Dossiermarche er012014

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OSSIER L’INTERVENTO .......................................09

ECONOMIA E FINANZA

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Ferruccio Dardanello Roberto Luongo Guido Carella Marco De Bellis

CONSULENZA.......................................42 Antonella Lambri

FOCUS MARCHE..................................94 Adriano Federici Gianfranco Tonti Claudio Schiavoni Giorgio Cippitelli Valter Scavolini Nando Ottavi Gilberto Bartolacci Gianfranco Bronzini David Cecconi Fabrizio Salari Sergio Sciamanna

PRIMO PIANO IN COPERTINA.......................................16 L’Italia della moda MADE IN ITALY.....................................20 Le quattro F dell’eccellenza Il distretto marchigiano Marcello Vallasciani Maurizio Terenzi Massimo Venturi TESSILE ..................................................32 Raffaello Napoleone Claudio Marenzi Andrea Lardini

BANCHE E IMPRESE..........................48 Maurizia Alessandra Sacchi COMUNICAZIONE................................50 Lucio Volponi IMPRESA E SVILUPPO......................56 Roberto Snaidero Davide, Michele e Daniele Tagliati MERCATI.................................................60 Riccardo Monti Leonardo Simonelli Santi Giuseppe Tripoli EXPORT...................................................68 Primo Tortini Bartolomeo Ghirardini Gianni Pedretti Vincenzo Poli Luca Paoletti Dante e Simone Merli MECCANICA ..........................................80 Fabio Storchi Francesco e Massimo Pressanto Giordano Sorci Pierino Amichetti PACKAGING...........................................88 Giuseppe Lesce Giampaolo Fabbroni

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AGROALIMENTARE ...........................117 Mario Guidi Luigi Scordamaglia Domenico Zonin Riccardo Ricci Curbastro Tiberio Rabboni Andrea Bianchi Marinella Raduano Settimio Sparapani e Sergio Paolucci Piera Mazzoni


Sommario A

TERRITORIO

AMBIENTE

FOCUS EMILIA ROMAGNA.............139 Carlo Alberto Roncarati Maurizio Marchesini Giovanni Borri Vittorio Borelli Pasquale e Alfonso Mannetta e Giancarlo Romagnoli Giancarlo Bompani

TURISMO...............................................165 Renzo Iorio Bernabò Bocca Andrea Carandini Maurizio Melucci Gian Mario Spacca

POLITICHE ENERGETICHE...................................200 Chicco Testa Gianni Silvestrini Claudio Brunacci Roberto Bertoli

EDILIZIA.................................................176 Paolo Buzzetti Massimo Ubaldi Alessandro Tanari Giordano Rogante

TRASPORTI E SOSTENIBILITÀ..............................210 Giordano Gozzi

INVESTIRE NELL’ARTE ...................156 Guido Guerzoni Giovanna Furlanetto Francesco Casoli

MATERIALI ...........................................186 Michela Mazzuferi INTERNI.................................................190 Michele Battista RIQUALIFICAZIONE URBANA ................................................194 Romano Carancini Nella Brambatti Guido Castelli

AGRICOLTURA E AMBIENTE ........................................212 Bruno Carroli GESTIONE RIFIUTI ............................214 Alfredo Cavozza

SANITÀ POLITICHE SANITARIE....................216 Enrico Garaci Tonino Aceti Mario Cotti Almerino Mezzolani Antonio Romani CHIRURGIA LAPAROSCOPICA.............................228 Angelo Mantovani CHIRURGIA ESTETICA....................230 Franco Papadia Walter Chiara DISPOSITIVI MEDICI .......................234 Antonio Ghilardotti Stefana Navarra

RUBRICA LA BUONA NOTIZIA .........................238 Roberto Mattioli

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Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx L’INTERVENTO

Essere leader oggi di Guido Carella, presidente Manageritalia

uando il gioco diventa duro, i leader devono giocare in modo diverso. Non c’è dubbio, in un contesto sempre più complesso e difficile servono leader che indichino la strada e la percorrano portando con sé gli altri. Perché oggi o si gioca tutti insieme o non si vince. E gli ostacoli non sono solo esterni, ma spesso dentro di noi. In termini manageriali questo vuol dire che oggi un leader deve saper far accadere le cose e quindi far crescere i collaboratori, l’attività e l’occupazione. Deve avere una visione, darle corpo e strategia, obiettivi e persone motivate e formate per poterla raggiungere. Deve, forte di competenze manageriali trasversali alle diverse funzioni, far crescere e guidare persone competenti che solo collaborando sinergicamente, fuori e dentro l’azienda, possono mettere gambe alle idee. Parallelamente è aumentata anche la sua responsabilità sociale. Perché fare business in un ambiente sempre più difficile, discontinuo e a basso grado di sostenibilità, impone maggiori responsabilità verso i collaboratori, ma anche verso tutto l’intorno economico e sociale nel quale l’azienda vive. Oggi far lavorare al meglio le persone e farle collaborare facendo sinergia ai massimi livelli, sia dentro che fuori l’azienda, è il vero must. Questa è organizzazione, ma è soprattutto leadership: visione, motivazione e “collaborazione”, cioè lavorare insieme. E per questo servono tanta innovazione e tecnologia anche nell’organizzazione delle persone. In un mondo dinamico serve una superflessibilità: cioè la capacità di evolvere adattandosi alle nuove realtà, sostenuta dalla capacità di far fronte alla turbolenza creando ancoraggi stabili. Questo devono

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fare i leader oggi. La leadership in questo contesto richiede di coinvolgere, guidare e collaborare con i lavoratori della conoscenza, quali ormai tutti siamo, in modo dinamico. L’approccio di questi leader non può più essere quello autoritario, ma deve essere da pari a pari. Una leadership paritaria che non significa abdicare autorità e responsabilità. Essere leader oggi vuol dire cavalcare i trend emergenti: innovazione, digitalizzazione, collaborazione, globalizzazione e realizzazione. E poi anche i più grandi obiettivi, devono, oggi più che mai, guadagnarsi il raggiungimento futuro passo dopo passo, dando concretezza e risultati quotidianamente. Banalmente, bisogna trovare il modo di avere l’uovo oggi per avere la gallina, o meglio le galline, domani. Questi gli ingredienti vincenti: integrità, trasparenza, empatia, autorevolezza, entusiasmo, innovazione, collaborazione, vision, mentorship. E leadership e leader servono per trovare nuove strade, per raggiungere obiettivi sfidanti e alti. Non solo, dunque, a tagliare costi e persone e le gambe alla crescita. Ma, al contrario, a mettere le ali al futuro. 2014 • DOSSIER • 13



Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx L’INTERVENTO

Dirigenti e licenziamenti: facciamo chiarezza di Marco De Bellis, avvocato del Foro di Milano e fondatore dello Studio Marco De Bellis & Partners

ra le figure che si trovano nel lavoro subordinato, quella dirigenziale ha caratteristiche uniche. Al pari di qualsiasi altro dipendente, il dirigente può essere licenziato legittimamente soltanto nel caso in cui venga soppressa la posizione di lavoro in cui è inserito (i cosiddetti motivi oggettivi o organizzativi), oppure nel caso di una sua grave mancanza (motivi disciplinari o soggettivi). Il primo caso è il più comune in questi tempi: non bisogna dimenticare, infatti, che i dirigenti sono i dipendenti più costosi. Il secondo, invece, è decisamente diverso. Nel licenziamento per mancanze la formula più consueta è la giusta causa. Questa può avvenire qualora il dirigente si sia reso responsabile di una mancanza talmente grave da ledere irrimediabilmente il nesso fiduciario col datore di lavoro. Nel rapporto dirigenziale la fiducia deve essere totale, ancora più marcata che in qualsiasi altro rapporto di lavoro subordinato. Per questo la giusta causa di licenziamento può riguardare non soltanto vicende attinenti all’attività lavorativa, ma anche alla sfera privata del dirigente. La giusta causa ha come effetto più immediato quello di interrompere immediatamente il rapporto di lavoro, senza alcun diritto del dirigente né al preavviso né alla relativa indennità sostitutiva (ex art. 2119 cod. civ.). I principali contratti collettivi stabiliscono che il licenziamento del dirigente debba essere comunque “giustificato”. La “giustificatezza” è una nozione giuridica che non coincide con quella di giusta causa o di giustificato motivo, individuate dalla legge per gli altri rapporti di lavoro. Proprio per la particolarità del rapporto dirigenziale e per l’alto grado di fiducia richiesto, anche mancanze “veniali” (che, se fossero commesse da un im-

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piegato, darebbero luogo a sanzioni disciplinari conservative) possono legittimare il licenziamento del dirigente. La legge, ovviamente, prevede anche delle sanzioni a carico dell’azienda per i licenziamenti ingiustificati. Quando viene ritenuto ingiustificato un licenziamento per motivi organizzativi, la sanzione prevista è il pagamento dell’indennità supplementare prevista dalla contrattazione collettiva. Viceversa, in ipotesi di licenziamento per una giusta causa poi rivelatasi inesistente, il giudice dovrebbe valutare se il comportamento del dirigente sia tale da configurare comunque la giustificatezza; in sostanza potrebbe trattarsi di una mancanza tale da legittimare il licenziamento, ma non così grave da costituire una giusta causa. In questo caso l’azienda sarebbe condannata a pagare soltanto l’indennità sostitutiva del preavviso. Qualora, invece, il giudice ritenesse che non sussista alcun tipo di responsabilità a carico del dirigente licenziato per giusta causa, condannerebbe la società a corrispondere al medesimo, oltre all’indennità sostitutiva del preavviso, anche l’indennità supplementare prevista dalla vigente contrattazione. 2014 • DOSSIER • 15


MADE IN ITALY

Grand Tour tra le eccellenze italiane Un mix di bellezza e cultura è l’impronta dei prodotti italiani che si affermano nel mondo: dal design al cibo, dalla moda all’industria meccanica

l brand “made in Italy” discende da un’idea antica, connaturata alla natura degli italiani: non si produce per se stessi, ma per gli altri. Per questo si mette quel marchio. C’è dentro questo atteggiamento una mescolanza di necessità, orgoglio, generosità. Traduco i concetti in un discorso: “Come facciamo le cose noi, non c’è nessuno. E non vogliamo tenercele per noi. Siamo generosi di noi stessi, non piazziamo i rimasugli, le scorie. Non vendiamo roba, ma qualcosa che ha un palpito della nostra stessa vita”. Non si scambiano con altri popoli semplicemente merci, ma qualcosa di più: pezzi d’anima. Questa è l’Italia e questo siamo noi italiani. I nostri prodotti ci

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somigliano. Non solo: hanno lo stesso respiro del nostro paesaggio. Paesaggio interiore ed esteriore. Cervello e mani, terra e rami. Fantasia e realtà di pianure, mari e monti, donne, sorrisi, cibi, vino. Ma che cosa rende unico il “made in Italy" nel mondo? La fusione di bellezza e cultura. La bellezza dà leggerezza alla cultura, la cultura dà solidità alla bellezza. Vale in tutti i campi del nostro export, questa magica alchimia. Il design italiano s’incarna così nell’arredamento, nei divani e nelle cucine e connota le residenze più belle del mondo, ma dona fragranza e classe anche alle dimore meno fastose. E così nel settore fashion. Armani,

Versace, Prada, Trussardi e altre case di questo rilievo aprono la strada a ditte emergenti. Funziona così: marchi di spessore mondiale s’innestano come querce nel giardino del nostro straordinario sistema delle piccole e medie imprese, i nostri piccoli gioielli delle cosiddette “multinazionali tascabili”. Oltre all’arredamento e alla moda, l’agroalimentare. Basti segnalare Ferrero, gigante planetario con radici nelle Langhe piemontesi, la bontà dei cui prodotti universali, e insieme amabilmente provinciali, funziona da garante popolare per il gusto italiano del cibo e del vino. Nel settore delle bevande è recente lo straordinario successo del Prosecco (da Zonin a


Le quattro F dell’eccellenza

L’industria meccanica non ha nulla di paragonabile a una Ferrari rossa. La sua tecnologia raffinatissima ha la solidità di Leonardo

Maschio, fino alle marche meno popolari ma non inferiori) che ormai è diventato l’alternativa italiana, meno solenne ma più limpida e garbata, molto veneta, al presuntuoso champagne. Più antico, ma sempre nuovo, è il Parmigiano Reggiano, il più famoso formaggio del mondo, che trasferisce in bocca la profondità saporita di un formaggio unico di pasta dura. Si presta a una stagionatura lunga, ormai si sperimenta un invecchiamento anche oltre i 48 mesi e fino a 100. Imitatissimo, inimitabile. Alberto Savinio lo definì il “contrabbasso dei formaggi”. Dà solidità alla musica, fornendo la nota costante dell’armonia alla tavola della famiglia e degli amici. Si perce-

pisce una ouverture verdiana, non si riesce a separare la potenza espressiva della “Forza del destino” dal destino pieno di forza di questo prodotto dell’arte casearia. In Boccaccio, nella novella del Calandrino, si celebra la “montagna di Parmigiano grattugiato”. E l’industria meccanica! Nel mondo non c’è nulla di paragonabile a una Ferrari rossa. La sua tecnologia raffinatissima ha la solidità di Leonardo e dei marchingegni portentosi. Possederla è come abbracciare la donna della propria vita. E non c’è una donna che non adori lo scalpitare di quel motore. E dietro la Ferrari arrivano in Cina, nei Paesi del Golfo Arabo o in Russia le già citate multi-

nazionali della provincia italiana, famose specialmente per l’arte di inventare e produrre “le macchine che fanno le macchine”. C’è un profumo di bellezza, un presentimento di felicità che in tutto il mondo è richiamato dal “marchio Italia”. È questo il dono che il Bel Paese e la sua gente possono porgere ai popoli e alle genti per vivere meglio. La vita può essere meravigliosa, come nel film di Frank Capra, con un tocco del nostro cielo e un raggio del nostro sole in una gonna di Dolce e Gabbana, in un sorso di Brunello di Montalcino di Banfi o in un bicchiere di Barolo di Pio Cesare, accoccolati su una poltrona Frau, mentre sotto casa romba una Ducati. 2014 • DOSSIER • 21


