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OSSIER TOSCANA L’INTERVENTO.........................................13 Paolo Buzzetti Alberto Ricci

PRIMO PIANO IN COPERTINA.......................................16 Pierfrancesco Pacini IL PUNTO ................................................22 Jacopo Morelli RETI D’IMPRESA .................................24 Massimo Giaccherini Giovanni Tricca Raffaella Pinori Filippo Randelli RITRATTI.................................................32 Mario Monti

ECONOMIA E FINANZA CREDITO & IMPRESE ........................39 Mauro Quercioli Andrea Gemignani Cesare Cecchi FOCUS FIRENZE..................................49 La qualità della vita Marco Stella Paolo Padoin Cesara Buonamici MERCATO DEL LAVORO ..................58 Pietro Ichino EVASIONE FISCALE ...........................60 Claudio Siciliotti Gaetano Blandini Victor Uckmar EXPORT...................................................66 Paolo Pescini Dino Mazzoncini e Grazia Leporatti Stefano Caponi TECNOLOGIE.........................................72 Giuseppe a Antonio Miele Sergio Mura e Giuseppe Matteuzzi Leonardo Fabbri Mauro Ninci MODELLI D’IMPRESA........................84 Cristian Del Mazza Sandro Viti Fabio Mariani e Roberto Landi Gianni Tani Laura Piccioli

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ENERGIA .................................................98 Uberto Canaccini IL SETTORE PETROLIFERO ..........104 Stefano Fani SICUREZZA..........................................106 Arcangelo Tonioni METALLI PREZIOSI...........................108 Andrea Squarcialupi


Sommario STILE ITALIANO .................................112 Fabrizio Nuti Leandro Calugi Antonio Zucchi Catia e Roberto Tempesti Paolo Brini Carlo Bertini AGROALIMENTARE ..........................132 Serafino Pelosi

PRODOTTI ALIMENTARI.................134 Luigi Fici BENESSERE ANIMALE....................136 Andrea Ramarro

AMBIENTE

MATERIALI ...........................................170 Marco Vezzosi Riccardo Biasci APPALTI ................................................174 Marco Casalini

RINNOVABILI ......................................140 Luciano Brocchi

TURISMO...............................................176 Piero Gnudi Cristina Scaletti Paolo Audino

GESTIONE RIFIUTI ............................144 Paolo Egisto Berrugi

SANITÀ

TERRITORIO INFRASTRUTTURE............................146 Il polo aeroportuale toscano Gina Giani Giovanni Bonadio

POLITICHE SANITARIE....................184 Daniela Scaramuccia Luigi Salvadori Enzo Paolini Maurizio De Scalzi

TRASPORTI..........................................152 David Carrai NAUTICA ...............................................154 Francesco Guidetti EDILIZIA ................................................160 Enrico Ognibene Giorgio Dal Canto Vincenzo Mangani

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Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx Xxxxx cxpknefv L’INTERVENTO

Guardare all’edilizia come motore del rilancio di Paolo Buzzetti, presidente di Ance

l settore delle costruzioni sta pagando a caro prezzo gli effetti della crisi dei mercati finanziari. La restrizione del credito concesso dalle banche rischia ormai di paralizzare l’intera rete imprenditoriale dell’edilizia. Ma oltre a ciò, le aziende devono affrontare anche il grave problema dei ritardati pagamenti da parte della pubblica amministrazione. Si è giunti, infatti, a un tempo medio d’attesa di otto mesi, con un incremento del 40%: dai 114 giorni del maggio 2011 agli attuali 159. Senza considerare quelle situazioni limite nelle quali si sono superati i due anni. In questo modo si condannano le imprese a un inevitabile fallimento. È, invece, proprio al settore edile che bisognerebbe guardare per avviare concrete azioni anticicliche capaci di rilanciare l’economia, come avviene in altre grandi nazioni europee. L’Ance lo sostiene da tempo: la spesa pubblica produttiva, come quella delle infrastrutture, va salvata. Ogni miliardo di euro investito in edilizia genera ricadute positive per ben 3,4 miliardi. Tuttavia, negli ultimi anni, si è puntato su una politica di tagli agli investimenti piuttosto che alla spesa corrente, generando - dal 2005 a oggi - una contrazione del 44,5% del mercato dei lavori pubblici. Di certo, la decisione del Cipe dello scorso gennaio, che ha confermato l’assegnazione di fondi per le opere contro il rischio idrogeologico e per la messa in sicurezza degli edifici scolastici, va letta come un primo segnale positivo. Al quale bisogna però far velocemente seguire un piano di spesa delle risorse che, dopo una prima boccata d’ossigeno, sia in grado di

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creare una reale prospettiva di sviluppo. Prospettiva che deve naturalmente coinvolgere anche il settore privato il quale, nonostante abbia evitato gli effetti nocivi di una bolla speculativa, non è in grado di rispondere a un’esigenza abitativa decisamente alta, stando alle stime sulla crescita del numero di famiglie. Sono tre gli obiettivi su cui bisognerebbe concentrare gli sforzi. In primo luogo, è necessario investire nell’edilizia sostenibile, intervenendo sulla gran parte degli edifici esistenti secondo i più moderni criteri di risparmio energetico e le attuali norme antisismiche. Importante, poi, è rendere accessibile la casa anche alle fasce medio-basse della popolazione, attraverso mutui a condizioni agevolate e incentivi fiscali mirati. Ma, soprattutto, è urgente avviare un piano città capace di realizzare una radicale riqualificazione del tessuto urbano per recuperare le periferie, riorganizzare la mobilità e rendere le nostre città motori di sviluppo economico, poli turistici di grande interesse e luoghi di sempre più elevata qualità della vita. Quest’ultimo punto è fondamentale non soltanto per il settore, ma per tutta l’economia. La città, infatti, intesa come luogo di produzione della ricchezza materiale e culturale di un paese, è destinata a essere il principale terreno del confronto futuro fra le economie mondiali. TOSCANA 2012 • DOSSIER • 13



Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx Xxxxx cxpknefv L’INTERVENTO

Le azioni necessarie per il settore edile di Alberto Ricci, Presidente di Ance Toscana

na prima valutazione sullo stato del settore edile in Toscana parte dall’analisi dell’andamento storico dei bandi gara nel periodo 2007/2011, laddove registriamo un sistematico calo del numero di appalti con punte del 43 per cento nel 2009 rispetto al 2008 e 23 per cento nel 2011 rispetto all’anno precedente. Questo dato negativo in termini di “opportunità di lavoro” non può dirsi compensato dall’incremento, comunque modesto in termini di valore reale, dell’importo complessivo in valore dei bandi poiché esso è influenzato da alcuni bandi “eccezionali” che sono certamente utili al settore ma comunque concentrati su situazioni locali. Il dato assoluto ci dice che nel 2007 in Toscana sono stati banditi lavori per 1 miliardo e 36 milioni di euro, nel 2011 lo stesso valore è sceso a 967 milioni; in termini di numero nel 2007 i bandi furono 1.368, nel 2011 invece solo 591. Questi dati testimoniano una drammatica perdita di capacità di investimento del settore pubblico in genere e degli enti locali in particolare. Tutto questo avviene in un quadro in cui la pubblica amministrazione non paga i lavori già effettuati e in cui i progetti infrastrutturali e gli investimenti privati continuano a scontrarsi con procedure autorizzative lunghe e complesse, tanto che la stessa Regione ha avvertito la necessità di dotarsi di una legge, la 35 del 2011, per accelerare la realizzazione delle opere pubbliche di interesse strategico. Il tema della finanza locale, e in particolare del pagamento dei crediti dovuti dalla pubblica amministrazione verso le imprese, rappresenta a nostro avviso la prima sfida per il governo in questo momento; al di là di generiche affermazioni di principio di autorevoli esponenti

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dell’esecutivo non abbiamo visto finora significativi passi verso l’allentamento del patto di stabilità che costituisce un vincolo pesantissimo per lo sviluppo. La situazione finanziaria delle imprese è drammatica, strette come sono tra calo degli investimenti, tassazione, ritardati pagamenti, credito bancario sempre più difficile. A proposito di tassazione sul settore delle costruzioni, dobbiamo registrare come non sia stata ancora rimossa, nonostante autorevoli assicurazioni governative, l’incredibile disparità di trattamento che le imprese edili subiscono in materia di Iva per gli immobili invenduti o locati laddove l’imposta si trasforma in un puro costo in violazione dei principi comunitari. Questo è un altro punto su cui la categoria giudicherà l’azione del governo. Accanto al ruolo fondamentale del governo c’è quello della Regione, alla giunta regionale chiediamo di favorire il ricorso da parte degli enti locali e delle aziende regionali alla procedura negoziata prevista per appalti fino a 1 milione e, a tale scopo, siamo disponibili a predisporre insieme all’Anci e alla stessa Regione le linee guida da mettere a disposizione degli enti; predisporre anche per i prossimi anni un piano straordinario di piccole opere nei settori della viabilità locale, in linea con quanto iniziato nel 2011 dall’assessore ai Trasporti, Luca Ceccobao, estendendone la portata anche alle opere di sicurezza idraulica; predisporre un piano straordinario di interventi sul patrimonio scolastico finanziato anche con forme di partenariato pubblico-privato, permute immobiliari e leasing in costruendo; istituire un fondo rotativo per il finanziamento degli studi di fattibilità di iniziative di project financing accompagnato dalla istituzione di uno specifica unità di consulenza che assista gli enti locali nello svolgimento delle relative procedure di gara. TOSCANA 2012 • DOSSIER • 15


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Pierfrancesco Pacini

SERVE UN CAMBIO DI PASSO PER GUARDARE AL FUTURO «La crescita economica è sempre frutto di forti cambiamenti» afferma Pierfrancesco Pacini, alla guida degli industriali toscani. Una strada perigliosa ma obbligatoria, quella verso la ripresa, che per il presidente di Confindustria regionale deve mirare innanzitutto al recupero della competitività Francesca Druidi

incapacità dell’Europa di tornare a crescere dal punto di vista economico rappresenta il grande ostacolo da affrontare in questo momento, considerando le ormai note criticità che incidono negativamente sullo scenario internazionale, italiano e locale. Ma se, come evidenzia Pierfrancesco Pacini, la crisi è andata a scompaginare una situazione già di per sé instabile, oggi più che mai occorre uscire dall’immobilismo atavico che contraddistingue l’Italia. Intervenendo, a livello nazionale, con le opportune riforme e spingendo, a livello regionale, sulle istanze più importanti indicate dalle imprese, tra cui la capacità di attrarre investimenti sul territorio, una maggiore efficienza nel sostegno all’internazionalizzazione e soprattutto un più facile accesso al credito. Il quarto trimestre 2011 ha registrato un rallentamento della ripresa da parte della produzione industriale toscana. Quali sono le previsioni per il resto del 2012? «Anche in Toscana, come nel resto

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del paese, la frenata degli ultimi mesi del 2011 ha ceduto il passo a una nuova fase recessiva; e temo che la contrazione resterà marcata per tutto il primo semestre di quest’anno, soprattutto per le imprese che non esportano. Il deterioramento del clima di fiducia degli imprenditori toscani, che abbiamo misurato anche con l’ultima indagine congiunturale, conferma questa prospettiva d’incertezza, complici la stagnazione dei consumi interni, la fiammata delle materie prime e l’accentuazione del credit crunch, che resta uno dei principali freni per la ripresa. Dopo quattro anni di stress dovuti alla crisi, la situazione del sistema economico sta diventando pesante: o riusciamo a invertire il ciclo in termini sufficientemente rapidi o la spirale recessiva rischia di essere irreversibile. E questo deve spingere tutti i protagonisti dello sviluppo dal sistema delle imprese alla politica sino al credito - a un cambio di passo in termini d’innovazione, riposizionamento competitivo e attrattività». Con quali strumenti si può affrontare la crisi della manifattura toscana?

«Non esiste una specificità toscana della crisi: le difficoltà sono quelle più generali della manifattura italiana. Innovazione, ricerca e internazionalizzazione sono le priorità strategiche dell’agenda su cui le imprese si stanno impegnando. Su questi temi anche la Regione ha dato risposte concrete, in termini di politiche e di risorse impiegate. Non dobbiamo poi dimenticare la restrizione del credito e la mancanza di liquidità che rischia di soffocare le aziende: è un tema che riguarda le banche, chiamate oggi più che mai a farsi carico della ripresa accanto agli imprenditori, ma anche i ritardi nei pagamenti da parte della pubblica amministrazione. È evidente l’importanza cruciale che rivestono sia gli strumenti di facilitazione dell’accesso al credito - che andrebbero affiancati da nuovi strumenti per incentivare operazioni di ricapitalizzazione nelle imprese - sia i soggetti che intervengono sul sistema della garanzia, come Fiditoscana e i nostri Confidi industriali, per i quali occorre favorire il rafforzamento patrimoniale, con le opportunità offerte dal decreto “salva TOSCANA 2012 • DOSSIER • 17


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Italia” che permette l’apertura

del loro capitale alla partecipazione degli enti pubblici». Ha dichiarato che “occorre essere più reattivi alle istanze che provengono dal mondo produttivo”. Quali strategie possono essere adottate per improntare una crescita di medio-lungo periodo a livello nazionale e regionale? «Il contesto in cui operano le aziende deve essere capace di interfacciarne il business, specialmente nell’attuale fase di criticità. La crescita economica è sempre frutto di forti cambiamenti, mentre il sistema Italia è da troppi anni incapace di rispondere adeguatamente alle sfide dello scenario globale. Se non si argina l’emorragia competitiva, messa in luce anche dalla nostra discesa al 43° posto nella graduatoria del World economic forum, rischiamo di diventare “economicamente irrilevanti”, qualunque siano gli sforzi delle imprese. Non dimentichiamoci che eravamo già in crisi prima della crisi, con una crescita cronicamente inferiore alle nostre potenzialità e ai nostri bisogni. I temi sono noti: basti pensare che, da oltre mezzo secolo, l’Italia è un cantiere di riforme incompiute o annunciate, su tutte, la riforma fiscale. Poi ci sono i territori». In che senso? «Anche in Toscana abbiamo posto come prioritario il tema della “reindustrializzazione”, cioè la necessità di attrezzare la regione per un fu-

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turo ancora industriale. Con un cambio di passo davvero epocale su diversi fronti, come le semplificazioni e la dotazione infrastrutturale, anche informatica. Per le imprese l’accesso alla banda larga è oggi altrettanto indispensabile dell’accesso alle reti fisiche». La Toscana resta virtuosa sul fronte dell’export, come dimostrano i risultati del quarto trimestre 2011. Con quali leve implementare ulteriormente l’internazionalizzazione delle imprese regionali? «Come dicevo, la ripresa è prevalentemente affidata ai mercati esteri. Noi dobbiamo riposizionarci su quelli a più alte potenzialità di sviluppo, visto che i nostri tradizio-

nali mercati di sbocco, per alcuni anni, non cresceranno. Per questo occorre rivedere in profondità tutto il sistema promozionale, eliminando sovrapposizioni e sprechi. Toscana Promozione è uno strumento, che va però profondamente ripensato, che potrebbe consentire alle nostre aziende un vero salto di qualità, aprendo la progettazione delle azioni di internazionalizzazione alle imprese e generando più efficienza. Senza dimenticare che una buona internazionalizzazione non può limitarsi a portare la Toscana nel mondo, ma deve adoperarsi anche per aumentare la presenza del mondo in Toscana, lavorando sulla promozione terri-


Pierfrancesco Pacini

Una buona internazionalizzazione non può limitarsi a portare la Toscana nel mondo, ma deve adoperarsi anche per aumentare la presenza del mondo in Toscana

toriale e sullo scouting e l’attrazione di nuovi investitori stranieri, indispensabili per tornare a crescere». L’occupazione è in fase di ripresa, ma si temono i contraccolpi delle criticità in ambito produttivo e per quanto riguarda la domanda interna. Inoltre, sta prendendo corpo la riforma del mercato del lavoro. A suo avviso, quali interventi sono maggiormente necessari per aumentare il livello di “buona occupazione”? «Sul fronte occupazionale vedo ancora molte criticità; gli ultimi dati Istat mostrano una disoccupazione giovanile in preoccupante ascesa, anche in Toscana. La strada del rilancio non può prescindere da una profonda innovazione e flessibilità del mercato del lavoro. In questi giorni il tema è caldissimo e non sappiamo ancora quale riforma uscirà dal Parlamento. Mi limito a ricordare che ci

sono ancora molte questioni aperte, a partire dal cuneo fiscale-contributivo sul lavoro e dalla produttività. E ricordo che, dopo una crisi così profonda, senza strumenti di flessibilità in uscita, difficilmente potrà ripartire il cammino virtuoso dell’occupazione, quella “buona occupazione”che è garantita da una solida base industriale. Purtroppo il tema della modernizzazione del lavoro in Italia continua a essere terreno di forte mobilitazione ideologica. A questo proposito, mi viene in mente la raccomandazione di Marco Biagi di “non fare una bandiera dell’articolo 18, soprattutto in un paese in cui la giustizia del lavoro è al collasso”; e di discutere “di rioccupabilità, di tutele reali e di continuità fra politiche attive e passive del lavoro”». L’aggregazione è la strada per le piccole e medie imprese per far fronte alle sfide della competizione

globale e alle restrizioni dell’accesso al credito. Cosa fare per sollecitare lo sviluppo delle reti d’impresa? «I dati sulle reti d’impresa realizzate in Toscana evidenziano che questo percorso è adatto per il nostro territorio, fatto di pmi con una forte vocazione all’export. I numeri dell’economia mostrano che la piccola impresa continua a fare maggiore fatica nel ripartire rispetto alle medie e alle grandi aziende. E siccome il traino della ripresa continua a essere rappresentato dal mercato estero, la piccola impresa può risultare dimensionalmente inadeguata a competere sui mercati stranieri. Qui le reti possono svolgere un ruolo strategico, consentendo alle imprese di aumentare la propria massa critica e avere maggiore forza. E non c’è solo l’internazionalizzazione a rendere vantaggioso il ricorso alle reti d’impresa. Penso TOSCANA 2012 • DOSSIER • 19


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alla ricerca e all’innovazione. Penso inefficienze. E ho riscontrato che tive; il servizio di Fondimpresa cenalle reti che sono state realizzate per valorizzare il nostro storico saper fare manifatturiero, come nel caso della filiera di Gucci o di Esaote. Penso, infine, ai vantaggi in termini di accesso al credito che può consentire il far parte di una rete». Si sta aprendo una nuova fase per l’associazione confindustriale a livello nazionale. Ciò avviene in concomitanza con un momento cruciale per il futuro del paese. Quali priorità individua per Confindustria? «Nel dibattito sul rinnovo di Confindustria si è parlato molto di una revisione di tutto il sistema. Io mi sono fatto l’idea che dobbiamo pensare a una Confindustria “più azienda”, re-ingegnerizzando la sua struttura per eliminare ridondanze e 20 • DOSSIER • TOSCANA 2012

questo approccio è ampiamente condiviso dai presidenti toscani. È un aspetto importante, perché i progetti di cambiamento organizzativo devono partire dal basso, senza schemi preconfezionati. In questo disegno di razionalizzazione, la Toscana è protagonista: abbiamo presentato un progetto condiviso da tutte le associazioni provinciali». Come si articola? «Abbiamo già costituito un consorzio, Confindustria Toscana Servizi, al quale partecipano tutte le associazioni. Abbiamo, inoltre, un contratto di rete, primo in Italia, fra le strutture di servizio delle confindustrie della Toscana del sud; un’area di comunicazione integrata tra Firenze e Confindustria regionale, con importanti integrazioni organizza-

tralizzato, con risorse condivise; lo sviluppo di siti web 2.0 basati su un’unica piattaforma; una rete per l’internazionalizzazione. Insomma, ci stiamo già muovendo in uno schema di “razionalizzazione condivisa e paritaria” perché in una regione come la Toscana, caratterizzata da realtà territoriali importanti, dobbiamo andare avanti senza resistenze “di campanile”. Contiamo di presentarci all’assemblea nazionale di maggio con ulteriori novità che riguardano servizi strategici, sulla base delle richieste che ho avuto dalle associazioni toscane: un centro studi condiviso; rassegne stampa con focus provinciali; siti web coerenti con il modello unitario; servizi di approfondimento tributario, legale e ambientale».



IL PUNTO

Investiamo sul futuro Il Paese non mette le imprese giovani in condizione di svilupparsi e ha un tessuto imprenditoriale poco disposto a investire in start up, ma per tornare a crescere deve far nascere nuove imprese, come conferma il presidente dei giovani imprenditori di Confindustria Jacopo Morelli. E la Regione Toscana vede i primi frutti delle sue politiche giovanili Gloria Martini

er il 68 per cento degli imprenditori l’Italia non aiuta la nascita di start up. Nello specifico, per il 76 per cento degli intervistati non sono sostenute a dovere le iniziative a favore dei giovani e il 60 per cento è convinto che la crisi economica ha avuto l’effetto di deprimere l’adozione di strategie a favore delle start up. È ciò che emerge da un sondaggio condotto dall’Ispo di Renato Mannheimer per il comitato giovani di Confindustria su un campione rappresentativo d’imprese, presentato a Cortina durante il convegno “Start me up! nuove imprese chiedono di nascere”. Il sondaggio mostra che le aziende italiane che investono in start up sono solo il 16 per cento, con un 12 per cento che è disponibile a investire in imprese innovative, ma con cifre non superiori a 100mila euro e che la pro-

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pensione a investire è più alta (+32 per cento) tra le imprese che hanno già finanziato in passato delle start up. Tra i provvedimenti considerati più efficaci per favorire la nascita di nuove imprese ci sono le iniziative tra università e imprenditori; il 59 per cento degli intervistati si dice, infatti, favorevole a collaborare con le università. «Questi dati – sottolinea il presidente dei giovani imprenditori di Confindustria Jacopo Morelli – evidenziano un preoccupante sentimento di abbandono e di sfiducia delle imprese, soprattutto dei giovani che non si sentono supportati dal sistema Paese. Eppure l’unico vero modo per crescere è tornare a investire sul futuro. Solo con la nascita di nuove imprese si crea buona

e vera occupazione». Il contesto può spingere o deprimere l’iniziativa imprenditoriale. «Non voglio più leggere – aggiunge Morelli – statistiche che evidenziano come il costo per aprire un’impresa nel nostro Paese incida 18 volte di più sul reddito individuale rispetto agli Stati Uniti, o che un imprenditore italiano debba impiegare 285 ore del suo tempo per adempiere alle procedure per pagare le imposte e che la tassazione pesi per il 68 per cento sul profitto, contro il 46 per cento della Ger-


Jacopo Morelli

mania e il 42 per cento degli Usa». Una strigliata poi va agli stessi imprenditori: «Se solo il 12% investe in star up vuol dire che non c’è ancora la maturità necessaria per capire che sull’innovazione ci giochiamo la sopravvivenza della nostra industria. Rischiamo troppo poco» chiarisce. Come presidente dei giovani imprenditori, Morelli conferma ancora una volta l’impegno dell’associazione a incentivare la propensione al rischio e alla cultura d’impresa. Sempre dal sondaggio condotto dall’Ipso emerge che gli investimenti sembrano essere sollecitati da ragioni economiche (77%): attrattività, ritorno finanziario dell’investimento a seguito della vendita della start up, vicinanza tecnologica o di business, dimensioni e appetibilità del mercato di riferimento; ma il 41% del campione cita come fattore di scelta la credi-

bilità ed esperienza del team. C’era la senese Liquidweb tra le 12 migliori start up d’Italia che a fine febbraio si sono presentate di fronte a una platea di potenziali partner e investitori americani alla Berkeley University, in California. L’occasione è stata l’Italian innovation day 2012, promosso dalla fondazione non profit Mind the bridge, in collaborazione con Intesa Sanpaolo e Why Italy matters. Intanto è drammatica la situazione occupazionale per i giovani italiani: uno su tre non riesce a trovare lavoro. Secondo i dati diffusi recentemente dall’Istat, il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) a febbraio è al 31,9%, in aumento di 0,9 punti percentuali rispetto a gennaio e di 4,1 punti su base annua. Si tratta del dato più alto da gennaio 2004. Tra le regioni che più investono sulle politiche giovanili c’è

però la Toscana. Sono già 6.500 i giovani toscani coinvolti nel progetto “Giovanisì”, voluto proprio dalla Regione per favorire e sostenere l’autonomia dei giovani offrendo loro una vasta gamma di opportunità nell’ambito del lavoro, dell’istruzione, della crescita civile e culturale. A meno di un anno di distanza dal suo varo sono state attivate azioni in tutti gli ambiti che erano stati previsti: sono, per esempio, ben 1.515 i tirocinanti per la prima volta retribuiti, 2.000 i giovani che frequentano il servizio civile regionale, 1.500 i giovani che sono usciti dalla casa dei genitori grazie al contributo per l’affitto, e ancora 281 quelli che hanno attivato un’impresa, 634 quelli che apriranno un’azienda agricola. Infine, 500 sono i giovani che usufruiscono di borse di studio per completare la formazione all’estero. TOSCANA 2012 • DOSSIER • 23


RETI D’IMPRESA

Export, reti e crescita dimensionale per uscire dalla crisi Spingere sull’aggregazione tra imprese. Questa una delle priorità individuate da Massimo Giaccherini, numero uno del comitato Piccola industria di Confindustria Toscana. Soprattutto sul fronte delle esportazioni, ambito in cui la Toscana resta territorio virtuoso Francesca Druidi

i fronte a una crisi che fa sentire ogni giorno di più i suoi effetti e di fronte, in particolare, a una domanda interna in netto affaticamento, ci si aggrappa ai mercati oltre confine per guardare al futuro dell’impresa. Un futuro che, per le aziende, non può prescindere da nuovi modelli produttivi e organizzativi, tra i quali spiccano le reti d’impresa, fondamentali anche per implementare lo scenario relativo all’internazionalizzazione. A delineare queste prospettive è l’imprenditore aretino Massimo Giaccherini, vicepresidente nazionale del comitato Piccola industria e alla guida delle pmi di Confindustria Toscana. Le piccole e medie imprese toscane hanno sempre dimostrato di sapersi adattare ai mutamenti avvenuti negli ultimi anni. Dovendo tastare oggi il polso della situazione delle aziende della regione, quali le principali strategie che le imprese stanno adottando o adotteranno per far fronte all’attuale crisi? «Conoscenza tecnologica e dei mercati, aggiornamento dell’organizzazione, potenziamento della capacità

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Massimo Giaccherini, presidente del comitato Piccola industria di Confindustria Toscana

commerciale, attenzione al capitale umano. Queste le leve su cui hanno lavorato le imprese negli ultimi dieci anni, così come dimostra una recente indagine del centro studi di Confindustria che ha coinvolto anche le aziende toscane del nostro sistema. Ma si può fare di più. Ecco perché cerchiamo di promuovere un nuovo modello d’impresa capace di mettersi in rete per crescere in dimensioni e organizzazione e agganciare i mercati internazionali». Quali sono i settori che stanno maggiormente soffrendo? «Siamo nella seconda fase della recessione e molti settori produttivi,

anche se in misura diversa, sono tornati a soffrire negli ultimi tre mesi del 2011. Preoccupano in particolare le perfomance dell’edilizia, del legno e mobile, della gioielleria e di alcuni comparti del sistema moda. Più che il settore di appartenenza, la differenza la fanno però la dimensione d’impresa, l’organizzazione e la maggiore presenza sui mercati internazionali». La logica di rete e di filiera sembra, quindi, essere una strada obbligata per inseguire gli obiettivi che si elencavano prima. Quali potenzialità e problematiche individuano le aziende su questi fronti?


Massimo Giaccherini

Le reti d’impresa sono uno strumento trasversale a tutti i settori economici. Penso a Ribes, la rete tra la fiorentina Esaote e tredici imprese del settore biomedicale

«La Toscana si colloca come la regione con il maggior numero di imprese che hanno aderito a contratti di rete. Siamo già a quota 183. Un risultato importante, che testimonia la capacità del tessuto imprenditoriale toscano di “ricontestualizzarsi” e cogliere le nuove opportunità di sviluppo. La rete e la logica di filiera offrono maggiori possibilità, in particolare per le piccole imprese, per crescere e rafforzarsi soprattutto nella prospettiva di affrontare i mercati fuori dai confini nazionali. Le imprese ci sono, ora occorre ripensare totalmente la strategia di promozione internazionale del nostro sistema economico, soprattutto dopo la soppressione dell’Ice. Da troppi anni risentiamo di un’internazionalizzazione mal focalizzata».

Cosa sta facendo Confindustria a livello regionale per sostenere le reti d’impresa? «Nei confronti delle aziende ci siamo proposti come facilitatori di quei processi di aggregazione che in Toscana, terra di distretti, emergevano con una certa spontaneità. Abbiamo garantito coordinamento e assistenza alle nuove iniziative di rete e messo a disposizione delle aziende una serie di servizi: dalle azioni di scouting e ricerca partner, alla consulenza giuridico-normativa e finanziaria». A carattere nazionale, vi sono iniziative sul tavolo? «Una su tutte: l’accordo siglato da Piccola industria con Intesa Sanpaolo. Uno strumento importante che abbiamo voluto rinnovare per il terzo anno e che si presenta arricchito di servizi e prodotti innovativi

per il sostegno alla crescita dimensionale e alle reti d’impresa, al recupero dell’efficienza in azienda e ai processi di innovazione e internazionalizzazione». Quali settori del sistema economico regionale, oltre a quello della moda, possono trarre i maggiori benefici dalle reti d’impresa? «Le reti d’impresa sono uno strumento trasversale a tutti i settori economici. Penso all’esperienza Benetti-Net, che ha coinvolto ben diciassette operatori del settore della nautica. Penso a Ribes, la rete tra la fiorentina Esaote e tredici imprese del settore biomedicale. A queste si aggiungono le più recenti esperienze che riguardano l’agroalimentare con la rete “Pasta dei Coltivatori Toscani” e il turismo con “Rete d’Impresa Turismo”». TOSCANA 2012 • DOSSIER • 25


RETI D’IMPRESA

Insieme si va più lontano Le aziende competono meglio se inserite in un sistema più articolato. Per questo è importante favorirne l’aggregazione, anche attraverso lo strumento delle reti d’impresa. Lo sottolinea Giovanni Tricca, presidente di Unionfiliere Francesca Druidi

tto mesi fa, per volontà di Unioncamere, nasceva Unionfiliere, una struttura di supporto per la valorizzazione delle principali filiere del made in Italy frutto dalla fusione di Assicor e Itf, gli organismi del sistema camerale per la tutela delle filiere del settore orafo e moda. «Sono stati otto mesi intensi – spiega il presidente di Unionfiliere Giovanni Tricca, tirando un primo bilancio – nel corso dei quali abbiamo lavorato, da un lato, per rafforzare le iniziative esistenti, in primis la tracciabilità dei prodotti e, dall’altro, per estendere ad altre filiere l’esperienza realizzata nei comparti oro e moda». Quali risultati concreti sono stati raggiunti? «A oggi, nel settore moda, oltre 150 aziende si sono già certificate con un coinvolgimento di 1.800 imprese delle relative filiere. Per noi, sono la dimostrazione che l’impresa, anche se di piccole dimensioni, può farcela se riesce a essere parte integrante di un sistema economico più complesso e articolato. Inoltre, due nuove filiere sono in fase di costituzione». Ha dichiarato che, se si ragiona nella logica di filiera, la tracciabilità diventa indispensabile per la qualificazione e la formazione di tutte le imprese che ne fanno parte.

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«Sì, se un’impresa decide di tracciare le proprie produzioni deve necessariamente essere inserita in una filiera di aziende che condividono uno specifico approccio, basato sul coinvolgimento di tutti gli attori della filiera stessa per la promozione della trasparenza nei confronti del consumatore. Un prodotto tracciato è un prodotto trasparente con riferimento all’origine, all’assenza di sostanze nocive per la salute e a tutti quei requisiti ai quali il consumatore è sempre più attento e che può essere offerto sola da una filiera altrettanto trasparente». Come il concetto di rete d’impresa sta trovando spazio nelle filiere attualmente operanti in Unionfiliere? «Per ora, le imprese delle filiere oro e moda si muovono ancora attraverso reti informali. Tranne rari casi di eccellenza, il concetto di rete deve ancora diffondersi. Eppure, le potenzialità sono enormi, soprattutto con riferimento all’export. Per promuovere le principali filiere del made in Italy, sono previste in aprile tre azioni

di promozione all’estero - nello specifico a Mosca, Berlino e New York - di “Traceability&Fashion”, il sistema di tracciabilità delle camere di commercio italiane». Con quali obiettivi? «Innanzitutto, informare gli addetti ai lavori, composto da buyer, stilisti emergenti, giornalisti e opinion maker, del nostro sistema di tracciabilità e dell’iter che seguono le aziende che chiedono la certificazione. Verranno poi presentate le realtà che già hanno ottenuto la certificazione per favorire futuri, eventuali, rapporti di collaborazione. Verrà, infine, promossa, nella maniera più ampia possibile, la


Giovanni Tricca

Un mercato così globalizzato come quello attuale lo si può affrontare solo se si hanno determinate dimensioni oppure ci si allea con altre imprese

Giovanni Tricca, presidente di Unionfiliere e della Camera di Commercio di Arezzo

filiera della moda italiana, evidenziando l’importante legame con i territori, che si traduce in uno stile e una garanzia di qualità non replicabile altrove. L’auspicio è quello di favorire l’aggregazione tra imprese, anche attraverso un contratto di rete». Ci sono i presupposti per lo sviluppo di reti nel nostro Paese? «Il concetto di lavorare in rete si sta diffondendo sempre più, ma non si è ancora affermato del tutto. Credo che il problema sia soprattutto culturale. Su questo punto, però, ognuno dovrebbe fare la sua parte. L’impresa deve essere cosciente del fatto che un mercato così globaliz-

zato lo si può affrontare solo se si hanno determinate dimensioni oppure se ci si allea con altre imprese. Le istituzioni, dal canto loro, dovrebbero assecondare questi processi, riconoscendo alle imprese che si mettono in rete forme di premialità e di supporto. Un miglior accesso al credito, attraverso un merito di credito che abbia come riferimento non la singola impresa ma l’intera filiera, è soltanto un esempio di come si potrebbe agire». Concentrandoci infine sulla Toscana, qual è la situazione su questo fronte? Gucci ha di recente promosso tre reti d’impresa. «L’esempio di Gucci va proprio nella direzione appena descritta. Le imprese che hanno aderito a queste iniziative potranno, da quanto emerge, beneficiare di migliori rapporti con

il credito, rafforzando la propria posizione finanziaria. L’agevolazione però, qualunque essa sia, non deve essere l’obiettivo principale per cui si costituisce una rete, ma soltanto un mezzo per favorire processi. Unionfiliere è particolarmente impegnata e lavorerà molto, nelle diverse filiere, per individuare e garantire elevati standard condivisi di qualità e sicurezza. Solo così si riuscirà ad assicurare la qualità dei prodotti made in Italy. Lo strumento che utilizzeremo sarà, ancora una volta, quello della tracciabilità delle produzioni, nella convinzione che sia tra i più efficaci per rendere stabili legami ancora troppo deboli. È fondamentale che le aziende si abituino sempre più a considerarsi anelli di una filiera più complessa e che, di conseguenza, scoprano i vantaggi dello stare insieme, del condividere rischi e opportunità». TOSCANA 2012 • DOSSIER • 27


RETI D’IMPRESA

L’importanza di aggregarsi Superare gli ostacoli normativi, gestionali ed economici legati alle reti d’impresa può favorire l’azione delle imprese. Lo spiega Raffaella Pinori, presidente della commissione fashion di Confindustria Toscana Francesca Druidi

recente la presentazione di tre filiere della pelletteria, valigeria e corsetteria promosse da Gucci. «Si tratta di operazioni senz’altro positive e interessanti – commenta Raffaella Pinori, presidente commissione fashion di Confindustria Toscana – che vanno nel senso dell’implementazione dell’efficienza, delle potenzialità di innovazione e dello scambio di competenze sulle “buone pratiche” ambientali, della sicurezza e della qualità, oltre che del miglioramento del rating bancario». La sperimentazione di nuove modalità organizzative all’interno delle filiere produttive è oggi fondamentale: «Quelle legate al sistema moda si prestano particolarmente bene a fare da apripista». Rileva ancora criticità sul fronte dell’aggregazione delle imprese? «Di criticità ne esistono e richiedono interventi anche sul fronte normativo. Faccio degli esempi. La partecipazione di una rete a una gara d’appalto oggi è impossibile perché la rete in quanto tale non è un soggetto giuridico. Non essendolo, oltretutto, difficilmente può avere un conto corrente perché sono poche le banche che concedono di aprirlo, in più la rete in quanto tale ha difficoltà a vedersi concedere affidamenti. Risulta difficile anche l’acquisizione di

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beni e macchinari, la possibilità di instaurare rapporti di lavoro, per non parlare del riconoscimento di benefici fiscali. Insomma, la rete esiste ma non ha una propria soggettività. Questo è un problema molto serio che merita la massima attenzione». Quale può essere il ruolo svolto dalle reti? «La presenza sui mercati esteri passa dalla competitività delle nostre imprese: reRaffaella Pinori, presidente commissione fashion di Confindustria Toscana cuperare efficienza, che è uno degli obiettivi principali delle reti, significa contenere costi e tempi, I dati del quarto trimestre 2011 migliorando il servizio. Ma esportare riguardanti l’export del settore preoggi significa anche effettuare investi- sentano risultati disomogenei. menti rilevanti nell’area commerciale; «Il futuro è percepito all’insegna delche si parli di presenze stabili sui mer- l’incertezza e, quindi, la fiducia non cati di maggiore interesse oppure di al- può essere ad alti livelli. Preoccutre forme di presidio, in ogni caso oc- pano, più che le specifiche dinamiche corrono risorse e competenze. Le del settore, i fattori generali dell’anottimizzazioni conseguenti la forma- damento economico internazionale e zione delle reti possono liberare ri- i loro riflessi sulla capacità di spesa dei sorse utili a questo scopo, così come consumatori. Il problema forse più un rating bancario migliore può aiu- grande di tutti, perfino più del cretare ad acquisire affidamenti. E poi dito e del fisco, è proprio questo: le ric’è il prodotto: disporre di un know sorse a disposizione dei clienti finali, how vasto e condiviso e di “buone nazionali ed esteri, e la loro spinta ad pratiche” per l’innovazione è un ulte- acquistare. Che a sua volta si aliriore, potenziale, punto di forza di menta di un clima di fiducia difficile una rete». da reperire».


Filippo Randelli

alla competizione alla cooperazione tra imprese. Prendendo spunto dal titolo di uno studio compiuto da Filippo Randelli, volto ad analizzare il settore della pelletteria fiorentina, è interessante analizzare quelli che sono gli attuali processi di cooperazione declinati attraverso le reti d’impresa. «Il tema delle reti non è nuovo – spiega il ricercatore – esistono almeno due tipologie di reti già consolidate». Può riassumerne brevemente le caratteristiche? «In prima istanza, le medie e grandi imprese tendono a organizzarsi in rete attraverso l’acquisizione di altre aziende, che così entrano a far parte del gruppo industriale esistente con evidenti vantaggi in termini finanziari e di politiche di marketing. La seconda tipologia di rete presuppone un’azienda leader ben identificata. Per portare un esempio pertinente alla realtà delle imprese toscane, possiamo citare il caso di Gucci, che lavora con una rete di 800 aziende, situate in prevalenza in Toscana, e soprattutto nella provincia di Firenze. Gucci identifica l’impresa leader forte e globalizzata, capace di controllare tutta la filiera della produzione a monte e a valle,

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Lo spirito collaborativo farà la differenza L’unione fa la forza, ma serve ancora uno scatto culturale. Filippo Randelli, ricercatore presso il dipartimento di Scienze economiche dell’Università di Firenze, illustra potenzialità e nodi critici delle nuove reti d’impresa Francesca Druidi

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RETI D’IMPRESA

in virtù del suo dominio all’interno «Le motivazioni principali sono del cluster e di risorse umane preparate a gestire la rete nella sua complessità ed estensione. La terza tipologia di rete è la più recente». Come si articola? «Si tratta di una cooperazione tra pari, ossia tra aziende che possiedono la medesima forza, spesso di identiche dimensioni, e che decidono di organizzarsi in rete. Favorita dalla recente normativa sui contratti di rete, questa modalità di aggregazione è tuttora oggetto di studi e ricerche proprio perché di fresca adozione. In questa tipologia di rete, ci può essere un’azienda capofila che però non possiede la stessa caratura dell’impresa leader. In Italia, oggi, si registrano più di 200 reti d’impresa formalizzate, eterogenee per settori e finalità. A prevalere per numero di reti è l’Emilia Romagna, mentre la Toscana primeggia per numero di aziende impegnate in questi progetti. Non a caso, si tratta di due territori caratterizzati da un’elevata presenza di pmi nel tessuto produttivo». Volendo generalizzare, perché le imprese decidono di inserirsi in una logica di rete? 30 • DOSSIER • TOSCANA 2012

due. Innanzitutto c’è la questione dei processi di ricerca e sviluppo: le piccole dimensioni delle imprese italiane hanno sempre dimostrato uno svantaggio competitivo nei confronti di quest’attività strategica per le imprese. Con la formula della rete, le spese vengono distribuite e il know how di ciascuna realtà condiviso. La seconda ragione concerne la possibilità di portare avanti progetti condivisi di marketing, pubblicità e penetrazione commerciale all’estero. All’interno delle rinnovate condizioni della concorrenza internazionale, le imprese italiane soffrono sul fronte del prezzo mentre mantengono un vantaggio in merito alla qualità e al brand dei prodotti e intravvedono nella creazione di una rete la strada per migliorare la propria competitività». Quali criticità si possono individuare sul versante della creazione di reti d’impresa? «È difficile valutare l’andamento di una rete creatasi da pochi mesi. Per quanto si è potuto osservare finora, è importante evidenziare come dietro

la formalizzazione di una rete ci sia una serie di soggetti disposti a perdere una parte della loro autonomia per concederla alla rete. Rete che deve funzionare come un corpo unico per poter sfruttare al massimo le potenzialità dell’agire insieme. Un atteggiamento puramente opportunistico è, infatti, solo compromettente. La vera volontà di cooperare è la chiave di volta di una rete, ma ne identifica pure l’elemento debole se questa viene a mancare, anche solo in una o due componenti. A volte c’è la volontà, ma non si riesce a trovare una forma gestionale adatta. Per questo, un altro punto critico è rappresentato dall’attività di controllo e di gestione della rete. La tecnologia viene senz’altro incontro a questa tipologia di rete attraverso internet, intranet e Skype». Cosa può favorire lo sviluppo delle reti? «In questa fase, potrebbe aiutare indagare i casi di successo, analizzare cioè quelle reti che sono riuscite a migliorare concretamente fatturato e competitività. Il settore pubblico, più che fornire un supporto finanziario, potrebbe invece aiutare le reti a dotarsi di quei professionisti - operanti ad esempio nelle aziende leader - formati ad hoc: personale specializzato “nell’impollinare”, ossia nel trasportare le innovazioni e le conoscenze da un’azienda a un’altra, consentendo di fatto la cooperazione e la comunicazione all’interno della rete. Sarà comunque lo scatto evolutivo, e quindi culturale, in termini di capacità e di comprensione dei vantaggi della cooperazione, da parte dell’imprenditore, a fare la differenza. Solo con l’opportunismo non si va da nessuna parte».






