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OSSIER SICILIA L’INTERVENTO.........................................13 Giuseppe Pace Domenico Bonaccorsi di Reburdone

PRIMO PIANO IN COPERTINA.......................................16 Mimmo Costanzo RITRATTI ................................................22 Mario Monti PREMIO LEONARDO .........................27 Un riconoscimento alle eccellenze italiane Luisa Todini

ECONOMIA E FINANZA SVILUPPO E INNOVAZIONE .........22 Domenico Arcuri Umberto Vattani Marco Romano Umberto La Commare CREDITO & IMPRESE .......................43 Roberto Bertola Davide Durante Carlo Saggio MODELLI D’IMPRESA .......................52 Carmelo Fiorilla Francesco Santangelo Giovanni Crimi Giuseppe Tringali TELECOMUNICAZIONI .....................60 Luca e Giuseppe Salerno SERVIZI ..................................................62 Antonio Guastella

SICUREZZA ...........................................64 Alessandro Leone Gaetano Palminteri AGROALIMENTARE ...........................68 Mario Catania Gerardo Diana Carmelo Gurrieri Alessandro Chiarelli Elio D’Antrassi Alessandro Alfano PRODOTTI ALIMENTARI ..................78 Giacomo D’Alì Staiti Pietro Vitali Andrea Anastasi Nino Marino e Vincenzo Longhitano Giovanna Vinci GRANDE DISTRIBUZIONE ..............90 Immacolato Bonina FOCUS CATANIA ................................93 Raffaele Stancanelli Riccardo Galimberti Giovanni Selvaggi Antonino Recca EVASIONE FISCALE ........................104 Claudio Siciliotti Victor Uckmar

AMBIENTE ENERGIE ALTERNATIVE .................110 Salvatore Moncada Aldo Garozzo Pino Ortolano ENERGIA ................................................118 Giovanna D’Ippolito e Agatino Lombardo SERVIZIO IDRICO .............................120 Sergio Cassar GESTIONE RIFIUTI ..........................124 Mario Lupica Benedetto D’Angelo Antonio Spanò

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Sommario TERRITORIO TURISMO .............................................130 Piero Gnudi Sebastiano De Luca INFRASTRUTTURE ...........................136 Salvo Ferlito Pier Carmelo Russo Carmelo Misseri Giuseppe Aloisi Sergio Cassar e Giuseppe Zappalà EDILIZIA ...............................................148 Salvatore e Angelo Sottile Pietro Tirone Francesco Melita MATERIALI ..........................................156 Francesco Pellegrino

GIUSTIZIA

SANITÀ

RATING ANTIMAFIA ..........................161 Uno strumento per le imprese Antonello Montante Maria Elisabetta Alberti Casellati

CORSIE D’ECCELLENZA ................178 Bruno Gridelli Anna Casu

USURA ..................................................168 Giancarlo Trevisone Rosanna Montalto Fabio Lanfranca Marcello Cozzi Marco Alborghetti

FARMACI ..............................................184 Giuseppe Galizia FARMACIE E SERVIZI .....................186 Luigi Bianculli L’INDUSTRIA PARAFARMACEUTICA ....................188 Alfio Finocchiaro STRUTTURE SANITARIE .................191 Daniele Virgillito e Alba Murabito

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Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx L’INTERVENTO

Costruiamo il futuro della Sicilia di Giuseppe Pace, presidente di Unioncamere Sicilia

a sempre la Sicilia è una terra di sperimentazioni politiche che sono state alla base delle trasformazioni e delle evoluzioni del nostro Paese. Per continuare a essere all’avanguardia oggi questo approccio deve cambiare e partire da un assunto diverso, quello economico. Lo impone il mercato globale, le cui regole non ammettono sconti per nessuno. È questa la vera chiave di volta su cui fare leva per lo sviluppo di una regione che ha tutti gli elementi per essere il motore di domani. È in Sicilia che si può ripartire per mettere in moto la macchina del turismo. È in Sicilia che si trova una varietà agroalimentare tale da soddisfare le esigenze di un consumatore sempre più attento alla qualità. Ed è ancora in Sicilia che si alimenta la piattaforma energetica che dà sostentamento a buona parte dell’Italia, senza considerare le opportunità in parte ancora inespresse che possono derivare dall’utilizzo delle fonti rinnovabili. Tutte risorse alle quali, oggi più di ieri, è necessario attingere a piene mani senza più se né ma. Siamo a un bivio. O si resta indietro con il rischio sempre più concreto di essere schiacciati dal peso di una crisi che non risparmia nessuno. Oppure si va avanti, facendo emergere ciò che di buono sa produrre una terra tanto ricca quanto complessa. Alcuni segnali positivi ci sono. Nonostante i venti di recessione, le imprese siciliane continuano a mostrare vivacità. A riguardo, è significativo osservare che tra il 2006 e il 2011 - nel clou della crisi - le società di capitali attive sono aumentate di un tasso annuo dell’8 per cento, a fronte di una leg-

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gera riduzione del peso delle imprese individuali. Ciò vuol dire che, in una regione dove prevalgono piccole e piccolissime aziende, c’è stato un passo in avanti verso l’irrobustimento del sistema produttivo. Una rondine non fa primavera, ma questo è un dato che non si può trascurare. Ora la mossa successiva deve essere quella di rendere attrattivo un territorio che, finora, è stato visto pieno di lacci e laccioli che, in alcuni casi, hanno spinto imprenditori locali, nazionali e stranieri, a orientarsi verso mercati più snelli. Burocrazia veloce, miglioramento della mobilità interna e potenziamento delle infrastrutture sono gli imperativi categorici ai quali la Sicilia non può più sottrarsi. Da trapanese e da presidente della Camera di Commercio locale, mi piace citare il caso dell’aeroporto di Birgi e del suo impatto sulla crescita della provincia. Un piccolo scalo che ha dato grandi soddisfazioni, sia in termini di presenze (con oltre 1,5 milioni di passeggeri l’anno) che di indotto. Un esempio? Nel 2011 il numero di imprese del turismo sono cresciute del 4,5 per cento. Merito dell’aeroporto e di una ritrovata vocazione per il turismo. È da questi dati che bisogna partire per costruire il futuro della Sicilia, come in una sorta di effetto-contagio delle best practice e implementando policy che promuovano la crescita di un territorio che deve, sempre più, camminare sulle proprie gambe. Solo così l’Isola, troppo spesso relegata in fondo alle classifiche nazionali, potrà essere un esempio virtuoso da esportare nel resto d’Italia. Le carte in regole ci sono tutte: adesso è questione di metterle sul tavolo e iniziare la partita. SICILIA 2012 • DOSSIER • 13


IL RILANCIO PARTE DALL’EVOLUZIONE D’IMPRESA Internazionalizzazione, giovani e nuove strategie di investimento. Il rilancio del settore delle infrastrutture parte da qui. La ricetta per la ripresa del sistema secondo Mimmo Costanzo, al vertice del gruppo Cogip Andrea Moscariello

a sfida sta nel cambiamento. Le imprese del comparto si interfacciano con un mercato, interno e internazionale, ben più complesso e agguerrito rispetto a quello dei primi anni duemila. Non solo la crisi, ma un reale ribaltamento della geografia economica globale impone un riassetto completo delle strategie e un nuovo orientamento

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per gli investimenti da effettuare. Il tutto, però, non va osservato unicamente in chiave negativa. «La crisi, per essere superata, va interpretata come un’opportunità di cambiamento. E i problemi, laddove possibile, vanno trasformati in opportunità». Questa l’opinione di uno dei volti più affermati sul panorama delle infrastrutture italiano. Mimmo Costanzo, Ceo della

catanese Cogip Infrastrutture Spa, è sicuramente il frutto di una cultura d’impresa che si è lasciata alle spalle alcuni atavici modus operandi, oggi incompatibili con il mercato globale. Quello proposto da Costanzo è un modello di sviluppo imperniato sulla valorizzazione del know-how e sulla centralità delle risorse umane, partendo dalle nuove generazioni. Metodo-


Mimmo Costanzo

Da sinistra, cantiere sulla Salerno-Reggio Calabria ASR20-Morano Calabro; ponte sul fiume Adda; autostrada Sfax-Gabes (Tunisia). Sotto, Mimmo Costanzo, Ceo della Cogip Infrastrutture Spa di Catania www.cogip.it

logia che ha dato, cifre alla mano, risultati importanti. Per dare un’idea, Tecnis, società partecipata al 50 per cento dal gruppo Cogip e per il restante 50 dal gruppo Pavesi, che fa capo all’ingegnere Concetto Bosco, vanta un organico con un’età media di 41 anni, di cui un 20 per cento di giovani sotto i 33 anni e un 25 per cento di donne. La stessa Tecnis ha superato i 350 milioni di ricavi, per il venti per cento ottenuti in Sicilia, e secondo la classifica Edilizia e Territorio del Sole 24 Ore è una delle prime 50 imprese del settore (nel 2010 era al 22esimo posto). Il mondo delle infrastrutture sta soffrendo in tutto il Paese, e in particolar modo al Sud. «Ci siamo appena lasciati alle spalle un anno molto complesso, in cui le aziende si sono ritrovate a operare su uno scenario altamente critico. Si è verificata una riduzione importante degli investimenti pubblici rivolti alle infrastrutture. Le

amministrazioni hanno sempre meno risorse finanziarie e questo ha reso la competizione, tra le aziende del settore, sempre più serrata. Stanno resistendo soltanto quei soggetti che riescono a dimostrare una spiccata capacità di evoluzione». Dunque, nonostante il quadro, secondo lei un modo per superare lo stallo c’è? «Le aziende devono essere in grado di operare fronteggiando un quadro di complessità sempre più elevato.

Non solo. Occorre avere una visione più ampia e lungimirante sul settore. È inutile ostinarsi a investire unicamente sugli appalti territoriali quando, soltanto nei paesi più vicini alla Sicilia, si stanno gettando le basi per un rilancio infrastrutturale storico». Si riferisce all’Africa? «Certamente. L’area del Maghreb ora è strategica. Con Tecnis, ad esempio, stiamo lavorando molto in Tunisia su un grande progetto che vede coinvolte diverse imprese italiane». La soluzione, allora, è l’internazionalizzazione? «È questa, secondo me, la strada ideale da percorrere per ottenere un cambiamento evolutivo. Mi piace usare questo termine perché, pensando a quello che ha comportato la crisi, mi viene sempre in mente la lezione di Darwin, a resistere non è necessariamente il più forte, bensì colui che dimostra di avere capacità di adattamento al SICILIA 2012 • DOSSIER • 17


IN COPERTINA

L’ENERGIA DELLE NUOVE GENERAZIONI «S commettendo sui giovani si vincono le sfide dell’innovazione e della diversificazione produttiva». A confermarlo è la presidente di Cogip Holding, Elita Schillaci (nella foto). Il gruppo, che occupa direttamente 465 persone e che nel 2011 ha raggiunto la soglia dei 320 milioni di fatturato (nel 2010 era di 170 milioni) si sta ampliando anche grazie a uno spin off, Cogipower, rivolto al settore delle energie alternative. «Questa nuova divisione assorbe il know how accumulato nell’ambito delle infrastrutture. Si tratta di un comparto in cui tecnologia e propensione alle logiche di rete sono fondamentali – spiega la Schillaci – Per questo i giovani sono la risorsa che permette a Cogipower di crescere». Grande attenzione alle nuove generazioni, ma anche all’occupazione femminile, ingiustamente lasciata ai margini da molte realtà aziendali. «Nel nostro caso le

donne vengono valorizzate anche in cantiere. Proprio lo scorso anno abbiamo premiato cinque donne facenti parte del nostro staff che hanno dimostrato, con il loro talento e il loro impegno, di poter fare la differenza». La Schillaci, che è anche professore ordinario di Management presso la facoltà di Economia

Lavori sulla SS 652 (Fondovalle Sangro). Nella pagina a fianco, una veduta del porto di Genova.

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contesto. Ecco, le imprese devono rendersi più flessibili e adattabili ai mutamenti del mercato odierno». All’estero molte imprese italiane fanno fatica a emergere in quanto troppo piccole rispetto ai grandi competitor internazionali.

dell’Università di Catania, ci tiene affinché il gruppo da lei presieduto, a cominciare proprio da Cogipower, diventi un trait d’union strategico tra tessuto produttivo e universitario. «Le aziende che puntano all’innovazione non possono più limitarsi a investire sulla ricerca interna. Occorre concentrarsi su sistemi di rete, su poli capaci di coadiuvare le tante eccellenze presenti sul territorio, dalle industrie alle università, per creare strumenti e piattaforme tecnologiche tali da renderci competitivi sullo scenario internazionale. È anche questa la strada da perseguire affinché i giovani laureati restino al Sud, arginando così il triste fenomeno della fuga dei cervelli». In particolare per Cogipower è fondamentale ai fini di una maggiore integrazione internazionale. Per questo ha aderito al network Energy Lab, che unisce alcuni tra i più eccellenti attori italiani ed europei del settore.

Anche per lei questo è un problema? «Anche in questo caso, si tratta di una criticità che l’imprenditore deve necessariamente leggere come un’indicazione per evolversi. Ritengo strategico, vitale, cercare partnership e acquisizioni con aziende che possono garantire un valore aggiunto al proprio operato. Nel mondo delle infrastrutture questo si è già dimostrato, basti osservare il caso di una grande azienda come Todini, la cui politica ora è fortemente orientata alle acquisizioni e alle fusioni. Anche con il gruppo Cogip cerchiamo partner validi per affrontare al meglio la sfida internazionale». Anche partner stranieri? «Non si può escludere. Ma prima di tutto noi imprenditori italiani


Mimmo Costanzo

siamo chiamati a compiere uno sforzo, se vogliamo, anche culturale. Dobbiamo comprendere il fatto che all’estero, per inserirsi, occorre rispettare le mentalità e le liturgie dei mercati. Ciò è importante da sottolineare in quanto oggi, per il nostro settore, la sfida non risiede tanto nei mercati tradizionali, che ben conosciamo, ma, come dicevo prima, in quelli in via di sviluppo. Ad esempio un’altra area su cui dovremmo concentrarci è quella del Sud America». Le sue aziende sono impegnate anche sul fronte italiano. «Vero, stiamo lavorando, ad esempio, a un importantissimo lotto per la Salerno-Reggio Calabria. Su quel tratto stiamo curando anche i viadotti e le gallerie, coinvolgendo il meglio dell’ingegneria italiana. Al

I giovani apprendono più in fretta, hanno una mentalità flessibile e una forma mentis già predisposta ai rapporti e alle collaborazioni internazionali

tempo stesso operiamo sull’ampliamento nel porto di Genova e su altri interventi nella Val di Sangro. Nella nostra terra, in Sicilia, stiamo lavorando insieme alla Cmc per la realizzazione dell’autostrada Caltanissetta-Agrigento». Sempre parlando del mercato interno, lei cosa chiede affinché il sistema degli appalti torni a rappresentare una fonte di ricchezza e sviluppo per il tessuto produttivo? «Intanto va abbandonata la logica al continuo ribasso da parte delle

stazioni appaltanti. Serve una giusta via di mezzo tra standard qualitativi e competitività nei prezzi. Il basso costo non deve ledere il livello delle prestazioni e dei materiali utilizzati. In secondo luogo, e questo per l’Italia è fondamentale, le imprese e le pubbliche amministrazioni devono predisporsi affinché le opere possano essere realizzate rapidamente e rispettando i tempi. Il sistema Paese, per ripartire, deve colmare il suo gap infrastrutturale il prima possibile». Il suo gruppo, oltre all’interna- SICILIA 2012 • DOSSIER • 19


IN COPERTINA

Campo fotovoltaico di 4,06 MWp ad Aidone (EN)

È inutile ostinarsi a investire unicamente sugli appalti territoriali quando, nei paesi più vicini alla Sicilia, si stanno gettando le basi per un rilancio infrastrutturale storico

zionalizzazione, sta virando verso nuovi settori, a cominciare da quello delle energie rinnovabili. Perché orientare la diversificazione su questo comparto? «Considero le rinnovabili una grandissima leva di sviluppo. Proprio a partire dalla Sicilia. La nostra regione, che ricordo essere stata la prima in Italia a raggiungere la grid parity, ha dinanzi a sé una grande opportunità. Il territorio è intriso di una fortissima cultura e di un know how nel settore delle rinnovabili difficilmente riscontrabili altrove. La Sicilia è la terra dei semiconduttori e della lavorazione del silicio. Attualmente sono allo studio tantissimi progetti per la realizzazione di pannelli solari di nuova generazione, grazie anche alla spinta scaturita dalla forte presenza sul territorio di Enel Green Power e di ST Microelectronics. Ma tutto 20 • DOSSIER • SICILIA 2012

questo non basta, per attirare investimenti la Sicilia deve iniziare a mettere in atto strategie di marketing territoriale più capillari, sistemiche ed efficaci». Quali politiche adotta Cogip per ridurre l’impatto ambientale del suo operato? «La risposta più importante la si trova nelle tecnologie. Il che prevede molti investimenti, è vero, ma su questo non possiamo transigere. Abbiamo rinnovato il nostro intero parco macchine e adottato sistemi di monitoraggio che permettono di razionalizzare il consumo dei carburanti, che ha già registrato una riduzione significativa. Soprattutto nell’ambito delle opere stradali si sono compiuti i passi maggiori. Nelle infrastrutture che andiamo a realizzare sono centrali temi come l’illuministica sostenibile e il relativo risparmio energetico».

L’Italia deve fare i conti con tassi di disoccupazione giovanile e femminile altissimi. La sua azienda ha attirato l’attenzione dei mass media e delle associazioni di categoria proprio perché, invertendo una tendenza generalizzata, garantisce un alto tasso di occupazione per giovani under trenta e donne. «I giovani sono la risorsa attraverso cui l’Italia può far ripartire il suo sistema economico. E quando ne ha la possibilità, l’imprenditore ha il dovere sociale di garantire il migliore indotto occupazionale possibile. I giovani apprendono più in fretta, hanno una mentalità flessibile e una forma mentis già predisposta ai rapporti e alle collaborazioni internazionali. Racchiudono tutti quegli aspetti che dovrebbero caratterizzare un’impresa moderna e ambiziosa».



PREMIO LEONARDO

Da vent’anni premiamo gli ambasciatori del fare italiano Dal 1993 il Comitato Leonardo premia tutte quelle realtà imprenditoriali che più di altre hanno saputo tenere alto il nome della produzione italiana nel mondo, rendendo il made in Italy un vero e proprio marchio Teresa Bellemo

a storia industriale italiana ha ormai 150 anni. Una storia fatta di successi, di idee coraggiose, di intuizioni vincenti ma anche, come è ovvio, di parabole discendenti e di fallimenti. Come una donna che, con la maturità, ha imparato a conoscere i suoi pregi e i suoi difetti e dismette il disfattismo tipico del continuo paragonarsi a parametri troppo diversi da sé, anche la produzione italiana, con il tempo e l’esperienza, sembra ormai matura per iniziare a puntare sui propri punti di forza e su ciò che l’ha sempre vista leader. A livello internazionale, il made in Italy non è soltanto un qualcosa di accessorio, una delle tante informazioni su un prodotto, ma è diventato un plus, un requisito fondamentale che accresce automaticamente il valore di un manufatto e che lo caratterizza di valori

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positivi. Insomma, un brand, una sineddoche. È così per l’abbigliamento e la moda, per il design, per l’arredamento, per l’enogastronomia e le apparecchiature industriali, ma sta diventando un qualcosa di più allargato, che comprende anche le costruzioni, le biotecnologie e le energie rinnovabili. È su tutto questo, sulla valorizzazione e sull’incentivo di ciò che ogni giorno il nostro Paese produce sotto l’insegna della qualità e della cura totale, che si concentra il Comitato Leonardo. Nato nel 1993 da un’idea di Gianni Agnelli e di Sergio Pininfarina, di Confindustria, dell’Istituto nazionale per il commercio estero, con l’obiettivo di promuovere la qualità Italia nel mondo, oggi il sodalizio è condiviso da circa 150 tra le migliori eccellenze italiane di tutti

i settori, che, attraverso la loro storia e professionalità caratterizzata da una forte vocazione internazionale, testimoniano la vitalità del saper fare italiano. Nonostante la difficile congiuntura economica, nell’ultimo anno le aziende socie del Comitato hanno ottenuto un fatturato complessivo di oltre 300 miliardi di euro, di cui il 53% prodotto all’estero, il che sottolinea ancora una volta quanto il prodotto italiano abbia forte rilevanza, soprattutto fuori dai nostri confini. Ogni anno il consiglio direttivo del Comitato Leonardo individua una rosa di candidature tra le aziende (per i Premi Leonardo qualità Italia) e le personalità (per il Premio Leonardo) che nel corso dell’anno si sono particolarmente distinte nel promuovere il ben fare italiano.


Un riconoscimento alle eccellenze italiane

Tali candidature vengono sottoposte al voto di una giuria qualificata, costituita dai soci del Comitato Leonardo e dai direttori delle principali testate giornalistiche italiane. I premiati, che il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha definito “Ambasciatori del made in Italy”, sono la testimonianza che l’Italia possiede abilità e conoscenze per tornare a crescere, per essere più competitiva e soprattutto per occupare nuovamente il ruolo che le compete nella costruzione di un’Europa più coesa e integrata. Lo scorso gennaio sono stati ufficializzati i premi Leonardo 2011. Ancora una volta l’intento era quello di incensare quelle capacità che si sono distinte con la loro produzione non solo in Italia, ma in tutto il mondo. Per questo Piero Antinori è stato premiato per

la sua attività nel settore vinicolo. I premi Qualità Italia, che valorizzano quelle realtà aziendali che più di altre si sono distinte per un export di qualità, sono stati conferiti a Oscar Farinetti, presidente e ideatore di Eataly; a Ugo Gussalli Beretta, presidente di Fabbrica d’armi Pietro Beretta; a Claudio Luti, presidente di Kartell; a Maurizio Marinella, presidente di E. Marinella, storica bottega di cravatte nata a Napoli nel 1914 e a Nicoletta Spagnoli, ad di Luisa Spagnoli. Federico Marchetti è stato insignito del premio all’innovazione, in quanto fondatore e ad di Yoox group, partner globale di internet retail per i principali brand della moda e del design che, a dodici anni dalla nascita, vanta un’invidiabile posizione nel mercato globale.

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I premiati del 2011 rappresentano alcune delle più belle storie dell’imprenditoria italiana

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PREMIO LEONARDO

Il futuro? È made in Italy I prodotti italiani non devono essere soltanto di alta gamma, ma devono aprirsi ai nuovi settori e all’innovazione, senza mai perdere d’occhio la tradizione e l’attenzione per la qualità. Il commento di Luisa Todini, presidente del Comitato Leonardo Teresa Bellemo

onostante la congiuntura economica non sia delle migliori e il nostro Paese sia stato spesso oggetto di attenzione particolare, su un settore non cediamo il passo: il made in Italy. La qualità, il design non conoscono crisi, anzi godono di un bacino sempre più largo di estimatori e crescono grazie anche a quei paesi che oggi stanno raggiungendo il benessere, diventando locomotrici della crescita mondiale. Proprio sulle nostre eccellenze si concentra il Comitato Leonardo, da quasi vent’anni dedito a premiare e incentivare le eccellenze, la qualità e gli ambasciatori del saper fare italiano, non solo entro i confini nazionali, ma soprattutto all’estero, dove l’Italia è quasi diventata un brand. Luisa Todini, presidente del Comitato Leonardo, crede fortemente nella forza propulsiva dei prodotti italiani e traccia la strada per uscire dalla crisi: «Serve mantenere la politica del rigore nei tagli delle spese improduttive e dei costi della

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politica, avviando strategie industriali che mettano al centro lo stimolo agli investimenti in infrastrutture utili e sostenibili, incentivando fiscalmente le imprese che investono e assumono e aumentando il tasso di flexsecurity nel mercato del lavoro».

Quali sono le direttrici su cui si deve muovere il made in Italy? «I successi delle nostre produzioni all’estero dimostrano che l’Italia ha un enorme potenziale di crescita. Sono tante le strade future, ma tutte conducono fuori dai confini nazio-


Luisa Todini

nali, dove le potenzialità di sviluppo per le nostre produzioni sono davvero sorprendenti e non ancora pienamente esplorate dalle imprese italiane. Non mi riferisco soltanto ai cosiddetti Bric, brasile, Russia, India, Cina, ma anche ai paesi del sud-est Asiatico e dell’America Latina. È in questi Paesi che l’andamento positivo dell’economia ha condotto all’affermazione di una classe media benestante, che domanda made in Italy. Qui i nostri prodotti sono simbolo non soltanto di stile ed estetica, ma soprattutto di qualità. Per questo è importante un sostegno al processo di internazionalizzazione delle pmi italiane, che costituiscono il tessuto del nostro sistema industriale». Molto spesso si sente dire che

Durante il mio mandato ho istituzionalizzato il Premio Leonardo International

l’Italia dovrebbe puntare di più sui suoi fiori all’occhiello per poter tornare a contare. Può l’Italia basare la sua produzione e la sua economia prevalentemente sul made in Italy, che per vocazione, qualità e target ha una base di nicchia? «Pensare che i nostri prodotti siano solo “alto di gamma” riduce sicuramente il loro vero potenziale. Ac-

canto alle cosiddette 4 A del made in Italy, abbigliamento-moda, arredamento, alimentari, apparecchiature industriali, oggi ci sono nuovi settori, penso alle costruzioni, alle energie rinnovabili e alle biotecnologie. Rispetto della tradizione e costante innovazione, attenzione per la qualità totale e cura del disegno: sono questi gli elementi di unicità del ben fare italiano e sui quali occorre puntare per un made in Italy che non sia solo di nicchia». Quanto il web può favorire e quanto ostacolare la diffusione e la valorizzazione dei nostri prodotti nel mondo? Ha in sé anche dei lati negativi? «Quest’anno abbiamo deciso di conferire un premio all’innovazione a Yoox group, una società giovane e diSICILIA 2012 • DOSSIER • 29


PREMIO LEONARDO

Yoox è il simbolo di come il web possa essere vetrina dei prodotti italiani

namica, che è diventata in poco

tempo il simbolo di come il web possa funzionare da vetrina virtuale per i prodotti italiani, contribuendo in maniera determinante alla loro diffusione fuori dai confini nazionali. Le nostre imprese devono apprendere come sfruttare al massimo le potenzialità della rete per raggiungere mercati lontani ma ad alto potenziale. Allo stesso tempo si devono ostacolare e punire pratiche tendenti a utilizzare il web come veicolo per falsificare i nostri prodotti, penso soprattutto ai Paesi in cui le normative in materia di tutela della proprietà intellettuale sono carenti, in particolare alla Cina». Il Comitato Leonardo premia anche le tesi di laurea più brillanti. Quale consiglio si sente di dare ai tanti giovani laureati in difficoltà nel trovare un’occupazione? «Lo scorso gennaio abbiamo consegnato in Quirinale ben 11 premi di laurea - messi a disposizione da nove nostri associati - ad altrettanti giovani laureati delle università italiane. La consegna dei premi ai giovani laureati è un momento sempre molto emozionante: ci si confronta con le aspettative, i sogni e le speranze di una generazione che rappresenta il

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Federico Marchetti, ad Yoox Group e vincitore del Premio Leonardo all'innovazione 2011

futuro del nostro Paese. Come imprenditore, il suggerimento che mi sento di dare ai giovani laureati italiani è quello di non puntare solo al 110 e lode, ma di coltivare il proprio talento e le proprie idee, di apprendere le lingue e di arricchire il proprio curriculum con esperienze all’estero. Oggi occorre dimostrare una grande capacità di adattamento e soprattutto tanta voglia di fare, sapendosi mettere in gioco nel lavoro come nella vita». Il suo mandato è in via di conclusione, che bilancio sente di poter fare di questi anni? «Il bilancio di questo primo man-

dato è sicuramente positivo. Ho avviato il mio periodo di presidenza consapevole dell’importante eredità lasciatami dai miei predecessori, in particolare da Laura Biagiotti, che ha presieduto il Comitato Leonardo per ben 9 anni. Ho voluto rendere più itineranti le attività del comitato, rafforzando da un lato la presenza su territorio attraverso incontri con l’imprenditoria e le istituzioni locali, dall’altro istituzionalizzando il Premio Leonardo International, con la partecipazione del comitato alle missioni internazionali di sistema in Paesi strategici per il made in Italy».



SVILUPPO E INNOVAZIONE

La crescita del Paese passa dal Sud Invitalia premia chi decide d’investire in innovazione. L’amministratore delegato Domenico Arcuri indica con quali strumenti si può promuovere la crescita del sistema produttivo, partendo dal Mezzogiorno Renata Gualtieri

nvitalia gestisce gran parte degli incentivi statali alle imprese e, in qualche modo, ne regola anche la domanda e l’offerta. In questo quadro va inserito il nuovo contratto di sviluppo, l’ultima misura che ha preso il posto del vecchio contratto di programma. Considerando l’elevato numero di domande presentate e le novità dell’intervento si può parlare di una svolta, soprattutto per il Sud: i 400 milioni attualmente a disposizione sono destinati solo alle quattro regioni meridionali che rientrano nell’obiettivo convergenza: Campania, Calabria, Puglia e Sicilia. «Dal momento che il contributo massimo è pari al 50 per cento dell’investimento complessivo, in realtà i contratti di sviluppo – precisa l’amministratore delegato di Invitalia, Domenico Arcuri – già con questo primo stanziamento, possono attivare risorse pubblico/private fino a un miliardo di euro». Si tratta dunque di un intervento che può davvero diventare un volano degli investimenti e dare una scossa all’economia meridionale. E il primo ambito di applicazione del contratto di sviluppo sarà relativo al rilancio dell’ex stabilimento Fiat di Termini Imerese. Come è possibile oggi accrescere la competitività del Paese, in particolare del Mezzogiorno, e quali sono i settori strategici per lo sviluppo? «Dopo anni di silenzio, che definisco assordante, la questione meridionale sta tornando al centro dell’agenda del Paese. Il merito di questa inversione di tendenza, iniziata nella

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seconda fase del precedente governo e proseguita con l’attuale, è soprattutto del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, da sempre convinto che la crescita del nostro Paese passi anzitutto dallo sviluppo del Sud. Ora, però, occorre impostare una strategia per la crescita del Mezzogiorno davvero nuova. Non solo negli annunci, ma soprattutto nelle soluzioni che si devono individuare. Bisogna puntare su un nuovo percorso, operando finalmente per sottrazione e non per addizione. Le centinaia di incentivi per le imprese, molte delle quali ignote perfino alle aziende che dovrebbero usufruirne, vanno in gran parte abrogate. Va anche ridotta la moltitudine di soggetti che intervengono nelle traiettorie di sviluppo. E poi bisogna guardare alla domanda e non più all’offerta, non calando dall’alto nuove batterie di strumenti e sovrastrutture senza sentire prima dai cittadini del Sud di cosa davvero hanno bisogno». Qual è la potenzialità di una regione come la Sicilia? Esistono esempi di imprese altamente innovative? «Le potenzialità di sviluppo sono simili a quelle che ha il Mezzogiorno nel suo complesso. La Sicilia, da questo punto di vista, presenta situazioni meno critiche rispetto ad altre zone come, ad esempio la Campania o l’area napoletana. Ci sono anche distretti


Domenico Arcuri

A sinstra, Domenico Arcuri, amministratore delegato Invitalia

Il primo ambito di applicazione del contratto di sviluppo sarà relativo al rilancio dell’ex stabilimento Fiat di Termini Imerese

d’eccellenza, come il polo tecnologico catanese, solo per fare un esempio». Il primo marzo è stato presentato a Messina il programma Brevetti+, promosso dal Ministero dello Sviluppo economico e gestito da Invitalia. Come l’iniziativa riuscirà a sostenere le micro, piccole e medie imprese, operanti su tutto il territorio nazionale, che intendono valorizzare i brevetti? «Le nuove agevolazioni che Invitalia gestisce per conto del Ministero dello Sviluppo premiano gli imprenditori che anche nell’attuale fase di crisi decidono di investire nell’innovazione. Questo potenziale di crescita va sostenuto e incoraggiato affinché diventi un efficace strumento di ripresa economica. Inoltre, le agevolazioni sui brevetti vanno anche nella direzione di colmare il gap esistente in questo settore fra l’Italia e gli altri paesi europei». L’Europa ha invitato gli Stati membri a sviluppare l’imprenditorialità nei programmi di studio al fine di di sostenere nel tempo le imprese anche dopo la fase di start up, dato che mediamente il 50% delle imprese non sopravvive ai primi 5 anni di vita. Come può intervenire Invitalia per sviluppare le competenze attraverso i finanziamenti per la creazione d’impresa? «Le misure a disposizione per i potenziali imprenditori sono molte, dall’autoimpiego all’imprenditoria giovanile e al franchising. Sono tutte gestite dall’Agenzia nelle aree del Paese che l’Unione europea riconosce come potenziali destinatarie delle agevolazioni. In un momento di forte crisi come questo si tratta di interventi fondamentali per la crescita soprattutto nelle aree del Mezzogiorno». SICILIA 2012 • DOSSIER • 33


SVILUPPO E INNOVAZIONE

Strategie per la crescita del tessuto imprenditoriale Sviluppo Italia Sicilia, assicura il presidente Umberto Vattani, è più che mai attiva nella diffusione della cultura dell’innovazione e d’impresa e accompagna le aziende alla scoperta di nuove idee di successo Renata Gualtieri

mberto Vattani, presidente di Sviluppo Italia Sicilia, e Marco Romano, presidente del Parco scientifico e tecnologico della Sicilia, hanno siglato nei giorni scorsi un protocollo d’intesa presso l’incubatore di imprese di Sviluppo Italia. L’accordo persegue un obiettivo fondamentale: quello di incoraggiare i giovani a fare ricerca e i nuovi imprenditori a investire. «Attraverso la ricerca e l’innovazione tecnologica – spiega il presidente di Sviluppo Italia Sicilia – si creano nuovi posti di lavoro. Il Parco scientifico e tecnologico è molto attivo nel diffondere la cultura dell’innovazione e Sviluppo Italia Sicilia mette a disposizione delle imprese spazi attrezzati all’interno dei suoi incubatori». È un’iniziativa strategica che mira ad accrescere il grado di attrattività dell’Isola nei confronti degli investitori nazionali ed esteri. I due enti opereranno in sinergia dunque per favorire la crescita del tessuto imprenditoriale siciliano, sostenere la nuova imprenditorialità e facilitare il sistema del trasferimento tecnologico tra mondo della ricerca e le imprese. «È fondamentale però, sottolineano i due presidenti, che a monte della fase di produzione ci sia la valorizzazione dei risultati della ricerca scientifica, così come è significativo creare realtà concrete in cui le nuove menti siciliane possano spendersi». In questa operazione saranno coinvolti anche altri soggetti, sia pubblici che privati, per realizzare azioni di cooperazione e sviluppare progetti comuni. Quale le eccellenze in regione dal punto di vista dell’innovazione?

U A destra, Umberto Vattani, presidente Sviluppo Italia Sicilia

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«Importanti sono in Sicilia le eccellenze nel campo della ricerca e dell’innovazione. Ci sono numerosi centri di ricerca del Cnr: a Messina per le energie rinnovabili e lo sfruttamento dell’idrogeno, a Catania per le nanotecnologie e a Mazara del Vallo per le ricerche in ambiente marino. Negli ultimi anni sono stati creati distretti tecnologici per dar vita a sistemi a rete per il trasferimento dei risultati della ricerca alle imprese». Quali opportunità e strumenti offrono l’incubatore di Catania e quello di Messina per l’avviamento di iniziative imprenditoriali di piccole e medie dimensioni? «Queste due realtà sono delle vere e proprie piattaforme di servizi poste a disposizione di ricercatori e imprenditori per aiutarli a superare la fase più delicata del ciclo di vita aziendale: quella dello start-up. Sviluppo Italia Sicilia ha creato spazi logistici e offre servizi a valore aggiunto cha vanno dalla consulenza aziendale a quella della costruzione e valutazione del business plan».


Umberto Vattani

Stanno nascendo delle realtà interessanti? «Sì, ad esempio, Techlabworks, specializzata nella ricerca e sviluppo di soluzioni hardware e software nel campo dell’e-health; Egeria Pharm, attiva nel campo della cosmesi basata sull’erboristeria; Mosaicoon in quello della comunicazione e del marketing on line; Inquadro, nel settore dell’information technology per l’integrazione di sistemi; Daimar, specializzata nelle strumentazioni avanzate nel campo della ricerca subacquea». È stata avviata una collaborazione sinergica tra il Comune di Mazara del Vallo e Sviluppo Italia Sicilia. A quali iniziative progettuali innovative porterà nei prossimi mesi? «Con Mazara del Vallo, importante distretto della pesca nel Mediterraneo, abbiamo avviato un’intensa collaborazione. L’obiettivo è consentire ad armatori e pescatori siciliani di sviluppare nuovi progetti e partnership con i Paesi del Maghreb. Di questi sviluppi il presidente della Regione siciliana, Raffaele Lombardo, ha parlato recentemente alla presidenza del Consiglio dei ministri».

Gli incubatori d’impresa sono piattaforme di servizi a disposizione di ricercatori e imprenditori per superare la fase dello start-up

Quali i prossimi progetti innovativi per il rilancio dell’Isola? «Sono in corso iniziative con l’Unione per il Mediterraneo di Barcellona per diffondere sempre più nei Paesi del Maghreb il modello energetico siciliano basato sulla generazione distribuita. Dopo il convegno a Palermo con la Banca mondiale, stiamo lavorando con l’Assessorato regionale all’energia in vista di un importante simposio internazionale sulle energie rinnovabili, il risparmio energetico e la mobilità sostenibile. Nel settore agroalimentare stiamo sviluppando nuovi modelli di collaborazione e di marketing al fine di creare nuovi sbocchi ai prodotti siciliani».

