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SOMMARIO

Editoriale.............................. 9 Marco Zanzi L’intervento ........................ 11 Sergio Marini In copertina........................ 12 Gioacchino Bonsignore La cultura del cibo ............ 18 Roberto Burdese Oscar Farinetti Interpreti del gusto ............ 26 Moreno Cedroni Luigi Taglienti Massimiliano Alajmo Massimo Bottura Paolo Lopriore Alberto Bettini Materie prime .................. 46 La castagna dell’Amiata La zucca Il tartufo Carmela Colaiacovo Il Bianco d’Alba Enrico Crippa L’eccellenza in mostra ........ 58 Museo del Gusto Politiche agricole ................ 62 Mario Catania Mario Guidi

22 Private label di qualità ...... 70 Giovanni Cobolli Gigli Agricoltura e territorio .... 74 Pasquale Russo Vini d’Italia ........................ 78 Luca Gardini Francesco Paolo Valentini Nicolò Incisa Della Rocchetta Valter Bera Dante Renzini Christof Tiefenbrunner Fabio e Walter Porasso Giovanni Cordero Di Montezemolo Felicino Bianco Maria Livia Manicardi Lorenzo Fasola Bologna Sergio Germano Sabina e Peter Heilbron Emilio Marconi Tatiana e Claudio Pulcini Giulio e Mirella Salvioni Roberto Moretti Salumi Dop ...................... 116 Valter Bordo Annibale Bigoni

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Salumi pregiati ................ 120 Mario Bortolotti Angelo Capitelli Luciano Pelucchini Angelo Capasso Raffaele Biancucci e Giorgio Ciani Matteo Refatto Walter Sosio Claudio Braito Bella Idea Foods David Rossi Pier Luigi Montorsi Massimiliano Castro Progetti per l’allevamento .. 146 Raffaele Abbattista Itinerari siciliani .............. 148 Leo Gullotta Mario Indovina Giuseppe Rosso O.P. Agrisicilia Gianni Nicosia Giuseppe Rosso Salvo Rosso Maria Marino Francesca Zito L’insolita guida ................ 172 Camilla Baresani Cucina romana ................ 176 Emilio Ferracci Carla e Patrizia Persiani Annibale Mastroddi Itinerari laziali ................ 184 Mauro Boccuccia Andrea Tariciotti Luigi Boccalari Mauro Benedetti Veruska Cardellicchio Franco Filotei

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La via delle acciughe ........ 198 Riccardo Abello Paola Gula Locanda Da Elisa

Luoghi del gusto ............ 310 Licia Giordani Sandra Masi Delio Sancisi Flavia Castroni Michele Amadei Claudio e Sabrina Piantini Letizia Valenzano Piergiorgio Ciana Claudio Faccini

A scuola di cucina ............ 204 Piercarlo Grimaldi Maurizio Beccafichi Fornelli in TV .................. 212 Alessandro Borghese Simone Rugiati Benedetta Parodi Cibo e arte ...................... 222 Gianluca Biscalchin Cibo e letteratura ............ 224 A tavola con gli hobbit Formaggi tipici ................ 226 Giulio Malgara Enzo Recco Giancarlo Panteghini Sergio Poletti Carla Occelli Damiano Contini Alessio Grosso Bruno Pitzalis Luigi Ghisini Cristian Del Fattore Mauro Preziosa Giovanni Nicola D’Ambruoso

78 Dolci itinerari .................. 256 Giuseppe Berardi Marco Andronico Federico Pizzoccheri Patrizia e Laura Righetti Andrea Busnelli Filippo Muzzi Mario Sole Marco Viriglio Paolo Gentilini Angelo Colapicchioni Maria Fermanelli Celiachia .......................... 280 Bruno Vassallo Spezie................................ 282 Paolo Bobbio Tradizioni artigianali ...... 284 Antonio Marella Roberto Orecchia Marcellino Parri Grani Antichi Angela Biga Fulvio Marino Alex Ariaudo Silvestro Semenzato Marino Carnali Guido e Luciana Remelli Fulvio Enrici Roberto Alpozzi Gabriella e Paola Nardo

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Tecnologie ...................... 331 Gabriella Emanuele Giuseppe Bravo

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EDITORIALE

meno zavorra per volare di Marco Zanzi

er fortuna c’è l’agricoltura. “L’arte di saper aspettare”, come l’ha definiva Riccardo Bacchelli nel Diavolo al Pontelungo e chissà se questa definizione è ancora valida. Ma andiamo ai fatti. Dall’annus horribilis dell’economia italiana emerge il dato positivo del “Primo settore”, il cui pil cresce dell’1,1 per cento (dato tendenziale) contro il -5,8 per cento dell’industria e addirittura il - 6,5 per cento delle costruzioni. Di più: nell’agricoltura le assunzioni crescono del 10,6 per cento. Queste cifre emergono dall’analisi dei conti economici trimestrali dell’Istat. Risultati buoni che se da un lato testimoniano del ruolo sempre più centrale che l’agricoltura sta assumendo nel sistema economico del nostro Paese, dall’alto non devono far dimenticare che ancora molti restano i problemi irrisolti in un panorama fatto di luci e ombre. Sta andando bene l’export dell’agro-alimentare che cresce del 4,7 per cento, una percentuale che supera il totale delle esportazioni nazionali (più 4,2 per cento). Però se si guarda al mercato interno lo scenario cambia. I consumi si riducono: penalizzato è soprattutto il settore ortofrutticolo. Cinque organizzazioni degli agricoltori (Confagricoltura, Cia, Confcooperative, Legacoop e Agci) hanno recentemente fornito dati preoccupanti su una crisi che parte da lontano ma che si è accentuata recentemente. Una famiglia su tre ha eliminato dal carrello della spesa frutta e verdura, che corrisponde complessivamente a 8,3 miliardi di tonnellate in meno. Gli italiani hanno meno soldi in tasca e considerano la frutta un “lusso” al quale si può rinunciare. A queste si sommano altre ragioni che hanno origini più antiche ma mai affrontate adeguatamente. Come l’eccessiva variabilità dei prezzi al consumo. O la scarsa educazione alimentare soprattutto tra le giovani generazioni. La riduzione dei consumi di prodotti ortofrutticoli infatti riguarda soprattutto i giovani dei quali più di uno su cinque li ha esclusi completamente dalla sua dieta. Mentre l’Organizzazione mondiale della sanità

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raccomanda un consumo giornaliero di frutta e ortaggi di 400 grammi a persona per ridurre i rischi connessi alle cosiddette “patologie del benessere” (obesità, malattie cardiovascolari…). Non stupisce quindi che anche in Italia si cominci già a parlare di un probabile imminente allarme obesità, con costi sociali alti, che già oggi è quantificabile in 65 miliardi di euro. Il settore ortofrutticolo deve quindi recuperare sulla domanda interna e contemporaneamente necessita di un piano di ristrutturazione che rilanci quella competitività necessaria per affrontare un mercato globale difficile ma allo stesso tempo con grandi potenzialità. Nei soli Paesi Bric la domanda di prodotti ortofrutticoli è passata in questi ultimi anni da 70 a 170 miliardi di dollari. L’agricoltura italiana ha la necessità di trovare un riferimento affidabile nelle istituzioni. Troppo spesso le aziende del sistema agroalimentare italiano si sono sentite non sufficientemente ascoltate, per esempio riguardo alla legge sull’etichettatura d’origine che non si riesce ad affermare a livello comunitario, o alla mancata introduzione di strumenti più efficaci nella lotta al made in Italy fasullo noto come “l’italian sounding”. Poi c’è una filiera troppo lunga che pesa. Le zucchine vendute dal produttore a 53 centesimi al chilo arrivano sui banchi di vendita a 2,25 euro (rilevazione 11 ottobre 2012 di Sms Consumatori Ismea), più del quadruplo. Se allo stesso tempo consideriamo i rincari dei mezzi di produzione (l’energia prima di tutto); la tassazione eccessiva; il costo del denaro e della burocrazia… il nostro produttore, per mettersi in tasca un euro, deve vendere 2 chili e mezzo di zucchine. Una follia. No, l’agricoltura non può più aspettare. È arrivato il momento di eliminare della zavorra e questo spetta alla politica e alle istituzioni in genere, perché le imprese agricole possano competere puntando con più convinzione sulle risorse che rendono il nostro Paese unico e migliore che sono i territori con le loro peculiarità culturali, agroalimentari, turistiche e culinarie.

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L’INTERVENTO

Un nuovo modello di sviluppo di Sergio Marini, presidente di Coldiretti

e il nostro tessuto sociale tiene e il Paese non è affondato, bisogna ringraziare non solo il buon senso degli italiani, ma anche il valore dei nostri imprenditori agricoli. Gli effetti della crisi si sono fatti sentire anche in agricoltura. Il boom dei prezzi delle risorse energetiche, carburanti in testa, ha fatto da ulteriore traino a un generale aumento dei costi di produzione. E non dimentichiamoci tutti i disagi determinati dai cambiamenti climatici. Nonostante il momento di grande difficoltà, nonostante i redditi bassi, l’agricoltura è però uno dei pochi settori sui quali l’Italia può fare affidamento per il proprio futuro. Lo dimostrano innanzitutto i dati. Aumenta il numero di imprese, il valore dell’export è ancora a due cifre, crescono le assunzioni (+10,6 per cento nel secondo trimestre 2012). E molti giovani tornano in campagna per scelta di vita. L’agricoltura italiana è prima al mondo per valore aggiunto per ettaro. Siamo i maggiori produttori di cibo a denominazione di origine, siamo i primi in Europa per la sicurezza alimentare. Abbiamo conservato un paesaggio fra i migliori al mondo e l’Italia, dove è brutta e inquinata, non lo è certo per colpa degli agricoltori. Nel settore agroalimentare vantiamo una classe di imprenditori che meriterebbe una medaglia al valore per ciò che ha fatto, magari ci fossero stati anche nel settore industriale di questo paese. È tempo però di decidere quale debba essere il modello di sviluppo capace di tirarci fuori dalla

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crisi. Se vogliamo giocare la partita sulla produttività e sui costi di produzione, perdiamo. Se invece aggiungiamo creatività, paesaggio, storia, tutto ciò che di bello e unico abbiamo in questo Paese, possiamo vincere. Noi tutti questi valori li mettiamo nei nostri prodotti agroalimentari. Made in Italy non significa solo prodotto buono, ma significa anche cultura, storia, paesaggio, sicurezza alimentare. Sono valori immateriali, ma etici, a cui i consumatori tengono conto. I nostri mercati degli agricoltori di Campagna Amica, le nostre botteghe stanno creando nuove economie e nuova occupazione rappresentando, nel contempo, un formidabile strumento di coesione e animazione sociale oltre che di educazione alimentare. Ciò perché ricreano un legame profondo tra consumatore e produttore, tra il luogo di consumo e il luogo di produzione. Partendo dalla distintività, la filiera agricola italiana fa sì che questa diventi non solo la grande leva competitiva per le imprese, ma anche la grande occasione di star meglio per la gente. Gli italiani hanno compreso che il mangiare è un atto che va molto oltre il nutrirsi. Dentro al mangiare c’è un bel pezzo della qualità della vita. Se vogliamo misurare se un paese sta avanti o indietro, non basta il Pil, ma anche il benessere, cioè lo stare bene con se stessi. È importante il mangiare buono e sicuro, ma contano i valori che sono nel cibo. E certi valori valgono più dello spread.

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IN COPERTINA Gioacchino Bonsignore

IL CALORE DEI GUSTI D’AUTUNNO LA CUCINA È VALORE D’INSIEME, UNIFICANTE. E PER LA STAGIONE PIÙ RIGIDA GIOACCHINO BONSIGNORE CONSIGLIA DI RISCOPRIRE MINESTRE REGIONALI E VINI PIÙ STRUTTURATI

di Teresa Bellemo

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Gioacchino Bonsignore, giornalista e conduttore della rubrica del Tg5 Gusto


IN COPERTINA Gioacchino Bonsignore

empo di vendemmie e di prime brume, l’autunno. Nonostante la stagione sia preludio dell’inverno, porta con sé sapori e profumi particolarmente ricchi e interessanti. Castagne, funghi, zucche e, con le prime giornate fredde, zuppe, minestre e tutti quei piatti più complessi che hanno bisogno di una temperatura più rigida per essere davvero valorizzati. Lo stesso discorso vale per i vini. Anche se per quelli della vendemmia 2012 l’attesa è necessaria, questo non significa che i produttori non aprano le proprie porte a chiunque abbia voglia di assaporare un buon bicchiere di vino. È questo il periodo migliore, infatti, per vacanze brevi, weekend all’insegna del gusto e dell’incedere lento. Le mete possono essere quelle note, e per questo di sicuro successo, come il Chianti, ma in qualche caso possono cambiare, magari puntando verso zone più sconosciute e meno gettonate e magari più belle perché più intime. Sono questi i consigli di Gioacchino Bonsignore per un autunno da vivere. Ideatore e volto di Gusto, la rubrica che chiude ogni edizione delle 13 del Tg5, conoscitore del buon cibo e degli itinerari caratteristici, ogni giorno con il suo programma

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porta lo spettatore verso un nuovo viaggio. Le mete possono essere le cucine più note e stellate o la riscoperta dei piatti più legati alla tradizione del territorio. Il viaggio di oggi ci porta nel bel mezzo dell’autunno, dentro i suoi sapori e in giro per l’Italia, a caccia di ottimi vini, percorsi inediti e piatti da rifare assieme, in famiglia. Quali sono i sapori più tipici della stagione autunnale? «Certamente stiamo entrando nel momento dei funghi e delle castagne, sono questi prodotti che evocano un certo tipo di atmosfere tipicamente autunnali, ma ce ne sono tanti altri, come molte verdure dell’orto, i broccoli ad esempio. Sopra tutti rimangono loro, funghi e castagne, magari con una spruzzata di tartufo». Un piatto e un ingrediente dell’autunno da riscoprire? «Andrebbero riscoperti tutti quei piatti che non vengono più fatti nei ristoranti ma che possiamo ancora trovare nelle case, preparati da quelle nonne e da quelle mamme che portano avanti la cucina delle origini. Molto spesso, infatti, le cucine dei grandi ristoranti tendono a trascurare i piatti della tradizione. Penso ad esempio alla Sicilia e alla sua minestra di te-

nerumi (le foglie e i fiori di una particolare specie di zucchina), tipica del Sud. Se vogliamo spostarci al Nord, penso alla cassoeula della Lombardia, che ormai non fa più nessuno e per forza si deve mangiare a casa». Vini e specialità gastronomiche. Dal nord al centro e fino al sud, quali ci danno un assaggio di autunno? «Partendo dal Nord, inizierei certamente con un risotto al tartufo e lo abbinerei con un Barolo, oppure un risotto ai funghi porcini abbinato a un Valtellina superiore, o anche uno alla zucca insieme a una buona Bonarda. Per quanto riguarda il Centro penso a delle grandi minestre, come la famosa minestra romanesca broccoli e arzilla (la razza), perfetta con i vini tipici dell’entroterra laziale robusti e corposi, come un Frascati Superiore. Infine, arriviamo al Sud, ancora in Sicilia, dove possiamo immaginare un grande piatto di legumi, un macco di fave (una crema di fave) o anche una pasta e fagioli insieme a un buon bicchiere di Nero d’Avola». I weekend di questo periodo si prestano molto a mini-vacanze e gite fuori porta. Quale itinerario consiglierebbe per ri-

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scoprire i profumi stagionali? «Non possiamo dimenticare i grandi itinerari che ci offre la Toscana, con il suo Chianti, sia sul versante fiorentino che su quello senese. È un territorio che in autunno, e non solo, ci offre sapori straordinari come la ribollita e altri piatti che richiedono temperature abbastanza rigide proprio per la loro struttura importante. Credo, però, che ogni tanto sia utile anche osare e visitare territori poco conosciuti. Penso all’Irpinia, zona poco frequentata ma meravigliosa dal punto di vista enogastronomico, dove si producono grandissimi vini. Qui, infatti, è presente una grandissima selezione di Aglianico e ottimi piatti della tradizione. Un’altra meta autunnale

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potrebbe essere l’Abruzzo, con i suoi grandi casali dove si producono formaggi straordinari, senza dimenticare il Montelpulciano, un vino che ormai ha raggiunto i vertici della grande sommelleria mondiale». Qual è il segreto della rubrica enogastronomica Gusto? «Sicuramente la continuità, ma anche un certo rigore e un grande rispetto per il pubblico. Cerchiamo di far vedere cose che siano sempre alla portata dei nostri spettatori, che siano vicine alla loro sensibilità. Cerchiamo di non cadere mai nella spettacolarizzazione della cucina, come invece in questi ultimi anni è tanto di moda; lo facciamo perché non vogliamo in-

Molto spesso le cucine dei grandi ristoranti tendono a trascurare i piatti della tradizione

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IN COPERTINA Gioacchino Bonsignore

Il cibo vale a tutte le latitudini e include storia, cultura e tradizione: noi siamo quello che mangiamo

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gannare i nostri spettatori per un po’ di audience in più. Il nostro programma serve a dare alla cucina quel senso che a mio parere deve avere: la capacità di riscoprire e ricordare le nostre tradizioni. La cucina è il momento unificante della famiglia, il momento in cui si riunisce attorno alla tavola. Per i genitori è l’occasione di trascorrere qualche momento lieto insieme ai figli facendo qualcosa insieme, ad esempio cucinando e dividendosi i compiti ai fornelli. Insomma, i valori veri della cucina non sono solo quelli del mangiare e meno ancora quelli dello show televisivo, ma sono proprio quelli vicini alla famiglia».

Come si è avvicinato a questo interesse? «Innanzitutto per una mia curiosità personale. Credo che il cibo sia uno dei lati più importanti della nostra esistenza, insieme alla spiritualità, lo sport, la cultura. Il cibo, se inserito in questo insieme di categorie, assume una valenza ancora più importante. Credo che il cibo ci possa raccontare una delle tracce umane più importanti, è un creatore di senso dell’esistenza di tutti noi. Un discorso che vale a tutte le latitudini e include storia, cultura e tradizione: noi siamo quello che mangiamo».

Ci saranno delle novità nel programma? «Non delle vere e proprie rivoluzioni; continueremo a lavorare come abbiamo sempre fatto. Ad esempio, riprenderemo sicuramente i grandi temi autunnali. In questi giorni siamo stati a trovare un grande chef campano che lavora in Lombardia, Ilario Vinciguerra, che in qualche modo incarna quello che abbiamo detto finora: la capacità di unire le tradizioni e il proprio sapere insieme alle tradizioni di altre zone d’Italia. La cucina è un grande fattore unificante del Paese».

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La rivoluzione parte dalla terra FIN DALLE SUE ORIGINI, SLOW FOOD INVITA AD ABBINARE IL PIACERE DEL CIBO A SCELTE ALIMENTARI ATTENTE ALLA PIANIFICAZIONE AGRICOLA TERRITORIALE. PAROLA A ROBERTO BURDESE

di Giacomo Govoni Gusto • 18

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LA CULTURA DEL CIBO Roberto Burdese

l pianeta del cibo e della gastronomia non possono prescindere da chi lavora la terra, da chi trasforma ogni giorno la natura in cultura. Alla promozione di questo nuovo paradigma alimentare, si consacra da anni l’impegno di Slow Food al Salone del Gusto, in programma a Torino a fine ottobre. Un modello in cui «non è il mercato a stabilire ciò che mangiamo – spiega Roberto Burdese, presidente di Slow Food Italia – ma una scelta di gusto, dettata dal progressivo avvicinamento del consumatore al mondo della produzione». “Cibi che cambiano il mondo” è lo slogan che celebrerà il sodalizio fra

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Le scelte alimentari che facciamo determinano la qualità dell’ambiente, della nostra salute e delle nostre comunità Salone e Terra Madre in questa edizione della kermesse torinese, che ospiterà anche il sesto congresso mondiale del movimento fondato da Carlo Petrini. Proprio il patron di Slow Food, in un intervento a Bruxelles della scorsa primavera, ha invocato la riscoperta della “sovranità alimentare”, rigettando la visione settoriale del tema agricolo.

Quanto l’adozione di una simile “forma mentis” sarebbe in grado di incidere sulle sorti della crisi globale? «Noi abbiamo cominciato a elaborare riflessioni sulla sovranità alimentare già prima dell’avvento della crisi. La necessità di sviluppare nuove visioni ci giungeva da un modello economico senza pro-

Sopra, Roberto Burdese, presidente di Slow Food Italia

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LA CULTURA DEL CIBO Roberto Burdese

spettive di lungo termine come quello in cui abbiamo vissuto negli ultimi 50 anni. Questa visione significa sostanzialmente ridare centralità al cibo, che in fondo accomuna la vita di tutti tre volte al giorno. In base alle scelte alimentari che facciamo determiniamo la qualità dell’ambiente, della nostra salute e delle nostre comunità». Nell’ambito delle nostre abitudini alimentari, quali buone pratiche possiamo adottare? «Cambiando il nostro approccio al cibo s’innescano una serie di meccanismi che attraverso, ad esempio, il consumo di cibi locali di stagione, magari servendosi direttamente dai produttori, consen-

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tono di fare piccole economie molto utili in questo periodo. All’interno delle nostre diete e compatibilmente con la disponibilità economica, poi, possiamo ridurre la carne e fare in modo che quando la si mangia sia di qualità migliore. O ancora, destinare una parte del budget per la spesa ai legumi, di cui il nostro Paese è ricchissimo, significa far del bene alla nostra salute con proteine e vegetali, prima ancora che all’ambiente. Sono solo alcuni dei suggerimenti che possiamo dare». Per ulteriori consigli, il prossimo appuntamento utile sarà Torino, dunque. «Proprio così. Il Salone del Gusto e Terra madre è un grande evento

dove tutta la rete di soggetti coinvolti e le nostre proposte verranno presentate al pubblico. I visitatori troveranno lì la cassetta degli attrezzi da usare a casa». Quali altre iniziative avete in programma per favorire l’accorciamento della filiera produttore-consumatore? «Noi abbiamo una serie di iniziative permanenti. Ad esempio, i 20 mercati della Terra in giro per l’Italia dove pratichiamo la vendita diretta attraverso artigiani e contadini produttori. Un’altra attività è quella formativa, con corsi per i nostri soci: dalla degustazione del vino alla conoscenza dell’olio e della carne fino a corsi di

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LA CULTURA DEL CIBO Roberto Burdese

spesa quotidiana. Poi ci sono i grandi appuntamenti, come la conferenza a Bruxelles sulla riforma della Pac, di pochi giorni fa, a cui abbiamo partecipato perché è proprio dalla politica agricola che parte il meccanismo che arriva sulle nostre tavole». Dall’inizio della crisi, vi siete accorti che la gente è più sensibile alle vostre istanze? «Certamente sì. Proprio a partire dal 2007 abbiamo notato che non solo nella gente, ma anche nei media e nella politica ancorché lontana da comprendere la complessità della questione, l’attenzione intorno a noi stava crescendo. Lo vediamo anche nella partecipazione ai nostri

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eventi, nel numero di persone che si avvicinano all’associazione in cerca di risposte nuove che noi dal 2002 stiamo tentando di dare». Mangiare è innanzitutto una questione di educazione. In quest’ottica, come s’inserisce l’esperienza dell’Università di Scienze gastronomiche e quali risultati ha dato finora? «Quando parliamo di educazione alimentare lo facciamo partendo dalle scuole elementari, dove facciamo gli “Orti in condotta”, fino ai corsi per gli adulti. E poi nel 2004 ci siamo inventati l’università perché riteniamo che il mondo del cibo abbia bisogno anche di un’istituzione accademica che non sia una scuola di

cucina o la facoltà di agraria, ma debba essere al centro di un sistema complesso che tocca economia, agricoltura, socialità, medicina, ambiente, cultura, antropologia ecc. Un’esperienza straordinaria e con un potenziale di espansione enorme, perché ormai i nostri studenti arrivano da tutto il mondo. Già oggi i laureati nei master della nostra università trovano lavoro nelle comunità agricole in Kenya, piuttosto che nelle grandi industrie nazionali e portano questa nuova visione. Il cambiamento passa anche da giovani che non hanno solo passione, ma anche competenze scientifiche per rendere più veloce questa rivoluzione di cui abbiamo bisogno».

Nella pagina precedente, “Orti in condotta” che coinvolge le scuole; sopra, uno dei Mercati della terra che Slow Food organizza nelle città italiane

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Il tempio delle

eccellenze EATALY SBARCA ANCHE A ROMA. OSCAR FARINETTI, A POCHI MESI DALL’APERTURA DELL’ULTIMO DEI 19 CENTRI SPARSI IN TUTTO IL MONDO, DESCRIVE L’ARMONIA DI UN LUOGO DOVE NULLA È LASCIATO AL CASO, CONVINTO CHE SOLO LA BELLEZZA «SALVERÀ L’ITALIA»

di Renata Gualtieri

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LA CULTURA DEL CIBO Oscar Farinetti

li italiani non nascono come un popolo attento alla qualità e all’eccellenza dei prodotti, ma oggi sempre più le persone che si alimentano con consapevolezza e s’interrogano sulla qualità, la provenienza e la lavorazione delle materie prime e non si limitano a prestare attenzione solo alle cose che mettono fuori dal loro corpo, dagli orologi ai telefoni alle automobili. «Il ruolo di Eataly in questo cambiamento culturale – ricorda il fondatore Oscar Farinetti – è stato senza dubbio incisivo».

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Che partecipazione sta riscuotendo l’attività formativa, attiva sin dall’apertura del primo punto vendita? E come viene utilizzata la didattica per diffondere la cultura gastronomica e l’educazione alimentare ai pensionati e rendere i bambini consumatori

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consapevoli? «È un’attività svolta su vari livelli. La mattina è dedicata ai bambini con corsi di alimentazione culturale gratuita rivolti alle scolaresche. Si parte delle cose più semplici, ad esempio s’insegna a non mangiare frutti fuori stagione, fino ad arrivare alla storia, cultura e tradizioni del proprio territorio, convinti che l’educazione che s’impartisce ai bambini abbia riflessi anche sulle famiglie. La sera diamo spazio ai pensionati: con “Piatti ricchi con ingredienti poveri” insegniamo a cucinare la buga che costa 3 euro al kg o le sardine che ne costano 4 anziché un branzino che è molto più costoso, spieghiamo cioè che si possono fare piatti molto gustosi anche senza spendere molto. Accanto a questi corsi gratuiti che registrano una grande partecipazione - l’anno scorso a Torino sono stati coinvolti 2.500 bambini e a Roma pensiamo di ar-

rivare addirittura a 6.000 - sono attivi corsi di educazione alimentare a pagamento per adulti sui fondamentali della cucina e corsi più specifici o monotematici su singoli prodotti. Sono tutte iniziative di grande successo con oltre 320 corsi didattici dal 3 settembre al 15 dicembre».

Oscar Farinetti, fondatore della catena Eataly

Cosa differenzia un piatto economico da uno di qualità,

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LA CULTURA DEL CIBO Oscar Farinetti

anche in termini di costi? «Il vantaggio del cibo è che si può esagerare. Tra un piatto di pasta industriale e uno fatto con pasta artigianale di Gragnano la differenza è di 20 o 30 centesimi e così tra un riso normale e un grande Carnaroli. Dove la differenza è ampia si può colmare con la quantità, cioè invece di mangiare 6 fette di salmone affumicato industriale si può mangiare una trota affumicata. Costa il doppio ma se ne mangi 3 fette si spende la stessa cifra. Esistono grandi gap nel vino e nei liquidi, ma per tutti gli altri prodotti la differenza è minima». Qual è il ruolo di Slow Food all’interno della vostra mission? E come si riesce a garantire la qualità dell’attività gastronomica dalla produzione, alla distribuzione, al consumo? «Il ruolo di Slow Food è molto importante. A livello strategico ci aiuta a indirizzarci nella missione

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del buono, del pulito e del giusto; a livello tattico è una squadra formata da ragazzi che garantiscono un impegno continuo per trovare i fornitori giusti, buoni e puliti, ci aiutano cioè a creare la cosiddetta griglia e ci supportano nell’attività didattica sia a Torino che a Roma». Ogni spazio Eataly è dedicato a un valore metafisico. A Torino l’armonia, a Genova il coraggio, a New York il dubbio. A Roma invece come avviene il percorso all’insegna della bellezza? «Avviene su tre livelli: la bellezza dell’agroalimentare, all’interno della quale facciamo vedere come nasce il cibo e ospitiamo la fabbrica di produzione della mozzarella mista o la birreria a vista, la zona della pasta fresca con le sfogline, il retro della macelleria e della salumeria dove si può veder come si disossa un prosciutto, il retro della pescheria dove si assiste

all’apertura di un pesce spada; il tutto è sempre accompagnato dal racconto e la didattica. Il secondo livello è rappresentato dalla bellezza della musica, perché mandiamo continuamente video di grande musica italiana. Infine c’è la bellezza della grande arte italiana, con l’esposizione di quattro Modigliani autentici installati negli spazi del ristorante. La celebrazione dunque della bellezza e l’armonia che c’è in un luogo dove si può star bene». Come si uniscono nello spazio di Roma arte, cibo e satira? «Alla perfezione. La satira fa parte dell’ironia, una qualità fondamentale di noi umani che, se è abbinata ad altri valori come l’orgoglio, ci fa diventare molto italici. Abbiamo ospitato una mostra che si intitola “Mangiarsi l’Italia” dove ci sono tutte le vignette satiriche dal 1858 a oggi e s’intrecciano alla perfezione cibo e politica».

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Photo - Francesca Brambilla & Serena Serrani


INTERPRETI DEL GUSTO Moreno Cedroni

Nel regno dei sapori AMA GIOCARE IN CUCINA E NEI SUOI PIATTI SI NASCONDE LO SPIRITO DI UN BAMBINO. LO CHEF MORENO CEDRONI ESPRIME LA SUA VOGLIA INSTANCABILE DI ESPLORARE IL GUSTO

di Renata Gualtieri a Madonnina, Anikò, il Clandestino, il Clandestino Milano e Officina sono tutti locali aperti da Moreno Cedroni, sintomatici di una mente in continua evoluzione «perché le idee generano idee». Su tutte l’affascinano le cucine di Giappone, Spagna e Nord Europa e assaggiare piatti di altri Paesi e scoprire nuovi ingredienti porta lo chef a «provare, sperimentare e ancora riprovare, è questo il segreto dell’innovazione». Con il Giappone nel cuore interpreta il concetto di susci, ovvero un modo innovativo di reinterpre-

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tare il pesce crudo «che parte come imitazione dell’idea tradizionale del sushi giapponese per diventare, più tardi, un vero e proprio studio indipendente». Il regno del suo susci è il Clandestino Susci Bar a Portonovo, diventato una vera e propria fucina di idee sulla cucina senza fuoco.

il nome, sono al primo posto. E con materie prime normali potrò fare piatti normali e non eccezionali, il mio lavoro è quello di esaltarle: se metto insieme due prodotti la loro somma non sarà 2 ma dovrà diventare 3, questo grazie alla sensibilità e al talento che alimentano la creatività».

Pesce e verdura, selvaggina e pesce. Che importanza hanno le materie, come vengono esaltate nei suoi piatti e come si combinano con la sua creatività? «Le materie prime, come indica

Dopo il susci all’italiana o quello a colori e quello selvaggio, ora arriva il susci “favoloso”. Cosa si nasconderà dietro questa creazione? «Si nasconde il mio spirito di bambino, ispirarmi a sette fiabe ha

In apertura, lo chef Moreno Cedroni

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Marco Cappannini


Brambilla & Serrani

Michele Tabozzi

Michele Tabozzi

INTERPRETI DEL GUSTO Moreno Cedroni

• alimentato la mia giovinezza interiore. Giocare con Pollicino e trasformarlo in un gusto simil piadina con erbe e salsiccia o fare l’uovo nero, nel caso del brutto anatroccolo, rendono molto bene la mia voglia instancabile di esplorare il gusto». Ci saranno altri piatti ispirati al mondo delle fiabe? E come possono convivere gioco e tecnica? «Più è alta la tecnica più è possibile giocare. Giocare con il gusto non è facile, le cose che faccio devono essere mangiate e devono essere buone, quindi, giammai il gioco fine a se stesso e non unito a vibrazioni delle papille gustative».

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All’Officina spazio a confetture, sughi e conserve di pesce. Quanto c’è da scoprire nelle tecnologie dell’industria alimentare? E che fonte rappresentano per la sua continua spinta all’innovazione? «Sembra strano ma aveva già scoperto tutto Pasteur nei primi del Novecento. La lunga scadenza, l’immortalità del cibo, mi hanno esaltato e anche lì ho cercato di ottenere il meglio dall’ingrediente anche se lo mangerai tra 5 anni». Che influenza ha il legame col territorio sui suoi piatti? E che patrimonio rappresenta?

«Il legame con il territorio è stato fondamentale per la mia crescita professionale. E lo è tuttora che giro il mondo portando ricette, sapori e profumi della mia terra, mi sento ambasciatore della mia terra. Nelle Marche si mangia bene, ci sono ricette tradizionali buonissime, e proprio da quelle ho iniziato le mie prime sperimentazioni sul crudo».

In questa pagina dall’alto Clandestino esterno; in basso, da sinistra, Anikò e Madonnina. Nella pagina precedente ostrica con panna acida e scalogno

Quali dei prodotti dell’autunno non possono mancare nel suo menù? «Cardo gobbo, carciofi, castagne, cachi, broccoli, tartufo bianco: niente male come carrellata d’ingredienti».

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Leggerezze d’autunno I PICCOLI PARTICOLARI FANNO GRANDE UN PIATTO. LA FILOSOFIA DELLA CUCINA DI LUIGI TAGLIENTI CONSISTE NELLA CONTINUA RICERCA DEI PRODOTTI PIÙ RICERCATI DEL MADE IN ITALY

di Nicolò Mulas Marcello

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INTERPRETI DEL GUSTO Luigi Taglienti

a ricerca delle materie prime di qualità è una delle principali caratteristiche della cucina di Luigi Taglienti, nuovo chef del Trussardi alla Scala nel cuore di Milano. Nonostante la sua giovane età, Taglienti vanta importanti esperienze grazie alle quali riesce a fondere con estrema armonia e coerenza il territorio, la tradizione e l’innovazione. L’ispirazione arriva dalle storiche ricette della grande cucina classica italiana e francese - abilmente rese attuali tramite tecniche d’avanguardia - con un’attenzione maniacale a tutti i piccoli prodotti che, per quanto possibile, sfuggono al processo di globalizzazione e che appartengono alla cultura gastronomica italiana.

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In cosa si rispecchia la filosofia della sua cucina? «La mia filosofia si basa sulla ricerca continua degli elementi, quindi della materia prima e di tutti quei prodotti che caratterizzano il made in Italy. Ricerca che riguarda non solo il nostro lavoro quotidiano ma anche quello di chi crede nella terra e

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nei piccoli prodotti. Questo nei limiti del possibile in quanto il nostro ristorante è in centro a Milano e non possiamo certo coltivare nel giardino sul tetto». Quale piatto rappresenta al meglio questa sua concezione? «Tutti i piatti corrispondono in maniera lineare alla mia filosofia di cucina. Ci sono piatti che proponiamo con maggior frequenza non perché crediamo solo in questi ma perché occorre seguire una certa stagionalità e per questo siamo costantemente impegnati a migliorarli e cambiarli in base al periodo in cui vengono preparati. Ad esempio, il nostro “Verdure e verdure” nasce in estate con varie verdure diverse, con cotture diverse e succhi diversi, ma adesso entrerà nel menu autunnale con frutta e verdura di stagione. Il concetto rimane lo stesso ma cambiano gli elementi, sempre calibrati su una base raggrumata, acidula, ricercando sempre la freschezza». A proposito di autunno, c’è una ricetta autunnale che

si sente di consigliare? «Proprio a proposito della freschezza in cucina e della leggerezza, che sono i temi che stiamo seguendo, consiglierei di provare una sera come antipasto il “frutta e verdura d’autunno”, con un consommé profumato alla rosa canina e giuggiole».

A sinistra, Luigi Taglienti, chef del ristorante Trussardi alla Scala di Milano

Questa è anche la stagione della selvaggina. Quali sono i piatti di questo tipo inseriti nel menù del Trussardi alla Scala? «Amo particolarmente la selvaggina e l’autunno, per cui proprio in questi giorni stiamo inserendo alcuni piatti stagionali, tra i quali un antipasto di petto di fagiano arrosto con biscotto di Genova alla barbabietola, arancia e alchermes, oppure il capriolo con ostrica, poivrade e cassis. Infine, appena arriveranno le lepri proporremo la lepre alla royale in versione classica». E per quanto riguarda un vino da accompagnamento cosa consiglia? «Per la lepre consiglierei un Barolo Ciabot Mentin Ginestra di Domenico Clerico».

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INTERPRETI DEL GUSTO Massimiliano Alajmo

L’essenza del gusto DALLA CUCINA SEMPLICE VIENE FUORI LA PARTE INVISIBILE DELLE MATERIE PRIME. LO CHEF MASSIMILIANO ALAJMO CI AIUTA A SCOPRIRE LA VERA BELLEZZA DI UN PIATTO

di Renata Gualtieri l giornalista inglese del Financial Times, Andy Hayler, è stata la prima persona a recensire i 109 ristoranti tre stelle Michelin nel mondo. Tra questi, segnala anche Le Calandre, nel quale ha degustato il miglior pranzo del 2012. Anche quest’anno il ristorante di Sarmeola di Rubano ha conquistato il 32° posto nella classifica S. Pellegrino World’s 50 best restaurants, mentre i connazionali scendono da sei a tre nella classifica, anche se la cucina del Bel Paese continua a presentare una proposta davvero rappresentativa e unica. Massimiliano Alajmo ri-

I A destra, Massimiliano Alajmo, chef del ristorante Le Calandre

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corda che «non c’è verità se non quella contenuta negli ingredienti, nella natura stessa. La verità è ben nascosta, ma la cucina, che è uno dei mezzi per tentare di farla venire alla luce, deve essere semplice». Secondo Massimiliano Alajmo nella nascita di un nuovo piatto si parte dall’ispirazione, e questo è vero soprattutto se pensiamo al nuovo dessert in carta alle Calandre, l’Uovo Sospeso, la cui idea è nata attorno a un’opera d’arte esposta a Venezia a Punta della Dogana. Durante un sopralluogo al museo, effettuato per una cena privata curata da Alajmo Events, lo chef è stato

catturato da una serie di tele giganti dipinte dall’artista polacco Sigmar Polke intitolate “Axial Age”. Rientrato in cucina alle Calandre, ispirandosi allo studio di Polke sulla percezione ha pensato a un dessert ad hoc per questa cena. La sua filosofia è in.gredienti. Come viene fuori attraverso la cucina la verità nascosta nelle materie prime? «Gli ingredienti sono composti da un corpo esteriore e da una parte interiore; non a caso quando si parla delle parti invisibili ci si riferisce alle essenze, o ad esempio nella “liquori-

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Photo - Mario Reggiani


INTERPRETI DEL GUSTO Massimiliano Alajmo

stica”, agli spiriti. Come tutte le cose, se si riesce ad andare oltre, in profondità, le analogie che vengono rappresentate risultano molteplici, quasi a voler testimoniare che questo genere di cose rappresentano uno specchio riflesso di una bellezza di ordine superiore». Qual è stato il piatto più apprezzato dai suoi clienti nel 2012 e quale esprime al meglio la sua filosofia? «Probabilmente il “Nudo e crudo”: una preparazione di carne e pesce crudi, serviti “nel nulla”. Nessun orpello, il piatto non esiste, il cibo viene posato

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su una velina trasparente direttamente sul tavolo di legno. La visione eterea amplifica la digeribilità di un piatto di per sé già leggero. La necessità di superare i confini dell’ovvietà, destabilizzano il commensale, che pone totale attenzione sull’essenza del contenuto. Un altro piatto è l’Uovo sospeso, nato ispirandomi a una serie di tele esposte a Punta della Dogana, a opera dell’artista Sigmar Polke, del quale ho approfondito il concetto di percezione. Si tratta di un dessert, che assomiglia a un uovo. In realtà, ho sospeso su una pellicola trasparente quello che sembra un tuorlo e l’ho po-

sizionato su un piatto fondo. L’effetto è quello di aver davanti a sé un grande bianco d’uovo. Quando è servito, il “tuorlo” viene inciso con un coltello affinché goccioli nel piatto». Tra i dessert, particolare è anche “In e out”. «È un piatto che attraverso un principio sinestetico rappresenta la nascita e analogamente la ri-nascita. Il suono che accompagna la degustazione di questo percorso di cioccolato è stato realizzato sulla registrazione reale del battito cardiaco fetale di Giorgia, la mia bimba più piccola, e su quello della

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INTERPRETI DEL GUSTO Massimiliano Alajmo

madre. Il bimbo, infatti, nel grembo (in) vive una perfetta simbiosi con la madre, ne percepisce il suono e la forza. Nel momento della rottura delle acque il battito materno sparisce lasciando il bimbo in una situazione totalmente incomprensibile, il primo trauma. L’uscita dal grembo materno (out) viene rappresentata con un flash di luce molto intenso abbinato ad un elemento di grande acidità citrica e frizzante; la nascita. Una parodia della vita e della morte, della nascita e della ri-nascita». Qual è il prodotto autun-

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nale che trova più spazio nella sua cucina e in quale piatto diventa protagonista? «Cerco di dare spazio indistintamente a ciò che rappresenta il tempo e la stagione, con pari dignità con l’obiettivo dello spettatore». Fa parte dell’associazione I cavalieri della cucina italiana. Quali gli obiettivi dell’associazione, quanto l’Italia deve investire ancora in gastronomia e cosa si sente di dire ai giovani cuochi che frequenteranno il Master della cucina italiana? «I Cavalieri hanno l’obiettivo

di tutelare un mestiere e difendere la cucina italiana. Siamo un piccolo gruppo di amici, che con grande impegno cerca di rompere i confini di una mentalità ristretta; vogliamo fare squadra e mettere da parte l’individualismo. La formazione è importante nella misura in cui realmente si trasferisce la conoscenza senza barriere. Il master è stato concepito in tal senso: vogliamo offrire ai ragazzi la possibilità di potersi esprimere secondo il loro stile. Ai giovani cuochi mi sento di dire che la cucina è un modo per conoscere il mondo e sé stessi».

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Photo - Paolo Terzi


INTERPRETI DEL GUSTO Massimo Bottura

L’orgoglio italiano LA CUCINA DI DOMANI SARÀ BUONA E SANA E L’EGO DELLO CHEF, RACCOMANDA MASSIMO BOTTURA, DOVRÀ ESSERE MESSO DA PARTE

di Renata Gualtieri sattamente un anno fa gli chef dell’International consultancy board del Basque culinary center di San Sebastian, l’Università di Scienze gastronomiche e il Centro per la ricerca e l’innovazione, hanno firmato la “Lettera aperta ai cuochi di domani”. Tra i firmatari del documento, che si interroga sul futuro della professione, c’è anche Massimo Bottura, chef dell’Osteria Francescana, che spiega come la carta di Lima

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abbia segnato un momento molto importante della gastronomia contemporanea, o forse, «a distanza di un anno si può dire una vera e propria svolta». Quali caratteristiche dovrà avere il cuoco di domani? «Dovrà avere la capacità di comperare la materia prima migliore e conoscere i fornitori in modo profondo. Deve conoscere le necessità nutrizionali dei clienti, e di conseguenza quali sono i giusti abbinamenti,

le quantità che fanno bene, le modificazioni nutrizionali che comportano i diversi metodi di preparazione e cottura. Sempre aggiornato sulle scoperte scientifiche in ambito nutrizionale, il cuoco del futuro deve esprimere la sua memoria, senza dimenticare da dove viene e deve continuare a fare ricerca. Non coniugare solo l’Io, ma lavorare in team, lasciare esprimere i giovani dando loro la speranza di guardare al futuro con grande entusiasmo. Solo attra-

In apertura, Massimo Bottura, chef dell’Osteria Francescana

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ph paolo terzi

INTERPRETI DEL GUSTO Massimo Bottura

Il risotto cacio e pepe

l’entusiasmo, attraverso • verso l’approfondimento e lo studio, questi interessi un giorno diventeranno passioni, che sono un mezzo di trasmissione delle emozioni». Quali gli ingredienti che non possono mancare a uno chef? «L’umiltà, caratteristica fondamentale per crescere e migliorare sempre. La passione, indispensabile per chi fa un lavoro come il nostro che è stressante come giocare partite di Champions league dalla mattina alla sera. Tutto deve essere perfetto: la verdura croccante, la carne cotta in modo giusto, il

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bilanciamento del piatto, i sapori perfetti. Il sogno: se smettiamo di sognare smettiamo di vivere. Bisogna vivere la vita come se fosse un sogno». Quali saranno le caratteristiche della cucina di domani? «La cucina italiana del futuro avrà come riferimento i piatti della nostra tradizione e del nostro territorio, aperti anche a intelligenti e sagge contaminazioni, grazie all’apprendimento acquisito attraverso i viaggi e le esperienze. Nelle nostre cucine avremo collaboratori provenienti da tutto il mondo che diverranno ambasciatori delle nostre realtà, della nostra cul-

tura e dei nostri sapori. La cucina italiana del futuro sarà buona e sana. Per anni l’ego dello chef ha avuto il sopravvento sulla materia prima. Vedo l’ego ridimensionato e la padronanza tecnica e la ricerca a sublimare la materia prima eliminando per esempio i grassi in eccesso e rendendola di conseguenza anche più digeribile». Anche in questa edizione è ai primi posti della classifica San Pellegrino world’s best restaurant. Quanto la inorgoglisce portare avanti il nome dell’Italia tra i 50 migliori ristoranti del mondo? «Certamente è un grande orgo-

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INTERPRETI DEL GUSTO Massimo Bottura

La cucina italiana del futuro avrà come riferimento i piatti della nostra tradizione e del nostro territorio, aperti anche a intelligenti e sagge contaminazioni accolte con calma al rientro dal viaggio. Le contaminazioni portano sempre a importanti evoluzioni se fatte con coscienza e cultura».

glio per l’Osteria Francescana essere al quinto posto della classifica, come lo è essere il capofila dei nomi italiani. Questa è la cosa che più mi riempie di soddisfazione, essere il rappresentante di un movimento rinnovato e riconosciuto di cucina italiana». Le presenze di chef italiani in classifica però si sono dimezzate. Perché secondo lei e cosa manca all’Italia per essere al massimo delle sue potenzialità gastronomiche? «Non ci manca nulla se non la consapevolezza della nostra forza e della nostra qualità. All’estero la riconoscono e la vogliono riconoscere, la vedono

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nella nostra storia e nella qualità del nostro lavoro, nel nostro patrimonio di materie prime e di artigiani alla ricerca di una qualità impareggiabile. Stiamo arrivando, ci siamo. Dobbiamo solo compattarci». In tandem con Nuno Mendez ha preparato la cena intitolata “Come to Italy with me”. Qual è stato il piatto più curioso che avete preparato? E come giudica la collaborazione nata in quell’occasione tra i fornelli? «“Vieni in Italia con me” è il mio menu di quest’anno. Le collaborazioni sono sempre interessanti, purché sagge; ci si scambia valori e idee che vanno

Quale sarà invece il piatto protagonista dell’autunno all’Osteria Francescana? «Il risotto cacio e pepe, un risotto essenziale e puro, bianco candido ispirato alle opere di Manzoni: un monocromo dove la tridimensionalità della superficie crea effetti inaspettati all’occhio e al palato. Un richiamo al minimalismo dell’arte contemporanea italiana degli anni 60 e all’Oriente. Un risotto realizzato soltanto con acqua di parmigiano, senza burro, solo crema d’affioramento di parmigiano. Il riso che richiama le Mondine che partivano da Nonantola con i loro canti per le risaie, le nostre radici, e il Parmigiano reggiano simbolo del nostro territorio. E il pepe distillato nel suo profumo più intenso diventa un’acqua nebulizzata sopra alla superficie che col calore sprigiona tutta la sua intensità».

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INTERPRETI DEL GUSTO Paolo Lopriore

La voce della Toscana LO CHEF PAOLO LOPRIORE DESCRIVE CIÒ CHE SI PROVA PRIMA DI RAGGIUNGERE LA TAVOLA, UTILIZZANDO LO STRUMENTO INSOLITO E AFFASCINANTE DELLA RADIO

di Renata Gualtieri i chiama Radio chef, lo spazio recentemente realizzato in collaborazione con Paolo Lopriore, cuoco che guida da 10 anni la cucina del Ristorante Il Canto di Siena. Sotto forma di dialogo in compagnia dello chef nascono spunti, riflessioni intorno ai fornelli, storie su come prende forma l’idea di una ricetta e tanti consigli pratici. «Vogliamo superare il semplice concetto di ricetta – racconta Paolo Lopriore – provando a risalire fino all’idea inspiratrice di un piatto, ovvero da quando seleziono un prodotto al mercato a quando, pian piano, realizzo quella che sarà la proposta finale».

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A destra, Paolo Lopriore, chef del ristorante Il Canto di Siena

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Da quale idea nasce il format Radio chef? E in che modo si riesce a spiegare attraverso questo canale come nasce un piatto? «L’idea mi è venuta in Turchia

ascoltando il muezzin che dal minareto richiamava la popolazione alla preghiera. Ma il progetto non vuole essere pretenzioso, è la prima volta che si può parlare di cucina a un pubblico vasto senza spostarsi dalla propria cucina». Due frutti magici di questa stagione sono la mela cotogna e la castagna. Come vengono reinterpretate nei suoi piatti? «La mela cotogna mi serve a dare una connotazione antica a quello che alle volte può essere un piatto di creatività nel senso del sapore, mentre la castagna accentua quello che è questa stagione». Il suo frutto preferito però rimane il corbezzolo. Come trova spazio nella cucina toscana? «Per questo frutto della macchia mediterranea l’inserimento nei miei piatti nasce spontaneo».

Assaggiando quale dei suoi ultimi piatti si possono davvero appagare tutti i 5 sensi? E qual è il piatto della tradizione senese che ha più rivisitato? «Un’esperienza a 5 sensi si può vivere assaggiando Foglie di fico, scampi e prosciutto di cinta senese. Tra le interpretazioni dei classici, invece, ho più volte rivisitato la ribollita». Anche quest’anno il Canto è tra i 50 migliori ristoranti del mondo del San Pellegrino world’s best restaurants. Cosa rende la sua cucina “interessante e memorabile”, come reca la motivazione della giuria? «La soddisfazione è di poter raccontare un’origine di sapori diversi tratti dai prodotti che la Toscana mi regala al di fuori dall’ambito nazionale. Mi sento appagato, soprattutto perché rimane una scoperta primaria per me stesso».

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INTERPRETI DEL GUSTO Alberto Bettini

Genius loci LA RISCOPERTA E LA VALORIZZAZIONE DEI SAPORI DELL’EMILIA PASSA DA PRODOTTI BUONI, SANI, COERENTI E ORIGINALI E AVVIENE CON L’ESTRO DELLO CHEF ALBERTO BETTINI

di Renata Gualtieri al lontano 1934, quando Amerigo e Agnese aprirono la Trattoria Da Amerigo, è cambiato tutto nella selezione e nell’utilizzo delle materie prime. Ora la scelta è esasperata e meditata, allora era obbligata e spontanea. Entrambe giuste per i diversi periodi storici. «Dagli anni 70 in poi – spiega lo chef Alberto Bettini – la scelta attuale è l’unica che ti può dare una materia sana, sicura e di qualità. Sono troppi gli “inquinamenti” e le tentazioni industriali che affliggono tanti piccoli produttori, allevatori, contadini». Il menù attinge dalla tradizione «perché per uno straniero che viene a Savigno, un menu tradizionale con prodotti d’eccellenza è un’esperienza unica, come le specialità di ogni località vocata, come la cucina d’avanguardia o d’autore».

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sieri uno più grande. Utilizzo i prodotti in modo “parallelo” rispetto a quelli che acquisto, per integrazione, da tre piccole aziende biologiche e biodinamiche della vallata». Dove scova i produttori e come è formata la sua rete di fornitori? Preferisce sempre lavorare con gente della zona? «Lavorare con gente della zona da un valore aggiunto ai piatti. Inoltre, in questo modo si crea una rete virtuosa e si innescano

processi di crescita e promozione per territori talvolta in crisi o in declino. Non ultimo, è molto più comodo avere fornitori vicini». Come si inseriscono i prodotti d’eccellenza in un menù tradizionale? «Se per prodotti di eccellenza si intendono le migliori materie prime, anche se povere, si inseriscono nell’unico modo possibile: come si è sempre fatto fino a quel momento. Ne risulterà

A sinistra, Alberto Bettini, chef della Trattoria Da Amerigo

Come è fatto il suo orto “casalingo” e come utilizza i prodotti che ospita? «L’orto è semplice e piccolo, appena 50 metri quadrati. Anche se da un po’ è nei nostri pen-

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INTERPRETI DEL GUSTO Alberto Bettini

UOVO “MONTATO” AL TARTUFO BIANCO DEI COLLI BOLOGNESI

Ingredienti · 4 Uova · 40 gr di burro · 24 gr di tartufo bianco · Sale

Separate gli albumi dai tuorli, mantenendo i rossi integri e divisi tra di loro. Montate gli albumi con lo sbattitore, aggiungendo solamente un pizzico di sale. Imburrate quattro stampi d’alluminio e riempiteli con l’albume montato a neve fino a raggiungere il bordo superiore. Pareggiate la superficie creando però un piccolo invaso al centro dove posare il tuorlo d’uovo intero; ricoprite con il rimanente albume ed infornate a 150° per cinque minuti. Servire l’uovo con due cucchiai di crema* calda sul fondo del piatto ed uno sopra all’uovo stesso, affettando i tartufi, dividendoli equamente tra i quattro piatti.

*Crema al tartufo bianco · Parmigiano grattugiato 80 gr · Panna liquida 80 gr · Latte 80 gr · Burro 8 gr · Farina 8 gr · Tartufo Bianco 8gr

Prendete un pentolino e metteteci il parmigiano, la panna e il latte. Prendete una padellina, metteteci il burro e, a questo punto, mettete il pentolino con il parmigiano sulla fiamma e portate alla consistenza di crema. Contemporaneamente preparate un roux con burro e farina. Unitelo alla crema di parmigiano e portate a bollore mescolando continuamente fino a quando la crema non diventi filante; unite quindi il tartufo bianco tritato finemente, amalgamando bene il composto.

menu tradizionale molto • unbuono». Qual è stato l’accostamento di ingredienti territoriali che non erano mai stati “compagni di piatto”? «Talvolta ho accostato tra di loro ingredienti stagionali che non si erano affiancati mai in precedenza nella ricetteria tradizionale. È il modo più diretto, naturale e immediato per creare nuovi classici e per raccontare un’area, una stagione e anche una storia. Due esempi di primi

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piatti: “Strichetti”, dove affianco cosce di rana e funghi galletti, e lasagne classiche al forno, con crema di zucca e ragù di caccia». Qual è il prodotto autunnale che non può mancare nel suo menù? E in quale piatto trova espressione? «Naturalmente, e purtroppo, il tartufo bianco dei Colli bolognesi. Naturalmente perché è logico usarlo in quanto raro, stagionale, ambito e di grande qualità e fascino. Purtroppo

perché i conti talvolta lievitano e falsano il corretto rapporto tra qualità e prezzo al quale teniamo molto. Ecco perché spesso consiglio sul menù di non “acquistare” piatti al tartufo bianco, di aspettare cali di prezzo oppure di dirottare le proprie scelte su piatti ottenuti da materie più abbordabili. L’espressione classica e massima la si può trovare nel piatto Uova al tartufo bianco 2012. Sono millesimate perché ogni anno il piatto cambia versione. È un divertimento».

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MATERIE PRIME La castagna dell’Amiata

I GIARDINI DELLA CASTAGNA IL CECIO, IL MARRONE E LA BASTARDA ROSSA. SONO QUESTE LE TRE VARIETÀ CHE HANNO OTTENUTO IL MARCHIO IGP E CHE RENDONO SPECIALE L’OTTOBRE NEL MONTE AMIATA, TERRA TRA I MONTI E IL TIRRENO

di Teresa Bellemo uemilaottocento ettari di castagneti sul versante grossetano e altri duecento nella provincia senese. Sono questi i numeri che contraddistinguono il territorio del Monte Amiata e la produzione della castagna, che nel 2001 ha conquistato la certificazione europea di marchio Igp. È ottobre il mese più ricco per questo territorio: in questi giorni, infatti, si inizia a raccogliere il frutto. La produzione arriva a circa 25mila quintali di castagne l’anno e a coordinare questo tesoro c’è l’Associazione per la valorizzazione della castagna del Monte Amiata Igp. Composta da 400 soci, 11 Comuni e le Camere di Commercio di Grosseto e Siena, si occupa senza fini di lucro di promozione, informazione e organizzazione sia

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Sopra, Lorenzo Fazzi, presidente dell’Associazione per la valorizzazione della castagna del Monte Amiata Igp

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delle fasi di produzione, sia dei prodotti legati alla castagna. Il vero scopo è cercare di far conoscere il prodotto e il territorio. Lorenzo Fazzi, presidente dell’associazione, indica ottobre come il momento migliore per visitare il territorio «per lo spettacolo della raccolta nei castagneti, che sono in pratica dei giardini privati. Abbiamo organizzato una specie di Oktoberfest della castagna, quindi ogni fine settimana nei paesi che fanno parte dell’Amiata ci sono manifestazioni legate alla nostra castagna». Quali sono le caratteristiche della castagna del Monte Amiata? «La particolarità è che i nostri castagneti sono nati in un terreno di origine vulcanica. Poi la vicinanza al mare e alla montagna crea un microclima importantis-

simo che, insieme al terreno, rende i frutti delle nostre 26 varietà di castagne molto dolci». Qual è la storia di questa castagna? «Dietro alle pregiate varietà di castagna del Monte Amiata di oggi c’è stato un lavoro di selezione molto lungo. Nei secoli scorsi questi frutti servivano soprattutto per sfamare le popolazioni montane che non avevano grano e mais per fare la farina. Pan di legno è, infatti, il nome della polenta preparata con la farina di castagne. Di legno perché l’ingrediente principe proveniva da un albero, il castagno appunto». Cosa fa l’Associazione per la valorizzazione della castagna del Monte Amiata Igp? «Il percorso di valorizzazione del prodotto è iniziato quindici anni fa

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Come associazione abbiamo dovuto organizzare tutto il sistema produttivo perché i castagneti appartengono a piccoli proprietari che necessitavano di coordinamento con la richiesta all’Europa dell’Indicazione geografica protetta. Nel 2001 abbiamo ottenuto il riconoscimento per tre varietà: la Cecia, il Marrone e la Bastarda rossa. Possiamo dire che da quel momento è davvero iniziata l’attività dell’associazione: abbiamo dovuto organizzare tutto il sistema produttivo perché i castagneti appartengono a piccoli proprietari che necessitavano di coordinamento; li abbiamo riuniti e abbiamo cercato di risolvere le problematiche legate alla commercializzazione. Innanzitutto tutte le fasi produttive e la lavorazione devono essere fatte soltanto nell’area approvata dall’Europa. La

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castagna, prima della vendita, deve poi superare cinque fasi sulle quali vigiliamo per garantire ai consumatori il vero prodotto Igp. Non è stato facile, ma dallo scorso anno abbiamo visto la nascita del prodotto finito a marchio. Per farlo conoscere abbiamo partecipato a

quasi tutte le rassegne italiane ed europee». Quali sono gli usi per cui è più adatta questa castagna? «Cinque o sei anni fa abbiamo ideato qualcosa di diverso a base della nostra castagna: la birra, che abbiamo chiamato Bastarda rossa e che ha portato molto interesse attorno al frutto. Poi ci sono le molte preparazioni con la farina di castagne. Sto pensando alle polendine, dolcetti a base di farina di castagne, ai biscotti, alla pasta, al pane e visto che questa farina non contiene glutine, è molto indicata per tutte le persone celiache».

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MATERIE PRIME La zucca

ZUCCA DELLE MERAVIGLIE LA SUA ORIGINE È CONTESA TRA EUROPA E AMERICA, È ALLA BASE DI MOLTISSIMI PIATTI, ED È ESTREMAMENTE DECORATIVA. VUOTA A CHI?

Foto Lara Mariani

di Teresa Bellemo

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MATERIE PRIME La zucca

Paolo Morganti, autore insieme a Chiara Nardo del volume “La zucca. La storia, le tradizioni, le ricette”, edito da Morganti Food

isulta difficile parlare di autunno senza citare la zucca. Perfettamente intonata alla gamma cromatica della stagione, ingrediente principale di ricette sia dolci che salate, decorazione tipica delle aie di campagna e simbolo della festa Halloween, di importazione americana. La zucca è presente da sempre nella tradizione culinaria italiana, e oggi pare vivere una seconda giovinezza. Anche per questo Paolo Morganti, appassionato di buona cucina a cui ha dedicato numerosi volumi, ha voluto rendere omaggio insieme a Chiara Nardo a questo nobile ortaggio con il libro “La zucca. La storia, le tradizioni, le ricette”. «La zucca è un ingrediente splendido, per cui è stato quasi obbligatorio farla entrare nella nostra collana dedicata ai prodotti agroalimentari, che vede tra gli altri titoli il maiale, il radicchio rosso di Treviso, il riso e l’asparago».