CREDITO & IMPRESE

I PRESTITI ALLE IMPRESE Secondo i dati relativi all’economia della Toscana, diffusi dalla Banca d’Italia a novembre 2011, alla fine di giugno la variazione su base annua dei finanziamenti bancari al settore produttivo era pari al 3,2%. Tra luglio e agosto la dinamica si è indebolita. L’incremento dei primi otto mesi è riconducibile in misura pressoché esclusiva alle imprese di media e grande dimensione mentre per quelle piccole (con un numero di addetti inferiore alle 20 unità) i fi-

nanziamenti bancari sono rimasti sui valori osservati alla fine del 2010. Tenendo conto dei prestiti non solo delle banche, ma anche delle società finanziarie, il credito al settore produttivo alla fine dello scorso giugno risultava in crescita del 2,9%. L’aumento è stato più intenso per le forme tecniche collegate al finanziamento del capitale circolante (anticipi e factoring) rispetto a quelle a supporto degli investimenti (mutui e leasing). TOSCANA 2012 • DOSSIER • 39


CREDITO & IMPRESE

ALLA RICERCA DI UN LINGUAGGIO COMUNE «Finanziare l’economia è ciò che il sistema bancario ha fatto e intende continuare a fare nella certezza che» assicura il presidente di Abi Toscana Mauro Quercioli «banche, imprese e famiglie condividono lo stesso destino» Renata Gualtieri

econdo l’indagine congiunturale della Banca d’Italia alla fine dello scorso giugno il credito bancario al complesso dell’economia regionale era aumentato del 2,9 per cento rispetto a dodici mesi prima, una dinamica moderata e di poco superiore a quella osservata al termine del 2010. A fronte di una lieve accelerazione dei finanziamenti alle imprese, concentrata nel comparto dei servizi, il credito alle famiglie ha registrato un’espansione meno intensa. Il presidente di Abi Toscana Marco Quercioli spiega com’è cambiata la situazione nel periodo più recente. Qual è stata la domanda di credito negli ultimi mesi da parte delle imprese toscane e su cosa si è concentrata? «Dopo un periodo di parziale recupero dei livelli pre-crisi, dagli ultimi mesi del 2011 l’attività delle imprese in Toscana si è progressi-

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vamente indebolita. In questo contesto più complesso, la domanda di credito per investimenti e nuove iniziative è rimasta molto contenuta. Le richieste si concentrano prevalentemente sui fabbisogni connessi alla copertura del capitale circolante nonché sulle operazioni di ristrutturazione e consolidamento dei debiti aziendali. Al rallentamento della domanda creditizia si è associato anche un peggioramento della qualità del credito verso le imprese. In Toscana il totale delle sofferenze lorde a fine anno ha toccato quota oltre 8,2 miliardi con una incidenza sui prestiti del 6,9 per cento, 1,5 punti percentuali al di sopra del dato nazionale attestatosi al 5,4 per cento». Pur in un quadro sfavorevole, gli impieghi in Toscana hanno continuato a essere erogati dal sistema bancario in misura adeguata? «Sì e questo è avvenuto nonostante il peg-


gioramento della qualità creditizia che ha imposto alle banche del territorio un atteggiamento prudente e selettivo nelle concessioni creditizie. Per quanto concerne i prestiti alle società non finanziarie e alle famiglie produttrici, seppure in un contesto di decelerazione dei volumi erogati, il tasso di crescita annuo degli impieghi registrato in Toscana a dicembre 2011 è stato pari a 3,4 punti percentuali superiore al 2,8 per cento riferito al dato nazionale». Ha dichiarato che «la selezione è un dovere professionale». In base a quali criteri dunque vengono scelte le imprese a cui concedere i prestiti? «Il credito è un bene da gestire con cura. Come più volte abbiamo avuto modo di ricordare, il credito non è altro se non l’impiego delle risorse raccolte dalle banche dai piccoli risparmiatori, dalle famiglie e dal mercato finanziario. Chiedere di concedere credito senza l’adeguata valutazione del merito creditizio significa mettere in pericolo, di fatto, i risparmi degli italiani oltre a creare una danno al mercato ed alle imprese. Nell’attuale scenario di crisi di liquidità e di deterioramento della produttività senza precedenti, è più che mai naturale che ci sia accortezza. Proprio per arginare gli effetti della congiuntura e sostenere il credito, bisogna ragionare su misure non convenzionali, come la moratoria crediti con le associazioni d’impresa e quella con le associazioni dei consumatori, molto utilizzate in Toscana. È ciò che le imprese bancarie italiane stanno facendo. Inoltre si continua a lavorare per favorire la comunicazione finanzia-

ria tra banche e imprese, per migliorare la modalità di relazione reciproca e la costruzione di un linguaggio comune, anche tramite la possibilità di valorizzare e dare evidenza alle informazioni extra-contabili che rappresentano un asset importante dell’impresa». Il finanziamento della Banca centrale europea ha dato modo alle banche di ripartire? «In tema di raccolta si stanno verificando forti tensioni. In questo senso il finanziamento della Bce è importantissimo. I fondi Bce vanno intesi, infatti, come risorse sostitutive e non aggiuntive, questo anche a fronte della provvista che nel 2011 è venuta del tutto a mancare sui canali esteri di finanziamento nel segmento wholesale. I fondi della Bce sono serviti per ora a mantenere invariato lo stock di credito esistente, alimentando iniziative quali la moratoria sui crediti, fondamentali per la sopravvivenza delle imprese. Con il ripristino della fiducia sui mercati internazionali all’ingrosso, la crescita della raccolta, il rinnovo delle obbligazioni bancarie in scadenza, le risorse della Bce potranno diventare aggiuntive a favore delle attività creditizie». L’economia della Toscana è stata costruita dalle banche. Quando l’economia reale ripartirà gli istituti di credito torneranno a svolgere in pieno il loro ruolo di supporto? «È certo che con l’auspicato ripristino della fiducia sui mercati, ci sarà di conseguenza una progressiva normalizzazione del mercato del credito. Le banche sono sempre state una risorsa centrale per il nostro territorio, e per il Paese in generale. Pur in un contesto di difficoltà dell’economia reale, finanziare l’econo-

Il presidente di Abi Toscana, Mauro Quercioli

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I fondi Bce vanno intesi come risorse sostitutive non aggiuntive, a fronte della provvista che nel 2011 è venuta a mancare sui canali esteri di finanziamento nel segmento wholesale

mia è ciò che il sistema bancario ha fatto e in- volare la ripresa e su quali settori è necessatende continuare a fare, nella certezza che banche, imprese e famiglie condividono lo stesso destino. Il nostro modello di business è riconosciuto virtuoso perché incentrato per lo più sulle esigenze delle imprese e famiglie; operano con bassi rapporti di leva finanziaria e quindi sono più immunizzate rispetto alla capacità del capitale di coprire perdite rivenienti da crisi. Grazie a questa caratteristica, il governo e i contribuenti italiani non sono stati chiamati a salvare le imprese bancarie, diversamente da quanto è accaduto in Europa e negli Usa». Quali misure occorrerà adottare per age42 • DOSSIER • TOSCANA 2012

rio puntare per il rilancio della regione? «Il tema della crescita è da tempo al centro dell’attenzione di istituzioni e associazioni in tutta la regione. L’amministrazione regionale, anche in sinergia con Fidi Toscana, ha già promosso varie iniziative che ritengo sicuramente positive. Personalmente credo sia importante concentrarsi sulla promozione e il consolidamento della nostra capacità di esportare; una tradizione Toscana, in vari settori, che si confronta quotidianamente con esigenze d’innovazione e mercati ricchi di opportunità ma sempre più difficili da approcciare».



CREDITO & IMPRESE

TUTTI UNITI A SOSTEGNO DELLE PICCOLE E MEDIE IMPRESE Cosa chiedono le imprese del territorio agli istituti di credito? «Le richieste più frequenti a livello locale – sottolinea il presidente di Confindustria Siena Cesare Cecchi – rimandano sempre alla velocità della decisione e a tempi certi, anche nelle erogazioni» Renata Gualtieri

onfindustria Siena e Intesa Sanpaolo, presente sul territorio con Banca Cr Firenze, hanno ratificato l’accordo nazionale che prevede un plafond di 10 miliardi di euro per le imprese italiane, di cui circa 1 miliardo per le imprese del territorio toscano. Questa è la terza fase di un percorso che il comitato Piccola Industria di Confindustria e Intesa Sanpaolo hanno intrapreso a partire dal 2009 con un primo impegno comune per garantire la liquidità necessaria alle imprese colpite dalla crisi. A settembre 2010 un nuovo accordo ha confermato le misure adottate un anno prima e, nel contempo, ha rilanciato la competitività delle imprese italiane incentivando gli investimenti in ricerca e sviluppo e per l’internazionalizzazione, motori decisivi per far ripartire la crescita. Il presidente di Confindustria Siena, Cesare Cecchi, riflette sul momento difficile delle imprese e sul ruolo di supporto delle banche nel

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nuovo scenario globale rispetto alle iniziative imprenditoriali. Quali opportunità deriveranno da questa intesa e come verranno utilizzate le risorse messe a disposizione? «Con questo nuovo accordo si intende rinsaldare ulteriormente il patto per lo sviluppo tra impresa, banca e territorio valorizzando tutte le potenzialità di crescita delle pmi italiane. L’impegno comune è di sostenere gli imprenditori in settori strategici come la costituzione delle reti d’impresa e la realizzazione di altre forme di alleanza, l’innovazione e la ricerca, l’internazionalizzazione. I punti innovativi dell’accordo presentato riguardano gli interventi di finanza straordinaria e di razionalizzazione organizzativa (lean management), i finanziamenti e la consulenza per una maggiore efficienza energetica ed eco-sostenibilità dell’azienda, la valorizzazione delle persone che lavorano in azienda con il sostegno alla formazione dei di-


Il presidente di Confindustria Siena Cesare Cecchi

L’impegno è sostenere gli imprenditori nella costituzione di reti d’impresa, innovazione, ricerca e internazionalizzazione

pendenti e allo sviluppo occupazionale. L’accordo non è comunque un prodotto bancario ma varierà secondo le necessità delle aziende». A quali settori strategici per gli imprenditori si darà sostegno? «L’accordo vale per tutte le aziende e i settori, poiché in questo momento hanno tutti valore strategico. Con forti interventi finanziari alcuni settori potranno ripartire subito, come il metalmeccanico, mentre per l’edilizia ci sarà bisogno di un lasso di tempo maggiore. Dipende, quindi, le modalità e i tempi di attuazione saranno differenti: ci auguriamo però che tutti i settori ripartano al più presto». Il rapporto tra banche e imprese rimane comunque delicato. «Sì, è delicato e difficile per la congiuntura mondiale, che non riguarda però soltanto il nostro territorio. Tutti parlano di ripresa e di crescita e le banche hanno un ruolo fondamentale in tutto questo,

ma devono rivedere i propri progetti. L’immissione di fondi da parte della Banca centrale europea è un’iniziativa che dovrebbe iniettare fiducia nel sistema bancario, di cui comprendiamo le difficoltà. Sicuramente i piani di sviluppo delle nostre aziende dovranno essere credibili e validi, rimane però la necessità di una visione di lungo periodo, che non si attenga semplicemente ai rating ma alle persone e ai progetti». Cosa è possibile fare per migliorare e rafforzare il dialogo e ad agevolare in modo significativo l’accesso al credito? «Ci vuole chiarezza da entrambe le parti, sia da parte dell’impresa che della banca. L’imprenditore deve presentare piani chiari e realizzabili, con obiettivi misurabili. La banca deve dimostrare velocità decisionale e chiarezza. Meglio dunque ricevere un no subito piuttosto che dilazionare i tempi, cosa che potrebbe solo mettere in crisi ulteriormente l’imprenditore». TOSCANA 2012 • DOSSIER • 45


CREDITO & IMPRESE

ISTITUTI DI CREDITO TROPPO PRUDENTI «Senza il supporto del sistema bancario diviene impossibile per le imprese riavviare il processo di crescita economica». Le proposte del presidente di Confindustria Livorno, Andrea Gemignani Renata Gualtieri

econdo le statistiche presentate nell’ultima edizione del periodico “Audit” in tema di credito, il 45,8% di esse negli ultimi mesi si è rivolta alle banche per finanziamenti a medio-lungo termine, a conferma delle pressanti esigenze di risorse derivanti dall’acuirsi della crisi. «Molte pmi locali si trovano – sottolinea il presidente di Confindustria Livorno Andrea Gemignani – in particolare difficoltà, strette da una domanda interna ancora depressa e da ritardi di pagamento da parte di clienti e committenti». Quante delle richieste di finanziamento che arrivano alle banche sono state soddisfatte? «Solo poche aziende sono riuscite a ottenere un sostegno alle proprie richieste da parte del sistema bancario. E le motivazioni dei dinieghi sono allarmanti: si va dalla dichiarata mancanza di liquidità fino a considerare eccessivo il

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profilo di rischio dell’azienda perché appartenente a taluni settori, come il comparto edile. Circa 2/3 delle imprese non sono riuscite a ottenere dalle banche i finanziamenti richiesti, anche per progetti di investimento e innovazione. Ciò è intollerabile perché senza il supporto del sistema bancario diviene impossibile far ripartire il processo di crescita». Come giudica il rapporto tra banche e imprese del territorio e come i due soggetti collaborano per lo sviluppo? «Negli ultimi tempi il rapporto tra sistema bancario e imprese ha raggiunto il suo punto più basso di fiducia: gli istituti di credito sono talmente prudenti nelle erogazioni che mutui e leasing sono quasi impossibili da ottenere. Il costo dei finanziamenti è sempre più elevato, quasi raddoppiato nel giro di pochissimi mesi. Per alcuni settori, edilizia su tutti, l’erogazione del credito è praticamente ferma e si verificano


spesso revoche o riduzioni dei fidi. Ciò per i pesanti condizionamenti subiti dalle banche a causa delle tensioni di liquidità e del deteriorarsi del merito di credito dello Stato italiano che si è trasferito sul costo della raccolta e poi sugli impieghi, ma anche per il timore di nuove perdite, esplicite o occulte. Spesso il supporto del sistema bancario è insufficiente anche verso imprese che crescono o investono, mentre questo dovrebbe essere il momento di prestare maggior attenzione al processo del credito, innovando gli strumenti di finanziamento e assumendosi responsabilità per capire più in profondità quali imprese hanno un valore vero, che consentirà loro di sopravvivere alla crisi e diventare i futuri leader di mercato o di nicchia». Con quali iniziative Confindustria Livorno si impegna a migliorare o rafforzare il dialogo tra i due soggetti e ad agevolare in modo significativo l’accesso al credito? «La comunicazione tra aziende e istituti di credito ha un ruolo fondamentale: le imprese in grado di fornire informazioni chiare e trasparenti sui propri conti e sulle strategie future sono meno penalizzate. A questo abbiamo dedicato il “Progetto banche, imprese, università”, un programma di aggiornamento biennale rivolto agli associati, realizzato con la collaborazione di alcune banche e la Facoltà di economia dell’Università di Pisa. Tale importante esperienza è stata valorizzata con la recente elaborazione del “Vademecum banca-impresa. Un nuovo modo di comunicare per generare le condizioni di rilancio”, una dispensa di consigli utili a supporto del miglioramento del rapporto banca-impresa, realizzato

con la condivisione di tutte le banche aderenti al progetto e il commento dell’università. Il vademecum, che abbiamo messo a disposizione di tutte le aziende associate, è una guida per la gestione delle relazioni con gli istituti di credito». Sono in corso o sono previsti accordi tra Confindustria Livorno e istituti di credito del territorio per il sostegno alle pmi livornesi? «Con l’obiettivo di valorizzare al massimo l’aspetto della comunicazione, abbiamo introdotto un modello innovativo di accordo, messo a punto con la collaborazione tra Confindustria Livorno servizi e la società di consulenza Financial innovations. Condividiamo con le banche un set informativo che individua le notizie necessarie alla banca per conoscere al meglio l’impresa, il business e le prospettive. Le aziende associate che si presentano alla banca per rinnovi o nuove richieste di fido con il fascicolo redatto secondo il modello concordato, hanno risposta alle richieste in un massimo di 30 giorni e una riduzione del 50% delle spese di istruttoria. Oltre al concreto risparmio, avere risposte in tempi brevi e certi è un vantaggio importante perché le risposte tardive, in un momento nel quale la liquidità delle aziende è ridotta al minimo, possono mettere in ginocchio l’impresa. Al momento hanno aderito al nuovo modello di accordo Cariparma e Cassa di risparmio di San Miniato. Il nostro obiettivo è uniformare tutte le convenzioni bancarie al nuovo modello, offrendo alle imprese un aiuto davvero concreto per favorire l’accesso al credito».

Sopra, il presidente di Confindustria Livorno Andrea Gemignani

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FOCUS FIRENZE La Fondazione per la Sussidiarietà incorona Firenze città più abitabile d’Italia,soprattutto grazie a edilizia popolare e verde pubblico. Sembrano però rimanere i nodi mobilità e sicurezza, che la relegano ancora in fondo alla classifica delle province


FOCUS FIRENZE

GLI ALLORI DELLA CITTÀ DEL GIGLIO O 30,6% EMISSIONI

ITALIANI

Nel 2014 Firenze sarà la prima città italiana ad avere case popolari ecosostenibili

Sempre più persone ritengono idoneo il terzo settore per migliorare la qualità dei servizi legati al verde pubblico delle città.

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Servizio e verde pubblico

Secondo il rapporto della Fondazione della sussidiarietà, Firenze è la città più abitabile d’Italia. Per il sindaco Matteo Renzi il motivo è da ricondurre al buon lavoro dell’amministrazione comunale percepito dai cittadini Teresa Bellemo

elle città italiane si vive male. Prese in esame le dodici maggiori città con più di 250mila abitanti, l’idea che ne emerge è quella che nelle grandi aree metropolitane la situazione non sia delle più rosee: case costose (un’abitazione costa in media più del doppio che nel resto del Paese), strade più sporche, traffico intenso, aria meno salubre e scarsa qualità del tempo libero. In Italia tre cittadini su dieci vivono nelle regioni metropolitane che si sviluppano intorno a Milano, Roma, Firenze, Napoli e Torino e che raccolgono il 27% della popolazione. Nelle città italiane la qualità della vita non è delle migliori, eccezion fatta per Firenze, stando alla classifica stilata dalla Fondazione per la sussidiarietà sull’abitabilità. Il capoluogo toscano è primo per qualità dei servizi, soprattutto riguardo all’edilizia popolare e al verde pubblico. La seguono Bologna, medaglia d’oro per trasporti e mobilità, e Torino, prima

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per attività e strutture del tempo libero. Dal report effettuato dalla Fondazione traspare che, tra i cittadini presi a campione per effettuare la ricerca, le mancanze segnalate nel vivere in città risultano più accettabili nel momento in cui l’intervento del terzo settore è più forte. Lo studio “Sussidiarietà e città abitabile”, condotto dal Politecnico di Milano per conto della Fondazione, evidenzia la bocciatura dei servizi pubblici erogati dalle grandi città, soprattutto per quanto concerne mobilità e trasporti, edilizia popolare e verde pubblico. Ma sono proprio questi ultimi due fronti a vedere Firenze primeggiare. Matteo Renzi, dal canto suo, non nasconde la sua duplice soddisfazione: «Siamo primi? Molto bene. Io, da sindaco, sono contento due volte, perché non solo siamo stati promossi sulla qualità dei servizi, che sapevamo essere di buona qualità, ma anche e soprattutto perché i cittadini ci riconoscono un grande attivismo e la voglia di fare, cambiare, migliorare le cose continua-

Matteo Renzi, sindaco di Firenze

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6,5 ETTARI

Le zone della città pedonalizzate dall’attuale amministrazione comunale

mente». Una propensione che contagia sempre percorso della città. «Non credo ci sia una sola di più anche i cittadini delle città prese in esame e Firenze, che da sempre è caratterizzata da un forte associazionismo, non fa eccezione. È in questo modo che il terzo settore si avvicina alle esigenze, anche solo in embrione, del cittadino, riuscendo ad anticiparle in un rapporto sempre più simbiotico. Spiega il presidente della Fondazione per la Sussidiarietà Giorgio Vittadini: «Da una parte, si registra un ritorno di sfiducia nei confronti della dominanza della logica del mercato in questi settori. Dall’altra, appare improbabile che l’intervento pubblico possa di per sé garantire l’abitabilità delle città. In questo contesto, desta un rinnovato interesse l’ipotesi che la sussidiarietà, l’iniziativa libera di chi riconosce una specifica esigenza e si unisce ad altri per rispondervi, possa portare un contributo originale e insostituibile». Per il sindaco Renzi il podio di Firenze è tutto da ascrivere a una serie di iniziative che nel loro complesso hanno fatto percepire ai fiorentini una notevole diversità di

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azione dietro questo giudizio positivo da parte dei cittadini, abbiamo fatto un sacco di cose. Qualche esempio? Il sistema innovativo e tecnologico di gestione dei semafori che, grazie a una centrale intelligente, li sincronizza, evita code e diminuisce il traffico. E ancora le case popolari a impatto zero, costruite con tutti i crismi dell’ecosostenibilità, capaci di far diminuire le bollette energetiche. Oppure l’essere riusciti a unire arte contemporanea ed edilizia popolare con soluzioni di verde e arredo urbano all’avanguardia. Ottima, a mio avviso, anche l’idea dei cassonetti della nettezza urbana incassati nella strada e dunque invisibili». Ma per Renzi, nonostante il risultato positivo, il lavoro su Firenze non può dirsi ancora concluso: «La mia città non è ancora pulita come vorrei – chiude il sindaco – dobbiamo lavorare molto per evitare situazioni di degrado. Anche la pavimentazione di strade e marciapiedi non mi soddisfa affatto, tra poco inizierà un piano per ripavimentare a pietra metà del centro storico».


Marco Stella

MIGLIORARE LA VIABILITÀ uando una città ottiene un riconoscimento è tutta la cittadinanza a vincere, a sentirsi partecipe di un tale traguardo. Da buon fiorentino, anche Marco Stella, capogruppo del Pdl a Palazzo Vecchio, non nasconde la soddisfazione e plaude ad alcuni meriti dell’amministrazione Renzi che hanno permesso alla città di essere la più abitabile secondo la Fondazione per la sussidiarietà. Ma non per questo rinuncia a sottolineare ciò che potrebbe essere fatto diversamente e quello che, secondo l’opposizione, l’amministrazione non sta facendo per migliorare ancora di più la vivibilità di Firenze, come la viabilità scarsamente funzionale e trasporti pubblici poco efficienti. Quanto i cittadini di Firenze e quanto le istituzioni sono protagonisti di questo podio? «È sempre la squadra che vince assieme alla voglia di lavorare e collaborare per la città. Molto spesso le associazioni di volontariato intervengono al fianco delle istituzioni in maniera operativa. Possiamo dire che forse il terzo settore ha a volte più iniziativa delle istituzioni». Al di là delle opposte fazioni, quali sono state le scelte efficaci di questa amministrazione che hanno permesso questo risultato? «C’è stata una buona risposta del Comune rispetto ai bisogni abitativi, anche se ritengo che l’amministrazione dovrebbe vendere le case di proprietà comunale agli assegnatari per poter fare nuove edificazioni; in momenti di crisi economica come questa occorrono mag-

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Il consigliere comunale del Pdl Marco Stella è orgoglioso del recente titolo conquistato dal capoluogo come città più abitabile d’Italia, ma ricorda che c’è ancora molto lavoro da fare, a cominciare dalla mobilità Teresa Bellemo

giori alloggi per coprire tutte le domande». Cosa poteva essere fatto diversamente e cosa invece è proprio mancato in questi anni a Firenze? «Firenze è stata per ambiente e casa, mentre il risultato non è eccezionale su mobilità e trasporti. Credo che sia evidente che i fiorentini hanno bocciato le scelte fatte dall’attuale amministrazione in queste due aree, ad esempio, quella di fare le linee 2 e 3 della tramvia, in una città sempre più congestionata dal traffico con un trasporto pubblico non efficiente». Su cosa ci si dovrebbe concentrare per migliorare ancora Firenze? «Il pieno recupero e la pulizia del Parco delle cascine è una vera priorità. Si dovrebbe prestare maggior attenzione alle politiche della mobilità, penso al car pooling, all’introduzione di scuolabus organizzati da gruppi di famiglie, al completamento della rete di piste ciclabili; auspico che l’amministrazione comunale si decida finalmente ad attivare il bike sharing anche a Firenze. Infine, un sogno: rendere le sponde dell’Arno finalmente fruibili dai fiorentini».

Sopra, Marco Stella, capogruppo Pdl a Palazzo Vecchio

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FOCUS FIRENZE

SONO I FIORENTINI LA FORZA DELLA CITTÀ Il capoluogo toscano continua a soffrire sul fronte sicurezza, ma i cittadini reagiscono in modo compatto, condannando i gesti razzisti e denunciando di più Teresa Bellemo

ecentemente la Fondazione per la Sussidiarietà ha incoronato Firenze città più abitabile d’Italia. È prima in base all’alta qualità dei servizi, soprattutto in materia di verde pubblico ed edilizia popolare. Secondo il sesto rapporto sull’abitabilità delle città della Fondazione, nei grandi centri abitati si vive mediamente male, ma nel capoluogo toscano la percezione dei cittadini presi a campione sembra comunque positiva. Anche il prefetto di Firenze, Paolo Padoin, la pensa così: «Il giudizio più attendibile proviene da chi abita la città. I fiorentini sono molto esigenti e critici, si lamentano delle cose che non vanno, come il traffico, i troppi

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-11,3% DELITTI

In calo il numero dei reati nella città di Firenze nel 2011 rispetto l’anno precedente

turisti o la movida. Nel complesso, però, il giudizio è positivo. Si può sempre migliorare, ma, da fiorentino, mi ritengo abbastanza soddisfatto della mia città». Tuttavia, agli allori di quest’ultimo rapporto si affiancano i problemi della sicurezza, tallone d’Achille di Firenze, che la relega agli ultimi posti tra le province italiane. Ne parliamo proprio con il prefetto uscente Padoin. Secondo il report sulla qualità della vita 2011 del Sole 24 Ore, quanto a sicurezza e criminalità la città occupa l’85esimo posto sul totale delle 107 province italiane. Quali sono le problematiche principali che affliggono la città? «Non ho mai dato molta im-

portanza ad analisi sociologiche e statistiche, pur se basate su dati certi come quelli Istat. In materia di sicurezza, dove esiste maggior sensibilità si denuncia di più mentre, dove esistono i problemi più gravi, alcuni reati raramente vengono denunciati. Firenze nel 2011 si è situata all’85esimo posto, 7 posti più in alto che nel 2010. I prefetti, più che interessarsi di statistiche, dovrebbero essere attenti alle richieste dei sindaci, della società, invece alcuni sono abilissimi nell’interpretare a loro favore questi dati: qualcuno ha addirittura affermato che, secondo certi parametri, Napoli è più sicura di Firenze. Il problema più sentito che abbiamo affrontato a Firenze è la presenza della microcriminalità, respon-


Paolo Padoin

Il prefetto di Firenze, Paolo Padoin

sabile di quei reati che maggiormente colpiscono i cittadini, come i furti in appartamenti e negozi, lo spaccio di droga. Sindaci e comitati chiedono più severità nell’applicazione delle pene e una maggior presenza di forze dell’ordine sul territorio: quest’ultima condizione è quasi impossibile da realizzare senza nuovi rinforzi, difficili peraltro da reperire per lo stato deficitario della nostra finanza pubblica». Cosa stanno facendo le istituzioni per migliorare la situazione? «Il collegamento e il coordinamento fra le varie istituzioni statali e locali è già ottimale e funziona. Ciascuno agisce nell’ambito delle proprie competenze per intervenire senza so-

vrapposizioni. In passato si è fatto ricorso alla firma di patti per la sicurezza che, all’inizio, hanno avuto effetti positivi perché collegati all’assegnazione di rinforzi di Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza sul territorio. Allo stato attuale non abbiamo ritenuto, d’intesa col sindaco, di prorogare il vecchio patto. Adesso il ministro Cancellieri sta promuovendo i cosiddetti “patti antimafia” con varie amministrazioni, soprattutto con quelle dove aveva avuto occasione di operare in veste di prefetto o di commissario. Anche a Firenze è stata annunciata la visita del Ministro che probabilmente avverrà dopo che avrà preso servizio il nuovo prefetto, al quale formulo i migliori auguri di buon lavoro ». In passato ci sono stati alcuni episodi a sfondo marcatamente razzista, tra questi la sparatoria di San Lorenzo e le aggressioni a omosessuali. Come inquadrare questi fenomeni? «L’assassinio di Samb Modou e Diop Mor è stato un episodio

tragico, che ha sconvolto Firenze ed è stato aspramente condannato da tutte le componenti responsabili della società civile e da tutte le istituzioni; il sindaco Matteo Renzi, ben interpretando il dolore dell’intera popolazione, ha subito proclamato il lutto cittadino. Si è trattato in realtà di un gesto folle e isolato, radicalmente estraneo alla mentalità e alla tradizione fiorentina. La nostra città ha un rapporto storico con la comunità senegalese, tanto che il leader di questa, Pape Diaw, è stato consigliere comunale. Vi sono poi stati gli episodi di omofobia, anche in questo caso c’è stata una reazione compatta e decisa delle istituzioni e della società civile, non solo a Firenze ma nell’intera Toscana. Per quanto mi riguarda ho sempre profuso il massimo impegno contro ogni forma di discriminazione e, assieme alle altre istituzioni, ho cercato di garantire nel migliore dei modi la tutela delle libertà fondamentali sancite dalla Costituzione». TOSCANA 2012 • DOSSIER • 55


DA SEMPRE CON FIRENZE NEL CUORE Cesara Buonamici, fiorentina doc, non si stupisce che il capoluogo toscano sia risultato il più vivibile d’Italia. Ma ricorda anche che la città deve saper guardare oltre, programmare, per anticipare il suo futuro Teresa Bellemo

e radici, in una pianta, sono sempre la parte più difficile da recidere del tutto, perché si insinuano nel terreno, si perdono in esso. Allo stesso modo la città dove si nasce e dove si cresce resta dentro, e nonostante gli anni che passano, permane un forte legame affettivo che impedisce di non interessarsi a ciò che accade nella propria città di origine. È così anche per Cesara Buonamici, volto noto del Tg5, che, nonostante la vita e il lavoro l’abbia ormai portata a vivere a Roma, non smette di volgere lo sguardo alla sua Firenze, dove è nata e dove ha mosso i primi passi nel mondo del

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+14,5% STRANIERI L’incremento del numero di viaggiatori stranieri che nel 2011 hanno visitato la provincia di Firenze

giornalismo e dove oggi nelle campagne circostanti gestisce assieme al fratello e alla madre anche un’azienda agricola biologica. Forse anche per questo attaccamento non si sorprende per il recente podio di Firenze come la più abitabile tra le dodici città prese in considerazione dalla Fondazione per la sussidiarietà. Ma nonostante i risultati lusinghieri, non perde di vista le mancanze della città: «Firenze deve scegliere il suo futuro, deve puntare a qualcosa di definito e cercare di raggiungerlo». Cosa pensa di questo risultato? «Firenze è sempre ai vertici in questo campo. Questa è una

città che da secoli esprime la sua solidarietà. Qui è nata l’Organizzazione della Misericordia per aiutare i malati, oramai diffusa in tutta Italia. La cosa curiosa è che all’inizio, per finanziarsi, era destinataria delle sanzioni per le bestemmie. Firenze è sempre la prima, in tutte le classifiche, quanto ad associazionismo». Nonostante viva ormai a Roma, ha mantenuto un forte legame con Firenze, dove è nata e ha iniziato la sua carriera giornalistica. Cosa la lega a questa città, fatti salvi gli affetti? «Come si fa a dimenticarsi quel che si è? Io sono nata con lo sguardo sulla città: da


Cesara Buonamici

Fiesole, sulla mia terrazza, si vede tutta la città. È una vista che non si dimentica. Non è che mi sento fiorentina, sono fiorentina, con i pregi e i difetti del caso. Ed è tardi per cambiare». Ogni città ha, necessariamente, anche dei lati negativi. Quali sono, secondo lei, le mancanze o i difetti principali di Firenze? «C’è un luogo comune, che però ha un fondamento di verità: Firenze è un po’ provinciale nonostante il suo ruolo internazionale. E soprattutto non sembra avere ancora scelto il proprio futuro, cioè non avrebbe ancora fatto la sua puntata su qualcosa di definito. Ha

perso alcuni punti chiave del suo passato, specie economico, senza averne acquisito di nuovi». Quanto perde e quanto invece acquista una città come Firenze con il suo essere crocevia di milioni di turisti ogni anno? «Dipende, come dicevo, dalla vocazione che ti poni come obiettivo. Se ti sei organizzato per essere una città turistica, ma a Firenze meno del 20% del prodotto interno lordo proviene da questo settore, allora devi scegliere di organizzarti in quel senso. Se vuoi essere anche altro, allora devi usare il turismo come volano perenne, ma badando a fissare regole e criteri che non riducano la città a luogo di passaggio di un turismo frettoloso. Ripeto, dipende dalle ambizioni che si hanno».

Lei, con la sua famiglia, è titolare di un’azienda agricola biologica. Quanto Firenze e, più in generale, la Toscana possono essere terreno fertile per aziende attente alle dinamiche ecosostenibili, dato che l’ambiente era tra i valori considerati dalla Fondazione per la Sussidiarietà? «Anche in questo Firenze ha una tradizione. Se si va in giro per la campagna toscana si viene colpiti dal suo aspetto: è tutta coltivata eppure si ha l’impressione di essere immersi nella natura. Qui la combinazione tra natura, colture e abitazione è sempre stata un amalgama speciale, come si trova in pochi luoghi. Qui l’estetica è anche nella produzione della terra. In quale altro luogo viene così spontaneo coltivare in modo naturale?». TOSCANA 2012 • DOSSIER • 57


EVASIONE FISCALE

Maggior rispetto del diritto d’autore In base a una convenzione erariale, la Siae collabora con l’Agenzia delle Entrate nella lotta all’evasione fiscale nel settore degli spettacoli e dell’intrattenimento. Gaetano Blandini illustra i risultati finora ottenuti e le novità per il futuro Nicolò Mulas Marcello

egli ultimi mesi i controlli da parte della Siae nei luoghi di intrattenimento si sono intensificati su tutto il territorio nazionale. Ciò ha evidenziato una lunga catena di irregolarità, la cui denuncia ha permesso di recuperare ingenti somme di denaro: «Nel 2011 – spiega Gaetano Blandini, direttore generale della Siae – abbiamo effettuato 12.259 constatazioni per utilizzazioni abusive e oltre 5.000 per violazioni contrattuali». Un rapporto stretto quello tra Siae e Agenzia delle Entrate, che procede attraverso nuovi accordi: «La volontà dell’amministrazione finanziaria di continuare ad avvalersi dell’operato della Siae – continua Blandini –, confermando un rapporto consolidato nel tempo, è un importante riconoscimento dell’efficacia del lavoro svolto dall’ente». Recentemente si sono intensificati i controlli in tutta Italia. Quali i risultati ottenuti? «Dal 2009 a oggi sono progressivamente aumentati i compensi per diritto d’autore incassati dai nostri uffici periferici; nel 2011 circa il 60% degli incassi totali della Siae per diritto d’autore (561 milioni di euro) è arrivato proprio dalla sua rete territoriale (circa 329 milioni di euro). Un risultato notevole, considerata la generale situazione di recessione economica. È dall’attività di tutti gli uffici collocati sul territorio che è possibile accertare le varie utilizzazioni delle opere e

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controllare che le stesse avvengano nel rispetto della legge. I controlli sono svolti quotidianamente, con verifiche presso i locali, dalle più grandi città ai piccoli centri abitati di tutta la nostra penisola, in tutti i settori dello spettacolo e dell’intrattenimento, dalle discoteche e sale da ballo ai pub e ristoranti, dai teatri e luoghi per concerti alle diffusioni radiotelevisive, dalle gallerie d’arte alle copisterie, oltre naturalmente alla diffusione su Internet». I controlli riguardano anche la lotta all’evasione fiscale? «Certo, la Siae opera su due grandi fronti: oltre a quello del diritto d’autore, c’è quello erariale. In particolare, i compiti della Siae sono quelli di accertare i volumi di incasso relativi alle attività di spettacolo, acquisire gli elementi utili all’accertamento delle imposte

Gaetano Blandini, direttore generale della Siae


Gaetano Blandini

dovute in questo settori e redigere l’apposito verbale. Non bisogna dimenticare che la Siae gestisce per conto dell’Agenzia delle Entrate i sistemi di biglietterie automatizzate, che dal 2000 vengono utilizzati per l’emissione dei titoli di ingresso ai luoghi di spettacolo e intrattenimento. L’ultima convenzione tra Siae e Agenzia delle Entrate è stata siglata nel mese di dicembre 2009 per una durata decennale e prevede un minimo di 20.000 controlli l’anno da parte della Siae (quest’anno sono stati oltre 24.000). Alla convenzione stipulata a livello nazionale si sono susseguiti protocolli d’intesa tra la Siae e le direzioni regionali dell’Agenzia delle Entrate per il contrasto all’evasione fiscale nelle singole regioni. L’ultimo protocollo è stato siglato proprio in questi giorni in Lombardia tra le direzioni regionali dei due enti».

Sul fronte del diritto d’autore le irregolarità più frequenti riguardano le manifestazioni prive della preventiva autorizzazione Siae o la mancata dichiarazione di proventi

Cosa è emerso da questi controlli e cosa ci si aspetta per il futuro? «Sul fronte del diritto d’autore le irregolarità più frequenti riguardano le manifestazioni prive della preventiva autorizzazione Siae o la mancata dichiarazione di proventi che comportano, naturalmente, mancati pagamenti per diritto d’autore. Nel 2011 abbiamo effettuato 12.259 constatazioni per utilizzazioni abusive e oltre 5.000 per violazioni contrattuali. È auspicabile un maggior rispetto del diritto d’autore, e cioè il compenso da riconoscere a quei particolari lavoratori che sono gli autori (e gli editori) delle opere dell’ingegno, i quali costituiscono il prezioso “bene immateriale” su cui si fonda la ricchezza culturale di un Paese. Al tempo stesso ci si aspetta un’acquisita coscienza civile che porti, anche nel mondo dell’intrattenimento e dello spettacolo in senso lato, a una drastica riduzione dell’evasione delle imposte». Cosa rischiano i locali che non sono in regola? «Per la violazione della normativa sul diritto d’autore possono rischiare, contemporaneamente alle azioni civili risarcitorie, la denuncia penale nel caso di attività abusive che può portare anche all’arresto, al sequestro dei beni e alla temporanea sospensione dell’attività». TOSCANA 2012 • DOSSIER • 63


EXPORT

All’estero cresce la voglia di made in Italy La macchina può replicare il prodotto. Però non è in grado di dare quel valore aggiunto che solo l’intervento umano può infondere. Paolo Pescini spiega che lo stile made in Italy ha bisogno ancora di una manualità artistica Valerio Germanico

onostante le difficoltà oggettive che si riscontrano nel mercato interno ed europeo, quella della moda di fascia alta è una delle categorie merceologiche del made in Italy che hanno un maggiore successo nei paesi che stanno facendo da nuovo traino all’economia mondiale. «Secondo recenti analisi, l’andamento del mercato del lusso è legato direttamente all’andamento del Pil mondiale. Ed è indubbio che per il superamento della crisi, in cui anche il settore della moda è piombato nel 2009, siano stati determinanti l’Asia e l’America Latina. Questi paesi non stanno

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Paolo Pescini, amministratore della società Figli di Enio Pescini di Scandicci (FI) www.pescini.it

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iniziando a evolversi soltanto in termini economici, ma stanno anche diventando più colti e iniziano ad apprezzare il lusso e a sviluppare la sensibilità al bello». È questo lo scenario di mercato che delinea Paolo Pescini, amministratore di una società di Scandicci che realizza oggetti e accessori di alta moda lavorando metalli, resine, plexiglass, strass, legno, corallo e pietre dure che vanno a impreziosire le scarpe, le borse e le cinture delle maggiori griffe italiane e straniere, oltre a una produzione di articoli finiti per bigiotteria «La direzione da seguire è decisamente quella dell’estero per quanto riguarda il commerciale». Per quanto riguarda la produzione, invece, quali sono le prospettive? «Noi abbiamo scelto e abbiamo intenzione di mantenere la produzione in Italia. Questo perché all’estero il made in Italy gode ancora di un larghissimo apprezzamento. Nei paesi emergenti, insieme al potere e alla voglia di acquisto di lusso e moda made in Italy si diffonde anche il desiderio del prodotto italiano, anche fra coloro che non hanno ancora la possibilità di acquistarlo. Insomma, a crescere non è solo un mercato in termini di vendite, bensì anche di immaginario e di gusto legato alla qualità e all’autenticità dello stile. Adesso dipende solo da noi non deludere queste attese».


