010 abbiamo scovato complessivamente 25,4 miliardi. Questo prova che il fisco ha a disposizione un ventaglio di strumenti estremamente efficaci. Con l’ultima manovra, poi, si è chiuso il cerchio grazie a una serie di misure che vanno a potenziare in maniera straordinaria

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i mezzi a disposizione del fisco per intercettare e combattere le più diffuse forme di evasione, ma anche a scoraggiare il fenomeno “a monte”, generando tax compliance». L’evasione è dunque un problema culturale o gli strumenti legislativi per accertare e sanzionare dovrebbero essere resi più efficaci? «Probabilmente la principale difficoltà che si incontra nel nostro Paese è di carattere culturale. Per dare il proprio contributo anche su questo fronte, dal 2002 l’Agenzia porta avanti, d’intesa con il Miur, il progetto “Fisco e scuola”, per insegnare ai più giovani che pagare le tasse è un gesto di civiltà. Allo stesso scopo, la scorsa estate è stata lanciata una campagna pubblicitaria che presenta l’evasore fiscale per quello che è: un parassita della società». Oltre all’evasione c’è un modo più sottile e ambiguo di non pagare le tasse: l’elusione. È possibile quantificarla? Gli strumenti a disposizione del fisco per accertarla sono adeguati? «Proprio perché l’elusione fiscale si muove sulla sottile linea di confine di aggiramento delle norme rispetto alla diretta violazione, non ci sono stime ufficiali. Ciò posto, occorre la definizione di un quadro normativo certo in materia di elusione, come ad esempio una norma anti-elusiva di carattere generale che, codificando il principio dell’abuso del diritto elaborato dalla giurisprudenza sia italiana sia comunitaria, possa permettere di contrastare a tutto campo questo tipo di comportamenti. La lotta all’elusione, che trova fondamento nel principio costituzionale di capacità contributiva, deve garantire, nel contempo, certezza ai contribuenti e alla stessa amministrazione finanziaria, attraverso criteri uniformi di contestazione dell’abuso e adeguate garanzie procedurali».



Giustizia tributaria

Nuovi strumenti per il fisco La lotta all’evasione fiscale e le evoluzioni della Giustizia tributaria. Ambiti che dovranno obbligatoriamente passare attraverso «cambiamenti endogeni del sistema». Ne parliamo con Daniela Bruno di Marco Tedeschi

on il “Blitz di Cortina” abbiamo assistito ad un cambio di orientamento, l’inizio di una vera guerra all’evasione da parte dello Stato». La dottoressa Daniela Bruno partner dello Studio Camosci Guareschi, Piantanida & Associati, specializzata in interpretazione ed attuazione pratica della normativa fiscale, fornisce il suo parere sugli ultimi episodi legati al controllo fiscale. «Il vero risultato del “Blitz” in ogni caso è un altro. La presenza degli ottanta agenti del fisco a Cortina ha improvvisamente costretto tutti a comportamenti virtuosi: qualcuno lo faceva da sempre, altri si sono dovuti adeguare. Il Comunicato dell’Agenzia delle Entrate cita un incremento degli incassi degli operatori fra il 300-400 per cento rispetto allo stesso giorno dello scorso anno». Quali sono i maggiori punti critici della Giustizia tributaria? «Il processo tributario nasce, in origine, come contenzioso amministrativo. Solo a seguito della giurisdizionalità delle Commissioni Tributarie è stato possibile recepire alcuni dei principi cardine di ogni tipo di processo quali la ripartizione dell’onere della prova tra le parti in giudizio e l’applicazione del principio del contradditorio. Tali concetti hanno finalmente trasformato il processo tributario in un processo vero e proprio. Ma questo è stato il frutto di una lenta conquista, ancora oggi in corso di evoluzione e non sempre in grado di garantire il diritto di difesa al contribuente».

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IL “BLITZ DI CORTINA” È IN PIENA LINEA CON TUTTI I NUOVI STRUMENTI DI ACCERTAMENTO FISCALE CHE L’AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA STA METTENDO IN ATTO


Daniela Bruno

Quali operazioni andrebbero attuate per migliorare il sistema? «È auspicabile che il legislatore riformi totalmente la giustizia tributaria prevedendo la dipendenza dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e non più dal Ministero dell’Economia, che è una delle parti in causa; la parità assoluta tra le parti, senza limitazioni nella fase istruttoria, con la possibilità di citare testimoni e fare giuramenti; il diritto a chiedere sospensive e conciliazioni anche in grado di Appello e di Cassazione. Di conseguenza, tenuto conto che il processo tributario diventa un “vero” processo, come quello civile, penale ed amministrativo, si rende necessario reclutare giudici tributari a tempo pieno, con competenza qualificata, pagati dignitosamente, e senza alcun collegamento funzionale con il Ministero dell’Economia e delle Finanze. Il risultato sarebbe il pieno rispetto del diritto di difesa del contribuente grazie a una giustizia tributaria in grado di risolvere le controversie fiscali». Qual è secondo il suo punto di vista la causa che sta dietro a tante evasioni fiscali in Italia? «L’Italia si trova oggi più che mai a confrontarsi con uno smisurato debito pubblico e un’economia sommersa che non ha eguali con i Paesi industrializzati con i quali usiamo e dobbiamo confrontarci. Quale sia la causa o le cause di ciò è difficile dirsi. Penso la mancanza di spirito civico e la poca oculatezza nel capire che “navighiamo” tutti sulla stessa nave la quale, se affonda, ci trascinerà tutti. Per contrastare l’evasione serve dunque a mio parere un cambiamento culturale e una maggiore consapevolezza che chi evade danneggia tutta la collettività. L’utilizzo di controlli del tipo “Blitz di Cortina” possono servire come strumenti di contrasto all’evasione fiscale, essendo peraltro in piena linea con tutti i nuovi strumenti di accertamento fiscale che l’Amministrazione Finanziaria sta mettendo in atto. Mi riferisco al monitoraggio di tutti i movimenti bancari da parte del sistema informatico fiscale, alla tracciabilità dei pagamenti oltre la soglia dei mille euro e al “nuovo redditometro”». In una realtà sempre più globalizzata, quali sono i consigli che offre alle imprese per essere competitive? nea | gennaio 2012

La dottoressa Daniela Bruno partner dello Studio Camosci Guareschi, Piantanida & Associati di Milano www.studiocgp.it

«Cerco di sensibilizzarle sulla necessità di analizzare tutte le conseguenze fiscali delle iniziative imprenditoriali/commerciali che intendono intraprendere così da ottimizzare il complessivo carico fiscale derivante dall’operazione. Nella fase iniziale di un investimento all’estero ritengo importante considerare tutte le possibili strutture esistenti. Ciò implica spesso un’analisi di normative fiscali complesse, quali quelle relative alla sottocapitalizzazione e ai prezzi di trasferimento o allo sfruttamento di diritti di proprietà. Per una corretta pianificazione fiscale internazionale occorre procedere per quattro fasi: l’analisi dei dati, la progettazione della struttura, la valutazione della struttura e la gestione della struttura. Questa è la metodologia che utilizzo per le aziende a cui offro la mia consulenza sia che intendano operare investimenti all’estero sia per quelle che desiderano investire nella UE». 153


Giustizia tributaria

Sostegni alle imprese Di questi tempi occorre avere un occhio di riguardo nei confronti dei bilanci e dei criteri finanziari, ma non bisogna confondere i valori d’impresa con gli indici di bilancio. Ne parliamo con Francesca Lamazza di Nicoletta Bucciarelli

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L’avvocato Francesca Lamazza ha lo studio legale a Bologna francescalamazza@studiolegalelamazza.com

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eccellenza e molto appetibili su un piano internazionale. Le imprese finanziarie, che non sono solo le banche, ma anche Fondi di investimento ed altre imprese afferenti al mondo della finanza, con l’avvento dell’attuale tecnologia hanno implementato la propria attività fondandola sulla velocità dello scambio della ricchezza. In questo contesto alle aziende mie assistite continuo a ripetere e consigliare di non lasciarsi prendere dal panico, continuando a perseverare nell’attività e nelle re-

Foto © Mario Sturato Photo

ordinamento tributario italiano è ormai ridondante di norme e oggetto di innumerevoli modifiche legislative parziali, che hanno creato e creano grande confusione». Sono sempre più numerose quindi le rigidità burocratiche che le imprese incontrano sul loro cammino e sempre più spesso necessitano di una consulenza quasi quotidiana. L’avvocato Francesca Lamazza sottolinea l’importanza strategica che il consulente giuridico delle imprese sta rivestendo in questo periodo difficile per le Pmi. Un’assistenza giuridica che passa per un continuo aggiornamento per seguire l’evoluzione dei fenomeni economici e dei loro effetti giuridici. In questo periodo di transizione le piccole e medie imprese italiane stanno vivendo un conflitto tra la cultura produttiva industriale e la cultura finanziaria propria soprattutto di molti imprenditori stranieri. Che cosa osserva sotto questo punto di vista? «L’ossatura dell’economia italiana è costituita da realtà economiche dove il fattore uomo è sicuramente prevalente rispetto ad altri fattori, mentre i tempi e le procedure sono legati alla produzione dei beni e servizi oggetto dell’attività d’impresa. Su detti fattori in Italia sono state costruite realtà economiche di


Francesca Lamazza

altà produttive che hanno creato». Cosa consiglia loro più frequentemente? «Per adattarsi ai tempi occorre sì avere un occhio di riguardo nei confronti dei bilanci e dei criteri finanziari, ma non bisogna confondere i valori d’impresa con gli indici di bilancio. La natura e il valore che la finanza dà a questi indici, può cambiare con la stessa velocità con cui gli stessi sono stati elaborati, essendo comunque meri calcoli matematici. Un’impresa sana e condotta conformemente alle regole presenta valori molto più stabili e perseguibili nel tempo». I servizi tributari forniti dalle Agenzie fiscali sono da anni altamente informatizzati. Ciò ha determinato una diminuzione del contenzioso? «No, anzi alcuni contenziosi nascono proprio a causa della rigidità degli strumenti informatici. In verità l’Ordinamento tributario italiano è ormai ridondante di norme. È a causa di questa situazione che il contenzioso continua ad aumentare ormai in modo esponenziale, nonostante vi siano nell’ordinamento diversi istituti giuridici deflattivi del contenzioso, quali l’accertamento con

superiore al 60% del reddito e in cui le ultime manovre hanno colpito sensibilmente soprattutto la classe media e medio-bassa della società, un’operazione improntata a dimostrare che anche i ricchi possono essere colpiti, ritengo che abbia più un significato propagandistico che una misura reale alla lotta all’evasione». Che cosa dovrebbe fare lo Stato per “stanare” gli evasori?