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Quali sono le origini di questa pianta? «È sempre difficile dare un’origine esatta a un prodotto. Il Vecchio Mondo se ne è attribuito da sempre la paternità, avvalorando la propria tesi con le scarse notizie riportate da Aristotele e Virgilio. Ma anche gli egiziani, gli indiani, gli arabi e gli africani del Niger l’hanno conosciuta, coltivata e apprezzata. In tempi recenti però i botanici americani hanno localizzato la nascita della zucca in America tropicale: in Perù e in Messico, dove, nelle grotte di Ocampo, sono presenti tracce di

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più di 6.000 anni fa. Probabilmente, quindi, esistevano varietà di zucche sia in America che in Europa, che dopo la scoperta dell’America si sono integrate». Quante sono le varietà di zucca e quali le più pregiate? «Le numerose varietà di zucca vengono comunemente riunite in due famiglie fondamentali: la Cucurbita massima e la Cucurbita moscata, che arrivarono in Europa in seguito alla scoperta del Nuovo Mondo. La prima tra le sue caratteristiche vanta peponi enormi, il più delle volte a forma di sfera, dai vivaci colori e presenta sempre una polpa di colore giallo, più o meno intenso, con semi panciuti. Alla specie Massima appartiene una delle varietà più apprezzate in gastronomia: la cosiddetta “marina di Chioggia”, gloria del contado veneto. Ha forma rotonda ma leggermente schiacciata ai poli, una scorza rugosa e bitorzoluta, colorata di sfumature verdi e grigie, ricca di polpa zuccherina. È conosciuta anche come “baruffa”, perché Carlo Goldoni la menzionò nelle sue Baruffe chiozzotte. Tra le più diffuse in Italia ricordiamo anche la Big Mac, la Moscata di Provenza, la Piacentina e la Violina». Quali sono le preparazioni e i trattamenti più insoliti che ha scovato scrivendo il suo libro? «Ormai d’insolito in cucina non c’è più nulla. Un piatto che comunque non è conosciuto da tutti, dalle chiare ascendenze rinascimentali, sono i tortelli con la

zucca che con il loro ripieno agrodolce non appartengono sicuramente a quelli che abitualmente si definiscono gusti di massa. Una cosa è certa: chi li prova se ne innamora. Sono tipici dell’Emilia e del Mantovano e sono tra i piatti tipici italiani più interessanti». In questi ultimi anni la zucca sta tornando a ricoprire un posto importante nelle tavole d’autunno. Come mai ? «Le motivazioni possono essere essenzialmente due. La prima è la riscoperta della tipicità, la seconda il fatto che la cucina è diventata un po’ di moda. Per questo non si poteva non riscoprire questo prodotto, estremamente eclettico e decisamente buono. Si può abbinare a carne, pesce, formaggi e altre verdure. E nella preparazione dei dolci è impagabile. Il suo costo, infine, è decisamente abbordabile, un fattore non da poco in tempi di crisi».

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Il cibo degli dei UNA PRELIBATEZZA GIÀ NOTA AGLI ANTICHI, FINO A OGGI CELEBRATA PER IL SUO ALONE DI MISTERO. IL TARTUFO È PROTAGONISTA DI DECINE DI EVENTI IN TUTTO IL PIEMONTE

di Nicolò Mulas Marcello


MATERIE PRIME Il tartufo

l tartufo è un frutto della terra noto già in tempi remoti. Gli antichi lo consideravano cibo degli Dei, con poteri afrodisiaci ben utilizzati dall’ardente Giove. I ricettari romani invece consigliavano di cuocere i Tuberi (la classificazione dei funghi arriverà molto secoli più tardi) sotto la cenere e di consumarli con il miele. I Sumeri lo utilizzavano mischiandolo ad altri vegetali quali orzo, ceci, lenticchie e senape, mentre gli antichi ateniesi si dice che lo adorassero al punto di conferire la cittadinanza ai figli di Cherippo per aver inventato una nuova ricetta. Ma come nasce questo pregiato fungo? Il tartufo è costituito in alta percentuale da acqua e da sali minerali assorbiti dal terreno tramite le radici dell’albero con cui vive in simbiosi. Infatti, nasce e si sviluppa vicino alle radici di alberi principalmente quelle del pioppo, del tiglio, della quercia e del salice, diventando dopo la formazione un vero e proprio parassita. Le caratteristiche di colorazione, sapore e profumo dei tartufi sono determinate dal tipo di alberi presso i quali essi

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si sviluppano. Ad esempio i tartufi che crescono nei pressi della quercia, avranno un profumo più pregnante, mentre quelli vicino ai tigli saranno più chiari e aromatici. La forma, invece dipende dal tipo di terreno: se soffice il tartufo si presenterà più liscio, se compatto, diventerà nodoso e bitorzoluto per la difficoltà di farsi spazio. Uno dei tartufi più pregiati al mondo è senza dubbio quello bianco di Alba. E proprio nella provincia di Cuneo si svolge una fiera internazionale dedicata a questo prodotto, un evento che attira appassionati e cultori da tutto il mondo. Quest’anno la fiera, che terminerà il 18 novembre, offre un’inedita esposizione che racconta il legame speciale che unisce il prezioso fungo ipogeo al mondo del cinema: fra scene tratte da celebri film, inedite fotografie e locandine da collezione che testimoniano la ‘dolce vita’ del tartufo. Inoltre, ci sarà la possibilità di effettuare una sorta di viaggio in compagnia di chef ed enoteche regionali nel quale poter degustare, ascoltare informazioni e racconti, porre do-

mande. Un percorso imperdibile per chi ama conoscere le eccellenze della terra piemontese, le origini dei prodotti, il modo di cucinarli, gli esperti, le persone che tramandano la tradizione e la innovano. Ma non solo Alba è terra di tartufo. In tutte le Langhe si celebra questo prodotto con vari eventi e fiere disseminate durante tutto il periodo della raccolta. Ad Asti il 18 novembre si svolgerà la fiera regionale del tartufo. A Canelli in provincia di Asti l’11 novembre è in programma una mostra mercato per chi desidera acquistare il pregiato fungo piemontese. Sempre in provincia di Asti, più precisamente a Castelnuovo Don Bosco, il 25 novembre si svolgerà la locale mostra mercato. Spostandoci in provincia di Alessandria, a Cella Monte, il 3 e 4 novembre avrà luogo la Sagra del tartufo bianco in Valle Ghenza. E per non dimenticare anche i vini del territorio, a Vezza D’Alba in provincia di Cuneo, dal 18 al 25 novembre alla Fiera regionale del tartufo bianco di Vezza D’Alba si potranno degustare anche i più importanti vini del Roero.

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MATERIE PRIME Carmela Colaiacovo

il tartufo di Gubbio

di Roberta De Tomi

LEGUMI ED ERBE, MA SOPRATTUTTO IL TARTUFO TRONEGGIA IN ALCUNI PIATTI DELLA TRADIZIONALE CUCINA DI GUBBIO el cuore del Montefeltro hanno luogo intrecci culturali comprendenti anche elaborazioni gastronomiche ibridate. Nell’incontro tra le tradizioni umbra, marchigiana e romagnola, pur con una prevalenza delle prime due, si aggiungono nuove pagine ai ricettari, scritte con la penna della creatività culinaria. Dalle cucine del Park Hotel ai Cappuccini, gli abbinamenti ricercati, ma sempre fedeli alla ricerca dei prodotti locali, sono all’ordine del giorno, anche se a farla da padrone è “sua maestà” il tartufo. «Il tartufo di Gubbio – spiega il general manager, Maria Carmela Colaiacovo – è uno degli alimenti che impieghiamo maggiormente per la realizzazione dei nostri piatti. Accanto a esso, troviamo anche quello bianco di Acqualagna, località marchigiana a pochi chilometri da qui, raccolto dai cavatori della zona. Il tartufo viene abbinato alla pasta a fatta a mano, tipica della nostra area, un accostamento che riscuote molti consensi da parte di tutti i palati. Un altro piatto molto apprezzato, sono i passatelli al tartufo bianco, in cui una tipologia di pasta tipicamente

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Il Park Hotel ai Cappuccini si trova a Gubbio (PG) www.parkhotelaicappuccini.it

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romagnola, incontra un prodotto della nostra area». Oltre al bianco, anche il tartufo nero è molto impiegato nelle cucine del Park Hotel ai Cappuccini, insieme a portate in cui non mancano le verdure locali. «Le zuppe e le creme di patate – continua Colaiacovo – fanno parte di un menù che privilegia prodotti della terra quali i legumi, le lenticchie e, soprattutto, la fagiolina del lago. Inoltre con le erbe amare, realizziamo torte al pesto, che sono tipiche di Perugia. Guardando ad altre tipologie alimentari, abbiamo il pane sciapo, cotto sulla pietra e prosciutti, salami e capocolli cotti alla brace. Si tratta di una cottura più leggera, che conferisce a questi salumi un sapore incisivo». La carta del vino si apre su una varietà di rossi come «Il Montefalco Sagrantino – spiega il responsabile della cantina, Lippolis – che presenta una buona estrazione tannica e si accosta alla carne rossa. Abbiamo anche il Torgiano della Riserva Monticchi 2006, dall’aroma fruttato. Altri vini sono quelli dei Colli Perugini o dell’Alto Tiberino. Altri tipici, sono i passiti che sono ricavati dal Sagrantino, questi ottimi con i dolci».

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MATERIE PRIME Il Bianco d’Alba

La stagione

del tartufo IL TARTUFO BIANCO D’ALBA È RINOMATO IN TUTTO IL MONDO. CIÒ FA SÌ CHE DURANTE L’ANNO NELLE LANGHE E NEL ROERO, QUESTO PRODOTTO FUNGA DA STRAORDINARIO ATTRATTORE ARTISTICO

di Nicolò Mulas Marcello

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ttorno al tartufo bianco d’Alba ruota un indotto economico che non riguarda solo il valore di questo pregiato frutto della terra. Il sistema turistico generato dal tartufo porta ogni anno migliaia di turisti ad Alba e in tutte le Langhe, grazie anche ai numerosi eventi che celebrano la tradizione di questo prodotto. «Ad Alba – spiega Mauro Carbone, direttore del Centro nazionale studi sul tartufo – si è da tempo verificato un allargamento della stagione turistica ormai estesa ai nove mesi compresi tra marzo e novembre».

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Il tartufo bianco di Alba è senza ombra di dubbio un’eccellenza del made in Italy. Quali sono le sue caratteristiche? «Il tartufo bianco d’Alba o Tuber magnatum Pico è il più pregiato tra i funghi ipogei, la sua caratteristica principale sta sicuramente nel profumo unico, una moltitudine di aromi ben mixati - dal fieno all’aglio, dal fungo alle spezie - che generano una sensazione di piacevolezza. Con le sue caratteristiche organolettiche riesce ad arricchire i piatti più semplici, ovviamente

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lamellato a crudo con lo specifico tagliatartufo». Qual è l’indotto generato dal tartufo bianco e fino a che cifre può arrivare il suo prezzo? «La sua preziosità non sta nel suo valore intrinseco, quanto in ciò che rappresenta in termini di immagine per il suo territorio di produzione. Attorno al tartufo ruota un sistema turistico di grande rilievo, cresciuto negli ultimi decenni in modo esponenziale. Oggi ad Alba e dintorni si contano circa 10.500 posti letto con un’offerta congiunta di circa 41.000 coperti, un significativo incremento della ricettività extralberghiera, con agriturismi e bed and breakfast, e un allargamento della stagione turistica ormai estesa ai nove mesi compresi tra marzo e novembre. È difficile immaginare tutto questo sistema turistico senza l’apporto determinante del tartufo bianco d’Alba. A fare da cornice vi è una grande tradizione enogastronomica, coltivata da professionisti ad alto quoziente di preparazione. I grandi vini rossi, i bianchi rampanti, la cucina d’autore derivante dal fortunato mix sabaudo-borghese-popolare

sono i cardini di un’offerta enogastronomica che proietta le Langhe e il Roero al top delle classifica di gradimento dei turisti amanti della buona tavola».

Mauro Carbone, direttore del Centro nazionale studi sul tartufo

Quali sono le previsioni per quanto riguarda la raccolta di quest’anno? «A oggi la stagione è leggermente in ritardo con il picco di produzione, ma stanno arrivando le piogge che aiuteranno la maturazione dei tartufi sino a Natale. Inoltre, il Piemonte è disseminato di belle manifestazioni fino alla fine di novembre». L’apertura della stagione della raccolta coincide con numerosi e importanti appuntamenti. Ce li può brevemente elencare? «La fiera Internazionale del tartufo di Alba, lunga e contenitore di importanti appuntamenti dal 6 ottobre al 18 novembre tutti i week end compreso il ponte del 1 novembre. Ma in Piemonte esistono altre fiere nazionali e regionali come Moncalvo, Murisengo, Montiglio Monferrato, Odelengo Piccolo, Montechiaro d’Asti, San Sebastiano Curone, Rivalba Torinese, Mondovì, Acqui Terme, Asti e Vezza d’Alba».

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MATERIE PRIME Enrico Crippa

Le tradizioni del tartufo bianco IL TARTUFO PUÒ FARE DI UN PIATTO POVERO UN PASTO DA RE. ENRICO CRIPPA SPIEGA COME ABBINARE I SAPORI RISPETTANDO LE RICETTE DEL PASSATO

di Giacomo Govoni

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MATERIE PRIME Enrico Crippa

d Alba l’ingrediente principe della cucina, tradizionale o innovativa che sia, è il tartufo bianco. Entrambe queste due anime convivono sulla tavola del ristorante Piazza Duomo di Alba, dove lo chef Enrico Crippa rivisita le ricette tradizionali valorizzando le materie prime di cui è ricco il territorio piemontese. Il calore dei cibi permette al tartufo di fare sprigionare maggiormente il suo profumo. Questo rende ancora più appagante l’esperienza olfattiva di ogni piatto. Per chiudere questo tripudio di sapori non possono mancare i grandi vini rossi piemontesi, che con la loro maestosità si sposano perfettamente con la sapidità del tartufo.

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Alba è terra di tartufi e quello attuale coincide proprio con il periodo della raccolta. Come si coniuga la sua cucina con questo prodotto? «Essendo ad Alba dobbiamo necessariamente offrire ai nostri clienti una serie di piatti da abbinare a questo prodotto principe. La tendenza attuale va la tradizione, quindi consumato su carne cruda, sui tagliolini, con l’uovo, e questo fa sì che il tartufo rimanga radicato ai piatti classici. Poi abbiamo anche qualche piatto più creativo, con abbinamenti stuzzicanti. Ma principalmente, e soprattutto in questo periodo, chi viene ad Alba cerca i piatti tradizionali». Olfatto e gusto sono sensi che spesso si compenetrano: come si concilia il particolare sapore del tartufo con gli altri cibi? «È un cibo che va utilizzato princi-

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palmente crudo e su piatti caldi come uovo, tagliolini, fonduta; la temperatura di servizio di queste pietanze - non bollente ma neanche fredda - fa in modo che, nel momento in cui la fetta di tartufo cade sul cibo, questo calore sprigioni ancora di più il suo profumo. Ciò rappresenta un appagamento maggiore per chi assapora il piatto. Sulla carne fredda il profumo è sicuramente meno esaltato ma quando il tartufo è di grande qualità, soprattutto per quanto riguarda il tartufo d’Alba, la differenza si nota».

quindi un calore molto leggero, quasi una carezza. L’uovo deve diventare bianco, cuocere bene l’albume e il tuorlo deve rimanere tiepido e ancora fresco, quasi crudo, e sopra una grattata di tartufo bianco. A me piace mettere anche un po’ di bagna cauda sopra all’uovo prima di mettere il tartufo. Un altro piatto che consiglio è il tagliolino al tartufo, mantecato con un buon burro d’alpeggio. È un piatto semplice, che sposa anche il prezzo elevato del tartufo con cibi “poveri”».

Qual è la ricetta a base di tartufo che lei predilige? «Sicuramente, anche per una mia passione personale, consiglierei l’uovo all’occhio di bue con tartufo. Si fa sciogliere un po’ di burro, la cottura dell’uovo deve essere fatta molto lentamente, senza fare in modo che l’uovo faccia le bolle,

Infine, quale vino si sposa meglio con il tartufo? «Senza dubbio i grandi vini del territorio piemontese. Barolo, barbaresco, nebbiolo, e non bisogna dimenticare anche un buon barbera per chi ama il suo sapore. I rossi piemontesi chiudono il cerchio con i prodotti più importanti della regione».

Enrico Crippa, chef del ristorante Piazza Duomo di Alba, in provincia di Cuneo

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L’ECCELLENZA IN MOSTRA Museo del Gusto

Cibi e sapori da esposizione L’ECCELLENZA ENOGASTRONOMICA PIEMONTESE DIVENTA PATRIMONIO ESPOSITIVO, CUSTODITO E RACCONTATO ALL’INTERNO DEL MUSEO DEL GUSTO. FRANCO CUCCOLO CI GUIDA ALLA SCOPERTA DI QUESTO “UNICUM” CULTURALE

di Giacomo Govoni on licenza di carpire alcuni segreti dell’arte della promozione del territorio, poche settimane fa da queste parti, si son visti persino i turchi. Delegati istituzionali e culturali dell’estremo oriente europeo sbarcati a Frossasco, cittadina a pochi passi da Torino, per ammirare il primo museo italiano dedicato alla conservazione e alla scoperta del patrimonio enogastronomico locale. «Il rapporto del Museo del gusto con il territorio, soprattutto quello piemontese – spiega il presidente del museo Franco Cuccolo – è prezioso e determinante per la tutela e valorizzazione del prodotto tipico».

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Franco Cuccolo, presidente del Museo del Gusto di Torino

Quali sono i percorsi più gustosi che il museo offre agli occhi e al palato del visitatore? «Il menu del museo propone diversi piatti. Si va da un “percorso sensoriale” alla scoperta dei cinque sensi con una cartolina-gioco a un itinerario nelle tradizioni alimentari italiane con le ricette tipiche presentate in video. Inoltre, c’è la possibilità di conoscere la storia di vari alimenti tra cui pane, pasta, vino, miele, acqua, erbe officinali, liquori alpini. Istruttivo e divertente è anche il gioco delle calorie, che fa seguire al visitatore un ideale conteggio delle calorie dei cibi ingeriti in una giornata. In più, ci sono laboratori didattici dedicati alle scuole e la Scuola internazionale di cucina con attrez-

zature d’avanguardia. La visita si conclude sempre con una degustazione di prodotti stagionali». Nella gestione del museo, affidata a un’apposita associazione, vi avvalete di un comitato tecnico scientifico. Con quale criterio si è costituito e di cosa si occupa? «Il comitato scientifico è sin dalle origini del museo lo strumento fondamentale che dà valore alle attività e alla mission dell’istituzione. Il progetto si è avviato grazie alla collaborazione della Regione Piemonte, la Provincia di Torino, le comunità montane e il Comune di Frossasco, con l’apporto di esperti e nutrizionisti di livello internazionale, di varie

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L’ECCELLENZA IN MOSTRA Museo del Gusto

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L’ECCELLENZA IN MOSTRA Museo del Gusto

università, Asl, medici, giornalisti ed educatori, che negli anni seguono le proposte museali e danno le indicazioni scientifiche. Il comitato tecnico ha il compito di seguirne le direttive, programmare le attività e sviluppare i collegamenti con gli enti, le associazioni e il territorio locale e nazionale». Attraverso quali strumenti l’attività del museo può innescare una dinamica virtuosa per le aziende enogastronomiche locali? «Determinante è la collaborazione del museo con la Camera di Commercio di Torino, quindi con le aziende del territorio e non solo. Nelle sale di analisi sensoriale e di degustazione, il museo offre spazi per presentazioni di prodotti e corsi di conoscenza dei diversi alimenti. Il museo partecipa a varie manifestazioni, mostre, convegni per diffondere la cultura del cibo italiano, dell’alimentazione equilibrata, del modo di cucinarli e della filiera produttiva a km 0». Sulla vostra scia, altri piccoli comuni stanno gradualmente alimentando il grande sogno di

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un circuito nazionale dei musei del gusto. A che ritmo procede questo cammino? «Il Museo del gusto, modello unico a livello nazionale, ha avviato negli anni rapporti con varie regioni italiane al fine di valorizzare le realtà locali e le produzioni tipiche di un panorama enogastronomico tra i più diversificati al mondo. In Italia e in Europa esistono molti musei degli alimenti, dal museo del parmigiano, al prosciutto, alla pasta, ai musei del vino. Tuttavia, manca un circuito nazionale dei musei del gusto e in tal senso la rete è già avviata con la Sicilia, Calabria, Lombardia, Marche, Toscana, Abruzzo e Liguria». Strumenti come videoricette o una App ad hoc dedicata al museo, sposano al meglio tradizione e tecnologia. In quali altre forme esaltate questo matrimonio? «La tradizione è rappresentata dal ricco patrimonio di tradizioni orali che i “testimoni del tempo in cucina” trasmettono alle generazioni future. Soprattutto attraverso nonne e mamme, che in filmati, corsi e conferenze raccon-

tano le loro esperienze, le tecniche di raccolto e la trasformazione e preparazione dei cibi. Il museo dà la possibilità di entrare in contatto diretto con produttori e artigiani che ospitano nelle cascine o nei laboratori visitatori o gruppi di scolaresche ai quali spiegano la loro attività. L’innovazione sta in tutte le tecniche più avanzate che il museo offre per promuovere le sue iniziative: Facebook, QRcode, Flickr, App per smartphone, oltre a periodiche newsletter». In quali iniziative si tradurrà l’alleanza siglata pochi mesi fa con il Parco nazionale del Gran Paradiso? «Il partenariato con il parco del Gran Paradiso offre ai due enti la possibilità di presentarsi a pubblici diversi con materiali promozionali, vetrine e scambi di programmi didattici, incontri periodici e percorsi del gusto e della qualità. È importante la promozione da parte del museo dei prodotti e produttori a marchio di qualità Gran Paradiso, circuito che identifica operatori del settore turistico, artigianale e agroalimentare che potranno così entrare in una rete più vasta».

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POLITICHE AGRICOLE Mario Catania

DRITTI VERSO

LA QUALITà MARIO CATANIA ILLUSTRA IL NUOVO PACCHETTO A DIFESA DELL’AGROALIMENTARE ITALIANO. TRA I PASSAGGI SALIENTI, PIÙ IMPORTANZA AI CONSORZI DI TUTELA E UN PASSO AVANTI SULL’ITALIAN SOUNDING

di Giacomo Govoni l vento di fine estate è stato propizio all’agroalimentare italiano, che da poche settimane può contare su uno strumento in più a tutela delle proprie eccellenze. Si tratta della nuova disciplina in materia di produzioni agricole certificate e d’origine geografica controllata, nota con il nome di “pacchetto qualità”, approvato il 13 settembre dal Parlamento europeo. «L’approvazione di questo provvedimento – commenta Mario

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Catania, ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali – è un risultato molto significativo per l’Italia e per la difesa delle nostre produzioni agroalimentari». Quali le principali novità introdotte dal testo? «Tra le novità introdotte dal pacchetto, è fondamentale la cosiddetta protezione ex officio, che obbliga gli Stati membri ad attivarsi per tutelare le indicazioni geografiche provenienti dagli altri

Paesi dell’Unione europea. In questo modo i prodotti Dop e Igp italiani potranno essere adeguatamente protetti dalle imitazioni, evocazioni e usurpazioni di vario genere che si verificano a danno dei nostri marchi più noti. A guadagnarne non saranno solo i consumatori, ma anche i nostri produttori. Il “pacchetto qualità” ha poi altre misure importanti, come il riconoscimento di un ruolo preciso per i consorzi di tutela, l’introduzione della cioccolata tra i prodotti di qualità, la

A sinistra, Mario Catania, ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali

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POLITICHE AGRICOLE Mario Catania

L’approvazione di questo provvedimento è un risultato molto significativo per l’Italia e per la difesa delle nostre produzioni agroalimentari

possibilità di indicare in etichetta i cosiddetti marchi d’area, la salvaguardia dei prodotti Stg e la creazione dell’indicazione “Prodotti di montagna”». Tiene e anzi si espande il fenomeno della pirateria agroalimentare ai danni dei prodotti di qualità italiani, responsabile secondo Coldiretti di uno “scippo” alla nostra economia di 50 miliardi di euro. Da quali Paesi giungono le minacce maggiori? E quali

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nuovi strategie di contrasto sono all’esame? «L’agropirateria è una piaga molto diffusa, complessa e articolata e colpisce gravemente soprattutto un Paese come il nostro, che vanta una produzione agroalimentare variegata e di alta qualità. La produzione in particolare di “italian sounding” si registra purtroppo soprattutto in quei Paesi interessati in passato da un forte flusso migratorio di italiani. Ma con l’approvazione del “pacchetto qualità”, come dicevo, ab-

biamo registrato un notevole passo in avanti sulla questione all’interno dell’Unione europea. Di recente poi abbiamo attivato la rete di cooperazione internazionale di polizia dell’Interpol per contrastare i cosiddetti “wine kit” prodotti in Gran Bretagna, preparati solubili in acqua che i consumatori stranieri sono indotti erroneamente a considerare come vino italiano di qualità, e per ostacolare le produzioni di falso aceto balsamico di Modena Igp in Germania».

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POLITICHE AGRICOLE Mario Catania

Vanno affermandosi sempre più esperienze di vendita diretta come i farmer’s market. La considera una formula vincente per alleviare la sofferenza del comparto agricolo? «La vendita diretta è molto utile anche perché, grazie all’assenza di intermediazioni, consente agli agricoltori di ottenere un profitto sicuramente maggiore rispetto a quello che ottengono di solito. Una delle principali criticità del comparto riguarda infatti proprio l’assottigliamento della redditività degli agricoltori, dovuto in parte agli effetti della crisi economica-finanziaria internazionale, ma anche al basso potere contrattuale di cui godono le imprese agricole». Come vi siete attivati per riequilibrare i rapporti all’interno della filiera? «Siamo intervenuti in modo incisivo attraverso l’articolo 62 della legge sulle liberalizzazioni, che prevede che tali rapporti avvengano in un contesto di regole definite, con l’obbligo di contratti scritti e di tempi certi per i pagamenti. Con questa norma si introduce, quindi, maggiore equità e trasparenza a sostegno dei soggetti più deboli, con effetti positivi anche sulla crescita generale del comparto, dato che vengono eliminate alcune storture del sistema che si traducevano in un peso e un costo per troppi agricoltori. Ma l’articolo 62 non può bastare da solo: per invertire la rotta è necessaria, infatti, anche un’aggrega-

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zione dell’offerta sempre maggiore e che i produttori si presentino uniti sul mercato». Ultimamente ha esortato a un cambio di passo sull’export. Ma, a oggi, altre nazioni europee commercializzano oltreconfine meglio e più di noi. Come sta cambiando la situazione in questi mesi e quali meccanismi affinare per migliorare la penetrazione internazionale? «Le esportazioni dell’agroalimentare italiano hanno ottenuto risultati sorprendenti: in questi ultimi dieci anni sono aumentate addirittura dell’86%. Uno dei problemi principali da affrontare per il nostro export è la mancanza di una catena Gdo italiana che possa competere con le grandi catene di distribuzione estere e aumentare la promozione e l’esportazione di prodotti di alta qualità, fiore all’occhiello del made in Italy. Un primo aiuto ai produttori italiani in chiave di aumento delle esportazioni, è rappresentato dal protocollo di intesa che l’Italia ha di recente firmato con la catena di distribuzione francese Auchan, per la promozione dell’agroalimentare italiano in Cina». Di recente in Parlamento si sono sollevate critiche sui tempi d’attuazione dei decreti che disciplinano l’origine in etichetta. Cosa e quanto manca per dargli corso? «L’indicazione di origine delle materie prime in etichetta è una questione molto importante per

l’Italia, ma è necessario tener presente che va affrontata a livello comunitario perché non è materia di legislazione da parte degli Stati membri. Continueremo ovviamente a lavorare su questo obiettivo, ma è anche importante ricordare che negli ultimi venti anni sono stati fatti passi avanti straordinari e, già oggi, in base alla normativa comunitaria, larga parte della produzione agricola e alimentare ha l’indicazione d’origine obbligatoria, come ad esempio l’ortofrutta, l’olio vergine ed extravergine, il latte fresco, le carni bovine e tutte le produzioni Dop e Igp». Le campagne promozionali su salumi, formaggi e vini hanno spinto in alto questi prodotti sui mercati internazionali. Come incrementare la visibilità di tutti i nostri prodotti di qualità all’estero? «L’alta qualità è da sempre un comune denominatore del nostro patrimonio agroalimentare e un chiaro segno di riconoscimento dei nostri prodotti nel mondo. È importante che si punti su un sistema promozionale che oltre alla qualità ponga l’accento sull’identità, la specificità e la territorialità dei nostri prodotti. Sarebbe molto importante che all’interno del comparto, altri settori riuscissero a seguire l’esempio del settore enologico italiano, in cui nel tempo è stata sviluppata un’offerta molto variegata e mirata a più segmenti di mercato».

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POLITICHE AGRICOLE Mario Guidi

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POLITICHE AGRICOLE Mario Guidi

valorizzare le esportazioni PER TORNARE SULLA SCIA DELLA CRESCITA, SECONDO MARIO GUIDI, È TEMPO CHE L’AGROALIMENTARE ITALIANO IMPARI A RAGIONARE IN TERMINI DI GRANDI NUMERI E GRANDI AZIENDE

di Giacomo Govoni a nicchia non basta. Ben vengano i mercati contadini, le varie forme di accorciamento della catena agroalimentare, i nuovi modelli di valorizzazione dei prodotti di alta qualità. Ma per squarciare di netto il velo della crisi «non deve solo crescere il valore unitario dei nostri prodotti, ma anche la quantità che portiamo sui mercati, nazionali e internazionali». Mario Guidi, presidente di Confagricoltura, non ha dubbi sulla direzione che la bussola della ripresa indica al settore primario nazionale, affamato di competitività. Un cammino da intraprendere al più presto, stimolato da «politiche adeguate e da politici che diano fiducia e si affidino al nostro settore».

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È tornato da poche settimane dal congresso degli agricoltori europei a Budapest. Su quali linee d’indirizzo vi siete incontrati? «Intanto è emersa tutta la disponibilità degli agricoltori dei 27 Paesi

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membri a fare la loro parte per uscire dalla crisi economica, favorire la crescita e rilanciare l’occupazione. Obiettivi cui anche il settore agricolo può contribuire in maniera determinante, purché sostenuto da una riforma della Pac capace di sviluppare la produttività, favorire l’aggregazione e fronteggiare il rischio di cali del reddito agricolo. In una parola, di accrescere la competitività delle nostre imprese, che non si favorisce certo - come proposto dalla Commissione - penalizzando le grandi aziende o imponendo regole di “inverdimento” delle pratiche agricole onerose, costose e spesso contrarie sia ai principi agronomici, sia alle vere esigenze dell'ecosistema. Vogliamo la riforma, ma non a tutti i costi, né tantomeno contraria agli interessi dei nostri imprenditori». Accennava prima alla quantità produttiva come vettore di rilancio. Significa che i “cordoni” della ripresa sono nelle mani della grande industria?

«In un’economia sempre più forte, l’agricoltura non può pensare di produrre di meno, magari solo eccellenze, e di valorizzarle oltremisura. Così non si crea sviluppo e occupazione per il Paese: dobbiamo crescere. Recentemente è stato evidenziato come la propensione all’export agroalimentare della Germania sia maggiore di quella dell’Italia, che pure vanta maggiori tradizioni e record produttivi. Non c’è da stupirsi, in quanto l’industria alimentare tedesca è la prima in Europa per fatturato e l’agricoltura della Germania la seconda per valore di produzione dopo la Francia». Cosa non abbiamo ancora imparato? «Per esportare bisogna prima di tutto produrre e produrre più di quanto si consuma. In ciò noi siamo deficitari, tranne che per vino e ortofrutta, non a caso sono i nostri due principali prodotti esportati. In più, per gli operatori che vogliono espandersi o conso-

A sinistra, Mario Guidi, presidente di Confagricoltura

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POLITICHE AGRICOLE Mario Guidi

Vendere solo “a km zero” significa in via di principio anche abdicare all’export, una sfida forse più importante in un mercato interno sempre più asfittico su altri mercati, occorrono • lidarsi supporti per analizzare i mercati e i principali buyer, strumenti che Confagricoltura fornisce alle aziende associate. Ancora, servono piattaforme logistiche che agevolino l'arrivo e la gestione delle merci nei Paesi di destinazione. Infine, è positiva l'azione diplomatica di governo e istituzioni per rimuovere le barriere non tariffarie (sanitarie, fitosanitarie, burocratiche), che gli altri Paesi frappongono ai nostri prodotti, spesso per limitare il potenziale del nostro export. Ma

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soprattutto occorre riflettere sulla dimensione delle imprese del settore, per la maggior parte medie e piccole, quando non “micro”. Siamo proprio convinti che questa sia la dimensione vincente?». Fuori dai nostri confini, tuttavia, l’italian sounding imperversa. Come intervenire in tal senso? «L’italian sounding è un comportamento scorretto, ma fin quando normative internazionali non stabiliranno che l’utilizzo di elementi evocativi tesi a confon-

dere il consumatore sull’origine delle merci, costituisce un’usurpazione, non sarà punibile dalle autorità di controllo. Perché ciò accada, occorre determinazione delle nostre istituzioni, ma soprattutto un luogo, un ente internazionale dove definire e imporre questa semplice regola. Non è cosa facile, visto che oggi nessun Paese intende delegare competenze a livello sovranazionale e il Wto, che potrebbe essere l’istituzione adatta, è praticamente “disattivata” e non riesce neanche a far progredire il negoziato multi-

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POLITICHE AGRICOLE Mario Guidi

laterale delle regole del commercio avviato ormai più di dieci anni fa». Torniamo al mercato interno, dove le iniziative di filiera corta, espressione di un mercato meno globale e più locale, stanno facendo breccia. Eppure lei ha mostrato una certa “freddezza” al riguardo: non la convincono? «Non è che non mi convincano. Sono senz’altro idee valide per ridurre i percorsi “dalla terra alla tavola” e far avanzare gli agricoltori lungo la cosiddetta catena del valore. Tuttavia, si rischia di toccare solo volumi marginali di scambi e di non lavorare abbastanza in termini generali. Non è un caso che oggi oltre il 70% della spesa do-

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mestica agroalimentare sia veicolato dalla Gdo e stia perdendo peso il tradizionale dettaglio di prossimità e l’ambulantato. Molte nostre aziende, beninteso, già praticano con vantaggio la vendita diretta attraverso spacci in azienda, internet. Temo però che l’obiettivo di convertire l’attuale modello di distribuzione sia decisamente troppo ambizioso. Poi c’è un ultimo aspetto, importantissimo: vendere solo “a km zero” significa in via di principio anche abdicare all’export, una sfida forse più importante per le nostre imprese in un mercato interno sempre più asfittico». Riguardo al risveglio del mercato interno, allora, su cosa vale la pena puntare?

«C’è un recente dato Istat molto interessante: dal 1997 al 2010, a fronte di una spesa degli italiani per l’alimentare calata dal 19,8 al 19%, il budget per l’acquisto del cibo da parte delle famiglie di fascia di reddito più elevata è aumentato. Parallelamente, sta crescendo la spesa alimentare fatta negli hard discount, complice anche la pesante crisi economica. Una tendenza consolidata anche nei primi mesi del 2012. In breve, dobbiamo imparare a polarizzare l’offerta, così come si stanno polarizzando i consumi. Senza dimenticare la forte crescita dei consumi alimentari extradomestici: ci si siede sempre più a tavola fuori casa e l’offerta deve adeguarsi a questi consumatori».

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promuovere i prodotti Dop e Igp PER RAFFORZARE L’OFFERTA “TOP” NELLA RETE DISTRIBUTIVA, GIOVANNI COBOLLI GIGLI INVITA IL SISTEMA PRODUTTIVO A «SVILUPPARE PROGRAMMI DI MARKETING SULLE SINGOLE FILIERE»

di Giacomo Govoni urante l’ultima edizione di Cibus, tenutasi a Parma a maggio scorso, Ismea ha presentato un illuminante rapporto sul posizionamento dei prodotti a denominazione d’origine nella distribuzione moderna. Lo studio, che accende i riflettori su una leva d’acquisto talvolta “eclissata” dal fattore prezzo più che mai centrale in tempi di contrazione dei consumi - segnala come gli effetti della crisi investano in prima battuta proprio i prodotti a qualità certificata, da cui i consumatori dirottano verso i corrispondenti

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prodotti convenzionali. Un trend che i retailer della Gdo nazionale stanno tentando di contrastare. «I prodotti Dop e Igp – osserva Giovanni Cobolli Gigli, presidente di Federdistribuzione – rappresentano l’eccellenza dell’agroalimentare italiano e in questo senso devono essere costantemente valorizzati». Il consumo interno dei prodotti a marchio ristagna. Quanto si può lavorare su posizionamento e assortimento per accrescerne la penetrazione? «Migliorare l’attrattività dei prodotti d’origine è un impegno primario della grande di-

stribuzione, che in misura significativa ormai li propone sistematicamente ai propri clienti. Anzi, è proprio grazie a quest’azione che i prodotti Dop e Igp hanno trovato un ampio mercato fra i consumatori. Certamente si può fare di più, ma in questo senso sarebbe importante un contributo del sistema produttivo, che dovrebbe sviluppare programmi di marketing e comunicazione sulle singole filiere e trattare gli acronimi Dop e Igp come veri e propri brand, da portare alla conoscenza dei consumatori». Quali formule distributive

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considera più incentivanti all’acquisto di prodotti di qualità? «Le insegne della Gdo hanno un assortimento molto ampio per soddisfare ogni bisogno dei consumatori. Ciò significa da un lato spingersi verso la convenienza ma dall’altro proporre anche una scelta di prodotti di alta gamma, rivolta alla persone più esigenti in termini di qualità. Questo tipo di offerta “top” è presente in modo significativo sia negli esercizi di prossimità che in quelli di maggiori superfici. Il percorso di rafforzamento del prodotto di qualità è stato seguito anche nello sviluppo della marca privata, ora non più circoscritta ai prodotti “basici”, ma estesa a quelli premium, ai biologici, alle Dop e Igp o ai regionali». Il consumatore sta sviluppando un’attitudine all’acquisto conveniente, indirizzandosi sempre più alla

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marca privata. Significa che il prodotto economico sta erodendo spazio sugli scaffali a quello eccellente? «Il crescente successo della marca privata non dimostra assolutamente un orientamento verso il prezzo basso a scapito della qualità, quanto una scelta di ottimo equilibrio del rapporto qualità/prezzo. La marca privata garantisce al consumatore la stessa qualità dei marchi più noti, combinata a un risparmio all’acquisto che può arrivare fino al 40%. La sua convenienza non dipende da un diverso livello qualitativo del prodotto, ma da una continua ricerca di efficienza produttiva e dall’assenza di costi di marketing. Nel fare questa scelta il consumatore mostra quindi attenzione e oculatezza nella spesa, variabili essenziali in questa difficile stagione economica».

Giovanni Cobolli Gigli, presidente di Federdistribuzione

In tempi di budget familiari ridimensionati, stupisce

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PRIVATE LABEL DI QUALITÀ Giovanni Cobolli Gigli

Ciò che dobbiamo esportare non è un generico prodotto italiano ma le nostre eccellenze

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ad esempio l’aumento delle vendite di un prodotto, prima “da ricorrenza”, come il salmone affumicato. Dunque, le ricette per convincere il consumatore a una scelta di qualità esistono. «La Gdo, garantendone la costante presenza nei punti vendita e un prezzo più accessibile, ha fatto avvicinare a questi prodotti “da ricorrenza” un numero sempre maggiore di consumatori, che ora li acquistano anche al di fuori del momento “dedicato”. Se una volta la pasta ripiena si consu-

mava solo nei giorni festivi, ora l’ampia offerta sugli scaffali e il suo inserimento costante nei piani promozionali ne induce un consumo più distribuito nella settimana. Una tendenza indotta anche dal mondo della produzione attraverso comunicazioni mirate in questo senso». Ismea certifica che, a dispetto dello scenario nazionale, all’estero i nostri prodotti a marchio geografico certificato continuano a fare gola ai consumatori. Possibile

che questo gap tra i due mercati dipenda solo dalla crisi? «I nostri prodotti a denominazione di origine sono particolarmente apprezzati all’estero perché esprimono la peculiarità delle nostre produzioni: ciò che dobbiamo esportare non è un generico prodotto italiano ma le nostre eccellenze, che ci qualifichino e ci rappresentino. Le denominazioni d’origine esprimono gli stessi valori anche sul mercato interno, ma qui il consumatore dispone di un’offerta più vasta, che non sempre lo induce a privilegiarle».

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I prodotti tipici? Racconti di vita ATTRAVERSO L’AZIENDA SPECIALE AGRIPROMOS, LA CAMERA DI COMMERCIO DI NAPOLI PROMUOVE E INCENTIVA LO SVILUPPO DEL COMPARTO AGROALIMENTARE. LA PAROLA AL PRESIDENTE PASQUALE RUSSO

di Andrea Moscariello Gusto • 74

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AGRICOLTURA E TERRITORIO Pasquale Russo

Intendiamo garantire sinergia e integrazione tra i vari comparti agricolo, turistico, sociale e culturale a valorizzazione di un territorio passa anche attraverso la valorizzazione del suo patrimonio culturale ed enogastronomico. Un obiettivo che la Camera di Commercio di Napoli persegue attraverso l’Azienda Speciale Agripromos che, in occasione del nuovo Salone Internazionale del Gusto di Torino, promuoverà le eccellenze e le aziende di un comparto quanto mai strategico per l’indotto occupazionale e per l’economia del Mezzogiorno. «La cucina napoletana e campana rappresentano la proiezione di un territorio dove le eccellenze caratterizzano vari settori – sostiene Pasquale Russo, presidente di Agripromos –. Basti pensare alla mela annurca, alle produzioni casearie dei monti lattari, alle numerose e qualificate produzioni florovivaistiche e vitivinicole». La gastronomia racchiude il meglio di queste produzioni, su cui la Camera di Commercio scommette da tempo. «La mission è far conoscere

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e valorizzare sempre di più qualità e tipicità nostrane. Agripromos nasce con l’obiettivo di supportare lo sviluppo delle imprese del comparto agricolo e del settore agroalimentare della provincia di Napoli. Un territorio che vanta un’agricoltura vitale, specializzata in prodotti tipici che il mondo ci invidia». Le attività dell’azienda speciale favoriscono l’introduzione e la diffusione di processi di innovazione tecnologica fra le imprese della filiera agroalimentare oltre che, come spiega Russo, «sostenere la riconoscibilità e la qualità dei prodotti tipici della provincia di Napoli, promuovendo la nascita di marchi collettivi territoriali, Igp, Dop e Doc/Igt». Nell’intento di rafforzare il ruolo che l’Istituto camerale intende svolgere, Agripromos, sin dalla sua costituzione, persegue una strategia di promozione delle filiere agricole e agroalimentari della provincia, sostenendo lo sviluppo delle imprese attraverso la realizzazione di iniziative volte alla diffusione di

produzioni tipiche, favorendo una maggiore competitività del sistema economico locale. «In tale ambito si inserisce, ad esempio, il progetto “Mangiare con l’arte” volto a promuovere le tipicità del nostro territorio attraverso il coinvolgimento di tutta la filiera: produttori, gastronomi, ristoranti e consumatori». Le attività di promozione di Agripromos si pongono l’obiettivo di preservare tradizioni e saperi, di valorizzare l’imprenditoria agricola, di sensibilizzare il consumatore all’uso di prodotti locali. «Intendiamo garantire sinergia e integrazione tra i vari comparti agricolo, turistico, sociale e culturale – conclude il presidente Russo –. I prodotti tipici di una terra non sono merci, ma racconti di vita. Esprimono i luoghi da cui hanno tratto origine, narrano le storie degli uomini che li hanno creati, forse in un modo ancora più esauriente di un qualsiasi libro di storia: mangiarli vuol dire far parte di quella terra».

Pasquale Russo, presidente di Agripromos. L’azienda speciale dalla Camera di Commercio di Napoli sarà presente al Salone Internazionale del Gusto di Torino presso il padiglione 3 - 3B 032 - 3C 031

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VINI D’ITALIA Luca Gardini

Le migliori etichette italiane «IL NOSTRO PAESE HA UN PATRIMONIO VINICOLO STRAORDINARIO», SPIEGA LUCA GARDINI, CHE ACCANTO AD ALTRI ESPERTI HA PREMIATO LE CINQUANTA ECCELLENZE NAZIONALI

di Elisa Fiocchi

ella classifica dei cinquanta migliori vini italiani, è il Trebbiano d’Abruzzo a conquistare il primo posto al Best Italian Wine Awards, la manifestazione ideata dal sommelier Luca Gardini e dal critico enogastronomico Andrea Grignaffini. Accanto a loro, molti nomi di spicco del settore vinicolo ed enogastronomico, anche internazionale, hanno accresciuto il prestigio dell’evento, che oltre a premiare le eccellenze stimola l’interesse del mondo sul

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panorama vinicolo del nostro paese. «È tempo che la gente chiami per nome i nostri vini, non citando un solo marchio o un produttore, bensì le denominazioni che caratterizzano aree produttive ben definite», spiega Gardini, «dobbiamo fare in modo che si parli di più del vino italiano, allargare la cerchia degli estimatori e diffondere informazioni più accurate». Come nasce l’idea di realizzare il Best Italian Wine

Awards? E da chi è composta la giuria? «Da tempo desideravo riunire in uno stesso comitato di degustazione alcuni tra i professionisti del vino italiano che più stimo e autorevoli personalità internazionali. L’idea era quella di sederci tutti attorno a un tavolo e degustare alla cieca alcuni dei vini più rappresentativi del panorama enologico italiano. Ne ho parlato con l’amico e critico Andrea Grignaffini e abbiamo pensato di realizzarne una classifica sulla base di

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VINI D’ITALIA Luca Gardini

rigorosi punteggi assegnati ai vini da ognuno dei degustatori ed espressi in centesimi. Ci siamo, quindi, rivolti ad alcuni tra i più stimati esperti di vino che abbiamo in Italia come Daniele Cernilli, Pierluigi Gorgoni ed Enzo Vizzari. E hanno risposto all’appello anche due ospiti internazionali di primissimo livello come Tim Atkin e Raoul Salama. Infine, a darci manforte nella realizzazione di un progetto tanto ambizioso quanto impegnativo, c’era un gruppo di degustatori e

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giornalisti». Attraverso quali criteri si è arrivati alla definizione della classifica? «Ognuno di noi ha stilato una lista indicando le proprie preferenze, risultato di lunghe esperienze di degustazione e di una costante ricerca tra le molte aziende vinicole che popolano il territorio italiano. L’aver riunito un comitato di degustazione altamente specializzato ha portato alla definizione di una selezione ricca

ed eterogenea. Dall’incrocio dei nomi selezionati e dopo qualche confronto, abbiamo realizzato una lista di circa 160 etichette e richiesto alle aziende l’invio dei campioni». Com’è avvenuta la degustazione? «Le bottiglie sono state divise in batterie in base alla tipologia e coperte completamente in modo da non poter essere identificate dalla forma o da altri dettagli. Venivano serviti al massimo sei vini alla

Luca Gardini, sommelier campione del mondo 2010

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VINI D’ITALIA Luca Gardini

volta e i giurati avevano alcuni minuti per effettuare gli assaggi e annotare il punteggio su una scheda. La somma aritmetica dei punteggi, divisa per il numero dei degustatori, ci ha permesso di creare una classifica dalla quale sono stati isolati i cinquanta vini che avevano ottenuto i punteggi più alti». Al primo posto si trova il Trebbiano d’Abruzzo del 2007 dell’azienda Valentini: come ha conquistato un tale primato? «Grazie alla sua indiscutibile qualità, parliamo di un vino unico, emozionante. Edoardo Valentini e

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il figlio Francesco, che ha saputo raccogliere la grande eredità del padre, hanno segnato la storia enologica del nostro Paese e fatto un vino capace di invecchiare con grande eleganza, un vino ricco, espressivo e dai tratti inconfondibili. In una terra di grandi rossi hanno realizzato un bianco straordinario da un vitigno come il Trebbiano d’Abruzzo, spesso bistrattato e considerato di scarso interesse». Scorrendo la lista, quali altri vini rappresentano per il grande pubblico una novità nel pano-

rama italiano? E quali invece una conferma? «Il Primitivo di Manduria è sempre stato considerato un vino piacevole ma difficilmente paragonabile ai mostri sacri dell’enologia italiana. In classifica ce ne sono ben due, prodotti dalle aziende Polvanera e Gianfranco Fino, e hanno scavalcato vini osannati da anni dalla critica nazionale ed estera. Altra sorpresa, i vini del Carso, davvero straordinari e sopra ogni aspettativa, e i due esemplari di Vitovska, Zidarich e Vodopivec, che hanno convinto più di al-

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VINI D’ITALIA Luca Gardini

Il premio speciale “Vino Promessa” è stato assegnato al Gaja, un Falerno del Massico Bianco

cuni grandi nomi nella storia della denominazione. Un vino in stile bordolese che ha saputo tenere il passo con gli “avversari” toscani e spuntarla su alcuni di loro è, invece, Il Pollenza, dell’omonima azienda marchigiana. Il premio speciale “Vino Promessa” è stato poi assegnato al Gaja, un Falerno del Massico Bianco dell’azienda Ager Falernus: un vino destinato a far parlare molto di sé e a segnare la storia della denominazione. Le grandi conferme? Barolo, Barbaresco, Brunello, Amarone e alcuni “super Tuscan”».

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Lei è anche autore dell’Encicolpedia del Vino, che racchiude una classifica dei cento migliori vini al mondo, e bisogna arrivare al 19° posto per individuarne uno italiano: il Barolo Monprivato. Come si colloca e quali sono i punti di forza del nostro Paese nel panorama vinicolo internazionale? «L’Italia può vantare il primato di essere l’unica nazione in cui, all’interno dei confini politici e geografici di ogni singola regione, si producono vini di qualità, per questo possiamo sfoggiare di fronte al resto del

mondo un’offerta molto ricca e differenziata. Offerta che fatica però a penetrare i mercati stranieri a causa di una comunicazione spesso inefficace. All’estero difficilmente conoscono le molte denominazioni italiane, alcune hanno avuto grande successo, Barolo in primis, ma anche il Brunello di Montalcino e l’Amarone, altre sono totalmente sconosciute. A livello qualitativo, non ci manca nulla, abbiamo un patrimonio straordinario frutto del lavoro di molte aziende che ci mettono veramente il cuore e l’anima».

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VINI D’ITALIA Francesco Paolo Valentini

Il riscatto del Trebbiano d’Abruzzo LA SUA ECCEZIONALE CAPACITÀ DI RECUPERO E ADATTAMENTO HA PERMESSO A QUESTO VITIGNO DI SUPERARE INDENNE LA SICCITÀ DEL 2007 FINO A CLASSIFICARSI MIGLIOR VINO D’ITALIA

di Elisa Fiocchi er il grande pubblico ha tutta l’aria della sorpresa il primato del Trebbiano d’Abruzzo nella classifica stilata dal Best Italian Wine Award. Non tutti, infatti, conoscono la storia millenaria di questo vitigno e quelle potenzialità che si sono espresse al meglio proprio nell’annata più anomala, quella del 2007, quando le temperature sul versante Adriatico hanno sfiorato perfino i 45 gradi. «È sempre stato considerato un vino di serie B – racconta il produttore Francesco

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Paolo Valentini dell’omonima azienda agricola di Loreto Aprutino – ma quello d’Abruzzo vanta un’antichissima acclimatizzazione su questa terra tanto che ne parlavano già Plinio il Vecchio nella “Naturalis historia” e Miguel de Cervantes nelle “Novelle esemplari”». Dopo duemila anni la vite è diventata una cosa sola con il suo territorio e ha convinto anche una giuria di palati esperti italiani e internazionali che lo ha proclamato il miglior vino d’Italia tra i cinquanta selezionati.

Che cos’è accaduto di “anomalo” nel 2007? «Con i cambiamenti climatici ci troviamo a fare i conti con delle estremizzazioni, piove sempre o non piove mai, esattamente com’è avvenuto quest’anno sul lato del Tirreno. La vendemmia delle uve bianche si svolgeva mediamente nei primi giorni di ottobre, mentre questa è stata effettuata alla fine di agosto proprio a causa del caldo che ha anticipato la maturazione. Nel 2007, ho visto cose mai accadute nelle mie trentuno vendemmie perchè anche l’inverno

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VINI D’ITALIA Francesco Paolo Valentini

È un vino con una particolare struttura grazie alla coesistenza anomala degli opposti: alta concentrazione di zucchero e buona acidità

non ha regalato piogge. Anche grazie alle vecchie pratiche di aridocoltura, siamo comunque riusciti a ottenere un vino discreto e ciò significa che al di là del lavoro, la resistenza di questo vitigno lo ha reso adattabile a condizioni estreme». Di quali tecniche parla? «Tecniche di lavorazione sempre artigianali, sono vini non filtrati quindi mai perfettamente limpidi e su cui non sono utilizzati lieviti estranei, ma soltanto quelli naturalmente presenti sulla cuticola. Tutto questo permette la stabilità e la longevità del vino nel tempo. Con il Trebbiano d’Abruzzo abbiamo stimolato l’apparato radicale per andare in profondità utilizzando tecniche per incamerare l’acqua

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d’inverno e per chiudere la parte più superficiale del terreno riducendo così l’evaporazione in estate. È stato fatto poi un diradamento per diminuire il quantitativo dell’uva e facilitarne l’alimentazione. Attraverso queste lavorazioni, la vite ha aumentato la sua resistenza portando a compimento una maturazione inaspettata. Io stesso temevo che le piante collassassero». Come si presenta questo vino al palato? «L’anticipo della maturazione dovuta ai forti venti di scirocco ha asciugato l’uva e indirettamente ne ha aumentato la concentrazione dello zucchero. Si trattava, tuttavia, di una maturazione indiretta perchè alla fine

del mese di agosto l’uva era ancora acerba. Queste condizioni hanno permesso la coesistenza anomala degli opposti, cioè un’alta concentrazione di zucchero e una buona acidità, dando al vino una particolare struttura. Che si è tradotta in una buona gradazione alcolica e una buona acidità, il meglio dell’una e il meglio dell’altra». Come si abbina ai piatti della tavola? «È un vino di cinque anni che al gusto mantiene la freschezza di uno più giovane e potrà godere di un’estrema longevità. In virtù della sua grande struttura, quasi quella di un vino rosso, permette anche l’abbinamento a uno spettro più vasto di cibi rispetto ai classici vini bianchi».

Sopra, Francesco Paolo Valentini, produttore dell’azienda agricola Valentini di Loreto Aprutino, in provincia di Pescara

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VINI D’ITALIA Nicolò Incisa della Rocchetta

L’eleganza

del Sassicaia È UNO DEI PUNTI DI FORZA DEL ROSSO TOSCANO PIÙ CONOSCIUTO AL MONDO ED ELETTO TERZO MIGLIOR VINO NEL NOSTRO PAESE. TRA I SUOI SEGRETI, QUELL’ALCHIMIA CHE I FRANCESI CHIAMANO TERROIR

di Elisa Fiocchi

assaggio del Sassicaia, uno dei vini rossi italiani più famosi e conosciuti nel mondo, si presenta di anno in anno come una nuova e piacevole scoperta e al tempo stesso si conferma per la sua tradizione enologica dall’altissimo livello qualitativo. Non è un caso che questa etichetta, dell’annata 2009 e prodotta nella Tenuta San Guido di Bogheri, sia salita sul terzo gradino dei cinquanta migliori vini italiani. Il marchese Nicolò Incisa della

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Rocchetta rivela i segreti del vino color rubino, considerato l’emblema dei grandi rossi della Toscana. «La produzione del 2009 è arrivata a duecentomila bottiglie, tutte già vendute su prenotazione». Quali sono le caratteristiche che rendono unico il Sassicaia? «Quella del 2009 è stata un’annata molto diversa da quella dell’anno precedente. Ci troviamo dinanzi a un vino più strutturato ma non aggressivo e

di una buona longevità. C’è chi l’ha paragonato a quello del 1985». Che tecniche vengono adottate alla Tenuta San Guido? «Utilizziamo tecniche molto semplici, che definirei essenziali. Riteniamo, infatti, che il vino si debba fare in vigna e che in cantina si possa solo cercare di non rovinare il prodotto che deriva dalla terra. Il segreto? Non ci sono troppe tecnologie per il Sassicaia».

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Ma come è cambiata negli anni la lavorazione e la produzione di questo vino? «A livello tecnico non c’è stato nessun grosso sconvolgimento ma, rispetto a quello che si faceva in Italia, abbiamo optato per una drastica riduzione della coltivazione per ettaro come in seguito tutti hanno scelto di fare sulla scia del Sassicaia. Per quanto riguarda l’uso delle botti, utilizziamo delle barrique di rovere francese: sono botti piccole da 225 litri molto diverse da quelle del passato, dove il vino veniva invecchiato quasi esclusivamente in botti grandi da cento ettolitri. Siamo stati i primi a utilizzare le barrique e ciò consente di affinare il vino

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più celermente». Le caratteristiche della terra toscana come influenzano la vigna? «Abbiamo scelto di piantare le vigne in terreni più ghiaiosi ma certamente le caratteristiche del vitigno non possono escludere un insieme di tanti fattori che dipendono da geologia, morfologia, clima, coltura e dalla cultura che caratterizza l’ambiente dove il vino nasce. Quella combinazione che i francesi chiamano terroir». Come si presenta il Sassicaia? «È un vino che si è sempre ispirato all’eleganza e non alla

grande struttura, e questo ci ha penalizzato in un certo periodo in cui erano di moda i vini solo estratti. Oggi, che le persone cercano vini più piacevoli da bere, si è rivelata una giusta politica. Un’altra sua caratteristica è la longevità perchè migliora con il passare del tempo e se una bottiglia resta in cantina per parecchi anni c’è da sorprendersi».

Sopra, il marchese Nicolò Incisa della Rocchetta, proprietario della Tenuta San Guido di Bogheri, in provincia di Livorno

Come si abbina con il cibo? «Piatti di carne, prodotti della caccia, in particolar modo il piccione arrosto, i filetti alla bordolese, i formaggi dal sapore intenso. Ma si può abbinare anche con il pesce, è un vino che ha molte possibilità».

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VINI D’ITALIA Valter Bera

Langhe: terra di grandi vini DAI PIÙ CLASSICI DOLCETTO, BARBERA E BARBARESCO AI PIÙ FRIZZANTI MOSCATO D’ASTI E ALTA LANGA BERA BRUT

di Anastasia Martini elle Langhe, tra Alba e Asti, sulla strada che da Barbaresco e Neive sale verso Neviglie, sorge un’azienda vocata alla lavorazione dei vini, come spiega il titolare, Valter Bera. «La tradizione viticola della nostra famiglia è secolare, mentre, solo a metà degli anni Settanta, abbiamo iniziato a vinificare per l’imbottigliamento e la vendita diretta con la nostra etichetta. L’azienda si estende oggi su una superficie di 30 ettari di cui oltre 20 a vigneto, allargandosi anche nei comuni limitrofi. Circondata da splendidi vigneti coltivati per la produzione di pregiate uve, quali per esempio le uve Moscato, dalle quali si ricavano il Moscato d’Asti, vino principale dell’azienda e lo storico Asti Spumante, prodotti, questi, caratterizzati da piacevolezza ed equilibrio, grazie alla presenza di zuccheri naturali dell’uva, basso tenore alcolico, una giusta acidità e l’aroma in-

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confondibile del vitigno Moscato esaltati dalla leggera spuma». Nella lavorazione della terra e delle uve, gli accorgimenti sono legati a metodiche tradizionali, pur cercando di migliorare sempre per ottenere vini che sappiano conquistare . «La filosofia di base – continua Valter Bera – è molto rispettosa della tradizione del territorio e delle varie pratiche di lavorazione e di produzione, dalla coltivazione della vite alla trasformazione e all’imbottigliamento dei vini, che vengono seguite direttamente. Con il tempo, il lavoro, la passione e la voglia di fare prodotti di alto livello, sono stati ottenuti importanti riconoscimenti nazionali e internazionali. Con il Moscato nel cuore, per produrre Asti e Moscato d’Asti, il Nebbiolo nella testa per farne Barbaresco, Alladio Nebbiolo e Sassisto, io e i miei due figli, Umberto e Riccardo, guardiamo ancora avanti e, continuando a coltivare Dolcetto e

Valter Bera titolare dell’azienda agricola Bera di Neviglie (CN) www.bera.it info@bera.it

Barbera per non rinunciare ai vini più territoriali, oggi coltiviamo anche Chardonnay e Pinot Nero per preparare un nuovo e intrigante Alta Langa Bera Brut Metodo Classico».