MADE IN ITALY

Le calzature amate oltreconfine Il mercato estero è trainato positivamente dalla Russia e dalla Cina ma per il 2014 si attendono segnali incoraggianti anche dal mercato interno e l’auspicio, specie per il mercato del lusso, è di lasciarsi la crisi alle spalle Gloria Martini

l distretto fermano-maceratese delle calzature raccoglie le imprese del settore ospitate tra le province di Fermo e Macerata e rappresenta una grande fonte di ricchezza e occupazione per tutta la regione. Secondo i dati della Camera di commercio di Macerata, le aziende attive al 31 marzo 2013 erano 3.782 e gli occupati 30.857, distribuiti in tre poli produttivi: l’area di Montegranaro, specializzata nelle calzature da uomo, quella di Monte Urano, caratterizzata dalla produzione di calzature per bambini, e il comprensorio di Civitanova Marche e Porto Sant’Elpidio, dove è localizzata la produzione di calzature femminili. Il sistema imprenditoriale, che trae origine dall’antica tradizione dei ciabattini, oggi è caratterizzato da una produzione orientata per circa l’85 per cento sulla fascia medio-alta e alta del mercato delle calzature. Il distretto è il primo in Italia per gli interscambi commerciali con l’estero e questo è possibile grazie a imprenditori che puntano sull’innovazione e sulla qualità del prodotto. «Esperienza e passione hanno sempre contraddistinto il lavoro degli artigiani, così come degli industriali, apprezzati in tutto il mondo per le loro calzature - ricorda Gra-

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ziano Di Battista, presidente della Camera di commercio di Fermo -. Calzature realizzate in un territorio ricco di storia, arte, cultura e di eccellenze in campo turistico, ambientale ed enogastronomico». L’amore per la tradizione artigianale delle Marche ha fatto infuriare uno degli imprenditori marchigiani del lusso più famoso, Silvano Lattanzi, a causa di una gaffe apparsa sui manifesti della Regione per promuovere appunto il “saper fare” dei maestri calzolai marchigiani con lo slogan “Fatti ad arte”, che ritraeva un laboratorio di un noto marchio di scarpe bolognese. «Quando ormai più di 40 anni fa - spiega Silvano Lattanzi - sono andato a recu-

perare le antiche tecniche dagli ultimi veri artigiani, quasi nessuno sapeva più usare la lecina, il tradizionale ago ricurvo tipico del calzolaio, tanto che si trovavano più lecine in campagna, usate dai contadini per metter l’anello al naso al bestiame, che nelle botteghe artigiane. Ed è grazie alla mia storia personale, ai grandi sacrifici e agli investimenti fatti in anni non sospetti, quando qualità e manualità non erano di moda in una zona dedita alle produzioni di massa e volume, che è stato possibile resuscitare una tradizione che ormai sembrava persa e che oggi tutto il mondo ci invidia». All’artigianalità ha fatto riferimento


Il distretto marchigiano

anche Diego Della Valle, alla presentazione della collezione Tod’s a Milano per la moda uomo. L’imprenditore marchigiano mantiene il suo entusiasmo quando parla di made in Italy, filiera tessile-moda e delle collaborazioni tra istituzioni e imprese del settore, ma resta pessimista riguardo alla ripresa. La crisi, infatti, ha toccato anche il mondo del lusso, come conferma la vicenda che ha coinvolto lo stilista Cesare Paciotti che ha chiesto il concordato preventivo. Commentando la notizia, l’imprenditore di Civitanova Marche ha imputato la causa dell’accaduto al «crollo del mercato interno e a sei milioni di euro di somme che l’azienda avrebbe dovuto incassare da storici clienti italiani e che invece sono rimaste insolute». La ripresa del marchio, prevista per l’anno in corso, passa dal rilancio delle vendite all’estero. «Proseguiremo l’attività produttiva e manterremo tutta la forza la-

+9,6% L’INCREMENTO DELL’ EXPORT MARCHIGIANO, TRA LE PRINCIPALI REGIONI ESPORTATRICI DI CALZATURE IN RUSSIA

ELEGANZA E SPREGIUDICATEZZA «Dalla scelta dei materiali alla creazione dei modelli, ogni fase della lavorazione deve essere curato». Il designer marchigiano Cesare Paciotti svela i segreti di uno stile inconfondibile mbevuta nell’humus rappresentato dal patrimonio calzaturiero marchigiano l’azienda Cesare Paciotti spa, fondata nel 1948, vive un momento difficile. Ma prevale la volontà di farcela e la fiducia nel futuro sia da parte della dirigenza sia dei lavoratori. Pitti è stata la recente vetrina internazionale che ha riaffermato la qualità e lo stile delle creazioni del marchio Paciotti. Quali sono le sue principali fonti di ispirazione? «Non esistono fonti predefinite o preferite quando si parla di ispirazione; spesso, per non dire sempre, le mie creazioni nascono da una personale rielaborazione delle mie esperienze, delle cose belle che vedo». Cosa conservano le scarpe Paciotti del know how della tradizione calzaturiera marchigiana? «Naturalmente, continuando a produrre nel nostro antico distretto calzaturiero, un certo know how è difficile da perdere anche perché mi piace ricordare a me stesso, e rammentare sempre ai miei collaboratori, come si facevano le scarpe qualche tempo fa e qual è stata gran parte del mio successo. Tutti questi insegnamenti possono essere trasmessi e recepiti solo grazie a una caratteristica fondamentale della realtà artigianale marchigiana: l’umiltà applicata alla serietà. Caratteristiche che hanno fatto grandi le attività della nostra regione». Quali aspetti della lavorazione artigianale vengono trasmessi in azienda? «Fondamentale è l’atteggiamento con cui si affrontano i progetti, dal più complesso sino a quello che appare più semplice. Ogni aspetto della lavorazione artigianale è particolarmente delicato, perché anche infilare dei lacci in maniera approssimativa può far perdere valore al prodotto. Dalla scelta dei materiali alla creazione dei modelli a ogni fase della lavorazione, finanche alla vendita, ogni aspetto deve essere curato con la passione che porta a risultati eccellenti». E quali elementi innovativi sono stati introdotti nella lavorazione? «La tradizione artigianale è fondamentale, ma sarebbe sbagliato non applicarla alle innovazioni che il progresso ci ha fornito: un prodotto realizzato con tecniche antiche ha meno certezze di riuscir bene, mentre la stessa cura ed esperienza artigianale, grazie alle moderne tecnologie, possono condurre a risultati insperati o, fino a qualche anno fa, inaccessibili ai più perché troppo costosi». FD

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MADE IN ITALY

IL TOCCO DEL MAESTRO Non chiamatele calzature. Quelle di Silvano Lattanzi sono opere d’arte. Inimitabili, esclusive, fatte a mano. Ma non per questo imperfette ato nel cuore del distretto calzaturiero marchigiano, ma aperto alla tradizione artigianale inglese degli antichi calzolai, Silvano Lattanzi fin dagli anni 70 ha saputo distinguersi, puntando sulla qualità, su una ristretta produzione di calzature cucite a mano e su misura, realizzate seguendo lavorazioni antiche, utilizzando i pellami migliori, curando ogni dettaglio. Una scelta che nel corso del tempo ha premiato la lungimiranza e il coraggio di colui che oggi viene definito il “maestro delle calzature”. Oggi le boutique Silvano Lattanzi si possono trovare nelle più grandi città del mondo, da Milano a New York, da Mosca a Tokio, fino alla Cina. La mente e il cuore dell’azienda, però, restano nel Fermano, a Casette d’Ete, dove si trova anche un museo permanente della calzatura, con esemplari di tutti i modelli prodotti dal 1971 a oggi. Qui nascono tutte le lavorazioni: una piccola collezione pret-à-porter, «non più di sette-otto paia al giorno, frutto dei modelli e delle forme migliori», un’altrettanto limitata produzione da donna e, core business dell’azienda, le calzature su misura. Ha iniziato in un piccolo laboratorio, con solo un operaio ad aiutarla per realizzare le sue calzature. Ma oggi che le sue scarpe sono apprezzate in tutto il mondo è ancora lei a seguire personalmente la lavorazione? «Ci deve sempre essere il tocco di Silvano Lattanzi. In alcuni casi nell’impostazione della forma e del modello, in altri nel controllo finale sulle cuciture. Questa è la differenza di Lattanzi, nel bene e nel male. Ecco perché lavoriamo dieci, o al massimo venti, paia di scarpe al giorno». Quanto tempo s’impiega per creare una scarpa? «È impossibile poterlo dire a priori. Talvolta occorre ripetere la lavorazione anche sei o sette volte, finché non sarà perfetta. C’è chi dice che un lavoro artigianale, in quanto tale, debba avere imperfezioni che dimostrino che l’oggetto è fatto a mano. Noi invece puntiamo all’originale multiplo: una scarpa perfetta in ogni suo aspetto e identica all’altra». Cosa contraddistingue una scarpa Lattanzi dalle altre? «Nonostante la prima collezione sia del 1971, il marchio Lattanzi significa ancora provocazione, stile, alta moda. I nostri prodotti hanno raffinatezza, ma anche modernità. Il nostro valore aggiunto è l’esclusività. La nostra è un’azienda che vuole salvaguardare i propri clienti: nessuno potrà pretendere maggiore produzione a discapito dell’esclusività». RS

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voro attuale - ha continuato Paciotti -, puntando sui mercati esteri, in particolare sulla Russia e sull’Estremo Oriente, con le nostre boutique di Pechino, Nanchino, Macao, Seoul, Wangzou e con altri negozi che apriremo nel Weijang». E tra i mercati esteri, la Russia resta uno di quelli più importanti per le calzature italiane, anche se negli ultimi semestri c’è stato un rallentamento nelle vendite, tuttavia i brand già presenti da anni nell’area non stanno perdendo quote di mercato. «Abbiamo constatato che i clienti russi tendono a selezionare maggiormente i prodotti precisa Ronny Bigioni, coordinatore del Laboratorio Russia di Assocalzaturifici - anche se resta fermo il loro forte interesse per il made in Italy: le calzature italiane hanno infatti ancora un forte appeal sui buyer russi e in generale su quelli della Comunità degli Stati indipendenti (composta da undici delle repubbliche dell’ex Unione sovietica), come dimostrano i dati delle esportazioni». Secondo i dati Istat, che includono prodotto finito e componenti, tra le regioni calzaturiere più importanti che esportano in Russia, cioè Marche, Emilia Romagna, Veneto, Lombardia e Toscana, solo l’Emilia Romagna registra una flessione, mentre tutte le altre registrano una crescita significativa, specie le Marche con un aumento del 9,6, regione che rappresenta il 46,5 per cento del totale delle esportazioni italiane nel Paese.



MADE IN ITALY

Il calzaturiero reagisce L’eccellenza marchigiana nelle parole di Marcello Vallasciani. La scommessa dell’export, le nuove opportunità dell’e-commerce e le previsioni sui prossimi trend all’interno del fashion internazionale Renato Ferretti

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l calzaturiero marchigiano alla prova del calo consumi. I primati accordati al distretto su scala internazionale non bastano a garantire i risultati, neanche per quelle aziende con decenni di esperienza, un know how stratificato dovuto alla produzione territoriale e la collaborazione con le migliori marche del segmento commerciale: il momento è critico e impone un impegno diverso. Il caso della calzaturificio Elisabet, con sede a Monte Urano (FM), presenta tutte le caratteristiche dell’eccellenza made in Italy che sfida il mercato. Fondata nel 1980, l’azienda fermana si è distinta negli anni nelle calzature del settore uomo, donna e bambino, fino a guadagnarsi notorietà sia in Italia che all’estero. Assodata l’alta qua-

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Marcello Vallasciani

In basso, Marcello Vallasciani, amministratore della Elisabet Calzature Srl, con sede a Monte Urano (FM) www.walksafari.com www.andreamorelli.it

lità riconosciuta del prodotto, quello che fa la differenza per l’amministratore Marcello Vallasciani, è la strategia. E uno dei punti fondamentali sta nel canale retail. «La nostra strategia – spiega Vallasciani – include diverse tipologie di applicazione dei nostri format a seconda delle aree di riferimento. Oggi gestiamo circa 35 punti vendita tra Italia ed estero: recentissime le aperture di Torino e di Tblisi (Georgia), gli altri negozi sono localizzati in Spagna e prevalentemente in Italia. Stiamo seguendo il Medio Oriente, i paesi dell’Ex-Urss, e ci stiamo avvalendo della collaborazione di distributori o agenti in altri mercati per noi nuovi come il Nord Europa e la

Turchia. Non trascurabili, soprattutto in considerazione dei volumi che stanno via via generando, sono i nuovi canali di vendita on line che stiamo presidiando sia con un e-commerce diretto sia attraverso collaborazioni con i principali siti di riferimento». Da quanto dice, l’export si presenta come il motore decisivo. «La maggior parte dei nostri investimenti sono rivolti proprio verso i mercati d’oltreconfine, con l’obiettivo di arrivare entro i prossimi due anni a un fatturato estero del 50 per cento sul totale. Grandi soddisfazioni ci stanno arrivando da tutti i paesi del Middle East e dell’ex-Urss. Particolare attenzione è rivolta anche ai mercati emergenti come quello cinese, mercati per i quali sono necessarie competenze specifiche che stiamo man mano sviluppando, per essere pronti nel più breve tempo possibile». Quali sono i vostri marchi principali? «Il nostro storico marchio aziendale è Walk Safari ed è nato nel 1980 insieme alla nostra azienda. Nel corso degli anni questo marchio si è sempre distinto per le sue pregiate creazioni da bambino e

questo ci ha portato ad essere riconosciuti da alcuni nomi importanti della moda internazionale come partner affidabili per le loro prestigiose griffe. Al momento gestiamo le calzature bimbo di Roberto Cavalli, Liu.Jo e Byblos tramite accordi esclusivi di licenza. La nostra natura eclettica ci ha poi portato nel 2006 all’espansione del business nel settore delle calzature donna e uomo: è nato così il marchio Andrea Morelli. Successivamente abbiamo anche acquisito la licenza per le calzature Byblos uomo e donna». Quali saranno le tendenze del mercato nella prossima stagione? «Per la prossima Primavera-Estate 2014 Andrea Morelli propone una collezione in cui sarà l’accessorio personalizzato il vero protagonista. Must di stagione saranno le linee pulite ed essenziali, valorizzate da applicazioni particolari e dettagli metallici: via libera quindi a stivaletti con maxifibbie, ballerine impreziosite da pietre colorate, sneakers con microborchie, esplosione di strass per sandali flat o con tacco vertiginoso, immancabile nel guardaroba di una donna molto femminile quale è la donna Andrea Morelli». 2014 • DOSSIER • 27


Le logiche di mercato dell’accessorio Due domande differenti: moda made in Italy e moda estera. Maurizio Terenzi analizza le dinamiche del settore degli accessori metallici per pelletteria, calzaturiero e abbigliamento. Dove l’Italia si conferma la stella polare Valerio Germanico

econdo l’esperienza di Maurizio Terenzi, amministratore della Omg Accessories di Montegiorgio, nel fermano, esiste oggi una profonda differenza fra mercato interno e mercato estero per quel che riguarda la domanda di accessori metallici per la pelletteria, le calzature e l’abbigliamento. Le sue parole: «Mentre i partner italiani sono molto sensibili alle tendenze del momento e ricercano nuovi materiali e l’eccellenza del prodotto a partire dai particolari, il mercato estero ha tempi e prefe-

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renze diverse. Le aziende straniere richiedono articoli standard, semplici ed economici, dalle linee essenziali. Per questo motivo, negli ultimi anni, la nostra attività si è essenzialmente concentrata nella produzione di accessori per noti marchi italiani, che però esportano all’estero. E purtroppo le nostre quote di export diretto si sono progressivamente ridotte. Pertanto, anche se lavoriamo ancora e da tempo con realtà tedesche, austriache e olandesi, registriamo una forte riduzione dei volumi rispetto al passato».

