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OSSIER TOSCANA L’INTERVENTO ..........................................9

ECONOMIA E FINANZA

Ferruccio Dardanello

PRIMO PIANO

POLITICA ECONOMICA .....................46 Enrico Rossi Vasco Galgani

IN COPERTINA.......................................10 Gianni Gori

ENERGIA .................................................50 Uberto Canaccini

RITRATTI..................................................18 Corrado Passera

TECNOLOGIE.........................................56 Alessio Brogi Giuliano Castori Massimiliano Boggetti Sonia Beccani

GLI ASSET PER LO SVILUPPO..............................22 Giorgio Squinzi SPENDING REVIEW............................26 Andrea Pieroni Matteo Renzi Roberto Cenni

INNOVAZIONE.......................................66 Massimiliano Sorcinelli Belisario Pini Giorgio e Tito Bigagli EXPORT ...................................................74 Pierluigi Benaglio

LIBERALISMO.......................................34 Gaetano Quagliariello Giovanni Orsina Vincenzo Olita IL LINGUAGGIO DELLA POLITICA .................................40 Patrizia Catellani Klaus Davi Renato Mannheimer

STILE ITALIANO ...................................78 Claudia D’Arpizio Armando Branchini Gioacchino Attanzio Gaetano Aiello Raffaello Napoleone Laudomia Pucci Patrizia Bambi Rosanna Marzi Eugenio Alphandery MADE IN ITALY.....................................98 Martina Congera Francesco Giannoni Giuseppe Fossati Carlo Carmagnini Raffaele Rimetti Andrea Lazzeri Alessandro Casini Philippe Zecchetto Alberto Casini MODELLI D’IMPRESA .......................116 Francesco Santini Carla Basagni Gabriele Zani Maurizio Bozzi Barbara Biancalani

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IL DISTRETTO TESSILE .................126 Roberto Morganti Massimo Milani Giampiero Lombardi Alessio Nencioni Valentina Hu Ying Chun PRODOTTI ALIMENTARI.................136 Simone Perzia


Sommario TERRITORIO

AMBIENTE

TRADIZIONI TOSCANE ....................138 Rubina Gianchecchi

LOGISTICA............................................152 Bino Fulceri

POLITICHE ENERGETICHE ............186 Francesco Starace Tiziano Pieretti

ENOLOGIA ............................................140 Patrizia Cencioni

TRASPORTI..........................................154 Anna Sodi

CREDITO & IMPRESE ......................144 Lo scenario toscano Ennio Doris Giuseppe Guzzetti

MERCATO IMMOBILIARE ...............156 Corrado Sforza Fogliani Gli immobili di pregio Jeremy Onslow-Macaulay Roger Coombes EDILIZIA.................................................164 Loris Zanfranceschi RIQUALIFICAZIONE ..........................166 Vito Riela INTERNI ................................................168 Lando Masi MATERIALI ...........................................170 Sergio Sacchetti TURISMO...............................................172 Renzo Iorio Maurizio Maddaloni Bernabò Bocca Cristina Scaletti Paolo Corchia Sirio Bussolotti

RINNOVABILI ......................................190 Leandro Lascialfari GESTIONE RIFIUTI ............................192 Nino Di Matteo

GIUSTIZIA SEMPLIFICAZIONE NORMATIVA.........................................196 Luciana Breggia Massimo Giaccherini Carlo Poli

SANITÀ TRAPIANTI ..........................................204 Alessandro Nanni Costa Il sistema toscano POLITICHE ANTIDROGA................209 Giovanni Serpelloni COSMETICA ED ESTETICA ............214 Cesare Sodini MEDICINALI ERBORISTICI.............216 Giorgio Sismondi DISPOSITIVI MEDICI.........................218 Luigi Salvadori

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L’INTERVENTO

Proposte per la crescita di Ferruccio Dardanello, presidente di Unioncamere

opo quattro anni di crisi, il tessuto produttivo del Paese appare chiaramente provato. Queste difficoltà si riflettono in maniera diretta sull’occupazione che, secondo i primi dati del sistema informativo Excelsior di Unioncamere e Ministero del Lavoro, quest’anno potrebbe ridursi di altre 130mila unità. Il quadro che emerge dalla lettura del Rapporto Unioncamere, diffuso in occasione della 10° Giornata dell’economia alla presenza del ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera, mette in evidenza il fatto che le manovre di finanza pubblica, indispensabili per riportare i conti sotto controllo e riguadagnare la fiducia dell’Europa e dei mercati internazionali, quest’anno avranno un costo, in termini di recessione, molto elevato: -1,5% il calo del Pil che prevediamo quest’anno, con picchi intorno al -2% per quasi tutte le regioni meridionali. È chiaro che oggi il rigore non basta. Bisogna tornare a crescere, con interventi cantierabili nell’immediato che rilancino i consumi e attivino di nuovo la propensione all’investimento. L’aspetto che abbiamo ben presente, dopo questi anni così difficili, riguarda il fatto che i grandi mutamenti dello scenario geopolitico e le ricorrenti crisi del sistema economico-finanziario mondiale ci hanno fatti entrare in un’era nuova. Dobbiamo prenderne atto e smettere di comportarci come se tutto, tra poco, dovesse tornare com’era prima. Non succederà. Se l’impresa si riorganizza

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nel segno dell’efficienza, della qualità e dell’innovazione, anche le istituzioni - e le Camere di Commercio per prime lo sanno - devono fare lo stesso. Per questa ragione, abbiamo identificato cinque temi su cui lavorare e su questi abbiamo sviluppato le nostre proposte. Gli interventi che abbiamo ideato sono diversi e tutti privi di oneri sul bilancio dello Stato; riguardano la semplificazione, l’internazionalizzazione, gli investimenti, il credito, la diffusione delle imprese e il supporto al lavoro. Tra questi, la possibilità di ammortizzare gli investimenti aggiuntivi delle imprese in tre anni per rilanciare lo sviluppo; un patto tra governo e Camere di Commercio per portare sui mercati internazionali altre 10mila imprese nel prossimo triennio; una disciplina speciale che impedisca il fallimento delle aziende causato dai ritardi nei pagamenti della Pa, ma anche la proposta molto concreta - già affidata al Parlamento - di attribuire alle Camere di Commercio il compito di rilasciare una certificazione formale del credito tra imprese, esigibile in sede giudiziaria con tempi rapidissimi. Per sostenere la diffusione delle imprese, inoltre, proponiamo un rinvio dei pagamenti Iva e Irap per i primi due anni di attività delle nuove realtà mentre, in materia di lavoro, chiediamo di sostenere concretamente la riforma dell’apprendistato in chiave europea, realizzando un sistema stabile di certificazione delle competenze che, come in Germania, faccia perno sulle Camere di Commercio. TOSCANA 2012 • DOSSIER • 9


IN COPERTINA

LA DIVERSIFICAZIONE PRODUTTIVA COME STRUMENTO DI CRESCITA «Il dinamismo di Graziella Green Power ha fatto del business dell’energia, in un tempo molto breve, il secondo fondamentale pilastro dei ricavi della Holding», afferma il presidente Gianni Gori, che nel 2011 conta un utile di esercizio simile al comparto luxury Elisa Fiocchi

e energie rinnovabili rappresentano la sfida del Gruppo Graziella, l’azienda aretina del fashion fondata nel 1958 e conosciuta in molti paesi come una delle più importanti realtà italiane nel campo della gioielleria. Accanto al business storico, la società ha attuato strategie di diversificazione produttiva nel settore energetico con la creazione di “Graziella Green Power” che dal 2010 a oggi ha realizzato più di 30 Mw di fotovoltaico, tutti di proprietà, collocandosi ai primi posti in Italia per potenza installata. La società è inoltre titolare di quindici permessi di ricerca (il 10 per cento del totale presentati nel nostro paese) per lo sfruttamento delle risorse geotermiche a media entalpia e sta realizzando impianti per la produzione di SynGas da scarti di biomassa vegetale provenienti dalla lavorazione del legno o dalla cura del verde pubblico, tutto con tecnologie a zero impatto am-

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bientale. «Utilizzando la più avanzata tecnologia disponibile, che consente di ottimizzare il rendimento di produzione di energia elettrica anche in condizioni di basso irraggiamento solare, saremo in grado di produrre ogni anno circa 20 milioni di kWh, pari al consumo medio di 9.100 famiglie» afferma il presidente di Graziella Holding Spa, Gianni Gori, che illustra la natura degli investimenti nel campo della produzione di energia da fonti rinnovabili e i futuri scenari di un’azienda fashion che nell’energia pulita e sostenibile ha posto le basi della sua crescita. A fine aprile la produzione è aumentata del 16 per cento rispetto alle stime, con un ricavato aggiuntivo di 0.9 milioni di euro: l’ingresso nel comparto dell’energia quale valore aggiunto ha apportato al gruppo Graziella? «Non è stata un’operazione di tipo finanziario ma una diversificazione di tipo industriale destinata a darci

in futuro un contributo ancora più importante, perché non vogliamo capitalizzare quanto già fatto, ma investire ancora per internazionalizzare e continuare a crescere. Le crisi reiterate del nostro business storico, ci hanno messo di fronte a due principali opzioni: difendere le nostre posizioni nel business jewels, aspettando una ripresa dei consumi e impiegando nel frattempo le nostre risorse in operazioni finanziarie, oppure seguire la nostra vocazione industriale, ricercando opportunità di business dentro e fuori il nostro perimetro abituale. Credo che aver scelto la seconda strada, considerati i risultati fino ad ora acquisiti e le prospettive, sia stata un’ottima scelta». A quanto ammonta la produzione energetica attuale? «Grazie ad un approccio molto dinamico, già nel 2011 abbiamo prodotto 9,2 milioni di kw con impianti a terra che diverranno 40 milioni, sufficienti a soddisfare il bisogno energetico di 20mila fa- ❯❯


Gianni Gori

Gianni Gori, presidente di Graziella Holding Spa

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IN COPERTINA

❯❯ miglie nel 2012, anche grazie ad installazioni sulle coperture di edifici industriali che abbiamo nel frattempo realizzato. Questa seconda modalità, anche se più onerosa, ha dal punto di vista ecologico il pregio di non occupare suolo e di bonificare le coperture degli edifici dall’amianto presente». Oltre al fotovoltaico, su quali altre fonti energetiche collocate gli investimenti? «Nel 2012 abbiamo acquisito una società che opera nel campo della geotermia e costituito una società che avrà il compito di sfruttare le bioenergie. Se devo fare un consuntivo del grado di realizzazione degli obiettivi che la holding si era posta per il biennio, posso senz’altro dichiarare che la mia soddisfazione è ancora più grande, pensando che è il risultato di una buona strategia e anche della managerialità e della competenza dei miei soci e collaboratori».

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Quale pensa sarà l’impatto del Quinto Conto Energia sul settore e, nello specifico, sulla vostra attività? «Il futuro che si prospetta in Italia per il fotovoltaico sarà caratterizzato da una sensibile diminuzione della dinamica delle installazioni di nuovi impianti per effetto dei maggiori vincoli e delle riduzione delle tariffe. Il fotovoltaico non potrà quindi più essere considerato, come in passato, una specie di prodotto finanziario, piuttosto una vera attività industriale

L’Italia fu uno dei pochi detentori e utilizzatori di una propria tecnologia dell’atomo per produrre energia e mi piace pensare che, grazie alle nuove tecnologie, saremo di nuovo protagonisti in questa fase in cui la domanda di energia offre formidabili opportunità


Gianni Gori

20.000

FAMIGLIE SARANNO, SECONDO LE PREVISIONI, QUELLE CHE L’AZIENDA RIUSCIRÀ A SERVIRE PER IL FABBISOGNO ENERGETICO, PRODUCENDO FINO A 40 MILIONI DI KW

quando produrrà per il mercato o per un sistema d’efficienza energetica quando si tratterà di auto produzione». Quali aspetti non deve trascurare un’azienda italiana, affinché l’investimento in campo energetico possa avvenire con successo? «Per chi vorrà fare industria da fonti rinnovabili e vorrà crescere, si porranno le problematiche più generali di tutta l’industria italiana, come la necessità di internazionalizzazione, la dimensione aziendale e la capacità finanziaria. Per quanto ci riguarda, vogliamo essere produttori significativi di energia pulita da più fonti con più tecnologie, a partire dall’Italia, e non ci spaventa l’eventuale successiva fase di internazionalizzazione. Con Gra-

ziella Jewels, ad esempio, abbiamo a suo tempo accettato questa sfida e oggi proviene dall’estero più del 90 per cento del suo fatturato». Il nostro paese quale sfida dovrà cogliere in futuro per mantenersi competitivo? «Ritenendo prevedibile un aumento rilevante e prolungato nel tempo della domanda mondiale di energia pulita, l’Italia non dovrebbe perdere l’opportunità di essere fra i maggiori sviluppatori e utilizzatori di queste tecnologie e mi riferisco non solo al fotovoltaico, ma anche al geotermico e alle biomasse. Alcuni decenni fa, prima di rinunciare, il nostro paese fu uno dei pochi detentori e utilizzatori di una propria tecnologia dell’atomo per produrre energia.

Mi piace pensare che, grazie alle nuove tecnologie, si possa tornare protagonisti in questa fase in cui la domanda di energia offre formidabili opportunità». Quali politiche mirate dovranno confluire in questa direzione? «Per renderlo possibile occorre fare sistema e in questo senso è evidente che università e ricerca, industria e banche dovranno concorrere, mentre le istituzioni, sia all’interno che all’estero, dovranno promuovere il formarsi di condizioni favorevoli. Il mercato interno ha bisogno di una chiara politica d’indirizzo proiettata nel tempo da parte del potere centrale e di processi decisionali più snelli e rapidi in fase attuativa da parte delle amministrazioni locali. Mentre il sistema bancario deve incrementare il ruolo di supporto alle imprese meritevoli, visto che occupiamo il mondo dell’industria ad alta intensità di capitale». Pur in una fase di contrazione economica, su quali leve deve far forza il settore produttivo nazionale? «Per fare sistema potremo ispirarci al modello dei distretti industriali ❯❯ TOSCANA 2012 • DOSSIER • 13


IN COPERTINA

Tutto nacque da un gioiello La sua storia si intreccia con l’evoluzione del luxury e dello stile made in Italy che il mondo ci invidia. Una base che ha reso solido il gruppo toscano e che oggi lo apre a nuovi orizzonti raziella Group Spa è un'azienda italiana del fashion fondata nel 1958 con sede ad Arezzo. L’attuale presidente onorario, Graziella Buoncompagni, si dedicò fin da giovanissima alla creazione di gioielli in oro all’interno di un piccolo laboratorio, caratterizzati da uno stile personale e innovativo. Oggi il gruppo toscano rappresenta una delle più importanti realtà della gioielleria italiana nel mondo, grazie alla crescita costante sui mercati esteri e al continuo rinnovamento dell’offerta al consumatore nel rispetto di uno stile complessivo omogeneo dove gusto italiano e accuratezza della realizzazione raggiungono la perfetta sintesi. Da marzo 2010, l’azienda ha intrapreso la strada della diversificazione produttiva ottenendo ottimi risultati di crescita nel settore energetico delle fonti rinnovabili. Graziella Green Power annovera oltre ai soci già presenti nella holding anche figure tecniche con una precedente

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esperienza nella progettazione e realizzazione di impianti fotovoltaici, geotermici e a biomasse. La compagine eterogenea, che si contraddistingue per le sue capacità finanziarie, progettuali ed esecutive, ha permesso all’azienda di muoversi con un approccio dinamico sul mercato delle rinnovabili e di realizzare, in soli due anni di attività, più di 30 Mw di fotovoltaico, tutti di proprietà, collocandosi ai primi posti nel nostro paese per potenza installata. Il Parco Fotovoltaico "Malalbergo", con i suoi 10.500 kW di potenza installata, rappresenta il fiore all'occhiello degli impianti posseduti dal gruppo ed è anche la più grande installazione fotovoltaica della Toscana. www.gruppograziella.it


Gianni Gori

❯❯ che continuano ad essere una formula utilissima all’industria italiana. In Toscana, ad esempio, sarebbe auspicabile la nascita di un distretto delle energie rinnovabili, dal momento che esistono già importantissimi produttori di componenti, università che stanno lavorando sulle metodiche di sfruttamento delle fonti e aziende come la nostra che progettano impianti, istallano e producono energia. L’integrazione fra le eccellenze di questi operatori ne moltiplicherebbe la forza competitiva». Tornando invece al vostro bu-

Lo scopo è far evolvere il brand, da specialista del gioiello in oro a interprete più organico del lusso made in Italy

siness tradizionale, la produzione di gioielli, quali novità, iniziative e investimenti sono previsti per il futuro? «Per il biennio 2011/2012 Graziella Holding si è posta due grandi obiettivi. Il primo è quello di realizzare, nell’area di business storica, una consistente brand extension attraverso l’ampliamento dell’offerta di prodotto e aggiungendo alla linea Gold una linea Diamonds, una Silver e infine una linea Accessories che comprende borse e cinture. Lo scopo di tale attività è rivolto all’acquisizione di nuovi consumatori e all’evoluzione del profilo del brand da specialista del gioiello in oro a interprete più organico del lusso made in Italy. Seguendo questa direzione, siamo stati in grado di ampliare il perimetro del business con altre merceologie coerenti». Quali margini di crescita si profilano con l’avvio di questa

attività? «Questa decisione ha richiesto molto lavoro e investimenti ma le linee programmate sono state realizzate ed è già iniziata una fase di collocamento a partire dai paesi dove Graziella ha forte notorietà e posizioni leader nel mercato. Ci aspettiamo, con i tempi tecnici inevitabili, che i prodotti delle nuove linee rafforzino la dinamica della nostra crescita che nel 2012 è già a due cifre». Qual è il secondo obiettivo? «Continuare a ricercare nuove opportunità d’investimento industriale per le capacità finanziarie della Holding in aree di business differenziante e con elevate capacità di crescita. Proprio da questa strategia d’intervento è nata la decisione di investire in Italia nel comparto delle energie pulite, realizzando prioritariamente impianti per la produzione di energia elettrica da fotovoltaico». TOSCANA 2012 • DOSSIER • 15




SPENDING REVIEW

Province, pedine per lo sviluppo «Il tema dei nuovi confini dovrebbe seguire la definizione di competenze e funzioni». È il monito di Andrea Pieroni, presidente dell’Upi Toscana, sulla delicata questione del riordino delle Province e dei tagli alle risorse destinate agli enti locali Francesca Druidi

onsegnare ai cittadini un nuovo ente con funzioni adeguate e capace di produrre risposte efficaci, altrimenti sarebbe inutile far sopravvivere Province svuotate di competenze e, soprattutto, prive di risorse. È la sfida imposta dal riassetto delle Province stabilito dalla spending review estiva, come evidenzia con chiarezza Andrea Pieroni, presidente della Provincia di Pisa e alla guida di Upi Toscana. «Il tema è questo: vogliamo che le nuove Province siano una sorta di “ectoplasma istituzionale”, ridando fiato a chi ne invoca l’abolizione, o cogliamo l’opportunità di renderle soggetti utili alla crescita sociale, alla competitività dei nostri territori e alla tenuta di un equilibrio complessivo che le aree urbane, da sole, non sono in grado di assicurare?». Secondo la proposta del presidente Rossi, la riorganizzazione dovrebbe contemplare tre aree vaste: Firenze (Pistoia-Prato), Pisa (Massa Carrara, Lucca, Livorno) e Siena (Arezzo-Grosseto). Lei cosa ne pensa? «Bisogna trovare un equilibrio tra territorio e funzionalità di un ente. E più gli enti sono grandi, più si ri-

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schia di perdere il contatto con le comunità e si aumenta il divario tra cittadini e istituzioni. Ma il tema dei nuovi confini dovrebbe seguire la definizione di competenze e funzioni. Mi chiedo: la Regione vorrà avocarle tutte a sé oppure lascerà alle nuove Province deleghe importanti? Senza questa decisione, manca un elemento fondamentale alla discussione. In altre parole, prima il contenuto e poi il contenitore. Serve capire se la Regione Toscana voglia davvero valorizzare e dare spessore politico all’ente che la legge definisce di “area vasta”, accorpando a esso funzioni svolte da organismi che non hanno rango costituzionale, semplificando e razionalizzando l’assetto istituzionale complessivo (Ato, consorzi, agenzie), alla luce del fatto che funzioni di “area vasta” non possono utilmente essere frazionate sulla dimensione comunale o su quella delle unioni dei Comuni, molto variegate e diverse tra loro». Quali funzioni saranno attribuite alle Province che rimarranno? «La Provincia, da sempre, è l’ente

che si occupa del governo del territorio, delle infrastrutture e delle politiche per lo sviluppo economico». È questo, quindi, il criterio per individuare il nuovo assetto delle competenze. «Penso a un ente che si occupi di infrastrutture, mobilità, ambiente e assetto idrogeologico, ma anche di politiche di area per la crescita, lo sviluppo, la competitività dei territorio, incluse, quindi, le funzioni in materia di istruzione, alta formazione, poli per l’innovazione e trasferimento tecnologico alle imprese». Ha denunciato il rischio che nel 2013 le province toscane subi-


Andrea Pieroni

c A sinistra, Andrea Pieroni, presidente dell’Upi Toscana e presidente della Provincia di Pisa

scano un default finanziario. Qual è la situazione e quali sono i servizi che rischiano maggiormente? «Tutti i servizi ne risentiranno, nessuno escluso. Le cifre sono incontrovertibili. Ad esempio la mia Provincia, quella di Pisa, a partire dal 2010 per effetto dei tagli ai trasferimenti (6.800.000 euro) e alla capacità di spesa (10.700.000 euro) ha registrato minori disponibilità per 17.500.000 di euro. L’ultimo macigno, il decreto 201/2011, con una riduzione dei trasferimenti di 3.100.000, ci ha costretto a predisporre una variazione di bilancio per riuscire a salvaguardare il piano di investimenti per quest’anno. La spending review ha dato il colpo di grazia alla sostenibilità finanziaria dei bilanci

Penso a un ente che si occupi anche di politiche per la competitività del territorio, incluse le funzioni in materia di alta formazione e poli per l’innovazione

delle Province: 500 milioni di euro di tagli nel 2012 e, soprattutto, 1.000 milioni di euro in meno nel 2013 saranno fatali. Per le Province toscane, ciò significa circa 50 milioni di euro in meno nel 2012 e 100 nel 2013. La gran parte degli enti vedrà azzerati i residui trasferimenti e diverse Province saranno debitrici dello Stato». Ciò come si tradurrà nel concreto? «La riforma delle Province non può avere luogo se cancelliamo la nostra capacità di erogare servizi stabiliti per legge. Poiché le spese vincolate per trasporti, formazione e stipendi dei dipendenti non hanno spazi di manovra, nel 2013 la capacità di spesa di gran parte delle Province sarà azzerata. Per manutenzioni degli edifici scolastici, manutenzioni

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stradali, carburanti, centri per l’impiego, manutenzioni degli immobili, utenze di energia, acqua, telefono, ecc, già da quest’anno mancherà circa il 75 per cento delle risorse. È evidente che si tratta di un taglio di risorse, e non di un efficientamento della spesa, come ci si sarebbe aspettato. Parametrare il taglio ai consumi intermedi attesta di fatto la volontà di non voler tenere conto né della razionalizzazione già avviata e realizzata da parte di alcuni enti, né dell’incapacità di individuare quella ancora da fare. Un taglio così oneroso e assolutamente sproporzionato si traduce nell’impossibilità di mantenere gli equilibri di bilancio, mettendo in serio rischio anche il pagamento delle retribuzioni del personale». TOSCANA 2012 • DOSSIER • 27


SPENDING REVIEW

Firenze, città metropolitana La “città del giglio” è destinata a sciogliere la propria Provincia e a diventare a tutti gli effetti una delle dieci città metropolitane italiane previste dal governo. Per il sindaco Renzi, la priorità sarà identificare con chiarezza le funzioni del nuovo ente Leonardo Testi

e città metropolitane sono un successo dell’Anci e del Coordinamento dei sindaci delle città metropolitane, ed è una riforma strutturale dell’assetto istituzionale». Così, a inizio luglio, il sindaco di Venezia Orsoni e quello di Bologna Merola, rispettivamente coordinatore delle città metropolitane e delegato agli affari istituzionali dell’Anci, avevano salutato l’approvazione della spending review da parte del Consiglio dei Ministri, poi convertita in legge ad agosto. La scelta improcrastinabile di adottare soluzioni virtuose sul piano dello snellimento dei livelli istituzionali - richiesta sollecitata anche dall’Europa - ha ispirato il disegno di riordino delle province, con l’obiettivo di realizzare quanto era stato da decenni annunciato e mai concretizzato: l’approdo verso un sistema composto da un numero di province sensibilmente inferiore a quello attuale, invertendo dunque la tendenza al progressivo

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Matteo Renzi

In apertura, il primo cittadino di Firenze, Matteo Renzi

lievitamento degli enti amministrativi intermedi, che si era verificato nel corso degli anni. L’istituzione delle città metropolitane si inserisce in maniera parallela e contemporanea al riassetto delle province, in attuazione della riforma del Titolo V della Costituzione. Le 10 città metropolitane previste - Roma, Milano, Torino, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria - “sopprimeranno” di fatto le rispettive Province e diventeranno operative entro l’1 gennaio 2014, salvo il caso in cui gli organi di governo siano in scadenza o prossimi alla cessazione in data anteriore.

La città metropolitana deve essere al servizio del cittadino e non delle singole visioni. La Città passa anche dall’azienda unica dei rifiuti, dalla tramvia che arriva a Campi e a Bagno a Ripoli

Nel caso in cui il capoluogo di regione diventi la città metropolitana, essa diventerà anche il Comune capoluogo di regione. Spetteranno alle città metropolitane le funzioni fondamentali delle Province, tra cui si evidenziano la promozione e il coordinamento

dello sviluppo economico e sociale e la pianificazione territoriale e delle reti infrastrutturali. Faranno, dunque, capo a questi enti, temi nevralgici come la mobilità, la viabilità e l’organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale. Il sindaco metropolitano è di diritto TOSCANA 2012 • DOSSIER • 29


SPENDING REVIEW

il sindaco del Comune capoluogo, Anci che hanno trattato con l’Ese- unica dei rifiuti, per la quale ci fino alla data di approvazione dello statuto definitivo della città metropolitana, nel caso in cui lo stesso preveda l’elezione del sindaco e, comunque, fino alla fine del suo mandato. Oggi sarebbe il primo cittadino di Firenze, Matteo Renzi, a rivestire il ruolo di sindaco metropolitano. E proprio Matteo Renzi si posiziona al terzo posto, dopo De Magistris e Fassino, nella classifica dei sindaci delle città metropolitane più apprezzati, secondo lo studio Monitorcittà Aree Metropolitane dell’istituto di ricerca Datamonitor. Renzi si è dichiarato soddisfatto del provvedimento del governo, che ha recepito la proposta dell’Anci sulle città metropolitane, raccontando di aver chiamato personalmente Orsoni e gli altri vertici 30 • DOSSIER • TOSCANA 2012

cutivo, per complimentarsi. Più che mai incerta è però la situazione politica del “rottamatore”. A metà settembre, il primo cittadino di Firenze ha, infatti, ufficialmente aperto la sua campagna elettorale per le primarie del Partito Democratico e per la guida del Paese. Non ha intenzione di lasciare Firenze, ha affermato di recente, ma al contempo ha ammesso: «L’ipotesi di Palazzo Chigi è molto ardita e complessa. Ma è l’unica che potrebbe portarmi via da Palazzo Vecchio». L’obiettivo è, di fatto, inevitabilmente spostato, almeno per i prossimi mesi, sullo scenario nazionale. «La città metropolitana – ha aggiunto Renzi – deve essere al servizio del cittadino e non delle singole visioni, talvolta oniriche. La Città passa anche dall’azienda

siamo adoperati. Passa dalla tramvia che arriva a Campi e a Bagno a Ripoli. E sarebbe interessante se il Parlamento attribuisse alla città metropolitana due funzioni importanti: il potere urbanistico e l’utilizzo dei fondi Ue». Del resto, Stato e Regioni possono ancora attribuire ulteriori funzioni alle città metropolitane. Di fronte alle ipotesi che si stanno susseguendo circa la nuova mappa delle Province toscane, tra cui un’area metropolitana Firenze-Prato-Pistoia, Renzi ha le idee chiare: «Non sono affezionato agli schemi. L’area metropolitana è da sempre il continuum che va dal Valdarno fino alla Valdinievole. Ma non mi interessano i confini, sui quali adesso si polemizza, si decida anzitutto quali devono essere le sue funzioni».


Roberto Cenni

Verso un nuovo assetto dello Stato Si è subito acceso in Toscana il dibattito sui confini che assumeranno le nuove Province. Il primo cittadino di Prato, Roberto Cenni, evidenzia come la diversa organizzazione istituzionale sul territorio resti un grande punto interrogativo Francesca Druidi all’ipotesi della commissione congiunta tra Consiglio regionale e Consiglio delle autonomie locali (Cal) all’approvazione dell’assemblea legislativa regionale: una procedura complessa quella dell’iter regionale di riordino delle Province. A commentare l’incerto scenario attuale è il primo cittadino di Prato, Roberto Cenni.

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Roberto Cenni, sindaco di Prato

In generale, come valuta il riordino delle Province? «Se le Province sono enti da sopprimere, allora è giusto eliminarle tutte. In questo modo si evita di entrare nel merito della discussione - spesso polemica e poco costruttiva - delle modalità di definizione delle nuove Province». Si tratta di una forma di resistenza culturale all’accorpamento? «Non sono soltanto campanilismi. Tutte le città sono fortemente preoccupate per quello che sarà il nuovo assetto organizzativo dello Stato, del collocamento di organi quali prefettura e questura che l’ente provinciale si porta dietro. In questo senso, città come Prato non possono permettersi di perdere quei servizi che lo Stato garantisce per la sua organizzazione. La nostra è la terza città del centro Italia e la seconda della Toscana e non intende abdicare a quello che può essere il suo ruolo guida. La partita importante si giocherà, in definitiva, sul fronte dell’organizzazione dello Stato sul territorio e saranno molto importanti le decisioni che verranno prese». Cosa pensa della proposta di riassetto territoriale del governatore Rossi? «Credo che si debba raggiungere un accordo con una proposta cor-

rispondente innanzitutto ai dettami della legge. La proposta di Rossi è completamente fuorviante, sbagliata e improvvida: la Regione ha sempre l’ultima parola ma non può definire e indicare un progetto prima ancora che la commissione appena formatasi inizi a lavorare. Nell’ambito della legge, poiché Prato è il capoluogo con il maggior numero di abitanti, qualunque sia la soluzione determinata, diventerebbe capoluogo di provincia. Esaminando, inoltre, ciò che comporta far parte della città metropolitana, è assolutamente impossibile per Prato accettare tale condizione, non utile ai cittadini pratesi. Non si comprende ancora la portata di un’appartenenza di questo tipo, e la relativa perdita di autonomia su molti fronti. L’altra questione che si pone è l’esigenza di avere una provincia forte per poter con pari dignità - Firenze città metropolitana, Prato capoluogo di provincia - discutere quelle che sono le questioni importanti che riguardano l’area metropolitana». Cosa si augura? «Auspico che la presenza dello Stato in una città come Prato sia maggiormente rappresentata e non sfilacciata da una sottovalutazione della situazione della città e del distretto». TOSCANA 2012 • DOSSIER • 31




LIBERALISMO

Un’amara liberalizzazione Lo stallo dei partiti italiani in deficit di leadership può rappresentare l’occasione per una rinnovata spinta liberale. Ma a pesare, secondo il professor Giovanni Orsina, sono crisi e globalizzazione: «La paura non aiuta il liberalismo» Francesca Druidi

ggetto di numerose disamine ma disatteso fino a oggi nei fatti, il liberalismo resta una proposta tutta da decifrare per quanto riguarda il nostro Paese. «Il liberalismo ha una grandissima fiducia nella capacità della società civile di funzionare bene in maniera spontanea – evidenzia Giovanni Orsina, docente di storia presso la Libera università internazionale degli studi sociali Guido Carli e autore di diversi saggi – ma in Italia fiducia nella società non c’è mai stata. È sempre stata diffusa la convinzione che la società civile è immatura, arretrata, e che, quindi, vi sia bisogno di un

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grande sforzo per farla crescere». Cosa ha frenato l’applicazione dei principi liberali fino a questo momento in Italia? «Il nostro è un paese più a tradizione giacobina, con l’idea di una classe dirigente e di uno Stato che impongono alla società di funzionare in una determinata maniera. Anche il liberalismo che si è sviluppato, quello del periodo pre-fascista, è di carattere interventista e statalista, dove la libertà non sorge dal basso ma si costruisce dall’alto. Poi nel corso del Novecento si sono susseguiti il fascismo e il comunismo, che di liberale hanno naturalmente ben poco, e il cattolicesimo politico, che

di liberale avrebbe avuto molto, ma che dagli anni Cinquanta in poi ha visto prevalere una corrente non liberale. De Gasperi era un cattolico politico fortemente liberale, Sturzo era un liberale con alcune caratteristiche ben precise; Fanfani e Moro non erano liberali, non saprei dire quale dei due lo fosse di meno». Nel contesto attuale di crisi, esistono i margini per una svolta maggiormente liberale? «È molto difficile. L’Italia è un paese che perde i treni della storia e il treno della storia del liberalismo è transitato negli anni Ottanta. È stato quello il momento di grande fortuna, almeno del liberalismo economico: molti, infatti, all’idea di considerare Reagan e Thatcher dei liberali storcerebbero il naso. L’Italia ha perso quell’ondata, anzi in quegli anni ha accumulato il proprio debito pubblico. Poi, in qualche modo, ha


Giovanni Orsina

Nella pagina precedente, Giovanni Orsina, docente e direttore scientifico della Fondazione Luigi Einaudi di Roma

Saremo costretti a compiere dei passi in termini di liberalizzazione economica, ma non vedo nessuno che possa “vendere” agli italiani queste misure

acchiappato la coda di quel treno con il 1994, ma quell’operazione non è stata portata a compimento, non ha funzionato. Oggi, da un lato, l’unica strada che possiamo seguire per cercare di adattarci alla situazione a livello mondiale è quella di liberalizzare, affrontando la competizione internazionale in una forma più dinamica di quanto non sia stato fatto fino ad ora, dall’altro lato la gente è atterrita». Da cosa in particolare? «La parola globalizzazione, che aveva un sapore buono a metà degli anni Novanta, ha progressivamente perso il suo gusto piacevole. Se, inizialmente, l’idea che l’Italia fosse coinvolta nei processi di globalizzazione suscitava speranze, oggi genera più che altro timori. Dopo quindici anni, ci sono stati prima l’11 settembre e poi la crisi economica. Per l’opinione

pubblica il mondo è un posto pericoloso dal quale difendersi, non certo un luogo di opportunità. E la paura non aiuta il liberalismo». Non è ottimista sul fatto che possa esserci un cambio di rotta? «Saremo costretti a compiere dei passi in termini di liberalizzazione economica, ma non vedo nessuno che possa “vendere” agli italiani queste misure come azioni da adottare con entusiasmo. Sono “pietanze” da far ingoiare all’opinione pubblica come una medicina amara piuttosto che come un buon pasto». Lei è direttore scientifico della Fondazione Luigi Einaudi di Roma, che in un recente convegno ha lanciato una proposta alternativa di riforma del finanziamento dei partiti. Di che cosa si tratta? «è una proposta che parte comunque dal presupposto che la politica è necessaria. Nessun liberale affermerebbe il contrario, a meno che non si trattasse di un esponente di estrema destra liberale (libertaria). La politica costa ed è giusto che venga finanziata. Per un liberale il meccanismo prevalente di finanziamento deve es-

sere volontaristico, proveniente cioè dai cittadini e non dallo Stato. La proposta è quella di un modello misto con un piccolo rimborso-spese elettorale, mirato in maniera esclusiva all’appuntamento con le urne, in ragione di un euro per voto e con forme di sgravio fiscale per chi, invece, intende finanziare liberamente i partiti. In quanto strumento dello Stato, le elezioni resterebbero così sostenute da quest’ultimo, mentre il funzionamento della politica e dei partiti sarebbe ad appannaggio della società civile, aiutata in questo caso delle agevolazioni fiscali». Quali sono le possibilità che questa proposta venga recepita e accettata dalla classe politica? «A parole possono essere tutti d’accordo, nei fatti assolutamente no. Un modello di questo tipo costringerebbe i partiti italiani a mettersi a “ribussare” alle porte e a cercare di recuperare il contatto e il dialogo con i cittadini per chiedere e ottenere finanziamenti. Alcuni politici sono esplicitamente contrari, come ad esempio Violante, denunciando il rischio di consegnare la politica al controllo dei poteri forti. Chi si dice favorevole a parole, poi nei fatti non lo è davvero». TOSCANA 2012 • DOSSIER • 37


LIBERALISMO

Meno Stato, più partecipazione Responsabilità, etica, cittadinanza. Temi centrali attorno ai quali andrebbe ridefinito il liberalismo secondo Vincenzo Olita. Il direttore di Società Libera annuncia la presentazione di un manifesto contro la criminalità Francesca Druidi

ocietà Libera” è un’associazione culturale tesa allo studio e alla promozione del liberalismo. L’annuale rapporto sul processo di liberalizzazione della società italiana e la marcia internazionale per la pace costituiscono due delle sue principali iniziative. Il direttore Vincenzo Olita fa il punto sullo stato di salute del liberalismo in Italia. Qual è l’attuale situazione del nostro Paese? «Pessimo, perché se nel recente passato c’è stata un’ubriacatura, quasi un abuso del termine liberalismo, oggi invece si addossa a questa parte culturale responsabilità che, in realtà, non ha. Negli anni scorsi, tutti si sono dichiarati liberali: D’Alema si è dichiarato un liberale di sinistra; si è, inoltre, parlato a lungo della rivoluzione liberale che doveva avvenire a destra. Liberalismo è una parola dolce e suadente che significa tutto e nulla, perciò tutti si sono riversati a capofitto su questo termine che è diventato, di fatto, un’etichetta. Con la crisi internazionale, questa tendenza si è attenuata. Al mercato, ai liberali, alla libera concorrenza, sono state attribuite colpe che non avevano. Non si tratta di

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difendere a spada tratta il liberalismo o il mercato, ma ci sono colpe evidenti della politica, non solo italiana, che non ha saputo dare regole e certezze, e il mercato si è trasformato in un non-mercato. Il problema, quindi, non è il liberalismo, è che la politica si occupa di tutto in maniera spropositata, mentre dovrebbe concentrarsi su pochi aspetti, stabilendo poche regole condivise». Su quali temi si giocherà il futuro del liberalismo in Italia e non solo? «Il liberalismo andrebbe innanzitutto ridefinito. Società Libera ritiene che il liberalismo si basi essenzialmente sul concetto della centralità della persona e della sua responsabilità individuale. A ciò si ricollega anche il tema dell’etica individuale. Di fronte all’abuso odierno di questi termini, occorre riscoprire concetti quali responsabilità individuale, partecipazione a tutti i livelli e cittadinanza. Viviamo in una società massificata, che soffre la mancanza di un’informazione seria e consapevole da parte dei mezzi di comunicazione, presupposto fondamentale per una piena partecipazione. Oggi non è più sufficiente legare il concetto di cittadinanza alla sola possibilità di voto alle urne; bisogna allargare la sfera della par-

tecipazione, anche, per esempio, attraverso lo strumento referendario. Serve, inoltre, riportare la politica nel suo ambito. È preoccupante il problema della classe dirigente in Italia, di governance in generale: il tasso di credibilità si è molto abbassato. Del resto, io che ero in disaccordo con la Prima Repubblica non posso comunque fare a meno di riconoscere che, sotto il profilo della formazione politica, c’è un gap sostanziale rispetto alla Seconda Repubblica. Il fulcro resta comunque quello della libertà. Si pensi alla situazione della libertà individuale in alcune aree del Mezzogiorno». Contesti in cui la libertà dell’individuo viene messa a dura prova dalla criminalità organizzata. «Lo Stato ha perso in alcuni casi il controllo del territorio, ad esempio in alcune aree della Campania e


Vincenzo Olita

Come in ambito economico, anche nel contrasto al crimine organizzato la ricetta è meno Stato, con poche regole che consentano grande efficacia

della Calabria. Diventa difficile invocare crescita e sviluppo quando mancano i presupposti di base. Da qui poi inevitabilmente ci si ricollega anche al discorso economico, ai motivi per cui le imprese straniere non vengono a investire e alle difficoltà degli imprenditori nel Meridione». Come si potrebbero applicare i principi liberali per inseguire crescita e benessere? «Ritengo che occorra andare controcorrente rispetto a quanto si sta facendo. La ricetta è sempre la stessa: meno Stato, in particolare uno Stato che eserciti poche direttrici di governance e non entri nel merito della quotidianità dei citta-

dini. Se non immettiamo importanti flussi di libertà individuale, non arriveremo alla crescita economica. Purtroppo, più il tempo passa e più si diffonde l’idea che c’è bisogno comunque e dovunque dell’intervento dello Stato. La situazione in alcune zone del Paese è, invece, proprio da addebitare alla sua onnipresenza. È in programma, a ottobre, a Salerno il convegno “Stato e criminalità” dove presenteremo un manifesto liberale sulla criminalità». Quali i punti salienti? «La responsabilità dello Stato sul versante del crimine organizzato è pesante. Non è un problema di organico: considerando il rapporto

Nella pagina precedente, Vincenzo Olita, direttore dell’associazione Società Libera

numerico tra cittadini e presenza delle forze di polizia, l’Italia è infatti al primo posto nel mondo occidentale. Il nodo critico è che non si può contrastare in maniera radicale il crimine organizzato solo con l’attività repressiva. Come in ambito economico, la ricetta è meno Stato, con poche regole che consentano grande efficacia; nel contrasto al crimine organizzato auspichiamo un diverso ruolo dello Stato, capace di affiancare alla necessaria repressione quotidiana un impegno serrato sul fronte dello sviluppo economico e una vera e propria rivoluzione culturale. Senza questa interconnessione, in Italia la lotta al crimine è persa». TOSCANA 2012 • DOSSIER • 39


IL LINGUAGGIO DELLA POLITICA

La comunicazione dei fatti La comunicazione politica al tempo della crisi e del web 2.0. La docente di psicologia politica Patrizia Catellani analizza i principali cambiamenti avvenuti rispetto al recente passato, con lo sguardo rivolto al prossimo appuntamento elettorale Francesca Druidi

l dilagare dell’antipolitica e le condizioni critiche in cui versa il Paese renderanno ancora più cruciali le prossime elezioni. A illustrare le strategie comunicative che potrebbero fare la differenza è Patrizia Catellani, docente di Psicologia sociale della politica e Psicologia della comunicazione presso l’Università Cattolica di Milano. Come i politici dovrebbero usare il linguaggio per raggiungere i propri obiettivi? «Il politico dovrebbe soprattutto cercare di dire con chiarezza agli elettori chi è, in cosa è simile a loro e, soprattutto, quali obiettivi condivide con loro. Quanto al primo punto, un politico per diventare leader deve possedere un elemento che lo distingue dagli altri, che colpisce l’attenzione e rimane chiaramente impresso. Ora che l’affidabilità e l’onestà sono considerate caratteristiche cruciali, è probabile che chi riesce a connotarsi come persona onesta e degna di fiducia abbia maggiori possibilità di affermarsi. Vista la mancanza di stima nella classe politica nel suo insieme, chi non ne fa parte o vi entra adesso ha dunque maggiori possibilità di successo? Non necessariamente, perché le persone hanno bisogno di tempo

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per imparare a fidarsi. Potrebbe riuscire qualcuno che sia nuovo alla politica, o conosciuto per altre ragioni, ma che sia anche appoggiato da una personalità di cui già ci fidiamo. Ad esempio Monti, che pure godeva di un’ottima reputazione, è stato molto avvantaggiato dall’appoggio del presidente della Repubblica. Così ora chi che fosse appoggiato da Monti (oltre che naturalmente Monti stesso) avrebbe sicuramente buone probabilità di successo». E per quanto riguarda il secondo punto, cioè il fatto che il politico deve comunicare agli elettori la sensazione di essere vicino e simile a loro? «Bisognerebbe chiedersi se i nostri politici adesso lo stanno facendo. Per quel che vediamo in televisione e leggiamo sui giornali, forse non abbastanza. Pensiamo alle concertazioni in atto per costruire le alleanze in vista delle prossime elezioni. È naturale che, avvicinandosi l’appuntamento elettorale, una parte consistente dell’attività politica venga dedicata agli intrecci e ai negoziati tra i diversi leader, partiti e correnti, ma questi processi devono concludersi entro tempi ragionevoli. In ogni caso, quanto accade non dovrebbe indurre nei cittadini l’impressione

Patrizia Catellani, docente di psicologia politica

di trovarsi di fronte a una politica delle parole e non dei fatti o a politici che parlano solo tra loro e non con gli elettori. Non possiamo pensare che alle persone interessi sapere solo chi ha litigato con chi, è necessario capire che cosa i politici hanno da proporci, che cosa intendono fare e quali obiettivi vogliono raggiungere. Insomma, i politici dovrebbero trasmettere l’idea che quello che stanno facendo ha un valore, richiede una competenza specifica, è qualcosa che altri non saprebbero fare con uguale risultato». Quali differenze esistono tra il linguaggio dell’attuale classe politica e quello scelto dalle nuove liste e movimenti civici? «Una prima differenza, almeno fino ad ora, è l’uso massiccio, a volte quasi esclusivo, della rete da parte delle nuove liste e movimenti. Internet è uno strumento


Patrizia Catellani

Uno degli aspetti che caratterizza alcune delle nuove liste e movimenti è il ricorso a un linguaggio molto esplicito

formidabile e poco costoso per raggiungere un numero molto ampio di persone in poco tempo. Consente di comunicare in modo fresco, forte e immediato. Presenta, tuttavia, anche dei rischi, perché le emozioni politiche e la partecipazione che nascono online sono forti, ma rischiano di essere di breve durata. Perché la passione politica rimanga tale è, dunque, essenziale che i movimenti sviluppino in parallelo forme di vita politica condivisa, reale, direi pienamente “fisica”. Un altro

aspetto che caratterizza alcune delle nuove liste e movimenti è il ricorso a un linguaggio molto esplicito, duro, tranchant, a volte anche offensivo. In una realtà di profonda incertezza e instabilità come quella che viviamo oggi, le persone, più ancora di quanto non facciano di solito, possono essere orientate a farsi convincere da discorsi “estremi”». Quali sono gli aspetti fondamentali di acquisizione di consenso per questi soggetti? «Innanzitutto chiarezza e univocità, evitando - nella comunicazione e nei fatti - di suscitare l’impressione di avere divisioni al proprio interno. Per i movimenti emergenti, più che per la politica tradizionale, è fondamentale la compattezza. Ad esempio, nel Movimento 5 Stelle, che si è sviluppato così in fretta e in maniera così estesa, è inevitabile che vi siano diverse anime e il rischio che si creino divisioni e fram-

mentazioni è sempre dietro l’angolo. Movimenti di questo tipo possono entrare in una coalizione con partiti tradizionali? Potrebbero, ma solo se riescono a dare l’impressione di non tradire la motivazione per cui sono nati e di costruire alleanze solo per poter agire politicamente in modo ancora più efficace. Sia i movimenti sia i partiti tradizionali di coalizione, dovrebbero nel caso saper comunicare in modo ben chiaro che l’unità nella diversità è uno dei valori fondanti cui l’alleanza si ispira». Quali saranno le parole chiave della comunicazione elettorale nel 2013? «Nuova politica, rinnovamento, crescita, sviluppo, lotta alla disoccupazione, futuro per i giovani». E quali istanze faranno presa sugli elettori? «Ciò che andrebbe fatto in questo momento è un altro tipo di comunicazione, una comunicazione basata su fatti, su dati, su proposte concrete, con tempi e modalità di realizzazione». TOSCANA 2012 • DOSSIER • 41


VAGH IL LINGUAGGIO LINDABSDELLA POLITICA

Credibilità prima di tutto Avere uno stile e una comunicazione chiari, attendibili e coerenti, anche sul piano umano. Fidelizzare i propri elettori, mettendo a frutto anche le peculiarità dei new media. Per Klaus Davi sono le strategie oggi vincenti per i politici italiani Francesca Druidi

ià proiettati verso la campagna elettorale per le elezioni politiche 2013, diventa interessante andare a esaminare quelli che potrebbero essere i fattori decisivi nella comunicazione politica, alla luce delle trasformazioni avvenute in questi anni nel panorama italiano dei media e del clima di evidente malcontento nei confronti della classe dirigente. A dare una lettura dell’attuale situazione è il massmediologo Klaus Davi. Se e in che modo l’uso di internet e dei social media ha influenzato l’attuale comunicazione politica? «Ha inciso enormemente. I social media sono diventati un canale di comunicazione ma anche di verifica dell’operato della politica, usati dai politici e al contempo dagli elettori. Prima non esisteva un controllo così stringente. Con internet, invece, si può accedere alle delibere, ai soldi spesi, a un bacino più vasto di informazioni. Oggi, attraverso il web e i social network, i cittadini possono - anche senza la mediazione dei giornalisti - attivare dei meccanismi di pressione potenti. I new media hanno, inoltre, avvicinato alla politica italiani che non andavano a votare».