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SVILUPPO E INNOVAZIONE

La ricerca che diviene business Incoraggiare le vocazioni imprenditoriali del territorio per attrarre nuovi investimenti e creare occupazione qualificata: sono queste le direzioni intraprese dal Parco scientifico e tecnologico della Sicilia indicate dal presidente Marco Romano Renata Gualtieri

n Sicilia esiste un potenziale di creatività e risorse da valorizzare su cui il Parco scientifico e tecnologico ha deciso di puntare per creare opportunità di sviluppo sostenibile. «Il nostro è un modello di business collaborativo tra ricerca, imprese e territorio, sottolinea il presidente Marco Romano, ed è nostro dovere uscire dai laboratori per trasformare la conoscenza in risultati di ricerca e l’innovazione in business». Sono circa 60 i progetti di ricerca industriale all’attivo, in filiere diversificate fra loro come le nanotecnologie, la microbiologia e le tecnologie agroalimentari, i biopolimeri, l’agroenergia e i beni culturali. Ed è attiva la partecipazione ai tre distretti tecnologici: Sicilia Micro e Nano sistemi, Agrobio e pesca ecocompatibile e Navtec. In apertura del convegno “Ricerca e innovazione per lo sviluppo dell’agrumicoltura e la sostenibilità ambientale”, ha auspicato una sorta di “intelligence integrata” che attra-

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verso la ricerca tecnologica traduca le competenze in sviluppo concreto a beneficio delle aziende sul territorio. Ci può spiegare come ciò può avvenire? «Creare valore con una partecipazione aperta a tutti è la nostra mission: il Parco scientifico e tecnologico della Sicilia intende porsi- e lo fa già da tempo - come gatekeeper della conoscenza, per veicolare i flussi di conoscenza e trasmetterli al territorio. In altre parole si tratta di aumentare quella che si può definire “absorptive capacity” del territorio, cioè la capacità di valorizzare sia il know-how locale che acquisire e sfruttare al meglio quello derivante dalle relazioni esterne ai sistemi locali. La conoscenza, dunque, intesa quale fonte di nuove idee per ottenere posizioni competitive sostenibili, se inserita in un sistema integrato e di condivisione. Dalla ricerca dei laboratori all’applicazione in campo industriale il percorso è articolato: in questo contesto il Pst Sicilia crea innova-


Marco Romano

Marco Antonio Romano, presidente del Parco scientifico e tecnologico della Sicilia

zione attraverso la combinazione di competenze e tecnologie, il coinvolgimento delle migliori realtà imprenditoriali, e la valorizzazione delle vocazioni espresse nella Regione Siciliana». Il Parco si avvale di partenariato internazionale, quali le realtà più prestigiose? «Il Parco fa parte dell’International association of science parks, un network che raggruppa oltre 352 realtà di 72 Paesi di tutto il mondo e che fornisce servizi che guidano la crescita di chi ne fa parte. Questo organismo è membro fondatore della World alliance for innovation (Wainov), la rete globale che raccoglie le principali associazioni di parchi scientifici. L’inserimento in questo network internazionale consente al Parco di sviluppare e potenziare i suoi rapporti, anche al di là dei confini europei: approdiamo in Cina, negli Stati Uniti, passando per la Tunisia, l’Algeria, Malta, Romania, Turchia, solo per citarne alcuni. Ciò consente naturalmente di essere al centro di un fitto sistema di relazioni che vede coinvolti anche grandi imprese e pmi, distretti tecnologici e produttivi, centri di alta formazione, università, bioparchi italiani, enti euro-mediterranei». Il Parco scientifico e tecnologico della Sicilia in quali ricerche strategiche si trova attualmente impegnato? «Presso i nostri laboratori lavorano ogni giorno eccellenze impegnate a coltivare in-

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PROGETTI Quelli attivi nell’ambito della ricerca industriale

72 PAESI

Sono quelli raggruppati nello Iasp, un network di oltre 352 realtà tra cui c’è anche il Parco scientifico e tecnologico della Sicilia

tuizioni per la ricerca e opportunità di investimenti: ne sono la prova brevetti come quello del “sacchetto intelligente” a opera di due nostre biologhe poco più che trentenni, che con un materiale composto da carta e biopolimeri di origine microbica, hanno creato una busta riciclabile al 100%. O ancora il metodo di diagnosi e caratterizzazione rapida che consente di predire il decorso della malattia e di risolvere alla base virus quali la “tristeza” e il “malsecco” che devastano l’agrumicoltura mondiale, particolarmente in Sicilia, dove la malattia è esplosa in forma epidemica da un decennio e raggiunge livelli di infezioni elevate, soprattutto nella fascia sud-orientale». È stato recentemente siglato un protocollo d’intesa tra Sviluppo Italia Sicilia e il parco. A chi è rivolta questa iniziativa e come la collaborazione di questi due soggetti riuscirà a favorire la crescita del tessuto imprenditoriale siciliano? «Attraverso il protocollo, le due istituzioni partecipate dalla Regione si sono impegnate a collaborare per sostenere nuove iniziative imprenditoriali attraverso azioni mirate alla diffusione della cultura d’impresa. Verranno istituiti gruppi di lavoro paritetici che individuano le linee di azioni da seguire: l’intento è quello di mettere a sistema spazi at- SICILIA 2012 • DOSSIER • 37


THE BUREAUX SVILUPPO E INNOVAZIONE BOUGH

Presso i nostri laboratori lavorano ogni giorno eccellenze impegnate a coltivare intuizioni per la ricerca e opportunità di investimenti

trezzati, piattaforme e servizi destinati a startup ad alto contenuto tecnologico; nonché ricercatori ed esperti per contribuire alla diffusione della cultura dell’innovazione. È un disegno organico che accompagna le imprese nella scoperta e nell’impiego di nuove idee di successo». Questa operazione potrà contribuire a potenziare il grado di attrattività dell’Isola nei confronti degli investitori nazionali ed esteri? «I destinatari, e dunque i protagonisti principali del protocollo con Sviluppo Italia Sicilia non possono che essere quei giovani e quelle aziende che desiderano avviare processi virtuosi di creazione e sviluppo d’impresa. È importante che a monte delle filiere produttive ci sia la valorizzazione dei risultati della ricerca scientifica. In questa prospettiva intendiamo coinvolgere i principali attori della finanza, delle professioni e del trasferimento tecnologico, sia pubblici che privati, nazionali ed internazionali». 38 • DOSSIER • SICILIA 2012

Quali i prossimi obiettivi del Parco scientifico e tecnologico della Sicilia? «Il vero traguardo è quando la ricerca diviene business, premiando l’esperienza e la competenza, e tramutandoli in risultati. Tra gli obiettivi a breve termine c’è di certo il progetto “Smart 4 Sicily”: un sistema permanente di sostegno alla ricerca industriale per il trasferimento alle imprese delle tecnologie e dell’innovazione presenti sul territorio. Si tratta di una piattaforma virtuale per il matching tra domanda e offerta di tecnologie, competenze, spazi fisici e finanza. A breve le imprese protagoniste di questa rete, potranno accedere alla piattaforma web delle tecnologie del territorio, pubblicate e condivise da ricercatori con informazioni sulle attività svolte, in corso e future. Incoraggiare le vocazioni imprenditoriali del territorio per attrarre nuovi investimenti e creare occupazione qualificata: sono queste le direzioni intraprese dal Parco scientifico e tecnologico della Sicilia».



SVILUPPO E INNOVAZIONE

Spazio alla creatività giovanile La situazione economica della Sicilia e del Paese può rallentare, ma non impedire, l’iniziativa imprenditoriale. Il presidente del Consorzio Arca, Umberto La Commare, invita i giovani a un cambio di mentalità e alla creazione di start up innovative Renata Gualtieri

l Consorzio Arca ha iniziato la sua attività nel giugno 2003. Da allora sono state vagliate circa 300 idee di impresa e realizzati più di 100 business plan. Fino a oggi sono state avviate 30 imprese, quasi tutte costituite in società a responsabilità limitata. Due imprese sono state poste in liquidazione per scelta dei proponenti. Tutte le altre sono attive e hanno raggiunto diversi gradi di maturità. Il fatturato aggregato di queste aziende, che impiegano circa 100 persone, nel 2011 è stato di quasi 4 milioni di euro. «Si tratta di posti di lavoro ad alta qualificazione – precisa il presidente del consorzio, Umberto La Commare – e sono persone che non sono andate via da Palermo. Due imprese hanno ricevuto investimenti da fondi di venture capital. Tra le imprese che possiamo considerare di successo compaiono Mosaicoon, Bionat, Informamuse, Securproject, Biosurvey». Ma tante altre sono prossime a cogliere importanti opportunità sul mercato. Nonostante la difficile situazione economica come è possibile oggi seminare e far crescere un’idea imprenditoriale sul territorio siciliano? «La situazione economica che viviamo nella nostra regione e nel Paese può rallentare ma non impedire l’iniziativa imprenditoriale. Ciò è tanto più vero quanto più innovative sono le iniziative imprendito-

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Il presidente del Consorzio Arca, Umberto La Commare

riali. Non si tratta di facile ottimismo ma di constatare che lo stock di conoscenze avanzate disponibili in prossimità dei centri di ricerca e delle università potrebbe alimentare moltissime iniziative imprenditoriali. Il limite è piuttosto nella bassa creatività imprenditoriale in grado di elaborare nuovi modelli di business intorno a nuove conoscenze scientifiche. A questo si aggiunge una sorta di blocco mentale che limita nei ricercatori la possibilità di trasferire nuove conoscenze nella società attraverso start up innovative». Attraverso quali attività il consorzio promuove la nascita e lo sviluppo di iniziative imprenditoriali e favorisce il trasferimento tecnologico verso il sistema produttivo e la società siciliana?


Umberto La Commare

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Realtà imprenditoriali fino a oggi avviate dal Consorzio Arca

4 mln FATTURATO Ricavo delle aziende attive nel 2011

«Il Consorzio Arca opera al servizio della comunità scientifica dell’ateneo di Palermo, ma guarda anche ai centri di ricerca presenti sul territorio della Sicilia occidentale. Il percorso di supporto alle start up innovative ha raggiunto, dopo quasi dieci anni di attività, un sufficiente grado di maturità e si articola attraverso tre direttrici principali: stimolare nei giovani l’interesse verso la creatività imprenditoriale, a questo scopo sono stati avviati appositi percorsi didattici rivolti agli studenti di tutte le facoltà dell’ateneo palermitano; supportare i laureati e i ricercatori nella individuazione delle opportunità imprenditoriali legate allo sfruttamento di specifiche conoscenze scientifiche, nella validazione dei relativi modelli di business e infine nella fase di avvio delle iniziative imprenditoriali. Il processo, per garantire buone probabilità di successo deve essere fortemente selettivo. Solitamente, su 10 idee vagliate solo una viene ammessa alla fase di incubazione. Fare sviluppare in un ambiente protetto dalle insidie del mercato le iniziative imprenditoriali cercando,

da un lato, di ridurre i rischi di impresa e, dall’altro, di accelerare l’immissione di prodotti e servizi sul mercato attraverso specifiche attività di mentoring imprenditoriale. Accanto a questo percorso le imprese incubate beneficiano dal confronto che si innesca nella comunità dell’incubatore tra soggetti portatori di background scientifici diversi che spesso producono soluzioni particolarmente innovative». La creazione di imprese innovative costituisce per i giovani un’occasione per uscire dalla crisi del mondo del lavoro. Che opportunità ha già offerto e potrà offrire ai giovani palermitani? «Il tema del lavoro è oggi centrale in tutto il mondo, è forse la prima emergenza. Ma sempre più posti di lavori qualificati saranno creati valorizzando competenze scientifiche abbinando alla creatività scientifica e tecnologica quella imprenditoriale. I giovani palermitani devono acquisire la consapevolezza che il futuro dipende da loro. Spetta alle generazioni che hanno oggi maggiori responsabilità creare le condizioni perché questo possa avverarsi». Quante imprese innovative e all’avanguardia nascono dalle aule universitarie a Palermo? «Il potenziale imprenditoriale che ruota intorno all’Università di Palermo è enorme, ma stenta a manifestarsi. Ci sono però di sicuro moltissimi frutti da raccogliere. Ma ci dobbiamo impegnare di più a far cambiare atteggiamento ai giovani, spronandoli ad avere più fiducia nelle loro possibilità e mettendoli nelle condizioni di esprimere il loro potenziale in ambienti dove possono liberare la loro creatività imprenditoriale». SICILIA 2012 • DOSSIER • 41



CREDITO & IMPRESE

UNA MORATORIA A SOSTEGNO DELLE IMPRESE IN SICILIA PER USCIRE DALLA CRISI ECONOMICA SI PUNTA SULLA COOPERAZIONE TRA MONDO PRODUTTIVO E SISTEMA BANCARIO. LA MORATORIA ABI NE È UN ESEMPIO La nostra economia sta attraversando una battuta d’arresto che sembra essere particolarmente duratura. Non soltanto l’Italia, ma tutto il sistema economico occidentale sembra faticare a trovare la strada per uscire da una situazione di stallo e di recessione. In Sicilia la situazione non sembra essere diversa rispetto allo scenario globale. Con il 7,6% delle aziende d’Italia e un export che corrisponde al 2,8% del totale nazionale, l’economia dell’isola soffre innanzitutto di due problemi fondamentali: la carenza di infrastrutture e la difficoltà da parte delle aziende di riscuotere i pa-

gamenti dalla pubblica amministrazione. Da ciò ne deriva il ruolo fondamentale delle banche in una dinamica stretta tra debito e necessità di investire nella crescita. È proprio la facilità di accedere al credito e la maggior disponibilità di risorse finanziare a poter rendere possibili investimenti e nuove occasioni di sviluppo, entrambi fondamentali per poter uscire dalla crisi. Occorre consolidare ulteriormente la collaborazione tra sistema bancario e sistema delle imprese per dare una spinta sempre di più efficace alla produttività. In questa direzione intendono muoversi

l’Abi Sicilia e le altre associazioni di rappresentanza del mondo produttivo siciliano siglando l’accordo per il credito alle pmi dello scorso 28 febbraio che prevede la sospensione o la moratoria per le imprese di ogni settore del pagamento dei mutui e dei debiti contratti con le banche. In questo senso, di sostegno e di spinta alla crescita, si muovono gli oltre 28 milioni di euro di finanziamento erogati dalle banche siciliane nel primo semestre 2011 alle imprese dell’Isola (fonte: Osservatorio per il monitoraggio dei prodotti e dei servizi bancari della Regione Siciliana). SICILIA 2012 • DOSSIER • 43


CREDITO & IMPRESE

PER LE AZIENDE SICILIANE È ORA DI METTERSI IN RETE La carenza di infrastrutture, la presenza “ingombrante” del settore pubblico, con i ritardi nei pagamenti, sono soltanto due dei problemi che rallentano l’economia siciliana. Roberto Bertola illustra le soluzioni proposte dal sistema bancariot Teresa Bellemo

a crisi economica continua a colpire, soprattutto in quei settori in cui non si è riusciti a fare una buona opera di prevenzione, compattando e rendendo più solide le strutture aziendali che li componevano. Molte aziende siciliane, infatti, godono di una scarsa capitalizzazione, non adeguata allo scenario competitivo e globale che oggi chi fa impresa necessariamente si trova di fronte. Inoltre, l’Isola paga una sostanziale carenza di infrastrutture che spesso evidenzia quanto non si tenga conto della loro importanza per uno sviluppo più sistematico e meno legato all’iniziativa del singolo imprenditore. La crisi finanziaria dei mercati e la successiva crisi economica hanno messo in evidenza la debolezza e l’inadeguatezza di tante imprese nell’affrontare i mercati. La piccola dimensione non consente di competere con imprese estere maggiormente strut-

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turate e più capaci di investire. «Unicredit ha deciso di focalizzare la propria attenzione sulla crescita del sistema delle reti nei nostri territori, mettendo in atto alcune iniziative, tra queste c’è la creazione di un servizio per agevolare i contratti di rete, con filiere decisionali dedicate e l’individuazione di esperienze simili già in atto da curare per estenderle come “migliori pratiche” da imitare». Ne parliamo con Roberto Bertola, presidente della commissione Abi Sicilia e responsabile di Unicredit per la Sicilia. Qual è lo stato di salute delle aziende siciliane? «La grande presenza del settore pubblico ha protetto in questi anni la Sicilia da una crisi che oggi colpisce in maniera ancora più forte. L’attuale situazione, tuttavia, può rappresentare un’opportunità di crescita. È vero che la Sicilia su alcune voci è indietro rispetto al resto d’Italia, ma oggi il compito è quello di ro-


vesciare la piramide. La Sicilia, infatti, ha una popolazione pari all’8,4 per cento del dato nazionale, mentre le imprese costituiscono il 7,6% del totale nel Paese, la contribuzione al Pil nazionale è del 5,7%, quella all’export è del 2,8, percentuale che scende allo 0,90 se non si considera il petrolio. La quota di ricerca nel settore privato è ancora più contenuta, pari all’1,6% del dato globale. Ecco allora che rovesciare la piramide significa portare questi valori delle imprese almeno a quello della popolazione. I prestiti alle imprese nel 2011, nonostante il rallentamento dell’ultimo mese di dicembre, sono cresciuti in Sicilia del 6,5% contro una media nazionale del 2,8%». Il ritardo nei pagamenti da parte della pubblica amministrazione è uno dei principali punti di corto circuito per un’azienda, soprattutto in Sicilia dove il pubblico rappresenta il 40 per cento del Pil. Quali possono essere gli strumenti per limitare e risolvere questo problema? «In Sicilia stiamo portando avanti un’azione concreta. Abbiamo stipulato oltre 20 convenzioni con comuni siciliani, tra i quali Marsala, Monreale, Noto, Sciacca, Siracusa, che ci consentono come banca di anticipare il pagamento delle fatture emesse dai fornitori dell’ente per la fornitura di beni e le prestazioni di servizi. Le convenzioni, rese possibili dal fatto che Unicredit svolge il servizio di te-

soreria per questi enti locali, prevedono che i Roberto Bertola, fornitori dei Comuni conferiscano alla banca presidente della commissione regionale un mandato irrevocabile all’incasso della fat- Abi Sicilia e tura che sarà oggetto dell’anticipazione cre- responsabile di ditizia e che l’ente pubblico certifichi il pro- Unicredit per la Sicilia prio debito nei confronti del fornitore». In alcuni casi la difficoltà di accedere al credito porta l’imprenditore a ricorrere all’usura. Come possono le banche ridurre questa eventualità che spesso si rivela una via senza uscite? «Uno degli strumenti che stiamo utilizzando in questo periodo è il microcredito alle imprese. Uno di questi è il fondo Jeremie, lanciato congiuntamente dalla Commissione europea e dal Fondo europeo per gli investimenti, per promuovere la crescita e facilitare l’accesso al credito delle piccole imprese, con particolare attenzione a quelle operanti nel settore artigiano e del commercio, mediante il ricorso ai Fondi strutturali europei stanziati per il periodo 2007-2013. Il plafond complessivo messo a disposizione delle piccole imprese con sede legale o unità produttiva nel territorio siciliano è di 20 milioni di euro, di cui 9 di fondi Fei e 11 di fondi della banca. L’importo massimo del finanziamento concedibile è di 25.000 euro, a un tasso convenzionato agevolato e con durata massima di 48 mesi». Quanto e cosa il sistema bancario siciliano può fare per iniettare fiducia al sistema im- SICILIA 2012 • DOSSIER • 45


La Sicilia contribuisce per il 2,8 % all’export nazionale, ma scende allo 0,9% se non si considera il petrolio prenditoriale? «Nei giorni scorsi l’amministratore delegato di Unicredit, Federico Ghizzoni, ha annunciato che per sostenere l’economia italiana il nostro gruppo è pronto allo stanziamento di 40 miliardi di credito in più alle imprese e 35 miliardi di nuovi finanziamenti per le famiglie. Inoltre, Unicredit si impegna a supportare il percorso di internazionalizzazione delle imprese italiane attraverso fra l’altro un percorso di facilitazione nella ricerca di clienti all’estero, basato sull’accesso alla rete delle relazioni internazionali della banca. Questo piano interesserà quindi anche la Sicilia. Nelle prossime settimane presenteremo poi in tutte 46 • DOSSIER • SICILIA 2012

le città siciliane i Piani di Sviluppo di Territorio che abbiamo progettato analizzando la vocazione economica e le opportunità imprenditoriali di ciascun territorio per potere apprestare iniziative promozionali, piani di finanziamento ad hoc. Siamo poi molto impegnati in Sicilia nel settore del turismo congressuale con il Sicilia Convention bureau, società partecipata al 100% da Unicredit, che opera per far conoscere l’offerta congressuale proposta dalle migliori strutture specializzate nel settore, in grado di puntare sulla qualità e sulle opportunità offerte da una regione che si contraddistingue per bellezze naturali, artistiche e condizioni climatiche».


IL CREDITO, LINFA DELLE IMPRESE Soffocate dalla burocrazia e dalla difficoltà di ottenere finanziamenti dalle banche e pagamenti dalla pubblica amministrazione, le imprese siciliane faticano a uscire dalla crisi. L’opinione di Davide Durante, presidente di Confindustria Trapani Teresa Bellemo

no dei problemi più complessi per le aziende siciliane è certamente l’accesso al credito. Questo non riguarda soltanto la funzionale disponibilità finanziaria per investimenti e crescita aziendale, ma anche la difficile riscossione dei crediti vantati dalle aziende nei confronti della pubblica amministrazione. Il risultato di questo scenario è un corto circuito: da una parte le aziende non possono investire e, dall’altra, l’intera regione non può beneficiare delle sue potenzialità, in termini di produzione e occupazione. Non solo, la difficoltà a ottenere credito da parte di chi lo deve e dalle banche sottoforma di prestiti e finanziamenti determina un indebolimento dell’imprenditore, rendendolo più facilmente bersaglio dell’usura e della criminalità organizzata. In questo senso tenta di muoversi l’operato di Confindustria Trapani e del suo presidente, Davide Durante. «Tra gli strumenti utilizzabili a tutela delle imprese c’è di sicuro il Fondo di garanzia, sul quale anche il Governo Monti sembra aver puntato molto.

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Affiancandogli una riforma efficace del credito agevolato e una politica di incentivazione sugli investimenti, con interlocutori e tempi certi, forse si potrebbe dare una significativa scrollata alla stagnazione di questi ultimi anni evitando che la stessa possa definitivamente tradursi in una depressione dalla quale potrebbe risultare veramente difficile, se non impossibile, tirarsi fuori». Cosa sta facendo la Regione e cosa può fare ancora per iniettare fiducia al sistema imprenditoriale siciliano? «La Regione dovrebbe semplicemente limitarsi a fare il proprio dovere nella programmazione di investimenti che facciano ripartire l’economia e nella puntualità dei pagamenti verso le imprese; ha in mano gli strumenti di programmazione dei bandi che fanno leva sulle misure finanziate dalla Comunità europea ma l’immobilismo di questi anni ha di fatto azzerato gli effetti moltiplicatori che avrebbero potuto avere. D’altro canto, l’amministrazione regionale ha fatto tabula rasa di quei pochi strumenti che in passato avevano SICILIA 2012 • DOSSIER • 47


CREDITO & IMPRESE

dato respiro al sistema economico. Mi riferi- blica amministrazione è uno dei principali sco all’Istituto regionale per il finanziamento alle industrie in Sicilia, che deve tornare a essere un vero sistema di mediocredito per le imprese siciliane; al sostegno ai consorzi fidi, che oggi rappresentano uno strumento indispensabile a sostegno delle aziende. La Regione può, inoltre, intervenire nella promozione delle nostre produzioni, per incentivare l’uso dei prodotti siciliani all’estero e semplificare la farraginosa macchina burocratica». Le aziende cosa possono mettere in campo per uscire da questo momento di difficoltà? «Le aziende devono fronteggiare la contingenza della grave crisi economica e la crisi finanziaria. La stretta creditizia da una parte, con le banche che non erogano credito, dall’altra i crediti vantati sia nei confronti della pubblica amministrazione che nei confronti delle altre aziende, a loro volta in crisi, bloccano l’economia, con un’emorragia inarrestabile di imprese e quindi di posti di lavoro. Le aziende devono puntare sulla internazionalizzazione, investire in formazione, qualità, ricerca scientifica per essere competitive, solo così possono confrontarsi con la globalizzazione dei mercati. Le imprese devono districarsi ogni giorno, però, in un ginepraio di norme da rispettare di obblighi e di oneri. Devono fronteggiare un costo del lavoro molto elevato, un’Irap con un’aliquota molto alta; tutto ciò proponendo sul mercato prodotti che vanno in concorrenza con altri provenienti da paesi dove tutte queste regole non esistono». Il ritardo nei pagamenti da parte della pub-

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punti di corto circuito per un’azienda, soprattutto in Sicilia dove il pubblico rappresenta il 40 per cento del Pil. Quali possono essere gli strumenti per limitare e risolvere questo problema? «Oggi il problema dei ritardi non si risolve se non ci si siede a un tavolo comune: azienda, banca e pubblica amministrazione. Stiamo appunto cercando di aprire un tavolo di confronto e di discussione con i rappresentanti dell’Abi Sicilia, onde trovare insieme delle soluzioni sostenibili per le imprese. Uno degli obiettivi è individuare insieme quegli strumenti compatibili con i tempi ridotti che ci vengono imposti: dal primo gennaio 2012 è obbligatorio effettuare la segnalazione degli sconfinamenti dopo 90 giorni e non più dopo 180, per allinearsi a quanto avviene in Europa. Si era parlato di certificazione del credito, ma tale strumento non ha avuto buon esito. Per le imprese il massimo sarebbe riuscire a trovare una soluzione attraverso la cessione pro-soluto dei crediti vantati nei confronti della pa. Sarebbe sicuramente costoso, ma non quanto le conseguenze derivanti dalle segnalazioni dei ritardi degli incassi. Il rischio, infatti, è di porre le aziende fuori dal circuito legale del credito che, tradotto, significa creare nuovi soggetti che possono essere facile preda dell’usura e della criminalità organizzata. La soluzione potrebbe passare anche attraverso a dei prestiti ponte realizzati anche con il supporto del confidi e un’auspicabile maggiore elasticità delle banche».


CRESCITA E SOLIDITÀ FINANZIARIA Insieme alle associazioni di categoria, la Compagnia delle Opere offre supporto e servizi alle imprese associate. Due le parole d’ordine: formazione e sostegno Teresa Bellemo

n questo momento di difficoltà risulta fondamentale per le aziende avere la possibilità di poter avere una corsia preferenziale, o quantomeno fluida, per l’accesso al credito. Questo però non può prescindere dall’avere un rigoroso assetto finanziario e societario. Proprio sotto questo aspetto le aziende siciliane devono fare quadrato, migliorandosi e strutturandosi maggiormente. A sottolinearlo è Carlo Saggio, presidente della Compagnia delle opere della Sicilia orientale, che da più di dieci anni fa da supporto ad aziende, società e associazioni siciliane. Quali sono le iniziative messe in campo dalla Compagnia delle opere per ridurre il gap tra sistema creditizio e imprese? «La riduzione di questo gap è uno degli obiettivi fondamentali che ci siamo dati per i prossimi anni, per questo è nato un nuovo progetto, il “Pmi tutoring”. Alle tradizionali convenzioni bancarie, che in molti casi conservano la loro utilità, stiamo affiancando un‘attività più mirata di avvicinamento dell’impresa al sistema del credito. Si tratta di un progetto innovativo, condiviso con l’imprenditore e la banca partner, finalizzato a facilitare l’accesso al

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credito delle aziende associate. Concretamente, la Compagnia delle opere analizza le dinamiche e le esigenze finanziarie dell’impresa, realizzando un dossier analitico al fine di predisporre un percorso di accesso al credito». Una maggiore diffusione del microcredito può essere una soluzione da una parte per una maggiore liquidità per le piccole aziende in difficoltà e dall’altra per inserire quei “soggetti non bancabili” in un circolo positivo di fiducia? «Bisogna ripensare il sistema di erogazione del credito, anche con il coinvolgimento delle associazioni di imprenditori, in modo da raggiungere anche le piccole aziende. Siamo perfettamente coscienti che parlare di microcredito non significa erogare contributi a pioggia senza controllo e garanzie. Riuscire ad accedere al credito, però, è fondamentale per la sussistenza e lo sviluppo delle imprese che operano nel nostro territorio. È dunque necessario un grande sforzo da parte del sistema bancario e delle associazioni di categoria per individuare forme di erogazione di finanziamento che tengano conto della particolare natura e delle dimensioni dei soggetti economici».

Sopra, Carlo Saggio, presidente della Compagnia delle opere della Sicilia orientale

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MODELLI D’IMPRESA

Le imprese siciliane guardano oltremare Diversificazione e internazionalizzazione: ecco le chiavi per sconfiggere la crisi e assicurarsi un futuro di crescita e stabilità. L’esperienza di Carmelo Fiorilla, dai ricambi e dalla manutenzione per autobus alla scommessa della mobilità elettrica Guido Puopolo

trette nella morsa della crisi le imprese italiane, per riuscire a superare questa fase di difficoltà, sono chiamate ad attuare nuove strategie produttive e gestionali, per non perdere competitività e ritagliarsi così nuovi spazi sui mercati. Una strada, questa, intrapresa con largo anticipo dalla Riam Spa, azienda di Vittoria (RG) fondata nel 1983 e affermatasi, nel tempo, come una realtà leader nel settore della fornitura di ricambi meccanici e di carrozzeria per veicoli industriali pesanti, leggeri e autobus. «In origine lavoravamo con Enti Pubblici e clienti privati, ovvero officine specializzate e ricambisti, utilizzando esclusivamente dei canali di vendita standard», afferma il suo fondatore e presidente, Carmelo Fiorilla, che nella sua attività è affiancato

S Il presidente di Riam Spa, Carmelo Fiorilla, insieme alla moglie Luisa e alle figlie, Germana e Leandra. L’azienda ha la sua sede a Vittoria (RG) www.riamspa.it www.18way.it

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dalla moglie Luisa e dalle figlie Germana e Leandra. «Oggi invece la nostra offerta di servizi si è anche estesa al web, offrendo la possibilità di acquistare on-line tramite un portale di e-commerce. Ma, soprattutto, il nostro sguardo volge oramai da alcuni anni al mercato estero, dove stiamo collaborando in un’importante joint venture con un governo straniero, senza dimenticare la Libia e l’area araba in genere, dove ci sono Paesi con notevoli risorse da investire». Come mai questa scelta? «Le piccole e medie imprese rappresentano la spina dorsale del nostro Paese, la parte che produce ricchezza e posti di lavoro. Però il sistema italiano, caratterizzato da una burocrazia opprimente e da una cronica difficoltà di accesso al credito, non sembra in grado di tutelare e valorizzare efficacemente questo patrimonio. Tali considerazioni ci hanno portato a volgere la nostra attenzione anche a una nuova tipologia di clientela, raggiungibile tramite canale web - social network ed e-commerce - verso quei Paesi esteri che non hanno risentito della crisi europea». Quali sono le peculiarità alla base del vostro lavoro? «Dinamicità e flessibilità ci hanno permesso di conquistare la fiducia di aziende internazionali di primissimo livello, con uno staff preparato a gestire rapporti e commesse in lingua straniera. Tutti i nostri ricambi, inol-


Carmelo Fiorilla

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Volgiamo da tempo la nostra attenzione verso quei Paesi esteri che non hanno risentito della crisi europea

tre, prima di essere immessi sul mercato, sono sottoposti a rigidi controlli e collaudi, in accordo con le più stringenti normative comunitarie, a testimonianza di un costante impegno nella ricerca di prodotti di assoluta qualità». Oggi però Riam è una realtà sfaccettata, con interessi in diversi ambiti produttivi. «È vero. Dall’esperienza trentennale maturata da Riam in ambito di assistenza e fornitura di ricambi per autobus, nel 2009 è nata la Fibus Srl, officina autorizzata Man che in breve tempo è riuscita ad acquisire importanti commesse su scala regionale, fornendo un servizio di assistenza diretta alle principali aziende di trasporto pubblico siciliane. Siamo orgogliosi di poter annoverare tra i clienti di Fibus anche Emergency, l’organizzazione umanitaria che periodicamente effettua presso la nostra officina i controlli legati alla manutenzione ordinaria e straordinaria dei suoi mezzi. Siamo inoltre Partner Ufficiale della più grande azienda pubblica di trasporto siciliana, AST Spa».

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Per quel che riguarda la mobilità elettrica, invece, avete dato vita a 18way. A quale tipologia di utenti si rivolgono prevalentemente i prodotti commercializzati? «Commercializziamo le cosiddette Golf Car, utilizzate all’interno dei Golf Club, ma anche in strutture ricettive, alberghiere e turistiche. Ci sono poi i veicoli omologati per il traffico stradale, che assicurano la libera circolazione anche nei centri storici cittadini e nelle zone a traffico limitato. Un’importanza crescente sta infine assumendo il comparto dei cosiddetti “Scooter Mobility”, ausili distribuiti anche dalle USL, ideali per la circolazione in completa autonomia di anziani e disabili, che sono sempre più richiesti dagli utenti. Al momento siamo l’unica realtà siciliana autorizzata all’importazione, all’assemblaggio e alla commercializzazione di questi mezzi ed è per noi una grande soddisfazione poter contribuire, nel nostro piccolo, a migliorare concretamente la qualità della vita di persone che, in questo modo, possono tornare a svolgere tutte quelle attività quotidiane che altrimenti sarebbero loro precluse». SICILIA 2012 • DOSSIER • 53


MODELLI D’IMPRESA

Progettazione e sviluppo nel settore serramenti Ricerca, sviluppo e progettazione. Queste le voci di investimento principali per rispondere alle richieste di un mercato sempre più esigente. L’esperienza di Giovanni Crimi Lucrezia Gennari

pesso, è proprio dietro i prodotti apparentemente più semplici che si cela un complesso lavoro di ricerca e progettazione. Gli investimenti, in quest’ottica, sono mirati a rendere l’oggetto il più sicuro, pratico e funzionale possibile. È questa la visione di Giovanni Crimi, titolare del Gruppo Comas che comprende la Comas Srl e la Sial Srl. La prima è una realtà di spicco nella distribuzione di profilati in alluminio e accessori, che al suo tradizionale core business, ha affiancato la produzione dei cassonetti e monoblocchi isolanti “Zeta”, dei controtelai in acciaio zincato “Flash” e di

S Entrambe le aziende del gruppo Comas hanno sede ad Alcamo (TP) www.comasgroup.it

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serrande in lamiera zincata, alluminio e acciaio coibentato. La Sial, invece, è stata fondata nel 1998 dalla famiglia Crimi per riuscire a soddisfare le esigenze di un mercato sempre più complesso e variegato e si occupa della produzione di cassonetti a scomparsa coibentati, prodotti finiti e semilavorati in alluminio e legno, tapparelle e serrande in acciaio e alluminio schiumate al polipropilene. «Il gruppo Comas – spiega Giovanni Crimi - è sempre in continua fase di ricerca e progettazione di nuovi sistemi capaci di rispondere alle svariate richieste del mercato. Nello stabilimento produttivo di Alcamo, con l'aiuto di collaboratori qualificati, miriamo a realizzare prodotti resistenti, affidabili e nel contempo semplici da installare, in modo da facilitare il lavoro dei serramentisti». A questo scopo, la produzione artigianale è coadiuvata da macchine automatizzate di ultima generazione e costanti sono gli investimenti delle aziende proprio sull’innovazione tecnologica e il parco macchine. Scrupolosi controlli vengono inoltre eseguiti dal personale lungo tutto il processo produttivo permettendo di realizzare prodotti sicuri e di qualità, marcati CE nel rispetto delle normative Uni En 13659 e Uni En 13241-1. Innovazione e sviluppo nella produzione hanno consentito alla Comas, negli anni, di guadagnare fette di mercato, ampliando i vo-


Giovanni Crimi

lumi delle vendite e offrendo così sempre nuove soluzioni al mercato di sbocco. «Nell’arco di un decennio, la Comas ha vissuto una rapida crescita, affermandosi sul mercato siciliano – continua Giovanni Crimi – e la qualità dei prodotti realizzati permette oggi all’azienda di affacciarsi sempre più frequentemente anche nel mercato nazionale. La forte espansione commerciale e territoriale ci ha richiesto un notevole impegno, a livello gestionale e organizzativo. Gli investimenti hanno riguardato ogni aspetto del complesso aziendale: è stata più volte ridisegnata e affinata la struttura amministrativa, riorganizzata la rete commerciale e distributiva e, attraverso adeguamenti e ammodernamenti, lo stabilimento è stato dotato di tutte le tecnologie necessarie alle produzioni, alle ottimizzazioni per la movimentazione interna delle merci e di tutte le certificazioni atte al legale svolgimento dell’attività». Il mercato di sbocco principale della Comas è quello delle province di Trapani, Palermo e Agrigento e in parte della Sicilia orientale, e coinvolge esclusivamente i serramentisti. Pertanto, nell’ottica di un’offerta sempre più vasta, completa e capillare nel 1998 è nata anche la Sial, che allo stato attuale si occupa della produzione di cassonetti a scomparsa coibentati, di cui offre una vastissima gamma (oltre 30 modelli) per rispondere a ogni tipo di esigenza. Realizza inoltre prodotti finiti e semilavorati in alluminio e legno, nonché tapparelle e serrande in acciaio e alluminio schiumate al polipropilene. La Sial opera con successo su tutto il territorio nazionale, e negli anni è diventata azienda leader nel suo mercato di riferimento, commercializzando anche sistemi

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Miriamo a realizzare prodotti resistenti, affidabili e nel contempo semplici da installare, in modo da facilitare il lavoro dei serramentisti

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per controtelai in acciaio zincato. I risultati conseguiti dalla Sial, anche in termini di fatturato, sono senz’altro positivi, avendo mantenuto persino negli ultimi anni di crisi economica un trend di crescita. Una tendenza positiva che riguarda entrambe le realtà del gruppo: «il gruppo Comas ha chiuso il 2011 con numeri soddisfacenti – conclude Giovanni Crimi -. L’inserimento di una nuova gamma di prodotti e l’ampliamento della rete di vendita ci hanno permesso di raggiungere gli obiettivi di crescita che ci eravamo prefissati e ci auguriamo di continuare in questa direzione anche per tutto il 2012». SICILIA 2012 • DOSSIER • 57


MODELLI D’IMPRESA

Le reti come risposta locale nel mercato globale Una rete integrata per lo sviluppo e la tutela ambientale. Giuseppe Tringali presenta gli obiettivi di ottimizzazione delle procedure di sviluppo di sinergie per la competitività sul mercato domestico e internazionale degli idrocarburi Valerio Germanico

l mercato petrolchimico europeo e, in maggiore misura, quello nazionale, mostrano segni congiunturali di stagnazione della crescita economica. Questi pongono le aziende di fronte alla necessità di individuare nuovi mercati che garantiscano maggiori opportunità di profitto. Per questo dalle società NICO ed ECONOVA CORPORATE di Priolo Gargallo, entrambe proprietà della famiglia Balistreri, è nata NERISTA, una rete integrata per lo sviluppo e la tutela ambientale che ha come obiettivi l’attività di ricerca relativa al processo di trattamento dei fanghi provenienti dalle attività di bonifica di serbatoi e impianti petrolchimici e da siti contaminati da idrocarburi (tank cleaning), la realizzazione di un laboratorio di analisi

I NICO Spa ed ECONOVA CORPORATE Spa hanno sede a Priolo Gargallo (SR) www.econovaspa.it www.nicospa.eu

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a supporto delle attività svolte dalle aziende partecipanti al contratto di rete e l’internazionalizzazione delle aziende in prospettiva dell’ingresso in nuovi mercati. «NERISTA – spiega Giuseppe Tringali, technical manager presso ECONOVA CORPORATE, membro dell’environmental management system presso NICO e coordinatore dell’ufficio direzionale di NERISTA – ha individuato questi mercati nei paesi emergenti del golfo Persico, del Brasile, dell’Asia e dell’Europa Orientale. E a questi offre una gamma di servizi completi, che rappresentino soluzioni a livello di best practice su aspetti rilevanti nell’economia di uno stabilimento industriale, come la gestione dei rifiuti, le manutenzioni specialistiche, le bonifiche e la gestione dello zolfo liquido come sotto-


Giuseppe Tringali

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Puntiamo a definire nuovi standard di processo, ottimizzando alcune fasi operative relative al trattamento dei fanghi industriali

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prodotto della raffinazione del petrolio». La rete NERISTA è stata costituita nella seconda metà del 2011, a comporla NICO ed ECONOVA CORPORATE: la prima è una società di servizi industriali – gestione rifiuti, manutenzioni specialistiche, bonifiche ambientali –, la seconda realizza la solidificazione dello zolfo liquido delle raffinerie. «Abbiamo già affrontato i primi adempimenti necessari alla creazione di un ufficio direzionale che si possa occupare della progettazione di nuovi impianti industriali e della gestione dei processi produttivi, con particolare riguardo al settore della bonifica di siti contaminati e alla ricerca di processi gestionali e produttivi per la solidificazione dello zolfo e le future opportunità commerciali. Inoltre, entro la prima metà del 2012 sarà realizzato un laboratorio chimico per il controllo qualità sui prodotti in ingresso e in uscita. Quest’anno ci auguriamo di raccogliere i primi risultati dalle attività di programmazione e coordinamento, che hanno caratterizzato i primi mesi di vita della rete. Puntiamo a definire nuovi standard di processo, ottimizzando alcune fasi

operative relative al trattamento dei fanghi industriali e a individuare nuovi mercati per lo zolfo solido a elevato grado di purezza». Questi, che contengono acqua, composti organici oleosi e sedimenti, vengono sottoposti a un trattamento di centrifugazione per separarne le componenti. «Ciò sia nell’ottica del recupero delle sostanze che ancora presentano un valore commerciale, sia per minimizzare la quantità che dovrà essere smaltita. Riuscire a massimizzare la separazione tra le fasi comporta un notevole vantaggio economico, con la possibilità di riutilizzo dei prodotti ottenuti all’interno dei processi industriali». NERISTA è stata costituita per mettere a fattore comune le potenzialità di due aziende che, operando in ambiti affini, possono sviluppare sinergie tecniche, operative e gestionali capaci di accrescere la qualità del servizio, semplificare alcune fasi operative e ridurre i costi di quelle prestazioni – anche riguardanti il marketing e la ricerca di nuovi mercati. «NICO esiste dal 1977 nell’ambito dei servizi di manutenzione specialistica agli impianti petrolchimici e alle raffinerie di petrolio. Annovera tra i principali clienti i più importanti gruppi nazionali e multinazionali, come Eni, Erg, Lukoil, Exxon Mobil, Sasol Italy. Invece, ECONOVA CORPORATE nasce nel 1991 per la solidificazione dello zolfo liquido proveniente dagli impianti di desolforazione delle raffinerie di petrolio del gruppo Lukoil della zona industriale di Augusta, Priolo, Melilli, dell’impianto di Isab Energy per la produzione di energia elettrica, della raffineria di Milazzo e della Raffineria di Gela». SICILIA 2012 • DOSSIER • 59