Paolo Pescini

L’innovazione tecnologica ha bisogno della manualità, della creatività e della capacità di trasferire la passione all’oggetto che si realizza

Per rispondere al mercato la vostra azienda si è imposta un’importante trasformazione. «La nostra trasformazione va intesa come una sfida e una scommessa: quella di ricreare una manodopera specializzata, ovviamente partendo dai giovani, ai quali proponiamo un periodo di apprendistato che ha come obiettivo la rivalutazione del lavoro manuale come espressione artistica. Questo perché i sistemi Cad, i computer e tutte le potenzialità che l’innovazione tecnologica offre hanno comunque bisogno di un supporto nella manualità, nella creatività e nella capacità di trasferire la propria passione all’oggetto che si realizza. Per questo noi, nell’ultimo anno e mezzo, abbiamo assunto circa 10 apprendisti fra i 18 e i 24 anni. È una scommessa importante per un’impresa, perché ci vuole impegno sia per trasmettere le competenze sia per educare alla cultura del lavoro». Siete riusciti a trovare un dialogo fra artigianalità e tecnologia? «Credo che dopo aver progettato un pezzo al computer, si debba essere capaci di intervenire per dare all’oggetto un’anima, una luce. E questo è possibile soltanto con la manualità, con il colpo di genio e il gusto di una persona. La scommessa è in questo compromesso tra le macchine e la creatività. Se ci fermiamo alla macchina, creeremo per sempre

prodotti uguali e ripetitivi. Le macchine devono essere uno strumento per la replicabilità in serie del prodotto, però per un prodotto come il nostro – che rimane fondamentalmente un’espressione artigianale – dobbiamo continuare a evidenziare la componente di gusto e stile. È la sfida moderna di non arrendersi alla facilità della macchina». La vostra è una scelta isolata o è sentita come un’esigenza anche da parte di altre imprese? «Esistono altre realtà nel nostro territorio che si stanno orientando verso una valorizzazione della manualità, prima che questa vada irrimediabilmente perduta. In questi anni abbiamo già perso delle competenze di artigianalità. Questo è successo anche in altri paesi europei che avevano una fortissima coscienza e disponibilità manuale e che oggi si trovano in serie difficoltà. L’Italia credo sia ancora in tempo per invertire la rotta e recuperare terreno. Il compito di guidare un ritorno verso la manualità spetta all’impresa, ma anche alle istituzioni. La manualità può essere un modo per realizzarci a tutti i livelli e di rimettere al centro di tutto il lavoro».

10 MLN EURO

Fatturato realizzato dalla Figli di Enio Pescini Srl nel 2011

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EXPORT

Il calzaturiero conduce l’export pistoiese Il mercato calzaturiero si sta accentrando in un numero sempre minore di produttori. Però questo va a vantaggio della qualità e della possibilità di promuovere all’estero lo stile della calzatura made in Italy. Dino Mazzoncini e Grazia Leporatti del tomaificio Selene raccontano la loro esperienza nella produzione di tomaie per le grandi firme Manlio Teodoro

econdo i dati Istat diffusi dall’Associazione Industriali di Pistoia, il 2011 è stato un anno difficile per le esportazioni della provincia. Voce fuori dal coro, in positivo, è stata quella del settore calzaturiero, che ha registrato una crescita dell’export del 32,5 per cento, collocandosi al secondo posto dietro alle esportazioni di strumentazioni medico-dentistiche. «Nonostante questo risultato, il mercato calzaturiero mondiale – così come altri comparti – da alcuni anni tende a concentrarsi in un numero di

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Dino Mazzoncini e la moglie Grazia Leporatti, titolari della Selene Srl di Monsummano Terme (PT) www.tomaificioselene.com

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produttori sempre più ridotto. E questo determina per noi una diminuzione del numero di partner». A parlare è Dino Mazzoncini, titolare, insieme alla moglie Grazia Leporatti, del tomaificio Selene di Monsummano Terme. L’azienda ha alle spalle una lunga collaborazione con le più grandi e prestigiose firme della moda nazionale e a livello internazionale, da oltre quindici anni, esporta tomaie da uomo e da donna per un grande produttore svizzero. In questo scenario, qual è stato l’andamento dell’ultimo anno di attività della vostra azienda? DINO MAZZONCINI: «In termini di fatturato, l’ultimo bilancio non si è discostato in maniera significativa rispetto all’esercizio precedente e quindi il risultato finale, in termini di redditività, è stato corrispondente alle aspettative – anche se non ha rappresentato una delle annate migliori. Abbiamo però avuto un risultato molto gratificante, dato che siamo riusciti a ottenere un aumento della quota di fatturato derivante dalle commesse per committenti di fascia altissima. Ci auguriamo che questo trend prosegua e che la collaborazione con marchi riconosciuti a livello mondiale ci consenta di guardare al futuro con maggiore ottimismo». Quali sono le caratteristiche peculiari della vostra produzione e, in particolare, come si coniugano nelle vostre lavorazioni artigianalità e tecnologie?


Dino Mazzoncini e Grazia Leporatti

GRAZIA LEPORATTI: «La nostra produzione è ca-

ratterizzata da un’intensa artigianalità, dal momento che si tratta di lavorazioni che richiedono una manualità esperta. Questo però non significa che le moderne tecnologie non possano trovare spazio nel nostro laboratorio. Semplicemente riteniamo che queste vadano collocate nel ruolo che loro compete, ovvero devono essere utilizzate per dare un ausilio alla manualità. Non deve mai accadere il contrario. La nostra più importante tecnologia sono i nostri collaboratori, tutti altamente qualificati e che ci permettono di assicurare altissima qualità e puntualità nelle consegne. Crediamo nell’insuperabilità della qualità made in Italy e i nostri sforzi sono concentrati sempre nella produzione di tomaie riconoscibili qualitativamente». Quanta attenzione c’è nella ricerca di innovazioni, sia degli strumenti sia dei modelli? G. L.: «Una delle attitudini che ci ha sempre contraddistinto è la flessibilità, cioè la versatilità nell’effettuare lavorazioni nuove, assecondando le innovazioni che vengono proposte dagli stilisti. Per facilitare l’introduzione di nuove tecniche ci teniamo costantemente aggiornati sugli strumenti tecnologici che possono coadiuvare la manualità delle nostre lavorazioni». Avete intenzione di ampliare la vostra presenza sui mercati internazionali nel

Le moderne tecnologie vanno collocate nel ruolo che loro compete: devono essere utilizzate per dare un ausilio alla manualità, mai per sostituirla

prossimo futuro? D. M.: «Collaboriamo da molto tempo con le più grandi e prestigiose firme della moda nazionale fornendo tomaie e accessori di cuoio, pelle e tessuto per calzature. A livello internazionale, collaboriamo con una nota azienda svizzera. Al momento siamo al massimo della nostra capacità produttiva, tuttavia siamo aperti a valutare in futuro l’avvio di nuove partnership con aziende che possano garantire serietà e alta qualità dei prodotti». Com’è nata la vostra azienda? G. L.: «Selene nasce nel 1971 con l’obiettivo di collocarsi nel settore del taglio e della giunteria di tomaie di grande qualità. Negli anni, grazie a una politica aziendale incentrata sull’alta qualità e che ha messo al primo posto la promozione dello stile made in Italy – che per noi vuol dire cura dei particolari, alta professionalità e una particolare attenzione nel controllo alle varie fasi di lavorazione – siamo riusciti a consolidare la nostra posizione sul mercato».

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EXPORT

La moda e il lusso trainano l’export Nel 2011 le esportazioni italiane sono cresciute. I settori legati all’abbigliamento e alla pelletteria made in Italy hanno registrato i risultati più significativi. Stefano Caponi, amministratore unico della conceria Superior, spiega come moda e lusso contribuiscono a migliorare l’immagine del paese e a rilanciare la nostra economia Manlio Teodoro

fronte di un diffuso sentimento di sfiducia, i numeri dell’economia italiana danno un quadro differente da quello percepito. Nella prima metà del 2011, infatti, rispetto allo stesso periodo del 2010, è stato registrato un incremento della quota di export del 14 per cento. La performance migliore è stata raggiunta nei mercati non appartenenti all’Unione Europea, che hanno toccato la quota del 16,7 per cento. I protagonisti di questa ripresa sono stati i metalli di base e i prodotti in metallo (più 32,5 per cento), i prodotti tessili (più 20,3 per cento), gli articoli in pelle (più 18,7 per cento) e le vendite di abbigliamento (più 20,3 per cento). Come spiega Stefano Caponi,amministratore unico della società Superior, che fa parte del distretto toscano del cuoio e delle pelli: «Ad eccezione della prima voce, è evidente che è il settore della moda made in Italy a fare da traino,

A Stefano Caponi, amministratore unico della Superior Spa di Santa Croce sull’Arno (PI) www.superior.it

cumulando un importante 60 per cento. Va inoltre sottolineato che le aziende italiane che operano nel settore della moda e del lusso, oltre a contribuire al miglioramento dell’immagine del paese, con la loro reputazione hanno un’indubbia azione promotrice per gli altri settori industriali». Quali sono i fattori determinanti che permettono al made in Italy di battere la concorrenza internazionale? «Nel mercato in cui operiamo, per vincere il confronto con la concorrenza, in particolare quella straniera, sono fondamentali la qualità delle materie prime e l’attenzione ai processi di lavorazione. Sono questi gli ambiti nei quali compiamo il massimo dei nostri sforzi. La nostra società prosegue una tradizione di azienda familiare che ha sempre posto al centro il rapporto con i nostri interlocutori commerciali. Oggi la nostra produzione può definirsi una comakership, in un rapporto di partenariato sempre più indispensabile, in particolare nel mondo in cui operiamo –quello dell’alta moda e del lusso – rifornendo i marchi più prestigiosi del mercato internazionale». Qual è la peculiarità di un rapporto di comakership? «Questo è il particolare tipo di


Stefano Caponi

rapporto che si instaura con il cliente, che ci vede interagire strettamente sin dalla fase di concept, per arrivare insieme al risultato finale desiderato. Non è quindi un puro rapporto cliente-fornitore: già nella progettazione, interveniamo portando il contributo delle nostre competenze. Inoltre, la partnership attraversa tutta la catena del valore, interconnettendo sempre di più prodotti, servizi e processi». Che peso hanno avuto le tecnologie nella vostra affermazione? «La nostra produzione si può definire come una miscela di sapienza artigiana di altissimo livello e tecnologia. È però evidente che l’equilibrio è tutto a favore dell’artigianalità, perché per noi le tecnologie sono solo un ausilio, mentre il vero contenuto del prodotto è la maestria nella sua preparazione. il segreto del nostro made in Italy in parte è proprio questo, ma non solo. Per esempio, noi lavoriamo in un anno circa 800mila metri quadrati delle più pregiate pelli di vitello, tuttavia ci approcciamo al lavoro come se dovessimo produrne una sola, tanta è l’attenzione che poniamo nel fornire il miglior prodotto possibile». Che significa, dunque, parlare di qualità? «Significa essere in grado di soddisfare a pieno le esigenze dei grandi brand della calzatura, della moda e della pelletteria. E questo è un risultato che non tutti riescono a raggiungere,

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Le aziende italiane che operano nel settore della moda e del lusso, con la loro reputazione, hanno un’indubbia azione promotrice per gli altri settori industriali

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dato che gli standard richiesti sono elevatissimi. Noi effettuiamo controlli continui quotidiani sul prodotto e sul processo produttivo, oltre a curare nella maniera più scrupolosa possibile la preparazione della materia prima. Ed è proprio l’integrazione determinata dalla comakership che ci impone controlli frequenti anche da parte dei nostri partner». Quale ritiene sia il vostro fondamentale punto di forza? «Oltre all’estrema attenzione alla qualità del prodotto, la nostra principale capacità è la flessibilità, sia in termini produttivi che finanziari. E anche il non aver voluto rinunciare alla manualità, e alla competenza che deriva da decenni di esperienza pratica che ognuno dei nostri artigiani della produzione detiene e trasferisce col tempo ai più giovani. È questo che ci ha fatto diventare un punto di riferimento insostituibile per i grandi marchi della moda internazionale».

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MLN EURO

Fatturato registrato nel 2011 da Superior Spa, azienda del distretto toscano del cuoio e delle pelli

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TECNOLOGIE

Il packaging alimentare parla italiano Una struttura organizzativa efficiente e un ricco know how tecnologico, hanno reso i macchinari per il confezionamento costruiti da Miele un’eccellenza di livello mondiale. Ne parliamo con i due fratelli alla guida dell’azienda, Giuseppe e Antonio Miele Diego Bandini

l packaging è oggi una forma di conoscenza e di linguaggio che trae ispirazione dai suoi materiali e dai prodotti. Non si tratta più, quindi, soltanto di un elemento che opera come filtro tra il suo contenuto e il mondo esterno, ma è esso stesso un prodotto, che svolge una complessa funzione comunicativa: è uno strumento aperto al dialogo con il destinatarioconsumatore. Inizialmente nato con la funzione di proteggere il prodotto, come la carta oleata utilizzata per contenere merce sfusa, oggi, con lo sviluppo della società dei consumi e con l’ampliamento dei sistemi distributivi, l’imballaggio si è trasformato infatti in un oggetto che protegge e al con-

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tempo racconta un altro oggetto, vale a dire il prodotto che contiene. «Una confezione deve attirare l’attenzione, serve a comunicare i valori di un marchio, stabilisce una connessione con il consumatore e soprattutto gioca un ruolo principale nella scelta di acquisto, diventando un elemento fondamentale di ogni strategia di marketing e comunicazione. Nel tempo, le aziende hanno scoperto l’importanza del packaging sviluppando e tentando varie strade, implementando una sempre più spiccata creatività per poter catturare e stabilire un legame duraturo con i propri consumatori». È un parere autorevole quello di Giuseppe Miele, che da oltre vent’anni è alla guida, insieme al fratello Antonio, della Miele Spa, azienda di Foiano della Chiana (AR) fondata nel 1968 e specializzata nella progettazione e costruzione di macchine automatiche verticali per il confezionamento di prodotti alimentari, ma anche farmaceutici e chimici. «Per questo le nostre macchine devono assicurare non soltanto la massima affidabilità da un punto di vista produttivo, ma anche la possibilità di ottenere un imballaggio esteticamente ricercato e accattivante, che permetta alle aziende con le quali collaboriamo di essere immediatamente riconoscibili sul mercato».


Giuseppe e Antonio Miele

La saldatura a ultrasuoni è particolarmente adatta per il confezionamento di prodotti difficoltosi quali vegetali freschi, liquidi, grassi, polveri e surgelati

Caratterizzate da avanzati sistemi elettronici e meccanici, dall’uso di materiali di alta qualità e da una continua ricerca da un punto di vista del design, il tutto rigorosamente made in Italy, le linee Miele sono infatti estremamente flessibili e facili da usare, permettono di realizzare fino a 180 confezioni al minuto e sono corredate da una grande varietà di accessori, che ne consentono l’utilizzo per formati e prodotti multiformi. «I sistemi di packaging da noi progettati e realizzati sono in grado di soddisfare le esigenze tanto delle piccole aziende quanto delle grandi multinazionali», sottolinea Antonio Miele. «Già da diversi anni abbiamo infatti instaurato una proficua partnership con colossi del calibro di Nestlè, Bonduelle e Procter & Gamble, a testimonianza della bontà del nostro lavoro. Fondamentale, in un’ottica di crescita aziendale, è senza dubbio la costante attenzione che dedichiamo alla ricerca e allo sviluppo di soluzioni sempre nuove, appositamente studiate sulla base delle specifiche necessità dei nostri committenti». Sono tante le macchine costruite in oltre quarant’anni di attività dalla società aretina.

Tra queste, però, merita senza dubbio una citazione particolare la Olimpia 6000 US Ultrasuoni, una delle ultime novità presentate dall’azienda, caratterizzata da un avanzato sistema di saldatura a ultrasuoni. Tale sistema garantisce infatti notevoli benefici, in quanto permette di saldare in maniera ermetica i materiali plastici, come ad esempio le buste di La Miele Spa confezionamento, con un incremento della ha la sua sede a Foiano della Chiana (AR) produzione che può raggiungere anche il 30 www.mielepackaging.it per cento rispetto alle saldature classiche. «Il sistema a ultrasuoni – spiega il titolare – consente di sciogliere il materiale in modo veloce e nella posizione corretta, riducendo in maniera esponenziale gli scarti alimentari. Si tratta di una tipologia di saldatura ecologica, nella quale non si usano solventi o collanti, e che anche per queste sue peculiarità è particolarmente adatta per il confezionamento di prodotti difficoltosi quali vegetali freschi, liquidi, grassi, polveri e surgelati». Le continue innovazioni tecnologiche hanno inoltre portato l’azienda toscana all’interno del multiforme mondo del confezionamento del caffè, dove Miele rappresenta ormai un’eccellenza riconosciuta a livello internazionale. TOSCANA 2012 • DOSSIER • 73


TECNOLOGIE

«Dalle confezioni a doppio fondo quadro doppio fondo quadro e cavallotto». con saldatura degli spigoli alla valvola di degassificazione, necessaria per la fuoriuscita dell’aria in eccesso, i sistemi Miele garantiscono l’ottimale conservazione dei chicchi di caffè. In particolare nelle macchine da noi progettate l’applicatore delle valvole viene integrato nella linea di confezionamento, in modo da ottenere uno strumento di produzione automizzato che rileva immediatamente le confezioni dove le valvole non sono state applicate, e avvisa qualora lo stato di approvvigionamento delle stesse non sia ottimale, interrompendo il confezionamento in caso di anomalie. La valvola può essere applicata nei differenti formati: con fondo quadro classico, con saldatura degli spigoli, con

Le nostre macchine devono assicurare non soltanto la massima affidabilità da un punto di vista produttivo, ma anche la possibilità di ottenere un imballaggio esteticamente accattivante

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Massima automazione e semplicità nei cambi formato, dunque. Sulla base di queste diffuse esigenze del mercato dell’automazione, Miele Spa ha progettato una linea multifunzionale adatta a soddisfare la duplice necessità di confezionamento del caffè in polvere e in chicchi. «Questa particolare linea possiede infatti un dosatore a coclea per il caffè macinato e una pesatrice multiteste per il caffè in grani: la confezionatrice è montata su un binario che le consente di essere facilmente spostata a destra e sinistra, in modo da poter lavorare in abbinamento alla coclea o alla multiteste. I vantaggi principali derivanti dall’utilizzo di questa macchina sono però da ricercare nella capacità di ottenere una velocità di produzione e un’accuratezza di dosaggio tra polveri e grani non raggiungibile con altri sistemi», evidenzia Giuseppe Miele. Se l’azienda è oggi una realtà di primissimo piano nel suo mercato di riferimento, con


Giuseppe e Antonio Miele

UN’AZIENDA “IN MOVIMENTO” ata nel 1968, Miele è oggi una realtà leader a livello mondiale nella progettazione e costruzione di sistemi di confezionamento, destinati prevalentemente all’industria alimentare. Nell’arco di oltre quarant’anni, l’affidabilità dell’esperienza e una felice successione familiare hanno contribuito a sviluppare l’azienda, da sempre orientata verso cambiamenti costruttivi. La storia della società avvalora l’identità di azienda “in movimento”. Una storia fatta di saggezza ed esperienza, con un futuro orientato alla “ricerca e sviluppo” e un presente che vede i prodotti Miele distribuiti in

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una presenza consolidata in oltre 40 Paesi nel mondo, questo lo si deve anche a un servizio di assitenza post-vendita davvero senza eguali, come ricorda lo stesso titolare: «Siamo dotati di una struttura che ci permette di intervenire in qualunque parte del mondo, facendo arrivare i pezzi di ricambio richiesti a

modo capillare in oltre 40 paesi al mondo. Un cambiamento graduale, ma profondo, condotto nella continuità, che ha permesso a Miele di accreditarsi nel mercato nazionale ed estero come azienda solida, flessibile e attenta all’innovazione e alla qualità. Il tutto senza mai dimenticare l’importanza delle risorse umane che ne costituiscono il patrimonio intellettuale, perché, come ricorda Miele, «il successo e la crescita di un’azienda sono determinati dalle persone che la costituiscono, parte integrante di un sistema e di una squadra vincente».

destinazione entro 48 ore dalla segnalazione di un qualsiasi guasto. Abbiamo anche istituito un servizio di assistenza telefonica completamente gratuito, attraverso il quale riusciamo a risolvere, in maniera rapida ed efficace, circa l’80 per cento delle problematiche». La partecipazione alle fiere e alle manifestazioni internazionali più prestigiose nel settore del packaging rappresenta un altro dei tratti distintivi dell’azienda toscana, come racconta Antonio Miele. «Essere presenti a questi eventi ci dà la possibilità di vivere esperienze di business altamente formative e professionali, che permettono di definire e approfondire proposte all’interno di un mercato in continua evoluzione, di conoscere nuovi brand, di accogliere le novità e di confrontarsi con gli altri attori del settore. Una scelta vincente, come dimostrato dal successo riscosso dalle nostre macchine durante la fiera Ipack – Ima 2012, svoltasi a Milano nello scorso mese di marzo. Anche sulla base di queste indicazioni, nonostante il momento di crisi che sta attraversando la nostra economia, siamo molto fiduciosi per il futuro – conclude il titolare -. Continueremo a lavorare in nome di quella qualità tipica dei prodotti made in Italy che da sempre ci contraddistingue e che tutto il mondo ci invidia, pronti a cogliere le nuove sfide che si dovessero presentare». TOSCANA 2012 • DOSSIER • 75


TECNOLOGIE

Know how e ricerca per l’elettromedicale Come stanno reagendo le aziende dell’elettromedicale di fronte alla razionalizzazione generalizzata della spesa sanitaria? Ne parliamo con Sergio Mura e Giuseppe Matteuzzi di CSO, uno dei principali produttori mondiali di lampade a fessura e di strumenti per la diagnostica oculistica Valerio Germanico

ome ha evidenziato il rapporto Oasi 2011, realizzato dal Centro di ricerche sulla gestione dell’assistenza sanitaria sociale della Bocconi, negli ultimi anni, il Sistema sanitario nazionale è stato fortemente condizionato dai vincoli finanziari. Dunque, pur di mantenere pressoché inalterata la spesa (cresciuta soltanto dello 0,9 per cento nel 2010), ciò ha determinato la destinazione di pochissime risorse verso l’investimento in sviluppo e innovazione. La spinta alla razionalizzazione della spesa sanitaria non è un unicum italiano, bensì globale, come dimostra il rapporto Health Data 2011, pubbli-

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Sergio Mura e Giuseppe Matteuzzi, fondatori della CSO Srl di Badia a Settimo (FI) www.csoitalia.it

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cato dall’Oecd (Organisation for Economic Co-operation and Development) – che prende in considerazione Usa, Messico, Cile, Europa, Turchia, Israele, Australia, Giappone e Corea –, l’elemento che accomuna le organizzazioni sanitarie, sia pubbliche sia private, di tutti questi paesi è l’ottimizzazione dei volumi di spesa – con il tentativo ovviamente di non penalizzare qualità e servizi. Quali sono le conseguenze di questo trend sull’industria dei dispositivi medicali? Ne parliamo con Sergio Mura e Giuseppe Matteuzzi, fondatori della Cso, società che progetta e realizza strumenti per la diagnostica in oculistica. Quali sono le ragioni di questa pressoché globale spinta alla razionalizzazione e quali gli effetti sul settore dell’elettromedicale? GIUSEPPE MATTEUZZI: «La ragione principale va ricercata negli effetti della crisi economica. La minore disponibilità di risorse ha portato così diversi soggetti – ospedali, cliniche e studi privati – a rimandare il rinnovamento di strumentazioni e tecnologie fino a che questo non si dimostrasse assolutamente indispensabile per continuare a garantire un’adeguata offerta sanitaria. Ciò ha naturalmente inciso sui fatturati delle società del settore elettromedicale. La nostra realtà è riuscita però a controbilanciare il calo di do-


Sergio Mura e Giuseppe Matteuzzi

manda più marcato di alcuni paesi con la continuità di richiesta di altri. Questo è stato però possibile per noi, che abbiamo da anni una visione internazionale del mercato – se fossimo stati legati esclusivamente al mercato nazionale, le conseguenze sarebbero state ben più gravi». Qual è il bilancio che potete trarre dagli ultimi anni a livello di fatturato? SERGIO MURA: «Il bilancio, in una situazione di incertezza come quella degli ultimi anni, è stato per noi positivo. Gli ultimi fatturati si collocano intorno ai 26 milioni di euro e nell’ultimo anno siamo riusciti a crescere di circa il 15 per cento. Questa crescita si spiega con due fattori: investimenti in nuove tecnologie e ricerca di nuovi mercati. Gli investimenti nello sviluppo di nuove strumentazioni ci hanno permesso di lanciare sul mercato nuovi prodotti hitech, questi hanno trovato rapidamente un riscontro e ciò ci ha permesso di incrementare le vendite. Contemporaneamente, consapevoli dello scenario a macchia di leopardo a livello di risorse per la sanità, l’avere individuato nuovi mercati con grandi potenziali ci ha permesso di migliorare ulteriormente le nostre performance commerciali». Concretamente dove si sono concentrati i vostri investimenti nell’innovazione? S. M.: «Da qualche anno la nostra società si è dotata di un proprio reparto avanzato di ricerca e sviluppo, dedicato alla progettazione dei componenti elettronici e soprattutto allo sviluppo dei software. Dunque abbiamo portato al nostro interno attività per le quali in precedenza ci appoggiavamo ad aziende esterne – alle quali continuiamo a rivolgerci, dopo la progettazione, per la produzione in serie dei componenti. Avere l’intero know

Nonostante la crisi, la nostra crescita si spiega con due fattori: investimenti in nuove tecnologie e ricerca di nuovi mercati

how dell’azienda dentro il nostro stabilimento è stato un importante passo avanti e ci ha permesso di sviluppare una strumentazione equipaggiata con elettronica digitale, camere digitale e sistemi di acquisizione immagine». Qual è il prodotto che rappresenta il vostro core business? G. M.: «Il nostro core business è certamente la TOSCANA 2012 • DOSSIER • 77


TECNOLOGIE

DIAGNOSTICA SULLA RETINA a nuova fundus camera sviluppata da CSO, Cobra, è uno degli strumenti più innovativi per la diagnostica oftalmologica. Cobra è una fundus camera digitale non-midriatica che integra tutte le funzioni necessarie per un rapido screening delle condizioni della retina. Utilizzando un innovativo sistema ottico, Cobra è in grado di fornire immagini di alta qualità del fondo oculare. Progettata con un design ergonomico, lo strumento fornisce una visione chiara e dettagliata dell’intera immagine del fondo oculare, con un reale campo di visione di 60 gradi. Il sistema offre immagini retiniche con un’esposizione minima del flash, permettendo un’acquisizione rapida e dettagliata del fondo e al contempo minimizzando il disagio per il paziente. Cobra monta un sensore Ccd ad alta risoluzione da 2.0 MegaPixel per l’allineamento del paziente con illuminazione Ir e per la cattura dell’immagine retinica con un flash di luce bianca.

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progettazione e produzione delle lampade a

fessura. Queste sono uno strumento fondamentale per l’oculista, che permette di analizzare l’occhio in tutte le sue profondità, dalla cornea alla retina. Noi realizziamo questa categoria di prodotto anche in conto terzi e siamo uno dei principali produttori a livello mondiale. Anche quando lavoriamo per altri marchi, la progettazione viene di solito svolta da noi, sulla base delle richieste di design o altri requisiti che ci vengono suggeriti dall’azienda che poi porrà il marchio sulla lampada».

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Com’è organizzata la vostra linea di produzione? G. M.: «L’elevato livello tecnologico raggiunto dalle nostre strumentazioni in oltre quarant’anni di storia dell’azienda è stato ottenuto sì introducendo nei nostri strumenti via via le innovazioni elettroniche – che hanno sostituito progressivamente le componenti un tempo soltanto ottiche e meccaniche –, ma anche mantenendo la struttura e l’organizzazione produttiva della bottega artigiana della fondazione. Ancora oggi infatti la nostra produzione è basata in massima parte sulla realizzazione manuale, e quindi uno per uno, degli strumenti. Questo fattore è ciò che permette al nostro prodotto – che può anche proporsi come il frutto di un know how interamente made in Italy – di presentare elevati standard qualitativi e di venire apprezzato dagli addetti ai lavori di tutto il mondo». Quali sono attualmente i vostri prodotti più innovativi? S. M.: «In questo momento i due prodotti che stanno riscontrando maggiore successo sul mercato sono Sirius e Cobra, che sono il risultato dei recenti investimenti in ricerca e sviluppo. Cobra è una macchina che monta sia elettronica sia ottica, entrambe gestite a livello software. Sirius invece è uno strumento di elevata precisione per la tomografia del segmento anteriore oculare e l’analisi tridimensionale della cornea. Unendo la tecnologia Scheimpflug, che permette di misurare le strutture oculari interne, alla Placido-based – tecnologia ancora insuperata per la determinazione di elevazioni e curvature per la superficie anteriore –, Sirius risulta indispensabile per la diagnosi e per la valutazione pre e postoperatoria nell’ambito della chirurgia refrattiva e della cataratta».



TECNOLOGIE

Le risorse della geolocalizzazione L’elettronica rende più sicuri i trasporti su gomma e su ferro. Leonardo Fabbri presenta le più recenti applicazioni e traccia le prospettive di sviluppo futuro dell’elettronica. Che vanno verso le energie sostenibili e il risparmio energetico Manlio Teodoro

a tecnologia di geolocalizzazione, nota comunemente come Gps, negli ultimi anni ha esteso i settori di applicazione, trovando spazio oltre che nell’automobilistico e nel ferroviario, anche nella trasmissione di dati per la georeferenziazione e la tracciabilità delle flotte di mezzi aziendali – soprattutto quando questi sono impiegati nel trasporto di materiali pericolosi. Inoltre oggi si stanno sviluppando ulteriori applicazioni, come il metering satellitare – un sistema di controllo dei consumi – e cresce la richiesta, da parte del mercato, dello sviluppo di soluzioni low power, utilizzabili in tutti quegli scenari in cui sono necessari consumi ridotti di energia. Verso queste direzioni di svi-

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Leonardo Fabbri, fondatore e socio della Elfi Srl, Montale (PT) www.elfisrl.net

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luppo si sta orientando Elfi, società specializzata nella progettazione e produzione di apparecchiature elettriche ed elettroniche in conto terzi, oltre che nell’attività di collaudo e controllo qualità. Ne parliamo con il fondatore e socio dell’impresa, Leonardo Fabbri. Verso quali funzioni si concentra maggiormente la vostra produzione per il settore ferroviario? «All’interno di questa tecnologia esiste un insieme di diversi apparati, creati indipendentemente per incrementare il comfort dei due settori e oggi divenuti sempre più importanti, tanto che si è venuta a sviluppare un’integrazione fra i differenti dispositivi. Nel ferroviario, l’elettronica sta integrando diverse funzioni che hanno permesso di migliorare i comfort, i sistemi di controllo dell’illuminazione, la filodiffusione. Ma soprattutto sono stati introdotti sistemi di comunicazione per la sicurezza attiva che consentono a ogni convoglio di essere costantemente monitorato e localizzato in rapporto agli altri treni eventualmente presenti sulla stessa linea nello stesso momento». Quali le novità nell’automotive? «Per questo settore abbiamo a disposizione soluzioni che uniscono il Gps al controllo delle funzioni del mezzo. Per il settore specifico delle flotte aziendali, abbiamo poi sviluppato Guido, un sistema avanzato per la gestione, il controllo e l’ottimizzazione basato su dispositivi di geo-referen-


Leonardo Fabbri

L’elettronica sta integrando diverse funzioni che hanno permesso di migliorare i comfort, i sistemi di controllo dell’illuminazione, la filodiffusione

ziazione e comunicazione in tempo reale Gprs/Umts. L’interfaccia di controllo permette all’utente di interagire con un sistema efficace e dinamico, basato sul dinamismo grafico delle mappe e l’interazione rapida con numerose funzionalità». Quanto è importante per voi l’attività di ricerca e sviluppo e l’investimento in innovazione e tecnologia? «La nostra attività di ricerca e sviluppo è concentrata nell’industrializzazione di apparati radio per la trasmissione di dati, sia in locale che in remoto, attraverso l’utilizzo di sistemi Gsm. Elfi è in grado di progettare e costruire l’apparato elettronico nel suo complesso, occupandosi direttamente di eseguire tutto il processo necessario, dall’idea alla realizzazione del prodotto. In particolare siamo dotati delle competenze e delle attrezzature necessarie per svolgere l’intero iter di progettazione e produzione: Cad meccanici tridimensionali, Cad elettronici integrati con sistemi di emulazione circuitale Cae, frese per la

realizzazione di piccoli prototipi, camere climatiche e attrezzature per le misure di grandezze elettriche e meccaniche, sistemi di rilevazione a infrarosso per le analisi termiche delle schede elettroniche e degli apparati». Quali sono gli ulteriori e possibili ambiti di sviluppo per il mondo dell’elettronica in questo momento? «Uno dei settori che oggi offre numero opportunità è quello delle energie alternative. E anche quello del risparmio energetico. Di fronte a possibilità certamente molteplici, l’importante sarà capire, in anticipo sui competitor, quale sarà l’evoluzione del mercato, in modo da poter entrare direttamente nell’offerta di servizi e prodotti da proporre ai settori emergenti. Un esempio, potrebbe essere l’illuminazione a led. Il suo valore aggiunto potrebbe essere quello del risparmio energetico, attraverso il controllo e la regolazione dell’intensità di illuminazione e la gestione delle temperature di questi dispositivi. Per promuovere il made in Italy, in collaborazione con università artistiche (ISIA) e scuole d’arte, abbiamo avviato un progetto per la realizzazione di corpi illuminanti a led per la zona notte. Ci proponiamo di integrare la tecnologia a disposizione con oggetti artistici, anche ricavati da lavorazioni artigianali classiche. Questo percorso è iniziato da poco e al momento abbiamo realizzato prototipi per tesi e meeting presso alcune scuole». TOSCANA 2012 • DOSSIER • 81


TECNOLOGIE

Cambia il mercato degli elettrodomestici Mutano le richieste del mercato e dei consumatori nel settore degli elettrodomestici. Cambiano anche le dinamiche di commercializzazione delle aziende del comparto, che puntano su funzionalità, tecnologia e prezzi contenuti. Ne parla Mauro Ninci Emanuela Caruso

egli ultimi anni, il settore degli elettrodomestici ha visto diminuire del 40 per cento i consumatori di fascia media e aumentare, invece, l’interesse dell’utenza verso prodotti di fascia bassa e articoli di fascia alta. Per riuscire a seguire e soddisfare le nuove esigenze, le aziende impegnate nella commercializzazione di elettrodomestici hanno quindi dovuto potenziare la forza vendita dell’attività nel prodotto di bassa e alta gamma. Tra le aziende che meglio hanno saputo mettere in pratica questa strategia si colloca la Ninci Elettrodomestici, società di Empoli specializzata nella

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Mauro Ninci è titolare della Ninci Elettrodomestici di Empoli (FI) www.ninci.it

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distribuzione di elettrodomestici da oltre cinquant’anni. «Oggi – commenta Mauro Ninci, titolare dell’impresa – le tendenze di mercato sono molto cambiate; i consumatori di fascia bassa sono raddoppiati e più che mai ricercano prezzi vantaggiosi, quelli di fascia alta richiedono la massima funzionalità del prodotto. A queste richieste si unisce anche la necessità di acquistare un oggetto bello da vedere, che diventi un vero e proprio elemento di arredo dal design accattivante. A tal proposito, attualmente, trova ottimi riscontri l’elettrodomestico in stile minimalista, realizzato con materiali innovativi e dotato di strumenti e tecnologie d’avanguardia». Di quali prodotti si occupa la Ninci Elettrodomestici e quali criteri seguite per selezionarli? «Trattiamo i prodotti del caldo, ovvero pianicottura e cucine multifunzionali, e del freddo, come frigoriferi, congelatori e cantine. A questi aggiungiamo i rami dell’acqua e dell’aria, commercializzando rubinetterie, lavastoviglie, lavatrici e cappe d’aspirazione. Sin dall’inizio dell’attività, per essere certi di soddisfare ogni richiesta e necessità del bacino d’utenza, abbiamo cercato di offrire ai clienti un’ampia possibilità di scelta. Tendiamo perciò ad avere sempre la massima disponibilità sia di articoli economici che di prodotti d’alta gamma, e poniamo grande attenzione alla sostenibilità ambientale, alla facilità d’uso e al design». A che tipo di clienti vi rivolgete e quale set-


Mauro Ninci

I nostri elettrodomestici hanno innovative superfici in Dupont Corian, materiale che rende i prodotti durevoli, igienici e adatti a qualsiasi ambiente

tore rappresenta una vetrina importante per la Ninci Elettrodomestici? «Il nostro bacino d’utenza è formato principalmente da mobilieri, rivenditori, artigiani e produttori; a loro offriamo un vasto assortimento di marchi e un servizio efficiente sia dal punto di vista commerciale che dal punto di vista della consulenza. La vetrina più importante per la nostra realtà è senz’altro il settore nautico, al quale forniamo una gamma di elettrodomestici da incasso con diverse alimentazioni elettriche, ideali per la dotazione delle imbarcazioni. Proprio questo comparto rappresenta anche uno stimolo costante al miglioramento, poiché vede variare in modo continuo gli standard qualitativi e le richieste stilistiche e tecnologiche». Tra i punti di forza della Ninci Elettrodomestici c’è il Dupont Corian. Che cos’è? «Il Dupont Corian è un materiale innovativo e molto piacevole al tatto che permette di realizzare superfici senza giunzioni e riesce a trasformare ogni spazio interno o esterno, adattandosi senza problemi a qualsiasi tipo di ambiente. È inoltre disponibile in svariati colori e di conse-

guenza può offrire una grande libertà progettuale e creativa. Altro aspetto rilevante di questo materiale è il fatto di essere durevole, igienico e non poroso, caratteristiche che gli consentono di creare superfici libere da funghi e batteri». Quali sono le maggiori difficoltà che le aziende stanno vivendo in questo periodo storico ed economico? «Il periodo di crisi si sta ripercuotendo in maniera negativa sulle attività del nostro settore, causando in particolare molti ritardi nei pagamenti, che di conseguenza portano all’aumento dei costi bancari che vanno a gravare sui bilanci aziendali. Da parte nostra, stiamo cercando di rispondere a questa situazione facendo leva sui punti di forza che da sempre ci contraddistinguono, ovvero informazione in fase di prevendita, consegna immediata del prodotto scelto e assistenza postvendita. Ultimamente, poi, stiamo assistendo a un calo rilevante delle richieste, fattore che ci ha spinti ad abbassare i margini di guadagno per andare incontro alle esigenze del cliente».