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Con la pesante crisi in atto e l’avanzare dell’antipolitica, quali sono i passi fondamentali che un politico dovrebbe seguire per comunicare in maniera efficace? «Un politico è un testimonial della propria politica. Predicare tagli e sobrietà con un Parlamento di sprechi già condanna il politico alla poca credibilità. È importante innanzitutto dare segnali chiari dal punto di vista del comportamento personale e stabilire un rapporto di fidelizzazione con l’elettorato: se attivi un blog rispondi; se ricevi un’email rispondi, perché anche questi aspetti contano. E poi occorre uno stile credibile: non serve promettere la luna perché non ti votano. Bisogna promettere cose reali, non sogni». Ha modo di intervistare i membri della nostra classe politica all’interno di “KlausCondicio”, la trasmissione che conduce su YouTube. Chi oggi tra i politici sa utilizzare meglio le potenzialità dei new media? Chi invece boccerebbe? «Su internet funziona il messaggio diretto rivolto agli elettori, insieme alla provocazione e alla boutade. È uno strumento - scontato dirlo - usato

Klaus Davi, scrittore e giornalista

bene da Grillo, da Di Pietro e dai movimenti di protesta. Per quanto riguarda, nello specifico, le interviste su YouTube, funzionano bene quei personaggi che parlano chiaro, in maniera netta: i De Magistris, le Santanchè, le Serracchiani, gli Stracquadanio. YouTube è un canale dove è fondamentale emerga una frase emozionale in grado di arrivare al pubblico e a cui si colleghi tutto il discorso. Internet, in generale, non ama le mediazioni: Enrico Letta è un bravissimo politico, ma sul web sfonderà solo in caso di gesti clamorosi. Purtroppo non dice mai una frase che resti in mente. L’iper-razionalità non va bene, sul web bisogna saper un po’ emozionare, anche con dei dati, dei numeri o degli aneddoti. Lo stile di un politico come Enrico Letta, fatto di sfumature, fatica a imporsi. La Dc, salvo qualche eccezione, con internet


Klaus Davi

La televisione resterà importante, checché se ne dica, con talk show e confronti. Internet rappresenterà uno strumento di difesa ma anche di attacco in campagna elettorale

non avrebbe mai funzionato». In previsione delle prossime elezioni politiche del 2013 verrà privilegiato un medium piuttosto che un altro? «Non si può prevedere ora. La televisione resterà importante, checché se ne dica, con talk show e confronti. Internet rappresenterà uno strumento di difesa ma anche di attacco in campagna elettorale. Saranno sempre più rivalutate le radio e, in base al sistema elettorale, conterà più o meno la stampa locale». Quali saranno, invece, le strategie utilizzate dai politici in cam-

pagna elettorale? «Anche in questo caso, impossibile prevederlo. Si può, usando il buon senso, pensare a un marketing mix che impieghi tutte le leve, ma poi dipende anche dallo stile del politico e del partito. Ad esempio, il Pdl, che aveva un po’ sottovalutato la rete, sta ora investendo molto su internet. Un’altra variabile è rappresentata dai soldi che gireranno e non va escluso il porta a porta. Questo discorso è, ad ogni modo, condizionato dal sistema elettorale: se rimane quello bloccato, prevarranno i sistemi generalisti. Se ci sarà la preferenza, internet rivestirà un

ruolo ancora maggiore. L’uso dei media non va pensato in astratto, ma declinato in concreto». L’elettorato da quale elemento rimarrà più colpito? «Gli elettori andranno a vedere persino cosa i politici “hanno nelle mutande”, ossia conterà ogni aspetto. E potendo misurare tutto, peserà la coerenza del politico in questi cinque anni. Poi naturalmente incideranno elementi che variano da persona a persona. Le leve di marketing più forte saranno, in generale, la coerenza, l’attività svolta e, certo, inciderà anche la comunicazione». TOSCANA 2012 • DOSSIER • 43


IL LINGUAGGIO DELLA POLITICA

È finita l’era del politichese Semplicità e chiarezza sono le parole d’ordine per far presa su un elettorato in larga parte sfiduciato nei confronti della politica dei partiti. L’opinione di Renato Mannheimer Francesca Druidi

li italiani ce la possono fare, basta unire tutte le forze produttive del paese». Frasi come questa, che campeggiano sui quotidiani oppure rimbalzano dalla rete alla Tv, andrebbero evitate dai politici. È l’opinione di Renato Mannheimer, noto sondaggista e presidente dell’Ispo (Istituto per gli studi sulla pubblica opinione). «Gli italiani cercano oggi messaggi chiari, non più il politichese». Qual è il problema più evidente sul fronte della comunicazione politica? «Si presenta un doppio nodo: da un lato, i politici continuano per lo più a non offrire proposte chiare, semplici e concrete. E, dall’altro, c’è proprio un deficit di credibilità. I politici non sono percepiti come credibili perché in passato non hanno saputo mantenere le promesse fatte». Rileva differenze tra “i tecnici” e il resto della classe politica? «Il governo tecnico è creduto di più, anche se è riuscito a raggiungere tutti gli obiettivi che si era prefissato inizialmente. Si segnalano differenze di stile piuttosto forti tra i messaggi dei membri del governo tecnico più diretti e precisi - e quelli dei politici tradizionali, maggiormente vaghi e indistinti. Basti prendere ad

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esempio il caso della riforma elettorale: tutti i politici affermano che occorre una riforma elettorale utile per il Paese ma senza entrarvi davvero nel merito perché, in realtà, non vogliono né parlarne né portarla a termine». Nei recenti sondaggi, il consenso degli italiani nei confronti del Movimento 5 Stelle supera ormai la soglia del 20 per cento. Che cosa convince? «Non è una questione di convincimento. È che il Movimento 5 Stelle se la prende con i partiti. È così grande la sfiducia nei confronti dei partiti tradizionali che i cittadini o dicono che non vanno a votare - il 50 per cento in questo momento - o vanno in cerca di una sponda che li rappresenti contro questi soggetti». Quanto funziona oggi un linguaggio acceso? «Ha sempre funzionato. Ha cominciato Bossi e ha subito avuto successo. In base alle analisi che avevamo realizzato al tempo, emergeva l’apprezzamento verso un certo tipo di linguaggio un po’ grezzo, perché riproduceva a grandi linee le conversazioni nei bar sotto casa, trasmettendo una

Renato Mannheimer, presidente dell’Istituto per gli studi sulla pubblica opinione

sensazione di vicinanza all’elettorato. Bossi identifica un estremo di questa tendenza, ma comunque un linguaggio un po’ grezzo solitamente aiuta. Ciò che conta davvero è la semplicità dei messaggi, come ha dimostrato il Berlusconi dei tempi d’oro». Quali strategie utilizzeranno i politici nella prossima campagna elettorale? «Mi auguro per loro che sapranno essere più convincenti rispetto a quanto hanno saputo fare finora». Su quali temi verterà la corsa elettorale? «La principale preoccupazione per gli italiani è il lavoro, anche per chi ha il posto fisso. Chi saprà fare maggiore presa su questo versante partirà con un sostanziale vantaggio».



POLITICA ECONOMICA

Strumenti necessari per la tenuta del welfare L’ottimizzazione delle risorse a disposizione delle amministrazioni regionali si è resa ancora più necessaria dopo i tagli previsti dalla spending review. Enrico Rossi illustra gli ultimi interventi decisi ad agosto in tema di sanità e trasporto pubblico Nicolò Mulas Marcello li effetti della revisione della spesa pubblica rischiano di minare i servizi essenziali delle regioni. In Toscana, come nel resto d’Italia, i tagli operati dal governo costringono l’amministrazione a riorganizzare e razionalizzare la spesa: «Nel 2012 – spiega Enrico Rossi, presidente della Regione Toscana – ci siamo sostituiti allo Stato e abbiamo sostenuto il servizio di trasporto pubblico. Con la manovra contiamo di portare a un terzo del costo totale il contributo degli utenti». Quali saranno gli effetti della spending review sul bilancio toscano? «La somma dei tagli operati dai governi Berlusconi-Tremonti e Monti impatta a regime per circa 400 milioni l’anno, solo per il trasporto pubblico locale il taglio è di 170 milioni. Per il 2013 si profila un vero e proprio tsunami, questi tagli sono insostenibili. Non per questo dobbiamo stare con le mani in mano. Non vogliamo essere quelli che mandano i conti fuori controllo o nascondono la polvere sotto il tappeto, né vogliamo essere i liquidatori dello stato sociale in Toscana». Come intende muoversi la Regione per ra-

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Enrico Rossi, presidente della Regione Toscana

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zionalizzare le risorse? «La Toscana la propria revisione della spesa la fa da anni. Nell’ultimo triennio, per liberare risorse da destinare alle varie politiche di settore e al mantenimento dei servizi, la Regione si è impegnata in un processo profondo di riorganizzazione e razionalizzazione della spesa. Abbiamo bloccato il turn over, centralizzato la spesa per beni e consumi, dismesso uffici in affitto, ridotto le auto blu, ridotte del 90 per cento le consulenze, gli enti e le fondazioni, siamo intervenuti sull’indebitamento regionale, sui costi della politica, abbiamo chiuso le sedi all’estero. Tutto questo ci ha permesso di risparmiare circa 80 milioni. Ma i tagli nazionali sono così imponenti che anche questo sforzo, pur doveroso, non è sufficiente e quindi dobbiamo intervenire in modo ancora più strutturale. Gli interventi che abbiamo deciso ad agosto in tema di sanità e trasporto pubblico locale vanno in una precisa direzione, quella dell’equità e della tenuta del nostro welfare. Non vogliamo trovarci a fine crisi con uno stato sociale meno forte e inclusivo, sarebbe una perdita secca per la Toscana. Vogliamo intervenire in tempo, facendo una scelta strategica per uscire da questo momento difficile con uno stato sociale in piedi, riformato e ristrutturato. Bisognerà anche dotarsi sempre più di nuovi strumenti di lotta all’evasione e di verifica strutturata delle entrate». Per quanto riguarda la sanità lei si è già espresso riguardo i tagli operati dal governo. Quale sarà la situazione per quanto riguarda


Enrico Rossi

AUTOBUS

1.000 la Toscana? «Quello della sanità toscana è un sistema di qualità, sano, con i bilanci in ordine e, caso unico in Italia, certificati. Noi vogliamo non solo assicurare la sopravvivenza del sistema sanitario, il suo mantenimento, ma anche garantirne lo sviluppo e il miglioramento qualitativo. La prima mossa è il riordino e la riorganizzazione: questo processo ci restituirà un sistema meno costoso e allo stesso tempo migliore. Contiamo di abbattere i costi del 5 per cento, 250 milioni in termini assoluti, implementando la qualità. Abbiamo anche mosso la leva della compartecipazione, ritoccando i ticket senza venire meno al principio di equità, cioè chiedendo di più a chi ha di più e salvaguardando le fasce più deboli della popolazione. Nel complesso gli utenti del servizio a cui chiederemo di più sono circa 600mila. Agli altri 3 milioni, che hanno un reddito Isee inferiore a 36.000 euro, non chiederemo nessun sacrificio. L’operazione ticket porterà nelle casse regionali 53 milioni di euro, ma a regime contiamo di arrivare a 80 milioni su base annua, introducendo da gennaio l’Isee come unica forma di attestazione». La Toscana deve fare i conti con i tagli del governo anche per quanto riguarda il trasporto pubblico. Come si sta muovendo la Regione su questo fronte?

I NUOVI MEZZI DELLA RETE DEL TRASPORTO PUBBLICO TOSCANO IL CUI ACQUISTO È STATO POSSIBILE GRAZIE AI 270 MILIONI DI EURO STANZIATI DALLA REGIONE

«Il fondo nazionale per il Tpl è stato ridotto da 2,55 miliardi a 1,6 miliardi di euro. E ancora le Regioni non hanno avuto dal governo centrale un euro di trasferimenti. Nel 2010 lo stato trasferiva alla Toscana per il Tpl 490 milioni l’anno, oggi 320. Mancano all’appello 170 milioni. Nel 2012 la Regione si è sostituita allo Stato e ha sostenuto il servizio. Con la manovra contiamo di portare a un terzo del costo totale il contributo degli utenti. Anche qui tutelando le fasce più deboli, quelle con reddito Isee inferiore a 36.000 euro, che non saranno coinvolte negli aumenti degli abbonamenti. Con questa manovra possiamo recuperare 5 milioni, a cui si aggiungeranno i 10 milioni che prevediamo in arrivo da giugno del 2013 con la gara unica, il cui percorso ha preso ormai il via con la pubblicazione dell’avviso sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea del 22 agosto. Cito solo alcuni numeri in cui si può riassumere la nostra politica: 100 milioni di chilometri di rete garantiti con la riforma, 160 milioni di euro della Regione Toscana per i servizi di trasporto pubblico locale, 1.000 nuovi autobus grazie ai 270 milioni di euro della Regione per gli investimenti, 9 anni di contratto per dare stabilità al sistema. Una vera rivoluzione». TOSCANA 2012 • DOSSIER • 47


POLITICA ECONOMICA

Servono segnali forti In attesa di un’inversione di tendenza dei dati economici, Unioncamere Toscana si è messa da tempo a disposizione della Regione per supportare iniziative condivise. Vasco Galgani analizza il quadro toscano Nicolò Mulas Marcello instabilità dei mercati consolida il clima di incertezza che caratterizza l’economia. La situazione delle imprese toscane rispecchia l’intero scenario nazionale: «Come abbiamo visto nella recente presentazione dei dati dell’Osservatorio regionale sulle società di capitali – spiega Vasco Galgani, presidente di Unioncamere Toscana – una metà delle aziende è in una situazione di incertezza, un quarto è in recessione, ma un altro quarto ha delle performance che ignorano la crisi, grazie a innovazione, autofinanziamento e crescita, al di là delle migliori aspettative». Quali sono i settori che risentono di più della crisi economica? «Risente più della crisi chi non esporta, chi non innova, chi non investe. L’edilizia è ai minimi storici, ma non certo per motivazioni interne al settore. Anche il tessile e l’abbigliamento sono in netto calo, con esclusione di chi è legato alle griffe o è in grado di esportare. Il commercio ha cifre negative e la stessa grande distribuzione comincia a risentire della contrazione dei con-

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Sopra, Vasco Galgani, presidente di Unioncamere Toscana

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sumi delle famiglie». Quali sono le previsioni per questa seconda parte del 2012 e per l’anno prossimo? «Non si individuano elementi oggettivi in grado di rovesciare rapidamente il trend negativo, anche se siamo in una di quelle situazioni tipiche in cui la gente non vede l’ora di darsi fiducia, di ostentare coraggio e buttare alle spalle una delle crisi più aggressive dalla storia. Sono convinto che anche a livello mondiale si aspetti da un momento all’altro l’inversione di tendenza che dipende da fattori da noi non controllabili. La certezza sull’euro, ribadita dal governatore Draghi, mi fa ben sperare. Le previsioni per il 2013 dipendono da questa inversione di tendenza, e si sta parlando di due punti di Pil con segno più o meno a seconda dell’input che ci si aspetta». In che modo è impegnata Unioncamere nel supporto delle imprese del territorio e cosa devono fare le istituzioni per favorire l’economia toscana? «Non è certo questo il momento per fare da soli. Unioncamere Toscana si è messa da tempo a disposizione della Regione per supportare iniziative condivise per favorire l’export, la tutela dei marchi e dei brevetti delle nostre imprese a livello globale e i contatti diretti degli imprenditori con i mercati emergenti. Le istituzioni devono dimostrare all’opinione pubblica di poter realizzare rapidamente performances virtuose, e quindi risparmi effettivi, dando anche segnali forti di stabilità politica; su quest’ultimo punto la campagna elettorale alle porte non facilita affatto questa dimensione di stabilità e concretezza, che è ciò che i mercati e gli investitori stranieri ci chiedono».



ENERGIA

Dal Casentino, un modello di sviluppo nel settore energia Cresce considerevolmente il gruppo CEG, grazie soprattutto a una serrata politica di internazionalizzazione e diversificazione produttiva. Le prospettive future della società, direttamente dalle parole del suo amministratore, Uberto Canaccini Filippo Belli

egli ultimi dieci anni ha saputo comprendere, prima di tanti altri, le esigenze dei mercati in via di sviluppo. E proseguendo su questa strada, CEG Elettronica Industriale Spa, si conferma come uno dei marchi italiani più importanti e riconosciuti a livello internazionale, nell’ambito delle infrastrutture energetiche. Non più solo costruzione di gruppi statici di continuità, che rimane comunque il core business della società di Bibbiena Stazione, in provincia di Arezzo, ma anche pacchetti completi di prodotti e servizi, nel settore elettrico, tali da consentire una sempre maggiore potenzialità introduttiva nei confronti di grandi committenze internazionali. Il gruppo è da anni il fornitore preferenziale delle più importanti società di ingegneria e produzione, oramai in ogni parte del mondo. Con un notevole tasso di crescita e con un portafoglio ordini che già le garantisce, ad

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Uberto Canaccini, amministratore unico della CEG Elettronica Industriale di Bibbiena Stazione (AR) www.cegelettronica.com

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oggi, un incremento minimo del 17 per cento rispetto al precedente 2011, a sua volta cresciuto del 15 per cento rispetto al 2010. Questa importante realtà dell’economia casentinese si appresta a effettuare ulteriori investimenti strutturali, dopo che alla fine dello scorso anno è stato inaugurato il nuovo insediamento produttivo in Loc. Ferrantina Bibbiena (AR), che con i suoi 10mila mq. si va ad aggiungere ai 13mila mq. della sede storica della società, in Via Nave, sempre a Bibbiena. Con questo ulteriore potenziamento la CEG potrà puntare a un’ulteriore crescita e poter razionalizzare la sua organizzazione interna. Soprattutto, la società intende portare avanti nuove strategie al fine di consolidare ulteriormente la propria competitività oltre i confini nazionali. A parlarne è direttamente il suo amministratore, Uberto Canaccini. «L’aumento del fatturato registratosi nel corso del 2011 è certamente significativo, specie se si considera il momento economico particolarmente critico – sottolinea Canaccini –. A questo si aggiunga il fatto che, per il nostro tipo di attività, risulta assai difficile fare programmazioni a lungo termine. Ma non possiamo dormire sugli allori, dobbiamo sempre pensare a nuove strategie e puntare sulla crescita, non possiamo fermarci, chi oggi pensasse di galleggiare e vivere sul passato si sbaglia di grosso, occorre occupare nuovi mercati nel mondo e diventare sempre più azienda di rife-


Oltre che sulla realizzazione di centrali elettriche, lavoriamo molto con il settore Oil&Gas. Sta a noi riuscire a captare le opportunità in tutte quelle aree in cui vi è una grande richiesta di prodotti e di contenuto tecnologico

rimento nel proprio settore e per questo si deve pensare al mondo come a un unico grande mercato». Qual è stata, a suo parere, la strategia alla base di questa crescita? «Sicuramente l’internazionalizzazione della nostra società. È stata la chiave fondamentale. Ma non soltanto da quando è scoppiata la crisi. Da oltre 15 anni, abbiamo compreso che il mercato non è più solamente quello italiano né tantomeno quello europeo e, come è avvenuto per altre aziende italiane, senza l’aiuto da parte di istituzioni varie, abbiamo iniziato a girare il mondo, inanellando insuccessi, ma anche scoprendo nuovi clienti, nuovi settori e proseguendo nella nostra crescita». A quali aree si riferisce? «Oltre al Medio Oriente, che rappresenta uno dei nostri mercati storici,oggi la nostra attenzione è concentrata su aree quali l’Est Europa, ci spingiamo fino a nazioni dell’ex Unione Sovietica, come Kazakhstan, Uzbekistan, Turkmenistan e la stessa Russia. Nel continente Africano, è da privilegiare la fascia del Maghreb, con particolare interesse ai nuovi investimenti programmati in Libia, ma anche Algeria e Tunisia sono paesi interessanti. Sempre in Africa, dobbiamo ulteriormente consolidare la nostra presenza in Nigeria, Uganda e Sudafrica. Molto interessante è il mercato Sudamericano, a tal proposito penso che il Brasile rappresenti la

prossima grande scommessa da vincere. Si tratta di un Paese che punta moltissimo al suo sviluppo, e questo processo verrà trainato anche da eventi come i campionati mondiali di calcio e le Olimpiadi. Il punto è semplice, si tratta di intercettare quell’esigenza di rinnovo infrastrutturale e tecnologico di questi territori». Semplice, ma evidentemente non scontato. «Credo fermamente che un imprenditore, oggi, non possa lavorare con lo sguardo abbassato. Dobbiamo iniziare a osservare il mondo al di là del nostro naso, specie in un momento di crisi come quello attuale. Se non c’è lavoro in Italia o in Europa, non significa che non ce ne sia da altre parti. Sta a noi il riuscire a comprendere e prevedere le opportunità in tutte quelle aree in cui è prevedibile e sostenibile uno sviluppo». Per cui andare a vendere all’estero. Ma così non si rischia di incontrare una forte concorrenza, da parte di produttori dislocati in paesi low cost? «Noi come CEG produciamo sistemi di continuità destinati a grandi complessi industriali, realizzati custom, cioè seguendo integralmente le specifiche tecniche di impianto, non siamo produttori di gruppi di serie, pertanto la nostra concorrenza è necessariamente qualificata e principalmente europea. È vero che alcuni nostri concorrenti hanno delocalizzato le loro produzioni, in paesi dove potevano spuntare costi di manodopera molto inferiori alla media euro- ❯❯ TOSCANA 2012 • DOSSIER • 51


ENERGIA

UN’EVOLUZIONE GLOBALE La storia di un gruppo dall’anima spiccatamente internazionale. Da una piccola realtà nata negli anni Settanta, alla grande Spa dei giorni nostri a storia della CEG, azienda del settore elettrico, è stata caratterizzata in ogni sua tappa evolutiva da una spiccata creatività progettuale, combinata con l’attitudine alla risoluzione dei problemi e la tendenza ad anticipare le esigenze del futuro. Queste caratteristiche distintive dell’azienda si sono concretizzate in una costante ricerca dell’efficienza delle soluzioni proposte e si sono consolidate in una posizione di importante fornitore per le più grandi società di ingegneria e produzione del settore energia, sia italiane sia internazionali. Dalla fondazione nel 1976, l’azienda è cresciuta enormemente, fino ad approdare nel 2003 alla costituzione come società per azioni e alla nascita

L

nel 2008 di CEG Group. «Questa trasformazione societaria e l’internazionalizzazione – come spiega l’amministratore, Uberto Canaccini –, con lo sviluppo di vari punti di riferimento commerciali ha contribuito a dare ulteriore slancio alle azioni volte a incrementare il nostro volume d’affari, conquistando quote di mercato, sia in Italia che all’estero. E questo nonostante il momento di recessione complessiva». La produzione di CEG è veramente completa. La costruzione dei sistemi statici di continuità in corrente alternata e continua, è arricchita da dispositivi per il controllo delle batterie stazionarie e soluzioni dedicate per la risoluzione di qualsiasi problematica

❯❯ pea, ma a mio parere questa strategia è superata. È già stato dimostrato che, comunque, i costi per seguire la qualità del prodotto e l’organizzazione produttiva a grandi distanze dalla sede principale, a volte non compensano i bassi costi della manodopera. Certamente tutto questo vale se vogliamo costruire prodotti di qualità e personalizzabili. Se uno, al contrario, è interessato alla grande serie per uso civile, allora la visione di insieme cambia radicalmente. Io credo comunque che stiano cambiano le politiche

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di impianto. I prodotti di CEG sono in grado di assicurare la continuità nell’alimentazione elettrica di utenze privilegiate e apparati di processo, installati nei grandi impianti industriali, quindi chimici e petrolchimici, centrali elettriche, gasdotti e piattaforme off shore, raffinerie, oltre che nelle reti di telecomunicazione. Le spiccate doti manageriali della dirigenza della società hanno costruito nel tempo il successo di CEG, attraverso investimenti mirati e grazie alla capacità di raggruppare uno staff tecnico-ingegneristico che vanta una lunga esperienza nel settore elettrico e che si dimostra costantemente capace di interpretare le nuove esigenze del mercato.

complessive di mercato, non ci possiamo più limitare alla vendita dei nostri prodotti, perché oramai è consolidata la strategia, da parte delle nazioni in via di sviluppo, di privilegiare i costruttori locali, al fine di garantire una ricaduta economica e in maniera indotta un trasferimento tecnologico. In conseguenza di ciò, deve cambiare la strategia dei produttori, non più cercare di delocalizzare alla ricerca del minor costo di produzione, ma creare delle società con capitale misto, residenti nelle aree interessate dallo sviluppo, puntando ai benefici indotti dal fatto di risultare società residenti e formando personale tecnico locale. Le nostre imprese devono essere in grado di fare parte di quel tessuto industriale locale e accompagnare la crescita dei paesi con maggiore tasso di sviluppo». Alcuni suoi colleghi potrebbero controbattere, però, dicendo che la delocalizzazione non fa bene al nostro sistema. «Ma questa è una visione limitata. Non si tratta di smantellare il lavoro in Italia trasferendolo in toto all’estero. Si tratta, invece, di creare sinergie


Uberto Canaccini

e connessioni più solide con i committenti e i partner stranieri. Non basta costituire una società all’estero, bisogna anche produrre localmente. So che può apparire come un paradosso, ma questo è il solo modo per garantire la sopravvivenza e lo sviluppo delle nostre aziende in Italia». Come? «Creando un collegamento produttivo fra la sede principale in Italia e le altre società di produzione all’estero. In altre parole, così come è appurato che dobbiamo vedere il mondo al pari di un unico mercato, allo stesso modo dobbiamo considerare le nostre aziende estere facenti parte di un unico gruppo produttivo. In questo modo in Italia produrremo sottoassiemi e componenti che saranno poi montati dalle società estere, le quali, localmente, completeranno la costruzione dei nostri sistemi producendo le parti meno pregiate e tecnologiche. L’obiettivo, secondo me, deve essere rendere le nostre imprese centro nevralgico per l’innovazione e la qualità». Quanto investite in ricerca e sviluppo? «Una parte considerevole dei nostri introiti. Vantiamo anche numerose collaborazioni con atenei italiani e stranieri. Certo, purtroppo in Italia risulta difficile creare connessioni concrete tra realtà industriale e mondo universitario, questo è un gap che ci portiamo dietro da tempo e che ci fa perdere punti in termini di competitività nel mondo. Sono anni che noi imprenditori chiediamo una seria riforma da parte delle istituzioni e del Governo. A ogni modo io credo moltissimo nel potenziale di questo modus operandi. CEG, nel suo ambito, mira a diventare un punto di riferimento internazionale per tutti quei tecnici che vogliono osservare da vicino e approfondire le nostre innovazioni. Mettendo anche in connessione, perché no, diverse università, italiane e straniere, creando un confronto empirico sostenibile grazie alle nostre strutture ed eccellenze aziendali. Io vorrei che la nostra sede principale in Italia diventasse nel tempo un centro di eccellenza, dove si effettua ricerca, si producono nuovi sistemi e parti tecnologicamente avanzate e vitali dei nostri gruppi, si

fa formazione a personale italiano ed estero, si organizzano convegni aperti a tutti gli operatori esteri: società di ingegneria, clienti finali, organi di governo. Quindi CEG dovrà diventare la capogruppo di un numero di aziende estere controllate, le quali si riferiranno a lei, garantendo un tasso di sviluppo per le società straniere e per la nostra azienda in Italia».

Dunque lei è più per il trasferimento tecnologico che per il protezionismo del know how industriale? «È il mondo che ce lo chiede. Quando dico che è importante aprire società direttamente all’estero, lo faccio proprio perché i governi locali chiedono questo coinvolgimento da parte dei costruttori europei. È oramai un processo avviato, non possiamo opporci al progresso, ma assecondare le scelte dei paesi in via di sviluppo. Io credo inoltre che questa aspirazione, da parte delle nazioni in via di sviluppo, di poter contare su produzioni locali e quindi avviare quel processo industriale di crescita, che noi europei abbiamo vissuto a partire dagli anni Cinquanta, sia una aspirazione giusta e legittima. È inutile opporsi a tutto questo, temendo di poterci trovare nuovi concorrenti, il segreto sarà proprio quello di sapersi integrare nelle politiche di sviluppo dei paesi esteri, facendone parte, dovremo in altre parole veramente diventare cittadini del mondo».

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ENERGIA

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Lei ha più volte affermato che, al di là della qualità dei vostri impianti, è il servizio a fare la differenza. «Certamente, è fondamentale essere dei partner ancora prima che dei fornitori. In qualunque parte del mondo dobbiamo renderci disponibili per garantire assistenza, consulenze tecniche e per dare i nostri suggerimenti. Le tecnologie e i sistemi che andiamo a installare sono altamente complessi. Il nostro piano di investimenti prevede di rafforzare il settore service, già a oggi molto sviluppato, con un numero consistente di tecnici, disponibili a recarsi in ogni parte del mondo per attivare i nostri sistemi. Sempre secondo lo spirito di internazionalizzazione, abbiamo un programma per sviluppare uffici all’estero destinati al servizio post vendita e per le attività di manutenzione programmata ai nostri gruppi». Negli ultimi anni avete continuato a diversificare l’offerta e i target di riferimento. Quali settori vi stanno garantendo le migliori performance di business? «Oltre ai settori storici di interesse, come Oil

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& Gas, Petrolchimico e Centrali elettriche, siamo molto interessati al settore ferroviario e a quello delle energie rinnovabili. Ma quello che vogliamo fortemente è potenziare CEG Group , sviluppare cioè un insieme di aziende Italiane fra loro sinergiche, offrendo ai grandi committenti internazionali pacchetti sempre più completi di prodotti e servizi nei settori elettrico e meccanico. La nuova strategia dovrà essere anche quella di proporre impianti chiavi in mano, non fermandoci più alla vendita di componenti facenti parte di impianti». Nel 2013 la CEG festeggerà i suoi primi dieci anni da Società per azioni. Quale bilancio può trarre? «Il passaggio alla SpA è stato fondamentale. Soprattutto, ha rappresentato la risposta alle esigenze di crescita finanziaria e strutturale dell’azienda. In questo periodo abbiamo decuplicato il nostro fatturato e abbiamo convinto sempre di più, cosa tutt’altro che scontata, il mondo bancario. Inoltre è stato un riconoscimento importante, dopo tanti anni di sacrifici e duro lavoro, poterci proiettare in un modello di azienda diverso, permettendoci di operare pensando sempre in grande, con lo sguardo rivolto al futuro. Oggi sarebbe impensabile crescere senza concentrarsi sulla continua ricerca di nuovi settori e mercati, ma soprattutto senza comprendere le mutate e rapide esigenze dei mercati mondiali».



TECNOLOGIE

Lotta alla contraffazione con le nanotecnologie L’avanguardia nella ricerca di soluzioni per arginare il mercato dei falsi è rappresentata da un’impresa aretina. Alessio Brogi illustra il percorso di sviluppo che ha portato a una tecnologia che rivoluzionerà il settore della tracciabilità Valerio Germanico

on è semplice valutare il danno economico che il mercato della contraffazione causa all’industria manifatturiera. Le stime possibili, comunque, denunciano perdite di diversi miliardi l’anno per i legittimi detentori dei marchi. La capacità dell’industria del falso di realizzare riproduzioni sempre più fedeli impone quindi un salto di qualità per le attuali tecnologie di lotta alla contraffazione. È all’avanguardia in questo settore una società aretina, la Cabro. Questa, attraverso il lavoro dell’unità Nano Chemicals ha sviluppato una soluzione che, sfruttando le nanotecnologie, potrebbe rappresentare una rivoluzione per i sistemi anticontraffazione e non solo. A illustrare

N

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i risultati dell’impegnativa attività di ricerca e sviluppo della società il titolare, Alessio Brogi. «Sfruttando fluorofori a base di oro nanometrico usati come pigmenti – in vernici, polimeri, inchiostri – abbiamo sviluppato un innovativo sistema che combina l’anticontraffazione con la tracciabilità, entrambe con un elevato livello di sicurezza». Quali sono le caratteristiche che fanno della vostra soluzione un prodotto potenzialmente rivoluzionario? «La sua maggiore virtù è la complessità tecnica, che lo rende difficilissimo da imitare, dato che sfrutta particelle di oro di dimensioni minori del nanometro. Inoltre, essendo invisibile alla luce naturale, è combinabile con qualsiasi vernice, anche trasparente. Infatti, diversamente da altri prodotti fluorescenti, in assenza di stimolazione specifica, risulta incolore. La sua presenza è rilevabile esclusivamente sotto la sollecitazione di una lampada a luce ultravioletta. Questo vuol dire che possiamo applicare all’articolo da proteggere una sorta di impronta digitale, verificabile facilmente attraverso un apparecchio apposito, ma pressoché impossibile da riprodurre, se non disponendo di una tecnologia avanzatissima». In quali settori potrebbe trovare applicazione questa tecnologia? «Può essere sfruttata in tutto il settore della moda, quindi abbigliamento, pelletteria, ma anche accessori e ottica. E anche nell’automotive, in particolare per prevenire il problema della contraf-


Alessio Brogi

In apertura, al centro, Giovanni Battista Castigli, titolare insieme ad Alessio Brogi della Cabro Spa di Arezzo. In questa pagina, Alessio Brogi e la nanotecnologia anticontraffazione: a sinistra alla luce solare e a destra alla luce UV www.cabro.it

Con l’applicazione dell’orofluorescenza l’articolo è protetto da una sorta di impronta digitale

fazione dei componenti. Inoltre, le sue applicazioni non si fermano al contrasto ai falsi, ma includono anche altre funzionalità. Per esempio, in ambito biomedicale, abbiamo sperimentato le sue funzioni traccianti nell’esecuzione di operazioni seriali che necessitano di garanzie qualitative importanti. Un caso è quello dell’incollaggio degli aghi alle siringhe, un’azione che una macchina ripete milioni di volte e che deve completarsi senza che si creino bolle d’aria o fori. Aggiungendo il nostro orofluorescente alla colla è possibile verificare facilmente se questa è stata distribuita omogeneamente, individuando eventuali pezzi non conformi agli standard di produzione». Come siete arrivati allo sviluppo di questa soluzione? «Questo e gli altri prodotti nanometrici sono il risultato di un lavoro di ricerca avviato circa quattro anni fa. Ma la nostra azienda lavora con i metalli preziosi da 25 anni, io e il mio socio Giovanni Battista Castigli siamo partiti infatti come realtà di appoggio per il settore orafo aretino per il recupero dai cascami, attività che ancora oggi svolgiamo. Nel tempo però abbiamo diversificato, lavorando molto sulla chimica dei metalli preziosi di una certa

complessità». Vi rivolgete solo al mercato nazionale o anche a quello globale? «Oltre alla nostra attività in Italia, nel 2007 abbiamo acquistato un colorificio in Germania che produce colori per vetro, porcellana e ceramica. Con questa acquisizione abbiamo completato il listino dei nostri prodotti dedicati alla decorazione. A livello commerciale, il nostro fatturato è diviso a metà fra mercato interno ed estero. All’estero siamo presenti soprattutto nei paesi dell’ex Urss e del Far East, ai quali forniamo per lo più prodotti per il settore decorativo». Qual è la vostra politica di gestione dell’impatto ambientale? «La formazione dei nostri collaboratori è impostata a porre al primo posto il tema del rispetto dell’ambiente, in modo che né l’attività di ricerca né la produzione abbiamo ricadute negative sull’ecosistema. Per questo motivo abbiamo adottato un sistema bottom up, che, partendo dal punto di vista chimico, esclude l’uso di nanopolveri. Infatti ci siamo sempre dedicati a sviluppare e produrre i nostri prodotti a partire da uno ione, manipolandolo dal punto di vista chimico, ottenendo così risultati tecnologici senza aggredire l’ambiente». TOSCANA 2012 • DOSSIER • 57


TECNOLOGIE

L’innovazione è la sfida per la qualità La direttrice lungo la quale si muovono i produttori di buste termiche e packaging è quella dell’innovazione costante. Necessaria in un mercato di dimensioni europee e fortemente competitivo. La tecnologia per l’imballaggio flessibile secondo Giuliano Castori Valerio Germanico

na filosofia aziendale orientata all’innovazione continua. È questa la politica che guida l’azione del Cavalier Giuliano Castori, titolare della Imball Center, azienda produttrice di imballaggi flessibili destinati principalmente ai settori alimentare, farmaceutico e cartario. Inoltre, la società si è specializzata nella produzione di buste termiche. Come spiega Castori: «La nostra attività produttiva è divisa fra due stabilimenti, entrambi nella provincia di Lucca. Uno è dedicato alle bobine stampate e laminate, l’altro alla produzione di buste, termiche e non». Con una produzione complessiva annua di film stampato che ha superato le 2.300 tonnellate, Imball Center festeggia il trentesimo anno di attività confermando un trend di crescita costantemente positivo, tanto che il valore di produzione previsto per la chiu-

U

Giuliano Castori, titolare della Imball Center Srl di Diecimo (LU) www.imballcenter.it www.termika.us

58 • DOSSIER • TOSCANA 2012

sura del 2012 è stimato in 14,7 milioni di euro. Da quale tipologia di articoli è composta la vostra gamma? «La produzione principale è rappresentata dalla realizzazione di imballaggi plastici monofilm e laminati a duplice o triplice strato, destinati al confezionamento automatico soprattutto di prodotti cartari – come fazzoletti e tovaglioli – , alimentari quali surgelati, pasta, biscotti, caffè, latticini. A questi articoli è stata affiancata, fin dal 1982, la produzione di buste termiche in grado di favorire il rispetto della catena del freddo durante il trasporto di alimenti freschi, surgelati, gelati, medicinali e termosensibili». La vostra azione si sta concentrando su alcune categorie di prodotti in particolare? «Abbiamo puntato sulla produzione di buste termiche con speciali tipi di chiusura, come la minigrip e le minigrip a cursore. Queste buste sono destinate prevalentemente al settore farmaceutico e possono essere dotate di doppio diffusore flessibile di gel anche con valori eutettici variabili in base alle esigenze dei settori di applicazione ai quali sono destinate. Indipendentemente dalle applicazioni, però, tutte le nostre borse termiche sono tracciate per lotto attraverso un sistema brevettato. Inoltre, nella stessa unità produttiva, abbiamo due nuovi impianti dedicati alla produzione delle buste a soffietto “Y New”. Anche questo è un nostro brevetto, destinato prevalentemente alla distribuzione alimentare». Quali sono i materiali e le tecnologie che


Giuliano Castori

14,7 mln

utilizzate nella vostra produzione? «Utilizziamo film di varia natura: dal polietilene a varie densità al polipropilene, al poliammide, al poliestere, a tutti i materiali con barriera Evoh per i prodotti ad atmosfera protettiva, all’alluminio e altri. Il flusso produttivo, realizzato tramite un processo di stampa, laminazione e saldatura, viene assicurato da impianti e attrezzature all’avanguardia, in spazi produttivi efficienti e seguendo procedure di lavoro che coniugano l’esperienza trentennale con il miglioramento continuo permesso dall’evoluzione tecnologica. Da qualche anno abbiamo anche introdotto un sistema di autocontrollo igienico basato sulla metodologia Haccp. Inoltre, dal punto di vista organizzativo, siamo certificati Iso 9001 fin dal 1999». Quanto investite nell’innovazione tecnologica? «Il parco macchine viene mantenuto sempre aggiornato, attraverso un continuo e veloce rinnovamento. Proprio in quest’ottica, fra gli investimenti programmati abbiamo inserito l’acquisto di una seconda macchina per la laminazione dei film. Questo ci consentirà di migliorare e potenziare il nostro modo di lavorare, in linea con la previsione di una continua crescita della produzione e del volume d’affari». Qual è il vostro mercato di riferimento? «I nostri prodotti sono destinati alla grande distribuzione organizzata e alle industrie di confezionamento dei comparti food, non food e farmaceutico. In questi settori, negli ultimi anni, abbiamo incrementato la nostra presenza

VALORE DI PRODUZIONE STIMATO PER IL 2012. IL DATO 2011 SI ATTESTAVA A 14,4 MLN, CON UN INCREMENTO DEL 8,6% RISPETTO AL 2010

sia sul mercato italiano, che su quello europeo. Per questo oggi, attraverso la distribuzione dei nostri clienti e i confezionatori italiani ed esteri con i quali lavoriamo, il nostro prodotto è presente in tutti i paesi dell’Unione Europea». Quali sono i vostri progetti per il 2012 e il medio periodo? «Le direttrici di sviluppo per l’anno in corso e per i prossimi sono innanzitutto legate al recente acquisto di un nuovo stabilimento con un’area coperta di circa 20.000 mq, nel quale spostare progressivamente tutte le attività produttive in modo da riunificarle. Una volta terminato questo progetto, lo stesso darà un nuovo impulso alla nostra attività con vantaggi sia logistici sia operativi, consentendo all’azienda di disporre di tutto lo spazio necessario per lo sviluppo futuro». TOSCANA 2012 • DOSSIER • 59