SERVIZI

Con i tagli i Comuni razionalizzano e società partecipate dai Comuni sono state molto probabilmente le prime a fare i conti con il taglio delle spese e dei fondi a disposizione per i servizi sul territorio. Con quali strategie stanno reagendo i comuni siciliani? Ne parliamo con Antonio Guastella, dall’aprile 2011 amministratore delegato della società in house Servizi per Modica. Spm è la multiutility che gestisce i due depuratori della città, l’approvvigionamento idrico su gomma, cura la manutenzione e riparazione idrico-stradale, le pulizie dei beni immobili del Comune e del palazzo di giustizia, gestisce la clorazione delle acque e manutenzione del verde pubblico. «L’obiettivo principale che ci siamo dati come Spm – di fronte a una minore disponibilità di risorse – è quello di limitare il più possibile l’esternalizzazione dei servizi. Questo si traduce, da una parte, in un risparmio per le casse comunali, attraverso la riduzione del ricorso a ditte private e all’organizzazione di appalti pubblici. Dall’altra in una crescita delle attività e dei servizi che la nostra società è portata a svolgere». Qual è la strategia che state attuando per mantenere il maggior numero di servizi sotto la vostra gestione e non determinare al contempo una crescita dei costi, dato che l’obiettivo è quello della razionalizzazione? «La strategia per ottenere un maggior risparmio nei costi prevede alcuni interventi, come la riduzione massima dello straordinario – o l’assegnazione dello straordinario in “compensazione” delle ferie – e la ricerca di fornitori che propongano prezzi migliori, ricercandoli anche fuori dalla provincia. A questi si somma la valorizzazione massima delle competenze già pre-

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Il bilancio di un anno di amministrazione di Antonio Guastella della multiutility Servizi per Modica. I principali risultati raggiunti sono passati attraverso la valorizzazione e l’ottimizzazione delle risorse interne alla società Valerio Germanico

senti, sfruttando per esempio le specializzazioni di alcuni nostri dipendenti per interventi di piccola manutenzione da effettuare all’interno dell’azienda stessa. Al contempo abbiamo cercato di immettere nel sistema un maggiore senso di responsabilità individuale, scoraggiando l’assenteismo con l’installazione di una serie di postazioni di controllo elettronico delle presenze e sostituendo i cosiddetti “fogli di presenza” con un badge». Quali sono stati i risultati più importati conseguiti nel corso del 2011? «Grazie a questi interventi, nel primo anno della mia amministrazione sono riuscito a far gestire a Spm un numero maggiore di servizi, con un incremento della qualità rispetto al passato e questo mantenendo la stessa quantità di personale. Tutti i servizi sono stati potenziati e miglioranti, dal servizio di riparazione idrico-

Antonio Guastella, amministratore delegato della Servizi per Modica Srl www.servizipermodica.it


Antonio Guastella

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Spm ha mantenuto la stessa quantità di personale e gestito un numero maggiore di servizi, incrementando la qualità

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stradale alla pulizia e manutenzione del verde pubblico. Ma soprattutto abbiamo è raggiunto il massimo livello di qualità nella depurazione delle acque». Il tema idrico in Sicilia resta uno dei più delicati. Quali saranno gli interventi principali su questo fronte che vedranno impegnata Spm? «La nostra è una città antica e con tubazioni obsolete: le perdite di acqua mensili sono stimate in centinaia di litri. Oggi, con il potenziamento delle nostre squadre specializzate nella riparazione idrica riusciamo a intervenire tempestivamente sulle numerose perdite giornaliere che interessano le condotte idriche situate sotto la città di Modica. Per quanto riguarda i depuratori, sono riuscito a far istallare una nuova cabina elettrica di maggiore potenza – ottenendo così il funzionamento di più macchinari senza più interruzioni. L’efficienza del nostro impianto di depurazione è tale che ci permette di recuperare l’acqua e di riutilizzarla per le irrigazioni. Questo è possibile grazie al lavoro svolto dai dipendenti della Spm

che monitorano l’ingresso delle acque nere, la fermentazione dei fanghi e i procedimenti fino a verificare l’avvenuta depurazione chimica delle acque». Quali sono le principali sfide che attendono la società nel 2012? «Queste riguarderanno l’acquisto in leasing di un nuovo parco mezzi per il servizio scuolabus, che permetterà un miglioramento della qualità in termini sia ambientali che di sicurezza e di ottenere un notevole abbattimento dei costi per il carburante e la manutenzione. Un altro ambizioso obiettivo è l’installazione all’interno del depuratore di un macchinario di compostaggio per il riciclaggio dei fanghi secchi in compost e con questi produrre energia elettrica». SICILIA 2012 • DOSSIER • 63


SICUREZZA ALIMENTARE

La filiera zootecnica “dai campi alla tavola” La sicurezza alimentare dei consumatori passa per la qualità degli alimenti somministrati agli animali da allevamento. Per questo Alessandro Leone sottolinea l’importanza della ricerca sul campo e il severo controllo di tutta la filiera Adriana Zuccaro

ai campi alla tavola”. È l’approccio strategico assunto ormai da anni dai tanti segmenti del mercato alimentare, in linea con l’attinente legislazione della Comunità Europea che individua anche nell’alimentazione degli animali una fase delicata e critica all’inizio della catena alimentare. Perché solo una produzione costantemente monitorata, in cui il concetto di qualità non sia solo teorico ma certificato e tangibile, può garantire l’eccellenza dell’intera filiera e generare un indotto in crescita. Con tali premesse, coincidenti agli obiettivi raggiunti, «il Gruppo Leone lavora da oltre quarant’anni all’interno della filiera zootecnica e alimentare, avendo intrapreso un percorso a tappe successive che, partendo dal set-

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In piedi da sinistra, Alessandro, Massimiliano, Edoardo e Riccardo Leone; seduti da sinistra Antonino e Salvatore Leone, soci del Gruppo Leone di Aci Sant’Antonio (CT). Nella pagina a fianco, momenti di produzione e controllo tecnico www.mangimileone.com

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tore zootecnico con la produzione di mangimi, arriva oggi fino al consumatore finale tramite l’attività nella grande distribuzione organizzata». Alessandro Leone, presidente nazionale del Gruppo Giovani Imprenditori dell'Assalzoo, (associazione di produttori di alimenti zootecnici che riunisce i produttori italiani di mangimi), descrive l’ascesa del gruppo societario attivo con i marchi Mangimi Leone, Leone Group e Aligros, e la tendenza espansionistica che già lo colloca in buona parte del mercato nazionale ed estero. Il Gruppo ha avuto inizio con l’affermazione della Mangimi Leone. Su quali principi si basa questa specifica produzione? «La società, avviata nel 1971 come Srl per divenire in seguito Spa, ha sempre puntato ai più alti livelli qualitativi dell’attività mangimistica combinando scienza, intesa come studio e ricerca e tecnologia, intesa come impiantistica, per ottenere il massimo dagli ingredienti utilizzati nella formulazione e produzione dei mangimi. Formulazioni adeguate alle attitudini produttive degli animali e funzionali al raggiungimento delle rese desiderate, sempre nel rispetto del benessere dell’animale. Noi siamo quindi trasformatori, ma intendiamo la trasformazione non come puro processo meccanico ma come attività basata su una continua e profonda ricerca sul campo». In quali specifiche attività si traduce il binomio scienza-tecnologia?


Alessandro Leone

«A monte e a valle dell’attività di produzione lavora un gruppo tecnico impegnato nello studio, progettazione e formulazione dei mangimi e, successivamente alla produzione, nel servizio tecnico di campo. Tutto si realizza mediante un’assistenza tecnica precisa e costante, fornita alla clientela con l’obiettivo di suggerire e raggiungere il corretto utilizzo e applicazione dei prodotti offerti. La produzione si effettua nello stabilimento di Aci Sant’Antonio recentemente ampliato e rinnovato tecnologicamente, dotato di cinque linee di produzione. La capacità e versatilità produttiva dell’impianto permettono di soddisfare ogni specifica esigenza e di raggiungere varie tipologie di clienti, a diversi livelli della filiera zootecnica. L’organizzazione si è adeguata agli standard gestionali richiesti dalle norme Iso 9001:2008 per la qualità e Iso 14001:2004 per la gestione ambientale, ad espressione dell’attenzione dell’azienda alla tematica ambientale e della sostenibilità delle produzioni». Attraverso quali strategie siete riusciti ad ampliare anche la rete commerciale? «L’attività commerciale si svolge su un ampio territorio dell’Italia meridionale, tramite una rete di agenti e attraverso un sistema logistico adeguato a una distribuzione capillare. Da qualche anno ci siamo rivolti al mercato estero, grazie anche alla favorevole posizione della Sicilia nei confronti dei paesi del Mediterraneo. In particolare nel porto di Catania si svolge anche l’attività di importazione e commercializzazione di cereali e farine proteiche da paesi europei ed extra-euro-

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La capacità e versatilità produttiva dell’impianto permettono di soddisfare ogni specifica esigenza e di raggiungere varie tipologie di clienti, a diversi livelli della filiera zootecnica

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pei, da destinare anche in questo caso a operatori del settore zootecnico. Uguale attività di importazione e commercializzazione di mangimi semplici viene realizzata sul porto di Ravenna ed è, in questo caso, rivolta ad operatori della filiera zootecnica del nord e centro Italia». Con quali obiettivi il gruppo ha realizzato il marchio Aligros? «Per rendere ancora più incisiva la presenza nel settore alimentare e raggiungere direttamente il consumatore finale, dagli anni Ottanta il gruppo ha deciso di ampliare i propri interessi dalla produzione di prodotti per la zootecnia alla distribuzione dei prodotti finiti (carne, latte, uova e trasformati) investendo nel settore della Gdo attraverso l’apertura di una serie di supermercati, nell’hinterland di Catania, riconoscibili dal marchio Aligros. Nella concezione strutturale e organizzativa dei supermercati del gruppo si ritrovano gli stessi obiettivi di qualità dei prodotti e servizi offerti, e l’attenzione verso il consumatore, privilegiando le relazioni, i rapporti diretti, il riscontro immediato».

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LINEE A tanto ammonta il numero delle linee di produzione che la Mangimi Leone Spa ha installato presso lo stabilimento di Aci Sant’Antonio (CT)

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AGROALIMENTARE XXXXXXXXXXXXXX

Il rilancio del gusto italiano agricoltura è un elemento fondamentale per il nostro Paese sia a livello culturale che ambientale e non da ultimo economico. Ma purtroppo c’è ancora chi la considera un settore residuale. Dobbiamo farla tornare al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica e anche delle classi dirigenti”. Non ha dubbi il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, Mario Catania che aggiunge: “All’agricoltura e a tutto il sistema agroalimentare italiano deve essere restituito un ruolo di primo piano. E bisogna rilanciare il comparto e aumentare la competitività delle imprese agricole”. Le misure del pacchetto agroalimentare inserite nel decreto ‘liberalizzazioni’ e nel decreto ‘semplificazioni’ sono un primo importante passo in questa direzione, soprattutto l’articolo 62 che assicura trasparenza e maggiore equità per i nostri agricoltori, contrastando gli squilibri di potere all’interno dei rapporti di filiera. E per lo sviluppo del settore è in arrivo anche un disegno di legge a tutto tondo sull’agricoltura e l’agroalimentare che Catania sta mettendo a punto proprio in queste settimane. Quali sono i punti di forza e quelli di debolezza della nostra agricoltura rispetto al resto d’Europa? «Uno dei principali punti di forza dell’agricoltura

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Mario Catania, ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali

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Liberalizzazioni e semplificazioni aiuteranno il settore agroalimentare italiano. A sostenerlo è il ministro Mario Catania, che illustra irecenti interventi del governo Nicolò Mulas Marcello

italiana è senza dubbio il fatto che essa produce un enorme valore aggiunto. Basti pensare che, con appena il 7% della superficie agricola totale europea, il nostro Paese riesce a realizzare il 13% del valore della produzione agricola complessiva dell’Ue. E tutto ciò grazie al duro lavoro e al saper fare dei nostri imprenditori che riescono a creare produzioni non solo di altissima qualità, ma anche di importante valore commerciale. Allo stesso tempo, tra i punti critici della nostra agricoltura c’è sicuramente la questione della dimensione delle aziende agricole. Secondo il recente censimento Istat del comparto, che ha analizzato l’ultimo decennio, è stata registrata una crescita, portando la media nazionale dai 6 ai 9 ettari. È un buon segnale, ma non basta. Per essere più competitivi sul mercato europeo dobbiamo agevolare questa tendenza e raggiungere dimensioni più rilevanti». La tutela del made in Italy enogastronomico è un aspetto importante sia per preservare i nostri prodotti, sia per dare il giusto risalto a livello internazionale alle tante specialità italiane. Come intende procedere su questo fronte? «La tutela e la promozione dell’agroalimentare italiano sono tra gli obiettivi principali del mio mandato e per conseguirli stiamo agendo su più livelli. In particolare puntiamo a rafforzare la promozione con lo scopo di far conoscere ancora di più ai consumatori stranieri la qualità delle nostre produzioni. Il ministero, infatti, ha un ruolo strategico nel supportare i produttori che affrontano i mercati internazionali, anche per


Mario Catania

quanto riguarda la comunicazione. E per rendere più incisiva la lotta alla contraffazione agroalimentare e all’agropirateria, stiamo intensificando la collaborazione tra gli organismi di controllo del Mipaaf». Ci saranno delle novità in merito anche nel disegno di legge a cui sta lavorando? «Sto valutando l’ipotesi di inserire ulteriori sanzioni, anche di natura penale, in modo da opporre un deterrente ancora più forte per chi trasgredisce le leggi in materia. E per tutelare i consumatori dobbiamo lottare anche per far accogliere a Bruxelles la necessità di un’etichettatura trasparente perché i consumatori devono essere messi in condizione di conoscere l’origine dei prodotti agroalimentari in vendita». Come è considerato il settore agroalimentare italiano all’estero? «Il patrimonio agroalimentare italiano, grazie alle capacità dei nostri produttori, si è saputo conquistare un ruolo di leadership a livello mondiale diventando un vero e proprio sinonimo di qualità e garanzia. Come dimostrano i dati dell’export, cresciuto in valore del 35% tra il 2005 e il 2010, con un incremento nel primo semestre 2011 dell’11% rispetto allo stesso periodo 2010. E come dimostra anche il fatto che l’Italia, con 240 prodotti, è il primo Paese per numero di specialità a denominazione di origine riconosciute in Unione europea». Turismo ed enogastronomia in un Paese come l’Italia sono strettamente legati. Pensa che occorrano politiche di promozione di con-

certo con il Ministero del Turismo? «Sì, sono convinto che sia opportuno lanciare iniziative di promozione integrate per fornire un’offerta turistica ancora più ampia e diversificata e, infatti, stiamo già lavorando col Ministero per gli affari regionali, turismo e sport per valorizzare ulteriormente le nostre eccellenze agroalimentari e il loro imprescindibile legame col territorio. Inoltre il Mipaaf è impegnato, attraverso l’Osservatorio nazionale dell’agriturismo, a cui partecipa anche il Dipartimento del turismo, in un ampio programma di rilancio degli agriturismi italiani. Di recente, l’osservatorio ha raggiunto un grande risultato con l’approvazione, che dovrà poi essere confermata dalla Conferenza Stato Regioni, dei criteri di classificazione delle aziende agrituristiche, che oggi sono oltre 20mila. Così come gli alberghi, anche gli agriturismi saranno quindi suddivisi in cinque categorie in base a parametri legati non solo al livello di comfort, ma anche alle caratteristiche e ai servizi che la struttura offre. Il che significa dare maggiore trasparenza al settore e risposte più efficaci a una clientela che cerca prodotti tipici locali di qualità e paesaggi di grande pregio. Elementi, questi, che contraddistinguono il nostro Paese». SICILIA 2012 • DOSSIER • 69


Riconquistiamo un posto al sole Dopo un inverno travagliato sul piano della produzione e dei consumi, gli operatori del comparto agricolo chiedono di voltare pagina. I presidenti di Confagricoltura, Cia e Coldiretti a confronto sui temi caldi legati al settore primario Giacomo Govoni

a voglia di risollevarsi e tornare a vedere il sereno l’agricoltura siciliana. Dopo una seconda metà d’inverno all’insegna delle turbolenze non solo climatiche, confida nel ritorno della quiete e, con essa, nel rilancio produttivo e competitivo. Da derubricare in fretta ci sono il blocco dei tir di fine gennaio, la paralisi dei trasporti causa neve di metà febbraio e l’ondata di maltempo di inizio marzo, con un bollettino di danni alle coltivazioni nell’ordine di centinaia di milioni di euro. Fattori che hanno avuto riflessi negativi su un settore che, nonostante tutto, resta trainante dell’economia isolana, e che in virtù di questo, lamenta “scarsa tutela” anche a livello nazionale ed europeo. Due esempi su tutti: il recente trattato Ue-Marocco e la liberalizzazione degli orari degli ipermercati prevista nel decreto salva Italia. Provvedimento, quest’ultimo, che ha spinto il governatore Raffaele Lombardo a parlare di “aggressione alla produzione agricola siciliana”. E che ha fatto scattare il ricorso alla Corte costituzionale.

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GERARDO DIANA Presidente di Confagricoltura Sicilia

Il decreto salva Italia è accusato di far cassa

nelle campagne invece di incentivarne il rilancio. Quanto pesano queste misure in una regione che fa la sua locomotiva? «È chiaro che il decreto “salva Italia”, così com’è stato concepito, non va nella direzione di equità e giustizia sociale dichiarata dal Governo Monti. Il provvedimento incide in maniera pesante su un settore che nell’ultimo decennio ha visto i costi di produzione aumentare del 31%, mentre i prezzi all’origine sono cresciuti di appena il 15. La stragrande maggioranza degli agricoltori non si è ancora resa conto della “mazzata” che arriverà con il primo acconto dell’Imu che, insieme alla rivalutazione degli estimi catastali, produrrà un aumento medio delle imposizioni fiscali del 300 o 400%, percentuale insostenibile per le attuali fasce di reddito aziendale. Quello che lascia molto


perplessi è che è stato ritenuto bene patrimoniale tutto ciò che in agricoltura rappresenta un bene strumentale per lo svolgimento dell’attività». In chiave export, come interpreta le indiscrezioni rispetto alla ventilata ipotesi di una food tax? «Più che la food tax, a preoccuparci era l’innalzamento delle accise per gli alcolici, in predicato di diventare una certezza. Per la Sicilia, ai vertici della produzione nazionale di vino con oltre 100 mila ettari, sarebbe stato un messaggio difficile da comprendere in un momento di contrazione dei consumi. In più, abbiamo lamentato la mancata presa di posizione del governo in merito al recente accordo votato dal Parlamento europeo che apre le frontiere al Marocco. Un’iniziativa che alimenta la concorrenza e che sta mettendo in moto investimenti per circa 700.000 ettari di agrumeti, oliveti e produzioni orticole. Vale la pena ricordare che gli agrumeti siciliani si estendono per poco meno di 110mila ettari, gli oliveti per circa 160mila. Si tratta di una catastrofe annunciata e non ci sarà qualità o tipicità in grado di sostenere l’ondata marocchina alimentata da costi di produzione pari a 1/10 di quelli nazionali». Produzione in calo dell’1,2% e consumi alimentari dell’1,6%: queste le stime di Federalimentare per il 2012 in Italia. E in Sicilia come andrà? «Dovremmo essere a un livello superiore in quanto gli indicatori economici parlano di livelli record sia di disoccupazione (oltre 550.000) che di povertà (500.000 famiglie). L’attuale crisi ha portato nei giorni scorsi a un fatto assolutamente inusuale: l’1 marzo oltre 25mila persone hanno partecipato a Palermo alla marcia per il lavoro e lo sviluppo. Alla manifestazione hanno aderito tutte le sigle sindacali e quelle datoriali, inclusa Confinustria, scesa per la prima volta in piazza».

Pochi giorni fa la Regione ha immesso nel comparto 13 milioni di euro. Sono sufficienti per la tenuta del settore? «Tutti gli interventi erogati dalla Regione si muovono nell’ambito del regime “de minimis”, che per le aziende agricole è pari a 7.500 euro nell’arco di un triennio. Risulta evidente che per le aziende agricole più strutturate questo limite non consente di usufruire di nessun intervento anticrisi. Nel 2009, alle prime avvisaglie della crisi, la Commissione europea ha concesso una deroga innalzando il tetto a 15.000 euro. Non si comprende perché, in uno stato di crisi ancora ben presente in tutti i paesi europei, a nessuno sia venuto in mente di attivare la leva del “de minimis” per aiutare le aziende a rimettere i conti in ordine». Da ultimo, si è aggiunta l’ondata di maltempo di marzo, con una conta stimata dei danni nell’ordine di 300 milioni di euro. Quali i prodotti che ne faranno di più le spese? «Quello che è successo ha messo in ginocchio migliaia di aziende della Sicilia centro orientale. Sono andati completamente distrutti frutti pendenti, coltivazioni in pieno campo, alberi, strade di collegamento, capannoni e reti elettriche. I danni maggiori si contano nell’area serricola del Ragusano, dove alla perdita delle primizie si ag-


giunge anche quella delle strutture. Invitiamo pertanto il governo nazionale a rivedere le linee di intervento per il settore e a vigilare affinché venga evitata una nuova calamità attraverso la nuova Pac post 2013». CARMELO GURRIERI Presidente regionale della Confederazione italiana agricoltori

Che peso avranno gli interventi previsti dal decreto salva-Italia per l’agricoltura siciliana e il suo indotto? «Con questo decreto il governo sta facendo solo un’operazione di cassa e le ricadute sull’agricoltura siciliana saranno molto pesanti, perché la parte di essa più dinamica e ad alto reddito si troverà a fare i conti con l’inasprimento dell’Imu. Essa potrebbe portare anche alla chiusura di tante aziende, senza contare che alcuni Comuni hanno già annunciato la tariffa massima: è chiaro che sarà un drenaggio di risorse troppo importante». Cosa pensa della proposta di food tax in prospettiva di rilancio dell’export? «Penalizzerebbe soprattutto le nostre produzioni di punta che in questi anni hanno tentato con coraggio di entrare nei mercati internazionali: le arance, i limoni, gli ortaggi, ma anche le produzioni biologiche. Nei fatti ci sarebbe quasi un riposizionamento delle barriere doganali, col rischio di vanificare gli sforzi che gli agricoltori siciliani stanno facendo per uscire dagli ambiti tradizionali di commercializzazione di interrompere bruscamente esperienze di collocazione nei mercati europei, ma anche in Cina e in America. Se si fermasse l’agricoltura ci sarebbe il crollo dell’intera economia regionale». Federalimentare ha stimato che nell’arco di quest’anno la produzione di prodotti alimentari scenderà dell’1,2% e i consumi dell’1,6. In Sicilia quali tendenze prevede? «Per quanto riguarda i consumi, la contrazione è molto più elevata rispetto a quella nazionale. Si parla del 3% circa, tenendo conto che in Sicilia ci sono 5 milioni di consumatori, vale a dire il 10% della popolazione nazionale. In più, vi è da registrare anche l’evidente riduzione del reddito delle famiglie che porta alla ricerca affannosa di prodotti a basso costo. Si tratta di un insieme di 72 • DOSSIER • SICILIA 2012

fattori che stanno mettendo a dura prova gli imprenditori agricoli: anche l’aumento del costo del gasolio è insostenibile. L’agricoltura mediterranea è ad alto impatto di manodopera e consumi energetici. Colpire questa fetta, oltre a tasse significa togliere il respiro all’unico dei settori che produce ricchezza in Sicilia». La Regione, dal canto suo, ha iniziato ad attivare alcuni interventi anticrisi. Ritiene che siano sufficienti per la tenuta e lo sviluppo del settore? «È un segnale di attenzione significativo, ma è chiaro che in un settore agricolo che in Sicilia produce dai 3,7 ai 4 miliardi di Pil, 13 milioni di euro sono poca cosa, ma possono servire ad affrontare alcune emergenze di aziende in seria difficoltà. Comunque quello che manca in Sicilia, al di là degli interventi d’urgenza, è una politica agraria che proietti programmi strutturati di sostegno all’agricoltura per stare dentro ai mercati e alla sfida della globalizzazione». L’ultima ondata di maltempo ha inferto un duro colpo alle vostre campagne. Quali i prodotti che ne faranno di più le spese? «Già il fermo degli autotrasportatori, che da noi è durato 12 giorni, aveva determinato centinaia di milioni di euro di danni. Il maltempo ha dato il colpo di grazia al comparto: terre scoperchiate, divelte, prodotti andati al macero, campi allagati. La situazione è di estrema difficoltà ed è necessario dare qualche risposta a queste aziende, altrimenti il prossimo anno molte di loro rischieranno di finire sul lastrico». ALESSANDRO CHIARELLI Presidente di Coldiretti Sicilia

Che riflessioni le suscitano le misure per il comparto predisposte dal decreto salva Italia? «Premesso che noi imprenditori agricoli sappiamo bene cosa siano i sacrifici, paghiamo le tasse e conosciamo l’importanza del contribuire alla creazione della ricchezza del Paese, ritengo che misure di equità e crescita debbano riguardare anche il nostro settore. E nella manovra non ci sono. Il bene terra, se utilizzato come fattore di produzione in un’impresa agricola, merita un trattamento fiscale diverso da quello riservato a fondi agricoli speculativi o per fini hobbistici. Il


made in Italy è una leva competitiva formidabile: bisogna che la classe politica ci creda, dando reddito ai veri agricoltori e non svendendo al miglior offerente i proventi del duro lavoro degli imprenditori agricoli. Reinvestire le risorse nei comparti agricoli che aiutano la crescita è l’elemento che fa crescere davvero il sistema economico». La carenza infrastrutturale è una delle piaghe maggiori del Sud. Come sollecitare un’inversione di rotta in questo senso? «L’86 per cento dei trasporti commerciali in Italia avviene su strada. In Sicilia questa percentuale cresce, anche per la materiale impossibilità di affidarsi ai treni che coprono brevi distanze in tempi uguali a quelli di 50 anni fa. E se a pagare le conseguenze della mancanza di infrastrutture è tutto il sistema economico, l’agroalimentare è il settore più sensibile. Sono noti a tutti i danni provocati dal recente sciopero dei tir. Questo impone la ricerca di soluzioni che possono per esempio andare verso le autostrade del mare. L’utilizzo delle navi per il trasporto rappresenterebbe anche un forte aiuto per contrastare i costi insostenibili di carburante. Bisogna davvero rivoltare il sistema infrastrutturale e offrire possibilità reali a chi investe nel settore agricolo». Federalimentare stima per il 2012 una produzione in calo dell’1,2% e consumi alimentari a -1,6%. Qual è la situazione in Sicilia? «La nostra regione non si discosta molto da questi dati preoccupanti. È innegabile che stiamo vivendo una fase di grande preoccupazione, soprattutto per gli acquisti delle famiglie. Ci confortano, invece, i dati di Confcommercio relativi ai consumi degli italiani nel mese di gennaio 2012 che registrano un incoraggiante, seppur ancora debole, aumento dello 0,1 per cento. Ciò

è dovuto soprattutto ai prodotti venduti direttamente dagli imprenditori agricoli. La vendita diretta può davvero costituire la chiave di volta per rimettere in moto il sistema. Basta frequentare uno dei nostri mercati di “Campagna amica” o una bottega per verificare quante persone scelgono di acquistare prodotti che arrivano direttamente dall’azienda agricola». A suo avviso i 13 milioni di euro stanziati dalla Regione basteranno a supportare lo sviluppo delle aziende agricole? «Non sono sufficienti, negli ultimi mesi il costo dei carburanti è aumentato in modo esponenziale e il maltempo ha distrutto una parte considerevole dei raccolti: dalle arance alla frutta, per non parlare degli ortaggi e delle strutture serricole. Ogni volta ci si rimbocca le maniche e si ricomincia, ma occorre avere strumenti finanziari adeguati. Lo ribadisco: occorre distinguere gli imprenditori agricoli da chi, diciamo così, va in campagna per il pic-nic. In questa regione l’agricoltura deve riacquistare il ruolo economico che le compete, anche perché il sogno industriale ha mostrato tutto il suo fallimento. Bisogna ripartire dall’agricoltura e dal turismo, ma per farlo occorre un’ adeguata tutela e valorizzazione del territorio da parte di chi è preposto alla salvaguardia del bene pubblico». Un vostro studio rivela che nel 2011 gli acquisti diretti dai produttori agricoli sono cresciuti del 53 per cento. È questa la ricetta giusta per rilanciare i consumi? «In Italia abbiamo una rete di 3.972 aziende agricole, 670 agriturismi, 878 mercati e 163 botteghe per un totale di 5.683 punti vendita di “Campagna amica”. Questo significa che il nostro progetto è una realtà consolidata che offre reali possibilità a chi vuole vendere direttamente il prodotto. Crediamo che la vendita diretta organizzata sia la chiave di volta vera per contribuire a modificare anche il sistema culturale della spesa. E si tratta di un modello culturale supportato dai gusti degli italiani che scelgono la genuinità e la salubrità del prodotto italiano contro quello massificato. Lavorare su un progetto è determinante per essere i garanti della crescita». SICILIA 2012 • DOSSIER • 73


AGROALIMENTARE

Le leggi che soffocano il settore ra i destinatari dei 35 milioni di euro che il Fondo di garanzia gestito dall’Istituto regionale per il finanziamento alle industrie in Sicilia ha approvato nelle scorse settimane, per la prima volta ci saranno anche le aziende agricole. Un segnale di attenzione nei confronti di un settore chiave del tessuto economico siciliano, che fa il paio con i tre decreti assessoriali che, nell’ambito della legge regionale 25, hanno attivato di recente altrettanti interventi di accesso agevolato al credito e dilazione dell’indebitamento agrario, per un ammontare complessivo di 13 milioni di euro. Misure che puntano a mitigare i sacrifici richiesti a livello centrale. «Noi condividiamo la missione di risanamento e apprezziamo lo sforzo del governo – chiarisce Elio D’Antrassi, assessore regionale all’agricoltura – ma ogni imposizione andrebbe armonizzata con i fondamentali economici delle imprese e delle filiere di cui fanno parte». Le nuove imposte sui fabbricati rurali introdotte dal decreto salva Italia, sembrano rimandare il tempo del rilancio. Quanto pesano in una regione che dell’agricoltura e relativo indotto fa la sua locomotiva? «L’imposizione fiscale anche sui fabbricati rurali, strumentali all’attività di coltivazione o di allevamento, impone alle aziende un prelievo 4-5 volte superiore all’anno precedente. Inclusa la quota comunale è stimato un costo complessivo di 1,5 miliardi di euro, rispetto agli attuali 300

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In uscita da mesi difficili che ne hanno intaccato la competitività, il comparto agroalimentare siciliano prova a riguadagnare terreno. «Ripartiamo dalla riconquista del mercato regionale» è l’esortazione di Elio D’Antrassi Giacomo Govoni

milioni circa di gettito, ai quali potrebbero aggiungersi altri 2-3 miliardi di euro per l’accatastamento. La Sicilia è tra le regioni nelle quali l’impatto sarà più pesante perché il settore agricolo siciliano è per grandezza il secondo in Italia. Inoltre, il combinato di aumento del gasolio, delle autostrade e l’introduzione dell’Imu, in un’isola come la Sicilia lontana dai mercati, colpisce la sensibilità degli imprenditori agricoli oltre che la tasca. Non nascondiamo che sul metodo utilizzato dal governo abbiamo qualche perplessità. La sensazione è che si consideri l’imposizione fiscale come una variabile indipendente dalla capacità di creare reddito. Tali aumenti per molte aziende siciliane sono inconciliabili con il livello di competitività e la capacità di creare valore». Le associazioni di categoria suonano l’allarme su un handicap infrastrutturale che penalizza fortemente il comparto. Nell’agenda regionale, che posizione occupa questo tema? «L’amministrazione ha ben presente la difficoltà che le imprese agricole hanno di fare sistema. Su questo si è lavorato e si lavorerà molto perché è sicuramente un passaggio essenziale per il rilancio duraturo del nostro sistema. Non basta rendere disponibili risorse. È necessario creare innovazione di filiera e di prodotto per consolidare le nostre aziende. Molte volte si sono scambiate misure e politiche di sviluppo per misure e politiche di assistenza al reddito. Bisogna uscire da questo approccio terzo-

A sinistra, Elio D’Antrassi, assessore regionale all’Agricoltura


Elio D’Antrassi

mondista in un Paese come il nostro che in agricoltura paga costi da paese industrializzato e vende con prezzi da paese in via di sviluppo. La Sicilia ha enormi possibilità all’interno di una vocazione agricola eccellente». Mettiamola a sistema investendo sui fondamentali: i prodotti e il sistema delle imprese con obiettivo il mercato».

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È fondamentale che la nostra agricoltura esca da un approccio terzomondista per cui paga costi da paese industrializzato e vende con prezzi da paese in via di sviluppo

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La chiave del rilancio per una terra che produce prodotti d’eccellenza come la Sicilia, non può che essere il mercato estero. I cui costi, però, sono difficilmente sostenibili dalle piccole aziende. «Per essere considerati d’eccellenza, i prodotti devono fare reddito, altrimenti che eccellenze sono? La Sicilia fatica a raccordarsi anche con i mercati di prossimità e lascia spazio a prodotti non siciliani che imperversano nella Gdo regionale. La riscossa parte dalla riconquista del mercato regionale. Per mettere in salvo il patrimonio delle micro produzioni, intercettando un consumo omogeneo come quello locale, la Regione ha anche incentivato la creazione e la promozione dei “mercati del contadino” in tutta l’Isola, al fine di rafforzare le filiere insufficienti al mercato». A proposito degli interventi anticrisi di cui accennavamo all’inizio, ne avete altri in programma a breve termine? «Alle disposizioni elencate in precedenza, accomunate dalla volontà di contribuire per il consolidamento e rilancio delle aziende, si aggiungono le polizze assicurative a garanzia predisposte con l’Ismea per l’accesso al credito delle imprese agricole a valere sui finanziamenti Psr e sui prestiti di conduzione (G Card), dove la Sicilia ha immobilizzato 32 milioni di euro. In questo modo, mi pare che il quadro sia completo e dia la misura del nostro impegno. In una congiuntura economica negativa che spesso impedisce di fatto l’accesso al credito alle aziende, credo che la Sicilia sia stata l’unica regione del Sud ad aver stanziato tali somme non legate a fondi comunitari a beneficio del settore». SICILIA 2012 • DOSSIER • 75


AGROALIMENTARE

La “campagna” del made in Sicily Favorire l’aggregazione dell’offerta e adottare strategie di marketing per valorizzare l’alta qualità dei prodotti siciliani e presentarsi uniti sul mercato globale. La ricetta di Alessandro Alfano Giacomo Govoni obbiamo ridare il giusto valore alle nostre produzioni». Il segretario generale di Unioncamere Sicilia traduce così il sentimento di riscossa che anima l’intero comparto agricolo isolano. All’indomani di un finale d’inverno avaro di soddisfazioni, non solo sul piano meteorologico «è il momento di passare dalle parole ai fatti e mettere in campo un pacchetto di misure che incentivi lo sviluppo promuovendo le eccellenze che abbondano sul territorio, dal vino all’olio, dall’ortofrutta ai semi lavorati». Agricoltura e indotto in Sicilia: che scenario si prospetta nell’immediato futuro? «L’agricoltura è uno dei perni dell’economia siciliana su cui far leva per rilanciare lo sviluppo locale. Oggi questo settore rappresenta oltre il 22 per cento del totale delle imprese registrate, un dato superiore a quello del Sud, attestato intorno al 20 per cento, e ben maggiore di quello nazionale, pari al 14,6%. Nonostante la qualità dei nostri prodotti riconosciuta in Italia e all’estero, la crisi non ha risparmiato le campagne dell’Isola. Gli operatori lamentano alti costi di produzione e ora temono anche i rincari delle tasse su immobili e fabbricati agricoli. Come dicevo, è il momento di passare dalle parole ai fatti». Le associazioni del settore denunciano una strumentalizzazione del made in Italy agroalimentare, di cui si sfrutta l’immagine ma si penalizza nei fatti. «In questi casi penso che valga il detto “l’unione fa la forza”. La concorrenza estera, in particolare dal nord Africa, e qui rientra anche il recente accordo Ue-Marocco, sta mettendo in seria difficoltà la nostra economia. Ecco perché ritengo che mai come oggi, sia necessario razionalizzare la filiera

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Alessandro Alfano, segretario generale di Unioncamere Sicilia

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e favorire l’aggregazione dell’offerta. Bisogna presentarsi uniti sul mercato globale e attuare strategie di marketing adeguate per far sapere che dalle nostre campagne arrivano i prodotti migliori. I consumatori sono sempre più attenti alla qualità e la Sicilia riscuote successo nei mercati esteri più esigenti. Da qui bisogna ripartire». In tema di innovazione e trasferimento tecnologico alle pmi siciliane, quale attenzione riservate al settore primario? «Senza innovazione non può esserci competitività. In questo senso le imprese siciliane stanno facendo passi da gigante, puntando sull’innovazione di prodotto e di processo. Da anni Unioncamere Sicilia è impegnata sulle attività che promuovono il trasferimento tecnologico e offrono supporto alle imprese che vogliono crescere ed espandersi. Ma nel campo della ricerca e dell’internazionalizzazione, c’è ancora molto da fare». Sull’annosa questione dell’emarginazione infrastrutturale del Sud, quali risposte possono attendersi gli operatori dell’agroalimentare? «Le infrastrutture sono un tema cruciale per l’Isola non solo per l’agricoltura, ma per l’intero sistema produttivo siciliano, in quanto contribuiscono a rendere più appetibile un territorio agli occhi degli investitori. Penso, ad esempio, a quanto ha fatto bene alla provincia di Trapani la presenza di un aeroporto che di anno in anno ha conquistato uno spazio importante nel panorama regionale. Un’esperienza locale positiva da ripetere anche in altre zone della Sicilia, a cominciare da Comiso dove è in programma l’apertura di un nuovo scalo. Di certo la nostra regione non potrà andare lontano senza una rete efficiente di aeroporti, porti e strade. L’agroalimentare ne gioverebbe così come tutti gli altri comparti della nostra economia».