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MODELLI D’IMPRESA

Investiamo sui giovani e sulla formazione Le risorse umane, specialmente in una fase economica come questa, sono un valore da preservare e implementare. Cristian Del Mazza descrive l’importanza della formazione nel comparto degli accessori per la pelletteria Amedeo Longhi

a combinazione di diversi aspetti rende oggi la situazione economica del nostro paese particolarmente delicata. Da un lato, la crisi di un’economia volatilizzata, in cui il lavoro manuale è diventato un costo da minimizzare quanto più possibile piuttosto che una risorsa da valorizzare. Dall’altro, la concorrenza di un mercato – quello del far east e della Cina in particolare – che proprio sulla manodopera a basso costo e di livello qualitativo inferiore basa la sua competitività. Conosce bene questa situazione Cristian Del Mazza, che si trova quotidianamente a fare i conti con i problemi di un mercato – quello della moda in generale e della pelletteria e dei suoi accessori in particolare – in cui la concorrenza asiatica, spesso oltre i limiti della le-

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Cristian Del Mazza, amministratore della Dmc Accessori di Scarperia (FI), insieme al padre Ivo Del Mazza e alla madre Franca Ugolini www.dmc-accessori.it

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galità, è molto forte e la capacità e il know-how delle maestranze rappresentano un valore aggiunto per il prodotto finale. Del Mazza è amministratore della Dmc Accessori, azienda toscana che si occupa di ideare e produrre accessori esclusivi e su misura, in metallo e in molti altri materiali, per linee di pelletteria e articoli d’alta moda. «Per quanto ci riguarda – sottolinea Del Mazza –, vorremmo che le istituzioni ci aiutassero a investire risorse in ricerca e formazione dei giovani. Questo perché i costi da sostenere per le nuove assunzioni, che pure riteniamo prioritarie, e l’alta percentuale di tassazione, sono spesso un forte limite per l’iniziativa imprenditoriale, in termini sia di tempo che di costi». Quali sono le caratteristiche professionali che ricercate nel vostro personale? «Dobbiamo adeguarsi ai tempi imposti dal dinamico settore della moda, quindi è necessario essere continuamente e prontamente aggiornati. Per questo motivo cerchiamo di investire molto sul personale, che rappresenta il nostro valore aggiunto. Siamo sempre alla ricerca di nuove soluzioni, nuovi materiali, nuove tecnologie per realizzare le nostre creazioni con tempistiche e costi minori e per essere sempre all’avanguardia sulle novità tecnologiche, in particolar modo quelle legate al mondo della meccanica. Il nostro staff deve essere composto da persone dinamiche, che siano capaci di met-


Cristian Del Mazza

Il made in Italy dovrebbe essere più tutelato perché in molti casi troviamo prodotti recanti questa denominazione ma con molte fasi di lavorazione effettuate all’estero

tersi in discussione senza mai adagiarsi». In che modo investite sulla formazione e quante risorse dedicate a questo aspetto? «Teniamo aggiornati i collaboratori mediante corsi e stage, li coinvolgiamo nelle fiere per esaminare insieme le novità da adottare, per capire come adattarle alla nostra produzione. Inoltre il titolare e le persone con più esperienza cercano di seguire i più giovani e trasmettere loro le nozioni e il bagaglio molto prezioso di cui sono in possesso». Che provvedimenti intendete adottare per ottimizzare la produzione? «Il costo, oltre alla qualità, rappresenta oggi un aspetto importantissimo per far fronte alla concorrenza a basso costo di manodopera. Ci obbliga a essere sempre più all’avanguardia tecnologicamente e professionalmente conseguendo un valore aggiunto e continuando a produrre rigorosamente in Italia. La strategia è quella di continuare a destinare risorse economiche e umane all’azienda e al suo personale,

coinvolgendo lavoratori giovani e con voglia di crescere. Un punto fondamentale sul quale lavoriamo da anni è quello che riguarda la gestione del reparto produttivo, che stiamo implementando grazie a un programma studiato su misura, perché la complessità della nostra produzione non ci ha permesso di trovare software adatti fra quelli in commercio. Stiamo investendo su di esso sia istruendo le persone a usarlo, sia migliorandolo per eliminare i problemi produttivi e avere dei costi certi». Ritiene che il made in Italy sia ancora un valore? «Come detto, riteniamo che i prodotti italiani, se fatti effettivamente nel nostro Paese, rappresentino un importante valore aggiunto in termini di qualità. Il made in Italy però dovrebbe essere più tutelato e controllato di quanto non si faccia oggi, perché in molti casi troviamo sui mercati prodotti recanti questa denominazione ma con molte fasi di lavorazione effettuate all’estero». Quali sono le ultime esigenze e richieste che vi giungono da parte del mercato? «La richiesta più diffusa è quella di trovare materiali alternativi e innovativi rispetto a quelli esistenti. È per questo che abbiamo allestito in azienda un reparto di modelleria e prototipazione, necessario per effettuare studi e prove tecniche per trovare nuovi sistemi per la produzione». TOSCANA 2012 • DOSSIER • 85


MODELLI D’IMPRESA

Comfort e sicurezza sul lavoro La progettazione dei dispositivi di protezione individuale impiegati nelle attività produttive coinvolge globalmente più concetti di qualità: innovazione, tecnologie, design, comunicazione, immagine, serietà, garanzia, assistenza. Sandro Viti spiega in che direzione sta andando il settore Manlio Teodoro

a crescente attenzione intorno al tema della sicurezza sul lavoro si sta evolvendo seguendo i trend globali legati alla cura della persona. Il concetto di wellness è entrato ed entrerà sempre più anche nel mondo del lavoro e soprattutto nell’abbigliamento per la protezione dell’individuo». È questa l’opinione di un addetto ai lavori del settore sicurezza, Sandro Viti, titolare della Italconf di Montaione (FI), azienda specializzata nella produzione di dispositivi di protezione individuale. «Oggi i valori di sicurezza sono sempre più garantiti grazie alla ricerca e all’introduzione di tecnologie e materiali più evoluti e tecnicamente più avanzati. Insomma, l’individuo che lavora sarà sempre più al centro dell’attenzione delle aziende che lavorano nel settore della protezione dell’uomo». Nonostante la recente e attuale crisi economica mondiale abbia pesato anche sulla voce sicurezza, il suo effetto è stato quello di operare una selezione fra i produttori che ha permesso di fare emergere quelli che, negli ultimi anni, hanno maggiormente investito in innovazione e ricerca. «Abbiamo registrato un evidente ridimensionamento dei volumi. Ciò a causa del fatto che è diminuito il numero degli utilizzatori, fuoriusciti da attività lavorative in crisi o nelle quali sono state limitate le attività produttive. Alla riduzione dei consumi è seguita però una specializzazione dei prodotti e, a nostro avviso, è avvenuta anche una selezione fra le aziende. Sono state premiate quelle che hanno investito a suo tempo in innovazione e

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tecnologia e che hanno raccolto, anche in un periodo di crisi, i volumi di chi stava affrontando il mercato con mezzi improvvisati o senza progetti coerenti». La progettazione dei dispositivi di protezione individuale ha come base normativa il testo unico sulla sicurezza sul lavoro del 2008. «La sua applicazione – prosegue Viti – prevede delle “misure generali di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro” che consistono “nella valutazione di tutti i rischi”, nella “programmazione della prevenzione”, “nell’eliminazione dei rischi e, ove ciò non sia possibile, la loro riduzione al minimo”. Per raggiungere questi obiettivi, le nostre scelte progettuali e di produzione – che combinano sicurezza, design e un prezzo competitivo – si

Esempi dei dispositivi di protezione individuale prodotti dalla Italconf Srl di Montaione (FI) www.italconf.it


Sandro Viti

sono concentrate intorno a quella che è la sfida più importante posta del mercato: quella della qualità come concetto globale che coinvolge fattori complessi: innovazione, tecnologie, design, comunicazione, immagine, serietà, garanzia, assistenza. Questi sono solo alcuni dei termini di quella qualità che noi definiamo globale. Oggi per riuscire a rimanere competitivi è necessario non soltanto essere bravi, unici e preparati, ma anche allargare gli orizzonti, pensando a mercati e a competizioni che oltrepassino i confini nazionali». Il concetto di qualità globale di Italconf si esprime anche in un’attenzione all’ecocompatibilità di materiali e processi. «Noi partiamo dall’eccellenza a 360 gradi, selezionando soltanto materie prime di cui conosciamo la provenienza e delle quali testiamo la composizione, privilegiando i tessuti organici e anallergici. Questo perché abbiamo la consapevolezza del fatto che i lavoratori indosseranno i nostri capi per molte ore al giorno, spesso in condizioni estreme, e questo impone una fattura che assicuri il massimo comfort insieme alla sicurezza. Sul fronte del rispetto dell’ambiente, oltre che dell’uomo, il nostro controllo totale della filiera prevede che durante tutto il processo produttivo siano rispettati appositi protocolli che prevedono, per esempio, il riutilizzo totale degli scarti di lavorazione». Le soluzioni che Italconf ha elaborato nella sua storia di solida realtà produttiva, oggi sono presenti in tutta Europa, sebbene sotto il marchio di grandi gruppi leader nell’abbigliamento da lavoro. «Abbiamo prodotto chiavi in mano per i nostri partner. Però – afferma in

Durante la crisi le aziende che negli anni avevano investito in innovazione e tecnologia hanno visto premiati i loro investimenti

conclusione Viti – il nostro know how è rimasto un patrimonio dell’azienda, che può essere utilizzato in proprio e quindi, unendo l’esperienza maturata alla capacità produttiva diretta, da questo potrà nascere e crescere un progetto a livello europeo e mondiale al quale stiamo lavorando come obiettivo per lo sviluppo dei prossimi anni». TOSCANA 2012 • DOSSIER • 87


MODELLI D’IMPRESA

Un sistema di tracking per il tubo assemblato Un punto di riferimento in Toscana per il manifatturiero, il meccanico, il siderurgico, il medicale, il tessile e i trasporti. Fabio Mariani e Roberto Landi presentano le potenzialità del nuovo ParkerStore e gli innovativi servizi connessi Manlio Teodoro

apertura del ParkerStore ha rappresentato uno dei principali risultati raggiunti dalla Batistoni di Calenzano, azienda che distribuisce articoli per l’industria – dal manifatturiero al meccanico e al chimico, dal siderurgico al medicale, dal tessile al settore dei trasporti – e che già commercializzava in esclusiva importanti marchi, su tutti Parker. «Per i professionisti della manutenzione, riparazione e revisione (Mro) e per i costruttori di macchine e impianti (Oem) il ParkerStore è un punto di riferimento, un insieme di prodotti, servizi e persone a disposizione dell’azienda, della partita Iva e anche del privato che ha necessità di un supporto tecnicoinformativo o di un servizio di consulenza sui prodotti e le soluzioni più innovative». A parlare è Fabio Mariani, che insieme a Roberto

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Da sinistra, Fabio Mariani e Roberto Landi, amministratori della Batistoni Srl di Calenzano (FI), e Leonardo Landi. Nella pagina a fianco, il banco prova per le attestazioni specifiche relative ai raccordi e ai tubi oleodinamici www.batistonisrl.it

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Landi amministra la società, offrendo la gamma più completa di soluzioni idrauliche e pneumatiche prodotte da Parker Hannifin. Quali sono le novità che offrite come ParkerStore? FABIO MARIANI: «Fra i nostri servizi – che vanno dall’assemblaggio tubi per finire alla progettazione e costruzione di impianti oleodinamici – certamente una delle novità è l’offerta del servizio Parket Tracking System (Pts). Si tratta di un modo semplice per incrementare la redditività del professionista. Utilizzando un’applicazione sicura, Pts genera un codice univoco per ogni tubo assemblato. Questo viene stampato su un’etichetta con codice a barre ultraresistente – progettata specificamente per resistere all’esposizione ad agenti chimici aggressivi, alte temperature, raggi Uv e altre condizioni impegnative. Il codice Pts rende la sostituzione dei tubi assemblati veloce, semplice e precisa, riducendo i tempi di inattività del veicolo e delle risorse». Qual è il bilancio dei risultati raggiunti nel 2011 e con quali aspettative si è aperto il 2012? ROBERTO LANDI: «Il bilancio 2011 si è chiuso con un incremento del 17 per cento rispetto all’esercizio dell’anno precedente. Questo nonostante un calo generalizzato delle vendite nel secondo semestre e una difficoltà a incassare i crediti, dato che molte aziende sono fallite e


Fabio Mariani e Roberto Landi

sono state insolventi. Il risultato è stato comunque trainato dall’apertura del ParkerStore. Le aspettative per il 2012 sono di confermare il fatturato attuale, cercando un incremento di vendite nelle linee di pneumatica, elettromeccanica, strumentazione e filtrazione, oil & gas e medicale». Il vostro mercato di vendita diretta a quali settori locali si rivolge? R. L.: «Copriamo quasi tutto il territorio regionale. Siamo fornitori in particolare degli stabilimenti chimici e petrolchimici, delle cartiere e delle concerie che si trovano nelle province di Firenze, Siena, Livorno, Rosignano, Pisa, Santa Croce sull’Arno, Lucca, Massa e Arezzo. Però i nostri prodotti e servizi raggiungono anche la Maremma, il Mugello e la vicina Umbria. A questa gamma di articoli propriamente industriali, se ne somma una di prodotti destinati all’oleodinamica, ai tubi e ai raccordi, alle trasmissioni di potenza, alla filtrazione, compresa la strumentazione accessoria per gli addetti ai lavori di questi settori». L’e-commerce ha aperto enormi possibilità per le imprese del canale distributivo e anche per la vostra realtà. Quali sono i principali fattori di competitività nella vendita online? F. M.: «Bisogna innanzitutto avere un sito adeguato ai moderni standard. E questo sia dal punto di vista tecnico-formale che contenutistico. Deve essere ben scritto, anche in lingua Inglese, nel complesso deve risultare snello e di facile consultazione. Se il sito è fondamentale per il primo contatto, altrettanto importante è la disponibilità di magazzino e l’organizzazione per la spedizione delle merci ovunque». Oltre ai prodotti offrite anche dei servizi di consulenza. Quali sono i principali? F. M.: «Una delle più recenti novità nell’ambito dei servizi di consulenza riguarda la certificazione di origine dei prodotti. Non è più sufficiente fornire all’acquirente un certificato atte-

stante il luogo di produzione dell’articolo, al contrario deve essere indicata anche la provenienza del materiale e dei componenti. Sono poi richieste anche le certificazioni riguardanti l’analisi chimica dei prodotti e altre attestazioni specifiche per i raccordi e i tubi oleodinamici quali certificato di collaudo che possiamo rilasciare grazie la nostro banco prova. Oggi per noi è fondamentale offrire questi servizi – che forniamo anche grazie all’assistenza di soggetti specializzati –, perché senza di essi ci troveremmo fuori dal mercato».

+17%

FATTURATO Il 2011 si è chiuso con un dato di crescita per la Batistoni, grazie anche all’apertura del Parker Store

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MODELLI D’IMPRESA

Prospettive di crescita nella ristorazione collettiva Una crescita costante, che si attesta su un +20 per cento annuale. È questo l’obiettivo centrato dalla Asso – Catering, nel settore delle forniture per la ristorazione collettiva. Gianni Tani illustra i risultati e le prospettive dell’azienda Eugenia Campo di Costa

econdo una recente indagine realizzata dalla Banca d’Italia in collaborazione con il Sole 24 ore, quasi il 40 per cento delle imprese italiane segnala un peggioramento nell'accesso al credito e rimane inoltre molto bassa la percentuale di coloro che giudicano le condizioni migliorate (3,7 per cento). La situazione per gran parte dell’imprenditoria nazionale rimane critica, anche se in sottile ripresa, eppure in questo scenario si registrano anche esperienze positive, di realtà che confermano un trend di crescita, nonché un rapporto virtuoso con gli istituti bancari. Ne è un esempio, nel settore delle forniture per la ristorazione collettiva, la Asso – Catering di

S Gianni Tani, amministratore della Asso – Catering Srl. L’azienda ha sede a Ponte a Poppi (AR) www.asso-catering.it

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Ponte a Poppi, specializzata nella progettazione e fabbricazione di attrezzature di completamento per self-service, che ottimizzano la distribuzione di articoli monouso, nonché nella produzione di tovaglioli, tovagliette e articoli in carta. L’azienda, guidata da Gianni Tani, ha chiuso il 2011 con un bilancio nettamente positivo, registrando addirittura un + 20 per cento rispetto all’anno precedente e, anche nell’accesso al credito, non teme particolari difficoltà. Signor Tani, a differenza di molte realtà che lamentano di questi tempi un difficile, se non impossibile, accesso al credito, l’esperienza di Asso - Catering è diversa. Qual è, secondo il suo punto di vista, la reale situazione del rapporto tra imprese e banche oggi? «In momenti di particolari congiunture economiche come quello che stiamo attraversando, gestire il credito è difficile. Inoltre l’incertezza finanziaria fa sì che le banche pensino prima a salvare se stesse che a finanziare le aziende. Da questo punto di vista, non possiamo che ritenerci fortunati perché Asso-Catering non è un’azienda indebitata e questa condizione facilita alla nostra realtà l’accesso al credito. Altro capitolo andrebbe aperto sulle cause che hanno portato alla chiusura del sistema creditizio alle imprese e in questo caso credo che le colpe del sistema bancario siano oggettivamente innegabili. Le banche oggi


Gianni Tani

stanno scontando gli errori di una politica pregressa cieca, che andava a braccetto con la totale inazione pro crescita della classe politica, risultato: mercati non rassicurati e fuga di capitali all’estero. Oggi le banche si trovano purtroppo ancora nella condizione di non poter dimostrare che è dalle imprese che dipende la possibilità di generare ricchezza con conseguente dinamismo economico, mobilità sociale e benessere. E quando dico dalle imprese penso quanto sia difficile per un giovane illuminato, ma non supportato, affacciarsi nel mondo dell’imprenditoria. In questo, la responsabilità sociale delle banche dovrebbe fare la differenza, cosa che oggi non si sta verificando e le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti». La crisi attanaglia più o meno tutti i comparti. Qual è lo “stato di salute” del vostro settore e, nello specifico, della Asso - Catering? «Asso - Catering è un’azienda in crescita, ma il panorama generale non è confortante. La nostra realtà rifornisce quotidianamente circa 3000 ristoranti self-service allocati in banche, uffici pubblici, ospedali, in aziende dei più disparati settori industriali, dall’automobilistico al farmaceutico,

Le macchine per la dispensazione dei prodotti monouso sono da noi brevettate e installate in comodato d’uso gratuito

dal siderurgico al finanziario, dallo scolastico all’ospedaliero. Abbiamo pertanto una visione generale del mercato nazionale e francamente i messaggi sullo stato di salute della nostra economia che riceviamo quotidianamente non sono positivi. Questo naturalmente spinge a seguire ancora più attentamente l’evoluzione delle principali variabili del mercato per non farsi trovare impreparati. Oggi, per forza di cose, fare impresa significa cavalcare onde sempre più estreme; per ora la nostra realtà sembra riuscirci abbastanza bene». Chiudere il bilancio con un + 20 per cento non è un risultato da poco di questi tempi. Come ci siete riusciti? «Negli ultimi cinque anni abbiamo registrato sempre un incremento annuale di questo tipo, a testimonianza di una crescita programmata, equilibrata e monitorata proprio in linea con TOSCANA 2012 • DOSSIER • 91


MODELLI D’IMPRESA

la particolare tipologia di servizi offerti. Tra i ri- tutelando il risparmio e l’igiene, nel rispetto sultati più significativi di quest’ultimo anno, che hanno sicuramente agevolato il nostro percorso di crescita, spiccano l’introduzione di prodotti e servizi per la detergenza, l’acquisizione di importanti contratti e, perché no, in un contesto di recessione dei mercati, il consolidamento dei rapporti con la clientela». Quale tipo di servizio fornite alla clientela? «Le macchine per la dispensazione dei prodotti monouso sono da noi brevettate e installate in comodato d’uso gratuito. Inoltre, siamo specializzati nella fabbricazione di tovagliette coprivassoio, tovaglioli e articoli in carta. Credo che il nostro punto di forza sia l’offrire una gamma ampia e di qualità a prezzi competitivi. I sistemi di erogazione Asso - Catering sono basati su brevetti esclusivi che facilitano operatori e commensali nel prelievo dei singoli articoli,

Il nostro mercato di riferimento rimane quello della ristorazione collettiva, comparto che nonostante tutto regge bene

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delle leggi in materia di HACCP. Abbiamo inoltre fatto evolvere il nostro ruolo, diventando un vero e proprio partner nella risoluzione di problematiche legate a logistica e distribuzione». Tra i vostri clienti annoverate i più grandi nomi della ristorazione collettiva. Quali nuovi mercati potreste conquistare in futuro? «Il nostro mercato di riferimento rimane quello della ristorazione collettiva, comparto che nonostante tutto regge bene. Compatibilmente con i nostri budget di crescita, che tengo a sottolineare, si devono attestare intorno al 20 per cento annuo, abbiamo in progetto azioni rivolte all’acquisizione di quote di mercato nella ristorazione aerea, marittima e autostradale». Avete in previsione di evolvere ulteriormente il vostro catalogo con altre innovazioni nel prossimo futuro? «Gli articoli presenti a listino, sia prodotti direttamente che commercializzati, sono circa 2000 e vengono costantemente riassortiti per fornire un ventaglio di scelta più ampio possibile alla clientela che, ricordo, in Italia, rispetto al restante contesto europeo, ha molte più esigenze in termini di prodotti e di gestione degli stessi. I nostri sforzi nel prossimo futuro verranno rivolti in particolare alla detergenza e ai sistemi di gestione di questo reparto. Come accennavo, abbiamo infatti recentemente introdotto la linea Asso-Wash detergenti, destinata alla pulizia delle stoviglie, del bucato e degli ambienti dedicati alla ristorazione. La gamma è studiata per tutti gli utilizzi professionali, sia per il lavaggio a macchina sia per il lavaggio manuale. Le formule super concentrate con sistema di dosaggio automatico garantiscono pulito e igiene senza sprechi, anche con cicli di lavaggio brevi, per ridurre il consumo di acqua ed energia limitando l’impatto ambientale». L’attenzione all’impatto ambientale è da sempre una costante della filosofia di Asso – Catering. «Sì, da sempre ci impegniamo a promuovere presso i nostri clienti l’utilizzo di prodotti eco-


Gianni Tani

sostenibili. Rispettare l’ambiente significa rispettare il futuro delle nuove generazioni, per questo scegliere prodotti monouso eco-sostenibili per alimenti è un comportamento importante. Il loro ridotto impatto ambientale è dovuto ai materiali usati per produrli: bioplastiche ottenute da risorse vegetali rinnovabili come l’amido di mais o la canna da zucchero. Questo vale anche per la carta: ad esempio, quando la carta è generata da “foreste sostenibili”, significa che gli alberi tagliati per produrre carta vengono ripiantati. Asso-Catering ha ottenuto nel 2011 la certificazione FSC (Forest Stewardship Council), il marchio che identifica i prodotti contenenti legno proveniente da foreste gestite secondo rigorosi standard ambientali, sociali ed economici. I materiali riciclabili, biodegradabili e compostabili di cui sono fatti i prodotti ecosostenibili riducono l’incredibile quantità dei rifiuti non biodegradabili che vengono inviati ogni giorno alle discariche e, soprattutto, rientrano nei sistemi di riciclaggio per il loro riutilizzo. Inoltre, il processo produttivo delle bioplastiche consuma molta meno energia delle plastiche tradizionali derivate dal petrolio». Asso-Catering propone anche una linea di prodotti bio per le mense scolastiche. «Questi prodotti rispondono a una precisa richiesta del mercato. I comuni sono inte-

ressati a ridurre la produzione di rifiuti, i cittadini sono sempre più consapevoli e informati, la ricerca di materiali ecologici procede a grandi passi. La consapevolezza dell’importanza della difesa dell’ambiente deve cominciare proprio dall’educazione dei bambini nelle scuole. Ecco perché proponiamo prodotti biodegradabili e compostabili al 100 per cento. La linea comprende piatti, posate, bicchieri, vassoi in bioplastica, con tutte le caratteristiche di igiene, durata e resistenza delle plastiche tradizionali. La gamma bio è anche divertente e creativa, grazie alla possibilità di personalizzare le tovagliette con disegni, giochi istruttivi, messaggi di educazione alimentare a misura di bambino».

+20 % BILANCIO È la percentuale su cui si attestano i budget di crescita annuali della Asso - Catering

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MODELLI D’IMPRESA

Più tutele per le piccole imprese Maggiori tutele e un rafforzamento del mercato del lavoro: questo chiedono a gran voce le piccole imprese del mercato italiano. E intanto continuano a investire nella tecnologia. Ne parliamo con Laura Piccioli Emanuela Caruso

e piccole imprese del panorama italiano andrebbero maggiormente tutelate, perché al momento sono lasciate in balia degli eventi e di se stesse». Con queste parole l’imprenditrice Laura Piccioli denuncia la situazione in cui si trovano a operare le piccole realtà che da sempre rappresentano il pilastro dell’economia italiana. E non si può certo negare l’evidenza dei fatti, ovvero la scarsa tutela delle piccole aziende, in particolar modo in un

«L

Laura Piccioli del Mollificio Co.m.af Sas ha sede a Calenzano (FI). In queste pagine, ambienti di lavoro www.mollificio-comaf.com

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periodo di recessione e crisi economica in cui proprio le società di dimensioni ridotte pagano lo scotto maggiore, dovendo decidere tra l’autofinanziamento e il licenziamento del personale come unica soluzione per rimanere a galla. La stessa Laura Piccioli, erede del fondatore e attuale titolare del Mollificio Co.m.af di Calenzano, in provincia di Firenze, si è trovata di fronte a quest’ardua scelta. «Non ricevendo alcun aiuto di tipo economico e legislativo dal governo – spiega Laura Piccioli – quando una piccola azienda a carattere familiare come la nostra è obbligata a fronteggiare e sconfiggere una crisi dalla portata nazionale e internazionale, le strade per la salvezza sono solo due: l’autofinanziamento o il licenziamento del personale. Sono entrambe decisioni difficili da prendere, in quanto una piccola impresa di rado ha delle basi economiche sufficienti ad autofinanziarsi e, invece molto spesso, essendo formata da pochissimi dipendenti, si fonda su rapporti interpersonali di profonda stima e fiducia, ragion per cui diventa estremamente complicato scegliere di licenziare qualcuno». Quali altri problemi generali registra al momento il mercato italiano? «Uno dei problemi più gravi è senza dubbio rappresentato dalle difficoltà incontrate dal mercato del lavoro. Per fare un esempio concreto, in passato si lavorava sempre a ritmi frenetici e quando si avevano alcuni appren-


Laura Piccioli

disti era un miracolo trovare il tempo necessario da dedicare loro; oggi, invece, è diventato quasi impossibile riuscire a trovare del personale che abbia voglia di imparare il mestiere e rimanere in azienda. Molti preferiscono imparare “l’arte” e poi andare a migliorarsi e specializzarsi in paesi e zone dove i vari settori offrono più possibilità». Parlando nello specifico della vostra attività, qual è il core business del Mollificio Co.m.af? «Ci occupiamo della produzione di molle e componenti elastici. Nei primi anni di attività, eravamo impegnati nella realizzazione di molle per la meccanica, ma successivamente ci siamo anche specializzati nella fabbricazione di molle per l’indotto delle “griffes”. Non lavoriamo in maniera diretta con le case di moda, ma ne siamo subfornitori. Siamo inoltre specializzati nella minuteria, quindi produciamo piccoli elementi per accessori, borse e braccialetti, quali possono essere chiusure a molla o a incastro. Oltre a tali componenti, il catalogo dei nostri prodotti comprende molle a trazione, a compressione, a torsione e a nastro». Come si sviluppa la vostra attività produttiva? «Noi lavoriamo solo su ordinazione, non abbiamo materiale già pronto, perché le molle possono essere realizzate in tantissime dimensioni e diverse tipologie di fili e nastri e, di conseguenza, cercare di tenere e mantenere un magazzino sempre fornito sarebbe impossibile. Si rischierebbe, infatti, di accumulare materiali e articoli non utilizzati o non commercializzabili. Essendo una piccola realtà e non avendo quindi troppi operai e rigidi programmi di produzione, siamo però in grado di soddisfare anche le urgenze, accontentando così le esigenze di tutti i clienti che si rivolgono a noi». Quando si parla di molle, l’immaginario

Nei primi anni di attività eravamo impegnati nella realizzazione di molle per la meccanica, ma successivamente ci siamo anche specializzati nella fabbricazione di molle per l’indotto delle “griffes”, lavorando solo su ordinazione

comune pensa alla molla in metallo o acciaio. Ma quali altri materiali possono essere utilizzati? «Per antonomasia, la molla è realizzata in acciaio, nelle sue varie tipologie, perché solo questo materiale è in grado di conferire a tale prodotto la flessibilità e l’elasticità necessarie a permettere alla molla di recuperare la sua forma originaria dopo aver lavorato. Con altri materiali, come per esempio il ferro, non si riescono a ottenere gli stessi risultati. Il nostro mollificio utilizza quindi l’acciaio per le molle vere e proprie, mentre per gli articoli che della molla hanno la forma ma non la funzione, come possono essere alcuni portaombrelli, portapenne, portabicchieri, impieghiamo ferro TOSCANA 2012 • DOSSIER • 95


MODELLI D’IMPRESA

Per una piccola azienda, investire nella tecnologia è l’arma migliore per rimanere competitivi su un mercato capriccioso come quello degli ultimi anni

crudo, ottone, etc. che possono essere poi sot-

toposti a trattamenti superficiali». Quali aziende o quali paesi rappresentano i vostri principali fornitori di materie prime? «In Toscana, purtroppo, non è rimasta alcuna realtà che si occupi della produzione di fili e materiali per molle, e di conseguenza ci rivolgiamo alle aziende del Nord Italia che possono essere produttori o rivenditori ufficiali di materie prime per molle. Per quanto riguarda, invece, i fornitori esteri, se un tempo, la Germania deteneva il primato sull’export di fili e materiali, oggi molti di questi ultimi vengono prodotti nei Paesi dell’Est ed Orientali e poi da lì esportati e commercializzati in Italia». Ci sono delle normative particolari che regolano il vostro settore di riferimento? «Sì, le norme EN/UNI/ISO, che hanno il compito di regolare la costruzione sia della molla, per certificarne la qualità, sia del filo impiegato per realizzarla. Sempre tali norme

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specificano anche le tolleranze, i calcoli, i collaudi e le classificazioni di ogni ciclo produttivo e di ogni articolo». Di quali tipi di macchinari dispone il Mollificio Co.m.af? «Per la costruzione vera e propria delle molle utilizziamo apparecchiature specifiche come, ad es., avvolgitrici e torsionatrici, sia ad impostazione manuale che tramite software a controllo numerico, adibite alla fase di avvolgimento del prodotto. La nostra azienda è anche dotata di macchinari generici da officina meccanica, come per esempio le fresatrici, impiegati per realizzare attrezzature che vengono poi montate su stampi/macchine già in nostro possesso. Grazie alla tecnologia ottimizziamo costi, tempi e manodopera». Quali sono stati gli ultimi investimenti portati avanti dal Mollificio Co.m.af in termini di macchinari e tecnologie? «Gli ultimi macchinari su cui abbiamo investito sono stati quelli acquistati a gennaio e dicembre 2011, n° 2 avvolgitrici a controllo numerico per la lavorazione del filo delle molle. Anche in un settore come il nostro, investire nella tecnologia è la strategia migliore per fronteggiare la crisi e rimanere competitivi. Infatti, per rispondere alle esigenze del mercato, che chiede molle sempre meno costose, è necessario che la fabbricazione sia rapida e porti a ottenere prodotti poco cari e molto flessibili ed efficienti; l’unico sistema possibile per soddisfare tali richieste è quello di investire nell’aggiornamento dei propri macchinari». Ci sono stati cambiamenti rilevanti negli ultimi anni nel vostro settore? «Il cambiamento più importante riguarda la diminuzione di applicazioni per il nostro prodotto, ovvero oggi alle molle sono preferiti altri materiali e altri sistemi. Ne è un esempio concreto il materasso, che non viene più realizzato a molle, ma in lattice».



ENERGIA

Dal Casentino, un modello di sviluppo nel settore energia Cresce considerevolmente il gruppo CEG, grazie soprattutto a una serrata politica di internazionalizzazione e diversificazione produttiva. Le prospettive future della società, direttamente dalle parole del suo amministratore, Uberto Canaccini Filippo Belli

egli ultimi dieci anni ha saputo comprendere, prima di tanti altri, le esigenze dei mercati in via di sviluppo. E proseguendo su questa strada, CEG Elettronica Industriale S.p.A. , si conferma come uno dei marchi italiani più importanti e riconosciuti a livello internazionale, nell’ambito delle infrastrutture energetiche. Non più solo costruzione di gruppi statici di continuità, che rimane comunque il core business della società di Bibbiena Stazione, in provincia di Arezzo, ma anche pacchetti completi di prodotti e servizi, nel settore elettrico, tali da consentire una sempre maggiore potenzialità introduttiva nei confronti di grandi committenze internazionali. Il gruppo è da anni il fornitore preferenziale delle più importanti società di ingegneria e produzione, oramai in ogni parte del mondo. Con un notevole tasso di crescita e con un portafoglio ordini che già

N

Uberto Canaccini, amministratore unico della Ceg Elettronica Industriale di Bibbiena Stazione (AR) www.cegelettronica.com

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le garantisce, ad oggi, un incremento minimo del 17 per cento rispetto al precedente 2011, a sua volta cresciuto del 15 per cento rispetto al 2010. Questa importante realtà dell’economia casentinese si appresta a effettuare ulteriori investimenti strutturali, dopo che alla fine dello scorso anno è stato inaugurato il nuovo insediamento produttivo in Loc. Ferrantina Bibbiena (AR), che con i suoi 10mila mq. si va ad aggiungere ai 13mila mq. della sede storica della società, in Via Nave, sempre a Bibbiena. Con questo ulteriore potenziamento la CEG potrà puntare a un’ulteriore crescita e poter razionalizzare la sua organizzazione interna. Soprattutto, la società intende portare avanti nuove strategie al fine di consolidare ulteriormente la propria competitività oltre i confini nazionali. A parlarne è direttamente il suo amministratore, Uberto Canaccini. «L’aumento del fatturato registratosi nel corso del 2011 è certamente significativo, specie se si considera il momento economico particolarmente critico – sottolinea Canaccini –. A questo si aggiunga il fatto che, per il nostro tipo di attività, risulta assai difficile fare programmazioni a lungo termine. Ma non possiamo dormire sugli allori, dobbiamo sempre pensare a nuove strategie e puntare sulla crescita, non possiamo fermarci, chi oggi pensasse di galleggiare e vivere sul passato si sbaglia di grosso, occorre occupare nuovi mercati nel mondo e diventare sempre più azienda di rife-


Oltre che sulla realizzazione di centrali elettriche, lavoriamo molto con il settore Oil&Gas. Sta a noi il riuscire a captare le opportunità in tutte quelle aree in cui vi è una grande richiesta di prodotti e di contenuto tecnologico

rimento nel proprio settore e per questo si deve pensare al mondo come a un unico grande mercato». Qual è stata, a suo parere, la strategia alla base di questa crescita? «Sicuramente l’internazionalizzazione della nostra società. È stata la chiave fondamentale. Ma non soltanto da quando è scoppiata la crisi. Da oltre 15 anni, abbiamo compreso che il mercato non è più solamente quello italiano né tantomeno quello europeo e, come è avvenuto per altre aziende italiane, senza l’aiuto da parte di istituzioni varie, abbiamo iniziato a girare il mondo, inanellando insuccessi, ma anche scoprendo nuovi clienti, nuovi settori e proseguendo nella nostra crescita». A quali aree si riferisce? «Oltre al Medio Oriente, che rappresenta uno dei nostri mercati storici,oggi la nostra attenzione è concentrata su aree quali l’Est Europa, ci spingiamo fino a nazioni dell’ex Unione Sovietica, come Kazakhstan, Uzbekistan, Turkmenistan e la stessa Russia. Nel continente Africano, è da privilegiare la fascia del Maghreb, con particolare interesse ai nuovi investimenti programmati in Libia, ma anche Algeria e Tunisia sono paesi interessanti. Sempre in Africa, dobbiamo ulteriormente consolidare la nostra presenza in Nigeria, Uganda e Sudafrica. Molto interessante è il mercato Sudamericano, a tal proposito penso che il Brasile rappresenti la

prossima grande scommessa da vincere. Si tratta di un Paese che punta moltissimo al suo sviluppo, e questo processo verrà trainato anche da eventi come i campionati mondiali di calcio e le Olimpiadi. Il punto è semplice, si tratta di intercettare quell’esigenza di rinnovo infrastrutturale e tecnologico di questi territori». Semplice, ma evidentemente non scontato. «Credo fermamente che un imprenditore, oggi, non possa lavorare con lo sguardo abbassato. Dobbiamo iniziare a osservare il mondo al di là del nostro naso, specie in un momento di crisi come quello attuale. Se non c’è lavoro in Italia o in Europa, non significa che non ce ne sia da altre parti. Sta a noi il riuscire a comprendere e prevedere le opportunità in tutte quelle aree in cui è prevedibile e sostenibile uno sviluppo». Per cui andare a vendere all’estero. Ma così non si rischia di incontrare una forte concorrenza, da parte di produttori dislocati in paesi low cost? «Noi come CEG produciamo sistemi di continuità destinati a grandi complessi industriali, realizzati custom, cioè seguendo integralmente le specifiche tecniche di impianto, non siamo produttori di gruppi di serie, pertanto la nostra concorrenza è necessariamente qualificata e principalmente europea. È vero che alcuni nostri concorrenti hanno delocalizzato le loro produzioni, in paesi dove potevano spuntare costi di manodopera molto inferiori alla media euro- TOSCANA 2012 • DOSSIER • 99


ENERGIA

UN’EVOLUZIONE GLOBALE L’evoluzione di un gruppo dall’anima spiccatamente internazionale. Da una piccola realtà nata negli anni Settanta, alla grande Spa dei giorni nostri a storia della CEG, azienda del settore elettrico, è stata caratterizzata in ogni sua tappa evolutiva da una spiccata creatività progettuale, combinata con l’attitudine alla risoluzione dei problemi e la tendenza ad anticipare le esigenze del futuro. Queste caratteristiche distintive dell’azienda si sono concretizzate in una costante ricerca dell’efficienza delle soluzioni proposte e si sono consolidate in una posizione di importante fornitore per le più grandi società di ingegneria e produzione del settore energia, sia italiane sia internazionali. Dalla fondazione nel 1976, l’azienda è cresciuta enormemente, fino ad approdare nel 2003 alla costituzione come società per

L

azioni e alla nascita nel 2008 di CEG Group. «Questa trasformazione societaria e l’internazionalizzazione – come spiega l’amministratore, Uberto Canaccini –, con lo sviluppo di vari punti di riferimento commerciali ha contribuito a dare ulteriore slancio alle azioni volte a incrementare il nostro volume d’affari, conquistando quote di mercato, sia in Italia che all’estero. E questo nonostante il momento di recessione complessiva». La produzione di CEG è veramente completa. La costruzione dei sistemi statici di continuità in corrente alternata e continua, è arricchita da dispositivi per il controllo delle batterie stazionarie e soluzioni dedicate per la risoluzione di qualsiasi problematica

pea, ma a mio parere questa strategia è superata.

È già stato dimostrato che, comunque, i costi per seguire la qualità del prodotto e l’organizzazione produttiva a grandi distanze dalla sede principale, a volte non compensano i bassi costi della manodopera. Certamente tutto questo vale se vogliamo costruire prodotti di qualità e personalizzabili. Se uno, al contrario, è interessato alla grande serie per uso civile, allora la visione di insieme cambia radicalmente. Io credo comunque che stiano cambiano le politiche

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di impianto. I prodotti di CEG sono in grado di assicurare la continuità nell’alimentazione elettrica di utenze privilegiate e apparati di processo, installati nei grandi impianti industriali, quindi chimici e petrolchimici, centrali elettriche, gasdotti e piattaforme off shore, raffinerie, oltre che nelle reti di telecomunicazione. Le spiccate doti manageriali della dirigenza della società hanno costruito nel tempo il successo di CEG, attraverso investimenti mirati e grazie alla capacità di raggruppare uno staff tecnico-ingegneristico che vanta una lunga esperienza nel settore elettrico e che si dimostra costantemente capace di interpretare le nuove esigenze del mercato.

complessive di mercato, non ci possiamo più limitare alla vendita dei nostri prodotti, perché oramai è consolidata la strategia, da parte delle nazioni in via di sviluppo, di privilegiare i costruttori locali, al fine di garantire una ricaduta economica e in maniera indotta un trasferimento tecnologico. In conseguenza di ciò, deve cambiare la strategia dei produttori, non più cercare di delocalizzare alla ricerca del minor costo di produzione, ma creare delle società con capitale misto, residenti nelle aree interessate dallo sviluppo, puntando ai benefici indotti dal fatto di risultare società residenti e formando personale tecnico locale. Le nostre imprese devono essere in grado di fare parte di quel tessuto industriale locale e accompagnare la crescita dei paesi con maggiore tasso di sviluppo». Alcuni suoi colleghi potrebbero controbattere, però, dicendo che la delocalizzazione non fa bene al nostro sistema. «Ma questa è una visione limitata. Non si tratta di smantellare il lavoro in Italia trasferendolo in toto all’estero. Si tratta, invece, di creare siner-


Uberto Canaccini

gie e connessioni più solide con i committenti e i partner stranieri. Non basta costituire una società all’estero, bisogna anche produrre localmente. So che può apparire come un paradosso, ma questo è il solo modo per garantire la sopravvivenza e lo sviluppo delle nostre aziende in Italia». Come? «Creando un collegamento produttivo fra la sede principale in Italia e le altre società di produzione all’estero. In altre parole, così come è appurato che dobbiamo vedere il mondo al pari di un unico mercato, allo stesso modo dobbiamo considerare le nostre aziende estere facenti parte di un unico gruppo produttivo. In questo modo in Italia produrremo sottoassiemi e componenti che saranno poi montati dalle società estere, le quali, localmente, completeranno la costruzione dei nostri sistemi producendo le parti meno pregiate e tecnologiche. L’obiettivo, secondo me, deve essere rendere le nostre imprese centro nevralgico per l’innovazione e la qualità». Quanto investite in ricerca e sviluppo? «Una parte considerevole dei nostri introiti. Vantiamo anche numerose collaborazioni con atenei italiani e stranieri. Certo, purtroppo in Italia risulta difficile creare connessioni concrete tra realtà industriale e mondo universitario, questo è un gap che ci portiamo dietro da tempo e che ci fa perdere punti in termini di competitività nel mondo. Sono anni che noi imprenditori chiediamo una seria riforma da parte delle istituzioni e del Governo. Ad ogni modo io credo moltissimo nel potenziale di questo modus operandi. CEG, nel suo ambito, mira a diventare un punto di riferimento internazionale per tutti quei tecnici che vogliono osservare da vicino e approfondire le nostre innovazioni. Mettendo anche in connessione, perché no, diverse università, italiane e straniere, creando un confronto empirico sostenibile grazie alle nostre strutture ed eccellenze aziendali. Io vorrei che la nostra sede principale in Italia diventasse nel tempo un centro di eccellenza, dove si effettua ricerca, si producono nuovi sistemi e parti tecnologi-

camente avanzate e vitali dei nostri gruppi, si fa formazione a personale italiano ed estero, si organizzano convegni aperti a tutti gli operatori esteri: società di ingegneria, clienti finali, organi di governo. Quindi CEG dovrà diventare la capogruppo di un numero di aziende estere controllate, le quali si riferiranno a lei, garantendo un tasso di sviluppo per le società straniere e per la nostra azienda in Italia».

Dunque lei è più per il trasferimento tecnologico che per il protezionismo del know how industriale? «È il mondo che ce lo chiede. Quando dico che è importante aprire società direttamente all’estero, lo faccio proprio perché i governi locali chiedono questo coinvolgimento da parte dei costruttori europei. È oramai un processo avviato, non possiamo opporci al progresso, ma assecondare le scelte dei paesi in via di sviluppo. Io credo inoltre che questa aspirazione, da parte delle nazioni in via di sviluppo, di poter contare su produzioni locali e quindi avviare quel processo industriale di crescita, che noi europei abbiamo vissuto a partire dagli anni Cinquanta, sia una aspirazione giusta e legittima. È inutile opporsi a tutto questo, temendo di poterci trovare nuovi concorrenti, il segreto sarà proprio quello di sapersi integrare nelle politiche di sviluppo dei paesi esteri, facendone parte, dovremo in altre parole veramente diventare cittadini del mondo». TOSCANA 2012 • DOSSIER • 101


ENERGIA

Lei ha più volte affermato che, al di là della qualità dei vostri impianti, è il servizio a fare la differenza. «Certamente, è fondamentale essere dei partner ancora prima che dei fornitori. In qualunque parte del mondo dobbiamo renderci disponibili per garantire assistenza, consulenze tecniche e per dare i nostri suggerimenti. Le tecnologie e i sistemi che andiamo a installare sono altamente complessi. Il nostro piano di investimenti prevede di rafforzare il settore service, già a oggi molto sviluppato, con un numero consistente di tecnici, disponibili a recarsi in ogni parte del mondo per attivare i nostri sistemi. Sempre secondo lo spirito di internazionalizzazione, abbiamo un programma per sviluppare uffici all’estero destinati al servizio post vendita e per le attività di manutenzione programmata ai nostri gruppi». Negli ultimi anni avete continuato a diversificare l’offerta e i target di riferimento. Quali settori vi stanno garantendo le migliori performance di business? «Oltre ai settori storici di interesse, come Oil

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& Gas, Petrolchimico e Centrali elettriche, siamo molto interessati al settore ferroviario e a quello delle energie rinnovabili. Ma quello che vogliamo fortemente è potenziare CEG Group , sviluppare cioè un insieme di aziende Italiane fra loro sinergiche, offrendo ai grandi committenti internazionali pacchetti sempre più completi di prodotti e servizi nei settori elettrico e meccanico. La nuova strategia dovrà essere anche quella di proporre impianti chiavi in mano, non fermandoci più alla vendita di componenti facenti parte di impianti». Nel 2013 la CEG festeggerà i suoi primi dieci anni da Società per azioni. Quale bilancio può trarre? «Il passaggio alla SpA è stato fondamentale. Soprattutto, ha rappresentato la risposta alle esigenze di crescita finanziaria e strutturale dell’azienda. In questo periodo abbiamo decuplicato il nostro fatturato e abbiamo convinto sempre di più, cosa tutt’altro che scontata, il mondo bancario. Inoltre è stato un riconoscimento importante, dopo tanti anni di sacrifici e duro lavoro, poterci proiettare in un modello di azienda diverso, permettendoci di operare pensando sempre in grande, con lo sguardo rivolto al futuro. Oggi sarebbe impensabile crescere senza concentrarsi sulla continua ricerca di nuovi settori e mercati, ma soprattutto senza comprendere le mutate e rapide esigenze dei mercati mondiali».