TECNOLOGIE

Il “Progetto Hepburn”, per l’elettroforesi i chiama “Progetto Hepburn” ed è la carta giocata da Sebia, multinazionale francese operante nell’ambito dell’elettroforesi. Il progetto persegue l’eccellenza aziendale coinvolgendo i clienti nella riorganizzazione dei processi, malgrado un contesto generale sempre più intricato. Da una parte, la difficile congiuntura economica; dall’altra i mutamenti in atto all’interno della sanità – diagnostica di laboratorio inclusa –, cui si aggiunge l’annoso problema dei prolungati tempi di pagamento. Forte delle ottime performance del 2011, questa realtà guarda al futuro a testa alta per concretizzare la vision, citata da Massimiliano Boggetti, direttore generale di Sebia Italia: «Innovare per fare dell’elettroforesi la

S Massimiliano Boggetti, direttore generale di Sebia Italia, società con sede a Bagno a Ripoli (FI) www.sebia.com

Bilancio 2011 positivo per Sebia Italia, che non si adagia sugli allori e affronta un mercato in crisi, mettendo in campo un progetto rivoluzionario, di cui ci parla il direttore generale, Massimiliano Boggetti Roberta De Tomi

tecnica di scelta del laboratorio di diagnostica per la separazione e l’identificazione di biomarcatori proteici». In cosa consiste il “Progetto Hepburn” e come viene attuato? «Abbiamo avviato questo progetto che vuole migliorare l’organizzazione aziendale, ripensandola in maniera prospettica e innovativa. Tale iniziativa vede coinvolti, da una parte i colleghi con le loro proposte innovative, dall’altra un gruppo di lavoro composto dai nostri manager e da un numero selezionato di clienti, ciascuno rappresentativo del segmento di mercato che serviamo e coordinato da due consulenti di organizzazione aziendale. Il “Progetto Hepburn” è uno strumento per dare voce ai clienti, affinché possano essere sempre di più soddisfatti di noi». Come si esprime la vostra azienda in numeri? «Nell’ambito di riferimento abbiamo un ruolo di leadership mondiale, con oltre 80 distributori e 8 filiali. In particolare quella italiana, in cui lavorano un gruppo di persone che hanno una lunga storia, sono motivate e fortemente orientate alla soddisfazione del cliente, si conferma da molti anni il partner scelto dalla maggior parte dei clienti pubblici e privati nazionali. Qui, infatti, le nostre tecnologie sono


Massimiliano Boggetti

impiegate da oltre il 90 per cento dei laboratori di patologia clinica». Con quale finalità e quali prodotti vi proponete sul mercato? «Sin dalla nascita Sebia ha ideato, costruito e commercializzato sistemi di analisi all’avanguardia tecnologica, utilizzati per la diagnosi di patologie quali le discrasie plasmacellulari (la più nota è il mieloma, un tumore del midollo osseo), la sclerosi multipla, l’abuso alcolico cronico, le talassemie, le emoglobinopatie e infine per il diabete, test lanciato proprio quest’anno». A proposito di Italia: in che contesto state lavorando e come vi rapportate a esso? «In questi anni il mondo della Salute sta attraversando un periodo critico, sia per la recessione economica, sia per il Governo che, a fatica, sta attuando un cambiamento delle regole del mercato che consenta di garantire ai cittadini una salute sostenibile, senza compromettere la qualità dei servizi. Spesso questi provvedimenti si abbattono sulle sole aziende del settore già gravate da margini ridotti dalla forte competitività e ingiustamente indebolite da tempi di pagamenti lunghissimi. Malgrado tutto, a dimostrazione della sua solidità e buona gestione, nel 2011 Sebia Italia ha realizzato il risultato di profitto mi-

Il mondo della salute sta attraversando un periodo critico. Malgrado tutto, nel 2011 Sebia Italia ha realizzato il risultato di profitto migliore della sua storia

gliore della sua storia». Quali altri riconoscimenti avete ottenuto e cosa rappresentano per voi? «L’Abi (Associazione Bancaria Italiana) ci ha segnalato fra le aziende più solide in Toscana dell’anno precedente e la Camera di commercio di Firenze in collaborazione con l’Università di Firenze ci ha attribuito il giudizio di merito creditizio “Eccellente”, nel rispetto dei parametri di Basilea III. Per noi queste sono ulteriori conferme, che ci stimolano a migliorare». Eccellenza, come si traduce in obiettivi concreti? «Sebia, facendo leva sulla sua lunga tradizione di ideazione, produzione e commercializzazione di sistemi diagnostici basati sulla tecnica elettroforetica, vuole continuare a essere il fornitore di riferimento grazie a un servizio di eccellenza e all’introduzione nel mercato di prodotti innovativi». TOSCANA 2012 • DOSSIER • 61


TECNOLOGIE

Cresce la produzione di generatori d’idrogeno ntro il 2020 il 33 per cento dell'elettricità e il 25 per cento dell'energia globale dovranno essere prodotti ricorrendo a fonti rinnovabili. È quanto ha espresso l’Ue che ha anche invitato i Paesi membri a sviluppare una tecnologia che utilizzi l’idrogeno come accumulatore/vettore di tale energia. È infatti importante sottolineare che una società basata sull’energia rinnovabile è impossibile a meno che l’energia non possa essere conservata sotto forma di idrogeno. Il motivo di ciò è che l’energia è intermittente. Il sole non splende sempre. Il vento non soffia sempre. Ma se una parte dell’elettricità che viene prodotta quando l’energia rinnovabile è abbondante viene utilizzata per estrarre dall’acqua l’idrogeno e quest’ultimo viene poi immagazzinato per poterlo utilizzare successivamente, la società avrà una fornitura continua di energia. La molecola d’idrogeno è infatti un vettore energetico molto promettente, soprattutto in relazione al possibile e definitivo decollo delle fonti energetiche rinnovabili, in quanto può rappresentare la migliore risposta allo stoccaggio delle stesse. È su queste basi che sta portando avanti il suo lavoro la ILT Tecnologie, società che opera nel settore metalmeccanico e impiantistico. «Grazie a un’esperienza pluriennale nella produzione di gas tecnici – specifica il presidente e am-

E

Sonia Beccani è Presidente e amministratore delegato della ILT Tecnologie di Ponsacco (PI) www.ilttecnologie.eu

62 • DOSSIER • TOSCANA 2012

L’Unione Europea ha invitato i Paesi membri a sviluppare una tecnologia che utilizzi l’idrogeno come accumulatore/vettore di energia. Gas ecologico per eccellenza da usare in sostituzione dei derivati del petrolio. Ne parla Sonia Beccani Marco Tedeschi

ministratore Sonia Beccani – all'interno dell'azienda si sono sviluppate varie linee dedicate alla produzione di generatori di idrogeno e ossigeno a gas separati, unitamente al settore parti calde per turbine». La produzione di generatori di idrogeno e ossigeno per usi industriali in sostituzione dei gas derivati dal petrolio come Gpl, metano o Acetilene è in piena espansione, sia in Italia che all'estero. «I molteplici usi consentono di differenziare i mercati di vendita sia per settore che per zona geografica. In questo caso la produzione viene venduta direttamene sul mercato. Nelle linee produttive acciai speciali, i clienti sono di primo piano: Enel, Avio, Siemens General Electric, Nuovo Pignone. In tale ambito la concorrenza è costituita da aziende multinazionali, caratterizzate da costi orari elevati e poca flessibilità; per questo le dimensioni ridotte della nostra azienda e la professionalità dei nostri tecnici, ci consentono di essere estremamente competitivi e realizzare ottimi ricavi». L’azienda ha recentemente investito in un settore particolare. «Abbiamo deciso di proporci come fornitori nel campo


Sonia Beccani

Aeronautico per quanto riguarda il Turbogas, mentre per il settore Idrogeno, stiamo realizzando impianti prototipo per la modularità dell’energia elettrica prodotta dalle energie rinnovabili,. In particolare alcuni progetti realizzati in Danimarca, finanziati dal governo danese, paese dove l’energia eolica è già abbondantemente utilizzata. Il tutto con notevoli successi. Anche a seguito di questi investimenti, nel 2011 c’è stato un aumento di fatturato del 18 per cento e ci aspettiamo lo stesso andamento nel 2012». Per quanto riguarda la produzione di generatori di idrogeno, grazie all'attività di ricerca tecnologica della Divisione Piel, sono stati sperimentati e costruiti generatori di tipo economico. «Questi generatori erano conosciuti agli inizi come “saldatrici ossidriche” per lavori di saldatura, brasatura, taglio e riscaldo. Anche se elettrolizzatori di media capacità per la produzione d’idrogeno e ossigeno esistevano già da tempo, il loro costo e la difficoltà di utilizzo li rendevano adatti all’utilizzazione solo nei laboratori di ricerca. La nostra azienda invece è riuscita a produrre una serie di macchine robuste, economiche e con bassi costi di gestione e, grazie a tali caratteristiche, utilizzabili anche nelle piccole officine. L'idrogeno è il gas ecologico per eccellenza e il suo utilizzo in sostituzione dei

La possibilità di autoprodurre con facilità l'idrogeno e l'ossigeno sul posto di lavoro nel momento stesso dell'utilizzo è un’innovazione importante

gas derivati dal petrolio apporta enormi benefici alla salute dei saldatori (non più esposti a gas dannosi quali il monossido di carbonio) e all'ambiente in quanto il residuo della combustione è il solo vapore acqueo. La possibilità di autoprodurre con facilità l'idrogeno e l'ossigeno sul posto di lavoro nel momento stesso dell'utilizzo e nella massima sicurezza a costi bassissimi è un’innovazione che ci ha consentito di acquisire una posizione leader nel relativo mercato». Per quanto riguarda invece la linea acciai speciali il riferimento va alle parti calde per turbine e industria chimica. «Per “parti calde” per turbine mi riferisco alle camicie di combustione, curve e convogliatori dei gas ai rotori, nonché altre parti complementari degli impianti cui le turbine sono destinate. Contatti diretti con multinazionali che costruiscono turbine, ci hanno permesso di approfondire i problemi d’impiego e di durata dei componenti da noi prodotti, mettendo così a frutto la nostra esperienza nel campo delle lavorazioni dei metalli speciali». TOSCANA 2012 • DOSSIER • 63




INNOVAZIONE

L’informatica amplia i suoi orizzonti con l’open source n Italia, pur avendo fatto passi notevoli negli ultimi anni, è ancora visto con una certa diffidenza, ma nel mondo, l’open source sta guadagnando terreno sempre più rapidamente. Lo testimonia anche una recente ricerca condotta dalla Linux Foundation in collaborazione con il Yeoman Technology Group. Su un campione selezionato di 1.893 imprese a livello mondiale, utenti del sistema operativo, è emerso che oltre 8 aziende su 10 hanno accresciuto l’uso di questa piattaforma. Una porzione analoga intende continuare a implementare l’utilizzo di Linux anche nel 2014, mentre un dato simile si riferisce a coloro che proseguiranno il loro commitment verso il sistema operativo open source. Chi affonda le proprie radici nell’open source, è la InitZero, società operante nell’It, nata dalla condivisione di diverse esperienze nel settore, autrice di un progetto innovativo che le ha permesso di arrivare all’Expo internazionale di Shangai 2012. «Con questo progetto, alquanto complesso – spiega l’amministratore delegato, Massimiliano Sorcinelli – abbiamo vinto insieme ad altre 200 aziende il concorso “Innovatori per l’Italia”, indetto dal ministero dell’Innovazione. Per la sua elaborazione abbiamo collaborato con altre due società. Nella fattispecie, il progetto prevede la scansione tridimensionale di strutture industriali tramite un laser scanner. Queste in-

I

La InitZero opera nell’ambito dell’It e ha sede ad Arezzo www.initzero.it

66 • DOSSIER • TOSCANA 2012

Un progetto innovativo presentato da InitZero all’Expo internazionale di Shangai 2012, ha dimostrato il valore della creatività italiana anche nell’informatica basata sull’open source. Ne parla Massimiliano Sorcinelli Roberta De Tomi

formazioni vengono tradotte in oggetti tridimensionali e importate su software Autodesk Autocad. Successivamente tutti i componenti della struttura industriale vengono catalogati su database relazionale. Tutto questo consente, ad esempio, di catalogare, come un grande Lego la struttura industriale e ne permette lo smantellamento e la ricostruzione in un altro luogo, in tempi rapidi e con precisione. Al momento non ha avuto alcuno sviluppo a livello di applicazione concreta». Il progetto è l’ultima novità per la InitZero, che tra le attività sviluppa anche software su diverse piattaforme, privilegiando soprattutto l’open source, terreno che molte realtà nostrane guardano con una certa diffidenza. «Sicuramente – precisa Sorcinelli – esistono ancora realtà, anche importanti, in cui la dirigenza predilige i sistemi conosciuti e anche per i server opta per i sistemi basati soprattutto su architettura Windows. In generale, però, e sempre più di frequente, riscontriamo che il cliente guarda prima di tutto all’efficienza del progetto e in rapporto a questo parametro, dà la disponibilità a realizzare l’investimento su un determinato tipo di sistema, piuttosto che su un altro. Dunque la scelta cade sull’open source, nel momento in cui


Massimiliano Sorcinelli

Intendiamo investire nello sviluppo di applicazioni per il mobile. In questo settore stiamo infatti ricevendo molte richieste

l’utente si accorge di ottenere concreti benefici grazie a tale applicazione, sia da un punto di vista funzionale, che finanziario». L’innovazione, che è nel Dna del settore IT, ma anche dell’azienda, che ha sviluppato diversi progetti, tra cui, uno, in collaborazione con una grande azienda di Arezzo, è un programma gestionale per aziende tessili, e l’altro è un controllo satellitare per automezzi con interfaccia web. Accanto a questa, vi sono attività di assistenza e sistemistica portate avanti dalla InitZero per una committenza sia pubblica che privata. «Abbiamo collaborazioni anche con la pubblica amministrazione – prosegue l’amministratore – sia per la gestione dei sistemi informativi che per lo sviluppo di specifiche applicazioni software. Abbiamo anche collaborato all’informatizzazione della biblioteca di Arezzo e sviluppato un programma per la gestione dei biglietti e delle prenotazioni di musei e mostre». Nell’attività dell’azienda, molte luci, ma anche delle ombre. «Nell’ultimo anno – precisa Sorcinelli – siamo cresciuti sia in termini di personale, che di fatturato, dunque il riscontro è sicuramente positivo. Questo incremento è da attribuire a una serie di iniziative mirate che hanno dato i loro frutti: abbiamo infatti continuato a investire nella formazione e a sperimentare nuovi sistemi di sviluppo software e nuove ar-

chitetture sistemistiche da proporre al mercato. Le difficoltà incontrate, invece, sono quelle che ultimamente stanno conoscendo la maggior parte delle imprese. La recessione ha ridotto il numero dei clienti attivi, sia perché alcuni hanno chiuso l’attività, sia perché altri risentono in maniera particolarmente negativa della crisi, rendendo quindi più difficile la riscossione dei pagamenti. Malgrado ciò, siamo già al lavoro sul fronte dell’innovazione e per il futuro abbiamo deciso di investire nello sviluppo di applicazioni per il mondo mobile. In questo settore stiamo infatti ricevendo sempre più richieste, in particolare relative ad applicativi per tablet e smartphone e ci stiamo strutturando per offrire anche questo tipo di dispositivi». TOSCANA 2012 • DOSSIER • 67


INNOVAZIONE

Paguro, la novità negli accessori industriali Dare sfogo alla capacità progettuale e produttiva e immettere incessantemente sul mercato prodotti nuovi e all’avanguardia. Anche in periodo di crisi e recessione. Belisario Pini racconta la sua esperienza Emanuela Caruso

onostante il difficile periodo economico, continuiamo a sviluppare nuovi prodotti, i più importanti dei quali coperti da brevetto, unica forma di protezione della proprietà intellettuale a livello industriale». È con queste parole che Belisario Pini riassume la filosofia adottata dalla Steab, azienda che dirige da oltre quarant’anni, per affrontare un mercato incerto e incapace di reagire. Con circa 20 nuovi prodotti immessi nel settore accessori per uso industriale nell’ultimo biennio la Steab conferma ancora una volta la sua reputazione di società innovatrice, e nel farlo presenta la linea che meglio simboleggia la capacità di innovare: la serie Paguro.

«N Belisario Pini, presidente del Cda della Steab Spa di Firenze. Nelle altre immagini, il brevetto Paguro e alcuni interni dell’azienda www.steab.it

68 • DOSSIER • TOSCANA 2012

«Paguro è una novità fondamentale nel campo delle scatole di connessione IP68 – commenta Belisario Pini –. Si tratta di un prodotto che grazie alle sue peculiarità di facilità di utilizzo, massima affidabilità e minime dimensioni vanta un’eccellenza assoluta. Proprio a completamento di questa serie, negli ultimi quattro mesi abbiamo lanciato quattro nuovi modelli, e nei prossimi sette mesi è prevista l’uscita di altri cinque articoli di ultima generazione». Cosa distingue Paguro dalle altre scatole di connessione? «Al contrario delle altre scatole di connessione, che lasciano l’introduzione del materiale isolante alle competenze del singolo operatore, quelle della linea Paguro contengono un innovativo gel siliconico che, al momento della chiusura, garantisce un’ottima resistenza agli agenti chimici e una lunga durata. E queste sono solo alcune delle sue caratteristiche più importanti. Tra le altre cose, Paguro presenta anche un elevato grado di protezione alla connessione di cavi per applicazioni in “outdoor”». Quali sono i principali campi di applicazione della serie? «Sicuramente, l’illuminazione esterna per uso residenziale e civile e l’architettura urbana. Le sue performance stanno dando risultati molto buoni, soprattutto in quanto permettono al produttore del corpo illuminante di “chiudere il cerchio”, ovvero di creare un prodotto completamente stagno a protezione IP68 del colle-


Belisario Pini

gamento tra corpo illuminante e linea d’alimentazione». A livello di vendite come sta andando Paguro? «La diffusione di questa gamma di articoli sta procedendo molto bene, tanto che negli ultimi sei mesi dell’anno in corso, nonostante una congiuntura economica particolarmente sfavorevole, Paguro ha fatto registrare un aumento del più 37 per cento sulle vendite in 42 diversi mercati verso cui destiniamo le esportazioni». In totale la Steab distribuisce i propri articoli in 55 paesi. Essere presenti in numerosi mercati nel mondo vi ha permesso di attutire gli effetti della crisi? «Senza dubbio intrattenere rapporti con così tanti paesi internazionali ha attutito gli effetti della recessione, purtroppo però lo ha fatto solo in parte. Per esempio, anche se è aumentato il nostro fatturato in zone come la Russia, il Brasile e i Paesi Arabi, ciò non ci ha comunque consentito di bilanciare le perdite che registriamo in mercati d’esportazione tradizionali ma di importanza molto più elevata, è il caso di Spagna e Francia e dell’Europa Occidentale in generale. Considerando questi elementi, non ci stupisce il fatto di aver chiuso un

2011 con un fatturato calato del 3 per cento rispetto al 2010 e di notare un trend ancora negativo anche per il primo semestre del 2012, che ha segnato un meno 6 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente». Di fronte a una situazione così difficile che tipo di misure strategiche ha intrapreso la Steab? «Il Consiglio d’Amministrazione, di cui sono il presidente, ha deciso di intraprendere alcune misure molto importanti per permettere alla società di mantenere la posizione di mercato. Innanzitutto, è stato previsto un completo rinnovo dell’impianto di preparazione e alimentazione plastiche alle presse; in secondo luogo, è stato scelto di investire nella realizzazione di un impianto fotovoltaico per lo stabilimento e il magazzino. Lo scopo di queste strategie è quello di rispondere agli ostacoli posti dalla stagnazione del mercato attraverso nuove proposte, attenzione specifica alle esigenze del cliente Le strategie messe in campo e rinnovata sensibilità nei confronti dall’azienda per affrontare dell’ecosostenibilità e del risparmio energetico». la crisi hanno riguardato Il cuore della realtà Steab è il mail rinnovo di alcuni impianti gazzino. Perché? di produzione e la realizzazione «Perché è nel magazzino che i granuli di un impianto fotovoltaico delle materie prime vengono conservati in precisi vani codificati. Al momento ❯❯

TOSCANA 2012 • DOSSIER • 69


INNOVAZIONE

Micro Paguro 5665: l’utimo nato della linea connettori È l’ultima novità immessa sul mercato dalla società Steab e fa parte dell’avanguardistica serie Paguro. Il prodotto si chiama Micro Paguro ed è in grado di rispondere in maniera efficace a più esigenze specifiche, tra cui il collegamento di cavi da un driver a modulo Led, la protezione del collegamento con grado IP68 e la necessità di rimanere invisibile. Al momento dell’acquisto, insieme al connettore la Steab mette a disposizione del bacino d’utenza anche gli strumenti per la connessione, in particolare due morsetti doppi per il collegamento di cavi in neoprene. Micro Paguro è un prodotto disponibile in pronta consegna ed è possibile acquistarlo in sacchetti singoli o in cartoni da venti pezzi, in entrambi i casi la Steab provvede a personalizzare il packaging in base al cliente.

70 • DOSSIER • TOSCANA 2012

❯❯ dell’utilizzo, ogni granulato viene prelevato e immesso in appositi essiccatori a setacci molecolari, per poi essere inviato sotto vuoto alle varie macchine. Una volta prodotti nelle esatte quantità, gli articoli vengono controllati e confezionati automaticamente, ciò significa che il terminale d’imballaggio conta i pezzi di ogni busta, le buste in ogni scatola, e le scatole della singola spedizione». A fronte di quanto appena detto, risulta evidente l’alto grado di automazione dei vostri processi. Quanto è importante automatizzare l’attività? «Per una realtà come la nostra moltissimo. Se il processo produttivo è altamente automatizzato e gestito da un sofisticato sistema informatico, l’attività si ottimizza e il margine d’errore si riduce a zero. Per queste ragioni la Steab non può prescindere dall’utilizzo di tecnologie d’avanguardia e dispone, di conseguenza, di apparecchiature e strumentazioni tecnologiche di progettazione di elevatissima qualità». Parlando proprio di progettazione, come nascono i vostri prodotti? «La fase iniziale della progettazione prevede un’analisi approfondita e accurata di quelle che sono le richieste del mercato in quel preciso periodo. Tutte le richieste individuate vengono trasmesse dall’ufficio di marketing direttamente al sottoscritto, poiché ci tengo in modo particolare a redigere una prima idea risolutiva. Una volta dato il via a un progetto, questo viene passato all’ufficio tecnico, i cui esperti si avvalgono oltre che della loro competenza e professionalità anche di strumentazione tecnologiche».



EXPORT

Tecnologie di trasporto per la catena del freddo uello che sta portando le aziende italiane a dipendere sempre più dall’estero, soprattutto in alcuni settori, non è un fenomeno legato esclusivamente alla congiuntura attuale. Come testimonia Pierluigi Benaglio, responsabile area commerciale dell’omonima azienda specializzata nella produzione di celle isotermiche e coibentazioni secondo le norme Atp: «Oggi ci troviamo di fronte a un mercato italiano completamente in stand by. Rispetto a dieci anni fa, appena un terzo dei nostri allestimenti in vetroresina e poliuretano espanso per il trasporto di merci deperibili viene assorbito dal mercato interno. I mercati che ci garantiscono la quota più consistente del fatturato sono quelli di Svizzera, Germania e Austria». La necessità di rivolgersi all’estero non è stata

Q

La F.lli Benaglio Srl ha sede presso Capezzano Pianore (LU) www.benaglio.com

74 • DOSSIER • TOSCANA 2012

Pierluigi Benaglio descrive il mercato europeo della produzione e commercializzazione di celle frigorifere per veicoli e sistemi di coibentazione. Un settore in cui l’importanza dei mercati esteri è venuta via via crescendo nell’ultimo decennio Manlio Teodoro

però un’esclusiva della F.lli Benaglio. «Il successo ottenuto dai primi produttori che hanno puntato sull’export ha fatto crescere la concorrenza. Questo ha reso l’approccio ai mercati più complesso, dato che i paesi potenziali per la nostra fascia di prodotto attualmente sono quelli nei quali stiamo già operando. Infatti, la Spagna, per esempio, ha una produzione interna con la quale un prodotto estero non riesce ancora a competere. E un discorso analogo si può fare per la Francia. Guardando all’Est europeo, poi, ci troviamo di fronte a una richiesta di prodotto di fascia più bassa. Per riuscire a competere con le produzioni locali in paesi come Romania o Polonia è indispensabile delocalizzare la produzione in loco, altrimenti diventa impossibile conciliare costi di produzione e prezzi di vendita – questa strada è stata già intrapresa da alcune aziende italiane, che infatti hanno trasferito parte della produzione in questi paesi». La scelta di F.lli Benaglio è quindi


Pierluigi Benaglio

Rispetto a dieci anni fa, appena un terzo dei nostri prodotti è assorbito dal mercato interno

stata quella di mantenere alto il livello di qualità e di conservare i mercati in grado di recepire questa fascia di prodotto. «Negli ultimi cinque anni abbiamo sviluppato una tecnologia dedicata alle celle frigorifere per i camion e i veicoli in genere. Poiché il nostro prodotto è destinato a mezzi di trasporto, la leggerezza diventa un dato importante, naturalmente mantenendo le prestazioni tipiche di tenuta del freddo e un’alta resistenza. Quindi abbiamo lavorato molto su questo aspetto perché specialmente nei veicoli di piccola e media portata diventa molto importante avere degli allestimenti leggeri che di conseguenza garantiscono risparmi energetici importanti. Naturalmente la nostra produzione si muove all’interno degli standard Atp, che regolamentano le tecniche costruttive degli allestimenti isotermici e refrigerati destinati al trasporto di prodotti alimentari deperibili. Con l’introduzione della regolamentazione Atp vi è stato un notevole miglioramento delle prestazioni isotermiche e frigorifere. Infatti il trasferimento di derrate alimentari, in particolare di quelle deperibili, ha sempre posto problemi di conservazione dei carichi che, proprio nella fase del trasporto, incontrano uno dei punti più deboli della catena del freddo». La specializzazione di F.lli Benaglio è quella di realizzare celle personalizzate per ogni mezzo di trasporto. «Tutti i veicoli hanno delle caratteristiche comuni, ma anche delle differenze. Quindi per ogni commessa lavoriamo sulle specifiche che di volta in volta ci vengono fornite dal committente. Il progetto è seguito in-

ternamente lungo tutte le sue fasi e garantito da un sistema di gestione della qualità Uni En Iso 9001:2008. Il nostro ufficio tecnico provvede alla progettazione delle celle attraverso un moderno Cad tridimensionale parametrico, che consente, prima della produzione, di verificare la coerenza delle richieste del committente rispetto alle normative vigenti. La cella viene dunque prodotta interamente nei nostri stabilimenti, con un sistema di incollaggio che rappresenta il massimo della tecnologia e garantisce robustezza, leggerezza, massimi valori di isolamento termico e corrispondenza alle norme igienico-sanitarie». L’attività della società di Capezzano Pianore non si limita però alla produzione di celle, ma comprende anche altri servizi legati al freddo e ai trasporti. «Uno dei nostri reparti è dedicato alle coibentazioni dei furgoni di serie. Questa divisione si occupa di adattare quei mezzi di piccole dimensioni che eseguono consegne a corto raggio, per lo più all’interno delle città. Oltre a questo, noi forniamo una serie completa di servizi per tutto quel che riguarda i veicoli frigoriferi, offrendo assistenza e anche la possibilità di effettuare il rinnovo della certificazione Atp. Questa revisione va eseguita ogni sei anni e serve a garantire l’idoneità della cella frigorifera al trasporto». TOSCANA 2012 • DOSSIER • 75




STILE ITALIANO

Cambiano i mercati e il profilo del consumatore Lo scacchiere del lusso richiede una comprensione delle dinamiche di consumo molto più sofisticata del passato, tant’è vero che molte aziende spostano i centri decisionali in Asia. Il punto di Claudia D’Arpizio Elisa Fiocchi el giro di cinque anni la Cina potrebbe avvicinarsi al primato di potenza mondiale del lusso che oggi spetta agli Stati Uniti. Secondo le stime della società di consulenza Bain & Company, la crescita registrata dai cinesi nel 2011 ha raggiunto un giro d’affari pari a 17,7 miliardi di euro e la terza posizione nel ranking mondiale dopo Usa e Giappone. Non è un caso poi, che per la loro estensione e per la crescita vertiginosa delle vendite, le terre cinesi siano diventate oggetto di investimento da parte delle più grandi aziende del lusso mondiale: nel 2005 il marchio Louis Vuitton era presente in dieci città della Cina mentre oggi le ha triplicate, i sei monomarca di Gucci dell’anno 2006

N

Claudia D’Arpizio, direttore della sede Bain & Company di Milano

78 • DOSSIER • TOSCANA 2012

sono diventati ben 39. Il direttore della sede milanese di Bain & Company, Claudia D’Arpizio, estende poi l’analisi a quella che viene oggi chiamata “Greater China”: «Se consideriamo anche Hong Kong, Taiwan e Macao, allora ci troviamo dinanzi a un mercato di 23,5 miliardi di euro, con una crescita di quasi il 30% nel 2011, il più grande dopo gli Stati Uniti». E sulla scia della Cina, altri mercati asiatici, tra cui Indonesia, Corea e Singapore, cominciano ad affacciarsi al mondo del lusso. Quali altri fattori rendono così appetibile il mercato cinese? «I cinesi oggi comprano in Europa, nelle città d’arte e nei resort come le Hawaii. Oppure a Dubai e in altre destinazioni del turismo di lusso, che accolgono in questo momento flussi molto importanti fuori dalla Cina. Se, quindi, aggiungiamo anche queste spese, il mercato ammonta nel totale a 35 miliardi di euro, il 20% del consumo globale dei beni di lusso nel mondo. Ci si aspetta ancora una forte crescita dovuta a fattori demografici e al mercato delle città interne». Perché la classe media cinese è il nuovo obiettivo dei marchi europei? «Nella crescita nei mercati emergenti c’è una polarizzazione maggiore della ricchezza. In Cina, dato l’ordine di grandezza degli aspetti demografici, l’allargamento del consumo della classe media può portare a numeri giganteschi. Non la chiamerei classe media nell’accezione europea, ma è chiaro che da questa na-


Claudia D’Arpizio

MERCATO DEL LUSSO MONDIALE - CLASSIFICA DEI PAESI (Valori in miliardi di Euro) MLD

48.1

€ 40

€ 20

18.1

17.7

17.5 13.3 9.6

€ 10

USA

Giappone

Cina Italia (HK e Macao)

Francia

Cina

9.0

Regno Unito

8.3

Germania

6.3

5.3

4.8

4.7

Korea del Sud

Medio Oriente

Hong Kong

Russia

Fonte: Bain & Company

zione verrà la più grande base di consumatori nel lusso». In una panoramica generale, come stanno cambiando le logiche del mercato del lusso tra Europa, Asia e Stati Uniti? «Gli Stati Uniti rimarranno il mercato più importante, anche se ormai maturo: i consumatori di fascia alta stanno invecchiando, hanno 55-60 anni e le nuove generazioni sono meno interessate a prodotti ostentativi e richiedono valori diversi dal prodotto di lusso. Nel mercato americano, l’attuale sfida è capire come modificare gli approcci del consumatore nel passaggio alla nuova generazione di “echo boomers”, che hanno un’etica del consumo molto diversa dai loro genitori». Anche i consumatori asiatici stanno cambiando? «L’Asia - e con questo termine mi riferisco an-

che a Corea, Singapore, Indonesia e Giappone - è sicuramente il mercato più interessante per crescita e trend. Il consumatore è più giovane di quello americano ed europeo, ha alcune caratteristiche del consumatore classico del lusso ma ha anche un’accezione molto più moderna. È giovane, dinamico, molto sofisticato e ha la percezione di come la Cina sia in una posizione di leadership verso il mondo. Il Giappone, benché in crisi, ha il consumo pro-capite di beni di lusso più alto al mondo e anche qui assistiamo a un diverso approccio: dopo anni in cui i giapponesi copiavano le modalità di consumo occidentale, oggi la giovane generazione è la più creativa che esiste al mondo. Hanno meno soldi da spendere ma sono più esigenti e difficili da servire». E il lusso italiano resta competitivo? «L’Italia rappresenta un mercato molto grande per i consumi di lusso a livello locale, con una grande sensibilità alla moda, e accoglie flussi turistici interessanti che storicamente venivano dagli Stati Uniti e dal Giappone perchè i prodotti costavano di più. Ora sono tendenzialmente cinesi, russi e mediorientali, con un’attenzione forte ai flussi in Indonesia, che rappresenta la nuova frontiera in Asia con margini interessanti nei prossimi anni. Anche il mercato brasiliano sta crescendo, ma è penalizzato dai dazi molto forti, quindi, i prodotti occidentali hanno un differenziale altissimo che arrivano fino al doppio o al triplo dei prezzi europei». TOSCANA 2012 • DOSSIER • 79


STILE ITALIANO

Italia, qualità esclusiva La crescita a doppia cifra della Cina è impressionante ma «Usa ed Europa rappresentano i due mercati più importanti al mondo nella ripartizione dei consumi di alta gamma nel mondo e sono ancora riferimenti culturali». Ne parla Armando Branchini Elisa Fiocchi ormai consolidato traino dei mercati Bric apre enormi prospettive di crescita per i marchi italiani del lusso anche nel 2012. L’incremento dei consumatori provenienti dall’est Europa e dall’Asia ha spinto molti celebri marchi a investire su questi mercati, come testimoniano l’espansione in Russia di Prada, che ha inaugurato a Mosca il più grande negozio di tutto il Paese, e gli investimenti di Ferragamo in Cina, che hanno registrato una crescita del 44 per cento. «I paesi emergenti sono il futuro del mercato dell’alto di gamma» dichiara Armando Branchini, segretario generale della Fondazione Altagamma. Tra i big del mercato del lusso, l’Italia detiene un giro d’affari che vale 17,5 miliardi di euro, di cui ben 4 nella sola città di Milano, preceduta dal Giappone, stabile a 18,1 miliardi, e dagli Stati Uniti, che restano il primo mercato al mondo per i beni di lusso con 48,1 miliardi e in forte ripresa (+15%) dopo due anni di grande incertezza. Quanto il mercato del lusso italiano sta beneficiando delle vendite di alta gamma nei mercati Bric? «La parola Bric mette insieme realtà molto eterogenee: se Russia e Cina sono già mercati importanti, India e Brasile hanno invece enormi potenzialità, ma quote assolutamente marginali. Si parla molto, giustamente, dei mercati emergenti e, considerando la congiuntura internazionale, la crescita a doppia cifra della Cina, ad esempio, è impressionante. Tuttavia, se consiArmando Branchini, segretario generale

L’

della Fondazione Altagamma

80 • DOSSIER • TOSCANA 2012

deriamo la ripartizione dei consumi di alta gamma nel mondo, vediamo che Usa ed Europa la fanno ancora da padroni». Il lusso italiano ha segnato valori importanti anche nel settore automobilistico come per Ferrari e Lamborghini. «La parola chiave in questo caso è una: esclusività. Siamo nell’iperuranio dell’absolute luxury, il lusso per pochissimi, che non conosce confini geografici e che è incentrato sulla riconoscibilità assoluta del brand, e sulle indiscusse qualità e appeal. Un altro settore affine in crescita è quello delle due ruote, che nonostante fronteggi un momento difficile, nella gamma più alta vede aumentare le vendite, soprattutto in Usa e nei mercati asiatici. Auspichiamo anche una decisa ripresa del settore della nautica di alta gamma, che è stato quello che ha maggiormente sofferto della crisi iniziata nel 2008». Le vendite online dei prodotti di alta gamma sono previste in aumento del 20% annuo, fino a raggiungere gli 11 miliardi di euro nel 2015. Che ruolo avranno nel futuro i social media e le piattaforme di vendita online? «Tra breve la distinzione tra online e offline sarà diventata obsoleta. Non parliamo soltanto del canale di vendita, dell’e-commerce, ma di tutto l’ambiente online, che diventerà l’ambiente naturale in cui le marche dialogheranno con i consumatori, in cui questi ultimi si informeranno e si confronteranno sui prodotti e anche sulle strategie di comunicazione delle aziende. Già oggi ci dice il Digital Luxury Experience - più del 50% dei consumatori che acquistano un prodotto in negozio hanno svolto delle ricerche online, e, viceversa, più del 50% di chi acquista online ha prima osservato e toccato con mano il prodotto in negozio».



STILE ITALIANO

Le imprese familiari protagoniste del mercato Molte aziende del lusso italiano portano il nome a proprietà o la gestione familiare rappresentano l’assetto societario preva- della famiglia, è il caso di Zegna, Ferragamo, lente tra le imprese del lusso, questo Prada e Armani, solo per citarne alcune. perchè il family business racchiude, per le sue caratteristiche, fattori positivi che contri- «Queste imprese sono fondamentali nel buiscono a rafforzare la percezione di valore nel caratterizzare il mercato del lusso, specialmente cliente, nei partner delle aziende e negli altri portatori di interesse. Secondo i dati dell’Osservato- in Italia». E affrontano anche meglio la crisi rio Aub (Aidaf-Unicredit-Bocconi) e il Cam- Elisa Fiocchi bridge Institute for Family Enterprise, dal 2007 al 2010 il Roe delle aziende familiari si è attestato sul 4,7%, contro il 2,1% delle aziende non familiari, e il loro fatturato è cresciuto del 2,4%. Il segreto consiste anche nell’abilità di saper bilanciare la dimensione economica della competizione con quella simbolica. Gioacchino Attanzio, direttore generale dell’Associazione italiana delle aziende familiari, spiega le ragioni per cui la proprietà familiare si dimostra l’assetto meglio disposto a sacrificare i risultati economici nel breve periodo per costruire valore nel futuro. Quali sono i punti di forza delle aziende familiari e le strategie attuate contro la crisi economica? «Sicuramente nel caso specifico della crisi, le aziende familiari hanno una maggiore velocità decisionale e una migliore adattabilità alle situazioni che in un contesto di forte discontinuità e cambiamenti risultano premianti. La tendenza di questo tipo di aziende a investire sull’innovazione a tutto campo, non solo sul prodotto, e soprattutto sull’internazionalizzazione, è stata rafforzata e ha costituito in gran parte la strategia vincente su cui le aziende familiari hanno fatto forte leva per affrontare la crisi». Analizzando l’assetto proprietario dei primi dieci brand del lusso nella classifica di Millward Brown nel 2010, emerge come l’80% si Gioacchino Attanzio, direttore caratterizza per una proprietà o gestione fagenerale di Aidaf, Associazione italiana delle aziende familiari miliare. Che correlazione esiste tra l’industria

L

82 • DOSSIER • TOSCANA 2012


Gioacchino Attanzio

IMPRESA FAMILIARE

FATTURATO

80%

2,4%

LA PERCENTUALE DELLE PRIME DIECI MARCHE DEL LUSSO PER IMPORTANZA NELLA CLASSIFICA DI MILLWARD BROWN NEL 2010

LA PERCENTUALE DI CRESCITA DEL FATTURATO DELLE AZIENDE FAMILIARI DAL 2007 AL 2010

del lusso e il family business in Italia? «Il senso del bello e la capacità di conferire qualità ai prodotti (il bello ben fatto) è una caratteristica della cultura imprenditoriale che fa capo al gusto e all’origine artigiana che impregna l’imprenditoria del nostro Paese. Ciò si manifesta nei modi e nella misura migliore nel family business, perchè fa parte dei valori sociali e familiari in generale e, quindi, si trova anche nelle aziende di famiglia». E quanto influisce la presenza delle imprese familiari nel mercato del lusso in Italia? «È fondamentale nel caratterizzare il mercato del lusso, particolarmente in Italia. Non a caso, quasi tutte portano il nome della famiglia come Zegna, Ferragamo, Prada, Armani, Cucinelli e altre ancora, a dimostrazione che l’identificazione con una famiglia premia e in vari modi influenza il mercato». Le imprese familiari sono pronte allo sviluppo di piattaforme online come canale di brand marketing e di e-commerce? «Un po’ tutte hanno cominciato, chi più chi meno, ad affrontare questo percorso, a volte però con molta prudenza o indirettamente. Direi quindi che la consapevolezza dell’utilità di questo canale, specie in tempi difficili, esiste». I mercati esteri e le manifestazioni fieristi-

che, quali opportunità offrono in questo momento alle aziende? «I mercati esteri sono fondamentali per il mercato del lusso. Centinaia di milioni di persone nel mondo stanno entrando nel benessere economico e i prodotti di lusso per definizione sono “aspirazionali”. Poterne possedere almeno alcuni è una forte ambizione ed è il segno per i rispettivi ambiti sociali dell’appartenenza quest’area. Per quanto riguarda le manifestazioni fieristiche, costituiscono sicuramente in tanti Paesi uno dei migliori modi per farsi conoscere, ma le imprese del lusso sono giustamente molto, molto selettive». In riferimento ai percorsi di sviluppo di un’impresa del lusso, che tipo di investimenti sono più opportuni? «Investimenti in innovazione dei prodotti, anzitutto, e diversificazione. Inoltre, non bisogna dimenticare gli investimenti nelle varie forme di comunicazione per mantenere alta e far crescere l’immagine del brand e dei prodotti. Parlando di mercati stranieri, è fondamentale adeguare i prodotti alle esigenze specifiche degli utilizzatori dei vari paesi e ciò comporta la necessità di effettuare adeguate ricerche. Soluzioni queste che sono sempre valide, ma in questa fase lo sono ancora di più». TOSCANA 2012 • DOSSIER • 83


STILE ITALIANO

L’esclusività delle maison fiorentine Il successo di Gucci e Ferragamo parla di una qualità riconoscibile in tutto il mondo. «Nella fascia alta di mercato siamo i più competitivi in assoluto». L’analisi di Gaetano Aiello Elisa Fiocchi

Gucci il marchio di alta moda che alla fine del 2012 compirà l’espansione più consistente in Asia, con un giro d’affari complessivo di 3,143 miliardi di euro e 376 negozi gestiti direttamente nel mondo. Un prestigio che deve le sue origini alla tradizione artigianale delle terre toscane. Esattamente come per il brand Ferragamo, fa notare Gaetano Aiello, professore della Facoltà di economia dell’Università degli studi di Firenze. «Si tratta di un’azienda totalmente italiana e quotata in Borsa, quindi non più solo in mano alla famiglia, ma che ha radici fiorentine intatte». Le due aziende sono considerate i maggiori punti di riferimento regionale ma molti altri avanzano seguendo questa scia di successo, ad esempio, Stefano Ricci, una maison fiorentina di abbigliamento maschile, ed Emilio Pucci, acquisita dal Gruppo francese Lvmh ma che è rimasta a Firenze. «Il made in Italy ha solo un altro grande

È

Gaetano Aiello, professore della Facoltà di economia dell’Università degli studi di Firenze

84 • DOSSIER • TOSCANA 2012

paragone nel mondo che è il made in France, e probabilmente nel passato le due capitali del lusso sono state proprio Parigi e Firenze». E se oggi si guarda con insistente interesse all’Asia, Aiello spiega perché il ruolo della Toscana e di Firenze continua a essere molto importante nel mondo. Quali peculiarità contraddistinguono oggi il mercato del lusso italiano? «L’Italia ha ridotto il suo peso nel mercato internazionale, anche se rimane una piazza qualitativamente importante, molto esigente al pari, se non di più, di quella francese. Basti solo pensare che abbiamo architetti che disegnano negozi stupendi e vie del lusso intramontabili come via dei Condotti a Roma e via de’ Tornabuoni a Firenze. Siamo stati uno dei primi mercati europei, mai più ricchi della Germania, ma il nostro mercato del lusso in passato era anche il doppio di quello tedesco». Qual è il successo del gusto fiorentino? «Il rispetto delle radici, il nostro lavoro è connesso al saper fare degli artigiani, è fatto dallo stile della maison e dei vari stilisti che si sono succeduti. È un gusto legato a un’identità molto particolare che è quella toscana: il lusso del bello. In questo settore siamo i più competitivi in assoluto». Tra i segreti delle imprese toscane del settore c’è anche la proiezione internazionale della marca: quale brand strategy è attuabile sui mercati dei paesi Bric? «Un elemento vincente in Paesi non più con-


Gaetano Aiello

INDIANI

10% LA PERCENTUALE DELLA POPOLAZIONE DELL’INDIA CHE SI STA AVVICINANDO AL MERCATO DEL LUSSO

All’estero si attribuisce un valore molto più importante di quanto noi stessi sappiamo riconoscere ad alcuni brand del lusso italiano, come Ferragamo e Gucci

siderati emergenti, come la Cina, il Giappone e la Russia, è la presenza diretta sul territorio con propri punti vendita, cioè l’international retailing. Nei momenti di crisi, dopo il 2007, le griffe ben posizionate in questi mercati hanno sofferto molto meno o per nulla. Puntare al retail richiede oggi investimenti molto elevati, forse superiori a quelli di comunicazione, ma rende molto. Infatti, tutte queste griffe si sono impegnate a essere presenti in Russia e in paesi emergenti come il Brasile e l’India, il cui 10% della popolazione si può avvicinare lentamente al mercato del lusso». Come stanno cambiando i comportamenti di consumo e di acquisto dei beni di lusso tra i giovani? «C’è un detto: “old luxury for the new consumers”, che significa che il vecchio lusso, fatto di marchi vistosi, è affascinante per i nuovi consumatori, ciò accade, ad esempio, nell’area dei Bric perchè fa status, mentre per gli europei e i giapponesi che lo conoscono da tempo, ci vuole un lusso tra le righe, meno visibile e senza eccessi». La democratizzazione del lusso può rap-

presentare una forma di sviluppo per le imprese? «La questione è controversa perchè questo fenomeno, inteso come la vendita di un prodotto a una larga platea, rischia di danneggiare in alcuni casi l’immagine del marchio. Nel caso di Hermes, una griffe che è amata da tutti, la parola democratizzazione è semplicemente un insulto. Tutto ciò per dire che nella piramide del lusso ne esiste uno di vertice immutabile, con i suoi marchi, e una base che comprende altri marchi oppure seconde linee, come nel caso di Versace e Dolce&Gabbana, ma alcuni, come questi ultimi, hanno eliminato il marchio accessibile D&G. Esistono tuttavia prodotti di lusso ma con un valore meno elitario rispetto agli altri, ad esempio il profumo Gucci è sempre di Gucci e rispetto ad altri costa di più, ma con 200 euro lo posso comprare, non ha il valore di una borsa. Lo stesso vale per gli occhiali da sole: questi prodotti sono un fenomeno molto interessante per i giovani perché rappresentano una sorta di bridge, cioè il ponte che li avvicina al lusso». TOSCANA 2012 • DOSSIER • 85


STILE ITALIANO

Alla conquista di quote di mercato estere In tempo di crisi, le aziende italiane della moda e del lusso concentrano i loro investimenti sui mercati stranieri, com’è avvenuto a Mosca: «Abbiamo raggiunto il record di 330 espositori». Ne parla Raffaello Napoleone Elisa Fiocchi ome già accaduto nel 2011, anche per l’anno in corso saranno soprattutto i paesi extra Ue a rivelarsi i mercati più ricettivi e dinamici del menswear italiano a supporto delle performance settoriali. A sostenerlo, anche l’amministratore delegato di Pitti Immagine, Raffaello Napoleone, che nei mercati esteri individua «la forza trainante per sostenere la manifattura italiana». Sulla base dei risultati dell’indagine campionaria condotta da Sistema Moda Italia presso un panel di aziende operanti nella moda uomo, permangono alcune criticità relative ai consumi interni. Se nel primo trimestre 2012 il fatturato estero si mantiene ancora in crescita (+7,9 per cento rispetto al primo trimestre 2011) quello italiano risulta, invece, pressoché fermo sui livelli del medesimo periodo dello scorso anno. Mentre la raccolta ordini effettuata mostra un incremento del 5,5 per cento nel mercato estero e una flessione del 4,7 per quello italiano. In che direzione sta andando e quali caratteristiche contraddistinguono l’attuale mercato del lusso italiano e toscano? «È una fase economica molto complessa e la Toscana è parte integrante di quel settore solido rappresentato dalla moda italiana che si caratterizza soprattutto per l’alta creatività e l’indubbia qualità nel campo del prêt-àporter e degli accessori. In questa fase economica è l’unicità del prodotto, e la qualità

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con cui esso viene realizzato, a diventare elemento caratterizzante dell’industria nazionale senza eccezioni per quella toscana che segue l’andamento del Paese, e quando si distingue lo fa per una questione di settore. Ad esempio, i filati toscani sono tanto buoni quanto quelli biellesi e lo stesso vale per le calzature di pregio anche nel distretto delle Marche e per la pelletteria appannaggio più esclusivo toscano. Questi settori produttivi si confermano ancora oggi come trainanti, con saldi attivi molto importanti». Quale ossigeno apportano al nostro Paese i mercati esteri in questa particolare fase? «Hanno un ruolo determinante per l’export e lo dimostrano i dati relativi al Pil, che ha mantenuto una crescita tonica negli ultimi anni. Penso alla Cina, alla Russia e tutti quei mercati emergenti dall’approccio dinamico. Contemporaneamente, però, non vanno dimenticati i mercati domestici, come l’Europa e in particolare l’Italia, in cui la voce legata ai prodotti di qualità è strettamente connessa al settore del turismo e di conseguenza agli acquisti che gli stranieri effettuano durante i viaggi. Cresce il turismo cinese, russo e brasiliano e i relativi consumi, e chi di loro arriva in Italia non deve pagare alcun dazio né esistono barriere all’ingresso. Se l’Europa sta soffrendo in termini di consumi interni, registra comunque performance significative per la moda e il lusso grazie alle tante aziende qualificate».