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VINI D’ITALIA Dante Renzini

Affinare i vini in roccia IL NOME DERIVA DAL CONNUBIO TRA IL VITIGNO PIÙ PRESENTE IN VALLE D’ITRIA, LA VERDEA, E DA ALBEROBELLO. È COSÌ CHE NASCE LA CANTINA ALBEA CHE HA PUNTATO SU TRE VINI CARATTERISTICI: UVA DI TROIA, PRIMITIVO E NEGROAMARO. SENZA DIMENTICARE BIANCHI E ROSÉ

di Marco Tedeschi notria. È con questo nome che gli antichi popoli del Mediterraneo chiamavano l’Italia. Nel nostro paese infatti la coltivazione della vite ha sempre avuto un ruolo rilevante nell’economia, oltre che nelle abitudini alimentari. A testimoniare tutto questo nel 2004 è nato nella Cantina Albea di Alberobello il Museo del Vino e della Civiltà contadina. Il museo contiene una raccolta di strumenti agricoli, alcuni dei quali già in uso prima della nascita di Cristo e può considerarsi a tutti gli effetti il simbolo del rinascimento enologico pugliese che ha portato ai massimi vertici i suoi vini eccellenti. Su circa 100.000 ettari di vi-

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gneti con una produzione media di 8.000.000 di ettolitri di vino, pari al 15 per cento della produzione totale nazionale, la Puglia è infatti in grado di offrire una grande varietà di cultivar autoctone. Prevalgono i primigeni storici quali l’Uva di Troia, il Primitivo, il Negroamaro, il Bianco d’Alessano, seguiti dai vitigni autoctoni come il Bombino bianco e il Bombino nero, la Verdeca, l’Aleatico. Altri vitigni autoctoni meridionali, consolidati da tempo nella regione come il Fiano Minutolo, l’Asprinio, il Moscato, la Malvasia, il Greco contribuiscono a dare carattere alla produzione enologica assieme ai vitigni di vecchia introduzione come Trebbiano, Montepulciano, Sangiovese,

Lambrusco, e Malbech. In questo scenario in cui l’enologia la fa da padrone sorge appunto la Cantina Albea di Alberobello. «La Cantina – spiega il titolare Dante Renzini - prende il nome dal connubio tra il vitigno più presente in Valle d’Itria, la Verdea, e da Alberobello». La cantina ha il merito di far conoscere e apprezzare i vini Albea ai palati più ricercati di tutto il mondo. «Questo anche grazie alla gestione tecnica, affidata a uno degli uomini più rappresentativi dell’enologia mondiale, Riccardo Cotarella, affiancato da Claudio Sisto, enologo della cantina. Cotarella ha “firmato” i migliori vini presenti sul mercato negli ultimi anni, proponendo novità con formulazioni inedite o affinando, come nel

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VINI D’ITALIA Dante Renzini

Nel Petranera prevalgono sentori di ciliegia e amarena, armoniosamente integrati nel passaggio in barrique di rovere francese Never

nostro caso, il gusto di quelli esistenti e ottenuti dai migliori vitigni autoctoni pugliesi. In Albea ha voluto puntare sui bianchi della Valle d’Itria e su tre vitigni rappresentativi della Puglia: Uva di Troia, Primitivo e Negroamaro». Ma non solo rosso. La Cantina Albea sorge in una delle poche zone della Puglia, particolarmente vocate alla produzione di vini bianchi e rientra nel territorio della Doc Locorotondo. Situazione particolarmente favorevole per la cantina, che usufruisce della possibilità di curare la vinificazione di tutte le uve più importanti dell’ampelografia autoctona della Puglia. «A questa posizione strategica dal punto di vista viticolo si aggiunge la scelta tec-

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nica della cantina, che non avendo vigne di proprietà, stipula accordi con un ampio ventaglio di viticultori, acquistando in vigna l’uva dalla fine del periodo della invaiatura, inizio maturazione, seguendola fino alla vendemmia. Unica eccezione a questo metodo di lavoro, riguarda l’Uva di Troia per la quale, abbiamo voluto impostare un lavoro più dettagliato e diretto, seguendo per tutto l’anno la vigna dove è coltivata l’Uva di Troia e mettendo a disposizione del viticultore il nostro agronomo, per tutte le fasi di sviluppo della pianta. Il risultato è stato inequivocabilmente pari all’impegno ed è così che è nato il “Lui”». Si tratta del più importante vino della produzione Albea. Nato

per festeggiare il centenario della cantina Albea, questo vino ha origine da un vitigno antico, riscoperto da poco, sul quale l’Albea ha voluto scommettere, ovvero l’Uva di Troia. «È un vino opulento – spiega Renzini - che riesce a reggere i 10 mesi di passaggio in barrique di tre legni diversi: Allier, Tronces e Never, mantenendo inalterata l’eleganza che è propria, di un vino che lascerà sicuramente un segno nella cultura enologica pugliese. Tra i bianchi mi piace citare il Selva, che nasce da un raro clone di Fiano, il Fiano Minutolo al 20 per cento, che conferisce al vino un particolare impatto olfattivo di dolcezza e fruttuosità. C’è poi la Verdeca e il Pagghie, dalle peculiarità olfattive particolari. Un vino ma-

La Cantina Albea si trova ad Alberobello www.albeavini.com

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VINI D’ITALIA Dante Renzini

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turo in cui prevalgono gli aromi secondari e viene evidenziata la struttura e il corpo». Nella linea Albea anche i rossi Selva, Petranera e il Raro. «Il Petranera è un Primitivo in purezza e proviene da vigne della provincia di Bari. Prevalgono sentori di ciliegia e amarena, armoniosamente integrati nel passaggio in barrique di rovere francese Never, che conferisce al vino adeguata struttura tannica, con una nota boisé che risulta poco invadente. Il Raro è decisamente il bland più importante per l’Albea; in questo vino infatti i due autoctoni più conosciuti di Puglia, il Negroamaro e il Primitivo, sono tagliati in un vinaggio accuratamente studiato e ottimamente affinato in barrique Never

per 10 mesi. Decisamente interessante è poi il percorso che ci ha condotto all’ideazione e realizzazione della linea “I Due Trulli Selezione ”, che ci ha visti applicare una tecnica di vinificazione di origini remote e praticata quasi esclusivamente in questi territori e cioè l’affinamento dei vini in roccia, per ottenere prodotti nel totale rispetto degli aromi varietali originali che esaltano la tipicità del Primitivo, del Negroamaro dell’uva di Troia e della Verdeca senza l’intervento degli aromi terziari derivanti dal passaggio in barrique. L’affinamento in roccia 7 metri in profondità, senza sbalzi termici per 6/8 mesi, consente una microssigenazione, che matura i vini in una condizione intermedia tra la

barrique e l’acciaio». Non mancano ovviamente i vini rosati espressione di una delle tecnologie più rappresentative dell’enologia pugliese: la tecnica del salasso cioè la vinificazione in bianco di una parte del mosto, spillato dai vinificatori del rosso. «Di grande struttura e corpo il Petrarosa e il R’Osé espressioni in rosa di due vitigni molto diversi, il Primitivo di Gioia e l’Uva di Troia, poco conosciuti in questa inedita veste. Vini che mostrano la loro assoluta versatilità soprattutto nell’abbinamento con antipasti di prosciutto e salumi crudi, oltre che con zuppe di pesce o di verdure, primi con sughi e ragù di carne, pesci al cartoccio e in umido».

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VINI D’ITALIA Christof Tiefenbrunner

Vino d’altezza j di Roberta De Tomi i

UN VINO BIANCO, COLTIVATO CON CORAGGIO A 1000 METRI DI ALTITUDINE. CHRISTOF TIEFENBRUNNER RACCONTA DI UN VINO DAL CORPO PIENO E DI GRAN CARATTERE ell’impianto di Müller Thurgau più alto d’Europa, a mille metri d’altitudine, ogni anno matura un vino bianco, particolarmente ricco d’estratto, dal corpo pieno e di gran carattere, marcatamente aromatico e con struttura elegante. Si tratta del Feld-marschall von Fenner zu Fennberg, della Cantina Tiefenbrunner-Schlosskellerei Turmhof. Un’impresa coraggiosa, avviata nel 1972 da Herbert Tiefenbrunner, e che, non a caso, porta il nome del maresciallo e condottiero Franz von Fenner zu Fennberg, fondatore del corpo dei “cacciatori di Favogna”. Una passione diventata lavoro, portato avanti tra mille difficoltà, ma con successo, e passato al figlio Christof, che spiega «Oggi, circa 8.000 viti per ettaro sono impiantate con il sistema di coltura a controspalliera Guyot (80 x 200 centimetri o 66 x 200 centimetri). Per più del 95 per cento si

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tratta di viti Müller Thurgau con piccole percentuali di viti Kerner e Bacchus. A seconda dell’annata la produzione si aggira tra le 18.000 e le 20.000 bottiglie. Inoltre nel 2005 e nel 2008 abbiamo ricevuto i “Tre bicchieri” all’interno della guida Vini d’Italia-Gambero Rosso». Un altro passo importante, è stato l’introduzione del nuovo tappo a vite Stelvin, a partire dal Feldmarschall von Fenner – annata 2007. «La bottiglia – sottolinea l’interpellato – è neutra, sigillata in modo ermetico e sterile. La qualità che vi è racchiusa può così essere conservata. Grazie alla nuova chiusura si evitano inoltre i rischi noti, legati al conferimento del suo gusto da parte del tappo del sughero naturale o le ossidazioni, come nel caso del tappo in plastica. Un ulteriore vantaggio nasce dal fatto che le bottiglie aperte possono essere perfettamente conservate per diversi giorni».

Uno scorcio della tenuta della Tiefenbrunner Gmbh-Srl con sede a Cortaccia (BZ). In basso, l’amministratore, Christof Tiefenbrunner (foto di Ana Verastegui) www.tiefenbrunner.com

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VINI D’ITALIA Fabio e Walter Porasso

Vini

j di Roberta De Tomi i

delle Langhe IL BAROLO DI GATTERA SPICCA TRA I CONSIMILI E ALTRE SPECIALITÀ DELLE LANGHE, DESCRITTE DA FABIO E WALTER PORASSO

e Langhe, fucina culinaria piemontese, sono anche terre di vigneti. «Le nostre vigne – spiega Fabio Porasso – si estendono nel territorio di La Morra. Ogni vigna prende il nome dell’area in cui si sviluppa: per i Baroli abbiamo la Gattera e l’Arborina, per il Barbera, il Ciotto e Regia Veja, per il Dolcetto, la denominazione Dabbene. Tra i vini che escono dalla nostra cantina, la punta di diamante è il Barolo Gattera». I metodi di lavorazione delle uve differiscono, in base alla tipologia. «La vinificazione per i baroli è tradizionale – chiarisce Walter Porasso –. Si parla di quattro o cinque settimane a contatto con la buccia, quindi una fermentazione molto lunga, con temperature non altissime. Non usiamo il maceratore, ma ci avvaliamo ancora di vasche tradizionali con

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un erogatore che bagna il cappello di vinaccia. Per quanto riguarda l’invecchiamento, il metodo cambia a seconda del barolo trattato. Abbiamo quello di base, che prevede un invecchiamento al 50 per cento in botte grande e il 50 per cento in bariche di quarto o quinto passaggio. Poi abbiamo il Barolo Arborina, invecchiato solo in barrique, per il 25 per cento in barrique nuovo e 75 per cento in quello di secondo passaggio. Per finire il Barolo Gattera che viene invecchiato esclusivamente in botti di rovere di Slavonia con una capacità da 15 a 25 ettolitri. L’invecchiamento dura tre anni in botte e un anno in bottiglia». Nelle cantine dell’azienda agricola, il Gattera ha il “ruolo d’onore”. «La denominazione – chiarisce Walter Porasso - deriva dal nome della vigna, un’area posta tutta a sud del colle a 220 metri sul livello del mare. Il vi-

L’azienda agricola Bovio ha sede a La Morra (CN) www.boviogianfranco.com

gneto ha circa 80 anni di vita con un diradamento naturale. Il colore del vino è un rosso rubino con riflessi aranciati ben pronunciati. Ha un profumo di spezie, sottobosco e, soprattutto, di erba medica. Il gusto è pieno e ricco e la gradazione è di 14,5 gradi».

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VINI D’ITALIA Giovanni Cordero di Montezemolo

Granato e intenso IL BAROLO DI MONFALLETTO, UN VINO CHE NASCE DAI PREGIATI TERRENI DELLE LANGHE, È ILLUSTRATO DA GIOVANNI CORDERO DI MONTEZEMOLO

j di Roberta De Tomi i ini che nascono nel cuore delle Langhe, tutti Dop. Il suggestivo scenario è la tenuta di Monfalletto, acquisita per meriti militari da Petrino Falletti, nel 1340, a oggi, condotta da Giovanni ed Enrico Cordero di Montezemolo, nipoti della Marchesa Luigia Falletti e figli di Paolo Cordero di Montezemolo. Proprio lui, nel 1940 iniziò la produzione e la commercializzazione di vini nobili piemontesi: il Barolo, il Dolcetto e la Barbera d’Alba, fino ad allora destinati solo alla vendita locale e al consumo diretto. I figli, ponendosi nel solco della tecnologia enologica, unita alla tradizione famigliare, hanno proseguito l’attività, producendo tra i barolo notevoli, il Monfalletto. «Si tratta di un vino storico –

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spiega Giovanni Cordero di Montezemolo – ottenuto dall’accurato assemblaggio della maggior parte dei vigneti Monfalletto, posti in condizioni che ne favoriscono l’eccellenza: esposizione compresa tra sud-est e sud-ovest, un terreno argilloso e poco calcareo, contenente ossidi di magnesio e manganese, che agevolano la maturazione di tannini fitti e morbidissimi». «Ogni vigneto - continua Montezemolo - viene raccolto e vinificato per conto proprio. La macerazione avviene in vasche di acciaio inox in 4-5 giorni, così come l’ultimazione della fermentazione per i successivi 10-12 giorni. Dopodiché il vino viene trasferito in botti di varia dimensione e tipologia per la fermentazione maloattica, che dura fino a dicembre. Segue un periodo di affinamento in vari tipi di legno, francese e di Slovenia, che

dura tra i 18 e i 22 mesi. Infine avviene l’assemblaggio, l’imbottigliamento e, dopo un anno, la commercializzazione». Il vino che ne risulta è «Granato e intenso, - continua - al naso evidenzia L’azienda Agricola di Monfalletto, di Giovanni ed Enrico Cordero sensazioni floreali e spedi Montezemolo, ha sede a La Morra (CN) ziate perfettamente miscewww.corderodimontezemolo.com late. Al gusto si presenta ricco, corposo ed elegante. info@corderodimontezemolo.com Si sposa con la cacciagione e la selvaggina e con i piatti arricchiti da tartufo bianco d’Alba: tortino di cardi con fonduta e ravioli d’anatra».

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VINI D’ITALIA Felicino Bianco

Da un’attenzione

certosina

j di Martina Carnesciali i

L’ARTE VINICOLA NON È ALLA PORTATA DI TUTTI. COME SPIEGA FELICINO BIANCO, SERVONO MOLTA PAZIENZA E UNO STUDIO METICOLOSO

l Dolcetto è un vitigno autoctono tutto piemontese. È una pianta piuttosto esigente che richiede molto lavoro in vigneto, per interventi colturali e per il giusto dosaggio dei grappoli, al fine di ottenere una buona qualità. Inoltre, in cantina, nella fase di vinificazione, necessita di molte cure con travasi e lavorazioni eseguiti in modo tempestivo. Ed è proprio nelle Langhe che nel 1961 è stata fondata la Terrenostre Sca, Cantina Dolcetto e Moscato, da un gruppo di 31 viticultori. Nel corso degli anni la società ha incrementato notevolmente il numero degli aderenti e oggi può contare su oltre 200 soci coltivatori che operano nei comuni limitrofi, per un totale di circa 450 ettari di superficie vitata. Felicino Bianco, direttore della Terrenostre, ci spiega che «la cantina ha ricercato costantemente

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la qualità e la valorizzazione dei prodotti privilegiando innanzitutto, in vigna, una bassa produzione unitaria per ettaro con interventi di potatura intensiva e diradamenti ed effettuando, in vendemmia, rigorose scelte in base a parametri relativi alle zone, alla maturazione e allo stato di sanità delle uve, a cui fanno anche riferimento le remunerazioni delle uve conferite». I grandi vini nascono e crescono fin dal vigneto, ci spiega Bianco. «Abbiamo una filosofia produttiva che non si limita alla trasformazione del prodotto conferito, ma allo studio e allo sviluppo di nuove tecniche colturali basate sull’esperienza contadina, tutte improntate al miglioramento qualitativo. Tutto il processo produttivo dal vigneto alla bottiglia viene seguito dai tecnici della Cantina con attenzione certosina».

La Terrenostre Sca si trova a Cossano Belbo (CN) www.terrenostre.it

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di Marco Tedeschi

Dal Grasparossa di Castelvetro ESPOSIZIONE A MEZZOGIORNO, METICOLOSITÀ NELLA SCELTA DEI GRAPPOLI E TRADIZIONE ENOLOGICA EMILIANA. È QUESTO IL PROLOGO DEL SUCCESSO DELL’AZIENDA AGRICOLA MANICARDI etimologia del termine Lambrusco è avvolta nel mistero. Secondo alcuni pare che il nome derivi da labrum, margine dei campi, e ruscum, pianta spontanea. La vite lambrusca sarebbe quella che cresce incolta ai margini dei campi. Per altri si attribuisce l’origine alla fusione dei termini labo, prendo e ruscus, che punge il palato, da qui anche l’origine della parola "brusco". Questa parola infatti, è identificativa di quella caratteristica tipica dei vini giovani, vivaci e gradevoli. Caratteristiche che oggi possono ritrovarsi nel Lambrusco Castrum Vetus, dell’azienda agricola Manicardi. Un vino che diventa un omaggio ai luoghi in cui sorgono i filari delle viti, dato che l’azienda si trova proprio a Castelvetro, nel cuore del-

L’ L’Azienda Agricola Manicardi si trova a Castelvetro (MO) www.manicardi.it

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l’Emilia Romagna. Un lambrusco grasparossa semi secco monovitigno che è frutto di una coraggiosa scelta del fondatore dell’azienda agricola, Enzo Manicardi, che ha deciso di recuperare, durante la potatura invernale, tralci di una vecchia varietà e di innestarli. «Il risultato – spiega la titolare Maria Livia Manicardi – è un vino dal colore rosso rubino con riflessi violacei e dal profumo intenso che ricorda la viola e la prugna». Incastonata in una suggestiva cornice paesaggistica tra boschi e filari di vite sorge l’Azienda Agricola Manicardi. Venticinque ettari di vigneti che si estendono sul fianco della zona collinare dominata dalla sede dell’azienda. «L’ecosistema è ideale e favorisce una

produzione di lambrusco e pignoletto dalle straordinarie caratteristiche organolettiche. Realizziamo prodotti di elevato livello qualitativo grazie alla meticolosità con la quale vengono seguite le varie fasi del processo di produzione. La scelta di investire fin dai primi anni nelle tecnologie più avanzate e l’insediamento dell’azienda in una zona di produzione dalle straordinarie caratteristiche climatiche, unitamente all’esposizione a mezzogiorno degli impianti, alla scelta di uve delle migliori varietà e ad interventi colturali volti a limitare l’entità della produzione, hanno giocato un ruolo fondamentale per l’ottenimento di un prodotto capace di soddisfare i palati più esigenti».

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VINI D’ITALIA Lorenzo Fasola Bologna

Armonie dal sottobosco di Marco Tedeschi TRA QUARANTOTTO ETTARI DI VIGNE SORGE LA CANTINA MONTE VIBIANO VECCHIO. UNO SPACCATO DI TRADIZIONE CHE SI UNISCE A UN’AGRICOLTURA COMPLETAMENTE SOSTENIBILE

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n impegno nei confronti dell’ambiente. Questo è l’intento del progetto chiamato 360° Green Revolution, che mira a rendere la produzione ecologicamente responsabile. «Il paesaggio umbro che ci circonda è uno dei più belli al mondo ed è nostro dovere salvaguardarlo racconta Lorenzo Fasola Bologna, proprietario della Cantina Monte Vibiano Vecchio -. Per questo ci

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VINI D’ITALIA Lorenzo Fasola Bologna

L’Andrea richiama il sapore di marzapane, vaniglia e ha una grande complessità siamo impegnati ad azzerare completamente le emissioni di gas serra dell’azienda. In base a un piano dettagliato, Monte Vibiano ha cambiato completamente il proprio modo di produrre e utilizzare l’energia, coltivare e fertilizzare i campi e muoversi all’interno dell’azienda. Una rivoluzione verde a 360 gradi. Da poco è giunta inoltre la comunicazione della Guida del Gambero Rosso che ci ha assegnato il premio per la "Viticoltura Sostenibile" nella guida Vini d’Italia 2013. Tutto ciò dovuto a una serie d’interventi che partono dal 2008 e che ci hanno fatto diventare una delle prime aziende certificate a emissioni zero di anidride carbonica». La Cantina è circondata da quaranta ettari di vigne. Possiede quarantotto vasche in acciaio inossidabile e trecento barrique in rovere francese. «La peculiarità della Cantina Monte Vibiano Vecchio sta nella sinergia che si è creata fra antica tradizione e modernità. La storia centenaria di una famiglia storica, quella dei Fasola Bologna, viticoltori da generazioni si unisce a un concetto di cantina moderno, dove nulla è

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lasciato al caso. La modernità degli impianti appunto, che permettono di ottenere un vino di estrema qualità in un ambiente salubre e costruito con l’intento di rispettare e conservare al meglio l’uva che è la materia prima per fare il nostro vino e l’ambiente circostante, che grazie ai particolari accorgimenti e agli interventi fatti, è tuttora uno dei più belli del mondo». L’uva che viene coltivata è soprattutto Sangiovese. «Ad essa abbiamo affiancato vitigni internazionali come il Cabernet Franc, il Shiraz, il Merlot e il Cabernet Franc. Anche i bianchi sono autoctoni della nostra Umbria, Grechetto e Trebbiano, ma possiamo trovare anche vitigni a bacca bianca come il Sauvignon. La caratteristica principale comunque rimane l’estrema cura dei vigneti, incontaminati grazie alla nostra politica aziendale che ci vuole pionieri della viti-

coltura sostenibile». Tra i vini di punta, l’Andrea 2007. «Scuro, colore viola, con bei riflessi porpora. La prima impressione al naso è un tocco di marzapane, vaniglia e una grande complessità. È possibile percepire dall’odore il buon uso delle barriques che si sposano perfettamente con i profumi di bacche e prugna. Al palato, questo vino d’effetto, offre grande armonia di sottobosco e frutti di bosco, con tannini ben presenti che garantiscano a questo vino un grande futuro. Ha un finale persistente e offre grande lunghezza al palato. Questo vino eccelle con i grandi formaggi, piatti elaborati a base di carne rossa». L’azienda propone degli interessantissimi Eco Tour che si svolgono con l’ausilio di Jeep elettriche per la visita della tenuta di Castello Monte Vibiano Vecchio. «Il tour propone un viaggio in mezzo ai vigneti storici dell’azienda, agli oliveti centenari, una visita guidata della Cantina e una degustazione».

La Cantina Monte Vibiano Vecchio si trova a Marsciano (PG) www.montevibiano.it

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VINI D’ITALIA Sergio Germano

j di Luca Càvera i

Dai calcarei delle Langhe IL BAROLO E I SUOI TERRENI. SERGIO GERMANO RACCONTA IL ROSSO PRINCIPE DELLA SUA CANTINA. E LE SPERIMENTAZIONI COL RIESLING RENANO L’azienda agricola Germano, cantina e agriturismo, si trova a Serralunga d’Alba (CN) www.germanoettore.com

l Barolo vuole suoli calcarei, capaci di dargli struttura e tannino. Sulla collina Cerretta di Serralunga la famiglia Germano ha trovato terreni in cui il calcare raggiunge le massime concentrazioni. E così, oggi, Sergio Germano cura ancora i 10 ettari di proprietà, coltivati a Nebbiolo da Barolo, Barbera d’Alba e Dolcetto d’Alba, insieme a piccole prove di Chardonnay e Merlot, perpetuando il lavoro iniziato dal bisnonno Francesco e proseguito dal nonno Alberto e dal padre Ettore. A quest’ultimo è intitolata l’attuale azienda agricola, a un tempo cantina e agriturismo, con un terrazzo che si affaccia su tutta la Langa. «Nei

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BAROLO DOCG CERRETA · Coltivazione: 100% Nebbiolo coltivato a 400 m con esposizione sud, sud-est in terreno molto calcareo · Invecchiamento: in botte di rovere francese da 700 litri per 24 mesi e in bottiglia per 12 mesi · Gradazione: 14-14,5% vol. · Caratteristiche: rosso granato intenso, con lievi riflessi aranciati; profumo di frutta matura e vaniglia, che evolve in sfumature di cuoio e tabacco, ancora permeate da piccoli frutti. In bocca pieno, avvolgente, con una buona tannicità, retrogusto persistente e inteso · Abbinamenti: formaggi stagionati, secondi sapidi e cacciagione, piacevole per il fine pasto e la meditazione

terreni della Cerretta – dice Sergio – abbiamo trovato le condizioni che permettono alle viti di vegetare bene, producendo vini tannici e corposi che affrontano bene l’invecchiamento, risultando molto longevi». Vino principe della produzione Germano è il Barolo Docg Cerreta. «È ottenuto con la diraspapigiatura dell’uva e la fermentazione a contatto con le bucce per 25-30 giorni, effettuando diversi rimontaggi giornalieri, per estrarre colore e tannino. Alla svinatura, viene introdotto in piccole botti di rovere francese 20 per cento nuove e il resto da due a quattro anni di età, dove matura per almeno 24 mesi. Trascorso

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questo periodo, viene imbottigliato e si affina per altri 12 mesi prima di essere stappato. Giunto il momento tanto atteso, si presenta di un rosso granato intenso, con lievi riflessi aranciati e profumo di frutta matura e vaniglia – che dopo i primi anni di bottiglia evolvono in sfumature di cuoio e tabacco, ancora permeate da piccoli frutti. In bocca l’ingresso è pieno, avvolgente, con una buona tannicità, ingentilita dall’invecchiamento in piccoli fusti, che lascia la bocca pulita e un retrogusto persistente e inteso. Gli accostamenti variano dai formaggi stagionati ai secondi sapidi e di cacciagione. Ma è piacevole anche nel fine pasto e per meditazione». La passione di Sergio è forte anche per i bianchi e cresce insieme al desiderio di sperimentare varietà non consuete in questo ambiente. «Dopo alcune ricerche, ho individuato un appezzamento di 5 ettari

in Alta Langa, a Cigliè, dove la quota di 550 metri sul livello del mare e i terreni bianchi calcarei, ma molto pietrosi, facevano presagire caratteri interessanti di microclima e terreno. Qui ho iniziato a coltivare Chardonnay, Pinot Nero e Riesling Renano. Da quest’ultimo, vinificato in purezza, è nato l’Hérzu Langhe Doc Bianco. Questo, allo sguardo, si presenta giallo paglierino con riflessi verdognoli, ha un profumo fruttato. Leggermente tropicale nelle fasi giovanili, evolve verso un leggero vegetale dovuto all’acidità, che poi si trasforma in minerale e complesso. In bocca l’ingresso è pieno con sapidità e una bella dolcezza di frutto, finisce lungo, fresco e persistente. Si accosta a piatti di pesce crudo e antipasti di mare, pesce cotto e zuppe. È interessante l’abbinamento e con la carne cruda battuta a coltello».

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Sfide umbre DAL SAGRANTINO, GRANDE VITIGNO UMBRO, NASCE UN VINO NUOVO, ELEGANTE E LAVORATO IN MODO ESSENZIALE. LO RACCONTANO SABINA E PETER HEILBRON

j di Roberta De Tomi i e tinte e la corposità di questo vino, incarnano il carattere aspro e ricco del territorio da cui proviene: Bevagna, nel cuore della verde Umbria. Lo scenario è Tenuta Bellafonte, dove si produce un solo vino, il Montefalco Sagrantino. Una proprietà, anche agriturismo, in cui le vigne «tutte di Sagrantino – spiegano i titolari – si trovano a un’altezza variabile

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Tenuta Bellafonte ha sede a Bevagna (PG) www.tenutabellafonte.it

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tra i 260 e i 320 metri. Poggiano su terreni ben soleggiati, tenaci e rocciosi, che alternano l’argilla tipica della zona a formazioni marnose e arenacee che donano mineralità alle uve». La lavorazione dei vitigni e dell’uva, si basa su metodi naturali. «La vinificazione – continua Heilbron – si effettua utilizzando l’uva più sana, non pigiata, ma semplicemente diraspata. Quindi, evitando di rompere gli acini, l’uva è trasferita nei tini dove, grazie solo ai lieviti autoctoni, inizia la fermentazione, fase che dura circa due settimane. Dopo alcuni travasi, il vino viene trasferito nella zona di invecchiamento, dove matura per almeno 36 mesi in grandi botti di rovere di Slavonia di dimensioni non inferiori ai 30 ettolitri. L’imbottigliamento avviene senza filtrazioni ed eventuali depositi presenti sul fondo della bottiglia sono indice di tale scelta produttiva. Prima di lasciare la

nostra cantina, il vino riposa in bottiglia per altri 10 mesi». Tenuta Bellafonte si avvale delle conoscenze di Federico Curtaz per la parte agronomica e Beppe Caviola per la parte enologica, grazie alle quali si è vinta la sfida di ottenere un Sagrantino in cui prevalgono eleganza e profumi di stampo piemontese. Da quest’autunno viene commercializzato il primo vino prodotto dalla cantina: il Montefalco Sagrantino 2008. Il colore, rosso rubino, brillante e luminoso, mostra grande coerenza con i profumi, che si svelano pian piano, intensi e progressivi. Le note di mora e piccoli frutti di bosco si alternano a sensazioni speziate e minerali, via via più eleganti e complesse. La bocca è di grande struttura ed energia, ma allo stesso tempo raffinata, capace di unire freschezza e potenza. Il tannino, pur ben presente, è preciso, puntuale e mai eccessivo, capace di evolvere con classe.

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VINI D’ITALIA Emilio Marconi

L’arte del vino LA COLTIVAZIONE DELLE VITI, UN LAVORO TRASMESSO DI GENERAZIONE IN GENERAZIONE, COME SPIEGA EMILIO MARCONI di Roberta De Tomi pochi chilometri da Roma, nel cuore dei Castelli Romani, si trova Ariccia, collocata in una zona già nota agli antichi romani, come vocata alla viticoltura, in cui maturano uve pregiate, coltivate secondo procedure tradizionali, condotte in una modalità famigliare. È il caso dell’azienda agricola Marconi, che come spiega Emilio «Conserva il carattere familiare: nata nei primi anni del ‘900, dalla passione per il vino da parte del fondatore, Tranquillino Marconi. Da qui, il testimone è passato a mio padre Giuseppe, che ampliò la cantina e tutt’ora partecipa nell’azienda che è gestita, dopo tre generazioni, da me».

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L’azienda agricola Marconi si trova ad Ariccia (RM) www.cantinamarconi.com

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«I vigneti – continua il viticoltore ed enologo – posti a 290 metri di altitudine, sono situati nella zona collinare di Ginestreto e si affacciano sul Mar Mediterraneo. Questa esposizione permette alla brezza marina di arrivare fino ai nostri vigneti migliorando così le qualità sensoriali dell’uva. L’esposizione a sud dei vigneti assicura condizioni ottimali, particolarmente durante il periodo cruciale di maturazione quando l’uva raggiunge un perfetto equilibrio fra zuccheri e acidità. Il terreno è di origine vulcanica con uno strato attivo molto profondo ricco di sostanza organica. Questo suolo drena molto velocemente l’acqua, mantenendo comunque un grado di umidità

perfettamente bilanciato per dare nutrimento alla vite anche nei periodi di maggiore siccità. Inoltre avendo un’alta concentrazione di macro e micro elementi dona alle uve le migliori sostanze, per produrre vini di elevata qualità». Dalle cantine Marconi escono vini rossi quali il Sangiovese e bianchi come Chardonnay, il Vermentino. Il lavoro, come spiega Marconi «si basa su una filosofia incentrata sui concetti di qualità del prodotto, che ha origine dalla fertilità della terra, dal lavoro svolto nei vigneti fino ai processi di vinificazione, cui, prestiamo la massima attenzione, continuando a trasmettere di generazione in generazione questa attività, che è per noi una vera e propria arte».

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Dalle profondità dei Castelli Romani IN UN’ANTICA GROTTA SCAVATA NEL TUFO, VIENE AFFINATO IL MALVASIA CASAL PILOZZO. UN VINO CHE RACCHIUDE STORIA, GUSTO, PROFUMO E UNICITÀ j di Marco Tedeschi i

er alcuni libri di storia è stata l’abitazione della sorella e della nipote dell’Imperatore Traiano. In epoche molto più recenti hanno soggiornato qui le famiglie Filonardi, Brandi e Bottai. Persino Orson Welles e Tyrone Power. Si tratta di Casal Pilozzo, proprietà della famiglia Pulcini, situato nel comune di Monte Porzio Catone su una splendida collina a circa 15 Km a Sud di Roma, dalla quale si ha una bellissima veduta della Città Eterna. «Il Casale spiegano i fratelli Tatiana e Claudio Pulcini - è circondato da uno splendido parco e da 13 ettari di terreno di origine vulcanica coltivati a vigneti e uliveti. L’orgoglio di Casal Pilozzo è la rigorosa coltivazione biologica delle uve che sono state impiantate: Malvasia del Lazio, Grechetto Antico e

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Chardonnay per i vini bianchi; Pinot Nero, Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon, Merlot e Syrah per i rossi. Portiamo avanti anche un’attività d’agriturismo per la degustazione dei prodotti proveniente direttamente dall’azienda». I vini di Casal Pilozzo hanno ricevuto numerosi riconoscimenti partecipando a concorsi internazionali e nazionali. «Lo scorso anno alla Golosaria Top Hundred Wines svoltasi a Milano il nostro Malvasia Casal Pilozzo 2004 – specifica Tatiana - è stato classificato il Top dei Top. Un riconoscimento di eccezionale valore, lo abbiamo considerato la busta paga di una vita di lavoro». Il vino è ricavato da uva malvasia puntinata, un vitigno molto importante che non produce moltissimo vino. Per questo se ne ricava

un prodotto ancora più pregiato. «Un tipo di vino che nasce da una vendemmia molto selezionata - spiega Claudio -. Il prodotto viene fatto poi fermentare per alcuni giorni con le bucce, successivamente filtrato e messo in silos d’acciaio. Una volta imbottigliato viene affinato nella nostra grotta a 42 metri di profondità. Si tratta di un'antica grotta scavata nel tufo che si estende per una vasta area, dove sono tenute in affinamento 240 mila bottiglie di vino con un perfetto grado di umidità e una temperatura naturale e costante di 15 °C. Un vino che nasce così conserva la giovinezza anche dopo molti molti anni».

Casal Pilozzo si trova a Monte Porzio Catone (RM) www.casalpilozzo.it

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Il vino tra rito e piacere TRA L’ARIA TERSA DELLE COLLINE CHE DOMINANO LA VAL D’ORCIA NASCE IL BRUNELLO DI MONTALCINO DELLA CERBAIOLA. IL FRUTTO DI UN’OPERA COLLETTIVA. MA ANCHE DI MISTERO

di Marco Tedeschi

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l vino ha una pastosa pienezza ch’empie palato e anima di sapore». Scriveva Fogazzaro. Una pienezza che è frutto di opera collettiva. Questo è il concetto con cui può essere sintetizzato il vino per la famiglia Salvioni. «Opera collettiva – spiega Giulio Salvioni – non solo perché tutti i membri della famiglia s’impegnano al massimo per produrlo. Ma anche per il concetto, semplice e vero, che ne sta alla base: il vino

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esprime un rito che accomuna e un piacere da condividere». Da tre generazioni l’azienda agricola Cerbaiola esprime un connubio tra vino e ospitalità. «Il nonno Umberto Salvioni, dottore in agraria – racconta Alessia Salvioni – faceva il vino per gli amici, per il piacere di stare insieme e condividere un buon bicchiere. Giulio, mio padre, ha pensato di estendere la cerchia dell’amicizia creando, insieme a mia madre, un’azienda capace di produrre una quantità limitata di

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VINI D’ITALIA Giulio e Mirella Salvioni

Il grosso dell’invecchiamento avviene in botti di rovere di Slavonia da 20 hl, nella cantina situata nel centro storico di Montalcino La Cerbaiola Salvioni si trova a Montalcino (SI) www.aziendasalvioni.com - info@aziendasalvioni.com

bottiglie d’eccellenza. Il primo Brunello della Cerbaiola è del 1985, seguito da altre annate felici che hanno portato il nome di Montalcino e la passione dei Salvioni, insieme al loro vino, ben oltre i confini nazionali». Contornati da macchia boschiva, i 20 ettari dell’azienda La Cerbaiola dominano la Val d’Orcia da un’altitudine dei 420 m, aprendosi come un altipiano con un lieve pendio verso sudest, a 4 km da Montalcino. «Qui l’aria è tersa – spiega Giulio - e sulle colline di fronte si scorgono Pienza, San Quirico e Ripa d’Orcia. Tre sono gli appezzamenti di vigneto, per complessivi 4 ettari, ognuno con delle caratteristiche particolari: suoli che passano dal calcare galestroso al sasso e microclima con sottili ma significativi differenze

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che influiscono sui tempi di maturazione delle uve. Tutto il lavoro in vigna viene effettuato in maniera tradizionale, con potature corte per ottenere rese bassissime, dai 25 ai 35 quintali per ettaro, e una raccolta selettiva rigorosamente a mano. La produzione attuale varia tra le 10.000 bottiglie nelle annate in cui si produce solo il Brunello, e le 15.000 quando si produce anche il Rosso di Montalcino». La fermentazione e la svinatura alla cantina della Cerbaiola vengono svolte in prossimità dei vigneti, in cisterne d’acciaio da 40 hl. «Terminata la fermentazione malolattica, - prosegue David il grosso dell’invecchiamento avviene in botti di rovere di Slavonia da 20 hl, nella cantina situata nel centro storico di Montalcino, proprio sotto la no-

stra abitazione. È un po’ come se questa fase protratta, tanto delicata e misteriosa, dovesse avvenire in seno alla famiglia». Il prodotto di punta dell’azienda la Cerbaiola è proprio il Brunello di Montalcino, che ha raccolto negli anni importanti riconoscimenti a livello nazionale e internazionale. «Per il Brunello – conclude Alessia – seguiamo il metodo tradizionale, con la maturazione in rovere di Slavonia per almeno 36 mesi. La scelta della produzione del Brunello di Montalcino è determinata dalle caratteristiche dell’annata e dalla qualità delle uve. Nelle annate non consone alla produzione di un eccellente Brunello, si destina l’intera raccolta al Rosso di Montalcino, prodotto anche nelle annate in cui la produzione consente una maggiore raccolta».

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VINI D’ITALIA Roberto Moretti

Downshifting a Montalcino

j di Amedeo Longhi i

UN DIRETTORE FINANZIARIO CHE DIVENTA VITICOLTORE IN UNA DELLE CULLE DEL VINO ITALIANO. ROBERTO MORETTI RACCONTA LA SUA AVVENTURA

ell’ultima decade del secolo scorso, quando iniziai la mia avventura a Montalcino, conoscevo il vino come prodotto industriale; poi c’era quello del contadino, spesso con problemi di stabilità e di conservazione». Comincia così la storia di Roberto Moretti che, da direttore finanziario dedito a organizzare e controllare i flussi di cassa di qualche multinazionale, decide di lasciare tutto e dedicarsi alla sua passione. Fonda così l’azienda agricola Querce Bettina, una dozzina di anni fa insieme alla moglie Sandra Barenghi. «Le nostre terre si trovano a 440 metri sul livello del mare e le vigne, poste sul dosso, guardano a sud-ovest della collina, esposte al sole. Il lieve declino consente un dolce scorrimento delle acque e il terreno calcareo misto ad

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argilla e galestro accoglie nel migliore dei modi le piantine di Sangiovese in purezza impiantate nell’autunno del 1999. I mitigati venti di maestrale e il clima caldo asciutto della zona fanno proteggono da malattie e muffe». Nella prima vendemmia del 2004 le uve erano sane, concentrate e ricche di profumi. «Ottenemmo un Brunello adatto all’invecchiamento e nelle successive vendemmie, in particolare nel 2006, il fenomeno si è ripetuto migliorando nella concentrazione e nei profumi. Per nostra scelta i vini non hanno mai una gradazione alcolica elevata – fra i 13 e i 13,8 gradi – e risultano eleganti e di gradevole beva per accompagnare i cibi negli abbinamenti: antipasti e primi piatti con il Rosso di Montalcino e stufati, carni rosse e formaggi con il Brunello». Sin dall’inizio della loro commer-

cializzazione, dopo il 2009, si sono confermate le caratteristiche di alta qualità: «Gli apprezzamenti più significativi vengono dai nostri consumatori affezionati, che volentieri ci visitano o richiedono forniture anche di limitate quantità. Inoltre, nel 2011 il Gambero Rosso ha attribuito i “Tre Bicchieri” al Brunello Docg 2006. Anche le commissioni Onav hanno premiato con l’Oscar Douja D’Or il Brunello Docg delle vendemmie 2005 e 2006. Il segreto sta nella magica combinazione della terra e della vite più idonea a crescere in quel microclima, così che le uve che maturano in questi luoghi diano vini buoni senza che l’uomo intervenga e modifichi la loro struttura».

Roberto Moretti e Sandra Barenghi, titolari di Querce Bettina con sede a Montalcino (SI) www.quercebettina.it

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viaggio nell’italia

dei salumi “SALUMI D’ITALIA” È UNA RACCOLTA GUSTOSA, RICCA DI SAPORI E DI METODI ANTICHI, TROPPO SPESSO CUSTODITI SOLO DA POCHI ARTIGIANI. PER QUESTO VANNO RISCOPERTI. LA PAROLA A VALTER BORDO

di Teresa Bellemo

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SALUMI DOP Valter Bordo

ettersi a contare i salumi italiani è impossibile. Tanti e molto diversi tra loro, sono un vero e proprio universo da scoprire e assaporare, dove ogni prodotto ha gusto e personalità ed è testimone, il più delle volte, di un’antica tradizione artigianale. Frutto di anni di storia, e spesso dei pochi mezzi e della necessità di conservare il più possibile un cibo prezioso come la carne, i salumi sono protagonisti dei deschi di ogni regione d’Italia. Su questo si è basata la ricerca di Stefano Asara e Valter Bordo per il loro “Salumi d’Italia”, una raccolta di 250 salumi provenienti da tutto lo Stivale. Un lavoro minuzioso che ha portato a scoprire prodotti perduti nella memoria del territorio e che Slow Food con i suoi presidi cerca ogni giorno di salvare dall’estinzione. Come ricorda Valter Bordo però «più di ogni altra

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cosa, è il territorio che deve tornare ad aver fiducia e credere nelle proprie produzioni di qualità diventando, senza se e senza ma, una reale comunità del cibo». Solo così i sapori italiani possono continuare a raccontare la storia dei territori. Come identificare un buon salume? «La prima cosa che salta agli occhi, esaminando un insaccato, è la colorazione della muffa presente sull’involucro, meglio se bianca e distribuita in maniera relativamente uniforme; da guardare con diffidenza una diffusione a chiazze. Anche la muffa tendente al verde può essere accettata, sempre che risponda agli stessi criteri di distribuzione. La pelle si deve staccare in maniera omogenea e continua. Il colore della fetta deve essere uguale lungo tutta la superficie, il grasso deve essere di colorazione

bianca, la naturale essudazione della carne, se presente, sarà testimone della buona stagionatura; l’inscurimento della superficie, dopo un po’ di tempo dal taglio, è sinonimo di genuinità, basta scartare la parte iniziale. Nei salumi interi, tipo il prosciutto crudo, sono importantissime le venature di grasso, la marezzatura, che è fonte di morbidezza, profumo e gusto: tutti i sapori e odori migliori sono infatti nel grasso. Le spezie e le erbe aromatiche non devono mai prevaricare ma arricchire». Come assaggiare un salume? «Si dovrebbe avere l’accortezza di assaggiare la fetta ripiegata in modo che consenta di gustare, giudicandoli separatamente, i vari strati: è la parte centrale il punto che certifica la qualità del prodotto, quella più difficile da far stagionare e che può rivelare, ove

Sopra, Valter Bordo, autore insieme a Stefano Asara del volume “Salumi d’Italia”, edito da Slow Food

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SALUMI DOP Valter Bordo

il più grande prodotto industriale non si potrà mai avvicinare al grande prodotto artigiano».

mal stagionata, sgradevoli note acide o amare». Quali sono le differenze tra un salume artigianale e uno industriale? Quello industriale è necessariamente meno pregiato? «È come paragonare un mobile Ikea a quello di un artigiano: entrambi svolgono la loro funzione ma la qualità, le finiture, la ricerca e l’attenzione che c’è nel mobile artigianale, difficilmente, per non dire mai, può essere raggiunto dall’industria. È anche una questione di numeri. Non si deve pensare che un prodotto artigiano è sempre buono, ma sono sicuro che

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Ci sono alcuni prodotti che rischiano l’estinzione. Cosa fare per evitare che questo accada? «Da questo punto di vista, come Slow Food, abbiamo lavorato su progetti mirati, salvando molti prodotti. Come la mortadella di Campotosto, all’interno del Parco nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga, il capicollo azze anca grecanico in Calabria, la salsiccia rossa di Gioi in Campania, la salama da sugo in Emilia, la friulana pitina, il violino di capra della Valchiavenna, la testa in cassetta di Gavi, il toscano prosciutto bazzone, la cui tradizione è radicata nei territori montani della media valle del Serchio e della Garfagnana, la mortandela della Val di Non». A suo parere, quali sono i re dei salumi in Italia? «Propendo per una categoria che è quella dei salumi derivanti da un unico pezzo anatomico: prosciutto, culatello, capicollo». Qual è il prodotto più insolito che ha assaggiato? «Per quanto riguarda la particolarità della produzione, direi la pitina. Di origini contadine, come

per tutti i salumi, nasce per soddisfare l’esigenza di conservare la carne nei mesi autunnali e invernali, in zone tradizionalmente povere, come quelle delle valli a nord di Pordenone: se si uccideva un capriolo o se si feriva o ammalava una pecora, si doveva trovare il modo di non sprecare nulla. Da queste esigenze di conservazione nacquero la pitina e le sue varianti peta e petuccia, diverse per le erbe aromatiche aggiunte per l’impasto e le maggiori dimensioni (la peta). Con la carne macinata si formavano piccole polpette, si passavano nella farina di mais e si facevano affumicare sulla mensola del fogher. La pitina, col passar del tempo, si asciugava e per consumarla occorreva ammorbidirla nel brodo di polenta. Oggi la pitina è ingentilita da una parte di grasso di suino che smorza il sapore intenso e un po’ selvatico della carne di capriolo, capra o pecora. L’affumicatura si realizza con diversi legni aromatici, ma soprattutto di faggio. Si mangia cruda a fettine, dopo almeno 30 giorni di stagionatura, ma è ottima anche cucinata. Può essere scottata nell’aceto e servita con la polenta, rosolata nel burro e cipolla e aggiunta nel minestrone di patate, o ancora fatta al cao, cioè cotta nel latte di vacca appena munto».

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SALUMI DOP Valter Bordo

sulla strada dei longobardi IL SALAME DI VARZI VANTA UNA STORIA CHE PARE RISALIRE PROPRIO ALLA POPOLAZIONE BARBARICA. OGGI HA OTTENUTO LA DOP ED È FIORE ALL’OCCHIELLO DELLA TRADIZIONE ENOGASTRONOMICA DEL TERRITORIO

di Teresa Bellemo

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a sempre l’appennino dell’Oltrepò Pavese è zona deputata all’allevamento del suino, anche per la facilità di conservazione delle sue carni. Lo sapevano bene i Romani, ma secondo la tradizione i veri innovatori furono i Longobardi. All’arrivo in questa terra di conquista, infatti, insegnarono agli abitanti del posto una loro tecnica per la conservazione: insaccare nei budelli animali la carne tritata a mano. Il procedimento divenne poi proprio di questo territorio e incontrò tutti quei sapori tipici che l’Oltrepò poteva fornire, come vino, aglio, sale e pepe. L’insaccatura è ormai un’arte che oggi è identifica questa zona e il salame di Varzi è uno dei tanti prodotti che ne testimoniano la qualità. Ne parliamo con il direttore del consorzio di tutela Annibale Bigoni.

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Come nasce e cosa fa il Consorzio di tutela del salame di Varzi? «La storia di questo consorzio è travagliata. Nel 1950 un gruppo di circa 11 produttori cercarono di buttare le basi per la costituzione di un consorzio tra produttori di salame che rappresentasse un preciso territorio, ma non riuscirono a trovare un accordo. Circa 35 anni dopo, nel 1984 venne costituito, sotto l’impulso del Comune di Varzi, della Camera di Commercio di Pavia e della Comunità montana Oltrepò Pavese, il “Consorzio volontario fra i produttori del salame di Varzi”, con lo scopo di conseguire il riconoscimento della denominazione di origine, nonché di svolgere attività promozionale, di vigilanza, di tutela e garanzia del prodotto. A questo consorzio aderirono 29 produttori. Il salame di Varzi ha ottenuto la Denominazione di origine nel

1989 e la Dop nel 1996». Qual è la storia del vostro salame? «Le origini del salame di Varzi partono, come molti insaccati, dall’esigenza di conservare la carne. Nelle zone dell’Oltrepò, il salame di Varzi è da secoli un’orgogliosa produzione primaria del territorio. Uno dei motivi principali è la sua composizione: l’insaccato è, infatti, ottenuto dall’impasto di tutti i tagli di carne magra, anche quelli più pregiati che di solito sono destinati a salumi come i prosciutti o le coppe, tritati a grana grossa a cui viene aggiunto il migliore grasso del maiale. All’impasto si aggiunge poi la giusta quantità di sale, in modo da non alterare la morbidezza e la delicatezza del sapore. Dall’equilibrio di tutti questi elementi e dopo una stagionatura di circa 120 giorni, il prodotto è pronto per essere consumato».

Sopra il direttore del Consorzio di tutela del salame di Varzi, Annibale Bigoni

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SALUMI PREGIATI Mario Bortolotti

Pregiati

j di Lodovico Bevilacqua i

salumi lombardi LAVORAZIONI TRADIZIONALI BASATE SUL RISPETTO DEI RITMI NATURALI. L’ESPERIENZA DI MARIO BORTOLOTTI NELLA PRODUZIONE DEI SALUMI

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a naturalità della produzione alimentare si declina – oltre che nella scelta di ingredienti genuini – nell’adeguamento dei ritmi produttivi a quelli che sono i tempi di stagionatura, in una sorta di rallentamento che consenta il raggiungimento di una salutare empatia con la cadenza naturale dei processi fisiologici di maturazione del prodotto. Stiamo parlando del mercato dei salumi e in special modo del salame, uno dei fiori all’occhiello della gastronomia nazionale e punto di forza della tradizione bergamasca. E proprio i suggestivi declivi orobici, racchiusi fra le valli Brembana e Seriana, a ridosso di salubri aree boschive, offrono la possibilità di ricondurre la produzione dei pregiati salami lombardi ai sani e naturali ritmi di stagionatura tradizionale. Esperto artigiano ed entusiasta sostenitore di questi metodi produttivi, Mario Bortolotti – titolare dell’omonima azienda – ora è al comando di una realtà che dà la-

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voro a circa 80 famiglie, e ancora oggi non trascura l’importanza ricoperta dall’esperienza in un mercato così particolare e selettivo. «Gli oltre trentacinque anni di attività ci hanno permesso di raggiungere una grande confidenza con i materiali – pregiate carni nostrane – e i loro ritmi di produzione, nonché di capire, apprezzare e valorizzare l’importanza dell’ambiente per una corretta stagionatura del prodotto». La localizzazione dell’impianto produttivo contribuisce infatti in maniera determinante al raggiungimento di una qualità premiata da clienti e utenza. «Nel 2009 abbiamo terminato la realizzazione del nostro sito produttivo, un impianto all’avanguardia situato a Cene, nella media Val Seriana; la purezza dell’ambiente e l’efficienza della produzione – ottenuta anche grazie a una saggia tecnologizzazione del ciclo – garantiscono una qualità dei prodotti con rari eguali». La cura e l’attenzione – anche eco-

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nomica – rivolta al ciclo produttivo hanno conseguito una serie di certificazioni – Iso 9001:2000, Iso 14001:2004, Emas, Filiera, Ifs e Brc per il mercato estero – ad ulteriore conferma, se necessaria, della spiccata vocazione all’eccellenza che informa in maniera inclusiva il Dna aziendale della Bortolotti. Un’attitudine premiata anche dal successo sul mercato nazionale ed estero. «La qualità dei nostri prodotti derivata dai sapienti metodi di lavorazione e l’innovazione tecnologica applicata al reparto

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di confezionamento hanno permesso alla Bortolotti di affermarsi sul mercato nostrano ed europeo; siamo oltremodo orgogliosi dei successi registrati sul mercato francese, svizzero, austriaco e, soprattutto, tedesco, dove siamo fornitore del gigante della distribuzione Metro con il marchio di qualità Fine Food Finestro». In una strategia aziendale fortemente orientata alla promozione della qualità produttiva, non poteva mancare la creazione di un marchio che valorizzasse la naturalità dei prodotti distribuiti. «Con l’evocativo nome di èNaturale abbiamo recentemente istituito una linea di prodotti che rappresenta l’attuale punto di arrivo della Bortolotti. La consueta qualità è in questo caso affiancata da una preziosa innovazione – una vera e propria novità in un comparto statico come quello dei salumi. L’immissione sul mercato di una confezione di preaffettato apri&chiudi di salumi depurati da qualsiasi traccia di prodotti chi-

mici ha conseguito la promozione a pieni voti dei clienti e dell’utenza, segnando un ulteriore successo commerciale». Non marginale, nel concorso al successo di questa linea, la modernità dell’azienda e la conseguente capacità di contenere i costi di produzione: «L’emancipazione dalla retrograda mentalità di condanna nei confronti della tecnologia nell’ambito della produzione tradizionale ci ha permesso di informatizzare parte del processo produttivo, riuscendo a ridurre sensibilmente i costi pur mantenendo inalterato il livello qualitativo dei salumi, sfruttando i miglioramenti che la tecnologia ha permesso di conseguire – soprattutto dal punto di vista igienico». Specializzata nei salumi, la Bortolotti si cimenta anche nella produzione di tanti altri prodotti – dagli insaccati freschi ai cotti e precotti, fino a particolari specialità come roast-beef e coppa di testa in iuta – con la consueta attenzione per la qualità e la naturalità dei prodotti.

L’azienda Salumi Bortolotti ha sede a Cene (BG) www.salumibortolotti.it

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Un sapore delicato e naturale

AVVOLTO IN PEZZE DI TELA GREZZA, VIENE COTTO LENTAMENTE NELLO STRACCIO. COME TRADIZIONE VUOLE. È QUESTO CIÒ CHE FA LA DIFFERENZA NEL PROSCIUTTO COTTO SAN GIOVANNI. UN CONNUBIO DI DOLCEZZA E SPEZIE j di Marco Tedeschi i

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SALUMI PREGIATI Angelo Capitelli

cioglievolezza. È questa la sensazione che si coglie assaporando il prosciutto cotto San Giovanni. «Nel San Giovanni – racconta Angelo Capitelli - si può cogliere la persistenza delle proteine, la dolcezza naturale dei grassi e la delicata persistenza del nostro blend di verdure e spezie». Una tradizione nel settore salumi lunga più di cent’anni ha portato la Capitelli a trasformarsi in una realtà produttiva specializzata nella grande salumeria emiliana. Il metodo è ciò che fa la differenza, è per questa ragione che per la lavorazione del prosciutto cotto “San Giovanni”, si è scelto di tornare alla tradizione.

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Che tipo di lavorazione c’è dietro il prosciutto cotto San Giovanni? «Il fatto di aggiungere la salamoia attraverso il metodo completamente naturale della siringatura a

vena, consente di rispettare l’integrità delle fibre della carne conservandone la consistenza e la fragranza. Altro aspetto caratteristico e unico della lavorazione di questo prodotto sta nel fatto che viene cotto nello straccio, mentre i prosciutti cotti tradizionalmente vengono cotti in casseruole o stampi di alluminio che conferiscono la consueta forma al prodotto. Il San Giovanni viene avvolto in pezze di tela grezza che

Il San Giovanni, per caratteristiche estetiche, qualitative e organolettiche ha conquistato un’identità chiara

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consentono di proteggere il prodotto lungo tutta la lunga fase di cottura che dura oltre 24 ore. In questo modo le proteine e i grassi che si sciolgono durante la cottura restano a contatto con la carne donando al prodotto un sapore naturale, delicato e persistente». Da poco è entrata in scena Giovanna, l’ultima arrivata a casa Capitelli. Come nasce e quali sapori la connotano? «Giovanna si caratterizza per un particolare metodo produttivo, a metà tra la produzione della pancetta classica stagionata e quella del prosciutto cotto tradizionale. In quanto, la materia prima di origine, pancettoni di suino pesante padano, viene parzialmente stagionata e successivamente cotta secondo un metodo innovativo, che custodiamo gelosamente. Gio-

Angelo Capitelli della Capitelli di Borgonovo Val Tidone (PC) www.capitelli.pc.it

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• vanna viene inoltre esaltata dal taglio di carne, la pancetta appunto, che per caratteristiche organolettiche è naturalmente più ricca di sapori». Quali altri salumi possono arricchire i menù? «Da quarant’anni produciamo prosciutto cotto e salumi cotti in genere. La nostra Mortadella Europa rappresenta, oltre al prosciutto cotto, il nostro prodotto più significativo. Premiata da alcune riviste del settore è riconosciuta come prodotto artigianale di alta qualità». I sapori della tradizione culinaria italiana sono molto apprezzati anche all’estero. Lo confermate anche voi? «Lo confermiamo per quanto riguarda i prodotti alimentari italiani in genere e anche quindi per i prodotti di salumeria, specialmente per quelli accompagnati da un marchio di garanzia dei consorzi di appartenenza. In ogni caso non è sempre facile affermarsi all’estero con un prodotto come il nostro; questo perché al di fuori dei confini italiani non esiste una cultura intorno al prosciutto cotto, spesso considerato alla stregua di una “commodity alimentare”, buona per tutte le occasioni di consumo ma senza una vera e propria identità. Di conseguenza il

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Il San Giovanni viene avvolto in pezze di tela grezza che consentono di proteggere il prodotto lungo tutta la lunga fase di cottura che dura oltre 24 ore consumatore è disposto a pagare un prezzo relativamente basso che esclude dal grande consumo il cotto italiano. Questa realtà di fatto, non ci ha impedito di raggiungere comunque piccole quote di mercato con un prodotto, il San Giovanni appunto, che per caratteristiche estetiche, qualitative e organolettiche è talmente diverso dagli altri prodotti del settore da consentirgli di conquistare un’identità chiara e sempre più riconosciuta all’interno di un ristretto novero di appassionati del settore».

La vostra attenzione è rivolta anche agli stili di vita a tavola. Il ritorno ai sapori e alle lavorazioni “di una volta”, costituiscono un importante fattore, nei tempi del fast-food? «Anche nel settore della salumeria il mutamento degli stili di vita ha portato a una progressiva affermazione dei prodotti di terza e quarta gamma; prosciutti pre-affettati venduti in comode confezioni in atmosfera modificata e piatti pronti a base di salumi. In questo contesto noi abbiamo deciso di andare controtendenza indirizzando

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SALUMI PREGIATI Angelo Capitelli

la nostra attività verso il recupero di antiche ricette e la valorizzazione di materie prime. Le carni in primis dotate di particolari requisiti qualitativi. È vero che gli stili di vita sono in continuo movimento e che i consumi di massa si vanno orientando versi cibi e consumi “fast” e già pronti, ma a noi questo non interessa perché è un settore che non ci appassiona e la passione nel nostro campo è tutto». In cosa consiste il progetto Cibosano? «Tutto è iniziato dalle novità immesse nel nostro sito internet. All’interno abbiamo riversato la

nostra storia, le nostre esperienze, i colori e le emozioni del nostro lavoro quotidiano. Dal momento che il risultato finale è stato piacevole, abbiamo pensato di fare qualcosa per i nostri clienti, il “Progetto Cibosano” appunto. L’idea nasce dalla considerazione

che spesso molte “botteghe della qualità” sparse in tutta Italia, concentrano le loro energie nella cura dei prodotti e delle lavorazioni ma, per limiti di tempo, sovente trascurano la propria visibilità esterna; molti non hanno un sito internet o, se lo hanno, spesso è privo di “movimento” e contenuti nuovi. Con il “Progetto Cibosano” noi intendiamo offrire uno spazio all’interno del quale tutte queste realtà territoriali possono trovare spazio in un contesto di visibilità e di continuo aggiornamento, garantito dal nostro sito. Inoltre, per quelle realtà che non dispongono di un sito o che vogliono considerare il rinnovo di quello già esistente, a fronte di un progetto comune di condivisione e interessi, offriamo la creazione gratuita di un sito moderno, dotato di tutte le più recenti funzionalità garantite dalla rete. Abbiamo già raccolto diverse adesioni a dimostrazione che condividendo qualche semplice idea si può andare lontano».

In queste immagini fasi di cottura e preparazione del prosciutto cotto San Giovanni

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j di Renato Ferretti i

Antica salumeria CIÒ CHE È TRADIZIONALE È PIÙ SANO E PIÙ BUONO: LA PERSONALE BATTAGLIA DI LUCIANO PELUCCHINI AI PRODOTTI ALIMENTARI INDUSTRIALI

avorazione ancora manuale, nessun utilizzo di ingredienti chimici, asciugatura con la vecchia tecnica dei focolari, stagionatura in ambiente naturale, nessuna ventilazione forzata. Sono le caratteristiche dei salumi che produce l’Antica salumeria Bilei e di cui il titolare Luciano Pelucchini va orgoglioso. «Noi aggiungiamo solo sale e pepe alla carne che stagioniamo, e asciughiamo i nostri salumi davanti al focolare con ciocchi di legna, come si faceva nelle nostre case fino a cinquant’anni fa. La carne suina si può sterilizzare naturalmente senza che presenti alcun pericolo, anzi esaltandone gusto e digeribilità, con-

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trariamente all’insaccato chimico che dà pessima digestione e acidità, quindi non permette di scoprire il sapore. Anzi, lo standardizza». La salumeria Bilei si dice “antica” perché fondata nel 1890 a Fabriano (AN) e il suo titolare rispetta tutt’oggi la tradizione dei salumi del posto. Ma non per una vuota apparenza pubblicitaria. A sentir parlare Pelucchini vien da pensare a una vera e propria missione contro i pericoli degli alimenti industriali. «Il nostro salame lardellato Fabriano è fatto secondo la classica salumeria dell’alta valle dell’Esino così come gli altri nostri prodotti artigianali. I nostri animali mangiano per il 70 per cento

mais e per il resto patate. Inoltre siamo iscritti alla Celiachia Nazionale (AIC Prontuario) e possiamo servire celiaci intolleranti e allergici. Non usiamo nitrati e nitriti, che sono cancerogeni. Non usiamo glutammato monosodico, perché non c’è bisogno insaporire le nostre carni. Ma oggi la maggior parte dei consumatori “mastica” e non mangia. In questo, anche noi nel nostro piccolo, potremmo porci in controtendenza e iniziare una nuova fase d’informazione: sarebbe preziosissima per poter poi scegliere con oculatezza e ottimizzare la spesa. Mentre adesso tanti rimangono nella più profonda ignoranza in balia di ogni ingannevole pubblicità».

L’Antica salumeria Bilei ha sede a Fabriano (AN) www.salumeriabilei.it

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Culatello, magia di cantina ANGELO CAPASSO RIVELA IL SEGRETO CHE STA DIETRO AL SAPORE UNICO DEL PIÙ ILLUSTRE DEI SALUMI, COM’È NATO E COME SI FA. «IL QUID STA NELL’UMIDITÀ»

j di Renato Ferretti i

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SALUMI PREGIATI Angelo Capasso

periamo che ci sia la nebbia». Per quanto possa sembrare strano, è un augurio vero e proprio che si sente spesso nella bassa parmense. È la nebbia, infatti, che benedice la buona riuscita della stagionatura del “principe dei salumi”: il culatello. L’umidità, infatti, è uno dei fattori deter-

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Angelo Capasso tra i culatelli della sua “Squisito”, con sede a Diolo di Soragna (PR) www.salumificiosquisito.it

minanti nel ciclo che coinvolge questo prodotto Dop. Come spiega Angelo Capasso, che nel suo laboratorio “Squisito” a Diolo di Soragna (PR), produce tutti i salumi tipici della zona. «Il prosciutto è ritenuto la parte più buona del maiale. Quando si fa il culatello, si prende il cuore del prosciutto e lo si fa stagionare». È tutta qui la differenza col prosciutto? «La lavorazione non è la stessa, ma la vera differenza sta nel sapore che il culatello riesce ad assorbire dalla cantina durante la stagionatura. Il prosciutto ha la cotenna e viene sugnato, per questo non riesce a prendere bene i profumi che lo circondano, mentre il culatello è rivestito di una vescica che è molto sottile e che con l’umidità lascia penetrare nella carne un aroma che il prosciutto non riesce ad ottenere». Dunque il segreto sta nella cantina. «Quando allestiamo una cantina ne facciamo il pavimento in mattoni, che possa respirare, che possa buttar fuori l’umidità. Deve avere delle finestre da poter chiudere e aprire al momento giusto. Un culatello di 20 mesi in una cella di stagionatura sarà più simile al prosciutto di un culatello che ha fatto 16 o 18 mesi in una cantina naturale, dove le temperature interne seguono il

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ritmo naturale delle stagioni». Non siete certo gli unici produttori in zona, che cosa secondo voi vi rende diversi? «Forse è soprattutto una questione di materia prima, perché abbiamo gli allevamenti che ci tengono da parte gli animali per noi. È fondamentale avere un animale sano che superi i 200 kg: quand’è così lo chiamiamo un animale fatto, perché non perderà tanta acqua e la carne rimarrà soda. Questo incide sulla qualità». La zona di Parma è famosa soprattutto per il prosciutto, com’è nato il culatello di Zibello? «Risale al 1400 circa. Pare che un contadino di queste parti trovò il modo di stagionare il prosciutto anche qui. Nella bassa non si può fare il prosciutto, perché c’è troppa umidità, infatti, noi nel nostro laboratorio lo facciamo, ma poi lo portiamo a stagionare in collina. All’epoca però ancora non si conosceva l’importanza di questa differenza e i tentativi di stagionare la coscia del maiale con l’osso finivano sempre male: il salume non sembrava mai pronto e dopo due tre anni la carne cominciava ad avere dei problemi. Il contadino in questione pensò allora di ridurre la massa della carne da stagionare e ne tolse l’osso. E così, proprio grazie a quell’umidità che proibiva il prosciutto, nacque il re dei salumi».