A fronte di questo doppio scenario, il 2013, per Omg, è stato un anno positivo. Anche in termini di fatturato. «Dopo un lieve calo nel 2010, negli ultimi tre anni siamo tornati a registrare volumi di affari interessanti. In particolare abbiamo registrato un incremento della domanda dal calzaturiero, settore in cui siamo riusciti ad acquisire nuovi e importanti partner. E questo ci ha spronato anche a investire in nuovi macchinari, per migliorare i prodotti e diversificare ulteriormente le lavorazioni. Naturalmente abbiamo


Maurizio Terenzi

Momenti del processo produttivo della Omg Accessories Srl di Montegiorgio (FM) www.accessories.it

anche dovuto fare delle scelte coraggiose per contrastare la concorrenza dei paesi extra europei, contenendo i costi e i tempi di evasione degli ordini, mantenendo però la qualità». Se il settore della calzatura è divenuto strategico in questi anni, questo è stato possibile anche grazie alla collocazione territoriale di Omg, che fa riferimento al distretto calzaturiero fermano, collaborando direttamente con importanti calzaturifici. «Negli ultimi anni ci siamo anche affermati nel settore dell’abbigliamento, che si sta imponendo anche perché complementare a quello della scarpa e della pelletteria. L’accessorio per pelletteria rimane comunque il nostro cavallo di battaglia, perché è quello che ci ha permesso l’affermazione sul mercato». Omg nasce infatti a metà degli anni Settanta come attività dedicata alla produzione di articoli in ferro per il settore della pellette-

Punteremo ancora su prodotti ricercati nelle forme e nei materiali, selezionando materie prime ecocompatibili

ria. «Successivamente abbiamo iniziato a produrre anche accessori in zama e articoli tecnici. La grande trasformazione, tuttavia, risale agli anni Novanta, quando, accanto alla produzione di articoli in zama, avviamo la produzione di accessori in ottone (fresato, tranciato e laserato) e ci specializziamo nella realizzazione di stampi per la pressofusione in zama. Sono stati questi investimenti che ci hanno portato ad affermarci anche nei settori della calzatura e dell’abbigliamento, promuovendo il nostro nome con la partecipazione a fiere espositive internazionali. Parallelamente a tutto questo, la società ha saputo unire alla tradizione l’innovazione, implementando nel processo produttivo macchi-

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nari tecnologicamente avanzati per rispondere più velocemente alle richieste del mercato, sempre più personalizzate». Omg si pone come obiettivi futuri il miglioramento della qualità del prodotto, la promozione del made in Italy e, come novità, l’approccio a ulteriori settori. «Crediamo che la ricerca sia fondamentale per continuare a operare in un settore dinamico come quello della moda. Pertanto per il 2014 punteremo ancora sull’offerta di prodotti ricercati nelle forme e nei materiali – selezionando materie prime e componenti ecocompatibili. In un’ottica di medio e lungo termine, poi, vogliamo diversificare ancora e rafforzare la rete commerciale, soprattutto all’estero». 2014 • DOSSIER • 29


MADE IN ITALY

I tacchi delle star Un’idea di imprenditoria vivace e ardita, come le componenti per calzature che produce. Massimo Venturi spiega il suo successo nell’universo delle griffe internazionali Vittoria Divaro

a realizzato i tacchi calzati da Madonna. Da regine, attrici e naturalmente da molte altre donne amanti dell’eccellenza. Eppure come molti maestri del made in Italy da esportazione, Massimo Venturi non è celebre in patria. E non lo è per scelta. Venturi, infatti, rifacendosi al poeta Tito Balestra, ricorda: «Se hai una montagna di neve, tienila all’ombra». Dietro la modestia di Venturi e del socio Mario Gasperini, però, c’è un marchio leader

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mondiale nella produzione di tacchi e accessori per il settore calzaturiero: la Tgp di San Mauro Pascoli, in provincia di Forlì-Cesena. Affermata nel settore del tacco in metallo e del tacco particolare, negli ultimi anni l’azienda si è specializzata anche nella lavorazione del cuoio, dei materiali naturali, degli articoli con perle, strass e conteria di vario genere. Elementi che vanno poi a comporre le calzature di circa duecento delle migliori firme della moda internazionale. Con le parole di Venturi:

Massimo Venturi, general manager della Tgp Srl di San Mauro Pascoli (FC) www.tgpitalia.com

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«Una piccola fabbrica, ma con una grande visione». Come convive la “piccola fabbrica” con la grande visione? «Per noi questa convivenza significa utilizzare tecnologie altamente avanzate e specializzate, senza mai rinunciare all’esperienza e alla creatività dell’artigiano. Quindi eseguiamo sofisticate lavorazioni con il laser, ma anche le classiche smaltature a spessore, lavorando a mano con gli attrezzi tipici dell’orafo, del pittore, dell’incisore». Questa artigianalità come si colloca nel mercato odierno e nella crisi di molti settori? «Alla crisi sopravvivono coloro che innovano e cambiano. Così capita nell’industria contemporanea. Noi stessi siamo nati come azienda di tutt’altro settore, ma siamo stati capaci di reinventarci e siamo passati dai prodotti per l’industria automobilistica ai tacchi, crescendo contemporaneamente come organico e azienda – da meno di dieci dipendenti oggi siamo quasi in settanta. E i nostri tacchi trovano posto nelle scarpe di griffe come Jimmy Choo e Chanel, Luis Vuitton e Tom Ford, oltre ai marchi eccellenti di casa nostra: il romagnolo Casadei, i marchigiani Fabiani e Della Valle, il veneto Ballin, la toscana Petra».


Massimo Venturi

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Facciamo lavorazioni laser, ma anche lavorazioni a mano con gli attrezzi tipici dell’orafo, del pittore, dell’incisore

Oltre a quanto detto, cosa ha contribuito al raggiungimento di questo successo? «L’unicità, l’affidabilità, la puntualità. E la specializzazione, per rispondere a particolari esigenze di nicchia del mercato. A noi non interessa quello che fanno gli altri. Concediamo il giusto tempo al servizio del prodotto. E viviamo alla giornata, nel senso che ogni giorno facciamo il meglio che possiamo, e anche da un incidente di percorso a volte ci accorgiamo che può venire fuori un’idea migliore. Puntiamo a un continuo miglio-

ramento e a una sempre rinnovata creatività, grazie anche a consulenti artisti. Ci può essere utile perfino il dettaglio della maliziosa farfallina mostrata da Belen al Festival di Sanremo – il tacco dorato a farfalla è stato uno dei prodotti più apprezzati dell’ultimo anno, messo in bella vista nelle vetrine di New York e di Hong Kong». Quanto è importante l’apporto dei vostri artigiani? «La qualità dei dipendenti è fondamentale. E per mantenere la qualità delle persone e del loro lavoro bisogna far sì che queste

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siano appagate. Abbiamo bisogno di operai che stiano bene, che rendano al massimo e per questo è importante innanzitutto la valorizzazione economica. Però la mia attenzione va oltre il trattamento economico e sconsiglio a tutti gli imprenditori di avere persone in azienda con la testa appesantita da problemi ai quali, con buonsenso, si può dare una soluzione. Questo spiega perché è altissima la fidelizzazione dei nostri collaboratori e perché rispondono positivamente se c’è da fare un lavoro straordinario». 2014 • DOSSIER • 31


TESSILE

Il fiore all’occhiello della moda uomo Un’azienda giovane, come lo sono chi l’ha fondata e chi oggi sta prendendo in mano il testimone. Una realtà “home made”, che tiene unita una famiglia e un territorio, ancora tutto da valorizzare. L’esperienza del marchio Lardini Teresa Bellemo

35 anni di storia di Lardini iniziano con una prima generazione fatta di tre fratelli giovanissimi, che hanno a malapena 60 anni in 3, ma decidono lo stesso di iniziare, anche se dal nulla. Al principio si lavora conto terzi, a “façon”, ma poi l’azienda investe in tecnologia, sistemi e capitale umano. È così che si passa in breve tempo a un servizio completo, con la gestione di tutte le fasi produttive, dalla realizzazione del modello fino alla consegna del capo finito. È da questo upgrade che inizia poi a svilupparsi la linea uomo. Ma per farlo è necessario investire anche in stile, comunicazione, mercati e risorse umane. Per Andrea Lardini, le caratteristiche che rendono riconoscibile al pubblico un capo dell’azienda di Filottrano sono «senza dubbio la freschezza e la modernità delle linee, l’accuratezza e l’originalità delle lavorazioni e la qualità dei materiali. E per i più distratti aggiungiamo il nostro caratteristico fiore all’occhiello». Il futuro non preoccupa i fratelli Lardini. Mentre Andrea controlla la gestione, Lorena la finanza e Luigi il prodotto, in azienda è già entrata la seconda generazione che sta mostrando forti motivazioni. La vostra azienda è fortemente legata al territorio di origine. «Sì, molto. Basti pensare che oltre

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alla nostra, impieghiamo famiglie intere, amici di una vita che dai banchi di scuola sono passati a collaborare con noi sin dall’inizio, quindi ci sentiamo anche molto responsabilizzati nei confronti dei nostri collaboratori e, quindi, del territorio. Dalle fortune dell’azienda dipende un pezzo importante dell’economia di questa piccola zona. È venuto dunque naturale puntare a coniugare forti valori di base, come la serietà, la semplicità e la laboriosità con qualità “più attuali” quali creatività, innovazione e internazionalizzazione». Che peso ha l’export per la sua azienda?

Andrea Lardini, amministratore unico dell’azienda di famiglia


Andrea Lardini

L’export è basilare. Il mercato italiano non consuma più, la distribuzione è in crisi sia di vendite che finanziaria

«L’export è basilare. Il mercato italiano non consuma più, la distribuzione è in crisi sia di vendite che finanziaria. Noi ci siamo mossi verso i mercati esteri anche prima della crisi del 2008, ma forse in modo estemporaneo, cercando il cosiddetto “colpo”. Soltanto dopo abbiamo programmato i nostri interventi per dare continuità al rapporto con la nostra clientela, studiando le peculiarità di ogni singolo mercato, stabilendo un rapporto fiduciario importante anche per la diffusione del nostro brand». Le Marche da tempo stanno cercando di “fare da sole” nella promozione verso i nuovi mercati.

Quali secondo lei le ragioni? «La nostra regione non ha mai avuto sovvenzioni, è abituata a prendere lo zaino in spalla e a camminare. Questo vale anche per le istituzioni, che sono molto attive. Pensiamo sia opportuno fare sistema, ma le varie forme di aggregazione finora proposte a tutti i livelli (seppure le abbiamo studiate e cercato di esserne promotori) non ci davano garanzia di snellezza a livello burocratico e decisionale. Oltretutto, visto che nella nostra regione le aziende sono medio-piccole, si correva il rischio di porre nello stesso calderone aziende con diversissimi livelli di cultura d’impresa dal punto di vista dell’internazionalizzazione, dei budget pubblicitari e della rappresentanza. Quando abbiamo trovato terreno fertile nel progettare iniziative comuni, il punto di debolezza è sempre risultato essere la componente finanziaria del progetto, sia per il perdurare della crisi sia per la difficoltà di accesso al credito». Fare sistema, dunque, non sembra una soluzione? «Pensi che nel settore fashion, ogni azienda sta già operando da tempo nei mercati internazionali, approfittando anche degli assist che arrivano

dalle iniziative che via via vengono proposte dai servizi regionali, peraltro molto attivi. Ci si muove in maniera autonoma, e forse sì, si potrebbe fare più sistema, ma sicuramente le problematiche aumenterebbero e si complicherebbero a scapito dei tempi di reazione». Quali allora le potenzialità del brand Marche? «Noi siamo molto orgogliosi della nostra regione e forse anche un po’ gelosi: vorremmo che fosse solo nostra, ma non ce lo possiamo più permettere, dobbiamo aprirci al mondo. Un territorio così variegato, dalle montagne aspre al mare, vuol dire anche colture e culture diversificate, tradizioni molto diverse e proprio per questo da valorizzare, anche se il compito è difficile. La nostra regione però è anche fatta di tradizione industriale in moltissimi settori. Il brand Marche è ancora tutto da scoprire non solo a livello imprenditoriale, ma anche a livello turistico e culturale. La nostra è una regione ove la competenza è ancora un valore forte e ognuno di noi nel nostro animo coltiva il sentimento e la passione per “il bello e il ben fatto”, per questo abbiamo molta fiducia nel nostro territorio». 2014 • DOSSIER • 39




CONSULENZA

Quelle “trappole mentali” tra risparmio e investimento La “pancia” degli italiani ha influenzato le strategie patrimoniali di famiglie e imprese. E il promotore finanziario è destinato a diventare una figura sempre più rilevante nella gestione del risparmio. La parola ad Antonella Lambri Andrea Moscariello

baglia chi sottovaluta gli aspetti emotivi che influenzano le strategie patrimoniali. I contesti economici non sono il frutto di un algoritmo, ma il risultato di scelte personali, plasmate da molteplici fattori. Il libero arbitrio, specie in un periodo di crisi, può portare al successo così come al fallimento. Casi come Lehman Brothers, Cipro o Bernie Madoff hanno reso il mondo finanziario e bancario “oscuro” agli occhi di molti cittadini. «Siamo fatti di cuore e cervello» sottolinea, non a caso, Antonella Lambri, affermata promoter finanziaria parmense, da anni punto di riferimento per piccoli e grandi risparmiatori. «Ci confrontiamo quotidianamente con gli investitori, che sono innanzitutto persone. E siamo testimoni di come la “pancia”, l’irrazionalità, abbia un’influenza determinante sulle decisioni che siamo chiamati a prendere, incluse quelle di investimento». Questo comporta spesso dei rischi. «L’emotività, ma anche le cosiddette “trappole mentali”, come l’avversione alle perdite, la tendenza a seguire le decisioni della maggioranza o la preferenza per aree d’investimento conosciute, spesso creano delle barriere che impediscono di vedere il potenziale oggettivo dei vari strumenti finanziari a disposizione».