Raffaello Napoleone

In Italia il mercato di fascia alta è strettamente connesso al settore del turismo e, di conseguenza, agli acquisti che gli stranieri effettuano durante i viaggi

E le aziende italiane come stanno rispondendo alla crisi del settore? «La strategia è quella di aumentare le quote di mercato internazionali rispetto al mercato interno che sta invece contraendosi. Un esempio? A Mosca in occasione del Cpm, l’evento di riferimento per il mercato russo della moda, abbiamo raggiunto il record di 330 espositori. Una delle risposte è proprio questa, andare all’estero con mostre dirette o all’interno di mostre già consolidate cercando di conquistare ulteriori quote di mercato». Il British Fashion Council ha collocato la prossima edizione invernale delle sfilate maschili di Londra in sovrapposizione per due giorni alle date già annunciate di Pitti Uomo 83, che si terrà dall’8 all’11 gennaio prossimi. Come ha accolto questa notizia? «Non condividiamo la sovrapposizione dei due giorni, anche se ci rendiamo conto che il calendario di quest’anno ha alcune limitazioni oggettive dettate dalla vicinanza alle feste natalizie. Restiamo comunque in con-

tatto con l’organizzazione di London Fashion Week per trovare in futuro una soluzione che sia di servizio e utile a tutti gli operatori». Quali strumenti di supporto chiedete alle istituzioni e al sistema moda italiano? «Spesso si guarda alle istituzioni come alla panacea per risolvere tutti i problemi, ma in questo caso il loro intervento sarà più composito e andrà a supporto delle aziende per fare in modo che siano agevolate nell’acquisire maggiore produttività. Ciò significa poter intervenire sullo statuto dei lavoratori, sulla settimana del credito e nei confronti dei paesi che hanno dazi doganali che impediscono la crescita dell’export. Nel rapporto diretto tra Pitti Immagine e London Fashion Week si cercherà di utilizzare gli strumenti possibili, date le circostanze, come quello di coordinare al meglio l’addio delle sfilate londinesi con l’avvio di quelle italiane. Si tratta di un’attività imprenditoriale dove ognuno gioca la sua partita e il governo può fare poco».

Sopra, Raffaello Napoleone, amministratore delegato di Pitti Immagine

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STILE ITALIANO

Geometrie, stampe e colore Laudomia Pucci porta avanti il nome della maison fiorentina fondata dal padre che ha imposto con la sua creatività, quasi per caso, la stampa e il colore nel mondo, facendone un marchio di fabbrica Teresa Bellemo

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a storia della maison Pucci s’interseca sin dall’inizio con l’idea di eleganza e di esclusività che ancora oggi, dopo più di sessant’anni di attività, continua a portare avanti grazie alle sue collezioni. Emilio Pucci di Barsento, erede della nobile famiglia fiorentina dei Pucci, già durante gli studi inizia a disegnare i suoi primi abiti, molto influenzati dalla sua forte passione per la pittura, ma è nel 1947 che inizia la vera e propria storia del marchio. Toni Frissel, fotografa della celebre rivista di moda statunitense “Harper’s Bazar”, nota un completo da sci composto da fuseaux e parka disegnati da Pucci per un’amica e decide di pubblicarli sulla rivista, decretando l’immediato successo dell’intuizione dello stilista fiorentino. È così che la maison prende forma, iniziando a delineare, collezione dopo collezione, gli stilemi che la renderanno famosa in tutto il mondo. Tessuti stampati dai colori vivaci, geometrie più o meno schematiche ma comunque coloratissime e stampe jacquard fanno in modo che già negli anni Sessanta Emilio Pucci venga definito il principe della stampa e del colore. Un marchio di fabbrica che ancora oggi fa riconoscere un capo Pucci al primo sguardo e che ha fatto innamorare della casa fiorentina, con sede a Palazzo Pucci in via de’ Pucci 6, personaggi celebri e non di tutto il mondo. Oggi l’eredità del gruppo è passata alla figlia di Emilio, Laudomia, che cura l’immagine complessiva della maison. È lei che continua a diffondere la filosofia Pucci nel mondo, anche oggi che il mercato è sempre più allargato e internazionale, cercando comunque di mantenere fermi i due cardini della casa di moda: eleganza e qualità totale del prodotto, curando anche il più banale dei dettagli. Secondo la filosofia della maison cos’è il lusso oggi? «Crediamo al valore della filiera italiana e al prodotto di lusso che è nella migliore tradizione del made in Italy. Emilio Pucci è sempre stato molto legato a questo concetto e crediamo che in un mercato vasto come quello odierno questo sia un

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Laudomia Pucci

L’evoluzione della moda è congenita nel sistema stesso. È nostro dovere evolvere rispettando i must del marchio nel loro insieme

segno distintivo molto importante che sottolinea il valore aggiunto del prodotto». Che tipo di esclusività chiedono e si attendono i nuovi mercati dei Paesi in via di sviluppo? «Il lusso e la moda fanno sognare. Per questo ogni cosa deve essere curata, dal servizio alla qualità, dalla creatività fino all’ultimo dettaglio del packaging. Bisogna sempre creare l’eccellenza». La storia del marchio Emilio Pucci si percepisce in ogni sfilata. Quanto conta per voi il legame con il vostro passato e quanto conta, invece, il nuovo per concepire non soltanto una collezione, ma il brand nel suo insieme? «L’evoluzione della moda è congenita nel sistema stesso. È nostro dovere evolvere rispettando i

must del marchio nel loro insieme. La sfilata è il momento privilegiato - due volte l’anno - per esprimere questa evoluzione creativa». Aumenta sempre di più il numero di stilisti che collabora con catene di fast fashion. Può il lusso essere alla portata di tutti o è uno snaturare la sua natura stessa? «Non ho una particolare affinità con il concetto di fast fashion e lusso, anche se ne capisco il fascino». Non crede che in questo ultimo periodo, soprattutto in Italia, si abbia un po’ timore a parlare di lusso? Come reagisce il mondo della moda? «Nella nostra percezione il lusso sta per creatività e origini del “made in”, cioè di un’azienda che si esprime anche in maniera culturale». TOSCANA 2012 • DOSSIER • 89


STILE ITALIANO

Il lusso di ogni giorno Il successo del marchio Patriza Pepe sta nel saper coniugare la praticità del quotidiano all’eleganza dei momenti importanti, grazie al ricercato minimalismo delle forme e alla cura del dettaglio. L’esperienza di Patrizia Bambi Teresa Bellemo

evoluzione del comportamento del consumatore è arrivata a delineare acquisti molto più personali, per questo più trasversali. Si è perduta la necessità di identificare l’eleganza con qualcosa di monotono, o meglio, monomarca. Sempre di più, infatti, si assiste a un acquisto diversificato, “cherry picking”, come lo definì il sociologo Giampaolo Fabris. Per questo il lusso e l’eleganza non possono oggi essere unicamente accostati a un marchio in particolare, ma sono sempre di più attributi di un modo di essere, di scegliere. In questa evoluzione del gusto e dei costumi si inserisce perfettamente il successo del marchio Patrizia Pepe. Nato nel 1993 dall’intuizione della coppia Claudio Orrea e Patrizia Bambi, oggi è presente con i suoi flagship store in tutta Europa, Repubbliche baltiche comprese, Asia e Australia. Le prime collezioni erano dedicate soltanto alla moda femminile, ma successivamente si sono aggiunti anche uomo, bambina, lingerie, homewear e beachwear. La formula di Patrizia Pepe è più simile a quella del fast fashion che ai marchi del prêt-à-porter: invece dei due classici ordini stagionali, i negozi vengono riforniti per tutto

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Sopra, il direttore creativo Patrizia Bambi

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l’anno, con 40 collezioni, alle quali si aggiungono due collezioni “main” e due “flash”. Un’offerta più ampia, proprio per accontentare un’eleganza più trasversale. Ne parla Patrizia Bambi, direttore creativo del marchio. Cos’è il lusso oggi? «Credo che il vero lusso nella moda oggi sia l’originalità, l’unicità di un concetto di eleganza che coniuga raffinatezza e gusto personale creando uno stile unico. Le emozioni che ispirano il mio lavoro di creativo permettono interpretazioni e riletture assolutamente inedite, svelando le sofisticate possibilità che intercorrono tra forma, materia e colore. Nell’ultima collezione donna ad esempio i codici della tradizione e dell’eleganza classica ispirano un guardaroba estremamente contemporaneo e versatile, in cui sperimentazione e ricerca sartoriale conferiscono un significato assolutamente nuovo ad ogni capo, esprimendo un equilibrio estetico che attinge sempre in egual misura dal rigore e dalla sensualità, dal maschile e dal femminile, dall’essenzialità e dal glamour». Come coniugare lusso e ready-to-wear? «Non vedo i due concetti in contrapposizione tra


Patrizia Bambi

loro. Il lusso è in sostanza espresso attraverso la possibilità di essere unici e originali: oggi nell’armadio convivono capi elaborati provenienti da collezioni ricercate e lussuose assieme a pezzi più semplici, che consentono abbinamenti meno strutturati ma al contempo più originali». Cosa sta dietro il successo del made in Italy? «L’Italia, grazie a una tradizione artigianale che si tramanda da secoli, è uno dei protagonisti internazionali nel settore del lusso. La moda e il design italiani sono noti in tutto il mondo per la creatività, la ricerca e la sperimentazione su materiali e lavorazioni, oltre che per la cura del dettaglio e della qualità. I nostri creativi e i nostri artigiani danno vita a prodotti identificativi e senza tempo, sono essi stessi sinonimo di lusso, pregio ed esclusività. Sono convinta che il consumatore identifichi il lusso con un prodotto che abbia tali caratteristiche, indipendentemente dal brand». Quanto internet può diventare un vettore per i brand italiani? «Internet è già un vettore fondamentale per la moda e lo sarà sempre di più in futuro per il suo carattere di immediatezza, per il suo lin-

guaggio intuitivo e per le eccezionali potenzialità in esso racchiuse. Basti pensare al privilegio di poter assistere in diretta a una sfilata online, assaporarne l’allure, la raffinatezza e la spettacolarità, aspetti solitamente riservati soltanto allo spettatore “dal vivo”. In particolare, l’interattività è un fattore determinante della sua affermazione come media d’elezione: grazie a internet l’utente ha la possibilità di scegliere un capo, apprezzarne le caratteristiche, il lavoro dello stilista e tutti i passaggi che lo rendono unico». Come interagisce il marchio Patrizia Pepe con i nuovi mercati? «La diffusione dello stile di Patrizia Pepe nel mondo è un obiettivo costante: già presenti in Europa, Russia, Cina e Giappone, abbiamo recentemente rafforzato la nostra presenza all’estero, facendo ingresso nelle repubbliche baltiche e poi in Bulgaria, Repubblica Ceca, Cipro, Libano e, infine, in Australia. I nuovi mercati apprezzano molto lo stile Patrizia Pepe. Credo perché trovano vincente la formula stilistica contemporanea e la possibilità di utilizzo da parte di un target trasversale».

Sopra, alcuni modelli della collezione primavera-estate 2012

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STILE ITALIANO

I cappellai delle principesse Dal 1926 l’azienda Marzi produce artigianalmente i cappelli che l’hanno resa famosa in tutto il mondo. Tra i segreti del successo, l’ormai celebre “maglina di Firenze” custodita gelosamente nei magazzini di famiglia Teresa Bellemo

l lusso non è necessariamente qualcosa di ostentato e di appariscente. Anzi, molto spesso è proprio la discrezione e la giusta misura nella cura dei dettagli a diventare simbolo di esclusività ed eleganza. L’azienda Marzi, che dal 1926 produce ed esporta cappelli in tutto il mondo, è sicuramente uno di questi simboli che ha costruito il proprio nome con costanza, ma anche con la cura totale per ogni manufatto firmato Marzi. Grazie a un’autentica passione per il cappello tramandata di generazione in generazione, questa realtà è diventata una delle prime del settore nel nostro Paese. Oggi, la sfida lanciata dalla terza generazione della famiglia è realizzare un prodotto di alta qualità, che punta su una produzione esclusivamente made in Italy, coniugando lavorazione artigianale e ricerca stilistica. Per questo la progettazione è tutta interna all’azienda:

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Rosanna Marzi gestisce il team stilistico della parte più classica e Paolo De Angeli è designer della parte glamour. Marzi conta 350 punti vendita in tutto il mondo e 24.000 modelli divisi in tre maggiori linee, tutte con due denominatori comuni: qualità e gusto. Quanto il prodotto artigianale può legarsi al lusso? «Il lusso è un valore intrinseco del prodotto, in quanto frutto essenziale della creatività individuale. Lusso è disporre di una riserva della celebre e ormai introvabile “maglina di Firenze”, una particolare paglia fiorentina utilizzata ai primi dell’Ottocento per completare le mise delle giovani dame inglesi arrivate in Toscana durante l’epoca dei Grand Tour. Noi la custodiamo gelosamente nei magazzini e la usiamo ancora per produrre cappelli decorati con piume, penne, fiori e fili d’erba essiccati. Inol-


Rosanna Marzi

tre, tutti i nostri cappelli sono interamente realizzati a mano e le decorazioni rendono esclusivo e unico ogni modello. Un vero intreccio, fisico e metaforico, tra lusso e artigianalità». Il cappello fatto a mano ha necessariamente bisogno di una lunga lavorazione. Come si pone questo tipo di produzione con l’apertura a un mercato globale, quindi molto più ampio? «Con la proposta di un prodotto ricercato e particolare che si differenzi dalla produzione industriale comune. La nostra azienda si avvale di manodopera altamente specializzata con anni di esperienza alle spalle, su cui possiamo contare per la realizzazione dei nostri modelli anche in breve tempo. Nel nostro organico ci sono figure professionali con competenze specifiche, che si coordinano perfettamente tra loro: dalla progettazione alla selezione dei materiali, dalla lavorazione alla finitura del cappello».

C’è una percezione diversa del vostro prodotto a seconda del Paese in cui vi trovate? Quanto questo diventa importante nel processo creativo? «I cappelli Marzi Firenze sono da sempre sinonimo di made in Italy e le nostre collezioni evocano l’immagine di un prodotto di estrema qualità in tutte le vetrine internazionali: Harrods a Londra, Neiman Marcus in America, Franck et Fils a Parigi, Vakko a Istanbul e molti altri. La nostra strategia è dunque continuare a seguire le storiche linee aziendali e, parallelamente, migliorare la nostra posizione sul mercato realizzando sempre un prodotto di nicchia. La ricchezza delle nostre collezioni permette al contempo di soddisfare il gusto e le esigenze dei diversi mercati stranieri, affinché i nostri cappelli possano incontrare le tradizioni e le culture internazionali». I vostri accessori sono indossati da donne di tutto il mondo. Cosa ha in comune chi sceglie il vostro marchio? «La donna che sceglie un nostro cappello ama lo stile senza tempo e un’eleganza ricercata, atemporale e quasi aristocratica, senza tuttavia trascurare i dettagli fashion di stagione. Donne che coltivano la passione per il costume, per un accessorio particolare che è anche forma d’arte. Sono molti anche i vip del mondo dello spettacolo e dell’aristocrazia mondiale che scelgono di indossare i nostri cappelli. Carolina di Monaco, con la sua allure semplicemente chic, adora i cappellini più vezzosi mentre Hillary Clinton, protagonista della politica internazionale, li indossa per le occasioni meno formali. La Principessa Maddalena di Svezia, per il suo debutto in società, ha sfoggiato un nostro cappello e la Corte d’Inghilterra predilige i modelli più sofisticati». Può il lusso essere discreto? «Certamente. Caratteristica peculiare del lusso è l’essere elegante senza essere appariscente e la classe dei nostri cappelli è sinonimo di discrezione. Vestire è interpretare diversi stili senza mai cadere né nella banalità né nell’eccesso, ma trovando il giusto equilibrio da personalizzare con un accessorio fortemente riconoscibile come il nostro». TOSCANA 2012 • DOSSIER • 93


Il profumo dell’eleganza Da 400 anni l’Officina di Santa Maria Novella confeziona i suoi prodotti che si sono affermati nel mondo, rendendo una piccola officina di padri domenicani l’apripista della profumeria mondiale. Merito anche di un testimonial d’eccezione, Caterina de’ Medici Teresa Bellemo

l lusso non deve essere necessariamente qualcosa che si impone. Può essere anche un allure, un qualcosa di percepibile soltanto a chi presta attenzione ai particolari. L’Officina profumo farmaceutica di Santa Maria Novella confeziona prodotti di qualità che incarnano perfettamente questo tipo di eleganza. Prodotti che vanno dalla cosmetica ai profumi, fino alle specialità alimentari, tutti fatti nei laboratori di via Reginaldo Giuliani, gli stessi che hanno visto nascere questa bottega quattro secoli fa. Una lunga tradizione che ha reso i suoi prodotti famosi in tutto il

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Eugenio Alphandery, direttore e comproprietario dell’Officina

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mondo, diventando il passepartout della vera classe. Le materie prime sono le stesse, così come le le erbe officinali si continuano a coltivare direttamente, seguendo ancora i procedimenti artigianali appartenuti ai frati domenicani che hanno fondato nel 1221 la prima officina. Oggi la produzione si avvale di tecnologie all’avanguardia, senza però snaturare quella tradizione. La balsamite, ad esempio, è la stessa che si utilizzava nel 1600 per confezionare le famose pasticche e l’acqua Santa Maria Novella. Ne parliamo con Eugenio Alphandery, direttore e comproprietario del-


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Ogni materia prima viene selezionata e analizzata, la nostra scelta è stata spesso quella di rinunciare alla quantità in favore della qualità

l’officina. Quest’anno la vostra bottega compie quattrocento anni. Come coniugare storia e innovazione? «Il termine bottega è appropriato, infatti anch’io considero una bottega questa azienda che compie quest’anno quattro secoli di ininterrotta attività. Per me l’innovazione è indispensabile per poter proseguire nel tempo un lavoro come questo. Molto spesso le antiche aziende diventano musei che testimoniano un passato prestigioso ma non hanno più possibilità di esprimersi nel futuro. Quindi tradizione e innovazione vanno a braccetto per poter attraversare ancora tanti secoli». Come e perché un prodotto artigianale, officinale si coniuga al lusso? «Credo che oggi si faccia un certo abuso delle parole lusso ed eccellenza. I nostri prodotti sono particolari per le materie prime e per i metodi di lavorazione: sono fatti internamente da noi. Spesso partiamo dalla coltivazione di-

retta delle erbe officinali per arrivare al prodotto finito, in alcuni casi usando macchinari creati appositamente per i nostri particolari processi produttivi. Ogni materia prima viene selezionata e analizzata, così come i semilavorati e i prodotti finiti, nei nostri laboratori interni di analisi e controllo. Per me un prodotto artigianale si coniuga al lusso se lusso vuol dire qualità. Se lusso vuol dire solo costoso e per pochi eletti, allora no». Come si approccia l’Officina all’apertura e allo sviluppo di nuovi mercati? «C’è molto interesse verso questa ultracentenaria azienda e quindi molti ci contattano per aprire negozi in varie parti del mondo. Abbiamo molti negozi in Europa, Stati Uniti, Giappone, Corea, Hong Kong, a cui si aggiungono quelli gestiti direttamente dalla casamadre: il negozio storico di via della Scala a Firenze, che è anche un museo, il negozio interno allo stabilimento, il negozio di Forte dei Marmi e adesso anche il negozio di Milano TOSCANA 2012 • DOSSIER • 95


STILE ITALIANO

L’Officina profumo farmaceutica di Santa Maria Novella celebra quest’anno i suoi quattrocento anni di attività ininterrotta, in nome della tradizione e dell’innovazione

in via della Madonnina. Entro l’anno apriremo un negozio monomarca anche a Roma. La nostra scelta è stata spesso quella di rinunciare alla quantità per dare spazio alla qualità. Per noi è essenziale la formazione del personale, è molto importante che il nostro cliente abbia l’informazione giusta sul prodotto, sulla nostra storia e su tutto quello che fa dell’Officina un’azienda a carattere artigianale a diffusione internazionale». Il vostro primo testimonial è stata Caterina de’ Medici. Qual è la donna che oggi rispecchia la vostra idea di eccellenza? «Caterina de’ Medici è stata importantissima. Quando andò in sposa al re di Francia Enrico di Valois e si trasferì in quel Paese, vi portò tutte le cose che aveva commissionato ai frati 96 • DOSSIER • TOSCANA 2012

domenicani di Santa Maria Novella. Si dice addirittura che un profumo, l’Eau de la Reine, provenisse dai laboratori del convento. Dopo questo successo, i frati decisero nel 1612, giusto 400 anni fa, di chiamare la loro bottega Officina profumo-farmaceutica di Santa Maria Novella. Il fatto che nel nome abbiano anteposto il profumo al farmaco fa capire che erano molto orientati verso l’effimero. Molte persone note usano i nostri prodotti e non voglio fare un torto a nessuno citandone una piuttosto che un’altra. Devo dire che la cliente tipo dell’anno 2012 è una donna giovane, più colta che ricca, più intelligente che capricciosa, esigente ma fedele al marchio Santa Maria Novella, quasi a farlo apparire uno stile di vita».



MADE IN ITALY

La lavorazione della pelle tra esperienza e creatività L’industria conciaria rappresenta una delle eccellenze targate made in Italy. Malgrado le difficoltà del periodo è riuscita a chiudere il 2011 aumentando la produzione del 7,5 per cento. Ne parliamo con Martina Congera, amministratore di Gpm Borsetteria Nicoletta Bucciarelli

e non ci fossero le esportazioni, avremmo chiuso sei concerie su dieci». A fotografare il settore durante l'assemblea generale che si è svolta a fine giugno a Milano è Rino Mastrotto, presidente dell'Unione nazionale industria conciaria. Il settore ha chiuso il 2011 con una produzione in crescita del 7,5 per cento per un valore di 4,9 miliardi di euro e un export in aumento del 10 per cento per 3,7 miliardi. Ma non sono mancate le difficoltà per il comparto che ha perso l'1,6 per cento delle imprese (1.309 l'anno scorso) e lo 0,9 per cento di addetti (17.996). Il quadro esposto dal presidente Mastrotto è decisamente in linea con la situazione raccontataci da Martina Congera, amministratore della Gpm Borsetteria di Calenzano, un’azienda che ha da sempre puntato sulla qualità dei prodotti finali; caratteristica che ha permesso di stringere collaborazioni con i più prestigiosi marchi europei del lusso.

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Martina Congera è amministratore della Gpm Borsetteria di Calenzano (FI) www.gpmborsetteria.com

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In che modo riuscite a plasmare una materia particolare come la pelle per arrivare a un risultato interessante sotto il punto di vista del design? «La lavorazione della pelle è un insieme di operazioni che richiedono esperienza, conoscenza dei materiali, elevate capacità manuali e soprattutto un’apertura continua a trovare le soluzioni di realizzazione più originali. Le lavorazioni si sono evolute in rapporto al mutamento dei materiali e delle necessità di applicare nuove soluzioni tecniche richieste dai mutamenti delle forme e dell’estetica dei prodotti. Per soddisfare tali necessità e ottenere il massimo della qualità il nostro impegno è quello di utilizzare manodopera qualificata e sempre aggiornata e applicare un controllo qualità costante durante tutte le fasi di lavorazione che non tolleri la minima imperfezione. Le lavorazioni che effettuiamo nella nostra azienda sono il taglio, la preparazione e il montaggio, oltre al controllo qualità materiali». Quali cambiamenti ha subìto l’azienda nel corso degli anni? «Nonostante la crisi degli


Martina Congera

ultimi anni, la nostra azienda è riuscita a espandersi aumentando i volumi di lavoro, di risorse umane e contemporaneamente a modernizzare i processi lavorativi, rendendo la nostra offerta competitiva in un mercato globalizzato». Quali sono le ultime tendenze in fatto di design? «Il nostro lavoro ci porta a confrontarci con diversi percorsi progettuali legati ai diversi stilisti dei brand che serviamo, quindi la nostra visuale è ampia e flessibile. Si passa dai prodotti più classici a quelli moderni che sperimentano sia sotto il punto di vista dei materiali che delle forme. Una delle tendenze più interessanti è senz’altro l’utilizzo dell’accessorio come elemento di rilievo e la creazione di forme strutturate come piccole architetture». In un’ottica di “riciclo”, tema molto attuale e su cui viene impostata la base della futura economia, esiste un modo per recuperare gli “scarti” delle lavorazioni? «Il tema della sostenibilità coinvolge a catena tutta la filiera produttiva. Gli “scarti” della produzione solitamente vengono riutilizzati per produzioni di altro genere/livello – distrutti e trasformati in altri materiali – immagazzinati in attesa di poterli riutilizzare restituiti ai fornitori che si preoccuperanno di trasformarli». Quanto conta per un’azienda come la vostra trovarsi nel territorio fiorentino? «Il mondo moderno nel quale viviamo ha subìto forti cambiamenti che hanno portato alla delocalizzazione delle lavorazioni e delle produzioni permettendo di produrre e trasformare le materie in modo slegato dalle tradizioni e dalle risorse locali, ma questo spesso ha portato a una flessione della qualità del prodotto finale. Per la nostra azienda essere radicata sul territorio fiorentino invece significa trovarsi in contatto con un background di tradizioni che comprendono le lavorazioni dei pellami e l’evoluzione delle tendenze dello stile per quanto riguarda strettamente l’area fiorentina e la produzione di materiali di altissima qualità,

FATTURATO

+200% NEL 2011 GPM BORSETTERIA HA TRIPLICATO IL FATTURATO PUNTANDO MOLTO SUI MERCATI INTERNAZIONALI

tradizionalmente radicata nelle zone di S. Croce sull’Arno, dove ancora oggi operano tra le più importanti concerie italiane». Che andamento del mercato state registrando? «Nel 2011 il nostro fatturato è triplicato e ad oggi questo dato è stato confermato. Essendo un'azienda gestita da un team di giovani manager, le idee non mancano. Come progetto a breve termine abbiamo intenzione di creare un nuovo centro taglio, acquistando macchinari all'avanguardia. In futuro inoltre ci piacerebbe riuscire a realizzare una scuola di pelletteria all’interno della nostra azienda». TOSCANA 2012 • DOSSIER • 99


MADE IN ITALY

Il fiorentino, culla dell’artigianato Articoli caratterizzati da una forte tipicità, unita all’artigianalità e alla qualità proprie del territorio fiorentino. Francesco Giannoni fa il punto sul settore alta moda, sempre più apprezzato anche all’estero Nicoletta Bucciarelli

on l’estate è stata presentata a Firenze la manifestazione internazionale della moda nella quale sono state esposte le anteprime delle collezioni primavera-estate 2013 di oltre mille brand italiani e internazionali. Il territorio fiorentino, anche grazie al Pitti, rappresenta da sempre una delle più importanti vetrine per l’alta moda. È qui, precisamente a Fucecchio, che ha sede la Tuscania Industria Conciaria. «Firenze – spiega Francesco Giannoni, titolare dell’azienda-, è da sempre considerata la terra della moda, della creatività e dell’artigianalità. Per questo per noi è importante rimanere legati a queste radici.

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Francesco Giannoni, titolare della Tuscania Industria Conciaria con sede a Fucecchio (FI) www.tuscanialeather.it www.tuscaniatart.com

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Siamo rivolti al passato perché cerchiamo di non perdere la tradizione manifatturiera del territorio e aperti al futuro per le continue innovazioni con cui realizziamo i prodotti». In quest’ottica di apertura al futuro si inserisce anche una delle caratteristiche dell’azienda di Fucecchio, ovvero la sua forte apertura ai mercati internazionali. «Un’apertura testimoniata da svariate iniziative e da vari progetti. La Tuscania partecipa infatti ogni anno ad almeno 4-5 fiere europee tra le maggiori del settore e 2-3 sui mercati extra UE. Oggi il fatturato aziendale è ottenuto per circa l’80 per cento da mercati esteri. Unicità e qualità del prodotto, accompagnate dalla spinta all’internazionalizzazione sono sempre state le nostre principali caratteristiche distintive. Infatti se da un lato l’azienda si basa prioritariamente su una ricerca di contenuti continuamente nuovi e in linea con quanto il mercato richiede, dall’altro è innata la propensione a fornire pellami di elevata qualità, ottenuti da una lavorazione unica, difficilmente definibile solo “artigianale”, per rispondere a esigenze diverse e di svariate tipologie di clienti. L’azienda ha poi sempre puntato sul valore del made in Italy e intende sviluppare ulteriormente la propria comunicazione a proposito, basandosi sulla sicurezza di un processo controllato e certificato in base alla norma Iso 9001». Tuscania Industria Conciaria ha puntato molto sulla peculiarità e la diversità del prodotto. «Ogni


Francesco Giannoni

articolo – precisa Giannoni –, per vincere oggi le concorrenze del mercato, ha bisogno di essere unico e diverso. La produzione di articoli fantasia e imitazione rettile si è evoluta e costantemente affinata tanto da permettere all’azienda di presentare un campionario completo e adeguato per le più esigenti richieste in linea con le tendenze moda più innovative». Nuove tendenze che richiedono una forte creatività e una spiccata capacità d’interpretazione. «Certamente la creatività rappresenta una fetta importante del risultato ma solo se unita alla ricerca tecnica. Oggi un prodotto per essere ben commercializzato ha bisogno di bellezza e unicità ma anche e soprattutto di qualità e garanzie tecniche. Le nuove tendenze vengono interpretate grazie a una collaborazione attiva e costante tra il nostro ufficio stile e il team tecnico e commerciale. Gli imput che ci arrivano sia dagli uffici stile del settore, sia da una ricerca interna che segue con meticolosa attenzione i cambiamenti socio-culturali del nostro tempo, vengono traslati poi nei nostri prodotti». Prodotti che si collocano all’interno di una fascia medio-alta. «In particolare collaboriamo con le case di moda e le manifatture pregiate. Tra le griffes più famose possiamo citare Ar-

Le nuove tendenze vengono interpretate grazie a una collaborazione attiva e costante tra il nostro ufficio stile e il team tecnico e commerciale

mani, Alviero Martini, Furla, Braccialini per non parlare di quelli esteri come Coach, Lancel, Mulberry, Dkny». Mercati che sono sia nazionali che esteri. «Le aree geografiche maggiormente strategiche per l’azienda sono ad oggi sicuramente quelle estere con particolare rilevanza delle piazze a più alta sensibilità di contenuti moda. In particolare, si contraddistingue il mercato europeo per la presenza delle maggiori griffes conosciute a livello internazionale e quello americano. In ordine di importanza i mercati più significativi sono quello europeo, statunitense e asiatico». A breve anche la costruzione di una nuova sede industriale e logistica. «L’idea imprenditoriale alla base di questo progetto – conclude Giannoni –, è quella di compiere un drastico salto di qualità, una “rivoluzione” interna nell’organizzazione della conceria al fine di porre le basi dello sviluppo dei prossimi anni, ovvero investire in infrastrutture moderne e soluzioni tecnologicamente avanzate». TOSCANA 2012 • DOSSIER • 101


MADE IN ITALY

Una qualità legata al territorio stata la continua ricerca del miglioramento nei processi di lavorazione, per raggiungere la massima qualità nella realizzazione del prodotto, unita all’investimento in macchinari tecnologicamente avanzati per l’ottimizzazione dei tempi di lavoro, che ha permesso a Giuseppe Fossati di salvaguardare e valorizzare l’artigianato toscano nel settore della pelletteria. Di questo settore uno dei fiori all’occhiello è proprio l’azienda presieduta da Fossati, la Deipel, che ha sede nella frazione di Montebonello del comune di Pontassieve (FI) e che l’Eurispes, nel suo secondo rapporto sulle eccellenze italiane, ha collocato fra le prime cento imprese nazionali. La produzione di Deipel è legata dalla metà degli anni Novanta alla produzione di borsetteria di altissima qualità per conto di un marchio di fama internazionale dell’alta moda fiorentina. A questa linea, da circa un decennio è stata affiancata la produzione, sempre sotto la stessa griffe, anche di cartelleria e valigeria. E questo ha portato alla costituzione di una società collegata: Deival. Qual è stata la strategia che ha guidato la vostra azione imprenditoriale e che vi ha permesso di lavorare nel mondo dell’alta moda? «La nostra strategia di sviluppo è sempre stata basata innanzitutto sulla programmazione. Intesa come il raggiungimento graduale di un obiettivo, cercando di non bruciare le tappe per la fretta di voler arrivare, bensì creando rapporti chiari e stabili, di

È

Giuseppe Fossati, presidente della Deipel Srl di Montebonello, Pontassieve (FI) www.deipel.com

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Una delle eccellenze della pelletteria fiorentina per borsetteria, valigeria e cartelleria. Giuseppe Fossati presenta un modello imprenditoriale basato sull’artigianalità che continua a riscuotere successo fra le grandi griffe della moda Valerio Germanico

lungo periodo, con le persone e le aziende che interagiscono con noi. E questo anche nei riguardi dei nostri dipendenti interni e dei gruppi esterni con i quali lavoriamo. Lo spirito imprenditoriale, secondo noi, consiste nell’investire in azienda, nel migliorarla e metterla in condizione di funzionare al meglio, mantenendosi al passo con i tempi per fare in modo di soddisfare le richieste dei partner, valorizzando la professionalità delle risorse umane e facendo sviluppare le realtà più piccole che collaborano con noi». Com’è organizzata la vostra produzione? «Entrambe le nostre aziende sono dotate di un reparto Campionario, dove avvengono sia la fase di progettazione – eseguita con personal computer e plotter –, sia quella di realizzazione di prototipi e campioni. Dopo la progettazione si passa al taglio delle pelli e dei tessuti, questi passano attraversano varie fasi – spaccatura, scarnitura, ritranciatura – che li rendono idonei per la fase di assemblaggio. Prima dell’imballaggio e spedizione, infine, viene eseguito il controllo qualità. Presso Deival abbiamo anche un reparto assemblaggio potenziato,


Giuseppe Fossati

La nostra prerogativa è la territorialità: vogliamo lavorare con gruppi che assicurino una produzione made in Florence

sia a livello di personale che di attrezzature e inoltre è presente un reparto riparazioni, nel quale confluiscono borse e valigie provenienti da tutto il mondo – riceviamo molto spesso articoli malridotti che dopo il nostro intervento ritornano nei negozi praticamente come nuovi». Eseguite tutte le lavorazioni internamente o esternalizzate alcune fasi? «Abbiamo anche un indotto esterno, tutto concentrato in un raggio di 30 km dalla nostra sede, formato da una serie di gruppi collaudati in termini di sicurezza e affidabilità per le varie fasi del processo produttivo. Questo schema di organizzazione del lavoro ci permette di avere un’ampia flessibilità sulle varie tipologie di produzioni da realizzare, che sono diverse, periodicamente, per forma, materiale e dimensione del singolo articolo, oltre che per volume di pezzi totali. Per coordinare queste realtà esterne, abbiamo messo a disposizione della filiera un tecnico di pro-

duzione che ha l’obiettivo di creare una grande squadra compatta, che riunisca gli sforzi delle singole imprese verso un’unica direzione: quella di realizzare un prodotto con il massimo della qualità e nei tempi di consegna richiesti dal nostro committente». Quali sono le prospettive e i progetti per il medio e lungo periodo? «La prima aspirazione è consolidare sempre più i rapporti esistenti con il marchio per il quale produciamo. Per farlo intendiamo lavorare per rendere Deipel via via più efficiente e meritevole di continuare a essere un fornitore di primo livello. Per quanto riguarda Deival, siamo anche interessati a prendere in considerazione altre possibilità di produzione con nuovi partner. Naturalmente la nostra prerogativa – che è quella che ha sempre caratterizzato i rapporti con i fornitori – è la territorialità: vogliamo collaborare con gruppi della zona, che assicurino una produzione made in Florence». TOSCANA 2012 • DOSSIER • 103


MADE IN ITALY

Il futuro dell’artigianato made in Florence L’eccellente qualità dell’artigianato fiorentino raccoglie consensi da tutto il mondo. In particolare da cinesi e giapponesi, attenti alla manifattura del cuoio artistico e della pelletteria. L’esperienza di Carlo Carmagnini Lucrezia Gennari

Carlo Carmagnini svolge la sua attività nello storico quartiere di Santa Croce, a due passi dalla chiesa e dalla statua di Dante www.adrimar.it

uoio artistico e pelletteria sono tra le attività artigianali che nei secoli hanno reso grande il nome di Firenze nel mondo. Lo sa bene Carlo Carmagnini designer, artigiano e imprenditore, attento alla tradizione ma alla continua ricerca di nuove linee, materiali e colori nella realizzazione di borse e accessori in pelle. Grazie all’incontro con la moglie e collaboratrice Eva Carmagnini,

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cinese, Carlo ha trovato nell’Estremo Oriente un mercato altamente ricettivo. «Gli orientali sono molto esigenti rispetto all’unicità e alla perfezione del made in Florence – sottolinea Carlo Carmagnini – se acquistano un prodotto artigianale made in Italy stanno attenti a ogni dettaglio, ogni pezzo deve essere impeccabile per non essere contestato. Di fronte al grande marchio passano anche sopra agli aspetti legati alla qualità ma quando si tratta di artigianato non transigono, e questa è una spinta per l’azienda a dare sempre il massimo e a ricercare la perfezione in ogni pezzo». Quali sono le caratteristiche fondamentali dei vostri prodotti? «Un punto di forza dell’azienda sta anche nella capacità di individuare rapidamente le tendenze nel mercato cinese e giapponese, di indovinare gli articoli giusti in tempo reale e di soddisfare in breve tempo le richieste grazie ad una produzione tutta interna. Oggi in Cina, come è già successo in passato in Giappone, si è perso un po’ di interesse per le grandi case di moda che finora hanno dominato il mercato. I consumatori più attenti stanno cambiando gradualmente il loro gusto e sono adesso alla ricerca di oggetti magari dal marchio meno conosciuto ma dall’eccellente qualità dei materiali e manifattura artigianale. Ecco perché proponiamo pezzi unici, non riproducibili, che puntino sulla manualità e l’esperienza degli artigiani nelle scelte di pelli di pri-


Carlo Carmagnini

Penso che le aziende artigianali possano rappresentare un’importante opportunità di sviluppo e di occupazione per il nostro paese

m’ordine, conciate al vegetale e trattate soltanto con prodotti naturali». Quali i prodotti sui quali puntate maggiormente? «Prendiamo spunto dai prodotti del cuoio artistico fiorentino che hanno una fortissima attrattiva sui clienti asiatici. In particolare, il tacco portamonete, usato già due secoli fa dai monaci fiorentini e che prende il nome dalla caratteristica forma a "tacco di cavallo", è uno dei nostri più celebri prodotti e piace moltissimo anche per la sua particolare realizzazione senza cuciture. A partire dal modello tradizionale ho in seguito sviluppato tre varianti che hanno riscosso un grande apprezzamento: il tacco intrecciato, la conchiglia e la mela. Ampia è la varietà di colori con cui vengono prodotti non soltanto i tacchi, ma anche le borse e i portafogli. Tra le produzioni troviamo inoltre le calzature create su misura con una grande gamma di modelli, soprattutto da uomo, e che richiedono una lavorazione di estrema abilità: per creare un paio di scarpe occorrono almeno 20 giorni di lavorazione».