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SALUMI PREGIATI Raffaele Biancucci

Nel rispetto della norcineria senese di Lucrezia Gennari

PRESERVARE LA TRADIZIONE CONTADINA NELLA LAVORAZIONE DEL MAIALE DELLE COLLINE SENESI È UNA DELLE PREROGATIVE DELLA SALUMI IL BORGO. L’ESPERIENZA DI RAFFAELE BIANCUCCI E GIORGIO CIANI

La Salumi Il Borgo ha sede a Monteroni d’Arbia (SI) www.ilborgosalumidisiena.it

articolarmente saporita e più gustosa delle altre carni suine, la cinta senese offre anche migliori qualità dietetiche, grazie alla maggiore concentrazione di acidi grassi insaturi, in particolare Omega 3 e Omega 6. Il nome deriva dall’area di diffusione di questa particolare razza suina, le colline del senese, e dalle tinte del mantello, di colore scuro con una

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banda di pelo bianco che cinge il torace dell’animale. Probabilmente già conosciuta al tempo dei romani, ancora oggi deve essere allevata allo stato brado o semibrado, in ampie aree recintate, dove i boschi si alternano a qualche radura. Di qui la particolare alimentazione, totalmente naturale e a base soprattutto di ghiande di quercia e leccio, ma anche di tuberi, radici e materiale organico

del tappeto erboso, che conferisce alle sue carni il sapore e le caratteristiche che le contraddistinguono. «La tradizione contadina nella lavorazione del maiale delle colline senesi è un vero e proprio patrimonio che ancora oggi in questa zona è radicato e si tramanda di generazione in generazione - afferma Raffaele Biancucci, titolare della Salumi Il Borgo di Monteroni d’Arbia -. Su quest’arte la nostra

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SALUMI PREGIATI Raffaele Biancucci

azienda ha basato le sue fondamenta e ancora oggi portiamo avanti la lavorazione secondo gli antichi metodi tradizionali, attenta a tutti i piccoli segreti della norcineria senese». Da sempre la politica adottata dalla Salumi Il Borgo è quella di lavorare solo carni nazionali perché il settore primario italiano ha

fortunatamente ancora solide basi qualitative sulle quali si può contare per avere un prodotto finito eccellente. «Utilizziamo esclusivamente carni provenienti da suini italiani, nati e allevati sul territorio nazionale – interviene il socio Giorgio Ciani –. Le carni selezionate provengono dalle mezzene di maiale del tipo

Da sempre la politica è quella di lavorare solo carni nazionali perché il settore primario italiano ha fortunatamente ancora solide basi qualitative

“pesante” di prima scelta: ciò significa che si lavorano carni mature che hanno quindi il giusto rapporto magro/grasso. Gli allevamenti di provenienza aderiscono al Consorzio per la Produzione del Prosciutto di Parma e San Daniele per cui sono sottoposti a severe norme in materia di alimentazione dell’animale. Questa scelta si è rivelata assolutamente premiante, dal momento che la clientela al giorno di oggi è sempre più consapevole ed esigente in materia di tracciabilità della filiera». Ogni fase del lavorazione, inoltre, avviene completamente all’interno degli stabilimenti di Monteroni d’Arbia, senza alcuna aggiunta di allergeni. Oltre alla celebre cinta senese, Il Borgo produce tutti i tipi di salumi: dagli insaccati freschi a quelli stagionati, alle coppe, le pancette, i prosciutti, le porchette e ultimi, ma non per importanza, il buristo e la soppressata, veri prodotti tipici della tradizione senese di cui Il Borgo ha deciso di non perdere memoria. Al momento l’azienda non aderisce ad alcun Consorzio per la Dop in quanto la maggior parte della produzione consiste in prosciutti disossati pesanti (9/10 kg) che si differenziano dal prosciutto con osso nella praticità dell’affettatura e del porzionamento in tranci per l’uso familiare.

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SALUMI PREGIATI Matteo Refatto

“Sopressa” e vin durello UN SALUME MORBIDO, SIMBOLO PER I PALATI VICENTINI, CHE BEN SI ABBINA AI VINI LOCALI. NE PARLA MATTEO REFATTO

di Matteo Grande dopo la festività di San Tommaso, precisamente il 21 dicembre, che tradizionalmente viene sacrificato il maiale. Ed è proprio nel periodo invernale che inizia la preparazione e la lavorazione di uno dei salumi più tipici della provincia di Vicenza, ovvero la Sopressa. Un buon equilibrio tra parti magre e grasse e un’ottima consistenza morbida. Sono queste le caratteristiche principali di quest’insaccato, prodotto egregiamente dalla Forme e Sapori di Arzignano. Una maestria riconosciuta e premiata anche dal Campionato Italiano del Salame. «Forme e Sapori – spiega Matteo Refatto che gestisce l’attività – è partita dieci anni fa. Un negozio di 50 metri quadrati contenente tutte le

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Forme e Sapori si trova ad Arzignano (VI) formesapori@hotmail.it

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specialità di salumi e formaggi delle nostre zone. Oltre ovviamente a pasta e affini. È qui che abbiamo deciso di aprire un piccolo laboratorio di soppresse, che oggi rappresentano la nostra specialità. Il laboratorio si è poi ingrandito e oggi ne abbiamo uno di 400 metri quadrati, che è stato affiancato da un reparto degustazione dove è possibile anche fare degli abbinamenti cibo-vino». La carne con cui viene creata la soppressa proviene dai maiali dall’azienda agricola di famiglia. «La carne è direttamente lavorata da noi. La qualità del prodotto finale deriva dal fatto che vengono utilizzate esclusivamente parti nobili dei maiali. Questo a garanzia di qualità e prelibatezza del prodotto, soprattutto per la soppressa, che necessita di una

stagionatura maggiore. Nella soppressa noi mettiamo solo sale, pepe ed E252. Un prodotto quindi molto naturale che viene asciugato con il camino e che va in cantina appeso in travi di legno per sei mesi. La lavorazione viene effettuata nel periodo invernale e si inizia a vendere in primavera, ai primi climi temperati». Il salume viene molto apprezzato nella zona con il classico abbinamento pan biscotto, soppressa e vin durello. «Essendo infatti la soppressa un po’ grassa si sposa bene con le bollicine del durello durante l’aperitivo. Stiamo iniziando a promuoverlo fuori dalla nostra zona soprattutto in Piemonte e Toscana, anche se il clou della nostra produzione e distribuzione resta tra Verona e Vicenza».

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SALUMI PREGIATI Walter Sosio

La bresaola

j di Matteo Grande i

che colpisce i sensi UNA NOVITÀ NELL’ALTA SALUMERIA. “LA MIA BRESAOLA” È IL FRUTTO DI UN PROCESSO METICOLOSO, ARTIGIANALE E MANUALE. OTTIMA AL PALATO E ALLA VISTA Salumificio Sosio ha la sede a Chiuro (SO) www.labresaoladebaita.it Facebook – Salumificio Sosio Srl

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na bresaola che con la sua essenza riesce ad abbracciare i sensi. Il gusto è stuzzicato dal sapore inconfondibile e delicato che la caratterizza, la vista è colpita dall’omogeneità del colore rosso della fetta e il tatto è rassicurato da una consistenza soda e uniformemente morbida. È la Bresaola “De Baita”, punta di diamante della produzione del Salumificio Sosio, azienda a conduzione familiare in cui si tramandano di padre in figlio la maestria artigianale e la cura appassionata per ogni fase di lavorazione. «La nonna le ha dato il nome “De Baita” – spiega Walter Sosio - e noi lo portiamo avanti nel tempo, simbolo di continuità e tradizione. La bresaola “De Baita” viene realizzata con la punta d’anca, pregiata selezione della coscia di manzo. Si gusta affettata sottile, si conserva al fresco ed è perfetta per abbinamenti stuzzicanti e appetitosi. È inoltre adatta a ogni regime dietetico per la sua bassissima percentuale di grasso e per la significativa presenza di proteine. Un plus interessante è inoltre l’assenza di glutine, che rende la bresaola "De Baita" un alimento indicato anche per i celiaci». Da

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novembre inoltre, sarà possibile gustare anche un nuovo prodotto. «“La mia Bresaola” è il suo nome. L’ho pensata per l’alta salumeria, dedicandola specificamente al dettaglio di altissimo livello. Si tratta di una bresaola interamente fatta a mano, come mi ha insegnato mio padre 40 anni fa. La selezione della materia prima è ancor più meticolosa. Parliamo ovviamente di carne fresca, lavorata e massaggiata a mano. Anche la salatura viene fatta manualmente e l’asciugamento viene eseguito in maniera tradizionale. Il prodotto ha una stagionatura abbastanza lunga, bisogna saper aspettare per gustarne pienamente il sapore! Al termine delle lavorazioni viene messa sottovuoto e quindi confezionata singolarmente in un elegante cofanetto. Le ho numerate tutte, una ad una, per rendere ciascuna definitivamente unica. Come tocco finale ho apposto il mio sigillo. L’intero processo, paziente e meticoloso, permette di mantenere un bel colore rosato e uniforme. Una bresaola ottima al palato e anche alla vista, che rievoca alla memoria gusti e sapori della miglior tradizione artigianale».

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SALUMI PREGIATI Claudio Braito

Lo speck del maso

fra i larici e gli abeti della Val di Fiemme, fra migliaia di fiori e centinaia di specie erbacee d’alta quota, nell’aria antica e selvatica dei 1300 metri dell’altipiano di Ganzaie che le migliori cosce di maiali pesanti, lasciate a stagionare dagli otto ai dieci mesi, diventano speck. È qui, nella grande conca dei laghetti delle Ganzaie, nel maso della famiglia Braito, in un ambiente incontaminato, che nasce uno dei salumi trentini più conosciuti. «Produciamo anche pancetta, carne salada, luganega trentina, würstel – spiega Claudio Braito –, ma lo speck è il vanto della nostra azienda, che si chiama Tito in onore di mio padre che ne è stato il fondatore. Il nostro speck fatto solo con le parti scelte del cosciotto di maiale e rappresenta una sintesi perfetta di aromi delicati e saporiti. La sua affumicatura avviene con legno aromatico, mentre la successiva stagionatura si svolge in cantine di montagna, dove l’aria

È Tito Speck, altopiano delle Ganzaie, Val di Fiemme, Daiano (TN) - www.titospeck.it

ARIA SELVATICA DI MONTAGNA, FUMO DI LEGNI AROMATICI, UNA CONCIA EQUILIBRATA E LE MIGLIORI COSCE DI MAIALE PER IL SALUME TRENTINO PIÙ CELEBRE

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di Luca Càvera

pura della Val di Fiemme contribuisce a far maturare fragranze e gusti particolarissimi». Un’importanza fondamentale è data dalla concia, un trattamento con aromi naturali e spezie, la cui ricetta è un segreto trasmesso di padre in figlio. «Alla base della salatura e dell’aromatizzazione c’è un’antica tradizione, che detta le regole per il dosaggio di sale e pepe, dell’alloro e del pimento, del coriandolo e del ginepro. Il risultato è uno speck tanto tenero da sciogliersi in bocca, che però allo stesso tempo possiede la giusta consistenza». L’attività della famiglia Braito ha raggiunto una produzione di ben cinquecento pezzi alla settimana, venduti al pubblico in sei punti di vendita e inoltre distribuiti nelle migliori gastronomie di tutta Italia. «Al nostro laboratorio di Daiano abbiamo annesso anche un piccolo ristorante e uno spaccio per la vendita dei salumi. Il nostro speck e i nostri salumi si trovano anche nella catena di ristoranti Horeca, presenti su tutto il territorio nazionale».

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SALUMI PREGIATI Bella Idea Foods

Sapienza

artigianale IL RECUPERO DEI SAPORI DI UNA VOLTA, PER RIEVOCARE I VALORI DELLA SALUMERIA E DELLA MIGLIORE TRADIZIONE CULINARIA DEI PRIMI PIATTI ITALIANI

di Mauro Terenziano

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SALUMI PREGIATI Bella Idea Foods

Il prosciuttificio Saper, della società Bella Idea Foods, ha sede a Roma - www.bellaideafoods.com

a salvaguardia delle ricette tradizionali. Il recupero dei sapori di una volta – prima che questi vadano irrimediabilmente perduti – rievocando con essi i valori dell’arte salumiera, rinnovata dalle moderne capacità produttive delle tecnologie avanzate. Di generazione in generazione, il primo comandamento che i norcini tramandano è la necessità di selezionare le carni migliori per ottenere salumi di qualità sempre superiore. Fin dagli anni Quaranta nello stabilimento Saper di Roma, della società Bella Idea Foods, si producono prosciutti scelti e altre specialità di salumeria, lavorate con la sapienza della tradizione artigiana. Solo alcuni prodotti vengono lavorati dalle macchine. E comunque anch’essi sono il risultato di ricette custodite solo da pochi iniziati. Un esempio: le salsicce, la cui sapidità, oltre che dalla qualità della carne, è merito della manualità e capacità del norcino. Nella lavorazione dei prosciutti vengono selezionate solo cosce di suini pesanti, allevati in Italia e lavorati a Norcia. L’ambiente naturale della zona è particolarmente favorevole al processo di maturazione, grazie a particolari caratteristiche climatiche e alla conformazione dei terreni, a una quota superiore ai 500 metri. Qui le elevate dor-

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sali montuose del parco nazionale dei monti Sibillini impediscono l’afflusso di aria umida dal mare. E inoltre il prevalere di formazioni calcaree – che consentono la dispersione delle acque piovane – permette l’istaurarsi delle condizioni ottimali per la produzione di un prosciutto di qualità. Bella Idea Foods, oltre al prosciuttificio romano – affiancato da una rivendita di carni e prodotti di salumeria lavorati in proprio –, ha anche uno stabilimento a Terni, che produce pasta surgelata: dalle lasagne ai cannelloni, dagli spaghetti ai tortellini. L’obiettivo dell’azienda è quello di realizzare un prodotto cucinato e confezionato in ambiente protetto e controllato, portato in tavola e assaportato con calma, come “fatto in casa”. Un buon ragù deve bollire lentamente e a lungo, la pasta all’uovo deve essere impasta senz’acqua e fatta tutti i giorni. E per un ottimo ripieno solo ricotta fresca, fior di spinaci, radicchio trevigiano, carne di manzo magra. Perché anche se non tutti hanno il tempo di cucinare, tutti possono e devono mangiare in modo sano e genuino. Nel menù sono stati inseriti i primi piatti tipici della tradizione italiana: lasagne alla bolognese, cannelloni con carne di manzo, come pure ricette ricercate – radicchio e speck, gorgonzola e noci, o le novità vegetariane con

Le dorsali dei monti Sibillini creano le condizioni ottimali per un prosciutto di qualità verdure fresche. La società ha scelto due principali canali per la vendita dei prodotti: la piccola distribuzione locale e la grande del Centro Italia. Particolare cura è dedicata ai piccoli dettaglianti, in quanto con loro è possibile instaurare un vero rapporto di fiducia. Questi possono apprezzare direttamente la qualità del prodotto e l’etica del lavoro di Bella Idea Foods. E in questo rapporto economico è valorizzato soprattutto il rapporto umano: il piccolo negoziante, con la sua esperienza e competenza, svolge un’azione di comunicazione importante per il rapporto con il consumatore finale.

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SALUMI PREGIATI David Rossi

Il norcino crea nuove ricette

di Mauro Terenziano

LA GRANDE PASSIONE PER I SALUMI. L’ARTIGIANALITÀ CHE ABBRACCIA LA TRADIZIONE E CERCA NUOVE STRADE. COM’È NATA LA SELLA DI SAN VENANZO

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SALUMI PREGIATI David Rossi

San Venanzo, in provincia di Terni, ai piedi del Monte Peglia, nell’alta collina umbra, si trova un laboratorio di norcineria nel quale la tradizione dei salumi ha incontrato la sperimentazione. Artefice di questo processo di rinnovamento, che si inserisce tuttavia nella migliore scuola artigiana della salumeria umbra, è David Rossi, che, erede della macelleria di famiglia, ha deciso di orientarsi verso la norcineria, utilizzando materie prime selezionate, sperimentando e personalizzando le fasi di lavorazione. Così è nata la Sella di San Venanzo, prodotto di punta del salumificio. «Mi ero posto un quesito – spiega David – perché non lasciare del magro su quello straordinario prodotto che è il lardo? Da questa riflessione ha visto la luce la Sella, ottenuta dalla lavorazione del lombo intero di suino con tutto il suo lardo di schiena. Il procedimento inizia con la disossatura e la rifilatura del lombo, che viene poi messo a raffreddare per 24 ore a una temperatura di 0 °C. Dopo il raffreddamento e la salagione, la sella viene massaggiata con un composto di aglio, aceto di vino bianco e peperoncino frantumato. Ancora, la sella è riposta per circa 20 giorni in vasche di salagione con ramoscelli di rosmarino, sale, pepe e un mix di spezie in polvere allo stato naturale. Finita la salagione, il prodotto resta appeso nella “cella di riposo” per un mese circa, cui segue una stagionatura di circa cinque mesi. Il risultato finale è un salume caratterizzato da un intenso profumo e un gusto spe-

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ziato e aromatizzato, che rendono la Sella un prodotto versatile in cucina». Può essere utilizzata come condimento per squisiti primi piatti ed è ottima con le bruschette calde o la famosa torta al testo. Sono molte altre le specialità del salumificio David, tutte prodotte secondo una lavorazione strettamente artigianale e prive di latte lattosio e suoi derivati. Una di queste è il prosciutto Nonno Moro. «È un prosciutto di colore rosso scuro, con venature di

grasso, un profumo delicato e inebriante, sapore intenso, dolce, con sentore d’aglio. Si ricava esclusivamente da suini pesanti allevati in Umbria, dopo una stagionatura di circa 22-24 mesi». Non mancano poi particolarità come i diversi salumi al cinghiale. Per far scoprire tutte queste prelibatezze, l’azienda organizza veri e propri percorsi, che consentono ai visitatori di osservare i vari processi produttivi, fino alla degustazione dei salumi, abbinati a vini locali.

David Rossi, titolare del salumificio David di San Venanzo (TR), mostra una Sella www.davidisalumi.it

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Identità

emiliana j di Lodovico Bevilacqua i ESPERIENZA E SAPIENZA PRODUTTIVA PER NON TRADIRE IL LEGAME CON IL TIPICO RETAGGIO LOCALE. NELLE PAROLE DI PIER LUIGI MONTORSI LA DESCRIZIONE DELLA GRANDE GASTRONOMIA EMILIANA

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SALUMI PREGIATI Pier Luigi Montorsi

erra di cultura e di vino, contraddistinta dalla tempra forte e intraprendente dei suoi abitanti, l’Emilia si distingue nel panorama nazionale anche – o forse soprattutto – per la sua celeberrima tradizione gastronomica. Fortemente territorializzata come tutto il Belpaese, l’Emilia racchiude in poche migliaia di chilometri quadrati una moltitudine di eredità alimentari, frutto del secolare retaggio gastronomico locale; sorprende la varietà dei prodotti offerti, caratteristica che concede tuttavia spazio a una specializzazione che individua in alcuni di questi il vero vanto della regione. Spostando l’attenzione verso la collina modenese e risalendo il corso del fiume Panaro in direzione del monte Cimone incontriamo allora la zona di produzione del pregiatissimo prosciutto di Modena Dop, ricavato dalle migliori selezioni di carni di suini nati, allevati e macellati in Italia. Ma la qualità delle carni non è sufficiente a rendere davvero speciale un prodotto in sé raffinato come il

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prosciutto stagionato, come spiega Pier Luigi Montorsi, titolare della modenese Sami. «La lavorazione della carne suina è la fase in cui il carattere e il gusto del prosciutto si formano in maniera decisiva; la competenza e la sapienza nell’esecuzione di questo stadio produttivo sono quindi una condizione di fondamentale importanza per determinare la qualità finale del prodotto». Prerogativa decisiva per l’acquisizione di tali, preziose doti – naturalmente – è l’esperienza, come puntualizza lo stesso Montorsi. «La nostra famiglia vanta una tradizione pluriennale nella macellazione e lavorazione di ogni tipo di carne. Questo retaggio familiare si è rivelato di cruciale importanza per allestire un’azienda competitiva, che fosse in grado di mantenere inalterati i livelli di eccellenza produttiva che da sempre distinguono la nostra regione». E proprio l’identità con la terra da cui proviene rende questo prodotto semplicemente unico. «Stagionato nell’area pedemontana prossima al fiume Panaro, alle pendici del Ci-

mone, il prosciutto di Modena trae vantaggio dal clima particolarmente favorevole della zona – asciutto e ventilato. Tali caratteristiche ambientali conferiscono al prodotto un colore vivace e intenso e permettono una particolare asciugatura che lo rende sapido, ma non salato». Cugino del più celebre crudo parmense, il prosciutto di Modena si distingue dal suo omologo per una stagionatura più prolungata e per un decisivo accorgimento consistente in un’apertura in corona – fino a ventuno centimetri dal gambo – che gli consente di asciugare più in profondità, donandogli una consistenza più asciutta, un colore tipicamente più intenso e un gusto al palato più forte e deciso, peculiare del prosciutto ben stagionato. Orgogliosa produttrice di questa primizia locale, la famiglia Montorsi si cimenta tuttavia in un mercato più ampio. «Il Centro Selezione Carni – ditta sotto il nostro controllo – si occupa di altri tipi di lavorazioni delle carni suine, mantenendo naturalmente inalterata la nostra distintiva qualità produttiva».

La ditta Sami Srl ha sede a Vignola (MO) mobile@sami.mo.it

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SALUMI PREGIATI Massimiliano Castro

Il salame ragusano UN SALAME DAL SAPORE DELICATO E MAGRO, REALIZZATO CON LA CARNE D’ASINO RAGUSANO, DESCRITTO DA MASSIMILIANO CASTRO

j di Roberta De Tomi i

angu metti e com’o ferru addiventa/cu tasta lu sceccu e u gnegnu ci sbenta…”. Questi versi datati 8 luglio 2012 e composti dal poeta Fabio Messina, descrivono la carne d’asino tipico del ragusano. A rischio di estinzione per alcuni anni, è stato salvato da alcuni finanziamenti dell’Unione Europea volti a sostenere l’allevamento di questo animale, con cui cui il Chiaramontano, laboratorio di

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salumi, realizza un salame dal sapore delicato. «Sulla carne d’asino – spiega il titolare, Massimiliano Castro – occorre fare una premessa. In primo luogo, l’asina, per le funzioni riproduttive che ha, non viene toccata. La commercializzazione riguarda solo la carne del maschio e il suo impiego in ambito alimentare è l’alternativa alla soppressione, richiesta nei casi in cui gli allevamenti presentino un numero di individui superiori a quelli che possono essere gestiti. Da qui, la scelta di lavorare la carne di asino è quindi una necessità. Si tratta di una carne dal sapore particolarmente delicato che ha anche delle proprietà. È infatti ricca di sali minerali e di ferro, che è presente per il 4 per cento, contro l’1 per cento di quello contenuto nella bovina». Per il salame d’asino, presente anche al Salone del Gusto, in uno stand dedicato allo Slow

Food, Castro ha ricevuto il premio “Miglior macellaio di Sicilia 2012” a Best Sicily, rassegna dedicata alle aziende siciliane. «Rispetto al salame prodotto nel Nord Italia – afferma - il nostro contiene l’80 per cento di carne di asino e il restante 20 per cento di magro di maiale. Accanto a questo, realizziamo altri salumi, tradizionali e con ingredienti locali, tutti lavorati usando budella naturali e una legatura a mano con cui conferiamo la forma cilindrica tradizionale. Tra i nostri salami speciali: il Nero D’avola, alla punta di coltello piccante, con finocchietto selvatico dei monti Iblei, al pistacchio, fino al salame con suino nero siciliano tipo ibleo, nutrito con la carruba, tipica della zona di riferimento».

Il Chiaramontano alimentari si trova a Chiaramonte Gulfi (RG) salumichiaramonte@live.com

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ALLEVAMENTO Raffaele Abbattista

Progetti per l’allevamento UNA CARNE “AMICA DELLA SALUTE”, MA ANCHE APPETIBILE E SELEZIONATA NEGLI ALLEVAMENTI. È QUELLA CERCATA DA RAFFAELE ABBATTISTA j di Anastasia Martini i

ovecentosedici bioenomacelleria è un nome che nasce dal ritrovamento di un contratto datato 1916. Alessandro Abbattista, mio padre, vi è entrato come banchista nel 1965, nel 1982 ne è diventato gestore, e nel 1990 ho cominciato ad affiancarlo, diventandone per sua volontà il responsabile nel 2001». Raffaele Abbattista, racconta della sua attività, rivelando che «A partire da quella data, mentre prima andavamo a comprare le carni al Mattatoio di Roma, ab-

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biamo cominciato a stabilire rapporti diretti con alcuni piccoli allevatori, sviluppati progressivamente e in maniera approfondita, tanto che si è riusciti a collegare loro progetti ai miei». Abbiamo portato gli allevamenti di scottone dai 15/18 mesi classici ai 22/23 mesi (secondo le razze), per avere una carne con maggiore infiltrazione di grasso nel muscolo e quindi più succulente. Per quanto riguarda ancora la carne bovina, ho appoggiato il progetto di un allevatore di scottone ottenute dall’incrocio di fattrici podo-

liche con toro romagnolo. Ho inoltre stabilito rapporti di conoscenza e scambio con allevatori di maiali (Cinta Senese biologica), di conigli (leprino viterbese), di polli biologici (razza a collo nudo e livornese allevato in Val d’Orcia e gallo Golden allevato a Cortona), di anatre e faraone e piccioni (allevati a Cortona), di abbacchi allevati nel viterbese». «Inoltre – prosegue – non tralasciamo il ruolo fondamentale dell’artigiano macellaio per i tempi di frollatura a volte estreme (secondo le razze), per rendere la carne giustamente tenera. Nel tempo, in collaborazione con clienti pediatri, ci siamo specializzati anche nell’alimentazione dei bambini nel periodo dello svezzamento. Infine annoveriamo anche l’esposizione di vini selezionati attraverso una ricerca personale arricchita dal rapporto con i clienti gourmet e amici sommelliers, e di formaggi lavorati soprattutto a latte crudo e biologici provenienti dal Lazio, dalla Puglia, e dalla Francia».

Raffale Abbattista presso l’azienda agricola “Lo Spicchio” . La Novecentosedici bioenomacelleria si trova a Roma novecentosedici@gmail.com

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ITINERARI SICILIANI Leo Gullotta

sapori

e ricordi LA FRESCA BONTÀ DELLA GRANITA. IL COLORE DELLA PASTA ALLA NORMA, LA GOLOSITÀ DELLA PASTA AL FORNO. L’AMARCORD DI LEO GULLOTTA PASSA ANCHE DALLA TAVOLA

di Francesca Druidi

na terra millenaria attraversata da numerose dominazioni. Un’isola variegata sotto il profilo morfologico e fisico. Le diversità della Sicilia si rispecchiano in maniera fedele nella sua cucina. «Visitare la Sicilia significa riempirsi gli occhi di natura e ritrovare se stessi storicamente; ed è con la memoria che si costruisce il futuro». Leo Gullotta, popolare e amato attore di cinema, televi-

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sione, teatro, conserva con la sua terra natale un rapporto ancestrale. Di ritorno quest’autunno a Catania con un nuovo allestimento del “Sogno di una notte di mezza estate” di William Shakespeare, ci svela le pietanze della sua infanzia, restituendoci un quadro pieno di vita e di colore delle specialità culinarie della regione. «Ogni volta che posso tornare in Sicilia – racconta – è come ripercorrere un fatto mentale at-

traverso il gusto». Cosa rappresenta per lei Catania? «Catania è la mia città, vi sono nato 66 anni fa, in un quartiere popolare, il Fortino, altrimenti detto Porta Ferdinanda. È una città vivissima, patria di Vincenzo Bellini e punto di riferimento culturale e teatrale, dove è rimasto l’imprinting lasciato ai primi del Novecento - da Verga, Pirandello, Capuana. Catania è Barocco, ma è anche si-

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ITINERARI SICILIANI Leo Gullotta

nonimo di scenari naturali unici. La città si trova in una posizione geografica particolarissima, circondata dall’Etna, dalla collina, dal mare, tutto è a pochi minuti di distanza. E poi c’è il mercato di Catania, nei pressi del porto, un festival di colori e di folclore. È stato Renato Guttuso a immortalare nei suoi quadri il mercato della Vucciria di Palemo, in maniera gioiosa e al contempo drammatica, com’è la Sicilia». Quali sapori in particolare le ricordano la sua infanzia a Catania? «Provengo da una famiglia molto semplice, mio padre era pasticcere e io ero l’ultimo di sei figli. Semplicità era la parola

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d’ordine. Sulla nostra tavola non mancava ciò che costava poco, ma riempiva tanto: il pane è una chiave importante di questa terra, come di tutto il Sud. Era consuetudine mangiare il pane caldo appena uscito dalla panetteria con olio, olive e pecorino pepato. Un pasto semplice, ma giocoso. Mi ricordo che nelle domeniche della mia infanzia era una festa quando veniva servita la pasta al forno preparata con melanzane, uova e mortadella. Questo piatto rappresenta un po’ la mia terra per il colore e la ricchezza degli ingredienti». Altri piatti che ama? «La pasta con la mollica, un piatto antico: basta abbrustolire

della mollica secca, dorarla con un po’ di pomodoro e una pizzicata di acciughe, e aggiungervi la pasta. In bocca è una goduria di freschezza. Come non ricordare poi la pasta con le sarde e la squisita pasta alla Norma, in onore di Bellini, dove è cruciale la preparazione del sugo, che deve essere stretto».

L’attore Leo Gullotta

Passiamo ai secondi, quali specialità segnalerebbe? «Il Falsomagro, polpettone di carne piuttosto godurioso in virtù del suo ripieno preparato con formaggio e uova. Il tutto viene legato con uno spago e cotto in pentola. Menzione speciale va alle polpette della nonna, ricche di formaggio e pepe, servite fritte oppure con il

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ITINERARI SICILIANI Leo Gullotta

sugo di pomodoro. Da segnalare, inoltre, sono la caponata e i peperoni cotti sulla brace, spelati e conditi con olio e limone. Senza dimenticare il pesce: fritture di pesce, l’aguglia, l’insalata di polipo, le sardine sott’olio. Piatti molto semplici, ma dal sapore inimitabile, che nei ristoranti e nelle cucine casalinghe oggi sono riveduti e riletti». Ci stiamo avvicinando al 2 novembre e in Sicilia l’omaggio ai defunti assume una con-

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notazione peculiare. «Sì, si narra che anticamente, nella notte tra l’1 e il 2 novembre, i defunti visitassero i cari ancora in vita portando ai bambini dei doni. In Sicilia, quindi, la Festa dei Morti è una ricorrenza particolare per la gioia dei più piccoli, ai quali i genitori fanno credere che, se sono strati bravi, riceveranno regali da nonni e parenti che non ci sono più. Non si alimenta così un percorso di demonizzazione della morte, ma un rapporto co-

struttivo con chi ci ha lasciato. In quest’occasione, si usa preparare dolci speciali che si accompagnano ai regali: le “ossa di morto” (biscotti di pasta garofanata) e li ‘nzuddi a base di mandorle. Catania è, inoltre, patria delle crispelle di acciuga e ricotta, cibo popolare, consumato in notevoli quantità sotto le feste natalizie. Da provare anche le crispelle dolci di riso al miele, leccornie a forma di dito che sono come le ciliegie: una tira l’altra».

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ITINERARI SICILIANI Leo Gullotta

La granita è una nota degli dei che ti accompagna al mattino, nelle colazioni estive, insieme alla brioscia

Suo padre era pasticcere. Quali dolci eravate soliti mangiare in casa? «Cannoli e granite. A seconda delle zone della Sicilia e delle abitudini, il cannolo è farcito di frutta martorana o cioccolato: ne mangi uno e vale per colazione, pranzo e cena. L’importante è che sia friabile, con la ricotta ben lavorata. Anche la granita di mandorla, al caffè, di gelsi, al limone, contrariamente a quanto si può pensare, la si deve lavorare molto. Mio padre me la preparava nei

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suoi pomeriggi liberi insieme alle creme, che mi lasciava volutamente accanto al tavolo della cucina dove io mi alzavo sulle punte e prendevo la pentola per leccarne il contenuto. La granita è una nota degli dei che ti accompagna al mattino, nelle colazioni estive, insieme alla brioscia. Mi ricordo che quando, da bambino, arrivava il chiosco delle granite, segnalato da una campanella, si prendeva il bicchiere più grande del buon servizio della mamma e lo si faceva

riempire, mangiandolo con il pane». E l’immancabile cassata siciliana? «È un festival di sapori e dolcezza inimitabile. Essendo un dolce molto ricco, il mio consiglio è quello di mangiarlo lontano dai pasti, a colazione o a merenda, per apprezzarne di più il gusto. Non va dimenticato, infine, il latte di mandorla, bevanda dissetante straordinaria, buona per la colazione e in ogni momento».

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ITINERARI SICILIANI Mario Indovina

SICILIA, TERRA DI presìdi LA BIODIVERSITÀ DEL PATRIMONIO AGROALIMENTARE DELL’ISOLA VA PRESERVATA E SOSTENUTA. LO SPIEGA MARIO INDOVINA, FIDUCIARIO DELLA CONDOTTA SLOW FOOD DI PALERMO

di Francesca Druidi

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foto Alberto Peroli

ITINERARI SICILIANI Mario Indovina

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u 200 presìdi Slow Food in Italia, oltre 30 sono quelli realizzati in Sicilia, regione che può quindi vantare il maggior numero di realtà a sostegno delle piccole produzioni tradizionali. «La Sicilia si caratterizza per un’elevata biodiversità – spiega Mario Indovina, fiduciario della condotta Slow Food di Palermo – grazie anche al ridotto tasso di inquinamento dei suoi terreni. In regione convivono condizioni climatiche e scenari geografici agli opposti e ogni singolo territorio ha proprie, specifiche, peculiarità in fatto di produzioni agroalimentari». Quali varietà di ortaggi, frutta e prodotti si distinguono in questo panorama così articolato? «I presìdi siciliani identificano

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delle vere e proprie eccellenze: il cappero di Salina, il mandarino tardivo di Ciaculli, la lenticchia di Ustica, la mandorla di Noto, la manna delle Madonie, ossia la linfa elaborata dal frassino la cui area di produzione è situata nei Comuni di Castelbuono e Pollina, e il miele dell’Ape nera sicula, che ha ricevuto numerosi riconoscimenti in virtù di quest’ape molto più forte e resistente rispetto a quella appenninica e italica». Quali sono a suo avviso le razze autoctone più significative dell’isola? «Va senz’altro ricordata la razza girgentana, con i suoi prodotti caseari, esclusiva di alcune porzioni piuttosto ristrette di territorio siciliano. Sono purtroppo pochissimi i produttori che riescono a portare avanti l’allevamento delle capre

girgentane. Altrettanto significativo è l’allevamento della razza modicana nel Ragusano. A Palermo stiamo lavorando per recuperare la razza bovina cinisara, da cui si ottiene il caciocavallo palermitano. È questo uno dei progetti sviluppati dalla nostra condotta Slow Food e, pur non essendo un presìdio, la Cinisara verrà tutelata attraverso l’inserimento nelle comunità del cibo di Terra Madre». Quali le eccellenze del territorio di Palermo? «I tre presìdi che insistono sulla condotta di Palermo sono quello della lenticchia di Ustica e del mandarino tardivo di Ciaculli. C’è poi la susina bianca di Monreale, di cui va sottolineata la particolarissima tecnica di incartatura. Con questa tecnica, praticata dopo la raccolta, le susine più tardive, le

In apertura, Mario Indovina, fiduciario della condotta Slow Food di Palermo. Sopra, alcune immagini Archivio Slow Food

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Con la tecnica dell’incartatura, praticata dopo la raccolta, le susine di Monreale più tardive, le Ariddu di core, si conservavano fino a Natale

Ariddu di core, si conservavano fino a Natale. Le donne di casa erano solite comporre i frutti avvolgendoli nella carta velina e chiudendo con lo spago. Queste composizioni venivano appese in un luogo fresco e, anche se i frutti si disidratavano, conservavano intatti i profumi e i sapori per i pranzi delle feste». Sotto il profilo enologico, cosa può offrire la zona di Palermo? «Sarebbe importante insistere sul recupero - che è già stato avviato, ma sul quale occorre proseguire lo sforzo - del Perricone, vitigno autoctono molto antico, ricco di resveratrolo, i cui effetti positivi sull’invecchiamento sono oggetto di studio. Occorre inoltre valorizzare alcune aree ad alta vocazione enologica, purtroppo ancora abbandonate o sotto utilizzate». Quali ulteriori progetti sta portando avanti la condotta di

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Palermo, una delle più antiche e importanti d’Italia, recentemente ricostituita? «L’orto botanico di Palermo ha ospitato lo scorso maggio, in occasione dell’incontro di tutti i presìdi siciliani, una cena per l’adozione di un orto in Africa. La condotta ha, inoltre, fatto proprie alcune iniziative in tema di legalità, di cui un progetto già deliberato con Libera Terra Mediterraneo e un altro - sempre sul versante della legalità - in programma per il prossimo futuro. Oltre al recupero della razza bovina cinisara, sono in fase di sviluppo anche altre azioni che riguardano la tutela della salute, tra questi c’è un progetto che vede in prima linea i nostri soci medici con un programma di prevenzione e cura delle malattie attraverso la corretta alimentazione, basata sui prodotti del territorio. Anche la tutela dei paesaggi e l’educazione presso le istituzioni scolastiche fanno parte dei nostri programmi. Sono molti i progetti, ma procede-

remo un passo alla volta». In Sicilia c’è una maggiore consapevolezza sull’esigenza di conservare e valorizzare un patrimonio di biodiversità. Cosa fare per accrescere questa sensibilità? «Bisogna agire innanzitutto sui comparti agricolo, zootecnico e della pesca. Le istituzioni dovrebbero favorire l’aggregazione dei giovani e la loro formazione per recuperare il territorio e salvaguardarne le biodiversità. La migliore tutela della salute passa da quella del nostro paesaggio. La pesca, ad esempio, si concentra su alcuni tipi di prodotti richiesti dal mercato e che oggi rischiano l’estinzione. Si dovrebbe, invece, sensibilizzare il consumo del nostro pesce azzurro, saporito e sano, a vantaggio anche del portafoglio. L’impegno delle istituzioni dovrebbe, infine, essere rivolto alla tutela della filiera corta e certificata, del made in Italy e del made in Sicily, esaltando di fatto i nostri prodotti di eccellenza».

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ITINERARI SICILIANI Giuseppe Rosso

L’ORO VERDE

di sicilia DAI VASTI ALTOPIANI COMPRESI NEL MASSICCIO SICILIANO DEI MONTI IBLEI SI LEVA IL PROFUMO INTENSO DI UNO DEGLI OLI PIÙ PREGIATI DEL PANORAMA NAZIONALE

di Giacomo Govoni

resenza fissa sulle tavole più raffinate della scena mondiale, dal Parlamento francese alla Corte imperiale giapponese, ma poco considerato in patria. Davvero strano il destino dell’olio extravergine d’oliva Dop Monti Iblei, fiore all’occhiello del patrimonio enogastronomico siciliano, prodotto a sud-est dell’isola. Un olio che ai numerosi premi collezionati negli anni nelle più affermate kermesse internazionali affianca il riconoscimento più importante, il marchio Dop ottenuto nel 1997. «Il nostro olio – spiega Giuseppe

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Rosso, presidente del consorzio di tutela – viene coltivato e prodotto tra le province di Ragusa, Siracusa e in una parte della provincia di Catania». Quali caratteristiche di pregio valgono a quest’olio la denominazione protetta? «Peculiarità dell’olio Monti Eblei Dop sono il colore verde, l’aspetto limpido e il sapore fruttato, con motivi sensoriali di erba falciata. In ogni caso, molto dipende dall’area di produzione, divisa in otto sottozone. Quelle che producono di più sono la Gulfi e la Monte Lauro. Se-

guono la Val Tellaro e la Frigintini. Nelle prime due, da disciplinare, prevale la Tonda iblea, varietà di oliva che il mercato predilige. Nelle altre prevalgono le varietà Moresca e Verdese. La Tonda iblea ha un sentore di pomodoro ed è più piccante; la Moresca, normalmente un po’ più dolce, profuma di carciofo, mentre dalla Verdese si spreme un olio color smeraldo intenso e mediamente amaro». Una fama internazionale per un olio prodotto in un territorio molto circoscritto. Non si potrebbe estenderne la coltiva-

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Bisogna esortare i produttori ad aderire al sistema di certificazione, perché oggi la quantità certificata equivale solo al 5% dell’olio prodotto

zione in altre aree? «Stiamo allargando la coltivazione all’area del comune di Avola e di Carlentini, ma nel complesso il territorio è già abbastanza ampio. Piuttosto bisognerebbe esortare i produttori ad aderire al sistema di certificazione, perché attualmente la quantità certificata equivale solo al 5% dell’olio prodotto». Come è cambiato il sistema di estrazione e di conservazione dell’olio negli anni? E quali riflessi positivi ha avuto sulla qualità del prodotto? «Dopo un periodo di “medioevo” concluso nel 1999, in 10 anni abbiamo compiuto passi da gigante e oggi siamo

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all’avanguardia mondiale. In termini di estrazione, gran parte dei olicoltori utilizza il sistema di iniezione a due fasi e i modelli più avanzati di frantoi, tant’è che qualcuno dei nostri impianti viene usato come pilota nell’ambito dell’estrazione a due fasi». L’olio Monti Eblei Dop è presente nelle migliori gastronomie europee. Quali Paesi fuori dai nostri confini lo apprezzano di più? «All’estero i nostri oli sono molto ricercati in Giappone, sbocco di esportazione principale per molte nostre aziende, in Francia, in Germania e negli Stati Uniti. Basti pensare che la più importante catena gastrono-

mica di New York ha un olio dei nostri produttori. Inoltre, sono presenti sulle migliori tavole dei ristoranti di Parigi e di Berlino». Su quali piatti questo olio trova la massima esaltazione? «Grazie alla vasta gamma di varietà, che viaggia dalla fascia delicata a quella intensa, gli oli dei Monti Iblei possono abbinarsi a diversi alimenti. Il delicato, magari una bella Moresca, si può usare sul pesce, mentre quello intenso sulla verdura bollita, sulla zuppa di legumi, su insalate, bruschette, carne e anche pesce ai ferri. Vista la ricca scala di sapori e profumi, forse un piatto dove non si può mettere non esiste».

Sopra, Giuseppe Rosso, presidente del Consorzio di tutela dell’olio Dop dei Monti Iblei

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Verso nuove

cultivar UNA REALTÀ CHE UNISCE LE MIGLIORI AZIENDE PRODUTTIVE SICILIANE, RACCHIUDENDO TUTTO IL SAPORE DI UNA TERRA DI ECCELLENZE ORTOFRUTTICOLE. QUESTA LA MISSION DI AGRISICILIA

di Marco Tedeschi icchissime di vitamina C, aumentano la resistenza del corpo umano contro i vari agenti chimici, fisici e ambientali, soprattutto d'inverno. Queste sono solo alcune delle molteplici proprietà di cui sono ricche le arance, un frutto che, partendo dalla Sicilia, arriva nelle tavole di tutta Italia e non solo. L’Organizzazione di Produttori Agrisicilia raccoglie i produttori siciliani che commercializzano i loro prodotti in Italia e all’estero. Una grande attenzione nei con-

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fronti di tutta la filiera produttiva è quindi fondamentale per O.P. Agrisicilia. «Un’attenzione – specifica il Presidente dell’O.P. Salvatore Battiato - che incontriamo anche nei responsabili acquisti e responsabili qualità dei gruppi appartenenti alla Gdo che riforniamo e che sono molto attenti e scrupolosi nello scegliere i loro fornitori. Noi possiamo garantire continuità nella fornitura, e uno standard qualitativo costante della produzione, frutto di un’attenta gestione e tracciabilità di

tutta la nostra filiera produttiva». Un mercato, quello degli agrumi che ottiene consensi in tutta Europa. «Noi commercializziamo i nostri prodotti su tutto il territorio nazionale, comunitario e paesi terzi, i riscontri migliori li otteniamo dalla Germania, Belgio, Francia e Spagna, nulla togliendo al nostro mercato nazionale». Le produzioni commercializzate devono essere garantite da una grande qualità. «I nostri prodotti rappresentano l’eccellenza delle produzioni or-

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ITINERARI SICILIANI O.P. Agrisicilia

I nostri prodotti rappresentano l’eccellenza delle produzioni ortofrutticole

tofrutticole, frutto questo di un attento e scrupoloso impegno nelle tecniche colturali adottate e seguite costantemente dai nostri agronomi, nel rispetto di un disciplinare di produzione integrato al fine di garantire genuinità e sicurezza alimentare». L’O.P. Agrisicilia opera principalmente nel settore agrumicolo e fruttifero, producendo, e commercializzando agrumi (arance rosse, mandarini e limoni), fichidindia, meloni, angurie albicocche, pesche, nettarine e uva. «Quest’anno possiamo registrare un’ottima annata. Le produzioni sono cresciute di circa un 15 per cento». Sebbene con una collaudata esperienza, l’O.P. non ha comunque smesso d’investire nel rinnovo degli innesti e nell’ag-

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giornamento delle tecnologie e dei sistemi di produzione. «I nostri agronomi, seguono costantemente tutto il paniere varietale che di volta in volta viene proposto dai vivai o centri sperimentali e di ricerca, al fine di introdurre all’interno dell’O.P. cultivar che consentano di ampliare il calendario di maturazione sia nel periodo precoce che in quello tardivo. Cerchiamo sempre tecniche di coltivazione più razionali, che permettano di migliorare la qualità, incrementare le rese e abbattere i costi di produzione e ci impegniamo a individuare le aree vocate per la coltivazione, che consentano di esprimere al massimo le peculiarità della cultivar. Ogni anno, grazie a finanziamenti comunitari, riusciamo a

svecchiare a livello di cultivar un 10-15 per cento della superficie associata (2000 ettari) introducendo nuove varietà, che puntano a meglio soddisfare il mercato e quindi il cliente finale». Tra gli obiettivi più importanti per il futuro del Consorzio c’è quello di privilegiare solidi e duraturi rapporti con soggetti commerciali capaci di apprezzare e valorizzare l’impegno del gruppo di imprese associate. «Altro obiettivo è quello di allargare il nostro paniere di fornitori, conquistando nuovi mercati e puntando a tutti quei paesi emergenti. Tutto questo è possibile – conclude il presidente - se concentriamo l’offerta, aggregando nuovi produttori e realtà produttive».

In apertura, fasi di lavorazione all’interno di una delle aziende appartenenti all’Organizzazione di Produttori Agrisicilia Soc. Cons. a r.l. di Paternò (CT) www.agrisicilia-op.it

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ITINERARI SICILIANI Gianni Nicosia

Dal sole

j di Matteo Grandi i

della Sicilia NEL CUORE DELLA SICILIA SUD ORIENTALE SI TROVANO SPECIE ORTICOLE CHE, GRAZIE AL SOLE CHE BACIA LA ZONA, SONO PRESENTI TUTTO L’ANNO

a melanzana Violetta, varietà Angela, è una nuova specie di melanzana dal bellissimo colore striato viola lucido con sfumature bianche, che si caratterizza per il sapore dolce e la polpa delicata e con pochi semi. È questo uno degli ortaggi immessi sul mercato dalla Società Agricola Euro Agri Italia. «La melanzana

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Angela - spiega Gianni Nicosia, responsabile commerciale - fa parte della linea di eccellenze. Nasce da un’esclusiva selezione di varietà dal sapore straordinario e dal gusto unico, selezionata da esperti per la gioia del palato dei consumatori». Oltre a coltivare direttamente su terreni di proprietà, una buona parte della produzione commer-

cializzata da Euro Agri Italia viene approvvigionata da aziende agricole situate nella stessa zona, altamente vocata alla produzione di pomodori, melanzane, zucchine e peperoni. «Siamo in possesso della certificazione con lo standard Global Gap, Brc e Ifs e dell’abilitazione nel 2009 della struttura per la lavorazione di orticole da agricoltura biologica. Siamo inoltre in grado di applicare, per la quasi totalità dei prodotti commercializzati, la tracciabilità e rintracciabilità degli stessi lungo tutte le fasi produttive, garantendo così la “Filiera Controllata”, grazie alla quale è stato possibile attivare le forniture per i marchi di diverse catene italiane della Gdo». La gamma dei prodotti offerti può essere sia sfusa che confezionata. «Possiamo anche programmare produzioni specifiche di particolari varietà e linee di prodotto con garanzie di qualità e continuità. Come per la melanzana Angela».

La Società Agricola Euro Agri Italia si trova a Vittoria (RG) www.euro-agri.it

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ITINERARI SICILIANI Giuseppe Rosso

Dalla terra Iblea DALLA CULTURA GASTRONOMICA SICILIANA ARRIVA SULLE TAVOLE DI TUTTO IL MONDO UN CONNUBIO DI TRADIZIONI E MODERNITÀ

j di Matteo Grande i i tratta di una delle ricette più tipiche del territorio siciliano, o meglio ragusano. Parliamo della capuliata, che in lingua siciliana significa ammorsellata, o triturata, e si riferisce proprio al tipo di lavorazione dei pomodori essiccati che vengono tagliati a pezzetti e messi sott’olio. Questo frutto della tradizione culinaria siciliana viene riproposto in un connubio perfetto di tradizione e modernità dalla Giuseppe Rosso Conserve di Sicilia, nata con lo scopo di far arrivare sulle tavole i prodotti orticoli delle Terre Iblee e farli gustare preparati secondo le antiche ricette siciliane. «I pomodori – racconta Giuseppe Rosso

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che segue l’attività insieme alla moglie Rita - vengono essiccati al sole, per poi essere tritati e conditi con Olio extra vergine d'oliva, sale e aromi naturali. Questa lavorazione tipica, così come tutte le altre, rappresenta a pieno lo stile della nostra azienda. In una prima fase i nostri prodotti vengono rigorosamente lavorati a mano seguendo i metodi antichi che meglio preservano il gusto e le caratteristiche organolettiche. Si giunge poi a una fase finale che prevede la pastorizzazione e il confezionamento con macchinari all’avanguardia che, oltre a garantire la conservazione del prodotto, ci permettono di essere presenti

La Giuseppe Rosso Conserve di Sicilia si trova a Ragusa commerciale.conservedisicilia@gmail.com

anche nella grande distribuzione». Carciofini, pomodori, olive verdi e nere, peperoni, melanzane e cipollette, sono la base per altre ricette della Giuseppe Rosso. «Le ultime novità? Abbiamo due prodotti per una nicchia ristretta di buongustai: olive nere fritte con un passato di pomodoro stufato e cipolla soffritta con chiodi di finocchietto selvatico. Un’autentica ricetta siciliana. L’altro prodotto è una crema di peperoni fritti in agrodolce. Ma non possiamo dimenticare di citare la produzione di punta che ci ha reso noti sopratutto nella grande distribuzione, come la caponata di melanzane, il sugo alla norma e il pesto rosso siciliano».

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Cosacavaddu o Ragusano? GUSTO, PROFUMI E COLORI TIPICI DEI FORAGGI E DEL LATTE RAGUSANI PER IL COSACAVADDU E IL RAGUSANO DOP. NE PARLIAMO CON SALVO ROSSO Il Caseificio Progresso dei Fratelli Rosso Snc si trova a Ragusa www.caseificioprogresso.eu

j di Emanuela Caruso i na tavola imbandita con due calici di vino rosso, uno speziato Nero d’Avola e un corposo Cerasuolo di Vittoria, una forma di Cosacavaddu semistagionato da tagliare e assaporare, e un piatto di ravioli di ricotta al sugo di maiale con una spolverata di Cosacavaddu stagionato o Ragusano grattugiato. È così che nella provincia di Ragusa si esaltano il profumo e il sapore di due formaggi entrati da lungo tempo nella tradizione della zona: il Cosacavaddu e il Ragusano DOP. Come ci racconta Salvo Rosso, titolare del Caseificio Progresso dei Fratelli Rosso, azienda artigianale a conduzione familiare, alla seconda generazione e specializzata proprio nella produzione di questi due formaggi: «Il Cosacavaddu è un formaggio storico di forma parallelepipeda di circa 14 kg e deve il suo nome al modo in cui si appende, legati a coppia agli estremi di una corda e a cavallo di una trave, ottenuto con la stessa metodologia adoperata in passato e con

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le stesse attrezzature in legno di un tempo; è un prodotto artigianale lavorato a mano. Il Ragusano, invece, avendo ottenuto la Denominazione di Origine Protetta, viene prodotto sempre in maniera artigianale, ma partendo da materie prime certificate e seguendo un disciplinare che lo assoggetta a rigorosi test e verifiche qualitative. Il segreto per donare al Cosacavaddu e al Ragusano DOP il profumo, il colore e il sapore che li contraddistingue si trova nell’alimentazione delle vacche al pascolo, che con il loro latte contribuiscono alla bontà dei due formaggi prodotti a Ragusa dal Caseificio Progresso. Conclude, infatti, Salvo Rosso: «I nostri formaggi giallo-dorati mantengono le caratteristiche organolettiche tipiche del territorio, perché utilizzando solo latte proveniente da vacche al pascolo di allevamenti locali da noi selezionati nel tempo, le proprietà dei vari foraggi tipici della zona si trasmettono nel formaggio, conferendogli un sapore gustoso, forte e aromatizzato».

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ITINERARI SICILIANI Maria Marino

All’ombra

j di Renato Ferretti i

dell’Etna CERTI PRODOTTI SONO POSSIBILI SOLO IN ALCUNE ZONE. È IL CASO DELL’OLIO, DEGLI AGRUMI E DEI FICHI D’INDIA CHE DALLA TERRA VULCANICA TRAGGONO LE LORO PECULIARITÀ INCONFONDIBILI. NE PARLA MARIA MARINO CHE SPIEGA: «È QUESTA POSIZIONE CHE GARANTISCE LA QUALITÀ»

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ella provincia di Catania nascono e crescono frutti della terra che hanno reso famosa la Sicilia in tutto il mondo. Questa posizione geografica garantisce le qualità di olive e agrumi irripetibili che conosciamo, grazie al particolare terreno e condizioni climatiche. Maria Marino, responsabile del marketing della catanese Soal, espone orgogliosa le caratteristiche della sua terra. «Inutile dire – ricorda la Marino – quanto sia importante l’Etna per i nostri prodotti agricoli. La presenza del vulcano, il clima mediterraneo con la lunga esposizione ai raggi solari, la piovosità concentrata nel periodo autunnale e invernale, le notevoli escursioni termiche tra il giorno e la notte conferiscono ai prodotti come olive, e fichi d’india caratteristiche organolettiche difficilmente riscontrabili in altre aree di produzione, determinando un'elevata e sicura qualità». La Soal produce oli, e coltiva agrumi e fichi d’India, con l’orgoglio di chi lavora solo con metodi naturali. «Noi utilizziamo solo olive del cultivar Nocellara dell’Etna raccolte in ottobre e novembre con brucatura a mano. Gli oli sono ottenuti dalla prima spremitura, senza manipolazioni né additivi chimici, in condizioni che non causano

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alterazioni e con procedimenti produttivi naturali». L’olio in particolare è il prodotto di punta dell’azienda della Marino. «Abbiamo più varietà di olio per cui usiamo procedimenti leggermente differenti. In generale l’altitudine cambia molto il prodotto finale: due delle nostre varietà di olio infatti sono realizzate con olive coltivate a circa 400 metri di altitudine, mentre una terza a 700 metri. Se per i primi si può parlare di un gusto equilibrato, gradevolmente amaro e leggermente piccante, ottimo nei cibi cotti e per i primi piatti, il secondo è decisamente più delicato e infatti si accosta più volentieri a secondi piatti come insalate o bruschette». Nell’ultimo periodo la Soal ha puntato molto anche sui fichi d’India, una scommessa che prevede la lotta contro molti pregiudizi. «Nel 2006 – spiega la Marino –, abbiamo iniziato il progetto dei fichi d’india sbucciati in quarta gamma, progetto nato dall’esigenza di promuovere la vendita del fico d'india andando incontro alle nuove esigenze di mercato. Le abitudini alimentari familiari sono cambiate, il consumatore vuole prodotti genuini veloci da consumare, infatti,

la vendita dei prodotti in quarta gamma è in continuo aumento. La difficoltà sta nel fatto che è un frutto complicato da sbucciare: i consumatori abituali, infatti, sono principalmente di origine meridionale, mentre al nord ci si stanno avvicinando solo adesso con delle riserve. Anche se i fichi d'india in commercio sono despinati, il dubbio della presenza delle spine rimane sempre e ostacola la diffusione del frutto». È il caso di ricordare che il fico d’India, frutto della tradizione siciliana e in particolare di quella etnea, è stato riconosciuto dall'Ue prodotto Dop per le singolari caratteristiche organolettiche ed eccellenti proprietà nutritive, come sali minerali, vitamine, e amminoacidi. «Noi in particolare – dice la Marino – selezioniamo e proponiamo fichi d’India delle varietà “primo fiore”, caratterizzata dalla maturazione anticipata e da una forma più tondeggiante, e “bastardone”, una pregiata varietà di frutti più grossi e dal sapore particolarmente croccante».

La Soal ha sede a Licodia (CT) www.soal.it

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Alleato della salute j di Amedeo Longhi i

PARTICOLARI CARATTERISTICHE ORGANICHE RENDONO L’OLIO EXTRAVERGINE D’OLIVA PRODOTTO CON I CULTIVARS DELLA SICILIA OCCIDENTALE UN’ECCELLENZA BUONA E SALUTARE

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ITINERARI SICILIANI Francesca Zito

an Cipirello, antica contrada del Comune di San Giuseppe Jato, nel cuore della Sicilia, è una delle culle del re indiscusso della cucina mediterranea: l’olio extravergine d’oliva. Nella zona della Denominazione d’Origine Protetta Val di Mazara, dove l’olio si distingue perché possiede un fruttato delicato, sorge l’Olearia Valle Jato, inaugurata nel 1999 dalla famiglia Zito, che ancora oggi ne cura la conduzione. La titolare Francesca descrive l’azienda, che cura con amore e dedizione per la terra e la natura, coniugando i valori della tradizione allo spirito innovativo: «Abbiamo un frantoio con rulli in pietra situato nei pressi di un oliveto di una quindicina di ettari. I passaggi per i quali è necessaria la cura diretta dell’uomo, come la selezione e la raccolta delle olive dalle piante, vengono svolti manualmente, mentre per la spremitura e il confezionamento ci affidiamo a moderne e innovative tecnologie». L’olio extra vergine d’oliva “Olearia Valle Jato” è un olio siciliano che si distingue per la sua alta qualità e che viene ottenuto per spremitura a freddo delle olive appartenenti alle cultivars Nocellara del Belice,

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Biancolilla e Cerasuola, tipiche dell’areale siciliano. «La composizione chimica di quest’olio – prosegue Francesca Zito descrivendo le caratteristiche del prodotto – rispecchia fedelmente quella dei migliori oli del mondo con alcune peculiarità che ne fanno un olio di vero pregio. È una miscela di acidi grassi insaturi dove prevale in misura superiore al 72 per cento e in rapporto ottimale con i polinsaturi acido oleico (>8,7) e linoleico. Ha basso contenuto in colesterolo, presente in quantità inferiori al 3 per cento. Alla molitura presenta un’acidità libera che oscilla tra lo 0,18 per cento e lo 0,30 per cento di acido oleico e un basso indice di perossidi. Questi ultimi parametri tendono a rimanere stabili nel tempo, connotando così una caratteristica fondamentale dell’olio extravergine “Olearia Valle Jato”». Si tratta anche di un importante alleato per la salute:

«È ricco di antiossidanti naturali e vitamine che aiutano a prevenire l’invecchiamento delle cellule umane e a ridurre il rischio di cardiopatie ischemiche e altre complicanze vascolari, contribuendo all’abbassamento del colesterolo totale. L’ottimale composizione in acido linoleico, praticamente simile a quello del latte materno (8,2 per cento) fa di quest’olio un alimento ideale per il bambino, sia in termini di apporti nutrizionali che di digeribilità». Infine, ecco come si propone l’olio all’esame organolettico: «Presenta intensità di fruttato, da medio a intenso. Moderatamente fragrante, fresco ed equilibrato. Tutti i parametri esaminati a distanza di 18/24 mesi rientrano ampiamente nei valori limite dell’olio extravergine d’oliva, confermando l’assoluta affidabilità dell’olio extravergine dell’Olearia Valle Jato». Al prodotto principale si affiancano estratti vegetali, oli alimentari e oli vegetali alimentari, oltre ai servizi di frantoio, oleificio e spremitura per conto terzi offerti dall’Olearia Valle Jato.