IL SETTORE PETROLIFERO

Carburanti, servono nuove linee guida Contenimento dei prezzi dei prodotti. Ampliamento dell’offerta. Trasparenza degli approvvigionamenti. Maggiore semplificazione per gli operatori del comparto. Queste le necessità e le speranze del settore petrolifero. Ne parla Stefano Fani della Nova Petroli Emanuela Caruso

ono le difficoltà incontrate dallo Stato e dalla clientela a rappresentare le maggiori criticità con cui devono fare i conti le aziende del settore petrolifero». Con queste parole Stefano Fani sintetizza la situazione attuale di un comparto che da sempre si caratterizza per continui mutamenti di contesto locale, nazionale e internazionale. Ed effettivamente nello Stato e nella committenza si riconoscono le due facce di una stessa medaglia. Da una parte c’è lo Stato, che essendo alla costante ricerca di introiti per consolidare la finanza pubblica, ha permesso al prezzo dei prodotti petroliferi di essere costituito per il 60 per cento da tasse e imposte, portandolo così a un’ascesa giornaliera; dall’altra ci sono i clienti, costretti a far fronte a costi sempre più elevanti e persi tra le complicate dinamiche di una crisi economica e finanziaria di cui ancora non si intra- le quali anche la società di cui Stefano Fani è sovede la fine. È in mezzo a queste due parti che si cio: la Nova Petroli, impresa impegnata nella collocano le aziende protagoniste del settore, tra commercializzazione di prodotti petroliferi e cisterne d’avanguardia. «Le realtà come la nostra – spiega Stefano Fani – hanno il difficilissimo compito di tenere monitorata la clientela, cercando di trovare il giusto punto di incontro tra questa e le esigenze e incertezze del mercato. Oggi, è quasi impossibile individuare una parte forte e una parte debole all’interno dei meccanismi del settore petrolifero, ragion per cui è necessario mantenere una buona quota di mercato cogliendo le necessità degli utenti e adattando la gestione della società alle evoluzioni del comparto».

«S La sede della Nova Petroli si trova a Calenzano (FI) www.novapetroli.it

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Stefano Fani

Ben consapevole delle problematiche del ramo in cui è inserita, la Nova Petroli lo è altrettanto delle soluzioni che andrebbero prese per risollevare la situazione. «Il metodo migliore per sostenere il settore petrolifero sarebbe quello di combinare l’allentamento della pressione fiscale sul prezzo dei prodotti al sostegno di una corretta concorrenza tra le imprese, senza ricorrere a soluzioni occasionali o temporanee, ma stabilendo delle linee guida definitive. È indispensabile, per esempio, che i prezzi vengano fissati in un mercato concorrenziale e non come succede adesso sulla base di un piano volto a massimizzare solo i profitti di alcuni imprenditori. Per riuscire in questo intento e gestire, così, in maniera corretta

conquistare la fiducia del bacino d’utenza, che trova in noi un partner capace di soddisfare ogni sua esigenza». E sono i risultati a dare ragione alle parole di Stefano Fani, che anche nel corso dell’ultimo anno ha potuto registrare un bilancio senza dubbio positivo. «Nel 2011, sia i fatturati che i volumi produttivi sono di molto aumentati. Inoltre, abbiamo raggiunto un traguardo davvero importante in un periodo di stallo come quello che stiamo vivendo, siamo cioè riusciti a mantenere sul mercato quel ruolo primario che abbiamo guadagnato sin dal 2005, anno di fondazione dell’impresa, nata dalla fusione di due società come la Fratelli Fani e la Bruno Pratelli. Per adattare la nuova azienda agli assetti del set-

È necessario migliorare il livello di efficienza e competitività dell’industria petrolifera italiana ed europea

l’evoluzione in atto negli equilibri dei mercati petroliferi nazionali e mondiali, è necessario migliorare il livello di efficienza e competitività dell’industria petrolifera italiana ed europea». Proprio grazie a questa chiara visione dei fattori in gioco, la Nova Petroli, sita a Calenzano, in provincia di Firenze, e attiva in tutta la Toscana, è riuscita a piazzarsi e poi a mantenere la posizione tra le principali aziende del comparto. «Attraverso la puntualità nei rifornimenti, l’apertura con orario continuato, la regolare reperibilità e prodotti in grado di coprire svariati settori, quali l’ingrosso, l’industria, l’autotrasporto, il ramo statale, l’agricoltura, il privato e l’edilizia, siamo riusciti a

tore sono occorsi grandi sforzi, tra cui quello più rilevante ha riguardato la decisione di reinvestire nella società tutti gli utili maturati negli anni, portando avanti un’intensa politica di capitalizzazione. Nell’ultimo anno, siamo stati finalmente ripagati di tutto il nostro lavoro». Anche per il prossimo futuro la Nova Petroli conta di procedere verso il miglioramento e il raggiungimento di nuovi obiettivi. «Abbiamo intenzione di utilizzare quanto di positivo ha ottenuto finora l’azienda per spingerci a innovare tecnologicamente ogni profilo della sua struttura, dall’approvvigionamento ai trasporti, passando per la gestione della clientela». TOSCANA 2012 • DOSSIER • 105


SICUREZZA

Garantire la sicurezza nelle imprese Impianti di sicurezza affidabili e durevoli. C’è una semplice regola, descritta da Arcangelo Tonioni, per essere competitivi nel mercato dei sistemi di protezione Lodovico Bevilacqua

sistono tanti parametri di competitività, condivisi da diversi settori; esiste tuttavia anche una condizione di esercizio del proprio business che esula dalle logiche del mercato, ovvero la sicurezza. Svolgere in circostanze di sicurezza garantita la propria attività, proteggerne i prodotti derivanti e l'incolumità dei lavoratori, costituiscono irrinunciabili condizioni di serenità e dunque di produttività. Considerabile come un investimento necessario, l'allestimento di un affidabile sistema di protezione per la propria merce è spesso demandato a professionisti del settore, specializzati tanto nella progettazione quanto nell'installazione di impianti di sicurezza. Arcangelo Tonioni, fondatore e titolare dell’aretina Cemit, insiste sulla complessità del servizio offerto: «Le competenze necessarie a realizzare un sistema di sicurezza affidabile ma non invasivo sono molteplici e mutuate dai settori applicativi

E

Arcangelo Tonioni, titolare della Cemit Srl di Arezzo, insieme alla figlia Valentina www.cemitonline.com

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più diversi; solo grazie a tali competenze, maturate nel corso di molti anni, si è in grado di adeguare i propri prodotti e le proprie istallazioni a condizioni operative, logistiche, di spesa, anche molto diverse tra loro». Come siete riusciti a sviluppare competenze abbastanza ampie da assolvere a questa difficile condizione? «Con l'esperienza. Nei quasi quarant'anni di storia aziendale abbiamo investito in formazione e innovazione e stretto rapporti di collaborazione con numerosissimi clienti, studiando per loro le soluzioni più efficaci e affidabili. Ci adoperiamo per offrire un sistema di sicurezza onnicomprensivo e chiavi in mano che soddisfi tutte le esigenze, dalla sicurezza delle casseforti e dei bunker alla salvaguardia delle merci di valore esposte al pubblico, fino alla protezione dell'intero edificio dove si svolge l'attività commerciale o produttiva del cliente. Il raggiungimento di questo obiettivo ci ha portato a sviluppare competenze multi-settoriali che sfruttiamo per offrire un servizio unico». La longevità della Cemit e l'aggiornamento e il dinamismo richiesti dal mercato dei sistemi di sicurezza non sembrano costituire una dicotomia? «Tutt'altro. In questo settore dinamismo e ricerca di sempre diverse soluzioni devono sposarsi con esperienza e conoscenza dei requisiti delle diverse applicazioni: senza aggiornamento costante non riusciremmo a vincere le continue nuove sfide che pone un settore in evoluzione,


Arcangelo Tonioni

quello della sicurezza, ma senza esperienza non faremmo prodotti affidabili ed efficaci senza intralciare l’attività commerciale o produttiva del committente. Per questo, ai miei tecnici più esperti ho affiancato forze giovani, tra cui mia figlia Valentina, che fanno di Cemit un'azienda da più di trent’anni nel settore della sicurezza, ma con un'età media inferiore a trentasette anni». Quali sono le diverse richieste avanzate dalla clientela? «Noi progettiamo e installiamo sistemi di protezione per una gran varietà di settori e se all'inizio, appartenendo a uno dei distretti orafi più importanti d'Italia, ci siamo specializzati nello studio di impianti e prodotti rivolti a quel settore, nell'ultimo decennio abbiamo maturato esperienza nella grande distribuzione (chiusura controllo e gestione accessi su locali prelievo, bunker, riserve sensibile e aree hi-tech) e in aziende specializzate in trasporto e trattamento valori (chiusura controllo e gestione accessi su sale conta e caveau). Per la natura di queste attività, dobbiamo garantire condizioni di massima sicurezza e sistemi apprezzabili anche dal punto di vista della semplicità di utilizzo e del design . Per questo motivo mettiamo a disposizione anche le competenze di un architetto, per creare soluzioni che, pur nella to-

Le attività che propendono per l'installazione di un sistema di sicurezza sono molteplici, afferenti ai settori più diversi

tale efficienza, risultino non invasive, ma esteticamente gradevoli ed eleganti». Qual è il contributo offerto allo sviluppo del mercato dei sistemi di protezione? «Alcuni nostri prodotti hanno fortemente innovato il panorama della sicurezza italiano. Cito due esempi, uno consolidato, l'altro più recente, ma che sta riscuotendo un grande successo. Il primo è rappresentato dalla serratura oleodinamica SIA 82: famosa per duttilità e affidabilità, è un vero e proprio sistema automatico con elettronica integrata, per anni all'avanguardia nell'ambito del serramento di alta e altissima sicurezza, nonché capostipite di una generazione di brevetti diffusi e apprezzati, dalle serrature oleodinamiche ed elettromeccaniche ai sistemi di controllo e gestione in sito o in remoto. Il secondo è il sistema di chiusura e controllo Quickblock\Roteoblock: ultimo nato in casa Cemit, offre uno straordinario livello di sicurezza e affidabilità in un case esteticamente non invasivo e adatto alle diverse condizioni operative; è la soluzione ideale per espositori, vetrine, cassetti di gioiellerie e aree hi-tech».

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METALLI PREZIOSI

I mercati investono sul recupero dei preziosi È sempre più rilevante il business legato al recupero delle materie prime pregiate. Andrea Squarcialupi spiega perché questo modello di industria, che si rivolge al mercato internazionale, ha anche un ruolo importante nello sviluppo ecosostenibile Luca Cavera

a crisi economica, da una parte, e la progressiva erosione della disponibilità di materie prime, dall’altra, stanno rendendo sempre più importante il business del recupero. Questo non riguarda soltanto i materiali della raccolta differenziata che quotidianamente viene svolta dalle famiglie, bensì anche i metalli e il sottosettore dei metalli preziosi. Una delle aree geografiche italiane tradizionalmente più attive in questo ambito è quella aretina, sede di un distretto industriale orafo e argentiero fra i più importanti nel mondo. È in questo territorio che hanno sede gli stabilimenti della Chimet, industria chimica specializzata nel

L Fasi di lavorazione dei metalli negli stabilimenti della Chimet Spa che ha sede a Badia al Pino (AR) www.chimet.com

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recupero e nell’affinazione dei metalli preziosi e nella preparazione di prodotti di chimica fine a base di oro, argento, platino, palladio, rodio, rutenio e iridio. Pur conservando una gestione sostanzialmente familiare, la società – che oggi è guidata dall’amministratore delegato Andrea Squarcialupi e dal presidente Sergio Squarcialupi – ha sviluppato le proprie attività di business in tutti i mercati del mondo e in particolare in quelli asiatici, affiancando alla spinta verso l’internazionalizzazione quella verso la diversificazione. Come spiega Andrea Squarcialupi, direttore marketing dell’azienda: «I nostri partner sono rappresentati tanto dagli artigiani che operano nel comparto orafo, quanto dalle grandi multinazionali del settore automotive, fino alle aziende chimiche e petrolchimiche. Questo è il merito di una lungimirante strategia di diversificazione che ci ha permesso nel corso degli anni di estendere la nostra azione dalle sole attività di recupero e affinazione fino alla produzione di catalizzatori, paste serigrafiche e prodotti chimici. L’implementazione del core business originario – nato per soddisfare le esigenze del distretto orafo di Arezzo e che consisteva nel recupero dei residui e degli scarti delle lavorazioni industriali contenenti metalli preziosi – è stata adottata allo scopo di mantenere ben salda, e possibilmente accrescere, la vocazione internazionale dell’azienda».


Andrea Squarcialupi

Grazie a una forte dotazione di know how ed esperienza, ai notevoli investimenti in ricerca scientifica e tecnologie e alla costante collaborazione con università, centri di ricerca ed enti pubblici, Chimet si è strutturata in cinque divisioni: Recupero e affinazione, Catalizzatori, Film Spesso, Ecologia e Prodotti chimici. «Nello stabilimento di Badia al Pino – prosegue Squarcialupi – riceviamo gli scarti di differenti attività industriali. Questi comprendono ceneri, polveri, fanghi, verghe, liquidi, rottami, catalizzatori, marmitte catalitiche e anche scarti dell’industria fotografica, di quella elettronica e di quella galvanica. Prima dell’avvio del processo di recupero vero e proprio,

I nostri lingotti di oro, argento, platino e palladio sono stati classificati Good Delivery dalla London Bullion Market Association

sottoponiamo questi eterogenei materiali in ingresso ad analisi e test che hanno l’obiettivo di determinare la percentuale di contenuto di metalli preziosi e inoltre – nell’interesse dell’azienda che ha inviato gli scarti e in un’ottica di rispetto dell’ambiente – l’eventuale presenza di sostanze inquinanti. Superata questa fase preliminare si avvia il processo di affinazione che è composto di una serie di passaggi chimico-metallurgici che ci consentono, attraverso l’impiego di sistemi e tecnologie di ultima generazione, di recuperare i metalli con la migliore resa possibile». Completate ulteQUOTA DI riori verifiche ambientali e il campionamento, MERCATO gli sfridi vengono così infine trasformati nuoNel mercato vamente in lingotti, verghe e prodotti finali a europeo, marchio Chimet. «I nostri prodotti sono doChimet Spa è fra i principali tati di certificati di qualità e garanzia del titolo soggetti per la universalmente riconosciuti. Per fare un esem- produzione di paste d’argento pio, grazie alla qualità dei nostri processi di laper lunotti termici vorazione – garantiti anche dal certificato Iso 9001 –, i nostri lingotti di oro, argento, platino e palladio sono classificati Good Delivery dalla London Bullion Market Association. Il

50%

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METALLI PREZIOSI

nostro banco metalli tiene quotidianamente sione né spreco di materie prime o danni per relazioni commerciali con tutto il mondo, fornendo un servizio su misura a ogni acquirente e rispondendo alle necessità di approvvigionamento della clientela italiana e internazionale, grazie al monitoraggio real time dei fixing nelle diverse borse mondiali». Il processo, completamente integrato dal punto di vista produttivo e commerciale, portato avanti dall’azienda sulla base della filosofia del recupero a ciclo chiuso e completo, garantisce un eccellente servizio alle imprese nel pieno rispetto delle normative ambientali. «Lavorando a ciclo chiuso, la trasformazione degli scarti in prodotti nobili e metalli preziosi viene infatti effettuata senza alcuna disper-

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l’ambiente. Questo ciclo viene poi integrato dalle attività di smaltimento, tramite avanzatissimi impianti di abbattimento dei fumi, delle polveri e di depurazione delle acque. Sotto questo aspetto, la nostra azienda ha anticipato le più severe normative internazionali, affiancando alla certificazione Uni En Iso 9001 quella Uni En Iso 14001 e dotandosi di un patrimonio in risorse umane che presenta quasi cinquanta addetti fra laureati, tecnici e periti chimici e fisici, coadiuvati dalle ultime frontiere tecnologiche e da una rete informatica capace di gestire e di monitorare ogni processo produttivo». La spinta all’internazionalizzazione ha trovato nel recupero delle marmitte catalitiche e nella produzione di catalizzatori destinati alle industrie chimiche e farmaceutiche un’eccezionale piattaforma di sviluppo. «La nostra produzione relativa a quella tipologia di articolo, in alcuni settori di nicchia, oggi rappresenta quasi il trenta per cento dell’intero mercato mondiale. I catalizzatori sono un altro dei frutti della nostra strategia di diversificazione. Nello stabilimento di Viciomaggio produciamo catalizzatori eterogenei a base di metalli preziosi, ma anche sali e complessi per la catalisi omogenea. Disponiamo di oltre trenta diversi test fisici, chimici e di attività catalitica per la caratterizzazione dei catalizzatori freschi ed esausti. In più siamo in grado di produrre catalizzatori tailor made, esclusivi e garantiti per rispondere alle peculiari esigenze di ogni singolo processo produttivo dei nostri partner». La possibilità di velocizzare e sburocratizzare ogni decisione, dovuta al carattere familiare dell’azienda, ha reso Chimet una realtà particolarmente duttile e competitiva, permettendole di adattare ogni offerta nell’ottica della massima customer satisfaction. «Riguardo al Film spesso, la nostra specializzazione ha permesso di collocarci fra i principali soggetti europei nella produzione di paste d’argento per lunotti termici, con una quota, nel mercato


Andrea Squarcialupi

L’IMPRESA E LA RICERCA FANNO SISTEMA a missione di Chimet è chiara e precisa: recuperare e affinare metalli preziosi dagli scarti delle lavorazioni industriali, in modo da agevolarne il riciclo nella produzione di catalizzatori, film spesso e prodotti chimici. Al contempo, l’azienda si impegna a smaltire con la massima attenzione e nel rispetto delle normative vigenti in materia di rispetto dell’ambiente gli scarti che derivano dai processi di recupero. I laboratori di analisi e research & development della società sono giunti a perfezionare innovazioni tecnologiche che hanno migliorato i processi di produzione e sono diventati una garanzia per i partner e un punto di forza per lo sviluppo sui mercati. Il processo di estrazione può durare dai tre giorni fino a qualche settimana e permette a Chimet di recuperare e affinare tonnellate di

L

europeo, maggiore al cinquanta per cento. Si tratta sospensioni di speciali polveri metalliche in mezzi organici. Oggi la gamma dei prodotti comprende anche paste d’argento decorare vetri e ceramiche, polveri d’argento per mole diamantate e contatti sinterizzati, paste d’argento e alluminio per celle fotovoltaiche in silicio. Il settore fotovoltaico merita, poi, una menzione particolare. La nostra azienda è stata una delle prime aziende in Europa a produrre paste serigrafiche per celle solari a metà anni ottanta. Si tratta di prodotti che vengono stampati su wafer di silicio opportunamente trattati. Questi permettono alla corrente elet-

metalli preziosi – fra i quali oro, argento, palladio, platino, rodio, rutenio e iridio –, ricavandoli dagli scarti delle industrie elettroniche, fotografiche, galvaniche, farmaceutiche, chimiche, petrolchimiche e orafe. Alla base di questa attività sta l’idea che disperdere materiale di scarto nell’ambiente non è solo incivile, ma anche antiproduttivo. Per questo Chimet, precorrendo i tempi, ha avviato collaborazioni con università e centri ricerca, investendo nello sviluppo e nella tecnologia. I dati ricavati all’interno della produzione vengono poi trasferiti ai centri di ricerca universitari, che li utilizzano per la redazione di modelli di compatibilità ambientale tra industria e territorio, contribuendo così a sostenere le azioni per uno sviluppo sostenibile.

trica, prodotta dall’energia solare, di poter fluire nella rete. Chimet si colloca pertanto a monte della filiera del fotovoltaico e ha dato un contributo di elevato contenuto tecnico alla generazione di energia pulita». Quest’ampia produzione è completata dalle attività dello stabilimento di Badia al Pino, nel quale Chimet produce sali di metalli preziosi a elevato grado di purezza, rivolti alle industrie orafe, alla produzione di catalizzatori, alle aziende galvaniche ed elettroniche – disponibili oltre che nei formati standard, anche in soluzioni personalizzate sulla base dei parametri indicati dai partner. TOSCANA 2012 • DOSSIER • 111


STILE ITALIANO

La conceria italiana domina il mercato del lusso on una crescita del 30 per cento, nel 2011 le esportazioni si sono confermate la voce di fatturato fondamentale per la pelletteria italiana. Al contrario, il mercato interno ha continuato a frenare, registrando un meno 3,3 per cento (fonte ufficio studi Aimpes). Questi prodotti made in Italy hanno come destinazione il mercato del lusso internazionale, nel quale lo stile italiano rappresenta tuttora un’importante opportunità di sviluppo, con trend di vendita sostanzialmente non intaccati dalla crisi economica, come dimostra l’incremento dei livelli produttivi e di fatturato, per un giro d’affari valutato intorno ai 4,5 miliardi di euro per l’anno

C

Una delle costanti di questi anni di crisi, per il settore della moda made in Italy, è la conferma del lusso come fascia di mercato strategica. Un esempio su tutti è la pelletteria di fascia alta, che nel mercato interno continua la sua frenata, mentre crescono i fatturati registrati sui mercati internazionali. Ne parliamo con Fabrizio Nuti Valerio Germanico

scorso. Al contrario, nel mercato interno, la fascia media di prodotto soffre, mentre si colloca a parte la commercializzazione di prodotti in pelle di fascia medio-bassa e bassa, che in larga parte derivano da produzioni estere. Parliamo di questi temi con Fabrizio Nuti, presidente e amministratore della conceria Nuti di Santa Croce sull’Arno, conceria che fa parte, insieme alle concerie Everest e Lloyd, del gruppo Finatan. GLI OBIETTIVI INTERNAZIONALI «Per le concerie, oggi, il punto di riferimento fondamentale sono i grandi gruppi del lusso mondiale, che fra italiani e internazionali sono riconducibili ad appena una ventina di nomi, che però garantiscono consistenti possibilità di lavoro. La nostra produzione è orientata principalmente all’estero, fuori dai confini nazionali va infatti l’85 per cento dei nostri prodotti. Naturalmente questi rapporti di partnership vanno consolidati giorno per giorno, dato che questi marchi ci chiedono performance elevatissime».

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Momenti della produzione della conceria Nuti Spa di Santa Croce sull’Arno (PI) www.nutiivo.it


Fabrizio Nuti

LE TRE ANIME DELLA CONCERIA Le tre concerie, Nuti, Everest e Lloyd, si sono specializzate ciascuna in una tipologia di pelle e di lavorazione. «Le tre aziende producono articoli diversi che richiedono competenze, fornitori, macchinari specifici e che prevedono ovviamente partner diversi. Da questo è nata la volontà di strutturare questa articolazione tripartita. Lloyd lavora pellami con concia al vegetale destinati al settore delle cinture. Nuti, invece, realizza pelletteria con concia al cromo, mentre Everest tratta pelli piccole, destinate sia alla pelletteria che alla calzatura». IL TARGET Ciò che accomuna le tre produzioni è l’altissima fascia di mercato alla quale si rivolgono. «Il settore del lusso difficilmente può incontrare momenti di crisi. Per quanto riguarda la nostra attività, negli ultimi cinque, sei anni siamo cresciuti costantemente, raggiungendo quasi il raddoppio del fatturato – questo trend non si è fermato neanche negli anni 2008 e 2009, nonostante la recessione che colpiva tutti gli altri settori produttivi. A conferma del proseguimento di questo andamento, nel 2011 le tre concerie hanno registrato tutte incrementi a due cifre. Naturalmente questi risultati derivano quasi esclusivamente dall’export, dove troviamo anche condizioni migliori per quanto riguarda tempi e certezze dei pagamenti, che in Italia non hanno invece scadenze definite. L’estero è importante per noi anche per l’approvvigionamento delle materie prime. L’Italia produce appena il 4-5 per cento della quantità di pelli lavorate annualmente dalle concerie nazionali. Per questo motivo noi ci approvvigioniamo in circa 30 paesi, nei quali

Durante il 2011 le nostre tre concerie hanno registrato tutte incrementi di fatturato a due cifre

scegliamo i pellami più adatti per la richiesta di prodotto che riceviamo. Seguendo questo schema e poiché bisogna muoversi sulla base delle esigenze del mercato e sull’acquisto, l’approvvigionamento diventa strategico e va governato sulla base dell’evoluzione delle tendenze della moda». RICERCA E SVILUPPO Se l’approvvigionamento e la qualità della materia prima hanno un ruolo importante TOSCANA 2012 • DOSSIER • 113


STILE ITALIANO

L’approvvigionamento della materia prima è strategico e va governato sulla base dell’evoluzione delle tendenza della moda

nella successiva lavorazione, su questa si con- prodotto, questa è un’attività che ormai centra l’attenzione per i fattori fondamentali di ricerca, sviluppo e innovazione. «Per quanto riguarda la ricerca e lo sviluppo, bisogna distinguere da una parte la ricerca sui processi produttivi e dall’altra quella sui prodotti. La prima è un’attività di maggiore respiro, che ci ha visti coinvolti anche in collaborazione con il dipartimento di chimica industriale dell’università di Pisa. Con questi ricercatori abbiamo lavorato su progetti di processo e per la risoluzione di problemi relativi all’uso di nuove sostanze chimiche con le quali sostituire i prodotti banditi per legge. Abbiamo anche lavorato sul miglioramento dei processi con l’obiettivo di ridurre l’impatto ambientale. Anche perché i costi di depurazione rappresentano quelli più importanti per noi e quindi siamo alla ricerca di processi diversi che ci consentano di abbattere il carico inquinante. Per quanto riguarda, invece, la ricerca e lo sviluppo del

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ha una dimensione pressoché giornaliera. Quotidianamente cerchiamo di creare qualcosa di nuovo e diverso. Ciò è dovuto anche a un cambiamento avvenuto nella strategia commerciale delle griffe per le quali lavoriamo. Fino a tre, quattro anni fa, ogni marchio aveva un prodotto basico che trainava le vendite, e dietro di questo si accodavano i prodotti di minore importanza strategica. Oggi la situazione è completamente mutata, il prodotto trainante non esiste più, al contrario, ogni mese – mentre prima ciò avveniva più o meno a cadenza stagionale – viene presentato qualcosa di nuovo. Per questo motivo, la nostra ricerca sul prodotto ha tempi di elaborazione molto più ridotti rispetto a un tempo, dato che dobbiamo essere in grado di proporre novità a un ritmo molto più sostenuto – per questo abbiamo un team di persone che si occupa solo di questi aspetti». Altrettanto importante è ottenere un prodotto


Fabrizio Nuti

DIVERSIFICAZIONE DI GRUPPO Santa Croce sull’Arno, territorio da secoli rinomato per l’arte della concia delle pelli, viene fondata nel 1955 da Ivo Nuti – attuale presidente onorario, la conceria omonima. Nei primi anni l’attività produttiva è limitata alla produzione di croste scamosciate per il settore calzaturiero, produzione rivolta interamente al mercato nazionale – in quegli anni in forte espansione grazie al boom economico. Nei decenni successivi l’impresa registra una forte e continua crescita, trasformandosi gradualmente da piccola conceria a vero e proprio punto di riferimento del suo settore. Nel 1970 inizia la specializzazione in pelletteria di lusso e a partire dal 1985 una quota sempre più rilevante della produzione viene destinata ai mercati esteri. Per far fronte alla sostenuta crescita produttiva e al costante aumento delle richieste, vengono avviati via via nuovi stabilimenti produttivi, gestiti da società separate – Lloyd ed Everest –, ma controllate direttamente, che nascono con lo scopo di specializzarsi in tipologie di produzione diverse da quelle della conceria Nuti, con l’obiettivo di coprire la più ampia gamma di classi di prodotto e usufruire di economie e sinergie impensabili in dimensioni di impresa diverse.

A

85% EXPORT

Quota della produzione delle concerie del gruppo Finatan Spa destinata ai principali marchi del lusso internazionale

con caratteristiche di alta qualità ed elevato contenuto tecnico costanti nel tempo, per questo motivo l’intero processo produttivo delle concerie del gruppo Finatan si svolge completamente all’interno dell’azienda ed è costantemente monitorato per rispettare rigorosi standard qualitativi sulla base della certificazione Iso 9001. PROSPETTIVE FUTURE Dopo un quinquennio di crescita importante e un 2011 che ha segnato nuovi record nel settore della pelle, Fabrizio Nuti presenta le prospettive di sviluppo per il 2012: «Sulla base dell’andamento dei primi mesi di quest’anno – ma tenendo in considerazione che il trimestre gennaio-febbario-marzo è il momento di calo fisiologico del settore –, prevediamo per quest’anno di confermare i risultati finora raggiunti e anche il trend di crescita. Gli strumenti che intendiamo utilizzare per proseguire su questo percorso sono

quelli della qualità e dell’innovazione di prodotto. Poco si può fare invece dal punto di vista dell’allargamento del mercato, dato che i più importanti gruppi e i marchi del lusso sono un numero limitato e sono già nostri partner. Questo è il motivo anche per il quale le concerie come le nostre in generale, hanno meno interesse o vantaggio commerciale dalla partecipazione alle fiere di settore. Anche perché le nostre produzioni sono pressoché interamente customizzate sulla base delle richieste dei brand per i quali lavoriamo. Si tratta insomma di produzioni in esclusiva e naturalmente non abbiamo interesse a perdere questa esclusività. La nostra presenza agli appuntamenti fieristici, soprattutto a quelli che si svolgono all’estero, è giustificata però dalla necessità di prendere visione delle scelte degli altri operatori del settore e di stabilire relazioni con produttori esteri con i quali abbiamo attività di collaborazione per l’importazione delle materie prime». TOSCANA 2012 • DOSSIER • 115


STILE ITALIANO

Il valore della sartorialità nella moda uomo Non esiste più una fascia media per l’abbigliamento. La crisi ha creato uno spartiacque netto fra fashion di consumo e abbigliamento e accessori di altissimo livello. Leandro Calugi di Missardi ha scelto la sartorialità e un target cosmopolita Luca Cavera

a crisi economica ha modificato in profondità il mercato della moda e di conseguenza anche le scelte e le proposte di stili e case di moda made in Italy. Il dato più importante è la scomparsa – o quanto meno il ridimensionamento consistente – della fascia media. Mentre nel mercato interno quest’ultima è schiacciata verso la domanda di prodotti di fascia medio-bassa e bassa, l’altro estremo del mercato, quello del lusso, si sposta oltre confine, raggiungendo i mercati del Sud America e del Middle e Far East che oggi sono i protagonisti della maggiore richiesta di lusso a livello globale. Interpretando questa nuova realtà del mercato, Leandro Calugi

L

Leandro Calugi, amministratore insieme al fratello Massimo della Missardi Spa di Lamporecchio (PT) www.missardi.com

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e il fratello Massimo, amministratori di Missardi – azienda toscana che da 37 anni realizza capi in pelle e pelliccia per le grandi firme italiane e internazionali – hanno scelto di proporsi sul mercato con un proprio marchio, realizzando una collezione sartoriale da uomo e accessori total look che hanno battezzato Super Luxury Man e che sarà presentata alla prossima edizione di Pitti Uomo. Qual è la scelta strategica che sta dietro al lancio della vostra collezione? «Nella fascia medio-bassa della moda si assiste a un’agguerrita corsa al ribasso che ha inevitabilmente l’effetto di far crollare il livello della qualità. Noi apparteniamo a quelle generazioni di artigiani italiani dell’abbigliamento che hanno accumulato esperienze decennali nella moda di qualità. In questo momento, per non tradire la nostra storia e allo stesso ottenere il massimo rendimento, non possiamo che rivolgerci a una fascia di mercato alta che sappia apprezzare la qualità della fattura manuale e dei materiali selezionati di un capo made in Italy. Per queste ragioni la nostra scelta strategica non poteva che rivolgersi al mercato del lusso». Quali sono le caratteristiche stilistiche della vostra collezione? «La collezione ha un’impronta elegante, è un’interpretazione dello stile classico con un tocco di freschezza. È caratterizzata da fini-


ture eseguite a mano, cura e ricerca dei tessuti, lavorazioni sartoriali. La manualità è fondamentale quando si vuole proporre un capo che sia unico. Allo stesso modo sono importantissimi i materiali, che comprendono il cashmere, la seta, delle nuove tipologie di lana e poi le pelli di coccodrillo e pitone, le pellicce di visone ed ermellino. Sul mercato esistono già molti articoli di lusso, però ancorati a una versione troppo classica per quanto riguarda lo stile». Super Luxury Man è stata disegnata per un target maturo o anche per uno giovane? «Noi non puntiamo necessariamente a un uomo giovane o a un uomo maturo, bensì in generale a un uomo affermato che voglia vestire il lusso secondo una visione più moderna senza per questo rinunciare alla qualità e all’esclusività di materie prime di altissimo livello. Il nostro è un target internazionale e dalle solide possibilità economiche. Abbiamo un occhio di riguardo soprattutto per i mercati emergenti – come il Brasile, l’India, la Cina, Dubai e il Middle East – e ci stiamo dotando degli strumenti per proporre il nostro prodotto anche in questi paesi, dai quali arriva una richiesta importante di abbiglia-

La nostra collezione ha un’impronta elegante, è un’interpretazione dello stile classico con un tocco di freschezza. È caratterizzata da finiture eseguite a mano, cura e ricerca dei tessuti

mento di lusso e di made in Italy di qualità». Può descrivere le fasi più importanti della produzione dei vostri capi? «Noi facciamo lo stile, la modelistica e la confezione del capo, seguendo tutte le fasi di lavorazione in maniera scrupolosa, quasi maniacale nella cura dei dettagli, cercando di raggiungere la perfezione. È un obiettivo arduo quello che ci proponiamo e certamente non immediato, ma stiamo lavorando solo per questo. Ogni capo viene disegnato dai nostri stilisti, i disegni vengono valutati in team e alcuni vengono scelti per la costruzione del prototipo e per la successiva produzione. Abbiamo deciso di puntare su pochi capi, ma di curarli in ogni minimo particolare. Stiamo anche sperimentando nuovi materiali e accostamenti fra tessuti e pelli». Quali sono in questo momento le vostre TOSCANA 2012 • DOSSIER • 117


STILE ITALIANO

principali sperimentazioni?

«Abbiamo creato tessuti misti di cashmere e seta e stiamo provando a lavorare delle nuove lane, trattate con procedimenti particolari e naturali. Per esempio, costruiamo delle giacche con dei materiali che vengono tenuti a bagno anche fino a quarantotto ore senza restringimenti né cedimenti una volta che il capo è montato. Per quanto riguarda le pelli, abbiamo sperimentato una speciale concia per il coccodrillo. Questa lavorazione lo rende morbidissimo e non fa perdere alla pelle l’aspetto originario. Abbiamo anche realizzato dei capi con esterno in coccodrillo e interno in visone. Queste scelte sono state molto apprezzate e ci hanno dato lo stimolo per proseguire su questo percorso. Porte-

Alla base dell’ammirazione per le capacità sartoriali italiane c’è la richiesta di riscoprire una manualità altrove scomparsa

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remo molte di queste nostre proposte anche al prossimo evento Pitti Uomo, che sarà per noi un’importantissima occasione per far conoscere soprattutto al mercato internazionale il nostro brand e le sue peculiarità». Dove vi approvvigionate delle pelli, delle pellicce e delle altre materie prime? «Siamo presenti alle più importanti aste internazionali di pellicce. Seguiamo le aste di San Pietroburgo per gli zibellini, quelle finlandesi per i visoni e cincillà. Seguiamo anche le lavorazioni e la concia – la nostra azienda all’origine si occupava dalla preparazione e dalla concia delle pelli –, per verificare che queste siano consone all’articolo e lo rendano più bello possibile. Infatti, per la concia delle pellicce, esistono diversi procedimenti che, se eseguiti in maniera corretta, contribuiscono poi a un risultato eccellente nel prodotto finito. Acquistiamo le pelli di coccodrillo nel Sud Est asiatico tramite referenti in loco che selezionano per noi le pelli più belle. Anche dopo l’acquisto delle pelli, se esiste un’esigenza particolare, siamo in grado di rilavorare la pelle per renderla ancora più particolare – intervenendo con delle stampe, delle traforature. Sul coccodrillo riusciamo a fare delle lavorazioni che rendono il capo decisamente unico». Come viene recepito, nell’attuale mercato internazionale del fashion, lo spirito toscano della sartorialità e dell’artigianalità nella lavorazione delle pelli? «Sono tuttora fattori di indubbio valore. La lavorazione della pelle e del tessuto, l’artigianalità toscana è molto apprezzata all’estero e c’è un grande interesse da parte delle griffe internazionali a lavorare con noi. Credo che alla base di questo sentimento di ammirazione per le capacità sartoriali italiane ci sia una richiesta di riscoprire una manualità in molti contesti ormai scomparsa, che però noi italiani non abbiamo perduto. Quindi cerchiamo di puntare sulle competenze nell’ab-


Leandro Calugi

bigliamento, nella pelletteria e anche nella calzatura». Esiste un interesse da parte delle giovani generazioni ad apprendere queste competenze e portare avanti la tradizione della lavorazione della pelle e delle pellicce? «Purtroppo, con il passare del tempo, stiamo perdendo le persone più preparate nella lavorazione manuale. Per questo motivo, nella nostra azienda, teniamo in grande considerazione i giovani e abbiamo recentemente assunto delle ragazze e dei ragazzi ai quali insegniamo il mestiere. Non vogliamo correre il rischio di perdere le competenze insieme alle persone che oggi le possiedono, ma sono ormai in età avanzata. In alcuni giovani abbiamo riscontrato grande interesse per la moda, per la qualità, per la ricerca sulle nuove lavorazioni. Sono molto interessati a imparare e per questo abbiamo delle buone prospettive di inserire nel nostro mondo questi giovani che amano la moda e la realizzazione eccellente dei capi. Uno dei problemi in questo è che non veniamo aiutati dalle istituzioni, le aziende sono lasciate a loro stesse e non ricevono aiuti né finanziamenti. Però siamo consapevoli della necessità del futuro e dell’inevitabile cambio di generazione e cerchiamo di lavorare per non perdere quanto conquistato negli anni». Qual è stato l’andamento del vostro business nell’ultimo biennio e quali sono le prospettive e gli obiettivi per il 2012 e per i prossimi anni?

«Gli ultimi anni sono stati più che buoni per i nostri fatturati, che sono cresciuti in maniera importante. Nel 2011 abbiamo registrato un incremento, rispetto al 2010, del 60 per cento. Per l’anno in corso, invece, le nostre stime sono di chiudere il bilancio con un incremento di almeno il 10 per cento. Gli obiettivi futuri sono quelli di consolidare quanto già realizzato e far crescere e promuovere la nostra nuova collezione Super Luxury Man, vorremmo che questo nostro marchio riuscisse a darci gli stessi risultati ottenuti in oltre trent’anni con la lavorazione in conto terzi. Il nostro è un progetto ambizioso e certamente non facile, ma la voglia di sperimentare e provare nuove strade ci ha sempre contraddistinto. Investire nell’innovazione e nelle persone è fondamentale e facendo questo speriamo di riuscire nel migliore dei modi anche domani».