PRODOTTI ALIMENTARI

Salinai, i primi garanti dell’ecosistema Il sale marino di Trapani ha da poco ottenuto la certificazione Igp. Il riconoscimento della qualità di un prodotto che, nato da una tradizione millenaria, rappresenta una realtà industriale consolidata. Senza interferire con l’ecosistema. Ne parliamo con Giacomo D’Alì Staiti, presidente del Gruppo Sosalt Nicoletta Bucciarelli l fior di sale rappresenta una vera e propria particolarità. Diffuso dai francesi, che lo chiamano le “fleur de sel”, è un sale di grande qualità che si ottiene dallo strato di sale che, nelle saline, rimane in superficie. «Nelle giornate di calma di vento la mattina si crea un sottilissimo velo di sale che resta in superficie. Si tratta di strati talmente sottili da rimanere sospesi sull’acqua. A quel punto il salinaio lo deve immediatamente togliere altrimenti bloccherebbe l’evaporazione successiva. Questo sale è molto ricco in magnesio e potassio e anche dal punto di vista del sapore è possibile percepire la differenza e la qualità. Un prodotto raccolto a mano, selezionato con estrema attenzione e cura. Per questo ne produciamo

I Giacomo D’Alì Staiti è presidente del Gruppo Sosalt di Trapani. Nella pagina accanto, raccolta manuale nelle saline del trapanese www.sosalt.it

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solo 25 tonnellate». Giacomo D’Alì Staiti, presidente della Sosalt di Trapani, presenta in questo modo quello che da un anno e mezzo rappresenta la base per una nuova linea di aromi particolarmente legati ai sapori di Sicilia. Sosalt gestisce una superficie di circa 700 ettari di saline nel territorio trapanese, nei comuni di Trapani, Paceco e Marsala, con una produzione media annua di circa 80.000 tonnellate di sale, principalmente destinato al mercato alimentare, che rappresenta circa l’80 per cento della produzione del territorio. Di recente Sosalt è stata protagonista di un’importante acquisizione. «Esattamente. Da maggio 2011 controlliamo la maggioranza della società Atisale, il maggior produttore nazionale di sale marino in Italia, con una significativa presenza nel mercato del sale da ebollizione. Atisale è infatti l’erede, per quanto riguarda la produzione di sale, dei Monopoli dello Stato. Tra i suoi asset la salina di Margherita di Savoia, in Puglia, la più grande salina di mare d’Europa, capace di produrre 500.000 tonnellate di sale marino, la salina di S’Antioco, in Sardegna con una produzione di quasi 200.000 tonnellate e le Saline Leopoldine, a Volterra, in Toscana, da dove viene estratto sale minerale con il sistema “vacuum” per circa 70.000 tonnellate. Con questa acquisizione, compiuta insieme al gruppo pugliese Semeraro di Lecce, Sosalt e Atisale costituiscono un


Giacomo D’Alì Staiti

gruppo che, insieme ad Italkaki, che estrae sale minerale dalle miniere del centro della Sicilia, è al vertice delle aziende produttrici nazionali, e che si colloca tra i maggiori produttori europei». Ottimizzare la coltivazione e la raccolta del sale senza interferire con l’ecosistema naturale. In che modo ci riuscite? «Questo è uno dei grandi vanti dei salinai e non solo a Trapani. Il salinaio è infatti riuscito a creare in una zona antropizzata, in quanto la salina è un prodotto dell’uomo, un ecosistema in straordinario equilibrio che non può prescindere dal lavoro dell’uomo in salina. Il salinaio è il primo garante dell’ecosistema. I provvedimenti di vincolo che ci proteggono ulteriormente dalle incursioni esterne, da interventi scorretti e dall’urbanizzazione sono importanti, ma i primi garanti sono i salinai; veri e propri tutori dell’ecosistema. In un processo dove la materia prima è rappresentata dall’acqua del mare, la fonte energetica primaria è il sole e il vettore energetico è il vento, l’invasività, anche nel caso della raccolta meccanizzata, è pressoché minima». A proposito di raccolta meccanizzata e manuale, qual è la predominanza in Sosalt? «A Trapani circa l’80 per cento di sale è raccolto meccanicamente. La salina è stata anche ridise-

In un processo dove la materia prima è l’acqua del mare, la fonte energetica è il sole e il vettore energetico è il vento, l’invasività è pressoché minima

gnata agli inizi degli anni 60 per attivare la raccolta meccanica, prendendo spunto da quanto fatto dall’allora Monopolio di Stato a Margherita di Savoia, realtà a cui mio padre era molto vicino. Permane invece circa un 20 per cento di produzione artigianale. Questo per quanto riguarda la nostra realtà perché per i piccoli produttori si parla invece di totalità di raccolta manuale. Quelle di Trapani sono le uniche saline in Italia dove avviene produzione artigianale e raccolta manuale, con l’eccezione di una piccolissima realtà a Cervia. I metodi di “coltivazione” del sale sono esattamente gli stessi sia nelle grandi saline meccanizzate sia nelle piccole saline artigianali, quello che varia è il metodo di raccolta. La raccolta manuale consente, grazie alla tecnica consolidata dei salinai nell’uso delle pale a mano, di raccogliere il sale pulito e che, senza bisogno di ulteriore lavorazione, raggiunge i valori di

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PRODOTTI ALIMENTARI purezza richiesti dalla legge per il sale alimentare, mentre la raccolta meccanizzata è meno accurata e il prodotto subisce una seppur minima raffinazione anche per garantire la stabilità degli standard che ormai l’industria agroalimentare richiede. Uno dei nostri vanti è comunque che a Trapani non aggiungiamo mai prodotti chimici o antiagglomeranti, neanche nel sale raccolto meccanicamente, a meno che non siano esplicitamente richiesti, come nel caso del sale “iodato”. Il prodotto artigianale, quando non viene neanche “lavato” mantiene intatto il proprio contenuto in oligoelementi. Come Consorzio noi abbiamo deciso di classificare come sale integrale, proprio quello che non viene lavato». Mi parlava di Consorzio. Di cosa si tratta? «Insieme agli altri produttori trapanesi, abbiamo costituito agli inizi del 2000 il Consorzio per la valorizzazione del “Sale marino di Trapani” (Smart). Il Consorzio ha completato nel 2011 il complesso iter per il riconoscimento dell’Indicazione Geografica Protetta del sale marino prodotto nell’area trapanese con il marchio “Sale Marino di Trapani-IGP”, che da quest’anno potrà essere utilizzato sul mercato nazionale e, entro la fine dell’anno, anche a livello comunitario. È il primo tra i sali italiani a potersi fregiare di un riconoscimento che garantisce qualità, specificità e tracciabilità al prodotto, caratteristiche che ci aspettiamo siano sempre più richieste anche dai nostri clienti che rappresentano eccellenze storiche della nostra industria agroalimentare, come i prosciuttifici di Parma e San Daniele e i caseifici ragusani». Quali sono quindi le caratteristiche del sale da voi prodotto? «Il nostro è un sale piuttosto forte. Per questo è possibile ridurre le quantità nell’utilizzo ottenendo lo stesso effetto salante. All’interno del “Progetto Made in Italy Industria 2015” stiamo anche cercando un modo per ridurre l’apporto di sale, eccessivo in tutti i paesi industrializzati, senza modificare i sapori tipici della dieta mediterranea». Oltre alla linea classica, c’è qualche nuovo prodotto di recente lanciato sul mercato? «Ci siamo concentrati sugli aromi ma c’è un’ultima linea che è nata da un anno e mezzo che ha 80 • DOSSIER • SICILIA 2012

Un tipico cesto di sale integrale prodotto da Sosalt e, sotto, immagine della raccolta meccanica a Margherita di Savoia

A Trapani non aggiungiamo mai prodotti chimici o antiagglomeranti, neanche nel sale raccolto meccanicamente

come base proprio il “fior di sale”. Su questa abbiamo creato due linee di aromatizzazione particolarmente legate alla Sicilia, con bucce di arancia e bucce di limone fortemente controllate dal punto di vista della provenienza a cui abbiamo aggiunto alcune miscele di erbe. In collaborazione con l’Università di Palermo stiamo inoltre cercando di individuare le caratteristiche dei diversi tipi di sale, diversità percepita dalla massaia e dai prosciuttifici ad esempio, ma non facile da qualificare oggettivamente. Cerchiamo di capire dove sono le differenze che rendono unici sali provenienti da realtà diverse e più adatti ad usi differenti. Ancor più che affermare che un sale sia migliore di un altro, fatto che appartiene sicuramente a una valutazione soggettiva, potremmo dire che il nostro vero slogan è: c’è sale e sale».



PRODOTTI ALIMENTARI

Valorizziamo i prodotti del territorio L’andamento del mercato lattiero-caseario in Sicilia. Come le aziende locali riescono a mantenere le proprie quote in un mercato particolarmente competitivo. Pietro Vitali presenta la mission di Latte Sole per la valorizzazione del prodotto che nasce sul territorio Valerio Germanico

l settore lattiero-caseario siciliano si trova attualmente in un contesto sempre più complesso. A contendersi un mercato caratterizzato da elevati consumi sono infatti, da una parte, i grandi marchi nazionali – avvantaggiati dalla notorietà e da un’incisiva presenza sui mass media – dall’altra, i piccoli competitor locali, le cui dimensioni consentono una flessibilità che si traduce in una concorrenza aggressiva. A questi si aggiungono inoltre le emergenti private label. Tuttavia, in questo scenario, la siciliana Latte Sole continua a occupare la posizione principale nel mercato del latte e della panna freschi, mantenendo una quota di circa il 50 per cento dell’intero volume di mercato. Come spiega l’amministratore delegato, Pietro Vitali: «Nonostante il recente ingresso delle private label – che sono entrate nel mercato del latte fresco con prezzi assai competitivi rispetto alla media di mercato – la nostra società mantiene ancora la leadership nel mercato siciliano, pur attraverso un posiziona-

I La sede della Latte Sole Spa si trova in contrada Primosole (CT) www.lattesole.it

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mento di prezzo premium». Latte Sole, che dal 2001 fa parte del gruppo Parmalat, occupa una posizione di rilievo – circa il 20 per cento a volume – anche nel mercato siciliano del latte UHT (Ultra High Temperature), della panna UHT e delle mozzarelle. «Questi prodotti sono tutti caratterizzati da un’elevata pressione promozionale e da un abbassamento dei prezzi praticato da quasi tutti i competitor. Essendo queste delle categorie merceologiche canalizzate principalmente nella distribuzione moderna per circa l’80 per cento, la variabile prezzo assume un ruolo determinante. Per mantenere la leadership in un’area di mercato così competitiva, abbiamo avviato un processo di riorganizzazione, mantenendo però le produzioni sul territorio e favorendo lo sviluppo dell’intera filiera con un risvolto positivo in termini occupazionali. Infatti, il 95 per cento del latte lavorato nella nostra azienda proviene da allevamenti siciliani e rappresenta più di un terzo dell’intera produzione dell’isola. Per assicurare al consumatore qualità e sicurezza, stiamo portando avanti una campagna di sensibilizzazione degli allevatori per il miglioramento qualitativo della materia prima». Uno dei punti di forza di Latte Sole – che si traduce in un vantaggio rispetto ai competitor – è la distribuzione capillare sul territorio, che garantisce ogni giorno al consumatore, con una diffusione omogenea tanto nelle città che nei piccoli centri, la qualità e la freschezza dei suoi prodotti. Uno degli obiettivi per il 2012 è quello di incrementare l’attuale 22 per cento di fatturato generato dai prodotti caseari e le quote sui mercati locali di riferimento. «Puntiamo a valorizzare i


Siamo una realtà siciliana che garantisce sempre qualità, sicurezza e freschezza, costantemente impegnata in un processo di miglioramento e crescita

formaggi freschi – mozzarelle e ricotte – dalla materia prima rigorosamente controllata e provenienti da allevamenti selezionati degli altipiani ragusani». Oltre a questo, la promozione dei prodotti tipici portata avanti da Latte Sole si sta estendendo a tutta la gamma dei prodotti caseari locali. Per questo già da alcuni anni sono state attivate delle partnership distributive con alcune realtà produttive locali di specialità artigianali. Il core business della società resta comunque quello del latte – il 60 per cento del fatturato di Latte Sole è generato dal latte UHT e da quello fresco. Quest’ultimo tuttavia ha sempre trovato in Sicilia un minore riscontro, andato a vantaggio del latte UHT. «Rispetto a tutte le altre regioni italiane, il mercato del latte fresco in Sicilia – stimato in 15 milioni di litri – è sempre stato ed è tuttora poco significativo rispetto a quello del Latte

UHT – stimato in 130 milioni di litri. In quanto leader nel mercato del latte fresco, la nostra società ha intrapreso numerose iniziative e attività di promozione per incentivarne il maggiore consumo (progetti di educazione alimentare nelle scuole elementari e medie, convegni e visite organizzate presso il nostro stabilimento)». L’obiettivo primario dell’azienda è comunicare ai propri consumatori la cura nella selezione delle materie prime e l’attenzione alla qualità dei prodotti finiti. «Siamo una realtà siciliana che garantisce, sempre e a ogni costo, qualità, sicurezza e freschezza, costantemente impegnata in un processo di miglioramento e crescita. In linea con questa mission, orientata all’eccellenza qualitativa, il Gruppo Parmalat, e quindi anche Latte Sole, hanno, da qualche anno, avviato una stretta collaborazione con la facoltà di agraria dell’Università di Catania, al fine di certificare la qualità del proprio latte fresco e UHT Sole. Il progetto, che si basa sull’esame da parte dei ricercatori del piano di autocontrollo aziendale, è finalizzato alla certificazione dei valori nutrizionali a garanzia della food safety nei confronti dei nostri consumatori».

60 MLN LITRI

Quantità annua di prodotto lavorato da Latte Sole Spa e commercializzato come latte e panna fresca, latte e panna UHT, mozzarelle, ricotte e scamorze

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PRODOTTI LOCALI

Le proprietà uniche del pistacchio di Bronte Uno dei prodotti simbolo della Sicilia, il pistacchio di Bronte, non sembra conoscere la parola crisi, e conquista milioni di consumatori in Italia e nel mondo. Le tecniche di lavorazione e i suoi ambiti di utilizzo nell’esperienza di Andrea Anastasi Guido Puopolo

a cittadina di Bronte, piccolo centro in provincia di Catania, è universalmente riconosciuta come la “capitale italiana del pistacchio”. È proprio alle pendici dell’Etna, infatti, che si coltiva e si lavora questo frutto di alto pregio, molto apprezzato dai mercati internazionali in virtù di un gusto e un aroma inconfondibili, che rendono i pistacchi di Bronte unici al mondo. In questo territorio sono dunque numerose le aziende impegnate nella produzione e commercializzazione del pistacchio, come conferma Andrea Anastasi, titolare e responsabile vendite della Anastasi, da oltre mezzo secolo una delle realtà più attive in questo campo: «La nostra è un’impresa fami-

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Andrea Anastasi, titolare e responsabile vendite della Anastasi srl di Bronte (CT), nelle altre immagini alcuni momenti di lavorazione del pistacchio www.anastasisrl.it

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liare, accanto a me operano mio padre, che si occupa della ricerca delle materie prime, e mio fratello Antonio, responsabile della produzione. Questa organizzazione ci permette di seguire da vicino l’attività aziendale in tutte le sue fasi, per garantire un prodotto di altissima qualità e soddisfare così un mercato sempre più esigente». Cosa rende il pistacchio di Bronte così speciale? «I pistacchi crescono in prevalenza sulle falde nord-occidentali dell’Etna, su terreni lavici che conferiscono al frutto un sapore molto particolare. Il pistacchio brontese è dolce, delicato, aromatico e inoltre possiede colori e proprietà organolettiche che i frutti coltivati nel Mediterraneo e nelle Americhe non hanno». Cosa prevede il ciclo di lavorazione del pistacchio? «La raccolta dei frutti, su terreni accidentati e scoscesi come quelli che ci circondano, è molto complicata, per cui la produzione si sviluppa sulla base di cicli di raccolta biennali, nel periodo tra fine agosto e inizio settembre, in maniera da garantire un raccolto unico ma molto sostanzioso. In questo modo negli anni di non raccolta, le piante hanno la possibilità di “riposarsi” e rafforzarsi, assorbendo dal terreno le sostanze necessarie a produrre un frutto ricco di aromi e dai sapori inconfondibili». Quanto è importante la tecnologia in questo campo?


Andrea Anastasi

«Al di là della raccolta, che avviene ancora in maniera completamente manuale, all’interno della nostra azienda i processi di lavorazione del pistacchio sono altamente tecnologizzati, grazie all’uso di attrezzature all’avanguardia che garantiscono risultati ottimali e il rispetto dei più elevati standard igienico-sanitari, per una produzione certificata Uni En Iso: 9001. La prima operazione consiste naturalmente nella sgusciatura. Successivamente si procede con la pelatura che, attraverso un procedimento tecnologicamente molto avanzato che consiste nell’esposizione del frutto a vapore acqueo ad alta pressione e nel successivo passaggio dello stesso in appositi rulli, consente di eliminare l’endocarpo, la pellicola violacea che ricopre il pistacchio. In seguito avviene la produzione della pasta pistacchio pura 100% mediante raffinatrici che riescono a raffinare il pistacchio fino a 20 micron, questo prodotto è adatto per realizzare creme, gelati, praline e cioccolatini. Il pistacchio può essere infine utilizzato come articolo decorativo per torte, dolci e piatti salati, granellando il frutto mediante rulli meccanici, fino a ottenere la calibratura desiderata». Chi sono i vostri principali partner commerciali? «I nostri referenti sono fondamentalmente gros-

Al di là della raccolta, che avviene ancora in maniera manuale, la lavorazione del pistacchio si basa su metodi altamente tecnologizzati

sisti e industrie operanti in campo alimentare. Il pistacchio è infatti usato nell'industria dolciaria soprattutto per preparare torte, paste, torroni, gelati e granite ma anche nella preparazione di insaccati come mortadelle e soppressate». Quali sono, per il futuro, le prospettive del settore e della vostra azienda? «Ultimamente i prodotti a base di pistacchio sono sempre più richiesti, tanto che negli ultimi otto anni il suo utilizzo è aumentato del 150%, senza risentire in alcun modo della crisi economica internazionale. Questo trend sembra poter essere riconfermato anche grazie all'avvento di nuovi clienti quali Cinesi e Russi. Siamo convinti che il mercato presenti ancora enormi possibilità di crescita e, in virtù dell’esperienza maturata e della riconosciuta qualità delle nostre produzioni, possiamo guardare al futuro con fiducia e serenità».

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PRODOTTI ALIMENTARI

La sweet Sicily diventa business l coraggio di privilegiare la qualità rispetto ai grandi volumi è stata una scelta lungimirante, premiata da una crescita costante». È questa la valutazione che Nino Marino – socio titolare, insieme a Vincenzo Longhitano, del laboratorio di pasticceria artigianale Pistì – fa del primo decennio di attività, ruotato principalmente intorno al famoso pistacchio di Bronte, comune nel quale si trova il laboratorio. «Negli ultimi quattro esercizi – aggiunge Vincenzo Longhitano –, il marchio Pistì ha viaggiato con un tasso di crescita del fatturato annuo pari al 30 per cento, in antitesi con l’attuale scenario economico globale. Questi risultati straordinari rappresentano un traguardo per un’azienda che ha scelto di avere minori volumi, ma più prodotti dallo standard qualitativo eccellente». Questo successo non ha impedito ai fondatori di restare fedeli al fatto di essere un grande laboratorio di pasticceria artigianale, che non può certo raggiungere i numeri dell’industria, ma garantisce una produzione di altissimo livello, curata nei dettagli. La vostra produzione ha come fulcro il pistacchio di Bronte. NINO MARINO: «La nostra è stata fra le prime aziende a ricevere l’autorizzazione alla vendita e alla trasformazione del Pistacchio Verde di Bronte Dop e può vantare nella lista di successi la documentazione giustificativa che ci autorizza alla vendita di prodotti da produzione agricola con metodi biologici – e questo va a maggiore garanzia per i nostri consumatori. Ma la qualità non è solo questione di certificati, bensì è soprattutto il rapporto che il produttore ha con l’ambiente. Noi applichiamo ai processi produttivi una severa raccolta differenziata e abbiamo installato più di 3mila metri quadrati di pannelli fotovoltaici, che ci permettono di produrre autonomamente tutta l’energia di cui abbiamo bisogno rispettando l’ambiente in cui cresce il pistacchio».

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Un laboratorio di pasticceria ai piedi dell’Etna. Nino Marino e Vincenzo Longhitano raccontano il percorso che ha condotto i loro dolci, a base di pistacchio di Bronte e altri prodotti tipici siciliani, dal mercato locale alla grande distribuzione Luca Cavera

Quali altri prodotti rappresentano la vostra “sweet Sicily”? VINCENZO LONGHITANO: «I sapori che proponiamo comprendono anche mandorle di Avola, miele di Zafferana Etnea, fiori di zagara, arance e limoni – frutti tipici della nostra terra – che, secondo il dolce e la ricetta, si mescolano col gusto esotico del miglior cacao sudamericano. Con questi ingredienti prendono forma paste di mandorla, croccanti, torroni, cioccolato, marzapane, creme e panettoni. Tutti prodotti che nascono dalla cura e dall’attenzione per la qualità delle materie prime e per ogni passaggio della lavorazione, che uniti alla creatività danno vita a dolci squisiti, che si fanno anche apprezzare alla vista e per le loro confezioni». Quanto è importante nella vostra produzione il legame con il territorio siciliano e in particolare quello brontese?

Vincenzo Longhitano (a sinistra) e Nino Marino, soci titolari della Pistì di Bronte (CT). Al centro, lo chef Gianfranco Vissani www.pisti.it


Nino Marino e Vincenzo Longhitano

c «Nella preparazione dei nostri dolci cerchiamo di esprimere la storia, le risorse e i saperi della nostra terra. E non è solo una questione di ingredienti e materie prime, ma anche di processi di produzione. Abbiamo cercato di allargare più possibile la conoscenza di questo tesoro di dolci di alta qualità e siamo riusciti ormai anche a raggiungere un pubblico di largo consumo che apprezza in ogni proposta la storia di un patrimonio artigianale fatto di antiche tradizioni e materie prime dalle qualità uniche, combinate fra loro per dare vita a prodotti davvero speciali, in grado di far vivere un’esperienza di gusto unica». Come si è evoluta, in linea con i risultati di fatturato, la vostra capacità produttiva? N. M.: «Il nostro laboratorio di pasticceria è nato come piccola produzione di alta pasticceria oltre dieci anni fa. Nello stesso anno della fondazione, subito dopo il debutto al Cibus di Parma, in seguito alle numerose richieste da parte della grande distribuzione, si rese necessario un cambiamento di sede per incrementare la produzione. Passo che abbiamo dovuto via via ripetere fino ad approdare nel 2009 in una struttura di 4mila metri quadrati. Questo percorso ci ha portati a diventare un punto di riferimento per il territorio di Bronte: impieghiamo stabilmente trenta dipendenti, ai quali se ne aggiungono altri centotrenta nel periodo di alta stagione – e nonostante il momento complicato che stiamo V. L.:

La qualità non è solo questione di certificati, ma dipende anche dal rapporto che il produttore ha con l’ambiente

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attraversando, abbiamo la possibilità di continuare ad assumere nuovo personale». Dunque un’impresa integrata nel tessuto sociale e ambientale. V. L.: «L’attenzione alla qualità del lavoro in ogni passaggio produttivo, il rispetto per l’ambiente e una felice unione tra artigianalità, ricerca costante e creatività sono la nostra fortuna. Ci atteniamo a precise metodiche per garantire uno standard qualitativo elevato, supportata da numerose certificazioni, fra le quali Iso 9001:2008, Iso 14001:2004, Fssc 22000:2010, certificazione Kosher. Questa concezione di impresa esalta la ricerca, lo sviluppo e la creazione di nuove ricette e prodotti, senza mai perdere di vista il sistema di qualità: dalla selezione delle materie prime alla confezione del prodotto finito.»

6 MLN EURO

Fatturato 2011 di Pistì, cresciuta con un trend del 30% annuo nell’ultimo quadriennio

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PRODOTTI ALIMENTARI

Gelateria e pasticceria artigianale siciliana Torte, tronchetti, cassate, cannoli e altri prodotti tipici dell’Isola con due caratteristiche che li contraddistinguono: materie prime di alta qualità e lavorazione manuale. Li descrive Giovanna Vinci Amedeo Longhi

l mercato artigianale è molto particolare e si differenzia radicalmente da quello della produzione industriale, non solo per quanto riguarda i metodi di lavorazione ma anche per ciò che attiene l’aspetto commerciale. Giovanna Vinci, membro della famiglia che da ottant’anni opera in questo settore attraverso l’omonima azienda, la Vinci Srl, spiega questa importante distinzione: «L’acquirente del prodotto artigianale orienta le sue preferenze basandosi prima di tutto sulla qualità, mentre il consumatore normale, specialmente in questo periodo, guarda per

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Giovanna Vinci, della Vinci S.r.l. di Marsala (TP) www.vincisicilianfood.com

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prima cosa al prezzo». In che modo la vostra scelta di portare avanti una produzione artigianale influisce sull’aspetto commerciale? «Diciamo che il mercato del gelato e della pasticceria in generale prodotti con metodi industriali è molto frequentato, mentre nel settore artigianale c’è meno concorrenza. Sono poche le aziende italiane che realizzano questo tipo di prodotti facendo ricorso a metodi artigianali; per questo motivo è possibile imporre le proprie condizioni in quanto non c’è molta concorrenza in questo mercato. Chiaramente l’artigianalità della lavorazione comporta tempistiche diverse, molto più dilatate rispetto alla produzione industriale, consente di raggiungere quote di prodotto più contenute e si attesta su fasce di prezzo differenti». Quindi è un mercato di nicchia? «Non tutti sono disposti a pagare un costo più elevato per un prodotto alimentare artigianale, ma il settore è comunque solido, ben strutturato e ricco di consumatori che ricercano proprio questo. In particolare all’estero, questo mercato è in forte espansione. Già da due o tre anni abbiamo iniziato a ricevere molte richieste provenienti dall’Europa – Francia, Germania, Spagna, Inghilterra, Belgio, Danimarca, Russia, Malta – e dall’ America – Stati Uniti e Brasile. In quei paesi questa tipologia di prodotto sta conoscendo


Sul mercato pochi prodotti analoghi si avvicinano ai nostri per quanto riguarda la qualità della decorazione, che viene fatta tutta manualmente e non da macchinari

un’ampia e repentina diffusione, forse perché i consumatori locali guardano più alla qualità che al prezzo. Rispetto ai mercati di riferimento e alle strategie delle aziende più industriali quindi, il cerchio è più ristretto ma c’è più libertà d’azione, anche perché la clientela è disposta a pagare qualcosa in più per avere il prodotto di alta qualità, mentre la gestione commerciale del mercato del gelato industriale è indubbiamente più difficoltosa e non può prescindere dall’ottimizzazione dei costi di produzione e dal ricorso ad avanzate strategie di marketing, che pongono l’aspetto qualitativo in secondo piano». Da cosa deriva questa scelta di produrre affidandovi principalmente a metodi manuali? «Alla sua origine, la Vinci Srl era una realtà artigianale: siamo nati come laboratorio di gelato e ancora oggi riforniamo le gelaterie della

zona. Successivamente, a seguito di diverse richieste provenienti da tutta la Sicilia, abbiamo deciso di creare una nuova struttura perché il laboratorio cominciava ad essere insufficiente; ampliando la capacità produttiva per poter offrire lo stesso servizio. E grazie alle richieste che ci sono giunte un pò da tutta Italia abbiamo dovuto ingrandire ulteriormente la struttura produttiva, includendo anche un laboratorio di pasticceria tipica siciliana». Quindi oggi come si articola la produzione? «Circa il settanta per cento del nostro prodotto è comunque sempre rappresentato dal gelato, la nostra specialità. Il marchio Vinci Sicilian Food è riconosciuto come un prodotto artigianale e la nostra volontà è tenere fede a questa linea. Alcuni prodotti sono lavorati industrialmente ma vengono comunque decorati a mano, altri sono integralmente artigianali; e per tutti i nostri prodotti viene effettua una scelta di materie prime rigorosamente controllate e di alta qualità, al fine di mantenere un elevato standard qualitativo, sempre nel rispetto delle antiche ricette e tradizioni del gelato artigianale e della pasticceria tipica siciliana. I prodotti maggiormente richiesti sono i tronchetti gelato, le torte, i semifreddi, i cannoli e le cassate siciliane, conosciuti ormai sia nel territorio nazionale che internazionale». SICILIA 2012 • DOSSIER • 89


GRANDE DISTRIBUZIONE

Logistica e strategie nella grande distribuzione l mercato della grande distribuzione alimentare rappresenta un comparto estremamente competitivo, dove piccole differenze strategiche finiscono per determinare le sorti di una società. Il rapporto con i fornitori, la promozione presso l’utenza, la scelta del territorio da coprire, l’organizzazione della distribuzione. Tutti parametri da tenere in costante considerazione, che esigono – per essere gestiti al meglio – audacia e pragmatismo amministrativo, dunque una virtuosa sintesi fra ragione e intuito. Terra dalla rinomata creatività imprenditoriale, la Sicilia offre esempi di importanti successi nel mercato distributivo alimentare, forse il più brillante dei quali è testimoniato da Immacolato Bonina, amministratore delegato del Centro Supermercati Regione Sicilia. «Esiste un ingiustificato complesso di inferiorità in questa regione, puntualmente smentito in ogni momento in cui l’imprenditoria locale si confronta con quella forestiera: le potenzialità per la promozione delle imprese autoctone esistono e risiedono nella volontà, nell’inventiva e nella tenacia degli imprenditori locali». Utilizzando questa esortazione come spunto, come si delinea il confronto fra il Centro Supermercati Regione Sicilia e i colossi della distribuzione alimentare? «La concorrenza è senza dubbio agguerrita. Il grande successo dei brand più titolati in questo comparto distributivo ci impressiona ma non ci intimo-

I Immacolato Bonina amministratore delegato del Centro Supermercati Regione Sicilia. Nella pagina a fianco, Giuliano Gentile, direttore generale www.centrosigma.com

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La razionalizzazione gestionale e logistica è una fondamentale condizione di competitività nel mercato della grande distribuzione alimentare. Forte di una concreta esperienza nel campo, Immacolato Bonina esprime la sua opinione Lodovico Bevilacqua

risce. Noi rappresentiamo una realtà solida e virtuosa, che vanta incrementi sorprendenti in termini di fatturato, un grande numero di punti vendita gestiti – la quasi totalità dei quali di proprietà – nonché di personale impiegato, così come ingenti risorse investite. Le caratteristiche sopraelencate non sono rimaste lettera morta, ma hanno informato fin dall’inizio la nostra strategia aziendale, permettendoci di diventare competitivi sotto ogni aspetto». Come è strutturata l’azienda? «Nata da un solo punto vendita, la nostra attività distributiva si è espansa in maniera rapida e decisa, arrivando a coprire dapprima la zona di Messina, in seguito tutta la Sicilia e raggiungendo infine la Calabria. Dal punto di vista logistico possiamo contare su tre centri di distribuzione, localizzati in punti strategici quali Barcellona, Milazzo e Cosenza; questa struttura organizzativa ci permette di effettuare consegne veloci e puntali, aggiungendo valore al nostro servizio. Per quanto riguarda la gestione dei punti vendita, essi si dividono in due grossi filoni, ovvero quelli presentati sotto l’insegna Sigma e quelli associati a un nuovo format di nostra creazione, Mercato alimentare, che sta avendo un successo decisamente confortante. Lo sviluppo dell’azienda è stato vertiginoso, il fatturato cinque anni fa era in-


Immacolato Bonina

torno ai 20 milioni di euro, nel 2012 le previsioni sono di chiudere intorno ai 250 milioni di euro, mentre l’obiettivo nel prossimo triennio è di raggiungere un fatturato di 500 milioni di euro, soprattutto con le nuove aperture in Calabria. Il numero dei dipendenti è intorno agli 800». Quali sono le caratteristiche principali del servizio che offrite? «Oltre alla rapidità di consegna consentita dalla razionale gestione logistica dei punti di distribuzione sopra descritta, puntiamo molto su quello che deve essere il concetto basilare di questa attività, ovvero il raggiungimento di un equilibrio ottimale fra qualità della merce proposta e convenienza della stessa. La differenza con i grandi nomi della distribuzione alimentare è proprio questa: le marche distribuite sono le medesime, ma i nostri prezzi sono decisamente più vantaggiosi. Parlando sempre di distribuzione di qualità – senza dunque scivolare nel concetto del discount – offriamo questo prezioso vantaggio grazie ad una politica aziendale accorta e sagace, modellata su un rapporto preferenziale con i fornitori. L’esposizione della merce nei punti vendita – inoltre – è semplice e intuitiva, in modo che la caratteristica saliente assimilata dall’utenza sia quella della grande convenienza

che riusciamo a garantire». In un servizio destinato a mutuare il concetto di negozio di prossimità, quanto conta la posizione del punto vendita nel successo della catena? «È un fattore di indubbia importanza. E rappresenta uno degli ambiti dove il Centro Supermercati Regione Sicilia segna un altro punto a proprio favore: potendo agire senza il vincolo di un consiglio di amministrazione abbiamo la possibilità di contrarre sensibilmente le tempistiche successive a ogni decisione strategica. La concertazione fra il sottoscritto e direttore generale dottor Giuliano Gentile – vera anima della società – segue a una fase di indagine delle opportunità di apertura di ogni attività; questa a sua volta si avvale della preziosa collaborazione esterna di agenzie preposte che ci segnalano aziende da rilevare, punti vendita da aprire o locali già pronti per l’utilizzo. La scelta di preziosi collaboratori si rivela dunque strategica, alla stregua di un decisionismo pragmatico e funzionale». SICILIA 2012 • DOSSIER • 91



FOCUS CATANIA Lo sblocco del piano regolatore e di alcune importanti opere pubbliche trasformeranno il volto urbano di Catania attraverso la riqualificazioni di aree verdi e la realizzazione di un sistema integrato per la fruizione del litorale, di zone turistico ricettive e ricreative, di impianti sportivi, di parcheggi. Le opere saranno ultimate grazie alla concessione di contributi dei fondi europei per interventi pubblici e privati


FOCUS CATANIA

UNA NUOVA CITTÀ PIÙ VIVIBILE 800mld 1,1mld FONDI

DEBITO

La somma stanziata per il collegamento viario Ragusa-Catania, per cui è in corso una procedura di project financing

Il disavanzo economico del Comune di Catania nel 2008

a revisione del piano regolatore generale di Catania pone grande attenzione al tema della sostenibilità urbana e territoriale, come il contenimento delle nuove espansioni edilizie e la tutela delle aree libere residue presenti, in particolare nella porzione nord del territorio. Raffaele Stancanelli introduce le novità contenute nel nuovo documento che disegna una città ecosostenibile e più efficiente in fatto di servizi e strutture. «Tra le priorità contenute all’interno del nuovo piano regolatore – afferma il primo cittadino – c’è la volontà di non costruire ulteriori abitazioni ma offrire nuovi e sempre più efficienti servizi per una città che ha estremo bisogno del raddoppio delle aree verdi, della rete di infrastrutture e dei servizi». Quali sono le più importanti opere che saranno realizzate per il rilancio urbanistico ed economico di Catania? «È stato già riattivato il cantiere del Parcheggio Europa. Nel 2002-2003 si parlava di costruire nove parcheggi interrati che poi furono bloccati

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Raffaele Stancanelli

Le modifiche attuate al piano regolatore offriranno un nuovo volto urbano. Lo assicura il sindaco Raffaele Stancanelli, che punta alla rigenerazione del centro storico attraverso politiche green Elisa Fiocchi

5.300 ETTARI

L'ambito territoriale su cui interviene il Pua che comprende una vasta area dal porto alla zona a sud della città

dalla magistratura. Oggi siamo riusciti a ottenere il completamento di uno di questi, previsto per la fine del 2012. Per tutti gli altri, almeno quattro sono già in fase di trattativa avanzata e contiamo di aprire i cantieri entro fine anno». Come cambierà il volto di Catania con le nuove misure urbanistiche? «Da ormai vent’anni si parla del piano regolatore e finalmente, dopo tutto questo tempo, siamo vicini alla delibera. Adottarlo entro il 2012 apporterebbe molte novità per la rigenerazione del nostro centro storico. Inoltre, il nuovo piano sarà interamente realizzato da ingegneri interni all’Università di Catania e non ci sarà alcuna collaborazione da parte di progettisti esterni». Quali ricadute occupazionali sono previste sul territorio? «Per quanto riguarda corso Martiri delle libertà, che è fermo da tre anni, siamo riusciti a ottenere un accordo per la sua riqualificazione, chiudendo anni e anni di contenzioso. Attendiamo ora la presentazione del progetto, consapevoli che of-

frirebbe grande ossigeno al mercato occupazionale, grazie all’impiego di circa duemila addetti ai lavori». Come sbloccare anche il sistema produttivo e il turismo per rilanciare l’economia? «Il cantiere del litorale la Playa di Catania, un progetto fermo dal 2002 che prevede la costruzione di un grande acquario e di un auditorium per il turismo congressuale, è solo uno delle tante iniziative. Si tratta di un’operazione molto importante per il rilancio delle varie forme di turismo e per la destagionalizzazione dei flussi di visitatori sul territorio». Quali altre proposte ha in serbo per tenere le casse comunali in ordine? «Quando sono arrivato al governo di questa città, nel 2008, ho trovato un miliardo e cento milioni di euro di debito. Tante cose sono state fatte da allora, nell’ottica di ridurre e razionalizzare le spese: un ritorno agli equilibri di bilancio e alla sobrietà che mai quanto oggi, con il Governo Monti, risulta in linea con le politiche nazionali».

Raffaele Stancanelli, sindaco di Catania

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IL COMMERCIO PUNTA SULLE INFRASTRUTTURE Secondo Riccardo Galimberti è urgente lo sblocco delle opere edilizie che trasformeranno la città in un grande cantiere a cielo aperto, puntando sulla vitalità del tessuto imprenditoriale Elisa Fiocchi

300mln BUDGET

Le risorse destinate al progetto “Stella polare”, inserito nel piano urbanistico attuativo di Catania sud

fronte di aziende siciliane che lavorano anche all’estero nel settore delle infrastrutture e che hanno saputo cogliere le opportunità di paesi in crescita, in Sicilia si registrano opere pubbliche strategiche bloccate per 1,5 miliardi. Le sofferenze sul territorio emergono dai dati del Pil regionale, in calo del 2,2 per cento rispetto all’anno precedente, e dal tasso di disoccupazione che le stime delle forze sociali indicano al 14 per cento, ciò significa che un giovane su due è in cerca di lavoro. A Catania, la situazione rimane critica e agganciata allo sblocco dei fu-

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turi programmi urbanistici in grado di far ripartire l’economia e l’occupazione. «Sono in programma una serie di incontri con l’amministrazione comunale con tempi e scadenze precise – afferma Riccardo Galimberti, al vertice di Confcommercio Catania – ad aprile, assisteremo allo start up di alcuni progetti e nel mese di settembre è previsto l’inizio dei lavori nei cantieri». Il numero uno dei commercianti chiede con forza lo sblocco degli interventi infrastrutturali urgenti materiali e immateriali, perchè sia assicurato al tessuto imprenditoriale un contesto favorevole alla concorrenza e al mercato. Il pressing è ri-

volto in particolare ai grandi progetti, Prg e Pua, che rappresentano il nocciolo per il rilancio di Catania, dove tra le priorità si evidenzia la riorganizzazione del sistema portuale e degli interventi per velocizzare i collegamenti ferroviari tra Palermo e Catania, la creazione dei parcheggi interrati, il nuovo assetto di corso Martiri della libertà e l’intervento sulla Plaia di Catania. Secondo Galimberti, si deve puntare sulla capacità dell’edilizia pubblica e privata di dare vigore al sistema commerciale in attesa che il sistema produttivo e il turismo possano costituire i nuovi propulsori economici. Una delle questioni che


Riccardo Galimberti

sta molto a cuore agli imprenditori e ai commercianti è il progetto che riguarda corso Martiri della libertà. «Il progetto “Stella polare”, inserito nel piano urbanistico attuativo di Catania sud e che dovrebbe trasformare il volto di parte della zona sud di Catania, prevede la realizzazione alla Plaia di una serie di infrastrutture ricettive, tra cui un acquario e un centro congressuale molto interessante per l’incremento di questo tipo di turismo e la sua destagionalizzazione. E finalmente, dopo cinquant’anni, stiamo arrivando al completamento di corso Martiri della libertà, fondamentale

arteria cittadina che da troppi anni aspetta di essere riqualificata». Quali novità sono contenute in questi progetti? «Un particolare molto interessante connesso al progetto del litorale la Plaia, è la sua gestione da parte di una società mista, di sindacati e imprenditori. In generale, ritengo di estrema importanza raccogliere le nuove sfide che lo sviluppo del turismo è in grado di offrire sul territorio. Quello congressuale, ad esempio, è stato finora penalizzato ma deve rientrare tra gli elementi di un piano territoriale di marketing più esteso, che possa comprendere sia l’offerta commerciale sia quella turistica e di promozione del territorio. Bisogna lavorare in maniera condivisa per potenziare gli itinerari, il simbolo del vulcano, la scogliera dell’Etna e tutto il comparto d’eccellenza dell’enogastronomia. Finora abbiamo assistito allo sperpero di troppe risorse del denaro pubblico e auspichiamo che i progetti rientranti nel Pua, che prevede lo stanziamento di 80 milioni di euro, siano effettivamente portati a termine». Quali opportunità di crescita economica sono previste con l’avvio di queste opere? «Per il tessuto imprenditoriale e per l’intera città è fondamentale intanto che avvenga lo sblocco totale del piano edilizio e commerciale, perchè Catania, soprattutto nel

comparto delle costruzioni, sta vivendo una profonda crisi. L’obiettivo è di mettere in sicurezza gli edifici più a rischio, tenendo conto che il territorio è particolarmente esposto anche ai rischi sismici. Questi progetti poi, dovrebbero dare lavoro a un centinaio d’aziende e, di conseguenza, ne trarrebbe giovamento anche l’intero comparto commerciale». Quali sono i punti di forza della città? «Catania è una città dal forte spirito imprenditoriale che oggi è bloccata, ma è anche una città che ha fondato la sua economia sul commercio e sull’edilizia e che quindi oggi più che mai deve contare sullo sblocco di una situazione di stasi e di disagio che permane da troppi anni. Siamo anche in una fase preelettorale, quindi assistiamo con attenzione agli sviluppi politici che riguarderanno il futuro della città». I commercianti cosa chiedono alle istituzioni locali? «Certamente siamo tutti d’accordo sul fatto che serve una modifica nel rapporto con il sistema creditizio, perchè non è accettabile che alcune banche chiedano il rientro di fidi modesti. Questo aspetto, purtroppo, non riguarda solo Catania ma l’intero Paese alle prese con il problema dell’accesso al credito. Chiediamo inoltre che sia snellita la burocrazia perchè altrimenti il sistema continuerà a comportarsi come un cane che si morde la coda».