LE IMPRESE FINANZIARIE, CON L’AVVENTO DELL’ATTUALE TECNOLOGIA HANNO IMPLEMENTATO LA LORO ATTIVITÀ FONDANDOLA SULLA VELOCITÀ DELLO SCAMBIO DELLA RICCHEZZA adesione e la conciliazione giudiziale. Soltanto una riforma che riordini e semplifichi l’intero ordinamento tributario, abbassando peraltro l’eccessiva pressione fiscale, potrebbe avere l’effetto sperato di un sensibile decremento del contenzioso». Vista la sua esperienza come funzionario presso l’allora Ministero delle Finanze all’interno della Direzione Regionale delle Entrate per l’Emilia Romagna, potrebbe fornirci la sua opinione in merito agli ultimi controlli fiscali? «Ritengo che l’operazione di Cortina sia stata più un’operazione pubblicitaria e di facciata. In uno Stato in cui la pressione tributaria per aziende e lavoratori autonomi è nea | gennaio 2012

«Le norme tributarie degli ultimi anni e la giurisprudenza sulle stesse formatesi hanno dotato l’Agenzia Entrate di poteri di accertamento ampissimi. Norme che hanno superato il vaglio della giurisprudenza sia costituzionale che di legittimità sulla base del contestabile principio che l’esigenza dell’erario è superiore a qualsiasi diritto e tutela del cittadino. Ne discende che lo Stato ha armi potentissime per combattere l’evasione e, se lo vuole, può usarle tutte in modo serio e metodico senza ricorrere a campagne demagogiche di moralizzazione “sullo scontrino” che possono creare scontri sociali senza apportare nulla alla lotta all’evasione». 155


Tutela della famiglia

Separazioni e divorzi agli avvocati Annamaria Bernardini de Pace critica la proposta, contenuta nell’ultimo rapporto Eurispes, di trasferire le competenze in questo campo ai notai: «Sono materie che richiedono competenze specifiche e un’esperienza maturata sul campo» di Riccardo Casini

n incremento del 61% di separazioni e del 101% di divorzi nel periodo compreso tra il 1995 e il 2008, anno nel quale le separazioni sono state 84.165 e i divorzi 54.351 (rispettivamente il 3,4% e il 7,3% in più rispetto al 2007): il rapporto Eurispes pubblicato lo scorso mese di maggio, oltre a evidenziare il boom di cause di questo tipo nel nostro Paese, ha lanciato una proposta per alleviare il carico della giustizia civile, ovvero trasferire le competenze in materia di divorzi, separazioni e volontaria giurisdizione ai notai. Una proposta che ha già trovato l’opposizione di molti avvocati, tra i quali Annamaria Bernardini de Pace, secondo cui «senza nulla voler togliere alla professionalità della categoria notarile, materie quali la separazione, il divorzio e la volontaria giurisdizione, proprio per i profili complessivamente coinvolti, richiedono competenze specifiche che sono il risultato non solo di una laurea in giurisprudenza, ma anche dell’esperienza maturata sul campo. Una riflessione, questa, che bisogna estendere anche all’interno della medesima categoria degli avvocati». Secondo Eurispes però il fatto che le separazioni con rito consensuale siano più del doppio di quelle con rito giudiziale induce a pensare che si tratta spesso di cause prive di elementi di elevata conflittualità, che potrebbero quindi essere discusse e risolte senza ricorrere al tribunale. «Non credo che un contesto di natura diversa, quale quello offerto dagli studi notarili, alimenterebbe una minore conflittualità rispetto al tribunale, facilitando una più rapida risoluzione delle questioni: infatti, le que-

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stioni si risolvono con il tempo, la competenza e la palestra psicologica, non con il ruolo giuridico. I notai certificano il già fatto, gli avvocati familiaristi costruiscono il da farsi». Recentemente però anche il sostituto procuratore di Milano, Francesco Greco, ha puntato il dito contro la lentezza della giustizia civile, citando il collega Piercamillo Davigo secondo cui “è più facile uccidere la moglie che venire a capo di un divorzio difficile”. Paradosso a parte, come snellire i tempi per le procedure di cause ormai sempre più frequenti? «È vero, molto spesso si arriva al termine di una causa sfiniti ed esasperati da lunghi anni di contenzioso: una tortura ingiusta, determinata dalla giustizia-lumaca. Una prima possibile soluzione del problema potrebbe essere rappresentata proprio dal cambio di approccio nelle cause da parte degli avvocati, che sovente hanno una grave responsabilità nel momento in cui assecondano i clienti in sterili battaglie, più personali che giudiziarie, invece di aiutarli a comprendere gli indubbi vantaggi di un accordo consensuale. Un’altra soluzione potrebbe essere quella, pur nell’ambito del contenzioso, di rimettere sin dall’inizio la decisione al giudice solo in merito alle questioni sulle quali le parti non sono riuscite a trovare un accordo, limitando così gli spazi di conflittualità e i tempi di decisione. E interessante sarebbe anche l’introduzione del divorzio, in alternativa alla preliminare separazione, se i coniugi sono d’accordo». In un articolo lei ha denunciato gli eccessivi casi (ben 32mila) di figli allontanati dai genitori da parte della magistratura. Quali sono in questo senso le buone


regole da seguire per un’equilibrata applicazione delle norme del diritto di famiglia? «L’intervento della pubblica autorità volto all’allontanamento del minore dalla famiglia d’origine, proprio per la sua gravità, dovrebbe essere limitato solo a quei casi di vero abbandono materiale o morale, come prescrive la legge. Ove possibile, invece, bisognerebbe perseguire fino in fondo la tutela dell’interesse del minore a non essere allontanato dalla sua famiglia e dai luoghi in cui svolge la sua abituale vita quotidiana, fornendo piuttosto alla famiglia un adeguato supporto, ad esempio un educatore. In questo meccanismo un ruolo molto importante rivestono, quali ausiliari dell’autorità giudiziaria, i servizi sociali, i cui operatori dovrebbero avere una formazione autentica, adeguata e specifica nel campo e dovrebbero applicare rigorosamente i principi di legge, tutelando il più possibile il diritto del minore a crescere nel suo contesto familiare, salvo ovviamente i casi limite». Molti avvocati matrimonialisti, tra cui lei, hanno espresso forti perplessità sul ddl 957 sull’affido condiviso, attualmente in discussione alla Commissione Giustizia del Senato. Quali sono i suoi punti critici? «Diversi sono gli elementi non condivisibili del ddl 957: tra questi, in particolare, l’introduzione del diritto “paritetico” dei genitori ad avere i figli presso di sé, con la previsione del doppio domicilio e della divisione del tempo dei figli in misura uguale presso ciascun genitore. Credo che tale soluzione potrebbe essere praticabile solo in alcuni e limitati casi e solo dopo una concreta e positiva ponderazione di almeno questi parametri: le condizioni lavorative dei genitori, soprattutto in termini di disponibilità di tempo, così come la distanza tra le loro abitazioni e l’età dei figli. In caso contrario, la previsione di un “collocamento prevalente” rimane a mio parere la scelta sempre preferibile». nea | gennaio 2012

© foto di Bob Krieger

L’avvocato Annamaria Bernardini de Pace

SPESSO GLI AVVOCATI HANNO UNA GRAVE RESPONSABILITÀ NEL MOMENTO IN CUI ASSECONDANO I CLIENTI IN STERILI BATTAGLIE

Per quale motivo? «Ciò che dev’essere perseguito in via prioritaria è l’interesse del minore, anche a non vedersi la vita spaccata in due. Non condivido poi assolutamente la previsione del mantenimento diretto e per capitoli di spesa da parte di ogni genitore, con l’evidente conseguenza, nota a chi è abituato a operare in questi ambiti, di aumentare in modo esponenziale la litigiosità, anche per quanto riguarda gli strumenti azionabili a tutela del rispetto degli oneri assunti, e creando enormi difficoltà organizzative in contesti familiari già di per sé conflittuali. Non ritengo nemmeno corretta l’eliminazione dalla valutazione del costo dei figli del parametro relativo al “tenore di vita della famiglia antecedente la separazione”: così si legittimerebbero strumentali meccanismi di depauperamento in vista della causa». 157


Tutela della famiglia

Una riforma necessaria Procedimenti più snelli e uno svecchiamento del codice. Sono le proposte di Milena Pini, presidente dell’Associazione italiana degli avvocati per la famiglia e i minori, che sulla mediazione dice: «È un’importante occasione per le parti in conflitto» di Michela Evangelisti

l diritto di famiglia è per definizione un diritto vivente, mentre da tempo la nostra legislazione non rispecchia più le esigenze delle persone». Milena Pini, presidente dell’Aiaf, Associazione italiana degli avvocati per la famiglia e i minori, invoca una seria riforma. Se, infatti, dal 1975 il codice di diritto di famiglia è rimasto pressoché immutato, i rapporti tra le persone sono profondamente cambiati, così come è mutata la sensibilità verso numerose questioni che riguardano la vita di coppia, la scelta del regime patrimoniale, le scelte di vita e di cura, le terapie al termine della vita. «Gli italiani vanno in Francia per le pratiche di inseminazione eterologa, vanno in Svizzera a morire, vanno in Romania a divorziare, vanno in Olanda a contrarre nozze omosessuali – esemplifica l’avvocato Pini –. Sono ormai un popolo in fuga e il nostro Parlamento dovrebbe riflettere seriamente su quanto sta avvenendo». Quali le priorità da seguire in una riforma del diritto di famiglia? «Occorrerebbe prevedere un unico status di figlio, eliminando ogni differenza tra i figli nati da persone coniugate o meno; riformare la legge sul divorzio, consentendo la possibilità di ottenerne la pronuncia, in determinati casi, senza dover previamente promuovere il giudizio di separazione personale, e prevedere comunque tempi più brevi per la domanda di divorzio ri-

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Milena Pini, presidente dell’Associazione italiana degli avvocati per la famiglia e i minori

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spetto a quelli attuali; modificare la normativa in materia di scioglimento della comunione legale, così che decorra dalla data del provvedimento del presidente che autorizza i coniugi a vivere separati; dare piena applicazione alla legge 149 del 2001, consentendo l’effettiva nomina dell’avvocato del minore nei procedimenti di adottabilità e di decadenza o sospensione della potestà genitoriale; riconoscere la possibilità per i coniugi di redigere accordi prematrimoniali e per le coppie conviventi di stipulare “patti” cui attribuire efficacia giuridica e, infine, riconoscere pienamente la volontà delle persone in relazione alle terapie e alle disposizioni di fine vita».

LA CONFLITTUALITÀ TRA I GENITORI NON SI RISOLVE CON LA DIVISIONE A METÀ DEL TEMPO DEI FIGLI O CON LA SOSTITUZIONE DELL’ASSEGNO PERIODICO CON IL MANTENIMENTO DIRETTO Per quanto riguarda, invece, il profilo processuale e della giurisdizione? «È certamente necessaria una riforma del procedimento, che lo renda più snello e consenta tempi più celeri. Quanto alla giurisdizione, occorre istituire un giudice specializzato, che sia competente per le materie che riguardano la separazione, il divorzio, le modifiche delle condizioni, lo scioglimento della comunione legale, la capacità delle persone, la tutela dei minori, e assorba le competenze attuali del giudice tutelare e del tribunale per i minorenni, cui vanno lasciate le sole competenze nea | gennaio 2012

che riguardano la decadenza della potestà genitoriale, l’adottabilità dei minori e l’adozione». La negoziazione e la mediazione stanno progressivamente prendendo piede come strade per la definizione dei conflitti in ambito familiare. Con quali risultati? «La consensualizzazione del conflitto è una tendenza in continua crescita: secondo le più recenti rilevazioni Istat, nel 2009 si sono concluse consensualmente l’85,6% delle separazioni e il 72,1% dei divorzi. Questi dati confermano l’esigenza delle persone di trovare una soluzione conciliativa del conflitto di coppia e familiare, ed evidenziano anche l’intervento di negoziazione degli avvocati finalizzato alla ricerca dell’accordo tra le parti. La mediazione, e in particolare la mediazione familiare, è senza dubbio un’importante occasione per le parti in conflitto per trasformare le loro relazioni; aiuta i genitori, nella separazione legale o di fatto e nel divorzio, a ritrovare reciproca fiducia, capacità di comprensione e riconoscimento del ruolo genitoriale dell’altro. Tuttavia la mediazione familiare è ancora poco utilizzata». Come mai? «Secondo i principi che la disciplinano, la mediazione non può essere resa obbligatoria e deve restare una libera scelta. Non può quindi essere imposta dal giudice o prevista per legge come condizione preliminare alla proposizione del giudizio. Semmai è necessario che gli avvocati svolgano un intervento di informazione e di sollecitazione verso le parti rispetto a questa opportunità». Come sta cambiando, di conseguenza, il ruolo dell’avvocato di famiglia e quali nuove sfaccettature sta assumendo?