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Antonella Lambri, private banker, ha lo studio a Fidenza (PR) antonella.lambri@spinvest.com

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Nel 2013 vi è stata una graduale ripresa degli investimenti in azioni, dopo anni in cui l’obbligazionario andava per la maggiore

La crisi in questo non agevola, complici anche i media. Cosa ha osservato, a tal proposito, nell’ultimo anno? «Il 2013 è stato un anno di re-riskinng, ovvero di graduale ripresa della propensione a investire in asset class a rischio come le azioni, dopo anni in cui l’obbligazionario andava per la maggiore». Una propensione che ha portato a buoni risultati? «Le performance delle azioni sono state mediamente positive ma c’è stata molta selettività. L’Europa è rimasta relativamente indietro rispetto ad altri mercati, a causa del perdurare di alcune fragilità e preoccupazioni. Nostro compito è anche quello di mostrare agli investitori i segnali di graduale uscita dalla recessione di molti paesi, e dunque le nuove opportunità che si possono cogliere. Al tempo stesso si è reso sempre più necessario formare gli

imprenditori su alcuni temi strategici per la loro attività, come la pianificazione patrimoniale». Vale a dire? «La pianificazione patrimoniale consiste nella scelta delle modalità e dei tempi opportuni per la programmazione del passaggio di ricchezza familiare o aziendale ai futuri eredi. Il tutto, ovviamente, nel rispetto della normativa civilistica e fiscale». Altro nodo cruciale, nel suo lavoro, è quello del risparmio. «Il risparmio è il gesto che consente alle persone di coltivare le proprie passioni e alle famiglie di ampliare le prospettive di benessere. Quello che conta è sì risparmiare, ma con un progetto». Con la crisi è mutato lo scenario? «Nonostante tutto gli italiani non hanno perso l’abitudine a risparmiare. Sono però cambiate le ragioni e le modalità per le quali si risparmia. La scelta di come allocare le risorse infatti 2014 • DOSSIER • 43


CONSULENZA

avviene sempre di più in un’ottica di program- relazione e vicinanza, in tempi di paure e fanmazione. Del resto, se la finanza in Italia ha un debito di fiducia superiore rispetto agli altri paesi, il suo recupero non può che passare attraverso buone pratiche, comprese e condivise dai risparmiatori. Quando questo accade, i risultati si vedono». Ad esempio? «Il successo dei prodotti finanziari cosiddetti “a cedola” a partire dal 2012 non è affatto un caso. Piacciono per la loro semplicità e trasparenza, per il contributo che possono dare in termini di integrazione al reddito, ma anche per un aspetto psicologico da non sottovalutare: con la cedola i sottoscrittori mettono in agenda un “appuntamento” con il proprio denaro, periodico e concreto. Ciò equivale a un segno di

La crisi dei mercati finanziari ha contribuito a chiarire il ruolo degli operatori di settore

Antonella Lambri durante l’inaugurazione della nuova sede a Palazzo Bellotti, tenutasi l’11 maggio 2013

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tasmi di dissolvimento della ricchezza». Verrebbe poi da chiederle se è meglio investire sui mercati obbligazionari o azionari. «Questa è la domanda peggiore da rivolgere a un consulente. Ciò che spesso appare come una semplice curiosità, utile per rompere il ghiaccio, allontana il dibattito dai temi strategici e dai reali obiettivi dell’investitore, dal suo progetto di vita. Ma è proprio questo l’atteggiamento che ha portato i risparmiatori ad allontanarsi dal mondo della consulenza. Non è un caso se già l’edizione 2010 del Rapporto sui risparmi degli italiani, condotta da Gfk Eurisko e Prometeia, mostrasse la fotografia di un risparmio sempre meno progettuale, con dei portafogli notevolmente semplificati, più liquidi. Magari meno azzardati sotto il profilo del rischio di perdite finanziarie, ma più in balia del presente e dell’inflazione. Insomma, non adatti a soddisfare le esigenze di lungo termine e i progetti di vita». E la sua categoria non ne è in parte responsabile?


Antonella Lambri

«Di certo non è responsabilità dei promotori seri, che aiutano le famiglie e le imprese a compiere questo cambio di prospettiva, offrendo una vera pianificazione finanziaria e patrimoniale. L’inizio dell’età lavorativa, il matrimonio, la nascita di un figlio, la pensione sono solo alcuni degli avvenimenti che incidono sulle aspettative future. È importante che il cliente trasmetta le sue reali esigenze al consulente e, viceversa, che il consulente le individui. Purtroppo, spesso, i risparmi vengono indirizzati verso strumenti caratterizzati da un bassissimo rischio. Un paradosso, se si considerano magari le reali prospettive di un soggetto giovane, sui 30 anni. Un paradosso che nasce da un equivoco ancora oggi esistente in Italia fra i termini risparmio e investimento». Molti non li distinguono? «Purtroppo no. Scopo del risparmio è poter disporre in un secondo momento delle risorse non spese. Differente, invece, è l’origine del concetto di investimento. L’atto di investire prevede l’impegno di risorse finanziarie per produrre capitale». I due concetti però, si dovrebbero legale. «E anche strettamente. Un aumento del risparmio, però, non corrisponde a un aumento dell’investimento. Se i risparmi vengono messi da parte nel metaforico “materasso”, anziché

63%

GLI ITALIANI CHE, SECONDO UN SONDAGGIO IPR MARKETING, TEMONO UN PRELIEVO FORZATO DAI PROPRI CONTI CORRENTI

essere depositati presso un intermediario finanziario, non c’è possibilità che tali risparmi vengano trasformati in investimenti. Solo svolgendo un forte lavoro educativo su questa Una veduta degli uffici profonda differenza tra i due termini, si pos- di Antonella Lambri, presso Palazzo Bellotti, sono valutare correttamente le prospettive Piazza Duomo, future ed effettuare scelte finanziarie adeguate Fidenza (PR) alle esigenze di ogni singolo investitore». I risparmiatori sono giustamente preoccupati dinanzi alle continue notizie relative ai cosiddetti “crack bancari”. «L’esproprio degli obbligazionisti subordinati della banca Olandese SNS e il coinvolgimento dei correntisti bancari nel crack di Cipro sono le ultime ferite inferte. Così si allontana l’obiettivo di sicurezza che i cittadini perseguono quando depositano i capitali in banca. Anche nel nostro Paese, dove fino a gennaio 2013 il 90 per cento degli Italiani riteneva la propria banca solida sotto il profilo economico e finanziario, stanno nascendo forti timori per la sicurezza dei soldi depositati. In effetti il prelievo forzato sui conti correnti superiore ai 100mila euro rappresenta un grave precedente. Questa sensazione di insicurezza va cercata anche nelle dichiarazioni di alcuni esponenti di spicco dello scenario europeo e internazionale». 2014 • DOSSIER • 45


CONSULENZA

Antonella Lambri e il sindaco Mario Cantini

PASSAGGIO DI RICCHEZZA: ECCO GLI STRUMENTI a pianificazione patrimoniale consiste nella scelta delle modalità e dei tempi opportuni per la programmazione del passaggio di ricchezza familiare o aziendale ai futuri eredi. È utile ricordare che una quota dei nostri patrimoni può essere destinata a chi desideriamo. Ma non possiamo, al tempo stesso, negare a consorti e figli ciò che spetta loro legittimamente. «In Italia non esiste nessuno strumento che può essere utilizzato “contro” qualcuno. Tutti gli strumenti sono pensati “a favore di qualcuno”» spiega la promoter finanziaria Antonella Lambri. Ma quali sono oggi gli strumenti a nostra disposizione? Sono vari, dalla successione alla donazione, dalla holding ai patti di famiglia, fino alle polizze a ai trust. «Proprio il trust spiega Lambri -, è sicuramente lo strumento più complicato e sconosciuto, nonché quello privo di una regolamentazione nel nostro ordinamento civilistico. Per questo, spesso, è preferibile indirizzare verso un fondo patrimoniale, ovvero la costituzione da parte dei coniugi di un patrimonio separato costituito da beni, immobili o mobili iscritti in pubblici registri, che rimangono proprietà dei coniugi stessi ma che vengono svincolati a far fronte a bisogni della famiglia». Inoltre, non va sottovalutata l’importanza di una corretta tempistica nelle scelte. «Rientra nel comportamento di un imprenditore attento e lungimirante la pianificazione per tempo del futuro della proprietà e della gestione della propria impresa, potendo così usufruire di tutto il periodo di tempo necessario per il passaggio di testimone alla guida dell’attività». Basti pensare che solo il 33 per cento delle imprese familiari sopravvive al passaggio dalla prima alla seconda generazione».

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A chi si riferisce? «Pensiamo solo al commissario Ue del mercato interno, Mechel Barnier, che ha dichiarato che da nessuna parte, in Europa, si deve mettere in discussione la protezione sui depositi superiori ai 100mila euro. Il che vuol dire che oltre quella cifra non c’è protezione. È fuori di dubbio che il prelievo di Cipro ha creato un paradossale precedente nell’area Euro, che potrebbe essere replicato in altri paesi dell’Unione, magari con un’aliquota diversa, a seconda dei bisogni delle casse dello stato. È così passato un principio molto pericoloso, ovvero che oltre i contribuenti anche i risparmiatori, obbligazionisti e correntisti, possono essere chiamati a pagare una sorta di franchigia per salvare il sistema creditizio del loro paese, in difficoltà per colpe non certo a loro attribuibili, quasi fossero azionisti delle banche». Dunque i cittadini sono frenati nell’investire anche laddove non ci sono rischi? «È proprio questo il danno psicologico. Sta a noi consulenti finanziari spiegare che gli strumenti del risparmio gestito, come i fondi gestioni e le polizze, presentano un patrimonio separato da quello della banca emittente. Dunque in caso di default non subiscono alcuna differenza».



BANCHE E IMPRESE

Contro i costi troppo alti delle banche Maurizia Alessandra Sacchi spiega come contrastare il fenomeno che mette ogni giorno in ginocchio migliaia di imprenditori. «Non bisogna aver paura delle ritorsioni: dalle banche ci si può difendere» Renato Ferretti

L’avvocato Maurizia Alessandra Sacchi, dello studio legale Sacchi di Ancona www.studiolegalesacchi.it www.cofisrl.net

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edersi restituire soldi dalle banche verso cui si pensava di essere debitori. È un’esperienza che, per quanto possa sembrare anomala, un numero sempre maggiore di imprenditori sta vivendo. “L’usura bancaria”, infatti, non è soltanto un fenomeno reale, di cui negli ultimi anni si è discusso su ogni mezzo d’informazione e che ha assunto proporzioni preoccupanti: è possibile combatterla. Oltre i luoghi comuni e le dietrologie intorno allo “strapotere” delle banche, per molti sospetto e al tempo stesso incontrastabile, esistono i mezzi e i professionisti che permettono alle imprese di difendersi. È quanto dimostra l’analisi dell’avvocato anconetano Maurizia Alessandra Sacchi, che dedica gran parte del suo lavoro al diritto bancario dalla parte delle aziende. «Quello di cui mi occupo – spiega l’avvocato – è la difesa degli imprenditori dalle azioni che a volte le banche intraprendono illegittimamente contro di loro. Non sempre gli imprenditori sono a conoscenza di tutti gli strumenti legislativi a loro disposizione, così come la possibilità, concreta, di opporsi agli stessi istituti di credito. Una delle azioni di difesa da parte delle aziende è quella che permette all’impresa, per esempio, di recuperare i soldi addebitati dalla banca a titolo di interessi che non dovevano essere pagati». Tra gli esempi più comuni, che aiutano a capire meglio la materia, c’è quello dell’usura in senso stretto. «I casi più frequenti riscontrati ultimamente – continua Sacchi – riguardano la violazione dei tassi di interesse e degli oneri applicati. L’imprenditore ha la possibilità di eseguire una verifica peritale sul rapporto bancario per la corretta contabilizzazione delle partite e l’analisi dei documenti bancari. La perizia potrebbe evidenziare l’applicazione di tassi di interesse usurai, ovvero superiori al “tasso soglia” consentito dalla Legge. Superare questa soglia significa commettere usura. Le banche non possono non

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Maurizia Alessandra Sacchi

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I CONTI CORRENTI IN CUI LA COFI SRL DI ANCONA, SECONDO UNA STATISTICA INTERNA, HA RISCONTRATO TASSI D’INTERESSE USURAI DA PARTE DELLE BANCHE

conoscere i tassi soglia trimestrali. Tuttavia, spessissimo, una volta eseguiti i conteggi e sommati tutti gli interessi, gli oneri, le spese e le commissioni applicate, risulta il superamento del tasso soglia di legge. Il ricalcolo degli interessi porta spesso a ribaltare completamente la situazione e l’imprenditore, da debitore, passa ad essere creditore della banca o, quanto meno, viene spessissimo ridotto significativamente il suo debito nei confronti della banca. In collaborazione con la Cofi, società di Ancona esperta nelle analisi dei conti bancari, siamo in prima linea a fianco degli imprenditori per la difesa dei loro diritti nei confronti delle banche». Ma con le azioni legali gli imprenditori possono ottenere la restituzione di quanto indebitamente pagato. «Negli ultimi anni – dice Sacchi – sono state recuperate somme molto elevate che sono state restituite alle imprese. Dunque, anche se le banche hanno grandi poteri, è altrettanto vero che si può lottare e vincere contro di esse». Alcuni imprenditori però hanno timore nell’esporsi contro una banca perché per alcuni significa perdere l’accesso al credito anche dagli al-

tri istituti. «Si, è vero, spesso gli imprenditori temono che, una volta esercitata l’azione nei confronti dell’istituto, sia per loro più difficile l’accesso al credito. Il sistema bancario, però, quando varca la soglia del Tribunale non è così aggressivo, lo è solo quando tratta con l’impresa. Questo perché, di fronte alla magistratura la posizione delle banche è debole e perdente, come dimostrano le innumerevoli sentenze, presenti ormai in ogni Tribunale italiano, che vedono le banche condannate alla restituzione di somme lucrate illegittimamente dagli imprenditori. L’imprenditore onesto che ha dedicato la propria vita e i propri beni all’azienda ha, quindi, la possibilità di reagire e resistere ad eventuali azioni delle banche, oltre che agire direttamente per ottenere il risarcimento di quanto dovuto. La materia è complessa e, proprio per questo, occorre esaminare attentamente ogni singolo caso, afferma con decisione Sacchi, e agire con competenza. Ritengo che quando l’imprenditore accerti prassi illegittime da parte delle banche, ovvero pagamenti di oneri finanziari non dovuti, debba credere nella giustizia e fare valere senza indugio le proprie ragioni in ogni sede». 2014 • DOSSIER • 49


COMUNICAZIONE

Marketing e promozioni: la sfida dei consumi 2.0 La parola a un esperto delle strategie promozionali per la Gdo, Lucio Volponi, che osserva i mutamenti del mercato e spiega come dalla crisi «si possano cogliere importanti opportunità» Andrea Moscariello

vere uno sguardo lucido e scrupoloso sul mercato, specie durante una fase critica e recessiva, può rappresentare la chiave di volta per intercettare la ripresa. Una regola che gli studiosi del marketing conoscono bene ma che, purtroppo, non è diffusa capillarmente su un tessuto produttivo come quello italiano, costituito da una rete di piccole e piccolissime imprese. Ma occorre iniziare a pensare in grande. Non ci si può sottrarre dalle nuove regole del gioco. A parlarne è uno tra i maggiori esperti in attività promozionali, Lucio Volponi. Un manager affermatosi in realtà imprenditoriali internazionali che, negli anni Ottanta, crebbe in un nuovo progetto: creare un’azienda interamente focalizzata sulla realizzazione di concorsi a premi per grandi catene distributive. Da lì, il successo. Oggi la Volponi Spa, è un esempio di quel terziario su cui deve puntare il territorio marchigiano per risollevarsi e un faro per le migliori catene presenti sul territorio italiano. «Operiamo nel settore promozionale da oltre 25 anni e, mano a mano che il mercato si è evoluto, abbiamo adeguato le nostre politiche, le relative strutture organizzative, gli spazi necessari alla logistica e le tecnologie necessarie per essere al passo con i tempi». A proposito di tempi, quelli che stiamo vivendo non sono facili. Come avete reagito alla recessione?