60%

FATTURATO Incremento registrato dalla Missardi Spa nel 2011 rispetto all’anno precedente. La stima per il 2012 è di una crescita del fatturato di almeno il 10 per cento

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L’anima del made in Italy racchiusa nel ricamo Effetti di ricamo goffrati sulla pelle. Pieghettatura che dall’abbigliamento si è estesa all’arredamento e al calzaturiero. Antonio Zucchi spiega che il mondo del ricamo si rivolge a settori impensabili fino a quindici anni fa grazie all’utilizzo di nuovi filati e accessori Nicoletta Bucciarelli

on sempre le richieste della grande industria sono in sintonia con quelle della piccola e media imprenditoria. Eppure, questo periodo di difficoltà che il paese sta attraversando, sembra aver messo d’accordo l’industria italiana almeno su un punto. «L'ostacolo più importante per un piccolo o medio imprenditore oggi è una burocrazia pesante e asfissiante e, la sproporzionata imposizione fiscale, non è giustificata da servizi poi ricevuti sia dai cittadini, ma soprattutto dalle imprese. Un’impresa come la nostra ha un’imposizione fiscale che raggiunge in tutte le sue componenti il 65 per cento del lavoro. Tutti gli incentivi e le agevolazioni che vengono dati alle imprese, invece di seguire un criterio di merito vengono elargiti con criteri dove del merito non c'è traccia. Aziende che potrebbero fare la fortuna di que-

N Il fondatore Venio Zucchi insieme ai figli Antonio Paola e Francesca

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sto Paese si trovano in situazioni difficili, con mille ostacoli e con poche risorse». A inquadrare la situazione è Antonio Zucchi che, insieme alle sorelle Paola e Francesca gestisce la Nuova Piegavelox, azienda dell’empolese che dal 1961, anno in cui venne fondata da Venio Zucchi e dalla moglie Grazia Cecchi, si occupa di pieghettatura e ricamo su tessuti in pelle. «Con più risorse la nostra competitività a livello internazionale aumenterebbe e crescerebbero anche gli investimenti. Così facendo al gusto e alla qualità del prodotto italiano si unirebbe anche la forza necessaria per valorizzarlo ancora di più sui mercati di tutto il mondo». Valorizzare in modo particolare tutto quello che racchiude il made in Italy. «Questo termine non è un semplice modo di definire qualcosa che è prodotto in Italia, ma rappresenta l'anima del nostro Paese racchiusa nei suoi prodotti. È una sintesi tra arte, cultura e tradizioni, gusto del bello, fantasia, ambiente e stile di vita. Nei nostri ricami noi cerchiamo di mettere tutto questo». I cinquant’anni d’attività dell’azienda sono anche un buon momento per fare un punto sui cambiamenti del settore. «Per la pieghettatura - prosegue Zucchi - i mutamenti e le novità più che dal punto di vista tecnologico ci sono stati soprattutto nel modo di usare questo genere di lavorazione. Prima infatti la pieghettatura era


Antonio Zucchi

utilizzata soprattutto per le gonne, le camicette o i foulard. Per molti anni non ci siamo scostati da questo genere di utilizzo con pieghe più o meno classiche, mentre in questi ultimi decenni, c'è stato un utilizzo più vario di tale lavorazione, certamente accompagnata da un’evoluzione tecnica, ma io direi da un uso nuovo più moderno e fantasioso che ha trovato applicazione oltre che nell'abbigliamento anche nella calzatura, nella pelletteria e nell’arredamento, miscelandosi anche con altre forme di lavorazioni. Grossi cambiamenti si sono avuti invece nel mondo del ricamo, sia come utilizzo (vedi quello pubblicitario decisamente una nuova applicazione, di origine americana) ma anche dal punto di vista tecnico. Le innovazioni tecnologiche sono state infatti molto importanti in questo settore e hanno permesso al ricamo di fare un notevole salto di qualità e produttività. Il classico ricamo, di facile intuizione, ha lasciato il posto a lavorazioni estremamente particolari, che non tutti riescono a riportare al mondo del ricamo; sembrano il frutto di altro genere di lavorazione. Determinante in questo senso, l'utilizzo di filati e accessori vari che le nuove tecnologie hanno consentito. Oggi il mondo del ricamo si rivolge a settori impensabili fino a 15 anni fa». Settori che comunque non possono prescindere

Le competenze artigianali, così come le capacità manuali, sono fondamentali per sfruttare al massimo le potenzialità innovative delle nuove macchine da ricamo

dall’artigianalità. «L'artigianalità è ancora una componente insostituibile; le competenze artigianali così come le capacità manuali, sono Nelle foto, fondamentali per sfruttare al massimo le po- esempi di ricami e di pieghettature tenzialità innovative delle nuove macchine da eseguiti dalla ricamo». Macchine multiteste da ricamo di Nuova Piegavelox fabbricazione tedesca e giapponese soprattutto. di Empoli (FI) piegavelox@tin.it «Queste macchine – spiega Zucchi - ci permettono elaborazioni veramente particolari, come la possibilità di combinare contemporaneamente più lavorazioni. Al ricamo tradizionale possiamo aggiungere l'applicazione di fettucce e cordonetti, paillettes e strass. Inoltre, con i nuovi sofisticati software di punciatura (tecnica di trasformazione di un’immagine o disegno in un vero e proprio ricamo), le possibilità divengono infinite e naturalmente aumenta anche la velocità di realizzazione». Il lavoro portato avanti dalla Nuova Piegavelox si inserisce nel macrouniverso del mercato della moda. «Quello della moda è un mondo complesso e di difficile interpretazione che tende a bruciare in poco tempo idee e progetti e che TOSCANA 2012 • DOSSIER • 121


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quindi richiede, oltre a competenze e flessibi- nenti indispensabili all’interno del settore della lità, un continuo lavoro di rinnovamento e aggiornamento. Se ci si pone di seguire il mercato c'è il rischio di arrivare sempre tardi; d'altro canto però non è facile per imprese di piccole dimensioni come la nostra essere anticipatrici di idee e tendenze, anche se è questa la strada che cerchiamo di seguire e, possiamo dire, con successo. Da molti anni non ci poniamo più come semplici esecutori di idee e proposte, ma proponiamo dei nostri campionari che presentiamo in importanti fiere nazionali. Cerchiamo in questo modo di fornire idee, materiali, concetti di lavorazioni, di ricami e plissè. Stare ad aspettare è meno costoso, ma non ti fa crescere e alla lunga non paga». Creatività e innovazione quindi come compo-

Nelle fiere nazionali cerchiamo di portare idee, materiali, concetti di lavorazioni, di ricami e plissè. Stare ad aspettare è meno costoso, ma non ti fa crescere e alla lunga non paga

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Nuova Piegavelox. «Se vogliamo fare un esempio di un articolo da noi creato che ha riscontrato molto successo tra i più importanti brand della moda italiana e non, possiamo citare gli effetti di ricamo goffrati sulla pelle, che sono diventati ormai un cult per alcuni articoli di pelletteria». Oltre alle innovazioni e alla creatività è comunque sempre indispensabile seguire quello che il mercato chiede. «Negli ultimi anni – spiega Zucchi - si può cogliere un indirizzo generale verso una certa sobrietà, verso un prodotto di gusto, facilmente identificabile per chi lo propone, bello ma non pacchiano. Oggi chi compra vuole un articolo facilmente accostabile e anche noi come propositori di “accessori” dobbiamo muoverci in quest’ottica, realizzare quindi un prodotto particolare, innovativo, ma di gusto sia come design, sia come proposta di materiali e a prezzi comunque non esagerati. Non dobbiamo cioè cercare l'effetto a tutti i costi, quello che presentiamo deve essere particolare, ma anche riproducibile in modo perfetto. La qualità del lavoro è di grande importanza, come anche la necessità di consegne puntuali. Noi lavoriamo molto sulla ricerca dei materiali con cui riproduciamo i nostri ricami; spesso si tratta di materiali che noi stessi facciamo realizzare». Per le aziende che, come Nuova Piegavelox, collaborano con le industrie del comparto della concia è possibile fare un quadro chiaro del settore e, soprattutto, della provenienza del pellame. «Lavoriamo molto per la calzatura, l'abbigliamento in pelle e la pelletteria di alto livello, e proprio le lavorazioni su pelle sono una delle nostre specialità. Da questo punto di vista abbiamo notato che la qualità del pellame è molto peggiorata. Le pelli provengono sempre di più da paesi stranieri che permettono di ridurre i costi ma la cui qualità è decisamente inferiore rispetto a quelle di produzione locale, come quelle proveniente dai distretti di Santa Croce».



Design e funzionalità, nel solco della tradizione artigiana La crisi economica e una nuova cultura ambientalista condizionano le richieste di packaging per prodotti di moda e accessori esclusivi. Catia e Roberto Tempesti spiegano con quali strategie stanno rispondendo all’evoluzione del mercato. In primo piano è rimasta la qualità Manlio Teodoro

a ricerca di maggiori marginalità, anche in un mercato come quello del lusso – che certamente non sta conoscendo, se non in maniera blanda, gli effetti della crisi economica – spinge i soggetti della scena nazionale e internazionale a una compressione di tutti i costi accessori. Questo mutamento nelle scelte dell’industria della moda investe anche i produttori di packaging di alto livello, che non a caso stanno, da una parte, lavorando per garantire prezzi maggiormente competitivi

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alle griffe e, dall’altra, allargando il proprio raggio di azione. È il caso presentato dal Sacchettificio Toscano, società amministrata dai cugini Roberto e Catia Tempesti. Spiega quest’ultima: «Il nostro è un packaging di lusso, ideato e disegnato prevalentemente per accompagnare il capo di alta moda, la pelletteria, le calzature, però anche le argenterie, l’accessoristica e le cristallerie. In questo momento, anche a causa della crisi, le esigenze dei committenti stanno cambiando profondamente. Gli stilisti e i designer sono sempre


Catia e Roberto Tempesti

In apertura, Roberto e Catia Tempesti, amministratori del Sacchettificio Toscano Srl di Cerreto Guidi (FI) www.sacchetificiotoscano.it

più attenti nel richiedere prodotti sì di elevata qualità, che però si presentino sul mercato con un prezzo il più competitivo possibile e con soluzioni nuove». Come si stanno evolvendo le esigenze delle case di moda? ROBERTO TEMPESTI: «La nostra azienda sta cercando di trovare nuovi tessuti e nuove tecnologie di stampa per soddisfare le esigenze che le diverse case di moda presentano – ovviamente queste nuove soluzioni vanno ricercate in una linea che mantenga la continuità nel veicolare l’immagine di marca dei nostri partner. Abbiamo sempre pensato che lavorare per le grandi firme fosse sinonimo di una produzione di qualità, vista la grande attenzione e lo scrupolo con cui queste valutano l’operato dei fornitori. In questo momento, l’avere consolidato negli anni rapporti duraturi con le principali case di moda è certamente anche un modo per affrontare la crisi senza subire particolari scossoni». Attraverso quali accorgimenti produttivi e di processo state rispondendo a queste nuove esigenze? R. T.: «Stiamo puntando sull’ottimizzazione dei processi produttivi e sull’innovazione tecnologica. Sottoponiamo ogni fase della lavorazione a controlli rigidi con lo scopo di individuare problemi o improduttività e intervenire tempestivamente per rimediarvi. In questo modo possiamo continuare a offrire un prodotto di qualità pari o superiore a quella di qualche anno fa e in più a proporlo sul mercato con un’offerta competitiva». Quali sono le caratteristiche che cercate

A livello di progetto, cerchiamo di coniugare design e funzionalità, nel solco di quella tradizione artigianale tipica delle produzioni made in Italy di pregio e qualità sartoriale

di dare al vostro packaging attraverso la ricerca progettuale e materica? CATIA TEMPESTI: «A livello di progetto del sacchetto o della confezione, cerchiamo di coniugare design e funzionalità, nel solco di quella tradizione artigianale tipica delle produzioni made in Italy di pregio e qualità sar- TOSCANA 2012 • DOSSIER • 125


STILE ITALIANO

toriale. Per quanto riguarda i materiali, rea- le varie stampe apposte sui sacchetti sono lizziamo shopper in Tnt e tela di cotone, sacchetti di carta ed ecocompatibili, capaci sia di impreziosire sia di proteggere gli articoli contenuti. Poi, dato che oggi la tutela dell’ambiente ha assunto un ruolo sempre più importante anche all’interno del nostro settore, le misure e le politiche che la nostra azienda ha attuato per ridurre l’impatto ambientale si sono concentrate proprio sulle lavorazioni e i materiali». Quali sono quindi le iniziative che avete intrapreso per raggiungere una produzione più rispettosa dell’ambiente? C. T.: «Poiché i nostri sacchetti sono prevalentemente realizzati in cotone, dopo la messa al bando dei sacchetti in plastica, ci siamo specializzati anche nella produzione di shopper e buste al 100 per cento ecologiche. Ma soprattutto, a livello di processo, ricicliamo tutti gli scarti di lavorazione, mentre

I nostri sacchetti sono prevalentemente realizzati in cotone. Le stampe sono realizzate con inchiostri all’acqua, che hanno un impatto ambientale pari a zero

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realizzate con inchiostri all’acqua, che hanno un impatto ambientale pari a zero. In conseguenza di queste scelte, stiamo valutando di avviare il percorso per ottenere la certificazione Iso 14001, perché crediamo che rispettare la natura oggi ci permetterà di vivere in un mondo migliore domani». Avete già a disposizione altre certificazione sui vostri prodotti o processi produttivi? R. T.: «A testimonianza del nostro impegno l’azienda è certificata Iso 9001 e ha recentemente conseguito anche la certificazione Sa 8000 per la responsabilità sociale. Al di là di questi titoli, il patrimonio sartoriale accumulato negli anni è indubbiamente la nostra risorsa più preziosa, da tutelare e salvaguardare. La sartorialità è ovviamente anche sinonimo di manualità e artigianalità. Anche se oggi utilizziamo macchinari speciali per effettuare lavorazioni che un tempo venivano eseguite manualmente, le competenze delle risorse umane rappresentano ancora un ruolo fondamentale e insostituibile. Per questo investiamo costantemente nella formazione e nell’aggiornamento del personale, trasmettendo ai nostri collaboratori le tecniche e i segreti che stanno alla base di questo lavoro». Verso quali mercati sono destinati in prevalenza i vostri sacchetti e verso quali nuovi target potreste orientarvi prossimamente? C. T.: «Francia e Germania sono due dei mercati più importanti, ma non gli unici – il made in Italy, infatti, trova riscontro pressoché in tutto il mondo. In questo momento stiamo individuando nuovi possibili obiettivi di business, le strategie per raggiungerli sono due: una interna e una rivolta verso l’esterno. La prima ha come base gli investimenti in ricerca e sviluppo su nuovi prototipi, con l’obiettivo di creare attenzione intorno al nostro prodotto. A questo abbiamo aggiunto un investimento in comunicazione, che ha riguardato principalmente il rinnovamento del sito


Catia e Roberto Tempesti

UN SUCCESSO GLOBALE A MARCHIO MADE IN ITALY a fondazione, da parte della famiglia Tempesti di Cerreto Guidi, in provincia di Firenze, del Sacchettificio Toscano risale al 1977. Oggi l’azienda è guidata dalla seconda generazione della famiglia – rappresentata dai cugini Roberto e Catia Tempesti – sotto la direzione della quale è stato confermato il core business nella produzione di sacchetti in tessuti tecnici, contenitori di pregio di qualità sartoriale capaci di impreziosire e proteggere articoli di pelletteria e calzature delle principali griffe di moda nazionali e internazionali, oltre ad argenterie e cristallerie. Il Sacchettificio Toscano copre attualmente un mercato di riferimento che ha oltrepassato i confini nazionali, approdando in Europa, Stati Uniti e Asia e ha superato il fatturato dei 10 milioni di euro, riuscendo a confrontarsi con i competitor

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Internet e l’avvio di campagne di web marketing. In questo modo pensiamo di poter proporre soluzioni innovative per incontrare le esigenze di potenziali clienti». Quali sono gli obiettivi e le prospettive per il 2012 e i prossimi anni? R. T.: «Stiamo lavorando all’avvio di nuove e importanti collaborazioni – che attualmente però si trovano ancora in una fase di definizione. Certamente le condizioni di incertezza che stiamo vivendo non aiutano nel programmare nuovi in-

asiatici e imponendo la qualità made in Italy nel mondo, senza per questo aver dovuto cedere alla delocalizzazione dell’attività produttiva. Al contempo la società ha scelto di mantenere una gestione prettamente familiare di tutte le fasi produttive, trattando direttamente con tutti i partner, senza intermediazioni. Questo atteggiamento imprenditoriale, si aggiunge alla flessibilità della realtà produttiva, capace di rispondere in tempi estremamente brevi a qualunque tipo di ordine, mantenendo sempre elevati standard di qualità, grazie sia a importanti investimenti in tecnologia e nuovi macchinari – che hanno consentito inoltre un incremento della produzione e una diminuzione dei costi – e grazie al costante aggiornamento delle risorse umane impiegate come manodopera.

vestimenti. Ciò che è certo è che nel prossimo biennio il concetto di “fare squadra” sarà determinante. Fare squadra con i collaboratori, i fornitori e tutte quelle figure professionali che ruotano intorno all’azienda. Soltanto insieme si potranno superare momenti storici come questo. Sarebbe anche auspicabile che a livello istituzionale ci fosse un maggiore supporto nei confronti delle imprese che contribuiscono a difendere il made in Italy e a generare ricchezza e occupazione sul territorio». TOSCANA 2012 • DOSSIER • 127


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La moda punta ai nuovi mercati el settore moda solo il mercato del lusso sembra tenere bene la difficile situazione economica. Il “top level”, delineato e di nicchia, non pare subire i contraccolpi della recessione, mentre già il settore medio – alto rischia di più. «Credo che la fascia di mercato alta ma non di lusso possa nei prossimi tempi registrare una forte contrazione dei consumi» afferma Paolo Brini, titolare della Pool Trend Srl di Prato, azienda specializzata nella creazione di accessori moda destinati proprio a un target medio alto. «Per limitare il più possibile il calo della domanda – continua Brini - la nostra nuova sfida sarà quella di spingere di più e con forza sull’aspetto commerciale, in modo da ottenere quote di fatturato attraverso nuovi mercati e nuovi clienti, pur mantenendo costantemente il concetto di qualità, fondamento del made in Italy». Gli ultimi anni sono stati particolarmente critici per tutto l’indotto della moda. Come ha reagito Pool Trend alla difficile congiuntura? «Mi ritengo soddisfatto per il bilancio 2011, sia per il risultato numerico che strategico, anche se non possiamo non considerare il momento che l’economia generale sta vivendo. Anzi, questo fattore catalizzerà il nostro sviluppo. I risultati significativi ottenuti finora sono stati dettati più che da un equilibrio commerciale e di sviluppo, dalle più attente e sostanziali riletture e riassetti dell’organico e delle attività interne. Questo ci permetterà di attraversare anche i prossimi esercizi con lo slancio di cui avremo bisogno».

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Paolo Brini, titolare della Pool Trend di Prato www.pooltrendsrl.com

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Per far fronte all’attuale periodo di crisi, il settore moda investe sull’aspetto commerciale, aprendosi a nuovi mercati ma senza rinunciare alla qualità. L’esperienza di Paolo Brini Eugenia Campo di Costa


Paolo Brini

La vostra produzione si concentra soprattutto sugli accessori moda. Quali sono le sue caratteristiche? «La nostra offerta comprende una vasta gamma di prodotti: sciarpe, scialli, stole, cappelli, guanti e altri accessori moda. Prestiamo particolare attenzione alla qualità, a partire dall’acquisto diretto delle migliori materie prime nei paesi di provenienza, come Australia, Nuova Zelanda e Mongolia. Inoltre produciamo direttamente i filati di cashmere, lana e mischie pregiate. Una divisione speciale dell’azienda è destinata alla produzione di coperte, plaid, cuscini e altri complementi d’arredo. Tessuti a navetta e jacquard, maglia, tricot e raschel sono i materiali base dei nostri prodotti, che vengono ulteriormente nobilitati da processi tintoriali, di stampa e di finissaggio. Offriamo quindi un’ampia scelta di prodotti made in Italy e, grazie alla nostra presenza diretta nei principali mercati dell’Estremo Oriente, proponiamo anche una linea di prodotti di importazione completamente ispezionati in Italia per garantire gli elevati standard qualitativi che ci contraddistinguono». Attualmente fornite prestigiose griffe internazionali e importanti gruppi della grande distribuzione italiana e straniera. Quali sono i vostri mercati di punta? «Credo che, nell’attuale situazione economica, non si possa più pensare a mercati e neppure a clienti fidelizzati. Per noi l’imperativo oggi è, sì proporsi con un prodotto di qualità e di stile, ma al contempo ricercare nuove possibilità di commercio. I mercati orientali per noi sono ormai uno scenario vicino, credo che ora, per chi fa impresa, specialmente nel nostro settore e nel nostro Paese, sia arrivato il momento di osare». Possiamo descrivere le caratteristiche e le peculiarità della vostra collezione 0? «La nostra collezione “0” rappresenta lo spi-

Prestiamo particolare attenzione alla qualità, a partire dall’acquisto diretto delle migliori materie prime nei paesi di provenienza

rito dell’azienda in maniera assoluta ed è un nuovo punto di partenza, che porrà la massima attenzione al rapporto qualità prezzo visto il tempo in cui viviamo. La collezione estiva 2013 invece è ancora in fase di progettazione ma posso anticipare che il colore sarà l’elemento fondamentale». Quali le prospettive per il 2012 dell’azienda e quali obiettivi e sfide attendono Pool Trend quest’anno? «Le prospettive per il 2012 non sono elettrizzanti, ma il nostro traguardo sarà quello di contenere il contraccolpo dovuto alla contrazione dei consumi. Questo non vuol dire che non ci aspettano buone prospettive per il futuro, ma dobbiamo prima essere consapevoli del punto di partenza per poi porci dei nuovi traguardi. Oggi la realtà ci arriva ben chiara e con costanza da tutti i mezzi di informazione, motivo per il quale la riteniamo il nostro punto di partenza: la nostra sfida è audace ma altrettanto possibile».

1 MLN PRODUZIONE È la quota di produzione annua di capi della Pool Trend

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Il nuovo made in “Italy-Marocco” È anche combinando i punti forti di due diversi paesi e di due diverse tradizioni produttive che si possono innovare e sorprendere i mercati nazionali e internazionali. Carlo Bertini descrive i prodotti nati dalla sinergia tra Marocco e Italia Emanuela Caruso

nire lo stile di vita libero, l’artigianato e i colori del Marocco alla tradizione produttiva e alla qualità del “made in Italy”. Questa è l’idea imprenditoriale nata nella mente di Carlo Bertini durante un viaggio in Marocco. Idea che lo ha portato a lavorare in un paese dove è permesso adoperare la creatività senza condizioni di vita frenetica, e che lo ha spinto a fondare un’impresa di produzione, la Ethnique Maroc, sul territorio marocchino e un’azienda di distribuzione, la Soleil Maroc, a Montescudaio provincia di Pisa. «All’inizio dell’attività – spiega Carlo Bertini – abbiamo scelto di concentrare la produzione nella sede marocchina della società, dove è possibile dare libero sfogo alle idee e alla libertà, di importare poi gli oggetti ideati in Italia, lavorati e realizzati in Marocco e infine di distribuirli e commercializzarli attraverso il raggio d’azione della Soleil Maroc. In seguito, con l’aumentare dell’esperienza, abbiamo deciso di dare maggiore risalto ai nostri prodotti puntando anche sulla grande forza del “made in Italy”». Come è riuscito a coniugare la sua formazione da architetto con la produzione e commercializzazione di elementi d’arredo, abbi-

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Carlo Bertini di Soleil Maroc di Cecina. Nelle altre immagini, momenti di lavoro e borse Soleil Maroc collezione 2012-13 www.soleilmaroc.it

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gliamento e accessori? «Riuscire a creare la giusta sinergia tra questi due fattori è stato semplice, poiché l’attività è partita con la realizzazione di complementi d’arredo. Si trattava di disegnare, riprendere l’artigianato marocchino, rivisitarlo e, infine,


Carlo Bertini

modificarlo attraverso le nostre idee e il nostro estro. Alla base di ogni creazione rimangono, quindi, inalterati i tratti distintivi della cultura e tradizione marocchina, come per esempio l’uso dei colori. I complementi d’arredo che fabbrichiamo comprendono soprattutto poltrone, divani, sedie e lampade; e sono tutti realizzati interamente a mano». Come è nato, a un certo punto della vostra attività, l’interesse per la produzione e la distribuzione di accessori moda? «Questa evoluzione della nostra attività è maturata in maniera molto spontanea. Durante le fasi di realizzazione degli elementi di arredo ci è venuto automatico ideare e abbinare i giusti accessori, quali possono essere coperte, cuscini, caftani e anche borse e bigiotteria. Tra questi accessori moda sono proprio le borse quelle ad aver riscosso maggior successo. Vengono disegnate e prodotte ispirandosi alle linee marocchine e sono fortemente richieste sia dal mercato che nelle varie fiere a cui partecipiamo, tra cui le più importanti sono senz’altro la Mipel e la Macef». Un importante punto di svolta per la Soleil Maroc si è avuto quando l’intenzione di dare più risalto al “made in Italy” è diventata realtà. Come si è sviluppata questa interessante idea? «Ci siamo resi conto che poter fare affidamento sulla qualità delle tecniche produttive e dei materiali italiani era tanto fondamentale quanto continuare a lavorare prendendo spunto dalla cultura marocchina. Abbiamo quindi deciso di produrre una linea di borse in Italia, nel magazzino della Soleil Maroc, che di conse-

Per i nostri prodotti ci ispiriamo ai colori e alla cultura del Marocco, ma li realizziamo con la qualità tipica del “made in Italy”

guenza è stato dotato di un laboratorio per la realizzazione di borse fabbricate con pellami del tutto italiani e acquistati solo da concerie italiane. Con l’introduzione di questa novità all’interno dell’azienda non abbiamo solo ottenuto ottimi feedback dal settore, ma siamo anche riusciti ad aprirci un varco verso un nuovo mercato, quello giapponese, molto in crescita negli ultimi anni». Come cambia lo stile dei vostri prodotti in base alle esigenze e tendenze del mercato? «Sin dall’inizio della nostra avventura non abbiamo cercato di capire quali tessuti, colori, materiali e linee richiedesse il mercato; abbiamo adottato invece la strategia inversa, ovvero proporre al mercato articoli, tendenze e accostamenti di nostro gusto e attendere le reazioni e il riscontro del settore e della committenza». TOSCANA 2012 • DOSSIER • 131


AGROALIMENTARE

Coltivare secondo natura Questa la filosofia dell’azienda lucchese Pelosi che dagli anni Cinquanta ad oggi continua a promuovere un modello di sviluppo agricolo sostenibile. L’esperienza di Serafino Pelosi Erika Facciolla

a crescita e lo sviluppo del settore agricolo, in Italia come in Europa, passa anche attraverso la tutela dell’ambiente, delle biodiversità e dei prodotti dei territori naturalmente vocati a colture specifiche. Sono questi i fattori strategici che consentiranno alle aziende del comparto di accrescere il proprio business a tutto vantaggio della qualità del prodotto made in Italy e dei consumatori. La Toscana è tra le regioni più attive nella promozione di un modello di agricoltura sostenibile, ma il ruolo più importante è affidato agli operatori che devono mettere in campo tecniche di produzione innovative e virtuose. L’esempio dell’azienda Pelosi è, in tal senso, illuminante. Nata negli anni Cinquanta da un’idea

L

Serafino Pelosi, presidente della Pelosi S.&C. prodotti ortofrutticoli di Capannori (LU) www.pelosisrl.com

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del fondatore Silvano Serafino Franceschi, l’azienda di Capannori ha sviluppato fin dai primi passi la sua naturale vocazione agricola nata dall’amore per la natura. Una passione che negli anni Sessanta diventa business grazie alla collaborazione con Francesco Pelosi che avviva l’attività di trasformazione, confezionamento e distribuzione di carote nella maggior parte dei centri ortofrutticoli italiani. Nel decennio successivo, grazie alle collaborazioni intessute con le altre aziende del settore, l’impresa agricola passa alla produzione diretta portando il suo prodotto nella grande distribuzione. Di questa passione tutta “green” ci parla l’attuale presidente, Serafino Pelosi. Tra i tanti “prodotti della terra” perché avete scelto proprio la carota? «La scelta della carota è stata fatta all’epoca dal nonno e fondatore dell’azienda che in quel periodo fu un pioniere del mono-prodotto. Oggi coltiviamo le nostre carote secondo la “filosofia” della produzione integrata che si propone di limitare l’uso dei fitofarmaci nel rispetto dell’ambiente privilegiando l’utilizzo di fertilizzanti organici per mantenere la naturale fertilità del terreno». Quali sono le sinergie tra la Pelosi e la Green Passion? «La Green Passion è l’azienda che coltiva per noi il prodotto direttamente in Toscana (dove siamo gli unici a produrre carote), partecipa e cura le produzioni nelle zone più favorevoli per questo tipo di coltura anche per il resto d’Italia. L’azienda nasce dalla passione e dalla tradizione per la coltivazione della terra, non-


Serafino Pelosi

ché dalla voglia di reintrodurre in Toscana questa coltura ormai scomparsa». In che modo il vostro progetto imprenditoriale sposa la ricerca, lo sviluppo e l’innovazione dell’intera filiera? «Vista la giovane età dei componenti dell’azienda siamo costantemente alla ricerca di innovazioni e novità. L’azienda è tecnologicamente tra le più all’avanguardia in Italia e già da dieci anni garantisce la rintracciabilità completa del prodotto, partendo dalle aziende agricole della nostra filiera fino ad arrivare al prodotto finito in vendita sui banchi della grande distribuzione organizzata. Siamo riusciti a generare un indotto importante, con aziende, cooperative e artigiani del territorio che collaborano con noi da circa vent’anni e conoscono le nostre esigenze e i nostri elevati standard qualitativi». “Dalla terra alla tavola”, come riuscite a garantire prodotti di qualità, nutritivi e sicuri? «Da circa quindici anni le nostre coltivazioni seguono i principi della produzione integrata e scegliamo con cura le zone più vocate per le nostre coltivazioni. Non utilizziamo varietà geneticamente modificate e nessun prodotto chimico per la conservazione delle nostre carote dopo la raccolta». Il contatto con la natura permea ogni attività: in che modo seguite e sviluppate questa tendenza “ambientalista”? «Abbiamo inserito nel nostro piano di sviluppo rurale il progetto per l’istallazione di un impianto fotovoltaico, avendo già tolto e bonificato a suo tempo la vecchia copertura

Siamo riusciti a generare un indotto importante, con aziende, cooperative e artigiani del territorio che collaborano con noi da circa vent’anni

in eternit. Infine, incentiviamo i nostri clienti ad optare per l’acquisto di quei prodotti con imballaggi che creano meno rifiuti di altri». Cosa sente di suggerire agli operatori agricoli per tutelare il valore del prodotto enogastronomico toscano? «La Toscana è una regione importante per l’agricoltura che mantiene antiche tradizioni ed eccellenti sapori. Il nostro compito è far sì che vengano valorizzati ed apprezzati dal consumatore per consentire la crescita e lo sviluppo del nostro territorio». TOSCANA 2012 • DOSSIER • 133


PRODOTTI ALIMENTARI

Il caseario italiano investe sulla qualità Un gruppo industriale leader del mercato. Latte, formaggi e prodotti tipici, per un 2012 all’insegna della grande distribuzione. Il bilancio e le prospettive di Alival dalle parole del presidente Luigi Fici Andrea Moscariello

uova politica distributiva, qualità sempre più elevata ed una rinnovata organizzazione gestionale. Il 2012 di Alival si è aperto all’insegna di un nuovo corso. Il gruppo, tra i principali attori del settore lattiero-caseario italiano, ha optato per una strategia che punta a raggiungere con prodotti adeguati ogni segmento del mercato, offrendo allo stesso tempo attenzione e cura particolari nei confronti della grande distribuzione. Passaggio e scelte che hanno comportato un importante riassetto organizzativo. La sua governance vede confermato l’amministratore delegato Luca Cantini. Alla presidenza, invece, troviamo il professor Luigi Fici, che spiega come «la società si è concentrata su un processo di crescita del fatturato, sia per vie interne, incrementando le vendite e mantenendo l’assetto produttivo, sia per vie esterne, con l’eventuale acquisizione di aziende sinergiche». Il settore di riferimento genera un fatturato

N Nella pagina a fianco, Luigi Fici, presidente di Alival Spa di Ponte Buggianese (PT). Nelle altre immagini, alcune fasi produttive all’interno delle aziende del gruppo www.alival.it

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nazionale di circa 14 miliardi di euro, di cui una buona fetta ricoperta da Alival. Soltanto sul fronte delle mozzarelle il gruppo è il terzo attore nazionale per fatturato e volumi produttivi. La sfida, oggi, consta nell’attuazione di una politica bilaterale che prevede, da una parte, la ricerca della nicchia, del prodotto di qualità, e, dall’altra, un potenziamento industriale in grado di soddisfare la grande distribuzione organizzata, con una produzione a largo consumo. «Abbiamo cercato di puntare sui prodotti che garantiscono una maggiore marginalità» spiega il presidente Fici. Dunque proseguirete con questa politica? «Sì, questo sforzo viene poi accompagnato dall’inserimento continuo di nuovi prodotti. Siamo quindi soddisfatti e relativamente ottimisti sul futuro del gruppo. Pur in presenza di in un generale calo dei consumi, anche in un settore tradizionalmente anticiclico come quello alimentare, l’azienda è riuscita a crescere e a trovare ulteriori spazi sul mercato». Il 2012 quali prospettive apre? «Nell’anno corrente raccoglieremo i frutti delle decisioni strategiche assunte nel corso del 2011. Si percepiranno con maggiore chiarezza i benefici derivanti dalla riorganizzazione e dal cambiamento gestionale effettuato a partire dallo scorso settembre. Oltre ai miglioramenti derivanti dal contenimento dei costi, l’anno si è aperto con un trimestre decisamente positivo, che ha visto un incremento delle vendite di


Luigi Fici

Nell’immediato futuro intendiamo valorizzare quelle eccellenze del nostro paniere che non hanno ancora espresso del tutto le loro potenzialità

circa il 10 per cento rispetto al precedente. Con un portafoglio ordini e iniziative in crescita vi sono tutti i presupposti per confermare i dati previsti nel piano industriale, da poco presentato, che punta a raggiungere circa 190-200 milioni di euro di fatturato già a partire da quest’anno». Negli anni Alival si è distinta per una sua forte propensione alla diversificazione produttiva. Da quali segmenti vi attendete i migliori riscontri? «È vero, il gruppo ha fatto della diversificazione

produttiva e del servizio la chiave della sua crescita. Siamo quindi presenti, spesso in posizione leader, non solo sulle tradizionali paste filate, ma anche sulla Mozzarella di Bufala Campana Dop, la Mozzarella Stg e il Pecorino Toscano Dop. Oltre al tradizionale presidio e sviluppo del settore mozzarelle, quest’anno ci attendiamo importanti risultati anche in quello dei Pecorini, che nei mesi scorsi ci ha dato soddisfazioni. Un grosso risultato è poi atteso anche dalla nostra collegata in Polonia, la Latteria Tinis, che dovrebbe crescere sino a raggiungere oltre 25 milioni di euro di fatturato». Sono previste nuove produzioni? «Nel corso del 2011 sono stati effettuati importanti rinnovamenti nell’ambito del posizionamento dei prodotti e nel packaging. Sono iniziate delle prove su nuove tipologie di prodotto, alcune delle quali, come per esempio il Pecorino Toscano Dop, nella nuova versione scodellato, hanno già incontrato il favore delle catene di- TOSCANA 2012 • DOSSIER • 135


PRODOTTI ALIMENTARI

Conciliare la richiesta di volumi industriali con una qualità di tipo artigianale è stata la chiave del successo e della crescita dell’azienda

stributive e, soprattutto, del consumatore. Ol- «Che influenza moltissimo il nostro andamento. tre a questo intendiamo valorizzare le eccellenze del nostro paniere di referenze che non hanno ancora espresso del tutto le loro potenzialità in termini di penetrazione. Il lavoro da svolgere è ancora tanto ma i risultati stanno già arrivando e sono decisamente incoraggianti». Alival registra un trend positivo ma il settore deve far fronte a molti gap. «I problemi settoriali sono molteplici e non tutti rientrano nel perimetro delle possibilità di azione della singola azienda. Pesa in particolare un elevatissimo grado di frammentazione dell’offerta, che pone in una posizione di estrema debolezza verso le grandi catene distributive. Queste ultime, ovviamente, fanno valere tutto il loro peso e la loro forza contrattuale». A incidere è anche il costo delle materie prime.

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Negli ultimi anni abbiamo assistito a una volatilità che ha reso difficile una programmazione economica accurata, specialmente se gli aumenti non sono poi assorbiti prontamente dai listini. Vi sono inoltre fattori extrasettoriali che ormai, purtroppo, sono ben noti a tutti, come il credit crunch generalizzato e la marcata contrazione dei consumi. Insomma, un quadro per molti versi oscuro nel quale, a maggior ragione e per contrasto, emerge la nostra buona performance, fatta di qualità, servizio e di una nuova e più attenta attività di controllo e gestione che ha decisamente migliorato l’efficienza generale dell’azienda». Il consumatore italiano è ampiamente mutato nell’ultimo decennio. È giusto affermare che, dopo il boom delle produzioni industriali, si sta verificando una nuova ricerca di


Luigi Fici

TUTTO COMINCIÒ DALLA PIZZA otto molti aspetti il Gruppo Alival rappresenta un unicum sul mercato lattierocaseario europeo. Con un fatturato che sfora il tetto dei 170 milioni di euro, a oggi è una delle poche aziende “industriali” a produrre e commercializzare più di un prodotto tipico. Un’avventura imprenditoriale nata negli anni Ottanta a seguito della trasformazione di un’azienda casearia ubicata a Ponte Buggianese (PT), di carattere artigianale, che si rivolgeva principalmente alla ristorazione collettiva. Con il Condipizza l’azienda riesce a offrire un prodotto fino ad allora mai proposto, che subentra successivamente anche nel mercato familiare. Il passo successivo vede nel 1989 l’acquisizione, e l’ammodernamento, di un caseificio situato nella zona di Porcari (LU) dove si produce mozzarella fresca di latte vaccino e ricotta. Nel 1994 avviene la prima collaborazione con l’Industria Lattiero Casearia Mandara Srl di Mondragone (CE) per la produzione di Mozzarella di Bufala a marchio Alival “SoleDOC”. Visto il successo nelle vendite, nel 1997 matura l’acquisizione di una partecipazione nella Mandara che viene trasformata in Spa. Nel 1998 l’operazione si ripete per la Produzione del Pecorino Toscano Dop, con il Caseificio Ciolo Spa (ora Caseificio dell’Amiata). Nel settembre del 2000 nasce una nuova società, Fattorie del Sole Srl, che nell’impianto di Reggio Calabria produce, prima in Italia, Mozzarella Stg, scamorze e altri formaggi tipici calabresi. A seguire, nel gruppo subentrano anche un burrificio, un caseificio produttore di Pecorino Toscano Dop e due importanti centri di stagionatura. Nel 2007 si gettano le basi per una Joint venture con una società polacca, la North Coast Spa, con la quale si intraprende la ristrutturazione della Latteria Tinis Z.o.o. a Rzpejin, convertita in un moderno stabilimento per la produzione di mozzarella vaccina sia a fermenti che citrica.

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200 mln FATTURATO Questa la previsione relativa all’anno corrente, a conferma del trend positivo del gruppo Alival

artigianalità? «La tendenza, a livello generale, si orienta verso una ricerca del fresco, a scapito magari di formaggi ottimi, ricchi di tradizione ma che non incontrano il favore del pubblico. A questo si può ovviare solo con una maggiore opera di formazione del consumatore e di educazione al gusto, con campagne pubblicitarie volte a valorizzare le nostre produzioni maggiormente legate ai territori. Alival, pur essendo una realtà industriale, per la natura delle sue produzioni - la Bufala, il Pecorino o la Stg - rimane paradossalmente una realtà semi artigianale». Come ci riesce? «Faccio un esempio su tutti: i nostri Pecorini sono salati a mano, uno a uno, secondo la tradizione. Richiedono una gestione quotidiana sino a quando, sempre manualmente, non vengono preparati per l’etichettatura. Conciliare

volumi di tipo industriale con la qualità di tipo artigianale è stata per i prodotti summenzionati la chiave del successo e della crescita dell’azienda. Cosa, quest’ultima, riconosciuta dal consumatore, che l’ha portata a essere leader in tutti i segmenti citati». Alival ha un’anima marcatamente “green”. Quali investimenti sono previsti per l’abbattimento dell’impatto ambientale derivante dalle vostre attività produttive? «L’azienda è da sempre attenta alle tematiche ambientali e il suo sistema di gestione ambientale è certificato Iso 14001 dal 2006. Inoltre ha anche un sistema di approvvigionamento energetico “verde”, come certificato dal Cesi, “100 per cento Energia Verde”. Attualmente stiamo valutando l’istallazione di un nuovo impianto fotovoltaico presso la nostra sede principale». TOSCANA 2012 • DOSSIER • 137


RINNOVABILI

Il fotovoltaico nel deserto Le nuove frontiere delle rinnovabili, ovvero progettazione e installazione di impianti fotovoltaici nei deserti nordafricani e mediorientali. Luciano Brocchi spiega le possibili applicazioni di questa tecnologia Luca Cavera

ltre a eliminare il problema delle emissioni e a non consumare alcuna fonte esauribile per produrre energia, il fotovoltaico permette di portare l’energia elettrica in contesti remoti non serviti dalla rete elettrica. Un esempio di queste installazioni, definite dai tecnici impianti “stand alone” o impianti in isola, sono quelle realizzate nei deserti di Kuwait e Algeria da un’azienda aretina, Bees srl, che ha fatto della propria specializzazione nel settore delle soluzioni energetiche il proprio punto di forza. «Dal 2006 – spiega il titolare Luciano Brocchi – installiamo impianti stand alone nei deserti mediorientali. Si tratta di una tecnologia fotovoltaica particolareche permette di alimentare utenze in aree non raggiunte dalla rete elettrica e in cui lo stand alone rappresenta un punto di riferimento per lavorare in piena autonomia». La specializzazione di Bees nelle rinnovabili si completa con la progettazione e realizzazione

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di impianti fotovoltaici civili e industriali ad alte prestazioni. Quali sono gli aspetti tecnici e di installazione e progettazione che caratterizzano gli impianti fotovoltaici stand alone destinati agli ambienti desertici? «La progettazione di un impianto destinato a un ambiente particolare come quello desertico impone di considerare fattori specifici, che dipendono principalmente dalle condizioni climatiche locali. Uno di questi fattori è quello della notevole escursione termica tra il giorno e la notte alla quale

sono esposti gli impianti. Questo aspetto influisce in particolare sugli accorgimenti da prendere nella scelta delle batterie di accumulo che devono resistere al ciclico passaggio dalla fortissima illuminazione e dalle alte temperature diurne al crollo termico notturno. Dunque particolare attenzione è posta ai materiali usati per la coibentazione delle cabine, le valvole di sfogo e di raffreddamento, nonché per le strutture che devono sopportare le frequenti tempeste di sabbia. A questi fattori naturali si aggiungono le specifiche tecniche richieste dai committenti, che sono assai

Sotto, impianto stand alone installato nel deserto da Bees Srl di Bibbiena (AR). Sopra, pannelli fotovoltaici. A fianco, Luciano Brocchi, titolare della società www.beesenergy.com


Luciano Brocchi

particolareggiate e includono ampi margini di sicurezza. Per esempio, richiedono un dimensionamento fino al doppio necessario. Là dove sono necessari tre giorni di alimentazione in assenza di sole, vengono richieste garanzie fino a sette giorni». Questo modello di business, oltre che in paesi come Kuwait e Algeria, ha ulteriori possibilità di sviluppo? «In realtà i campi di applicazione sono molteplici e spaziano dall’alimentazione di stazioni di controllo e monitoraggio all’asservire apparecchiature per il pompaggio e la potabilizzazione dell’acqua, alle stazioni di pompaggio per oleodotti, dai ripetitori radio ai sistemi di illuminazione per case isolate, rifugi, impianti pubblici. Insomma, la tecnologia stand alone presenta una sua utilità in tutti i

L’esperienza acquisita con i progetti stand alone è stata un valore aggiunto per la realizzazione delle rinnovabili sul territorio italiano

contesti, non solo desertici, per questo stiamo pensando di proporre gli stand alone anche in Italia, da installare in quelle zone non elettrificate dove, per garantire il fabbisogno energetico, è sufficiente un impianto autonomo di pochi kilowatt». L’esperienza acquisita all’estero nella realizzazione di impianti particolari ha favorito il vostro lavoro sul territorio italiano e toscano, anche la realizzazione del fotovoltaico tradizionale? «L’esperienza acquisita grazie a questi progetti nel corso degli anni è stata un valore aggiunto nella realizzazione

delle rinnovabili sul territorio italiano. Forti di tale esperienza siamo riusciti a penetrare sul mercato in maniera incisiva, inserendoci nel 2007 nel conto energia con la formula chiavi in mano e progettando e realizzando impianti fotovoltaici ad alte prestazioni. Gli esempi sono numerosi, dalla realizzazione di impianti a terra per la produzione di energia, alla ricostruzione delle coperture dei capannoni industriali – previo espianto dell’eternit. La nostra tecnologia ci ha permesso anche di ottenere nel 2011 il premio Saint-Gobain per l’impianto tecnologicamente più originale, assegna- TOSCANA 2012 • DOSSIER • 141


RINNOVABILI

Nel 2011 abbiamo vinto il premio Saint-Gobain per l’impianto tecnicamente più originale

toci per aver progettato e rea- Tramite attività di revamping dei clienti e alla diversificalizzato un impianto su capannone curvo, tecnicamente detto “a botte”, mediante l’impiego di strutture appositamente sviluppate e omologate per garantire al contempo la massima resa e l’integrazione architettonica totale». Bees è presente nelle maggiori centrali di produzione di energia del paese dove svolge regolare attività di service. Qual è il vostro ruolo in questi contesti? «Il nostro ruolo è quello di eseguire la manutenzione di apparati elettrici e l’ammodernamento di impianti obsoleti in tutti quei settori dove la mancanza di corrente può creare seri problemi, ovvero nelle centrali elettriche, negli ospedali e nei cantieri.