La sua azienda è da anni presente sul mercato giapponese e, a partire dall’esperienza nel padiglione italiano dell’Expo Shangai 2010, è presente anche in Cina. «Expo Shanghai è stata un’esperienza molto importante che ci ha permesso di affacciarci con un evento di grande visibilità sui mercati cinesi. Il padiglione italiano ha visto una delle più notevoli affluenze dell’Expo, oltre 70 mila spettatori al giorno, grazie anche all’animazione che avveniva al suo interno. Le persone stavano in fila per ore per vedere i maestri artigiani che realizzavano i loro prodotti dal vivo. Lì abbiamo partecipato, in collaborazione con lo studio Anzilotti, al progetto Pinocchio World, un laboratorio scenico produttivo, in cui il pubblico veniva coinvolto in prima persona nel processo creativo e per il quale abbiamo realizzato una linea esclusiva di abiti in pelle oltre portagioie e tacchi stampati a mano con l’immagine del famoso burattino. Nel 2011 abbiamo anche partecipato alla mostra Dolce Stil Novo presso il Museo di Belle Arti di Kaoshiung, con la possibilità di esporre alcuni nostri prodotti selezionati. Un evento che ha ulteriormente rinforzato la nostra presenza in Cina e che ci ha permesso di associare il nostro brand a un progetto artistico - espositivo di ampio respiro». Come vede il futuro dell’artigianato italiano in generale e fiorentino in particolare? «L’Italia possiede storicamente un patrimonio di know-how che la rende tutt’oggi unica al mondo e che non va assolutamente disperso. Penso che le aziende artigianali possano rappresentare un’importante opportunità di sviluppo e di occupazione per il nostro paese. Nonostante la crisi, infatti, il nostro è un settore in crescita come testimoniano i progressi che la mia azienda sta facendo negli ultimi anni. Oltre ai quattro negozi già presenti nel centro storico fiorentino, sto progettando l’apertura di nuovi punti vendita in Italia e all’estero e di continuare a espandere il mio marchio in Oriente con un nuovo concetto di marchio che valorizzi la creatività, la manualità e la comunicazione». TOSCANA 2012 • DOSSIER • 105


MADE IN ITALY

La tecnologia che esalta l’artigianalità I mestieri antichi incontrano il mercato globale. La pelletteria toscana si evolve per rispondere alle esigenze produttive e qualitative dei marchi che dominano la moda. L’esperienza di Raffaele Rimetti, terza generazione di una famiglia di artigiani della pelle Valerio Germanico

e nuove tecnologie stanno prendendo sempre più piede anche in quei settori in cui l’artigianalità ha tradizionalmente avuto un ruolo fondamentale. Questo discorso è valido, per esempio, per le pelletterie toscane che realizzano in conto terzi i prodotti e gli accessori destinati alle boutique e alle passerelle delle grandi griffe della moda internazionale. Come spiega Raffaele Rimetti, titolare della Ares Pelletteria di Figline Valdarno e

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Raffaele Rimetti, titolare della Ares Pelletteria Srl di Figline Valdarno (FI) www.arespelletteria.com

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rappresentante della terza generazione di una famiglia di pellettieri: «In base al tipo di domanda che oggi riceviamo dai mercati – che ci chiedono sostanzialmente di conciliare al massimo l’aspetto qualitativo con quello quantitativo –, il compito di un’impresa di pelletteria è quello di far coesistere l’artigianalità con la tecnologia. Se questo è quello che richiede il mercato, ciò significa pure che mantenere un elevato standard qualitativo, offrire servizi sempre più aggiornati ed efficienti ed essere in grado di dare una risposta in tempi brevi sono, in questo momento, i punti fondamentali per la vita di un’azienda». Quale importanza ha assunto, in questo scenario di mercato, la costituzione di Ares Engineering? «Questa società, che abbiamo fondato quest’anno, è stata costituita per offrire ai nostri committenti un servizio di modelleria dedicato ed esclusivo, distinguendo fisicamente questo reparto da quello di produzione. L’obiettivo è quello di ottenere una gestione più accurata e attenta delle fasi produttive nei vari reparti, necessità che è sorta nel momento in cui abbiamo potenziato i nostri servizi di modelleria, prototipia e ingegnerizzazione del prodotto. Poiché i ritmi di lavoro dello studio tecnico e la progettazione del prodotto, ma soprattutto la realizzazione dei prototipi e dei campioni, sono completamente diversi da quelli della


Raffaele Rimetti

produzione, è stato importante scinderli, in modo da conservare sia le tempistiche, sia la qualità del prodotto». A questo proposito, in che modo si è aperto il 2012 per il vostro business? «Abbiamo registrato finora delle performance più che soddisfacenti. Infatti, per quel che riguarda il primo semestre, abbiamo quasi raddoppiato i fatturati riferiti allo stesso periodo dello scorso anno. Lo consideriamo un risultato importantissimo, soprattutto dato il momento economico – lavorando in conto terzi, siamo esposti anche alle più piccole oscillazioni dei mercati. Questo risultato si inserisce inoltre in un trend positivo che conferma la nostra capacità di raggiungere con regolarità i traguardi prefissati, riuscendo a mantenere un andamento in linea con quelle che sono le prospettive di vendita per ogni stagione». Con quali partner state registrando in questo momento i maggiori risultati? «Attualmente il nostro know how è a disposizione di un prestigioso brand internazionale, che ha creduto nelle nostre potenzialità e ci ha permesso, anche in un innegabile momento di crisi del settore, di investire in nuovi macchinari e attrezzature, contribuendo così a rendere Ares un’azienda ancora più competitiva. Grazie alle nostre tecnologie, infatti, fra gli altri, offriamo

Anche in un innegabile momento di crisi del settore, abbiamo scelto di investire in nuovi macchinari e attrezzature

un servizio di modelleria, anche in 3D, gestito da postazioni Cad e di prototipia, oltre che naturalmente un servizio di ingegnerizzazione, che precede la campionatura e la produzione sia di articoli carry-over che di borse particolari destinate ai défilé». Una parte della vostra produzione viene esternalizzata. Quale e per quale ragione? «La scelta di esternalizzare è stata dettata essenzialmente dall’esigenza di avere una risposta più pronta alle richieste dei nostri committenti. Ma l’unica differenza fra le produzioni interne e quelle esterne è rappresentata dal fatto che il prodotto esternalizzato comprende gli articoli continuativi, mentre all’interno produciamo le nuove collezioni. In vista dell’avvio di nuove collaborazioni con altri committenti, prevediamo un ampliamento del nostro parco di collaboratori esterni. Questo però implicherà anche un rafforzamento al nostro interno, con l’assunzione di nuovi modellisti Cad/Cam dedicati alle nuove produzioni e che saranno inseriti in Ares Engineering». TOSCANA 2012 • DOSSIER • 107


MADE IN ITALY

La scarpa di qualità cerca nuovi mercati Il mercato delle scarpe made in Italy ha subito un forte rallentamento a causa della crisi, ma ancora resiste puntando su prodotti di qualità a un prezzo accessibile. Ne parla Andrea Lazzeri Martina Carnesciali

ome riporta chiaramente l’Anci (Associazione Nazionale Calzaturifici Italiani), il settore calzaturiero italiano è caratterizzato da aziende di piccola dimensione e con una spiccata specializzazione produttiva. Per queste sue caratteristiche intrinseche il sistema calzaturiero necessita di specifici servizi esterni, accessibili e qualificati per poter sviluppare al meglio i vantaggi dell’innovazione tecnologica offerta dai vari centri, i quali a diverso titolo supportano i processi di innovazione e di

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trasferimento tecnologico. Nel sistema calzaturiero la Studio Collections di Fucecchio si è inserita nel 2007 in seguito ad una ristrutturazione aziendale del calzaturificio Lazzeri costituito negli anni 50 dall’omonima famiglia. Oggi alla guida dell’azienda ci sono i fratelli Luca e Andrea che, dopo essersi accuratamente spartiti i compiti all’interno dell’impresa, affrontano quotidianamente il mercato mondiale. Come racconta Andrea, «nel corso di questi anni abbiamo affrontato momenti in cui siamo stati costretti a coinvolgere lavorazioni esterne perché le nostre catene produttive non riuscivano a soddisfare appieno la domanda dei clienti. Abbiamo purtroppo anche affrontato periodi di recessione, ma per fortuna abbiamo sempre mantenuto clienti di paesi con una buona salute economica. Molti punti vendita un tempo a gestione familiare stanno chiudendo o vengono rilevati da catene di negozi monomarca: di fronte a tutto ciò la nostra azienda, con un’attenta ricerca di prodotti e di materiali eccellenti e senza esagerare con le ricercatezze stilistiche, riesce tuttora a ritagliare una sua importante fetta di mercato». E, a proposito di mercati, Andra Lazzeri specifica che «quelli di riferimento sono l’Italia, l’Estremo Oriente, la Russia e qualche sporadico cliente in Europa o


Andrea Lazzeri

negli Usa. In Europa al momento siamo ben introdotti sul mercato francese e del Benelux, ma miriamo a riaffermarci anche su quello tedesco che da alcuni anni abbiamo un po’ trascurato a causa del drastico rallentamento dei consumi. In generale, i nostri clienti sono importatori o piccole boutique che riescono ancora ad apprezzare il made in Italy». Ma non sempre è facile: «la globalizzazione degli ultimi anni ha sicuramente portato indubbi benefici, permettendoci di comunicare in tempi brevissimi abbattendo notevolmente i costi e i tempi, ma ha anche cambiato molte dinamiche dei mercati e oggi ci troviamo ad affrontare una crisi economica mondiale». In certi campi, la giovinezza anagrafica non è sempre un bene; però, come dice Andrea, «la Studio Collections può vantare un’esperienza pluridecennale nel settore calzaturiero; infatti già il nonno Giuseppe aveva intrapreso l’attività che poi avrebbe caratterizzato tutta la famiglia Lazzeri sin dal 1949, anno in cui aprì il primo laboratorio per la produzione di calzature a Fucecchio. La posizione strategica, nel cuore del comprensorio del cuoio, permette di reperire i migliori pellami provenienti dalle qualificate concerie di zona e di tenere stretti rapporti con i principali buying office di abbigliamento e cal-

zature di Firenze, che dista appena 35 km». Ma in cosa consiste, di preciso, la produzione della Studio Collections? Risponde Lazzeri: «il nostro prodotto è sempre stato la calzatura da uomo. Si tratta di una calzatura curata ma attenta al contenimento del prezzo per poter aggredire anche mercati che hanno minore potere d’acquisto. Nel corso degli ultimi anni ci siamo indirizzati verso le scarpe da donna, aggiornando i nostri macchinari produttivi, azione necessaria per mantenere elevata la qualità e la produttività dell’azienda». Aspetto non da poco, la Studio Collections ha brevettato una suola. «È basata sul concetto di un cuscino d’aria all’interno della struttura della suola stessa. L’aria è presente su tutta la superficie di appoggio del piede e garantisce maggiore comfort». Dai brevetti al futuro, il passo è breve: «nel prossimo futuro è nostra volontà mantenere ben saldo il rapporto con il Giappone e da lì, attraverso Honk Kong, addentrarsi nel mercato cinese, partecipando a fiere del nostro settore a Shanghai e Pechino. Il mercato cinese è orientato certamente sulle produzioni locali, ma il made in Italy è molto apprezzato», conclude il titolare.

Momenti di lavoro all’interno della Studio Collections Srl di Fucecchio (FI) www.studiocollections.it

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MADE IN ITALY

Cresce il comparto calzaturiero toscano A dispetto del calo d’affari e di fatturato osservato nel comparto manifatturiero toscano, la produzione di calzature va avanti a gonfie vele, soprattutto nel caso in cui si rivolga ai mercati internazionali. Ne parla Alessandro Casini Emanuela Caruso

el primo semestre del 2012 la produzione manifatturiera toscana non ha fatto registrare risultati particolarmente brillanti e, infatti, nel solo trimestre iniziale dell’anno in corso è diminuita del 4,2 per cento. Questa frenata produttiva sembrerebbe dovuta all’indebolimento generalizzato degli indicatori di domanda, che hanno segnato un meno 3,5 per cento rispetto allo stesso periodo del 2011, e come conseguenza diretta avrebbe portato alla crescita di ostacoli da superare per svariate realtà imprenditoriali della regione. Fortunatamente, in mezzo a tante dinamiche negative,

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Il calzaturificio Loi Srl ha sede a San Casciano in Val di Pesa (FI) calzaturificioloi@virgilio.it

alcuni settori della manifattura toscana hanno invece segnato una tendenza inversa, ovvero di crescita, in particolar modo i comparti di farmaceutica, meccanica, minerali non metalliferi e produzione di calzature. Proprio in quest’ultimo ambito si colloca l’attività del calzaturificio Loi, che, come racconta il titolare Alessandro Casini, è riuscito a concludere il 2011 e a cominciare il 2012 con un fatturato in crescita del 10 per cento. «Per noi il 2011 è stato un buon anno. Abbiamo lavorato ininterrottamente, senza la necessità di mettere in agenda giornate di stop produttivo, e addirittura abbiamo acquisito un nuovo cliente sta-


Alessandro Casini

❝ tunitense, che con la sua commessa ha contribuito in modo notevole all’incremento del volume del fatturato». Ed è proprio lavorare con firme internazionali di prestigio e posizionare le proprie calzature su una fascia alta del mercato che ha consentito al calzaturificio Loi di continuare a raggiungere traguardi sempre più positivi. «Nonostante la società disponga di un piccolo negozio a Firenze – spiega Alessandro Casini – il nostro mercato è rivolto quasi interamente verso l’estero. Questo ci permette di risentire in maniera marginale della crisi economica e di poter fare affidamento su una serietà nei pagamenti che in Italia ancora manca. I paesi esteri in cui siamo maggiormente presenti sono gli Stati Uniti, il Giappone e l’Asia – in particolare Hong Kong e Cina – ma stiamo rivolgendo la nostra attenzione anche verso la Russia, impegnata negli ultimi tempi in un’interessante campagna d’acquisto in Italia. Possiamo vantare vari clienti anche in paesi europei quali Svizzera, Germania, Grecia, Spagna e Romania». Alla vasta clientela che ha saputo conquistare nel corso degli anni, il calzaturificio Loi propone scarpe da donna – dai sandali agli stivali, dalle ballerine piatte alle scarpe da sera con tacchi vertiginosi – curati in ogni minimo dettaglio e seguiti in ogni fase della lavorazione. Continua, infatti, Alessandro Casini: «Per garantire al nostro bacino d’utenza prodotti di qualità elevata, la nostra azienda si

Già nel periodo iniziale del 2012 abbiamo registrato un incremento del 10 per cento sul volume di lavoro e sul fatturato maturato

impegna sull’intero fronte di produzione, occupandosi della lavorazione, dell’approvvigionamento dei materiali scelti dal committente e sempre italiani, e della realizzazione. L’unico step di cui ci interessiamo solo relativamente è la fase di modelleria, in quanto molto spesso i modelli vengono forniti già pronti al momento della ricezione della commessa. Il nostro è uno di quei settori dove ancora si conta tanta artigianalità, ragion per cui, sì siamo aiutati da macchinari specifici, ma gran parte del lavoro viene svolto da addetti qualificati e preparati, ma soprattutto concentrati e attenti a creare calzature perfette al millimetro». Consapevole dell’importanza di rispettare l’ambiente e le persone, recentemente il calzaturificio Loi ha anche puntato il proprio sguardo verso la sperimentazione di nuovi prodotti caratterizzati da una maggiore ecocompatibilità. Come commenta, concludendo, il titolare Alessandro Casini: «Stiamo lavorando in particolar modo su collanti e mastici a base di acqua – attualmente in fase di miglioramento – e sullo sviluppo di articoli per la pulizia della scarpa e della rifinitura che nella loro composizione non contengano solventi, altamente nocivi per l’ambiente e la salute dell’uomo». TOSCANA 2012 • DOSSIER • 111


MADE IN ITALY

Bici supertecnologiche Nel mondo della bicicletta da competizione il made in Italy ha ancora un grande appeal. Rimanda a cura artigianale e coraggio innovativo. Contro una concorrenza decisamente più “statica”. Ne parliamo con Philippe Zecchetto Nicoletta Bucciarelli

l comparto della bicicletta da competizione e della gamma di accessori correlati è un settore che nell’ultimo ventennio ha subìto in pieno gli effetti della globalizzazione. Questo da un lato ha elevato il livello medio, mortificando però la produzione top di gamma e rendendo la cura artigianale, l’impatto tecnologico e l’innovazione, un mero ricordo. Ci sono però delle realtà che hanno puntato tutto su queste caratteristiche, restando rigorosamente in Italia. «Nel mondo della scarpa da ciclismo, quindi Dmt – racconta Philippe Zecchetto -, da anni vige la regola degli “specialisti”. Parlando di una calzatura che prevede punti di sforzo e tensione molto particolari, questo non sorprende. I marchi che producono calzature per ogni genere di sport, pur mastodontici, fanno fatica a stare al passo di realtà più piccole ma molto più agguerrite perché specializzate». Il marchio Cipollini invece si trova coinvolto in un mercato più complesso. «Tutto questo perché i grandi brand, in particolare italiani e americani, non solo hanno delocalizzato (in Asia principalmente) la produzione, ma hanno delegato gran parte della ricerca agli stessi produttori, appiattendosi quindi su soluzioni più di facciata che realmente innovative. La motivazione di fondo è che il

I L’azienda Diamant si trova a Bonferraro di Sorgà (VR) ed è licenziataria e produttrice del marchio Cipollini www.diamantdmt.com www.mcipollini.com

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materiale attualmente in vigore per la costruzione dei telai, il carbonio, necessita di alta specializzazione e massicci interventi manuali: sfruttare perciò mano d’opera a basso costo è diventato un imperativo per (quasi) tutti». I risultati sembrano però aver ripagato gli sforzi verso la qualità delle due aziende. «Dmt negli ultimi anni ha visto una crescita moderata, ma costante in termini di fatturato. Cipollini è un marchio commercializzato da appena due anni. Da subito si è imposto come vessillo del vero made in Italy di assoluta qualità e visto il recente esito delle fiere di settore, il 2013 si prospetta come l’anno boom». Entrambe le aziende distribuiscono i prodotti sia in Europa che in gran parte del resto del mondo. «C’è però il pericolo che questa “stima storica” nei confronti del made in Italy possa esaurirsi a


Philippe Zecchetto

breve, visto che quasi tutti i marchi italiani oramai producono in Asia. I nuovi scenari sono riferibili ovviamente a tutti i mercati emergenti, anche se pochi di questi vedono protagonista il ciclismo come sport di riferimento.Tra tutte le nazioni emergenti forse la Russia è quella che si presta a maggiore attenzione, senza mai trascurare l’immensa

Recentemente abbiamo presentato Bond, un telaio con sistema di costruzione innovativo con l’innesto “triangolo/carro posteriore” frutto di un brevetto originale

Cina, serbatoio potenziale di qualsiasi tendenza a medio termine». La situazione italiana parla invece di un mercato in forte contrazione. «C’è però da dire che noi ci rivolgiamo alla nicchia di appassionati del ciclismo. C’è una sorta di rispetto sacrale nei confronti della bicicletta, ma anche di tutto ciò a essa relativo, dall’abbigliamento alle scarpe, che devono essere performanti non meno della bici. E comode». Sia per le calzature professionali che per le biciclette da corsa, gli investimenti in ricerca e sviluppo rivestono particolare importanza. «Rappresentano il cuore stesso della nostra attività. In questi ambiti investiamo risorse spropositate in percentuale. Molto del lavoro viene svolto anche al di fuori dell’ambito lavorativo, per pura passione». Dmt negli ultimi anni ha studiato soprattutto nuovi sistemi di chiusura con

rotore e lavorazioni su microfibre sempre più leggere. «Il prossimo anno – prosegue Zecchetto opereremo un forte aggiornamento della gamma di scarpe sia a livello tecnico che grafico ed estetico. Per quanto riguarda il marchio Cipollini l’innovazione è stata l’unico movente della sua nascita. Mario Cipollini, una volta terminata la sua carriera di ciclista professionista, si è messo in testa di realizzare la bici perfetta. Da meditazioni e studi di anni è nata, nel 2010, RB1000, una bici che trasferisce praticamente tutta la potenza al suolo. Tutti e cinque i modelli di bici, quattro da strada e uno per la pista, si contraddistinguono per una “predilezione”, per una caratteristica peculiare. Recentemente abbiamo presentato Bond, un telaio con sistema di costruzione innovativo con l’innesto “triangolo/carro posteriore” frutto di un brevetto originale che soppianta tutti i precedenti tipi d’innesti. In questo momento abbiamo ulteriori novità per il 2014 che appassioneranno il pubblico». TOSCANA 2012 • DOSSIER • 113


MODELLI D’IMPRESA

La concia di qualità è quella ecologica La crisi spinge molti acquirenti verso il low-cost, che spesso si basa su lavorazioni che non tengono conto dell’ambiente e della salute. Avviene anche nel settore della conceria, dove però ci sono realtà di nicchia che mirano alla massima qualità. Il punto di Francesco Santini Roberta De Tomi

li estratti vegetali stanno rimpiazzando le sostanze utilizzate tradizionalmente nella lavorazione della pelle, ambito in cui l’attenzione si sta sempre più focalizzando sui temi dell’ambiente e della salute. La scelta è stata abbracciata anche dalla Tecnopel, conceria della provincia fiorentina, il cui background affonda le sue radici nel Secondo Dopoguerra. Il titolare Francesco Santini, è alla guida di una realtà che in pochi anni, è riuscita a far fruttare decenni di esperienza artigiana, declinata nell’ambito industriale.

G Alcuni momenti della lavorazione della pelle presso la Tecnopel Srl di Fucecchio (FI) www.tecnopel.it

«Dal 2003 – spiega Santini – registriamo, anno dopo anno, una crescita del 30 per cento. Ciò è per noi, fonte di grande soddisfazione, soprattutto se consideriamo il contesto storico ed economico. Senza voler fare nessun riferimento ai partiti, il problema che affligge l’Italia è quello di un governo che non assiste le aziende che intendono aprirsi nuove prospettive di mercato, magari con prodotti di nicchia. È il caso anche della nostra realtà: i nostri sono prodotti di nicchia, che in quanto tale, è un segmento merceologico particolare. Ora, l’impegno è quello di cercare tali segmenti. Qua in


Francesco Santini

Il nostro obiettivo principale è ridurre al minimo l’impatto ambientale, non solo rispetto alle tecniche di lavorazione

Italia lavoriamo con le firme, poi cerchiamo e troviamo altri sbocchi di mercato in paesi come Cina e Usa, dove c’è una forte richiesta di un prodotto di qualità, che, ovviamente implica prezzi più elevati». «Ci occupiamo – continua l’amministratore di Tecnopel – della lavorazione di pelli per la calzatura e la pelletteria. Le materie prime provengono principalmente dall’Europa, in quanto cerchiamo di procurarci una materia prima che sia tracciata, dalla macellazione, all’ingresso in conceria. Le ragioni di questa scelta, dipendono dalla necessità di avere un prodotto ecologico e sicuro. Fanno eccezione alcuni capi provenienti dall’Africa, per realizzare fodere ma essendo poco tracciati, cerchiamo di limitare la fornitura da questa zona». Rispetto alla presenza sui mercati «La quota estera rappresenta il 50 per cento, “a pari merito” con l’Italia. Abbiamo una prima linea rivolta alle firme nostrane, e una seconda linea destinata ad altri mercati, o al target medio o alle firme, che ne utilizzano i prodotti come materiale da fodera. Per quanto riguarda questo materiale, il mercato europeo lo esige ecologico, perciò nella lavorazione dei nostri prodotti ci stiamo sempre più orientando all’utilizzo di estratti vegetali, cercando di abbandonare le sostanze inquinanti che sono sempre state impiegate nella conceria. Il nostro obiettivo è infatti ridurre al minimo l’impatto ambientale, non solo rispetto alle tecniche di lavorazione, ma anche, ad esempio per quanto riguarda gli scarichi industriali. Quello sui prodotti ecologici è un investimento consistente che ha le sue criticità, in quanto la concia richiede tempi di lavorazione più lunghi, rispetto a quella effettuata con sostanze “tradizionali” e ciò determina l’allungamento dei tempi di consegna, ponendo qualche difficoltà all’azienda, in

tempi in cui l’accesso al credito è decisamente più difficile. Tuttavia, continuiamo a investire anche sui macchinari, per garantire una maggiore precisione, e sul personale». Come molte imprese italiane nate come prosecuzione di un’esperienza artigiana: «Pur essendo un’azienda che produce quantità importanti di prodotti – rileva il titolare – Tecnopel è strettamente legata alle sue origini, tanto che la tecnica richiede una competenza peculiare, molto difficile da trovare. Per noi quello sul personale qualificato è un altro capitolo d’investimento su cui non prescindiamo». A premessa delle prospettive, Santini nota che «Allo stato attuale, per quanto riguarda l’Italia, vista la situazione, non c’è mercato, né liquidità. I prodotti a basso costo fanno troppa concorrenza, anche sleale, perché realizzati senza tener conto dei criteri di eco-compatibilità e della salubrità. Ma è anche vero che in un momento difficile per tutti, la maggior parte della gente acquista merce low-cost d’importazione, che in Italia non possiamo più produrre. Il nostro prodotto, almeno per quanto riguarda la prima linea, è rivolto a chi ha maggiori disponibilità economiche, dunque più facilmente vanno all’estero, piuttosto che restare in Italia. Tuttavia, e malgrado la situazione generale, vedo il futuro in positivo: oltre agli investimenti, ci stiamo allargando con stabilimenti più grandi. Questi risultati sono il frutto dell’impegno profuso a migliorarci e a cercare nuovi acquirenti, poiché investire sul lavoro, dandosi da fare, è una chiave non facile, ma serve ad accedere al successo». TOSCANA 2012 • DOSSIER • 117


MODELLI D’IMPRESA

Acciaio incerto, ma le imprese rilanciano Non è più il settore spia per prevedere l’andamento del mercato in generale, qualcuno parla di cambiamento strutturale e dalla Cina alla Germania squillano gli allarmi. E in Italia? Carla Basagni offre una risposta: «Noi investiamo» Renato Ferretti

l settore siderurgico si candida tra i più incerti del mercato mondiale. Fluttuazioni che bloccano il mercato soprattutto all’interno dei confini nazionali: in Italia il comparto arretra in balia della marea. La recessione abbassa i consumi, la domanda è calata tanto da far registrare una battuta d’arresto nella produzione cinese di acciaio per la prima volta dopo 31 anni: secondo Xue Heping, senior analyst per China’s Steelinfo, prevede uno 0,7 per cento in meno rispetto al 2011. Ma è davvero un dato da assumere come paradigmatico a livello mondiale? La guerra dei dati è lontana dall’esaurirsi, a conferma dell’insicurezza generale. Per esempio a livello mondiale si è registrato un aumento della produzione del 2 per cento su base annua per un totale di 139,7 milioni di tonnellate. Ma il dato europeo è in

I

In alto, da sinistra, Luca Neri, Carla Basagni e Franco Crolli dell’Ati Srl di Tegoleto (AR) www.atisrlacciaio.it

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controtendenza con un meno 4,9 per cento. Come si pone l’imprenditoria italiana in questo scenario è riassunto nelle parole di Carla Basagni, titolare dell’aretina Ati, da trent’anni nel commercio di prodotti inox. «Negli ultimi anni – dice la Basagni – le oscillazioni dell’inox sono diventate molto altalenanti: soprattutto, si è registrato un su e giù racchiuso in tempi molto brevi, determinando l’impossibilità di fare stime sull’andamento con un buon margine di precisione. Questo ha influenzato il valore del magazzino, ha creato confusione nei prezzi. Di conseguenza siamo stati costretti a comprare in modo mirato e ponderato, una cautela che finora ci ha premiato». Insomma continuare a considerare il siderurgico come uno di quei campi produttivi a cui guardare per prevedere l’andamento dell’economia in generale, sarebbe un errore: il settore non anticipa più inizio e fine delle crisi economiche, appare del tutto slegato. Seguendo ancora l’esempio dell’Ati le informazioni che si possono raccogliere non fanno che creare confusione. «Da una parte


Carla Basagni

10%

AUMENTO MEDIO ANNUO DEL FATTURATO DELL’ATI, NELL’ULTIMO TRIENNIO, NONOSTANTE IL -4,9% DI PRODUZIONE IN EUROPA – rivela la Basagni – abbiamo incrementato il nostro fatturato del 10 per cento in media ogni anno negli ultimi tre anni: adesso ci aggiriamo intorno ai 3 milioni. Dall’altra il 2012 è iniziato con molta “calma.” Si è subito sentito l’effetto della crisi, che sta attraversando tutta l’economia. Queste condizioni non permettono, nel nostro campo, di fare programmi a lungo termine. Possiamo solo sperare di lavorare bene su quello che viene richiesto giorno per giorno. Diventa tutto urgente, e secondo questo criterio cerchiamo di rispondere. La reazione principale è consistita nel potenziamento del servizio di magazzino. Ampliando questo reparto abbiamo fatto in modo di aumentare di conseguenza la disponibilità e quindi la possibilità di effettuare consegne capillari e in tempi brevi. Confidando, ovviamente, nella serietà e nella preparazione tecnica del personale. Questo è in realtà l’aspetto più importante». Per qualche analista il siderurgico non sta subendo semplicemente gli effetti della recessione globale, ma si tratta di un cambiamento para-

digmatico. Quindi si escluderebbe ormai l’ipotesi della crisi congiunturale. Eppure i casi come quello dell’Ati, nonostante l’incertezza, non mancano, anzi proprio la Basagni afferma: «L’acciaio inox viene usato in svariati campi, dall’industria alimentare e farmaceutica a quella chimica e meccanica. Ultimamente c’è stato un incremento nel settore dell’arredamento, in particolare negozi di alta moda». Che sia l’ennesima dimostrazione di come la forbice sociale si allarghi? I campanelli d’allarme per inibire la spinta propulsiva della nostra impresa si moltiplicano. Uno degli ultimi arriva direttamente dalla Germania, che produce il triplo rispetto al bel Paese, che ha registrato perdite per 590 milioni e la domanda non accenna a riprendersi. Ma le nostre aziende non dermordono e anzi rilanciano. «Non possiamo rinunciare a investire sui nuovi macchinari, l’aggiornamento è una priorità per rimanere competitivi. In particolare, non facendo lavorazione del materiale ma solo commercio, puntiamo su automezzi e macchine elevatori efficienti, nuovi e a norma. Ma ci tengo a ritornare sulla qualificazione del personale. Per il futuro investiamo sul nostro impegno per soddisfare sempre al Per qualche analista il siderurgico meglio la clientela. Forse un altro dato in controtendenza sta nel nonon sta subendo semplicemente mercato di riferimento: in gli effetti della recessione globale, stro molti infatti delocalizzano o punma si tratta di un cambiamento tano sull’export. Noi rimaniamo in Italia, soprattutto qui in Toscana e paradigmatico al Nord».

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E-commerce, una nuova frontiera per la teloneria L’ Diversificazione, flessibilità e sicurezza. Ma anche l’approccio a mercati innovativi, online, è fondamentale per la Teloneria Fiorentina, che ha posto la rete al centro delle sue strategie aziendali. L’esperienza di Gabriele Zani Roberta De Tomi

e-commerce sta spiccando il volo anche in Italia: i dati pubblicati sul sito Casaleggio Associati parlano di un 2011 che ha registrato un più 32 per cento, per un business del valore di 19 miliardi di euro. Sempre più aziende nostrane si stanno attrezzando per le sfide online, ponendo spesso l’e-commerce al centro delle strategie. È il caso della Teloneria Fiorentina che progetta, produce e commercializza prodotti realizzati con teli in pvc. La gamma produttiva è varia e si rivolge a diversi settori. Per l’impresa, fondata dall’iniziativa di Gabriele Zani, Massimo Magnolfi e Claudio Cecchi, la parola d’ordine è “continuo rinnovamento”, come riferito dallo stesso Zani. Come state affrontando questo momento storico? «Crisi significa cambiamento, concetto a noi congeniale, su cui abbiamo basato il lavoro. Fin dall’inizio ci siamo prefissati la diversificazione, che rappresenta uno dei nostri maggiori punti di forza. I problemi rilevati dalla nostra azienda, sono comuni a tutto il territorio: riduzione dei margini sul profitto e calo dei mer-


Gabriele Zani

cati tradizionali - in alcuni casi come quello relativo al trasporto su gomma, abbiamo rilevato un decremento dell’85 per cento -. Tale perdita deriva dalla chiusura di aziende per cui lavoravamo. Questa situazione critica ci ha spronato a vagliare nuovi mercati e attuando strategie volte ad aumentare la competitività attraverso la gestione e il miglioramento dei processi». I vostri prodotti si rivolgono a un’ampia platea di settori. In quali state registrando le migliori performance? «Il campo di applicazione dei materiali da noi lavorati è molto vasto. D’altro canto la chimica e la ricerca creano sempre nuovi applicativi. In questi ultimi tempi la Teloneria Fiorentina ha vinto due sfide: lavorare per il settore ferroviario e varcare la frontiera dell’e-commerce, attraverso l’apertura del sito www.teloneriafiorentina.it. Se fino a poco tempo fa l’azienda proponeva prevalentemente un prodotto custom, realizzato sul posto, oggi, grazie al sito, stiamo allargando l’offerta, indirizzandoci anche al mercato internazionale». Tra le vostre realizzazioni più recenti, ce n’è una che ha richiesto un particolare impegno dal punto di vista progettuale o tecnologico? «Nel corso degli anni abbiamo realizzato molte cose bizzarre e inusuali, ma un articolo particolare, realizzato di recente, era rivolto a clienti come l’esercito e la protezione civile. Si è trattato di un prototipo di camera operatoria da campo per una società del Nord Italia, realizzata con particolari materiali ed è gonfiabile, leggera e trasportabile comodamente in uno zaino». Esiste un problema di concorrenza legato

Il campo di applicazione dei materiali da noi lavorati è molto vasto. D’altro canto la chimica e la ricerca creano sempre nuovi applicativi

all’importazione di prodotti in Pvc? «Come ogni tipo di attività, risentiamo della presenza dell’Asia anche se, che al momento, e spero a lungo, occupa una posizione marginale. L’unico segmento di settore in cui la concorrenza è particolarmente aggressiva, è quello delle tende da sole, dove i prezzi sono al ribasso. Ciò è dovuto soprattutto alla mancanza dei requisiti di idoneità, che consente alla concorrenza di ridurre i prezzi in maniera consistente a discapito della qualità e soprattutto della sicurezza, due aspetti, che per noi, sono prioritari». Quanto è importante investire su elementi innovativi e di rinnovamento? «Per noi investire è fondamentale. L’anno scorso abbiamo ottenuto la certificazione En Iso 9001:2008. Inoltre, abbiamo ampliato dell’ottanta per cento la superficie produttiva, modificato e migliorato un gruppo macchina, acquistato un nuovo macchinario e rinnovato il nostro sito internet. Infine, siamo al lavoro per realizzare uno spazio showroom di circa 300 metri quadri, a Firenze nord, sul viale II Agosto». Quali sono le prospettive e gli obiettivi per il medio e lungo periodo? «Il nostro obiettivo per il futuro è allargarci al settore arredo. Inoltre, vogliamo continuare a sostenere le sfide di un mercato sempre più complesso, continuando ad avvalerci di un’equipe di grande professionalità».

Nella pagina precedente, Gabriele Zani che amministra la Teloneria Fiorentina di Sesto Fiorentino (FI). Nelle altre foto, alcuni momenti della lavorazione dei teli in pvc www.teloneriafiorentina.it

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MODELLI D’IMPRESA

Meccanica di precisione, eccellenza italiana lmeno per un bel pezzo i Cinesi non potranno fare quel che facciamo noi». È una di quelle frasi che nel mondo imprenditoriale italiano si sente spesso: non rappresenta solo una speranza cui aggrapparsi, ma uno dei motivi principali per cui in tanti nel nostro Paese decidono di non delocalizzare e scommettere in via definitiva sulla qualità dei propri prodotti. Uno dei settori in cui il livello raggiunto dalle imprese dello stivale sembra a tutt’oggi insuperato. Un buon esempio è rappresentato dalla azienda Bozzi & Figli, livornese da sempre, che fin dalla fine degli anni ‘70 ha scelto di abbandonare ambizioni “quantitative” per prediligere l’alta tecnologia. L’azienda è ora guidata dai fratelli Maurizio e Stefano Bozzi, il primo alla gestione generale e commerciale e il secondo alla direzione della produzione. Il segreto del successo dell’azienda fondata dal padre Ilvo, sta nella filosofia di fondo che fa della flessibilità, della tecnologia, e delle persone i

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Maurizio Bozzi, direttore generale della Bozzi & Figli Srl con sede a Livorno www.bozzi.net

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Il settore della componentistica ci vede ancora in testa, se non altro per quanto riguarda il grado di qualità dimostrato. Maurizio Bozzi porta l’esempio delle sue officine meccaniche. «I traguardi raggiunti devono essere solo nuovi punti di partenza» Renato Ferretti

punti cardine. «Per noi – dice Maurizio Bozzi – non esistono traguardi raggiunti, ma nuovi punti di partenza dai quali tendere a risultati sempre più ambiziosi, non certo per amor di vanagloria, ma più semplicemente perché il mercato corre veloce e nessuno può permettersi di cedere il passo. Si prendano ad esempio le certificazioni: siamo certificati fin dal 1996 e attualmente in fase di accreditamento per la Iso 9100. La vera fatica non è ottenerle ma rispettarle e mantenerle, mettendo quotidianamente in pratica quanto le norme prescrivono». Quali sono le dirette conseguenze di questo modo di procedere, dalla vostra esperienza diretta? «Occorre precisare che lavoriamo, sempre su commessa, con le macchine più tecnologicamente avanzate che oggi il mercato può offrire (centri lavoro a 5 assi, Integrex ecc.). Utilizziamo sistemi di progettazione Cad, abbinati a sistemi Cam e a macchine di Rapid prototyping. Ci siamo dotati di opportune sale metrologiche climatizzate, con 3 macchine di misura tridimensionali, che possono certificare pezzi lunghi fino 2 metri. Tale situazione, in considerazione del livello tecnologico raggiunto non può prescindere dall’impiego di personale


Maurizio Bozzi

Costruiamo componenti per l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, realizziamo parti motoristiche e meccaniche per marchi molto conosciuti anche nel mondo sportivo

altamente qualificato. Purtroppo si riscontra che le figure professionali necessarie non sono disponibili e avvicinabili al mondo scolastico, proprio per l’impossibilità che la scuola ha di fare investimenti mirati e formativi; ne consegue che la formazione è diventata parte importante e indiscutibile del nostro operare. Importante evidenziare che nell’arco temporale 1998 – 2004 il nostro personale è più che raddoppiato. L’anno 2007, l’unico, in cui è stata registrata una stasi, abbiamo intensificato l’attività di marketing con la conseguente acquisizione di nuova clientela in ambito europeo. Proprio ora in un momento in cui l’economia mondiale è sotto l’occhio di tutti, stiamo ancora investendo in tecnologia e assumendo personale; ingegneri di produzione, esperti in logistica e diplomati tecnici, tutti opportunamente selezionati con metodi moderni ed efficaci». Quali sono i mercati in cui vi sentite più inseriti? «Principalmente in Europa intendendo con ciò sia il nostro Paese che i principali paesi europei. Abbiamo commesse che spaziano dal campo civile, scientifico (INFN), biomedicale, aereonautico, packaging, petrolifero, motor sport (Ducati), automobilistico (Dallara) e buona parte della nostra produzione è rivolta ad aziende del gruppo Finmeccanica, con il quale collaboriamo da oltre 30 anni e che contribuisce quotidianamente ad arricchire il nostro sapere». Quali sono i problemi maggiori che dovete affrontare? «Non sono pochi. Ma uno in particolare da evidenziare e che può considerarsi come concor-

renza sleale, riguarda il confronto con aziende di alcune “zone del meridione” che sono assistite, potendo acquistare i macchinari in forma agevolata (con percentuali del 50 per cento a fondo perduto) e godere di sgravi fiscali e contributivi, mentre noi non abbiamo alcun aiuto, sia regionale che pubblico in genere. Per cui spesso abbiamo difficoltà a competere, avendo tali imprese costi industriali ben al di sotto degli standard nazionali». Quali sono le soluzioni che avete adottato? «Prima di tutto gli investimenti che facciamo sono continui, quasi tutti gli utili sono reinvestiti per rimanere al passo con la tecnologia più avanzata. Le nostre attrezzature, sempre all’avanguardia, hanno costi che non è esagerato definire stratosferici. E un altro punto di forza sta nel nostro organico, di circa 40 addetti, tutti selezionati con cura e come già detto costantemente formati». Come scegliete il personale? «Attingiamo prevalentemente fra i diplomati tecnici degli istituti professionali, che sottoponiamo a cicli di formazione specifica e in affiancamento alle maestranze più anziane. Alla fine i nostri operai diventano talmente in gamba da rendersi fortemente appetibili alle grandi aziende. Questo potrebbe essere un vanto ma purtroppo è anche un handicap in quanto tali nomi altisonanti possono, falsamente, ancora oggi rappresentare il “miraggio” del posto sicuro e a poco vale dire che con noi ci sono persone da oltre 30 anni; il cosiddetto “posto fisso”, in presenza di professionalità acquisite, è molto più reale in aziende della nostra tipologia». TOSCANA 2012 • DOSSIER • 123


IL DISTRETTO TESSILE

Il tessile verso uno sviluppo sostenibile La rinascita di una fibra di alta qualità dagli stracci. È questa la specializzazione raggiunta nel distretto tessile pratese con il cardato rigenerato. Roberto Morganti ne descrive le caratteristiche di morbidezza ed elasticità. E l’anima ecosostenibile Valerio Germanico

en prima che il rispetto dell’ambiente e il recupero – e quindi il risparmio – delle risorse divenissero temi di approvazione generale, il distretto tessile di Prato aveva già fatto della rigenerazione della lana un mezzo di sviluppo economico. Come afferma Roberto Morganti, fondatore dell’omonima azienda pratese: «La nostra città è stata la culla del tessuto cardato rigenerato, che dal 2009 è an-

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Roberto Morganti, fondatore e titolare dell’omonima azienda tessile di Prato roberto.morganti7@tin.it

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che diventato una materia prima certificata dal marchio Co2regenerated. Abbiamo fatto molta ricerca qui e ne abbiamo tratto un vantaggio spendibile sul mercato, sviluppando la capacità di riselezionare quelli che in gergo sono chiamati “stracci” e arrivando, con la lavorazione, a offrire uno spettro cromatico naturale di circa 240-250 sfumature di colore». Queste caratteristiche hanno permesso a Morganti di avviare anche l’esportazione del proprio tessuto, destinato sia all’Europa che al Nord Africa e in seguito anche all’Estremo Oriente. Quale valore aggiunto porta con sé un cardato rigenerato? «Il tessuto cardato rigenerato si contraddistingue per una morbidezza ed elasticità che possono competere con un tessuto tradizionale. Il nostro processo produttivo ci permette inoltre di creare svariati tipi di tessuto, adatti sia all’abbigliamento, tipo velour, ideale per cappotti e mantau, tipo tweed, ideale per giacche e tailleur, tipo flanella, ideale per pantaloni e giacche; sia all’arredamento, il cardato rigenerato è utilizzato come tessuto per divani, poltrone e tendaggio; sia alla maglieria, shetland, lambswool e per un’infinità di filati fantasia». Qual è il fattore determinante per la buona riuscita di uno dei vostri tessuti? «Se il rigenerato di lana Morganti si con-


Roberto Morganti

ferma come fra i più ricercati sul mercato, questo è grazie all’apporto della professionalità delle nostre maestranze che, al semplice tatto del tessuto, riescono a percepire la composizione delle varie fibre, eliminando il tessuto contenente un’alta percentuale di fibre sintetiche e nello stesso tempo operando una selezione in base alla coloritura naturale del tessuto. In questo modo riusciamo ad abbinare 40-50 gradazioni diverse da ogni famiglia di colori: dal beige al testa di moro, dal rosa pallido al bordeaux, dal celeste al blu nevi, dal verde chiaro al verde bottiglia, dal grigio perla all’antracite. E questo con processi ecologici e con il riutilizzo e la commercializzazione di materiali che altrimenti sarebbero destinati allo smaltimento, con un peso e un impatto negativo sull’equilibrio dell’ecosistema». Quale riscontro ha ottenuto sul mercato, nell’ultimo anno, il vostro prodotto? «La chiusura del bilancio 2011 è stata nel complesso positiva. Nonostante la crisi globale, nei primi sei mesi abbiamo registrato un ottimo andamento. In seguito, con l’acuirsi della crisi, nel secondo semestre si è verificato un trend riflessivo. Tuttavia, a fine anno abbiamo ottenuto utili superiori a quelli del bilancio 2010». Le performance migliori sono venute dal mercato interno o da quello estero? «Nella seconda parte del 2011 c’è stata una flessione negli acquisti da parte di paesi verso cui abitualmente la nostra azienda esporta – India, Cina, Turchia e Marocco –, dato che questi hanno accusato molto più di noi la

Creiamo svariati tipi di tessuto cardato, adatti sia all’abbigliamento, sia all’arredamento, sia alla maglieria

crisi. Per questo motivo la percentuale di esportazione verso questi paesi si è attestata a un 25 per cento del fatturato. Di contro però abbiamo avuto un incremento del mercato interno, che ha dimostrato una ricerca nell’innovazione del tessuto molto accentuata rispetto alla standardizzazione che caratterizza la richiesta proveniente dal mercato estero». Quali sono le prospettive e gli obiettivi che attendono la vostra azienda nella seconda metà del 2012? «Alla luce del primo semestre, le nostre prospettive si presentano positive. Siamo in attesa di un miglioramento dell’andamento dell’economia globale che ci permetta di incrementare il fatturato e stiamo già registrando segnali abbastanza positivi da parte dei mercati dei paesi emergenti. Per questo pensiamo che, dopo un assestamento mondiale della crisi, ritorneranno attuali le opportunità di una maggiore esportazione. E per questo siamo costantemente alla ricerca di nuove nicchie di mercato all’estero».