Riccardo Galimberti, presidente di Confcommercio Catania

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CABINE DI REGIA PER I VIRTUOSI Secondo Giovanni Selvaggi servono tutele e premi per le aziende che lavorano onestamente, mentre quintuplicare la tassazione in agricoltura porterà molte di esse alla chiusura. «Non cederemo a quest’ulteriore richiesta di sacrificio» Elisa Fiocchi

i pesanti danni causati dal maltempo su tutta l’Italia, stimati in oltre 500 milioni di euro, il settore agricolo nazionale si trova ad affrontare l’impatto dell’Imu, questo rischia di mettere fuori mercato molte imprese, determinando un salasso da 1,5 miliardi di euro rispetto agli attuali 300 milioni circa di gettito, ai quali potrebbero aggiungersi altri 2-3 miliardi di euro per l’accatastamento. Giovanni Selvaggi, presidente di Confagricoltura Catania, si unisce al grido di allarme delle organizzazioni nazionali: «Nel Catanese il settore agricolo versa in condizioni eco-

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nomiche disastrose». L’eccezionale grandinata avvenuta questo mese ha provocato danni ingenti alle colline ed è andata a sommarsi a quelli causati già in febbraio dal maltempo». Di quali concreti strumenti necessita il comparto agricolo catanese per uscire dalle attuali difficoltà? «L’estremo disagio venutosi a creare a seguito dell’eccezionale ondata di maltempo, combinata al teoricamente giusto ma - viste le modalità di attuazione - inutile fermo degli scambi imposto dalla volontà del neo movimento non riconosciuto “Onda d’urto”, costituisce l’emblema di un’attività di impresa

giunta al collasso che, senza aiuti, difficilmente potrà riprendersi. Non vogliamo essere ancora una volta umiliati da un regime di aiuti in de minimis, né apparire all’opinione pubblica, come spesso avviene per cattiva informazione, come la categoria dei mantenuti o dei piagnoni che chiedono l’elemosina alla gestione politica di turno». Quali sono gli interventi da attuare urgentemente? «Innanzitutto chiediamo che vengano sospesi l’esecutività delle cartelle esattoriali emesse da Inps e i pagamenti dei contributi previdenziali per la prossima campagna agraria; bisogna ottenere un’ulteriore esenzione dal-


Giovanni Selvaggi

l’interminabile serie di accise gravanti sui carburanti agricoli ed estendere l’utilizzo degli stessi ai trasporti su gomma svolti quotidianamente nelle aziende agricole: i camion che riforniscono dalla campagna i centri di lavorazione, i piccoli furgoni che trasportano i dipendenti fino al luogo di raccolta. È necessario, inoltre, dar luogo a tavoli tecnici con gli istituti di credito al fine di azzerare le passività accumulate e portare a lungo termine le stesse mediante mutui ventennali a tasso agevolato; c’è da rivedere gli strumenti finanziari e reintegrare tutti quei soggetti che, risultando “irrimediabilmente” come cattivi pagatori, sono inibiti dall’accesso al credito. E, di fatto, dopo Basilea, il sistema fiscale rende particolarmente difficile l’accesso al credito di piccole e medie imprese agricole». Quali sono le sue proposte per rilanciare il comparto agricolo? «Una soluzione potrebbe essere quella di costituire vere e

proprie “cabine di regia” tese a monitorare e premiare, in virtù del principio meritocratico troppo spesso dimenticato, quelle aziende, singole o associate, che lavorano, che assumono manodopera agricola e danno conto dell’attività svolta e dei risultati raggiunti. Inoltre, servirebbe snellire e sburocratizzare tutti gli adempimenti che, quotidianamente, assillano le imprese, sempre più appesantite nei costi di gestione dall’introduzione di nuovi obblighi a proprio totale carico. Di nuova introduzione, anche l’obbligo di formazione dei trattoristi che, pur in possesso di tale qualifica, dovranno acquisire uno specifico attestato». Quali ripercussioni ci saranno sulle imprese agricole dopo l’approvazione da parte dell’amministrazione comunale della nuova imposta Imu? «Le ripercussioni saranno molto pesanti: agli agricoltori catanesi non si possono addossare i dissesti delle giunte comunali che hanno creato e che oggi, per aggiustare i bilanci, si trovano costretti ad applicare. In proposito rammento con soddisfazione che a seguito del sit-in tenutosi a Roma, l’assemblea della Camera dei Deputati ha approvato l’ordine del giorno con cui impegna il governo a promuovere una revisione, non

solo formale, dell’Imu agricola». Come le aziende agricole e tutti gli enti coinvolti intendono imporsi per ostacolare tale imposizione fiscale? «In maniera ferma e assoluta: è ridicolo tassare, nel giro di pochi mesi, i fienili, i magazzini inutilizzati o in disuso; senza dimenticare che i costi di accatastamento a carico delle imprese assorbiranno un ulteriore e immenso sforzo economico. Gli agricoltori prima di raccogliere seminano: che anche i governanti inizino a seminare se vogliono raccogliere voti. Non bastano più le promesse, mai mantenute, da campagna elettorale: la politica inizi a capire che nel Meridione, in Sicilia, a Catania, di agricoltura vivono migliaia di famiglie che, diversamente, sarebbero costrette a emigrare nuovamente come in passato. E non è immaginabile che i nostri politici mirino a tanto». Quali proposte sottoporrà all’attenzione della giunta affinché possa emergere in futuro il potenziale e il reale valore strategico dell’agricoltura siciliana per lo sviluppo dell'intero territorio? «Dico solo che siamo disposti a credere in questa giunta nella misura in cui la stessa si mostrerà disposta a credere nell’agricoltura». SICILIA 2012 • DOSSIER • 99


FOCUS CATANIA

UNIVERSITÀ, NUOVE POLITICHE DI SPESA Antonino Recca punta alla programmazione unica dell’Università, collegata al bilancio unico, per evitare gli sprechi e orientare in senso virtuoso l’intera gestione dell’ateneo Elisa Fiocchi

172mln BUDGET Le risorse disponibili per l’Università di Catania

Università di Catania è considerata una delle migliori del centro-sud, ma per molti altre sedi dell’isola, come ad esempio quella distaccata di Ragusa, le difficoltà economiche dettate dalla crisi e dal taglio delle risorse, potrebbero portare alla chiusura dei battenti. «Oggi occorre investire sull’eccellenza dell’offerta formativa e della ricerca scientifica che la alimenta, con azioni tese a perseguire i requisiti di qualità», dichiara il rettore Antonino Recca. Si tratta di obiettivi fondamentali, che sono stati già individuati nell’atto di programmazione

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Antonino FrancescoRecca Fanti

triennale approvato dagli organi collegiali a fine dicembre 2011. Attraverso quali atti concreti saranno tradotti gli sforzi dell’ateneo? «Per quanto riguarda l’attività didattica, tendiamo al miglioramento del percorso formativo attraverso l’eliminazione di profondi squilibri tra domanda di formazione universitaria e utenza sostenibile. È, inoltre, nostra intenzione rimeditare i compiti istituzionali della scuola superiore, ormai da oltre un anno divenuta struttura didattica interna. Progressivamente, le attività formative della scuola saranno indiriz-

zate verso corsi di laurea magistrale, master e dottorati di ricerca in aree scientifiche di particolare eccellenza, tenuti prioritariamente in lingua inglese. Analoga attenzione all’eccellenza sarà dedicata anche al versante della ricerca scientifica, a cui sarà abbinata una politica premiale nella distribuzione dei fondi di ricerca dell’ateneo, che ha favorito i top scientists, cioè quei ricercatori che hanno maggiormente prodotto pubblicazioni scientifiche nell’ultimo quinquennio». Nel 2006 il budget dell’università era di 212 milioni, mentre oggi è di circa 172. Che ripercussioni im-

mediate si sono registrate con il taglio delle risorse? «I tagli hanno imposto un’attenta revisione della nostra politica di spesa, sempre più improntata a rigore e sobrietà, volta a eliminare il superfluo, a partire dai gravosi oneri derivanti dalle tante sedi decentrate che l’Università di Catania ha progressivamente disattivato a partire dall’anno accademico 20062007. Al fine di mantenere in salute il proprio bilancio, sono stati poi effettuati tagli di tipo razionale e non lineare, realizzati mediante un oculato controllo di gestione riguardante ogni spesa di funzionamento, dalle manu-

Antonino Recca, Rettore dell’Università di Catania

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FOCUS CATANIA

tenzioni ordinarie alla cancelleria, dalle spese per trasporti a quelle per la vigilanza e per l’energia elettrica». E in che modo, invece, saranno investite le attuali risorse a disposizione? «In gran parte, per assicurare lo stipendio a scadenze certe ai dipendenti universitari, docenti e tecnici-amministrativi. Uno stipendio sempre più certo anche per i tanti precari che abbiamo trovato in ateneo e che oggi sono ampiamente avviati in un percorso di stabilizzazione che, nel rispetto delle norme sul turn-over, proveremo a condurre in porto presto e bene, con priorità assoluta. Sempre in termini di politica di reclutamento, le risorse

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serviranno per dare occupazione ai giovani ricercatori. I pochi fondi residui serviranno poi a favorire la ricerca di eccellenza, per agevolarne il successo nei bandi competitivi. Lo dimostrano i tanti progetti Prin, con coordinatore nazionale catanese, ammessi a finanziamento ministeriale nell’ultimo triennio; il contributo su fondi di provenienza europea che ci consentirà di completare la Torre biologica, per farne un centro di eccellenza della ricerca bio e nanotecnologica; i tanti progetti Pon di recente finanziati». Il Consorzio universitario di Ragusa deve oltre 950mila euro all’Università di Catania. C’è un effettivo rischio di chiusura per la

sede distaccata? «Il rischio è assai grande. L’Ateneo ha fatto ogni sforzo per adempiere ai suoi obblighi e, nonostante gli inadempimenti del consorzio universitario ragusano, sta comunque assicurando un percorso formativo di qualità nella sede di Ragusa, e lo farà senz’altro fino alla fine dell’anno accademico in corso, nell’interesse primario dei tanti studenti che animano la struttura didattica iblea. A conclusione dell’anno accademico, tuttavia, salvaguardando comunque l’interesse degli studenti che volessero completare il proprio corso di studi presso l’Università di Catania, saremo costretti a trarne le conseguenze».



EVASIONE FISCALE

Tutti gli strumenti per combattere l’evasione e armi contro l’evasione, previste dal nuovo governo, sono molte. Tra esse anche la tracciabilità dei pagamenti e lo spesometro, ma quanto influiranno nel concreto queste due misure sulle abitudini degli italiani? Entro giugno scatta il nuovo redditometro. Cosa cambierà? «Di certo la tracciabilità dei pagamenti e lo spesometro saranno utili per combattere l’evasione» spiega il professor Victor Uckmar, fiscalista e tributarista. «Il nuovo redditometro dovrebbe tenere in conto la crisi che si è abbattuta su tutti, o quasi, e quindi alleggerire la pressione». Tra gli altri provvedimenti si è parlato di liste di evasori, per le quali si pensa a nuovi criteri per la loro messa a punto. Che scenario si prospetta? «Non ritengo che queste liste saranno predisposte, anche perché le liste sarebbero lunghissime: si pensi a quanti non hanno richiesto o comunque ottenuto la fattura per piccoli lavori di casa o di professionisti che non la rilasciano. Ma prima di gravare su questo vasto settore, occorre tenere presente che si tratta di importi solitamente modesti, spesso per sbarcare il lunario. Molti suggeriscono la deducibilità per indurre il richiedente a pretendere la fattura, ma si frappongono ostacoli non facilmente superabili. In prima battuta l’Agenzia potrebbe trarre utili riferimenti sfogliando le riviste di “gossip” o i vari rapporti sulla “casta”. D’altronde oggi l’Agenzia ha accesso a una grande quantità di dati personali e significativi: addirittura il garante Francesco Pizzetti ha denunciato la violazione della privacy, ma occorre decidere: privilegiare la privacy o l’interesse dello Stato, nonché di tutti i contribuenti corretti?». Quando si potranno vedere

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Tra gli interventi operativi in materia fiscale, i blitz della Guardia di Finanza in varie città italiane sono solo un piccolo aspetto degli interventi che il governo ha in programma. Victor Uckmar fa un quadro generale dello scenario che si prospetta Nicolò Mulas Marcello gli effetti concreti dei provvedimenti, in termini di minori tasse per tutti? E, soprattutto, queste misure cambieranno la coscienza degli italiani nei confronti delle tasse? «Già risultano concreti introiti di gettito per effetto della aperta lotta all’evasione e questo grazie anche alla impegnata attività della Agenzia delle entrate. Alcuni giorni or sono era stato previsto che il relativo gettito sarebbe stato destinato alla riduzione delle imposte, ma dopo l’annuncio è stata fatta marcia indietro per tanti impegni da affrontare, cominciando dalla riduzione del debito pubblico. È peraltro certo che, anche per il successo della lotta all’evasione, si deve avere come contropartita la radicale riforma dell’ordinamento tributario in estrema crisi: pressione che supera il 50% del Pil (la più alta del mondo), sperequazioni (per legge non sono previsti nella dichiarazione i redditi tassati alla fonte), complessità (migliaia di norme in continua evoluzione), incertezze (si pensi all’esteso utilizzo dell’abuso del diritto per colpire presunte elusioni) così che, secondo la classifica della Word Bank sul sistema fiscale di 183 Stati, l’Italia è al 128° posto. Ciò è gravemente pregiudizievole per gli investimenti e per lo sviluppo economico, come ho avuto occasione di riferire in una audizione dinanzi alla Commissione delle Finanze e tesoro del Senato il 21 dicembre 2011, nella quale, purtroppo, ripetevo in chiave critica quanto già avevo esposto nel 1989 dinanzi alla stessa commissione presieduta dal compianto Nino Andreatta».

Victor Uckmar, professore emerito presso l’Università di Genova





La burocrazia blocca le rinnovabili «Abbiamo meno impianti rispetto ad altre regioni italiane, addirittura meno della Lombardia». Parte da questa considerazione Salvatore Moncada per spiegare il paradosso tutto siciliano di un settore, quello delle rinnovabili, che non cresce perché l’iter autorizzativo penalizza i progetti degli imprenditori del comparto Tiziana Bongiovanni

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n imprenditore caparbio alla guida di uno dei principali gruppi nazionali nel settore delle fonti rinnovabili. Un imprenditore che ha sconfitto la mafia e che porta nel mondo la tecnologia italiana, anzi, siciliana. È Salvatore Moncada, presidente di Moncada Energy, una storia di successo che sconta la piaga più grande per lo sviluppo del comparto: le autorizzazioni. Presidente, come è nata l’idea di investire sulle rinnovabili? «Avevo un’azienda di costruzioni, ma il settore stava diventando sempre meno conveniente. Ci siamo posti nella logica di una filiera integrata e nel 2003 abbiamo iniziato un percorso grazie a finanziamenti di banche spagnole. Volevamo creare un polo industriale, non semplicemente

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Salvatore Moncada

Abbiamo firmato un accordo di joint venture con la Solar Capital di Città del Capo, in Sudafrica, per la realizzazione di un impianto solare di 360 MW interamente a nostra tecnologia

comprare da altri». Come mai la Regione non concede le autorizzazioni per l’installazione degli impianti? «Tutto il sistema si sostiene a seguito degli incentivi. Sono anni che lottiamo contro l’inedia del rilascio delle autorizzazioni e da questo punto di vista la Sicilia è stata molto penalizzata. La Regione centellina i permessi, che vanno tutti a finire agli amici degli amici. Inoltre, l’ultimo decreto del Governo Monti ha stabilito che non si possono più installare pannelli solari in terreni agricoli». Siete anche sfavoriti rispetto al resto del Paese? «Sì, pur avendo un maggiore gradiente di sole e vento, abbiamo meno impianti rispetto ad altre regioni italiane, addirittura meno della Lombardia». A cosa è dovuta questa situazione?

«Le rinnovabili sono regolate dalla legge 387 del 2003, in cui si dichiara che sono opere di pubblica utilità le cui autorizzazioni vanno rilasciate in 180 giorni. La mia azienda, escluso un unico progetto risalente all’agosto del 2011, non riceve autorizzazioni da sei anni. Protestiamo, abbiamo presentato degli esposti, ma nulla è cambiato. Pensi che il piano energetico regionale prevede la sussistenza di un canale privilegiato verso chi ha una filiera integrata. Fino a un anno fa ero l’unico che la possedeva, sia sul solare che sull’eolico, eppure non ho avuto le autorizzazioni». Come se lo spiega? «Oggi c’è poco denaro da poter distribuire per gli appalti. Così si tenta di fare clientela dando ad alcuni e non dando ad altri. È il tipico sistema meridionale, quello che si basa sulla “discrezionalità” del

funzionario. I rappresentanti della Regione dicono che non rilasciano autorizzazioni perché non vogliono che la Sicilia si riempia di pannelli e In apertura, torri eoliche; mentre io ri- Salvatore Moncada, tengo che sia più saggio pre- presidente del Gruppo Moncada disporre un piano industriale che individui le aree dove è possibile installare gli impianti e quelle dove non lo è. Un imprenditore ha bisogno di certezze sulla possibilità di poter svolgere il suo lavoro». Quindi oltre il danno, la beffa. «Ho investito 90 milioni di euro nella mia regione quando altre aziende importanti come la Fiat scappavano. Potevo fare la stessa cosa e investire in un’altra parte del mondo, eppure ho preferito portare sviluppo e lavoro qui. Purtroppo però ho dovuto sempre più delocalizzare, quand’invece da siciliano doc - sono nato ad Agrigento - SICILIA 2012 • DOSSIER • 111


ENERGIE ALTERNATIVE

avrei preferito creare un modello da emulare nella mia terra. In realtà quando ho iniziato ad avere successo e abbiamo contestato ciò che non andava, si è rivelato un boomerang. Oggi perciò mi trovo a dover fare delle scelte che penalizzeranno la regione dal punto di vista occupazionale». Cioè? «Abbiamo firmato un accordo di joint venture con la Solar Capital di Città del Capo, in Sudafrica, per la realizzazione di un impianto solare di 360 MW interamente a nostra tecnologia. In tutti quei Paesi che noi chiamiamo emergenti, ma che sono più sviluppati di noi, adottano il “local content”, cioè “tariffa contro energia”, un concetto che in Italia nessuno applica. Dei miei 240 dipendenti, dovrò metterne a casa il 20% e un altro 20% dovrò spostarlo. Paradossalmente, pur avendo la possibilità di lavorare qui senza chiedere soldi pubblici, la crescita di fatturato la stiamo facendo all’estero. Non c’è la volontà da parte di chi ci governa di creare valore aggiunto dal denaro dei cittadini». Ma in Sicilia cosa avete realizzato? «Noi ci occupiamo di energia alternativa a 360 gradi. Dal 2009 abbiamo esteso il nostro core business anche al solare. Per quanto riguarda l’eolico, tramite società veicolo, ab112 • DOSSIER • SICILIA 2012

È il tipico sistema meridionale, quello che si basa sulla “discrezionalità” del funzionario. I rappresentanti della Regione dicono che non rilasciano autorizzazioni perché non vogliono che la Sicilia si riempia di pannelli e torri eoliche

biamo sette impianti in funzione nell’Agrigentino. L’ultima autorizzazione però risale al 2006, mentre quella sul solare ad agosto dell’anno scorso». Ma oltre alla sua azienda, si sta sviluppando il settore in Sicilia? «In questo momento c’è una stasi». Pensa che dietro le mancate autorizzazioni ci sia lo zampino delle organizzazioni criminali? «No, non credo. Lo scrittore Leonardo Sciascia diceva che la mafia è un’altra cosa. Non è quella che punta la pistola e chiede il pizzo». Cosa vuol dire un’industria come la sua in un territorio vessato dalla mafia? «Un giovane che vuole aprire un’attività in Sicilia si trova davanti l’Himalaya. La mafia non si avvicina alle grandi aziende. Purtroppo va dai più piccoli, dai più deboli. Il pe-

ricolo c’è, ma è all’inizio. Io stesso sono stato due anni sotto scorta per aver fatto arrestare diversi mafiosi. Noi collaboriamo da anni con la Prefettura di Agrigento grazie alla stipula di un protocollo di legalità, che prevede uno scambio continuo di informazioni con la Prefettura: noi segnaliamo tutti coloro che sono abilitati presso le nostra attività, loro ci confermano se sono persone pulite o meno. Oggi riesco a lavorare tranquillamente perché ho donato ai Carabinieri una nuova caserma a fianco del mio stabilimento. Questo è un segnale forte. Io mi sento una persona fortunata per essere scampato alla mafia. Ho perso mio padre molto giovane e ogni tanto dico che c’è un angelo che dall’alto mi protegge. Ma spesso la fortuna non arriva per caso, bensì dall’abnegazione e dall’ostinazione nel fare le cose».



ENERGIE ALTERNATIVE

A Siracusa il solare vince sull’eolico Nella terra del vento e del sole si è scelto uno sviluppo alternativo in campo energetico. Anche se, avverte Aldo Garozzo, leader degli industriali siracusani, scelte politiche hanno avvantaggiato i pannelli solari rispetto alle pale eoliche Tiziana Bongiovanni a Sicilia sta rispondendo bene allo sviluppo di energie alternative». Parola di Aldo Garozzo, presidente di Confindustria Siracusa. Al quale, però, non piacciono le frasi che spesso si leggono sui giornali come “la Sicilia vuole illuminare l’Europa” perché, spiega, «noi siamo un’isola con tanto sole e vento, ma con una diversa prospettiva di sviluppo per quanto riguarda l’energia eolica e quella solare, in quanto il piano energetico regionale ha favorito nettamente la seconda. Sono state concesse a chi ne faceva richiesta le autorizzazioni necessarie all’utilizzo dei terreni per l’installazione dei pannelli solari, mentre lo stesso non è avvenuto per quanto riguarda le torri eoliche, che sono state

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fortemente limitate». Perché questa scelta? «Perché la giunta regionale ha voluto favorire il fotovoltaico rispetto all’eolico. Tant’è che l’unica azienda sul nostro territorio che produceva torri del vento ha chiuso due anni fa. Purtroppo però lo sviluppo del solare risente dei tempi lunghi per le autorizzazioni. Per ottenere il sì definitivo all’installazione di un rigassificatore, ad esempio, ci vuole un’incubazione di 7-8 anni». Quante sono le imprese associate che trattano le rinnovabili? «Oltre al fotovoltaico, nessuna. Nel Siracusano sono stati realizzati grossi impianti tramite un consorzio di imprese e a Priolo Gargallo la centrale solare termodinamica Archimede è l’unica a utilizzare una miscela di sali

fusi sia come fluido termovettore che come fluido per l’accumulo termico. Essendo integrata alla centrale Enel a ciclo combinato, a cui fornisce vapore ad alta pressione e temperatura, è in grado di produrre 5 MW di energia elettrica». Per quanto riguarda le biomasse invece? «C’è qualcosa nel Palermitano e nel Trapanese; le nostre zone non hanno una vocazione agricola di questo tipo». Lei è favorevole alle energie alternative? «Globalmente sì. Ci sono aspetti positivi legati all’ambiente, alla riduzione delle importazioni di metano e al risparmio sui prezzi dell’energia elettrica, anche se in coscienza devo ammettere che trasferiscono nei punti di produzione tutti i fenomeni di inquinamento. Insomma, far


Aldo Garozzo

Far nascere un impianto non è a impatto ambientale zero, anche se ci sono aspetti positivi dovuti alla riduzione delle importazioni di metano e al risparmio sui prezzi dell’energia elettrica

nascere un impianto non è a impatto ambientale zero». In Sicilia c’è la mentalità giusta per lo sviluppo di un’economia verde? «Sì, anche se con una semplificazione delle regole tutto andrebbe sicuramente meglio. Lo sviluppo del fotovoltaico sta avvenendo di pari passo con quello delle altre regioni italiane. L’energia pulita è un’attività che economicamente non si regge in modo autonomo, ma dev’essere incentivata e, di conseguenza, richiede un criterio di applicazione regolatorio. Tale criterio deve essere facilitato in ugual misura in tutto il paese. In definitiva, è un’energia assistita e come tutte le cose assistite richiede un corollario di normative». Quali sono le difficoltà? «All’inizio, quando si pensa che può essere un affare, tutti

lo vogliono fare. Gli intoppi nascono dopo: da quelli bancari ai divieti. Nel fotovoltaico si possono montare pannelli sui tetti delle case o dei capannoni, ma non sui terreni agricoli perché andrebbero incontro a desertificazione. Poi c’è l’allaccio degli impianti alle linee elettriche: laddove le cabine sono vicine si è più avvantaggiati, laddove sono distanti vi sono grossi costi di collegamento. Non è un discorso semplice come molti pensano. Comprare un pannello solare non equivale a energia elettrica». Cosa si potrebbe fare, quindi? «Ripeto, la cosa più importante è sveltire le autorizzazioni. Non c’è imprenditore

al mondo che ha 4-5 anni a disposizione per ottenere il via libera per un progetto. Poi ci vuole un’apertura maggiore delle banche e le incentivazioni non devono strapagare tali investimenti, ma li devono rendere economicamente attrattivi». Come Confindustria cosa state facendo al riguardo? «Non facciamo solo informazione, ma aiutiamo e supportiamo i nostri associati nell’iter autorizzativo per lo sviluppo del loro core business. Abbiamo uno sportello dedicato che aiuta a preparare le domande per le concessioni. Chiaramente il tempo che trascorre tra l’autorizzazione e l’invio della pratica fa la differenza».

Aldo Garozzo, presidente di Confindustria Siracusa

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ENERGIE ALTERNATIVE

Le rinnovabili non si fanno in cooperativa Nella provincia di Palermo il mondo della cooperazione non ha risposto all’appello delle energie alternative. Ma il neopresidente Pino Ortolano resta comunque fiducioso: «È solo questione di tempo» Tiziana Bongiovanni i realtà nel segmento dell’energia ne abbiamo solo due, a fronte delle cinquecento associate». È una sentenza lapidaria quella pronunciata da Pino Ortolano, neopresidente di Confcooperative Palermo, che dà il metro della presenza delle cooperative nel settore energetico. Una strada ancora lunga, quindi, vuoi per mentalità, vuoi per investimenti, vuoi per lacci e laccetti burocratici. Ma per Ortolano è solo questione di tempo, come fu per l’agricoltura biologica. Quindi, presidente, lei crede che l’energia pulita prenderà piede prima o poi? «Siamo agli albori, però è come fu all’inizio per il biologico, nessuno lo voleva, oggi addirittura c’è quello certificato. Alcuni passi li abbiamo già fatti: abbiamo abbattuto le resistenze culturali e l’eccessivo zelo. Oggi si è capito che ricorrere all’energia pulita può essere un’integrazione del reddito e un risparmio». In Sicilia cosa c’è? «Due realtà: quella del fotovoltaico, più diffusa, e quella delle biomasse. Quanto alla prima ci

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Pino Ortolano, presidente di Confcooperative Palermo

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sono aziende che riutilizzano il parcheggio o il piazzale di proprietà per captare i raggi solari ed elettricisti che montano i pannelli solari. Per quanto riguarda le biomasse, che una volta erano considerate dalle norme regionali alla stregua di rifiuti tossici, ci sono aziende vitivinicole che sono già attive nel settore, ma non sono le sole, ci sono approcci anche nell’agricoltura e nel lattiero-caseario». Può creare un indotto la biomassa? «Purtroppo non c’è molto valore aggiunto, diversamente dal fotovoltaico». Quali sono le zone della provincia palermitana più virtuose in tal senso? «Alcune aree del Corleonese e la zona delle Madonie». Come confederazione in che modo stimolate i vostri associati a convertirsi all’energia rinnovabile? «Cerchiamo di fare opera di divulgazione e informazione e, con alcuni nostri consorzi, stiamo sollecitando investimenti e interventi. Le nostre sono cooperative di agricoltura tradizionale e di servizi socio-assistenziali, però negli ultimi anni ci

siamo resi conto che dobbiamo indirizzare i nostri associati verso l’innovazione. Anche la Regione sta spingendo molto sull’utilizzo delle energie alternative, per le famiglie e per le imprese». Come stanno reagendo le cooperative? «Sarei eccessivamente ottimista se dicessi che abbiamo già dei risultati, soprattutto occupazionali». Quali i suoi progetti futuri? «Mi sto occupando innanzitutto del recupero del credito delle cooperative di servizi che hanno come unico committente la pubblica amministrazione, la quale sta ritardando i pagamenti. Al secondo punto della mia agenda c’è quello di promuovere nuova cooperazione anche in settori innovativi come quello delle rinnovabili. Inoltre, voglio creare sinergie tra cooperative, mettere insieme quelle che sono più affini facendo massa critica attraverso il potenziamento della rete dei consorzi. Infine, una forte scommessa è quella di valorizzare la cooperazione nel turismo a Palermo, che non lascia grande spazio».



ENERGIA

Dal metano l’energia per Catania La metanizzazione della città di Catania prosegue a ritmi serrati, grazie all’azione congiunta portata avanti dal Comune della città etnea e da Asec Spa. Giovanna D’Ippolito e Agatino Lombardo fanno il punto della situazione Guido Puopolo

ra le fonti energetiche è ormai evidente che, nel prossimo futuro, il metano giocherà un ruolo chiave a livello globale. Questo perché, in primo luogo, il gas naturale garantisce, a parità di energia prodotta, una significativa riduzione delle emissioni di anidride carbonica, e un completo abbattimento delle emissioni di polveri sottili e metalli pesanti. Per tali motivi l’Europa ha scelto di puntare con forza su questa fonte di approvvigionamento energetico, anche in vista degli ambiziosi obiettivi che si è prefissata di raggiungere entro il 2020. «Il settore elettrico è

T Giovanna D’Ippolito e Agatino Lombardo, rispettivamente direttore generale e presidente di Asec Spa, insieme al sindaco di Catania, Raffaele Stancanelli www.asec.ct.it

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l’esempio più evidente di questa scelta», afferma Agatino Lombardo, Presidente di Asec Spa, la società che gestisce la distribuzione del gas metano nella città di Catania. «Basti pensare che rispetto al 1980 l’energia elettrica prodotta negli ultimi anni dal gas naturale in Europa è cresciuta dal 7 al 20 per cento». L’Italia è, al momento, uno dei principali mercati europei del gas naturale, con un consumo che copre circa il 36 per cento del fabbisogno energetico nazionale. «L’efficienza dell’industria del gas italiana non teme paragoni con gli altri Paesi industrializzati, e ciò la rende un punto di forza per lo sviluppo del Paese», ribadisce il Direttore Generale di Asec, Giovanna D’Ippolito. «Questo appare ancora più importante alla luce delle previsioni sul futuro del gas metano che, secondo il Rapporto “Scenari Energetici al 2040” pubblicato dalla compagnia petrolifera statunitense Exxon Mobil, entro il 2025 sarà la seconda risorsa energetica dopo il petrolio». Al di là dell’aspetto am-

bientale, quali sono i vantaggi principali per gli utenti derivanti dall’uso del metano rispetto alle altre fonti di energia? AGATINO LOMBARDO: «Il metano è un combustibile sicuro, poiché non è tossico per inalazione o per contatto, ed essendo più leggero dell’aria, in caso di fuoriuscita si disperde velocemente verso l'alto, evitando accumuli di gas al suolo. È inoltre l’unico combustibile che arriva direttamente a casa, che non si paga in anticipo e che garantisce una fornitura di energia e calore continua nel tempo, senza alcuna necessità di rifornimento né di stoccaggio. Non bisogna poi dimenticare che, rispetto ad altre fonti non rinnovabili, il gas naturale è molto più vantaggioso anche da un punto di vista economico, con un risparmio che può variare dal 10 al 30 per cento, a seconda dei casi». In questo scenario, come si colloca attualmente Asec Spa sul mercato siciliano? GIOVANNA D’IPPOLITO: «Oggi Asec, che dal 2003 è una società per azioni, gestisce la di-


Foto © Giampiero Caminiti

Giovanna D’Ippolito e Agatino Lombardo

stribuzione del gas metano nella città di Catania, raggiungendo quasi 40 mila utenti attraverso 360 km di rete. A partire dal 2004, inoltre, nel rispetto del D.L. 164/00 - il cosiddetto decreto Letta -, le attività di distribuzione sono state separate da quelle di vendita, con la nascita di Asec Trade Srl, società partecipata al 100 per cento da Asec Spa e dedita alla vendita del gas e al servizio ai clienti finali». Quali sono i risultati principali raggiunti dall’azienda in questi ultimi anni? GDI: «Grazie al lavoro sinergico condotto da Asec Spa e dall’Amministrazione Comunale siamo riusciti a portare a termine con successo interventi di grande rilevanza e di interesse collettivo, quali la metanizzazione di interi quartieri della città, come San Giovanni Galermo, Librino e Monte Po, con cui è stato finalmente possibile fornire a numerose famiglie catanesi il metano. Un risultato straordinario, che ha permesso alla nostra azienda di fare un ulteriore salto di qualità in termini di crescita e sviluppo

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Grazie al lavoro sinergico condotto da Asec Spa e dall’Amministrazione Comunale siamo riusciti a portare a termine con successo la metanizzazione di interi quartieri della città

di un servizio importante, che salvaguarda l'ambiente e riduce i costi per i cittadini destinati all’approvvigionamento energetico». Quali sono le priorità di Asec al momento? AL: «Attualmente sono in fase di ultimazione i due stralci di metanizzazione della Circoscrizione II, IV, VI e VIII, mentre è in fase di avvio la realizzazione della quarta presa Snam nella Zona Industriale di Catania, per l’immissione del gas proveniente dalla rete di trasporto sulla rete di distribuzione». Quali sono, infine, gli obiettivi su cui intendete concentrarvi nel prossimo futuro? AL: «La politica gestionale messa a punto dai vertici aziendali sta contribuendo in maniera decisiva al rilancio della società, pur in un momento caratterizzato da una difficile con-

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giuntura economico-finanziaria. Il consolidamento di questo trend positivo rappresenta la base da cui intendiamo partire per restituire alla città di Catania un’azienda del gas sana ed efficiente, che possa porsi come un modello di riferimento per l’intero settore». SICILIA 2012 • DOSSIER • 119


SERVIZIO IDRICO

Efficienza e trasparenza nei servizi idrici Per un’adeguata gestione del servizio idrico sono necessari consistenti investimenti, che gli operatori pubblici non sembrano in grado di garantire. Per questo diventa fondamentale l’intervento dei gestori privati. Ne parliamo con Sergio Cassar Matteo Rossi

uando si parla di acqua, intesa come “bene pubblico”, il rischio di rimanere intrappolati in considerazioni di carattere ideologico è sempre molto forte, come dimostrato dal dibattito che ha animato l’opinione pubblica nei mesi precedenti al referendum dello scorso giugno. «L’acqua era, è e continuerà a essere “pubblica”. Nella sua distribuzione però essa deve essere considerata, come ricordato anche dalla Com-

Q Sergio Cassar, presidente della Federazione Regionale dei Gestori dei Servizi Idrici Integrati Federgestori SII Sicilia

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missione Europea, un “bene comune a rilevanza economica”, da gestire con criteri economico-finanziari identici e uguali regole competitive, in modo da rendere univoca e trasparente ogni attribuzione sul piano dei costi, delle tariffe e dei destinatari finali». È un parere autorevole quello di Sergio Cassar, presidente della Federazione Regionale dei Gestori dei Servizi Idrici Integrati - Federgestori SII Sicilia, associazione nata nel 2010 e che al suo interno riunisce appunto tutti gli affidatari dei servizi idrici integrati siciliani, individuati dalle singole Province attraverso apposita competizione di evidenza pubblica. Ad oggi fanno parte della Federazione Acquaenna Scpa, Acque di Caltanissetta Spa, Girgenti Acque Spa, Sai8 Siracusa Spa e Servizi Idrici Etnei Spa, che gestiscono le reti per conto degli ATO di Enna, Caltanissetta, Agri-

gento, Siracusa e Catania. «Per questo credo sia indispensabile porre l’evidenza sul ruolo positivo che l’azione dei privati e la concorrenza possono avere anche in questo settore, in una logica volta a massimizzare l’efficienza e a ridurre gli sprechi che da sempre, soprattutto in Sicilia, hanno caratterizzato la gestione dell’acqua». La finalità della Federazione, infatti, è proprio quella di garantire la piena accessibilità degli utenti alla risorsa-acqua, a un costo sostenibile ed equamente distribuito, promuovendo soluzioni moderne ed efficienti. «Le gestioni perpetrate nel passato dai Comuni si sono dimostrate inadeguate e deficitarie, in primis da un punto di vista economico», sottolinea Cassar. «I Comuni, infatti, per anni hanno indebitato le casse pubbliche, caricando impropriamente i rispettivi bilanci a copertura delle mancate esazioni, visto che, a


Sergio Cassar

causa della totale assenza di controlli, non sono mai stati in grado di riscuotere, mediamente, più del 50 per cento delle fatturazioni dovute. Non va inoltre dimenticato che è sempre stata rinviata la costruzione di nuovi impianti e la manutenzione di quelli esistenti. Il risultato è che, allo stato attuale, le reti idriche hanno perdite intorno al 45%, e quelle delle acque nere sono largamente incomplete, con gravi conseguenze anche da un punto di vista dell’inquinamento delle falde». In questo scenario è stato inevitabile, per i privati subentrati nella gestione dei servizi idrici integrati, aumentare le tariffe, come spiega Cassar: «I Piani d’ambito sulla base dei quali sono state effettuate le gare di aggiudicazione del servizio sono risultati inaffidabili perché, rispetto a quanto previsto, le perdite d’acqua erano maggiori, gli impianti molto più obsoleti, i costi di acquisto di acqua ed energia più alti, le esigenze di manutenzioni più elevate. In sostanza, non era evidenziato in alcun modo il disastroso stato delle precedenti gestioni comunali. Ci siamo così fatti carico degli interventi mai realizzati dai Co-

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Chiediamo semplicemente che l’organizzazione del servizio sia regolata unicamente dai concetti di efficienza, efficacia e trasparenza amministrativa

muni. Nella sola provincia di Enna, ad esempio, abbiamo investito oltre 40 milioni di euro, installando anche 40 mila nuovi contatori. È chiaro che, in qualche modo, queste spese devono essere ammortizzate». In Sicilia comunque, anche in virtù del risultato del referendum, sono ancora diversi i casi di società pubbliche che mantengono la gestione dei servizi idrici e che, fa notare Cassar, «proprio per la loro natura continuano a operare in condizioni di privilegio e, quindi, di concorrenza sleale. Davanti a tale situazione, chiediamo semplicemente che l’organizzazione del servizio sia regolata unicamente dai concetti di efficienza, efficacia e trasparenza ammini-

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strativa, e che ciò valga sia per gli operatori privati che per quelli pubblici». Sulla base di queste considerazioni Federgestori si appella alla Regione, affinché sostenga l’azione e gli investimenti dei privati, anche in considerazione del fatto che molti finanziamenti languono inutilizzati, mentre incombe il rischio di sanzioni comunitarie dovute al mancato rispetto degli obblighi di depurazione e di qualità della distribuzione idrica: «È necessario liberarsi delle vecchie barriere ideologiche – conclude Cassar – e iniziare a operare per eliminare realmente sprechi e inefficienze nella gestione dell’acqua, nell’esclusivo interesse degli utenti finali». SICILIA 2012 • DOSSIER • 121




GESTIONE RIFIUTI

Ottimizzare il ciclo dei rifiuti Una corretta gestione dei rifiuti non può prescindere, oltre che dall’utilizzo di tecnologie all’avanguardia, da un’adeguata politica di sensibilizzazione della popolazione. L’esperienza di Mario Lupica, responsabile logistico della Geo Ambiente per la Sicilia Guido Puopolo

o sviluppo di un innovativo concetto di igiene urbana, non limitato alla tradizionale modalità di esecuzione dei servizi, ma risultante dall’impiego di nuove metodologie, è alla base dell’attività portata avanti dalla Geo Ambiente Srl, società siciliana specializzata nella gestione e nello smaltimento di rifiuti di ogni genere, che, dal 2008, in un’ottica di espansione su tutto il territorio nazionale, ha iniziato a operare in Sicilia, come spiega Mario Lupica, responsabile tecnico e della logistica dell’azienda: «Col no-

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Mario Lupica, responsabile tecnico e della logistica per la Sicilia della Geo Ambiente Srl di Belpasso (CT) www.geo-ambiente.it

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stro lavoro vogliamo contribuire all’adozione di iniziative volte a favorire la prevenzione e la riduzione della produzione e della pericolosità dei rifiuti, sia mediante lo sviluppo di tecnologie che consentono più risparmio di risorse naturali, sia attraverso l’implementazione di tecniche appropriate per l’eliminazione delle sostanze pericolose contenute nei rifiuti destinati a essere smaltiti o recuperati». Quali sono le peculiarità che contraddistinguono l’operato di Geo Ambiente? «Piani di comunicazione sulla corretta gestione dei rifiuti, incentivazione della raccolta differenziata porta a porta e utilizzo di mezzi di ultima generazione e a basso impatto ambientale. Sono questi i pilastri del nostro lavoro, naturalmente finalizzato all’ottimizzazione del servizio e alla tutela dell’ambiente». Da un punto di vista geografico, dove si concentra la vostra attività? «I primi affidamenti hanno riguardato diversi comuni

della provincia di Siracusa, con il Comune di Carlentini e Sortino e seguiti da altri della provincia di Catania, Aci Sant’Antonio, Viagrande, Valverde, Acicatena e Trecastagni. Successivamente abbiamo rivolto la nostra attenzione verso alcuni comuni della provincia di Ragusa quali Scicli e Pozzallo. Tutti gli affidamenti sono avvenuti tramite la partecipazione alle gare d’appalto nel rispetto delle previsioni del D. Lgs. 163/2006». Su quali attività focalizzerete maggiormente la vostra attenzione nel prossimo futuro? «La Geo Ambiente vede nello sviluppo della raccolta differenziata uno dei suoi punti di forza, oltre che un’esigenza imprescindibile per ridurre la quantità di rifiuti destinati alla discarica. In questo senso abbiamo avviato articolati programmi di informazione ed educazione ambientale rivolti a tutte le componenti della cittadinanza, con particolare attenzione agli alunni delle scuole primarie e secondarie dei di-


Mario Lupica

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Abbiamo avviato articolati programmi di informazione ed educazione ambientale rivolti a tutte le componenti della cittadinanza

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versi comuni presso cui l’azienda opera». Quali sono le principali criticità con cui siete costretti a confrontarvi nel quotidiano? «Certamente non nascondiamo le complesse dinamiche del settore che, nelle regioni del sud Italia, e in Sicilia in particolare, da sempre contraddistinguono la gestione dei rifiuti. Si pensi solo al cronico ritardo nei pagamenti da parte delle amministrazioni che, in alcuni casi, supera i 180 giorni e che costringono l’azienda ad anticipare ingenti capitali per far fronte al pagamento

di stipendi e fornitori. O, ancora, all’esiguità delle piattaforme autorizzate al conferimento delle frazioni recuperabili dei rifiuti, come carta, cartone, plastica, vetro, alluminio e organico: carenze strutturali che spesso finiscono per vanificare il sistema di raccolta dei rifiuti in modo differenziato. In presenza di tali difficoltà, solo un’azienda dotata di un’organizzazione solida e altamente qualificata, come nel caso della Geo Ambiente, può garantire sufficienti livelli di qualità dei servizi e la continuità degli stessi anche in presenza di circostanze altamente critiche».