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(ammodernamento) di ups, raddrizzatori, inverter, diamo ai nostri clienti la possibilità di sfruttare al massimo i capitali investiti garantendo la conformità degli apparati alle normative vigenti». Qual è stato l’andamento del vostro mercato di riferimento nell’ultimo anno e quali le prospettive per il 2012? «Nel 2011 il fotovoltaico in Italia ha risentito di una forte flessione, dovuta sia all’andamento finanziario che ha coinvolto l’Europa e i mercati mondiali in generale, sia alle incertezze e al ritardo del quarto conto energia. La combinazione di questi fattori ha quindi rallentato la crescita del settore. La nostra realtà, però, grazie alla fiducia

zione delle attività, è riuscita a superare il momento di difficoltà. Il nostro portafoglio ordini è decisamente in costante crescita. Per il 2012 i nostri progetti sono tesi a investire sempre più nelle rinnovabili all’estero, mercato in continua evoluzione, e a consolidare la nostra presenza sul territorio nazionale sia nel settore fotovoltaico che nell’elettronica di potenza. Bisogna puntare sempre in alto, e puntare in alto vuol dire ampliare i mercati diversificando al massimo le attività, creare nuovo lavoro sfruttando al massimo le esperienze acquisite e valorizzando le risorse umane interne. Solo così si può ottenere una vera crescita personale e imprenditoriale».



INFRASTRUTTURE

Polo aeroportuale toscano, un’ipotesi realizzabile I bilanci positivi degli aeroporti di Firenze e Pisa sono il primo passo per una concreta integrazione dei due scali toscani. Ad affermarlo è Luca Ceccobao, il quale si mostra fiducioso sulle prospettive future Nicolò Mulas Marcello

iventa sempre più concreta l’ipotesi di integrazione tra le società che gestiscono gli aeroporti di Firenze e Pisa. La creazione di un polo aeroportuale toscano piace al presidente Enrico Rossi, che nelle settimane scorse ha formalizzato l’acquisto del 4,9% delle quote di Adf. Secondo Gina Giani, l’ad di Sat, l’operazione avrebbe grandi opportunità: «Sono due belle società quotate e producono utili. Le potenzialità sono enormi, ma le aziende sono dei loro azionisti, la parola spetta a loro».

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146 • DOSSIER • TOSCANA 2012

Favorevole alla fusione anche Luca Ceccobao, assessore regionale ai trasporti, il quale ha ribadito la linea dell’ente: «I due aeroporti si possono integrare benissimo. La Regione è un azionista pubblico interessato allo sviluppo infrastrutturale e alla capacità attrattiva dell’apparato aeroportuale toscano. Si deve costruire un sistema e questa è la nostra missione». Per quanto riguarda l’aeroporto di Firenze, Ceccobao ha spiegato che la quota detenuta dalla Regione potrà crescere ancora: «Il consiglio ci ha autorizzato ad acquisire fino al 15 per cento,

questo scenario rimane aperto». Le azioni sono state pagate dalla Regione 11 euro l’una, per un totale di circa 4,8 milioni. «La regione – secondo Enrico Rossi – intende svolgere un ruolo di garanzia in direzione di una integrazione tra gli scali di Pisa, a carattere intercontinentale, e di Firenze, in qualità di city airport». Il 2011 si è chiuso per Adf con un utile di 3,3 milioni pari a +7,4 per cento. Nello scalo fiorentino lo scorso anno sono transitati oltre 1,9 milioni di passeggeri, mentre 4,5 milioni sono stati quelli passati attraverso l’aeroporto


Pisa e Firenze verso la fusione

di Pisa, segnando così un nuovo record per il Galilei. «Come azionisti – ha commentato Ceccobao – siamo soddisfatti del bilancio di Sat. Tutti i principali indicatori sono al di sopra della media nazionale e dimostrano la qualità del lavoro svolto e la capacità organizzativa e progettuale messa in campo». L'ad di Sat ha spiegato che la scelta vincente per Pisa è stata puntare sulle compagnie low cost, mentre sull’arrivo del vettore China Eastern, con un collegamento quotidiano tra Pisa e Shanghai del quale si parla da tempo, Giani ha spiegato che

i cinesi hanno un atteggiamento “cauto” a causa della situazione italiana. «È necessario consolidare questo trend – ha evidenziato l’assessore – e per farlo è necessario realizzare rapidamente anche quelle iniziative di sviluppo infrastrutturale capaci di migliorare la qualità dei nostri servizi: penso per esempio al progetto people mover, grazie al quale aeroporto e stazione ferroviaria di Pisa saranno collegate in pochi minuti. Un progetto cui partecipiamo direttamente avendo attivato finanziamenti europei». Sulle prospettive future Cec-

cobao è fiducioso: «La prima forma d’integrazione è rappresentata dall’avere società aeroportuali con bilanci positivi. Nessuno avrebbe, infatti, interesse a creare sinergie tra società in perdita. Come soci di Sat e nuovi soci di Adf riteniamo che i numeri positivi dei rispettivi bilanci rafforzino le prospettive di sviluppo di tutto il sistema aeroportuale toscano. Nei prossimi anni il traffico aeroportuale crescerà, e come azionista pubblico la Regione è interessata a creare tutte le condizioni di sviluppo e di crescita della capacità di attrazione del sistema aeroportuale toscano». TOSCANA 2012 • DOSSIER • 147


INFRASTRUTTURE

Nuovi progetti di ampliamento Le scelte operate dal gestore dell’aeroporto di Pisa si sono rivelate vincenti. A testimoniarlo sono i numeri che coinvolgono non solo lo scalo aeroportuale ma tutto il territorio toscano. Gina Giani illustra i risultati e le strategie future Nicolò Mulas Marcello

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Sopra, Gina Giani, direttore generale dell’aeroporto Galileo Galilei di Pisa

uella dell’aeroporto Galileo Galilei di Pisa è una crescita annuale tangibile. Una parabola ascendente, diretta conseguenza degli investimenti della Sat, società che gestisce l’aeroporto, per costruire col tempo una base aerea di respiro sempre più ampio. Gli attuali risultati nascono da scelte che si sono rivelate giuste e da una pianificazione attenta. La strategia di reverse marketing, sintetizzata dallo slogan “L’Europa alla foce dell’Arno”, tesa a promuovere il traffico incoming, ha ribaltato il concetto tradizionale

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di bacino d’utenza, consentendo di considerare le destinazioni collegate come proprio mercato insieme al bacino di traffico regionale, corrispondente al traffico outgoing. Le grandi capitali europee sono le mete preferite dai passeggeri in partenza da Pisa: Londra, Parigi e Barcellona in primis, senza tralasciare altre importanti destinazioni come Berlino, Amsterdam e Madrid. Un’altra importante fetta di mercato è data in estate da coloro che scelgono Pisa per volare verso destinazioni tipicamente balneari, sia italiane (Sicilia e Sardegna le prefe-

rite) che estere (Ibiza, Rodi, Fuerteventura, Gran Canaria e Tenerife, servite da Ryanair, Palma de Maiorca e Minorca servite da Air One). A questi flussi, di carattere prevalentemente turistico, vanno ad aggiungersi i passeggeri che utilizzano l’aereo per tornare nei Paesi d’origine o per ricongiungimento familiare (Marocco, Albania e Romania) e il collegamento PisaNew York, unico volo diretto tra la Toscana e gli Stati Uniti, operativo da giugno a ottobre. «Il fatto che il 75 per cento del nostro traffico – spiega Gina Giani, direttore generale dell’aeroporto di Pisa


Gina Giani

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Nel 2011 l’aeroporto di Pisa ha generato un impatto economico sul nostro territorio di oltre 1 miliardo di euro

– sia costituito da passeggeri che scelgono il nostro aeroporto come destinazione conferma il successo di questa strategia, che ha permesso al Galilei di diventare la porta d’ingresso principale della Toscana». Qual è stata l’affluenza di passeggeri transitanti all’aeroporto di Pisa nel 2011? «Il traffico di passeggeri l’anno scorso è stato di 4.526.723 unità. Nel 2011 il sistema aeroportuale italiano ha mostrato un incremento del numero dei passeggeri del 6,4 per cento, quello europeo del 7,3 per cento. Nello stesso anno l’aeroporto Galileo Galilei di Pisa è cresciuto dell’11,3 per cento rispetto al 2010». Qual è il contributo dello scalo pisano in termini economici e di indotto lavorativo al turismo regionale? «L’attività aeroportuale del

Galilei produce un forte impatto economico per l’intera Toscana. Nel 2011 l’aeroporto di Pisa ha generato un impatto economico sul nostro territorio di oltre 1 miliardo di euro e circa 6 mila posti di lavoro complessivi tra diretti e indiretti». Quale outlook si prevede per l’anno in corso? «Nei primi mesi del 2012 si conferma il trend positivo del traffico già registrato nel 2011. Nel primo bimestre 2012 abbiamo registrato 468.916 passeggeri, un dato in crescita del 6,1 per cento rispetto all’analogo periodo del 2011». Quali sono le linee strategiche che Sat intende perseguire nel prossimo futuro? «Dal punto di vista commerciale intendiamo aprire la Toscana ai flussi di traffico dal Nord Europa, dalla Russia e dalla Cina lavorando in par-

tnership con le compagnie aeree, low cost e non, per sviluppare nuovi mercati incoming per la Toscana. Dal punto di vista delle infrastrutture, è nostra intenzione predisporre entro il 2015 un collegamento costante con la stazione ferroviaria di Pisa Centrale tramite il people mover ogni 5 minuti. Sarà incrementata del 60 per cento, rispetto all’aerostazione attuale, la superficie della nuova ala passeggeri, con una capacità di 5,8 milioni di passeggeri all’anno. Infine, in programma c’è la completa riqualificazione delle piste di volo, con la realizzazione di una bretella di raccordo tra le due testate sud per ridurre l’impatto ambientale sulla città di Pisa. In sintesi, intendiamo completare nei prossimi 3 anni la trasformazione del Galilei in grande aeroporto regionale». TOSCANA 2012 • DOSSIER • 149


INFRASTRUTTURE

Una rete di trasporti ad alto potenziale La Toscana si colloca al di sopra della media nazionale per dotazione di infrastrutture portuali e ferroviarie. In previsione dell’incremento del volume di trasporto merci europeo, occorre, secondo Giovanni Bonadio, un rafforzamento del nostro sistema portuale Nicolò Mulas Marcello

e più recenti stime europee prevedono per il sistema logistico internazionale, rispetto ai livelli del 2005, un incremento del traffico merci del 40 per cento all’orizzonte del 2030 e dell’80 per cento nel 2050. In uno scenario dove la domanda di trasporto continua a crescere a ritmi sostenuti, i porti nordeuropei, pur tenendo conto dei potenziamenti di capacità dovuti agli investimenti previsti, potrebbero non essere in grado di assorbire completamente un tale volume di traffico. «Il rafforzamento del sistema portuale mediterraneo – spiega Giovanni Bonadio, amministratore delegato della Società Logistica Toscana – rappresenta una strategia chiave nel garantire la sostenibilità del trasporto merci sia per evitare i costi associati

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all’eventuale congestione degli scali nordeuropei, sia per decongestionare gli assi di trasporto tradizionali (terrestri e marittimi), a favore di nuove connessioni che integrano nella rete europea i territori periferici e favoriscono il riequilibrio modale dei flussi verso modalità di trasporto a minore impatto ambientale». In Toscana possiamo parlare di tre macro aree: l’area costiera, quella centrale e quella maremmana. Quali sono le differenze? «Da una parte, le zone caratterizzate dalla presenza di piccole imprese sono rimaste racchiuse nei loro confini originari, non sperimentando il processo di diffusione territoriale che ci si aspettava; dall’altra, la zona costiera ha perso buona parte della sua specializzazione industriale mentre ha accresciuto quella

turistica, al pari delle aree urbane che hanno subito un deciso processo di terziarizzazione, in linea con quanto accaduto in altre regioni a economia matura. Di contro, è cresciuto il peso relativo di molti Comuni situati nella vasta pianura tra Firenze e la costa, rendendo visibili almeno tre grossi addensamenti, in corrispondenza dell’asse Firenze- Prato-Pistoia e dell’asse tra Pontedera e Lucca e, infine, lungo la linea costiera tra Carrara e Livorno. Sono, inoltre, emerse con più chiarezza due aree di sviluppo relativamente più nuove, che sono la Valdelsa, tra Empoli e Siena, e il Valdarno superiore, tra Firenze e Arezzo, con estensione da una parte fino alla Valdichiana, dall’altra fino a Grosseto». Qual è il livello della logistica in Toscana?


Giovanni Bonadio

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Per la Toscana è necessario puntare a un processo di ricucitura del territorio, anche attraverso proposte di nuovi assetti portuali e retroportuali

«Secondo gli indici elaborati periodicamente dall’Istituto Tagliacarte, la Toscana risulta terza in Italia dopo Liguria e Friuli Venezia Giulia e si colloca al di sopra della media nazionale rispetto alla dotazione di infrastrutture portuali e ferroviarie. Le infrastrutture di tipo stradale sono in linea con la media nazionale, mentre la parte aeroportuale, che sebbene marginale per il trasporto merci complessivo, è un settore che negli anni recenti ha conosciuto una dinamica interessante. Ne sono un esempio l’aumento dei traffici nell’aeroporto di Pisa e, in maniera minore, in quello di Firenze. In questo contesto, però è ne-

cessario puntare a un processo di ricucitura del territorio anche attraverso proposte di nuovi assetti portuali e retroportuali capaci di migliorare l’apertura del Paese ai grandi processi di internazionalizzazione». Quali tipi di potenziamento necessita la struttura logistica sia in termini di raccordo con il resto dell’Italia, sia con l’Europa? «Il livello di accessibilità potenziale multimodale vede l’area centrale della regione ben collocata nella rete dei collegamenti internazionali. La scala di analisi sub-regionale consente di rilevare lo squilibrio territoriale esistente tra aree centrali e il sud della

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regione. L’area centrale presenta, quindi, buoni livelli di accessibilità potenziale a scala europea, ma la rete di trasporto è qui soggetta a pressioni della domanda, tanto locale che di attraversamento, particolarmente intense. Il sud della regione viene penalizzato dai bassi livelli di accessibilità potenziale, inferiori a molte realtà del resto del Paese. I sistemi portuali e aeroportuali risultano incardinati sulle reti Ten-T, ma hanno bisogno di essere innervati sul territorio attraverso un miglioramento della connettività delle reti e l’accessibilità dei territori in relazione alla nuova geografia dei flussi di scambio».

Sopra, Giovanni Bonadio, amministratore delegato della Società Logistica Toscana

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NAUTICA

Artigianalità in mare Dalle barche fly in vetroresina, agli open sportivi, a navi di oltre cinquanta metri. Un’offerta completa, che va incontro a ogni tipo di esigenza di chi ama vivere il mare. Senza mai prescindere dall’artigianalità delle realizzazioni. Francesco Guidetti descrive la produzione del gruppo Fipa Eugenia Campo di Costa

roporre un’offerta diversificata è una delle strategie anti crisi più adottate dalle aziende di ogni settore. Non fa eccezione il comparto nautico. Un mercato particolarmente sensibile ai contraccolpi dell’economia mondiale, in cui solo i grandi nomi sembrano non perdere terreno. Il Gruppo Fipa di Viareggio è uno di questi. «Il nostro punto di forza –

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Francesco Guidetti, Presidente del gruppo Fipa di Viareggio (LU). Nella pagina accanto, in alto, Maiora 27, sotto AB 116 www.fipagroup.com

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afferma il Presidente Francesco Guidetti - è la possibilità di offrire ai clienti un range completo di prodotti, tutti assolutamente custom, tali da soddisfare le esigenze di qualsiasi tipo di cliente: dalla classica ed elegante linea Maiora, che offre barche fly in vetroresina dai 20 ai 50 mt, alla linea degli open AB Yachts, sportivi e veloci, realizzati con materiali alleggeriti e compositi avanzati, passando per le navette Cbi Navi in acciaio e/o alluminio senza limiti di dimensioni». Quali sono le costanti che caratterizzano la produzione dei vostri tre marchi? «L’imperativo costante che caratterizza tutti i nostri marchi è il “custom”. Le nostre imbarcazioni sono tutte personalizzabili, disegnate e realizzate su misura per ogni cliente. Il team degli uffici tecnici – di tutti i nostri marchi - è a completa disposizione del cliente per ascoltarne i desideri e concretizzarli su carta, mentre i nostri operai specializ-

zati, che curano il progetto di ogni armatore, realizzano l’imbarcazione nei singoli dettagli. Con Intermare, il nostro cantiere di carpenteria metallica, inoltre, possiamo garantire l’assistenza di un’officina specializzata nella lavorazione degli acciai, servizi di refitting, assistenza e rimessaggio di imbarcazioni». Su quali modelli state puntando soprattutto nell’ultimo periodo? «Partendo dal presupposto che ogni imbarcazione è personalizzabile e che la nostra non è una produzione di serie, ogni marchio presenta anche modelli di base che vengono poi adattati alle singole richieste. Nello specifico, per quanto riguarda Maiora, negli ultimi tempi, ha riscontrato un grande successo il Maiora 27 e 27s, nelle diverse varianti in cui è stato realizzato. Una tra le più innovative, il Maiora 27s con lo scafo silver e un ampio pozzetto di poppa che, aprendosi, offre ai propri ospiti una vera e propria “terrazza sul mare”. È conforte-


vole e generoso tanto nei suoi volumi interni quanto negli spazi esterni; le sue linee sono sobrie, eleganti e senza tempo come quelle di tutta la gamma esclusiva di superyacht Maiora. Grazie all’ottima divisione dei suoi spazi è l’ideale per tutti coloro che amano trascorrere lunghe crociere all’insegna del comfort». E per i marchi AB Yachts e Cbi Navi? «Per quanto riguarda il marchio AB Yachts, fiore all’occhiello è l’ultimo AB 116 varato pochissimi mesi fa, che riassume perfettamente lo stile del brand, con lo scafo dall’aspetto slanciato e linee morbide, affusolate e accattivanti. Come ogni perla di questa linea, nasce dal concetto di navigare ad elevate

L’artigianalità consiste sia nel poter offrire un prodotto realizzato quasi a mano, che nell’unicità delle nostre imbarcazioni, costruite sulla base dei desideri dell’armatore

velocità in qualsiasi condizione di mare senza dover rinunciare al comfort. Imperativi categorici nel concepimento degli interni di AB 116 sono: design di pregio, approccio stilistico di alto livello ed estrema cura nella realizzazione dei minimi dettagli. Custom, comfort e alte prestazioni sono sinonimi di AB Yachts, leader nella produzione di imbarcazioni a idrogetto. Per Cbi Navi, è stato varato il Cbi 50 “Aifos” nell’estate 2011. È il primo 50 metri

del nostro cantiere Cbi Navi realizzato completamente in alluminio e ha fatto molto parlare di sé,anche nella veste di ammiraglia del Salone TOSCANA 2012 • DOSSIER • 155


NAUTICA

Nautico di Genova 2011. Sotto, un’immagine del Cbi 50

Ha lo scafo e la sovrastruttura in alluminio, scafo semi-planante - può raggiungere la velocità di 24 nodi, grazie ai motori MTU 16V4000M93 (4200hp @2100rpm each) e all’uso di materiali alleggeriti usati negli interni - strutturato su tre ponti. È stato progettato dall’architetto Giorgio Vafiadis, dallo studio ingegne-

ristico Hydro Tec e dall’ufficio tecnico di Cbi Navi». Le vostre imbarcazioni si differenziano per la loro “artigianalità”. «All’interno dei nostri cantieri, giorno dopo giorno, è possibile vedere gli sviluppi della costruzione dello scafo e della sovrastruttura: gli operai, grazie alla loro abilità manuale, costruiscono, fase dopo fase, un’intera im-

Stiamo concludendo accordi commerciali importanti per rafforzare la nostra presenza e la nostra rete commerciale a livello globale

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barcazione. Artigianalità per noi è sia il poter offrire un prodotto realizzato quasi a mano, che l’unicità delle nostre imbarcazioni. Ogni barca del nostro Gruppo, infatti, viene costruita esclusivamente sulla base dei desideri dei singoli armatori, distinguendosi dalla produzione in serie per l’alta qualità della fattura». Il seguire passo passo la realizzazione dell’imbarcazione a seconda delle esigenze e dei gusti del committente rappresenta senz’altro un importante valore aggiunto per il vostro gruppo. Quali altri servizi fornite all’armatore? «Il rapporto tra il cantiere e l’armatore comincia con il primo contatto: l’ufficio commerciale ascolta e assiste l’armatore, indirizzandolo nella scelta del modello più adatto alle proprie esigenze. L’ufficio tecnico adatta il layout e la compartimentazione interna della barca in base alle sue volontà e ai suoi desideri. Studia e realizza le possibili soluzioni da sottoporgli e ne discute con lui. Assistenza e consulenza riguardano anche la scelta degli arredi, dei materiali, dei tessuti e dei colori da utilizzare. Ma il nostro lavoro non si ferma qui: offriamo assistenza qualificata soprattutto nel post-vendita. In caso di


Francesco Guidetti

necessità, entro 48 ore possiamo intervenire in tutto il Mediterraneo e in 72 ore nel resto del mondo, grazie agli uffici gestiti direttamente dal nostro personale in Spagna, Francia, Stati Uniti (Miami – Ft. Lauderdale) e Hong Kong, nonché grazie alla fitta rete di collaboratori diretti in Messico, Venezuela, Brasile, India E.A.U, Australia. Di recente abbiamo avviato una nuova collaborazione con un partner cinese: eravamo già presenti sul territorio asiatico a Hong Kong, adesso siamo anche a Shanghai e, proprio questo mese, parteciperemo ai Saloni di Hainan e Shanghai». Fipa Group non trascura l’aspetto dell’impatto ambientale, quali le novità introdotte in quest’ottica? «Abbiamo intrapreso il progetto di lanciare sul mercato nuove imbarcazioni Maiora, in grado di ridurre i consumi e le emissioni fino al 30% con una nuova linea che uscirà nel 2013 e che introdurrà nuovi modelli a propulsione ibrida, sottolineando la nostra attenzione alla riduzione dell’impatto ambientale. Una nuova linea per lo storico marchio Maiora, che prevede gruppi e motori dalle avanzate tecnologie che rivoluzioneranno il modo di vivere il mare». Quali obiettivi e prospet-

L’ARTIGIANALITÀ SI FA IN TRE F

are un giro in uno dei cantieri del gruppo Fipa è un’esperienza unica, per chi si affaccia al mondo della nautica per la prima volta. È possibile assistere agli sviluppi quotidiani della costruzione dello scafo e della sovrastruttura ed è eccezionale vedere come l’abilità manuale della manodopera riesca a costruire dal nulla, piano piano, un’intera imbarcazione. Vedendola terminata sembra quasi impossibile che il lavoro quotidiano degli operai, per mesi, possa dare vita a questi enormi gioielli. Lo stesso lavoro artigianale viene effettuato per tutti e tre i marchi del gruppo, dando vita a pezzi unici. Maiora, con sede storica a Massarosa, è il primo marchio acquisito dal gruppo Fipa nel lontano 1980: linee sobrie, eleganti e classiche per imbarcazioni in vetroresina dai 20 ai 50 metri. AB Yachts, con sede a Massa, è stato assorbito nel 2001: linee giovani e sportive per imbarcazioni con scafi in materiali alleggeriti e propulsioni a idrogetto studiati appositamente per garantire ottime prestazioni e alte velocità, offre imbarcazioni dai 58 ai 166’. Cbi Navi, il cui cantiere si trova a Viareggio, è entrato a far parte del gruppo nel 2005 e produce imbarcazioni dislocanti e semi-dislocanti in acciaio e/o alluminio completamente one-off.

tive si aprono dunque per il prossimo futuro? «Stiamo appunto concludendo accordi importanti per rafforzare la nostra presenza e la nostra rete commerciale a livello globale. Il nostro obiettivo è quello di massimizzare e ottimizzare la rete di assistenza post-vendita e service, al fine di ottenere la massima soddisfa-

zione del cliente a barca consegnata. La nostra volontà è quella di poter offrire risposte rapide e soluzioni immediate ai clienti che si trovino in condizioni di necessità, navigando anche fuori dal Mediterraneo. Messico, India e Cina rappresentano mercati la cui conoscenza va senz’altro approfondita ed esplorata ulteriormente». TOSCANA 2012 • DOSSIER • 157




EDILIZIA

L’edilizia investe sul risparmio energetico Se è vero che il mondo dell’edilizia fatica a riprendersi dalla crisi, è altrettanto vero che non mancano le opportunità e gli strumenti per invertire questa tendenza. La ricetta di Enrico Ognibene, tra sostenibilità energetica, qualità ed economicità delle costruzioni Diego Bandini

pprendere dall’esperienza del passato è una delle regole fondamentali che chi lavora in campo edile è chiamato a rispettare, soprattutto quando si ricerca l’eccellenza del prodotto. La qualità del costruire non può infatti prescindere dalla conoscenza della tradizione edile che, se integrata con le moderne tecniche costruttive di cui oggi disponiamo, può davvero rap-

A Il fondatore e amministratore unico della C.o.c.i. Srl, Enrico Ognibene, insieme ai figli Francesco, a sinistra, e Salvatore, a destra www.cocisrl.it

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presentare quel valore aggiunto capace di trascinare l’intero settore fuori dalle secche di una crisi che continua a farsi sentire. Un concetto ben chiaro a Enrico Ognibene, fondatore nonché attuale procuratore della C.o.c.i., azienda di Rignano sull’Arno (FI) specializzata nella costruzione e ristrutturazione di opere civili e industriali. Molti attori del settore spingono sulla necessità di

rallentare il “nuovo” in favore di un’ampia opera di intervento per la rivalorizzazione e ristrutturazione dell’esistente. Qual è il suo punto di vista in merito? «Personalmente sono molto favorevole all’idea di rivalorizzare e ristrutturare l’esistente. Ci sono molte costruzioni sparse nel territorio abbandonate al degrado e all’incuria, che potrebbero invece essere recuperate e riconsegnate alla collettività. Per quanto riguarda le nuove costruzioni, invece, credo che bisognerebbe più che altro concentrarsi sulla qualità delle opere che si vanno a realizzare, promuovendo la realizzazione di edifici che rispettino determinati parametri da un punto di vista energetico e che, soprattutto, si sposino con l’ambiente che li circonda». In effetti oggi l’edilizia è chiamata a rispondere alle nuove istanze in tema di risparmio energetico e ridu-


Enrico Ognibene

Abbiamo terminato la ristrutturazione di un fienile situato nei pressi di Incisa che ha ottenuto la certificazione energetica di classe A+

zione dell’impatto ambientale. Da parte vostra quanta attenzione riponete nei confronti di queste tematiche? «L’attenzione all’ambiente rappresenta il punto focale della nostra strategia d’impresa. Già da diversi anni utilizziamo materiali innovativi e tecnologie all’avanguardia, per cercare di garantire il massimo risparmio energetico degli edifici su cui interveniamo, siano essi costruiti ex novo o ristrutturati. Nei mesi scorsi, ad esempio, abbiamo portato a termine la ristrutturazione di un fienile situato nei pressi di Incisa: un’opera realizzata secondo le più moderne tecniche costruttive, che proprio per questo ha ottenuto la certificazione energetica di classe A+. Il nostro obiettivo è infatti quello di rendere ogni

abitazione il più possibile indipendente sotto il profilo energetico, in modo che gli stessi proprietari abbiano la possibilità di diventare produttori dell’energia di cui giornalmente hanno bisogno. Ovviamente questo comporta dei costi iniziali maggiori, che possono essere però facilmente ammortizzati, arrivando poi a garantire nel tempo un sicuro guadagno, non soltanto in termini ambientali ma anche economici». Centrale, nella storia di C.o.c.i., è anche l’attenzione riposta nei confronti delle nuove tecniche costruttive. Quali sono, attualmente, le evoluzioni più significative che meglio contribuiscono a una progressione del vostro operato? «L’uso di tecniche costruttive

innovative è il frutto di uno studio accurato e approfondito, che precede la realizzazione di ogni nostro progetto. Attraverso queste analisi specifiche cerchiamo di creare un’attuabile relazione fra la qualità e l’economicità dell’opera in questione. Abbiamo investito importanti risorse nel miglioramento dell’organizzazione e della pianificazione aziendale, stilando un preciso programma di lavoro e monitorando continuamente tutta la vita cantieristica. L’obiettivo è riuscire a rintracciare praticamente in tempo reale gli inconvenienti e le problematiche che si possono verificare, in modo da trovare le soluzioni più appropriate ed evitare così sconvolgimenti che potrebbero generare perdite di tempo e, quindi, di denaro». Come accennato in precedenza, buona parte del vostro operato si rivolge al comparto delle ristrutturazioni. TOSCANA 2012 • DOSSIER • 161


EDILIZIA

Puntiamo a mantenere e rafforzare il rapporto con le grandi firme, attraverso la ristrutturazione dei loro edifici commerciali e la creazione di nuove strutture

«Il restauro e la ristruttura- costruzioni, uno degli inter-

In queste pagine, alcuni dei lavori più recenti realizzati dalla C.o.c.i. In basso, il Centro Outlet The Mall a Leccio Reggello (FI)

zione sono settori particolari, che necessitano non solo di un’idonea organizzazione ma soprattutto di una consolidata esperienza di esecuzione. Abbiamo affrontato lavori di ristrutturazione negli ambiti più disparati, anche in immobili con destinazioni industriali e direzionali, sviluppando con profitto la corretta sensibilità operativa che caratterizza questo campo». Quali sono stati i lavori più significativi? «Per quanto riguarda le nuove

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venti più importanti è la realizzazione del complesso commerciale “The Mall” per il quale abbiamo eseguito tutta la scala delle lavorazioni, dagli scavi alle finiture. Nell’ambito del restauro possiamo ricordare l’Hotel Savoy, nel centro di Firenze, dove siamo intervenuti sia all’interno che all’esterno, la ristrutturazione di due agriturismi nei pressi di Rignano sull’Arno e di numerosi spazi commerciali per conto di diversi marchi d’alta moda. Ci siamo inoltre spe-

cializzati nella ristrutturazione di case coloniche e fienili: fra cui l’attuale recupero di un complesso colonico con fienili annessi situato in via San Leonardo a Firenze, nei pressi del Piazzale Michelangelo». Su quali altre opere vi state concentrando? «Siamo dotati di una struttura organizzativa e di un insieme di competenze specialistiche che ci permettono di affrontare il mercato a 360 gradi. Al momento sono in


Enrico Ognibene

TRADIZIONI E NUOVE TECNICHE COSTRUTTIVE a C.o.c.i. Srl nasce nel marzo del 2000 per volontà di Enrico Ognibene. L’intento di Ognibene è quello di mettere a frutto l’esperienza maturata nel settore delle costruzioni, dove si distinse come giovane imprenditore già alla fine degli anni Settanta. È infatti in questo periodo che inizia a sviluppare la conoscenza della realtà artigianale, fatta di dedizione, impegno e serietà, qualità che ben si sposano alla ferrea volontà di riuscire che ha sempre contraddistinto il suo operare. Oggi, grazie anche al supporto fornito dalle nuove generazioni, con i figli che con passione stanno proseguendo nel solco

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fase di ultimazione alcune ristrutturazioni di negozi commerciali, oltre che di case coloniche e fienili. Stiamo inoltre realizzando alcuni capannoni commerciali, mentre abbiamo da poco iniziato la costruzione di 24 alloggi a Firenze». Dal suo punto di osservazione il settore delle costruzioni come sta reagendo alla crisi e quali soluzioni potrebbero essere adottate per favorire il suo definitivo rilancio?

tracciato dal padre, l’azienda è cresciuta notevolmente, specializzandosi anche nelle nuove tecniche costruttive. La società dispone di personale qualificato, di attrezzature e mezzi propri, oltre che di uno studio di attenti tecnici per poter abbracciare in modo diretto una vasta area nel campo dell’edilizia. Questa struttura le permette di assicurare ai committenti una gestione professionale e responsabile dei lavori, e soprattutto un prodotto finito di qualità, dagli scavi e movimenti terra fino alle opere di finiture, come pavimenti, rivestimenti, cartongessi e imbiancature.

«L’edilizia rappresenta da sempre uno dei motori della nostra economia. Pertanto una ripresa del settore produrrebbe immediati benefici per l’intero sistema produttivo nazionale. Per far sì che questo accada è necessario però che le banche tornino a sostenere le famiglie, visto che oggi, soprattutto per i giovani, è quasi impossibile riuscire a ottenere un mutuo per acquistare una casa. Anche lo snellimento delle procedure burocratiche potrebbe stimolare in maniera positiva il comparto, in quanto una diminuzione dei costi per i costruttori si tradurrebbe in un prodotto finale meno oneroso. Molto importante sarebbe, infine, attuare una seria politica di controllo dei cantieri e delle imprese di costruzioni, per individuare e colpire tutti coloro che, non rispettando le

regole, oltre a praticare una concorrenza sleale, mettono a repentaglio la sicurezza dei lavoratori». A questo proposito, quali sono le maggiori criticità con cui siete costretti a fare i conti nel vostro lavoro? «Indubbiamente la crisi ha accentuato determinate problematiche. Penso, ad esempio, alle gare di appalto caratterizzate dalla logica del massimo ribasso, che spesso finiscono per premiare aziende di dubbia professionalità e scarsamente affidabili. Un altro punto critico è rappresentato dai ritardi nei pagamenti da parte di alcuni clienti, dovuti soprattutto alle difficoltà di questi ultimi ad accedere al credito bancario, che ci ha costretto così a una maggiore esposizione economica. A causa del patto di stabilità, inoltre, è diven- TOSCANA 2012 • DOSSIER • 163


EDILIZIA

tato molto difficile riscuotere

anche i pagamenti da parte degli enti pubblici. Tutto questo, chiaramente, non aiuta chi cerca di lavorare in maniera seria e nel rispetto della legge». Anche in virtù di queste considerazioni, quale bilancio può trarre a seguito dell’attività di C.o.c.i. nel 2011? «Nonostante la difficile congiuntura economica, il 2011 si è chiuso in maniera più che positiva, con una crescita significativa del nostro fattu-

rato rispetto all’anno precedente. Un risultato importante, determinato anche dalla costruzione, nei pressi di Firenze, di alcuni immobili per uso civile, con finiture di pregio e caratterizzati da elevate prestazioni energetiche, tutti venduti ancor prima della fine dei lavori». Su quali presupposti e con quali aspettative si è aperto invece il 2012? «Anche in una realtà dura come quella attuale cerchiamo di non perdere l’ottimismo, nella consapevolezza che la

Il restauro e la ristrutturazione sono settori particolari, che necessitano non solo di un’idonea organizzazione ma soprattutto di una consolidata esperienza di esecuzione

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qualità e l’affidabilità che ci contraddistinguono non potranno non essere premiate dal mercato. Al momento, infatti, abbiamo diversi progetti in cantiere, che ci auguriamo possano iniziare a prendere forma nei prossimi mesi». Quali saranno, infine, gli obiettivi per il prossimo futuro? «Sulla scia di quanto fatto fino ad ora, puntiamo a mantenere e rafforzare il rapporto con le grandi firme, attraverso la ristrutturazione dei loro edifici commerciali e la creazione di nuove strutture. Altro importante obiettivo che vogliamo perseguire è quello di intensificare la nostra partecipazione a interventi di riqualificazione urbanistica, con particolare riferimento all’edilizia privata, al fine di applicare, laddove possibile, tutte quelle migliorie che permettano un uso più razionale delle risorse energetiche a disposizione. Nostra intenzione è inoltre quella di continuare a lavorare, nonostante la scarsità di fondi, nel campo dell’edilizia pubblica, con una sempre più mirata e selettiva azione di partecipazione a gare e concorsi. Siamo infatti convinti che sia ancora possibile perseguire un’idea del “buon costruire” attraverso il consolidamento di una certa qualità dell’opera realizzata, senza dover obbligatoriamente rinunciare al rispetto del criterio di economicità della stessa: è questa la strada che intendiamo percorrere anche nel prossimo futuro».



EDILIZIA

Riforme “strutturali” per l’edilizia Ritardi nei pagamenti, calo delle commesse, tassazioni eccessive e disincentivanti, cattivo impiego del denaro pubblico. Sono questi, secondo Giorgio Dal Canto, i principali ostacoli alla ripresa economica. E per rimuoverli bisogna intervenire alla radice Amedeo Longhi

he siano tempi duri per il comparto edile è un fatto risaputo: il settore sta attraversando una profonda crisi che mette seriamente a repentaglio la sopravvivenza di molte imprese. È diffusa la credenza che, al contrario dell’inaffidabile settore privato, dove la dilazione dei pagamenti supera i centottanta giorni, il pubblico rispetti con più puntualità le scadenze dei pagamenti. Come conferma Giorgio Dal Canto però, non è esattamente così: «Tirando in ballo le imposizioni che comporta il patto di stabilità, è diventato costume degli enti pubblici non onorare i debiti contratti con le aziende alle quali affida servizi e lavori». Una di queste è la Slesa, di cui Giorgio Dal Canto, assieme al figlio Carlo Alberto, è amministratore. «Le imprese italiane – prosegue Dal Canto rias-

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sumendo la situazione – vantano nei confronti dello Stato un credito enorme: nel mese di ottobre 2011 ammontava a circa 90 miliardi di euro, oggi verosimilmente ha raggiunto quota 100 miliardi. Il settore pubblico non perde soldi perché i crediti vanno in prescrizione dopo dieci anni e se lo Stato non fallisce deve pagare. Il problema è: quando pagherà? La difficoltà delle imprese è che i lavori vengono effettivamente svolti e, se non vengono pa-

gati, comportano un’esposizione finanziaria ingente. Per quanto ci riguarda, questo dato è quantificabile in circa un milione di euro, su cui paghiamo quattro punti percentuale di interesse, un’ingente somma che, se fosse a disposizione, potrebbe essere usata per far ripartire con gli investimenti, e quindi incrementare, nel nostro piccolo, l’economia». A pilotare questa grande imbarcazione, secondo Dal Canto, un sistema ammini-

La Slesa Spa ha sede a Ponsacco (PI) www.slesa.it


strativo fortemente carente e poco efficiente: «Tutti gli anni alle amministrazioni comunali e provinciali viene drenata una certa quantità di denaro, che viene trattenuta a Roma dal governo centrale per pagare i costi di un apparato politico, burocratico e amministrativo esagerato. La carenza di liquidità che inevitabilmente questa mala gestione genera, impedisce di svolgere i lavori necessari. Il prezzo viene pagato dai cittadini, che non usufruiscono dei servizi, e da noi imprenditori edili, che viviamo essenzialmente di lavori pubblici o collegati al pubblico». Un discorso a parte merita la crisi tremenda che sta attraversando l’edilizia: «Con tutte le tasse che gravano sulle case, gli investitori sono spariti e l’investimento immobiliare non è più appetibile. I dati Istat dicono che i risparmi stanno aumentando e gli investimenti diminuendo, per via dei pesantissimi oneri tributari cui è soggetto il settore immobiliare, a cui va sommata la scarsa tutela di cui godono i proprietari di case, per esempio nei casi di inquilini morosi. Questi sono i mali del nostro settore: mancati pagamenti e mancanza di lavoro». La situazione è dunque preoccupante e le prospettive non lasciano intravedere se-

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Bisogna smettere di addebitare ai cittadini gli enormi costi necessari a mantenere un sistema obsoleto

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gnali positivi: «Oggi la scelta è fra abbandonare tutto, tentare la via dell’estero o cercare di sopravvivere in Italia. La gente pensava che la crisi sarebbe stata di breve durata e che col 2011 sarebbe iniziata la ripresa. Invece la recessione prosegue e sicuramente si protrarrà anche per il 2013. Questo è quanto dicono alcune categorie di operatori del settore: oggi bisogna adeguarsi alla crisi, senza dimenticarsi di tutelare le persone con cui si lavora. Per fortuna sinora siamo riusciti a non attuare misure di riduzione nei confronti dei dipendenti, cerchiamo di andare avanti tutti insieme, ma in futuro molto probabilmente saremo costretti a mettere in cassa integrazione i lavoratori». Sensibilmente la via d’uscita

passa quindi necessariamente attraverso l’attuazione di radicali riforme strutturali, ribadisce Dal Canto: «Il nostro Paese ha un settore pubblico con 5 milioni di addetti su 60 milioni di abitanti; la Germania, che conta 100 milioni di abitanti, ne ha 4 milioni. I nostri Comuni inoltre non si occupano più di servizi fondamentali come la distribuzione dell’acqua o la gestione delle fognature, tutto è stato privatizzato. Bisogna smettere di addebitare ai cittadini gli enormi costi necessari a mantenere un sistema obsoleto. Quello che manca è la volontà: un primo segnale potrebbe essere un deciso tagli ai costi della politica, per esempio tramite la riduzione del 50% dei parlamentari». TOSCANA 2012 • DOSSIER • 167


EDILIZIA

L’immobiliare in Toscana, criticità e prospettive L’andamento del mercato immobiliare in Toscana. Vincenzo Mangani illustra lo scenario, le criticità e i punti di miglioramento possibili per un rilancio del settore. La strategia ha come basi la professionalità della mano d’opera e la riduzione dei costi di produzione Manlio Teodoro

l settore delle costruzioni si trova in una fase di stallo anche in Toscana. Le attuali difficoltà nell’accesso ai mutui hanno determinato il crollo delle vendite immobiliari e di conseguenza gli investitori non hanno interesse ad avviare nuovi cantieri, fino a che non si riattiva la domanda. Quello che è rimasto sul mercato, e che fa continuare a lavorare le imprese di costruzioni, sono le piccole ristrutturazioni e la manutenzione straordinaria. Secondo Vincenzo Mangani, ammini-

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stratore unico dell’omonima impresa di costruzioni civili e industriali, le soluzioni che potrebbero dare una risposta all’attuale crisi generale dell’edilizia passano dall’adeguamento del settore alle norme europee. «Bisognerebbe snellire le procedure e la burocrazia attraverso una completa digitalizzazione del sistema di accesso ai permessi per l’avvio dei cantieri. Altra misura fondamentale è ovviamente quella che riguarda le tasse sul lavoro. Questo tema interessa tutti i settori e non soltanto quello dell’edilizia, però nel nostro settore ha un valore determinante, dato che è sempre più difficile trovare personale formato e soprattutto motivato. E quindi, inevitabilmente, la combinazione dei due fattori rappresenta un ostacolo all’assunzione di nuovo personale da parte delle aziende». Investire sulla professionalità della mano d’opera e cercare di ridurre i costi di produzione, mantenendo però

alti standard di qualità, può rappresentare un valore? «Questo è quello che noi stiamo proponendo al mercato. Il più importante degli investimenti, per noi, è nelle risorse umane. Un operaio formato, che conosce il mestiere, che sa come muoversi in cantiere, è un ottimo investimento. A questo si somma poi l’importanza delle attrezzature, che oggi permettono di realizzare in pochi giorni il lavoro che fino a pochi anni fa richiedeva settimane. Purtroppo ci scontriamo anche con personale poco qualificato, composto da persone che hanno scelto questo lavoro come un ripiego in assenza di alternative. La bassa motivazione ha un effetto negativo anche sul fronte della sicurezza, dato che le giornate dedicate ai corsi di formazione vengono considerate non momenti di crescita professionale, bensì occasioni per ottenere comunque una retribuzione anche se a questa non


Vincenzo Mangani

Il nostro progetto per i prossimi anni è crescere strutturalmente, cercando di investire in nuove costruzioni ecosostenibili

è corrisposto alcun impegno». In questo periodo, nel residenziale, quali sono le richieste del mercato per quanto riguarda metrature e numero di ambienti? «Per quanto riguarda l’offerta, nel condominiale, oggi viene proposta una tipologia di appartamento con una metratura di circa 65 metri quadri, composto da soggiorno, cucina, camera matrimoniale, cameretta, bagno. È abbastanza difficile anche che ci sia lo spazio per un ripostiglio. Esistono poi anche appartamenti autonomi, con giardino e garage. La richiesta, da parte delle neofamiglie che visitano i nostri cantieri, però, è quella di un appartamento intorno agli 80 metri quadri, composto da soggiorno, cucina, ba-

gno, ripostiglio, camera matrimoniale e una o due camerette, un balcone. Insomma, un appartamento con il più alto numero di vani, soprattutto considerando l’elevato costo dei nuovi immobili. Cresce anche l’attenzione per case ecosostenibili, il cui fabbisogno energetico sia prossimo allo zero e in cui siano impiegati materiali rispettosi dell’ambiente e della persona». Quali sono i vostri progetti di investimento e gli obiettivi per il 2012 e i prossimi anni? «Il progetto per i prossimi anni è quello di crescere strutturalmente, cercando di investire in nuove costruzioni ecosostenibili, ampliare l’area geografica di riferimento e quindi incrementare il giro di affari – negli ultimi due anni,

per esempio, abbiamo iniziato anche a lavorare in nuove zone, come Follonica, zona di mare dove abbiamo lavorato a fabbricati plurifamiliare o destinati all’uso ufficio. Per fare questo stiamo acquisendo gli attestati di qualifica per ramificarci anche in altri ambiti delle costruzioni, come i lavori stradali e le strutture pubbliche. Inoltre puntiamo a investire nel recupero edilizio, avvalendoci maggiormente di nostre squadre qualificate per intervenire in ogni evenienza, dalla progettazione alla realizzazione alla vendita. E ci si sta già muovendo in questa direzione».