L’Olearia Valle Jato si trova a San Cipirello (PA) www.oleariavallejato.it

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l’insolita guida

roma da bere e da mangiare

DAI SAPORI DELLA CUCINA TRADIZIONALE ALLE REALTÀ DI SPICCO, DALLE ENOTECHE AI LOCALI “PANORAMICI”. LA GASTRONOMA CAMILLA BARESANI CI GUIDA PER ROMA

di Francesca Druidi

oma, meta turistica per eccellenza, dove non è scontato andare a colpo sicuro sul fronte gastronomico. A chi a Roma capita per lavoro o per svago, e a chi la città la conosce ma è sempre alla ricerca di un locale inesplorato da provare, serve un consiglio spassionato per mangiare con soddisfazione nella Capitale. A fare un po’ d’ordine tra le innumerevoli proposte culinarie della città eterna, e dintorni, è la scrittrice

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e gastronoma Camilla Baresani. Siamo in periodo di crisi. Mangiare fuori casa può essere un lusso, a volte ne vale la pena, altre volte si torna a casa con un salasso al portafoglio e il palato comunque scontento. Quali ristoranti della Capitale consiglierebbe a chi ama la buona cucina, anche senza badare a spese? «Heinz Beck (chef de La Pergola, ndr) almeno una volta va provato. Basta risparmiarsi quat-

tro cene economiche inutili, gastronomicamente parlando, e si ha il budget per una cena favolosa a La Pergola (via Alberto Cadlolo). Tuttavia, il ristorante di Roma dove se fossi ricca mangerei tutti i giorni è il Sanlorenzo (via dei Chiavari). Da provare sono gli spaghetti con i ricci, quando è stagione. Al Sanlorenzo sono maestri nella scelta del pesce e nelle cotture, per esempio quella della spigola o dell’orata al sale, tutt’altro che facile. Ottime anche

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Roma

Camilla Baresani Scrittrice e gastronoma

la griglia e la tecnica di leggera affumicatura». Concentrandoci su proposte più low cost? «Scendendo molto di prezzo, consiglierei senz’altro Il Grottino, un’osteria fuori porta, a venti minuti da Roma, in una zona di campagna boscosa e cave di tufo (Riano, via Pian dell’Olmo). Qui si può gustare la verace, saporita e allegra cucina romanesca. Imperdibili i peperoni grigliati; altre specia-

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lità sono i bastoncini di polenta fritta, le patate fritte in forma di chips, l’amatriciana, la coratella, la cicoria ripassata, l’agnello, insomma i classici della cucina romanesca. Il prezzo medio è di 25 euro, consiglio di mangiare all’aperto». Quali nomi turisti e visitatori devono appuntarsi per mangiare tipico in città? «Una cucina romana molto buona e senza eccessive pesantezze, declinata in maniera at-

tuale ed elegante, è quella proposta dal ristorante L’Arcangelo (via Belli 59). Per chi vuole dare priorità alla bellezza del luogo più che al cibo, districandosi tra le molte insidie del menù, consiglio di mangiare ai tavoli esterni del ristorante Pierluigi in Piazza dé Ricci, che gode di una posizione meravigliosa nel centro della Capitale. Del resto, Roma è una delle poche città in Italia dove esiste una cultura del mangiare all’aperto tutto l’anno e non solo d’estate».

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l’insolita guida

Roma è una delle poche città in Italia dove esiste una cultura del mangiare all’aperto tutto l’anno

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Prima di un pranzo o di una cena, scatta spesso il desiderio di un aperitivo. Quali le tappe obbligate per assaggiare un buon bicchiere di vino? «Una visita la merita senza dubbio l’enoteca Il Goccetto di via Banchi Vecchi, di fronte all’ingresso dell’ottimo ristorante Pagliaccio (anche quello una tappa obbligata dei gourmet): è un’enoteca storica frequentata da artisti, dove ci si trova a contatto con un suggestivo scampolo di umanità romana. L’Enoteca al Parlamento

“Achilli” (via Dei Prefetti) è un buon posto per osservare uomini di potere - vero o presunto - all’ora dell’aperitivo, e nel contempo fare degustazioni dell’ampio assortimento di vini e gustare tartine sfiziose. Infine, bisogna passare dal Caffè delle Arti alla Galleria nazionale d’arte moderna, anche solo per un caffè o un tè. Belli gli spazi interni, ma sono splendidi la vista e la luminosità della grande terrazza, sovrastata dai pini di Valle Giulia e Villa Borghese. Se decidete di mangiarvi,

la cucina, va detto, è scadente». Quali, in generale, le principali tendenze gastronomiche che può registrare in questo momento a Roma? «Va soprattutto di moda salvare il proprio locale, cercando di preservarlo dalla crisi. Ad esempio, L’Arcangelo ha predisposto un bancone di degustazione veloce di alcuni suoi piatti per attrarre - con un prezzo più competitivo - un tipo di clientela abituata a mangiare (spesso male) altrove, riconducendola a una cucina più raffinata».

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I SAPORI DELLA CITTÀ

eterna INTRISE DI STORIA E CUCINATE DALLE MANI SAPIENTI DI UNA FAMIGLIA CHE TRATTA CARNE E CIBO DA OLTRE MEZZO SECOLO, LE PIETANZE SERVITE DA EMILIO FERRACCI TRASUDANO ROMANITÀ

di Giacomo Govoni

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CUCINA ROMANA Emilio Ferracci

iulio Cesare la elesse cornice ideale per la sua “villa d’otium”. Quella distesa di campagna romana, stretta nell’abbraccio fra i Monti Prenestini e i Castelli Romani, fu per il Divus Iulius il luogo del ristoro dell’anima. Duemila anni dopo, quel luogo ha conservato la vocazione al ristoro, ricalibrandola sul palato, al quale al 1995 l’Osteria San Cesario lancia succulente avance all’amatriciana, difficili da respingere. «La nostra è una cucina romano-laziale – spiega Emilio Ferracci – poiché insieme ai classici piatti della cucina romanesca serviamo pietanze, tipiche ma dimenticate, della campagna romana sud orientale, dove nacquero i miei nonni Emilio e Maria».

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La passione della sua famiglia per il cibo e la cucina, è nata e cresciuta in macelleria. Quali tracce ha lasciato nella gestione dell’osteria? «Una volta i macellai si occupavano di tutta la filiera della carne, dalla scelta in stalla dei capi di bestiame alla macellazione e alla vendita. La macelleria ci ha lasciato in eredità l’attenzione estrema nel reperimento e nella lavorazione delle

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materie prime. La nostra cucina di carne non è limitata alla solita tagliata, bistecca o fettina, ma è soprattutto cucina del “quinto quarto”, cioè delle interiora come la coratella d’abbacchio, la lingua, la trippa e le animelle. O come la coda alla vaccinara, che non fa parte delle interiora ma è la “regina” del quinto quarto». Restando sulla carne, quali tipi di tagli e di cottura da voi adottati affondano le radici nel passato? «Oltre ai tagli classici della carne bovina come tagliate, lombate, bistecche e fettine, prepariamo l’abbacchio in tutti i modi, il capretto brodettato a Pasqua, antica ricetta della cucina ebraica che molta parte ha nella cucina romanesca; le animelle di vitella alla papalina, cioè con funghi porcini e le lane, al sale e pepe, con le puntarelle; la trippa alla romana e quella verde, con le erbe della campagna romana. Infine, la coda alla vaccinara, piatto monumentale della cosiddetta cucina macellara, cioè nata nei mattatoi. La sua preparazione a regola d’arte dura circa tre ore». Nella vostra cucina, è molto

forte il richiamo alla tradizione gastronomica romana, per non dire alla storia. Quali piatti la interpretano meglio? «La matrice antica della nostra cucina si riconosce ad esempio nelle lane, maltagliati preparati con farina integrale e conditi con sugo di castrato o di baccalà. Già i Greci e i Romani preparavano questo tipo di pasta chiamato laganon o lacne, da cui lane. Certo il baccalà è arrivato alla fine del 500, dopo il concilio di Trento. E poi le paste tirate a mano come gli gnocchetti (sorta di spaghettoni, come i pici) alla cacio e pepe, alla gricia, alla matriciana o anche alla carbonara, inventata nel 1944, quando gli americani liberarono Roma». Supponiamo che un cliente entri nella vostra osteria e chieda di cenare come ai tempi di Michelangelo e Giulio II. Cosa gli servireste? «Come antipasto servirei le coppiette, strisce di carne di cavallo o di maiale condita ed essiccata; il cazzimperio, cruditè di sedani, carote e finocchi immersi nell’olio extravergine di oliva con sale e pepe. Come primo piatto, un timballo alle regaje de pollo o maccheroni alla cacio e pepe o alla

In apertura, Emilio Ferracci e Anna Dente, titolari dell’Osteria di San Cesario, in provincia di Roma

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LANE CON CASTAGNE E FUNGHI PORCINI

CUCINA ROMANA Emilio Ferracci

Ingredienti gricia. Di secondo, l’allesso de vaccina, o l’abbacchio alla romana. Il contorno a scelta tra cicoria della campagna romana, puntarelle, raperonzoli o carciofi romaneschi alla romana o alla giudia. Infine, il dolce: crostata di ricotta e visciole, i maritozzi con lo zibibbo, le ciambellette al vino e la ricotta con il miele di castagno». E da bere? «Giulio II, che da cardinale fu commendatario della badia Greca di S. Maria di Grottaferrata, accompagnava antipasti e vini con il classico bianco dei Castelli, oggi perpetuato dal Frascati Docg. Per i secondi Michelangelo, con i secondi beveva il rosso della Ciociaria, che conobbe quando si recava a curarsi con le acque di Fiuggi. Oggi questo vino è conosciuto come Cesanese del Piglio Docg». Avete cucinato al Beaubourg della gastronomia in occasione del battesimo romano di Eataly. Che esperienza è stata e quali sapori avete messo in vetrina per riproporre il “cooked in Roma”? «All’Eataly di Roma abbiamo inaugurato lo spazio delle Osterie romane, cucinando per 34 giorni di fila: un’esperienza faticosa, ma incredibile. Avendo scelto di realizzare tutto sul momento, senza preparare le pietanze e “rigenerarle” poco prima di servirle, a ogni ser-

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vizio finivamo le materie prime, quindi due volte al giorno, e ci toccava ricominciare. I primi giorni è stato un incubo perché si passava dai 40 coperti di San Cesario ai 300 di media di Eataly, poi ci siamo abituati. Abbiamo servito il nostro antipasto della campagna romana, la gricia con la ricotta e la matriciana, le fettuccine alla nonno Emilio, l’abbacchio alla romana, i tordi matti, le polpette alla nonna Maria, le lumache di san Giovanni, le ciambellette al vino e il polvere di stelle». Sul vostro menu c’è spazio anche per la cucina vegetariana? «I vegetariani che frequentano il nostro locale sono pazzi delle nostre “erbe”. Noi non facciamo solo cucina di carne. Mia nonna Maria, che cucina ancora a 91 anni, è stata fin da piccola una raccoglitrice di erbe. Nell’osteria usiamo circa il 40% delle erbe spontanee che lei raccoglie e usa a casa. Comunque, tra le tante, possiamo offrire: giglifrati, cioè tarassaco selvatico, sarzafine o scorzobianco, lupari, che sono germogli del luppolo selvatico, asparagi selvatici, raperonzoli, misticanza selvatica, borragini, finocchietto selvatico e fiori di zucca fritti, aglio selvatico di vigna più le puntarelle e i carciofi di cui sopra. Per non parlare di ovoli e porcini in autunno».

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500 gr. di farina tipo “0” 100 gr. di olio extravergine di oliva Peperoncino intero a piacere Un ciuffetto di prezzemolo 200 gr di castagne sbucciate 300 gr porcini freschi 2 spicchi aglio 3 foglie alloro Sale pepe q.b. Acqua q.b. Preparazione delle lane: Su un piano di lavoro realizzare un cratere con la farina e versarci dolcemente l’acqua. Impastare e lavorare la massa fino a fargli raggiungere una consistenza abbastanza tenace ma elastica. Stendere la pasta con il matterello e poi con il coltello tagliarla in modo da ricavarne delle piccole losanghe o rombi (tipo dei maltagliati). Preparazione del piatto: In una padella, a fuoco moderato mettete nell’olio, l’aglio tagliato finemente e le foglie d’alloro. Appena l’aglio imbiondisce aggiungere le castagne appena lessate e tagliate finemente. In seguito aggiungere i funghi mondati e tagliati a fette fine. Mentre cuocete la pasta (bastano pochissimi minuti) aggiungere un poco di acqua di cottura della pasta nella padella per amalgamare i funghi e le castagne. Quando la pasta è cotta scolarla velocemente e metterla in padella con tutto il resto. Finirla in 2 minuti, togliere le foglie di alloro e servirla spolverizzata di prezzemolo finemente tritato.

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CUCINA ROMANA Carla e Patrizia Persiani

Tradizione capitolina

di Amedeo Longhi

CON I SUOI PIATTI POVERI MA SOSTANZIOSI, LA CUCINA ROMANA È UNA DELLE PIÙ GUSTOSE D’ITALIA. IL COMPITO DI CONTINUARE A TRAMANDARLA È AFFIDATO AD ALCUNE TRATTORIE STORICHE DELLA CAPITALE

l Ristorante Armando, che da quasi settant’anni – per l’esattezza, dal 1944 – svolge la sua attività nel cuore di San Lorenzo, è luogo simbolo della vivacità della vita sociale di Roma. Il nome è dovuto ad Armando Persiani che, insieme a sua moglie Enrica Marsili detta Sora Richetta, avviò in quell’anno l’attività di ristoratore, per poi aprire nel 1950 il Ristorante Pizzeria Griglieria Armando, così com’è conosciuto ai giorni nostri, punto

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di riferimento per la cucina tradizionale romana che ha ricevuto dalla Regione Lazio, nel 2002, il certificato di "ristorante tipico" e dal Comune di Roma, nel 1996, un "attestato di qualità". L’attività è oggi portata avanti dalle figlie Carla e Patrizia. «Abbiamo cercato – spiegano le sorelle Persiani – di rimanere fedeli al retaggio del locale, non solo in termini gastronomici, ma anche dal punto di vista dell’accoglienza e dell’ambiente, spazioso autentico e genuino

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CUCINA ROMANA Carla e Patrizia Persiani

Il segreto della bontà è la nostra passione tesa a soddisfare chiunque entri nel nostro ristorante

Il Ristorante Pizzeria Griglieria Armando si trova a Roma - www.ristorantearmando.it

dai toni caldi e accoglienti dei mattoni e della pietra». I piatti sono quelli della tradizione romana, forse povera dal punto di vista gastronomico ma certamente ricca e preziosa sotto il profilo storico e culturale, anche se non vengono disdegnati i grandi classici della cucina nazionale: «Amatriciana, carbonara, gricia, cacio e pepe e i tagliolini al sugo di coda sono i nostri cavalli di battaglia, veraci rappresentanti dei gustosi primi piatti della Capitale». Dal ricco antipasto a buffet si può scegliere tra verdure gratinate, parmigiana di melanzane, misto

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di mare, polpettine al forno e gli immancabili carciofi. Ma un ruolo importante è rivestito anche dai secondi, di carne e di pesce. «Quest’ultimo – spiega Carla – è freschissimo, proveniente dal nostro mare: stringozzi di acqua e farina tirati a mano con vongole e porcini (o tartufo), tagliolini gamberi, zucchine e pachino, rombo al forno con patate e pachino, pesce spada alla griglia o al cartoccio». Il ristorante è anche griglieria e qui la cucina si fa internazionale: «Oltre ai tagli classici romani, come la coda alla vaccinara, la trippa

alla romana o l’abbacchio scottadito, proponiamo fiorentine, costate e filetti cotti alla brace e selezionata carne argentina». Infine i dolci fatti in casa dalle sapienti mani di Carla e Patrizia: il tiramisù classico o nelle varianti al limone o alle fragole. E poi la crema catalana e i canestrelli con crema chantilly e nutella o con frutti di bosco. Molto fornita la cantina, in cui non mancano i grandi vini laziali come il Frascati Superiore. Ricchissima anche la selezione delle pizze. Come vengono preparate? Alla romana naturalmente, basse e ben cotte in forno a legna.

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CUCINA ROMANA Annibale Mastroddi

Un riferimento per la romanità SE È VERO CHE LE BOTTEGHE STORICHE SI STANNO PERDENDO, PER MANTENERE VIVA LA TRADIZIONE GASTRONOMICA È IMPORTANTE CHE QUELLE ANCORA PRESENTI VENGANO PRESERVATE E VALORIZZATE

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CUCINA ROMANA Annibale Mastroddi

a gastronomia non è fatta solamente dal cibo. Si disegna anche con le relazioni umane, le storie, gli aneddoti, le ricette. Queste sono attività commerciali per le quali i beni alimentari non sono che un minimo comune denominatore. È proprio questo il folcloristico corollario, che in alcuni casi si trasforma quasi in leggenda, di quelle attività appartenenti alla categoria delle botteghe storiche, che da decenni, a volte secoli, costituiscono i punti di riferimento della tradizione gastronomica di ciascun luogo. A Roma, una di queste mete è la macelleria Annibale, che da quasi un secolo e mezzo anima il centro storico. I banconi del negozio hanno visto avvicendarsi all’interno delle vetrine molti tagli di carne, secondo uno stile alimentare che negli anni è mutato più volte: «Oggi il tempo per cucinare è poco – spiega in proposito Annibale Mastroddi – e alla carne abbiamo cominciano ad affiancare prodotti di gastronomia come polpettoni aromatizzati, verdure ripiene, arrosti, coniglio, selvaggina e altri cibi

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pronti per la cottura, facili e veloci da preparare». Non mancano i tagli classici, dalla fiorentina alla chinina, dal castrato all’immancabile abbacchio, fino alle salsicce artigianali. Segnano il passo alcuni fra i prodotti gastronomici più tipici della tradizione romana: «Frattaglie, trippa, ossobuco non vanno più di moda – osserva Annibale –, soppiantati dai filetti e dalla carne scelta: oggi i clienti hanno mezzi economici maggiori e voglia e tempo per cucinare minori». La cordialità, la professionalità, quella “romanità” tanto appezzata sia dai romani stessi che dagli stranieri – sono tanti anche i personaggi famosi che negli anni hanno calcato i pavimenti della macelleria – fanno il resto. La qualità della carne proposta rimane però un punto fermo, come testimoniano i numerosi premi che campeggiano nella bacheca di Annibale: «Abbiamo conquistato ininterrottamente l’Oscar del Gambero Rosso dal 1984 al 2001, ci hanno segnalato le più prestigiose riviste di cucina italiane, come la Guida Veronelli e Il

Buon Paese, l’indirizzario dei presidi di Slow Food». Ma, si sa, oltre allo stomaco anche l’occhio vuole la sua parte: «Il nostro locale è molto particolare: fiori all’entrata, piastrelle di maiolica alle pareti, il soffitto costellato di antichi ganci di bronzo, marmo bianco di Carrara per il pavimento e un bancone d’eccezione, anch’esso di bronzo, decorato con bassorilievi che ritraggono mucche e tori». Un arredamento che – per caso o volutamente – rispecchia la tradizione gastronomica romana, ancorata al passato ma ancora oggi quanto mai vivace.

La macelleria Annibale si trova a Roma www.annibale.com

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Sbizzarrirsi ai fornelli I CUOCHI ESPERTI NELLE LORO CUCINE DANNO LIBERO SFOGO ALLA FANTASIA, PARTENDO DAI CLASSICI DELLA TAVOLA MEDITERRANEA PER CREARE RICETTE SEMPRE NUOVE

di Lodovico Bevilacqua

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ome ogni tradizione che si rispetti, anche quella gastronomica deve essere rinnovata e perfezionata per rimanere fresca e attuale. Pur senza abbandonare le ricette che hanno reso grande la cucina italiana, esperti chef si cimentano ai fornelli proponendo curiose rivisitazioni che stuzzichino non solo il palato, ma anche l’occhio. «La fantasia per noi è un ingrediente fondamentale, proprio come l’olio, il sale e il pepe», spiega in proposito Mauro Boccuccia, che da 1986

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ITINERARI LAZIALI Mauro Boccuccia

conduce l’omonimo ristorante. «La nostra è un’attività di famiglia, che porto avanti da più di un quarto di secolo insieme alle mie due sorelle Paola e Angela, in collaborazione con il nostro nutrito staff». Ubicato sulla Nettunense, a pochi minuti da Lavinio e dal mare, il ristorante fa del pesce il suo cavallo di battaglia, proposto però in una maniera davvero originale. «La lunga esperienza che abbiamo maturato, ci ha permesso di maturare l’abilità necessaria per inventare piatti nuovi, che stuzzichino l’interesse degli avventori». Ovunque infatti, è possibile trovare i classici bignè oppure dei buoni cannoli. A Mauro, Angela e Paola è però venuto in mente di combinare questi piatti tradizionali con nuovi ingredienti e sono nati così i cannoli ripieni di pesce e i bignè di salmone e crema. «La fantasia delle due chef è “nel piatto” sin dagli antipasti –

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prosegue Mauro Boccuccia – e la si può ritrovare nei nostri cannoli e bignè “speciali”, così come negli scampi con pancetta su crostone di pane di sesamo, nel palombo in agrodolce con patate o nei tramezzini con scampi al forno». Ogni ricetta viene studiata e preparata con molta cura, prestando enorme attenzione ai dettagli, per presentare piatti che, oltre a essere gradevoli al gusto, siano invitanti già alla vista. «Tra i primi più curiosi – ricorda Boccuccia – si possono citare le mafaldine ai mari nostri e gli gnocchetti fatti in casa. Da provare assolutamente sono i ravioli ripieni di scorfano presentati con calamaretti, pachino e vongole veraci». Uno dei piatti più stuzzicanti sono i paccheri, tipici della tradizione napoletana, preparati con fiori di zucca e scampi. «La scelta dei dolci va dal classico tiramisù alla torta della nonna,

La fantasia è “nel piatto” sin dagli antipasti e la si può ritrovare nei nostri cannoli e bignè “speciali” fino ai zuccottini ai frutti di bosco e molto altro. La cantina dei vini è a vista e propone una selezione di circa un sessantina di etichette, la maggior parte delle quali italiane, con particolare attenzione ai prodotti locali, come quelli della nettunese “Divina Provvidenza”, antica cantina fondata alla fine del Diciannovesimo secolo, che produce il Cacchione Nettuno, che dal 2003 di fregia del marchio Doc». D’estate tornano di moda i grandi classici come le grigliate di pesce, con la braceria esterna che viene accesa e l’ampio giardino che si riempie di tavoli e sedie.

Il ristorante Boccuccia si trova ad Anzio (RM) www.boccuccia.it

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ITINERARI LAZIALI Andrea Tariciotti

Tra gli ori del Lazio SENTORI DI ERBA, MANDORLA E CARCIOFO SONO I GUSTI CHE ACCOMPAGNANO IL SAPORE DI UN OLIO DALLA FLUIDITÀ ELEVATA E CON UN ALTO TASSO DI POLIFENOLI. L’ORO DELL’AZIENDA AGRICOLA LA ROSCIOLA

di Marco Tedeschi

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l meglio dell’olio si gusta a crudo, su pietanze calde come minestre, pesce crudo e carne». È così che Andrea Tariciotti dell’azienda agricola La Rosciola presenta il suo olio, premiato anche dagli Orii del Lazio, Concorso regionale per i migliori oli extravergine d’oliva. L’azienda si trova nel piccolo borgo medioevale di San Vito Romano, particolarmente vocato all’attività agricola. È qui che viene prodotto un olio dal gusto fruttato e maturo, mediamente piccante e dal profilo aromatico caratterizzato da sentori di erba, mandorla e carciofo. Un olio che, sulla tavola italiana, sta riacquistando quell’importanza che aveva un po’ perso nel corso del tempo. «L’olio ha passato un periodo di transito in quanto veniva considerato un condimento comune al quale non veniva data alcuna importanza.

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ITINERARI LAZIALI Andrea Tariciotti

Siamo particolarmente attenti all’individuazione del tempo giusto per la raccolta delle olive, eseguita sempre con il verificarsi dell’invaiatura

Ora ci troviamo nella fase in cui si sta riscoprendo e uno dei nostri ruoli più importanti è quello di divulgare la conoscenza e l’importanza organolettica. Il rapporto minimo di acidi grassi insaturi/saturi e il contenuto in acido oleico determinano un olio con fluidità elevata e un alto tasso di polifenoli, molecole antiossidanti che combattono l’invecchiamento». La superficie totale dell’azienda agricola di San Vito Romano è di 5ettari di cui un piccolo appezzamento è coltivato con le varietà di Leccino, Pendolino e Rosciola da cui viene estratto l’olio denominato blend. «La gran parte della superficie aziendale è coltivata invece con la Rosciola, piante autoctone del nostro territorio». L’azienda nasce nel 2008; una passione che si è trasformata in vero e proprio lavoro. «Questo rappresenta la migliore garanzia di affidabilità. Nel corso degli anni

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abbiamo investito considerevolmente. Basti pensare che siamo partiti con circa 150 piante sino ad arrivare a 3000». I successi arrivano soprattutto grazie alla cura posta nelle fasi di raccolta delle olive, di estrazione dell’olio extra vergine e nello stoccaggio dell’olio. «Siamo particolarmente attenti all’individuazione del tempo giusto per la raccolta delle olive, eseguita sempre con il verificarsi dell’invaiatura, ovvero lo stato di maturazione dal verde intenso al rosso porpora. Una volta raccolte, le olive vengono assemblate in cassette forate che facilitano la circolazione dell’aria evitando così il formarsi di muffe che danneggerebbero il prodotto. Disponiamo di un frantoio che ci per-

mette di estrarre l’olio extra vergine d’oliva, gestendo al meglio i tempi di molitura, annullando l’attesa e utilizzando sistemi continui e gramolatura a bassa temperatura. La conservazione dell’olio d’oliva rappresenta una fase estremamente delicata contro l’insorgenza di fenomeni degenerativi in grado di alterare le qualità chimiche-organolettiche del prodotto. L’olio d’oliva della nostra azienda agricola mantiene inalterate le proprie caratteristiche nel tempo, grazie allo stoccaggio in contenitori in acciaio inox in camera di azoto. Prima di ogni imbottigliamento inoltre conclude Tariciotti - l’olio viene filtrato». Il risultato? Un olio extra vergine che arriva sulle tavole conservando tutta la ricchezza nutrizionale e la sua limpidezza.

L’azienda agricola La Rosciola si trova a San Vito Romano www.larosciola.com

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Secondo il metodo

biologico

j di Martina Carnesciali i

UN MIGLIAIO DI OLIVI SECOLARI RECUPERATI PER DAR VITA A UNA PRODUZIONE BIOLOGICA CERTIFICATA. L’ESPERIENZA DI LUIGI BOCCALARI E DELLA SUA CA’ OLLARIA ecuperare un migliaio di olivi secolari, coltivarli secondo il metodo biologico certificato, ricavarne un olio che migliora di anno in anno. È la sfida intrapresa da Luigi Boccalari a partire dall’estate del 2008 quando decide di rilevare una grande proprietà con due casali e un uliveto secolare e di cominciare l’avventura della Ca’ Ollaria. Lo stato della tenuta, prima della presenza di Boccalari, era di forte incuria. E pensare che la sua tradizione familiare lo voleva notaio, non certo produttore di olio.

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Luigi Boccalari, della Ca’ Ollaria Srl Agricola www.olleo.it info@olleo.it

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Come è dovuto intervenire sulla sua campagna? «È stato necessario recuperare integralmente il territorio dal precedente stato di semiabbandono. E

tuttora è in corso di ultimazione il censimento di ogni pianta dell’uliveto. Le principali varietà di olive sono frantoio e leccino seguite da varietà locali come sirole, raja, maurino, rosciola e carboncella». Non deve essere stato facile. «Solo imparando personalmente sul campo è possibile infatti progredire e acquisire le conoscenze necessarie per organizzare il lavoro. Ma piano piano, sfidando il giudizio dei veri conoscitori dell’olio, ho molito il primo raccolto di olive, ho ideato il marchio “Olleo” e l’etichetta e, nel 2009, mi sono presentato al Padiglione dell’olio (SOL) allestito alla Fiera del Vino di Verona. Da circa tre anni propongo “Olleo” al mercato italiano: è stato assaggiato, degustato e pian piano migliorato sempre in qualcosa».

Come svolge la raccolta e la lavorazione delle olive? «La scelta e le modalità della raccolta sono strettamente collegate al luogo, al ciclo vegetativo delle singole piante e anche alle condizioni climatiche stagionali. Secondo il metodo biologico che abbiamo scelto e certificato, viene effettuata un’accurata selezione delle olive e una tempestiva frangitura: la raccolta viene effettuata a mano e con agevolatori meccanici per accelerare i tempi, conservando inalterate le caratteristiche delle olive ed esaltando le proprietà organolettiche del prodotto finito La nostra politica aziendale, inoltre, privilegia la qualità del prodotto sotto il profilo della produzione e della conservazione per garantirne la genuinità».

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ITINERARI LAZIALI Mauro Benedetti

Nella bottega

dei veri sapori di Marco Tedeschi

GUSTARE PRODOTTI BIOLOGICI E A KM ZERO. OLTRE A VERE E PROPRIE CHICCHE DI QUALITÀ. IL TUTTO A POCHI METRI DA PIAZZA SAN PIETRO

nsalata da culture biodinamiche del viterbese. Acqua proveniente da un produttore dell’Appennino Laziale, considerata tra le più buone e raffinate del mondo. Questi sono solo alcuni dei prodotti che troviamo alla Bottega Raffaello, direttamente nel cuore della Città Eterna. La Bottega è nata con lo scopo di portare nel circuito turistico dei cibi d’asporto, la qualità dei cibi genuini, attraverso prodotti a chilometro zero e biologici. «La nostra offerta – spiega Mauro Benedetti - è necessariamente varia. Si basa infatti sul ciclo stagionale, ma soprattutto su ciò che i coltivatori e pro-

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La Bottega di Raffaello si trova a Roma www.bottegadiraffaello.com - info@bottegadiraffaello.com

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duttori del Lazio, Umbria e Abruzzo offrono settimanalmente e che viene da noi attentamente selezionato, spesso visitando personalmente il produttore. Tutte le nostre offerte provengono da aziende tracciabili, che rispettano le stagioni, e il territorio». L’offerta di prodotti a "chilometro zero" è un vero plus soprattutto per il turismo culturale e religioso che affolla quotidianamente la bottega. «Anche la clientela del quartiere da noi può trovare prodotti di nicchia, sia biologici che dei grandi brand di qualità, anche internazionale. Il turista che viene alla Bottega di Raffaello è spesso piacevol-

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ITINERARI LAZIALI Mauro Benedetti

Abbiamo voluto che la nostra presenza a pochi metri da Piazza San Pietro si qualificasse come un servizio. Cibo unito a ospitalità mente sorpreso nel trovare le sue caramelle preferite o i biscotti che normalmente acquista a Boston o Berlino». Un’offerta che non si limita solo al cibo. «Quando abbiamo progettato la Bottega ci siamo ispirati al modello del "Family store" americano. Un negozio utile sia alla massaia che al turista di passaggio. Tra i turisti che ci scelgono ci sono molte neo famiglie. C’è sempre qualche passeggino parcheggiato fuori della nostra nursery room dove una mamma sta allattando, scaldando un biberon, o cambiando il bebè. Tra l’altro la Bottega mette a disposizione gratuitamente prodotti neonatali e pan-

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nolini a chi non li avesse. Abbiamo voluto che la nostra presenza a pochi metri da Piazza San Pietro si qualificasse come un servizio. Per i bimbi abbiamo ovviamente anche un’offerta di menu scelta secondo le raccomandazioni nutrizionali per l’infanzia stabilite dal World Food Program. Da noi ci si può rilassare e godersi un buono spuntino dopo una lunga visita ai Musei Vaticani o Castel Sant’Angelo, o dopo una mattinata di lezioni alla vicina Università Lumsa con cui abbiamo una convenzione che favorisce gli studenti». Inglese, tedesco, francese, spagnolo, giapponese, polacco, oltre che ovviamente

l’italiano, sono solo alcune delle lingue con cui i clienti possono rivolgersi al personale. «La clientela locale ha capito la nostra proposta e apprezza talmente i nostri prodotti che spesso ci chiede catering per festicciole casalinghe o per riunioni di lavoro. Hanno molto successo anche i pacchi natalizi ai quali prestiamo particolare attenzione. Oggi per noi la sfida è quella di migliorare e ampliare l’offerta. Non sarà facile perché lo standard che ci siamo prefissi è già molto alto; sappiamo però che non è possibile dormire sugli allori, soprattutto con clienti come i nostri, abituati a prodotti di qualità e a proposte sempre nuove».

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Foto di Daniele D’Orazio

Dalle migliori materie prime di Valerio Germanico I SEGRETI DEL GELATO ARTIGIANALE SVELATI DA VERUSKA CARDELLICCHIO. LA SCELTA DEGLI INGREDIENTI, LA CONSERVAZIONE, CONI E CIALDE FATTI A MANO PER UN GUSTO UNICO E INTENSO

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on poteva esserci miglior regalo per la gelateria romana “daRe” che festeggiare il primo anno di attività, compiuto all’inizio di ottobre, con l’assegnazione, da parte del Gambero Rosso, del premio di “Miglior artigiano del territorio”. È stato così riconosciuto alla titolare e gelatiere, Veruska Cardellicchio, affiancata dal collaboratore Massimo Grosso, il valore dell’impegno nel realizzare e proporre un prodotto

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ITINERARI LAZIALI Veruska Cardellicchio

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terra rigorosamente italiani; le nocciole sono al 100 per cento nocciole tonde gentili romane, coltivate sui colli Cimini e Sabatini della provincia di Viterbo; il pistacchio matura al caldo sole della California; il caffè è una miscela arabica proveniente da piantagioni selezionate del Centro e Sud America, dalle note fruttate e persistenti. Per il nostro gelato alla ricotta utilizziamo esclusivamente Ricotta Romana Dop freschissima. E naturalmente tutti i sorbetti sono preparati con frutta fresca nazionale e zucchero, senza latte e derivati, così da proporre un prodotto dalla consistenza piena e dal sapore intenso». Da non dimenticare, poi, i coni e le cialde arrotolate fatte a mano. «Tutto questo per proporre un prodotto unico e insostituibile per qualità, genuinità e freschezza. E che, come vuole l’antica tradizione della gelateria artigianale, viene tenuto nel banco a pozzetti, che rimane tuttora la soluzione migliore per conservare le caratteristiche del gelato artigianale». Perché il gelato, per prima cosa va gustato. «Quello su cui puntiamo non è tanto l’aspetto estetico, bensì l’altissima qualità del prodotto. Il banco a pozzetti da sem-

Foto di Daniele D’Orazio

ricco, genuino e naturale, eseguito secondo i più rigorosi canoni dell’artigianalità. E soprattutto preparato con le migliori materie prime. Come racconta la stessa Veruska: «Il nostro gelato è mantecato fresco ogni giorno presso il nostro laboratorio. Mentre la panna fresca viene montata direttamente nel banco refrigerato, davanti ai vostri occhi, come si faceva un tempo. E come ho appreso dal mio maestro gelatiere, Giacomo Schiavon di Bologna, dal quale ho imparato tutto». Fra i gusti più prelibati non può ovviamente mancare il cioccolato, realizzato con cru di massa di cacao Arriba monorigine dell’Ecuador e cacao aromatici pregiati, provenienti dal Centro America. «Questi sono caratterizzati da una spiccata carica aromatica, che conferisce tratti sensoriali unici e dona al nostro gelato un sapore intenso, sublime e avvolgente, come un vero cioccolato deve avere». Naturalmente, tutti i gusti sono fatti con il latte e la panna più freschi, prodotti in stalle selezionate delle campagne romane e in quantità limitata, secondo i più elevati standard qualitativi. «Per quanto riguarda le altre materie prime dei nostri gusti, le uova provengono esclusivamente da allevamenti a

Foto di Daniele D’Orazio

Quello su cui puntiamo non è tanto l’aspetto estetico, bensì l’altissima qualità del prodotto

pre la garantisce, grazie a una conservazione adeguata che mantiene inalterata la morbidezza, il gusto e tutte le proprietà del gelato artigianale – che possono essere messe a rischio, per esempio, dalla ventilazione presente nelle vetrine con vasche a vista, che tende a ossidare velocemente il prodotto».

In apertura, Veruska Cardellicchio della gelateria “daRe” di Roma reluve@libero.it

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ITINERARI LAZIALI Franco Filotei

La lavorazione del Porcino DAL BOSCO ALLA TAVOLA, FRANCO FILOTEI PRESENTA I SUOI PORCINI E IL SUO MODO ARTIGIANALE DI CONFEZIONARLI

j di Emanuela Caruso i

ra querce e castagni, faggeti e abetaie, ogni anno la natura fa nascere e crescere qualcosa che nessuna coltivazione è ancora mai riuscita ad imitare e ricreare con lo stesso profumo e lo stesso aroma: i funghi porcini. Entrati di diritto nella grande varietà di prelibatezze che la cucina italiana può vantare, rappresentano il punto di riferimento per la realizzazione di saporitissime ricette, come ingrediente per un primo piatto, ottimo per accompagnare secondi piatti, pregiato e gustoso come contorno. A contribuire al pregio dei funghi porcini, però, non sono soltanto le proprietà organolettiche, il sapore e l’aroma, ma anche il metodo di lavorazione e di confezionamento, come ci spiega

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Franco Filotei, titolare della Filotei Loreto. «Quella che facciamo è una selezione manuale del fungo secco. Partiamo dai funghi raccolti nei boschi ed essiccati al sole in modo assolutamente naturale. Facciamo una cernita del pezzetto, delle foglie più scure e delle foglie bianche, e proprio con le foglie più belle e più bianche creiamo confezioni d’elite di vario tipo: buste a vista particolari, piccoli e medi silos e graziosi cestini di vimini in varie forme e dimensione. Tutto questo processo di selezione e confezionamento viene svolto a mano ad occhio nudo dal nostro qualificato personale che rende il risultato finale più accurato, qualitativamente elevato e più gradevole alla vista». Insieme al confezionamento dei funghi sec-

chi, la Filotei Loreto commercializza altre prelibatezze tipiche della cucina italiana «come – conclude Franco Filotei – funghi congelati, tartufi congelati, creme e salse in olio, prodotti vari conservati, prodotti sott’olio, olive in salamoia, frutta secca, spezie e legumi secchi. Anche per quest’ultimi ci occupiamo personalmente del confezionamento».

I prodotti della Filotei Loreto Snc di Velletri e la fase di lavorazione e cernita del prodotto www.filoteifunghi.com www.filotei.com www.funghi.it

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LA VIA DELLE ACCIUGHE Riccardo Abello

gli acciugai della Valle Maira UNA STRADA CHE UNISCE LA LIGURIA E IL PIEMONTE, LUNGO LA QUALE, TRA I TANTI PRODOTTI, SI COMMERCIAVANO ANCHE LE ACCIUGHE. NE PARLA RICCARDO ABELLO

di Tiziana Achino

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uello dell’acciugaio è uno degli storici mestieri itineranti della Valle Maira che ancora oggi persiste in provincia di Cuneo, dove si trasforma in attrazione storico-culturale ed è al centro di eventi fieristici. Lo scrittore e poeta Nico Orengo nel suo libro “Il salto dell’acciuga” (Einaudi editore) scrisse: “C’è un punto della storia in cui le acciughe cominciano a viaggiare verso l’entroterra, a inerpicarsi per le valli, a scavalcare piccole Alpi.” Originario di Celle di Macra, nella valle che da Dro-

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nero si estende fino ad Acceglio, Riccardo Abello è presidente della Confraternita degli Acciugai della Valle Maira ed erede di una famiglia di acciugai. Qui prosegue la sua attività con Ittica Val Maira, trattando le acciughe in diversi modi. Quali le tradizioni più antiche della “valle degli acciugai”? «La Valle Maira è così conosciuta per via delle storie legate all’antica Via del sale, dal Cuneese verso Genova e Savona, dove avveniva lo scambio di prodotti di

vario genere, tra i quali le acciughe. Iniziato come contrabbando, divenne poi commercio vero e proprio: il sale veniva venduto a chi aveva denari, le acciughe si scambiavano tra i poveri. Dal mare alle montagne, da qui alle città nelle province di Cuneo, Asti e Alessandria: chi le commerciava diventava un acciugaio itinerante. Fino agli anni settanta quasi tutti gli acciugai provenivano dalla Valle Maira. Oggi è a Celle di Macra il Museo di Seles sugli Anciuè». Come si trattano le acciughe?

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LA VIA DELLE ACCIUGHE Riccardo Abello

«La lavorazione dell’acciuga va fatta tutta a mano, dalla pulitura alle successive operazioni: non è possibile un trattamento industriale. Una volta messa sotto sale la stagionatura richiede da un minimo di 6 mesi a un massimo di 2 o 3 anni a seconda della quantità di sale utilizzato e della pressa». Quali sono i piatti di ieri e di oggi? «La tradizione dell’acciuga salata continua ancora oggi, ma c’è la tendenza a preferire il filetto già pronto. Se acquistata sotto sale

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dell’acciuga va rimossa la spina, pulita dal sale, asciugata e quindi messa sott’olio. Il filetto è invece già pronto al consumo. In passato molti producevano il filetto d’acciuga in buste da 7-8 kg, che poi venivano destinati a un’ulteriore lavorazione da parte delle industrie conserviere. Oggi il consumatore finale chiede quantità minori, per il consumo familiare. Da qui ho avuto l’idea di fare le confezioni più piccole per poterle vendere direttamente alla ristorazione o al consumatore finale. Per questo ho iniziato a fare buste da 500 grammi e oggi

anche da 125 grammi, a uso famiglia. Non avendo alcun conservante devono essere usate buste alluminiate non trasparenti, in quanto la luce danneggerebbe il prodotto. Il consumatore potrà così mettere il suo olio preferito, il bagnetto verde o il peperoncino».

Riccardo Abello, proprietario di Ittica Val Maira

Cosa si può trovare sul tipico banco dell’acciugaio? «Oltre alle migliori acciughe salate, si trovano anche olive, merluzzo, stoccafisso, tonno, verdure all’aceto e tanti altri prodotti, uno più sfizioso dell’altro».

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LA VIA DELLE ACCIUGHE Locanda da Elisa

Tradizioni

prelibate CI SONO CIBI CHE, PUR NON ESSENDO TIPICI DI UN TERRITORIO, ENTRANO A FAR PARTE DELLA TRADIZIONE ENOGASTRONOMICA LOCALE. È IL CASO DELLE ACCIUGHE E DELL’AGLIO DI CARAGLIO, INGREDIENTI FISSI NEI MENU PIEMONTESI

di Tiziana Achino Elisa Isoardi e Matteo Fumero, chef della locanda

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LA VIA DELLE ACCIUGHE Locanda da Elisa

a Locanda da Elisa è ristorante tipico di Pradleves, piccolo paese della Valle Grana, nel Cuneese, a una decina di minuti da Caraglio, paese natale della conduttrice televisiva Elisa Isoardi che, quando si libera dagli impegni di lavoro in Rai con Uno Mattina, anima la locanda con la sua presenza per presentare le “ricette della nonna” al fianco della mamma Irma Sarale, della cugina Patrizia Chesta e del giovane chef Matteo Fumero. La Valle Grana, come la parallela Valle Maira, dove ogni anno a Dronero si tiene la Fiera degli Anciuè, e tante altre antiche vie dal Piemonte al mare, è una delle antiche Vie degli acciugai, che percorrevano i monti verso il mare e portavano dalle acque liguri al Piemonte le acciughe

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sotto sale, come anche il baccalà e altri alimenti. Paola Gula, assaggiatrice, sommelier e autrice di “Peccati di… Gula”, grazie alla sua esperienza nel settore enogastronomico, e anche per la sua amicizia con lo staff della Locanda da Elisa, ci accompagna nel viaggio tra le acciughe, in questo caso ci illustra come “peccare... di acciughe”. Mentre lo chef Matteo Fumero illustra quattro piatti con le acciughe. Quali sono le tradizioni culinarie, vicine e lontane, della Valle Grana? «Oggi c’è la tendenza a voler essere puristi, con l’obiettivo di sostenere i cosiddetti prodotti a “km zero”. Se, però, pensiamo che i piatti con le acciughe derivano da spostamenti di centinaia

di chilometri da parte di coloro che portavano alimenti e tradizioni, tra cui le acciughe, dalla Liguria alle nostre terre, allora non dovremmo più cucinare piatti con le acciughe. Invece proprio questo alimento è divenuto ormai tipico delle nostre terre, da generazione in generazione». Ci sono altri esempi di alimenti non autoctoni ormai diventati “piatti forti” della tradizione piemontese? «Sì, basti pensare a quanto si usa ancora qui oggi l’olio ligure o a come è diventato tipico di questa zona l’Aglio di Caraglio, anche se ha origini ben altrove, ma è stato qui curato e coltivato e oggi è ormai una tradizione. Quindi il piatto tipico piemontese non può non tenere conto degli spostamenti del passato di tanta

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LA VIA DELLE ACCIUGHE Locanda da Elisa

gente dal mare alla montagna: ecco le acciughe, che hanno dato origine a una cucina tipica del Cuneese. Non c’è un ristorante che non proponga i peperoni in bagna cauda e il filetto d’acciuga al verde o in salsa rossa. L’acciuga usata ancora oggi è una forza di questi luoghi, ma non tutta la ristorazione di valle ha considerato questa cucina tipica, come invece quella di montagna ha saputo valorizzare. La Locanda da Elisa, ad esempio, ha saputo fare di questa filosofia un punto di forza. Ha uno chef giovanissimo, una conduzione familiare che conosce perfettamente le tradizioni di questa valle, patria del Castelmagno, e ha saputo usare la cultura del territorio. L’acciuga dà verve a un piatto più delicato: il suo compito è dare un po’ di brio. L’abbinamento olio,

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aglio e acciughe è forte, ma dà armonia». Chiediamo al cuoco Matteo Fumero di descriverci quattro piatti con le acciughe. «Di certo non può mancare la “bagna cauda”, classico piatto piemontese con acciughe, aglio, olio extravergine accompagnata dai peperoni Cuneo, e i “peperoncini ripieni di acciughe e capperi”, o la variante tonno e capperi. Ma tutto può essere adattato ai tempi, con nuove creazioni unite alle usanze passate: la “Polenta di pignulet con acciughe in pastella”, la polenta con un tipo di mais delle tradizioni passate oggi ritornato sulle tavole, acciughe in classica pastella di farina e acqua affiancate da altre acciughe ma al verde: prezzemolo, aglio di Caraglio,

pomodoro, aceto, pepe e sale. Nel menu tipico della serata sui prodotti della Valle Grana non manca mai il “Tortino di zucca e patate di montagna con leggera crema di acciughe”: la zucca fatta friggere fodera uno stampo monoporzione che si riempie di patate semischiacciate, facendo strati di patate e zucca. Nel piatto un letto di bagna cauda sul quale si adagia il tortino». E per addolcire il palato? «Essendo l’acciuga molto gustosa, come in ogni altro piatto, va sempre presentato il connubio dolce e salato: l’acciuga con le patate o il peperone dolce sono un semplice esempio di abbinamento. E per concludere il pasto non può mancare una “Mousse di cioccolato con amaretti e zabaione alle pesche”».

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A SCUOLA DI CUCINA Piercarlo Grimaldi

professione

GASTRONOMO L’UNIVERSITÀ DI SCIENZE GASTRONOMICHE INTRECCIA DIDATTICA IN AULA E CONOSCENZA DIRETTA DEL MONDO DELLA PRODUZIONE AGROALIMENTARE. LO SPIEGA IL RETTORE PIERCARLO GRIMALDI

di Francesca Druidi

La sede dell’ateneo a Pollenzo (Bra, provincia di Cuneo)

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ggi il cibo e i suoi rapporti con l’economia, la salute, la cultura e il territorio sono indagati con molta più attenzione che in passato. Si è reso allora sempre più necessario formare una nuova figura professionale, il gastronomo, in grado di operare nella produzione, distribuzione, promozione e comunicazione dell’agroalimentare di qualità. A questa esigenza risponde, dal 2004, l’Università degli studi di Scienze gastrono-

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miche di Pollenzo. «Il settore agroalimentare è un mercato che non ha ancora avvertito segnali di crisi – spiega il rettore dell’ateneo Piercarlo Grimaldi – e rappresenta una fetta considerevole delle esportazioni italiane, offrendo sbocchi professionali interessanti». Il cuore dell’offerta didattica dell’università è il corso di laurea triennale in Scienze gastronomiche. Qual è la situazione occupazione dei vostri

laureati? «Il nostro corso di laurea triennale funziona bene: intercettiamo il 35 per cento di studenti stranieri (60 sono le nazionalità contate in otto anni accademici); quest’anno abbiamo registrato molte pre-iscrizioni e questo ci ha permesso di operare una buona selezione su chi ha presentato domanda. Sono 75 gli studenti che iniziano la triennale, il numero massimo possibile. Una buona percentuale dei nostri studenti si laurea in corso.

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A SCUOLA DI CUCINA Piercarlo Grimaldi

Nell’ultimo anno accademico abbiamo realizzato un approfondito monitoraggio dei processi occupazionali dei nostri laureati della triennale. L’elemento soddisfacente è che oltre il 70 per cento trova lavoro nei sei mesi successivi al titolo di studio e, in prossimità dell’anno, più del 90 per cento è in posizione professionale attiva. Dato 100 il dato degli occupati, 25 sono le persone che si mettono in proprio, dando vita a imprese spesso creative e inedite. I nostri studenti

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acquisiscono un quadro interpretativo della società che fa sì che possano rispondere con idee originali alle richieste del mercato». A quali aree si rivolgono in particolare i laureati? «La comunicazione e il marketing sono preponderanti. Comunicare il cibo è un’attività molto amata. L’aspetto imprenditoriale non è però secondario, così come l’operare nella piccola e media azienda - dove si tocca con mano il concetto di sosteni-

bilità e di filiera corta - apre buone soluzioni professionali. Si tratta di realtà aziendali impegnate nella commercializzazione, nell’interpretazione originale del cibo e della ristorazione. Questo quadro vale anche per i master annuali in Food culture and communications, un po’ meno per quanto riguarda la biennale magistrale in Promozione e gestione del patrimonio gastronomico e turistico, che prevede l’inserimento del laureato in un tirocinio lavorativo presso

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Riccardo Soncini

A SCUOLA DI CUCINA Piercarlo Grimaldi

aziende e istituzioni legate al mondo dell’agroalimentare e della sostenibilità». L’ateneo sviluppa, quindi, un canale privilegiato con il mondo del lavoro rappresentato da viaggi didattici e tirocini. Come si declina questo incontro? «Esistono due grandi opportunità, la prima delle quali è legata a Slow Food. L’università è una struttura autonoma ma nasce, senza dubbio, sotto l’egida di Slow Food, il più grande conoscitore dell’agroalimentare italiano e non solo, presente in

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buona parte del mondo. L’associazione ci mette a diretto contatto con aziende interessate a perseguire “il buono, il pulito e il giusto” attraverso un processo virtuoso di stagionalità e filiera corta. Questa importante dimensione ci permette di organizzare, con facilità e sostenibilità, viaggi didattici in Italia, in Europa e nel mondo; durante l’anno accademico, gli studenti della triennale e dei master trascorrono più di un mese fuori dalle aule, facendo attività didattica e di formazione sul territorio, grazie al tessuto connettivo rappresentato da Slow Food. Molte comunità

del cibo ci ospitano e ci aiutano nelle formule organizzative, contenendo spese e costi». L’altra opportunità? «L’altra grande specificità è rappresentata da 30 partner strategici, 30 aziende dell’agroalimentare che dialogano con l’ateneo ma anche tra di loro; 3-4 volte all’anno si tengono incontri in ateneo su temi e iniziative condivisi. L’università li rende soggetti attivi e partecipi nell’ambito dei progetti formativi». Dal 2013 l’annuale master

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A SCUOLA DI CUCINA Piercarlo Grimaldi

Kunal Chandra

I nostri studenti acquisiscono un quadro interpretativo della società che fa sì che possano rispondere con idee originali alle richieste del mercato

in Food culture and communications presenterà quattro indirizzi: oltre a sostenibilità, legame tra cibo e territorio, prodotti di qualità, ci sarà l’approfondimento sui mezzi di comunicazione di massa. Quali le figure professionali che mira a formare? «Con questi master tenuti in lingua inglese, intercettiamo un bisogno di conoscenza della cultura, delle forme e della pratiche dell’alimentazione coniugate in chiave turistica, ecologica, comunicativa e giuridica. Il Nord America risponde bene a questa offerta formativa, è un’area di ec-

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cellenza che intendiamo sviluppare ulteriormente». Altre novità per il prossimo futuro? «L’università ha sottoscritto il protocollo d’intesa sull’apprendistato di alta formazione e ricerca. Il prossimo anno inizieremo corsi di circa 12 mesi rivolti a persone - laureate e non - intenzionate a imparare un mestiere, quello del birraio, del panettiere o dell’affinatore di formaggio, dove a lezioni frontali in ateneo si alterneranno fasi più operative di apprendimento presso maestri artigiani, non solo del territorio.

L’università affiancherà gli studenti in questo loro percorso, al termine del quale dovrebbero riuscire ad aprire una loro attività o, in ogni caso, entrare in un settore dove oggi non esiste formazione. Da quest’anno, inoltre, la ristorazione sarà gestita direttamente dall’università: ogni settimana un grande cuoco sarà nostro ospite e interpreterà il cibo per gli studenti. Anche la pausa pranzo diventerà così un’occasione per comprendere l’importanza del cibo praticato con passione e non solo come tratto estetico, culturale e intellettuale».

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al fianco della

ristorazione UN CENTRO DI FORMAZIONE TESO A CREARE COMPETENZE, PROFESSIONALITÀ E CULTURA. L’UNIVERSITÀ DEI SAPORI DI PERUGIA SPIEGATA DAL SUO RESPONSABILE SVILUPPO, MAURIZIO BECCAFICHI

di Francesca Druidi

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A SCUOLA DI CUCINA Maurizio Beccafichi

Accanto, l’immagine della “cioccolatiera”, primo progetto della linea “Professional” dell’Università dei Sapori. Sotto, attività formative dell’Università dei Sapori di Perugia

al 1996, l’Università dei Sapori di Perugia si occupa di istruzione, formazione professionale e consulenza con l’obiettivo di contribuire alla crescita qualitativa delle imprese italiane nei settori della distribuzione e dell’Horeca (hotel, ristoranti e caffè). L’ateneo opera su diversi ambiti, rivolgendosi con la sua offerta didattica agli amatori, agli aspiranti professionisti e ai professionisti. I corsi rivolti ai ragazzi dai 16 ai 18 anni, di durata triennale, costituiscono una valida alternativa al percorso scolastico tradizionale e permettono di conseguire la qualifica professionale per entrare nel mondo della ristorazione come aiuto cuoco, addetto al servizio bar, pizzaiolo. Anche ai giovani che hanno già ottenuto un diploma, frequentando ad esempio l’istituto alberghiero, sono rivolti

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corsi professionalizzanti per cuoco, aiuto cuoco, pasticcere, gelatiere, pizzaiolo, barman. «Il valore aggiunto di tutti questi corsi – sottolinea Maurizio Beccafichi, responsabile sviluppo dell’università – è rappresentato dall’abbinare l’apprendimento tecnico-pratico a competenze di tipo scientifico. A un cuoco o a un pasticcere non basta saper fare, deve sapere cosa succede dal punto di vista chimico e fisico agli elementi». La ristorazione, in questi ultimi dieci anni, ha subìto molte trasformazioni ed è essenziale imparare come le nuove tecnologie (macchinari per la cottura e per il sottovuoto, abbattitori) possono contribuire a migliorarla. «Registriamo performance occupazionali altissime perché l’Università dei Sapori non è un “corsificio”: mettiamo a fuoco un profilo solo dopo un’attenta analisi delle esigenze del mercato del

lavoro». Considerando anche lo stretto rapporto con la Confcommercio di Perugia, che promuove l’ateneo, «tutti i profili trovano una risposta nel mercato occupazionale». A esercitare maggiore appeal sui giovani, prosegue Beccafichi, è la figura del cuoco, anche se spesso «si sottovaluta

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A SCUOLA DI CUCINA Maurizio Beccafichi

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l’impegno in termini di orari, passione e responsabilità richiesto allo chef». Un’altra figura particolarmente ricercata è quella del pasticcere, data la fase di grande spolvero della pasticceria nella ristorazione. Anche la gelateria presenta sbocchi professionali sicuri. «È un mercato in grande espansione. Vengono da tutto il mondo per frequentare i nostri corsi: quattro ogni anno, due in italiano e due in lingua inglese. Al termine della formazione, gli aspiranti gelatieri spesso ci richiedono una consulenza per aprire un’attività all’estero. Abbiamo creato appositamente un brand, “La scuola italiana di gelateria”, per insegnare a produrre il vero gelato artigianale italiano». Ci sono poi i corsi di formazione legati all’attività dei bar. «Con la nascita del risto-bar e il trend degli aperitivi, sono richieste competenze non solo per somministrare il beverage, ma anche per la piccola ristorazione». L’offerta di alta formazione dell’Uni-

versità dei Sapori mira a definire profili ancor più specializzati, declinandosi in un corso superiore di cucina italiana, un corso superiore di pasticceria italiana e un master post laurea in marketing e promocommercializzazione dei prodotti agroalimentari umbri. «Un aspetto peculiare della nostra offerta è rappresentato dal tirocinio: acquisiamo, infatti, a monte la disponibilità di aziende del settore a ospitare i ragazzi, al termine della parte in aula, per un periodo più o meno lungo. Individuiamo, inoltre, un tutor aziendale, così che l’esperienza del tirocinante venga valorizzata il più possibile. Per chi frequenta il corso superiore di pasticceria c’è la possibilità di un tirocinio in una catena di ristoranti italiani negli Stati Uniti». I corsi per i professionisti sono stati anch’essi ideati per soddisfare le esigenze di formazione di tutti gli esercizi del settore Horeca, compresa la ristorazione collettiva: mense aziendali, scolastiche, uni-

versitarie, pubblici esercizi. L’università identifica, inoltre, un punto di riferimento per quanto riguarda la riqualificazione degli addetti della distribuzione alimentare (Do e Gdo). «Formiamo, aggiorniamo e trasformiamo gli addetti della distribuzione alimentare da porgitori di prodotto a consulenti alimentari». In quest’ampia e articolata proposta didattica si inserisce oggi un nuovo elemento. A fine ottobre verrà, infatti, presentata la linea “Professional” dell’Università dei Sapori. Si tratta di «contenitori, piatti e strumenti da lavoro per il mondo Horeca: nuove forme e nuovi materiali per una ristorazione che cambia e che si aggiorna nei format. Il primo progetto – conclude Maurizio Beccafichi – è una “cioccolatiera” per la cioccolateria collettiva, frutto della collaborazione dei nostri pasticceri e cioccolatieri con un designer e un’azienda che lavora il vetro borosilicato».

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fornelli in tv

Benvenuti nel mio

campo di battaglia

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ALESSANDRO BORGHESE HA FIRMATO UN CONTRATTO ESCLUSIVO CON SKY E SFIDERÀ OGNI GIORNO UNA FAMIGLIA IN UN VERO DUELLO CULINARIO, CON L’INTERAZIONE DEL PUBBLICO VIA TWITTER E FACEBOOK

di Elisa Fiocchi

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ono in migliaia i fan che dai social network ascoltano le sue canzoni, commentano le fotografie, condividono ricette e curiosità sulle sue passioni. Alessandro Borghese è uno dei cuochi mediatici più amati del piccolo schermo, esperto nell’arte culinaria e con quel talento innato nel comunicare a un target trasversale. Dopo il successo dei programmi televisivi sul canale Real Time, tra i più recenti il cooking show “Cucina con Ale”, oggi è la piattaforma di Sky a diventare il palcoscenico della sua prossima sfida, con tanto di sottofondo musicale western, perchè di vero duello si tratta. In “Ale contro tutti” (in onda dal lunedì al venerdì alle 19.45 su Sky Uno Hd) una famiglia, di puntata in puntata, parteciperà una gara di fornelli presentando il proprio cavallo di battaglia. Si vince e si perde, senza sconti, anche per uno chef professionista come Borghese chiamato a realizzare contemporaneamente lo stesso piatto. «Mi sto divertendo come

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un pazzo – racconta – sono già stato battuto più di una volta ed è qualcosa di completamente diverso da qualsiasi format di cucina che abbia fatto finora». Come cambia il modo di comunicare l’arte della cucina in questo nuovo programma?

«In questo caso mi metto in gioco in prima persona, come in una vera sfida. Al mio fianco c’è una famiglia italiana e non che porta il suo cavallo di battaglia ai fornelli e io dovrò realizzarlo magari con qualche differenza per la scelta di qualche ingrediente. È una cucina di fronte all’altra, con le stesse tempistiche, e il risultato finale sarà giudicato da due abbonati Sky e da un bambino, i quali non conoscono ovviamente chi ha fatto che cosa». C’è anche tanto altro oltre alla cucina.

«È condito con molta musica perchè sia io che la famiglia porteremo un brano musicale. Questo programma è stato concepito come un modo per

imparare a cucinare inserendo altri contenuti, come l’interazione con i social network perché da casa si può indovinare il brano e il piatto del giorno successivo, scalare una classifica di SkyUno e vincere una cena con me. Il tutto concentrato in 45 minuti». Che genere di famiglie l’hanno sfidata finora?

«Di tutti i tipi, da quella vietnamita, cresciuta a Verona e che fa gli involtini in un certo modo, a quella che prepara la pasta fatta in casa, fino a quella abile nel cacciucco alla livornese. E poi ci sono tanti piatti italiani e stranieri». Si è trovato all’interno del programma ad avere difficoltà nella preparazione di un piatto?

«Molti di questi piatti mi ritrovo a farli per la prima volta, quindi posso dire di aver trovato pane per i miei denti. La cosa divertente è anche questa: essere in sfida e sapere di poter tranquillamente perdere».

In apertura, Alessandro Borghese, cuoco e chef televisivo, al timone della società AB Normal

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fornelli in tv

I programmi di cucina hanno fatto solo del bene alla gastronomia italiana. In televisione si parla tanto di calcio e di politica ma anche la gastronomia è un nostro bene come la moda e l’architettura

Da casa s’impara a cucinare?

«Assolutamente, c’è la grafica con le dosi degli ingredienti e si può andare sulla pagina Facebook per rivedere genere di passaggio o procedura durante il programma. Non è come “Cucina con Ale”, un vero cooking show dove facevo lezione di cucina; qui è lievemente diverso, io sfido una famiglia dal fornello facile». Che rapporto ha con il suo pubblico social?