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IL DISTRETTO TESSILE

Il distretto pratese subisce la concorrenza sleale La denuncia di un imprenditore pratese del settore tessile. Massimo Milani insiste su un punto fondamentale: la diversa incidenza, a parità di produzione, del costo della manodopera fra le imprese italiane e le imprese gestite da extracomunitari Manlio Teodoro

na stessa attività industriale, svolta nel medesimo territorio, può avere costi del lavoro enormemente differenti fra un’impresa gestita da italiani e un’altra a proprietà straniera? È la domanda che si pone e che pone alle autorità competenti Massimo Milani, titolare della TiMaglia di Prato, azienda del distretto tessile e specializzata nella tintura di capi già confezionati. «È sufficiente confrontare i bilanci per verificare come, in proporzione, tutti i costi – per esempio quelli energetici – siano gli stessi a eccezione di quelli per la manodopera. Dun-

U

Massimo Milani, titolare della TiMaglia Srl di Prato www.timaglia.it

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que o un operatore extracomunitario è in grado di produrre quattro volte quello che produce un italiano, oppure c’è un problema di non osservanza delle regole. Se le cose stanno così, questo si traduce prima di tutto in una concorrenza sleale contro le imprese che rispettano tutte le normative sul lavoro. In secondo luogo esiste un danno per l’erario, dato che questi bilanci denunciano la presenza di una quota consistente di sommerso. E inoltre c’è un danno per il territorio nel quale questa ricchezza viene prodotta, dato che non è destinata a rientrare nel sistema attraverso i consumi, bensì oltrepassa rapidamente i confini italiani per raggiungere i paesi di origine. Tuttavia, questo stato di cose, che ho pubblicamente denunciato più volte all’indirizzo degli organi competenti, non ha finora generato iniziative volte a un maggiore controllo». A rendere ancora più ampio il divario fra le voci di bilancio relative alla manodopera ci sono anche i ritmi di lavoro. «Le aziende extracomunitarie sono aperte tutti i giorni dell’anno e lavorano tutte le notti. Ciononostante dai loro bilanci emergono costi di manodopera più bassi di quelli di un’impresa dello stesso settore che abbia un’organizzazione in turni esclusivamente diurni. Com’è possibile che a una certa quantità di prodotto non corrispondano costi di gestione proporzionali? Credo che sia necessario un intervento più incisivo da parte degli organi


Massimo Milani

competenti, sia sul fronte dei controlli sul modo in cui vengono gestite le imprese, sia sulla fuga verso l’estero dei capitali prodotti qui a Prato. Questa richiesta non ha come obiettivo quello di far “fuggire” questi imprenditori, bensì quello di fare in modo che tutte le imprese lavorino rispettando le nostre leggi». Costringere una tintoria\rifinizione a mettersi in regola, corrisponde anche a mettere in regola le centinaia di confezioni\maglifici che si servono di quella azienda. Fino ad oggi sono stati fatti molti controlli, ma indirizzati alla ricerca di clandestini ed abusi edilizi; bisogna fare un salto di qualità: controllare di notte e la domenica, cercare i pozzi abusivi e dire basta ai milioni (miliardi) di euro che da Prato si involano per Paesi lontani. A fronte di uno scenario locale e internazionale complesso, tuttavia, nell’ultimo anno, la TiMaglia ha registrato un bilancio decoroso. «Il 2011 è stato un anno positivo per la nostra attività, anche se progressivamente stanno aumentando i problemi, soprattutto per ottenere finanziamenti dalle banche, che non sono più disposte a finanziare idee imprenditoriali. Guardano esclusivamente alla solidità e alle garanzie attuali di chi richiede il loro aiuto, escludendo quindi a priori gli imprenditori che potrebbero creare valore con un’idea innovativa, ma che non hanno una base economica alle spalle». TiMaglia ha puntato sulla qualità delle proprie tinture, apprezzate sia nel territorio di Prato che in altri distretti italiani. «Noi lavoriamo con diversi tipi di macchine e tecniche. Sia le classiche lavacentrifughe che le macchine chiamate “olandesi”. Queste sono impiegate per la tintura dei capi pregiati e delicati, per esempio quelli in lana, cashmire o in altri tessuti che potrebbero infeltrire. La nostra capacità di carico va da poche maglie fino a 300 chilogrammi a colore, sia per le lavatrici tradizionali che per le macchine olandesi. Inoltre abbiamo un reparto dedicato alla stampa se-

È necessario un intervento più incisivo da parte degli organi competenti sul fronte dei controlli nelle imprese di extracomunitari

rigrafica e allo stone wash. Una delle innovazioni più recenti è la tecnica della tintura a freddo, che è entrata nella grande produzione da pochi anni. Questa consente di tingere più tipologie di fibre insieme che richiederebbero classi di colori diverse». In conclusione, Milani delinea le possibili prospettive di sviluppo del settore. «In Estremo Oriente, dove finora hanno operato i nostri concorrenti più agguerriti, i prezzi stanno aumentando. A questo si aggiunge che anche i trasporti sono diventati più costosi. Questo, da una parte, potrebbe frenare le importazioni di capi di abbigliamento, ridando slancio alle produzioni nazionali. Dall’altra potrebbe far tornare qui le commesse delle grandi multinazionali, che guardano al prezzo più basso e che a Prato potrebbero trovare insieme a un prezzo competitivo anche una maggiore qualità di prodotto». TOSCANA 2012 • DOSSIER • 129


IL DISTRETTO TESSILE

Made in Italy fin dalla materia prima Le cifre parlano di depressione, ma in uno dei distretti più importanti dei tessuti made in Italy gli imprenditori resistono con determinazione. Uno di questi è Giampiero Lombardi, che si è sottratto alle bizze della moda, puntando sulla certezza del classico Renato Ferretti

è chi la crisi la subisce da prima del 2008. I tessuti del pratese, tra i più rinomati d’Italia, soffrono già dal 2002 e la crisi finanziaria del 2008 non ha fatto altro che peggiorare la situazione. Eppure le aziende della zona non demordono, e fedeli al motto “chi la dura la vince” portano avanti le idee fedeli alla tradizione. Una di quelle che il resto del mondo ci invidia. L’esperienza di Giampiero Lombardi non si discosta da questo quadro: con la sua Assotex vende tessuti alle più grandi firme d’Italia come Armani, Gucci e Dolce&Gabbana e oggi più che mai è convinto della scelta. «L’obiettivo – dice Lombardi – è quello di produrre un tessuto di qualità e sempre classico, che non logora la sua immagine nelle evoluzioni vorticose della moda ma che mantiene e aggiorna i suoi connotati originali». È una strategia che alcuni definirebbero coraggiosa. «Finora mi ha dato ragione. Certo, la crisi ci ha messo a dura prova, ma chi può dire il contrario adesso? A Prato nessuno. In zona si è ca-

C’ Giampiero Lombardi, titolare di Assotex con sede a Montemurlo (PO) www.assotex.it

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lati arrivando a picchi del meno trenta per cento. Noi siamo relativamente tranquilli con meno 17 per cento rispetto all’anno scorso: ora siamo intorno ai quattro milioni e mezzo di fatturato, con circa 350mila metri di tessuto venduto». Come ottiene il suo tessuto “classico”? «Noi produciamo quasi esclusivamente capo spalla, pesi cappotto e pesi giacca sia in lana cardata che pettinata, tinti filo e tinti pezzo. Acquistiamo la materia prima e produciamo il filo. Andiamo a ordire e a tessere e rifinire: made in Italy fin dalla materia prima, quindi. Per le lavorazioni ci appoggiamo a ditte esterne, noi abbiamo un magazzino con il controllo del tessuto della materia prima, del tessuto grezzo e finito. La specializzazione e il controllo della qualità rappresentano sicuramente il patrimonio imprenditoriale più importante dell’azienda. La produzione è affidata solo ad artigiani del distretto pratese, è un punto importante. Un altro aspetto altrettanto importante sono le fibre pregiate che utilizziamo, indispensabili per il prodotto classico e qualitativamente eccellente che ricerchiamo: il cashmere, il camelhair, mohair sia rigenerati che nuovi». Il prodotto su cui avete puntato sembra aver a che fare molto con la tradizione. Quanto c’è di artigianale e quanto di automatizzato nella produzione?


Giampiero Lombardi

Per quanto riguarda questo settore la mano dell’uomo è ancora fondamentale e insostituibile

«Per quanto riguarda questo settore la mano dell’uomo è ancora fondamentale e insostituibile. Questo è un lavoro in cui l’artigianalità e l’automatismo viaggiano di pari passo: le tessiture, per esempio, sono sempre più moderne grazie a nuovi macchinari. Ma senza l’uomo non potranno mai funzionare, così come i passaggi della tintoria e rifinizione. Qui a Prato c’è ancora il vecchio tessitore che viaggia con due telai così come la tessitura moderna con trenta telai, ma in fondo c’è sempre l’uomo che carica il filato, che controlla dall’orditura alla filatura, dalla tessitura alla rifinizione attuale e moderna. Insomma non è come per alcuni ambiti del metalmeccanico in cui l’operaio viene progressivamente rimpiazzato da altre macchine. C’è sempre il tecnico che crea il tessuto, disegna l’articolo e rinnova la collezione annualmente, il capo della rifinizione che comunque gestisce 50-60 operai. Detto questo, è altrettanto evidente che bisogna essere sempre all’avanguardia tecnologicamente per sperare di produrre il top della qualità. Biella e Como insegnano». Quali sono i problemi principali adesso e quale sarà lo scenario tra qui a un anno?

«Le cause delle condizioni in cui ci troviamo adesso sono innumerevoli. Potrei citare i problemi nell’acquisto del capo finito: penso che si comprino più cellulari adesso che non un cappotto nuovo, segno dei tempi. C’è anche da dire però che nei negozi i prezzi non sono scesi né le grandi marche hanno accennato ad abbassarli. Poi c’è la concorrenza spietata dei Paesi in cui la manodopera costa molto meno che in Italia, come la Turchia, l’India o la Cina. Dunque lo scenario futuro rimane molto incerto, viviamo giorno per giorno senza una programmazione stabilita come succede in altri settori. Lottiamo aspettando di vedere cosa succede». TOSCANA 2012 • DOSSIER • 131


IL DISTRETTO TESSILE

La filiera del tessile punta sulla tecnologia Nel primo trimestre del 2012 la filiera del tessile ha fatto segnare, seppur con andamenti altalenanti, una decisa ripresa. Con ordini sia da clienti italiani che stranieri. Ne parliamo con Alessio Nencioni, titolare del Trapuntificio Mithos Marco Tedeschi

industria tessile nazionale, grazie anche ai recenti segnali positivi soprattutto per la produzione di fascia alta, si sta riattrezzando dopo un lungo periodo di scarsi investimenti». Federico Pellegatta, direttore di Acimit, l'associazione di Federmacchine che rappresenta più di trecento imprese meccano tessili, inquadra in questo modo la situazione della filiera del tessile. Tra i fattori che, in piccola parte, stanno molto spingendo la domanda interna c’è il fast fashion. «Il fast fashion – spiega ancora Pelle-

«L’

Il titolare del Trapuntificio Mithos Alessio Nencioni (a destra), insieme al socio Sauro Santini e al figlio Claudio (al centro). Il Trapuntificio Mithos ha la sede a Empoli (FI) www.trapuntificiomithos.com

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gatta – impone ai produttori di tessuti e di abbigliamento ordini con lotti minimi molto più bassi rispetto al passato e ripetuti nel corso della stagione. Questo comporta non solo la necessità di una maggiore flessibilità produttiva che a distanza diventa complicata da gestire, ma anche un forte aumento dell'incidenza dei costi di spedizione». Per questo molte aziende nostrane hanno anche registrato un andamento altalenante del loro mercato di riferimento. Tra queste anche il Trapuntificio Mithos, realtà del fiorentino che si occupa della realizzazione di tessuti di qualità. «Il bilancio del 2011 – spiega Alessio Nencioni, titolare dell’attività – si è chiuso in parità. Il 2012 invece ha avuto una sorta di andamento altalenante. Dopo un inizio molto promettente stiamo registrando dei cali significativi proprio in concomitanza con i mesi in cui fatturavamo di più ovvero maggio e giugno». Per riuscire a mantenersi stabili all’interno di questo mercato il Trapuntificio Mithos ha deciso di continuare ad investire sul piano tecnologico, che rappresenta sicuramente la base di partenza per portare avanti qualità e produttività. «La nostra realtà, possiede 4 tipologie di macchinari che coprono complessivamente il 90 per cento del fabbisogno della tipologia di lavori. Tutti i macchinari sono altamente tecnologici. Per cercare in-


Alessio Nencioni

vece di sviluppare in pieno e su misura le richieste del committente ci avvaliamo e ci appoggiamo ad un computer interno». Per una realtà come il Trapuntificio Mithos, la ricerca significa soprattutto andare alla scoperta di nuovi materiali e modelli con cui realizzare i prodotti. «Per quanto riguarda appunto la ricerca di novità ci avvaliamo di stilisti competenti e ci affidiamo a visite alle fiere del settore sia in Italia che all’estero, per cogliere sempre le novità più significative». Grazie all’utilizzo delle migliori materie prime e dei molteplici tessuti realizzati, il Trapuntificio Mithos è in grado di realizzare tutti i tipi di trapunte, in una gamma che va dalle più complesse alle più elaborate. «Cerchiamo di mantenere sempre costante il rapporto qualità/prezzo e tempo di consegna. Inoltre per soddisfare le diverse esigenze offriamo l’opportunità di realizzare e personalizzare ogni articolo seguendo le proposte del committente». Le lavorazioni richieste per i tessuti seguono ovviamente il corso della moda del momento. «La nostra specializzazione – precisa Nencioni – è rappresentata in ogni caso dalla lavorazione su tessuti esterni e su pelle vera; una lavorazione che richiede grande precisione e forti capacità. La trapuntatura su pelle ha da sempre rappresentato infatti uno dei nostri punti di forza. In questo specifico am-

PRODUZIONE

90% IL TRAPUNTIFICIO REALIZZA ALL’INTERNO QUASI LA TOTALITÀ DELLE LAVORAZIONI RICHIESTE, E PUNTA IN FUTURO A PRODURRE AUTONOMAMENTE IL 100 PER CENTO DEI LAVORI

bito, il fatto di trovarci nella zona del fiorentino ci ha favorito soprattutto nelle fasi iniziali della nostra attività». Tra le prospettive del Trapuntificio Mithos per mantenersi sempre più competitivi c’è la volontà di coprire internamente il 100 per cento della produzione. «Siamo orientati all’acquisto di una macchina da ricamo vero perché ci permetterebbe di chiudere quel 10 per cento di tipologia di lavori che serve per completare il nostro pacchetto». TOSCANA 2012 • DOSSIER • 133


IL DISTRETTO TESSILE

L’imprenditoria cinese a Prato nche le aziende tessili cinesi che popolano il mercato italiano risentono della crisi economica mondiale. A testimoniarlo sono le cifre registrate nell’ultimo biennio da uno dei distretti tessili italiani più importanti, quello di Prato, che continua a essere protagonista di un tasso di cessazione delle attività cinesi superiore al 22 per cento. Le ragioni di tale situazione sono da ricercare nella stagnazione del settore tessile interno del nostro Paese, che non rappresenta più un mercato ottimale su cui investire, e nella diretta concorrenza della Cina, che sforna prodotti finiti a prezzi ancor più concorrenziali di quelli proposti dagli imprenditori asiatici occupati in Italia. Tra le 4800 imprese cinesi attive presenti nella provincia di Prato che cercano di affrontare a testa alta gli ostacoli creati dal difficile momento economico c’è anche la società tessile New Melody. «Per riuscire a fronteggiare tanto la crisi, che ha causato una netta diminuzione del nostro fatturato, quanto la concorrenza del vero “made in China” – spiega la titolare dell’attività Valentina Hu Ying Chun – ab-

A

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A Prato c’è la maggior concentrazione di aziende tessili con titolari cinesi. E tra esse non sono poche quelle che sanno distinguersi per la serietà del proprio operato e la qualità dei prodotti. L’esperienza di Valentina Hu Ying Chun Emanuela Caruso

biamo alzato il livello di prestigio dei nostri clienti, andando quindi a produrre merci per case di moda italiane di prim’ordine. Abbiamo posto molta attenzione ai dettagli, alla qualità del cucito del capo e alla precisione nelle consegne». Quali altre caratteristiche rendono competitivi i capi realizzati dalla New Melody? «In particolare la qualità del tessuto, molto spesso stampato, e la tipologia di accessorio, entrambi scelti in base alle tendenze moda del momento e alle proposte dei nostri fornitori di tessuti, per la maggior parte italiani. Cerchiamo sempre di scegliere il meglio che il mercato possa offrire, in modo da distinguerci sia dalle altre aziende della zona sia dalla diretta concorrenza cinese. Un ulteriore aspetto che ci differenzia è la possibilità che lasciamo al cliente di scegliere il marchio da apporre, i segni distintivi, i cartellini e le etichette». Come si sviluppa il processo produttivo della New Melody? «L’attività comincia nel momento in cui i nostri capi di abbigliamento vengono ideati dall’ufficio stile aziendale oppure richiesti espressamente dal cliente. Dopo la fase di ricezione della commessa, il personale prov-


Valentina Hu Ying Chun

A sinistra, Valentina Hu Ying Chun, titolare della New Melody di Prato. Nelle altre immagini, momenti di lavoro all’interno dell’azienda newmelodysrl@virgilio.it

Lavoriamo per importanti marchi italiani ed esteri e acquistiamo tessuti di prima qualità da fornitori italiani

vede alla realizzazione dei grafici per le tagliate, effettuate attraverso macchinari automatizzati. Si procede poi con il cucito, affidato a ditte conto terzi. Infine, i capi vengono riportati nella nostra azienda dove sono rifiniti, incartellinati, inscatolati e spediti». Oltre a lavorare per marchi nazionali, la New Melody collabora anche con aziende estere ed europee? «Sì, siamo presenti anche sui mercati europei, in particolare quelli olandese e spagnolo, e internazionali, quali Israele e la Colombia. In un prossimo futuro speriamo di poter ampliare i rapporti anche con altri Paesi emergenti, come per esempio la Russia, ma per farlo è necessario che gli alti dazi da pagare necessari per l’importazione calino e facilitino gli scambi». Quanto è difficile riuscire a gestire i rapporti tra la vostra comunità e il mondo del lavoro italiano? «È abbastanza complicato, perché la realtà cinese è molto diversa per abitudini e cultura

da quella occidentale e, di conseguenza, non è sempre facile trovare il giusto equilibrio tra i due mondi lavorativi. Io e mio marito abbiamo la fortuna di essere in Italia sin dalla prima infanzia e abbiamo quindi imparato a gestire i rapporti con gli italiani e poi con le aziende, i vari titolari e i dipendenti del vostro Paese. Stiamo anche cercando di accettare e fare nostre determinate regole italiane, come per esempio quelle riguardanti gli orari lavorativi, regole che quasi sempre contrastano con i ritmi di vita che ci sono stati insegnati in Cina. Quello che spesso viene definito dagli italiani un eccesso lavorativo, per noi è semplicemente la normalità». Cosa vi augurate per l’immediato futuro? «Il nostro desiderio è quello di continuare a mantenere l’azienda in un buono stato di salute, così da dare lavoro a persone sia cinesi che italiane e proseguire con questa collaborazione tra due mondi e due culture molto diversi, che siamo sicuri insieme possano fare la differenza».

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PRODOTTI ALIMENTARI

Tradizione alimentare e innovazione tecnologica Se è vero che la crisi riduce i consumi alimentari degli italiani, nessuno sembra però voler rinunciare alla qualità di ciò che mangia. Le novità nella produzione di sottoli e sottaceti illustrate da Simone Perzia Guido Puopolo

a proporre come contorno veloce e subito pronto, per tutti coloro che hanno sempre meno tempo da dedicare alla cucina, ma anche, ad esempio, in occasione di aperitivi e spuntini. È così che sottoli e sottaceti, negli ultimi anni, hanno trovato un riscontro sempre maggiore tra i consumatori italiani. Profondo conoscitore del settore e dei suoi cambiamenti è Simone Perzia, responsabile qualità della Inpa, azienda fiorentina che da oltre mezzo secolo produce e commercializza sottoli, sottaceti, olive, agrodolci e specialità regionali. «Negli anni l’evoluzione socio-culturale ha indirizzato le scelte dei consumatori verso prodotti più elaborati. Per quel che riguarda i sottaceti, ad esempio, abbiamo registrato una forte crescita dei cosiddetti prodotti “agrodolci”, dal gusto più delicato e meno pungente».

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Simone Perzia, responsabile qualità della Inpa Spa di Vinci (FI) www.inpa.it

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Come è riuscita Inpa ad adattarsi a queste nuove esigenze del mercato? «La crescita dell’azienda è sempre stata fortemente legata allo studio delle preferenze e dei gusti dei consumatori. In generale su tutte le referenze si è puntato gradualmente a una riduzione del contenuto di sale. Proponiamo inoltre prodotti tipici regionali, connotabili a precise aree geografiche, ponendo sempre grande attenzione alla selezione delle materie prime, un aspetto imprescindibile». A questo proposito, quali canali utilizzate per l’approvvigionamento delle materie prime? «Di norma ci affidiamo soprattutto a intermediari esperti e qualificati, anche se, per certe tipologie di prodotto, provvediamo ad acquistarle direttamente dai coltivatori». Quanto contano la ricerca e lo sviluppo nel vostro settore? «Sono basilari. Negli ultimi dieci anni abbiamo investito ingenti risorse nella ricerca di nuove tecniche di conservazione e nuovi packaging, che possano offrire prodotti di qualità, sicuri e pratici. L’azienda si è dotata di due linee di confezionamento di vaschette con diverse modalità di conservazione, e anche i prodotti più tradizionali in vaso vetro, che da sempre rappresentano il core business dell’azienda, sono stati rivisitati. In particolare si è puntato sull’inserimento di nuove “specialità regionali”, confezionate all’interno di vasetti personalizzati e con etichette ac-


Simone Perzia

cattivanti. La linea “Lusinghe”, ad esempio, è il frutto di questa ricerca: si caratterizza per l’accurata selezione delle materie prime, ricettate secondo la tradizione gastronomica italiana». All’innovazione di prodotto, però, avete affiancato anche una seria politica di innovazione tecnologica. «Abbiamo sfruttato le nuove tecnologie per cercare di dare ai consumatori informazioni chiare e trasparenti. La nuova linea Inpa, infatti, è dotata di codici QR che offrono la possibilità, ai possessori di uno smartphone, di scaricare dal nostro portale Youtube numerose ricette semplici e gustose, elaborate dallo chef emergente Stefano Pinciaroli, e da preparare utilizzando i nostri prodotti. Le stesse ricette sono inoltre consultabili direttamente anche dal nostro sito. Puntiamo molto sulla comunicazione via web, dove siamo presenti anche con una pagina su Facebook e Twitter». Quali controlli eseguite per assicurare sempre la qualità del prodotto finito? «Disponiamo di un laboratorio per il controllo qualità, all’interno del quale tre chimici e un tecnologo eseguono un campionamento su tutto ciò che viene poi lavorato in azienda. Siamo certificati Iso 9001, Brc, Ifs e Iso 14001, e i nostri sistema di gestione ambiente e qualità sono supervisionati da due esperti qualificati. Grande attenzione, infine, è rivolta al rispetto dell’ambiente, tanto che ogni anno vengono studiati progetti per il risparmio energetico e la riduzione dell’ impatto ambientale». Quali sono i principali canali di distribuzione dei prodotti Inpa? A livello geografico

Disponiamo di due linee di confezionamento, e anche i prodotti più tradizionali in vaso vetro, che da sempre rappresentano il nostro core business, sono stati rivisitati

quali territori servite soprattutto? «Inpa, sin dall’inizio, si è caratterizzata come un’azienda di produzione per conto terzi, e l’esperienza maturata in 50 anni di attività ci ha permesso di venire incontro alle esigenze della grande distribuzione in termini di qualità e affidabilità. La nostra produzione è fortemente legata alla tradizione toscana, ma i prodotti a marchio sono distribuiti a livello nazionale e internazionale. Inpa opera inoltre al fianco di grandi catene di distribuzione nel nord Europa. Recentemente, infine, abbiamo iniziato a esplorare anche nuovi mercati, in particolar modo quello cinese, con l’obiettivo di ampliare ulteriormente il nostro business».

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ENOLOGIA

Gli italiani preferiscono il Brunello Tiene il mercato enologico nonostante la crisi dei consumi. Un’indagine Ispo dimostra che il consumatore italiano non rinuncia al buon bere e fra i rossi nostrani spicca quello di Montalcino. Patrizia Cencioni commenta questa controtendenza Mauro Terenziano

Al centro, Patrizia Cencioni con le figlie, da sinistra, Annalisa e Arianna Matteucci. L’azienda agricola Solaria si trova a Montalcino (SI) www.solariacencioni.com

onostante il calo dei consumi abbia raggiunto anche i prodotti della tavola, gli italiani non sembrano ancora disposti a rinunciare a consumare i loro pasti accompagnandoli a un buon vino italiano. È quanto emerge da una ricerca condotta da Ispo per conto di Marchesi de’ Frescobaldi. A indicare una netta preferenza nell’orientamento dei consumatori italiani è sufficiente il titolo della ricerca: “Gli italiani e i vini pregiati in tempo di crisi: il caso Brunello di Montalcino”. In base all’indagine condotta dall’istituto diretto da Renato Mannheimer emerge infatti che proprio quest’ultimo sia il rosso eletto a eccellenza dal mercato italiano, con il 24 per cento delle preferenze. Inoltre, per il 76 per cento del campione l’acquisto di un Brunello non è solo un momento di consumo, bensì anche un aiuto per l’economia italiana. Il 70 per cento lo sceglie come idea regalo e il 48 addirittura come investimento. Per commentare questi dati dal punto di vista del viticoltore, abbiamo intervistato Pa-

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Patrizia Cencioni

trizia Cencioni, titolare dell’azienda agricola Solaria di Montalcino. «Negli ultimi anni è fortemente cresciuta la competizione fra noi produttori e questo è andato a tutto vantaggio della qualità del prodotto e quindi dell’amante del vino, facendoci destinare consistenti risorse per una produzione attenta all’eccellenza – la mia azienda è prevalentemente impostata sulla produzione dei vini a denominazione di origine controllata: Rosso e Brunello di Montalcino,e nelle migliori annate il Brunello riserva Selezione Solaria 123 – i risultati emersi dalle analisi e ricerche di mercato non possono che essere una conferma positiva sul lavoro svolto da noi viticoltori e capacità del nostro Consorzio di comunicare al pubblico questa qualità». L’azienda Solaria ha infatti registrato nell’ultimo biennio un consolidamento del fatturato, sostenuto anche da una quota importante di bottiglie destinate ai mercati esteri. «I paesi più recettivi per i nostri vini sono gli Stati Uniti, la Svizzera,Belgio e Germania. Una quota minore per quanto riguarda l’Europa, la inviamo anche in Olanda e Danimarca, comunque in questo momento sono i paesi emergenti a rappresentare le prospettive maggiori. Stiamo infatti iniziando a entrare nei mercati asiatici, come in Cina, e in quelli sudamericani, come il Brasile. Dato il nostro interesse per l’export, puntiamo molto sul tema della promozione, che vorremmo vedere non solo nelle iniziative del Consorzio del Brunello – per il quale quest’attività fa parte della mission –, ma anche da parte delle istituzioni, che potrebbero ancora fare molto per valorizzare le unicità e le eccellenze italiane». Accanto alla produzione di Brunello di Montalcino, nell’azienda agricola Solaria si vinifica anche un’Igt Solarianne ,e fatto distillare le vinacce dalle quale si ottiene due tipologie di grappe di Brunello, inoltre grande attenzione viene riservata alla produzione olive, dalle quali si ottiene un olio extravergine di oliva Igt. Queste diverse attività sono tutte condotte sotto la guida di Patrizia Cencioni, che ha scelto di continuare a coltivare la terra dei propri antenati, dove fin da

Negli ultimi anni è fortemente cresciuta la competizione fra noi produttori e questo è andato a tutto vantaggio della qualità del prodotto

bambina aveva partecipato alle attività della sua famiglia – una delle famiglie storiche fra i vignaioli di Montalcino – e dove da ragazza aveva iniziato ad apprendere le nozioni dell’agricoltura. Nel 1993 Patrizia “firma” il suo primo Brunello. A questo sono seguite molte altre vendemmie e una produzione nella quale ha sempre infuso la propria caparbietà di donna e madre. «In campagna come in cantina, sono sempre stata alla ricerca dell’eleganza, della bellezza e dell’equilibrio, con la giusta attenzione sia alla sostanza sia alla forma. Con la ferma volontà di non arrendermi di fronte alle difficoltà e cercare di ottenere sempre di più». Proprio in questa direzione vanno i prossimi progetti per il miglioramento dei vini Solaria. «Prossimamente investiremo nell’ampliamento della struttura della nostra cantina. Lo scopo non è quello di incrementare la quantità produttiva, ma di avere a disposizione nuove strutture che ci permettano di gestire al meglio la nostra produzione. Abbiamo previsto in particolare di accrescere l’area destinata allo stoccaggio, in maniera tale da poter avere un invecchiamento un po’ più prolungato nel tempo sia per il Brunello che per la nostra riserva». TOSCANA 2012 • DOSSIER • 141




CREDITO & IMPRESE

GARANTIRE IL CREDITO PER AIUTARE LE IMPRESE

Mauro Quercioli, presidente Abi Toscana

Lo scenario economico toscano nel primo semestre dello scorso anno ha proseguito la fase di debole crescita incominciata nel 2010, ma le turbolenze che hanno interessato i mercati finanziari hanno deteriorato la situazione sul finire del 2011. Questo andamento altalenante ha caratterizzato anche i primi mesi del 2012, in cui i livelli di attività hanno continuato a subire i tumulti dei mercati internazionali. L’attività manifatturiera è cresciuta a tassi contenuti nei primi due trimestri dello scorso anno, ha rallentato nel terzo ed è scesa nel quarto. Un andamento migliore ha interessato le imprese di maggiori dimensioni, quelle del comparto della moda e, in generale, quelle in grado di intercettare la domanda proveniente dai mercati esteri. «Il clima è peggiorato soprattutto per le imprese che vivono

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sul mercato interno» spiega Pierfrancesco Pacini, presidente di Confindustria Toscana. «Le aziende che esportano, anche se hanno rallentato, continuano a crescere, ciò vale sia per le grandi griffe che per le piccole e medie imprese innovative, ma per le altre i rischi sono lievitati. E anche le imprese sane possono ammalarsi, a causa del virus dei mancati pagamenti». Le imprese che negli anni precedenti avevano attuato strategie di internazionalizzazione sono state caratterizzate nel 2011 da un andamento più favorevole del fatturato. La spesa per investimenti è leggermente salita, pur rimanendo su livelli storicamente contenuti; un nuovo calo però è atteso per l'anno in corso. Tra i settori più colpiti c’è quello edile, con significativi riflessi occupazionali: «Ci sono realtà


Lo scenario toscano

PRESTITI BANCARI PER SETTORE DI ATTIVITÀ ECONOMICA (VARIAZIONI PERCENTUALI SUI 12 MESI) IMPRESE PERIODI

AMMINISTRAZIONI SOCIETÀ PUBBLICHE FINANZIARIE E ASSICURATIVE

MEDIO GRANDI

PICCOLE FAMIGLIE FAMIGLIE CONSUMATRICI PRODUTTRICI

TOTALE

Giu. 2011

0,6

-0,9

3,2

3,9

0,8

1,9

3,8

3,0

Set. 2011

-1,1

8,2

2,0

2,8

-0,7

0,2

3,3

2,7

Dic. 2011

0,7

2,9

-0,1

0,8

-3,1

-2,3

2,4

0,9

Mar. 2012

-2,6

4,5

-3,3

-2,9

-4,6

-3,9

1,4

-1,3

FONTE: BANCA D’ITALIA

con produzioni particolari, di nicchia, o che hanno saputo investire nell'innovazione e quindi tengono bene sul mercato, così come accade per il fashion, considerando anche le imprese più a carattere artigianale» sottolinea Vasco Galgani, presidente di Unioncamere Toscana. «Per il resto la situazione è di grande sofferenza. Soprattutto in settori come l'edilizia, con tutto il suo indotto». Nel comparto pubblico difficoltà per le imprese provengono dai lunghi tempi di pagamento delle opere: «Le imprese toscane – spiega Valter Tamburini, presidente della Cna Toscana – vantano crediti per oltre 4 miliardi di euro nei confronti della pubblica amministrazione; le conseguenze per le imprese sono gravi: mancanza di liquidità e maggiori difficoltà per l’accesso al credito. Inoltre circa un terzo degli 843 fallimenti di imprese toscane nel 2011 è riconducibile ai ritardi dei pagamenti da parte delle Pa. Molti enti pubblici disporrebbero delle risorse per far fronte ai pagamenti delle ditte fornitrici e appaltanti, ma sono bloccati dal patto di stabilità interno, che li obbliga a diluire i pagamenti nel tempo per gli interventi finanziati da mutui o prestiti». In Toscana nello scorso anno sono aumentati i fallimenti fra le cause continua a esserci il re-

stringimento dell’accesso al credito. Mauro Quercioli, presidente dell’Abi Toscana, ribadisce che a gennaio 2012 gli impieghi delle banche verso le imprese e verso le famiglie sono cresciuti, rispetto all’anno precedente, rispettivamente dell’1,12 per cento e del 3 per cento. Quercioli spiega che in Toscana è in aumento il rapporto tra sofferenze e impieghi: in sei mesi si è passati dal 5,9 per cento al 6,9 (a livello nazionale l’oscillazione è stata invece dal 5,1 al 5,4): «Questo rende più difficile il lavoro delle banche perché alcuni crediti rischiano di diventare inesigibili». Le sofferenze maggiori si registrano nelle province di Prato, Arezzo, Massa Carrara e Pistoia, mentre la situazione è migliore nelle province di Livorno e Siena. Quercioli indica nella dimensione di impresa (ci sono troppe piccole e piccolissime imprese e poche medie imprese) e nella loro scarsa capitalizzazione le fragilità del sistema produttivo toscano. Infine, il presidente dell’Abi regionale sottolinea come «le banche hanno proceduto, sulla base di accordi nazionali, ad allungare i mutui in essere, a partecipare alla ricapitalizzazione delle imprese, ad anticipare la cassa integrazione, a studiare soluzioni per garantire i crediti che le aziende vantano nei confronti delle pubbliche amministrazioni».

Pierfrancesco Pacini, presidente Confindustria Toscana

TOSCANA 2012 • DOSSIER • 145


Livorno al centro di una nuova logistica Continua il dibattito sulle possibilità del polo strategico rappresentato dalla provincia toscana, in cui l’interporto di Guasticce gioca un ruolo fondamentale. Il nuovo amministratore delegato traccia un quadro delle opportunità che ora si aprono Renato Ferretti

on c’è speranza di uscire dalla crisi senza infrastrutture adeguate. A pensarla così sono in molti in quel triangolo di Toscana tra Firenze, Pisa e Livorno. Soprattutto la provincia di Livorno costituisce il centro di un’area strategicamente molto importante per il settore logistico. Da una parte il porto, uno dei nodi potenzialmente decisivi a livello non solo europeo, e dall’altra il vicino interporto A. Vespucci di Guasticce Collesalvetti. Quest’ultimo in particolare, con una superficie che sfiora i tre milioni di metri quadrati, si candida come leader per la logistica d’avanguardia. Ma nella zona mancano certi prerequisiti, non solo burocratici, per rilanciare il mercato di riferimento. Come per esempio

N

le ferrovie: tra Livorno e Firenze esistono solo ventidue tracce. Il dibattito negli ultimi mesi si è acceso e tra gli attori dell’auspicato processo di miglioramento c’è il nuovo amministratore delegato del Vespucci Bino Fulceri. «Sono orgoglioso di poter dire – esordisce Fulceri – che l’interporto Toscano Vespucci è tra le società leader nella programmazione, progettazione e realizzazione di infrastrutture e servizi per la logistica. Operiamo nell’ottica di soddisfare le richieste di servizi per la logistica di qualità, da parte di operatori nazionali ed esteri con i nuovi indirizzi del trasporto. Situato al centro della piattaforma costiera toscana è collegato alle principali reti viarie e ferroviarie nazionali e internazionali ed è un polo di


Bino Fulceri

enorme potenzialità per le merci in partenza e in arrivo dall’Europa, in grande sinergia con il Porto di Livorno». Dato che il mercato si sta gradualmente spostando sempre di più verso il trasporto intermodale, cioè effettuato con l'ausilio di una combinazione di mezzi diversi, non è difficile capire le opportunità offerte da un interporto così vicino al mare a soli 5 km dal Porto di Livorno. Questo sarebbe funzionale ai nuovi corridoi di scambio di cui ultimamente si è parlato e che ancora non trovano una realizzazione. Infatti oltre all’asse Malta-Helsinki «il porto di Livorno – dice Fulceri – potrebbe agganciarsi a una nuova rotta che dal Mar Nero raggiunge la Spagna attraverso un ponte di terra in Italia con estremi Ancona e proprio Livorno». Insomma sono mesi di fermento per il Vespucci, tanto più se si considera che il Comune di Collesalvetti sta

Il porto di Livorno potrebbe agganciarsi a una nuova rotta che dal Mar Nero raggiunge la Spagna attraverso l’Italia

approvando la variante al Piano Strutturale che prevede anche insediamenti a carattere industriale. Fulceri nel dibattito con i vari enti interessati si è finora dimostrato cauto, nonostante le grandi opportunità che ancora si possono cogliere. «Faccio notare – ricorda Fulceri – come l’entrata dell’Authority sia un segnale positivo per tutto il processo di potenziamento, considerando che la logistica è uno dei fattori chiave per essere competitivi in questo sistema economico e ad oggi l’Italia è al 24° posto per efficienza del settore. Ma attenzione, come dice il l’amministratore delegato del Vespucci, gli armatori vanno dove ci sono le merci, non dove ci sono le infrastrutture». Il Vespucci punta molto anche sui servizi: da un lato alla lo-

gistica delle merci puntando sulle autostrade del mare, dove entro il mese di settembre entrerà in funzione un’area dedicata, con servizi di prim’ordine per i mezzi e le merci che utilizzano le navi RO-RO per la Spagna, la Corsica, Sardegna e Sicilia. Dall’altro il centro direzionale si arricchisce di una nuova palazzina uffici costruita con criteri di alta tecnologia impiantistica e di risparmio energetico, che permetterà l’insediamento di operatori logistici, professionisti e enti legati alla portualità e controllo merci, e che potranno utilizzare servizi già esistenti quali: collegamenti diretti con le varie arterie stradali, disponibilità area convegni, ampi parcheggi, ristorante, servizio bancomat, servizi di fibra ottica e aree video sorvegliate.

In apertura,Bino Fulceri, amministratore delegato dell’Interporto A. Vespucci con sede a Guasticce Collesalvetti (LI) www.interportotoscano.com

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Diversificare nel ramo dei trasporti Un mercato che gioca al ribasso mette in crisi anche aziende particolarmente strutturate, che per mantenere la posizione sul mercato dei trasporti, devono diversificare il business. Ma i problemi sono diversi. Li spiega Anna Sodi Anastasia Martini

e infrastrutture rappresentano uno dei nodi focali su cui si struttura il dibattito sullo sviluppo economico del paese, che da necessità, sta diventando urgenza. Malgrado ciò, le condizioni di stasi persistono, in un mercato che gioca sempre più al ribasso, mettendo a repentaglio l’attività di aziende, che reagiscono, ampliando il raggio delle proprie attività nel campo di competenza. È il caso della Sodi, realtà del Mugello operante nell’autotrasporto e nell’edilizia stradale, che, grazie alla diversificazione delle atti-

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vità, in Toscana ed Emilia Romagna, riesce a mantenere salda la propria posizione, con esiti inaspettatamente positivi. «Per quanto riguarda l’autotrasporto – spiega la titolare, Anna Sodi – a fine agosto abbiamo registrato un aumento nel fatturato in controtendenza rispetto alle previsioni, realizzando un più 20 per cento. Il discorso cambia per l’edilizia, che, ponendosi in linea con il trend generale, è in flessione del 35 per cento. Facendo un calcolo sommario, siamo cresciuti del 5 per cento. A consentirci la tenuta rispetto alla crisi da cui tuttavia non


Anna Sodi

siamo immuni, è la diversificazione dei servizi, grazie soprattutto all’autotrasporto, rivolto sia all’edilizia e legato al trasporto primario che alle infrastrutture. Nello specifico, il 35 per cento del nostro fatturato è rappresentato dell’emergenza neve, per conto di Autostrade; il 15 per cento da lavorazioni generali e fresatura, il 10 per cento da i global service della Firenze-Pisa-Livorno e delle strade provinciali intorno alla città di Firenze per 340 km, il 30 per cento dai trasporti puri di inerti e conglomerati. Infine abbiamo la gestione d’impianti di produzione dei conglomerati, di cui abbiamo una partecipazione del 50 per cento». Alla crisi si accostano altri problemi. «Una prima difficoltà – continua Anna Sodi – è quella di sostenere un’azienda fortemente strutturata come la nostra, con diversi dipendenti, disponiamo di macchinari di proprietà, siamo patrimonializzati e non abbiamo leasing. Se prima questi erano fattori di successo, adesso rischiano di rappresentare un peso nella competitività generale, nel contesto di una corsa al ribasso dei prezzi, che avvantaggia realtà più snelle». Costo del carburante e della materia prima e dinamiche delle gare d’appalto sono altre

Contro la crisi abbiamo puntato sulla diversificazione dei servizi di autotrasporto per l’edilizia e sul trasporto primario

due spine nel fianco. «Noi abbiamo avuto un lordo di aumento fra il 26 e il 30 per cento, – rileva la titolare – che al netto del recupero delle accise ci dà il 15-17 per cento, che però non recuperiamo nei lavori. Quindi, sotto questo aspetto siamo in perdita e non riusciamo a trasferire gli incrementi nei costi da noi sostenuti sul prezzo che proponiamo al mercato. Ciò vale anche per la produzione del conglomerato rispetto alle fluttuazioni nel prezzo della materia prima. Questo anche perché spesso le gare che vinciamo non contemplano le fluttuazioni che sono connaturate al mercato, oppure i contratti sono restringenti. Attualmente ci sono pochissime gare pubbliche e i committenti privati le fanno sempre più aggressive, giocate sul massimo ribasso, con prezzi che fatichiamo a sostenere. Infine, sul fronte dei pagamenti dei committenti, la situazione è un disastro, tanto che abbiamo anche fatto dei decreti ingiuntivi alle ammi-

nistrazioni pubbliche per crediti che aspettiamo da oltre un anno». Sul fronte investimenti e obiettivi «Per l’edilizia e l’autotrasporto – prosegue la nostra interlocutrice – abbiamo dotato i nostri mezzi di sistemi satellitari e abbiamo acquistato due veicoli nuovi. Se in tempi più floridi cambiavamo 3-4 mezzi all’anno, ora puntiamo a mantenere in funzione l’esistente. Per l’innovazione ci avvaliamo di un’azienda formativa che realizza un paio di progetti all’anno. Inoltre abbiamo preso in gestione un impianto di conglomerato e su questo tipo di lavorazione abbiamo elaborato un progetto che consiste in un sistema di tracciabilità del conglomerato stesso attraverso un barcode visualizzabile sul nostro sito tramite accesso con password, anche dal committente. Ci prefiggiamo di mantenere alta l’efficienza dell’azienda e per questo sulla base degli andamenti del mercato, puntiamo a rivalutare anche le strategie aziendali».