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Tutela della famiglia

I DATI CONFERMANO L’ESIGENZA DELLE PERSONE DI TROVARE UNA SOLUZIONE CONCILIATIVA DEL CONFLITTO DI COPPIA E FAMILIARE

«L’avvocatura sinora non ha pienamente compreso la potenzialità dello strumento della mediazione, in ambito civile e familiare, che non solo risponde a un’indubbia esigenza delle persone di privilegiare il percorso della soluzione del conflitto in sede stragiudiziale e in tempi brevi rispetto a un procedimento contenzioso, ma offre anche un potenziale ampliamento dell’attività e delle competenze dell’avvocato. In particolare l’avvocatura teme che l’introduzione della mediazione comporti lo smantellamento del sistema giudiziario e dello stato di diritto, con la conseguente sminuizione del diritto di difesa. È una preoccupazione a mio parere eccessiva, e comunque non si può non tenere conto del nuovo contesto determinato dalle avvenute trasformazioni sociali, culturali ed economiche. Fermo restando che l’attività dei privati nella gestione dei propri interessi non può andare completamente esente dal controllo sulla rispondenza alla legge dell’accordo raggiunto. In questo nuovo contesto, il ruolo di tutela e difesa dei diritti delle persone dell’avvocato non solo trova spazio, ma anche nuovi ambiti ove esplicitarsi». L’associazione ha espresso preoccupazione nei confronti dei Ddl 957 e 2454 sull’affido condiviso di minori in caso di separazione. Quali sono gli aspetti che vi lasciano più perplessi? 160

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«L’affidamento dei figli nella separazione, legale o di fatto, e nel divorzio deve avere come esclusivo riferimento l’interesse morale e materiale dei figli. I dati socioeconomici evidenziano che la separazione è un costo e comporta spesso una riduzione dei redditi e del tenore di vita per entrambe le parti, ma è pur vero che nel nostro Paese la parità effettiva tra donna e uomo è ancora ostacolata da fattori di natura economica e sociale che spesso condizionano lo sviluppo della famiglia e causano la crisi del rapporto di coppia. L’affidamento dei figli è dunque una questione assai delicata, che deve tenere conto di tutti questi fattori e un’eventuale modifica della legge 54 del 2006 non può essere fondata sull’esaltazione mediatica di singoli casi. Di certo la conflittualità tra i genitori non si risolve con proposte quali la divisione a metà del tempo dei figli con ciascun genitore o con la sostituzione dell’assegno periodico con il mantenimento diretto». Come favorire allora una migliore applicazione del principio di bigenitorialità? «Servono un più efficace intervento culturale sulle responsabilità familiari e genitoriali e un concreto sostegno alle famiglie, interventi di tipo psicologico e relazionale a sostegno della genitorialità, soprattutto nei casi di conflittualità tra i genitori, e una fattiva politica di ampliamento dei servizi sul territorio».


Francesco Alberoni

Nuovi modelli di famiglia Coppie sposate, conviventi o “amorose”. «L’insieme delle istituzioni che regolano i rapporti sessuali e coniugali – dice Francesco Alberoni – dovrà subire nei prossimi decenni una radicale trasformazione» di Michela Evangelisti

ggi si studia moltissimo il divorzio; stranamente ci si sofferma molto meno sulla nascita della famiglia: qual è la sua base?». È questa la domanda che incuriosisce il sociologo Francesco Alberoni. La storia è nota: un tempo il matrimonio era un contratto tra due famiglie, poi, a partire dall’Ottocento, il costituirsi della coppia coniugale è andato sempre più basandosi sull’innamoramento tra due persone e la sua durata si è legata alla durata del sentimento. «Finché si viveva mediamente 40 anni era naturale avere un amore e un corredo per tutta la vita – spiega Alberoni –. Ora la formula “finché morte non ci separi” pronunciata da un ventenne è quasi uno spergiuro. La sua vita sarà lunga e, nel 99% dei casi, cesserà di amare quell’uomo o quella donna». Il matrimonio è dunque, secondo Alberoni, un rituale obsoleto e il divorzio diventa «la conseguenza logica di un’unione fondata su una cosa abbastanza labile come l’amore». Nella fine di un matrimonio sono spesso coinvolti anche figli piccoli. Il loro modo di reagire sta cambiando? «Per i figli la separazione dei genitori è totalmente in-

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comprensibile. È come se in una città improvvisamente si creasse una spaccatura nel terreno e non si potesse più passare da una parte all’altra. Certo essere figli di divorziati non è più un trauma come un tempo, i bambini non si sentono più mostri in una società diversa, ma ciò non toglie che siano molto provati. Sta nell’abilità dei genitori far sì che il loro conflitto non venga trasferito ai figli e non usare i bambini per ricattarsi a vicenda». Quale ruolo ha oggi la famiglia? Si può dire che sia ancora alla base del nostro tessuto sociale? «Sì lo è ancora, per un motivo semplice: non c’è altro. La famiglia rimane comunque l’unico luogo di rapporti forti. Anche i single hanno pur sempre un padre e una madre, e qualche volta dei fratelli, ai quali si rivolgono nel momento del bisogno. Si parla tanto dell’amicizia, ma è raro che un amico venga a casa tua ad assisterti quando sei malato: è più facile che lo faccia un ex marito! Non è detto, infatti, che la rottura del matrimonio spezzi tutti i legami e i doveri». Quali sono i nuovi modelli di famiglia che si stanno affermando? «Il più importante è il single; che magari ha degli amori anche lunghi, ma non tenta né la convivenza né di avere figli. Poi ci sono famiglie con alle spalle uno o due divorzi, con figli di diversi mariti o mogli, in cui o ci si divide o con grande buon senso si fa in modo che il mondo dei bambini non sia conflittuale. La convivenza tra poco diventerà un terzo tipo di matrimonio, perché c’è la tendenza, da parte di chi convive, a chiedere forme di riconoscimento legale. Ma accanto alle coppie sposate e a quelle conviventi sono in aumento le coppie “amorose”, che non danno luogo a una famiglia ma funzionano come tali nel bisogno. La coppia amorosa non vuole riconoscimenti formali, perché considera la mancanza d’obbligo come la base dell’amore». 161


Tutela della famiglia

Serve un maggior sostegno alle famiglie Le risorse che l’Italia investe per le politiche familiari sono insufficienti e molto più limitate rispetto ai maggiori paesi Ue. «È necessario un significativo cambiamento di rotta». L’analisi di Gina Pedroni di Nicoletta Bucciarelli

l lavoro dell’osservatorio è quello di stabilire linee guida condivise tra le numerose realtà presenti, in relazione soprattutto ai veloci mutamenti socioeconomici e demografici del nostro territorio, e la conseguente ricaduta sulle famiglie e sui singoli suoi componenti». Gina Pedroni, membro dell’Osservatorio nazionale della famiglia come rappresentante dell’Associazione nazionale comuni italiani, introduce in questo modo quello che rappresenta uno dei compiti fondamentali dell’osservatorio. «Più che parlare di famiglia oggi si deve in ogni caso parlare di famiglie. L’ultimo decennio in particolare, ha visto mutamenti demografici, culturali, economici, sociali che hanno moltiplicato le tipologie di famiglie. Assistiamo pertanto a un aumento di famiglie mononucleari, soprattutto per le separazioni e i divorzi, monopersonali, in particolare anziani soli, o giovani. Famiglie ricostruite attraverso un secondo matrimonio o convivenze, o ricongiungimenti familiari nei nuclei di immigrazione. Famiglie miste nate con l’aumento dei fenomeni migratori». Quali sono le nuove difficoltà cui far fronte? «Le peggiorate prospettive socio-economiche hanno provocato un aumento della disoccupazione giovanile e femmi-

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nile, con conseguenze importanti sull’emancipazione e le prospettive di costruzione del futuro di generazioni che dovrebbero costituire il miglior investimento per il nostro Paese. Secondo i calcoli della Ue, il tasso di occupazione delle donne tra i 25 e i 54 anni senza figli in Italia è pari al 63%, la media della Ue è 75,8%, peggio di noi fa solo Malta. Per l’Istat le donne occupate con un figlio minore di 15 anni in Italia sono il 58,5%, il 54% quando i figli sono due, il 33,3% se sono tre; al Sud addirittura il 39% delle ragazze è in cerca di occupazione. Ad aggravare questi dati è il colpevole ritardo con cui si stanno attuando in Italia, con qualche tentativo più importante in alcune regioni del centro-nord come Veneto, Lombardia, Emilia e Toscana, progetti e misure a supporto della conciliazione». Come sono cambiate le necessità e le problematiche delle famiglie nell’ultimo decennio? «La crisi economica e finanziaria sta colpendo soprattutto il ceto medio, con conseguenti squilibri dei redditi, precarietà lavorativa, necessità di far fronte a pesanti compiti assistenziali ed educativi. Tutto ciò ha comportato la nascita di disagi all’interno di famiglie o di gruppi che si pensavano esenti: si tratta delle nuove vulnerabilità sociali, sempre più complesse e difficili da prevenire e da aiutare». Che cosa è necessario fare per garantire sostegno alle famiglie? «È indispensabile costruire un modello di welfare inclusivo e complementare, che coinvolga il semplice cittadino e il più alto decisore politico, soggetti pub-


Gina Pedroni

In apertura, Gina Pedroni, membro dell’Osservatorio nazionale della famiglia

blici e privati, ognuno secondo il proprio ruolo e responsabilità. Bisogna inoltre valorizzare, anche a livello di esenzioni o detrazioni fiscali, i numerosi, difficili, insostituibili ruoli cui la famiglia dà risposta. Occorre prevenire l’emergenza sociale ed educativa, rivedendo il concetto di resilienza, per evitare di cadere in condizioni di disagio non più recuperabili. Bisogna ripristinare risorse più significative a sostegno dei non autosufficienti, oggi sono in aumento visto l’allungamento della vita e la sempre maggior solitudine degli anziani». All’interno del Piano per la famiglia ci sono due importanti proposte. Di cosa si tratta? «La prima riguarda la Valutazione di impatto familiare, che coinvolge la famiglia, insieme a tutti i soggetti che contribuiscono al welfare, nella valutazione preventiva, in itinere e finale, di ogni iniziativa politica che abbia ricadute sul nucleo familiare o sui singoli componenti. È un importantissimo strumento per nea | gennaio 2012