«Io sono sempre connesso, scambio opinioni e ricette, mi piace sapere che cosa gira attorno al mondo della gastronomia e della musica. Sono un tipo attivo e ci lavoro parecchio anche perchè interessa la mia società di banqueting e catering “Il lusso della semplicità”».

In generale, come vede la promozione dell’enogastronomia italiana attraverso la televisione?

«È assolutamente possibile, io

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credo che i programmi di cucina abbiano fatto solo del bene alla gastronomia italiana, dalle scuole di cucina, ai ristoranti e agli agriturismi, a tutti coloro che gravitano nel settore. Si parla tanto di calcio e di politica in televisione, ma anche la gastronomia è un nostro bene esattamente come la moda e l’architettura». Cosa ne pensa dei suoi “rivali” sugli altri canali tv?

«Chiunque vuole fare questo genere di mestiere ha la possibilità di farlo. Io sono prima di tutto un cuoco e poi faccio televisione, c’è chi non ha mai fatto neanche quello e sta in televisione comunque, e poi ci sono altri professionisti come me che si sono mossi in questo mondo. Ognuno trova il suo spazio senza bisogno di rivaleggiare con nessuno». Quali ingredienti utilizza in autunno?

«In questo periodo lavoro con il

baccalà ma è anche tempo di porcini e tartufi. Ho appena partecipato a un evento dove abbiamo presentato delle triglie farcite con i funghi porcini e dei sigari di baccalà. I tipici prodotti autunnali insomma». Ha ancora un sogno di format televisivo da condurre?

«Certo, ho in cantiere assieme a Sky altri due progetti nuovi e molto importanti che usciranno in primavera. E poi ho le due aziende che si occupano di catering, eventi e consulenze che mi permettono di gestire il lavoro televisivo: è il mio core business». A un ristorante non ci pensa più?

«Ne ho avuti più di uno in passato ma se dovessi prenderne un altro, e su questo aspetto sono un tipo molto perfezionista, vorrei poter essere in prima persona all’interno della cucina, cosa che in questo periodo non è proprio possibile».

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fornelli in tv

Energia

ai fornelli

di Elisa Fiocchi

A POCO PIÙ DI TRENT’ANNI, SIMONE RUGIATI HA COLLEZIONATO UN SUCCESSO DOPO L’ALTRO, NEL MONDO DELLA TELEVISIONE, DELL’EDITORIA E DEGLI EVENTI CHE RICHIAMANO GLI AMANTI DELLA CUCINA. DA POCO È DIVENTATO ANCHE IL VOLTO PUBBLICITARIO DI COCA COLA

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a giovane diplomato all’istituto alberghiero di Montecatini Terme a personaggio televisivo, il passo è stato breve per Simone Rugiati, classe 1981, lo chef dal fare spigliato che parla agli spettatori ma anche ai lettori dei suoi numerosi libri di cucina e alle migliaia di persone che lo seguono sul web. Non c’è da stupirsi se alla domanda “Che cosa fa nel tempo libero?” risponde: “E chi ce l’ha il tempo libero?”. Il suo debutto televisivo avviene con la trasmissione “La prova del cuoco“ su Rai Uno e in seguito approda alla conduzione dei programmi di Gambero

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Rosso Channel, che registrano ascolti eccellenti e lo consacrano definitivamente nel 2008 con i format “Simone alla griglia” e “Chef per una settimana”. Dal 2011 conduce la trasmissione “Cuochi e Fiamme” (ogni giorno alle 19.10 su La7d), il game show che vede sfidarsi due concorrenti in quattro prove di abilità in cucina che saranno poi giudicate da una giuria di esperti composta dalla critica gastronomica Fiammetta Fadda, dalla blogger Chiara Maci e dall’attore Riccardo Rossi. Qual è il segreto del successo di “Cuochi e

fiamme”?

«Intanto la presenza dei concorrenti che hanno un ruolo di primo piano perchè cucinano autonomamente e sono i veri protagonisti, cosa che non avviene negli altri format dove sono chiamati solitamente ad affiancare uno chef nella preparazione. Da noi arrivano persone che devono cucinare, che propongono le loro idee e devono concretizzare i piatti in pochi minuti. Poi ci divertiamo molto, non è solo un programma di cucina ma anche un talk show. Ci sono i giudici che intrattengono il pubblico con i loro commenti e anch’io

Simone Rugiati, chef, conduttore televisivo e autore di libri di cucina

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fornelli in tv

C’è un ritorno alla cucina povera e ai piatti della tradizione, sicuramente stravolti, revisionati, alleggeriti. Ciò rappresenta un tuffo nel patrimonio dell’arte culinaria italiana

intervengo ogni tanto con consigli su come migliorare i piatti». Cosa pensa del dilagare delle tante trasmissioni di cucina in Italia?

«Ormai la cucina è dovunque, manca solo di vederla a Sanremo o nei programmi di Maria De Filippi. Tante persone vengono piazzate davanti alla telecamera solo perchè hanno una bella faccia ma sono prive di un background o di competenza tecnica e chimica sulla cucina. Sanno preparare quel piatto, magari cercato su Google, ma se dovessero uscire dal loro seminato non sarebbero in grado

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di aggiungere molto di più. Quando, ad esempio, lavoravo per Gambero Rosso Channel si proponevano piatti anche troppo tecnici, lavoravano chef professionisti mentre su un’altra rete andava in onda “La prova del cuoco”, dove una casalinga trovava ricette più facili ma difficilmente imparava a cucinare. Io non sono nato come conduttore televisivo, ma quando si tratta di descrivere i piatti e di offrire spunti culinari so di poterlo fare». Cosa pensa, invece, delle mode che vanno e vengono anche in cucina?

«Chi segue i trend culinari non

può che arrivare ultimo. È sempre meglio proporre piatti che c’interessano e ci piacciono. Come già sostenevo tempo fa, noto oggi un ritorno alla cucina povera e ai piatti della tradizione, sicuramente stravolti, revisionati, alleggeriti ma è comunque un tuffo nel grande patrimonio dell’arte culinaria italiana». È diventato il volto degli spot televisivi di Coca Cola: che messaggio comunica al suo pubblico?

«Sono entrato in contatto con quest’azienda parecchi mesi fa in occasione di una cena che ho preparato per loro. In seguito si sono susseguiti diversi

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brainstorming a cui ho partecipato di mia iniziativa all’interno dei quali hanno considerato le mie idee tra le migliori. Da lì abbiamo iniziato a individuare assieme delle soluzioni, attraverso le ricette e la cucina, ai problemi di una qualsiasi famiglia che arriva a casa e deve preparare un piatto veloce, oppure deve farlo con un budget ristretto. Il tutto è sfociato nella condivisione della tavola come va in onda nello spot e poi sul sito della Coca Cola si possono poi trovare tutte le mie ricette». Che ingredienti consiglia per affrontare con gusto l’autunno?

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«Sono un tipo meteoropatico e va da sé che prediligo la stagione primaverile e l’estate. È vero anche che in autunno ci sono prodotti straordinari e io amo cucinare comfort food a casa. L’altra sera, ad esempio, ho preparato un carpaccio con il tartufo, sono nato in provincia di Firenze dove c’è il miglior tartufo bianco d’Italia, ma questa è anche la stagione dei porcini e della zucca». Cosa non manca mai nel suo frigorifero?

«Il ginger, il lime e i prodotti agrumati. Anche in casa mi circondo di piantine aromatiche e di tante spezie che aiutano a

rendere i piatti meno grassi dando comunque sapore. Sono ingredienti che posso conservare anche quando sto parecchio tempo lontano da casa». E il futuro è in televisione o si vede altrove?

«A questa domanda rispondo sempre che non ho ancora capito come sono arrivato in televisione perché ho studiato per fare il cuoco. Stare in tv, però, mi piace molto e adesso sto registrando le nuove puntate di “Cuochi e fiamme” che mi terranno impegnato per qualche mese. Dopo c’è anche qualche bel progetto a Miami».

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fornelli e tv

I miei furbi

menù

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el nuovo libro “Mettiamoci a cucinare”, edito da Rcs Libri, Benedetta Parodi lancia un invito ai suoi lettori, quello di rilassarsi, divertirsi e perchè no, di stupire i propri ospiti creando qualcosa di nuovo e scenografico in cucina. Dopo una serie di successi editoriali e televisivi che l’hanno resa celebre dalla rubrica “Cotto e mangiato” in poi, la giornalista mette nuovamente nero su bianco tante

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LE RICETTE DI BENEDETTA PARODI, PRATICHE E VELOCI, SONO DIVENTATE UN CULT PER CHI AMA LA CUCINA SEMPLICE E VA DI FRETTA. MA NEL NUOVO LIBRO C’È ANCHE UNA SEZIONE PER CHI INVECE VUOLE STUPIRE

ricette semplici e veloci che contraddistinguono il suo stile non solo in libreria ma anche nel panorama televisivo gastronomico. Lei che ha “umanizzato” l’approccio ai fornelli, sceglie questa volta di cimentarsi anche in una sezione di piatti speciali per quei giorni in cui prudono le mani dal desiderio di dimostrare cosa si sa fare in cucina. «Sempre nell’ambito di ricette “fattibili” – racconta – ho pensato che chi mi segue ha voglia di sperimentare

qualche ricetta più complessa come un soufflè o gli gnocchi alla parigina che ho semplificato al massimo pur mantenendo la scenografia del piatto». E poi ce n’è per tutti i palati, dal vegetariano a chi ama i sapori della cucina etnica.

Benedetta Parodi, giornalista televisiva e autrice di libri di cucina

Dopo “Cotto e mangiato”, “Benvenuti nella mia cucina” e “I menù di Benedetta”, è appena uscito il suo quarto libro. Qual è il filo conduttore?

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di Elisa Fiocchi

Adoro tutti i gusti speziati ma anche la cucina ricca che si fa in America, la cucina francese e spagnola «Mantiene sempre un po’ di chiacchiera prima di ogni ricetta, cosa che i miei lettori apprezzano molto, ma ha due caratteristiche nuove. Per prima cosa contiene molte più foto, è un libro ricco di fotografie che ho scattato mentre io stessa cucinavo perché volevo che le immagini fossero il più possibile fedeli alla ricetta originale; poi ci sono ricette “step by step”, fatte sempre da me in maniera casalinga. La seconda novità è che il libro è diviso in tre categorie, ciascuna contiene la propria sezione di primi, secondi e dolci, ma con tre gradi di difficoltà: “Oggi ho poco tempo”, “Oggi mi impegno”, “Oggi voglio stupire”».

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Quest’anno nella sua trasmissione “I menù di Bendetta”, in onda ogni giorno alle 18:30 su La7, partecipa anche il pubblico.

«Cerco sempre di proporre menù “furbi” perché aiuto la gente che in realtà ha anche altro da fare nella vita. La velocità e la dinamicità delle ricette è il nostro punto di forza e quest’anno, andando in onda più tardi, volevamo essere più accattivanti nel raccontare le ricette, con un occhio di riguardo alla risata, all’ospite e all’interazione con il pubblico che talvolta mi aiuta al bancone». Li guarda gli altri

programmi di cucina?

«Fino a dieci anni fa seguivo quelli in onda sul canale Gambero Rosso, ma adesso mi hanno tutti un po’ sfinito anche perchè di cucina ne parlo già abbastanza da me. Sono invece una grande appassionata della serie “Masterchef”, italiana e americana, è un format diverso e amo molto il personaggio di Gordon Ramsay. Per il resto rifuggo volentieri dagli altri programmi di cucina». La sua è una cucina semplice e facile da seguire eppure ci sono anche tanti piatti internazionali, grazie all’ausilio di ospiti stranieri.

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fornelli e tv

Quali predilige?

«Adoro tutti i gusti speziati ma anche la cucina ricca che si fa in America, la cucina francese e spagnola. Insomma, la cucina straniera mi piace davvero tutta e non saprei scegliere un piatto in particolare». Quali prodotti ama di più della gastronomia italiana?

«Da piemontese non sono cresciuta mangiando molto pesce perchè non fa parte della mia tradizione e allora cerco di comprarlo spesso, anche se a volte dimentico di farlo. Uno dei miei impegni è ricordarmi di cucinarlo

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almeno una volta alla settimana per non rischiare di trascurarlo nella mia dieta. Sarebbe un peccato sia per la bontà sia per la salute». C’è un ingrediente particolare che utilizza nella sua cucina?

«Non c’è n’è uno di nicchia perchè compro tutti i prodotti al supermercato quindi ciò che acquisto si trova facilmente in tutti i negozi. Più che altro, utilizzo un metodo di cucina che mi caratterizza da quando l’ho scoperto qualche anno fa, un modo abbastanza siciliano di

cucinare. Consiste nell’impanare la carne, il pesce, le verdure, anche da crude, semplicemente con il pane grattato senza l’aggiunta di altro, tranne un filo d’olio, e poi far cuocere tutto nel forno. Con pochissimo grasso si ottengono verdure molto croccanti e gustose sporcando al minimo la cucina». Resterà in televisione?

«Certo, ci sarò fino a che mi diverte e mi appassiona come sta succedendo ora e, soprattutto, fin quando la gente avrà voglia di seguirmi con lo stesso entusiasmo».

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cibo e arte

Una tavola

acquerello

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ttraverso le sue illustrazioni, anche l’elemento più semplice della cucina, come il basilico, diventa regale. Quella di Gianluca Biscalchin è una sorta di aulica rappresentazione del cibo e dei suoi più importanti “manipolatori”. Anche agli chef

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di Nicolò Mulas Marcello

stellati, infatti, è toccato il privilegio di essere ritratti dall’illustratore culinario più famoso d’Italia, non senza un pizzico di ironia. Non solo caricature dei tratti somatici ma veri e propri compendi grafici delle diverse filosofie di cucina. Illustrazioni nelle quali ogni elemento è un richiamo alla

personale interpretazione gastronomica di ogni chef ritratto: «L’idea – spiega Gianluca Biscalchin – è quella di scomporre una ricetta nei suoi ingredienti base e ricomporla poi con una soluzione quasi geometrica. È un modo per far capire quanta fatica c’è, per uno chef, nel costruire un piatto. Per

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UN TRIBUTO ALLA CUCINA CON ILLUSTRAZIONI SEMPLICI MA RICCHE DI SIGNIFICATO. GIANLUCA BISCALCHIN SPIEGA LA SUA PASSIONE PER LA TAVOLA

quanto riguarda gli chef ho cercato in genere di abbinare ad ognuno di loro un elemento che lo caratterizzasse». Come è nata la sua passione per l’illustrazione e cosa l’ha spinta a rappresentare cibo?

«Facevo disegni per bambini quando andavo all’università per pagarmi gli studi. Poi sono diventato giornalista e ho abbandonato le matite. Circa tre anni fa ho iniziato, sempre come giornalista, a occuparmi più seriamente di cibo. È stato allora che ho pensato di estendere il mio lavoro giornalistico dalla parola al disegno. Un modo diverso di raccontare il mondo della gastronomia». Lei ha ritratto anche “21 chef stellari”, in che modo ha

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deciso di caratterizzare ognuno di loro? I diretti interessati hanno apprezzato?

«Devo dire che l’unico che mi ha telefonato per farmi i complimenti è stato Massimiliano Alajmo, tre stelle Michelin. Ma anche altri si sono divertiti. In generale ho cercato di abbinare a ogni chef un elemento che lo caratterizzasse, come la seppia gigante per Pino Cuttaia o l’orso marsicano per l’abruzzese Niko Romito. Ma potendo ne rifarei un paio, come Davide Scabin e Gennaro Esposito». Spesso nei suoi lavori il cibo è rappresentato con una disposizione quasi araldica, come a voler dare agli ingredienti una connotazione nobile. Secondo lei oggi al cibo quale importanza viene data?

Gianluca Biscalchin Giornalista e food illustrator

«Non avevo mai notato questa “deriva” araldica, ma è vero. Diciamo che l’idea è quella di scomporre una ricetta nei suoi ingredienti base e ricomporla poi con una soluzione quasi geometrica. È un modo per far capire quanta fatica c’è, per uno chef, nel costruire un piatto». La sua passione per il cibo si concretizza anche dietro i fornelli? Qual è il suo piatto preferito?

«Mettiamola così: prima di immergermi nel mondo dell’alta cucina mi consideravo un buon cuoco dilettante. Adesso che mi sono abituato a mangiare veramente bene, mettermi ai fornelli mi imbarazza un po’. Ma quando sono giù di corda ho il mio piatto-prozac: spaghettini (meglio se Verrigni) col tonno».

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cibo e letteratura

Le ricette fantasy

degli elfi

«S Sopra, Cinzia Gregorutti e Luisa Vassallo

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e è vero che ogni ricetta nasce dalla tradizione che l’ha generata, tramandata e migliorata, l’attualità di ogni piatto dipende dall’attenzione e dal rispetto di chi lo consuma». La pensano così Cinzia Gregorutti e Luisa Vassallo, autrici della raccolta di ricette “A tavola con gli Hobbit”. Per questo scovare le citazioni gastronomiche contenute nei capolavori tolkieniani come “Il signore degli anelli”, “Lo Hobbit” e “Il Silmarillion” significa esplorare la realtà dal punto di vista della fantasia. Un lavoro attento, nato dall’idea di intavolare una cena insolita per gli amici che però ha dato vita a una raccolta di piatti, dagli antipasti ai dolci, con un unico comun denominatore: la loro provenienza fiabesca. Oltre alla documentazione è stato

necessario un lavoro di adattamento rispetto ai gusti e alle materie prime, con il tentativo di trovare ingredienti che assomigliassero il più possibile a quelli descritti da Tolkien nei suoi romanzi. Le due autrici ci raccontano come è nato il volume e ci regalano una ricetta tratta proprio dalla loro ultima fatica. Com’è nata l’idea di questo libro?

«Più che da un’idea studiata a tavolino, questo libro è nato dalle nostre passioni e dalla voglia di stare insieme. Amanti della letteratura fantasy e in particolare di Tolkien, una sera di circa 10 anni fa ci siamo ritrovate ad organizzare una cena “hobbit”per gli amici. Ricercando le ricette con puntigliosa attenzione e la dovuta curiosità, ci siamo accorte che la lista si stava allungando a

di Teresa Bellemo

dismisura, mentre la cena si stava rimandando e stava iniziando a prendere corpo qualcos’altro: un volume da regalare agli amici rimasti a bocca asciutta. Il ricettario è una nuova edizione di quel primo lavoro, integrato con alcuni capitoli e nuove ricette». Quanta passione per Tolkien c’è alle spalle?

«Tolkien è decisamente uno dei nostri autori più cari insieme ad altri scrittori fantasy come Lewis, Chesterton, Ende, Rowling e ad autori più classici come Dante, Leopardi, Guareschi e Buzzati. La sua figura nel corso della composizione del ricettario è riuscita a sorprenderci, a commuoverci, a insegnarci cose nuove e a guidarci all’interno del mondo reale. Insomma, ci ha conquistate e ci ha introdotte in quel mondo fatto di cose semplici, lievi, elementari ed

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SE PENSATE CHE NELLE FIABE I CALDERONI SIANO PIENI SOLTANTO DI OCCHI DI RAMARRO E ZAMPE DI DRAGO VI SBAGLIATE. ANCHE GLI GNOMI SANNO CUCINARE IL CONIGLIO AL FORNO E FOCACCE RIPIENE. ECCO LE PROVE

“CROSTATA DI MORE” DEL PULEDRO IMPENNATO Ingredienti per 8 persone

Per la pasta 300 gr di farina 200 gr di burro 150 gr di zucchero 1 uovo intero 1 tuorlo d’uovo Buccia grattugiata di 1 limone

Per la copertura 500 gr di more 100 gr di zucchero

essenziali, che è la realtà stessa che noi a volte interpretiamo e complichiamo. Di questo, gli siamo grate». Come avete organizzato il lavoro di documentazione?

«È stata impegnativa la soluzione dei problemi di traduzione che conteneva l’edizione in italiano. L’inserimento di piatti troppo mediterranei rispetto alla cultura anglosassone ci aveva fatto drizzare le antenne. Tanto per fare un esempio, in un passo di “Lo Hobbit” uno dei nani chiede

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80 gr di nocciole 1 uovo 3 cucchiai di panna alcune foglie di menta

pentolino fino a che non diventano morbide con 50 grammi di ucchero e qualche fogliolina di menta possibilmente appena raccolta. Stendete la pasta frolla e foPreparazione: derate con essa una tortiera ben Disponete la farina a fontana e al imburrata e leggermente infarinata. centro mettete il burro a pezzetti, un Cospargetene il fondo con le nocuovo intero, un tuorlo, lo zucchero, ciole tritate molto finemente e riemla buccia grattugiata del limone e pitela con le more cotte. A parte, impastate. Formate una palla e, sbattete l’uovo con lo zucchero redopo averla avvolta in un canovac- stante e, dopo avervi unito la panna cio, mettetela in frigo per mezz’ora. liquida, versate il composto ottenuto Lavate le more, asciugatele e met- sulla crostata. Infornate a 180° per tetele a cuocere in un 40 minuti circa.

a Bilbo della pizza. A guardar bene, invece, nel testo originale il piatto richiesto è il mince pie, una specie di tortino che può essere sia salato che dolce. Ovviamente non potevamo tralasciare questi dettagli». C’è della farina del vostro sacco “creativo” nelle ricette?

«Nonostante la cucina tolkieniana sia molto semplice e contadina, basti pensare alla crostata di more del Puledro Impennato o al coniglio alle erbe aromatiche di Samvise Gamgee,

ci siamo dovute adoperare per cercare di ricostruire la consistenza e il gusto del cibo di queste creature. È stato molto emozionante ricercare tutti gli indizi e le citazioni che ne descrivono il sapore, la consistenza e il colore, e provare a creare la ricetta relativa. Per quanto riguarda i “lembas”, abbiamo dedicato molto spazio alla ricerca e alle motivazioni che ci hanno spinte a scegliere gli ingredienti - tutti filologici - che compongono questo cibo elfico per eccellenza».

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Il Dop

j di Matteo Grande i

diventa spalmabile I PIÙ CONOSCIUTI FORMAGGI ITALIANI DOP A PASTA DURA, PARMIGIANO REGGIANO, GRANA PADANO E PECORINO ROMANO, SI FANNO SPALMABILI. CON SPALMARELLA SI CONIUGANO PRATICITÀ E VERSATILITÀ IN CUCINA

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FORMAGGI TIPICI Giulio Malgara

endere ancora più versatile l’utilizzo dei migliori formaggi Dop italiani. Come? Rendendoli spalmabili. È con questo spirito che Formaggi d’Italia ha saputo unire la tradizione e la qualità dei migliori formaggi Dop a pasta dura facendo nascere Spalmarella. «Il lancio di Spalmarella – spiega Giulio Malgara, presidente della Malgara Chiari & Forti, ha ottenuto da Formaggi d’Italia l’esclusiva per la commercializzazione del marchio Spalmarella in tutta Europa,– rappresenta la risposta a nuove esigenze. Si tratta di un prodotto di elevata qualità perché parte dai migliori formaggi Dop Italiani (Parmigiano Reggiano, Grana Padano e Pecorino Romano) che diventa spalmabile attraverso un procedimento a freddo senza ricevere alcun trattamento chimico, come avviene per tutti i formaggi fusi. Il risultato finale è un prodotto dal gusto intenso e inconfondibile, una consistenza unica e piacevole e il mantenimento di tutte le preziose caratteristiche organolettiche e nutrizionali dei formaggi di origine. Il fatto di rendere spalmabili i formaggi duri Dop mantenendone inalterato il gusto consente innumerevoli applicazioni in cucina; un’alternativa al formaggio grattugiato ma con maggiore versatilità, oltre alla possibilità di un facile consumo fuori casa. Si tratta di un prodotto che risponde alle esigenze di tutti i componenti della famiglia, dai

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Il fatto di rendere spalmabili i formaggi duri Dop, mantenendone inalterato il gusto, consente innumerevoli applicazioni in cucina bambini agli anziani, oltre ad essere particolarmente indicato all’interno di un’alimentazione ricca di calcio. Penso in particolare alle donne con problemi di osteoporosi, una malattia che colpisce milioni di donne in Italia, o ai bambini nella fase dello svezzamento». Spalmarella nasce proprio come risposta ai nuovi bisogni e ai gusti in mutamento dei consumatori. «Non possiamo nascondere il fatto che gli ultimi anni stanno incidendo profondamente sulle scelte di consumo da parte dei consumatori e in particolare la crisi economica in corso sta modificando i criteri con cui vengono effettuate le scelte al momento dell’acquisto.Tuttavia rimane sempre molto alta la ricerca della qualità

in particolare su alcune categorie di prodotti che fanno parte della tradizione alimentare italiana e per le quali i consumatori non sono disponibili a scendere a compromessi. Mi riferisco soprattutto ai prodotti Dop e Igp soprattutto nell’area dei prodotti freschi (come formaggi e salumi). A questa esigenza si accompagna il trend ormai crescente da diversi anni della componente di servizio, in termini di praticità, facilità d’uso e versatilità, che deve essere sempre più presente nei prodotti che vengono acquistati e consumati, perché minore è il tempo che viene dedicato alla cucina e quindi alla preparazione dei cibi. Di conseguenza riuscire a conciliare queste due esigenze rappresenta a mio avviso la vera sfida

Formaggi d’Italia si trova a Cortemaggiore (PC) www.formaggitalia.it

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per le aziende nel prossimo futuro». Il riscontro da parte dei consumatori dei nuovi prodotti spalmabili è stato subito positivo. «Nella fase di test abbiamo ottenuto feedback estremamente favorevoli dai consumatori potenziali, che hanno riconosciuto a Spalmarella tutti i vantaggi in termini di versatilità d’uso ma soprattutto hanno apprezzato molto il gusto e la consistenza, ritenendoli unici nel panorama alimentare italiano. Anche la Grande Distribuzione Organizzata a cui stiamo presentando il prodotto in queste settimane ha manifestato grande interesse per questa assoluta novità, tanto che contiamo di riuscire a raggiungere una presenza all’interno della maggior parte dei supermercati e ipermercati d’Italia già all’inizio del 2013. Non dobbiamo inoltre dimenticare anche i possibili sviluppi in-

ternazionali di questi prodotti. Abbiamo già definito infatti il lancio in diversi Paesi europei come Svizzera, Germania, Belgio e Regno Unito, dove i prodotti hanno suscitato grandissimo interesse». La nuova tecnologia brevettata da Formaggi d’Italia consentirà di rendere spalmabile con lo stesso risultato in termini di gusto e consistenza qualunque tipo di formaggio duro o semiduro. «È per questo che stiamo già pensando agli sviluppi futuri del progetto con varianti che possano essere interessanti sia per il mercato italiano sia per i diversi Paesi europei. Il minimo comun denominatore sarà sempre la qualità elevata e il rispetto del gusto e della consistenza dei formaggi d’origine». Anche gli abbinamenti che è possibile affiancare a Spalmarella testimoniano la sua grande versatilità. «Spalmarella si presta a moltis-

simi usi. In particolare suggerisco di utilizzarlo in cucina nella preparazione dei risotti, perché riesce ad amalgamarsi perfettamente a tutti gli altri ingredienti e il risultato finale è sorprendente. Tuttavia si possono soddisfare i propri ospiti semplicemente preparando dei crostini con il nostro Spalmarella e offrirli come aperitivo insieme ad un bicchiere di prosecco». Per riuscire a mantenere il sapore e la qualità dei formaggi duri anche nello spalmabile è stato necessario sviluppare una tecnica ben precisa. «Il segreto – spiega il presidente Malgara - sta nella preparazione a freddo, senza l’utilizzo di sali di fusioni e senza la necessità di sottoporre il prodotto a processi termici particolari. La tecnologia rigorosamente segreta e brevettata consente di non dover ricorrere a un processo chimico o ad alte temperature. In questo modo il

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FORMAGGI TIPICI Giulio Malgara

Può essere gustata su un Filetto al Parmigiano Reggiano, semplice e gustoso, con una spruzzata di aceto balsamico

formaggio di origine mantiene inalterati gusto e qualità. In pratica è come mangiare un pezzo di Parmigiano Reggiano o Grana Padano o Pecorino Romano, ma in forma spalmabile senza sorprese in termini di sapore e consistenza. Il fatto che questa tecnologia sia stata brevettata impedisce ad altri di imitare il nostro processo, quindi siamo gli unici a poter proporre un prodotto con queste caratteristiche». La versatilità del prodotto permette, oltre alla comodità nell’utilizzo di pasti veloci, di cimentarsi anche in ricette e menù variegati. «Spalmarella è talmente versatile e facile da

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usare che chiunque può dare libero sfogo alla propria creatività in cucina. Personalmente preferisco preparazioni semplici che esaltano il sapore degli ingredienti di qualità. Inizierei con un aperitivo fatto da semplici crostini spalmati con i tre gusti di Spalmarella (Parmigiano Reggiano, Grana Padano e Pecorino Romani), insieme ad alcuni salumi Dop e Igp Italiano e con un vino bianco. Passerei a un antipasto con Vol-au-vent al Grana Padano e Gamberetti, con Spalmarella al Grana Padano, qualche cappero e un pizzico di erba cipollina. Come primo piatto propongo un risotto con Speck, Grana Pa-

dano e Zafferano, facile da preparare e con Spalmarella al Grana Padano che consente non solo di dare un sapore inconfondibile ma anche di amalgamare al meglio il prodotto anche per i meno esperti. Il secondo potrebbe essere un Filetto al Parmigiano Reggiano, semplice e gustoso, con Spalmarella al Parmigiano Reggiano e una spruzzata di aceto balsamico. Per i meno esigenti si potrebbe sostituire il filetto anche con un Hamburger. Un contorno gustoso e sfizioso sono delle frittatine alle erbe e Pecorino Romano. Le erbe possono essere zucchine, cipollotto e altre a piacere».

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FORMAGGI TIPICI Enzo Recco

Qualità da amatori

j di Lodovico Bevilacqua i

PROSEGUIRE UNA RINOMATA TRADIZIONE E CONQUISTARE LA FIDUCIA DEL MERCATO. L’ESPERIENZA DI ENZO RECCO NEL MONDO DEI PRODOTTI CASEARI

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n un paese dal prezioso e variegato retaggio gastronomico come l’Italia, la rinomanza di certi prodotti rischia di perdere la propria identità. Per questo motivo emergere in un segmento alimentare come quello caseario – per esempio – richiede competenza, esperienza e passione. Anni di confidenza con i prodotti e con la loro lavorazione costituiscono un requisito fondamentale per acquisire la cognizione e la facoltà necessarie a eguagliare, mantenere e – perché no – superare certi consolidati standard di eccellenza. Poco più che neofita nel mondo dell’imprenditoria, Enzo Recco – titolare dell’omonima azienda laziale e affermato affinatore di formaggi – vanta tuttavia un’esperienza quarantennale nella lavorazione, nella stagionatura e nell’affinatura di prodotti caseari. «Si può inoltre affermare che il mio personale percorso professionale altro non sia che la prosecuzione di una lunga e stimata attività familiare, che si estende ormai nell’arco di tre generazioni». La competenza di colui che è dunque un vero e proprio maestro è canalizzata nella sola attività di affinatura del prodotto, forse la fase dove

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le conoscenze e le abilità dell’artigiano diventano maggiormente decisive per consacrare la qualità del formaggio. «I nostri prodotti provengono da fattorie selezionate, che ricevono da noi proposte e suggerimenti relativi alla fase produttiva e che consegnano poi alla nostra azienda i formaggi destinati alla fase della stagionatura». Nella varietà di prodotti caseari ne spicca uno in particolare, formaggio pluridecorato e orgoglio della Recco. «Il Provolone Recco costituisce senz’altro il nostro prodotto di punta. Proveniente da aziende selezionate della provincia di Piacenza e di Cremona, trascorre la fase di stagionatura presso i nostri locali di Formia. La salubrità dell’ambiente – con un clima mite in tutte le stagioni dell’anno, una corretta percentuale di umidità e un’aria particolarmente ricca di iodio – unita alla sapienza delle nostre tecniche di affinatura rende questo prodotto di una qualità eccellente». Adatto a ogni tipo di consumo, il provolone assume caratteristiche differenti a seconda della stagionatura cui è sottoposto – 24, 36, 48 o 60 mesi. La vendita al dettaglio qualità costituisce, naturalmente, un’altra

prerogativa dell’azienda. «Fortemente legati al territorio che siamo orgogliosi di rappresentare, non poteva mancare un punto vendita storico che bene identificasse la nostra ditta presso l’utenza. Con oltre novant’anni di storia alle spalle, il nostro negozio di Formia accoglie i clienti e li assiste nella scelta dei prodotti, con degustazioni e consigli da parte del nostro staff». Gestito dalla figlia Annalisa, il negozio segna un ulteriore landmark nella storia della famiglia Recco, celebre depositaria della sapiente arte dell’affinatura casearia e fiera rappresentante di una terra ricca di suggestioni e di sapori.

La salumeria di Enzo Recco si trova a Formia (LT) reccoenzo@libero.it

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FORMAGGI TIPICI Giancarlo Panteghini

Uniti nello sviluppo del territorio j

di Carlo Gherardini

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DALL’UNIONE DI 68 AZIENDE CASEARIE DEL BRESCIANO PARTE UNA VALORIZZAZIONE DEI FORMAGGI TIPICI CHE SI ESTENDE ALLA SALVAGUARDIA DEL TERRITORIO azionalizzare la raccolta e la lavorazione del latte delle fattorie e malghe del territorio, favorendo l’integrazione del reddito delle famiglie contadine e dando la possibilità a chi ha scommesso sull’agricoltura di montagna di vincere la sfida. Con questo obiettivo è nato nel 1982 il Caseificio Sociale di Vallecamonica e del Sebino – Cissva, oggi composto di 68 aziende dislocate fra Monno e Sulzano. Una finalità strettamente legata al mantenimento dell’economia agri-

R Il Cissva, Caseificio sociale di Valle Camonica e del Sebino ha sede a Capo di Ponte (BS) www.cissva.it

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cola montana, tanto importante per le valli bresciane sia dal punto di vista ambientale che turistico. «Nel corso degli anni, investendo in tecnologie e in qualità siamo riusciti a recuperare e mantenere vari prodotti tipici camuni» afferma Giancarlo Panteghini, presidente del Caseificio. «Il know-how produttivo accumulato nella lavorazione del latte, rigorosamente proveniente dalla zona della Valle Camonica e dell’Alto Sebino Bresciano, ha permesso di offrire nei nostri locali di produzione adeguato rispetto alla plurisecolare tradizione della produzione di formaggio in Valcamonica, e all’azienda di avere un portafoglio di prodotti tipici unici nel loro genere e di alta qualità: la Rosa Camuna, il Casolet, il Silter, le formagelle “Fior di Monte”, “Montana”, “Cuor di Valle”, “Casatta”, “Grassina”, “Rustichella”, “Sebinella”, il formaggio “Nostrano”, l’ “Adamello” e la

“Stanga”. A questi si affianca il Latte Uht intero e parzialmente scremato confezionato e garantito, di solo latte di montagna nelle versioni pet e brick». Il marchio Cissva, negli anni, è entrato in tutti i migliori punti vendita caseari della provincia di Brescia e di quelle limitrofe. «Nel prossimo futuro intendiamo intensificare gli sforzi produttivi e commerciali attorno ai prodotti tipici caseari per garantire un servizio di alto livello che riguardi non solo il prodotto, ma anche l’immagine, le consegne e la distribuzione. Crediamo profondamente che, attraverso lo sforzo cooperativo, potremo garantire una remunerazione dell’attività agricola montana, altrimenti destinata a scomparire, con pesanti ripercussioni sull’ambiente e sulle potenzialità turistiche».

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FORMAGGI TIPICI Sergio Poletti

Un formaggio da meditazione UN TEMPO ERA LA “BISTECCA DEI POVERI”. OGGI IL GORGONZOLA È FRA I PROTAGONISTI ASSOLUTI DELLA GASTRONOMIA ITALIANA. UN FORMAGGIO DA “MEDITARE” INSIEME AI PIÙ GRANDI VINI

j di Marco Tedeschi i


econdo una leggenda popolare del X secolo il Gorgonzola deve la sua origine a un casaro distratto, o innamorato secondo alcuni, che dimenticò un fagotto di cagliata, appesa a sgrondare, per un’intera notte. Il giorno dopo, sperando di recuperare in qualche modo al suo errore, la unì con quella del mattino. Il risultato fu un formaggio caratterizzato dall’erborinatura, cioè da delle muffe che si sviluppano a causa delle spore che vengono trattenute, in modo del tutto naturale, dalla cagliate durante la notte. Dopo più di mille anni di storia, nel 1996 il Gorgonzola ha ottenuto la certificazione Dop dall’Unione europea. Un formaggio da intenditori. Che continua a tenere il mercato. «Essendo un prodotto Dop – spiega l’amministratore della Palzola Sergio Poletti, - il Gorgonzola s’inserisce in una nicchia di mercato per così dire “protetta” proprio dalle rigide regole stabilite dal disciplinare di produzione del formaggio gorgonzola che, tra l’altro, stabilisce e restringe a sole 17 province distribuite fra Piemonte e Lombardia la provenienza del latte, la lavorazione del medesimo, la stagionatura e il confezionamento del prodotto». Il Caseificio Palzola produce il celebre “Palzola”, Gorgonzola che nasce con metodologie che premiano la lavorazione artigianale e manuale. 180 mila

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Essendo un prodotto Dop il Gorgonzola s’inserisce in una nicchia di mercato per così dire “protetta” forme di Gorgonzola l’anno e la volontà di continuare, anche in futuro, la tradizione casearia. «Da diversi anni – continua Sergio Poletti – l’azienda sta perseguendo una rigida politica di qualità, non soltanto intesa in termini di sicurezza igienico sanitaria, di controllo di processo e di standardizzazione del prodotto finito, ma soprattutto di rispetto delle tradizioni di produzione di un formaggio dalla storia antichissima». Per qualità s’intende, prima di ogni altra cosa il gusto e sotto questo profilo un punto di forza dell’azienda è senza dubbio la stagionatura. «Il Palzola dolce viene lasciato stagionare per 70/90 giorni, quello Pic-

cante per 120/140 giorni in celle di stagionatura dapprima a raffreddamento dinamico per poi diventare, nella fase di affinamento, a raffreddamento statico, per avvicinarsi il più possibile alle condizioni microclimatiche delle antiche grotte di stagionatura. Secondo il Disciplinare di Produzione per poter vendere il Gorgonzola Dolce sono necessari almeno 50 giorni di stagionatura, che diventano 80 per il Gorgonzola Piccante. Si capisce che stagionare mediamente 30 giorni in più il tipo dolce e anche 60 giorni in più il tipo Piccante rappresenta un costo non indifferente, ma solo in questo modo si può ottenere un prodotto veramente speciale, in

Il Caseificio Palzola si trova a Cavallirio (NO) www.palzola.it

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FORMAGGI TIPICI Sergio Poletti

Il “Palzola” nasce con metodologie che premiano la lavorazione artigianale e manuale

• grado di sviluppare quella cremosità eccezionale, quella equilibrata armonia di sapori e quel gusto delicato che solo un prodotto sapientemente affinato può dare». Nel 2009 Palzola ha ottenuto due riconoscimenti molto importanti assegnati da giurie Onaf, l’Organizzazione Nazionale Assaggiatori di Formaggi. Si tratta del “Premio Blu Novara” per il miglior Gorgonzola piccante e della “Grolla d'Oro” per il Dolce, replicato nel 2010 ancora una volta con la “Grolla d’Oro” per il miglior erborinato in concorso al Gorgonzola Dolce Palzola. «Per noi è fondamentale far capire la grande differenza che c’è tra un formaggio che rincorre le consuete regole di produzione industriale e il nostro Gorgonzola che, come testimoniano i numerosi riconoscimenti ricevuti, vuole porsi sul mercato con caratteristiche di assoluta qualità e prestigio. Ciò è frutto di un impegno che accomuna tutti coloro che operano, dalle prime ore del mattino, presso il nostro stabilimento, dove il latte viene la-

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vorato subito e con attenzione per porre le giuste basi di un lungo processo di produzione. Un ciclo di lavoro che è volutamente mantenuto in gran parte manuale». Una particolarità che accomuna non solo il Gorgonzola dolce e il Gorgonzola piccante prodotti dallo stabilimento Palzola, ma anche le altre produzioni come il Palfuoco, la cui pasta morbida e cremosa vive un piacevole contrasto con il peperoncino che gli è aggiunto in fase di lavorazione, o il Palzoma ottenuto stratificando Gorgonzola dolce con mascarpone. «Un formaggio dove cremosità e dolcezza vivono la loro massima espressione in un gustoso mix di sapori. Abbiamo infine la Paltoma, tipica della tradizione piemontese nelle sue gradevoli sfumature di gusto dovute alle diverse stagionature. Prodotti diversi che si adeguano ai gusti dei consumatori, ma restano sempre tutti realizzati con la stessa passione con cui Renato Paltrinieri, il fondatore, aveva iniziato oltre sessant’anni fa,

mirando a creare un prodotto eccellente». Grande attenzione viene posta da Palzola anche per quanto riguarda il campo della didattica, con lo scopo di promuovere e fare apprezzare anche alle nuove generazioni un prodotto dalla memoria millenaria. «Il concorso riservato alle scuole elementari e medie “Disegna e Racconta il Gorgonzola”, arrivato alla sua terza edizione – racconta Sergio Poletti, - ha visto partecipare decine di classi e centinaia di allievi in tutto il nord Italia. Quest’iniziativa ha costituito, com’era nelle nostre intenzioni, il segno tangibile dell’attenzione che dedichiamo alla didattica e alla formazione dei “consumatori di domani” su un prodotto tanto interessante quanto tipico come il Gorgonzola: perché comunicare un grande passato fatto di qualità e tradizione alle nuove genera-

Fasi di preparazione del gorgonzola Palzola

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zioni significa rendere omaggio a secoli di storia che caratterizzano un grande formaggio. Un’iniziativa rafforzata ancora di più dalla realizzazione di un grazioso fumetto didattico giunto alla terza ristampa, “Il Gorgonzola a fumetti”, dove grazie a divertenti illustrazioni si racconta con semplicità e simpatici aneddoti l’affascinante storia del Gorgonzola. Stimolare l’attenzione delle nuove generazioni a capire qual è la vera differenza fra un prodotto “globalizzato” e un formaggio dalle caratteristiche artigianali ci ha convinto a realizzare il volume con un linguaggio semplice e

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bei disegni. In questo momento di crisi generalizzata, siamo convinti che la via giusta per superare la congiuntura sia proprio scommettere sulla qualità e sulla comunicazione che a essa si lega». A testimonianza dell’attenzione per il Gusto, a Palzola hanno da poco terminato il Corso di Assaggiatore di Formaggi di primo livello, articolato in dieci lezioni svolte presso lo stabilimento di Palzola, la cui organizzazione didattica è stata completamente gestita dal personale docente di Onaf. «Il corso – conclude Poletti – ha visto la partecipazione di circa 30 allievi fra i quali, na-

turalmente, una nutrita “formazione Palzola”. Il Gusto è ormai parte della nostra esistenza e della nostra vita di tutti i giorni. Diventa quindi importante fornire gli strumenti e le capacità che per un assaggiatore di formaggio significa saper coniugare esperienza, professionalità e conoscenza delle realtà dei produttori, dei consumatori e del mercato. Solo attraverso questi strumenti è possibile apprezzare ancora di più le tipicità e le caratteristiche di eccellenza di tanti prodotti Dop italiani e fra questi senza dubbio il Gorgonzola Palzola».

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FORMAGGI TIPICI Carla Occelli

Dal Burro al Castelmagno j di Roberta De Tomi i LA TRADIZIONE CASEARIA PIEMONTESE HA UN CARNET RICCHISSIMO CHE COMPRENDE ANCHE IL BURRO, DESCRITTO DA CARLA OCCELLI al “Bruss”, spalmabile dal forte sapore, ai freschi dai gusti sfiziosi, al burro, ai Dop stagionati e al famoso Castelmagno, la tradizione casearia piemontese trae la sua forza da metodi di lavorazione antichissimi, riproposti immutati ai giorni, tanto da ottenere il riconoscimento di “Eccellenza artigiana” da parte della Regione Piemonte. Tali metodi riguardano soprattutto il burro, la cui preparazione ha radici antiche e cuore moderno, un insieme che si traduce come un’eredità cinquantennale tramandata dal padre Giovanni e raccolta dalla figlia Carla, dagli inizi della produzione fino ad arrivare a "I Segreti di Carla" di oggi.

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«La produzione – spiega l’amministratore Carla Occelli - mira innanzitutto alla attenta selezione della materia prima, per ottenere le panne migliori da destinare alla burrificazione, ottenute non dal comune affioramento, ma dalla centrifugazione del latte fresco proveniente dalla provincia di Cuneo. Scelta per noi tradizionale è poi quella di non utilizzare burrificatrici automatiche, ma cicli di zangolatura della durata di molte ore, da cui ricaviamo prodotti unici come il nostro “Burro del pozzo”. I legami fra questo burro e la tradizione sono evidenti anche nel confezionamento completamente manuale, nella decorazione che rappresenta l'antica modalità di conservazione e nelle varianti di

ricetta, comprendenti, oltre alla classica, anche quelle con il tartufo e “in acqua”. La conservazione in questo particolarissimo formato è infatti un mezzo ideale per isolare il prodotto dall'ambiente circostante, mantenendo intatte le sue caratteristiche”. L’attenzione ai processi di lavorazione e stagionatura riguarda anche altri formaggi tipici, che l'Azienda stagiona a Castelmagno, in Val Grana, all'interno di particolari cantine dove mettere in atto la migliore stagionatura, affiancate da locali per incontri e occasioni di degustazione di specialità “della casa” ».

I segreti di Carla ha sede a Bossolasco (CN) www.isegretidicarla.it

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FORMAGGI TIPICI Damiano Contini

Artigiani

del Grana

FAMIGLIA DI CASARI DA QUATTRO GENERAZIONI. DAMIANO CONTINI RACCONTA LA RACCOLTA DEL LATTE DEGLI ALLEVATORI DELLE COLLINE PIACENTINE PER LA PREPARAZIONE DEL PADANO PIÙ NOTO

di Valerio Germanico Gusto • 240

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FORMAGGI TIPICI Damiano Contini

ul suo valore come ingrediente o come portata a sé, il Grana Padano non ha bisogno di declamazioni. Sui colli piacentini dai quali nasce, lo si ama come antipasto, accompagnato da bianchi locali come l’Ortrugo e il Monterosso. Non vi si può rinunciare nei primi, grattugiato su anolini, lasagne, tortelli d’erbetta, pisarèi, cannelloni. E ritorna ancora a fine pasto, con qualche goccia di

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aceto balsamico, oppure con pere o uva. È così che lo consigliano – tuttavia le possibilità sono ancora molteplici – gli stessi uomini e donne che lo producono, come la famiglia Contini di Castell’Arquato, in provincia di Piacenza, famiglia di artigiani casari da quattro generazioni. Dice Damiano Contini: «Siamo presenti su queste terre dall’inizio del Novecento. Nel nostro caseificio, che fa parte del comprensorio di produzione di Grana Padano

Il gusto Grana Padano di qualità, al palato, riporta subito al sapore del latte, deciso e morbido allo stesso tempo

Il caseificio Contini ha sede a Castell’Arquato (PC) info@caseificiocontini.191.it

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Dop, oltre al formaggio, facciamo anche burro e ricotta, prodotti che proponiamo nel nostro spaccio, adiacente al caseificio, e nei mercati e le fiere della provincia. La raccolta del latte per la produzione avviene giornalmente fra gli allevatori delle nostre colline, che ben si addicono alla produzione di un Grana di qualità. Il suo gusto, al palato, riporta subito al sapore del latte, deciso e morbido allo stesso tempo». Com’è evidente, quindi, lo strettissimo legame con il territorio è un “ingrediente” fondamentale della buona riuscita del formaggio. «Il tempo, fra queste colline, in taluni momenti, sembra essersi fermato. Gli allevamenti sono ancora a conduzione familiare, così come il nostro caseificio. E proprio per questo è notevole la cura che mettiamo nella trasformazione del latte e nella preparazione di tutti i nostri prodotti. La stessa stagionatura avviene in condizioni naturali ed è seguita personalmente dai componenti della mia famiglia». Oltre al burro, alla ricotta e a qualche caciotta, nello spaccio adiacente al caseificio Contini è possibile trovare altri prodotti, come i saporiti salumi locali: il salame piacentino, la coppa e la pancetta. Tutti rispettosi della migliore tradizione della norcineria locale.

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FORMAGGI TIPICI Alessio Grosso

Dal latte di Morozzo DAL LATTE PRODOTTO NELLA ZONA DI MOROZZO, NASCONO FORMAGGI SPECIALI, DESCRITTI DA ALESSIO GROSSO j di Roberta De Tomi i

n paese collocato nella pianura cuneese, di netta vocazione agricola, nel cui verde si collocano luoghi in cui, a oggi, continua a essere praticato l’allevamento di bestiame, condotto agli alpeggi dove gli animali si alimentano con erbe di qualità che consentono la produzione di un latte dal sapore unico. Da questo latte, lavorato secondo le procedure tradizionali, viene realizzata una vasta gamma di for-

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maggi, da quelli tradizionali, stagionati, tipici dell’area cuneese, a quelli meno “di area”, ma che trovano spazio nei piatti di tutti gli italiani. Così, Cam, il caseificio artigianale morozzese, si è specializzato nei prodotti caseari a pasta filata, nella ricotta e, soprattutto, nella mozzarella. «Abbiamo quattro linee di mozzarella – spiega Alessio Grosso, che insieme al fratello, gestisce l’azienda – di cui due, la Morozzella e la Deliziosa hanno una

pasta più morbida e gustosa, ottenuta con una maturazione prolungata, mentre la Sant’Anna, ha una pasta più asciutta, che si presta per la pizza. La Birichina, che è la nostra novità, è anch’essa morbida. Un altro prodotto di punta, tra i formaggi morbidi, è la ricotta, destinata sia alla tavola che alle pasticcerie». Una grande attenzione è rivolta alla qualità del latte, tanto che, oltre alle analisi dello stesso, sono previste anche quelle del bestiame da cui proviene. In seguito, il latte viene pastorizzato a 72 gradi, con una sosta di 30 secondi. «Altri prodotti – continua Grosso – sono la scamorza classica e quella affumicata. La realizzazione avviene con una pasta simile a quella della pizza; poi viene stagionata per 30 giorni prima di essere commercializzata. Per ottenere quella affumicata, utilizziamo dei trucioli certificati, impiegati all’interno di un procedimento sempre rigorosamente artigianale».

Cam ha sede a Morozzo (CN) www.caseificio-cam.com

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FORMAGGI TIPICI Bruno Pitzalis

“S’arte ‘e su pastore” di Emanuela Caruso

DA PECORE SARDE, ALLEVATE E PASCOLATE COME UN TEMPO NELLA CAMPAGNA DI ROMA, DERIVA IL SAPORE UNICO E INCONFONDIBILE DEI FORMAGGI ROMANI. L’ESPERIENZA DI BRUNO PITZALIS


FORMAGGI TIPICI Bruno Pitzalis

mmersa nel verde dell’Agro Romano, tra Bracciano e Anguillara Sabazia, un’azienda zootecnica si distingue dalle altre per la produzione di ricotta, formaggi e yogurt di solo latte ovino dai sapori unici e naturali come quelli di un tempo. Ed è proprio grazie alla tradizione, all’esperienza e al detto “s’arte ‘e su pastore”, che Bruno Pitzalis con piglio sardo ci parla dell’arte del pastore, e dei formaggi che oggi l’Azienda Zootecnica Gennargentu continua a lavorare in maniera naturale, utilizzando i metodi di una volta, quelli che non prevedevano l’aggiunta di additivi, coloranti, conservanti e antimuffa. «Il nostro allevamento ovino – commenta Bruno Pitzalis, titolare dell’impresa – conta 2mila pecore di razza sarda iscritte al libro genealogico nazionale dell’Aia. Il nostro gregge pascola ogni giorno allo stato brado, così che l’aroma del latto ovino crudo fresco e appena munto

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vada a unirsi e mescolarsi con quello del pascolo tipico di queste zone della campagna romana, pascolo di cui già gli antichi romani conoscevano il grande valore, in particolare associato alla produzione dei pecorini e della famosa Ricotta Romana. Nel periodo estivo, il gregge continua il pascolo effettuando la transumanza sulle magnifiche montagne dell’Appennino Abruzzese». La gamma di prodotti con cui l’Azienda Zootecnica Gennargentu delizia i palati romani e della vicina Civitavecchia è varia e particolare. Come racconta Bruno Pitzalis, infatti: «Oltre alla Ricotta Romana, che ha ottenuto la denominazione europea d’origine protetta, mettiamo a disposizione dei palati più forti il Grotta e il Barricato con Vinaccia, e dei più raffinati il Primo Sale, particolarmente gustoso anche nella variante con i pistacchi di Bronte e il peperoncino. Tra gli altri, poi, produciamo il pecorino a latte crudo e semista-

A destra, Bruno Pitzalis della Azienda Zootecnica Gennargentu di Anguillara Sabazia (ROMA) - www.gennargentuformaggi.com

gionato e il Caciofiore di Columella, presidio slow food della campagna romana che ha destato grande curiosità all’ultima edizione del Cheese di Bra, a Cuneo. Infine, una menzione speciale va fatta al nostro canestrato “Gran Riserva”, un pecorino stagionato più di un anno che si è classificato primo al Premio Roma del 2008 e del 2010». È così che Bruno Pitzalis, insieme ai familiari e a fidati collaboratori, porta avanti la tradizione antica di una famiglia di pastori e allevatori sardi che, trapiantati da anni a Roma, hanno saputo far incontrare l’abilità dei pastori-casari isolani con un territorio e un clima ideale per l’allevamento ovino, e da generazioni regalano alla cucina italiana formaggi dal sapore unico e inimitabile.

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FORMAGGI TIPICI Luigi Ghisini

Le virtù del latte fresco

j di Matteo Grande i

PER MANTENERE LE PROPRIETÀ ORGANOLETTICHE DEL LATTE VACCINO SELEZIONATO È NECESSARIA LA QUALITÀ COSTANTE DI UNA LAVORAZIONE FRESCA. SOLO COSÌ SI RISPETTA LA TRADIZIONE

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li studiosi di tutte le epoche hanno sempre riconosciuto l’elevato potere nutritivo del latte fresco e le sue molteplici virtù. Da quelle di recare giovamento al petto e ai polmoni e di ravvivare il colorito della pelle a quelle afrodisiache. Il grande Avicenna indicava nel siero di latte un rimedio all’emicrania. Nel I secolo d.C., il botanico greco Dioscoride sosteneva una teoria che si è tramandata fino in epoca moderna: il latte era considerato un rimedio all’avvelenamento. Risultava valido per tutti i tipi di veleno ingerito; infatti, se i veleni agiscono con una forza corrosiva e infiammatoria, il latte, per la sua natura fredda e morbida, doveva arrecare il beneficio necessario per combatterli. Le storie sul latte testimoniano quanto questo prodotto naturale sia sempre stato considerato una panacea per molti mali. Le proprietà del latte sono ovviamente arrivate fino ai nostri giorni. Per non intaccare o mutare le sue caratteristiche benefiche è necessario però un attento processo di lavorazione. «La

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qualità delle materie prime e dei processi – spiega Luigi Ghisini, amministratore delegato della Padania Alimenti – deve accompagnare la qualità di una produzione fresca, che mantiene le proprietà organolettiche e nutrizionali del latte vaccino selezionato. Noi abbiamo sviluppato un prodotto che incontra le esigenze della committenza, grazie anche all’ausilio delle più moderne innovazioni tecnologiche. Aggiorniamo continuamente le strutture e gli impianti, nel rispetto della materia prima e dell’ambiente. La tradizione però resta la base della nostra attività, perché l’azienda opera da oltre cinquant’anni nel settore, impiegando solo materie prime nazionali, provenienti dalle stalle della Pianura Padana». Padania Alimenti si trova infatti a Casalmaggiore e da oltre cinquant’anni è specializzata nel trattamento e confezionamento di latte fresco, panna fresca e derivati. «Tutto è iniziato all’interno di una piccola struttura che raccoglieva il latte nelle campagne limitrofe Casalmaggiore, per soddisfare la richiesta locale di latte e panna freschi confezionati. L’aumento del vo-

lume d’affari e l’ampliamento del portafoglio prodotti ci hanno portato a dotarci di un nuovo stabilimento, tecnologicamente all’avanguardia. In questa nuova struttura raccogliamo oltre 3.000 quintali di latte crudo al giorno. Una grande attenzione viene ovviamente riposta alle problematiche legate alla sicurezza alimentare, alla precisione nell’organizzazione, alle analisi e alle consegne». Competitività, attenzione alla qualità della materia prima e spirito innovativo sono cardini dell’attività aziendale riassunti nell’implementazione della microfiltrazione. «Questa rivoluzionaria tecnologia – conclude Ghisini – ha rappresentato una svolta nell’evoluzione aziendale; consente la produzione e il confezionamento di un latte con le stesse caratteristiche organolettiche e nutrizionali del latte fresco, ma con shelf life pari a 10 giorni. Oggi possiamo affermare di essere uno dei maggiori punti di riferimento per il latte fresco, intero, parzialmente scremato e di alta qualità; siamo inoltre il primo produttore per volumi di latte microfiltrato a livello nazionale».

Padania Alimenti si trova a Casalmaggiore (CR) www.padania.it

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FORMAGGI TIPICI Cristian Del Fattore

Latticini

j di Roberta De Tomi i

“made in Lazio” MOZZARELLE DI BUFALA E PRODOTTI CASEARI DELLE CAMPAGNE LAZIALI, ALCUNI RICONOSCIBILI AL SOLO ODORE, COME QUELLO, INCONFONDIBILE, DEL PECORINO

on è sicuramente semplice riuscire a cogliere i gusti delle persone. Per la Dfc, che commercializza delizie come la mozzarella di bufala e i prodotti caseari tipici della campagna romana, le scelte scaturiscono dall’attenzione alle preferenze delle diverse “forchette”, rifornendo locali e strutture romane frequentate dai clienti e turisti che, quindi, possono conoscere latticini “made in Lazio”. «Scelgo i prodotti da commercializzare – spiega il titolare, Cristian Del Fattore – in base a un accurato studio del mercato. In seguito l’esperienza mi ha dato la possibi-

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lità di ampliare la gamma senza fare altre ricerche, ma semplicemente, orientando determinati articoli a un target di clienti». La Dfc si rifornisce presso due caseifici, riferimenti per il territorio in cui operano. «Per quanto riguarda i prodotti artigianali della campagna romana – continua il titolare – mi rivolgo al caseificio De Juliis, i cui prodotti, per gli intenditori, sono riconoscibili al solo odore, ovvero quello, inconfondibile, del pecorino. Si tratta di formaggi che hanno come unico ingrediente il latte ovino prodotto dagli allevamenti selezionati della campagna romana. Mentre per la mozzarella di bufala,

presa dal caseificio Cammisa “La Pupatella” la caratteristica principale è quello di essere ottenuta con il latte bufalino, in modo da avere il giusto sapore e la consistenza prevista dalla tradizione». Questi prodotti sono distribuiti a Roma, presso negozi, bar e locali di ristorazione. Oltre alle eccellenze, l’azienda commercializza anche salumi e altri tipi di formaggi; stagionati, ricotte di mucca e di pecora, mozzarella, mozzarelle per pizza. «Per quanto riguarda i prodotti – conclude il titolare – vorrei riuscire a integrarli con articoli di nicchia, da far conoscere e apprezzare anche ai palati più esigenti».

La Dfc ha sede a Roma dfc84@yahoo.it

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FORMAGGI TIPICI Mauro Preziosa

Una mozzarella

nata al Nord

DALLA MIGLIORE TRADIZIONE PUGLIESE A UN PRODOTTO FATTO CON QUANTO DI BUONO C’È NEL BERGAMASCO. MAURO PREZIOSA PRESENTA LA SUA VERSIONE “BERGAMASCA”

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a sua fama ormai ha valicato i confini nazionali da tempo. La vera mozzarella, però, non è solo quella che si trova nel Mezzogiorno d’Italia. Quarant’anni fa infatti è nata una parente molto stretta di quella pugliese: è la mozzarella di Seriate. L’idea fu di Teodosio Preziosa che nel secondo dopoguerra decise di portare la tradizione dalla sua Bisceglie (BA) nel bergamasco. «E come da tradizione continuiamo a farla – dice il figlio Mauro Preziosa, attuale titolare dell’azienda paterna – secondo le condizioni che ci sono oggi ovviamente». Preziosa ci tiene a precisare l’uso di solo latte vaccino locale a cui si unisce una lavorazione ancora artigianale, nonostante ormai il marchio sia piuttosto noto e la produzione superi i mille quintali di latte al giorno. «Noi conosciamo per nome gli allevatori nostri fornitori, alcuni di loro sono alla seconda o terza generazione e continuano a lavorare con noi. Questo è uno dei tanti elementi che garantisce una qualità superiore». Per quello che riguarda i nuovi procedimenti industriali, Preziosa interviene per sfatare finalmente

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un mito. «Le condizioni attuali sono cambiate– spiega – e le norme sulla sicurezza alimentare oggi impongono la pastorizzazione. Non possiamo lavorare il latte crudo, anche se la carica batterica ai tempi incideva sul gusto rendendolo più deciso, anche perché d’altra parte adesso la preferenza si è spostata su un prodotto più delicato. Il procedimento è identico, e usiamo fermenti lattici selezionati dove invece l’industria usa l’acido citrico, e dunque possiamo dire che abbiamo modificato la vecchia tecnologia sposandola alle nuove esigenze . Il mercato della mozzarella poi al Nord è completamente diverso da quello tradizionale che si trova ancora oggi in alcune parti del Sud.

Usiamo solo latte vaccino locale a cui si unisce una lavorazione ancora artigianale

«La delicatezza della nostra mozzarella si adatta meglio ai tempi, è sicuramente meno deperibile del prodotto del caseificio artigianale meridionale, e anche la consistenza è leggermente diversa. Tolto questo, la mozzarella di Seriate è fatta secondo quanto i miei avevano imparato in Puglia». Ma come succede a molte imprese italiane in questo periodo la qualità spesso si paga risultando poco competitivi, dati i prezzi che i produttori industriali ed esteri riescono a proporre. «La mozzarella vaccina italiana non è stata difesa a differenza di quella di bufala. Essendo nata in Italia doveva essere protetta la sua unicità, invece è diventato un termine per una tipologia di formaggio. Oggi la fanno anche all’estero con prezzi più bassi perché la materia prima costa meno, e perché la lavorazione adotta espedienti come il latte in polvere cosa che da noi è bandita e vietata. Ma noi preferiamo mantenere i nostri standard qualitativi altissimi e rivolgerci a chi vuole una mozzarella come si deve».