Vincenzo Mangani, amministratore unico della Mangani Costruzioni Srl di Fucecchio (FI) info@manganicostruzioni.it www.manganicostruzioni.it

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MATERIALI

Il legno, materiale del futuro? Alla crisi dell’edilizia tradizionale degli ultimi anni fa da contraltare la crescita delle costruzioni realizzate in legno e destinate sia all’edilizia residenziale che alle strutture industriali e non abitative. Marco Vezzosi spiega le ragioni che potrebbero permettere a questo materiale naturale di imporsi nei prossimi anni Manlio Teodoro

el quadriennio 2008-2011, il settore delle costruzioni in Italia ha perso il 17,8 per cento degli investimenti, ciò significa che non sono state realizzate opere per circa 29 miliardi di euro. Ciò vuol dire che si è ridotto drasticamente il numero, per anno, dei nuovi immobili residenziali immessi sul mercato, passati dai 61mila del 2007 a meno di 39mila del 2011. A fare

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Fasi di lavorazione del legno della Campaldino Legnami Srl di Poppi (AR) www.campaldinolegnami.it

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da controtendenza a questi dati ci sono i risultati della crescita della costruzione delle abitazioni in legno, che dal 2006 al 2010 sono quintuplicate e che nei prossimi cinque anni dovrebbero crescere ancora del 50 per cento (fonte: Il mercato italiano delle case in legno – Analisi di mercato e previsioni fino al 2015, Paolo Gardino Consulting). Nel 2010 infatti sono state costruite 5mila abitazioni in legno e quasi 4mila edifici, mentre le strutture non residenziali hanno superato le 11mila unità nel 2010 e per questa tipologia di costruzioni le previsioni da qui al 2015 stimano un aumento del 70 per cento. «Nonostante esista ancora una scarsa fiducia nella costruzione in legno per uso residenziale, che ha le sue ragioni principali nei dubbi sulla robustezza, la durata e il pericolo di infiammabilità del materiale, oggi questi aspetti sono stati sostanzialmente risolti dall’industria e il legno rappresenta certamente mag-

giori vantaggi rispetto agli svantaggi». A parlare è Marco Vezzosi, titolare della Campaldino Legnami, segheria e commerciante di legni da costruzione e da falegnameria. «I nostri legni, che provengono da Africa, America, Europa, sono destinati principalmente al mercato del Centro Italia – in misura minore al Nord, al Sud e all’estero – per la realizzazione di costruzioni civili e industriali, arredamenti e infissi. Per la lavorazione e trasformazione di tutti i nostri legnami, provenienti da foreste gestite in maniera ecosostenibile, come pure per il recupero degli scarti prodotti – riutilizzati internamente per produrre energia e calore – siamo in possesso della certificazione Ce». Il legno, oltre a essere un materiale altamente ecocompatibile e naturale, ha vantaggi specifici anche a livello costruttivo. Come spiega Marco Vezzosi: «Il legno permette di costruire rapidamente e garantisce un buon isolamento


Marco Vezzosi

Per far crescere il settore bisogna impostare una strategia di comunicazione che metta in evidenza i vantaggi del legno rispetto ai materiali tradizionali

termico. Certamente esiste una percezione, in parte reale, di un costo superiore del legno come materiale da costruzione rispetto ai materiali tradizionali. Tuttavia i maggiori ostacoli alla scelta del legno restano quelli legati ai dubbi sulla durata e alla necessità di maggiori attività di manutenzione, oltre a questioni culturali radicate, per le quali la casa in muratura coincide con l’idea stessa di casa. Da questo punto di vista, è indubbio che ciò che occorre fare per garantire la crescita del settore è impo-

stare una strategia di comunicazione adatta non solo a mettere in evidenza i vantaggi del legno, ma soprattutto a far superare la diffidenza, dovuta all’associazione del legno a una tecnica di costruzione insolita o che appartiene ormai al passato. Mentre è vero il contrario, dato che le costruzioni in legno sfruttano moltissime tecnologie modernissime e, in particolare quelli che sono destinati al contatto con l’estero, possono garantire una lunga durata nel tempo grazie a trattamenti idonei». È in questa direzione

infatti che si sta indirizzando prevalentemente la ricerca nel settore del legno, puntato sulla continua evoluzione dei materiali per la costruzione. Oltre che nella ricerca e nello sviluppo, i prossimi investimenti della Campaldino Legnami si concentreranno sui temi dell’aggiornamento e della sostituzione dei macchinari e delle attrezzature dell’azienda, e nell’ottimizzazione dei consumi energetici dell’azienda che oggi conta anche tre punti vendita per un totale di 100mila metri quadrati. TOSCANA 2012 • DOSSIER • 171


MATERIALI

Il trattamento della marmettola Per preservare il patrimonio naturale versiliese è fondamentale gestire con oculatezza la marmettola, lo scarto prodotto dal processo di segagione di marmo e cocciame, attività tipica dell’apuano. Riccardo Biasci illustra il procedimento di smaltimento Amedeo Longhi

a scomodo rifiuto a preziosa risorsa. È la metamorfosi di cui è protagonista la marmettola lungo la filiera di produzione dei blocchi e lastre di marmo, prodotto tipico delle province di Massa Carrara e Lucca. È proprio questo il passaggio di cui si occupa Riccardo Biasci, amministratore delegato della Cages, società massese che da una decina di anni opera nel mercato dei rifiuti lapidei.

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Da destra, Leonardo Biasci, Riccardo Biasci e Luigi Gabarra, della Cages Srl di Massa www.cages.it

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«La nostra realtà – spiega Biasci – nasce con l’acquisizione di un ramo d’azienda che operava sul territorio apuanoversiliese per la raccolta di marmettola, rifiuto fangoso proveniente dalla segagione del marmo e di cocciame, residuo solido della lavorazione dei blocchi e delle lastre. L’attività viene svolta in sinergia con Sepin, unico azionista della società, già fornitore di marmettola per Huntsman Tioxide, multinazionale con stabilimento a Scarlino, in provincia di Grosseto, per la produzione di biossido di titanio». Cages raccoglie e trasporta marmettola e cocciame dai produttori al proprio centro di raccolta, selezione e trattamento: «Provvediamo al recupero di circa duecentomila tonnellate annue di marmettola – che, lo ricordo, è un rifiuto a base di carbonato di calcio che fino agli anni Ottanta veniva semplicemente riversato nei fiumi – e di circa cinquantamila tonnellate l’anno di cocciame di marmo».

La marmettola raccolta, a seconda delle sue caratteristiche e del trattamento specifico cui è sottoposta, viene inviata alla Huntsman Tioxide, per la neutralizzazione dell’acido solforico, scarto della produzione del biossido di titanio, alle centrali a carbone Enel per l’abbattimento dell’anidride solforosa prodotta dalla combustione e a ditte per la produzione di filler per cartiere. Il cocciame viene invece riutilizzato nelle cementerie, nell’edilizia o per la produzione manufatti sempre per il comparto edile. «Dal processo di trattamento dell’acido solforico di scarto di Huntsman Tioxide con il carbonato di calcio della marmettola si produce solfato di calcio, ovvero gesso, dal caratteristico colore rossastro, dovuto alla presenza di ferro, conosciuto come i cosiddetti “gessi rossi” di Scarlino. I gessi prodotti in ragione di circa quattrocentomila tonnellate annue, gestiti dalla Sepin, vengono riutilizzati in gran parte per ripristini ambientali, trecentomila tonnellate,


nei cementifici e nell’industria manifatturiera, mentre il quantitativo restante viene collocato in discarica in attesa di un suo completo riutilizzo. Questa è risultata la soluzione più economica e ecologicamente corretta per la gestione degli scarti di lavorazione del biossido di titanio». In sintesi, utilizzando i rifiuti recuperati e trattati da Cages, destinati alla discarica, è possibile ottenere materiali disponibili per le cartiere oppure idonei al trattamento di effluenti liquidi e gassosi contenenti acido solforico e anidride solforosa, che danno origine a gessi rossi e bianchi che a loro volta vengono riutilizzati per ripristini ambientali, cementerie, produzioni di pannelli in cartongesso o altre attività industriali. «Questo processo di recupero, consente di risparmiare circa duecentomila tonnellate annue di carbonato di calcio non estratto dalle cave, trecentomila ton-

Provvediamo al recupero di circa duecentomila tonnellate annue di marmettola, rifiuto a base di carbonato di calcio che fino agli anni Novanta veniva semplicemente riversato nei fiumi

nellate di terre da escavare per ripristini ambientali e trenta/quarantamila tonnellate di gessi di cava». Con il riutilizzo dei residui della lavorazione del marmo e dei gessi prodotti in due aree produttive della Toscana, altrimenti destinati allo smaltimento, è stato possibile evitare di inviare in discarica seicentomila tonnellate annue di materiale e di occupare quattrocentomila metri cubi di territorio. «Il 99 per cento dei rifiuti in ingresso viene riutilizzato nelle attività industriali secondo i dettami della normativa europea e nazionale, evitando di riempire discariche e distruggere materiali vergini di cava». Studi e prove che l’azienda

sta portando avanti in collaborazione con alcune università e centri di ricerca specializzati sono concentrati sull’utilizzo dei gessi chimici in opere e attività edili, nel riutilizzo della marmettola di granito e nell’impiego di limi calcarei di cava e scarti polverosi di produzione di carbonato di calcio al posto delle materie prime vergini. «Ci auguriamo però – conclude Biasci – che le amministrazioni pubbliche favoriscano concretamente, secondo lo spirito della normativa europea e nazionale, il riutilizzo dei materiali di recupero, limitando l’utilizzo dei materiali vergini di cava, nelle attività dove possono essere sostituiti con successo».

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TURISMO

La politica sbaglia a ignorare il turismo «Nei prossimi anni la crescita del Pil non potrà che arrivare dal turismo». Ne è convinto Paolo Audino, amministratore delegato di Ttg Italia, società organizzatrice di Art&Tourism, fiera che nasce anche per sensibilizzare le istituzioni pubbliche a promuovere con più efficacia il settore Luca Donigaglia

al 18 al 20 maggio Firenze sarà teatro di Art&Tourism, fiera internazionale dedicata al turismo culturale. L’evento si propone come “piazza d’affari” per la nostra industria culturale e l’indotto turistico che essa genera. Il fatturato del settore, secondo i dati dell’Osservatorio nazionale del turismo, è pari a 103 miliardi di euro e sono 550mila gli occupati del comparto culturale. Numeri che sono destinati ad aumentare, visto il crescente trend della domanda turistica di itinerari storico-artistici. Per questo motivo, Ttg Italia, società del gruppo Rimini Fiera, e Regione Toscana, con il supporto di Toscana Promozione e Firenze Fiera, intendono favorire l’incontro tra domanda e offerta all’interno della kermesse ospitata nella

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Paolo Audino, amministratore delegato di Ttg Italia

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Fortezza da Basso e aperta al pubblico, dove parteciperanno addetti ai lavori, pubblici e privati. Paolo Audino, amministratore delegato di Ttg Italia, ne illustra i dettagli. Come nasce l’idea della fiera internazionale Art&Tourism in un momento di crisi come quello attuale? «Il momento non è certo facile, però le fiere che hanno contenuti concreti e si occupano di temi sentiti dal mercato hanno maggiori possibilità di avere successo. È proprio nei momenti di difficoltà che bisogna essere caparbi nel portare avanti i nuovi progetti. Il riscontro che stiamo ottenendo è importante e questo ci dà la sicurezza di muoverci su una strada giusta e condivisa. Sulla crisi posso dire che, per quanto riguarda in modo specifico il turismo, la contrazione dei consumi non è superiore a quella di altri settori. Il viaggio resta un bene primario, semmai sta cambiando il modo di viaggiare e di acquistare il prodotto. Il turismo non è in crisi, ma in profonda trasformazione. Il viaggio culturale, in modo specifico, continua ad avere una forte valenza e a cre-

scere costantemente». In cosa si differenzia questa manifestazione dalle altre di settore? La scelta di puntare sia sugli addetti ai lavori sia sul grande pubblico la considerate una scommessa? «Art&Tourism si propone di far incontrare nello stesso ambito la cultura e il turismo. Nelle altre fiere di settore si parla di turismo culturale, ma senza la presenza degli operatori della cultura. Il modello di Art&Tourism nasce da un’osservazione: il turismo culturale oggi non ha né una vetrina né una piazza di contrattazione. Mettere insieme operatori professionali e pubblico non è una novità: la più importante fiera del turismo al mondo, l’Itb di Berlino, lo fa da sempre». Il turismo culturale vale oggi il 30 per cento del fatturato globale del settore e riguarda ogni anno 330 milioni di viaggiatori (quasi il 40 per cento del totale dei turisti). Come riuscire a considerare il settore una vera e propria industria al di là delle “resistenze” tutte italiane all’innovazione? «Considerare il turismo culturale un’industria è molto diffi-


Paolo Audino

cile, perché l’industria ha caratteristiche che il turismo non ha. Più che industria è un comparto che meriterebbe maggiore attenzione dalla politica e più considerazione dalle istituzioni. Ma le resistenze non sono all’interno del comparto, quello del turismo è formato soprattutto da piccole e medie imprese che, da sole, non possono fare più di quello che stanno facendo; la cultura è, soprattutto, in mano a organismi pubblici. Quando la politica si renderà conto che nei prossimi anni la crescita del Pil non potrà che arrivare dal turismo finalmente prenderà decisioni che sposteranno gli equilibri e determineranno il vero cambiamento. La politica oggi, ignorando tutto ciò, commette un grande errore». L’obiettivo di Art&Tourism è allargare l’offerta del turismo culturale oltre i confini del tradizionale mondo ricettivo alberghiero delle principali città d’arte, affiancando offerta museale, archeologica, dei festival, di gallerie e organismi vari. Qual è la chiave per offrire un prodotto culturale abbinabile a un’offerta turistica? «Pensare di parlare di turismo culturale occupandosi esclusivamente di alberghi non è produttivo. L’albergo è una delle componenti del viaggio, non marginale ma neppure decisiva. Il turismo culturale strutturato non può che nascere dalla consapevolezza di essere

2,6 % PIL La percentuale della ricchezza nazionale del settore culturale in Italia, con un contributo stimato, in valore assoluto, di circa 40 miliardi di euro . Il fatturato generato dal settore è pari a 103 miliardi di euro e sono 550 mila gli occupati del comparto culturale

9,6 % VISITATORI Gli ultimi dati del Ministero per i beni e le attività culturali del primo semestre 2011 segnano un aumento del 9,6% rispetto al 2010 dei visitatori dei luoghi della cultura statali raggiungendo oltre 20 milioni di ingressi (+1.751.987)

un prodotto come tutti gli altri e, come tale, deve essere progettato e promosso adeguatamente. Non è pensabile che un museo si proponga agli operatori senza avere, ad esempio, le tariffe per i prossimi 2 o 3 anni, perché il mercato internazionale chiede questo e non si capisce perché in Italia

debba funzionare diversamente. Art&Tourism nasce, da una parte, per sensibilizzare gli operatori della cultura al dialogo con il mondo del turismo e alla comprensione delle sue logiche, dall’altra, per far capire al settore turistico che l’alleanza con la cultura porterà sicuramente sviluppo». TOSCANA 2012 • DOSSIER • 179


TURISMO

La cultura produce lavoro e sviluppo Una maggiore capacità di spesa, più interesse verso la cultura del proprio territorio e degli altri luoghi, target differenziati. Sono questi gli aspetti che segnano l’evoluzione della domanda di turismo culturale che la Regione vuole intercettare. Cristina Scaletti spiega come Luca Donigaglia

a tendenza a viaggi più brevi ma ripetuti durante l’anno, la maggiore propensione alle vacanze “attive”, la diffusione di itinerari tematici integrati e di forme di fruizione alternative legate alle nuove tecnologie hanno permesso al turismo culturale di non conoscere crisi negli ultimi anni. Secondo le indagini dell’Osservatorio nazionale del turismo, nel primo semestre del 2011, dei 15,6 milioni di italiani in viaggio, il 38,6 per cento ha scelto le località di interesse storico-artistico, sia italiane che estere, che sono state, di fatto, il primo prodotto turistico, in aumento di quasi un punto percentuale rispetto allo stesso periodo del 2010. La Toscana detiene il più alto numero di siti culturali (musei, monumenti, aree archeologiche) rispetto al panorama nazionale. Sono 473 i siti culturali presento sul territorio regionale, di cui il 43,3 per cento è di proprietà degli enti locali e l’11,8 per cento dello Stato. L’assessore regionale Cristina Scaletti spiega in che modo la Regione promuove e incentiva il turismo culturale. A iniziare da Art&Tourism.

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In maggio Firenze ospiterà Art&Tourism, la prima fiera mondiale dedicata al turismo culturale. Sono attesi più di 25mila visitatori da tutto il mondo, oltre 2mila buyer e 400 tour operator. La Toscana ne ha bisogno? Su quali benefici contate? «Con un evento di rilievo come Art&Tourism la Toscana si presenterà come terra di innovazione e di cultura. Con il tempo, contiamo di diventare il modello di riferimento internazionale per il turismo culturale di qualità e uno dei poli fieristici più importanti al mondo». Si calcola che ogni anno un terzo dei 910 milioni di persone che “fanno” turismo nel mondo si muovano sulla base di interessi culturali. La sinergia tra cultura e turismo in Toscana ha dato risultati positivi tra 2010 e 2011, con un +3,3% registrato l’anno scorso. Quali sono i numeri attuali dei visitatori nella vostra regione e quante risorse muove il settore a livello regionale? «I numeri da soli, seppur positivi, non sono sufficienti a capire quanto sia grande il movi-

mento turistico in regione. Possiamo dire che in Toscana ci sono tre turisti per ogni abitante. Nel 2011 abbiamo registrato 11,5 milioni di arrivi e 42,5 milioni di presenze. Rispetto al 2010 abbiamo avuto un aumento del 7,2 per cento degli stranieri. Con questi numeri, è facile intuire l’importanza che il settore turistico ha sull’economia regionale. Attualmente copre il 13 per cento del Pil regionale». Come il turismo culturale, pari al 30 per cento del turismo complessivo, può offrire una leva in questo senso secondo la vostra esperienza? «Per uscire dalla crisi dobbiamo puntare sulle nostre eccellenze, solo così possiamo essere davvero competitivi sul mercato. Lo sviluppo economico dell’Italia passa necessariamente anche dalla cultura e da un rafforzamento del settore turistico. Il turismo culturale è stato e sarà il volano principale della nostra economia. Non possiamo rimanere indietro rischiando di perdere le sfide che il mercato ci lancia. La Toscana lo sta facendo con una rimodulazione dell’offerta che assecondi le nuove esi-


Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx Cristina Scaletti

Cristina Scaletti, assessore a Cultura, turismo e commercio della Regione Toscana

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Abbiamo candidato le 14 ville medicee della Toscana a patrimonio dell’Unesco e una di queste, la Villa di Careggi a Firenze, diventerà la sede del Museo dell’Informazione

genze e che sfrutti appieno le potenzialità delle nuove tecnologie. Art&Tourism sarà una grande occasione per presentare al mondo le novità culturali italiane e del territorio che rappresento, sia per quei mercati che già ci conoscono e apprezzano, come il nord Europa e gli Usa, sia per quelle realtà emergenti verso le quali le nostre attrattive artistiche e culturali potranno sicuramente essere strumenti di successo». Non sarebbe ora di considerare anche in Italia il turismo un’industria a tutti gli effetti e prevedere le necessarie politiche di investimento? Quanto la Regione investirà nei prossimi anni? «La cultura produce ricchezza, occupazione e sviluppo. È

un’industria creativa che, se sostenuta da solide politiche culturali, ha ricadute economiche positive sul territorio. Ne siamo convinti e per il secondo anno consecutivo non abbiamo tagliato un euro al bilancio della cultura. Una scelta in controtendenza rispetto alle altre Regioni ma che, ne sono sicura, ci darà un vantaggio competitivo a breve. Con le delibere approvate nei primi mesi dell’anno, abbiamo messo a disposizione già il 70 per cento del totale dei finanziamenti e abbiamo investito 20 milioni di euro nel potenziamento delle infrastrutture turistiche. Sulla Via Francigena abbiamo investito 10 milioni per la sua messa in sicurezza, a cui si aggiunge un altro milione e mezzo per un progetto d’ec-

cellenza. Stessa cifra per il progetto d’eccellenza sugli Etruschi. Abbiamo candidato le 14 ville medicee della Toscana a patrimonio dell’Unesco e una di queste, la Villa di Careggi a Firenze, diventerà la sede del Museo dell’Informazione. Per promuovere l’immagine della Toscana nel mondo, abbiamo attivato una strategia ad hoc, lontana anni luce dalle logiche del mordi e fuggi, attraverso l’agenzia regionale Toscana Promozione: 4 milioni di euro per diventare una delle principali destinazioni dei turisti provenienti dai paesi emergenti, i cosiddetti Bric. La lista delle cose fatte e da fare è ancora lunga, ma questi esempi delineano chiaramente la strada che abbiamo intrapreso».

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POLITICHE SANITARIE

Una sinergia per ottimizzare tempi e prestazioni Nonostante il gradimento manifestato dai cittadini per il sistema regionale, la Regione Toscana ha deciso di dare un peso maggiore al settore privato, «in un’ottica non di competizione, ma di collaborazione» spiega l’assessore regionale Daniela Scaramuccia. L’obiettivo? Il miglioramento del sistema Tiziana Bongiovanni

assessorato alla Salute della Regione Toscana, guidato da Daniela Scaramuccia, sta per avviare il piano regionale sanitario, una piccola rivoluzione: la sanità privata entrerà nel sistema pubblico. Nessuna competizione, ma collaborazione e integrazione secondo il principio di sussidiarietà. Questi i presupposti, nell’ottica di un ampliamento dei servizi offerti. Assessore, com’è organizzato il sistema sanitario toscano? «Il sistema regionale poggia essenzialmente sulla sanità pubblica e può contare su oltre 50mila persone tra medici, infermieri e tecnici che operano nei 40 ospedali e nelle strutture del territorio». Qual è la percentuale di spesa pubblica destinata al settore privato? «Intorno al 10 per cento, con un valore medio nazionale di circa il 20 per cento». Sono soddisfatti i cittadini? «Sì, e le indagini di gradimento lo confermano. I toscani stanno bene e vivono più a lungo, con una mortalità generale dimezzata negli ultimi trent’anni e infantile ai livelli più bassi europei e mondiali e una speranza di vita con un guadagno di tre anni negli ultimi dieci». Ma ci sarà pur qualcosa da migliorare.

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«Sì, i tempi di attesa per le prestazioni specialistiche ambulatoriali rappresentano certamente una criticità». Cosa state facendo per sveltire i tempi? «Stiamo riorganizzando complessivamente l’assistenza specialistica ambulatoriale e definendo di un nuovo rapporto tra utente, prescrittore ed erogatore. Il problema dei tempi di attesa non verrà inquadrato esclusivamente come una questione di puro in-

Daniela Scaramuccia, assessore alla Salute della Regione Toscana


Daniela Scaramuccia

cremento delle prestazioni offerte, ma come necessità di governare la domanda e diversificare la capacità di risposta del sistema, anche attraverso la definizione di percorsi assistenziali. Queste riflessioni si sono sostanzialmente tradotte in due direttrici di lavoro: il miglioramento dell’efficienza del sistema per ottenere un uso ottimale delle risorse disponibili e l’intervento sui livelli di utilizzazione delle prestazioni attraverso il concetto di appropriatezza e responsabilizzazione dei cittadini a un uso corretto dei servizi sanitari». Può considerarsi motore di crescita il settore privato? «Il settore ospedaliero privato convenzionato contribuisce, in pari misura rispetto a quello pubblico, alla complessiva riqualificazione dell’attività ospedaliera e specialistica, e a fornire un’offerta coordinata e coerente con gli obiettivi della programmazione regionale.

Il settore ospedaliero privato convenzionato contribuisce, in pari misura rispetto a quello pubblico, alla complessiva riqualificazione dell’attività ospedaliera e specialistica

L’accordo recentemente siglato dimostra che l’orientamento va verso l’affermazione della massima integrazione e della sussidiarietà tra pubblico e privato, in un’ottica non di competizione, ma di collaborazione, nel perseguimento del comune obiettivo di miglioramento del sistema per ampliare il ventaglio dell’offerta di prestazioni». Come tutelate la sanità pubblica? «Il modello con cui nel nuovo piano sanitario regionale la condizione di salute è rappresentata è la “piramide della salute”, con una base che comprende tutti i cittadini in salute. Appiattire il più possibile questa pi-

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POLITICHE SANITARIE

RIFORMARE IL SISTEMA GUARDANDO AGLI USA Un sistema che vanta diverse eccellenze ma che troppo spesso fa notizia per i casi di malasanità. Ma soprattutto, spiega Luigi Salvadori, ciò di cui ha bisogno la sanità italiana è l’adozione di un modello all’americana «L’Italia è un paese in cui tutti vengono curati gratuitamente, ma non è giusto. I costi per lo Stato sono ingenti. I cittadini abbienti dovrebbero pagare almeno un piccolo “pedaggio” quando vanno in ospedale». Parla di scala sociale come mezzo per ripianare la cronica carenza di risorse del settore Luigi Salvadori (nella foto), alla guida della Luigi Salvadori Spa, azienda attiva nella produzione di materiali di medicazione e di dispositivi medici, e presidente della Commissione sanità di Confindustria Toscana, oltre che vicepresidente di Confindustria Bulgaria (la sua Salvamed Ad ha sede nel paese balcanico). Presidente, fin qui nulla di nuovo. Ognuno secondo i propri mezzi. «Sì. L’Italia è un paese in cui se qualcuno casca per terra, sia cittadino italiano che extracomunitario, viene raccolto, tenuto in ospedale, guarito e fatto uscire senza pagare nulla. Il sistema sanitario nazionale dà al cittadino un servizio pazzesco in confronto ai costi che sostiene. Continuare a mantenere la sanità gratis a tutti i livelli è un costo esorbitante. Negli Usa, che consideriamo sempre il nostro faro, se la gente che va in ospedale non ha la carta di credito non la curano. Noi abbiamo un concetto sociale più elevato. Ma così è iniquo. Bisognerebbe, invece, far pagare tutti coloro che ne hanno la possibilità. Ad esempio, ogni qualvolta una persona benestante va in ospedale devolga almeno dieci euro al giorno».

E poi? «E poi bisogna fare i conti. Calcolare quanto costa il sistema sanitario in Italia e di quante risorse ha bisogno. Come in un bilancio reale: c’è la possibilità di finanziarlo oppure no? Quello che non si riesce a coprire con le risorse pubbliche bisogna farlo pagare ai più abbienti, non è giusto che costoro non tirino fuori una lira. Bisogna cambiare cultura, mentalità e la stampa deve dare una mano. Non con gli scoop sui casi di malasanità, facendo di tutta l’erba un fascio, ma dando spazio anche ai fatti positivi. Si parla tanto dei casi di decesso per cattiva gestione sanitaria, ma quante migliaia di vite vengono salvate negli ospedali italiani? È necessario non sottovalutare le buone pratiche e sopravvalutare quelle cattive. Piuttosto i mass media parlino della corruzione all’interno della sanità». Girano molti soldi nella sanità pubblica? «Di sicuro, rispetto a quella privata, la sanità pubblica riceve i soldi dallo Stato. Ciò permette migliori apparecchiature, più efficienza e margini di miglioramento maggiori. Nel settore privato operano sempre i singoli, anche se a volte grandi, ma restano pur sempre singoli». Però si sente dire che spesso gli ospedali pubblici sono carenti. «È vero, non tutti gli ospedali sono uguali. Ma ci sono anche centri di eccellenza, dove operano medici bravi e dove dispongono di macchinari all’avanguardia. Avendo maggiori en-

ramide è l’obiettivo primario, con forte investimento sulla prevenzione e sulla promozione degli stili di vita». C’è chi si sente più in buone mani nell’ospedale pubblico e chi in quello privato. Cosa spinge a orientare verso la scelta dell’uno o dell’altro? «Ricevere in ogni nodo del sistema lo stesso livello di attenzione, di sentirsi realmente “preso in carico” e di ricevere risposte adeguate in termini di qualità e sicurezza».

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trate è più facile avere una struttura al top. I privati hanno molte più difficoltà». Cosa si potrebbe fare, quindi? «Dividere i compiti: dare la possibilità ai privati di fare tutto ciò che gli è più facile, o che gli compete meglio, e cercare di puntare sempre più in altro per quanto riguarda il pubblico». Ma le due controparti oggi in quali rapporti sono? «Dopo anni di guerre e incomprensioni finalmente si è raggiunta un’intesa, cosa molto positiva perché di qualità nella sanità c’è bisogno. Tutti gradiscono un miglioramento dei servizi offerti e una velocizzazione nella loro fruizione ai giusti costi». L’ospedalità privata può essere un motore di crescita il comparto? «Certamente, ha una grande potenzialità. Vuol dire ricerca. I cittadini che pagano le tasse hanno diritto ad avere una buona sanità e il settore pubblico dovrebbe evitare al massimo gli sprechi».

Infine, quali sono i progetti su cui sta lavorando e quali obiettivi di lungo periodo conta di realizzare? «Gli obiettivi sono sintetizzati nelle linee strategiche del nuovo piano: equità, appropriatezza, sburocratizzazione, nuove modalità di approccio alla cronicità, forte investimento nell’innovazione e nella ricerca. Vogliamo mettere davvero al centro il bisogno del cittadino, sviluppando un senso di appartenenza al sistema».



POLITICHE SANITARIE

Maggior peso per la sanità privata Bilanci trasparenti, controlli rigorosi e una migliore integrazione del sistema pubblico con quello privato. È questa, in sintesi, la richiesta avanzata da Enzo Paolini per conto dell’Associazione italiana ospedalità privata, che rappresenta una parte consistente del settore privato della sanità italiana Tiziana Bongiovanni eicento case di cura operanti su tutto il territorio nazionale, 26 centri di riabilitazione e 41 Rsa: questi i numeri di Aiop, l’Associazione italiana ospedalità privata guidata da Enzo Paolini, che ha un sogno: il superamento del sistema a doppio binario secondo il quale le strutture pubbliche sono adeguatamente sovvenzionate, mentre a quelle private vengono imposti contratti che non superano i costi sostenuti. «Ci vuole più rigore e parità – dice Paolini – perché il comparto privato fa bene il suo dovere e ha gli stessi standard qualitativi di quello pubblico». Presidente, si è battuto per un fine non facile da raggiungere. «Sì, la mia è una miniriforma che spero di

S Enzo Paolini, presidente di Aiop, l’Associazione italiana ospedalità privata

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realizzare a breve, ma che purtroppo sino a oggi è stata condivisa dalla classe politica di ogni orientamento solo a parole. Le direttrici di lavoro sono tre: trasparenza dei bilanci al fine di individuare e ridurre sprechi e spese improprie; controlli rigorosi per incentivare la qualità delle prestazioni affidate a un ente realmente terzo rispetto agli erogatori pubblici e privati; superamento dell’attuale sistema secondo il quale gli ospedali pubblici non fanno contratti e sono pagati per quello che costano mentre agli ospedali privati - controllati dai propri concorrenti - vengono imposti negoziazioni sempre più riduttive e sono pagati a tariffa e con budget inferiori alla produzione». Cosa produce tutto questo? «Un sistema a doppio binario che non consente ciò che dicevo prima e che costituisce l’obiettivo che io sogno di conseguire nel lungo periodo. Un sistema realmente competitivo ove sotto la equa mano pubblica - si applichi il principio ferreo secondo il quale la competizione aumenta la qualità ed abbatte i costi. Questo vuol dire investimenti, occupazione, consumi e fiducia. In una parola: crescita». Qual è stata la sua esperienza in questi anni da presidente? «Straordinaria. Ho rappresentato la migliore classe imprenditoriale del Paese. Le strutture


Enzo Paolini

Ogni Paese che intende presentarsi come moderno e democratico deve pensare alla sanità come servizio ma anche come risorsa in termini di occupazione, investimenti e ricerca

private in tutto il Paese fanno il loro dovere assistendo milioni di cittadini italiani, che richiedono diagnosi e cure di ogni specialità». Ma qual è il rapporto tra sanità pubblica e privata? «Quello di due settori che erogano prestazioni all’interno del servizio sanitario pubblico sulla base degli stessi standard qualitativi, tecnologici e organizzativi». Manca qualcosa? «Non riuscire ancora a rendere chiaro alla politica che l’imprenditore sanitario privato va integrato a pieno titolo, e con vantaggio qualitativo e di spesa, nel complessivo sistema pubblico». Niente più antagonismi, quindi. «L’ho detto e ridetto in ogni occasione. La governance del sistema è - e deve restare - in mano alla politica. Possibilmente buona e responsabile politica. In questo quadro non c’è spazio per la rivalità, ma solo per sane competizioni regolate e controllate dalla dirigenza pubblica». E per tutelare la sanità pubblica?

«Facciamo il nostro lavoro con serietà e professionalità». Quindi una sanità privata può essere un motore di crescita. «Certamente. Ogni paese che intende presentarsi come moderno, democratico e guida dei propri cittadini deve pensare alla sanità come servizio ma anche come risorsa in termini di occupazione, investimenti, ricerca e benessere generale». Il cittadino non abbiente sarà sempre escluso? «Assolutamente no. Nella mia visione di un efficiente ed efficace sistema sanitario il cittadino di qualsiasi classe sociale e di qualsivoglia condizione economica deve essere assistito dal servizio sanitario nazionale finanziato dal prelievo fiscale su basi solidaristiche e universali». E dove potrà reperire informazioni sulle vostre strutture? «Sul nostro sito. Recentemente abbiamo realizzato anche un’applicazione per iPhone e iPad ove è possibile reperire le indicazioni». Quali sono gli elementi di cui bisogna tener conto nella scelta di dove curarsi? «Bisogna fare un mix. In ordine, la fiducia nel medico, l’affidabilità della struttura, la vicinanza della stessa alla residenza del paziente, la qualità dell’accoglienza, la buona reputazione dell’ospedale (sia pubblico che privato) reperibile ormai sui siti di aziende che elaborano statistiche ed esiti». TOSCANA 2012 • DOSSIER • 189


POLITICHE SANITARIE

Più servizi ai cittadini Cambia il rapporto tra la sanità pubblica e quella privata in Toscana. L’assessorato alla salute e le case di cura private dialogano per rispondere nel migliore dei modi ai bisogni dei cittadini. Il punto di Maurizio De Scalzi, presidente regionale dell’Associazione italiana ospedalità privata Tiziana Bongiovanni i recente la Regione Toscana e le strutture ospedaliere private associate a Confindustria Toscana, Aiop Toscana, Aris e Agespi hanno firmato un accordo per implementare l’inclusione e l’accreditamento delle strutture private nell’offerta sanitaria pubblica. Scopo dell’intesa è definire regole valide per tutti e fare in modo che l’ospedalità privata collabori con il sistema sanitario regionale per rispondere efficacemente alla domanda di salute dei cittadini toscani. Ne parla Maurizio De Scalzi, presidente di Aiop Toscana. È soddisfatto dell’accordo? «Sì, stiamo per affrontare un triennio che sarà caratterizzato da importanti cambiamenti nel rapporto tra sanità pubblica e privata. Sto per accingermi ad assistere le case di cura nella fase di contrattazione e a monitorare l’applicazione pratica dell’accordo recentemente siglato con l’assessorato competente della Regione Toscana». Una bella eredità lasciata dall’ex presidente Francesco Matera. «Più che un’eredità si è trattato di un naturale passaggio di consegne. Con Matera abbiamo lavorato in perfetta sintonia e accordo per diversi anni e sono felice di poter contare sulla sua preziosa collaborazione». Ma qual è il rapporto tra sanità pubblica e privata in Toscana? «Come dicevo all’inizio, siamo alle soglie di un cambiamento importante nei rapporti. Infatti, l’accordo prima citato prevede che le strutture private entrino a pieno diritto nella programmazione dell’offerta sanitaria con formule innovative». Ad esempio? «L’espletamento dell’attività dei medici dipendenti pubblici nelle strutture private». Quali sono le punte di diamante della sanità

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Maurizio De Scalzi, presidente di Aiop Toscana

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privata in Toscana? «Ci siamo sempre contraddistinti nel campo della chirurgia ortopedica, nella cardiochirurgia, nelle acuzie e per la presenza storicamente importante nel settore della lungodegenza e della riabilitazione». E i limiti? «A parte la non grande quantità di strutture rispetto all’offerta pubblica, attualmente scontiamo le difficoltà economiche che l’Italia, e di conseguenza anche la Toscana, stanno attraversando. In questo momento tutti gli assessorati regionali, e per effetto anche la nostra associazione, stanno cercando di capire come far quadrare i conti fra i costi della sanità, che inevitabilmente tendono a crescere, e le risorse che sicuramente non aumenteranno». Ma la sanità privata può fungere da motore di crescita dell’economia? «Questo è sicuramente un argomento di grande interesse e prevede un cambiamento culturale che non consideri più la spesa sanitaria come un costo ma come un investimento dal quale attendersi un ritorno. Le nostre sono aziende ad alta intensità di occupazione, quindi danno lavoro, investono in tecnologie, producono un importante indotto, senza pensare ai fenomeni sempre più frequenti di turismo sanitario, ovviamente al di fuori di fenomeni distorsivi, dovuto alle strutture di eccellenza che, in alcuni casi, determinano una importante mobilità di pazienti». Quali sono gli obiettivi che sogna di realizzare? «Il sogno è uno solo, quello di vedere una sanità privata correttamente inserita nel servizio sanitario regionale. Vorrei realizzare la parità dei diritti in un modello integrato dove l’utente possa trovare risposte adeguate alle sue esigenze senza distinzione fra pubblico e privato».



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