Quali sono, infine, le prospettive per il nuovo anno per Geo Ambiente? «Oggi siamo una realtà consolidata, con un fatturato in continua crescita e previsioni molto positive per il 2012, durante il quale pensiamo di aumentare i nostri volumi di affari di un ulteriore 50 per cento. L’obiettivo che ci poniamo è quello di continuare a offrire i nostri servizi a una sempre più ampia platea di fruitori e riscuotere il plauso della cittadinanza servita e delle pubbliche amministrazioni committenti, così come è accaduto in questi anni di attività». SICILIA 2012 • DOSSIER • 125


GESTIONE RIFIUTI

Il mercato della carta è sempre più sostenibile Il commercio della carta da macero non sembra conoscere crisi, spinto dall’affermarsi di una crescente sensibilità ambientale e dalla richiesta proveniente dai paesi in via di sviluppo. Ne parla Benedetto D’Angelo Guido Puopolo

a carta da macero è una materia primaseconda di grande valore. Come si può facilmente intuire, infatti, recuperare e dare nuova vita a questo tipo di materiale garantisce diversi vantaggi ambientali e sociali, tra cui, ad esempio, l’accumulo di minori quantità di rifiuti da incenerire o stoccare e la diminuzione del taglio degli alberi utilizzati per produrre carta. Lo sa bene Benedetto D’Angelo, general manager della Siciliana Maceri e Servizi, società di Taormina (ME) fondata nel 2000 e specializzata

L Il general manager di Siciliana Maceri, Benedetto D’Angelo, insignito della “Giara d’Argento” come giovane imprenditore dell’anno. Nella pagina a fianco, l’amministratore unico dell’azienda, Mario D’Angelo www.sicilianamaceri.com

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nell’intermediazione e commercializzazione della carta da macero, destinata a cartiere italiane ed estere. «Trattiamo in media tra le 8.000 e le 10.000 tonnellate di carta al mese, cercando di conciliare il più possibile l’interesse economico con le esigenze dei nostri interlocutori e la salvaguardia dell’ambiente». Nella sua attività Siciliana Maceri si sta sempre più orientando verso il mercato estero. Con quali Paesi al momento collaborate maggiormente? «Nonostante una competizione serrata, in questi anni abbiamo notevolmente ampliato la nostra presenza a livello internazionale. Periodicamente container carichi di carta da macero proveniente da piattaforme autorizzate salpano dai più importanti porti italiani verso India, Cina, Turchia, Indonesia e Korea, paesi in cui la disponibilità di materie da recupero è ancora scarsa. Qui infatti hanno sede moltissimi impianti che si av-

valgono della nostra collaborazione e del nostro know how gestionale, con i quali abbiamo ormai instaurato un solido legame commerciale». Qual è invece la situazione sul mercato italiano? «Il nostro Paese in questa fase è attanagliato da una serie di problematiche, dovute non soltanto a un calo della richiesta. Penso, ad esempio, all’enorme peso della burocrazia, ma anche e soprattutto alle difficoltà che ci sono nell’incassare i pagamenti dovuti. Questo, però, non ci ha impedito di portare a termine progetti molto significativi, come quello realizzato in esclusiva con Ikea Italia». Di cosa si tratta? «Da un po’ di tempo Ikea ritira, presso i suoi punti vendita, i cataloghi e i depliant pubblicitari scaduti, “ricompensando” i clienti con un piccolo gadget, e affidando poi alla Siciliana Maceri il materiale raccolto. Dopo adeguate lavorazioni, la carta da noi ricevuta viene riconse-


Benedetto D’Angelo

gnata a Ikea sotto forma di fogli per fotocopie, ottenuti con carta recuperata al 60 per cento. Il progetto è partito dall’Ikea di Catania, ma è probabile che si estenderà a tutto il territorio. Al di là dell’aspetto commerciale, questo è un progetto dall’alto valore simbolico, che si inserisce all’interno di una più ampia politica di tutela ambientale portata avanti dall’azienda» Quali sono le azioni principali da voi intraprese a questo proposito? «Il rispetto dell’ambiente è per noi un valore fondamentale. Per questo siamo impegnati nel miglioramento continuo delle prestazioni ambientali derivanti dalle nostre attività. Nel 2010 ci siamo posti come traguardo la creazione di un Sistema di Gestione Aziendale (Sga) Qualità/Ambiente, che ci permetterà di raggiungere più efficacemente i nostri obiettivi e traguardi. Siamo già certificati da uno degli enti più accreditati al mondo come UNI EN ISO 90012008 (Qualità) e UNI EN ISO 14001-2004 (Gestione Ambientale) da quasi 3 anni». Crede che oggi tra la popolazione ci sia la giusta consapevolezza sull’importanza che il tema dei rifiuti ha assunto nella nostra società? «In questi anni si sono registrati sensibili miglioramenti, e anche gli interventi a livello legislativo sono andati nella

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Organizziamo periodici incontri con gli alunni delle scuole, per far capire loro i vantaggi derivanti dal rispetto delle buone pratiche in materia di raccolta differenziata

direzione di favorire e incoraggiare sempre più il recupero e l’utilizzo dei rifiuti prodotti, tra cui la carta. La strada però è ancora lunga. Nel nostro piccolo cerchiamo di colmare questo gap “culturale“ organizzando periodici incontri con gli alunni delle scuole elementari e medie della provincia, per far capire loro i vantaggi derivanti dal rispetto delle buone pratiche in materia di raccolta diffe-

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renziata. Devo dire che i ragazzi si dimostrano sempre molto ricettivi, e questo mi fa ben sperare per il futuro, anche se senza un adeguato supporto delle istituzioni sarà molto difficile ottenere i cambiamenti auspicati». Quali sono, infine, gli obiettivi che Siciliana Maceri intende perseguire nel futuro? «Negli ultimi cinque anni siamo cresciuti a un ritmo pari a circa il 12 per cento annuo. Da qui al 2015 intendiamo aumentare il nostro pacchetto clienti almeno di un ulteriore 15 per cento, forti di una professionalità e di una conoscenza del settore che mio padre Mario, fondatore e attuale amministratore unico dell’azienda, ha saputo trasmettere a tutti noi figli e ai suoi collaboratori». SICILIA 2012 • DOSSIER • 127


Il patrimonio Italia «Occorre un progetto di sistema che ampli l’offerta e riduca i gap che scontiamo». Le strategie mirate alla promozione turistica del ministro Piero Gnudi Nicolò Mulas Marcello

l turismo per un paese come l’Italia costituisce una risorsa economica importante che in certi casi non viene sfruttata a dovere. Il nostro paese si posiziona al quinto posto tra le mete turistiche più ambite in tutto il mondo. «Si tratta di canalizzare risorse, quelle a nostra disposizione non sono molte, nel poco tempo che abbiamo» spiega Piero Gnudi, ministro del turismo. «Sono però fiducioso che riusciremo a concretizzare le linee programmatiche che ci siamo prefissati puntando a un’offerta di qualità che confermi l’importanza del nostro Paese a livello internazionale». Qual è il contributo che può dare il turismo al rilancio dell’economia? «Il turismo è uno dei pilastri su cui fondare la ripresa economica del nostro paese, se si riusciranno a rimuovere alcune barriere strutturali e infrastrutturali che ne limitano la competitività. Nel 2010 il contributo del comparto al Pil italiano è stato pari a oltre il 13%,

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determinato essenzialmente dalla crescita delle presenze della clientela straniera. Se l’Italia sarà in grado di intercettare i nuovi flussi, con una strategia di rilancio mirata, tra otto anni si potrebbero creare 1,6 milioni di nuovi posti di lavoro e il settore potrebbe contribuire al Pil per circa il 18%. Occorre un progetto di sistema che ampli l’offerta e riduca gap quali il deficit infrastrutturale, la dimensione ridotta della maggior parte delle imprese e il livello di formazione degli addetti non sempre adeguato». Lei ha parlato di un rilancio del settore entro il 2020. Quali politiche sono al vaglio del ministero? «Il rilancio del settore passa innanzitutto attraverso una promozione efficace e capillare. Bisogna prendere atto che l’industria turistica, in un mondo sempre più globalizzato, è cambiata profondamente, sia per quanto riguarda la domanda che per l’offerta. Certe forme di promozione adottate finora, che avevano senso quando i paesi

target erano per lo più europei o anglosassoni e avevano una certa “familiarità” con il nostro Paese, oggi sono superate. Se vogliamo intercettare i nuovi flussi dai paesi a maggior crescita, e in particolare dai cosiddetti Brics, occorre una strategia nuova che guardi a un mercato più ampio che conosciamo poco e che ci conosce poco. Le politiche di promozione che vogliamo adottare si muovono all’interno di canali esistenti che devono essere rivisitati e rafforzati. A partire dal portale Italia.it, sul quale i turisti devono poter contare e che deve trasformarsi in uno strumento di servizio efficace per la pianificazione del viaggio, oltre che per la promozione del brand Italia. Per lo sviluppo e la promozione dell’offerta turistica è necessario anche rafforzare il ruolo del Comitato permanente di coordinamento in materia di turismo costituito presso la Conferenza Stato-Regioni, per coinvolgere sempre di più le Regioni nella definizione di strategie comuni, e fare in modo che


Piero Gnudi

l’Enit recuperi rapidamente un ruolo centrale come braccio operativo all’estero dello Stato e delle Regioni». Uno dei problemi dell’Italia, è che l’enorme risorsa turistica (naturalistica e culturale) che offre non viene adeguatamente gestita. Ritiene che il ministero debba adottare linee guida più precise? «Per rendere il nostro Paese competitivo sul mercato mondiale e sfruttare tutte le straordinarie potenzialità italiane è essenziale una strategia univoca, la capacità di usare al meglio le risorse economiche, un forte coordinamento tra Stato e Regioni. Non è tanto un problema di chi è la competenza, il punto è che ci sia collaborazione tra tutte le Regioni e lo Stato. Se vogliamo intercettare i nuovi flussi che vengono soprattutto dai paesi dell’estremo Oriente e che stanno diventando uno dei più importanti bacini di movimento turistico mondiale, dobbiamo fare una politica di promozione comune. Bisogna agire subito, anche se le risorse a disposizione sono poche e il governo ha un orizzonte temporale breve. Ci sono interventi efficaci che si possono fare nell’immediato e con costi limitati. A partire dall’adozione di una country strategy univoca

concordata con le Regioni, che consenta una promozione vincente sui mercati d’interesse, attraverso analisi che permettano di capire la domanda e interpretare i bisogni soprattutto dei consumatori di turismo». L’Italia viene vista ancora come una meta turistica importante da parte degli stranieri? «Non è un’impressione personale, i dati parlano chiaro: l’Italia è al quinto posto per presenze di turisti stranieri. I dati relativi ai primi sette mesi del 2011 descrivono una crescita complessiva più elevata sia in termini di arrivi che di presenze (rispettivamente +5,8 e +1,8). E sono essenzialmente gli stranieri a fare da traino alla ripresa del settore. L’Italia resta quindi tra le mete preferite dagli stranieri ma potrebbe fare ancora di più. Per fare solo un esempio, nel 2011 i turisti cinesi nel mondo sono stati 54 milioni, che potrebbero diventare 130 nel 2015. Noi siamo riusciti ad intercettarne una minima quota, meno di un milione. Il nostro Paese ha tutte le caratteristiche per poter intercettare una quota consiste della nuova domanda turistica, grazie al suo patrimonio culturale, artistico, paesaggistico e territoriale unico al mondo, sostenuto da un’offerta ricettiva

capillare e differenziata». Cosa si aspetta per questo 2012 per il settore del turismo nel nostro paese? «Nel corso della prima riunione Comitato di coordinamento sul turismo ho riscontrato da parte delle Regioni piena disponibilità a intraprendere un percorso condiviso. Le premesse sono buone quindi per fare, nei prossimi mesi e nell’arco di quest’anno, un buon lavoro. Si tratta di canalizzare risorse, quelle a nostra disposizione non sono molte, nel poco tempo che abbiamo. Sono però fiducioso che riusciremo a concretizzare le linee programmatiche che ci siamo prefissati puntando a un’offerta di qualità che confermi l’importanza del nostro Paese a livello internazionale. Abbiamo una straordinaria opportunità rappresentata dall’Expo 2015 che va preparata subito, in termini turistici, con una regia che consenta a tutti gli stakeholder (locali, nazionali ed europei) di lavorare assieme per massimizzare il risultato. Utilizzeremo l’occasione della Conferenza nazionale del turismo, nel 2012, per presentare suggerimenti e iniziative concrete a favore dell’aumento della competitività del paese rispetto ai principali competitor». SICILIA 2012 • DOSSIER • 131


TURISMO

Un distretto unico per tutta la regione Servono uguali priorità da rispettare su tutto il territorio e un brand unico di promozione per evitare lo sperpero di risorse e la concorrenza tra i vari distretti. Le proposte di Sebastiano De Luca per rilanciare l’economia turistica Elisa Fiocchi l comparto turistico siciliano attende nuove risorse da destinare all’innovazione, alle infrastrutture e ai trasporti per accelerare il completamento delle autostrade, raddoppiare il binario ferroviario, potenziare i collegamenti marittimi e aerei. Con queste misure urgenti, Sabastiano De Luca, presidente di Confindustria Sicilia Alberghi e Turismo, individua la direzione da percorrere per ottenere una serie di risultati indispensabili alla crescita e allo sviluppo economico dell’intera isola. «I più importanti quotidiani inglesi e tedeschi, proprio di recente, hanno celebrato la terra siciliana indicandola come la migliore regione d’Italia per le sue bellezze artistiche e culinarie – spiega De Luca – mentre noi, in questi anni, siamo come implosi, incapaci di valorizzare all’esterno il patrimonio di questa terra». Regione, Province, enti locali e operatori privati sono dunque chiamati a uno sforzo condiviso per cambiare strategia e promuo-

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Sebastiano De Luca, presidente di Confindustria Sicilia Alberghi e Turismo

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vere in maniera seria e concreta il prodotto turistico integrato, coinvolgendo i maggiori esperti del settore, organizzando eventi di grande rilevanza culturale durante l’intero arco dell’anno, incentivando il turismo enogastronomico di eccellenza. Il comparto turistico come sta affrontando la crisi economica? «Analizzando l’andamento degli ultimi quattro anni, la Sicilia ha registrato un calo a macchia di leopardo, ci sono state ad esempio zone che hanno raccolto numeri positivi, come nel Trapanese, dove l’incremento è stato a due cifre grazie anche ai voli diretti Ryanair, bene anche Cefalù e Taormina, dove si raggiunge il milione di presenze. Queste località sono cresciute in media del 7% rispetto allo scorso anno. Ma c’è anche l’altra parte della Sicilia, dove il turismo si riduce in numero di pernottamenti e non è in grado di sfruttare la destagionalizzazione dei flussi». Quali zone hanno subìto maggiormente l’inadeguatezza delle politiche adottate?


Sebastiano De Luca

«Agrigento, ad esempio, è diventato un luogo di transito, mentre prima il turista si fermava almeno un paio di giorni. Stesse percentuali si segnalano anche a Siracusa, che sta registrando sempre di più un turismo di tipo “mordi e fuggi”. È cambiato anche il modo di visitare la Sicilia perchè adesso tutto ruota attorno a Palermo, Taormina e Agrigento, dove è possibile attuare diverse forme di turismo, congressuale, culturale, sportivo, religioso ed enogastronomico». Quali fondi andrebbero indirizzati al comparto turistico? «Il capitolo dei finanziamenti e delle misure per il turismo è un tasto dolente, se pensiamo che solo l’1% dei fondi comunitari è stato destinato alla Regione e che negli ultimi sei anni non è stato pubblicato alcun bando per la ri-

qualificazione del comparto ricettivo siciliano. Purtroppo la classe politica e l’assemblea regionale, che ha competenza esclusiva sul turismo, non sembrano fare abbastanza perchè l’economia turistica sia un’opportunità reale di crescita del Pil regionale». Cosa dunque andrebbe rivisto? «Intanto bisognerebbe potenziare la rete di infrastrutture, a partire dagli aeroporti di Catania, che già prevede

Ci sono zone che hanno raccolto numeri positivi, come nel Trapanese, dove l’incremento è stato a due cifre grazie anche ai voli diretti Ryanair

l’allungamento della pista, e di Palermo. Esiste poi il problema urgente delle isole minori, spesso irraggiungibili se il mare raggiunge forza 4 o 5. Il Fesr prevedo 8 miliardi e mezzo di euro; a questi vanno aggiunti quelli del Fse e del Fas, con oltre 4 miliardi: questi fondi non sono mai stati totalmente utilizzati per colpa dei troppi rallentamenti e oggi ci troviamo con solo il 7% di risorse impiegate dal 2007, con il rischio che nel 2013, quando scadranno i finanziamenti, non siano stati fatti gli interventi indispensabili». Perchè il turismo non è concepito come un volano di crescita per l’intero territorio? «Perché subentrano altre logiche, si antepongono gli appalti e altri tipi di investimenti che possono avere un

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TURISMO

ritorno elettorale. Il turismo non può spostare nulla in questo senso. Ecco perchè servono persone illuminate e un cambio netto della strategia. Sui mercati Bric, ad esempio, la Sicilia non sta investendo nulla: Malta con 15 milioni di presenze supera i nostri 13». Quali sono i principali ambiti su cui intervenire nel 2012? «Per prima cosa ho chiesto che fosse attuato lo scorrimento delle graduatorie per questi progetti, visto che dal 2013 non sapremo che cosa accadrà. La Regione Sicilia ha ottenuto fondi europei a iosa e non ha saputo utilizzarli nella giusta direzione. Il risultato è che oggi ci ritroviamo con una rete ferroviaria pietosa, da Messina a Si-

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racusa c’è ancora il binario unico, da Catania a Palermo si impiegano sei ore di treno e ci sono alcune linee che deturpano le zone costiere. Per quanto riguarda la rete stradale invece, Agrigento e Palermo sono ancora prive di un’autostrada e sono collegate da strade provinciali. È chiaro che con questo basso livello infrastrutturale, il grosso rischio che corre la Sicilia è la perdita e lo spostamento dei flussi turistici verso altre località». Attraverso quali politiche e interventi è possibile rilanciare il comparto turistico siciliano? «Innanzitutto c’è bisogno di una legge urbanistica chiara e di un unico piano regolatore a livello regionale che sappia individuare una lista di prio-

rità per l’intero comparto turistico. Ritengo anche necessaria una semplificazione delle procedure, perchè non è possibile che oggi, per ottenere la concessione di un albergo, si debbano superare ben 78 passaggi. Nel mio caso, sono nove anni che attendo una concessione per una struttura alberghiera che ho rilevato a Taormina. Tra le altre proposte, sono favorevole alla creazione di un distretto unico del turismo in Sicilia perché ritengo che la promozione debba essere fatta con un brand unico, che comprenda l’Etna e Taormina e che escluda qualsiasi concorrenza tra un distretto e l’altro. Infine, ho chiesto che fosse istituita un’agenzia regionale di promozione turistica».



INFRASTRUTTURE

La burocrazia rallenta lo sviluppo Una Conferenza permanente dei servizi per dare attuazione alle opere viarie e non solo, indispensabili per lo sviluppo della Sicilia e per la ripresa del settore delle costruzioni. La chiede Ance Sicilia, guidata da Salvo Ferlito Francesca Druidi

a recente visita in Sicilia del ministro della Coesione territoriale Fabrizio Barca sembra aver sbloccato qualcosa sul fronte della gestione dei fondi europei destinati alla realizzazione di infrastrutture. Una delle leve più importanti per il rilancio del settore delle costruzioni in regione, che ha registrato nel 2011 dati piuttosto preoccupanti sul versante delle opere pubbliche. «L’azione del ministro Barca – afferma Salvo Ferlito, presidente di Ance Sicilia – ha inaugurato un nuovo metodo di collaborazione operativa tra Stato, Regione ed enti interessati per l’accelerazione

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Salvo Ferlito, presidente di Ance Sicilia

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della cantierizzazione delle opere, allo scopo di sfruttare appieno i fondi europei, obiettivo sul quale si è concentrato anche il governo regionale». Il confronto con il ministro Barca rivela anche una nuova attenzione da parte del Governo Monti sulla carenza infrastrutturale dell’Isola. Cosa si attende dal governo centrale e da quello regionale per far fronte alla crisi del settore? «La visita di Barca è indicativa, oltre che di una nuova attenzione, anche di uno spirito collaborativo con il governo regionale alla risoluzione dei problemi infrastrutturali dell’Isola e non solo. Si pensi, ad esempio, alle possibilità, anche in considerazione dell’ultima visita del presidente Monti, dello scenario e del mercato libico che, come quello di tutto il nord Africa, può essere considerato come un’estensione naturale del nostro mercato. Tornando al contesto siciliano, oltre alla necessaria integrazione con la strategia europea riguardo ad esempio ai noti cor-

ridoi dei trasporti, il governo regionale dovrebbe accelerare i tempi burocratici, oggi troppo lunghi, di realizzazione di tutta una serie di opere medio-piccole di viabilità a livello provinciale, di manutenzione dell’edilizia scolastica e di interventi di salvaguardia dal rischio idrogeologico. Tali opere potrebbero nell’immediato svolgere una necessaria funzione di sicurezza della viabilità, delle scuole e del territorio, fornendo al contempo un impulso positivo a tutta l’economia, considerato che il settore delle costruzioni è quello più endogeno e con più ampie ricadute nell’indotto». Ha indicato alcune misure per aiutare il settore a risollevarsi, tra cui lo sblocco dei pagamenti da parte della pubblica amministrazione o l’incremento della durata dei mutui agevolati per l’edilizia. Quali i provvedimenti che possono essere adottati nel più breve tempo possibile? «Lo sblocco immediato dei pagamenti della pubblica ammi-


Salvo Ferlito

nistrazione è una misura essenziale e urgentissima per la “sopravvivenza” delle imprese, ma non può bastare a evitare la chiusura progressiva delle aziende per l’assenza di lavori da realizzare o per l’eccessiva e disperata concorrenza sui pochi lavori rimasti. Il solo adeguamento del quadro normativo regionale - si pensi alla legge regionale 12 del 12 luglio 2011 e al suo regolamento di attuazione pubblicato il 31 gennaio 2012 - non è sufficiente a fronteggiare il fenomeno. A livello nazionale, si dovrebbe rilanciare senza indugi il project financing agevolandone il “closing” bancario, le nuove forme di leasing quali quelle del “leasing in costruendo” o del “contratto di disponibilità”, anche al fine di attenuare il penalizzante influsso del patto di stabilità. E a proposito di patto di stabilità, chiediamo sia a livello nazionale che regionale che le cosiddette deroghe al patto di stabilità non siano del tipo a “castelletto di spesa trasversale”, ma siano “specifiche e funzionali” includendo pertanto tra le deroghe quelle relative alla realizzazione di infrastrutture». Se il 2011 è stato un anno per il settore delle opere pubbliche, quali sono le concrete

Il governo regionale dovrebbe accelerare i tempi burocratici di realizzazione di opere medio-piccole di viabilità, di manutenzione e di salvaguardia dal rischio idrogeologico

prospettive per il 2012, anche dal punto di vista delle opere cantierabili o da sbloccare? «Dal punto di vista macroeconomico generale, essendo la ripresa prevista tra la fine 2013 e l'inizio del 2014, quest'anno non lascia presagire molto di positivo. Abbiamo però interagito intensamente con gli assessorati della Regione, tra questi quello alle Infrastrutture e mobilità, all'Economia, all'Istruzione e formazione professionale e con l’Assemblea regionale siciliana, in particolare con la II commissione Bilancio e programmazione. Sono stati individuati, tra l’altro, un gruppo di 19 opere cantierabili o in fase di ultima definizione per circa 3,7 miliardi di euro;

un gruppo di opere di viabilità a livello provinciale per circa 104 milioni di euro e sono state sollecitate le opere relative al “Programma triennale di edilizia scolastica 2007/2009”. Siamo fiduciosi nell’avvio delle predette opere e ho inoltre, al riguardo, recentemente proposto, sulla scia del modello inaugurato dal ministro Barca, di istituire una conferenza permanente dei servizi che si occupi di sbloccare subito quelle infrastrutture stradali che non solo sono pronte a diventare cantieri e a distribuire redditi sul territorio, ma che sono anche capaci di mettere in moto a catena tante attività economiche generando sviluppo duraturo».

SICILIA 2012 • DOSSIER • 137


INFRASTRUTTURE

Accelerare la spesa dei fondi La Regione Siciliana sa di dover fare ancora di più per sostenere l’ammodernamento infrastrutturale. Ma senza l’azione degli enti statali coinvolti il traguardo sarà irraggiungibile. Lo afferma l’assessore regionale Pier Carmelo Russo Francesca Druidi

prevista la creazione di una task force tra governo centrale, Regione Siciliana e Bruxelles per lo sblocco della spesa dei fondi europei e la cantierizzazione delle opere infrastrutturali che attendono, una volta per tutte, di essere realizzate sull’Isola. L’annuncio è stato dato in occasione del recente incontro, svoltosi all’inizio di marzo, tra il titolare del dicastero della Coesione territoriale Fabrizio Barca, il presidente Lombardo e la giunta regionale. «Questo intervento è cruciale perché ha consentito di fare chiarezza su alcuni elementi particolarmente importanti», evidenzia l’assessore regionale alle Infrastrutture Pier Carmelo Russo, che ha in più occasioni commentato l’attuale stato d’impasse delle grandi opere della mobi-

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Pier Carmelo Russo, assessore regionale alle Infrastrutture

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lità in Sicilia. «A fronte di una dotazione finanziaria del Po Fesr 2007/2013 di oltre un miliardo e 533 milioni di euro, soltanto l’8,79 per cento di questi fondi rientra nell’esclusiva disponibilità della Regione Siciliana per quanto concerne i lavori da eseguire». Oltre il 70 per cento delle risorse comunitarie è gestito da enti direttamente controllati dallo Stato quali Rfi, Anas, Autorità portuale. «Questo fornisce un quadro significativo sui ritardi registrati». Come rileva ancora Russo, la Regione ha completato l’istruttoria per risorse pari al 62,3% del miliardo e mezzo a disposizione. «Abbiamo assunto impegni giuridicamente vincolanti per 2/3 dell’intero programma. A fronte di questi impegni, si segnala un livello di spesa da parte delle autorità dipendenti dallo Stato corrispondente a circa il 22%». Nell’appuntamento ufficiale a Palazzo d’Orleans, il ministro Barca aveva dichiarato che “gli enti controllati dallo Stato hanno dimostrato di essere bravini, non bravissimi“. «Ringrazio il ministro Barca – replica l’assessore Russo – per il riconoscimento rivolto all’assessorato. Se è vero che i soggetti

statali hanno lavorato “benino”, è di conseguenza altrettanto vero che l’assessorato alle Infrastrutture ha lavorato molto bene, poiché é riuscito a mettere a loro disposizione le risorse necessarie». Basterà l’intervento di Roma per superare le criticità attuali? «Prima questo intervento non c’era. Ora c’è. Cosa si riuscirà a fare lo si potrà vedere solo in seguito. Senza dubbio, si andrà a sollecitare l’attività degli enti, sui quali si incardina la maggior quantità di spesa relativa alle infrastrutture in Sicilia». Dovrebbe essere all’orizzonte anche la firma del contratto della Regione e del governo con Rfi per lo sviluppo delle infrastrutture ferroviarie regionali. «Noi siamo pronti a ragionare con Rfi, ma è chiaro che la quantità del servizio offerto non può continuare a diminuire. Una soluzione deve essere trovata». Molte sono le questioni in sospeso sul fronte infrastrutturale. C’è però una speranza in più che riguarda, in particolare, l’autostrada tra Ragusa e Catania - l’Anas ha appena aggiudicato la gara d’appalto per la realizzazione dell’opera - e la Siracusa-Gela, il cui «livello di progettazione è avanzato».



INFRASTRUTTURE

L’ammodernamento della Sicilia parte da Siracusa Innovative e tanto attese: sono le opere di ammodernamento delle infrastrutture esistenti che stanno interessando la Sicilia, Siracusa in particolare. La parola all’ingegner Carmelo Misseri Emanuela Caruso

opo un’attesa durata anni, la Sicilia e in particolare la provincia di Siracusa danno finalmente il via alle opere di ammodernamento infrastrutturale, che non si distingueranno solo per le positive ricadute economiche e turistiche che comporteranno sul territorio, ma anche per l’impiego di innovative tecnologie. «Le infrastrutture interessate al momento – spiega l’ingegner Carmelo Misseri, titolare della SICS, Società Ita-

D In queste pagine, alcuni dettagli delle opere di infrastrutturali affidate alla SICS, Società Italiana Costruzioni Stradali di Priolo Gargallo (SR): il viadotto sul fiume Cassibile e dettagli della lavorazione delle gallerie della Siracusa-Catania www.sicsspa.it

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liana Costruzioni Stradali, impresa edile di Priolo Gargallo chiamata a portare a termine tali opere edili – sono la S.S. 640 Caltanissetta Agrigento, che stiamo ammodernando con caratteristiche autostradali; il Porto Grande di Siracusa; e l’Autostrada A 18 SiracusaGela, che stiamo riqualificando attraverso l’applicazione di nuove tecnologie. Tra queste la più innovativa è il riciclaggio a freddo in situ dei conglomerati bituminosi, che consente di ridurre le emissioni di fumi

in atmosfera e minimizzare quindi l’impatto ambientale. Permette, infatti, di riciclare il conglomerato esausto fino al 100 per cento, azzerando così il conferimento in discariche apposite di tali materiali, e di diminuire l’asportazione di aggregati dalle cave». La SICS, attiva da più di cinquant’anni, ha come core business la progettazione e realizzazione di infrastrutture e produce inoltre inerti e conglomerati cementizi e bituminosi, destinati sia al comparto costruzioni aziendale, sia al mercato edile italiano. «Attualmente, lavoriamo sia con i privati che con le amministrazioni pubbliche. Tra i nostri principali committenti pubblici possiamo annoverare l’Anas e il Consorzio Autostrade Siciliane; e ancora la Esso Italiana e la Erg, per le quali realizziamo opere civili e stradali all’interno degli stabilimenti. Nel corso di tanti anni di attività, siamo riusciti a instaurare con clientela, fornitori e collaboratori rap-


Carmelo Misseri

porti di grande fiducia e sinergia, che ci permettono di lavorare con standard qualitativi molto elevati». La SICS, diventata una Società per azioni nel 2011, già dal 1996, è stata protagonista di una costante crescita del volume di affari e del fatturato, che oggi tocca i 40 milioni di euro, e grazie alla sua esperienza e alla sua struttura ottimamente organizzata è riuscita a non risentire degli effetti più gravi della crisi che da anni attanaglia il settore dell’edilizia. «Nonostante la SICS sia stata in grado di affrontare la crisi, i problemi da risolvere per agevolare un’attività come la nostra sono ancora tanti. Le difficoltà maggiori che quotidianamente incontriamo si riscontrano nelle inefficienze dei meccanismi burocratici; nella tendenza sem-

pre più attuale al raggruppamento in maxi lotti delle opere da realizzare, tagliando così fuori piccole e medie imprese; e nei ritardati pagamenti da parte della pubblica amministrazione, che stanno costringendo molte aziende sane a chiudere per carenza di liquidità. Per fronteggiare la crisi al meglio abbiamo impiegato una struttura organizzativa vicina alle esigenze dei clienti, dei collaboratori e dello staff interno, l’innovazione tecnologica, e la preparazione assoluta del nostro personale». Ma per migliorare le condizioni del comparto edile è necessario che alcuni cambiamenti vengano apportati non solo a livello aziendale, ma anche a livello normativo. «Al momento, di sicuro c’è che la congiuntura attuale non può e non deve perdurare, altri-

menti a farne le spese saranno le aziende e l’economia italiana. I rimedi auspicabili sono vari, ma tra i più rilevanti si collocano un celere recepimento della direttiva europea sui pagamenti della pubblica amministrazione e una riduzione drastica degli adempimenti burocratici, che soffocano i procedimenti amministrativi degli enti committenti». SICILIA 2012 • DOSSIER • 141


INFRASTRUTTURE

Un porto dalle grandi potenzialità Terzo scalo petrolchimico e petrolifero italiano, il porto di Augusta si sta aprendo ad altre importanti attività come il trasporto di materiali pericolosi. Senza dimenticare il turismo. Il punto della situazione dalla voce di Giuseppe Aloisi, presidente della società Marittima Mediterranea Manlio Teodoro

on i suoi 33 milioni di tonnellate di merci movimentate annualmente, di cui 31,5 milioni liquide, il porto di Augusta rappresenta il terzo più importante scalo petrolifero e petrolchimico italiano. A questi dati si aggiungono 1,5 milioni di tonnellate di prodotti chimici, fertilizzanti, cemento, fosfati, ferro, legname, marmo, basalto e carbon fossile che vengono imbarcate e sbarcate ad Augusta. È presso questo porto che ha la sua sede centrale la società Marittima Mediterranea, agen-

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Giuseppe Aloisi e Alessio Castiglione, titolari della Marittima Mediterranea Spa di Augusta www.marmedspa.com

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zia marittima guidata da Giuseppe Aloisi e Alessio Castiglione. L’agenzia offre servizi diversificati a più figure e più settori commerciali e turistici ed è rappresenta a livello europeo in tutti i porti rilevanti per il traffico di prodotti petroliferi e petrolchimici. Abbiamo chiesto ad Aloisi di fare il punto sulla situazione del settore del trasporto marittimo nell’isola. Alla luce della crisi globale e degli effetti delle speculazioni sul prezzo del petrolio, qual è stato l’andamento del mercato nel 2011? «Il settore è stato certamente toccato dalla crisi. Stiamo assistendo a un cambiamento dei consumi generale, che nel nostro settore si sente soprattutto per la crescita del mercato del gas naturale a danno di quello del petrolio. Questo vuol dire, per un porto come quello di Augusta, specializzato nel petrolifero e nel petrolchimico, una diminuzione di traffico significativa. Per reagire a questo mutamento di prospettive, la

nostra agenzia, da una parte, ha messo in campo una strategia di marketing che ha coinvolto tutta l’Europa – e che ci ha permesso di entrare in contatto con nuovi partner – e, dall’altra, sta cercando di compensare potenziando gli altri servizi, come quelli destinati ai carichi secchi, al settore turistico e alla gestione di prodotti pericolosi, oltre che per l’esportazione di zolfo. Questa duplice azione ci ha permesso di limitare entro limiti ragionevoli il calo di fatturato». Qual è la vostra gamma di servizi? «I nostri servizi sono rivolti agli armatori, ai noleggiatori di navi e ai proprietari dei carichi. Ognuno di questi soggetti che di volta in volta rappresentiamo è portatore di interessi diversi, che noi difendiamo. Quando rappresentiamo quelli del noleggiatore, seguiamo l’intera operazione commerciale facendo in modo che la nave svolga il proprio servizio senza ritardi – dato che i costi di no-


Giuseppe Aloisi

leggio di una nave sono importanti e scattano a giorni o anche a ore. Nel caso in cui rappresentiamo l’armatore curiamo le riparazioni, i rifornimenti e le certificazioni necessarie alla nave per la navigazione. Infine, per i proprietari del carico, gestiamo le pratiche doganali e documentali della merce e ci preoccupiamo di portare l’operazione commerciale a buon fine. A questi servizi si può anche affiancare un servizio di logistica, ovvero la gestione del carico prima che sia imbarcato, oppure l’individuazione della migliore nave da noleggiare». Vi occupate anche di turismo però. «In particolare per quello che riguarda le navi turistiche e gli yachts che approdano nei porti siciliani Questi infatti, se utilizzati per uso commerciale vengono considerati dalla legge italiana come piccoli navigli e in quanto tali hanno bisogno di affidarsi ad un’agenzia marittima per entrare in porto. Questo genere di lavoro produce sicuramente interessi diversi da quelli delle grandi petroliere che non hanno grandi impatti sulla economia dei centri urbani. Basta pensare invece ad una nave turistica che sbarca in banchina 1000 – 2000 turisti dediti allo shopping , per la

felicità dei commercianti ed alla visita delle bellezze che il nostro territorio offre». Una delle vostre nuove attività riguarda il trasporto di materiali pericolosi. Quali? «Da un paio di anni, anche in seguito all’introduzione di nuove normative, la nostra agenzia marittima si è specializzata in questo settore. Per esempio, abbiamo collaborato ad una operazione di esportazione di amianto destinato allo smaltimento in Germania. In questo momento stiamo lavorando per l’esportazione di oltre 300mila tonnellate di fanghi: il risultato

della depurazione delle acque del complesso industriale di Priolo con la realizzazione di un innovativo sistema di carico che permette il rispetto delle più rigide normative in materia di trasporti pericolosi e nel rispetto della sicurezza e della salute dei lavoratori. Altra tipologia di fanghi sono quelli derivati da operazioni di dragaggio. Questi, una volta, potevano essere rigettati al largo con molta discrezionalità, oggi sono considerati veri e propri rifiuti e quindi vanno trattati e smaltiti secondo determinate procedure». SICILIA 2012 • DOSSIER • 143