Il caseificio Preziosa ha sede a Seriate (BG) www.mozzarelladiseriate.it info@mozzarelladiseriate.it

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FORMAGGI TIPICI Giovanni Nicola D’Ambruoso

La burrata, specialità pugliese MAESTRI CASEARI PUGLIESI HANNO TRASMESSO LA TRADIZIONE ARTIGIANALE DELLA BURRATA, DESCRITTA DA GIOVANNI NICOLA D’AMBRUOSO

j di Roberta De Tomi i ai pascoli pugliesi arriva il latte per realizzare un prodotto caseario che unisce la panna e la mozzarella: la burrata, in tempi recenti, oggetto di degustazioni, anche grazie alle caratteristiche che le consentono una versatilità negli impieghi. Il connubio tra tradizione artigianale e l’utilizzo di tecnologia, ha permesso al caseifico Delizia Spa di Giovanni Nicola D’Ambruoso, di conquistare di una posizione prestigiosa nella produzione della burrata, ottenuta dalla lavorazione di solo latte crudo pugliese. «La burrata ha una lavorazione molto particolare – spiega D’Ambruoso - e, a differenza degli altri latticini, è ripiena. Un sottile strato di mozzarella racchiude un tenero cuore di panna e sfilacci di mozzarella, quindi, chiusa, forma una

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sfera di bontà. Non serve la bilancia per tale procedimento: è come se i nostri maestri casari ne avessero una incorporata». Da queste attente selezioni si ottiene una burrata di qualità, che nell’ultimo anno è “di moda”, tanto che è richiesta anche all’estero, soprattutto in paesi quali la Germania, la Svizzera, i Paesi Arabi e Stati Uniti. A determinarne una tale richiesta è la sua conformazione: al palato, infatti, si presenta morbida e soffice, e per questo gustosa. La burrata è ottima gustata da sola come secondo piatto, come condimento o per le più svariate applicazioni culinarie. Il caseificio Delizia si trova in Puglia, sulle Murge meridionali, a Noci (Bari), comune della Valle D’Itria, comprensorio turistico dei trulli e delle grotte, luogo ideale che permette l’incon-

tro del sapere con il saper fare. «All’interno dello stabilimento avvengono tutti i processi di lavorazione per mano dei nostri maestri casari che con grande passione e dedizione trasformano e creano i prodotti a marchi Deliziosa. Oltre alla burrata, infatti, produciamo fior di latte, nodini, scamorze, ricotta e il caciocavallo Dop: caciocavallo di grotta lavorato a mano e stagionato in grotte naturali per un periodo di 5 mesi circa, in modo che conservi tutte le sue caratteristiche, rendendolo unico e inconfondibile. Ha un gusto aromatico e un odore eccezionale e conquista il palato di chi ama mangiare le cose buone di una volta».

Delizia Spa si trova a Noci (BA) www.deliziaspa.com

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Sperimentare con il cioccolato GLI ACCOSTAMENTI PIÙ ARDITI PER CONFEZIONARE PRALINE SEMPRE NUOVE. ECCO COME NASCONO LE INVENZIONI DEL FAMOSO MAESTRO PASTICCERE GIUSEPPE BERARDI

di Renato Ferretti all’aceto balsamico, al finocchietto selvatico, dall’olio d’oliva fino al sale dell’Himalaya. Sono solo alcuni degli ingredienti che si possono trovare nei cioccolatini firmati da Giuseppe Berardi, il pasticcere di Ruvo di Puglia (BA) noto per

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Giuseppe Berardi insieme ai figli Giandomenico e Paolo, titolari della pasticceria Berardi con sede a Ruvo di Puglia (BA) - www.berardi.it

aver lavorato anche per Rai 1, in programmi come "Verde Mattina" e "La vecchia Fattoria". Questi accostamenti nascono per la voglia di sperimentare, suggestionando il palato e portandolo verso nuove sensazioni. E dire che il maestro pasticcere di Ruvo si fece notare per la prima volta

negli anni ‘70 con un dolce tutt’altro che nuovo, mettendo a punto una ricetta della tradizione pugliese: il “mandorlaccio”. «Con questo dolce – ricorda Berardi –, fatto senza farina e solo con le mandorle pugliesi, ho fatto il giro del mondo. È anche nato un consorzio a riguardo e stavamo

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DOLCI ITINERARI Giuseppe Berardi

CIOCCOLATINI ALL’OLIO EXTRAVERGINE D’OLIVA per ottenere la denominazione di origine protetta dalla Ue, quando il consorzio si è sciolto e il marchio è rimasto solo mio. Ma da allora non ho mai smesso di cercare nuove soluzioni, magari passando per vecchie ricette». A dimostrarlo il laboratorio nel quale il maestro prova tutte le possibilità che il cioccolato e le sue intuizioni gli suggeriscono. «Il cioccolatino al sale dell’Himalaya – spiega Berardi – per esempio, è davvero molto particolare: il contrasto che crea, con il cioccolato al 75 per cento, è del tutto nuovo. Ultimamente sta riscuotendo molto successo la pralina all’aceto balsamico, ma sono solo due tra le 163 che abbiamo sul nostro menù». Per quanto ormai il successo lo abbia baciato, Giuseppe Berardi non è soddisfatto del suo lavoro finché non ha decine di consensi sulla singola nuova invenzione. «Forse è un’abitudine che mi è rimasta dai tempi in cui facevo il consulente per la Carpigiani di Bologna, esperienza per la quale mi spostavo spesso all’estero confrontandomi con le culture e i maestri dalle tradizioni più disparate. Per definire nei minimi dettagli il mio mandorlaccio, per esem-

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pio, impiegai anni facendolo assaggiare a tutti i maestri cui venivo a contatto. La stessa cosa faccio adesso: i nostri cioccolatini vengono offerti ai miei clienti e se non ho una risposta positiva dalla maggior parte di loro vuol dire che devo ristudiare la loro composizione». La nuova idea di cioccolatino nasce in laboratorio secondo un certo procedimento. «Noi compriamo il cioccolato in Belgio – dice Berardi – che è il paese dove si concentra la produzione maggiore: in pratica sono tantissime le aziende che importano le fave di cacao da tutto il mondo e poi procedono per una prima lavorazione. Una volta arrivato nel nostro laboratorio cominciano gli esperimenti, con accostamenti anche arditi come il tè verde o il pepe nero. Dall’accostamento scelto dipende la fase fondamentale del bilanciamento degli zuccheri. Se per esempio vogliamo fare un cioccolatino al miele, useremo molto probabilmente un cioccolato all’85 per cento, perché abbiamo bisogno di un cioccolato molto forte e più amaro per controbilanciare la dolcezza del ripieno. Ma alla fine, come dicevo, il risultato finale passa attraverso molti palati».

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Ingredienti · Cioccolato al latte 42% temperato (per gusci cioccolatini) gr 1000 · Cioccolato al latte 42% gr .450 · Olio extravergine d'oliva gr. 125 · Burro ammorbidito gr. 125

Sciogliere il cioccolato al latte a 45 C e temperarlo. Formare dei gusci in stampi per cioccolatini. Intanto sciogliere il cioccolato al latte a 45 C, raffreddarlo a 29C ed unire il burro ammorbidito e l'olio extravergine d'oliva. Riempire gli stampi con il composto così ottenuto e riporre in frigo per circa 1 ora e mezza. Estrarre gli stampi dal frigo e lasciare a temperatura ambiente per 10 minuti circa. Chiudere gli stampi con il cioccolato restante utilizzato per formare le camicie e riposizionare in frigo per altri 10 minuti. Estrarre dal frigo, stemperare e sformare.

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DOLCI ITINERARI Marco Andronico

Dolci fantasie TRA PASTICCIOTTO E FUTURO, TRA TRADIZIONE E INNOVAZIONE, LE EVOLUZIONI DELLA PASTICCERIA SECONDO MARCO ANDRONICO

di Roberta De Tomi

Picci & Capricci si trova a San Nicola (LE) - www.picciecapricci.com

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uando creatività e dolcezze locali s’intrecciano, il celebre aforisma di Oscar Wilde, “Posso resistere a tutto, eccetto che alle tentazioni”, calza a pennello. Avviene nel caso della pasticceria leccese Picci & Capricci, che nel presente, interseca sia il passato, realizzando sia dolci tradizionali salentini come il pasticciotto, che il Futuro, torta che esprime la vocazione di una realtà votata al Cake Design e all’elaborazione di torte ad alto contenuto creativo. Oltre al pasticciotto, fiore all’occhiello di pasta frolla ripiena alla crema pasticcera, della tradizione dolciaria leccese risalente al 1745, la Picci & Capricci sforna altre specialità locali come «La copeta – spiega il titolare, Marco Andronico – un ensemble di zucchero caramellato, mandorle e aromi, e la torta della Commare, i cui ingredienti sono: pasta maddalena, marmellata di mela cotogna e pasta di mandorla». Ma la vena creativa della pasticceria si esprime soprattutto nel Cake design, con la realizzazione di torte elaborate esteticamente, per occasioni diverse, finite sulle tavole anche di per-

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sonaggi dello spettacolo. «Tutte le materie prime usate sono di prima scelta, come richiede il prodotto artigianale. Per noi è importante, non solo stimolare il gusto, ma anche e soprattutto stupire, puntando sull’aspetto esteriore delle creazioni. Cerchiamo di portare nuove idee dolci a tavola, realizzate da maestri di Cake Design, che traggono ispirazione da soggetti diversi: dalla pubblicità all’arte, passando per il cinema, i cartoni animati e tutto quello che può stimolare l’estro. E naturalmente, facciamo riferimento anche all’estro della committenza». Tra le creazioni della pasticceria spiccano attualmente «Un semifreddo al tartufo e mandorla, – rileva il titolare – nostra punta di diamante, che si compone di cioccolato e mandorla e ha un cuore di nutella e croccante. Di recente dal nostro laboratorio è stata elaborata un’altra specialità nostra: si chiama Futuro, un nome che non abbiamo scelto a caso e che incarna l’idea che abbiamo dell’arte di fare i dolci. Futuro è uno spumoncino ice cock, sempre semifreddo, che si compone di una mousse di mascarpone con un cuore di nocciolata e gianduia».

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DOLCI ITINERARI Federico Pizzoccheri

Dalla ricetta madre LA PRODUZIONE DELLE CHIACCHIERE HA DUE CARATTERISTICHE PRINCIPALI: STAGIONALITÀ E ARTIGIANALITÀ. E FRA LE NOVITÀ NON POTEVA MANCARE UNA LINEA BIO

di Lodovico Bevilacqua

n impasto di farina fritto o cotto al forno e poi spolverato di zucchero a velo. Questa semplice ma gustosa ricetta ha molti nomi diversi: “bugie” in Liguria, “sfrappole” in Emilia, “fiocchetti” in Romagna, “frappe” nel Centro Italia. Ma forse è con l’appellativo di “chiacchiere” che questi croccanti dolci sono più conosciuti. Un altro aspetto è legato indissolubilmente a essi, o meglio un periodo dell’anno: il Carnevale. «Il nostro è un classico prodotto stagionale, che subisce delle impennate di richieste che culminano solitamente nel mese di febbraio, quando cade in genere il Carnevale». A parlare è Federico Pizzoccheri, che insieme al

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fratello Fulvio conduce la Piuma d’Oro, storica azienda produttrice di chiacchiere del bergamasco. Per un dolce tradizionale, s’impone una ricetta tradizionale e questo è un punto su cui Pizzoccheri rivendica orgogliosamente la scelta produttiva: «Abbiamo sempre cercato di attenerci ai metodi classici, anche se l’aumento del volume del mercato e il particolare andamento del processo di produzione, con picchi e fasi più tranquille, ci ha spinto ad aggiornare le tecnologie di cui ci serviamo. Per fare questo però, abbiamo seguito il percorso inverso rispetto alla norma, cioè abbiamo adattato le nuove tecnologie alla ricetta madre e non il contrario, senza sacrificare la

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DOLCI ITINERARI Federico Pizzoccheri

La novità più recente sono le chiacchiere al kamut biologico al cento per cento, per le quali abbiamo ottenuto la certificazione bio ricetta sull’altare della tecnologia, mantenendoci così fedeli alla genuinità consentita dalla lavorazione artigianale». La spinta innovativa che si accompagna alla vocazione tradizionale si evince anche dalla continua ricerca di nuovi prodotti. «La novità più recente – spiega in proposito Pizzoccheri – sono le chiacchiere al kamut biologico al cento per cento, per le quali abbiamo recentemente ottenuto la certificazione bio, importante riconoscimento della qualità e della salubrità del prodotto». Ma non si lavora solo sul gusto e sugli ingredienti. Carnevale, si

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sa, è un periodo di originalità e bizzarria e questo ha dato ai ragazzi della Piuma d’Oro l’idea di creare una linea di chiacchiere dalla forma particolare, denominate “Le Tonde”. «Oltre a queste speciali novità, continuiamo a produrre tutti i nostri classici, dalle chiacchiere semplici a quelle zuccherate, da quelle guarnite con zucchero a velo a quelle decorate con il cacao, tutte disponibili sia confezionate che sfuse. Al tipico dolce di Carnevale – chiacchiere e bugie – si aggiungono le nostre linee di pasticceria secca, biscotti al burro, pane dei morti e fave morbide». Fiducioso per le novità che la

nuova stagione dolciaria propone, Federico Pizzoccheri conclude lasciando trapelare grande compiacimento per l’andamento del biscottificio: «Ci possiamo dire estremamente soddisfatti, poiché nonostante le avversità del mercato abbiamo fatto crescere l’azienda facendola diventare un punto di riferimento. E, cosa molto importante, ci siamo mantenuti fedeli alla tradizione artigianale dolciaria che fa parte del nostro essere. Le difficoltà insite nella lavorazione di un prodotto stagionale sono notevoli, ma la nostra struttura aziendale ci permette di superarle tutte brillantemente».

La Piuma d’Oro ha sede a Treviglio (BG) www.piumadoro.com

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La lattuga tutto l’anno LA VERSIONE MANTOVANA DI UN DOLCE APPREZZATO CON VARI NOMI IN TUTTA ITALIA. PATRIZIA E LAURA RIGHETTI RACCONTANO LA LORO RICETTA j di Luca Càvera i

n alcune regioni italiane sono conosciute come chiacchere, altrove cenci, gale, crostoli, cartellate. Nel mantovano sono le “lattughe”. Ma dell’ortaggio, questo dolce tipico del periodo di carnevale ha soltanto la forma arricciata – caratteristica della ricetta di Mantova – che le nonne e le mamme modellavano a mano a partire da un impasto di farina fritto nell’olio, poi spolverato di zucchero a velo o decorato con cioccolato fondente puro. Nella pasticceria Sorelle Righetti di Brescia, fondata negli anni Cin-

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quanta e oggi gestita da Patrizia e Laura Righetti, vive ancora la tradizione mantovana – provincia natale della famiglia –, espressa da una produzione artigianale che, con le parole di Patrizia, «vuole ancora portare sulle tavole un dolce con tutte le caratteristiche del prodotto fatto in casa, che ricordi le lattughe che un tempo facevano le nonne e le mamme durante la festa di carnevale». Così le lattughe Righetti sono ancora un dolce fritto, come vuole la tradizione. «E – prosegue Patrizia – riusciamo ancora a ottenere una

lattuga leggera, friabile e asciutta, non unta, senza per questo ricorrere alla cottura in forno, come avviene per molti prodotti simili che oggi vengono proposti sul mercato. Inoltre, anche se abbiamo ottenuto un costante miglioramento nella qualità, gli ingredienti sono sempre quelli di un tempo e non usiamo coloranti o conservanti. A cambiare è stato soltanto, in parte, il processo produttivo: in alcune fasi, alla lavorazione manuale si è sostituita la macchina. Tuttavia l’intrecciatura è fatta ancora a mano. E questo, insieme alla cura

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DOLCI ITINERARI Patrizia e Laura Righetti

Vogliamo portare sulle tavole un dolce che ricordi quello che un tempo facevano le nonne e le mamme per carnevale personale di tutti i dettagli, è quello che ci permette di presentare un prodotto artigianale che conserva i suoi punti di qualità». La squisita dolcezza delle lattughe rende importante la scelta del vino che possa accompagnarle. Come spiega Laura: «Premesso che accostare il vino alla pasticceria è sempre abbastanza difficile, le caratteristiche di questo dolce, ricco dello zucchero cosparso sopra o del cioccolato di guarnizione, richiedono sempre un vino non troppo dolce, per evitare un risultato stucchevole. Sono quindi da evitare i vini liquorosi e da prefe-

rire quelli che sappiano contrastare l’untuosità della cottura. Fra questi sono certamente candidate eccellenti le bollicine, per esempio un prosecco Fran- Lattughe, ricoperte di zucchero a velo e decorate con cioccolato fondente puro, prodotte nella pasticceria Sorelle Righetti di Brescia ciacorta». righetti1964@libero.it Se le lattughe sono un dolce stagionale, che si consuma per lo più fra gennaio e carnevale – ma non manal cioccolato in tutti i periodi delcano coloro che lo apprezzano l’anno. Con ingredienti diversi, anche durante le festività di fine prepariamo anche un’altra ricetta d’anno –, molte altre sono le dolcelebre della tradizione mantocezze che, di stagione in stagione, vana: la sbrisolona, che è un dolce la pasticceria Righetti propone. a base di mandorle e farina gialla». «Ci sono persone – continua I prodotti delle sorelle Righetti, Laura – che ci chiedono sempre le oltre alla vendita diretta al dettalattughe. Tuttavia il consumo glio, coprono pressoché tutti i camaggiore è concentrato nei primi nali distributivi, Gdo e piccoli mesi dell’anno. Questo è dovuto negozi, in particolare nella zona di probabilmente al fatto che in Italia Brescia, Verona e Milano. Il proabbiamo una particolare ricchezza getto per il futuro è però quello di di dolci stagionali e così c’è una superare qualsiasi limite geograspecialità per ogni ricorrenza. Noi, fico. Come dice Patrizia: «Recenteper esempio, nel periodo natalizio mente abbiamo iniziato a proporre prepariamo molta frutta ricoperta i nostri dolci attraverso il portale di cioccolato e frutta candita. A Original Italy pasqua, invece, produciamo le (www.originalitaly.it). E stiamo puntando all’estero, anche con uova di cioccolato in molte fogge, decorate, roché. In generale il cioc- negozi specializzati in prodotti italiani, per far gustare le lattucolato e le creme al cioccolato ghe tutto l’anno e non solo a carsono i nostri punti forti e nel nostro laboratorio lavoriamo prodotti nevale».

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DOLCI ITINERARI Andrea Busnelli

Fare bene le cose semplici j

di Marco Tedeschi

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UN IMPASTO LIEVITATO DALLE 36 ALLE 38 ORE E L’UTILIZZO DI MATERIE PRIME FRESCHE E DI QUALITÀ. PROPRIO COME SI FACEVA UNA VOLTA. COSÌ NASCE IL PANETTONE BUSNELLI

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uona farina di grano tenero, burro fresco di prima qualità, zucchero di canna, uova fresche, frutta candita siciliana di arancio e cedro, uvetta australiana. Tassativamente di cinque colori diversi. Il componente aromatico? Vaniglia Bourbon del Madagascar. Sono questi gli ingredienti che, insieme, permettono la realizzazione del Panettone Busnelli. «Tutti gli ingredienti – precisa il maestro pasticcere Andrea Busnelli – vengono rigorosamente importati dal paese di origine. Il panettone rappresenta la punta di diamante della nostra produzione. Per realizzarlo usiamo solo ingredienti freschi e un lievito madre generato da noi 40 anni fa. È questo, insieme alla bontà e alla freschezza degli argomenti che fa veramente la differenza. Niente lievito di birra e conservanti, ma solamente lievito madre artigianale prodotto da noi». I Busnelli fanno panettoni da tre generazioni, sempre allo stesso modo. L’impasto lievita dalle 36 alle 38 ore, a seconda dell’umidità e delle condizioni climatiche in genere. Sono rimasti in pochi a operare in questo modo e con questi tempi. «Io rappresento la terza generazione di pasticceri della famiglia. La pasticceria nasce infatti negli anni 60, all’inizio con mio nonno come panetteria, e si trasforma in pasticceria negli anni 70 con mio padre Teresio. Con la stessa passione di mio padre ho iniziato come cuoco frequentando la scuola professionale; a 19 anni

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La qualità é fare bene le cose semplici. Questo implica un ritorno alle origini e alle antiche ricette ho deciso di lavorare nella pasticceria di famiglia. Al mattino ero in laboratorio con mio padre e al pomeriggio insegnavo nella stessa scuola dove mi sono diplomato. Nel 2011 c’è stato il passaggio generazionale e con mia moglie Ilaria abbiamo preso in mano la pasticceria cercando di apportare nuove idee commerciali, mantenendo nel contempo la tradizione perché sono convinto che la qualità é fare bene le cose semplici. Questo implica un ritorno alle origini e alle antiche ricette». Molte sono le specialità della Pasticceria Busnelli. «Proponiamo diverse versioni del panettone; ad esempio è molto apprezzato quello all’albicocca. Poi c’è la Granellona, una nostra esclusiva ricetta fatta con l'ananas e una speciale granella di mandorle, nocciole e cannella. Per chi non ama la frutta candita proponiamo il Pandoro; l’ultimo

dell’anno è poi il momento della Veneziana e a Pasqua delle Colombe. Tutti impasti che nascono dal Panettone, per me il dolce principe dell'arte pasticcera. Realizziamo anche praline e ottime torte da forno come il dolce di Arluno, che è un dolce con farina gialla, farina di mandorle e di nocciole. Molto particolare e richiesta è anche la torta Silvio Pellico, a base di cioccolato e arancio, dedicata al personaggio storico che ha vissuto per lungo tempo qui ad Arluno». Il rapporto qualità/prezzo resta una delle componenti del successo della pasticceria Busnelli. «Mantenere alta la qualità a un prezzo ragionevole è possibile; questo però avviene solo grazie alla conduzione familiare e soprattutto se non si acquistano i prodotti semilavorati ma si produce partendo esclusivamente dalle materie prime».

La Pasticceria Busnelli si trova ad Arluno (MI) www.pasticceriabusnelli.it

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DOLCI ITINERARI Filippo Muzzi

Dolcezza

creativa PANETTONI “USO MILANO”, CIOCCOLATO IN DECINE DI FOGGE. FILIPPO MUZZI RACCONTA IL PRESENTE E LE RADICI DI UNA PASTICCERIA SECOLARE. DOVE TUTTO PARLA DI CREATIVITÀ E DOLCEZZA

j di Mauro Terenzianoi


arcare la soglia di una pasticceria e avere l’impressione di passare attraverso la porta segreta di una favola. È questa la sensazione che si ha entrando nello show room dell’Antica Pasticceria Muzzi di Foligno, dove tutto parla di dolcezza e creatività. Sono queste infatti le due parole chiave intorno alle quali ruota l’ingranaggio fondamentale di questo tempio del gusto, fondato nel 1795 da mastro Tommaso di Filippo Muzzi per la produzione di Minuta, confetti tipici della cittadina umbra con cuore d’anice, e che oggi produce ed esporta biscotti, cioccolata e altre dolcezze in tutto il mondo. Come spiega Filippo Muzzi: «Consideriamo la preparazione dei dolci un premio da offrire alle persone che visitano la nostra pasticceria e che vengono a scegliere un dono per se stesse o per i loro cari. Per questo tutte le confezioni dei nostri prodotti hanno un packaging particolarmente curato. Pensiamo che i dolci oltre a essere buoni debbano anche essere belli, da regalare. Per questo, in tutto quello che facciamo, curiamo tanto l’aspetto estetico quanto la qualità». Il re dei prodotti Muzzi è certamente il Panettone “uso Milano”, del quale la famiglia ha avviato la

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Facciamo sposare i nostri dolci prestigiosi con audaci spumanti e vini intensi e passionali produzione quasi cento anni fa, nel lontano 1913. «Questa è stata la nostra prima ricetta – prosegue Muzzi –, quella che ha dato lo spunto e l’intuizione alla mia famiglia e dalla quale è poi venuto tutto il resto. Dagli scritti lasciati dal mio trisnonno, pare che il suggerimento per la preparazione di questo tipo di panettone l’avesse ricevuto da un “amico di Milano”, un certo Gioacchino,

nel quale noi supponiamo vada riconosciuto Gioacchino Motta. Oggi la nostra produzione di panettoni prosegue, però si svolge in Veneto, presso lo stabilimento di Badia Polesine dove, oltre al marchio Muzzi, si produce per gli altri quattro marchi della nostra famiglia che sono panettoni G. Cova e C., Borsari, Scar Pier e infine l’ultima aquisizione il torrone Bedetti, mentre qui a Foligno ci

L’Antica Pasticceria Muzzi si trova a Foligno (PG) www.pasticceriamuzzi.com

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• siamo specializzati nella lavorazione del cioccolato e della pasticceria finissima da tè». E anche nel cioccolato i pasticcieri Muzzi si distinguono con prodotti assolutamente unici. «La nostra fantasia ci differenzia da tutti con prodotti come il Cupolone, le Lastre, le Passioni la nostra pralina Sesto Senso, le creme spalmabili e molto altro». In base alla ricorrenza e alla festività, poi, la pasticceria Muzzi propone

un’amplissima possibilità di scelta. «Il Natale noi proponiamo di festeggiarlo con decine di tipi di panettoni, altrettanti torroni e prodotti tipici. Lo stesso vale per le festività pasquali, occasione per la quale mettiamo a disposizione la nostra abilità di cioccolatieri nella realizzazione di uova e altre figure di cioccolato, oltre a preparare le tradizionali colombe. Di una posizione privilegiata godono le strenne, composizioni

Pensiamo che i dolci oltre a essere buoni debbano anche essere belli, da regalare natalizie che riservano doni speciali. «Pensate per la gioia del palato e degli occhi, le nostre strenne sono caleidoscopiche e multiformi, spaziando fra gli stili – dal country al lusso, dal classico al barocco – e offrendo sempre l’ebbrezza di uno shopping esclusivo. I panettoni e i pandori della nostra antica tradizione si sposano a tutti i dolci del goloso Natale, che nascondono magiche leggende e parlano ai cuori teneri di secoli grandiosi, di famiglie storiche, di cuochi disattenti che spesso senza volerlo inventarono famosi dolci natalizi. Per chi ama l’ebbrezza del gusto e coltiva la passione dello sguardo, questo è

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DOLCI ITINERARI Filippo Muzzi

forse il più raffinato dei piaceri dei sensi. Seguendo i percorsi di un linguaggio antico, facciamo sposare i nostri dolci prestigiosi con audaci spumanti e vini intensi e passionali, unendoli in un vincolo che la tradizione ha reso indissolubile, nella raffinatezza di contenitori unici che abbracciano qualità ed eleganza. Dunque uno sfolgorio di gusti, di forme, di profumi. Bisogno sfogliare e osservare per giungere alla scelta del dono e accorgersi di quello che anche il contenitore di tante prelibatezze può suggerire». Questo è il presente dell’Antica pasticceria Muzzi. Alle spalle c’è però una lunga storia, iniziata 200 anni fa con la produzione dei confetti all’anice, celebrati come delizie autenticamente foli-

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gnate a partire dal XV secolo. «La produzione e la vendita dei confetti fu un grosso affare e, per alcuni decenni, padri e figli continuarono a produrre, da esperti confettieri, quelle delizie di zucchero. Poi la tradizione dolciaria sembrò interrompersi. Con l’acquisto di alcuni terreni nell’immediata campagna folignate, i miei antenati tentarono la carriera di produttori vinicoli, ma non per molto. Fu il gene dolciario ereditato dagli antenati a esercitare quel richiamo all’antico mestiere che ci spinse, agli albori del secolo XX, a tornare a sfornare dolcezze di pasticceria fresca. Non tutto, però, si è smarrito di quel passato. La prosecuzione della produzione di Minuta la ritroviamo nei dragée – sempre

prodotti con le bassine di rame come a quel tempo –, mentre la passione per la terra, quella è rimasta molto forte. Io stesso vivo nell’azienda agricola di mia figlia Loredana, già produttrice di un grandioso olio extravergine da Moraiolo in purezza e prossima alla creazione di confetture di frutta completamente inusuali. Insomma il dolce scorre nelle nostre vene».

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DOLCI ITINERARI Mario Sole

Surgelare

la dolcezza PER ESALTARE AL MASSIMO LA DOLCEZZA E LA FRAGRANZA DI BRIOCHES, TORTE, BOMBOLONI E SFOGLIATELLE È NECESSARIO SEGUIRE ALCUNE REGOLE DI CONSERVAZIONE E COTTURA. NE PARLA MARIO SOLE

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j di Emanuela Caruso i

er prima cosa, accendere il forno e impostare la temperatura a 170/180 gradi. Lasciato passare un po’ di tempo, posizionare con cura i prodotti surgelati sulle teglie lasciando un piccolo spazio tra un dolce e l’altro. Non aprire mai il forno durante la cottura per evitare di comprometterne la buona riuscita riducendo la temperatura e causando l’afflosciamento del prodotto. Ancora, attenersi ai tempi di cottura indicati sulla confezione dei dolci, utilizzando anche un timer personale in ag-

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giunta a quello del forno. E infine, togliere le teglie dal forno controllando che il colore della superficie sia dorato e che il prodotto sia ben formato e strutturato. Secondo l’esperienza e la maestria della Sole Industria Dolciaria e del suo titolare Mario Sole: «Sono queste le regole di cottura adatte a mantenere la fragranza e la bontà dei prodotti pronti surgelati. Gusti, profumi, aromi e sapori che vengono mantenuti, se non aumentati, anche da una giusta metodologia di conservazione. È, infatti, importante non ricongelare mai il pro-

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Il nostro obiettivo è tramandare un’arte dolciaria fatta di profumi, sapori e qualità capaci di stuzzicare qualsiasi palato

dotto, evitare di stoccare le brioches per non creare migrazioni di odori, e controllare spesso che la temperatura del conservatore sia tra i meno 18 e i meno 22 gradi. È, poi, basilare controllare lo stato del prodotto prima di utilizzarlo e richiudere il sacchetto ogniqualvolta non venga usato interamente – lasciandolo aperto, il prodotto si disidraterà e la qualità sarà irrimediabilmente compromessa». Tramandare l’arte dolciaria nelle sue svariate sfaccettature è da sempre l’obiettivo primario della Sole Industria Dolciaria, all’interno della quale convi-

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vono in perfetta armonia gli insegnamenti della tradizione e le tecniche della moderna innovazione, fattori che uniti sono in grado di sfornare prodotti dalle corrette proprietà nutrizionali, dai sapori pieni e dai profumi dolci, leggeri e coinvolgenti. Come spiega Mario Sole, la gamma di prodotti offerta dalla Sole Industria Dolciaria è molto ampia e comprende dolci in grado di soddisfare qualunque voglia o palato. «La cornetteria prontoforno si divide in due comparti, quello normale, al cui interno è possibile scegliere tra fragranti cornetti curvi o dritti vuoti o farciti, fagottini al cioccolato e kranzelle assortire, e quello “tutto burro”, che offre danesi alle noci, alla mela e alla crema e mini girelle. Sempre tra le cornetterie, produciamo anche

quelle da lievitare. Tra i prodotti particolari, invece, deliziamo le aspettative dei nostri utenti con le sfogliatelle romane o napoletane, con le frolle e le aragoste, e con le sfoglie dolci o salate. Le prime comprendono treccine, ventagli, strudel di mele e cannoli farciti con crema e gustosi frutti di bosco, mentre nelle seconde si trovano pizzette e rustici mignon». Le leccornie preparate dalla Sole Industria Dolciaria per abbellire le tavole e deliziare i sensi dei consumatori non si limitano a quelle appena citate, e come conclude Sergio Sole: «Prepariamo anche fritti pronti all’uso e solo da scongelare – bomboloni, ciambelle, muffin e krapfen mignon – torte artigianali, tulipani e donuts, frutta surgelata e pane surgelato».

Industria Dolciaria Srl si trova a Roma www.sole.net

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DOLCI ITINERARI Marco Viriglio

Naturale sofficità DALLA LAVORAZIONE MANUALE DEL LIEVITO MADRE SI PARTE PER REALIZZARE LA VARIANTE PIEMONTESE DEL PANETTONE, CON GLASSATURA ALLE NOCCIOLE DECORATA DA DOLCI MANDORLE j di Marco Tedeschi i

in un piccolo laboratorio artigianale di Torino, a metà degli anni sessanta, che ha inizio questa storia. «Da quel momento la Gilber prepara il “Signor Panettone”, una delizia per il palato. Quel piccolo laboratorio – spiega Marco Viriglio –si è poi trasformato in una florida impresa con una produzione sempre in crescendo di panettoni, colombe, biscotti e amaretti». Ancora oggi a conduzione familiare la Gilber sviluppa la sua attività su metodi di tradizione artigianale impiegando materie prime di eccelsa qualità accuratamente selezionate. «Quello che noi produciamo per la maggiore è ovviamente la variante “Piemontese” del panettone, con la caratteristica

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glassa alle nocciole impreziosita da dolci mandorle. Ricco di materie prime è il frutto di una delicata e lenta lavorazione basata sulla lievitazione naturale. Tale processo dura ben più di 48 ore e deriva dall’impiego esclusivo di puro lievito naturale di pasta acida, il “Lievito Madre”. La lavorazione del Lievito Madre è ancora oggi totalmente manuale e richiede grande abilità e notevole attenzione poiché l’impasto di acqua e farina di frumento che viene creato è un organismo che vive e si riproduce uguale a se stesso, grazie all’azione dei microrganismi naturalmente insiti in esso. Ogni giorno tale impasto viene rinfrescato con altra farina e acqua nelle modalità e tempistiche dettate da tanti fattori tra i quali, non ultimi,

anche quelli ambientali che influiscono, e spesso danno caratteristiche di unicità al risultato». Un processo delicato e complesso che solo con una grandissima esperienza e capacità viene gestito al meglio. «In questo modo però si può ottenere, rispetto alla lievitazione con altri tipi di lievito, un prodotto con caratteristiche superiori. Un’elevata sofficità e un sapore naturale molto gradevole, ma soprattutto una migliore digeribilità del prodotto finale. Anche il raffreddamento avviene in maniera tradizionale, lenta e del tutto naturale. Solo con amore, passione e pazienza si riesce a mantenere perfetta la riuscita dell’antica ricetta, proprio come una volta».

Gilber si trova a Torino www.gilber.it

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DOLCI ITINERARI Paolo Gentilini

Storie di ordinaria

tradizione UN’OPERA D’ARTE È FRUTTO DELL’ARMONIA TRA CREATIVITÀ ED ESECUZIONE, COSÌ COME IN UN BISCOTTO SI RITROVA IL PERFETTO EQUILIBRIO TRA INGREDIENTI, DOSAGGI, LAVORAZIONE E COTTURA. COSÌ NASCONO, ANCORA OGGI, I GENTILINI j di Nicoletta Bucciarelli i

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uando alla fine dell’ottocento Pietro Gentilini iniziò a sfornare biscotti caldi per tutta Roma dal suo negozio di alimentari, probabilmente non aveva idea che quelli, nei secoli successivi, sarebbero diventati i biscotti preferiti per la colazione di tutto il Paese. Non si tratta infatti di semplici biscotti, ma degli Osvego. Profumo inebriante, croccantezza perfetta, cottura dorata e gusto inconfondibile. O i Novellini, irregolari, che sanno di latte e miele, così buoni che uno tira l’altro. «Gli ingredienti – spiega Paolo Gentilini, presidente dell’azienda - si dosavano a mano, le uova si rompevano una a una, il burro, la farina e lo zucchero e gli altri ingredienti si impastavano con “l’olio di gomito”». Oggi l’azienda è cresciuta, diventando tra le più importanti realtà affermate nel mercato dei biscotti e delle fette biscottate. «La sostanza però non è cambiata, si utilizzano solo materie prime eccellenti, una conoscenza

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centenaria nella lavorazione del prodotto affiancata da controlli mirati lungo tutto la filiera e da una qualità certificata». Le ricette? Sono rimaste invariate. I Novellini vengono trafilati al bronzo e le fette biscottate seguono un processo di lievitazione lenta e naturale. «Ma non c’è solo la tradizione. Ogni giorno ci impegniamo nello studio di nuovi prodotti. Per noi ogni singolo biscotto è un’opera d’arte, frutto dell’armonia tra creatività ed esecuzione. Ma ogni opera d’arte che si rispetti è condizionata dallo spazio e dal tempo. È così anche con i biscotti dove tutto può essere tradotto in gusto e tutto lo può determinare. Ad esempio gli Osvego si chiamano così perché ispirati al tradizionale biscotto inglese Oswego, ma personalizzati nella ricetta. Proprio questa piccola differenza, un’italiana “V” al posto dell’anglosassone “W” spiega da sola come Pietro abbia scelto di essere influenzato nella formulazione dei suoi Osvego da un gusto tutto italiano».

Ecco allora svelata, in conclusione, la sola ricetta segreta per un buon biscotto: solo quando tecnica, storia, gusto e passione si incontrano e si amalgamano insieme , possono dar vita ad un piccolo grande capolavoro. Nel corso degli anni i prodotti realizzati sono diventati più di sessanta e vanno a coprire occasioni di appetito che possono verificarsi lungo tutto l’arco della giornata. «Oltre ai mitici Osvego, Novellini e fette biscottate, per la prima colazione ci sono anche i golosi frollini in sacchetto come le Favole con gocce di cioccolato o di frutta e le Nuvole con panna o con panna e cacao. Ottimi come spuntino i wafer e gli snack di biscotti in monodose da portare sempre con sé. Per un gustoso dopo cena o per l’ora del tè sono intramontabili i ghiotti Brasil al cacao o i Vittorio e Margherite con delicate note di agrumi. Le eleganti biscottiere litografate e i dolci da ricorrenza sono poi un’ idea regalo raffinata ed elegante, adatta ad ogni occasione e sempre gradita: il bello si unisce al buono». In vista ci sono anche delle novità. «Nel 2013 lanceremo la Linea Piaceri – conclude il presidente Gentilini - nata per chi vuole una colazione piena di gusto e allo stesso tempo equilibrata e corretta. Saranno infatti presto disponibili i Piaceri senza zuccheri aggiunti, i Piaceri al farro, adatti anche per chi soffre di alcune intolleranze dato che non contengono né latte né uova. Piaceri con fiocchi d’avena e cereali croccanti e i Piaceri con farina integrale per chi cerca il giusto apporto di fibre».

Biscotti P. Gentilini si trova a Roma www.biscottigentilini.it

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DOLCI ITINERARI Angelo Colapicchioni

Archeologia RITORNA IL PANGIALLO, UNA RICETTA CHE HA DUEMILA ANNI, GRAZIE ALLA NUOVA VERSIONE DEL FORNO DI ANGELO COLAPICCHIONI

di Renato Ferretti

Il forno Angelo Colapicchioni si trova a Roma - www.pangialloro.it

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del gusto econdo Oscar Farinetti, l’inventore della famosa “Eataly”, è l’alimento che meglio rappresenta Roma e il Lazio. Si tratta del “pangiall’oro”, un dolce tipico romano. Tanto tipico che i primi cenni si trovano nel ricettario attribuito a Marco Gavio Apicio del I sec d.C., ma la versione cui fa riferimento Farinetti si deve ad Angelo Colapicchioni, dell’omonimo forno romano, che ha rivisto l’antica ricetta ottenendo un successo inaspettato con il nuovo brevetto. «Si può dire che l’abbia fatto più per scherzo – si schermisce Colapicchioni – circa 35 anni fa. Poi la Camera di Commercio di Roma mi ha chiesto di farlo tutto l’anno invece che solo a Natale». I pochi romani che se lo ricordano ancora, infatti, sanno che il pangiallo da cui deriva la variante di Colapicchioni era un dolce tradizionale natalizio. «Ai tempi della Roma imperiale però era propiziatorio: per la festa del solstizio d’inverno, venivano preparati dolci di farina di mais che, con

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il loro colore dorato, propiziavano il ritorno del sole». Il dolce dei Cesari era ottenuto dalla cottura di un impasto di frutta secca, miele e cedro candito, poi ricoperto da uno strato di pastella d’uovo. «Nel mio impasto – continua Colapicchioni – si trovano anche mandorle, noci, pinoli, nocciole, uva passa e pistacchi, che conferiscono al pangiall’oro un gusto unico, che lo contraddistingue da ogni altro dolce in commercio. La sua caratteristica principale è quella di essere composto esclusivamente da alimenti naturali, senza l’aggiunta di zuccheri raffinati. Questo rende il prodotto particolarmente genuino, digeribile, e dall’elevato valore nutrizionale, oltre che estremamente piacevole al palato». L’operazione di archeologia del gusto è dunque riuscita, dimostrando la forza di una ricetta che persiste da duemila anni. Il fornaio consiglia: «È perfetto con la ricotta di pecora o la crema pasticcera. Magari accompagnato da un vermouth o un vino corposo come il rosso di Montalcino».

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DOLCI ITINERARI Maria Fermanelli

Ricette da un manoscritto PANE, DOLCI E BISCOTTI SENZA GLUTINE, REALIZZATI NEI FORNI DI UN MONASTERO NE PARLA MARIA FERMANELLI j di Roberta De Tomi i


n Monastero Benedettino è la location curiosa e suggestiva in cui Cose dell’altro pane realizza prelibatezze tratte da tradizioni culinarie antiche di oltre cento anni: prodotti da forno senza glutine ma gustosi ed appetibili quanto quelli realizzati con le farine di frumento. Cose dell’altro pane nasce dall’iniziativa di Maria Fermanelli, un architetto da sempre appassionato di cucina. «Tutto ha origine quasi dieci anni fa - afferma - da un’idea di un gruppo di amiche. Al figlio di una di noi era stata diagnosticata la celiachia, un problema che abbiamo da subito condiviso, proprio perché avevamo i bambini della stessa età che insieme frequentavano gli scout. Riuscivamo a preparare cose buone e da lì nasce l’idea di cercare dei finanziamenti per avviare un’impresa tutta al femminile e del tutto nuova: produrre cose buone e sane senza glutine! Ho deciso dunque di presentare un progetto, cogliendo l’occasione di un bando che individuava l’area compresa nella proprietà del Monastero, dove anni fa con una suora, avevo realizzato dei biscotti». Per Maria, seppur architetto, l’iter per la messa a norma dei locali e dei macchinari ormai abbandonati

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ha richiesto procedure non semplici, non avendo a disposizione modelli pregressi per realizzare un’attività di quel tipo. Ma alla fine, sistemati gli aspetti burocratici e tecnici, l’attività è partita con tutte le regole permettendo di mettere a regime la produzione delle piccole golosità iniziate quasi per gioco, ampliandone la gamma. «I prodotti sono tutti tracciabili – sottolinea Maria Fermanelli – per garantire la loro affidabilità e tanti sono stati realizzati attingendo a un manoscritto di ricette del Monastero risalenti alla fine dell’Ottocento. Questo legame ci ha rafforzate nella scelta di preparare alimenti tradizionali, attingendo ad ingredienti semplici e sani, nel solco della migliore tradizione italiana, reinterpretandoli alla luce delle esigenze del “gluten free”. Prestiamo grande attenzione alla scelta degli ingredienti privilegiando genuinità e filiera corta, attingendo alle migliori produzioni: crema biologica di nocciole viterbesi e cacao, mandorle dalla Sicilia, zucchero di canna biologico, profumatissimo cioccolato 72% e massa di cacao monorigine, olio extravergine di oliva, ecc.». Un prodotto che rappresenta il valore nella ricerca delle lavorazioni senza glutine e della qualità degli ingredienti è il pandoro; come

Un’impresa tutta al femminile e del tutto nuova: produrre cose buone e sane senza glutine

spiega la titolare del forno «la preparazione del nostro pandoro prevede tre diverse lievitazioni; impieghiamo solo lievito fresco e quando esce dal forno è morbido e profumato come quello tradizionale». Nel segno dell’alimentazione che coniuga gusto e salute, si colloca l’ultima creazione di Cose dell’altro pane: una linea interamente dedicata al cioccolato di qualità. «Si tratta di un cioccolato con il 72% di cacao proveniente da un’unica piantagione in Equador – chiarisce la titolare – il cui aroma pervade totalmente prima l’olfatto e poi il gusto. Voglio puntare su un ottimo ingrediente, come il nostro cioccolato della filiera equa e solidale, per realizzare prodotti di eccellenza e aldilà dei pregiudizi buoni per tutti i palati. Un esempio di questa sfida sono le nostre sacher e mini sacher che realizziamo con successo per le più svariate occasioni!».

Cose dell’altro pane si trova in un Monastero Benedettino a Roma www.cosedellaltropane.com

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CELIACHIA Bruno Vassallo

La spesa dei celiaci

j di Martina Carnescialii

GLI ALIMENTI PER I CELIACI, DAPPRIMA REPERIBILI SOLO IN FARMACIA, SONO ORA ACQUISTABILI IN NEGOZI COME IL CELI@CHIA FOOD. CATENA DI PUNTI VENDITA IN FRANCHISING rmai purtroppo diffusa, e sempre più conosciuta, la celiachia è una grave e permanente intolleranza al glutine e a tutti i prodotti in cui è contenuto. Nelle persone affette, gli alimenti contenenti glutine provocano una reazione che danneggia la mucosa dell’intestino tenue, che riconosce il glutine come un agente tossico. È una patologia autoimmune la cui unica cura consiste in una dieta specifica. Inizialmente non era facile trovare i prodotti adatti a un celiaco, erano venduti unicamente nelle farmacie e spesso solo su ordinazione. Per questo nell’anno 2000 Bruno Vassallo, ha scelto di aprire un negozio di generi alimentari specifici dedicato totalmente ai celiaci.

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La celiachia è un problema in continua progressione. Il suo negozio in che misura aiuta le per-

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sone affette? «Il punto di forza di Celi@chia Food è rappresentato da un ampio assortimento, che permette al celiaco di fare la spesa acquistando prodotti di tutti i generi come in un piccolo supermercato a loro dedicato organizzando giornate di degustazioni,corsi di cucina e consigli sulle ricette senza glutine. Secondo stime su dati Aic, che valuta in 123.000 unità i celiaci diagnosticati presenti in Italia, la nostra rete ha una copertura del 12 per cento». Come definisce la sua attività? «Un’attività dal risvolto anche sociale, in quanto offre la possibilità a chi è celiaco di non sentirsi “diverso”, senza aver l’obbligo di ordinare i propri alimenti in farmacia o costretti a verificarne l’idoneità». Il negozio è in franchising?

«Sono ideatore del progetto di franchising a marchio Celi@chia Food. Dopo l’apertura del punto vendita pilota a Torino ho deciso di espandermi tramite il franchising su tutto il territorio nazionale. Di richieste di affiliazione ne riceviamo tante, ma va detto che essendo una nicchia di mercato non in tutti i paesi esiste un bacino di utenza idoneo. Al momento i negozi affiliati sono distribuiti tra Lombardia, Piemonte, Sicilia e Toscana».

Bruno Vassallo, ideatore del progetto di francising a marchio Celi@chia Food. Il punto vendita pilota è a Torino www.logistic-food.com

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SPEZIE Paolo Bobbio

I segreti

j di Renato Ferretti i

dell’oro rosso LO ZAFFERANO, STORIA E PROPRIETÀ DI UNA COLTIVAZIONE CHE DA QUALCHE ANNO È RICOMINCIATA ANCHE IN PIEMONTE. PARLA DI QUESTO RITORNO UNO DEI SUOI FAUTORI, PAOLO BOBBIO

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n ricostituente naturale che aiuta i muscoli negli sforzi prolungati. È una delle caratteristiche dello zafferano, un segreto che molti atleti conoscono. A spiegarlo è Paolo Bobbio, titolare dell’azienda agricola Padana, che da anni gestisce una delle più grosse produzioni di zafferano del Piemonte con circa 500 grammi all’anno. «L’oro rosso come ricostituente – dice Bobbio – è una peculiarità dovuta al ricco contenuto di antiossidanti e di alfa caroteni dell’“oro rosso”. Per questo molti sportivi ne fanno largo uso per recuperare prima la stanchezza». L’obiettivo di Bobbio è la coltivazione di un prodotto d’eccellenza. «Ci siamo avvalsi dell’esperienza dell’Associazione Campiglia. Lo scambio di bulbi e informazioni ha avviato la coltivazione in forma sperimentale,

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con metodo biologico e biodinamico. Questo aumenta l’impegno, ma di sicuro aumenta anche le qualità organolettiche e nutrizionali del prodotto finale. Non è un caso, quindi, che la Padana venga citata da molti critici culinari come Paolo Massobrio di Papillon e dalla rivista Gambero Rosso, come produttrice di uno degli zafferani migliori». Lo zafferano era da sempre coltivato nella pianura e nelle valli piemontesi, in quel periodo storico in cui la circolazione delle merci non era molto agevole. «Veniva coltivato – spiega Bobbio – soprattutto come colorante e quindi con il passare del tempo e della tecnologia, venne abbandonato, ma non dimenticato. Vi sono diverse tracce della coltivazione dello zafferano nel periodo medioevale, in statuti di comuni e in atti privati. L’uso dello zafferano ai fini alimentari era più che altro tipico nella cucina lombarda e per questo motivo, venne mantenuta tradizione e utilizzo. Oggi riscoprendo la coltivazione dello Zafferano piemontese, proponiamo un prodotto genuino e locale, garantito dalla certificazione biologica a cura di Icea e biodinamica a Marchio Demeter®». Oggi la produzione di punta dell’azienda agricola Padana è

quindi costituita dallo zafferano che impegna molte energie, ma non è l’unica. «Ho rilevato l’azienda nel 1997 dal mio nonno materno, Luigi Ricagni. L’indirizzo cerealicolo mantenuto sino ad allora si rivela inadeguato al mutamento delle esigenze dei consumatori e contrario ad una conduzione più "sostenibile". Ho immesso nuove produzioni e varietà in modo da recuperare l’antica biodiversità tipica della zona. L’agricoltura Biologica e Biodinamica fanno da motore all’intera attività e completano il circuito virtuoso verso un’agricoltura naturale, sana e ambientalmente corretta». Alle colture caratteristiche della zona come la famosa Barbabietola Rossa di Castellazzo Bormida e gli asparagi, Bobbio decise di affiancare colture dimenticate. «Così sono state riscoperte da altri operatori della zona e dalle università locali per studi e ricerche. Da questo sforzo è rinata la coltivazione dello Zafferano in questa zona».

L’Azienda Agricola Padana – eredi Ricagni – ha sede a Castellazzo Bormida (AL) bobbio.paolo@gmail.com

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TRADIZIONI ARTIGIANALI Antonio Marella

La riscoperta

della pasta LE DISTESE DI GRANO SULLE COLLINE DELLA MURGIA. ANTONIO MARELLA ESALTA LE VARIETÀ AUTOCTONE, DIVENTATE IL VERO PATRIMONIO DEI PASTAI

j di Luca Càvera i


a pasta artigianale ha tempi di cottura che possono variare per via di molti fattori, come l’intensità della fiamma e la durezza dell’acqua. Per ottenere il massimo risultato, a metà cottura, versate la pasta nel condimento e completate la preparazione in insieme al sugo. Permetterete così alla pasta di cedere al condimento il prezioso amido, senza disperderlo nell’acqua. E l’amido è un addensante naturale e gustoso. Tutto questo una pasta industriale non può farlo». Ecco il consiglio che Antonio Marella dà a chi vuole assaporare un eccellente primo piatto di pasta. Marella è titolare dell’omonimo pastificio di Gioia Del Colle, località nel cuore della Murgia pugliese, rinomata zona Doc del Primitivo. Questo piccolo pastificio rifornisce decine di ristoranti, sparsi in mezzo mondo, con una pasta risultato di un particolare processo artigianale. «Come primo punto – dice Marella – sono molto attento alla selezione delle materie prime: i grani duri devono garan-

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tire alla pasta caratteristiche qualitative originali. Mi riferisco, in particolare, ai grani autoctoni quali Svevo, Senatore Cappelli, Quadrato, che danno al piatto, profumi e gusto unici. L’altro punto riguarda la temperatura di essiccazione, che dura fino a tre giorni e che io imposto a un massimo di 37-38 gradi». A tanta attenzione nella produzione, secondo Marella, corrisponde un crescente interesse da parte dei consumatori, ma anche degli chef. «Ho notato, specie negli ultimi anni, un diffuso desiderio di conoscere sia le varietà di grano utilizzate sia la loro provenienza geografica. E in molti ristoranti si sta diffondendo, inoltre, un nuovo modo di consumare la pasta, con ricette che riscoprono le antiche tradizioni e il gusto dei prodotti autoctoni. Per assecondare questa curiosità, abbiamo realizzato nuovi prodotti artigianali, anche in collaborazione con altri produttori – come la pasta Olivotto, realizzata con una speciale crema dolce di olive nere varietà Cellina di Nardò».

Nella creazione di nuovi formati, Marella segue personalmente la fase di sviluppo. «Nel tempo abbiamo inventato circa quindici nuovi formati, fra i quali i Sombreroni, le Lingue di Suocera, le Spugnole, le Caramelline, prestando sempre molta attenzione alle paste che richiedono una lavorazione manuale – lavorazione che nessuna macchina può realizzare». La distribuzione della pasta Marella avviene sia in Italia che all’estero. «Abbiamo richieste che arrivano soprattutto dai ristoranti italiani sparsi in giro per il mondo: Stati Uniti, Belgio, Germania, ma anche Sudamerica, Australia e Giappone». Fra i principali estimatori della sua pasta, Antonio Marella vuole citare alcuni nomi di chef locali: «Come Ottavio Surico, dell’Osteria del Borgo Antico e Beatrice Petrera, del ristorante il Mondo di Bea a Gioia del Colle, Antonio Gentile della Masseria Santa Teresa di Monopoli. Oltre ad altri grandi chef internazionali, come Antonio Ruggiano di Londra, Giovanna Chen di Taipei, Koji Morita di Osaka e l’elenco potrebbe essere ancora lungo».

Il piccolo pastificio artigiano Marella si trova a Gioia Del Colle (BA) www.pastamarella.it

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TRADIZIONI ARTIGIANALI Roberto Orecchia

Dalla farina di una volta LA RISCOPERTA DELLA “MELIA DU RE”, IL MAIS PREGIATO CHE L’“ANTIGNANO PRODOTTO TIPICO” HA RIPORTATO SULLE COLLINE PIEMONTESI

di Renato Ferretti Recuperare i sapori non è solo una missione gastronomica, ma evidentemente ha anche un valore culturale. Alla riscoperta delle proprie origini, e con un pizzico di orgoglio, si muove il marchio tutto piemontese “Antignano Prodotto Tipico”. Percorrendo questa strada tutt’altro che comoda l’azienda del torinese, il cui titolare è Roberto Orecchia, si è presa le sue soddisfazioni e riconoscimenti nel campo della pasta e affini. «Abbiamo riavviato – spiega Orecchia – una particolare varietà di mais, l’Otto File di Antignano,

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Antignano Prodotto Tipico ha sede ad Antignano (AT) www.antignanoprodottotipico.it

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anche detto “melia du Re”, per via dell’apprezzamento che Vittorio Emanuele II aveva espresso nei suoi confronti. Si tratta di una varietà pregiata di mais coltivata solo sulle nostre colline, che verso la metà del secolo scorso era stata soppiantata da altre varietà di maggior resa produttiva, ma di qualità meno pregiata. Ai giorni nostri non è facilmente reperibile ed è coltivata ormai da un’esigua minoranza di agricoltori». La qualità del mais è stata certificata anche dal prestigioso mensile di cucina “Il Gambero Rosso”, che ha definito la polenta di Mais Otto File di Antignano “eccellente nel sapore e nella delicatezza”, incoronandola seconda nella lista delle dieci migliori farine italiane.

«Dalla “melia du Re” si ottiene una farina dal sapore speciale e caratteristico, prodotta con una macinazione rigorosamente a pietra per conservare le caratteristiche organolettiche. Insomma l’appellativo “melia du Re” non è inadeguato». Ma la passione per la riscoperta non si ferma qui per l’ “Antignano Prodotto Tipico”. «Tra gli altri prodotti realizziamo anche pasta all’uovo selezionando le semole con il Mulino Marino di Cossano, riconosciuto da Slow Food come il miglior mulino italiano. La sapiente miscelazione delle semole, oltre agli altri ingredienti, tutti di alta qualità, permette di realizzare un prodotto con caratteristiche e sapori unici. La sfoglia viene tirata mediante trafilatura al bronzo, passata in particolari taglierine per ottenere i formati desiderati, quindi essiccata lentamente e a bassa temperatura».

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TRADIZIONI ARTIGIANALI Marcellino Parri

L’antico mulino guarda al biologico UNA TRADIZIONE SECOLARE CHE SI RINNOVA COSTANTEMENTE E CHE OGGI, ATTENTA ALLA SALUTE E ALLE RICHIESTE DEL MERCATO, ENTRA NEL SETTORE DELLE FARINE BIOLOGICHE

di Lodovico Bevilacqua

e prime testimonianze della sua attività risalgono al Diciottesimo secolo, un testo del marzo 1827 descrive l’attività del mulino, che da allora è rimasto sempre nelle stesse mani, quelle della famiglia Parri, tramandatosi di generazione in generazione. Naturalmente molto è cambiato da allora, come spiega l’attuale amministratore di questa antica attività del senese, Marcellino Parri: «La produzione è sestuplicata, passando dai duecento

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Il Molino Parri si trova a Rigomagno (SI) www.molinoparri.com

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quintali degli anni Sessanta ai milleduecento quintali di oggi. Anche le tecnologie sono state protagoniste di un processo evolutivo, avviato nel 1946 con la costruzione del molino a cilindri ad alta macinazione che è andato a sostituire il vecchio molino a palmenti. Ancora oggi in continua evoluzione, la tecnologia riveste un ruolo importantissimo, che si estrinseca durante tutto il processo produttivo, dallo stoccaggio delle materie prime e dei prodotti finiti, all’esame qualita-

tivo dei frumenti e delle farine ottenute». Grandi novità si registrano anche sul fronte dei prodotti offerti, con una gamma sempre rinnovata, attenta alle nuove tendenze alimentari e ai segnali che provengono dal mercato. Sono due le direzioni in cui sta andando oggi il settore alimentare: l’accorciamento della filiera e il rafforzamento della nicchia dei prodotti biologici. Con grande puntualità, ecco arrivare due nuove farine che si collo-

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TRADIZIONI ARTIGIANALI Marcellino Parri

Le direzioni in cui sta andando il settore alimentare sono l’accorciamento della filiera e il rafforzamento della nicchia dei prodotti biologici cano in questi due spicchi di mercato: «Abbiamo recentemente cominciato a proporre le farine tipo “2” e “integrale” a pietra, nonché quella tipo “0” industriale da agricoltura integrata, con grani toscani provenienti dalla zona del Mugello, attuando un perfetto esempio di filiera diretta dal produttore al consumatore. Per quanto riguarda invece il settore bio, ci sono le farine biologiche tipo “2” e “integrale” a pietra, più quelle tipo “0” e “00” e “integrale” prodotte con il molino a cilindri e con grani antichi toscani tipo verna, abbondanza, conte, marzotto e altri. Lo scopo di queste produzioni è quello di soddisfare un mercato salutistico in crescita, che riguarda non solo mense scolastiche, asili, ristoranti, ma anche un consumatore sempre più attento e orientato verso un’alimentazione naturale e salutistica». Queste nuove linee consacrano quella che è sempre stata una scelta produttiva consolidata: «L’attenzione alla sostenibilità e alla salute dei consumatori è sem-

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pre stata una nostra priorità, come dimostra il fatto che tutte le nostre farine sono prodotte senza aggiunta di additivi e con miscele di grani attentamente analizzati, in modo da escludere qualsiasi contaminazione. Speriamo altresì che queste nuove linee produttive ci aprano le porte dell’esportazione e siamo attivamente alla ricerca di eventuali partner a questo scopo». Le farine biologiche e a chilometro zero si vanno ad aggiungere a una già ricca gamma di venticinque tipologie diverse per soddisfare le più svariate esigenze dei panifici, pizzerie, pasticcerie e produttori di pasta fresca, con caratteristiche reologiche adatte a qualsiasi prodotto finito, come la farina di puro frumento tenero, prodotta senza aggiunta di alcun tipo di additivo, miscelando i migliori grani presenti sul mercato per ottenere farine che presentano requisiti di stabilità e qualità nel tempo, o le farine tipo “2” e una farina tipo “integrale” prodotte col vecchio molino a pietra, ricche di vitamine, enzimi e fosfolipidi che svolgono importanti funzioni nutrizionali.

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TRADIZIONI ARTIGIANALI Leonardo Salvini

Dalla Corte di Gottolengo ARRIVA IN TAVOLA LA PASTA ELABORATA SECONDO ALCUNE RICETTE MEDIEVALI, ILLUSTRATE DA LEONARDO SALVINI

j di Anastasia Martini i a storia rivisitata, riesumando antichi ingredienti e sapori, incontra il presente, sempre più votato al biologico. I ricettari si aprono sulla lavorazione di una grande varietà di pasta, ripiena e non, in cui Tradizioni Padane è specializzata, portando in tavola i piatti forti della cucina tradizionale lombarda. Ciò avviene a partire dalle specialità della linea Corte di Gottolengo che «Prendono ispirazione – racconta il titolare, Leonardo Salvini – dalle originali ricette diffuse in epoca medievale nei territori del Dominato Leonense e nelle terre della Serenissima. Si tratta di tortelli e casoncelli, rigorosamente realizzati a mano con sfoglia di pasta d’uovo estrusa sottilissima, ottenuta attraverso l’uso della tradizionale semola di grano duro, del farro e della farina monococco. Per la sua ge-

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nuinità e il suo legame con il territorio, questa linea ha ottenuto la certificazione Deco, rilasciata dal comune di Gottolengo. Il ventaglio delle Tradizioni Padane si apre su altri tipi di pasta: dalle più raffinate della Linea d’Eccellenza, caratterizzata da pregiati ripieni, quali il tartufo, a quelli con ripieni creati con materie prime del territorio, come i raviolo al bagòss (il grana bresciano)». Nella “riscoperta del tempo perduto”, la farina di monococco è l’ingrediente chiave, per le cucine in cui la 00 la fa da padrona. «Il monococco, – spiega Salvini – è un grano di origine preistorica, il più antico mai coltivato. La pasta realizzata con la farina di tale frumento, dalle irrinunciabili qualità organolettiche, oltre a essere estremamente nutriente, è caratterizzata da una straordinaria tenuta alla cottura e si accosta facilmente a qualsiasi sugo».