L’ULTIMO DECENNIO HA VISTO MUTAMENTI DEMOGRAFICI, CULTURALI, ECONOMICI, SOCIALI CHE HANNO MOLTIPLICATO LE TIPOLOGIE DI FAMIGLIE

rendere più omogenea la programmazione degli interventi sul territorio nazionale, e la loro valutazione, adeguandola ai veloci mutamenti e complessità delle nostre realtà. L’altra proposta riguarda la definizione del fattore famiglia, strumento che perfeziona il concetto di quoziente familiare, che permette di distribuire, in modo più equo, il contributo richiesto alle famiglie per servizi e tariffe, con particolare attenzione alle famiglie numerose. Le risorse che l’Italia investe per le politiche familiari sono insufficienti e molto più limitate rispetto ai maggiori paesi Ue: è importante un significativo cambiamento di rotta altrimenti la crisi a cui stiamo assistendo lascerà segni indelebili sul futuro delle vecchie e nuove generazioni». 163


Notariato

Notariato, un po’ di chiarezza Sono molti i pregiudizi che accompagnano questa professione nell’immaginario collettivo italiano. La categoria, al contrario, è concentrata sul rigore e sulla tutela del cittadino. Ne parliamo con Nicoletta Morelli di Erika Facciolla

attuale dibattito politico sulle liberalizzazioni delle professioni ha riaperto la querelle sul notariato che da sempre suscita polemiche e pareri contrastanti tra gli opinionisti nei confronti di questa categoria. Si parla spesso di ‘casta’, di ‘corporativismo’, di tariffe poco chiare e compensi gonfiati: i luoghi comuni da sfatare sono tanti e necessitano di una comunicazione chiara e puntuale, in grado di fornire le informazioni necessarie affinché l’immaginario comune superi alcuni retaggi. È importante, infatti, che i cittadini sappiano di poter trovare nel notaio un garante dei loro interessi, che opera nel pieno rispetto del diritto. Ne parla Nicoletta Morelli. In termini ‘numerici’, come può essere definita la sua categoria nel contesto italiano? «Il nostro non è un numero chiuso ma programmato. I notai in Italia sono equamente distribuiti sul territorio con un provvedimento del Ministero di Giustizia che tiene conto del numero degli abitanti e del volume delle transazioni economiche. Nessuna casta, dunque, ma la programmazione di un servizio che deve essere efficace ed efficiente per i cittadini».

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Il notaio Nicoletta Morelli all’interno del suo studio di Caravaggio (BG). Nelle altre immagini, i collaboratori Mietta Ducci e il dottor Gianpietro Guerini nmorelli@notariato.it


Nicoletta Morelli

Chiariamo la questione ‘tariffe’: qual è il guadagno reale di un notaio nella gestione delle pratiche più comuni? «Sulla questione delle tariffe c’è bisogno di chiarezza e trasparenza. Se un cittadino acquista da un privato la prima casa del valore di 200 mila euro, il costo dell’atto è di 5.800 euro, di cui 3.700 sono imposte di registro, e 400 euro di iva. Dei 1.700 euro che restano, una percentuale del 45% circa serve a pagare la gestione dello studio. Ciò che rimane, pari a poco più di 900 euro, è il compenso del notaio prima delle tasse. Questo è il costo del cittadino per avere la sicurezza della proprietà della casa che acquista, la libertà da ipoteche e la regolarità urbanistica: mi sembra che, rapportato al valore della pratica e alla responsabilità che ci assumiamo, sia un costo concorrenziale». Perché continua a diffondersi un’idea “parentale” della sua categoria? «Pochissimi sono i notai figli di notai, il solo 17%. Una percentuale esigua rispetto ad altre professioni. Io ne sono un esempio: mio padre è ingegnere chimico, mia madre biologa e nella mia famiglia non c’è mai stato un notaio. Ho superato il concorso al primo tentativo - concorso molto selettivo e meritocratico - unico sul territorio nazionale, in grado di garantire ai candidati uniformità di giudizio». Lei ha scelto di svolgere la sua professione in provincia. Su quali presupposti ha compiuto questa scelta? «Come prima sede mi hanno assegnato un piccolo paese nella provincia bergamasca. All’inizio è stata dura: nell’immaginario collettivo il notaio è uomo attempato; io, invece, donna e molto giovane. Con il passare del tempo mi sono fatta conoscere e apprezzare e ho instaurato un rapporto di fiducia con i clienti. Dopo quasi vent’anni e nonostante il trasferimento in altra sede, i miei primi clienti tornano per un consiglio o solo per un saluto. E questa è una bella soddisfazione sul piano professionale ed umano». Su cosa occorre fare leva per cementificare ulteriormente il rapporto tra notaio e cittadino? «Far conoscere quello che fanno i notai anche a linea | gennaio 2012

LA CRISI METTE A DURA PROVA ANCHE I NOTAI, CHE SONO UN EFFICIENTE “TERMOMETRO” DELLA SITUAZIONE ECONOMICA DEL PAESE vello istituzionale. Su base nazionale, abbiamo collaborato con le dodici più importanti associazioni dei consumatori per l’edizione delle ‘Guide per il Cittadino’ che possono essere scaricate gratuitamente dal sito internet del Notariato. A Bergamo, inoltre, ogni sabato mattina alcuni notai forniscono consulenza gratuita ai cittadini grazie al servizio “Chiedilo al notaio” che dal 2007 ha fatto registrare una media di quattrocento colloqui all’anno». Come influisce la crisi economica sul ruolo che il notariato deve coprire e soprattutto sulle aspettative che la società civile ripone nei suoi confronti? «La crisi mette a dura prova l’intero paese e anche i notai, che sono un efficiente “termometro” della situazione economica del paese. Siamo desiderosi di modernizzazioni che migliorino il tenore dell’intero Paese e siamo disponibili a fare la nostra parte, chiediamo però che venga riconosciuto e difeso il nostro ruolo: siamo pubblici ufficiali, terzi, imparziali, garanti del diritto e della legalità. Anche in questo periodo di crisi il paese può sempre contare sulla fedeltà del notariato alle persone, alle imprese e alle istituzioni». 165


Notariato

Un’espressione di democrazia Valeria Sessano spiega e sottolinea l’alta espressione democratica del nostro sistema notarile e l’importanza della sua funzione. Insieme alla capacità del notaio di interpretare l’evoluzione economica e sociale di Luca Cavera

ello studio dei notai si incontrano il facoltoso imprenditore con il piccolo coltivatore diretto, l’operaio, che con il finanziamento bancario riesce ad acquistare la sua “prima casa” o il pensionato che l’acquista con i risparmi di una vita. Queste persone, appartenenti a ceti sociali così diversi, nel momento in cui entrano in uno studio notarile sono assolutamente uguali nella cura e nell’attenzione che ricevono dal pubblico ufficiale che lo stato italiano ha selezionato attraverso il pubblico concorso. Queste persone possono scegliere con assoluta tranquillità il notaio cui rivolgersi, dal più grande al più piccolo studio, senza timore di vedersi presentare parcelle astronomiche o di dover scegliere in base al criterio della maggiore economicità, che molto spesso, nelle professioni, è sinonimo di scarso approfondimento. Come spiega infatti Valeria Sessano, di professione notaio: «La tariffa notarile è stabilita per legge e varia prevalentemente in funzione dell’entità delle contrattazioni, mentre la complessità della pratica fa variare l’onorario solo in piccola percentuale». Prendendo come esempio la compravendita di una casa, anche di piccole dimensioni e in una località di provincia, capita molto spesso che le pratiche si rivelino estremamente complesse? «I tempi sono spesso più lunghi di quelli che sarebbero necessari per la vendita di un intero fabbricato. In casi analoghi, se la trattativa si svolgesse in uno

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Valeria Sessano

Nella pagina a fianco, Valeria Sessano, notaio nel distretto di Roma, Velletri e Civitavecchia vsessano@notariato.it

studio professionale americano, l’acquirente si vedrebbe presentare una parcella di gran lunga più onerosa di quella di un qualsiasi notaio italiano. Questo perché negli Stati Uniti la parcella per l’esame legale della pratica è commisurata al tempo effettivo che si impiega per il suo disbrigo. In Italia questo non avviene, peraltro capita spesso che l’istruttoria legale delle piccole pratiche sia enormemente più complessa di quelle economicamente più importanti».

RITENGO CHE IL NOTARIATO RAPPRESENTI, OGGI PIÙ CHE MAI, L’ELEMENTO DI CONGIUNZIONE FRA LO STATO E I CITTADINI Da un punto di vista strettamente professionale o di categoria, com’è considerata questa differenza, certamente importante per il cittadino, ma di converso anche per voi? «Trovo che, sebbene ciò vada a totale discapito del notaio, sia comunque un elevato segnale di democrazia. Perché questo si traduce nel fatto che non sono solo i più ricchi a poter scegliere un notaio piuttosto che un altro, bensì anche la persona meno abbiente. Questo è possibile però solo in virtù di questa impostazione tipica del nostro notariato, nel quale lo Stato ha cura che gli interessi privati dei cittadini siano indirizzati nell’alveo delle leggi attraverso un pubblico ufficiale dotato della maggiore competenza possibile e altamente selezionato. Solo i più meritevoli, altamente motivati e disposti a grandi sacrifici di studio, superano il concorso». Come mai, però, in Italia vi sono ancora così tanti pregiudizi su ciò che il notariato rappresenta? «Se continua a diffondersi un’immagine del notaio come figura distante e per certi versi lobbista è a causa di stereotipi creati da coloro che, evidentemente, mal sopportano di sottoporsi al controllo della legalità che il notaio rappresenta ed esercita per delega dello Stato. Tuttavia, nella realtà quotidiana denea | gennaio 2012

gli studi notarili non si ha la stessa percezione della figura del notaio. Perché il cittadino che si rivolge al notaio percepisce la funzione di garante della legalità e il ruolo super partes che questi esercita e si aspetta che dal documento notarile che alla fine gli verrà consegnato non scaturiranno controversie – è ben noto infatti che i contenziosi conseguenti alle contrattazioni che si svolgono con atti notarili sono una percentuale assolutamente infinitesimale». Il tema della legalità non è mai stato tanto attuale nel dibattito pubblico come in questi mesi. Si tratta di un valore fondamentale anche ai fini della tanta auspicata ripresa economica. Trova che in tal senso il vostro ruolo, adesso, sia ancora più importante rispetto al passato? «Ritengo che il notariato rappresenti, oggi più che mai, l’elemento di congiunzione fra lo Stato e i cittadini. Anche per questo il notariato si fa interprete dei mutamenti economici e sociali, attraverso l’elaborazione di proposte normative volte ad adeguare l’ordinamento statale alle mutate esigenze della società. Cito un recente testo edito per l’Accademia del notariato nel quale si ricorda come già Antonio Gramsci avesse colto la “grande funzione politico-sociale” dei notai». 167


Dall’idea alla forma

Spazio alle donne tra le archistar Gae Aulenti, Zaha Hadid e Kazuyo Sejima troneggiano in un mondo dove la competizione maschile è forte perchè si esprimono attraverso nuovi linguaggi architettonici di Renata Gualtieri


Architettura al femminile

econdo alcuni sondaggi, se le città fossero progettate da donne sarebbero luoghi migliori dove vivere. Senza ragionare in maniera tanto estrema ciò che è sicuramente vero è che, in un mondo quasi esclusivamente ad appannaggio maschile, il “tocco rosa” si riconosce e si può scoprire di città in città attraverso le più belle architetture progettate da donne. A Parigi, ad esempio, una tappa immancabile è il Museo d’Orsay, dove si distingue nell’allestimento la mano dell’architetto Gae Aulenti. Fra i suoi progetti più celebri ci sono la ristrutturazione di Palazzo Grassi a Venezia, la realizzazione del nuovo accesso alla stazione Santa Maria Novella dalla Fortezza da Basso, l’allestimento del Museo nazionale di Arte catalana di Barcellona e la ristrutturazione dell’Istituto di cultura italiano a Tokyo. L’architetto Aulenti «Gae è il diminutivo di Gaetana, un nome che mi fu imposto da una nonna terribile, ma in casa sono sempre stata Gae» è stata una delle prime donne a emergere in un mondo molto maschile dove «la misoginia esiste ancora, ma fortunatamente sono aumentate le donne architetto. Della mia generazione – ricorda – eravamo solo in due: io e Cini Boeri». Se le si domanda come giudica le archistar risponde: «Sono il frutto dei nuovi linguaggi della comunicazione, io preferisco cercare l’essenza del progetto». In teoria non sarebbero nemmeno pericoloso: «Il brutto è che quando mi trovo nella giuria di un concorso ormai mi trovo davanti solo delle brutte caricature di Gehry». Di Zaha Hadid, prima donna a vincere il Pritzker, dice: «Mi piacciono la sua volontà e la sua determinazione, un po’ meno le sue architetture troppo astratte. Lei ha vinto il Pritzker, io il Praemium Imperiale, però c’è sempre tempo». Zaha Hadid, irachena cittadina britannica, è stata scelta come la vincitrice per il 2004; è la prima volta che una donna ha vinto nei 26 anni di storia del premio. L’architetto iracheno è stata capace di tradurre l’immaginazione in immagine, e l’immagine in architettura. Ha inseguito un principio, quello della fluidità, ed è riuscita ad applicarlo.