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Lucio Volponi, presidente della Volponi Spa di Macerata www.volponi.it

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«Il nostro compito è quello di anticipare le esigenze dei consumatori ancora prima che le aziende per cui lavoriamo le individuino. Nel 2013 la nostra attenzione si è focalizzata non a caso sul rendere le iniziative promozionali dei veri e propri “eventi”. Abbiamo capito quanto fosse necessario attirare in maniera diversa, più coinvolgente, i diversi target di acquirenti». Perché? «I bisogni primari, ma anche secondari e voluttuari, di una società evoluta come la nostra, sostanzialmente erano già stati colmati. Abbiamo proposto iniziative molto più assimilabili a degli “show” che a semplici operazioni promozionali. Cuochi famosi e testimonial di eccellenza sono stati coinvolti per presentare e lanciare le diverse iniziative, con grande partecipazione del pubblico, che è stato parte attiva


Lucio Volponi

Il futuro nel segno delle “special short” ccorre un’ottica propensa al rinnovamento, uno sguardo “giovane”, per gestire un’attività come la Volponi. Per questo, il patron dell’azienda di Macerata ha trovato un aiuto nel figlio, oggi amministratore delegato, Vanni Volponi. È anche suo il merito delle nuove iniziative strategiche. «Il 2013 per la Volponi è stato un anno di innovazioni e di sviluppo di nuovi progetti - spiega Vanni Volponi -. Abbiamo ottenuto ottime soddisfazioni nella realizzazione di quelle che definiamo “special short”, campagne loyalty di breve periodo realizzate utilizzando brand dedicati al mondo dei bambini e applicati su articoli che strizzano l’occhio anche agli adulti». La società ha definito accordi in esclusiva con marchi di primaria importanza nel mondo del casalingo, tavola e cucina, che permetteranno la realizzazione di progetti su misura studiati per le esigenze dei singoli. «In particolare, grazie alla partnership con la Walt Disney Italia siamo riusciti a operare in modo totalmente innovativo, coinvolgente e soprattutto redditizio per le catene distributive nelle operazioni di breve termine, permettendoci di creare nuovi investimenti, posti di lavoro e interessanti opportunità di business». I settori maggiormente interessati a questo genere di attività potranno essere la grande distribuzione, il petrol e l’industria. «Monitorando settimanalmente migliaia di punti notiamo i diversi scostamenti fra un settore merceologico e l’altro. Non interveniamo direttamente sulle opportunità di scelta che le imprese decidono di attuare. Nostro compito è far sì che quei prodotti vengano meglio individuati dai clienti, attraendoli con vantaggi economici, sconti e premi».

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in diverse occasioni all’interno dei punti vendita. Milioni di consumatori hanno partecipato ai nostri concorsi». Confindustria ha annunciato che la produzione industriale è tornata a salire. La promozione, però, è l’ultima catena della filiera economica. Dunque l’ultima a poter godere della ripresa. Lei cosa osserva? «Abbiamo capito che il mercato non sta più attendendo il cambiamento, ma ha già girato pagina. Da anni tutti gli operatori economici annunciavano possibili o necessarie svolte decisionali per uscire dall’empasse della crisi, rilanciando le attività dei singoli settori. Ma fino allo scorso anno non si era vista alcuna iniziativa concreta in tal senso. Negli ultimi dodici mesi i nostri più importanti clienti hanno definitivamente smesso di attendere e sperare, hanno invece iniziato ad attuare politiche e áá 2014 • DOSSIER • 51


COMUNICAZIONE

Vanni Volponi, amministratore delegato della Volponi Spa

strategie molto più concrete rivolte al concetto áá del “fare”». Nel 2010, proprio sulle pagine di Dossier, aveva posto l’accento su un “dissesto psicologico” che stava abbattendo drasticamente i consumi. Cosa è cambiato da allora? «Purtroppo poco. Se parliamo di aziende la gran parte di queste sono al limite della sopravvivenza. L’imprenditoria italiana è afflitta da uno stato d’animo ansioso, che frena ogni voglia di iniziativa, salvo le eccellenze o i settori di nicchia. Se facciamo riferimento ai clienti finali, quattro anni di crisi e continui messaggi pessimistici da parte dei media hanno ancor più spinto le famiglie e gli individui a una maggiore

Abbiamo implementato il reparto marketing con personale specializzato nella realizzazione di concorsi, eventi e attività di promozione attraverso i social network

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concretezza, limitando il proprio budget, che nella maggior parte della classe media si è fortemente ridotto». Da quali attori, allora, può arrivare la spinta per risollevarsi? «Sta alle imprese, non avendo alcun sostegno da parte delle politiche governative, individuare i diversi stili di vita e puntare su nuovi concetti di uso e consumo, nei diversi settori di competenza». Cosa si sente di suggerire agli imprenditori? «Un’azienda non può restare immobile, statica, attendendo che la crisi passi e che il mercato autonomamente riprenda. I mercati mutano, le crisi accelerano l’evoluzione, la globalizzazione trascina tutti e tutto verso confini che mai avremmo pensato di toccare, anche dal punto di vista delle abitudini e degli stili di vita. La terminologia è cambiata, i gusti stanno cambiando, la comunicazione spinge in tal senso ed è diventata internazionale. Alcuni modelli di distribuzione insistono nel proporre, talvolta anche in maniera aggressiva, prodotti che fino a poco tempo fa erano best seller ma che oggi appaiono culturalmente statici e, di conseguenza, poco interessanti. Coloro che, invece, hanno capito e cavalcato l’onda dell’innovazione e che hanno voglia di reagire, sono riusciti addirittura a trarre beneficio da questa difficile situazione economica generale. Sento di poter dire che è questo il motivo per cui la Volponi è oggi un’azienda di successo». Molte attività italiane sono ancora “arretrate” sotto il profilo della comunicazione via web e dell’innovazione. «Purtroppo questo resta uno dei nodi più difficili da sciogliere. La Volponi ha potuto raggiungere i suoi risultati grazie ai considerevoli investimenti avviati negli anni verso il settore tecnologico più avanzato. La nostra azienda opera per supportare le vendite e la realizza-


Lucio Volponi

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L’INCREMENTO DI FATTURATO REGISTRATO zione di operazioni di fedeltà. Tutto questo sarebbe impossibile se non utilizzassimo le tecnologie nate per analizzare le abitudini dei consumatori. Non a caso abbiamo implementato il reparto marketing con del personale specializzato nella realizzazione di concorsi, eventi e attività di promozione attraverso i social network. È importante mirare al target di consumatori e definire bene fin da subito gli strumenti da utilizzare; oggi siamo tutti bombardati da messaggi e comunicazioni di ogni genere». Questo non rischia di generare confusione? «Certamente. Infatti non è interessante a “quante” persone arrivi il messaggio, ma a “quali” e in che modo. Nell’ambito alimentare, ad esempio, abbiamo notato come i consumatori si lascino coinvolgere nel giudicare, votare e trascrivere ricette di cucina partecipando a concorsi via web, entrando nei blog aziendali o creando gruppi di interscambio. In questo modo si possono raccogliere moltissimi dati

DALLA VOLPONI NEL 2013. ANNO IN CUI L’AZIENDA HA MOVIMENTATO OLTRE 6 MILIONI DI PREMI

utili ad analizzare i diversi comportamenti per fini strategici e commerciali». Qual è il suo obiettivo per il futuro? «È necessario rivolgersi ai consumatori di domani. Il massiccio utilizzo di smartphone, social network e nuovi mezzi di comunicazione sta cambiando drasticamente lo scenario in cui eravamo abituati a muoverci in Italia. Ovviamente non sarà tralasciato lo spazio, ancora importante, rappresentato dalle tecniche tradizionali su cui abbiamo basato il nostro passato e che ancora per qualche anno continueranno a imperare. Sicuramente ci concentreremo di più su quel famoso 30 per cento di clienti che rappresentano il 70 per cento del fatturato (dato comune nella quasi totalità delle imprese). Realizzeremo campagne su misura che mirano ai consumatori più fedeli ai punti vendita dei nostri clienti». 2014 • DOSSIER • 53




IMPRESA E SVILUPPO

I primi effetti del Bonus Mobili Roberto Snaidero commenta i risultati dell’indagine condotta tra le aziende affiliate FederlegnoArredo, per sondare le conseguenze del decreto legge. «Ha permesso un recupero della spesa e del mercato interno. Ma si può fare di più» Renato Ferretti

n recupero delle vendite nazionali, 3800 posti di lavoro e 1000 aziende salvate. Sono questi i numeri del Bonus Mobili, decreto legge dello scorso Giugno, secondo una rilevazione del Centro Studi

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Roberto Snaidero, presidente di FederlegnoArredo www.federlegnoarredo.it

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Cosmit/FederlegnoArredo. La percezione delle aziende all’interno del campione è di un cambiamento nelle prospettive che aprono il nuovo anno. «Le istituzioni hanno finalmente recepito la necessità di sostenere i consumi interni per riattivare un sistema produttivo che rischiava seriamente di “collassare”. Un sistema produttivo importantissimo: in Italia, la macro filiera del legnoArredo occupa 370mila addetti, 70mila imprese, con valori di produzione di oltre 27 miliardi di euro. Un pilastro dell’industria italiana». Il commento di Roberto Snaidero, presidente di FederlegnoArredo, riassume le condizioni critiche in cui il mercato si trova e gli effetti positivi dell’intervento istituzionale. «Il Governo Letta si è dimostrato fortemente attento alla promozione del settore dell’arredo. Grazie al Bonus Mobili è stata estesa la detrazione Irpef al 50 per cento per una spesa massima di 10mila euro per l’acquisto di mobili ed elettrodomestici finalizzati all’arredo di immobili oggetto di ristrutturazione edilizia. Tale provvedimento porterà a un recupero di spesa al consumo di circa 1,2 miliardi di euro nel periodo di applicazione 2013-2014».


Infatti, dalla prima indagine effettuata dal Centro Studi Cosmit/FederlegnoArredo su un panel di imprese associate per verificare la percezione degli effetti del Bonus, emerge un giudizio complessivamente positivo degli effetti degli incentivi sugli acquisti, anche se vari ostacoli, inerenti soprattutto alla subordinazione dell’incentivo alla ristrutturazione edilizia, ne limitano ancora l’efficacia e la portata. «Nel 2013 l’incentivo, che non ha comportato costi per le casse dello Stato – continua Snaidero –, ha consentito di mantenere aperte fabbriche e di continuare a garantire gli stipendi di migliaia di addetti che altrimenti rischiavano la disoccupazione. Nonostante l’abbassamento dell’entità della spesa media da parte delle famiglie sono stati

+5%

LE VENDITE NAZIONALI PER LE IMPRESE DEL LEGNOARREDO PREVEDONO UN AUMENTO NEL 2014, UN RECUPERO DOVUTO ALL’EFFETTO DEL BONUS MOBILI

recuperati oltre 300 milioni di euro di fatturato alla produzione, che hanno attutito il pesante bilancio dell’ennesimo anno di sofferenza per il mercato interno». Tenuto conto del ritardo di quasi tre mesi e mezzo nell’attuazione del provvedimento, FederlegnoArredo ha richiesto al Governo che il Bonus Mobili fosse prorogato a tutto il 2014 e che ne fosse semplificata al massimo l’applicazione in modo da costituire un’efficace misura anticiclica a vantaggio dell’industria manifatturiera italiana e dei cittadini. Il Bonus Mobili è stato prorogato fino al 31 dicembre 2014. «Questo effetto positivo – dice il Presidente di Federlegno –, pur essendo inadeguato rispetto al crollo della domanda interna, rappresenta un contributo prezioso per il settore, soprattutto in vista del nuovo anno». Le cifre che riguardano l’anno appena passato, infatti, rimangono comunque critiche. Dopo il 2012, anno nero per la filiera del LegnoArredo, nel 2013 il settore continua a subire le conseguenze della grave crisi economica e delle incertezze derivanti dai problemi dell’Eurozona che hanno messo in ginocchio 2014 • DOSSIER • 57


IMPRESA E SVILUPPO

UN’AGEVOLAZIONE PER I GIOVANI a speranza è che lo Stato continui a dare importanza al settore del legnoArredo». L’auspicio di Giovanni Anzani, presidente Assarredo (nella foto), è rivolto alla direzione che il Governo ha preso con il Decreto Legge Bonus Mobili. «Sarebbe necessario – dice Anzani – anche un intervento in seno all’attuazione della delega di riordino del sistema fiscale, nella quale sarà prevista la rimodulazione delle aliquote Iva e delle relative agevolazioni. È importante che il nostro Paese si allinei agli standard europei: ricordiamo come in Spagna, Francia e Belgio l’aliquota Iva all’8 per cento sugli arredi è compresa tra il 6 e il 10 per cento mentre è in Italia è al 22 per cento per la maggioranza degli arredi. Nel caso in cui non fosse possibile applicare agevolazioni maggiori rispetto alle attuali, alla generalità dei consumatori, si suggerisce l’individuazione di una platea maggiormente circoscritta. In tale senso, anche per aiutare una categoria sociale in difficoltà, proponiamo di diminuire l’aliquota Iva per l’acquisto di arredi per le giovani coppie e i nuclei familiari monogenitoriali con figli minori come individuate dal D.M. 103/2013. In Italia le giovani coppie rappresentano circa il 10 per cento delle famiglie italiane e assorbono oltre il 15 per cento dei consumi d’arredamento. Il sostegno a questa fascia della popolazione comporterebbe un vantaggio anche per le Pmi dell’industria italiana dell’arredamento».