Alcuni veicoli della Sodi Srl, azienda con sede a Cavallina di Mugello (FI) www.grupposodi.com

TOSCANA 2012 • DOSSIER • 155


MERCATO IMMOBILIARE XXXXXXXXXXXXXXXXX

Case di lusso, gli stranieri scelgono l’Italia Dal 2009 la quota di potenziali acquirenti provenienti dall’estero è cresciuta del 23 per cento, complice il crollo dei prezzi degli immobili. E gli italiani? Sono gli acquirenti più attivi in Inghilterra, a Londra in particolare Elisa Fiocchi

partire dagli anni Settanta, molti stranieri, soprattutto britannici, hanno iniziato a interessarsi al mercato immobiliare italiano acquistando proprietà in rovina da ristrutturare. Dopo il boom delle compravendite, avvenuto negli anni Novanta, il mercato si è lentamente ridimensionato e oggi molti stranieri, complice la crisi economica, cominciano a valutare l’ipotesi di rimpatriare il proprio capitale per l’incertezza dettata dal valore dell’euro. Risultato? Molte case ristrutturate sono tornate sul mercato e contemporaneamente la domanda si è quasi fermata sulla scia di una logica attendista da parte dei futuri acquirenti. Per gli esperti del

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settore, tuttavia, è questo il momento giusto per investire nel mattone di prestigio: il mercato è saturo e i prezzi in Italia sono scesi in media del 25 per cento. È il caso del Castello di Montegualandro, che nel 2008 era valutato sul mercato a 20 milioni di euro e oggi è sceso a 5,3 milioni. Con l’entrata in vigore dello scudo fiscale, il mercato degli immobili di alta gamma nel nostro Paese ha registrato negli ultimi tre anni un aumento nelle ricerche pari al 28 per cento nel primo trimestre del 2010, anche se i tempi di vendita si sono allungati rispetto alla media di un anno registrata prima della crisi. Oggi l’11 per cento di chi cerca un immobile di lusso in Italia non è residente

nel nostro Paese, e dal 2009 la quota di potenziali acquirenti provenienti dall’estero è cresciuta del 23 per cento. Le tipologie più richieste sono gli appartamenti con vista in città d’arte e d’affari, in particolare Roma e Milano, ville in località turistiche esclusive come la Costa Smeralda, Cortina e Santa Margherita Ligure, ma anche nella campagna toscana e umbra. I tedeschi, storicamente i più interessati, prediligono la riviera adriatica e i laghi del Nord, ma hanno recentemente ampliato il raggio di azione alla Toscana e al Salento, mentre i francesi scelgono la Liguria, la Toscana e Roma. I russi, che fino a oggi sembravano non avere alcun interesse a investire fuori dalla


Xxxxxxx Gli immobili Xxxxxxxxxxx di pregio

Sardegna, stanno cominciando a comprare anche nella capitale e nella costiera amalfitana. Dal 2009, grazie alla sterlina forte, sono aumentati anche gli acquirenti inglesi, mentre a partire da quest’anno si registrano nuovi investitori provenienti dalla Grecia, dove la grave crisi economica di Atene e la possibile uscita dall’Ue sta alimentando la corsa di quelli più facoltosi agli investimenti immobiliari esteri. Oggi rappresentano l’1 per cento del totale, e le loro ricerche sono concentrate su Milano e Roma, con budget mai inferiori ai 600mila euro. E gli italiani? Coloro che già possiedono un patrimonio immobiliare, cioè l’81 per cento, devono ora affrontare i costi proibitivi dell’Imu. Que-

sto e altri fattori, stando alle previsioni, li spingeranno verso altre scelte di mercato, specie per quanto riguarda i 3,5 milioni di seconde case, in particolare quelle non abitate, che rappresentano il 17 per cento del mercato immobiliare del nostro Paese. Già nei primi cinque mesi del 2012 molti italiani facoltosi hanno scelto Londra come capitale per un investimento e, secondo i dati dell’agenzia Knight Frank pubblicati dal Sunday Times, il 7,6 per cento dei rogiti totali nei quartieri londinesi di prestigio, come Chelsea, Knightsbridge e Mayfair, è stato effettuato da acquirenti italiani. Le motivazioni vanno ricercate nel bisogno di mettere in sicurezza i capitali ac-

cumulati che in Inghilterra è possibile fare grazie al valore della sterlina, alla burocrazia più semplice e alla tassazione inferiore. La “fuga” immobiliare degli investitori italiani è arrivata a sorpassare ogni altra nazionalità nella classifica degli acquirenti più attivi, russi compresi. Nelle pagine successive, Jeremy Onslow-Macaulay e Roger Coombes, che operano per due grandi società immobiliari internazionali, rispettivamente Case & Country and Cluttons Italy, analizzano l’andamento del mercato italiano, illustrando le tipologie abitative più richieste e le nuove tendenze: dalle gated communities, zone residenziali private, alla nuova figura del personal property finder. TOSCANA 2012 • DOSSIER • 159


MERCATO IMMOBILIARE

Italia, dimora da sogno Il mercato degli immobili di pregio si evolve e dai borghi antichi della Toscana arriva fino al Sud: «In testa restano gli inglesi, i russi e gli americani, in crescita gli acquirenti da Arabia Saudita, Cina e Indonesia». Ne parla Jeremy Onslow-Macaulay Elisa Fiocchi

e il mercato immobiliare soffre, alcune nicchie mostrano una maggiore resistenza agli effetti della crisi economica. È il caso degli immobili di lusso che segnano un trend di crescita costante negli ultimi tre anni, con un aumento della domanda pari al 28 per cento. Nella fascia alta del mercato l’incremento delle richieste è dettato dal fatto che gli immobili di sicuro valore sono considerati meno soggetti ai rischi della fluttuazione del settore immobiliare. Jeremy Onslow-Macaulay è uno dei professionisti che opera per Case & Country Italian Property, società leader internazionale nella ricerca e nel mercato immobiliare di lusso, specializzata nella selezione di alcune delle proprietà più esclusive e uniche della Toscana: «Trattiamo la vendita di

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casolari, dimore storiche, aziende vinicole, fienili ristrutturati e ville nelle zone di altro pregio, come il Chianti, Firenze, Siena e San Gimignano». Sono queste terre, accanto a quelle del Conero e del Salento, le predilette dagli acquirenti stranieri. Qual è l’andamento del mercato di immobili di pregio in Toscana? «Abbiamo senza dubbio notato una diminuzione delle richieste e delle vendite negli ultimi 2/3 anni, ma esiste ancora un mercato attivo. Stiamo chiudendo la nostra quarta vendita dell’anno, si tratta di una villa nei pressi di San Gimignano del valore di 6 milioni di euro. Operando a livelli così alti, tre o quatto vendite all’anno significano per noi un buon risultato». Come si è evoluto il mercato? «Premettendo che non è possibile raffrontare la situazione

Jeremy OnslowMacaulay, agente di Casa & Country Italian Property


Jeremy Onslow-Macaulay

odierna con quella degli ultimi dieci anni, negli anni passati gli stranieri sono giunti in massa per acquistare proprietà, prevalentemente case coloniche e fienili che, una volta ristrutturati, hanno poi rimesso in vendita con enormi profitti. Ciò è stato possibile in quanto la richiesta ha subìto una costante impennata portando così all’aumento dei prezzi di vendita». Fino a 3 o 4 anni fa il periodo medio di vendita era di sei mesi, un anno al massimo. Oggi è invece raddoppiato e i

proprietari che riescono a vendere in meno di un anno possono ritenersi fortunati. «Uno dei motivi principali del calo delle vendite va senza dubbio ricercato nel fattore “euro-crisis” e nel tasso di cambio non così redditizio come una volta. Le quotazioni dei beni nella Toscana centrale hanno continuato il loro corso di crescita ogni anno, mentre la sterlina e il dollaro sono diminuiti. Pertanto era prevedibile aspettarsi, presto o tardi, un rallentamento del mercato».

La scelta di immobili di prestigio da parte della clientela straniera segue criteri differenti anche a seconda della nazionalità. Da dove vengono e qual è il profilo dei vostri principali clienti? «Fino a un paio di anni fa, la maggiore richiesta riguardava appartamenti ristrutturati in borghi residenziali con servizi, e il prezzo medio oscillava tra i 300 e i 400mila euro. Parliamo di borghi composti da casolari e fienili che hanno fruito, al termine della ristrutturazione, della possibilità di vendita di TOSCANA 2012 • DOSSIER • 161


MERCATO IMMOBILIARE

CRESCE L’OFFERTA, MA L’EURO FRENA GLI ACQUISTI Nonostante la crisi, è un buon momento per acquistare: i numeri indicano una riduzione media dei prezzi effettivi nell’ordine del 20 per cento dal 2008 anche per gli immobili «L adidomanda, lusso, rimane debole». Ad affermarlo è Roger Coombes, amministratore delegato di Cluttons Italy, società affiliata a una delle più antiche imprese britanniche del settore che opera nella compravendita di immobili in Umbria, Toscana, Marche, Lazio, Abruzzo, costiera amalfitana e laghi. «Ci sono diversi clienti seriamente intenzionati ad acquistare immobili di alto livello in Italia – spiega Coombes – che tuttavia continuano a rimandare una decisione d’acquisto per l’incertezza persistente sulla coesione dei paesi euro e sul valore futuro della moneta». Quali sono le principali differenze tra il mercato delle proprietà acquistate dagli italiani in Toscana e il mercato degli stranieri, in maggioranza britannici? «Nelle ultime decadi molti italiani hanno profittato dei fondi Ue per la creazione di strutture ricettive, agriturismi e boutique hotel. Una minoranza significativa di stranieri si sono stabiliti in modo fisso in Italia, mentre la maggioranza ha acquistato una casa per uso personale. Sono stati proprio gli stranieri a far riscoprire i piaceri della vita campestre agli italiani e nei primi tempi erano disposti a pagare prezzi molto appetibili ai venditori

di ruderi. Tuttavia, oggi il mercato è maturo e non ci sono più differenze sostanziali tra i valori percepiti da italiani e stranieri». Perchè ci sono molte case ristrutturate sul mercato? «Uno scenario tipico è quello della copia di inglesi che hanno acquistato e restaurato il loro casolare quindici o vent’anni fa e che adesso con l’avanzare dell’età trovano la grande proprietà in campagna troppo impegnativa. Oppure accade che molti venditori inglesi o americani scelgano di rimpatriare il loro capitale, sempre per causa del problema euro. I nostri colleghi di Londra, ad esempio, notano un incremento nel numero di acquirenti provenienti dai paesi dell’Europa del sud

che vogliono investire nel mercato residenziale londinese». Per quali fattori questo è considerato un buon momento per acquistare una proprietà di prestigio nel nostro Paese? «Forse il mercato ha toccato il fondo ed è giunto il momento di investire di nuovo, a condizione però che il prezzo rappresenti un ottimo affare, i numeri disponibili indicano una riduzione media dei prezzi effettivi in Toscana, così come in altre regioni, dell’ordine del 20% dal 2008 a oggi». Quali criteri e nuovi trend di tipologia abitativa muovono oggi i gusti della clientela? «Incontriamo sempre più attenzione agli aspetti “green” nei restauri, dall’isolamento termico e acustico all’efficienza energetica, e anche un interesse crescente per le “gated communities”, dove i servizi centralizzati agevolano chi non è sempre residente lì». E in quanto tempo avviene mediamente l’acquisto di un immobile? «Il tempo che passa dal momento che una proprietà importante sia messa sul mercato e il rogito si misura in anni non in mesi. È sempre stato così e lo è ancora di più nel mercato attuale, mentre dall’offerta accettata al rogito, se non ci sono fattori particolari, passano mediamente tre mesi».

appartamenti nello stesso com- giormente il periodo di crisi sceicchi. Sono in prevalenza

Sopra, Roger Coombes, managing director di Cluttons Italy

plesso a cifre modiche e di più facile accesso allo straniero con budget medio. Oggi questa tipologia di vendita è diminuita, noi ad esempio siamo riusciti a concludere più o meno due vendite negli ultimi tre anni». Quale tipologia di cliente può quindi avere accesso a un immobile di lusso? «Il cliente con budget medio è quello che ha sofferto mag-

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rispetto alla clientela più facoltosa e di budget superiore. Fortunatamente abbiamo capito l’andamento del mercato e concentrato la nostra gamma di proprietà su immobili di pregio con valore superiore al milione. La nostra attuale clientela varia sia per background che per professione: politici, funzionari di enti governativi e facoltosi

inglese, russi e americani, con un crescente aumento di paesi come Arabia Saudita, Cina e Indonesia. Al di là dell’origine, la nostra clientela si contraddistingue per la passione verso l’Italia, il cibo, la cultura, il vino e la bellezza del paesaggio». E quali località sono le più richieste? «Come società siamo specia-


Jeremy Onslow-Macaulay

L’immobile più richiesto rimane il casolare ristrutturato e situato in una tenuta con almeno cinque ettari di terreno per garantire maggior privacy all’acquirente

lizzati nel centro Toscana, tra Firenze e Siena, la nostra clientela predilige le classiche località storiche, famose per la loro bellezza, come la zona del Chianti e San Gimignano. Le zone più richieste sono quella del Chianti Classico, Radda in Chianti, Castellina in Chianti, Gaiole in Chianti, Panzano in Chianti, Greve in Chianti, Fiesole, la perife-

ria di Firenze e Siena, San Gimignano, Poggio Imperiale e Impruneta». Sempre in termini di preferenze, quali tipologie di casa sono più ricercate e quali nuovi trend emergono negli ultimi anni? «L’immobile più richiesto rimane il casolare ristrutturato e situato in una tenuta con almeno cinque ettari di terreno per garantire maggior

privacy all’acquirente. Capita spesso che la richiesta prediliga una proprietà con almeno un paio di ettari di uliveti o vigneti. Per quanto riguarda invece i nuovi trend, è di sicuro da tenere presente la nuova figura del “personal property finder”, che si muove in avanscoperta per il cliente, selezionando e trovando la proprietà giusta alle sue esigenze». TOSCANA 2012 • DOSSIER • 163


EDILIZIA

L’edilizia toscana prova a ripartire La ripresa del settore edile, oltre che dalla ricerca di nuovi canoni costruttivi, passa inevitabilmente dal sostegno delle banche alle imprese e alle famiglie. Ne parliamo con il presidente della Carep Costruzioni, Loris Zanfranceschi Guido Puopolo

on sembra conoscere soluzione la crisi che, ormai da diversi anni, sta attanagliando il settore edile italiano. Secondo uno studio recentemente presentato da Confindustria, infatti, in Toscana il 2012 sarà il quinto anno consecutivo di riduzione degli investimenti (-1,3 per cento rispetto al 2011 e -20 per cento in cinque anni) e di contrazione nella realizzazione di costruzioni (-8,2 per cento sull’anno precedente, e ben -45 per cento

N Nella foto, al centro, il presidente della Carep Costruzioni Spa, Loris Zanfranceschi. Alla sua destra l’amministratore delegato dell’azienda, Gennaro Chichierchia, e a sinistra il vicepresidente, Maurizio Tossani www.carep.it

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dal 2007), con inevitabili conseguenze anche da un punto di vista occupazionale. Uno scenario preoccupante, come conferma Loris Zanfranceschi, presidente della Carep Costruzioni, azienda di Campi Bisenzio presente sul mercato da oltre trent’anni. «La crisi si è rivelata più pesante e lunga di quanto si potesse immaginare, e ancora oggi non è possibile ipotizzare una rapida ripresa. Già prima del 2008, però, avevamo intuito che qualcosa non andava: i prezzi delle abitazioni continuavano a salire, mentre il potere d’acquisto delle famiglie dava i primi segnali di rallentamento». Uno degli elementi che sta maggiormente condizionando la tenuta del settore è rappresentato dalla reticenza con cui le banche concedono prestiti, anche alle aziende economicamente “sane”. In che misura questa situazione sta influenzando la vostra attività?

«Gli Istituti di credito hanno assunto una posizione di chiusura netta verso le aziende del settore, a prescindere dalle capacità delle stesse di accesso al credito. Carep presenta, da sempre, bilanci positivi. Nonostante ciò abbiamo dovuto subire la riduzione degli affidamenti, in particolare da ex Istituti locali rilevati da altre strutture finanziarie. Inoltre, in più di un’occasione ci siamo dovuti sostituire agli Enti finanziatori dei nostri committenti, tanto che il credito di fornitura verso i clienti in questo ultimi due anni è aumentato considerevolmente. È fondamentale che la situazione si sblocchi al più presto, nell’interesse degli imprenditori ma anche delle stesse banche che, con il loro atteggiamento, potrebbero generare nuovi contenziosi, con il rischio di subire ingenti danni economici». Quali soluzioni potrebbero essere adottate? «Le banche devono tornare a


Loris Zanfranceschi

fare il loro mestiere, lasciando da parte la speculazione finanziaria. Occorre creare strumenti di sostegno alla domanda, allungando ad esempio i tempi di pagamento del differenziale costo alloggiomuto (affitto con patto di riscatto). Bisognerebbe poi promuovere la riqualificazione delle nostre città, attraverso progetti di recupero urbano di piccole e grandi dimensioni supportati da strumenti finanziari innovativi e da procedure certe e rapide, puntando sulla qualità e sulle nuove tecnologie, capaci di assicurare risparmio energetico e costi di manutenzione ridotti al minimo». Come ha reagito Carep a questa negativa congiuntura? «Abbiamo dovuto dar fondo a tutte le nostre energie per superare il difficile momento. Anche grazie a un efficace processo di ristrutturazione tecnico – amministrativo, oggi ci presentiamo al mercato come società leader del settore, e

Bisogna promuovere la riqualificazione delle nostre città, attraverso progetti di recupero urbano di piccole e grandi dimensioni

quindi in grado di offrire le più ampie garanzie di solvibilità e di corretta esecuzione delle opere a prezzi quanto mai competitivi». In un contesto del genere, quali sono stati i principali risultati raggiunti da Carerp nell’ultimo anno? «Siamo riusciti a consolidare il nostro fatturato, e di questo siamo molto soddisfatti. Al momento disponiamo di un discreto portafoglio lavori, che deve essere però gestito con molta attenzione, per evitare che si trasformi in un centro di costo difficilmente sostenibile. Stiamo comunque portando a termine tutti i progetti che avevamo in cantiere, e contiamo a breve di avviarne altri, al momento ancora in fase di studio». Le opportunità, quindi, non mancano.

«Bisogna però essere bravi a coglierle. Attualmente, oltre a un corposo programma di ristrutturazione, abbiamo in corso una revisione dei progetti di investimento, che tenderà a privilegiare quelli di fascia medio-alta, meno soggetti agli effetti della crisi. Le strutture societarie per realizzare gli investimenti saranno adeguate ai nuovi criteri richiesti dal sistema finanziario. Le modalità di vendita, in parte già positivamente sperimentate, punteranno a sostenere le giovani coppie e i nuclei familiari non in possesso di disponibilità immediate per sostenere i costi d’acquisto di una casa. Tutto questo ci permette di guardare al futuro con relativa tranquillità, e di formulare obiettivi di fatturato in linea con gli esercizi precedenti». TOSCANA 2012 • DOSSIER • 165


RIQUALIFICAZIONE

Spazi di interazione Il caso di Piazza Marconi. Dalla tradizione dell’industria tessile toscana alla società delle relazioni e della comunicazione. La riqualificazione edilizia di un ex lanificio alle porte di Prato, oggi centro polifunzionale per l’area metropolitana di Firenze-Prato-Pistoia Mauro Terenziano

na riqualificazione edilizia che ambisce a creare un contesto urbano simile a quello delle grandi metropoli. È stata questa l’ambizione che ha portato al recupero di un fabbricato industriale di 12mila metri quadrati, l’ex lanificio Lanisa che si trova alle porte di Prato, ribattezzato Marconi Multiarea, centro polifunzionale che si rivolge all’area metropolitana di Firenze, Prato e Pistoia. «Modificando la destinazione d’uso, da edificio produttivo di tipo industriale a centro polifunzionale – spiega Vito Riela, titolare della Marconi Multia-

U In queste pagine, spazi di Piazza Marconi a Prato, progetto realizzato dalla società Marconi Multiarea Spa www.marconimultiarea.it

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rea Spa –, attraverso l’impiego di tecnologie high tech e con una grande attenzione al risparmio energetico, è nata Piazza Marconi, che si candida a essere un punto strategico e uno spazio di interazione tra persone, punto di incontro e di ritrovo». Cristalli, alluminio e acciaio sono i protagonisti nella piazza futuristica, caratterizzata da una punta acuminata quasi fosse la prua di una nave. Una scelta dei materiali che ha tenuto conto non soltanto del lato artistico, ma che è stata anche guidata dall’obiettivo di riqualificare il territorio ed esaltare le originarie caratteristiche

architettoniche della struttura in un’ottica ecosostenibile. Per questo l’area è stata concepita come un nuovo spazio cittadino, ridisegnato nella sua anima tecnologica per avere un basso impatto ambientale, grazie ai pannelli solari integrati in vetrate coibentanti, e arricchito di aree verdi, sulle quali si affacciano sia gli ambienti commerciali sia gli uffici. In un angolo della costruzione, i progettisti hanno voluto conservare una traccia dell’antica funzione della struttura, realizzando, in una terrazza interna, un impiantito che forma un intreccio di tessuto, un espediente architettonico che vuole esprimere un chiaro legame con il passato, dato che nell’intero complesso venivano prodotti appunto dei tessuti. Dietro al mero fattore di ricordo, c’è però anche l’idea di creare un nuovo intreccio, che leghi questa volta la città e la sua comunità con uno dei luoghi del suo sviluppo industriale. Appunto per questo l’intervento si è innestato su uno stabilimento già risultato di una fervida intuizione progettuale e contribuirà a valorizzare l’area di ingresso alla


Vito Riela

METRI QUADRATI

12.000 GLI SPAZI DI PIAZZA MARCONI, FRUTTO DELLA RIQUALIFICAZIONE EDILIZIA DELL’EX LANIFICIO LANISA, ALLE PORTE DI PRATO

città di Prato, creando uno spazio di incontro e scambio sociale, caratterizzato da un’impronta di contemporaneità e avanguardia, fruibile da una collettività che fa riferimento a una vastissima area metropolitana. Alla destinazione commerciale e direttiva si sovrappone inoltre lo spirito di una vera e propria piazza cittadina, animata dalla presenza di bar e ristoranti che invitano a frequentare Piazza Marconi anche nelle ore serali. Ma all’interno di Piazza Marconi, oltre ai classici negozi ed esercizi tipici di un centro commerciale, saranno ospitati anche studi medici, showroom, palestre e altre attività che richiedono grandi spazi. «A questi – aggiunge Riela – si affiancherà presto lo sviluppo di aree destinate a eventi che possano fa-

vorire l’integrazione e l’interrelazione fra la realtà interna del centro e il resto della città e della comunità, anche con il coinvolgimento di soggetti esterni che potranno farsi veicolo di iniziative culturali». Fra i progetti previsti, un centro multimediale e degli studi televisivi, che porteranno nuove attività nel centro funzionale. Anche grazie al fatto che questi spazi sono stati pensati per poter ospitare eventi culturali di ogni genere e per accogliere un elevato numero di spettatori. Il cantiere per il progetto di riqualificazione dell’ex lanificio era iniziato nell’agosto 2008. Gli anni di crisi economica seguiti all’avvio dei lavori hanno certamente reso più difficile il raggiungimento degli obiettivi che si

poneva l’opera, ma non ne hanno impedito lo sviluppo. La risposta attesa dalla società Marconi Multiarea, infatti, non è rimasta delusa, soprattutto grazie al lavoro di valorizzazione architettonica alla base del progetto e alla posizione strategica, che hanno generato un interesse immediato sia per i fondi commerciali sia per gli uffici direzionali. «Naturalmente abbiamo dovuto rivedere le nostre previsioni di ritorno dell’investimento, adeguandole alla nuova situazione di mercato. Ma il valore intrinseco delle innovazioni sul fronte architettonico e su quello del basso impatto ambientale è stato riconosciuto e ci ha permesso di rientrare dall’ingente investimento finanziario. Ripagato anche dall’apprezzamento per un progetto di ispirazione cosmopolita che abbiamo voluto condividere con la città». TOSCANA 2012 • DOSSIER • 167


TURISMO

Raccontare i territori Secondo Renzo Iorio, il vero problema italiano non è nella qualità delle strutture, che giudica competitive rispetto ai paesi europei, ma nel modo in cui si comunica l’offerta turistica al grande pubblico. «Da questo punto di vista, dobbiamo recuperare terreno rispetto ai nostri concorrenti» Elisa Fiocchi

on c’è solo il mare e la montagna nelle scelte di viaggio dei turisti italiani e stranieri. Negli ultimi dieci anni il turismo culturale interno del Bel Paese ha spiccato per una crescita superiore a tutti gli altri segmenti, toccando il +17 per cento per quanto riguarda gli italiani e il +54 per

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cento per gli stranieri. In vetta alla classifica, compaiono le mete classiche come Venezia, Verona, Padova, Roma, Firenze, Siena e la riviera romagnola. Se la scelta culturale si dimostra l’arma vincente in un contesto di crisi economica e finanziaria, il presidente di Federturismo Confindustria, Renzo Iorio, accende i riflettori sull’Expo 2015, un’occasione straordinaria per 172 • DOSSIER • TOSCANA 2012

migliorare l’immagine dell’Italia, suscitare curiosità e potenziare anche le infrastrutture, cioè il punto di acquisto e di scelta di viaggio da parte dei turisti lontani. «Il governo si sta impegnando, pur nei limiti del potere esclusivo che le Regioni hanno oggi in materia di turismo – afferma –, potere che oggi andrebbe rivisto per trovare prima di tutto il modo di rilanciare la destinazione Italia». Come giudica l’attuale offerta di strutture turistiche in Italia? «È un mercato saturo rispetto alla domanda attuale perchè siamo il paese che dopo gli Stati Uniti ha il maggior numero di camere di albergo e se poi aggiungiamo tutta la ricettività non convenzionale - bed and breakfast, agriturismi, ospitalità religiose - arriviamo a 115mila imprese complessive. Non c’è un problema di offerta, ma di domanda. Non vedo poi situazioni drammatiche in termini di qualità delle strutture rispetto ai livelli di mercato dei nostri concorrenti europei come Francia e Spagna. Credo, invece, che il problema verta su come questa offerta riesce a essere comunicata

e messa a sistema e possa offrire un’esperienza facilmente acquistabile e di aspettativa di prodotto rispetto al cliente. Da questo punto di vista l’Italia ha dei passi da recuperare rispetto ai nostri concorrenti». Come l’Italia regge il confronto con altri paesi, come ad esempio la Spagna che pur in una fase di crisi economica ha saputo valorizzare al massimo le proprie strutture turistiche? «L’Italia ha un deficit di competitività ma anche un problema nel riuscire a catturare i clienti. A questa situazione contribuisce una promozione del paese parcellizzata, con 21 attori e 21 campagne di dimensioni forzatamente modeste a livello internazionale e pochi investimenti sull’immagine che il Paese ha nei mercati lontani. Ecco perchè risulta decisivo il lavoro di rilancio di una promozione nazionale e unitaria attorno all’Enit e all’Ice che per missione sostengono il paese sui mercati internazionali». Secondo le stime della Fondazione Altagamma, l’hotellerie di lusso in Italia non sente la crisi.


Renzo Iorio

«Quando si subisce una recessione economica, la fascia ristretta di persone con un reddito di fascia alta continua a mantenere la propria capacità di spesa e si amplia il divario. È un fenomeno fisiologico. In tempi di crisi è la classe media a essere penalizzata in termini di potere di acquisto e anche gli sbocchi di acquisto risultano quelli più penalizzati. Il mercato del quattro stelle italiano soffre poi più di altri perchè lì è aumentata l’offerta e ha patito maggiormente anche la contrazione della domanda del turismo di affari, cioè di quei movimenti di persone legati all’attività economica che, in tempi di crisi, inevitabilmente si riduce. C’è più concorrenza, meno domanda e anche dall’estero la clientela internazionale guarda al medio alta di gamma per il mercato italiano». Quali nuove strategie andrebbero adottate per rilanciare le altre strutture ricettive del target medio? «Le chiavi di crescita sono legate a quei fenomeni di forte aggregazione sul territorio oppure al tema del sostegno da parte dei marchi internazio-

nali che rassicurano una clientela di lungo raggio e, nello stesso tempo, possono rendere visibili questi alberghi su un mercato internazionale e non più locale. L’Italia dipende al 55 per cento dalla clientela internazionale e, in particolare, dal mercato europeo, statunitense e cinese perciò è difficile essere competitivi senza strumenti efficaci di tipo distributivo come presenza sul web e visibilità». Come e dove intervenire a livello infrastrutturale per aumentare i collegamenti e valorizzare alcune aree e strutture turistiche italiane? «Il nostro Paese ha un punto debole dal punto di vista turistico e della logistica, cioè la maglia di alta velocità che attraverso la pianura padana lo collega alla rete internazionale, come la linea Torino-Trieste e il prolungamento verso la Francia. Sul resto del territorio, presenta invece una magliatura sufficientemente importante e di contro un problema di spreco di risorse con un proliferare assurdo di aeroporti che non hanno un senso economico. Ci sono linee sostenute dalle comunità

locali che finanziano le Ryanair di turno perchè vadano ad atterrare lì». Dove indirizzare, dunque, gli investimenti? «Nella salvaguardia e nella tutela del territorio, penso ai beni paesaggistici e monumentali dove è necessario investire in termini di conservazione e fruibilità turistica, che è la prima infrastruttura del nostro mestiere. Servono poi piattaforme web o virtuali per rendere appetibile la destinazione Italia in tutte le sue declinazioni sui mercati internazionali: non parlo del portale Italia che ormai sarebbe una formula obsoleta ma penso alla capacità di raccontare i territori e di individuare all’interno le esperienze che il turista può fare».

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L’Italia dipende al 55% dai turisti stranieri, in particolare dal mercato europeo, statunitense e cinese. È difficile essere competitivi senza strumenti efficaci di tipo distributivo

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TURISMO

Un settore alla prova del cambiamento Dai primi dati relativi alla stagione turistica appena trascorsa, i numeri evidenziano una flessione del comparto. Ma la situazione migliora se si guardano le percentuali degli arrivi stranieri, che continueranno a crescere lungo tutto il 2013 Teresa Bellemo

Il presidente di Isnart, Maurizio Maddaloni

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omento di grandi trasformazioni nel comparto turistico nazionale. Dopo una sostanziale tenuta nel 2011, nei primi mesi del 2012 l’andamento è stato contrassegnato dal segno meno. Una contrazione che coinvolge tutti gli operatori: le strutture extralberghiere infatti segnano una flessione dell’8 per cento e le imprese alberghiere del 6,5 per cento. A livello nazionale sono soprattutto le località a forte attrazione straniera che riescono a reggere il passo. Le strutture ricettive delle zone lacuali, infatti, a maggio sono cresciute quasi del 9 per cento. Ad avvicinare gli operatori del settore ci ha pensato soprattutto il web, che negli ultimi anni ha dimostrato la sua forza a livello promozionale e gestionale. Se si prende in considerazione il secondo trimestre 2012, il 59,4 per cento delle imprese ricettive consente la prenotazione diretta del soggiorno attraverso il booking online e il 43,3 per cento dei turisti ha prenotato il soggiorno utilizzando il web, in aumento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno

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(38,8 per cento). Le previsioni per il 2013 sembrano non discostarsi molto dai risultati di questi ultimi mesi. Continuerà a crescere il mercato straniero, che compenserà la sostanziale riduzione delle prenotazioni provenienti dal nostro Paese. Lo conferma Maurizio Maddaloni, presidente di Isnart. «Il prossimo anno la domanda di viaggi nel nostro Paese sarà stabile, anche se circa il 30 per cento degli operatori intervistati prevede un aumento di prenotazioni per la destinazione Italia, soprattutto grazie all’aumento di viaggiatori dalla Cina e dall’India e punte di arrivi anche dagli Stati Uniti e dai paesi scandinavi». A livello nazionale il turismo straniero sembra tenere. Su cosa puntare per migliorare le performance? «La competitività di un determinato territorio e la relativa offerta turistica sono la sintesi di una serie di fattori da mettere insieme attraverso una rete di soggetti, pubblici e privati, che devono necessariamente lavorare d’intesa per raggiungere risultati positivi e apprezzabili. Il settore pubblico e le Regioni innanzitutto devono stare al passo con le esigenze


mutevoli del mercato e orientare, in tempo reale, le politiche di promozione attraverso sinergie tra gli operatori turistici. Quando ciò non avviene, la promozione diventa uno strumento che esaurisce la sua funzione nel tempo di una campagna pubblicitaria o di un evento turistico. L’Isnart, come struttura al servizio del sistema nazionale delle Camere di Commercio è impegnata nel potenziare l’offerta di qualità dei servizi, attraverso il marchio volontario per le strutture ricettive e la ristorazione. E dove ci sono strutture certificate Isnart-Unioncamere, i risultati in termini di miglioramento dell’offerta turistica sono decisamente soddisfacenti». Come stanno cambiando le abitudini del turista italiano? «Vacanze più corte, meno giorni di permanenza nelle strutture turistiche e forte attenzione ai servizi offerti a pa-

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Se le istituzioni non guidano il comparto turistico, la promozione si esaurisce nel tempo di una campagna pubblicitaria

rità di prezzo. Ancora una volta, a fare la differenza è la qualità. Il turista italiano sta diventando più esigente e può controllare, grazie al web, le diverse opzioni di vacanza e le opportunità offerte da un determinato territorio, valutando non solo la struttura, ma l’insieme dei servizi locali, dai trasporti ai divertimenti. Sta cambiando il concetto stesso di vacanza e per gli operatori tutti, dall’albergatore fino all’agenzia di viaggi, si tratta di una sfida da vincere ogni giorno». Il segmento che ha sofferto di più è stato quello delle famiglie. Cosa possono fare gli operatori per migliorare l’offerta e attirarle nuovamente in vacanza? «Diversificando l’offerta e pro-

ponendo vacanze anche in periodi di minore affluenza, allungando così la stagionalità e stando al passo con la programmazione delle micro vacanze concesse dai calendari scolastici e dalle feste istituzionali. Ma la vera difficoltà però resta quella di sostenere i costi di gestione delle imprese in mancanza di politiche pubbliche di sostegno per le aziende stagionali. C’è molta attesa per il varo del piano strategico nazionale annunciato dal ministro Gnudi, all’interno del quale si dovrà trovare spazio innanzitutto per il credito d’imposta per le imprese stagionali, oltre ai provvedimenti sulla formazione per il comparto e per il potenziamento delle infrastrutture locali a favore delle attività turistiche».

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TURISMO

Nuove offerte formato famiglia Complici le diverse tipologie di turismo offerte dalla Toscana, i visitatori in regione sono aumentati fino all’inizio dell’estate, quando le difficoltà del settore hanno iniziato a farsi sentire. Ma l’assessore Scaletti è già pronta per il rilancio Teresa Bellemo

on una media di turisti che nell’ultimo periodo ha superato i 42 milioni l’anno, la Toscana è la terza regione italiana per numero di visitatori. Un turismo che opera su più fronti e spazia dalle città d’arte al turismo balneare, passando per quello enogastronomico, con un indotto equivalente a quasi il 12 per cento del Pil regionale. Un comparto forte e robusto, ma non per questo immune alla contrazione dei consumi e alla maggiore oculatezza dovuta alla perdurante crisi economica. Lo spartiacque si può individuare nel maggio 2012. Dopo la prima fase della crisi mondiale, dal 2008, le presenze turistiche sono andate sempre aumentando, con una crescita della componente straniera e una tenuta di quella italiana, fino ad arrivare al record di 43,5 milioni di presenze. Un aumento costante fino a maggio 2012, dopo di che si è registrata una decisa contrazione.

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Sopra, Cristina Scaletti, assessore regionale con delega alla Cultura, al turismo e al commercio

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La frenata ha costretto molte strutture ricettive a ridurre i prezzi e, di conseguenza, i fatturati. La difficoltà ha colpito soprattutto il turismo balneare, da sempre votato ad accogliere le famiglie italiane che però quest’anno hanno faticato ad arrivare alla quarta settimana e dunque in molti casi hanno dovuto rinunciare alle ferie. L’assessore al turismo della Regione, Cristina Scaletti, non nasconde la realtà dei fatti ma è pronta a ripartire per rilanciare il turismo toscano. «Si è verificata una riduzione della durata media della vacanza e una parte dei turisti ha preferito le strutture extralberghiere. Stiamo già lavorando insieme agli operatori per costruire offerte più accattivanti e innovative». Durante l’estate appena trascorsa a mancare sono state soprattutto le famiglie. Quali progetti per incentivare un loro arrivo nella prossima stagione turistica? «Senza una promozione ade-

guata anche le migliori proposte rischiano di rimanere delle semplici intenzioni. Sul portale turistico regionale da circa un anno esiste una sezione dedicata alle famiglie con una presentazione articolata delle opportunità di vacanza, mentre vi sono progetti avviati da alcuni anni, come Ragazzinsieme, sviluppato con l’assessorato alla Sanità, che già coinvolge moltissimi ragazzi e nel 2013 speriamo abbia respiro nazionale. Puntiamo sulle famiglie anche per il rilancio di Marina di Grosseto, dopo l’incendio di agosto che ha devastato la zona. Insieme agli altri enti, stiamo costruendo un’offerta completa, divertente e che sia soprattutto adatta ai più piccoli». La Toscana è la terza per numero di visitatori ed è molto amata anche dai turisti stranieri. Quali le strategie e i turismi da incentivare per migliorare ancora? «Il nostro futuro è il turismo esperienziale: le passioni delle


Xxxxxxx Cristina Xxxxxxxxxxx Scaletti

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Il nostro futuro è il turismo esperienziale, penso al cicloturismo, ai viaggi in moto, all’enogastronomia, alla musica e agli eventi culturali

persone si trasferiscono nelle scelte turistiche. Pensiamo ad esempio al cicloturismo, ai viaggi in moto, all’enogastronomia, alla musica e agli eventi culturali. Tutti i dati indicano che lo sviluppo dei flussi turistici mondiali sarà incentrato sui paesi Bric. Infatti in Toscana, da almeno tre anni, l’incremento di turisti da questi paesi (in particolare Cina e Brasile) viaggia a medie superiori al 50 per cento l’anno. Per questi motivi da tempo Toscana Promozione ha avviato un progetto pluriennale di promozione e costruzione dell’offerta proprio per intercettare questo nuovo mercato. Il nostro obiettivo è costruire un’offerta su misura, creata in base alle esigenze di questi turisti. Perciò è necessario formare adeguatamente gli operatori turistici e le strutture ricettive in modo da offrire un servizio sempre più personalizzato». La dimensione enogastro-

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nomica del viaggio sta vivendo una fortissima crescita. Come intendete sfruttare e incentivare questo segmento? «Abbiamo rinnovato il fortunato progetto “Vetrina Toscana”, che può vantare una rete di circa 800 ristoranti e 250 piccole botteghe di vicinato per valorizzare i prodotti e i sapori della nostra terra. Oggi stiamo creando progetti integrati con il sistema museale e culturale per coinvolgere, nel 2013, tutti i territori della regione. Inoltre valorizzeremo il grande patrimonio delle cantine attraverso la costruzione di specifici prodotti turistici». La tassa di soggiorno per gli operatori è un ulteriore freno allo sviluppo del settore. Come si è mossa la Regione per evitare che penalizzasse troppo un comparto già sofferente? «Purtroppo l’intervento legislativo che ha introdotto la tassa di soggiorno non ha coinvolto, né

nella elaborazione né nella gestione, le Regioni. Abbiamo sottolineato più volte la nostra contrarietà a un’imposta che andava a colpire il sistema ricettivo in una fase di difficoltà e recessione. Crediamo che i fatti ci stiano dando ragione. La Regione ha deciso di legare l’introduzione della tassa allo sviluppo turistico del territorio proprio perché riconosciamo che il turismo è una risorsa che va gestita con molta cura e, in un territorio come il nostro, con grande attenzione alla qualità e alla sostenibilità. A questo proposito abbiamo introdotto per i Comuni interessati un osservatorio turistico di destinazione, il cui scopo è analizzare il sistema individuando le potenzialità e le criticità del territorio per poter poi realizzare un insieme coordinato di interventi coerenti con l’obiettivo di garantire al turismo toscano uno sviluppo competitivo e sostenibile». TOSCANA 2012 • DOSSIER • 179


TURISMO

Il rilancio passa dal rinnovamento I risultati dell’estate 2012 non sono stati positivi anche per il comparto turistico toscano. Le defezioni sono arrivate soprattutto dalle famiglie, alle prese con la crisi economica. Inoltre, risulta necessario un piano di restyling alberghiero in modo da aumentare l’appeal del territorio Teresa Bellemo

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Paolo Corchia, presidente di Federalberghi Toscana

uella del 2012 per la Toscana si può definire la peggiore stagione turistica degli ultimi dieci anni. Un’estate difficile e tormentata, chen ha visto il crollo della domanda interna, dovuto soprattutto alla congiuntura economica, e una buona tenuta del turismo internazionale, nelle città d’arte ma anche nelle località balneari, dove invece si è sentita di più l’assenza degli italiani. Sono state proprio le nostre famiglie, infatti, a latitare maggiormente e a preferire, al posto della classica settimana al mare, un più economico weekend lungo. Alle difficoltà riscontrate dagli operatori

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turistici toscani, che hanno chiuso la stagione estiva con un -15 per cento, c’è da aggiungere anche una serie di difficoltà più strutturali, come l’aumento dell’Iva, più alta rispetto agli altri paesi concorrenti, e la tassa di soggiorno, che proprio in questo periodo è di nuovo oggetto di discussione tra governo e Regioni. Il presidente di Federalberghi Toscana, Paolo Corchia, non perde occasione di ricordare la necessità di un nuovo corso e di una promozione più efficace del brand toscano. «È chiaro che il comparto necessita di rilancio e promozione, ma anche di sostegno da parte delle istituzioni: abbiamo bisogno di incentivi per la riqualificazione delle nostre strutture perché molte di esse sono nate negli anni 60 e stentano ad adeguarsi a quelle che sono le nuove esigenze di classificazione e soprattutto alla domanda dei nuovi mercati emergenti». I numeri dell’estate 2012 segnano una difficoltà per le strutture alberghiere. Quali le direttrici per poter riorganizzare un’offerta con maggiore appeal?

«Credo che le prime necessità siano una migliore promozione e la riqualificazione delle strutture. In parallelo però riscontriamo la difficoltà di accesso al credito, per questo si rivela necessaria la possibilità di avere aiuti e incentivi, magari all’interno di un vero e proprio “piano alberghi”. Attorno alle nostre strutture si rivela fondamentale la presenza di un territorio con infrastrutture e servizi a livelli dei nostri competitor europei, invece questo spesso manca. In questi anni come comparto alberghiero abbiamo fatto lo sforzo di mantenere una politica dei prezzi con aumenti minimi e cercheremo di continuare di questo passo, in modo da favorire in ogni modo le famiglie, le grandi essenti di questo 2012». La Toscana è la quinta regione italiana per recettività, ma è superata da Milano, Roma e Venezia per quanto riguarda la fascia medio-alta delle strutture. Quanto questa è una scelta basata sulla domanda e quanto invece una lacuna da colmare? «Certamente influisce la di-


Paolo Corchia

mensione di queste città. Non credo che a Firenze o in Versilia manchino strutture di lusso, anzi credo che riusciamo a soddisfare tranquillamente le richieste di un certo tipo di clientela. Negli ultimi anni, infatti, Forte dei Marmi è diventata una delle mete preferite dalla nuova clientela russa con grosse disponibilità economiche. Le nostre strutture ricettive si sono dimostrate in grado di accontentarla e di integrarla smussando certi aspetti che all’inizio la rendevano particolarmente eccentrica, mentre la caratteristica principale della nostra località è sicuramente una maggiore discrezione». Internet e le nuove tecnologie hanno modificato le abitudini turistiche degli italiani? «Moltissimo. Ormai la gran parte delle prenotazioni passano attraverso la rete e i portali, ciò è certamente positivo. Al contempo però non consente spesso di avere un piano delle prenotazioni chiaro. Internet, infatti, comporta molte prenotazioni last minute e un inevitabile aggravio rappresen-

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La vacanza ormai è diventata fai da te e in questo modo abbiamo visto un aumento della clientela internazionale

tato dalla percentuale da dare agli operatori online. Inoltre, a causa della feroce concorrenza nei portali, c’è stato un robusto, e in alcuni casi cieco, livellamento dei prezzi. Infine, dobbiamo approcciarsi con il mare magnum delle recensioni, per cui come Federlaberghi e come consulta di Confcommercio abbiamo chiesto spesso chiarimenti al portale TripAdvisor riguardo recensioni che abbiamo scoperto essere legate ad aspetti opinabili, come richieste di sconto, fornitori che in cambio proponevano pacchetti di recensioni positive o addirittura recensioni inventate in cui l’albergatore non aveva possibilità di verifica». La tassa di soggiorno ha penalizzato in maniera evidente il comparto turistico? «Ha pesato molto anche perché questo è stato un anno particolarmente difficile per il turismo italiano. Per noi albergatori è stato un aggravio molto diffi-

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cile da spiegare al cliente, anche se a livello internazionale le tasse di soggiorno esistono in molti paesi. Inoltre, ha creato confusione a livello territoriale perché è stata applicata a macchia di leopardo, creando grosse disparità. Il problema non è la tassa in sé, ma la modalità con cui è entrata in vigore nel nostro Paese, senza un regolamento nazionale e senza che fosse finalizzata allo sviluppo turistico e alle infrastrutture a esso legate. Anzi, quasi sempre è stata destinata a ripianare i bilanci comunali, cosa che ritengo molto grave. Concludendo, si tratta di un balzello medievale e hanno fatto bene le Regioni a chiedere al governo di abolirla. A mio avviso potrebbe essere convertita in una tassa di scopo con chiare finalità turistiche, dove verrebbero coinvolti tutti i settori turistici, senza penalizzare soltanto gli operatori alberghieri». TOSCANA 2012 • DOSSIER • 181


TURISMO

Il turismo termale tra benessere e cultura Valorizzare il turismo termale insieme alle risorse del territorio. È questo il modello ricettivo che sta sviluppando l’Azienda Terme di Chianciano Spa. Sirio Bussolotti fa il punto sugli ultimi investimenti in questa direzione. E sulle iniziative culturali che hanno animato l’estate 2012 Mauro Terenziano

enessere e cultura si sono incontrati, quest’estate, presso il parco dell’Acqua Santa di Chianciano Terme. Dieci personalità hanno animato i pomeriggi e le serate della cittadina toscana in occasione dell’evento “Chianciano racconta”. A raccontare e raccontarsi, rispondendo alle domande di noti giornalisti e intervistatori d’eccezione, tornando con la memoria ai momenti più importanti delle

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loro vite e carriere, sono stati personaggi provenienti da mondi diversi – teatro, salute, sport, gastronomia, cinema, radio, televisione, linguaggio, cultura. Ad aprire è stato Riccardo Fogli, al quale sono poi seguiti, fra gli altri, Rosanna Lambertucci, Lina Wertmüller e da ultimo Michele Mirabella. «Questa iniziativa è rientrata nell’opera di miglioramento e rinnovamento che le terme di Chianciano e la città nel suo complesso hanno messo in

campo per potenziare la propria offerta». A parlare è il dottor Sirio Bussolotti, presidente della società che gestisce le terme di Chianciano e vicepresidente di Federterme. All’interno di quale visione dell’offerta ricettiva di Chianciano si è inserita questa serie di appuntamenti estivi? «La volontà è quella di proporre una nuova immagine del termalismo, che rischia di non dimostrare il suo enorme potenziale se concepito esclusivamente come pratica terapeutica. Naturalmente anche questo aspetto tradizionale va salvaguardato, come l’idea che Chianciano, anche nel senso comune, sia un luogo di ristoro per il corpo e di cura e a tale scopo stiamo collaborando con diverse università per certificare il potere terapeutico delle nostre acque termali. Per questo si sta investendo per ampliare l’offerta delle prestazioni termali con le cure inalatorie, la cura idropinica – in convenzione con il Ssn –, la fangoterapia per


Sirio Bussolotti

Il dottor Sirio Bussolotti, presidente delle Terme di Chianciano Spa e vicepresidente di Federterme www.termechianciano.it - www.termesensoriali.it

l’artrosi, le piscine termali. Però abbiamo anche scelto di puntare su una novità, che abbiamo battezzato Salone Sensoriale e che rappresenta l’eccellenza del nostro centro termale, anche in termini di apprezzamento da parte degli utenti». Quali sono le qualità che caratterizzano questo salone? «Il Salone Sensoriale è stato realizzato all’interno del parco termale dell’Acqua Santa ed è un elegante stabilimento, unico in Italia, basato sui criteri della naturopatia. Al suo interno è possibile avviarsi lungo suggestivi percorsi sensoriali, che riequilibrano il campo energetico umano attraverso l’armonizzazione dei cinque elementi alla base sia della fisiologia umana che del cosmo: acqua, fuoco, terra, aria, etere. È possibile scegliere fra venti diversi trattamenti per il recupero del proprio equilibrio psicofisico: dal grande impatto dell’ice crash alle piscine, fra le quali una di acqua salina, passando per le due saune e il bagno turco, alternati dalle docce emozionali». La vostra struttura sta puntando su un completo rinnovamento dell’offerta. Quali

Vogliamo proporre una nuova immagine del termalismo, che non va concepito esclusivamente come una pratica terapeutica

sono dunque le prospettive future? «È fondamentale per noi proseguire sulla linea degli investimenti. Però auspichiamo che questa iniziativa non rimanga limitata alla nostra azione, bensì coinvolga l’intera città di Chianciano, in una visione orientata a migliorare e potenziare i servizi disponibili e a crearne di nuovi, in maniera tale da riuscire ad attrarre anche un target di utenti diverso da quello classico che frequenta le terme per cura. L’iniziativa “Chianciano racconta” è stata certamente un primo passo in questa direzione. Ma non può essere l’unico. All’interno del nostro parco è presente una struttura dedicata alla ricezione congressuale, il Palamontepaschi, sul quale intendiamo orientare i nostri prossimi investimenti e poter così proporre uno spazio per meeting e occasioni di incontro professionale o culturale. L’obiettivo è quello di valorizzare non soltanto le terme, bensì il nostro

territorio nel suo complesso». Quindi bisogna creare lo spazio e le occasioni anche per altre tipologie di offerta turistica. «Chianciano offre molto altro al di là delle terme: paesaggi toscani, tradizione, arte, un ricca offerta enogastronomica e culturale. Questi fattori rappresentano per il nostro territorio degli strumenti di sviluppo, che però vanno valorizzati, integrandoli fra loro. Il nostro centro termale è circondato dai borghi e città: Montepulciano, Pienza, Cortona, Montalcino, Siena, Arezzo, Perugia, Assisi. Dunque la vacanza termale si conferma interessante per tutto il nucleo familiare, offrendo opportunità di svago e divertimento per tutte le fasce di età. Inoltre, per i giovani e i minori, che accompagnano adulti che si dedicano ai trattamenti curativi, sono previste delle attività di svago e intrattenimento mirate».