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KAZUYO SEJIMA HA VINTO IL PRESTIGIOSO PRITZKER “IL PREMIO NOBEL DELL’ARCHITETTURA”, NEL 2010, IN COPPIA CON RYUE NISHIZAWA Ha portato avanti il concetto che l’architettura deve poter essere capace di “infondere piacere” e ha lavorato per questo. I suoi progetti hanno cambiato il modo di percepire lo spazio urbano: non più una serie ordinata di edifici razionali, ma un organismo leggero e fluttuante. «C’è bisogno di spazi dove le cose possano contrarsi ed espandersi», dichiara. E così i suoi progetti sembrano perennemente in movimento, come il Museo nazionale delle arti del XXI secolo di Roma. “Fluidità” è forse la parola più importante in tutti i suoi progetti, che nascono da complessi sistemi di progettazione digitale, ma sono, sempre, intimamente legati all’origine del disegno a mano libera: «Il fluido dinamismo del disegno a mano libera è una fedele scelta per la mia architettura, che è allo stesso tempo guidata dai nuovi sviluppi del design digitale e intensificata dalle capacità manifatturiere». Un’altra donna vincente è Kazuyo Sejima, balzata agli onori delle cronache italiane per essere stata nominata direttore della Biennale Architettura di Venezia. Per la prima volta nel 2010 è stata una donna a guidare la Mostra internazionale d’architettura. «La Biennale deve essere tutto e ogni cosa- ha dichiarato Kazuyo Sejima in relazione alle sue idee sulla manifestazione- fondamentalmente inclusiva, in dialogo costante sia con chi la fa, sia con chi la guarda». Kazuyo Sejima è davvero un architetto di tipo nuovo, il suo modo di concepire l’architettura non presenta alcun tipo di continuità storica, anzi, citando le sue parole «un edificio è in definitiva l’equivalente del diagramma dello spazio utilizzato per descrivere astrattamente le attività quotidiane che vi si svolgono». Kazuyo Sejima ha vinto il prestigioso Pritzker “il premio Nobel dell’architettura”, nel 2010, in coppia con Ryue Nishizawa, socio dello studio Sanaa. 169


Dall’idea alla forma

Architette, poche ma buone Tante studentesse nelle facoltà, ma solo poche di loro riescono a imporsi sulla scena mondiale. Lorenza Minoli spiega perché il settore sia ancora saldamente in mano agli uomini di Tiziana Bongiovanni

Lorenza Minoli, architetto e scrittrice

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orenza Minoli da anni studia il rapporto tra donne e architettura. Ha fatto conoscere al pubblico italiano la figura di Margarete Schutte-Lihotzky, la prima donna architetto. Nel tempo si è occupata di progettazione di edilizia scolastica e residenziale e ristrutturazione d’interni. Tra i suoi progetti la riqualificazione “al femminile” di sedici edifici del quartiere milanese Tessèra. Architetto, quando passa tra quegli edifici, cosa prova? «Un po’ di dispiacere. Avevo ridisegnato quegli immobili razionalisti dando importanza al colore e sostituendo gli angoli retti con linee curve, appunto al “femminile”. Ma sono stati realizzati male e oggi sono degradati». Lei si è sempre interessata alla figura femminile, iniziando dai suoi studi. «Sì. Ho iniziato a studiare le donne nell’architettura subito dopo il periodo del femminismo. Volevo capire il nesso tra la forma dello spazio e la reputazione della donna nella società, approfondendo soprattutto le epoche antiche. Ad esempio, nel periodo preistorico, le figure femminili avevano carisma, ma derivava dalla considerazione delle divinità. Con l’introduzione del monoteismo e del patriarcato, si dissolse. Nella Grecia di Pericle, nel periodo di massima democrazia, le donne vivevano in spazi chiusi, riservati, separati dagli appartamenti degli uomini e sigillati dall’esterno con chiavistelli. Erano i ginecei: in queste “secrete” le donne non solo campavano, ma lavoravano, potendo uscire solo in certe occasioni». Come mai le donne sono giunte così tardi nel campo dell’architettura? «Perché è un campo che ha a che fare con la tecnica e la scienza. Le donne sono arrivate molto prima come pittrici e scrittrici. Nel campo prettamente scienti-

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Lorenza Minoli

fico, invece, le primissime laureate risalgono agli inizi del Novecento, tranne qualche donna un po’ speciale, chicche rare che potrei nominare». Le nomini. «Nel 1983 partecipai a una grande mostra a Palazzo Reale dal titolo “Esistere come donna”, la prima esposizione che si prefiggeva di ricostruire il percorso di uscita delle donne dal silenzio, dai luoghi chiusi, a partire dal Seicento. In particolare indagavo i salotti politico-letterari, un ambiente dove le donne iniziarono a essere critiche. In quest’ambito ho potuto apprendere della famosa dama del Salotto Blu, Madame De Rambouillet, la prima donna che prese in mano la matita e si mise a progettare il suo palazzo. Però le prime progettiste risalgono al Ventesimo secolo e alcune di quelle che conosciamo, come Gae Aulenti, sono successive alla seconda guerra mondiale». Un percorso faticoso. «Si sa, le donne devono fare sempre un po’ di più rispetto agli uomini per essere considerate. Comunque sia, anche se hanno fatto passi da gigante, soprattutto nel numero di iscrizioni alle facoltà di architettura e design - si parla di sorpasso rosa - a livelli più alti, ad esempio tra le “archistar”, di donne ce ne sono molto poche. Ricordo giusto Zaha Hadid». Quindi nel suo settore ci si fida ancora più degli uomini. nea | gennaio 2012

«A livello privato, della ristrutturazione del piccolo appartamento, no. Anzi, qui le donne sono più particolareggiate, più attente. Dato che a curare il restauro del loro appartamento sono sempre più committenti donne, il rapporto donna-donna facilita il lavoro. Nelle grandi costruzioni, però, i progetti sono tutti al maschile. Non è un discorso di fiducia, ciò è più semplicemente dato dal fatto che sono meglio inseriti nei luoghi di potere». Per merito suo l’Italia ora conosce Margarete Schutte-Lihotzky. Chi è e come l’ha conosciuta? «Grazie al bagaglio dei miei studi, attenti alla presenza o meno delle donne negli spazi pubblici, ebbi modo di assistere nel 1996 al Museo di Arte Applicata di Vienna a una grande mostra antologica dell’austriaca Margarete Schutte-Lihotzky. Io stessa che studiavo architettura non la conoscevo. Avevo visto alcuni suoi disegni in precedenza, ma non la riconoscevo perché venivano firmati con uno pseudonimo maschile. Ne fui meravigliata: era la prima volta che in una capitale si omaggiava, in un grande spazio espositivo, la prima donna architetto europea, l’antesignana della cucina moderna. Una donna che, nel periodo chiave del Funzionalismo, era giunta a sequenziare secondo principi ergonomici le operazioni che le donne compivano in cucina e,

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Dall’idea alla forma

MARGARETE SCHUTTE-LIHOTZKY PRESENTÒ A FRANCOFORTE, NEL 1926, IL PRIMO PROGETTO DI CUCINA MODERNA, QUELLA A PIANO CONTINUO, CIOÈ QUELLA CHE USIAMO ANCORA OGGI

con il fine di fargli risparmiare tempo ed energia, presentò a Francoforte, nel 1926, il primo progetto di cucina moderna, quella a piano continuo, cioè quella che usiamo ancora oggi. La Lihotzky poi, partecipando alla Resistenza contro il regime nazista, conobbe il carcere e fu svalutata e dimenticata anche in patria. Solo grazie a questa mostra curata da due attente e sensibili ricercatrici, il personaggio è emerso in tutto il suo valore storico nel campo dell’architettura e del design». Seguendo le orme della sua beniamina, anche lei si è dedicata a progettare qualcosa che avrebbe potuto essere rivoluzionario: la cucina autopulente. «Sì, nel 1983, con l’obiettivo di migliorare la condizione della donna in casa, avevo presentato un progetto in tal senso. Negli Usa già esistevano dei modelli. Io però lavoravo su due principi: i meccanismi di pulizia e le caratteristiche dei materiali, che dovevano essere anti-imbrattanti. Oggi in questi due settori l’industria è andata molto avanti: ci sono dei materiali che non assorbono più l’unto o le macchie. In base al fatto che la condizione di vita sa172

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rebbe stata molto migliore se i vetri fossero stati puliti, avevo disegnato delle case con grandi tergicristalli alle finestre che dovevano essere inseriti nei serramenti. Era lo stesso principio dell’automobile. Ma non sono andata avanti perché ero al di fuori dei grandi gruppi industriali». Le sue idee sono emerse in qualche modo? «Sì. La tendenza dell’industria è quella di rendere più semplice la manutenzione. Al pubblico sfugge, ma in un excursus storico le cose sono molto migliorate. Nel campo dello studio del materiali ora esistono delle formule simili. Storicamente le maniglie di ottone appena toccate lasciavano l’impronta; ora sono state sostituite dall’acciaio satinato, grazie al quale quasi non serve pulire la maniglia. Poi nei sanitari di qualità alcune ditte propongono finiture anticalcare. Poi c’è il corian, per i piani della cucina, che non assorbe i grassi, al contrario del marmo. Ma non è un discorso solo di materiali, è un discorso anche di disegno: una volta c’erano tante interruzioni di superficie che accumulavano lo sporco. Ora con un top continuo o un rubinetto unico anziché due, è più facile pulire».