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i consumi europei. «L’anno – spiega Snaidero – si chiuderà ancora con un calo del fatturato per il macrosistema LegnoArredo (-3,2 per cento), ancora numerose chiusure di aziende (2.400 in meno) e perdita di occupati (6.800 in meno). È soprattutto il mercato nazionale ad attraversare le maggiori difficoltà: il consumo interno apparente registra ancora un -7,1 per cento rispetto al 2012. Occorre sottolineare che la situazione sarebbe stata molto peggiore se il Governo a giugno non fosse intervenuto con gli incentivi fiscali per la casa e per l’arredamento: detrazioni del 50 per cento (Bonus Mobili), detrazioni del 65 per cento per il risparmio energetico (Ecobonus). Senza questo pacchetto di misure di sostegno alla domanda nazionale, il bilancio negativo sarebbe stato ancora più drammatico. Il Bonus Mobili è stato un segnale di speranza per le imprese manifatturiere dell’arredamento, dopo il quale ‘qualcosa si è mosso’ come dicono molte realtà della produzione e della filiera distributiva». Grazie agli effetti della misura di sostegno ai consumi delle famiglie si prospetta per le imprese del Macrosistema LegnoArredo un 2014 con variazioni ancora di segno negativo, anche se di entità meno consistente rispetto agli ultimi anni. Nel 2014 il consumo nazionale farà ancora registrare un nuovo calo del 3,7 per cento. «Le esportazioni, invece – rileva Snaidero –, proseguono il trend positivo degli ultimi tre anni (2,4 per cento in più), anche se in misura più contenuta rispetto alle previsioni di inizio anno. Nel 2014 è attesa un’ulteriore crescita del 3,4 per cento, a testimonianza della competitività internazionale delle imprese italiane».


IMPRESA E SVILUPPO

Le tendenze del ceramico La produzione di stampi per piastrelle fra mercato estero e rapporto col territorio. Davide, Michele e Daniele Tagliati fanno il punto sull’andamento di un settore nel quale hanno introdotto un importante brevetto: il punzone a deareazione Valerio Maggioriano

a bassa crescita immobiliare italiana, rispetto all’estero, sta determinando una progressiva delocalizzazione delle realtà produttive del settore ceramico nazionale. «Negli ultimi anni è stata registrata una flessione significativa nel fatturato interno della produzione ceramica, inclusa quella speciale (battiscopa, mosaico, piastrelle a rilievo per cucine). Questa flessione è dovuta certamente al crollo degli ordini in Italia. Però anche al fatto che la produzione destinata all’estero si è spostata e si sta spostando in loco. Infatti, dato che i costi di trasporto incidono considerevolmente sul prezzo finale, conviene realizzare il prodotto direttamente nelle regioni di commercializzazione». A presentare la situazione di mercato è Davide Tagliati, che, insieme ai fratelli Michele e Daniele, dirige l’officina TA-RO, specializzata nella fabbricazione di stampi per ceramica, soprattutto per pezzi speciali. «Attualmente – prosegue Michele Tagliati –, per noi come per molti altri produttori di attrezzature per ceramica, i mercati stranieri hanno assunto una rilevanza sempre crescente. Il nostro punto di forza è

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rappresentato dall’essere riusciti a commercializzare a livello internazionale, con il marchio Deair, il nostro ultimo brevetto: il punzone a deareazione, utilizzato per la produzione di piastrelle standard. Questo ha portato a considerevoli incrementi di produttività, a un forte risparmio energetico e all’eliminazione degli scarti di laminazione. E impostosi in tutti i continenti e testato su ogni tipo di produzione ceramica, ci ha permesso di ampliare i contatti e il portafoglio dei partner, senza limiti di tipologia di prodotto». Se lo standard ha portato TA-RO all’estero, per la produzione degli stampi per pezzi speciali è rimasto forte il legame con il territorio emiliano. Daniele Tagliati ne spiega le ragioni: «La fabbricazione di stampi per pezzi speciali è complessa e impone una stretta sinergia con le fabbriche che utilizzeranno gli stampi. I modelli seguono tendenze che mutano frequentemente e sono in genere prodotti in piccoli lotti, con tempi di consegna ridotti. Per questo per noi è importante lavorare con aziende del territorio, come quelle del comprensorio ceramico sassolese».

L’officina TA-RO si trova a Ubersetto, frazione di Fiorano Modenese (MO) www.ta-ro.it

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EXPORT

La crisi non ha intaccato la cosmesi Il calo di consumi, che da diversi anni colpisce tutte le categorie merceologiche, non si accanisce contro il settore della cosmesi. Che tiene, ma assume nuove forme. L’analisi di Primo Tortini Valerio Maggioriano

l settore della cosmesi è in profondo mutamento. La crisi ha modificato i consumi, a volte anche in modo imprevisto e inaspettato». È questa la premessa che Primo Tortini, fondatore e amministratore unico di Cosmoproject, pone prima di commentare l’andamento del mercato nel 2012, anno in cui in Italia sono stati spesi 9,7 miliardi di euro per cosmetici e igiene personale. La cifra indica chiaramente che anche in una fase di recessione la bellezza non è una voce di spesa da tagliare. E sebbene rispetto al 2011 si sia registrato un calo, questo è rimasto contenuto entro l’1,4 per cento (fonte: centro studi Unipro), a fronte, per esempio, di un calo dei consumi alimentari del 3,9 per cento (fonte: Confcommercio). Dietro i numeri che disegnano la tenuta dei prodotti di bellezza si muovono però importanti cambiamenti. «Rispetto al passato, le differenze sono molte – prosegue Tortini –. Le profumerie tradizionali quale canale di vendita preferenziale sono state affiancate da grandi catene. Nel contempo la grande distribuzione ha in parte ceduto il passo ai discount». Questi mutamenti sono da attribuire alla situazione contingente oppure sono il segno di un futuro che prende una nuova direzione? «Non credo sia un fenomeno momentaneo. I canali di vendita stanno cambiando. Nascono nuovi format di negozi di prodotti cosmetici associati a marchi di abbigliamento noti a livello internazionale. Anche solo rispetto a cinque anni fa il mercato è profondamente mutato. Pertanto le previsioni per il futuro delineano un quadro sicuramente ancora più frammentato, ma al tempo stesso ricco e quindi interessante, tanto per i produttori quanto per i consumatori».

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Per quanto riguarda Cosmoproject, quali sono stati i vostri risultati? «Il bilancio del 2013 ha confermato inequivocabilmente la solidità dell’azienda. Il fatturato imponibile ha superato ampiamente i 25 milioni di euro, con un incremento di oltre il 30 per cento rispetto al 2012. Abbiamo acquisito importanti clienti nel settore della grande distribuzione e delle grandi catene dei prodotti di consumo, potenziando anche la nostra presenza a livello internazionale. Questo grazie a quella che dovrebbe essere una delle principali capacità di un’impresa competitiva: adattarsi al cambiamento o, meglio

Primo Tortini, fondatore e amministratore unico della Cosmoproject Srl di Casale di Mezzani (PR) www.cosmoproject.it


Primo Tortini

ancora, anticiparlo». Quali sono le azioni che avete messo in campo per agganciare l’evoluzione del settore? «La prima sfida è la capacità di cavalcare il cambiamento. Un altro aspetto fondamentale riguarda la necessità, proprio ora, a fronte di questi mutamenti, di investire risorse finanziarie e umane nell’organizzazione aziendale, nell’assoluta qualità e nel servizio, mantenendo altissimo l’asset della creatività e dell’innovazione del prodotto. Questa certo che è una sfida, perché va contro l’istintiva reazione, in tempi difficili, di tirare i remi in barca e stare a vedere cosa accade. Infine non si può non considerare l’importanza di investire nei nuovi settori in espansione. In tal senso la nostra attenzione è concentrata sul settore farmaceutico, con la realizzazione dei dispositivi medici già oggi prodotti per le principali aziende nazionali».

+32%

25%

INCREMENTO DI FATTURATO REGISTRATO DA COSMOPROJECT NEL 2013 (RISPETTO AL 2012), CON UN IMPONIBILE CHE HA SUPERATO I 25 MILIONI DI EURO

QUOTA DI EXPORT SUL FATTURATO COMPLESSIVO DI COSMOPROJECT, CHE PER I PROSSIMI ANNI FOCALIZZERÀ LA SUA ATTENZIONE IN BRASILE

Parlando di export, che ruolo ha questo nel vostro bilancio? «Il mercato estero sta crescendo velocemente e ha già superato il 25 per cento del fatturato. Alcuni dei nostri principali clienti sono griffe note a livello planetario, quindi il nostro sguardo è sempre puntato verso il globale. Nel prossimo futuro abbiamo intenzione di concentrarci su un mercato particolarmente accattivante: quello brasiliano, secondo mercato mondiale del cosmetico. Il Brasile è un paese che si sta distinguendo nel panorama mondiale per la sua capacità di crescere e innovare. Ed è il luogo in cui più che altrove la bellezza e la cura del corpo trovano un significato. Siamo pronti, attrezzati e perfettamente strutturati per affrontare questa sfida sia nella produzione conto terzi, sia nella vendita diretta con predilezione per i prodotti specialistici ad alto valore aggiunto». 2014 • DOSSIER • 69


EXPORT

Un’agenda orientata allo sviluppo Investimenti costanti e su più fronti per il gruppo guidato da Bartolomeo Ghirardini. Le ambizioni di internazionalizzazione e le strategie per consolidare i progetti in itinere per i prodotti ISB nel settore cuscinetti e componenti industriali Valerio Maggioriano

n bilancio 2013 positivo per il gruppo produttore di cuscinetti e componenti industriali di Rubiera. Italcuscinetti è cresciuta rispetto all’anno precedente grazie all’acquisizione di nuovi original equipment manufacturer (Oem) italiani che hanno scelto di omologare il prodotto ISB all’interno delle loro produzioni. «L’attenzione alle nuove esigenze dei costruttori – afferma Bartolomeo Ghirardini, presidente e amministratore delegato del gruppo con sede in provincia di Reggio Emilia – è fondamentale in questo momento in cui i grandi Oem hanno la necessità di attuare strategie di saving senza dover compromettere la qualità e la prestazione dei loro prodotti. In concreto ci è stato chiesto, e abbiamo risposto prontamente, di fornire ampi stock di

U Bartolomeo Ghirardini, presidente e amministratore delegato della Italcuscinetti di Rubiera (RE) www.italcuscinetti.it

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prodotti sempre più prestanti e a prezzi competitivi. Alla semplice fornitura si aggiunge poi l’esigenza di confrontarsi con un partner affidabile, che garantisca loro un servizio sempre più rapido e in linea con le filosofie della lean production (kanban, just in time)». Il 2013 per Italcuscinetti non è stato solo sinonimo di crescita nel mercato nazionale. «L’export è un altro segmento di mercato importante. L’anno scorso abbiamo attuato un progetto di riorganizzazione, riqualificazione e potenziamento dell’intero reparto. È stato inserito nuovo personale in affiancamento a quello già esistente, al fine di creare dei veri e propri team di lavoro concentrati sullo sviluppo di specifiche aree. Sono stati organizzati corsi di formazione inerenti alle strategie commerciali e alle nuove leggi in mate-


Bartolomeo Ghirardini

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La specializzazione nel rotativo ci permetterà di essere riconosciuti nella sfera dei grandi leader di mercato

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ria di export. Inoltre, grazie alle nuove risorse, abbiamo notevolmente incrementato il numero di visite presso i partner, consolidato la presenza presso di loro in termini di assistenza e quindi aumentando la fidelizzazione dei distributori». Questi investimenti hanno gettato le fondamenta per la strategia di internazionalizzazione 2014. «Per quest’anno abbiamo grandi ambizioni nelle aree Brics e dell’Est Europa. Il progetto, avviato già due anni fa, ha già dato riscontri positivi, come per esempio l’apertura di un ISB Service in Sud Africa, nonché la nascita della Shanghai Italcuscinetti, con la quale serviamo efficacemente il mercato cinese di tutti gli Oem che hanno dislocato lì le loro produzioni. Una delle mosse per la buona riuscita del progetto è stata e continuerà a essere quella di avere all’interno dello staff personale madrelingua da dedicare alle aree di sviluppo». Altri grandi progetti innovativi sono quelli che riguardano lo sviluppo di nuovi prodotti, con un indirizzo preciso: una maggiore specializzazione nel settore del rotativo. «Stiamo sviluppando prodotti con caratteristiche meccaniche e prestazionali a basso consumo energetico, così da creare soluzioni sempre meno impattanti sull’ambiente.

La nostra stessa sede è stata realizzata con un’edilizia a impatto zero e dotata di un sistema fotovoltaico che soddisfa il nostro fabbisogno elettrico. Inoltre, la volontà di una crescente specializzazione nel rotativo ci permetterà di essere riconosciuti nella sfera dei grandi leader di mercato e di diventare un importante e indispensabile partner per i clienti». Tornando all’agenda 2014, Italcuscinetti intende promuoversi partecipando a numerosi eventi fieristici nazionali e internazionali. «Abbiamo pianificato la nostra partecipazione diretta a fiere italiane dal carattere internazionale. Come Samoter di Verona a Maggio, fiera specializzata nei macchinari e nelle tecnologie per il movimento terra; Eima International di Bologna a Novembre, dedicata al settore agricolo (macchine e tecnologie). E ancora direttamente parteciperemo a Bearing di Shanghai, fiera dedicata al settore dei cuscinetti e componenti. Infine, saremo presenti a diverse fiere sui territori europei e non, in co-partecipazione con i nostri distributori locali». Questo fitto calendario trova la sua ragion d’essere nelle sfide che il gruppo si è posto e continua a porsi. «Mantenere e incrementare le quote di mercato, aumentare sempre più la fidelizzazione dei clienti. E soprattutto far sì che il marchio ISB assuma una posizione di sempre maggiore rilievo sul mercato. Nel prossimo futuro vogliamo che chiunque, di fronte al marchio ISB, abbia la certezza di trovarsi davanti a prodotti con i quali poter programmare i propri business plan in assoluta tranquillità».