Tradizioni Padane Srl ha sede a Gottolengo (BS) www.tradizionipadane.it

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TRADIZIONI ARTIGIANALI Angela Biga

le “Foglie di mais” BISCOTTI FATTI CON FARINE INTEGRALI E PANE LAVORATO SECONDO TRADIZIONE. ANGELA BIGA DESCRIVE LE PASTE DI MELIGA

j di Roberta De Tomi i a leggenda narra che le paste di meliga, fiore all’occhiello del cuneese, furono ideate in seguito a un cattivo raccolto, che fece andare alle stelle i prezzi del frumento. Da qui sorse la necessità di impiegare il fior di farina (la cosiddetta 00) con il fumetto di mais, ovvero la farina ricavata dal

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mais, macinata finissima, da cui risultò un biscotto dal gusto definito e dalla consistenza friabile. Le paste di meliga sono il nucleo “dolce” dell’attività Primo Pan, realtà a conduzione famigliare che non perde il legame con la tradizione. «Siamo a Battifollo, – spiega la titolare, Angela Biga – sul crinale che separa l’alta Val Tanaro dalla valle Mongia, nel versante piemontese delle Alpi Liguri. Tutto è nato da mio padre, agricoltore con la passione della panificazione, cui è approdato, apprendendone le tecniche da un parente, da cui ha acquistato l’antico forno a legna». Da qui si sviluppa un’attività fatta di buona tecnica di lavorazione, sapienti cotture e di estrema cura della genuinità del prodotto. In aggiunta vi è anche l’apporto della moglie, Anna, specializzata nella realizzazione di dolci. Un’esperienza accolta dalla figlia Angela

che, a partire dalle “Foglie di mais”, pone al centro del lavoro le paste di meliga, cui aggiunge, altre tipologie di biscotti tratti da farine integrarli. A completamento della realizzazione, vengono scelti prodotti locali: castagne, nocciole, cereali integrali grano saraceno. Materie prime tratte dalla zona di riferimento, per garantire, ben oltre la moda del biologico ma sulla base di una precisa filosofia di lavoro, biscotti “sani” ma non per questo meno gustosi. «Pur producendo ancora il pane – conclude Angela Biga – con la tecnica del fondatore, senza additivi, senza grassi animali, lavorandolo manualmente, il nostro interesse è rivolto ora soprattutto alla produzione di biscotti che si fanno apprezzare per la spiccata caratterizzazione, dovuta anche all’utilizzo di farine integrali macinate su pietra».

Primo Pan ha sede a Battifollo (CN) www.primopan.com

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TRADIZIONI ARTIGIANALI Fulvio Marino

Sapori

j di Roberta De Tomii

dall’Enkir PANE, PASTA, BISCOTTI: SONO PRODOTTI REALIZZABILI CON L’ENKIR, CEREALE ANTICO, DESCRITTO DA FULVIO MARINO

Il Mulino Marino ha sede a Cossano Belbo (CN) www.mulinomarino.it www.enkir.it

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n antico cereale trova possibilità di crescita tra le colline dell’Alta Langa in Piemonte, area in cui avviene anche la lavorazione. Il luogo adibito è il Mulino Marino, una realtà che si avvale di metodi tradizionali per macinare cereali antichi, tutti di provenienza biologica. Tra questi, l’Enkir, della specie botanica t. monococcum. «Si tratta – spiega il titolare, Fulvio Marino – di un cereale antico selvatico, “vestito”, appartenente alla specie diploide, addomesticata nel vicino Oriente 10-12.000 anni fa. È considerato il

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padre dei cereali e cresce spontaneo ancora oggi in alcune zone della mezzaluna fertile (Turchia e Iran). È ritenuta una specie fondamentale per la nascita dell’agricoltura moderna, ha un’ampia adattabilità, minime esigenze nutrizionali ed è naturalmente resistente a patogeni e parassiti, pertanto si adatta bene ad ambienti colturali marginali. In natura esistono più di 300 specie dello stesso cereale». La scelta di valorizzare l’Enkir, non nasce a caso. «Il Mulino Marino, – continua – in collaborazione con la cooperativa degli Agricoltori delle "Sette Vie del Belbo", fa seminare l’Enkir direttamente sui colli dell’Alta Langa, a 500 metri di altitudine, un’area che non consente condizioni di crescita ottimale di altri cereali,

della vite e delle nocciole. In questo modo abbiamo adibito zone che altrimenti sarebbero state destinate ai prati alla coltura, creando una situazione di vantaggio anche economico. L’Enkir viene anche indicato come il vero cereale biologico per il suo basso impatto ambientale e perché non necessita di trattamenti da parte dell’uomo. Ha un alto contenuto proteico, in media il 18 per cento e un’elevata quantità di carotenoidi che oltre alla funzione antiossidante, hanno importanti ruoli nelle funzioni cellulari. La farina che si ricava dall’Enkir con la macinazione a pietra naturale, ( non con pietre di materiali artificiali come quelle che attualmente sono in commercio) è gialla e viene impiegata per realizzare pane, pasta e biscotti, gustosi, ma anche molto nutrienti».

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TRADIZIONI ARTIGIANALI Alex Ariaudo

j di Marco Tedeschi i

Specialità

artigianali DA MATERIE PRIME SELEZIONATE NASCONO PASTE FRESCHE CHE MERITANO IL MARCHIO DELL’ECCELLENZA ARTIGIANALE DELLA REGIONE PIEMONTE ova fresche, verdure dell’orticoltura locale, carne di produzione italiana. Oltre ovviamente alla farina di primissima qualità. Sono questi gli ingredienti base con cui il Pastificio Dutto produce le tante tipologie di paste fresche artigianali che distribuisce a ristoranti, botteghe e catering del cuneese. Tra le specialità: agnolotti piemontesi, agnolotti riso e cavoli, agnolotti porri e patate, fagotti di magro, gnocchi, gnocchi valvaraita, ravioli, ravioli del plin, ravioli di borragine, tagliatelle, tagliolini e tortellini. «Un aspetto fondamentale, e nel solco della tradizione – specifica Alex Ariaudo, titolare dell’attività –, è il criterio della stagionalità alla base della nostra produzione. Ogni mo-

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mento dell’anno è caratterizzato da una particolare materia prima ed è perfetto per non perdersi il gusto dei prodotti sani e genuini: dai ravioli di salsiccia e porri ai tradizionali “ris e coj”, o quelli ribattezzati “ravioli di Centallo”, con il salame cotto di Beppe Dho e l’arrosto bovino, fino a quelli a base di verdure rigorosamente di stagione». L’attività, che dispone anche di un piccolo punto vendita, si svolge principalmente all’ingrosso, distribuendo direttamente i prodotti freschi in tutta la provincia, in particolare nelle valli cuneesi, anche se l’obiettivo è quello di arrivare a coprire tutte le provincie piemontesi. «Tutto ciò che vendiamo è prodotto all’interno del nostro laboratorio all’ingrosso – spiega

Ariaudo -. Il punto di forza sta proprio nel riuscire a produrre e consegnare direttamente le nostre paste artigianali, tagliando i costi dei vari passaggi. Non ci rivolgiamo a grossisti né produciamo per conto terzi: tutti i prodotti che escono dal nostro laboratorio sono marchiati esclusivamente Pastificio Dutto». Oggi a certificare il percorso e la qualità del Pastificio Dutto di Centallo c’è anche il Marchio dell’Eccellenza Artigianale della Regione Piemonte. «Un percorso approdato all’inizio del 2010 al nuovo stabilimento, con produzione e punto vendita, in regione San Quirico ma che è iniziato alla fine degli anni Settanta nel laboratorio di famiglia».

Il Pastificio Dutto si trova a Centallo (CN) www.pastificiodutto.com

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TRADIZIONI ARTIGIANALI Silvestro Semenzato

j di Valerio Germanico i

Bontà di pane FRAGRANTE. MORBIDO. IN OGNI CASO IL GENUINO COMPLEMENTO DI OGNI PASTO. SILVESTRO SEMENZATO RACCONTA UNA STORIA IN CUI IL PANE È IL PROTAGONISTA


he sia sulle tavole imbandite dei banchetti, sul desco domestico o fra le mani durante un pasto veloce fuori casa, il pane rappresenta un ingrediente irrinunciabile, pressoché durante ogni appuntamento con l’alimentazione quotidiana. Sarà la sua natura semplice e la sua genuinità forse che gli permette di unirsi alle pietanze più diverse, dalle più semplici e a volte umili fino ai piatti più raffinati. «Dietro ogni forma di pane – spiega Silvestro Semenzato, titolare dell’omonima azienda di panificazione veneziana – c’è sempre una storia lunga e importante. Nel nostro caso questa storia, che inizia con un unico e piccolo forno a legna, ha le sue tappe fondamentali in anni di duro lavoro, giuste intuizioni e pazienza». L’attività dell’azienda è stata av-

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viata in modo semplice, come il pane. Lo sviluppo e la crescita sono venute quando il bacino di utenza principale dell’azienda è diventato Porto Marghera. «Questo – prosegue Semenzato – ci permise di aumentare i nostri affari, preparando e distribuendo il pane per le mense delle imprese chimiche di Marghera. Ovviamente furono anche necessari degli investimenti, come l’acquisto di un grande forno di cottura. Con questo passaggio fondamentale ci siamo fatti conoscere e siamo riusciti a gettare basi più solide, che ci hanno consentito di continuare a svilupparci anche quando, con la chiusura delle industrie chimiche della zona, abbiamo visto calare improvvisamente la nostra produzione di pane». Questo momento è stato anche quello in cui la farina, l’acqua e

Abbiamo scelto di puntare sui nostri grissini e tramezzini fatti a mano, prodotti naturali e tradizionali

il lievito sono diventati gli stimoli per nuovi impasti, nascono così prima i grissini e poi i tramezzini Semenzato. «Abbiamo capito che quello che poteva dare una caratteristica peculiare ai nostri grissini, e soprattutto ai tramezzini, era il fatto di proporli come un prodotto fatto a mano. Consegniamo così un prodotto naturale e tradizionale, che però, grazie al suo gradimento, ci ha permesso di far crescere nuovamente la nostra quantità di prodotto e di rivolgerci alla grande distribuzione». Con il crescere della produzione, alla competenza dei panificatori si è unita la forza della tecnologia. «La nostra è stata la prima impresa italiana a produrre alimenti da forno sfruttando un impianto di lievito naturale. Con questo siamo in grado di produrre 20 quintali di lievito naturale ogni 4 ore e di garantire sempre le caratteristiche di fragranza e morbidezza del pane. A questo impianto si affiancano poi tre linee di produzione tecnologiche, con le quali riusciamo a realizzare 80 quintali di pane all’ora, dall’impasto al prodotto finito pronto a partire sui bancali».

In queste pagine, stuzzicherie realizzate con i prodotti della Semenzato Pane di Martellago (VE) www.semenzatopane.com

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TRADIZIONI ARTIGIANALI Marino Cornali

I ravioli

di Renato Ferretti

del buon umore MARINO CORNALI RACCONTA IL SAPORE E LE PROPRIETÀ DEI TRADIZIONALI RAVIOLI LIGURI DI BORRAGINE Il Raviolificio San Giorgio ha sede a Ceriale (SV) - www.raviolificiosangiorgio.it

ell’antichità era considerata un antidoto naturale contro la tristezza, alcune popolazioni la chiamano “pianta del buon umore”, secondo la tradizione popolare, invece, aggiunta al vino induce l’uomo a sposarsi. Sono solo alcune delle proprietà attribuite alla borragine, l’ingrediente principale dei ravioli della tradizione ligure. Marino Cornali, titolare del Raviolificio San Giorgio di Ceriale (SV), produce pasta fresca da oltre quarant’anni. E spiega: «Oggi sappiamo che la borragine è uno stimolante delle ghiandole surrenali, che favorisce la produzione di adrenalina. I suoi fiori blu venivano aggiunti alle in-

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salate già parecchi secoli fa per conferire “letizia alle menti”. Quindi è stata usata per frittelle, frittate, minestroni. In Liguria è uno dei componenti essenziali del “preboggion”, un insieme di erbe aromatiche tipico. Ma certamente è più conosciuta come l’ingrediente fondamentale dei celebri ravioli». Alla pasta fresca Cornali ha dedicato una vita intera, sperimentando nel suo laboratorio, modificando negli anni macchinari e affinando la tecnica. «Dopo tanti anni di esperienza – dice Cornali – ora ottengo una sfoglia a velo talmente sottile da produrre un raviolo unico nel suo genere, che esalta il ripieno, con uno spessore di 0,30 millimetri che richiede solo

due minuti di cottura». La produzione della pasta ripiena richiede, com’è noto, un approvvigionamento di materie prime di qualità selezionata. «Le seleziono rigorosamente, e la loro zona di origine è garantita dalle certificazioni Dop- Igp, con la totale assenza di conservanti. L’ingrediente principale, cioè la borragine, occupa un posto di primo piano secondo questa filosofia, per questo mi avvalgo della collaborazione esclusiva di svariate aziende agricole a gestione familiare del comprensorio di Ceriale e di Albenga: si tratta di coltivazioni intensive curate con attenzione da operatori che sanno unire tradizione, moderna tecnologia e passione per la terra ligure».

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j di Mauro Terenziano i

Sovrano fra i tortellini IL TORTELLINO ALLA CARNE DI VALEGGIO. E LA SUA CORTE DI TORTELLONI, BIGOLI, LASAGNE, PAPPARDELLE. L’ARTE PASTAIA DI GUIDO E LUCIANA REMELLI


TRADIZIONI ARTIGIANALI Guido e Luciana Remelli

ntro lo straordinario scenario naturale delle colline Moreniche del Garda, sorge Valeggio sul Mincio. Vicinissima alle due città d’arte Mantova e Verona, Valeggio può a sua volta vantare un importante patrimonio artistico – fra cui il castello Scaligero e la chiesa di San Pietro in Cattedra –, che ha reso la cittadina meta di interesse turistico, anche col contributo del paesaggio verdeggiante e di una ricca tradizione gastronomica. «La nostra – spiega Luciana Remelli – è una cucina tipica strettamente legata al territorio, che racconta, attraverso i suoi piatti, il sapore e lo spirito di Valeggio». Luciana, insieme al fratello Guido, è titolare del pastificio Remelli e dell’annesso punto vendita. Insieme hanno scelto di recuperare la propria cultura contadina e soprattutto i preziosi insegnamenti culinari tramandati da nonna Mora per la preparazione della

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pasta fresca. Perpetuando la tessitura di un filo impalpabile di saggezza che, passando da una generazione all’altra, racconta ancora oggi una storia di qualità, tradizione e accoglienza. Il punto d’orgoglio del pastificio è il tortellino, la cui ricetta classica è ovviamente quella alla carne. «Per ogni chilogrammo di farina – continua Luciana – mettiamo otto uova, così da avere una pasta che può essere tirata fino a diventare sottilissima. Questa è affidata alle mani di venti esperte pastaie che curano tutta la produzione, in maniera esclusivamente artigianale. Il ripieno, poi, comprende un brasato di manzo, pollo e maiale. Oltre a questi che sono i classici tortellini di Valeggio, proponiamo i tortelloni in una ricca gamma di varianti che seguono la disponibilità dei prodotti di stagione». Zucca, anatra arrosto e mele, tartufo, radicchio rosso di Verona,

porcini, lepre. Per citarne solo alcuni. Altrettanto ricca la proposta di pasta fresca: bigoli, lasagne, pappardelle da preparare in brodo, gnocchi, tutto rigorosamente di giornata. «Oltre alla pasta fresca – aggiunge Guido – il nostro punto vendita propone tanti altri prodotti di gastronomia e ancora mostarde, confetture, torte e biscotti sempre di nostra produzione. E per i migliori abbinamenti, una vasta scelta di vini locali». Lo stile del punto vendita lascia emergere il forte legame con le atmosfere di Valeggio. Di recente ristrutturazione, è perfettamente integrato nel contesto del paese di cui vuole essere stilisticamente ideale proseguimento. «Curiamo ogni dettaglio – conclude Guido – , cercando di instaurare un’atmosfera familiare e accogliente, che ben rappresenta la volontà di regalare ai visitatori, oltre alla qualità dei prodotti, la sensazione di essere a casa propria. Per questo consideriamo un nostro compito importantissimo quello di dare suggerimenti e consigli su ricette, tempi di cottura e condimenti, per scegliere e preparare al meglio ogni pietanza».

Il pastificio Remelli si trova a Valeggio sul Mincio (VR) www.pastificioremelli.it

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TRADIZIONI ARTIGIANALI Fulvio Enrici

La nuova

di Renato Ferretti

arte bianca FULVIO ENRICI DESCRIVE LE CARATTERISTICHE DELLA REALIZZAZIONE DELLE FARINE MIGLIORI. «FRA TECNOLOGIA E TRADIZIONE»

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grani scadenti non possono nascere buone farine». Seguendo questo principio Fulvio Enrici, la cui famiglia da cinque generazioni è a capo dell’omonimo molino con sede ad Azeglio (TO), ha cercato di riunire attorno a sé uno staff di persone altamente qualificate per ricoprire il delicato incarico della scelta dei grani. «Selezioniamo il grano migliore da tutto il mondo, senza però trascurare la produzione locale con contratti di filiera: l’obiettivo è di produrre farina a km 0». Nonostante l’attenzione alla realizzazione di un prodotto artigianale, all’insegna della tradizione, Enrici ha puntato sull’innovazione, come strumento per raggiungere il massimo grado di qualità. «Il costante aggiornamento tecnologico – dice il titolare del mo-

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lino – ha permesso alla nostra azienda di raggiungere standard elevatissimi e, soprattutto, di assicurarne la costanza al fine di facilitare al massimo il lavoro della nostra clientela anche più esigente. Il controllo della qualità è severo sia sulle materie prime in entrata, sia sul prodotto finito garantendo e certificando, così, tutte le caratteristiche organolettiche della farina in uscita». La tecnologia entra nel molino con gli impianti di umidificazione, miscelazione e pulitura recentemente aggiornati. «Il tentativo è quello di ottenere risultati di lavoro sempre più precisi ed efficienti. La cura e la continua attenzione nella manutenzione degli impianti consentono una macinazione ottimale per farine soffici e di alta qualità. Con un impianto di dosaggio ponderale e di miscelazione possiamo comporre

farine speciali, e ricette personalizzate per ogni esigenza». Ma il lavoro del mugnaio non è ancora finito. «Fondamentale è l’insacco igienico quasi completamente automatizzato. Un sofisticato impianto di palletizzazione automatica consente, inoltre, di preparare imballaggi perfetti, sicuri e rispondenti a qualsiasi esigenza del cliente».

Il molino Enrici ha sede ad Azeglio (TO) www.molinoenrici.it

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TRADIZIONI ARTIGIANALI Roberto Alpozzi

Gioie per il palato

j di Manlio Teodoro i


TAGLIATELLE, ROSETTE, STELLINE. E SOPRATTUTTO “AGNOLOTTI DEL PLIN” E ALLA PIEMONTESE. ROBERTO ALPOZZI E LA SEDUZIONE DELLA PASTA na collezione di gioie per il palato. Fra le quali certamente spiccano gli “agnolotti del plin”, specialità di pasta ripiena caratteristica delle Langhe e del Monferrato, che prende il nome dal “pizzicotto” (il plin, in piemontese) che si dà alla sfoglia chiudendola attorno al ripieno di carne arrosto. È questo uno dei formati di pasta fresca prodotta dal pastificio Panda di Torino. Gli altri sono tutti un continuo invito all’assaggio: tagliatelle, cappelletti, triangoli, rosette, stelline. «Le nostre – afferma Roberto Alpozzi, direttore commerciale del pastificio – sono ricette create sulla misura del gusto, di lavorazioni sapienti, di sapori tradizionali e nuovi. Una varietà di formati, piccoli e grandi, che sanno sempre sorprendere con ripieni morbidi e ingredienti genuini, sempre freschissimi». Se questa pasta è così fresca e intatta lo si deve alla qualità assoluta nella scelta della materia prima, nella selezione degli ingredienti e negli impasti accurati. «La sapienza artigianale dei nostri maestri pastai piemontesi – prose-

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gue Alpozzi – sa unire perfettamente la conoscenza tradizionale alle esigenze contemporanee, mescolando l’esperienza antica ai processi produttivi moderni. Ogni fase di lavorazione – gesti che si ripetono e tramandano nel tempo – è un ingrediente essenziale nella creazione di questi sapori inimitabili, componenti essenziali della seduzione della pasta piemontese». Abbiamo chiesto ad Alpozzi un suggerimento per una ricetta che sappia esaltare al massimo le caratteristiche dei suoi plin. «L’agnolotto è un piatto classico della cucina popolare piemontese e della cultura contadina. Il suo ripieno un tempo era costituito dal trito degli avanzi degli arrosti dei giorni precedenti. Proprio per questo, e secondo una mentalità contadina che non ammette sprechi, esistono più possibilità per condirli. La versione più classica è certamente quella del piatto in brodo, ma li si può anche apprezzare cotti nel brodo e poi serviti asciutti, conditi con burro e salvia e una spolverata di parmigiano e tartufo. O ancora condirli con sugo di carne e salsa di pomodoro».

Per Alpozzi, le tradizioni nascono da idee geniali perfezionate nel tempo. «È un dovere cercare nuove soluzioni e cercare di migliorare l’esistente. Tutte le ricette, per perfette che questo possono essere, si possono rinnovare e adattare: anzi proprio questo lavoro continuo permette di salvaguardare le intuizioni del passato, aggiungendo nuova linfa. Proprio perché siamo sicuri della bontà dei nostri prodotti, non temiamo nuovi accostamenti, anche per rispondere all’esigenza di una popolazione sempre più attenta alla prevenzione e alla conservazione di un buono stato di salute attraverso una corretta alimentazione. In questa logica, abbiamo avviato un progetto con un’azienda olandese che produce una specialità lattiero-casearia a basso contenuto di colesterolo, ricca di grassi insaturi. Con loro stiamo sperimentando una ricetta di ravioli di magro che abbia le stesse caratteristiche».

Il pastificio Panda ha sede a Torino www.pastificiopanda.com info@alderafood.com

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TRADIZIONI ARTIGIANALI Gabriella e Paola Nardo

Con le mani

in pasta DALLA PASTA RIPIENA A QUELLA ALL’UOVO, DAGLI GNOCCHI ALLE TAGLIATELLE, DALLE LASAGNE ALLE ORECCHIETTE. TUTTI RIGOROSAMENTE FATTI A MANO. È L’ARTIGIANALITÀ A FARE LA DIFFERENZA j di Marco Tedeschi i n ritorno alla pasta fresca come bene quotidiano. «Per capire come si svolge il nostro lavoro - spiegano Gabriella e Paola Nardo – bisogna tornare indietro con la mente, a quando la nonna si alzava al mattino presto e faceva la spesa dal macellaio e dal verduriere, per poi creare la pasta fresca con le proprie mani. Nessuna traccia di produzione industriale, qui si fa tutto artigianalmente. Prendiamo la carne e la cuciniamo all’istante, laviamo e tagliamo la verdura fresca

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e prepariamo i diversi impasti con formaggi italiani». Un piccolo manipolo di quaranta persone che ogni giorno crea quasi novanta tipi di pasta, da quella ripiena a quella all’uovo, dagli gnocchi alle tagliatelle, dalle lasagne alle orecchiette. Questo è Pasta&Company, una realtà unica nella produzione e vendita diretta di pasta fresca sulle aree del Nord Italia e della Francia. «La formula “dal produttore al consumatore” è attiva da più di 15 anni grazie a un efficiente sistema di trasporto che inter-

viene non appena la produzione è terminata. La nostra politica aziendale comporta un grande dispendio di energie, ma garantisce genuinità e freschezza. Possiamo contare su una rete di 100 punti vendita monomarca nei mercati per diffondere una cultura del mangiare sano». Numeri e tecnologie delle produzioni industriali ma manualità e attitudine artigiana. «Lavoriamo seguendo antiche regole – precisa Paola – ma la qualità di ciò che facciamo è garantita dalle tecnologie più recenti. Qui da noi la tecnica è al servizio della manualità». A testimonianza di questo spirito che viene posto nel lavoro, nel 2009 è anche arrivato il riconoscimento di “Eccellenza Artigiana” della Regione Piemonte. «È un riconoscimento che ci onora, ma non è il solo – aggiunge Gabriella –. A poco a poco abbiamo visto crescere una clientela con cui abbiamo instaurato un rapporto di fiducia».

Pasta&Company si trova a Rivalta di Torino (TO) www.pastaecompany.it

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LUOGHI DEL GUSTO Licia Giordani

Bontà a portata di tempo GUSTI CULINARI DEGLI ITALIANI, PRATICITÀ E VARIETÀ. UN INCONTRO RESO POSSIBILE DA UN’INDUSTRIA ITALIANA CHE HA CONIUGATO LA QUALITÀ CON LE NUOVE ESIGENZE DELLA RISTORAZIONE

j di Matteo Grande i

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arie ricette di maionese, ketchup e salse come salsa cocktail, salsa tonnata, ai funghi, salsa tartara, bernese, salsa barbecue e altre ancora da proporre in vari abbinamenti culinari, nelle mani dei grandi chef per piatti elaborati, così come nella ristorazione di tutti i giorni. È con questo presupposto che Top Single Service ha deciso di andare incontro al mercato della ristorazione fuori casa. Un mercato che va dal tramezzino alle ricette ricercate. «Il mercato alimentare – spiega Licia Giordani, Amministratore delegato della Top Single Service – a seguito della globalizzazione e di nuovi modelli di consumo, si sta sempre più adeguando a diverse necessità. Si cerca sempre in misura maggiore la velocità nella fruizione, e quindi di conseguenza, nella preparazione di pasti. Si sta andando verso un’ampia gamma

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Top Single Service si trova a San Giovanni in Croce (CR) www.topsingleservice.it

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di proposte per soddisfare gusti e bisogni diversi, con la prerogativa di mantenere un’alta qualità dei prodotti proposti, vero focus del mercato alimentare italiano. Soddisfare queste esigenze della ristorazione, apparentemente in contrapposizione, è diventato per noi uno dei maggiori obiettivi». Nata alla fine del 1999 tra i confini delle province di Cremona, Parma e Mantova, territori noti per la produzione di specialità alimentari, la Top Single Service viene inizialmente pensata come ditta confezionatrice di monodosi. Successivamente ha ampliato la propria struttura, arrivando oggi con un organico di 15 dipendenti, e diventando un’azienda produttrice di salse, creme e condimenti che attualmente vengono proposti con il marchio Top Food. «Inizialmente l’unica attività svolta era il confezionamento di condi-

menti e salse monodose. Visti gli ottimi risultati raggiunti e nell’ottica di italianizzare e migliorare sempre più il prodotto, l’azienda decide in seguito di produrre nel proprio stabilimento tutto quanto precedentemente confezionato e contemporaneamente amplia la propria gamma di formati. I formati proposti sono quelli più consoni al settore di riferimento: dalla monodose, allo squeezer, fino al secchiello da 5 – 10 kg per dei consumi più importanti». È degli ultimi anni inoltre una specializzazione ulteriore dell’azienda, che si è focalizzata sulla preparazione di prodotti ricettati, quali creme e condimenti. «Queste creme e salse sono un’ottima base per sviluppare un’infinità di ricette e preparazioni gastronomiche che vanno dagli snack agli antipasti, dai primi piatti a complementi di carni e altre fantasie

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Le salse sono un’ottima base per sviluppare un’infinità di ricette, preparazioni gastronomiche e altre fantasie culinarie

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• culinarie. Si tratta di prodotti con i quali lo chef, in tempi molto ridotti, può offrire una vastissima gamma di proposte, personalizzate e uniche. Queste “condicreme” riflettono la specificità della nostra cucina italiana, che spicca a livello mondiale per la ricerca della qualità dei prodotti made in Italy. Crema di asparagi, di carciofi, di funghi porcini, al radicchio, con peperoni, ma anche paté di olive, pesto alla genovese, crema di formaggi fusi, sugo al pomodoro sono alcune delle nostre proposte. Tra i sapori maggiormente apprezzati nella nostra produzione ci sono sicuramente le salse al gusto dei carciofi, al profumo del basilico del pesto alla genovese, ma anche la semplicità del sugo al pomodoro, fino ad arrivare alla gustosità dei formaggi, alla naturalezza del radicchio, dei porcini, degli asparagi, della zucca, del paté di olive

nere o verdi, finendo poi con il tartufo. Queste ricette e il loro utilizzo in cucina riflettono i gusti sensoriali e le necessità degli italiani, bisognosi di praticità ma anche desiderosi di non rinunciare alla qualità delle varietà della nostra cucina, ai sapori mediterranei e agli odori della nostra terra. Le esigenze da parte del mondo della ristorazione che ci troviamo oggi a dover assecondare sono principalmente la praticità e la velocità nella preparazione dei pasti, ma allo stesso tempo il ritorno alle tradizioni e alle ricette di un tempo». Ricette che vedono il largo impiego spesso proprio delle salse della Top Single Service. «Se posso consigliare una ricetta proporrei il risotto ai funghi porcini. Un primo piatto gustoso e rinomato che racchiude sapienza culinaria e sapori d’autunno, proprio perché contiene il re dei funghi, ovvero il

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LUOGHI DEL GUSTO Licia Giordani

porcino. Alla preparazione classica del risotto, a cottura quasi ultimata con brodo vegetale, consiglierei di aggiungere la nostra salsa ai funghi porcini. Un modo semplice e pratico per preparare un risotto che conservi tutte le sfumature olfattive e sensoriali di questa specialità di funghi». L’italianità in cucina, si sa, sta riscuotendo sempre più successo anche all’estero, grande appassionato della cucina mediterranea e della nostra fantasia culinaria. «Quello estero è un mercato che stiamo tentando di sviluppare – prosegue Giordani -. Cerchiamo infatti di esportare e far conoscere sempre di più la ricettazione del made in Italy. È per questo che abbiamo ritenuto fonda-

mentale, oltre che per soddisfare nel migliore dei modi il mercato italiano, ottenere le certificazioni necessarie per proporci su tutto il mercato europeo, quali l’UNI-EN ISO 9001:2008, la BRC e IFS». Ma la Top Single Service non si ferma solo a questi obiettivi. Ci sono infatti in preparazione sempre nuove salse che possano incontrare i gusti e le esigenze di un pubblico sempre più assortito e variegato. «In futuro – conclude Licia Giordani –vorremmo sperimentare e proporre al mercato condimenti a base di carne o di pesce. Una prova in cui intendiamo cimentarci sempre con la stessa passione e mantenendo gli elevati standard qualitativi che ci connotano. L’azienda è costantemente

alla ricerca di miglioramento e innovazione. Siamo in crescente evoluzione anche grazie al nostro laboratorio di ricerca, attivo e dinamico, nella messa a punto di nuove ricettazioni e proposte, condotto dalla nostra biologa Loredana Marini. Il continuo miglioramento deriva proprio dalle richieste e dai consigli dei nostri clienti, che sono l’input per la creazione di nuovi abbinamenti o personalizzazione di prodotti esistenti. Non indifferente è anche la disponibilità nel realizzare produzioni a marchio terzi onde consentire anche a distributori o altre industrie di mantenere il proprio marchio».

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L’eredità della natura RISPETTARE LA NATURA, FARNE CRESCERE I FRUTTI E TRAMANDARLI È IL REGALO PIÙ GRANDE CHE POSSIAMO FARE ALLE PROSSIME GENERAZIONI L’azienda agricola Radici si trova a Loro Ciuffenna (AR) www.radici.info

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j di Amedeo Longhi i sull’unione di questi due valori – le nostre radici, il passato, e i nostri figli, il futuro –, che lavoriamo per far crescere e migliorare la nostra azienda, nel rispetto degli uomini e dell’ambiente». Con questa chiara sintesi fra stile di vita e visione imprenditoriale, Sandra Masi introduce la sua attività, che si svolge presso l’azienda agricola Radici, sulle colline fra il Valdarno e il Casentino. I terreni, posti sulle pendici del Pratomagno, si sviluppano tra i 300 e i 1400 metri di altitudine e sono un trionfo della biodiversità. Un contesto così eterogeneo, consente di ottenere una gamma di prodotti molto ampia. «Sull’altopiano di Loro Ciuffenna, vicino alle viti e a circa 300 metri sul livello del mare, coltiviamo le specie mediterranee, come i pomodori, le melanzane, i peperoni e così via, mentre in montagna

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raccogliamo frutti di bosco, castagne e buona parte della frutta che utilizziamo per le confetture». Pur rimanendo la coltivazione della terra l’attività principale, tempo e risorse sono destinati anche alla trasformazione degli alimenti: «Mettendo a frutto anni di esperienza nel campo dell’agricoltura biologica e della lavorazione dei prodotti agricoli, abbiamo realizzato una serie di specialità tipiche della nostra regione e della nostra montagna, ma che al tempo stesso presentano quella esclusività propria delle ricette, ottenuta dalla combinazione e dall’accostamento di gusti e sapori spesso dimenticati». A testimonianza dell’attenzione rivolta alla genuinità e alla naturalità dei prodotti e dei processi di lavorazione, l’azienda è socia del Coordinamento Toscano Produttori Biologici e dell’Istituto per la Certificazione Etica e Ambientale.

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LUOGHI DEL GUSTO Delio Sancisi

Valorizziamo il pesce italiano «QUI A CESENATICO, SUL PESCE NON CI ACCONTENTIAMO». PAROLA DI DELIO SANCISI, DELLA STORICA AZIENDA VENTURI, PUNTO DI RIFERIMENTO PER LA RISTORAZIONE ITALIANA

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LUOGHI DEL GUSTO Delio Sancisi

a Romagna è la terra dell’ospitalità per eccellenza ed è rinomata, oltre che per le sue strutture ricettive e per i divertimenti, anche per le ricche tradizioni gastronomiche, che trovano la loro massima espressione nel pesce. Un dato di fatto che Delio Sancisi, titolare della Venturi Srl di Cesenatico, conosce bene. L’azienda ittica,

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Recentemente mi sono reso conto di quale ricchezza rappresenti per noi la cucina italiana e di quanto ci sia da fare ancora per valorizzarla

Delio Sancisi, titolare della società Venturi di Cesenatico (FC) www.venturicesenatico.it

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sin dal 1952, ha legato la sua storia a quella del territorio e della marineria locale. Una storia che definisce il carattere e l’identità aziendale fatta di tradizione, serietà, qualità dei prodotti e dei servizi offerti. Ora, però, l’impresa è a un punto di svolta. Sin dal suo esordio la Venturi è stata innovativa nella forma distributiva e nell’attenzione ai mercati, locali ed esteri, riuscendo ad offrire una gamma completa di prodotti ittici, dal pesce fresco a quello congelato, proveniente dai mari di tutto mondo. La posizione centrale all’interno del porto di Cesenatico la pone come azienda “faro” del settore dei prodotti ittici e della marineria locale. Un riferimento, per il settore Ho.Re.Ca., che si rinnova investendo su una nuova visibilità del marchio e su nuovi standard qualitativi, sempre più alti. «Ritengo sia giunto il momento, per chi lavora nella filiera del pesce, in particolare alle sue fondamenta, di abbandonare la politica della convenienza, spesso a scapito della qualità, e di puntare sull’eccellenza dei prodotti». Grande attenzione al target alto. «Oggi i consumatori dedicano attenzione sia al servizio, sia all’offerta di piatti di alto gourmet: magari escono una volta in meno ma pretendono cibi e preparazioni particolari, che non mangiano tutti i giorni. All’ultimo Salone del Gusto di Torino mi sono reso conto di quale ricchezza rappresenti per noi la cucina italiana e di quanto ci sia da fare ancora per valorizzarla».

In questi giorni, però, si sta registrando un sensibile calo di presenze di pesce azzurro – sardine, aringhe, acciughe, sgombri e così via – in Adriatico, che da sempre ne è ricco. «Gli operatori della ristorazione – osserva in proposito Sancisi – devono poter contare su fornitori affidabili, seri, in grado di garantire una continuità nell’offerta, soprattutto per ciò che concerne la qualità, in un settore molto difficile come quello dei prodotti ittici, che risente spesso d’improvvise carenze d’offerta a causa della riduzione del pescato». È in gioco anche il nome della tradizione gastronomica italiana, che è conosciuta e apprezzata in tutto il mondo ma che necessita di rappresentanti che sappiano tenerne alto il nome. «Ritengo che nella nostra attività quotidiana si debba cambiare stile e che gli imprenditori italiani in generale debbano rendersi conto del patrimonio che la nostra offerta in campo alimentare rappresenta. I francesi lo hanno capito prima di noi e hanno avuto un grande successo in tutto il mondo, proponendo al meglio la loro gastronomia. Noi italiani dobbiamo compiere un balzo culturale, dobbiamo crescere e valorizzare le nostre risorse, la nostra offerta di prodotti, la nostra grande cucina. La riviera romagnola in questo è sempre all’avanguardia, ha sempre anticipato i gusti e le tendenze del mercato italiano e la Venturi di Cesenatico intende essere sempre protagonista in questa svolta».

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Antologia di sapori etnici

j di Luca Càvera i

LA MERAVIGLIOSA VARIETÀ DELLE CUCINE DEL MONDO RIUNITA IN UN UNICO LUOGO. FLAVIA CASTRONI FA DA GUIDA PER UN VIAGGIO ALLA SCOPERTA DELL’ESOTICO. SENZA LASCIARE LA CAPITALE

Camilla, Ludovica e Flavia Castroni, dell’omonimo marchio di negozi di particolarità culinarie che si trovano a Roma www.castronicoladirienzo.com

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LUOGHI DEL GUSTO Flavia Castroni

Viaggiando in tutto il mondo, ci siamo specializzati sempre più nell’importazione di prodotti tipici di culture lontane

iù che una serie di punti vendita, un atlante di sapori e aromi di tutto il mondo. Che, diversamente dagli atlanti, grandi libri da sfogliare, possono essere colti con tutti i sensi nella loro pienezza. È questo l’universo sensoriale che chi vive a Roma, o vi si trova di passaggio, può incontrare superando l’uscio di uno dei negozi Castroni. L’immensa raccolta di specialità culinarie, italiane e globali, è merito del lavoro di Roberto Castroni, esploratore dell’etnico e instancabile visitatore delle fiere di tutto il mondo, nelle quali seleziona i prodotti che poi è possibile trovare esposti sugli scaffali romani. «Sapori dell’Estremo Oriente e del Sud America, una ricca varietà di sali e pepi, cucine poco conosciute come quella scandinava o quella thailandese, caffè e tè esotici e non mancano le specialità delle nostre numerose regioni». È questa la ricca sintesi – tuttavia non esaustiva – di questo universo di aromi tracciata da Flavia Castroni, che con la sorella Ludovica e la cugina Camilla rappresenta la

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quarta generazione della famiglia e che insieme a loro gestisce il negozio di via Frattina. «Viaggiando in tutto il mondo, ci siamo specializzati sempre più nell’importazione di prodotti tipici, rappresentando oggi un punto di riferimento per tutti gli stranieri trapiantati nella capitale e che vogliono sentirsi a casa. Ma anche per gli italiani che, tornati da un viaggio, desiderano rievocare una cultura alimentare appena scoperta». Tra gli alimenti attualmente più richiesti, Flavia indica gli shirataki. «Sono gli spaghetti originari del Giappone, che hanno come punto di forza l’assenza pressoché completa di calorie e carboidrati. Sono pronti dopo una cottura di appena 4-5 minuti e si prestano a essere ripassati in padella con le verdure più varie. Oppure possono essere “italianizzati” un po’ conditi con un sugo leggero a base di pomodori Pachino». Altra specialità, stavolta dalla cucina caraibica, è il pimento, anche detto pepe giamaicano. «È una spezia ricavata dai frutti essiccati della pimenta dioica, albero sem-

preverde originario della Giamaica. Si utilizza per speziare la carne essiccata o affumicata, fa la sua comparsa in molte salse della cucina messicana ed è usato per la conservazione dei cibi in una sorta di salamoia detta pickling. È molto utilizzato in Medio Oriente per insaporire molti piatti, negli Stati Uniti lo si usa per i dolci, ma è anche uno dei principali ingredienti del Cincinnati chili». Il viaggio fra i sapori è tuttavia ancora molto lungo e può concedersi una sosta con l’hummus, salsa araba che ha per ingrediente principale la tahina – ovvero la polpa di sesamo – e che di solito accompagna il pane arabo o verdure crude tagliate a bastoncino. «Per preparare l’hummus servono 1 cucchiaio e mezzo di tahina, 1 barattolo di ceci precotti, il succo di 1 limone, 1 spicchio di aglio, prezzemolo tritato e olio extravergine di oliva. Dopo aver scolato e sciacquato i ceci, bisogna metteteli in un robot da cucina con gli altri ingredienti, unendo circa due cucchiai di olio. Il risultato sarà una salsa cremosa e gustosa».

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Il cefalo

è servito

j di Emanuela Caruso i

UNA CUCINA DOVE SAPORI ROMAGNOLI E INTERNAZIONALI SI FONDONO PER DELIZIARE OGNI PALATO. MICHELE AMADEI PRESENTA IL RISTORANTE 3 CORTI

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LUOGHI DEL GUSTO Michele Amadei

oka di cefalo, salicornia delle saline di cervia all’agro, scalogno caramellato all’Albana secco di Romagna, passata di fagioli cannellini, bietole all’aglio e biscottino al pomodoro e acciughe. Potrebbero sembrare tante e gustosissime pietanze diverse, e invece sono tutti componenti di un’unica ricetta, che unendo svariati ingredienti – tra cui filetto e lische di cefalo, erba cipollina, limone, scalogni, zucchero semolato, olio extra vergine d’oliva, pomodoro secco, bietola, fagioli cannellini e pasta brisè – crea un piatto dal sapore pieno e variegato ed esteticamente curato e moderno. Impiattato, infatti, si offre alla vista come un piattino rettangolare che nella parte destra vede la presenza di un bicchierino contenente la moka di cefalo su cui viene appoggiato il biscottino di pasta brisè, mentre sulla sinistra – parte da cui comincerà la degustazione – pone i filetti di cefalo adagiati sulla passata di fagioli cannellini e accompagnati con la salicornia, gli scalogni e le bietole. A proporre questa elaborata delizia è

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il Ristorante 3 Corti del Grand Hotel Forlì, diretto dal 2011 dai soci Michele Amadei, anche chef del ristorante, Agostino Scialfa e Simone Muccioli. «Il nostro hotel 4 stelle superior – commenta Michele Amadei – mira a offrire il miglior servizio a tutti coloro che lo scelgono per una vacanza, una piccola pausa dal lavoro o per meeting e congressi. I punti salienti del Grand Hotel Forlì sono le 50 camere e le 2 suite, il terrazzo-piscina con solarium, il centro benessere ed estetica, le 3 sale congressi e, non meno importante, proprio il ristorante». Pensato per soddisfare non soltanto i palati degli ospiti dell’hotel, ma anche quelli di una più vasta clientela esterna, il Ristorante 3 Corti è diventato da poco anche pizzeria, e mettendo a disposizione un menu dove la cucina romagnola e quella internazionale si uniscono in un perfetto connubio, è in grado di deliziare ogni singolo ospite della struttura. «Il Ristorante gourmet 3 Corti – continua ancora lo chef Michele Amadei – ha una capienza massima di 500

coperti distribuiti su tre sale e si pone come location ideale per meeting, convention, pranzi aziendali, cene di gala e cerimonie varie, in particolare matrimoni. Gestiamo la cucina in modo tale da proporre antipasti, primi, secondi, contorni e dolci che siano sempre capaci di sorprendere il gusto dei palati più raffinati, siano essi italiani, europei o internazionali. I nostri menu vengono offerti tramite il servizio al tavolo o a buffet, e sono ampiamente personalizzabili, così da andare incontro a qualsiasi esigenza di budget e di immagine».

Alcune delle prelibatezze servite al Ristorante 3 Corti del Grand Hotel Forlì www.grandhotelforli.com www.ristorante3corti.com commerciale@grandhotelforli.com

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LUOGHI DEL GUSTO Claudio e Sabrina Piantini

Rieducare al gusto

di Valerio Germanico

CLAUDIO E SABRINA PIANTINI, UNA PASSIONE CHIAMATA CIBO E VINO. COLTIVATA FRA I PIATTI DEL RISTORANTE TORRE GUELFA, FIORITA IN UNA SCUOLA DI CUCINA E ARRICCHITA DALLE ESPERIENZE DEI VIAGGI DEL GUSTO

groalimentare, educazione all’alimentazione, cultura della tavola, filiera corta, tipicità territoriale e ovviamente genuinità. Sono questi i termini che riassumono la filosofia di Claudio Piantini, chef del ristorante “ChefClaudio” e anima della “Scuola di cucina” di Torre Guelfa, realtà che, fiorite intorno alla sua figura, trovano oggi perfetta armonia con le esperienze enogastronomiche organizzate da Sabrina, tour advisor per l’azienda. «Questi temi sono tutti di assoluta attualità, ho scelto di raccoglierli per farne il piatto finale del mio ristorante. In realtà, però,

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questi concetti hanno sempre fatto parte del nostro patrimonio genetico, trasmesso da una famiglia legata alla vita agreste. Ciò che in noi si è certamente evoluta è la consapevolezza di essere uno degli anelli di una catena che a partire dalla terra percorre gli allevamenti e le colture, attraversa le prime trasformazioni nei mansi o nelle macellerie, nei frantoi o nelle cantine, e giunge alla cucina in un tripudio di odori, sapori e colori». Espressione del pensiero diventa il nuovo ristorante, che – completato il recupero del casolare e della piccola azienda agricola di Figline Valdarno –, diventa luogo d’incontro fra coloro che “atten-

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LUOGHI DEL GUSTO Claudio e Sabrina Piantini

La mia missione non è insegnare le ricette, bensì stimolare la passione del cucinare

tamente” producono e coloro che “attentamente” consumano. Intorno al ristorante è nata quindi la “Scuola di cucina”, poi un piccolo relais per accogliere gli ospiti nella “Casa dello chef ” e infine un tour operator, per guidare gli ospiti attraverso viaggi intorno alla cultura delle eccellenze, cercando di armonizzare ricchezze naturali e opera dell’uomo, per essere coinvolti proprio dagli uomini che con la loro passione tramandano mestieri, arti e conoscenze. «Non ho mai pensato di stilare una lista della spesa, bensì di scegliere il meglio fra ciò che mi circonda. E, solo dopo, decidere come armonizzare tutti i sapori e

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saperi nel piatto». Claudio è così partito da quelle cose già disponibili nell’azienda agricola: gli animali dell’aia, allevati a terra, e le verdure dell’orto. «Solo in seguito sono andato alla scoperta di “complici” che, nelle loro realtà, avessero la stessa animosità. E mi sono ritrovato, all’inizio di questo percorso, a chiedermi quale fosse il giusto criterio di scelta. E fra tutte le risposte, come spesso accade, c’era quella naturale, celata – tutta da scoprire – dietro le sirene degli eccessi. Per me la questione era rieducare al gusto». Ed ecco come sono nate la Scuola di cucina e i Viaggi del Gusto. Il cibo come espressione e stile di vita, come valore in-

trinseco di terra, luce acqua e fuoco. «La missione che ci siamo dati – dice Claudio – non è tanto quella di insegnare le ricette, quanto quella di stimolare la passione del cucinare. E aggiunge Sabrina: «Essere pronti a entusiasmarsi e diventare viaggiatori alla scoperta di saperi e sapori radicati nel territorio». Un viaggio prima spirituale, attraversando innumerevoli sensazioni, e poi temporale, percorrendo le strade non battute alla ricerca della “corrispondenza degli amorosi sensi”. Ed ecco che la nostra esperienza diventa il viaggio infinito “alla conoscenza del prossimo scalo” per far propri saperi e ricchezza».

Claudio e Sabrina Piantini del ristorante “Torre Guelfa” di Figline Valdarno (FI) www.torreguelfa.it

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LUOGHI DEL GUSTO Letizia Valenzano

Un “dolce” relax BENESSERE E CUCINA, UN CONNUBIO STRETTO, IN CUI IL DOLCE “VINCE” PER IL PALATO E NON SOLO, COME SPIEGA LETIZIA VALENZANO

di Roberta De Tomi

colori e i frutti della Puglia, raccontati nei libri dedicati alla commissaria Lolì di Gabriella Genisi, arrivano sulla tavola di Corte Altavilla, struttura ricettiva dove il benessere “è di casa”, insieme ai prodotti, locali. «All’interno del Thermarium – è previsto un percorso che chiamiamo Salus Per Aquam, un antico bagno romano dove, invece delle piscine, si trova una vasca idromassaggio. Da qui si arriva alla doccia cromoterapica ed alla zona umida per effettuare un bagno di vapore che serve ad allargare i pori della pelle. All’uscita viene effettuato da operatrici uno scrub del corpo su una pietra riscaldata, seguito dall’immersione nella vasca idromassaggio. Di li, salendo le scale, si accede alla zona relax e ti-

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L’Hotel Corte Altavilla ha sede a Conversano (BA) www.cortealtavilla.it

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saneria. Tra i trattamenti che pratichiamo, si distinguono quelli in cui impieghiamo il cioccolato, che oltre a proprietà aroma-terapiche, che agiscono positivamente sul benessere psico-fisico della persona, hanno un effetto idratante e nutriente sulla pelle». I prodotti locali vanno forte sulle tavole di Corte Altavilla, con grande attenzione alla frutta e a primizie dolci. «La nostra cucina, tutta mediterranea – spiega la direttrice, Letizia Valenzano - non prevede regimi dietetici legati al percorso benessere inteso non tanto come salute in senso stretto quanto come puro relax. Per questo attingiamo soprattutto a menù tipici e locali di terra e mare. Un piatto curioso: i paccheri con ragù di cicala mediterranea. Prodotti locali: dalle

burratine alla ricotta, che è un alimento di base per molti piatti, dalle mandorle alle noci, passando per i funghi. Non può mancare la frutta dei nostri territori, la ciliegia del distretto di Conversano-Turi e l’uva del distretto Conversano-Rutigliano. E per i vini, abbiamo tutti quelli di Puglia: da quelli realizzati con uva di Troia a quelli con bacche di Negroamaro passando dai chicchi di forzuto Primitivo». «Nostri dolci di punta – prosegue – sono la crostata di ricotta e pere, abbinabile a un Paule Calle Passito Salento Igt e lo spumone di Conversano. Si tratta di un gelato ai gusti di nocciola e cioccolato, diviso in quattro parti e che al centro ha un cuore morbido di crema. Questo dolce è perfetto con un semplice spumante dolce».

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LUOGHI DEL GUSTO Piergiorgio Ciana

Il mare, vero protagonista RISTORANTI IN CUI VENGONO RIPROPOSTI TUTTI I SAPORI DELLA LIGURIA. DALL’ORATA IN GUAZZETTO DI OLIVE TAGGIASCHE E PINOLI AL VINO GOLFO DEL TIGULLIO di Matteo Grande

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ull’incantevole lungomare che conduce a Portofino si gode una splendida vista del Golfo. Una passeggiata in perfetto stile mediterraneo dove il verde e il blu si confondono nella stessa tavolozza di colori. In una posizione ideale tra il Parco Naturale Regionale del Monte di Portofino e il Parco Nazionale delle Cinque Terre, in perfetto stile Mediterraneo, incontriamo il ristorante dello storico Hotel Regina Elena, nato agli inizi del novecento, di proprietà della famiglia Ciana, albergatori dal 1897. Dalla veranda si possono sentire tutti i profumi della Liguria. Profumi che, al Regina Elena come in un’epifania, vengono riproposti nei Ristoranti Principessa e La Conchiglia. Una cucina profumata e aromatica, di sole e vivacità, di terra e di mare, dove i cibi sono serviti sulla trasparenza dei piatti, che ne esaltano la qualità. «Quelli che proponiamo – spiega il direttore Piergiorgio Ciana - sono piatti semplici e delicati, che testimoniano una preparazione naturale e genuina. Vengono conditi con un filo d’olio crudo, prezioso tesoro della nostra terra. Il pesce è valorizzato nel menù del giorno dello chef, che seguendo i prodotti e l’offerta del mercato, propone le materie prime di stagione. Tra le sue proposte

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la carne non manca mai, ma è il mare il vero protagonista». Nel Ristorante Principessa lo chef propone una cucina profumata e aromatica. «Alcuni esempi sono l’insalatina di asparagi, le code di gamberi e patate al vapore su lettino di misticanza con citronette al lime. Da provare, anche o tagliolini di semola all’uovo con ragù di trigliette di scoglio, pomodorini ciliegia e basilico nostrano. Oppure le classiche linguine saltate, con vongole veraci, verde di zucchine e bottarga di muggine. Sempre per gli amanti del pesce, proponiamo la scaloppa di orata in guazzetto di olive taggiasche e pinoli con tortino di patate, oppure il carpaccio di ombrina marinata con coriandolo e pepe rosa in salsa pizzaiola cruda. Più delicato, invece, il flan di branzino con brunoise di verdurine di stagione e fondutina di crostacei. Infine, i dolci, diversi ogni giorno: si va dal tortino al fondente nero e salsa al pistacchio alla millefoglie croccante con crema soffice alla nocciola e salsa al cioccolato. Oppure la bavarese alla frutta, la panna cotta, la crème brûlé o il semifreddo all’arancia. Variegata è la carta dei vini, numerose le etichette, tra cui i Doc Golfo del Tigullio – Portofino, quelli delle Tre Venezie, Campania, Piemonte e molti altri». Il Ristorante Principessa,

I piatti vengono conditi con un filo d’olio crudo, prezioso tesoro della nostra terra

con l’ampia sala circolare e la veranda che affaccia direttamente sul mare di Santa Margherita Ligure, è l’ideale anche per feste private, matrimoni, banchetti e cene di gala. Nei mesi estivi è aperto il Ristorante La Conchiglia, che si trova nella spiaggia privata dell’hotel. «In spiaggia si ritrova lo stile del ristorante Principessa, ma con un maggiore assortimento di focacce liguri, ricche insalate e piccoli snack. Anche qui per gli eventi sono a disposizione gli ampi spazi in spiaggia, in un’atmosfera accogliente e sportiva».

L’hotel Regina Elena con i Ristoranti Principessa e La Conchiglia si trova a Santa Margherita Ligure (GE) www.reginaelena.it

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LUOGHI DEL GUSTO Claudio Faccini

La Casaletti Srl ha sede a Gonzaga (MN) www.casalettiarredamenti.it

Entusiasmare

e stupire COSÌ SI RIASSUMONO GLI OBIETTIVI A CUI MIRANO I LOCALI GASTRONOMICI MODERNI. NE PARLA CLAUDIO FACCINI

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LUOGHI DEL GUSTO Claudio Faccini

leganza dei dettagli, soluzioni originali e atmosfera accogliente. Sono questi i fattori che in locali pubblici e commerciali come bar, wine e lounge bar, gelaterie, pasticcerie, caffetterie e ristoranti rendono ancor più unica la degustazione di piatti, vini e cocktail dai sapori e dagli aromi indimenticabili. E rendere emozionanti spazi polifunzionali, flessibili e in continua trasformazione come quelli elencati poc’anzi non è cosa da niente, poiché alla massima resa estetica è necessario unire la massima resa funzionale. Come spiega Claudio Faccini, amministratore unico dell’impresa Casaletti, società sita a Gonzaga, in provincia di Mantova, e specializzata in progettazione e realizzazione su misura di arredi per locali pubblici: «le competenze da mettere in gioco sono tante. Per prima cosa bisogna analizzare l’ambiente in cui si va a intervenire, valutandone spazi e

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contesto, e rendendo così possibile la progettazione di soluzioni personalizzate. A questa fase segue quella cruciale della scelta delle materie prime da utilizzare, dei materiali da impiegare e dello stile con cui abbinare questi due elementi e con cui integrarli all’ambiente circostante. In sostanza, il compito dell’arredatore è quello di creare contesti originali e spazi innovativi in modo da sedurre, incuriosire ed entusiasmare non soltanto il commitente del lavoro, quanto piuttosto chi, ad arredo ultimato, si recherà nel locale». Per essere certi di ottenere un risultato finale di elevata qualità e davvero in grado di emozionare, tutte le fasi di lavorazione vengono eseguite nello stabilimento della Casaletti. Claudio Faccini fa, infatti, presente che «se le lavorazioni dell’acciaio, del legno e della verniciatura vengono effettuate in azienda, è possibile seguire e controllare ogni step dell’iter

Il nostro compito di arredatori è quello di creare contesti originali e spazi innovativi in modo da sedurre, incuriosire ed entusiasmare

progettuale e produttivo, garantendo così la realizzazione di componenti perfetti al millimetro. Anche le fasi di montaggio e installazione – affidate a realtà referenziate e specializzate – sono costantemente tenute sott’occhio dal nostro personale, sempre pronto a risolvere qualsiasi problema e a rispondere in maniera efficace a ogni eventuale esigenza futura del committente».

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Dal prodotto al progetto GABRIELLA EMANUELE PRESENTA UNA “RICETTA” CHE COMBINA I PRODOTTI DEL TERRITORIO E GLI INVESTIMENTI NEL MERCATO INTERNAZIONALE. UNA SIMBIOSI PER LO SVILUPPO

j di Manlio Teodoro i bbiamo sempre puntato molto sul territorio e quindi sui suoi prodotti. Come il tartufo di Alba o la rinomata cucina delle Langhe con i suoi vini. Con questi prodotti è facile attirare numerosi clienti stranieri che, incuriositi da queste attrattive, vengono a visitare il nostro territorio e conseguentemente anche la nostra azienda. Puntiamo moltissimo su questa “ricetta” per farci conoscere. Si tratta di una miscela tra prodotto del territorio e investimenti nel mercato internazionale». Gabriella Emanuele, amministratore delegato di Cosmo, sottolinea così il proprio attaccamento nei confronti della terra cuneese. L’azienda, fondata per la costruzione di macchinari agricoli – come spaccalegna, biotrituratori e ranghinatori stellari –, negli anni si è specializzata nella progettazione e costruzione di macchine spandi-

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Una delle macchine spandiconcime progettate e prodotte dalla Cosmo Srl di Busca (CN) www.cosmosrl.com

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concime, spandisale e miscelatori, che oggi esporta in tutto il mondo. «Il 95 per cento delle nostre macchine, interamente “made in Cuneo”, sono destinate al mercato estero, in particolare al Nord America, ma anche Russia, Nord Africa e Nuova Zelanda. Attualmente stiamo consolidando la nostra presenza in India. Siamo entrati nel continente indiano con una nuova idea, trasformando una macchina di serie spandiconcime in una macchina che permette agli agricoltori indiani di seminare il riso direttamente in acqua». A volte semplici idee permettono di conquistare grandi porzioni di mercato. «Quello che contraddistingue la nostra strategia non è soltanto lo sviluppo di nuovi modelli, bensì – come nel caso indiano – l’adattamento delle macchine esistenti alle esigenze dei diversi mercati. Ed è questo che ci ha permesso di raggiungere gli attuali traguardi».

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Nuove tendenze SAPORI TRADIZIONALI RICREATI ATTRAVERSO LA TECNOLOGIA DI TRITTICO速, UNA MACCHINA VERSATILE, UTILE ALLO CHEF, COME SPIEGA GIUSEPPE BRAVO

j di Roberta De Tomi i

Ottobre 2012


TECNOLOGIE Giuseppe Bravo

arigi, crocevia delle tendenze culinarie mondiali, è un punto di riferimento per molte forchette. Sia i palati più robusti che quelli più raffinati cercano di tuffarsi in un mare di sapori diversi senza in realtà sapere che si tratta di elaborati realizzati attraverso una macchina. Si chiama Trittico®, e può realizzare prodotti di gelateria, pasticceria e cioccolateria e molte altre novità di prodotto che Bravo Spa, l'azienda italiana all’interno della quale è stata ideata tale tecnologia, sviluppa giorno per giorno. «Trittico® – spiega l’amministratore Giuseppe Bravo – è una macchina nata nel 1974 da un’intuizione di Genesio Bravo, fondatore e presidente dell’azienda. La sua idea ha rivoluzionato il mondo della gelateria artigianale, dove la lavorazione dell’alimento prevedeva l'utilizzo di tre macchi-

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nari: pastorizzatore, tino di maturazione e mantecatore. La Bravo ha inglobato tali funzioni in una sola macchina, Trittico®, composta da una vasca verticale superiore che riscalda e cuoce come una pentola sul fuoco, e una inferiore orizzontale che raffredda e congela. Le due vasche sono separate ma collegate tramite un condotto interno brevettato che garantisce la massima igiene dei prodotti e la loro assoluta qualità, perché elimina ogni possibilità di manomissione nel passaggio dalla cottura all’abbattimento.» La macchina è stata poi affinata per rivolgersi ad altri ambiti del mondo del dessert. «Negli anni Ottanta, con l'apertura dela filiale di Parigi, Trittico® è stato visto da grandi chef francesi e assieme a loro abbiamo capito le sue innumerevoli potenzialità in laboratorio e in cucina: il meccanismo di cuocere sopra e

raffreddare sotto di Trittico® si applica alla maggior parte delle lavorazioni non solo di pasticceria ma anche di ristorazione. La tecnologia di Trittico® e i suoi numerosi brevetti garantiscono il rispetto delle temperature e dei tempi di cottura e di raffreddamento, di posa, di velocità di miscelazione, senza margine di errore. Attraverso la tecnologia riusciamo a dare al professionista tutto ciò che gli serve e possiamo permettergli di realizzare cibi che ricalcano l’artigianato culinario. Con Trittico® oggi è possibile realizzare un intero menù: dall’antipasto al dessert!». Trittico® permette di portare la capacità pratica di produzione direttamente nelle mani del professionista attraverso la memoria digitale della macchina che contiene l’esperienza dei più grandi maestri di gelateria e di pasticceria. «Abbiamo fatto conoscere il “macaron” già nel 2007 e poi abbiamo sempre anticipato anche altri prodotti di tendenza nei nostri Bravo Trittico Club – continua Giuseppe Bravo.” I Trittico Club sono eventi dimostrativi realizzati presso i nostri concessionari nel mondo con chef di alto prestigio e rivolti in particolare agli artigiani per mostrare loro che oggi la tecnologia permette non solo una maggiore produttività, ma anche di mantenere intatti i sapori artigianali.

Giuseppe Bravo, amministratore della Bravo Spa ha sede a Montecchio Maggiore (VI) www.bravo.it

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