Dall’idea alla forma

Progettualità ed estro Sono le due caratteristiche che, per Anty Pansera, ben rappresentano le donne designer. Anche se, spiega la studiosa, «alcune di loro, quando incontrano un cliente per la prima volta, lamentano di essere scambiate per segretarie o assistenti di un designer uomo» di Tiziana Bongiovanni

onne e design. Poche, ma buone. In una professione prettamente maschile, l’interesse e la passione verso il mestiere della progettista cresce sempre più. Il numero delle studentesse alle facoltà di architettura e ingegneria è in netto aumento. E architetti come Zaha Hadid sono un esempio indiscusso di successo internazionale. Ma per avere la stessa considerazione degli uomini, la strada è ancora lunga. Lo sottolinea anche Anty Pansera, storica e critica d’arte, docente di storia del design industriale all’Accademia di Belle Arti di Brera. Professoressa, lei è anche presidente della Facoltà del Design di Faenza. «Sì, è una carica a cui tengo molto. La Facoltà del Design di Faenza, con sede a Palazzo Mazzolani, è una delle quattro scuole pubbliche italiane per la formazione a livello universitario dei designer. Nata trent’anni fa per il design ceramico, con il passare del tempo ha ampliato l’offerta formativa al disegno industriale a tutto campo come il fashion design e il car design. Purtroppo però è ancora poco conosciuta, nonostante costi solo mille euro l’anno. L’iscrizione alla scuola è a numero chiuso: solo trenta accessi sulla base di un esame di ammissione, di cui un 10% di posti sono destinati all’Erasmus». E quali sono le prospettive occupazionali dopo la laurea? «Il tasso di occupazione dei nostri laureati è molto alto e il loro inserimento nel mondo del lavoro è as-

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Anty Pansera, docente di storia del design industriale all’Accademia di belle arti di Brera

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Anty Pansera

solutamente gratificante per la direzione e il corpo docenti. Faenza è poi una città piacevolissima, quasi un campus universitario». Lei è anche presidente di D come design, un’associazione di sole donne che punta alla valorizzazione della creatività femminile. «Sì, è un’associazione che opera ufficialmente da un paio di anni. È stata fondata da me, da Luisa Bocchietto e Loredana Sarti e a essa partecipano numerose altre amiche: la designer Valentina Downey, la storica Mariateresa Chirico e l’ingegnere Maria Augusta Fioruzzi. Miriamo a far sì che la progettualità e l’estro delle donne venga riconosciuto. In questo senso abbiamo già operato e stiamo operando su proposte che riguardano sia la ricerca storico-critica sul ruolo delle artigiane/artiste/designer, sia il social design. Ad esempio lo scorso aprile abbiamo ultimato la mostra “Nothingless”, con la rilettura di prodotti industriali fuori produzione». Ma quando ha iniziato a occuparsi di donne nel design? «Dal 1999 con la mostra “Dal merletto alla motocicletta”. Quel primo censimento, per costruire la rassegna e il catalogo, ha messo in luce come le donne impegnate nel mondo della progettazione non erano così tante nel secolo scorso come oggi. All’Accademia di Brera, al mio corso di Storia del design, la popolazione femminile è in netta prevalenza su quella maschile. A Faenza, invece, il rapporto è più equilibrato. A ogni modo, nel campo della progettazione contemporanea, la presenza delle designer è sempre più ampia, anche se alcune di loro, quando incontrano un cliente per la prima volta, lamentano di essere scambiate per segretarie o assistenti di un designer uomo. Insomma anche oggi, come ieri, per avere un ruolo e un riconoscimento bisogna essere più brave degli uomini e in tal senso assistiamo ad alcuni paradossi: alcuni designer uomini, come Fabio Novembre o Karim Rashid, si propongono facendosi fotografare nudi. Se lo facesse una donna si sentirebbe apostrofare con epiteti non certo lusinghieri e sarebbe magari tacciata di essere brutta e grassa anche se ha già mietuto consensi e successi». Quali sono i prodotti di design che hanno fatto epoca? «La storia del design industriale italiano inizia nel nea | gennaio 2012

IL TASSO DI OCCUPAZIONE DEI NOSTRI LAUREATI È MOLTO ALTO E IL LORO INSERIMENTO NEL MONDO DEL LAVORO È ASSOLUTAMENTE GRATIFICANTE

secondo dopoguerra, prendendo le mosse dal prodotto domestico, furniture design da una parte e car design dall’altra, fino a invadere, forse troppo, tutti i campi. Il design italiano è relativamente “giovane”, come un sessantenne ancora sulla breccia, alcuni prodotti hanno avuto più fortuna critica, di recensioni, che di mercato: spesso perché troppo innovativi e non capiti dal pubblico. Tra gli oggetti che sono indiscutibilmente delle icone ricordo la Vespa, lo scooter che con la Lambretta ha permesso agli italiani di ricominciare a muoversi; il letto Strips del 1972 di Cini Boeri, un ar-

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Dall’idea alla forma

TRA GLI OGGETTI CHE SONO INDISCUTIBILMENTE DELLE ICONE RICORDO LA VESPA, CHE CON LA LAMBRETTA HA PERMESSO AGLI ITALIANI DI RICOMINCIARE A MUOVERSI

chetipo, per Arflex. Sempre a lei si deve la poltrona Ghost per Fiam (1987) e da citare è il lavoro di Anna Castelli Ferrieri, che con il marito Giulio ha fondato l’azienda Kartell. Infine, da menzionare sono le innovazioni dell’ambiente bagno di Antonia Campi, con le sue forme innovative e i colori dirompenti. Antonia ha vinto il Compasso d’Oro alla carriera l’anno scorso, quasi a celebrare i suoi brillantissimi 90 anni». Come vede il futuro del settore? «Continuiamo a vivere in anni di grande complessità e le problematiche economiche hanno fatto sì che di ricerca se ne faccia meno, continuando troppo spesso a puntare su prodotti collaudati. L’innovazione che ha caratterizzato i decenni passati sta scemando: il comparto del mobile, uno dei settori trainanti per l’Italia, sta soffrendo di molta ripetizione e poco investimento». Quindi per i giovani che scelgono questo mestiere si prospettano difficoltà. «Certo, i problemi non sono da poco, anche per la troppo numerosa presenza di laureati in questo settore: aprire oggi uno studio è un bell’atto di coraggio. Ma un designer, oltre che ideare prodotti, deve o dovrebbe saper individuare ed elaborare anche il proprio percorso di lavoro. E se la speranza di un progettista è sempre stata ed è quella di progettare l’oggetto che non c’è, la sfida odierna è quella di individuare territori, o meglio nicchie, ancora non colonizzate ed intervenire in quello spazio operativo». 176

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Milano, la sua città, si conferma sempre la capitale italiana del design? «Milano è un punto di riferimento indiscutibile. Non dimentichiamo però che in Italia abbiamo tutta una serie di aree dove si lavora e produce molto e con successo: dal Triveneto, alle Marche, passando dall’Emilia Romagna, senza dimenticare Torino e il Piemonte». L’Italia invece, rispetto al resto del mondo? «Anche il nostro Paese continua ad essere un punto di riferimento. Per un designer venire in Italia, per studiare, fare un master, un’esperienza in uno studio o in un’azienda, è indispensabile (o è un sogno) come per gli uomini di cultura dei secoli passati fare il Grand Tour». E la Cina? «Una realtà da non sottovalutare. All’Accademia di Brera molti studenti provengono da altri stati dell’Unione Europea, in particolar modo dalla Serbia e dalla Croazia e stanno aumentando gli studenti coreani e cinesi, di solito figli di famiglie abbienti. Non mancano in Oriente facoltà del design, ma il fascino dell’Italia, della nostra storia, il mito del made in Italy resiste. E sono studenti molto attenti ed interessati, a volte più di quelli italiani, che danno per scontata la fortuna di potere, ad esempio, con un semplice viaggio in metropolitana, andare a visitare la collezione del design della Triennale o visitare il Salone del Mobile».



Influenze tra stili

L’architettura delle immagini Sara Bracco fotografa le emozioni. «Racconto tutto quello che il mio occhio ha visto». Recentemente ha vinto il primo premio alla XIV edizione di “IoEspongo”, il concorso che la città di Torino rivolge ai giovani artisti. di Tiziana Achino

La fotografia di Sara Bracco “One part lullaby, two parts fear” (Stoccolma), vincitrice del premio Giuria di qualità alla XIV edizione di “IoEspongo” a Torino


Sara Bracco

ara Bracco ha due passioni: immagini fotografiche e architettura. Sembrano settori molto differenti ma in realtà c’è un qualcosa che li accomuna. Architetto cuneese, si è laureata specializzandosi in Architettura del progetto, focalizzando l’attenzione negli ultimi anni di studio sul restauro e sul consolidamento statico, in specifico delle opere in muratura. La sua professione è stata affiancata dal vero e proprio amore per la fotografia perchè «tramite la fotografia a ogni attimo si può dare un tocco di specificità e trasformalo in espressione di un “Io”, materiale o umano» spiega. Oggi suddivide la vita tra la sua provincia natale e la città di Torino. Architettura e immagini insieme? «Stretta la correlazione tra architettura e fotografia al punto che in certi casi quest’ultima arriva a sostituire la vera e propria arte grafica, c’è poi quel forte legame che è lo spazio e l’esigenza per chi scatta, come per chi progetta, di non dimenticare a monte l’attenta analisi del contesto e del dettaglio. A tutto questo però la fotografia aggiunge il dopo, racconta una storia e un vissuto, imprime la convivenza tra le forme statiche e quelle in movimento. Ed ecco immancabilmente accadere la magia del mutamento: quello che su carta è un semplice insieme di strutture, scelte di materiali e di funzioni prende vita in uno scatto e il tutto accade in una frazione di secondo, cosi forte d’espressività e di vita e nello stesso tempo così labile; di fatto un attimo dopo quello che hai di fronte se stai veramente attento vedrai assumerà già un altro volto. Questa è la sfida, imprigionare il proprio attimo». Le fotografie del presente per un’utilità futura? «Fotografare non per documentare o catalogare, nessun nutrimento per la memoria ma come terapia di

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metabolizzazione degli stati reali, alla ricerca constante di un sentire o meglio di un “vedere un’emozione”. Non amo pensare a un dopo e questo non vuol dire non averne cura, prediligo fermarmi sul presente e lasciarmi raccontare da tutto quello che mi accade intorno. Ed ecco trovare anche in luoghi poco familiari il mio piccolo posto, la mia piccola realtà, qualcosa che non è mia ma sento immancabilmente di dover fermare, è un’emozione ed è come quello che ho di fronte all’obbiettivo o quell’istante in un certo senso mi stesse regalando una parte di se. Non scatto di fatto compulsivamente. Non cerco di accumulare, cosa che purtroppo ormai la società ci porta a fare, ma prendo e catturo quello che davvero sento mio e da qui la negazione a uno studio compositivo, a uno studio di scena e la piena accettazione dell’errore al punto d’enfatizzarlo». Si dice che lei “aggiunge qualcosa alla realtà e non la riproduce solamente”. «Per me l’importante non è riprodurre una realtà dettata dalle regole di composizione e di tecnica o imprigionarla in famigliarità di stili e nemmeno la forzata pulizia dello scatto, ma l’importante è raccontare tutto quello che il mio “occhio ha sentito”. Quella storia o quelle parole che immancabilmente sento legate a una fotografia prendono forma magari in un forzata sovraesposizione o nella scelta di sommare in uno stesso scatto due immagini. Quel qualcosa in più è forse proprio la non costruzione e l’ascolto di un luogo o di un contesto. Questa è la regola d’ordine con cui affronto la fotografia come l’architettura. È dare voce a quella frazione di spazio in cui sono, vivo, condivido, mi relaziono o lavoro; è lasciarsi dire qualsiasi sensazione che sia più o meno forte, silenziosa, di quiete o di armonia. L’importante è che ci sia uno scambio prima di tutto, prima di essere, ed ecco che accade il bello, quello meraviglioso legato alla soggettività». Obiettivi raggiunti e prospettive per il 2012? «Recentemente uno dei miei lavori ha vinto la XIV edizione di “IoEspongo”, concorso dedicato ai giovani artisti emergenti della città di Torino, ricevendo il premio giuria di qualità. Per il 2012 ho in progetto un paio di personali tra la città di Torino e provincia con alcune associazioni culturali e una galleria, oltre alla personale che si terrà proprio in occasione della vittoria di IoEspongo, con l’associazione culturale IoEspongo al Temporary Art Cafè». 179