INFRASTRUTTURE

onostante una posizione geografica che offrirebbe potenzialità notevoli, la Sicilia ha perso ogni centralità in tutti i settori: in agricoltura, nel turismo, nei servizi, nell’industria e nel commercio». È questo il quadro tratteggiato dall’ingegner Sergio Cassar, amministratore delegato della Cogen di Enna, sullo stato dell’economia siciliana. Che però rilancia: «Ritengo che la Sicilia debba finalmente dotarsi di un piano strategico e organizzativo, orientato sulle infrastrutture. Questo potrà essere lo strumento che ci consentirà di penetrare nel mercato globale, di razionalizzare e rendere efficienti i nostri comportamenti, la nostra capacità di spesa e di investimento. Uno dei primi obiettivi potrebbe essere, per esempio, il Nord Africa». Cogen è una società del comparto industriale delle costruzioni, impegnata nelle attività relative al ciclo dell’acqua e nella manutenzione e gestione dei servizi idrici integrati dell’Ato di Enna. «La nostra società - interviene Giuseppe Zappalà, presidente dell’azienda - guarda con attenzione alle possibilità di sviluppo che vengono dall’estero, tuttavia la sfida da vincere è quella di rimanere in Sicilia, nella speranza di un rinascimento sociale ed economico che muti il destino dell’isola. Attualmente le maggiori criticità restano an-

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Più spazio alla finanza di progetto La crisi economica e la stretta sul credito hanno aggravato la situazione dell’economia siciliana. Sergio Cassar e Giuseppe Zappalà spiegano che è il momento di dotarsi di un piano strategico e organizzativo, orientato sulle infrastrutture Manlio Teodoro

cora la difficoltà ad avere rapporti sani con le amministrazioni pubbliche, la carenza di infrastrutture adeguate, una diffusa cultura anti-imprenditoriale e il prevalere dell’abitudine all’attesa assistenzialistica e alla pretesa di diritti senza doveri». A queste difficoltà tradizionalmente presenti nel territorio siciliano, si è aggiunta negli ultimi anni la crisi finanziaria globale, che ha frenato le possibilità di investimento con la stretta sul credito e ha quasi paralizzato il settore delle costruzioni. «Nonostante le molte avversità – continua Zappalà , nel 2011 siamo riusciti a mantenere il mercato. Questo è stato possibile grazie alle nostre strategie imprenditoriali di promotori di finanza di progetto e alla ricerca di opportunità di lavori all’estero. Come promotori siamo candidati alla realizzazione delle strutture del quarto polo universitario siciliano: l’università Kore di Enna – il cui valore complessivo è

stimato in circa 78 milioni di euro. Mentre abbiamo avuto i primi contatti per lavorare anche fuori dall’Italia: in Romania, Iraq e Libia. Questo per far fronte alle scarse possibilità oggi esistenti in Sicilia». Cogen è partecipata dalla società Fondachello Immobiliare (azionista per il 50 per cento), dal gruppo Athena Gestioni (30 per cento) e Athena Infrastrutture (20 per cento). Allo

La Cogen Spa ha sede a Enna mail@cogenmail.it


Sergio Cassar e Giuseppe Zappalà

stesso tempo Cogen ha partecipato in con capitale alla costituzione di Acqua Enna, società dalla quale discendono le commesse relative alle reti e agli impianti del servizio idrico integrato nell’ambito territoriale di Enna, sia per la progettazione e direzione dei lavori, sia per la realizzazione – per un valore complessivo di circa 350 milioni di euro. «All’interno della nostra società – aggiunge l’ingegner Cassar – è stata creata un’area progettazione e direzione lavori per offrire servizi di progettazione civile e ambientale, fornendo un’assistenza tecnica basata sui più moderni criteri progettuali. L’organizzazione, la dimensione dell’azienda cui fa capo e l’esperienza maturata, consentono all’area progettazione e direzione lavori di essere un partner ideale per la gestione di progetti complessi che hanno come obiettivo la qualità. Al fine di conseguire il raggiungimento di alti standard qualitativi, la Cogen ha sottoposto il proprio sistema di gestione a certificazione di qualità Uni-En Iso 9001:2008, che garantisce la conformità dei servizi e dei prodotti. La certificazione SOA, atte-

Nonostante le avversità, abbiamo tenuto il mercato con una strategia di promotori di finanza di progetto e la ricerca di opportunità all’estero

stante la qualificazione all’esecuzione di lavori pubblici per diverse categorie e per importi rilevanti, garantiscono, invece, una crescente espansione dell’attività. Inoltre, la garanzia della sicurezza e delle buone condizioni di lavoro, il benes-

sere e la sicurezza dei dipendenti sono il punto focale della nostra politica. Insieme all’attenzione alla legalità e alla trasparenza che per noi hanno senso soltanto se costituiscono un ordinario e diffuso comportamento». SICILIA 2012 • DOSSIER • 145




Dall’edile all’acciaio, una diversificazione vincente Il caso della Arcobaleno 3000, storica realtà edile messinese, ora protagonista anche sul mercato della trasformazione dell’acciaio. Ne parlano Salvatore e Angelo Sottile, analizzando anche i gap che il settore deve necessariamente superare Filippo Belli

Salvatore Sottile, presidente e amministratore delegato della Arcobaleno 3000 www.arcobaleno3000.it

el 2011 ha raggiunto un volume d’affari di oltre sei milioni di euro, garantendo l’occupazione di 50 dipendenti. La Arcobaleno 3000, tra le più affermate imprese messinesi nel settore delle

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costruzioni, dopo quarant’anni di attività si appresta a compiere un importante passo evolutivo. Diversificazione produttiva e nuovi progetti strategici sono al centro dell’azienda presieduta dall’amministratore delegato Salvatore Sottile. Nuovo, fondamentale core business dell’azienda è quello legato alla trasformazione dell’acciaio per cemento armato, ambito che vede impegnato in prima linea anche l’ingegner Angelo Sottile, direttore generale del centro di trasformazione acciai. Ad aver convinto i fratelli Sottile a intraprendere questa nuova avventura imprenditoriale è stata, nel 2009, l’entrata in vigore del D.M. che modifica la regolamentazione in materia di trasformazione degli acciai. Le

nuove Normative Tecniche per le Costruzioni (NTC) sono infatti nate con l’obiettivo di migliorare la professionalità del settore, la tracciabilità delle materie prime e la qualità delle strutture. «Abbiamo ritenuto che questo “giro di vite” nel comparto delle costruzioni fosse per noi un’opportunità da cogliere per diversificare la produzione» spiega il presidente Salvatore Sottile. Dunque si sono aperte nuove prospettive di sviluppo? SALVATORE SOTTILE: «Da indagini mirate risultava che la città di Messina, e l’intera costa Ionica della provincia, fossero prive di un centro di trasformazione acciai qualificato. Si trattava, quindi, di un potenziale mercato da conquistare. In se-


Salvatore e Angelo Sottile

Abbiamo dovuto acquisire macchinari di ultima generazione, all’avanguardia e automatizzati, per la presagomatura dell’acciaio per cemento armato

condo luogo, disponendo di un capannone industriale nella zona ASI di Larderia Inferiore, utilizzato fino al 2009 per altre finalità produttive, abbiamo potuto riconvertirlo, a partire dal 2010, a questa nuova attività». Il know how acquisito nel campo delle costruzioni si è rivelato utile? S.S.: «Certamente, quarant’anni di esperienza sul settore, unita alle risorse tecniche e professionali interne, ci hanno convinto di poter affrontare questa nuova sfida, nonostante le difficoltà della crisi economica in atto. Abbiamo puntato, in particolare, sull’esperienza di mio fratello, l’ingegnere Angelo Sot-

tile, e dell’ultima generazione della nostra famiglia, per concorrere alla crescita del gruppo imprenditoriale, consapevoli di poter condurre il business implementando metodi professionali e innovativi. Ma, soprattutto, convinti di poter offrire un servizio, più che un semplice prodotto, facendo di puntualità, professionalità e assistenza continua, fattori distintivi di successo». Questo cosa ha comportato, in termini di investimento? S.S.: «Abbiamo dovuto acquisire macchinari di ultima generazione, all’avanguardia e automatizzati, per la presagomatura dell’acciaio per

cemento armato». Quali risultati operativi e commerciali state ottenendo? ANGELO SOTTILE: «Superata la fase di start-up, il centro di trasformazione è riuscito a ottenere dei tassi di crescita che pochi pensavano potesse raggiungere. Acquisendo un portafoglio clienti di tutto prestigio e giungendo a una produzione che nel 2011 ha superato abbondantemente le più rosee previsioni. Nel primo trimestre 2012 la produzione continua a crescere. Tutto ciò ha reso insufficienti, prima del previsto, le aree produttive disponibili». Dunque è già in previsione un’espansione dell’area produttiva? A.S.: «Dobbiamo ampliare e adeguare ulteriormente le strutture di trasformazione. Fino a quel momento, sopperiremo alla domanda tramite l’ottimizzazione organizzativa delle risorse umane, logistiche e tecnologiche. E devo dire che SICILIA 2012 • DOSSIER • 149


EDILIZIA

L’ingegner Angelo Sottile, direttore generale del centro di trasformazione acciai della società messinese

stiamo ottenendo risultati più che soddisfacenti». Quali innovazioni occorreranno per rendervi più competitivi? A.S.: «Dobbiamo potenziare le attività in corso, razionalizzando le strutture, i macchinari e aggiornando i software gestionali. L’obiettivo è quello di garantire un continuo miglioramento nella produzione di acciaio per entrare gradualmente nel mercato della costruzione di travi REP®, micropali e carpenteria metallica. Per portare a compimento questa mission abbiamo già acquisito la certificazione UNI ISO 3834-3 e richiesto l’estensione delle qualificazioni di cui all’attestato ministeriale 1074/10 per le attività di carpenteria metallica». A quali target vi rivolgete? A.S.: «Premesso che offriamo il nostro servizio tanto al piccolo artigiano quanto alla grande in-

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dustria, la nostra committenza di riferimento è costituita dalle piccole e medie imprese operanti nel territorio siciliano». Per i prossimi mesi su quali progetti opererete? S.S.: «Nel breve periodo la nostra agenda prevede, come dicevamo, la realizzazione, nella zona tirrenica, di un secondo centro di trasformazione più performante. Inoltre, completeremo i lavori di ampliamento della centrale SRG SNAM di Messina, aggiudicati in ATI con l’impresa Bonatti Spa. Questo

cantiere impegna le nostre migliori risorse umane e tecniche, con uno staff altamente qualificato diretto da un altro giovane componente della nostra famiglia, il geometra Tonino Sottile, responsabile dell’area cantieri. Nei prossimi mesi verranno ultimati anche i lavori di realizzazione di Palazzo Colapesce a Messina e proseguiranno gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria della rete civica dell’acquedotto comune messinese». Sul mercato dell’acciaio crisi significa anche oscillazione continua del costo delle materie prime. Quali problemi incontrate nel loro reperimento? A.S.: «Il costo della materia prima incide per più dell’80 per cento sul prezzo finale. E la presenza di una sola acciaieria qualificata nel territorio siciliano, unitamente agli alti costi di tra-


Salvatore e Angelo Sottile

L’obiettivo è quello di garantire un continuo miglioramento nella produzione di acciaio per entrare gradualmente nel mercato della costruzione di travi REP®, micropali e carpenteria metallica

sporto per l’approvvigionamento dai distretti siderurgici del Nord Italia, dovuti all’innegabile gap infrastrutturale, aumenta notevolmente i rischi di monopolio. Inoltre, questo scenario impedisce alle imprese di trarre dal mercato le offerte o le proposte più concorrenziali. Questo rappresenta uno dei maggiori agenti di destabilizzazione del mercato dell’acciaio in Sicilia». Il vostro stabilimento produttivo garantisce un importante indotto occupazionale. Molte imprese edili, però, stanno fallendo. Quali sono i gap che il settore deve superare? S.S.: «I problemi sono tanti e sotto gli occhi di tutti. Tra i fattori di rischio principali, al primo posto vi è la carenza di flussi finanziari ed economici dell’intero settore. Fattore, quest’ultimo, che comporta note-

voli difficoltà, sia per l’arroccamento degli istituti di credito, sia per l’irrigidimento dei fornitori delle materie prime. I costi del personale sono ormai diventati insostenibili, con l’aggravante che quanto percepito dai dipendenti, vista l’esosa quota contributiva, non li rende sufficientemente motivati, e questo per noi è un doppio danno. Anche il mantenimento delle regole e delle normative, adottando un sistema di gestione ambientale, salute e sicurezza elevato come il nostro, implica dei costi aggiuntivi. Ma questo per noi è imprescindibile. L’impresa ha un valore sociale per il territorio e deve agire con questa consapevolezza». Quindi troppi costi e pochi investimenti? S.S.: «Tutto questo ci rende meno competitivi, specie nei confronti degli stranieri. So-

prattutto, si crea una discrasia tra quegli attori che operano nel pieno rispetto delle regole, come la Arcobaleno 3000, e tutti quelli che, invece, operano in parziale, se non totale, difformità delle normative. Le istituzioni possono e devono intervenire riducendo il carico contributivo e intavolando trattative con gli istituti di credito per un eventuale congelamento e dilazione delle esposizioni delle aziende. Il tutto al fine di ridare liquidità alle imprese e farle ripartire. Per tutte quelle aziende che intendono allinearsi ai parametri europei, rispettando scrupolosamente le regole, lo Stato deve migliorare la sostenibilità dei costi connessi, premiando le realtà meritevoli e virtuose e, di conseguenza, applicando maggiori controlli sul territorio per impedire la concorrenza sleale». SICILIA 2012 • DOSSIER • 151


EDILIZIA

L’edilizia di Agrigento guarda fuori dall’isola La diversificazione delle competenze e dei mercati ha portato una realtà agrigentina a collocarsi fra le più importanti imprese di restauro italiane. Pietro Tirone spiega quale visione ha guidato la sua azienda edile, che oggi guarda al Nord Africa Luca Cavera

n’impresa di costruzioni della provincia di Agrigento che ha, tra i suoi mercati principali, il Veneto. Questa è solo una delle peculiarità della Sice, impresa specializzata nel restauro e che ha fatto della diversificazione, territoriale e delle competenze, il proprio punto di forza. Come spiega il geometra Pietro Ti-

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Sopra, Borgo dei pescatori a Sant’Agata di Militello (ME). A fianco, in alto, chiesa di San Domenico a Vicenza. Sotto, cucine dell’ospedale di Belluno e particolare del villino Florio di Palermo. Lavori realizzati da Sice Srl, Aragona (AG) sicecostruzionisrl@virgilio.it

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rone, titolare della società: «Abbiamo capito subito che il nostro punto di riferimento non poteva essere solo il mercato siciliano. Per questo abbiamo sempre cercato di creare opportunità di lavoro sull’intero territorio nazionale, dove negli anni abbiamo realizzato lavori importanti sia per gli enti pubblici che per committenti privati, restaurando monumenti, anche sotto il profilo pittorico e degli arredi e installando impiantistica d’avanguardia». Non a caso uno degli ultimi progetti importanti realizzati da Sice è stato il restauro, ultimato nel 2011, della chiesa di San Domenico a Vicenza – città dove Sice ha una sede operativa e dove è percepita ormai come un’impresa locale. «La chiesa, costruita nel 400 e con un cassettonato ligneo del 600, era stata abbandonata alle intemperie – alle quali è stata particolarmente esposta dopo il crollo delle coperture. Sconsacrata, fu donata al conservatorio musicale. Il nostro lavoro è stato realizzato su mandato del

Comune di Vicenza e con un finanziamento della fondazione Cariverona. Abbiamo riportato la struttura, ma anche i suoi affreschi, allo splendore originario, ne abbiamo curato l’aspetto acustico, la parte degli impianti tecnologici, installando, tra l’altro, un sofisticatissimo impianto antincendio, programmato per domare le fiamme senza aggredire le tele e le pitture». Le competenze di Sice non si fermano però al restauro, nel 2010, infatti, l’azienda ha rinnovato le cucine dell’ospedale di Belluno, sfruttando un sistema a settori che ha permesso di mantenere la piena operatività della struttura. «Siamo stati anche i protagonisti, in Sicilia, Calabria ed Emilia Romagna, della prima fase di sviluppo del mercato della telefonia mobile, installando per Wind e l’allora Omnitel le stazioni radio base e in seguito le centrali di commutazione. Nello stesso periodo, abbiamo iniziato anche a lavorare per Enel e Terna. Oggi ci stiamo avvicinando al settore delle


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Partendo dalla Sicilia, abbiamo deciso di investire su tutto il territorio nazionale, fino alla scelta di costituire nel 2004 una sede operativa indipendente in Veneto

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energie rinnovabili e abbiamo già realizzato un impianto fotovoltaico in provincia di Agrigento per conto di una grossa impresa di Parma. Grazie alla nostra diversificazione, nonostante il 2011 sia stato un anno difficile per l’edilizia – soprattutto in Veneto –, siamo riusciti a ottenere un minimo di incremento fatturato (3 punti percentuali) e, sulla base del portfolio di commesse che abbiamo in programma per il 2012, prevediamo di chiudere l’anno in corso con un incremento di fatturato ben più importante, dell’ordine del 20 per cento». Benché Sice abbia scelto di guardare anche fuori dai confini dell’isola, ha realizzato qui importanti lavori, come il rifacimento della torre campanara della cattedrale di Palermo, la scala pompeiana e l’atrio carrabile del teatro Massimo, oltre

ad avere riportato alla luce le antiche zolfare dell’antico parco minerario di Aragona. «Uno dei nostri lavori più importanti e complessi, in Sicilia, è stato il restauro – o meglio la ricostruzione – del villino Florio, l’opera in liberty tra le più impostanti di Ernesto Basile. È stato difficile perché per la ricostruzione ci si è dovuti basare solo sui disegni posseduti dalla fondazione Florio, sulle memorie di una discendente della famiglia e su uno studio del Cnr che, analizzando i componenti delle parti residuali carbonizzate dagli incendi, ha provato a ricostruire gli arredi. Oggi il monumento di proprietà della Regione Sicilia è sede museale espositiva». Gli obiettivi futuri dell’impresa sono orientati a ulteriori specializzazioni e a nuovi mercati: «Guardiamo al Nord Africa,

dove stiamo prendendo contatti e saremo presenti alla fiera del restauro di Tunisi. Peculiaretà aziendale è caratterizzata dall’investire in risorse umane di eccellenza che guardano al miglioramento del territorio dell’ambiente. Stiamo anche puntando a entrare nel settore dell’alberghiero e del ricettivo – al momento è in corso la ristrutturazione di un importante villaggio turisitico Valtur – e nel recupero urbanistico e dei centri storici, come a Sant’Agata di Militello (ME)». SICILIA 2012 • DOSSIER • 153


EDILIZIA

I vantaggi del project financing «Dopo un’accurata indagine del territorio e una circostanziata valutazione delle sue necessità formuliamo un progetto di intervento e lo presentiamo all’amministrazione competente». Questa, secondo Francesco Melita, la strategia per uscire dalla crisi finanziaria e creare opportunità di lavoro Lodovico Bevilacqua

n un paese dall’ingente e prestigioso retaggio artistico e architettonico come l’Italia la tradizione edilizia conta diversi latori. Le competenze e le multidisciplinarietà risultano quindi sempre più fondamentali per affrontare progetti che prevedono la realizzazione di interventi strutturali e di riqualificazione urbana, per la costruzione di impianti sportivi e di strutture commerciali integrate, passando per l’edilizia privata e, naturalmente, per il restauro di immobili storici, fino alle energie rinnovabili. A causa della congiuntura economica, la crisi globale ha severamente penalizzato l’edilizia, ha prodotto una forte contrazione del mercato e ha reso sempre più difficile l’accesso al credito. Nato e cresciuto in una famiglia di tradizione imprenditoriale, Francesco Melita, amministratore unico della Esse.Di.Emme con sede a Enna ma operante da anni in tutto il territorio, sostiene la necessità di voltare pagina e di avere il coraggio di cambiare. «La nostra professionalità certificata è sicuramente un’ambita garanzia, ma

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in questo periodo di crisi stiamo cercando delle sinergie e nuove tecniche di finanziamento per far fronte al calo della domanda». Quale strategia avete messo in atto? «I dati parlano chiaro: il partenariato pubblico e privato raggiunge il 44% dell’importo totale dei bandi di gara delle opere pubbliche, per gli enti locali questa percentuale sale al 64%. Adottando il project financing, una tecnica di finanziamento in cui risulta invertito lo schema classico di concessione di un prestito, introdotto dal Codice degli appalti e modificato dal D.lgs 152/2008, un dato progetto viene finanziato dagli istituti di credito, che quindi credono nell’operazione e nella capacità di ripagare il debito. Gli attori non sono più impresaEnte, ma gli stessi risultano uniti negli obiettivi. Nella pratica siamo noi stessi che dopo un’accurata indagine del territorio e una circostanziata valutazione delle necessità e delle mancanze dello stesso, formuliamo un progetto di intervento e lo presentiamo all’amministrazione

competente. La realizzazione del progetto è interamente a nostro carico, sollevando così l’amministrazione da costi che spesso non è in grado di sostenere; la fase di attività della struttura vedrà poi la nostra attiva partecipazione alla sua gestione per recuperare i costi di realizzazione». Quali sono gli esiti e le potenzialità di questa politica? «In virtù del fatto che oggi le gare d’appalto sono spesso caratterizzate da ribassi eccessivi e

Francesco Melita della Esse.Di.Emme Costruzioni Srl di Enna. Nella pagina a fianco, dettagli di un intervento restaurativo www.essediemmecostruzioni.it


Francesco Melita

da gravi ritardi nei pagamenti, il project si dimostra un sistema che bypassa l’accesso al credito, limita l’utilizzo delle risorse finanziarie dell’amministrazione pubblica, dà maggiori garanzie sui costi e sui tempi d’investimento, creando quindi un virtuoso ciclo di vantaggi reciproci. Proprio perché crediamo molto in questa strategia, abbiamo recentemente intrapreso un’analoga politica aziendale nei paesi esteri, con particolare attenzione a quelli dell’Africa settentrionale e del Medioriente». A di là dell’intuito imprenditoriale, è comunque necessario offrire alla committenza competenza e professionalità. «Naturalmente sì. Poiché il corrispettivo per il promotore è costituito dal diritto di poter gestire l’opera nel tempo, è comprensibile la necessità di affidarsi a delle consulenze tecniche di primissimo ordine: la preparazione del nostro staff di architetti e ingegneri, il prestigioso retaggio aziendale, la serietà e la puntualità dimostrate

La realizzazione del progetto è interamente a nostro carico, sollevando così l’amministrazione da costi che spesso non è in grado di sostenere

in quasi cinquant’anni di attività ne costituiscono la formula indispensabile. Grazie alla consolidata esperienza nei diversi ambiti lavorativi e alle collaborazioni che ne sono scaturite, siamo in grado di intraprendere e progettare opere di qualsiasi grado di complessità». La diversificazione delle competenze rappresenta un vantaggio? «Certamente. Gli ambiti di intervento in cui ci siamo specializzati son molteplici e vanno dalla nuova costruzione (residenza e industria) alla realizzazione di opere pubbliche, quali

infrastrutture e urbanizzazioni, e commerciali integrate. Con l’esperienza maturata inoltre nel campo del restauro, siamo riusciti a raggiungere un elevato livello di specializzazione che ci ha permesso di affrontare con successo interventi su edifici di grande valenza storico-culturale che necessitano di un’altissima competenza e di una particolare attitudine alla gestione del lavoro anche dal punto vista burocratico». Quanto conta il networking nell’edilizia? «Può essere una strategia vincente. Il mio ruolo di presidente dell’Ance per due mandati ha confermato come la creazione di sinergie e l’istituzione di strategie comuni siano utili e produttive, anche in un’ottica di espansione degli interessi commerciali oltre i confini nazionali».

SICILIA 2012 • DOSSIER • 155


MATERIALI

L’edilizia di qualità punta sul marmo L’eleganza e la compattezza del marmo rendono questo materiale sempre più ambito da progettisti e architetti. Francesco Pellegrino racconta la sua esperienza Lodovico Bevilacqua

eicolo di elegante imponenza e storiche suggestioni, l’architettura siciliana compie un diffuso utilizzo di marmo per ingentilire le sue realizzazioni. Localizzato nel distretto marmifero di Custonaci, si tratta di un materiale estremamente pregiato, dalle eccezionali qualità estetiche e strutturali. Superato – in merito al volume estrattivo – solo da quello di Carrara, il polo di Custonaci contribuisce nella misura del 15 per cento alla produzione nazionale di marmo. La com-

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Da sinistra, Francesco, Matteo e Vincenzo Pellegrino delle società Francesco Pellegrino e Group Pellegrino di San Vito Lo Capo (TP) www.pellegrinomarmi.it

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plessità dei criteri di scelta, la perizia richiesta dalla lavorazione e la gestione ottimale di tutte le fasi di produzione impongono agli operatori di questo settore una grande competenza e una lunga esperienza operativa; autorevole personalità nell’ambito dell’attività estrattiva del distretto di Custonaci e San Vito lo Capo, Francesco Pellegrino – titolare dell’omonima impresa di estrazione e lavorazione del marmo e socio della Group Pellegrino Import-Export – insiste sulle caratteristiche che ritiene imprescindibile requisito di competitività. «La sintesi della vocazione artigianale e industriale di questa attività impongono l’utilizzo di macchinari estremamente sofisticati, che garantiscano la precisione e la qualità di lavorazione che derivano dalla sapiente manualità degli artigiani e – contemporaneamente – consentano di assecondare i tempi e i volumi di produzione imposti dal mercato». Dobbiamo dunque dedurre

che quello estrattivo sia un mercato informato da una vivace e dinamica attitudine innovativa? «Senza dubbio sì. Gli investimenti in macchinari sempre più precisi ed efficienti sono un’ineludibile condizione di successo. Per la natura del prodotto in questione – inoltre – anche un’attività apparentemente marginale come la movimentazione dei materiali esige l’allestimento di un parco mezzi funzionale e aggiornato. È per questo che la Pellegrino, consapevole di queste priorità, destina una significativa quota di fatturato agli investimenti per il rinnovo e l’implementazione del potenziale produttivo e operativo». Quali esiti ha determinato questa saggia strategia aziendale? «Estremamente positivi, nel corso dei nostri diciassette anni di attività. Nata come una piccola azienda di esigue dimensioni, la Pellegrino – grazie alla passione e alla professionalità dei suoi componenti – ha esteso


Francesco Pellegrino

L’edilizia moderna tiene sempre in considerazione le eccezionali qualità strutturali ed estetiche del marmo

le sue prerogative, includendo nella propria gamma un numero sempre maggiore di prodotti. Parimenti le dimensioni e le potenzialità operative dell’azienda sono cresciute in maniera esponenziale, portandola fino a quelle attuali. La Francesco Pellegrino e il Group constano complessivamente di 30 dipendenti, dodici macchinari per la lavorazione e dieci per la movimentazione del marmo, 1500 metri quadri di prodotto realizzato quotidianamente, 2 mila tonnellate di inerti al giorno e un fatturato annuo di oltre 8 milioni di euro». Quale destinazione d’uso è riservata ai vostri prodotti? «Le qualità estetiche e struttu-

rali del marmo lo rendono prezioso per differenti e numerosi contesti, la maggior parte dei quali afferenti all’ambito dell’architettura. Dalla realizzazione di opere pubbliche o di arredi urbani, alla semplice distribuzione delle lastre lavorate, fino al contributo alla ristrutturazione o realizzazione di ville private, la varietà di utilizzi del nostro marmo è notevole. Buona parte della produzione è inoltre destinata al mercato estero, che si distingue da quello domestico per una maggiore puntualità di pagamento favorita da modalità più affidabili delle transazioni». Quali sono le prospettive del mercato del marmo per il prossimo futuro?

«Sono senz’altro confortanti. L’edilizia moderna tiene in sempre maggiore considerazione le eccezionali qualità strutturali ed estetiche del marmo. Da parte nostra rimarremo fedeli alla strategia orientata all’investimento e al miglioramento costante, dedicando molta attenzione – infine – all’aspetto promozionale dell’attività, valorizzato tramite la diffusione del nostro marchio e la partecipazione alle più importanti e prestigiose fiere specialistiche del settore, con lo scopo di istituire solide e proficue partnership collaborative con clienti italiani ed esteri». SICILIA 2012 • DOSSIER • 157




RATING ANTIMAFIA

Le istituzioni più vicine all’imprenditoria sana Promuovere la cultura della legalità tra le imprese, attraverso un supporto efficace da parte delle istituzioni, è uno dei punti fondamentali su cui si basa l’accordo firmato tra il governo e Confindustria Nicolò Mulas Marcello

iciliani, combattete la mafia». È questo l’appello del ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri, a margine dell’importante evento svoltosi a fine febbraio a Caltanissetta, che ha visto la firma del protocollo che fa parte del programma operativo nazionale “Sicurezza per lo sviluppo - Obiettivo convergenza 2007-2013”. L’accordo prevede la nascita di sportelli a Caltanissetta e Caserta a sostegno delle imprese che denunciano la criminalità e sancisce ancora una volta l’impegno degli industriali nella lotta contro la mafia e il pizzo. «Uomini e donne di Sicilia abbiate il coraggio e la voglia di sfidare la criminalità organizzata, avete vinto battaglie ma bisogna vincere la guerra», ha detto il ministro dell’Interno, definendo Ivan Lo Bello e An-

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tonello Montante, presidente e vicepresidente di Confindustria Sicilia, «apostoli che nel deserto hanno alzato la voce contro il racket delle estorsioni». Il ministro Cancellieri conosce bene la Sicilia, in quanto dieci anni fa rivestì il ruolo di prefetto di Catania. «C’era Rosario Crocetta (allora sindaco a Gela, oggi eurodeputato del Partito Democratico) che faceva tutto da solo, poi arrivarono Antonello Montante e Ivan Lo Bello, erano soli e non tutti erano convinti di quello che stavano portando avanti. Non c’era molta condivisione, ma loro hanno continuato prendendosi anche rischi terribili, trovando a loro fianco a Caltanissetta una grande magistratura che li ha sostenuti». Il Governo Monti continua l’impegno nel contrasto alla criminalità organizzata, ma serve uno sforzo maggiore an-


Uno strumento per le imprese

che da parte di tutta la cittadinanza: «Senza la gente – ha aggiunto il ministro – non si va da nessuna parte, lo Stato sicuramente ce la metterà tutta ma occorre la reazione della gente, altrimenti non arriveremo al risultato finale. Sono convinta che la gente ha capito e ha voglia di cambiare». L’assistenza alle imprese come incentivo alla denuncia delle richieste di pizzo è quindi un punto fondamentale per sradicare questo malcostume e anche un modo per non lasciare soli gli imprenditori vessati. L’iniziativa punta non solo a sostenere le aziende che decidono di sganciarsi dal condizionamento della criminalità ma anche a creare una cultura d’impresa e di legalità, facendo conoscere tutti gli strumenti esistenti per opporsi al racket senza dover soccombere. Confindustria svolge un ruolo importante da questo punto di vista e l’inserimento nel decreto liberalizzazioni dell’emendamento relativo al rating antimafia, promosso da Antonello Montante, ne è una prova tangibile. Il messaggio da parte delle istituzioni è che chi vuole denunciare troverà sempre una porta aperta. SICILIA 2012 • DOSSIER • 161


RATING ANTIMAFIA

Un segnale concreto contro la mafia Lottare contro la criminalità diventa sinonimo di sviluppo per le imprese grazie al nuovo rating antimafia introdotto dal Governo. Antonello Montante spiega cosa cambierà e quali opportunità si prospettano Nicolò Mulas Marcello

no strumento che, appena dopo la conferma del funzionamento, potrà essere utilizzato anche in altre circostanze, come ad esempio, nell’aiutare l’evoluzione del certificato antimafia». Con queste parole il presidente di Confindustria Caltanissetta ha commentato l’inserimento della sua proposta sull’introduzione del rating antimafia in un emendamento del decreto liberalizzazioni. È un traguardo importante per le imprese. Cosa cambierà? «Sono molto contento che la proposta del rating antimafia sia stata accolta con tanto interesse e con un consenso bipartisan. La politica ha dimostrato una grande disponibilità a favore del rating come strumento di aiuto per le imprese in un momento in cui l’accesso al credito è molto complesso e le aziende soffrono di assenza di liquidità. Il sostegno politico-istituzionale è stato importantissimo e decisivo così come è stato fondamentale l’avvaloramento fatto dall’Abi, oltre a essere fortemente simbolico proprio perché proveniente dal mondo delle banche. Il fatto che sia stato messo velocemente all’approvazione del Senato e adesso all’esame della Camera, a mio avviso, è un passo avanti verso un aiuto alle imprese virtuose, e di conseguenza anche dei marchi, dei lavoratori e in generale dell’economia. Il rating non è una semplice dichiarazione di intenti ma una cosa concreta. Si tratta di un riconoscimento

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Nella pagina accanto, Antonello Montante, presidente di Confindustria Caltanissetta

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alle imprese che hanno un mercato, che sono legalmente virtuose, quelle che, solo a titolo di esempio, hanno adottato una governance stringente per prevenire le infiltrazioni criminali e l’illegalità e che in questo momento hanno necessità di avere una bancabilità migliore». Alla luce dell’esperienza ormai matura sulle politiche e sugli strumenti di contrasto alla criminalità organizzata promossi dalla stessa Confindustria, è cambiata la percezione del rischio d’impresa da parte degli imprenditori? «Gli strumenti che Confindustria ha adottato negli ultimi anni per contrastare la criminalità organizzata, oltre ad aver sensibilizzato la promozione della cultura d’impresa basata su importanti valori etici, mirano a difendere le aziende e i rispettivi mercati dalla concorrenza sleale e criminale così come dai pericoli che possono trascinare gli imprenditori nel tunnel dell’illegalità, mettendo a rischio la sopravvivenza del loro business a causa di un irregolare funzionamento del mercato. Le imprese che operano con metodi criminali beneficiano di bassi costi di produzione, tanto con riferimento alle materie prime e alla manodopera impiegata, quanto in relazione al costo dei capitali da investire. Questi meccanismi cambiano sicuramente la percezione del rischio, aggravandola per certi versi, ma è pur vero che per chi rischia capitali in prima persona è, ora più che mai, fondamentale fare una scelta a tutto campo prima di pensare al profitto e al suo rag-


Antonello Montante

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Confindustria nel futuro continuerà sicuramente a lavorare con le imprese promuovendo il rispetto delle regole e della normalità

giungimento senza considerare l’intromissione di problemi esterni di sicurezza. I “senza se e senza ma” sono una scelta ex-ante». Quali sono i nuovi valori che accompagnano oggi gli imprenditori? «Dalla maggiore consapevolezza e dalla conoscenza dei fattori di rischio che possono determinare il successo o il fallimento delle attività imprenditoriali nei mercati, si stanno facendo strada altri valori, una sorta di divulgazione culturale che punta all’investimento sicuro, oltre a quello sul sociale, sul valore aggiunto come la volontà di difendere le eccellenze del nostro Paese, per esempio. Ci vorrebbero degli orientamenti e degli interventi incentivanti per la difesa, dai vari rischi, della storia imprenditoriale dei nostri marchi storici, un altro grande valore etico, sociale, culturale ma soprattutto economico, per essere più competitivi anche nei mercati internazionali e richiamare così l’attenzione di investitori esteri verso il nostro Paese». Cosa ci si aspetta su questo fronte da Confindustria nel futuro? «L’Associazione continuerà a sicuramente a lavorare con le imprese, promuovendo il rispetto delle regole e della normalità, continuerà a innovare così come ha fatto finora costruendo modelli e sostenendoli. Come già detto, la legalità non è un soltanto un valore etico ma è anche un grande valore economico, motivo per cui io preferisco parlare sempre più di normalità. Tale ri-

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flessione mi spinge a sostenere che la lotta futura alla criminalità deve continuare attraverso la competitività, il lavoro, la ricerca e l’innovazione, in parole povere attraverso la difesa delle proprie imprese e dei propri mercati, con l’utilizzo di strategie e strumenti imprenditoriali moderni. Un’impresa forte che conosce i mezzi e i modi per competere e per interagire con banche, istituzioni e con i mercati in generale è anche in grado di difendere il proprio know how, la propria storia aziendale, il proprio marchio e i lavoratori senza nessuna intromissione della rete criminale di cui, grazie all’aiuto dello Stato, ha la forza per sbarazzarsene». Su quali ambiti specifici si giocherà la lotta alla criminalità? «La lotta contro la criminalità nel futuro si farà nell’ambito della “normalità”, attraverso l’impegno di realizzare delle priorità assolute: coesione e sinergie territoriali istituzionali, un migliore utilizzo dei fondi strutturali tra reti di imprese e territori, la semplificazione della burocrazia, la puntualità nelle scadenze dei pagamenti della pubblica amministrazione verso le imprese, migliori condizioni per aumentare la “bancabilità” delle imprese, azioni governative per la difesa dei marchi storici delle nostre imprese, riforme strutturali per incentivare investimenti dall’esterno e il recupero del gap del Sud attraverso la responsabilità e l’impegno da parte di una nuova generazione di classe dirigente». SICILIA 2012 • DOSSIER • 163


RATING ANTIMAFIA

La cultura della legalità L’impegno nel contrasto alla criminalità organizzata continua anche attraverso gli interventi del nuovo esecutivo. L’introduzione del rating antimafia promosso da Maria Elisabetta Alberti Casellati ne è una prova tangibile Nicolò Mulas Marcello

I Governo Monti sta continuando sulla strada della lotta alla criminalità organizzata, intrapresa dal precedente esecutivo, attraverso l’approvazione di nuove norme che sensibilizzino e aiutino gli imprenditori che decidono di denunciare le intimidazioni nei loro confronti. «Con l’inserimento nel decreto liberalizzazioni del mio emendamento, il Governo Monti - sottolinea la senatrice Maria Elisabetta Alberti Casellati - intende proseguire in questa direzione,

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strappando le imprese all’illegalità e mettendole nella condizione di produrre ricchezza, pagare le tasse e creare occupazione». In cosa consiste il rating antimafia e cosa cambierà per le imprese che decideranno di essere attive nel contrasto alla criminalità? «Con il rating di legalità si introducono principi etici nei comportamenti aziendali, intervenendo sugli aspetti di moralizzazione della vita civile. L'Authority della concorrenza e del mercato, in collaborazione con i ministeri della Giustizia e dell’Interno, stilerà una sorta di pagella per le aziende, in cui quelle che risulteranno virtuose avranno un accesso privilegiato al credito e ai finanziamenti pubblici. Ci sarà dunque una valutazione oggettiva sull'affidabilità di un’azienda, della quale si va a favorire la crescita. È una vittoria della politica, che getta le basi per un sistema meritocratico». Con questo emendamento si conferisce alla lotta alla criminalità non solo un fine repressivo ma anche un valore aggiunto. Questa sorta di premialità può abbattere una volta per tutte il muro di silenzio? «L’introduzione di un rating di legalità per le imprese è un importante segnale che lanciamo al Paese e a tutto il mondo imprenditoriale. È uno stimolo, anche per le generazioni future, a credere che il contrasto alla


Maria Elisabetta Alberti Casellati

È necessario far passare forte e chiaro il messaggio che la legalità fa bene alle imprese e promuove la crescita

criminalità, le attività di denuncia e di resistenza al racket non sono fini a se stessi, ma rappresentano un valore, un bene prezioso, proprio perché contribuiscono a infrangere quel muro di silenzio che ha depresso per troppo tempo l’imprenditoria. La lotta alla mafia va fatta con atti concreti, visibili e reali. Ogni atto che come questo segnala la presenza dello Stato è il migliore antidoto contro le cosche, soprattutto perché chi combatte la mafia incide con la sua condotta sul tessuto sociale e produttivo». L’idea è quella di innescare un circuito virtuoso tra le aziende e favorire anche in un certo modo la competitività. Questo può favorire anche l’attrazione di investimenti esteri? «Il rating sulla legalità riattiva una sana competizione fra le aziende e avvia un circuito virtuoso che giova all’economia. È necessario far passare forte e chiaro il messaggio che la legalità fa bene alle imprese e promuove la crescita. Gli investimenti stranieri nella nostra Penisola sono di 337 miliardi di euro, ovvero la metà di quelli di Spagna, Francia e Germania, e nel 2011 sono diminuiti per le imprese del 53%. Non solo, nella classifica 2012 che riguarda l’accoglienza industriale, la Banca mondiale fa scivolare il nostro Paese dall’83° posto all’87°, dietro allo Zambia, all’Albania e alla Mongolia. L’applicazione di

criteri di trasparenza, che attribuisce alle aziende il crisma della affidabilità e della credibilità, costituisce un importante volano per l’economia perché gli investitori stranieri guardino con fiducia al nostro mercato». La lotta alla criminalità organizzata è un impegno forte anche per l’attuale governo. Cosa prevede per il futuro? «La lotta alla criminalità organizzata ha caratterizzato il Governo Berlusconi con l’approvazione di importanti provvedimenti che vanno dall’inasprimento delle pene per il 41 bis (carcere duro) alla confisca dei beni dei mafiosi. E mi pare che il Governo Monti, avendo inserito nel decreto liberalizzazioni il mio emendamento, intenda proseguire in questa direzione, strappando le imprese all’illegalità e mettendole nella condizione di produrre ricchezza, pagare le tasse e creare occupazione. È chiaro che questa normativa avrà tanta più efficacia se sarà accompagnata da ulteriori e credibili provvedimenti quali lo smaltimento dell’arretrato nei processi civili (quasi 6 milioni di cause) per dare tempi certi alla giustizia e flessibilità in entrata e in uscita del mondo del lavoro per ridare fiato alle imprese e competitività. Riforme vere e non inutili “pateracchi”, con uno sguardo rivolto alle prospettive e qualità di vita dei cittadini e non alle burocrazie sindacali».