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EXPORT

Pulizia industriale, nuove soluzioni Un ampliamento del raggio d’azione commerciale che va di pari passo con l’investimento in ricerca e sviluppo. Vincenzo Poli presenta i suoi piani di internazionalizzazione Vittoria Divaro

onostante la criticità principale sia la difficoltà, sempre più tangibile, di fare numeri importanti nel mercato interno, nel corso del 2013 abbiamo consolidato la nostra presenza nel mercato domestico. E soprattutto è cresciuto sensibilmente il portfolio dei clienti nei mercati esteri. Anche grazie all’introduzione di un nuovo modello di spazzatrice». È questo il resoconto dell’ultimo anno di attività che Vincenzo Poli fa della Poli Motoscope di Co-

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Macchine spazzatrici prodotte dalla Poli Motoscope Srl di Colorno (PR) www.polimotoscope.com

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lorno, in provincia di Parma, specializzata nella produzione di una gamma completa di spazzatrici industriali, sia uomo a terra, sia a bordo. «Accanto al nostro tradizionale territorio di riferimento – prosegue Poli –, che comprede l’Italia ma anche l’Europa, negli ultimi anni abbiamo iniziato con buoni risultati a lavorare anche con partner collocati in Medio Oriente, Asia e America Latina. L’ampliamento del raggio d’azione a livello commerciale va di pari passo con l’investimento in ricerca e sviluppo e sono numerosi i progetti sui quali attualmente stiamo lavorando. Infatti, la nostra azienda da sempre ha investito e investe nell’innovazione, proponendo, quasi a cadenza biennale, nuovi modelli e nuove versioni delle macchine già immesse sul mercato. Questo è possibile grazie al lavoro svolto dai nostri preziosi collaboratori interni, che utilizzando programmi di progettazione sempre all’avanguardia e sviluppando input che vengono sia dal nostro interno, sia dai nostri partner, riescono progressivamente a migliorare e concepire nuove soluzioni, fino allo sviluppo di nuove macchine. E proprio in questo periodo siamo impegnati


Vincenzo Poli

nella progettazione di un nuovo modello di spazzatrice, specifico per la pulizia di aree particolari». Già da qualche anno, inoltre, Poli Motoscope ha intrapreso una collaborazione con la società Evotech Italia (anche questa con sede a Colorno) per la realizzazione e la commercializzazione di un’innovativa lavasciuga spazzante: la Evo 650 e 850. «Brevettata in tutto il mondo, questa macchina è diversa dalle macchine combinate concorrenti, perché in grado di spazzare grossi detriti, lavare e asciugare contemporaneamente con ottimi risultati. Quindi è particolarmente adatta alla pulizia di superfici molto sporche, con possibile presenza anche di detriti pesanti e superfici che necessitano di essere spazzate prima di essere lavate, come, per esempio, magazzini, depositi, stazioni ferroviarie, aeroporti, parcheggi, centri commerciali e supermercati». Alle alte prestazioni specialistiche, Poli Motoscope ha anche introdotto procedure che consentono di limitare l’impatto ambientale della produzione. «Quasi tutti i componenti utilizzati nelle nostre macchine, quando non sono realizzati al nostro interno, sono reperiti, nella maggior parte dei casi, nella regione o nelle regioni limitrofe, riducendo così drasticamente l’emissione di CO2 per il trasporto. Nella nostra gamma sono presenti, inoltre, alcuni modelli con doppia alimentazione benzina/Gpl e con marmitte catalitiche. Per quanto riguarda la lavasciuga spazzante Evo, invece, il discorso risulta più interessante e ampio in quanto è stata progettata per utilizzare un terzo di acqua e soluzione lavante rispetto alle macchine concorrenti. E questo riduce notevolmente lo spreco di acqua e prodotto chimico per il suo utilizzo. La soluzione lavante viene infatti aspersa nella quantità minima necessaria grazie a un si-

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La nuova lavasciuga spazzante è stata progettata per ridurre notevolmente lo spreco di acqua e prodotto chimico durante l’utilizzo

stema unico di distribuzione al suolo, e viene mantenuta più a lungo nella zona di azione del rullo lavante prima di essere raccolta, aumentandone in questo modo l’efficacia esponenzialmente». In conclusione Vincenzo Poli anticipa quelli che sono gli obiettivi per il nuovo anno. «Per il 2014, il nostro principale obiettivo è quello di promuovere massicciamente nel mondo la nostra gamma di motoscope e la nuova lavasciuga spazzante Evo. Anche con la partecipazione alla prossima fiera internazionale del cleaning che si terrà ad Amsterdam fra il 6 e il 9 maggio 2014».

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EXPORT

Obiettivo export. Senza intermediari Tempi di pagamento troppo lunghi e crescenti, costi produttivi non sempre sostenibili e slegati dalle fluttuazioni nel prezzo delle materie prime. Luca Paoletti scommette sull’avvio dell’export diretto con l’obiettivo di incrementare gli utili Arianna Lesure

er le imprese di servizi i cui prodotti sono destinati in ultima istanza al mercato estero, passando però attraverso altre aziende italiane, questo passaggio di intermediazione inizia a diventare un freno alla redditività. Diventa quindi importante l’avvio di relazioni che permettano di instaurare rapporti diretti con le aziende estere. A fare questa riflessione, fra gli altri, è Luca Paoletti, responsabile direzione e commerciale delle Fonderie Pl, impresa del maceratese che produce, per pressofusione di leghe d’alluminio, componenti per diversi settori, fra i quali l’elettromeccanico, l’elet-

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Luca Paoletti, responsabile direzione e commerciale delle Fonderie Pl Srl di Montefano (MC) fonderiepl@tiscali.it

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trodomestico e l’automotive, fornendo anche prodotti con lavorazioni meccaniche di alta precisione. «Ci confrontiamo certamente con aziende italiane sane e solide. Però i tempi dei pagamenti si stanno allungando sempre di più e di contro abbiamo consegne a cadenza settimanale. Inoltre, un’eventuale e improvvisa crisi di uno dei nostri partner rappresenterebbe un danno da subire senza colpe e però senza nemmeno la possibilità di contrastarlo». Quale sarebbe il vantaggio di interfacciarsi direttamente con partner stranieri? «Intanto, l’assenza di aziende intermedie, potrebbe portare a un incremento degli utili. Dato che questo doppio passaggio, inevitabilmente incide sul prezzo che possiamo proporre ai nostri interlocutori. E un incremento di utili, in questo momento, è assolutamente indispensabile. Per diverse ragioni – una è l’impatto del costo della materia prima. Per questo stiamo lavorando per agganciare partner stranieri, in particolare tedeschi». Potrebbe approfondire l’aspetto riguardante i costi della materia prima? «Noi acquistiamo la materia prima, l’alluminio, in lingotti, a


Luca Paoletti

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INCREMENTO DI FATTURATO 2013 RISPETTO AL 2012 PER LE FONDERIE PL A FRONTE PERÒ DI UNA CONTRAZIONE DEGLI UTILI CAUSATA DAI COSTI DI PRODUZIONE CRESCENTI

un prezzo che naturalmente dipende dalla quotazione dell’alluminio e quindi in base all’andamento periodico dei prezzi programmiamo gli acquisti. Tuttavia le fluttuazioni sono sempre possibili. Di contro, il prezzo del prodotto che forniamo ai partner è fissato per trimestri e, negli ultimi tempi, anche per sei o dodici mesi. Questo rende problematico rientrare dai costi di acquisto della materia prima e di produzione, cercando di evitare che la commercializzazione del nostro componente diventi insostenibile e antieconomica». Nell’ultimo anno avete risentito di un calo degli utili? «Rispetto al 2012 gli utili sono stati decisamente più contenuti. E questo a fronte di un incremento del fatturato 2013 del 30 per cento. La crescita di fatturato è stata possibile perché abbiamo investito per incrementare la produttività, soprattutto acquistando nuovi macchinari e potenziando il nostro grado di automazione. Se quindi il rapporto fra qualità e prezzo è migliorato, consentendoci un maggior numero di ordini, gli utili sono rimasti fermi, quando non si sono addirittura

ridotti». Dunque, anche in un momento difficile per l’economia, avete scelto di fare investimenti nell’innovazione? «L’innovazione è fondamentale. Contare su macchinari efficienti e aggiornati ci permette di rimanere sul mercato in modo concorrenziale, mantenere un elevato standard qualitativo e migliorare le performance del processo produttivo. Ovviamente, l’aggiornamento costante impone investimenti continui. Questi sono stati indirizzati anche verso il rispetto ambientale, puntando sul risparmio energetico, anche attraverso la sostituzione di macchinari datati con macchinari nuovi a basso consumo energetico. Inoltre, abbiamo avviato le procedure per ottenere la certificazione ambientale. Questo lungo processo, adesso, potrebbe trovare un ottimo sbocco nell’obiettivo di fare export direttamente. Dalla nostra parte, oltre alle tecnologie, abbiamo il know how e la capacità di essere dinamici. Affrontiamo le problematiche dello stampaggio, già in fase di progettazione, offrendo la soluzione migliore, sia in termini qualitativi che di costi». 2014 • DOSSIER • 77


MECCANICA

L’hi-tech punta di diamante del settore

«Occorre un sistema di relazioni industriali che favorisca la partecipazione e la cooperazione invece che l’antagonismo e il conflitto». Fabio Storchi, presidente di Federmeccanica, illustra lo stato di salute comparto Nicolò Mulas Marcello

a meccanica è stata ed è tuttora colpita dalla crisi, più della media del settore manifatturiero. Secondo Fabio Storchi, da troppo tempo si parla di politica industriale, ma le parole non sono mai state seguite dai fatti. A crescere è invece proprio quel clima contrario allo sviluppo delle imprese. Il suo gruppo, Comer Industries, fattura 340 milioni in costante crescita ma Storchi non dimentica le difficoltà di moltissime aziende: «È doloroso dirlo ma rispetto ad altri Paesi manifatturieri, l’Italia si è dimenticata da tempo che cosa sia la politica industriale. Siamo molto in ritardo – aggiunge – rispetto a quanto hanno già fatto Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna e Germania». Da dove si può iniziare? «Prima di tutto dalla riduzione del costo del lavoro – spiega il presidente di Federmeccanica –. E poi con le misure a costo zero per agevolare il rientro di chi ha de localiz-

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zato. È evidente che l’Italia deve recuperare ampie quote di competitività e produttività. Ci riusciremo solo attraverso una nuova cultura delle relazioni industriali». Se oggi il manifatturiero registra una caduta produttiva pari a circa un quarto rispetto ai livelli pre-crisi, per le imprese metalmeccaniche la perdita ammonta a circa un terzo. «La nostra recente indagine congiunturale – spiega Storchi – rileva che le aspettative di ripresa produttiva stentano a realizzarsi in un altalenarsi di segnali contraddittori». In un difficile contesto qual è l’incidenza delle aziende che si sono dimostrate capaci di innovare, crescere e internazionalizzarsi? «Occorre certamente fare delle distinzioni perché la situazione del settore risulta abbastanza diversificata. In particolare, soffrono i produttori di beni di consumo durevoli, automotive ed elettrodomestici, e quelli più direttamente connessi al ciclo dell’edilizia. Tut-

tavia, la vera linea di demarcazione non è tra i diversi comparti ma in funzione del grado di dipendenza dal mercato interno e della capacità di innovazione e specializzazione dimostrate dalle singole aziende. Per questo è molto difficile fare una stima quantitativa sull’incidenza delle imprese virtuose. Devo, però, aggiungere che anche queste ultime subiscono oggi la pressione di un livello del cambio dell’euro completamente disconnesso dalla realtà della manifattura nazionale e questo ne indebolisce la capacità competitiva». Lei sostiene che Federmeccanica deve essere interprete e protagonista di una consapevole volontà di trasformazione. Cosa deve cambiare in concreto nel settore? E come la meccanica può essere un volano per l’economia del nostro Paese? «Penso che il Paese abbia assoluta necessità di fare in fretta le riforme che non è stato in grado di attuare


Fabio Storchi

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Quando si parla di made in Italy si pensa subito alla moda o all’agroalimentare, ma in realtà sono le aziende meccaniche che con le loro esportazioni tengono in piedi la bilancia dei pagamenti

in questi ultimi vent’anni a causa di una completa paralisi della politica. Le imprese, però, devono essere artefici e protagoniste del cambiamento interpretando nel modo corretto questa fase storica che presenta caratteristiche profondamente diverse rispetto al passato; la crescita dimensionale e il posizionamento su fasce più alte della catena del valore sono due aspetti fondamentali per innalzare il grado di competitività del nostro sistema produttivo. Il benchmark nazionale deve essere rappresentato da quelle medie imprese dette “multinazionali tascabili” che sono riuscite a crescere e conquistare posizioni sul mercato mondiale attraverso l’innovazione e la specializzazione. Ma servono anche scelte di politica industriale che i governi succedutisi alla guida del Paese negli ultimi vent’anni hanno sempre annunciato e mai realizzato». L’impresa nel nostro Paese è sempre più ostacolata da fiscalità

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e burocrazia. In che modo occorre intervenire sotto questi aspetti? «Purtroppo le nostre imprese sono costrette a operare in un ambiente ostile, in cui le logiche alla base dei processi decisionali sono, di fatto, lontane da quelle che sarebbero necessarie in un Paese che ha nella manifattura il suo principale asset di sviluppo. Il fardello della burocrazia e la vessatoria tassazione sulla produzione e sul lavoro sono solo due, importantissimi, aspetti del problema, ma dobbiamo aggiungere questioni quali le carenze infrastrutturali, il sistema formativo, il profluvio e l’erraticità della produzione normativa. Tutto questo mi porta a dire che, al di là del merito dei singoli interventi, è la cultura della efficienza e della competitività che deve trovare migliore considerazione tra i nostri decisori pubblici. Abbiamo anche bisogno di un sistema di relazioni industriali che privilegi il metodo

della partecipazione e della cooperazione a quello dell’antagonismo e del conflitto». Parliamo di robotica e meccatronica. In questi settori così avanzati la ricerca italiana riesce a competere a livello internazionale? «Quando si parla di made in Italy si pensa subito alla moda o all’agroalimentare, ma in realtà sono le aziende meccaniche che con le loro esportazioni tengono in piedi la bilancia dei pagamenti. In particolare, robotica e meccatronica sono tra i punti di forza del settore, l’80% delle classi di prodotto metalmeccaniche sono classificate dall’Ocse “high or medium hitech”. Questo ben si combina con quanto dicevo pocanzi circa le multinazionali tascabili. Innovazione e specializzazione si traducono in ricerca applicata e capacità di utilizzare le migliori tecnologie disponibili al servizio di quel “saper fare” che è il vero patrimonio delle nostre imprese». 2014 • DOSSIER • 81