Costruzioni

Tra edilizia e architettura

Diversificare l’attività, per ritagliarsi uno spazio importante in un settore, come quello edile, attraversato da una profonda crisi e caratterizzato da una competizione serrata. L’esperienza di Giovanna Orsini di Guido Puopolo

pere caratterizzate da uno stile semplice, ma allo stesso tempo imponente, in cui a fare la differenza è la cura meticolosa di ogni piccolo particolare. È questo il filo conduttore che fa da leit motive all’attività professionale dell’architetto

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fosse il momento per compiere il grande passo, e ho così costituito la SJ Orsini Costruzioni Roma Srl, che attualmente dirigo. In questi anni ho portato a termine la realizzazione di numerose opere di grande rilevanza, collaborando con importanti committenti sia nel settore

Giovanna Orsini, il cui studio di architettura, situato a Roma, è specializzato nella progettazione di grandi strutture, come centri commerciali, impianti sportivi, scuole, alberghi e ospedali. «Provengo da una famiglia di costruttori, e fin da piccola è stato per me naturale entrare in contatto con questo mondo». Dal 2006 lei è alla guida di una nuova società, la SJ Orsini Costruzioni Roma Srl. In quali ambiti opera prevalentemente? «Ho lavorato al fianco di mio padre per tantissimi anni, ricoprendo il ruolo di direttore tecnico all’interno dell’azienda di famiglia da lui fondata. Quando, nel 2006, lui ha deciso di lasciare l’attività, ho pensato che quello

pubblico che in quello privato». Il comparto edile, però, è stato uno dei più colpiti dalla crisi economica, tanto che ancora oggi fatica a uscire da una prolungata fase di stagnazione. Come ha influito questa situazione sulla vostra attività e quali misure avete adottato per far fronte efficacemente a questa particolare situazione? «Ho maturato un’esperienza tale che mi permette di operare nel settore edile e architettonico a 360 gradi. Credo infatti che oggi la diversificazione sia l’unica strada percorribile per non soccombere sotto i colpi della crisi. La mia attività spazia infatti dalla consulenza alla progettazione, fino ad arrivare alla costruzione vera

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Giovanna Orsini L’architetto Giovanna Orsini, con il padre Giuseppe. La SJ Orsini Costruzioni Roma Srl ha la sua sede a Roma www.colonyhotel.it

e propria e all’arredamento di interni, grazie anche alla collaborazione con interior designer di provata esperienza. Cerchiamo di offrire un servizio completo ed efficiente, sulla base delle specifiche esigenze di volta in volta manifestate dai nostri partner, con i quali operiamo da sempre sulla base di un rapporto di fiducia e collaborazione reciproca». Sempre in un’ottica di diversificazione del business, lei ha recentemente intrapreso una nuova avventura nel settore alberghiero e turistico, acquisendo la proprietà del Colony Hotel di Roma. Come giudica questa esperienza? «É stata una scommessa con me stessa, un progetto ambizioso ma allo stesso tempo molto impegnativo, al quale

mi sto dedicando con grande passione da tre anni a questa parte. Ho cercato di valorizzare al meglio la struttura esistente dell’albergo, migliorando in primo luogo arredi e servizi. Oggi l’hotel è una struttura moderna e accogliente, dotata di ristorante, area fitness, sale convegni e di tutti i più moderni comfort, indispensabili per far sentire i nostri ospiti come a casa loro. La sala ristorante, in particolare, aperta agli ospiti interni ed esterni all’albergo, è resa unica da un fantastico acquario con crostacei di tutti i generi, pronti a essere cucinati con creatività e ingredienti semplici, resi magici dalla fantasia dell’executive chef Nicola D’Auria». Quali sono, infine, le aspettative che la sua azienda nea | gennaio 2012

IN QUESTI ANNI HO PORTATO A TERMINE LA REALIZZAZIONE DI NUMEROSE OPERE DI GRANDE RILEVANZA, COLLABORANDO CON IMPORTANTI COMMITTENTI PUBBLICI E PRIVATI

ripone nel nuovo anno? «Pur all’interno di una congiuntura economica non facile, posso ritenermi soddisfatta di quanto fatto nel corso degli ultimi dodici mesi. Per la crescita dell’azienda il 2011 è stato infatti un anno molto significativo e ricco di soddisfazioni, che deve però essere considerato non come un punto di arrivo ma come un punto di partenza verso traguardi ancora più ambiziosi. Per questo guardiamo con interesse anche al mercato estero, dove stiamo ultimando un progetto davvero interessante al fianco di partner prestigiosi, e dove contiamo di consolidare la nostra presenza anche nel prossimo futuro». 181


Edifici storici

Conservare il passato, progettare il moderno Permettere a un edificio storico di ritrovare la propria bellezza inserendosi in modo naturale tra le costruzioni moderne. Ornella Vignolo Lutati, fa il punto sugli interventi di ristrutturazione di Emanuela Caruso

orino è una città che riesce a far rivivere le atmosfere del passato grazie a edifici e monumenti storici di grande valore. Capolavori del Barocco, del Liberty e del Neoclassico caratterizzano, infatti, da secoli il paesaggio urbano e da sempre attirano l’attenzione dei tanti architetti chiamati a restaurare, ristrutturare e conservare la loro bellezza. Per garantire la perfetta riuscita di questi interventi così delicati è necessario adottare alcune precise strategie,

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L’architetto Ornella Vignolo Lutati cosvil19@virgilio.it

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mirate non solo a recuperare il valore storico dell’edificio, ma anche ad ammodernarlo. Proprio di questo si occupa da quasi quarant’anni l’architetto Ornella Vignolo Lutati dello Studio di Progettazione e Ristrutturazione di Torino. «Per condurre interventi ottimali di ristrutturazione – spiega l’architetto Vignolo Lutati – è necessario sviluppare il lavoro ponendo grande attenzione e rispetto alle preesistenze, ovvero alla struttura antica dell’immobile, e alla tipologia ambientale e paesaggistica in cui si va a operare. Quando si ha a che fare con edifici storici, diventa essenziale progettare interventi conservativi di pregio, unico modo per essere certi di valorizzarne le caratteristiche e di integrare al meglio gli stabili con le architetture più attuali della città in cui sono inseriti». Fedele al motto “Conservare il passato, progettare il moderno”, l’attività dell’architetto Vignolo Lutati si occupa anche della progettazione e dell’arredamento di immobili destinati all’edilizia civile, industriale, terziaria e del “nuovo”. «Il punto di forza dello studio è la perfetta sinergia tra le diverse competenze. Componenti architettonico-strutturali, componenti normative e fasi di allestimento si integrano tra loro, consentendoci di offrire un servizio “chiavi in mano” del tutto rispondente alle varie esigenze». Tra le opere più significative portate a termine dallo studio, che opera sia a livello nazionale sia a livello europeo, vi sono «alcune suggestive baite in montagna e ville al mare, immobili di nuova costruzione a Torino, di cui è stato curato anche l’allestimento degli interni, la ristrutturazione di un antico edificio di fine 800 in Crocetta, e la ristrutturazione dello stabilimento e delle cantine dell’enoteca della Contratto e della Bocchino a Canelli».



Interni

Artigianalità tecnologica Una lavorazione esclusiva del materiale cellulosico, che ha reso possibile la creazione di tessuti dotati di notevole ricchezza cromatica e spettacolare luminosità. Barbara Targioni racconta da dove nascono i suoi tessuti intrecciati di Matteo Rossi

iberare i materiali dalle vecchie funzioni d’uso per inserirli in nuovi contesti trasversali, capaci di definire in tutta la loro varietà le caratteristiche uniche e irripetibili di uno stile di vita. È questa la mission della Ta-Bru Manifatture Toscane Spa, azienda di Signa specializzata nella produzione di tessuti in fibre naturali, come paglia, lino, juta e cotone, destinati non soltanto al mondo della moda ma anche a quello dell’arredamento. «L’azienda deve il

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nome a mio nonno, Brunetto Targioni, che alla fine degli anni 30 creò un piccolo laboratorio per la produzione di tessuti di paglia per cappelli e borse», spiega l’attuale titolare, Barbara Targioni. Quali sono le particolari caratteristiche dei materiali che rendono i vostri tessuti così ricercati sul mercato? «Qualità e innovazione rappresentano le nostre parole d’ordine. Siamo sempre alla ricerca di nuovi tipi di filati,


Barbara Targioni di nuove tipologie di rifinizione e di nuovi materiali da impiegare nelle nostre lavorazioni. Chi si rivolge a noi sa che i nostri articoli sono sottoposti a rigidi controlli durante tutte le fasi di lavoro, con la garanzia di poter disporre di prodotti totalmente made in Italy, creati e realizzati da personale altamente qualificato, forte di un’esperienza maturata in quasi settant’anni di attività». Quale riscontro sta avendo sul mercato la vostra produzione, anche alla luce dell’attuale crisi economica? «Per affrontare la difficile congiuntura economica in atto, abbiamo deciso di aggredire ancora di più i mercati già consolidati, cercando di migliorare e implementare la gamma di servizi offerti ai nostri partner “storici”. Questa si è dimostrata una scelta vincente, in quanto, almeno in Italia, siamo riusciti a rafforzare le nostre quote di mercato in tutti i settori di nostro interesse, dalla borsetteria al calzaturiero, fino ad arrivare all’arredamento. Di contro c’è stata però una contrazione dei nostri volumi d’affari sui mercati esteri, con particolare riferimento alla Grecia». Quali sono i vostri principali mercati di riferimento e quelli che oggi offrono le migliori opportunità? «Sembrerà strano ma, ora come ora, il nostro mercato principale è proprio l’Italia. In questi ultimi anni siamo infatti riusciti a sviluppare una buona conoscenza delle esigenze creative e commerciali dei nostri principali partner, anche se oggi guardiamo con grande interesse anche ai mercati esteri, con particolare riferimento a Cina e India. Qui, infatti, sono sempre più richiesti non

QUALITÀ E INNOVAZIONE RAPPRESENTANO LE NOSTRE PAROLE D’ORDINE soltanto prodotti finiti, come borse, scarpe e arredi vari, ma anche articoli semilavorati». Che ruolo ricoprono per voi gli investimenti in questo settore? «È ormai da diversi anni che investiamo buona parte del nostro fatturato nella ricerca e nello sviluppo tecnologico. Abbiamo cercato di fondere le moderne tecnologie con le tecniche di lavorazione artigianale che caratterizzavano la nostra attività fino ad alcuni decenni fa, in nea | gennaio 2012