Maria Elisabetta Alberti Casellati, senatrice e membro della Commissione permanente Lavoro e previdenza sociale

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USURA

Il primo passo è denunciare L’usura è un fenomeno che ormai si sta diffondendo in tutta Italia, seppure rimane più marcata la sua presenza nel Mezzogiorno. Giancarlo Trevisone, commissario straordinario del governo, parla degli strumenti nelle mani delle istituzioni per aiutare i cittadini Tiziana Bongiovanni

er combattere il fenomeno del racket e dell’usura il Ministero dell’Interno ha istituito un Fondo di solidarietà al quale possono accedere gli operatori economici, i commercianti, gli artigiani e i liberi professionisti vittime di estorsioni. La decisione è avallata dal commissario straordinario del governo per le iniziative di contrasto al racket e all’usura, Giancarlo Trevisone. Qual è la diffusione del fenomeno racket ed usura? «Il dato sulla lotta al racket e all’usura io lo possiedo indirettamente in base alle domande che pervengono dalle parti offese. Il mio compito è di intervenire concedendo due forme di erogazione: il mutuo senza interessi o un’elargizione diretta in denaro. Prima facciamo prevenzione con una serie di iniziative, come ad esempio le campagne attraverso i mezzi di comunicazone, che mirano a spingere le vittime a denunciare; poi concediamo i fondi necessari. Il fine è quello di consentire al soggetto che ha avuto un danno di rientrare nel circuito virtuoso economico». Che cifre concedete? «Fino a 3 milioni di euro. I soldi ci sono, ma chi denuncia il racket non percepisce subito la

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somma. Prima c’è fase istruttoria: bisogna fare domanda alla Prefettura competente dove un team di professionisti come commercialisti e avvocati ne valuta l’idoneità e fa una stima della cifra da concedere. Poi questo calcolo viene trasmesso al comitato che presiedo. Noi valutiamo la conformità della documentazione e liquidiamo». Ma nella valutazione di cosa si tiene conto? «Dei danni subiti, economici e biologici. E degli interessi pagati. I soggetti però non possono essere dei privati, ma debbono possedere un’attività commerciale o imprenditoriale». Dai dati in suo possesso quali sono le zone in cui più diffuso il fenomeno del racket? «È sempre prevalente nel Meridione, in modo specifico nelle zone dove il territorio è controllato dalla criminalità organizzata». E l’usura? «In questo caso il fenomeno è più variegato. L’usura è di due tipi: quella gestita dalle organizzazioni criminali e quella dei cosiddetti, come dicono a Roma, cravattai». Chi si rivolge agli usurai? «Chi non ha più credito. Però in base alla nuova legge Centaro, entrata in vigore alla fine di feb-


Giancarlo Trevisone

braio, un soggetto che si trova in una posizione fortemente debitoria, ma non è ancora caduto nelle mani degli strozzini, può attivare con la magistratura il procedimento per la composizione della crisi da sovraindebitamento. L’usura è anche un fenomeno con una difficoltà in più, il rapporto di dipendenza psicologica che si crea tra usurato ed usuraio. E pensi che l’usura sta sconfinando anche al Nord, ad esempio è fortemente presente in Lombardia. Lo si capisce anche dalle molteplici iniziative che stanno avendo le magistrature, ma non possiedo dati esaurienti. Sono i procuratori distrettuali antimafia che possono fare un quadro preciso della situazione». Il problema vero però è un altro. «Sì, è la mancanza di denunce. Alla lotta che stanno facendo le Magistrature non corrisponde un’altrettanta presa di coscienza nelle vittime di racket e usura». E cosa si può fare al riguardo? «Innanzitutto far capire alla gente che denunciare le attività estorsive aumenta l’incolumità di tutti; poi rivolgersi alle associazioni antiracket e antiusura sul territorio. È la sicurezza partecipata: tutti debbono mettersi in campo per diffondere la cultura della legalità». Che ruolo svolgono le associazioni? «Un ruolo insostituibile perché sono coloro che avvicinano le persone che hanno subito un ricatto e dandogli un aiuto psicologico, assistenziale e legale le portano dalla magistratura per denunciare». Cosa significa denunciare? «Far emergere il fenomeno; isolare e mandare in galera i delinquenti ed avere un contributo per i danni subiti». Voi cosa state facendo? «Sosteniamo le associazioni di categoria e ab-

biamo istituito degli sportelli». Quante denuncie sono state presentate in Sicilia? «Io sono in una posizione arretrata per valutare l’entità del fenomeno estorsivo in Sicilia. A me sono arrivate 82 istanze, evidentemente un dato sottostimato, da far scappar da ridere rispetto alla realtà. Da ex prefetto di Palermo posso dire che nel capoluogo di regione il racket è molto diffuso». Ma chi volesse denunciare cosa deve fare? «Può andare in Questura o direttamente alla magistratura, oppure chiedere assistenza attraverso gli sportelli di legalità in modo da non essere solo in questo travaglio». Una volta sporta denuncia, quali sono le tempistiche per accedere al Fondo di solidarietà? «Una volta che il comitato ha deciso l’erogazione, manda la pratica a Consap, che in una ventina di giorni emette il provvedimento. Se la procedura è perfetta, cioè non ci sono errori nell’elaborazione dei dati, da quando arriva a noi può tradursi anche in due mesi. Cerchiamo di essere molto veloci perché la cosa più importante è dare delle risposte nel più breve tempo possibile, in modo che il cittadino senta lo Stato vicino. Questo è il nostro scopo, anche se purtroppo a volte non ci riusciamo perché i dati che ci giungono sono errati». E una volta avuti i soldi? «Devono essere impiegati dall’imprenditore per rientrare nel circuito economico, per ricominciare a lavorare». Dove? «Dove vogliono, se sono stati taglieggiati in Sicilia, possono anche andare altrove, purché rientrino nel circuito».

Sopra, Giancarlo Trevisone, commissario straordinario del governo per le iniziative di contrasto al racket e all’usura

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USURA

Un supporto concreto per le vittime Lo Sportello legalità sprona gli imprenditori a rompere il silenzio nei confronti dei loro usurai, orientandoli e fornendo anche assistenza psicologica. Rosanna Montalto ne rivela i contorni Giacomo Govoni entre le 262 denunce per estorsione del primo trimestre 2011 (19 in più rispetto al secondo semestre 2010) segnano un graduale, ancorchè breve, passo avanti nella lotta al racket, in Sicilia lo scenario sul fronte usura dipinto dall’ultimo rapporto della Direzione investigativa antimafia rivela una delittuosità che stenta ad affiorare. «L’usura – spiega Rosanna Montalto, coordinatrice dello Sportello legalità della Camera di Commercio di Palermo – è un cancro per la società molto difficile da estirpare». Per quanto l’incremento delle segnalazioni nei primi sei mesi dell’anno scorso (16 rispetto alle 10 del luglio-dicembre 2010) faccia ben sperare, i numeri regionali non traducono la portata di un fenomeno che, nella crisi, trova purtroppo un alleato. Come mai, nonostante la piaga dell’usura prosperi, le denunce arrivano col contagocce? «L’usurato non denuncia, perché nella scelta pesa la paura di ritorsioni e la vergogna per il giudizio che egli stesso teme da parte della sua famiglia e per il fallimento delle proprie capacità imprenditoriali. Ma in realtà ciò che pesa in modo decisivo è la convinzione di non avere alternative alla propria situazione e fino a un minuto prima di avere esaurito ogni possibilità di racimolare risorse finanziarie è convinto che l’usuraio sia un vero amico, il solo che è stato disposto ad aiutarlo». Quali sono i bersagli preferiti di chi esercita pratiche di strozzinaggio? «Sono tutti possibili bersagli, la crisi economica colpisce le famiglie, le piccole ma anche le grandi imprese, i professionisti. Le banche hanno fortemente ridotto la possibilità di accesso al credito e

M Rosanna Montalto, coordinatrice dello Sportello legalità della Camera di Commercio di Palermo

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per molti la sopravvivenza passa dal prestito usuraio, veloce e senza richiesta di garanzie, anche se a tassi elevatissimi. Abbiamo riscontrato che i tassi praticati dalla criminalità viaggiano su valori attorno al 10 per cento mensile». Che tipo di assistenza diretta fornite agli usurati? «Le vittime di usura vengono accompagnate alla denuncia presso le autorità competenti e poi assistite presso la locale Prefettura per la richiesta dei risarcimenti previsti dalla legge. Ma spesso forniamo anche assistenza psicologica, perché questi soggetti rischiano la depressione, hanno problemi in famiglia. Purtroppo le vittime di usura arrivano alla denuncia quando già il loro indebitamento con banche e fornitori è molto elevato e i rapporti in famiglia si sono lacerati, anche perché a volte i familiari ne vengono a conoscenza quando la situazione è ormai disperata». Chi sono altri soggetti presso cui intercedete al fine di mitigare il fenomeno? «Collaboriamo con la Prefettura affinché il risarcimento del danno usuraio sia il più adeguato possibile. Cerchiamo di intervenire con le banche perché sospendano azioni legali o richieste di rientro immediato dalle scoperture di conto concesse, con le finanziarie, con le società di recupero crediti, ma anche con l’Agenzia delle entrate, gli istituti previdenziali, Equitalia e i fornitori, per addivenire laddove possibile ad accordi transattivi. In ultimo, grazie ai protocolli di intesa sottoscritti con i confidi operanti nel territorio e che hanno attivato i fondi antiusura di cui all’articolo 15 della legge 108/96, favoriamo l’erogazione da parte delle banche di particolari prestiti, garantiti per l’80% dai fondi stessi, che sono statali, e per la rimanente parte dai confidi e dalle banche».



USURA

Le armi legali contro l'usura La denuncia rimane l’antidoto più efficace contro il dilagare del fenomeno dell’usura. E costituendosi parte civile nei processi penali, ricorda Fabio Lanfranca, le vittime possono ottenere risarcimenti patrimoniali e non Giacomo Govoni

ssociare la pratica dell’usura alla figura del classico “cravattaro” significa coniugare il fenomeno al passato. Oggi questo reato in Sicilia è sempre più appannaggio della criminalità organizzata, il che rende ancor più difficile giungere a ottenere piena giustizia per tutte le vittime. Ammesso, infatti, che chi viene ricattato trovi il coraggio di denunciare i suoi strozzini - solo sette le denunce accertate a Palermo nel 2011 - non sempre la legislazione antiusura è in grado di rispondere in modo adeguato, per via di tempi burocratici e giudiziari che spesso ne depotenziano gli effetti. «Arrivare a una sentenza di condanna nel processo di usura – spiega Fabio Lanfranca, avvocato penalista – è spesso difficile. Chi commette un crimine normalmente ne occulta le tracce, e la storia dei processi d’usura dimostra che gran parte dei transiti finanziari non è documentata o per lo meno che non lo è del tutto». Quali sono gli strumenti legislativi, anche di recente introduzione, a sostegno delle vittime di usura? «Innanzitutto vi è la possibilità di costituirsi parte civile nel processo penale a carico dell’imputato per ottenere, in caso di condanna, il risarcimento del danno patrimoniale e non

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patrimoniale subìto. Sussistono, inoltre, alcune disposizioni normative che mirano ad aiutare la vittima al reinserimento nell’economia legale. Mi riferisco, in particolare, alla legge 108/96, che consente alla vittima che ha denunciato di ottenere un mutuo a tasso zero, e alla legge 44/99, che consente di ottenere una posticipazione delle scadenze dei pagamenti relativi a rate di mutui bancari, degli adempimenti fiscali e dell’esecuzione dei provvedimenti di rilascio di immobili». A termini di legge, quando un tasso di interesse diventa un tasso di usura? E come viene perseguito penalmente? «Nel 1996 il legislatore ha introdotto il cosiddetto “tasso soglia”, ossia il limite oltre il quale gli interessi sono da considerarsi usurai. Detto tasso, ai sensi dell’articolo 2, comma 4, della legge 108/1996, coincide con il tasso medio risultante dall’ultima rilevazione pub-


Fabio Lanfranca

La storia dei processi d’usura dimostra che gran parte dei transiti finanziari tra la vittima e l’imputato non è documentata o, per lo meno, non del tutto

blicata nella gazzetta ufficiale (Taeg), aumentato della metà. Il nostro ordinamento penale sanziona chi pratica l’usura con pene che vanno dai 2 ai 10 anni di reclusione e con la multa da 5mila a 30mila euro». Guardando l’esiguo numero di denunce a fronte di migliaia di commercianti e imprenditori siciliani usurati, l’impressione è che manchi la fiducia nell’efficacia repressiva delle leggi e istituzioni. È davvero così? «Le ragioni dell’esiguità del numero delle denunce sono molteplici. Intanto c’è la difficoltà ad arrivare a una sentenza di condanna nel relativo processo. In più, la storia dei processi d’usura dimostra che gran parte dei transiti finanziari non è documentata o per lo meno che non lo è del tutto. La vittima, dal canto suo, in sede di testimonianza, si trova ad affrontare il difficile compito di dover ricostruire con la massima precisione anni e anni di rapporti di dare/avere con l’imputato, e non sempre ci riesce». Ci possono essere altre ragioni dietro l’impossibilità di ricostruire lo storico dei transiti finanziari?

«Non va ignorato che la vittima d’usura, che generalmente è un individuo con un certo grado di stabilità economica e un tenore di vita relativamente agiato, dopo aver chiesto aiuto all’usuraio, non ha affatto voglia che si sappia in giro. Il rapporto privato e segreto con l’usuraio, spesso accompagnato dall’incapacità di cogliere a pieno le conseguenze del patto usuraio e la sua esponenzialità nel tempo, implicano la prima e più grave conseguenza sulla vittima d’usura: l’incapacità di chiedere aiuto e di denunciare». A inizio anno Confartigianato ha approvato un codice etico per le pmi siciliane: come può contribuire un simile strumento a scoraggiare il fenomeno dell’usura? «Il ruolo delle associazioni di categoria può essere importantissimo nel prevenire il ricorso del commerciante o dell’imprenditore al credito a usura. Credo che l’imprenditore debba essere incentivato a non ricorrere al credito illegale attraverso l’incremento del ruolo di garanzia che l’associazione di categoria può assumere nei confronti del sistema bancario per agevolare l’accesso al credito delle pmi».

A sinistra, Fabio Lanfranca, avvocato penalista

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USURA

L’etica della legalità contro le mafie Nell’ultimo ventennio le organizzazioni mafiose hanno fatto dell’usura un loro business privilegiato. Ma fondazioni come quella di don Marcello Cozzi non hanno alcuna intenzione di stare a guardare Giacomo Govoni

Q Nella pagina accanto, Don Marcello Cozzi, presidente della fondazione antiusura “Interesse Uomo”

uando la crisi si avverte di più e i rubinetti del finanziamento ordinario progressivamente si chiudono, il mercato “alternativo” del credito prospera. È vero su scala nazionale e accade anche in Sicilia che, secondo l’ultima ricerca effettuata dalla Cgia di Mestre, si piazza al quarto posto dopo Campania, Calabria e Puglia, tra le regioni italiane più a rischio di usura. Un fenomeno che realtà come quella di Marcello Cozzi, presidente della fondazione antiusura “Interesse Uomo”, tentano di fronteggiare con tutti i mezzi. «Nei prossimi mesi – svela don Cozzi – la Fondazione allargherà la propria operatività sull’intero territorio nazionale con l’ingresso di nuovi soci tra cui Banca Etica, ma anche l’Anci e l’associazione Libera». La sua fondazione combatte a testa alta la piaga dell’usura. Come nasce e che aiuto ha fornito fino a oggi? «Interesse Uomo nasce ufficialmente nel 2002, anche se le prime vittime e i primi soggetti a rischio abbiamo iniziato a incontrarli a partire dal 1996. Gente senza accesso al credito bancario, commercianti in difficoltà, persone che per via di gestioni poco equilibrate del proprio denaro si erano trovate a difendere la propria abitazione dall’aggressione delle banche, e non pochi ini-

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ziavano a confidare che si erano rivolti ad “amici di amici”. Potevamo solo ascoltarli, li mandavamo dalle fondazioni antiusura già esistenti in Italia, ma che spesso non potevano intervenire per mancanza di competenza territoriale. Così iniziammo il percorso che ci portò alla realizzazione di una fondazione con operatività nella provincia di Potenza. Oggi abbiamo incontrato circa 1.600 persone, per una prestazione di garanzia pari a circa 1, 2 milioni di euro e per circa un centinaio di persone». Crisi e difficile accesso al credito fanno il gioco della malavita: dove colpisce maggiormente? «La dimostrazione che la difficoltà nell’accedere al credito ordinario amplifica l’usura, viene dalle ultime stime del 2011 secondo cui le mafie avrebbero ricavato dall’usura un introito di circa 16 miliardi di euro. Ma la crisi c’entra poco: la verità è che già da un ventennio le mafie hanno fatto dell’usura un loro business privilegiato. Dopo l’attacco frontale allo stato da parte di Cosa Nostra dei primi anni Novanta e il successivo inabissamento e cambio di pelle, la criminalità ha trovato nell’usura un’ottima strategia sia per far entrare nell’economia pulita i proventi delle proprie attività illecite, trasformando le attività imprenditoriali bisognose di prestiti in vere


Marcello Cozzi

La criminalità ha trovato nell’usura un’ottima strategia per far arrivare i propri soldi anche nei territori nazionali considerati vergini dal punto di vista dell’aggressione mafiosa

e proprie lavanderie della criminalità, sia per far arrivare i propri soldi anche nei territori nazionali considerati vergini dal punto di vista dell’aggressione mafiosa». Non fate solo opera di sensibilizzazione: a Potenza ad esempio avete attivato in collaborazione con la Provincia, un fondo per le famiglie che vogliono mandare figli all’università. «Gli obiettivi fondamentali di una fondazione antiusura restano la prevenzione, la sensibilizzazione e la denuncia; poi anche quello delle prestazioni di garanzia a chi è in difficoltà economica. Ridurre questo lavoro solo a quello di prestare i soldi, rischierebbe però di disperdere la nostra specificità. È in questa ottica dunque che da 4-5 anni si è avviato con la provincia di Potenza, che ha messo a disposizione un cospicuo fondo, e con Banca Etica, con la quale siamo convenzionati da sempre, un interessantissimo progetto denominato Credito etico. Un progetto di microcredito rivolto ai cosiddetti atipici purtroppo crescenti nel Paese, a piccole attività commerciali a corto di liquidità, a soggetti extracomunitari con regolare permesso di soggiorno, e da quest’anno anche a studenti universitari della provincia di Potenza fuori sede». Quali altre iniziative avete in mente in Sicilia? «Proprio con Libera, a cui la fondazione aderisce sin dalla propria nascita, è stato avviato un paio di anni fa un progetto denominato “Sos Giustizia” che ha visto la nascita di sei sportelli in altrettante città d’Italia da sud a nord. Fra queste anche a Palermo. Con l’allargamento dell’opera-

tività su scala nazionale lo sportello di Palermo diventerà a tutti gli effetti uno sportello della Fondazione antiusura con conseguente avvio di collaborazioni con le istituzioni locali a cui potremmo proporre, perché no, proprio quelle buone prassi già avviate ormai da tempo in Basilicata». Per contrastare un fenomeno che nel 2012 economisti e politici vedono in ascesa, il ministro Cancellieri ha recentemente ribadito che lo stato ce la metterà tutta purché anche la gente collabori attraverso le denunce. Condivide questa posizione? «Sarà indubbiamente un anno molto duro per tanti: per quanti vivono già difficoltà economiche e camminano sul filo del rasoio. Ognuno sarà chiamato a fare la propria parte in modo coraggioso e con la capacità di guardare oltre. Il che significa, per esempio, un sistema bancario che vada oltre le rigide regole dei vari Basilea 1, 2 e 3, che restituisca “potere” ai direttori delle tante agenzie e filiali sparse nei territori perché possano recuperare un rapporto diretto con i clienti e non filtrato da terminali. Una politica che alleggerisca la pressione fiscale e un mercato del lavoro che dia più certezze a tanti che non riescono più a progettare il proprio futuro. O ancora, far capire con politiche nazionali di maggiore sostegno alla lotta all’usura che non ci si libera dagli strozzini, siano essi singoli o gruppi mafiosi, se non con la denuncia. L’usura è un abbraccio mortale che ti stritola l’anima prima ancora che svuotarti le tasche: fare nomi e cognomi, è l’unico modo per liberarsi. Il resto è illusione». SICILIA 2012 • DOSSIER • 175


USURA

Recupero crediti, basta stereotipi Il credito al consumo è oggi, vista la contrazione degli stipendi, uno strumento utilizzato per l’acquisto di beni che altrimenti la maggior parte delle famiglie non si potrebbe permettere. Ma Marco Alborghetti avverte: «È fondamentale programmare l’indebitamento in maniera efficiente» Tiziana Bongiovanni a crisi c’è e si sente, ma il comparto del recupero crediti è stabile. «Facciamo fatica, ma la nostra professionalità supplisce alla maggiore difficoltà». Così Marco Alborghetti, presidente di Unirec, l’unione nazionale delle imprese a tutela del credito, fotografa la situazione delle 190 aziende che effettuano recupero crediti per finanziarie, grandi utilities e aziende. «L’usura è uno spettro che può colpire le aziende sovraindebitate, ma non è legata al nostro mondo e piuttosto che correre questo rischio – afferma Alborghetti – meglio ritrovare la lucidità e affidarsi a noi». Per un soggetto indebitato è come trovarsi davanti tre strade: voi, il tribunale o il caso estremo, l’usura. «Il nostro sistema Paese è fatto di piccole e medie imprese ed è sufficiente un calcolo approssimativo della redditività per sfociare nel pericolo del credito illegale. Indubbiamente la soluzione più indolore è trattare con noi. Tutti i nostri associati sono autorizzati dalla Questura e nessuno spinge l’imprenditore verso gli strozzini, anzi, proprio grazie al lavoro di recupero del credito, il rischio si può evitare grazie alla conciliazione e mediazione stragiudiziale che mira al raggiungimento di un accordo preventivo, come ad esempio un rientro rateale o un saldo e stralcio». Voi intervenite sempre prima, quindi? «In genere sì. A volte anche parallelamente alla via giudiziale per trovare una soluzione che possa risolvere un problema che rischia di avere un esito molto

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Marco Alborghetti, presidente di Unirec, l’unione nazionale delle imprese a tutela del credito

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più pesante. Subiamo momenti ciclici e anticiclici, ma i risultati riescono a rimanere invariati grazie agli investimenti delle aziende in termini di professionalità degli addetti. Si lascia sul terreno qualcosa, ma si riesce a supplire aumentando la preparazione degli agenti e le economie di scala. Il nostro è un lavoro pesante, tutti pensiamo di essere sempre debitori, però quando qualcuno non paga è difficile chiedere soldi». Su di voi girano diversi stereotipi. «È vero, si pensa all’omino che va e minaccia, ma non è così. Abbiamo un rigido codice deontologico condiviso con le principali associazioni dei consumatori e un ente bilaterale con Adiconsum. Ciò ci consente di gestire situazioni molto complesse. In realtà se i cittadini si sentissero vessati il nostro call center adibito ai reclami sarebbe pieno di segnalazioni, invece dall’inizio dell’anno ne abbiamo ricevuti una decina su circa trenta milioni di pratiche lavorate. Nel mucchio ci sarà anche qualcuno che sbaglia, ma questo è un sistema che funziona. È un’opportunità che va conosciuta, non un pericolo da evitare». Che situazione state trovando in giro? «L’attuale attitudine degli italiani è quella di indebitarsi più che in passato. Il risparmio non ha culturalmente più quel valore che ci è stato tramandato e i salari reali hanno subìto una contrazione. Il credito al consumo perciò consente alle persone di appagare i propri desideri. Però è uno strumento che va conosciuto, e in un momento di crisi economica in cui si rischia la perdita del posto di lavoro o la riduzione delle ore di straordinario, non si riesce a far fronte agli impegni presi se non si programma l’indebitamento in maniera efficiente. Ultimamente anche ragioni più “umane”, come separazioni o divorzi, mettono a repentaglio i pagamenti».



CORSIE D’ECCELLENZA

Qualità clinica e capacità gestionale Il trapianto di insulae pancreatiche è uno degli ultimi traguardi raggiunti da Ismett, centro di riferimento per i trapianti e le terapie ad alta specializzazione in tutto il bacino del Mediterraneo. A illustrarne obiettivi e progetti è il direttore Bruno Gridelli Francesca Druidi

on si sono ancora spenti gli echi della notizia del trapianto di insulae pancreatiche effettuato lo scorso febbraio presso l’Ismett, l’Istituto mediterraneo per i trapianti e terapie ad alta specializzazione di Palermo. Si tratta del primo trapianto di questo tipo realizzato in Sicilia e uno dei pochi eseguiti finora in Italia. Un successo che accende i riflettori su questa struttura, che rappresenta un riferimento nel campo dei trapianti e del trattamento delle inefficienze d’organo. è soprattutto il progetto di sperimentazione gestionale che contraddistingue l’Ismett a segnalarlo come interessante modello cui guardare per il futuro delle politiche sanitarie. Come stabilito dal decreto legislativo risalente al 1992, c’è un partenariato pubblico-privato sotto forma di Srl alla base dell’attività e dell’identità dell’Istituto (che ha avviato l’attività clinica nel 1999). «Se la parte pubblica – spiega il direttore Bruno Gridelli – è costituita dalle aziende ospedaliere palermitane Civico e Cervello, che detengono il 35 e il 20 per cento delle quote della società, il fronte privato è rappresentato dalla University of Pittsburgh Medical Center (Upmc), cui spetta il restante 45 per cento».

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Come si declinano all’interno della governance dell’istituto il ruolo dell’Upmc e il dialogo con la Regione? «L’Ismett nasce dalla volontà di un gruppo di medici siciliani di creare un centro di trapianti sull’Isola, coinvolgendo nel progetto l’Università di Pittsburgh, sede del programma di trapianti d’organo, di fegato in particolare, più esteso al mondo. Siamo a tutti gli effetti un ospedale pubblico del sistema sanitario regionale. La Regione stabilisce gli obiettivi dell’Istituto, verifica che questi siano conseguiti ed eroga fondi, come per gli altri ospedali del territorio, ma è l’Upmc a detenere la responsabilità della gestione amministrativa e professionale. È l’università statunitense ad assumere le posizioni manageriali di vertice così come tutti i medici, che lavorano esclusivamente presso l’Ismett e occupano una posizione all’interno della facoltà di medicina di Pittsburgh, in base alla loro esperienza clinica e accademica». Quali sono i vantaggi di questo modello gestionale? «La forza dell’Istituto risiede proprio in questo partenariato pubblico-privato. Perché, a esercitare il controllo, è un soggetto che possiede


Bruno Gridelli

un’esperienza diretta e specifica nel gestire la cura della salute, oggi sempre più complessa. Il tutto senza avere interferenze. Spesso, purtroppo, accade che quando lo Stato fornisce direttamente un servizio al cittadino si creano situazioni in cui si producono inefficienze e corruzione». Tecniche chirurgiche mini-invasive laparoscopiche, chirurgia robotica, programmi cellulari, identificano alcune delle frontiere che l’Istituto sta sviluppando. Quali risultati la struttura ha conseguito finora? «Dal punto di vista clinico, i risultati dei nostri programmi di trapianto sono tra i migliori del Paese, verificabili sul sito del Centro nazionale trapianti. Questo nonostante la condizione delle donazioni di organi non sia, in Sicilia, ancora ottimale. Oggi presso l’Ismett si eseguono tutti i trapianti di organi solidi sia adulti che pediatrici (nel caso di fegato, rene e polmone). Sono, inoltre, attivi anche tutti i programmi di terapie ad alta specialità per la cura delle insufficienze terminali d’organo. Inoltre, realizziamo interventi significativi per quanto riguarda la cardiochirurgia. Abbiamo avviato un programma di impianto di sistemi di assistenza ventricolare, Ventricular assist device, di fatto un’alternativa al

trapianto di cuore, con già 12 casi all’attivo. Altrettanto importante è l’attività di chirurgia oncologica eseguita con tecniche mini-invasive». Il trait d’union è la complessità delle terapie e delle operazioni realizzate. «Il peso medio Drg (che testimonia la complessità media dei ricoveri) degli ospedali italiani si attesta al di sotto dei 2 punti; l’Ismett, con 4,2, si posiziona come una delle strutture dotate di maggiore complessità del Paese, in Europa e nel mondo. Nel futuro gli ospedali dovranno occuparsi sempre meno delle patologie a bassa complessità, gestite dal territorio, concentrandosi su quelle a elevata complessità. È perciò necessario implementare modelli di gestione clinica e amSopra, ministrativa sofisticati. Ismett investe molto nella Bruno Gridelli, direttore cartella clinica elettronica. Ciò vuol dire avere di Ismett dati che riguardano il funzionamento dell’intero ospedale, compresi i flussi economico-finanziari, per assicurare, da una parte, la sicurezza del paziente in un ambiente di complessità clinica e, dall’altra, una gestione efficiente delle risorse. Siamo uno dei pochi ospedali in Europa a essere dotato di questo livello avanzato di informatizzazione». A questo proposito avete avviato il progetto SICILIA 2012 • DOSSIER • 179


CORSIE D’ECCELLENZA

“Home monitoring”, grazie al quale il paziente può interagire con i medici dell’istituto attraverso un dispositivo fornito di videocamera, microfono, casse e device elettronici per la rilevazione a domicilio dei parametri vitali. «Sì, si tratta di un progetto pilota per pazienti trapiantati, la maggior parte dei quali siciliani, che trovano difficoltà a spostarsi. Il sistema consente di ridurre al minimo la necessità dei pazienti di ricorrere alle cure ospedaliere, ma senza rischi. Stiamo studiando un analogo sistema per il Vad. Un’altra interessante iniziativa è il programma di tele-terapia intensiva. In caso di interventi molto rari e difficili, come quelli che ad esempio riguardano i trapianti di fegato in bambini molto piccoli, viene stabilita una connessione con l’Upmc. Questa sorta di “visita in comune” permette di ottenere una seconda opi-

PRIMO TRAPIANTO DI INSULAE PANCREATICHE IN SICILIA Un passo in avanti per la cura del diabete. Anna Casu, diabetologa responsabile del programma di trapianto di insulae, ne spiega modalità e prospettive stato eseguito il 23 febbraio scorso, per la prima volta presso l’Ismett, il trapianto di insulae pancreatiche, le cellule del pancreas che producono l’insulina. Lo stadio preliminare è consistito nel prelievo del pancreas dal donatore cadavere. Le cellule del pancreas, nella prima fase del trapianto, sono state prelevate dall’organo del donatore, purificate e preparate da un team di ricercatori e tecnici dell’Unità di medicina rigenerativa e tecnologie biomediche dell’Ismett (nella foto, particolare della cell factory dove si isolano le insulae). La seconda fase ha previsto l’infusione delle cellule nel paziente, per permetterne la colonizzazione all’interno dell’organo attraverso una

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normale trasfusione. «Qualsiasi trapianto presenta delle sfide – spiega Anna Casu, diabetologa responsabile del programma di trapianto di insulae –. In questo caso la selezione dei pazienti è molto accurata perché bisogna individuare quelli che otterranno realmente un beneficio». La scelta per questo primo intervento è caduta su un uomo siciliano di 57 anni, già trapiantato di rene, che dopo un breve ricovero è tornato a casa ed è ora in buone condizioni. «Il fatto che fosse ricevente di un organo solido e che, quindi, già seguisse una terapia immuno-soppressiva, lo ha reso un ottimo candidato per ricevere il trapianto di insulae. I rischi connessi alla terapia erano già


Bruno Gridelli

nione, mantenendo alto il livello di competenze e di formazione. Stiamo implementando la tele-terapia, creando un network con altre terapie intensive regionali per la gestione delle donazioni d’organo». L’Ismett diventerà un Irccs? «Abbiamo proposto alla Regione, che ha accettato, la trasformazione in Irccs, in virtù della notevole attività di ricerca e di formazione che svolgiamo. I trapianti costituiscono uno dei modi con cui è possibile curare le malattie che portano gli organi all’insufficienza terminale, ma presentano ancora diversi svantaggi. Bisogna lavorare sulla prevenzione, mettere in atto terapie mediche e chirurgiche in grado di prevenire la necessità del trapianto. La promessa della medicina rigenerativa è quella di riparare gli organi anziché cambiarli. Il trapianto di insulae pancreatiche va in questa direzione».

presenti, ne abbiamo aggiunto uno minimo legato alla procedura di infusione». Come sottolinea Anna Casu, quest’ultima fase del trapianto è di breve durata. «La preparazione delle cellule identifica la parte più difficile e impegnativa. Dal punto di vista pratico, c’è stato un grande lavoro di laboratorio: servono 7-8 ore per processare il pancreas e ottenere il preparato adeguato per il trapianto, che deve essere testato con controlli di qualità prima di essere infuso. Devono, infatti, essere garantiti tutti gli standard di sicurezza». Il trapianto rappresenta il frutto di diversi aspetti: il metodo messo a punto dal professor Camillo Ricordi per la purifica-

zione e l’estrazione delle cellule; lo strettissimo rapporto con le università e i centri stranieri e, naturalmente, il livello di eccellenza toccato da Ismett. «Abbiamo ricevuto un importante sostegno dal centro di Miami, dal professor Ricordi stesso, dai centri di Minneapolis e Pittsburgh presso i quali ho lavorato in passato. Ma tutti sono coinvolti a tutti i livelli in interventi così delicati e complessi. È una rete che agisce: la radiologia interventistica, i tecnici di laboratorio, il personale infermieristico. Servono professionalità di un certo livello». Per Casu, il trapianto di insulare eseguito a febbraio costituisce la fattiva dimostrazione che, anche in Italia, è

possibile realizzare interventi di alto livello. «Ho lavorato negli Stati Uniti e sono tornata credendo molto in questa struttura e nella possibilità di sviluppare terapie all’avanguardia. Anche per l’Italia e il Meridione è un traguardo importante, in quanto si mette a disposizione una nuova terapia del diabete senza dover migrare in ospedali del Nord Italia». L’operazione realizzata presso l’Ismett, evidenzia ancora Anna Casu, rientra nel più generale quadro internazionale di studi volti a ottimizzare la tecnica del trapianto di insulae, rendendola una valida alternativa al trapianto di pancreas intero. «Procediamo lungo questa strada».

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FARMACI

Più risorse sul farmaceutico catanese La multinazionale del farmaco Pfizer ha scelto di puntare su Catania per la produzione mondiale di antibiotici iniettabili. Quasi 70 milioni di euro di investimenti per raggiungere il 90 per cento di export. Ne parliamo con Giuseppe Galizia Manlio Teodoro

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Giuseppe Galizia, direttore dello stabilimento Pfizer di Catania e vicepresidente di Confindustria Catania www.pfizer.it

ell’ultimo biennio lo stabilimento catanese della Pfizer è stato fortemente potenziato, ricevendo un investimento di 40 milioni di euro e assumendo così un ruolo strategico all’interno del network internazionale della casa farmaceutica statunitense. E per i prossimi due anni sono stati previsti altri 27 milioni di euro di investimenti. Come spiega il direttore Giuseppe Galizia, che ricopre anche la carica di vicepresidente di Confindustria Catania: «Dall’anno della fondazione, nel 1959, il nostro stabilimento è stato parte di più varie multinazionali – dall’americana Cyanamid alla Wyeth. L’arrivo di Pfizer nel 2009 ha rappresentato la conferma del livello avanzato raggiunto dalle nostre competenze». Lo stabilimento di Catania, specializzato nella produzione di farmaci penicillinici e non penicillinici, è oggi il fornitore a livello mondiale di antibiotici iniettabili. Le tecnologie produttive consentono ai farmaci qui prodotti di essere esportati in mercati dagli standard qualitativi altamente elevati, come quello statunitense e quello giapponese. Quali sono le innovazioni più significative che hanno contribuito all’evoluzione tecnologica e stru-

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mentale dello stabilimento? «Nel corso degli anni il sito ha subito diversi interventi di miglioramento che l’hanno dotato della migliore tecnologia produttiva disponibile e l’hanno reso idoneo all’immissione di nuove produzioni e all’ampliamento verso nuovi mercati di esportazione. Nella seconda metà del 2010 i due canali di produzione, umana e veterinaria, sono stati integrati e siamo stati scelti come fornitori a livello mondiale di antibiotici, con un potenziamento del nostro ruolo nella produzione di farmaci iniettabili sterili – per i quali è previsto un investimento di 17 milioni di dollari in due anni. Siamo inoltre impegnati nella ricerca di soluzioni che mirino alla riduzione dell’impatto ambientale e al miglioramento dei processi di produzione per la riduzione degli scarti e il miglioramento della qualità del prodotto». L’aumento dei volumi produttivi mira anche a un ampliamento dei mercati di riferimento? «Europa e Stati Uniti d’America sono i nostri mercati principali. Serviamo anche il mercato giapponese, che insieme a quello statunitense, è uno dei mercati caratterizzati dalla richiesta dei più elevati standard qualitativi. Oggi abbiamo le potenzialità per ser-


Giuseppe Galizia

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Ci troviamo sempre più spesso a confrontarci con un inasprimento della situazione di mercato a livello europeo

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vire circa cento mercati mondiali e questo grazie all’attuazione di una strategia di miglioramento dell’efficienza e della capacità produttiva. L’obiettivo è quello di assicurare la nostra competitività sul mercato internazionale e aumentare la capacità di esportazione fino a circa il 90 per cento». Come sta procedendo il piano di riqualificazione del personale? «Abbiamo posto al centro delle politiche di gestione delle risorse umane lo sviluppo dei talenti aziendali, ritenendoli un elemento importante per lo sviluppo organizzativo della struttura in generale. Esiste uno specifico programma di talent management interno che mira a identificare, formare e sviluppare ricercatori con alte potenzialità. Tra le ultime misure intraprese, Pfizer ha avviato, lo scorso ottobre, una procedura di cassa integrazione guadagni straordinaria per circa ottanta dipendenti e, contemporaneamente, ha messo a punto un piano di riqualificazione del personale per fronteggiare le sfide del mercato che lo stabilimento deve cogliere». Quali sono le principali sfide che attendono

il sito di Catania nel corso del 2012 e, più in generale, quali sono le sue aspettative circa l’andamento del settore per i prossimi mesi? «Ci troviamo sempre più spesso a confrontarci con un inasprimento della situazione di mercato a livello europeo, dovuta principalmente alla competizione delle aziende di generici e alle politiche di prezzo. Questa situazione critica, impone alle aziende la riduzione dei costi di produzione dei farmaci per far fronte alla concorrenza estera. A ciò si aggiungono le recenti manovre di contenimento della spesa messe in atto nel nostro paese, che contribuiscono a rendere sempre più difficile il mantenimento e lo sviluppo industriale del contesto italiano a favore di altri paesi – che invece hanno operato politiche e sistemi di attrattività degli investimenti a lungo termine in ricerca e produzione ad alta tecnologia. Con la recente riorganizzazione del sito di Catania abbiamo indicato la direzione: ottimizzare i costi di produzione e consentire a Pfizer di produrre farmaci a prezzi competitivi per il mercato a livello mondiale». SICILIA 2012 • DOSSIER • 185


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