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POLITICHE ENERGETICHE

Geotermia, in 20 anni la produzione può raddoppiare Dalla Toscana, che ha visto nascere il primo impianto geotermico al mondo e che oggi ne conta 35, Enel Green Power studia nuove soluzioni di generazione elettrica anche da risorse «fino a pochi anni fa ritenute utili solo per lo sfruttamento diretto del calore». Il punto di Francesco Starace Giacomo Govoni

Francesco Starace, amministratore delegato di Enel Green Power

a produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile, assicurata dalle centrali geotermiche toscane di Enel Green Power, nel 2011 ha permesso di soddisfare il 26 per cento del fabbisogno energetico regionale. Un’incidenza record, che migliora il 25 per cento mai superato prima dell’anno scorso e consolida il ruolo della Toscana quale regina della geotermia italiana. «L’ulteriore sviluppo della produzione geotermoelettrica in

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Italia – spiega Francesco Starace, amministratore delegato di Enel Green Power – rappresenta un obiettivo importante della nostra strategia». Come sono distribuiti gli impianti attualmente attivi sul territorio nazionale e che consumo generano? «In Toscana, a Larderello, Enel Green Power gestisce un complesso tra i più grandi e antichi al mondo, nato circa un secolo fa. Qui si trovano oggi 35 impianti per 720 Mw netti che producono oltre 5 miliardi di kWh l’anno, il consumo medio annuo di circa 2 milioni di famiglie italiane. Inoltre fornisce calore per riscaldare più di 8.700 utenze domestiche e commerciali e circa 25 ettari di serre. In parallelo, siamo impegnati a rafforzare con nuove iniziative all’estero il ruolo di leadership indiscussa nel panorama mondiale dell'energia geotermica». Infatti le vostre ultime iniziative in campo geotermico parlano americano. Cosa

offre quel territorio rispetto all’Italia? «In Nord America Egp opera in quattro distinti campi geotermici: nella Surprise Valley in California, a Cove Fort nello Utah e in Nevada con gli impianti a ciclo binario già operativi di Salt Wells e Stillwater, che hanno ottenuto incentivi dal programma di stimolo di Obama per oltre 60 milioni di dollari. Inoltre, si stanno valutando ulteriori possibilità di sviluppo in nuove aree in via di prospezione. Le quattro aree dove già operiamo presentano risorse a media temperatura (circa 150 °C), adatte, cioè, per la generazione elettrica con impianti a ciclo binario, tecnologia che sta crescendo d’importanza. Oggi è quindi possibile sfruttare anche per la generazione elettrica molte risorse a media entalpia, fino a pochi anni fa ritenute utili solo per lo sfruttamento diretto del calore». Enel Green Power è anche leader nella ricerca. Quali filoni di investimento state at-


Francesco Starace

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Stiamo lavorando per aumentare l’efficienza e la flessibilità dell’energia prodotta, realizzando impianti geotermici ibridi, abbinati ad esempio al solare e alle biomasse

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GEOTERMICO

5.300 GWh LA QUANTITÀ DI ENERGIA PRODOTTA NEL 2011 DAI 35 IMPIANTI GEOTERMICI DISLOCATI SUL TERRITORIO TOSCANO

tivando per perfezionare la tecnologia di sfruttamento della fonte geotermica? «La struttura di ricerca di Enel partecipa attivamente al processo di evoluzione tecnologica, che ha compiuto molti passi avanti, per esempio, nello sviluppo degli impianti binari per lo sfruttamento delle risorse a media/bassa temperatura, dalla distribuzione geografica molto più ampia dei siti ad alta temperatura. Abbiamo ad esempio progettato un prototipo di reattore binario supercritico, attualmente in collaudo presso l’area sperimentale Enel di Livorno in collaborazione con il politecnico di Milano e il Mit di Boston, realizzato dalla Turboden, ditta italiana leader nel settore della costruzione macchine. Ma la ricerca non guarda soltanto alle nuove tipologie di impianti». Quali gli altri orizzonti? «Si sta anche operando per affinare i metodi di valutazione delle risorse geotermiche nel sottosuolo, per incrementare l’efficienza degli impianti e la

durata degli acquiferi, l’uso in condizioni estreme di temperatura, salinità, pressione e a ridurre ancora il già modesto impatto ambientale. Inoltre, si sta lavorando per aumentare l’efficienza e la flessibilità dell’energia prodotta,realizzando impianti geotermici ibridi, abbinati cioè ad altre fonti, come per esempio il solare e le biomasse». Gli ultimi dati Gse evidenziano che il geotermico è ancora fanalino di coda nazionale in termini di potenza e produzione energetica. Quali prospettive vede per questa fonte nei prossimi anni? «La crescita della geotermia, fonte “antica” quanto l’idroelettrico, merita sicuramente più attenzione di quella registrata sinora. E non solo in Italia, dove il potenziale della geotermia non è ancora del tutto sfruttato. Considerando infatti sia lo sviluppo organico nelle aree tradizionali in Toscana, sia la possibilità di installazione di impianti binari, si può individuare un obiettivo sfidante al 2030 di circa 1.600 Mw, raddoppiando

l’attuale capacità geotermica oggi installata nel Paese. Grazie alla capacità di controllare e gestire al meglio le varie fasi del progetto, Egp è in grado di raggiungere il 95% di efficienza degli impianti, contro una media mondiale di circa il 70%». Ultimamente si fa largo l’ipotesi della creazione di una filiera geotermica toscana. Come la giudica e che ruolo avreste in questo caso? «Proprio grazie alla continuata presenza di Enel Green Power nel polo geotermico di Larderello e Monte Amiata, in Toscana esiste già una forte concentrazione di know how in campo geotermico. Per estenderlo, Egp ha deciso di partecipare al bando Miur per lo sviluppo e potenziamento di cluster tecnologici nazionali, con un progetto geotermico finalizzato all’ottimizzazione dell’utilizzo di fluidi geotermici di media e alta entalpia. La Toscana è fortemente coinvolta in questo progetto con le proprie università e operatori industriali». TOSCANA 2012 • DOSSIER • 187


POLITICHE ENERGETICHE

La via toscana alla green economy Il sistema dei certificati bianchi è solo uno degli strumenti con cui Confindustria collabora alla diffusione sul territorio della normativa di incentivazione all’efficienza energetica. Tiziano Pieretti analizza lo scenario dell’industria toscana Giacomo Govoni

na mossa prioritaria che la nuova strategia energetica nazionale stabilisce sulla via dell’efficienza del settore industriale sta nel rafforzamento degli incentivi e dei meccanismi di certificazione del risparmio energetico. Un tema nodale per la crescita e in stretta relazione con i futuri investimenti sulle energie pulite dell’Italia, calati nel secondo semestre 2012 secondo Ernst & Young, tanto da far scivolare il nostro Paese dal quinto al settimo gradino della classifica mondiale. «L’inquadramento in un contesto di sviluppo dell’intero comparto della produzione elettrica a servizio del Paese – sostiene Tiziano Pieretti, consigliere di Confindustria Toscana

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Tiziano Pieretti, consigliere incaricato di Confindustria Toscana per l’energia

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per l’energia – contribuirà di certo a creare un orizzonte più stabile e certo». Anche per la Toscana, che deve difendere il secondo posto nella graduatoria nazionale di Green Economy 2012 stilata da Fondazione Impresa. Quali comparti industriali consumano maggiormente in Toscana e avrebbero, quindi, più bisogno di una riconversione energetica? «I settori cartario, siderurgico, chimico e del vetro sono i principali comparti energivori. Si tratta di imprese che da anni si pongono il tema dell’efficienza energetica per contenere il gap competitivo che l’alto costo dell’energia in Italia crea rispetto ai nostri competitor europei. Proprio per questo, le aziende italiane sono spesso ai massimi livelli di efficienza energetica europea e mondiale. È quindi opportuno parlare di continuo efficientamento più che di riconversione». Come si stanno attrezzando le imprese toscane per essere protagoniste nella partita del risparmio energetico? «Sia a livello nazionale che territoriale, Confindustria sta puntando da anni sul tema del ri-

sparmio energetico, inteso come efficienza energetica, per ridurre l’incidenza del costo dell’energia soprattutto nei settori cosiddetti energivori. Le imprese toscane sono molto attente al tema e impegnate da tempo nel miglioramento dell’efficienza energetica dei propri processi produttivi. Certamente vanno incoraggiate con un sistema di agevolazioni fiscali e di semplificazioni amministrative dedicati a questo tipo di investimenti». La normativa vigente è d’aiuto sotto questo profilo? «Almeno a livello di principio, la recente legge regionale sulla competitività prevede proprio la possibilità di introdurre agevolazioni fiscali per questi investimenti. È un segnale di attenzione importante. Confindustria, a tutti i livelli territoriali, ha da tempo avviato un percorso di diffusione della normativa di incentivazione dell’efficienza energetica con lo strumento del Certificato bianco. Più in generale, credo occorra un quadro regolatorio armonico e sostenibile che inquadri lo sviluppo delle fonti rinnovabili sul medio e lungo periodo. I continui correttivi al


Tiziano Pieretti

sistema incentivante hanno prodotto sviluppo ma anche un grande costo non sempre giustificato e spesso latore di forti distorsioni». Come si declina il vostro servizio di progettazione europea sul terreno della green economy? «In un contesto ancora molto complesso per la Toscana e il Paese, abbiamo condiviso l’obiettivo della Regione per una reindustrializzazione del territorio e per la centralità da attribuire al manifatturiero. Di conseguenza, abbiamo chiesto e ottenuto di dare spazio, nell’ambito delle politiche d’incentivazione legate ai programmi europei, proprio all’industria, all’innovazione e alla ricerca. In questo contesto deve trovare spazio anche una via toscana alla green economy che sfrutti tutta la nostra esperienza manifatturiera e le grandi competenze espresse dal sistema universitario». Oggi la Toscana è la capitale della geotermia italiana. Che posto occupa finora questa risorsa nel bilancio energetico regionale? «La geotermia rappresenta oggi circa un terzo della produzione elettrica toscana e circa un quarto del suo fabbisogno elettrico. Dal nostro punto di vista è una risorsa fondamentale, presente in Italia praticamente solo in Toscana, e quindi da valorizzare almeno sotto due aspetti: quello energetico, per

raggiungere gli obiettivi sulle energie rinnovabili, e quello economico di attrattore d’investimenti in regione. Per questo Confindustria ha lavorato intensamente perché il nuovo decreto ministeriale del 6 luglio

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che nasce proprio per avvicinare ancor più i due mondi. All’interno del suo comitato di indirizzo siede una rappresentanza di nostri imprenditori che con esponenti del mondo della ricerca definiscono strategie e

I settori cartario, siderurgico, chimico e del vetro sono i principali comparti energivori

2012 di sostegno alle fonti rinnovabili elettriche prevedesse importanti misure per lo sviluppo del settore geotermico». In regione è presente anche il distretto tecnologico delle energie rinnovabili. Come concorre allo scambio fra mondo produttivo e della ricerca? «Il distretto è uno strumento

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linee d’intervento. Al momento si stanno confrontando sulla candidatura al bando per cluster tecnologici nazionali pubblicato dal Miur. Un’opportunità che potrebbe avere ricadute molto positive sulla competitività nazionale ed estera del modello toscano e attrarre nella nostra regione nuovi investimenti». TOSCANA 2012 • DOSSIER • 189


GESTIONE RIFIUTI

I rifiuti, una risorsa per la collettività Proseguono gli studi e le ricerche nel campo dello smaltimento rifiuti. Attraverso una rete di operatori qualificati e grazie alla sensibilizzazione dei cittadini, il rifiuto diventa, oltre che una risorsa, un valore. Ne parla Nino Di Matteo Matteo Grandi

li scienziati ambientali dell'Air Force, il corpo dell'aeronautica americana, hanno di recente promosso e sostenuto la ricerca sul metodo della gassificazione al plasma, che permetterebbe di trasformare i rifiuti in energia pulita attraverso un sistema molto meno invasivo e inquinante dell'incenerimento. Diverse aziende americane deputate allo smaltimento dei rifiuti stanno sperimentando il sistema

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Produrre Pulito Spa si trova a Sesto Fiorentino (FI) www.produrrepulito.it

e anche New York sembra interessato ad adottarlo, ma gli elevati costi e lo scetticismo di alcuni ambientalisti frenano l'entusiasmo. Dallo scenario ritratto è evidente come in tutto il mondo continuino la ricerca e gli investimenti per migliorare il terreno su cui si giocheranno molte partite future, ovvero un mondo sempre più green. Un campo in cui si è specializzata la Produrre Pulito, società a capitale misto operante nel Comune di Sesto Fioren-

tino. «La nostra impresa – racconta il presidente Nino Di Matteo – è operante da vent’anni nel settore della raccolta dello stoccaggio e dello smaltimento di rifiuti speciali pericolosi e non. Per la raccolta ci avvaliamo della nostra controllata Produrre Pulito Trasporti, dotata di mezzi idonei a rispondere alle più svariate esigenze. Dal furgone per la raccolta nei centri urbani, agli autocarri». Mezzi fondamentali per portare avanti nel migliore dei modi la tematica ambientale. «In questo ambito ci teniamo particolarmente ad assicurare la conformità e il continuo rispetto delle prescrizioni legislative applicabili, l’assiduo miglioramento delle nostre prestazioni ambientali e la prevenzione dell’inquinamento». La cernita, il ricondizionamento, l’omogeneizzazione sono le attività indispensabili per la corretta gestione dei rifiuti. «Si tratta di tutte mansioni – prosegue Di Matteo- che la Produrre Pulito svolge ormai da anni insieme a una continua


Nino Di Matteo

azione di sensibilizzazione, cosa forse ancora più importante. È fondamentale infatti che i cittadini partecipino alla corretta gestione dei rifiuti, sia suggerendo loro il miglior modo di confezionamento e suddivisione per un più efficace ed economico smaltimento e recupero, sia informandoli delle novità normative e tecnologiche». Cuore pulsante dell’attività di raccolta dei rifiuti è il Punto Cobat. «Questo è il luogo dove ogni risorsa torna a essere un valore per l’intera collettività. La società ha aderito con orgoglio ed entusiasmo all’iniziativa del Cobat, il Consorzio Nazionale Raccolta e Riciclo, di creare una rete di operatori qualificati che, rispettando standard d’immagine e organizzazione, consentano il raggiungimento di obiettivi di efficienza, economicità, trasparenza e fattibilità tecnica ed economica. Siamo molto orgogliosi del fatto che nel 2011 il 60 per cento dei rifiuti in ingresso al centro di stoccaggio sia stato inviato al recupero. In quest’ottica gli investimenti che la società ha fatto negli ultimi anni sono stati tesi a diminuire gli impatti ambientali che qualsiasi attività umana crea. A questo scopo è stato realizzato un impianto fotovoltaico che la rende quasi del tutto autonoma relativamente ai consumi di energia elettrica, mentre l’impianto di riutilizzo dell’acqua piovana per i fini industriali

La piattaforma integrata è il punto di arrivo per quantità eterogenee di rifiuti ma anche punto di partenza per masse omogenee destinate agli impianti finali di smaltimento e recupero

fa diminuire radicalmente il prelievo dalla rete idrica. L’ampliamento delle attrezzature di stoccaggio (serbatoi) destinati agli oli idraulici ha contribuito ulteriormente alla preservazione dell’ambiente coerentemente alla missione del Consorzio Obbligatorio degli Oli usati di cui la società è concessionaria». Un viaggio dei rifiuti che si conclude poi nella piattaforma integrata di stoccaggio provvisorio e di trattamento localizzata all’Osmannoro. «Questa location è il punto di arrivo ideale per quantità eterogenee di rifiuti ma anche punto di partenza per masse omogenee significative destinate agli impianti finali di smaltimento e recupero». In un’ottica di continuo miglioramento grande rilevanza

viene data anche alla formazione e all’aggiornamento del personale aziendale. «Curiamo con grande attenzione – conclude il presidente Di Matteo il nostro patrimonio di risorse umane con continui corsi di preparazione, formazione e aggiornamento. Il tutto nella piena adesione a una filosofia di responsabilità sociale e con l’obiettivo di assicurare la conformità e il rispetto delle prescrizioni legislative, il miglioramento delle nostre prestazioni ambientali e la prevenzione dell’inquinamento. Anche per questo l’azienda si è dotata di un sistema di gestione ambientale per monitorare e sancire il corretto andamento delle attività grazie alle certificazioni raggiunte». TOSCANA 2012 • DOSSIER • 193




XXXXXXXXXXXXXXXXX SEMPLIFICAZIONE NORMATIVA

La risposta della giustizia ai cittadini «Solo il confronto tra gli operatori permette di trovare soluzioni migliori per compensare l’inefficienza della giustizia». Il punto di Luciana Breggia, componente del coordinamento dell’Osservatorio sulla giustizia civile di Firenze Renata Gualtieri

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li osservatori sulla giustizia civile sono associazioni composte da giudici, avvocati, personale di cancelleria e docenti universitari formatesi a partire dagli anni 90. L’idea di fondo è che per migliorare la giustizia civile non occorre attendere un rito ideale, ma porre attenzione all’organizzazione, alla collaborazione tra tutti gli operatori del diritto per promuovere le prassi più idonee a migliorare, ora e subito, la giustizia civile. Il processo è il luogo dove i diritti vengono attuati e, dunque, è stato naturale cominciare da lì. Oggi il metodo della collaborazione è collaudato: oltre ai protocolli di natura processuale, ci sono molte riflessioni anche sul piano del diritto sostanziale (lavoro, locazioni, danno alla persona, famiglia e così via). «Si tratta essenzialmente di un movimento culturale – spiega Luciana Breggia, componente del coordinamento dell’Osservatorio di giustizia civile di Firenze – d’altronde la cultura è una leva molto potente di regolamentazione delle condotte umane. Gli osservatori sono sostenuti dalla Fondazione Carlo Maria Verardi, nata per ricordare uno dei principali animatori di questa esperienza». Quali interessanti spunti sono emersi nel corso dell’assemblea nazionale degli osser-

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Luciana Breggia

vatori di giustizia civile di questo anno? «L’assemblea, che si è svolta a Catania, aveva come tema “Professioni e giurisdizione nella società che cambia” e ha affrontato la questione della giustizia civile a largo raggio. La riflessione di fondo s’incentrava sul ruolo sociale ed etico delle professioni di avvocato, magistrato, commercialista e notaio; cinque gruppi seminariali si sono poi occupati di temi specifici. Dai lavori è uscita rafforzata l’idea che solo il confronto tra tutti gli operatori permette di trovare soluzioni migliori perché tengono conto dei vari punti di vista». Quali le principali novità o progetti che vedono protagonista l’Osservatorio sulla giustizia civile di Firenze? «Dalle ultime riunioni sono emersi tanti settori di intervento: sono attivi gruppi di lavoro sul danno alla persona, sulla locazione, sul rito del lavoro, su alcuni profili organizzativi, come l’impiego dei giudici onorari o gli stage di giovani laureati o studenti nell’ufficio del giudice; è stato avviato il Progetto Nausicaa 2012 sulla mediazione demandata dal giudice; un altro gruppo si occupa delle ricadute del Trattato di Lisbona nei vari settori del diritto; anche la sperimentazione del processo civile telematico è collegata all’attività dell’osservatorio, che contribuisce ad assicurare quella collaborazione indispensabile per superare le difficoltà». Quali le maggiori inefficienze che riscontra nel sistema della giustizia civile? «In primo luogo, la questione del personale amministrativo che da decenni diminuisce senza essere sostituito e riqualificato; la mancanza di assistenti del giudice, che lo coadiuvino nelle attività ancillari e di supporto; la

L’inefficienza è la mancata diffusione in tutta Italia delle innovazioni tecnologiche sperimentate in alcune sedi

mancanza di chiarezza sul ruolo della magistratura onoraria, ora frantumata in figure diverse, con trattamenti disomogenei e impiego non uniforme da sede a sede; la scarsa attenzione alla giustizia di prossimità, che investe una parte notevole di controversie, specie di valore minore, ma molto importanti per la vita quotidiana delle persone (qui il contributo di una giurisdizione onoraria ben formata potrebbe essere fondamentale poiché sarebbe più adeguata al tipo di conflitto e renderebbe più snelli i ruoli dei giudici togati); la mancata diffusione a tutto il territorio nazionale delle innovazioni tecnologiche già sperimentate in alcune sedi. Da ultimo il continuo intervento Sopra a sinistra, Luciana Breggia, del legislatore sulle norme processuali: se non componente del si affrontano i problemi strutturali, queste con- coordinamento tinue modifiche, magari di per sé buone, ri- dell’osservatorio sulla giustizia civile schiano di produrre solo disorientamento e di Firenze perdita di tempo». Quali dunque le scelte operative ritenute più idonee a migliorare la giustizia civile e le prassi da adottare? «È essenziale l’idea che l’organizzazione giudiziaria non dipende da scelte interne all’apparato giudiziario, ma si fondi sulla condivisione TOSCANA 2012 • DOSSIER • 197


SEMPLIFICAZIONE NORMATIVA

dei soggetti che a vario titolo concorrono al-

l’esercizio della giurisdizione alla luce dei principi e dei valori della Costituzione. È chiaro che vi sono scelte che spettano ad altri livelli, ad esempio, il riordino della magistratura onoraria, la questione del personale, il processo civile telematico. Secondo l’articolo 110 della Costituzione, l’organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia spettano al ministro della Giustizia. Molto però si può fare, “a legislazione esistente” in base alla collaborazione di cui ho parlato: solo a titolo di esempio, i protocolli sulla gestione delle udienze civili, il lavoro sulla semplificazione del linguaggio e il raccordo tra gli atti difensivi e la motivazione dei provvedimenti del giudice permettono di rendere snella e prevedibile la procedura e la comunicazione, con importanti conseguenze sul piano dell’efficienza. Quest’ultimo lavoro, tra l’altro, è oggetto di una collaborazione tra gli osservatori e la Scuola superiore dell’avvocatura, formalizzata nel marzo scorso a Firenze». Le professioni e la giurisdizione come seguono i cambiamenti della società? «Come dovrebbero seguire, visto che vi sono molte resistenze rispetto ai cambiamenti, ma questo è anche naturale. In un periodo di crisi e di cambiamenti forse dovremmo imparare l’abilità di rimanere nell’incertezza per il tempo necessario a riflettere e capire la direzione giu-

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sta da prendere. Un grande pensatore, Antoine Garapon, ha definito la nostra l’epoca della giustizia manageriale, incentrata sull’efficienza, sui flussi e sui numeri. Probabilmente dobbiamo recuperare un equilibrio, perché i numeri sono necessari, ma non dobbiamo perdere di vista la risposta istituzionale che siamo chiamati a dare, che è una risposta di giustizia e non di mera liquidazione dei conflitti. Dobbiamo tutti “ripensarci”». In che modo? «Il giudice, che è tentato oggi di rifugiarsi di nuovo nel tecnicismo e nel legalismo, perdendo i livelli di “prossimità” che ha raggiunto negli ultimi tempi; ma anche l’avvocato, che potrebbe avere un ruolo di grande importanza, se non venisse esaltato solo nel momento della contesa giudiziaria ma cogliesse le potenzialità del cambiamento e valorizzasse le abilità di consulente “fuori” del processo oppure di mediatore. Anche altre professioni possono rigenerarsi, dai settori tradizionali a quello della gestione dei conflitti, e della prevenzione dei conflitti stessi. La mediazione, ad esempio, sempre che si evitino usi impropri e si possa contare su mediatori formati, può essere un’occasione di trasformazione culturale per tutti, anche per gli utenti del bene comune Giustizia, chiamati a farne un uso responsabile. L’importante è che nel contempo si effettuino gli interventi necessari per ridare funzionalità alla giurisdizione civile: il cittadino deve davvero poter scegliere tra le possibilità offerte dall’ordinamento e la sua decisione non deve essere coartata dall’inefficienza del sistema giudiziario».


Massimo Giaccherini

Perché perdiamo competitività «Le imprese hanno bisogno di un quadro chiaro di regole, di tempi certi e di semplificazione». Massimo Giaccherini, presidente del Comitato regionale piccola industria, indica la via per lo sviluppo Renata Gualtieri

are l’imprenditore in Italia non è mai stato un mestiere facile. Oggi è diventata una sfida temeraria». Un mestiere che, come sottolinea il presidente del comitato regionale piccola industria di Confindustria Toscana, Massimo Giaccherini, va rimesso al centro del dibattito pubblico, a tutti i livelli. In Toscana si sta discutendo di industria e sviluppo, e le piccole imprese, seppur affaticate da una difficile congiuntura, stanno cercando di dare il loro contributo spingendo su ricerca, innovazione e creazione di reti. «Rilanciamo il ruolo sociale dell’impresa e trasferiamolo alle giovani generazioni. Torniamo all’impresa come garanzia di ricchezza e benessere per tutti, come luogo privilegiato di quei legami che sono alla base della nostra stessa società. Le nostre piccole imprese sono anzitutto grandi famiglie». È questo il messaggio che, il comitato Piccola industria, da qualche anno cerca di promuovere con il Pmi day, una giornata in cui le aziende si raccontano a studenti, famiglie e istituzioni e creano valore collettivo. Cosa più ostacola il “fare impresa”? E quali sono le priorità su cui intervenire? «È il sistema Italia ad avere i maggiori costi per cittadini e imprese e i peggiori servizi. Pensiamo per esempio al costo del lavoro. I nostri salari sono i più bassi d’Europa, ma le nostre busta paga sono le più pesanti. Un altro fattore di mancata competitività per le nostre imprese è il costo dell’energia. Il nostro sistema produttivo non può respirare se è costretto a pagare l’energia il 30 per cento in più rispetto alla Germania».

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Le lungaggini e l’incertezza della giustizia civile italiana quanto penalizzino la competitività del Paese e la crescita dimensionale delle imprese? «Veniamo dopo l’Angola nella classifica della Banca mondiale sull’efficienza della giustizia civile. Quale imprenditore investirebbe in un Paese in cui occorrono in media 1.210 giorni per la conclusione di un procedimento? Con questi numeri perdiamo competitività per mancanza di capitali internazionali e rischiamo di generare un clima di sfiducia che colpisce la nuova imprenditorialità, prima ancora delle piccole imprese del nostro territorio». Quali le criticità della giustizia civile del nostro Paese che più affliggono le imprese? «L’incertezza dei tempi e le procedure farraginose. Le imprese hanno bisogno di un quadro chiaro di regole, di tempi certi e di semplificazione. La lungaggine di una causa può compromettere la liquidità stessa di una piccola impresa che non può contare su un capitale così ampio come quello di un’impresa di grandi dimensioni». Il Comitato regionale della piccola industria quale sostegno offre alle imprese per arginare l’intollerabile lentezza e i malfunzionamenti della giustizia civile? «La nostra struttura si è dotata di una commissione sulla giustizia che sta lavorando per promuovere strumenti in grado di risolvere le controversie con maggiore rapidità e minori costi per l’impresa. Penso alla conciliazione o all’arbitrato, su cui spesso proprio noi imprenditori siamo i primi a mostrare scetticismo». TOSCANA 2012 • DOSSIER • 199


SEMPLIFICAZIONE NORMATIVA

Tempi troppo lunghi, la giustizia cambi passo «Occorre investire in mezzi, ma anche nell’adeguata preparazione del personale e degli utenti della giustizia». Carlo Poli, presidente della Camera Civile di Firenze, illustra le inefficienze del sistema e auspica un cambio di mentalità Renata Gualtieri a più parti è stato confermato che l’inefficienza della giustizia costituisce una sorta di tassa occulta che abbassa il livello della ricchezza di almeno un punto di Pil, cioè circa 1,5 miliardi di euro all’anno, «questo – commenta il presidente della Camera Civile di Firenze Carlo Poli – determina sfiducia nelle regole e nelle istituzioni, privilegia i furbi e i disonesti, riduce la competitività del nostro Paese e scoraggia gli investimenti esteri in Italia». A ciò bisogna aggiungere che, solo nell’ultimo anno, lo Stato ha pagato 84 milioni di euro per il risarcimento dei danni per l’eccessiva durata dei processi ai sensi della Legge Pinto. «Se la giustizia civile funzionasse – ricorda Poli – si potrebbero, quindi, recuperare queste ingenti risorse da utilizzare per il rilancio dell’intera economia italiana». Quali le principali inefficienze del sistema che riscontra rispetto alla domanda di giustizia promossa dai cittadini? «Il più grave è costituito, senza dubbio, dai tempi estremamente lunghi che occorrono per ottenere una decisione giudiziale. Tale disfunzione ha portato poi alcuni organi giudicanti - mi riferisco soprattutto alla Corte di Cassazione ma non solo - a fare un uso sistematico, esasperato e non proporzionato di formalismi processuali al fine di sfoltire l’arretrato, senza entrare nel merito della controversia e senza, dunque, esaminare il fondamento delle questioni portate al vaglio della

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A destra, Carlo Poli, presidente della Camera Civile di Firenze

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giustizia dai cittadini. Tale comportamento, come ha più volte affermato la Corte europea di Strasburgo, non è corretto perché si traduce in una sostanziale denegazione di giustizia, che viola i principi fondamentali del nostro ordinamento e si pone in contrasto con l’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che sancisce il diritto a un equo processo, rendendo soltanto illusorio il ricorso alla giustizia». La giustizia civile deve dunque cambiare


Carlo Poli

Occorrono tempi estremamente lunghi per ottenere una decisione giudiziale

passo. E dove occorre ancora intervenire? «Il sistema giustizia è costituito, innanzitutto, da persone. Quindi, come per l’intera società civile italiana, occorre cambiare la mentalità sia degli operatori del diritto, sia degli utenti della giustizia. Non dovrebbe essere fatto un uso strumentale della giustizia, teso soltanto a rimandare l’adempimento delle obbligazioni e, in quest’ottica, i comportamenti che mirano a perdere tempo, non devono essere premiati ma, al contrario, sanzionati. Occorre, inoltre, risolvere una crisi profonda di identità e di ruoli delle figure professionali tradizionali (avvocati, magistrati, notai) evitando confusi e non meditati rimescolamenti e favorendo invece il sorgere di scuole di formazione con aree comuni per garantire una sempre maggiore comprensione e collaborazione reciproca». La digitalizzazione della giustizia rimane un obiettivo prioritario? «Certamente. Nella nostra Corte di Appello e nel nostro Tribunale si sta facendo molto in questo senso, e questo comporta una drastica riduzione di costi e di tempi. Questo è un settore in cui occorre investire in mezzi, ma anche nell’adeguata preparazione del personale e degli utenti della giustizia». Con quali iniziative la Camera Civile di Fi-

renze mira al migliore funzionamento della giustizia civile e come riesce a dare voce alle istanze di giustizia dei cittadini nel settore civile? «Intraprendiamo numerose iniziative volte a elevare la qualità dell’avvocatura. Secondo l’insegnamento del giurista Piero Calamandrei, non ci può essere una buona magistratura senza una buona avvocatura e viceversa. Nel contempo, abbiamo sempre cercato di promuovere una maggiore collaborazione e comprensione tra avvocati e magistrati. Per l’arretrato della giustizia civile la proposta che avanziamo è quella di prevedere la possibilità da parte di avvocati esperti di dedicare da un minimo di 10 giorni ad un massimo di 30 giorni lavorativi all’anno ad una attività di volontariato gratuito in ambito giurisdizionale. Dopo un periodo di tirocinio e di formazione questi giudici temporanei potrebbero ricoprire incarichi non particolarmente complessi come decreti ingiuntivi, ricorsi per accertamenti tecnici preventivi, separazioni consensuali e divorzi congiunti, in assenza di figli. Ovviamente si dovrebbero prevedere una serie di incompatibilità. La proposta è fattibile e corrisponde in larga parte a quanto avviene già da anni nei paesi europei anglosassoni». TOSCANA 2012 • DOSSIER • 201




TRAPIANTI

Professionalità e trasparenza a tutela dei donatori La regia europea di diversi progetti formativi e di ricerca riconosce il valore assoluto del sistema italiano dei trapianti sulla scena continentale. E intanto, ricorda Alessandro Nanni Costa, spuntano nuove iniziative per dichiarare la propria disponibilità alla donazione Giacomo Govoni

portare avanti i 111 programmi di trapianto attivi in Italia nel 2011, sono state «81 equipe autorizzate, concentrate in 44 strutture ospedaliere su tutto il territorio nazionale». Numeri emblematici, secondo il direttore del Centro nazionale trapianti Alessandro Nanni Costa, della razionalizzazione organizzativa di un sistema italiano «ai vertici in Europa per attività di donazione e trapianto, dietro a Spagna e Francia e davanti a Paesi con sistemi sanitari ben organizzati, come Germania e Regno Unito». Rispetto a quali parametri di valutazione la

A Alessandro Nanni Costa, direttore del Centro nazionale trapianti

rete italiana dei trapianti può essere considerata un’eccellenza? «Oltre ai numeri complessivi, relativi alle donazioni e ai trapianti, i fattori che permettono all’Italia di essere considerata un punto di riferimento continentale sono la trasparenza del sistema e il servizio informativo per tutti i pazienti in attesa di trapianto: siamo l’unico Paese che pubblica i dati relativi all’attività di ogni singolo centro trapianti. Questo è reso possibile dal sistema informativo trapianti, un unicum nel panorama europeo per una gestione integrata dei dati sull’intero processo di donazione e trapianto». Una reputazione che ci viene riconosciuta anche a livello continentale? «La consolidata esperienza dell’Italia nel contesto europeo ha fatto sì che il Cnt, grazie al lavoro dell’intera rete trapiantologica, potesse ricevere dalla Commissione europea il coordinamento di 9 progetti e, sempre dal 2002, la partecipazione ad altri 18. In particolare, siamo capofila di alcune iniziative di formazione di personale sanitario e medico in tutti quei paesi che si affacciano sul Mediterraneo». Com’è cambiato negli ultimi anni il tempo medio di attesa al trapianto per ogni organo? «Negli ultimi anni abbiamo registrato una certa stabilità delle liste di attesa. I dati di fine 2011 indicano che i pazienti iscritti e in attesa di ri-


Alessandro Nanni Costa

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Siamo riusciti a mantenere costante il tempo di attesa, nonostante l’aumento dell’età media dei donatori influisca sul numero complessivo di organi idonei al trapianto

sono in attesa di un trapianto di rene, 1.000 per il fegato, 733 per il cuore, 382 per il polmone, 236 per il pancreas e 23 per l’intestino. Con riferimento al 31 dicembre 2011, i tempi medi di attesa in lista sono di 2,8 anni per il rene, 2,1 per il fegato, 2,5 per il cuore, 2,12 per il polmone e 3,58 per il pancreas. Siamo riusciti a mantenere costante il tempo di attesa, nonostante l’aumento dell’età media dei donatori influisca sul numero complessivo di organi idonei al trapianto». Nonostante il numero dei trapianti in Italia sia in aumento, non mancano le opposizioni alla donazione: dove sono da ricercare le cause e come limitare questo trend? «È sempre molto difficile indagare i motivi di un “no” alla donazione. Da alcune indagini conoscitive, relative alle fasi della comunicazione della morte e della proposta di donazione, è emerso che la difficoltà di spiegazione della morte cerebrale e le incomprensioni nella relazione tra medici curanti e familiari del paziente sono tra le principali cause di opposizione. Proprio per questo, il Cnt ha puntato molto sulla formazione degli operatori impegnati nel processo di donazione e sulla cura della comunicazione tra medico e familiari del donatore». Sul piano normativo, quali strumenti hanno contribuito o potrebbero incentivare l’attitudine alla donazione? «In Italia a ogni cittadino maggiorenne è offerta

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la possibilità di dichiarare il proprio consenso o diniego alla donazione di organi e tessuti dopo la morte. Infatti, nel nostro Paese vige il principio del consenso o dissenso esplicito mentre quello del cosiddetto silenzio-assenso non ha trovato attuazione. È possibile dichiarare la propria volontà registrandola presso l’Asl di appartenenza, firmando e conservando tra i propri documenti personali il tesserino blu inviato dal Ministero della salute nel 2000 oppure una delle donor card di associazioni di donatori e pazienti. Il recente progetto sperimentale per la registrazione di volontà presso gli uffici anagrafe nei comuni di Perugia e Terni rappresenta un’utile e importante possibilità per invitare i cittadini a dichiarare la propria volontà». Un’operazione che avrà un seguito? «Dati gli ottimi risultati raggiunti da marzo scorso a oggi, siamo più che fiduciosi che la prossima estensione a tutti i comuni d’Italia, grazie a una direttiva dei ministero degli Interni e della Salute, possa accrescere il numero di cittadini che si esprimono sulla donazione di organi e tessuti. Il valore aggiunto di questa nuova possibilità risiede nel fatto che la dichiarazione di volontà, rilasciata contestualmente al rinnovo o ritiro della carta d’identità, possa essere registrata nel sistema informativo trapianti, il database del Cnt consultabile in modo sicuro e 24 ore su 24 dai medici del coordinamento in caso di possibile donazione».

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TRAPIANTI

Sanità, la Toscana supera l’esame Nonostante i tagli resi necessari dalla spending review, il sistema sanitario regionale continua a dimostrarsi efficiente, con punte di eccellenza nella trapiantologia. A renderlo possibile l’informatizzazione e il senso civico dei cittadini Teresa Bellemo

a mesi gli enti locali sono alle prese con i tagli contenuti nel decreto governativo sulla revisione della spesa. La manovra su sanità e trasporto pubblico dello scorso agosto è stata la risposta della Regione Toscana ai provvedimenti dei governi nazionali. La somma dei tagli operati dai governi Berlusconi e Monti, infatti, impatta sul bilancio regionale toscano per circa 400 milioni l’anno. Secondo Luigi Marroni, neo assessore al diritto alla Salute della Regione, la legge nazionale ci ha imposto una manovra strutturale. «Il nostro piano vuole non soltanto assicurare la mera sopravvivenza del sistema sanitario, il suo mantenimento, senza che il criterio di universalità e i servizi siano intaccati, ma anche garantirne la prosperità». La manovra, che ha destinato 12 milioni a favore della sanità, è la terza variazione al bilancio dopo una prima a marzo di 63 milioni, seguita da una seconda di 50 a luglio. Ma per fare in modo che a un decreto ministeriale non corrisponda unicamente un taglio a li-

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vello regionale diventa necessario un riordino del sistema. L’obiettivo deve essere quindi un settore meno costoso ma anche migliore. La pensa così Enrico Rossi, presidente della Regione, che nel 2013 conta di abbattere i costi del 5 per cento, 250 milioni in termini assoluti, attraverso due leve principali. La prima è la compartecipazione, come nel caso del ritocco dei ticket regionali dello scorso 3 settembre. «È il principio di equità: chiediamo di più a chi ha di più e nel contempo continuiamo la nostra lotta all’evasione» ha dichiarato Rossi. Nel complesso gli utenti del servizio sanitario toscano su cui l’aumento inciderà maggiormente sono circa 600mila. Per gli altri 3 milioni, che hanno un reddito Isee inferiore a 36mila euro, il ticket rimarrà invariato. La seconda leva è la qualità. Da questo punto di vista, la sanità toscana ha passato gli esami a pieni voti. Anche nel 2011, infatti, i risultati sono stati buoni, e si rilevano miglioramenti su oltre il 60 per cento degli indicatori. A dirlo, i risultati presi in esame nell’ambito del sistema di valutazione della per-


Il sistema toscano

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Secondo il Rapporto mondiale sui trapianti 2011, la Toscana emerge come regione d’eccellenza per la donazione di organi

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formance predisposto dal laboratorio Mes della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa, che dal 2007 monitora qualità, soddisfazione degli utenti e degli operatori e sicurezza del paziente. A diminuire sono stati i tempi di attesa medi nei presidi di Pronto Soccorso e i giorni di degenza, soprattutto pre-operatoria, complice una migliore organizzazione dei posti letto chirurgici e del day-hospital. Ancora lunghe invece le liste di attesa, soprattutto per quanto concerne la diagnostica pesante. Sono proprio le visite specialistiche a rivelarsi fondamentali per una tempestiva prognosi e una sempre maggiore riduzione del danno, sia dal punto di vista oncologico che trapiantologico. Dal punto di vista delle donazioni, la Toscana riporta numeri eccellenti: secondo il Rapporto mondiale sui trapianti 2011, emerge come regione d’eccellenza per le donazioni di organi. Nel primo semestre 2011 si sono registrati 69,7 donatori segnalati su un milione di abitanti (il dato italiano è di 33), 31,9 utilizzati (Italia 14,9). Il dato toscano, quindi, è più

che doppio rispetto alla media nazionale. Una questione certamente anche culturale che permette alla Toscana di avere dei buoni valori anche nel settore trapianti, grazie a un sempre maggior coordinamento regionale dei vari step: il monitoraggio del processo, la sicurezza, la centrale operativa per l’allocazione e la creazione di aree orientate alla ricerca, sviluppo e innovazione. Un coordinamento reso possibile anche grazie alla realizzazione di una piattaforma informatizzata, che consente a tutti gli operatori la visualizzazione in tempo reale di tutte le fasi del processo della donazione di organi e tessuti, dalla segnalazione del potenziale donatore fino all’avvenuto trapianto. Questo ha permesso di migliorare alcune delle componenti fondamentali della trapiantologia: la rapidità di intervento, la sicurezza e la trasparenza, soprattutto per quanto riguarda la gestione delle liste d’attesa dei riceventi, da quest’anno unificate e informatizzate nel nuovo Centro regionale allocazione organi e tessuti. TOSCANA 2012 • DOSSIER • 207


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