Barbara Targioni, titolare della Ta-Bru Manifatture Toscane Spa di Signa (FI) www.tabru.it

un continuo confronto “generazionale”, che ha portato a una crescita non soltanto dell’azienda ma anche delle persone che vi lavorano». I vostri sono prodotti moderni, in linea con le esigenze attuali, anche in termini di impatto ambientale. In che modo, nello specifico, la produzione Ta-Bru risponde a queste specifiche necessità? «I prodotti Ta-Bru sono tutti altamente ecologici, in quanto la nostra filiera produttiva si basa esclusivamente sul mondo del naturale. Dalle materie prime ai prodotti per la tintura e per la rifinizione, fino ad arrivare ai materiali utilizzati per le varie accoppiature, tutto testimonia una grande attenzione alla tutela dell’ambiente, in sintonia con la filosofia ecological correct che rappresenta il futuro del nostro pianeta». Quale bilancio, infine, è possibile tracciare relativamente all’ultimo biennio di attività e quali sono le aspettative di Ta-Bru per il 2012? «Possiamo ritenerci moderatamente soddisfatti di quanto fatto negli ultimi due anni. Per il futuro intendiamo migliorare ulteriormente la nostra produzione, anche attraverso lo studio e la ricerca di materiali innovativi, con l’obiettivo di continuare a proporre al mercato articoli di grande qualità, nel solco di una tradizione che si tramanda ormai da quasi un secolo». 185


Interior design

L’anima degli spazi Chi disegna l’opera architettonica deve entrare in sintonia con il committente e comprendere come dare allo spazio l’anima di chi lo abiterà. L’esperienza dell’architetto Francesca Frendo di Luca Cavera

pplicare le ultime tecnologie al settore dell’interior design è diventato un obbligo. Questo soprattutto perché l’utenza si è fatta molto più esigente e informata. In modo particolare sui nuovi materiali ecocompatibili, sulla domotica in generale e sulle resine, che sono ormai entrate nella progettazione come elementi cardine. «Accanto a queste novità – spiega l’architetto Francesca Frendo – ci sono poi strumenti informatici avanzati che ci aiutano a eseguire e controllare il progetto in maniera molto precisa. Cad avanzati e programmi di rendering fotorealistico, che rappresentano la base della progettazione architettonica contemporanea». In che modo, nello specifico, viene organizzato il lavoro di ristrutturazione d’interni?

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L’architetto Francesca Frendo dello Studio Frendo di Napoli www.francescafrendo.it

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«È necessario seguire insieme al committente un percorso, che inizia e si conclude insieme nel rispetto dei ruoli e delle scelte. In questo senso l’architetto diventa lo spirito guida di questo percorso, che deve portare a un unico obiettivo: rinnovare lo spirito insito dell’opera architettonica, senza stravolgerla». Qual è il valore aggiunto che può essere dato all’architettura d’interni? «Bisogna capire immediatamente la psicologia del committente, così da interpretare al meglio le sue esigenze. E dare un contributo a livello di praticità degli spazi e contemporaneamente di empatia con ciò che viene richiesto. Quello che è necessario è un apporto importante, che derivi da un mix di eclettismo, sesto senso e praticità. Tutti e tre questi aspetti concorrono alla corretta riuscita di un buon lavoro». Cosa caratterizza i suoi progetti? «Sono tutti nati da grande dedizione all’architettura e soprattutto sono il frutto di un’attenzione continua, di ricerca di materiali, di studio dei colori e dei dettagli. Ci tengo ad applicare questi particolari sia alle piccole cose – come il design di un mobile – sia alla progettazione di un intero edificio o di una villa». Ha una fonte d’ispirazione fondamentale? «È necessario gettare sempre lo sguardo alla genialità e al modus progettuale dei grandi. Renzo Piano per l’architettura attuale. Le forme sinusoidali del grande Gaudì per l’architettura passata. Karim Rashid e Simone Micheli per l’interiors design. La cosa più importante, in ogni caso, è fare architettura nel rispetto di tutto ciò che ci circonda».



La riforma del condominio

La riforma non convince La proposta di modifica delle leggi riguardanti i condomini getta nuove ambiguità sulle norme già esistenti, mettendo in difficoltà gli amministratori condominiali. Il commento di Gisella Casamassima di Emanuela Caruso

a riforma del condominio posta all’esame del Parlamento non piace agli amministratori condominiali. Questi ultimi, infatti, vedono nelle proposte di modifica dei pochi articoli del Codice Civile sul condominio un ulteriore elemento di confusione e ambiguità, perché, invece di risolvere le difficoltà di applicazione delle leggi correnti e, di conseguenza, ridurre i contenziosi di natura condominiale, che rappresentano gran parte delle cause civili pendenti, il nuovo ordinamento proposto inserirebbe principi e regole che complicherebbero ancor più l’applicazione in concreto delle norme e la successiva interpretazione giurisprudenziale in caso di contenzioso. A spiegare come mai si stia verificando una situazione del genere è Gisella Casamassima, amministratore unico della società

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Ge.Sp. Gestioni Specializzate Srl di Roma, che si occupa proprio di amministrazione condominiali. «Purtroppo – commenta Gisella Casamassima – chi sta lavorando a questa riforma non considera le reali esigenze del condominio, bensì tutta un’altra serie di istanze che ricadono anche sul condominio, ma che non ne migliorano le dinamiche; si parla ad esempio di introdurre la personalità giuridica del condominio, di conciliazione preventiva obbligatoria, di obblighi e responsabilità ulteriori per gli amministratori che ne aggravano soltanto le attività senza peraltro migliorare i rapporti intercondominiali. Si acuirebbe anzi la necessità che l’interpretazione giurisprudenziale della Cassazione vada a supplire le carenze e le ambiguità legislative, come purtroppo già accade e spesso in maniera contraddittoria e non sem-


Gisella Casamassima Gisella Casamassima, amministratore unico della Ge.Sp. Gestioni Specializzate di Roma powermela@tiscali.it

pre in linea con il sistema» Può fornire qualche esempio di norme ambigue su cui si è svolta l’attività interpretativa giurisprudenziale? «Un esempio piuttosto chiaro può essere quello riguardante le tabelle millesimali, di cui la Cassazione ha dichiarato non essere più necessaria l’approvazione all’unanimità, andando così a ledere i diritti dei condomini. Un ulteriore caso è quello che vede il disconoscimento della responsabilità solidale tra i condomini, ovvero se un’impresa che ha svolto alcuni lavori in un palazzo non viene pagata, ora non dovrà più fare un decreto ingiuntivo al condominio e metterlo in esecuzione su uno qualsiasi degli appartamenti, ma dovrà ottenere dall’amministratore il piano di ripartizione delle spese e andare a colpire solo chi non ha pagato. Questo procedimento entra però in collisione con il diritto di privacy, in quanto la legge da un lato impone di proteggere i dati sensibili di una persona, dall’altro chiede di fornire

NON C’È CORRISPONDENZA TRA RESPONSABILITÀ E POTERE DELL’AMMINISTRATORE, QUESTO È IL VERO PROBLEMA DEL NOSTRO SETTORE PROFESSIONALE all’azienda creditrice nome e cognome dei morosi». Come si è avviata alla carriera di amministratore di condomini e quali attività svolge il suo studio? «Ho cominciato a lavorare nel campo durante i miei studi universitari di giurisprudenza, presso uno studio legale composto da vari avvocati, tra i quali uno svolgeva l’attività di amministratore di condomini. Affiancandolo nel suo operato per alcuni anni, ho imparato il mestiere e pian piano ho cominciato ad assumere in prima persona la gestione dei condomini, facendone una vera e propria professione. Oggi amministro 50 stabili, avvalendomi di tre dipendenti». Dopo tanti anni di attività, qual è secondo lei una delle maggiori criticità che deve affrontare un amministratore di condominio? nea | gennaio 2012

«La problematica più importante è data dal fatto che le responsabilità dell’amministratore non sono mai consequenziali al potere di cui dispone. Se, infatti, l’assemblea condominiale non delibera l’adeguamento alle normative, perché giudicate troppo onerose o non indispensabili, pur non avendo il potere di imporre all’assemblea l’esecuzione di quanto disposto dalla legge, l’amministratore ne è il diretto responsabile e su di lui cadranno quindi eventuali accuse e cause civili». A livello generale, come viene riconosciuta la professione di amministratore di condominio? «Di fatto, ancora oggi, nonostante per operare come amministratore condominiale sia necessaria una preparazione multisettoriale piuttosto vasta e complicata, non siamo riconosciuti come figure professionali, ragion per cui non abbiamo un albo a cui iscriverci, non godiamo di tutele sindacali e non disponiamo di un tariffario, di conseguenza, il compenso del nostro intervento viene deciso dalle leggi del libero mercato». C’è qualche possibilità di ottenere il riconoscimento della vostra professione? «Esistono associazioni riconosciute, come l’ANACI, l’Associazione Nazionale Amministratori Condominiali e Immobiliari, di cui fa parte la Ge.Sp. Gestioni Specializzate Srl che sottopongono gli associati a verifiche e controlli interni molto rigorosi e determinano quindi un riconoscimento come professionisti nel nostro ambito di riferimento». 189


Il comparto navale

Garantire il servizio a bordo Il comparto navale italiano allarga i suoi orizzonti e smette di essere prerogativa maschile. Il punto di Monia Bonaventura, della Mediterranea Marittima di Erika Facciolla

l settore navale italiano è tutt’altro che immune alla crisi ma, nonostante le difficoltà del momento, le prospettive di medio e lungo termine sono piuttosto incoraggianti. D’altronde, la nautica è uno dei fiori all’occhiello del made in Italy e se fino a pochi anni fa era considerata un affare per pochi privilegiati, oggi la clientela è sempre più vasta e differenziata. La società Mediterranea Marittima opera nel settore catering e delle forniture navali da oltre vent’anni. Le azioni sono in mano alla famiglia Bonaventura che dispone, nel porto di Civitavecchia, di un magazzino con deposito Cee dotato di celle frigorifere per la conservazione di alimenti freschi e surgelati, doganale privato, tabacchi e alcolici. Il personale della società vanta un’esperienza storica nel settore ed è in grado di assistere la clientela in tutti i porti del Mediterraneo. Ce ne parla Monia Bonaventura, titolare della Mediterranea Marittima. Quali sono i risultati ottenuti, anche in termini di fatturato, alla luce dei cambiamenti di mercato e della crisi economica? «Pensiamo che i cambiamenti, specialmente in un momento di crisi, insegnino ad essere pronti a nuove sfide. La nostra costante è il cambiamento, i nostri piani marketing, da circa quattro, anni hanno trovato il business del trading che ha risposto positivamente alle nostre aspettative registrando il sessanta per cento del totale del fatturato». Quali sono le strategie su cui puntate per presidiare il mercato? «Se non si è il leader, bisogna cercare di differen-

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Monia Bonaventura, titolare della Mediterranea Marittima di Civitavecchia www.mediterranea.com

ziarsi. L’azienda oggi è tra le realtà più importanti nel settore ship chandler. L’obiettivo resta sempre il settore yacht e megayacht/navale, in quanto il porto di Civitavecchia è ormai da oltre dieci anni tra i primi in Europa». Su quali progetti lavorerete nel corso del 2012? «A breve inizieranno i lavori per ospitare settecento megayacht e l’interesse della società è quello di intercettare le loro esigenze e riuscire così a non farli essere soltanto “di passaggio”: dobbiamo fare in modo che, scalando i nostri porti, rimangano qui».



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