MECCANICA

La risposta metalmeccanica All’interno di uno dei settori più importanti, con Francesco e Massimo Pressanto. Un esempio di come le imprese italiane stanno reagendo alla stagnazione del mercato interno Remo Monreale

untare su nicchie di mercato, considerando il bacino geografico più ampio possibile. Il settore metalmeccanico italiano, con il suo elevatissimo livello tecnologico e di competenza, ha in questo una direttiva di successo: da una parte l’export verso i paesi con un know how inferiore e dall’altro la possibilità di risolvere in modo flessibile e veloce i problemi di mansioni ultraspecialistiche. I fratelli Francesco e Massimo Pressanto, alla guida della SiaMpl di Brescello (RE), offrono uno spaccato esemplificativo della struttura produttiva del Nord Italia nel comparto. «L’azienda – dice Francesco – nasce dall’invenzione di Alfredo Pressanto dei pannelli in rete elettrosaldata, per proteggere la cinghia di trasmissione per i motori dei compressori ad aria, dando rilievo al tema della sicurezza sul lavoro quando ancora questa materia non aveva l’importanza che riveste oggi. Adesso la nostra produzione prevede protezioni organi in movimento, barriere di separazione

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uomo-macchina, pannelli per carpenteria, recinzioni civili e industriali, barriere per cantieri e pannelli in acciaio inossidabile per l’edilizia, protezioni e pannelli per il settore alimentare, protezioni anticesoiamento per carrelli elevatori». Quali sono le caratteristiche della vostra produzione? MASSIMO PRESSANTO: «La robustezza, la leggerezza e la resistenza della rete elettrosaldata la rendono un prodotto versatile, ed è realizzata con ferro, filo pre-zincato e acciaio inox di alta qualità. Diamo particolare importanza ai prodotti in acciaio inossidabile perché ecocompatibili, to-

40%

L’EXPORT CHE LA SIAMPL DI BRESCELLO (RE) HA REGISTRATO SUL TOTALE DEL FATTURATO NEL 2013


Francesco e Massimo Pressanto

Massimo e Francesco Pressanto, titolari della SiaMpl Srl di Brescello (RE) www.retielettrosaldate.it

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La robustezza, la leggerezza e la resistenza della rete elettrosaldata la rendono un prodotto versatile

talmente riciclabili e duraturi nel tempo. Ma un aspetto davvero decisivo della nostra attività sta nella capitalizzazione delle risorse interne, oltre alla scommessa sulle opportunità che la flessibilità all’interno delle nicchie di mercato ci avrebbe aperto». Quali esempi di capitalizzazione delle risorse interne può fare? FRANCESCO PRESSANTO: «Abbiamo costruito un impianto nuovo di cui andiamo orgogliosi, che ci ha permesso grandi vantaggi, come il miglioramento delle lavorazioni per il taglio, la piegatura in automatico di alcuni pezzi. Tutto questo è stato possibile grazie al nostro know how. La nuova macchina inoltre ci ha aperto altri mercati, con formati diversi, e in particolare la possibilità di sfruttare il settore dell’acciaio inossidabile. Oltre alla nuova macchina nell’ultimo periodo abbiamo ottimizzato la produzione di tutti i target: dal piccolo artigiano al settore alimentare fino agli impianti industriali. Il nostro obiettivo è essere molto flessibili, veloci nelle consegne offrendo soluzioni ai possibili problemi che l’utente finale può dover affrontare». L’export che importanza riveste per voi?

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F. P.: «Noi tocchiamo tutta l’Europa, dalla Fran-

cia alla Germania all’Olanda. Al tempo stesso siamo interessati al Medio Oriente e al Centro Africa, perché il loro mercato interno si sta orientando verso l’uso di prodotti come quelli che realizziamo noi. Si è creata una sinergia quasi regionale con iniziative organizzate da associazioni di imprenditori e altre come alcuni istituti di credito, queste si sono attivate per incontri e progetti a favore dell’internazionalizzazione e soprattutto con report di paesi emergenti». In che modo avete deciso di investire a livello comunicativo? M. P.: «Il sito internet ci permette una grande visibilità ed è pensato per un target di specialisti: il nostro cliente ha delle conoscenze tecniche specifiche, non si accontenta del bel sito. Una delle nostre prerogative è sviluppare insieme al cliente i prodotti. Esattamente quanto succede all’interno del restauro del palazzo quattrocentesco che ospita il Museo Egizio di Torino, in cui abbiamo orgogliosamente collaborato per il consolidamento di una parte del tetto con pannelli in acciaio inossidabile nervato». 2014 • DOSSIER • 83


Un primato italiano Dalle voci armoniche per fisarmoniche al settore automotive. L’esempio di diversificazione portato dall’esperienza imprenditoriale di Giordano Sorci, per cui la ricerca tecnologica ha portato non solo ad altre soluzioni, ma anche a nuovi mercati Renato Ferretti

apidità nel trovare soluzioni, ingegno, coraggio e curiosità nella sperimentazione». È la ricetta con la quale Giordano Sorci, amministratore della Cagnoni di Osimo (AN), spiega come raggiungere la diversificazione vincente. La sua azienda offre un esempio in tal senso che continua nel tempo. La Cagnoni nasce settant’anni fa come ditta produttrice di voci armoniche, l’ancia di metallo la cui vibrazione genera il suono delle fisarmoniche, strumento la cui vicina Castelfidardo rappresenta il distretto produttivo più importante del mondo. Negli anni, le competenze acquisite nella meccanica di precisione, portano la società a sperimentare nuovi prodotti. «Realizziamo collettori per motori elettrici – dice Sorci – che hanno un vasto impiego: piccoli elettrodomestici, automotive e power tools, oltre alla tranciatura di particolari in metallo. Nell’ultimo

«R

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periodo, siamo riusciti a consolidare dei mercati (nuovi) come l'automotive con enorme soddisfazione, frutto di un duro lavoro iniziato alcuni anni fa». L’obiettivo della Cagnoni è la versatilità tecnica tramite l’uso di strumentazioni avanzate: l’aspetto dell’innovazione tecnologica è cen-


Giordano Sorci

Il nostro staff di ricerca ha sviluppato un collettore con un impiego di rame mirato, permettendo una riduzione notevole dell'incidenza dei costi

La Cagnoni Spa ha sede a Osimo (AN) www.cagnoni.com

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trale, come risulta chiaramente dalle parole dell’amministratore. «Una delle nostre divisioni che si occupa di produrre collettori per motorini elettrici – continua Sorci –, stava soffrendo negli ultimi anni a causa di una concorrenza asiatica molto aggressiva. L'utilizzo della materia prima impiegato nella costruzione di tali prodotti, il rame, non cessava la sua inesorabile crescita rendendo poco competitivo il nostro prodotto, totalmente made in Italy. Il nostro staff di ricerca ha sviluppato un collettore con un impiego di rame mirato, permettendo una riduzione notevole dell'incidenza dei costi. Facile a dirsi ma estremamente complesso da mettere in atto. Ad ogni modo, la clientela sia italiana sia estera ha apprezzato la soluzione e ciò

ha permesso alla Cagnoni non solo di contrastare i competitor ma di occupare fette di mercato che prima sembravano irraggiungibili». Continuare a sperimentare, quindi, rimane la strategia di base dell’azienda osimana. «Oggi stiamo allargando le nostre vedute – spiega Sorci – cogliendo tutte le opportunità che si presentano. La diversificazione è una strada assolutamente da percorrere, ora più che mai. Non è il momento per soffermarsi a rimpiangere il passato o demotivarsi per via della crisi. Chiuderemmo tutti se ci lasciassimo rattristare da ciò che accade in Italia. Per quanto riguarda la nostra attività, al momento, il settore automotive è decisamente quello da cui ci aspettiamo maggiori soddisfazioni: alcune imprese molto importanti stanno osservando con molto interesse la nostra azienda. Non che sia un settore facile o esente dalle influenze della crisi ma è per noi un nuovo mercato e ci sono margini di crescita». Il made in Italy rappresenta un valore aggiunto nei settori di riferimento della Cagnoni. «La nostra capacità di inventare soluzioni alternative, trovare idee nuove, materiali nuovi, macchinari aggiornati e personale continuamente formato e al passo con le policy aziendali, rende l'azienda dinamica e propositiva. La clientela estera apprezza l’organizzazione, la collaborazione stretta tra i tecnici diventa un punto di forza indispensabile. Ci viene riconosciuta una qualità eccellente senza che questa incida sui prezzi di vendita, anzi. Direi, quindi, che il made in Italy anche nei nostri settori è sinonimo di qualità. In definitiva, oltre a nuovi mercati e clienti sempre più diversificati, gli obiettivi per il nuovo anno prevedono proprio una maggior penetrazione in Europa e America. Inoltre, abbiamo in cantiere alcuni progetti che escono dai nostri standard di prodotto, che ci daranno, quindi, la possibilità di crescere ancora». 2014 • DOSSIER • 85


PACKAGING

Un settore in piena salute L’Emilia Romagna ospita quasi il 40 per cento delle aziende che producono macchine per il confezionamento e i numeri dicono che la crisi è lontana. Giuseppe Lesce illustra l’andamento del comparto Nicolò Mulas Marcello

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l settore del packaging nel nostro Paese ha avuto un andamento controcorrente rispetto agli altri comparti manifatturieri durante la crisi economica. Il rallentamento non è stato evidente come in altri settori e ora le aziende viaggiano su livelli di fatturati superiori a quelli precrisi. «Anche il 2014 – spiega Giuseppe Lesce, presidente dell’Unione costruttori italiani macchine automatiche per il confezionamento e l’imballaggio (Ucima) – dovrebbe essere un anno in crescita per i costruttori italiani di macchine per il packaging. Gli indicatori economici oggi disponibili e i dati sulla raccolta ordini delle nostre aziende ci fanno prevedere un’ulteriore crescita del giro d’affari per i prossimi dodici mesi». In Emilia Romagna ci sono diverse aziende che appartengono al settore, come hanno reagito alla crisi economica? «L’Emilia Romagna è la regione italiana dove risiede il maggior numero di aziende del settore, 245 (39% del totale). Nella cosiddetta packaging valley bolognese hanno sede le maggiori aziende italiane. Infatti i produt88 • DOSSIER • 2014

tori emiliano-romagnoli realizzano circa i 2/3 del fatturato totale. La crisi ha intaccato solo marginalmente l’andamento del settore. Abbiamo assistito a una lieve battuta d’arresto nel 2009, ma già l’anno successivo il fatturato ha ripreso a correre e ora viaggia su livelli superiori a quelli pre-crisi. Detto ciò, anche nel nostro settore le aziende di medio-piccole dimensioni sono state colpite dal rallentamento dell’economia italiana ed europea proprio perché soprattutto le aziende più piccole realizzano il loro fatturato principalmente nei mercati più vicini». Quali misure ha messo in campo Ucima per supportare i costruttori italiani di macchine per imballaggio e confezionamento? «La nostra associazione negli ultimi tre anni ha subìto un profondo rinnovamento organizzativo, diventando

Sotto, Giuseppe Lesce, presidente di Ucima

L’Emilia Romagna è la regione italiana dove risiede il maggior numero di aziende del settore, 245


Giuseppe Lesce

TUTTI I NUMERI DEL PACKAGING l settore dei costruttori italiani di macchine per il confezionamento e l’imballaggio è molto variegato: in termini tecnologici, di settori serviti, di dimensioni aziendali, di dislocazione sul territorio nazionale e di mercati di sbocco. È, infatti, costituito da 635 aziende che offrono soluzioni tecnologiche per molti settori industriali; dall’industria alimentare a quella delle bevande, da quella chimica a quella farmaceutica e cosmetica, dall’industria della lavorazione della carta al tabacco. Il beverage rappresenta il primo settore cliente e genera il 35% del fatturato totale. Seguono il food con il 29%, il farmaceutico (17%), il cosmetico (4%), il chimico (2%). Gli altri settori generano il 13% del fatturato totale. Secondo i dati preconsuntivi relativi ai 12 mesi del 2013, le 635 aziende che compongono il settore hanno generato un fatturato di 5.920 milioni di euro, in ulteriore crescita del 7,6% rispetto al 2012. A contribuire in maniera determinante al raggiungimento di questi risultati è stata la capillare presenza sui mercati mondiali. L’export nel 2013 ha rappresentato l’83,6% delle vendite totali, raggiungendo il record di 4.950 milioni di euro, in crescita dell’8,6% sul 2012. Unione Europea, Asia, Centro e Sud America si confermano le principali aree di destinazione delle tecnologie made in Italy. I primi tre Paesi di destinazione delle tecnologie italiane sono stati, invece, Stati Uniti, Francia e Cina. In crescita anche il mercato italiano che, con un incremento del 3%, dovrebbe assestarsi su un fatturato di 970 milioni di euro. NMM

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un riferimento per tutto il sistema di Confindustria. Da gennaio 2012 abbiamo ufficialmente integrato la nostra struttura operativa con quella di un’altra associazione del sistema, Acimac, che rappresenta i costruttori di macchine per ceramica. Questa unione virtuosa ci ha consentito di incrementare in maniera esponenziale i servizi e le attività a supporto delle aziende associate. Oggi siamo in grado di offrire alle aziende servizi professionali nelle più importanti aree operative: dalle normative tecniche agli ambiti contrattuali, dai servizi per internazionalizzazione, marketing e comunicazione alle analisi statistiche e di mercato». Quali sono i progetti avviati? «Nel corso del 2013 abbiamo organizzato la partecipazione a sei fiere internazionali all’interno di

padiglioni italiani e organizzato in Italia incontri con potenziali compratori provenienti da Cina, Russia, Polonia, Turchia, Stati Uniti e Canada. Abbiamo inoltre avviato una scuola di formazione che ha realizzato 28 corsi di for-

mazione a cui hanno partecipato oltre 660 professionisti delle nostre aziende». Cosa prevede per il futuro del settore? «Anche il 2014 dovrebbe essere un anno in crescita, gli indicatori 2014 • DOSSIER • 89


PACKAGING

6 mld

EURO IL FATTURATO DI SETTORE PREVISTO PER IL 2014

economici di cui disponiamo e i dati sulla raccolta ordini delle nostre aziende ci fanno prevedere un’ulteriore crescita del giro d’affari per i prossimi dodici mesi. Il fatturato di settore dovrebbe superare i 6 miliardi di euro e le esportazioni andare oltre i 5, confermando la nostra leadership mondiale. Questi dati previsionali ci rendono oltremodo soddisfatti e dimostrano ancora una volta che il

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Paese reale è migliore dell’immagine trasmessa dagli organi di stampa e distante dalle inefficienze della nostra classe politica. Questi importanti traguardi sono stati raggiunti dalle nostre aziende con determinazione, capacità e competenza, e sono ancora più importanti perché ottenuti senza poter contare su un efficiente sistema Paese. Se potessimo giocare nello stesso campo di gioco dei

nostri principali competitor tedeschi, i risultati delle nostre aziende sarebbero probabilmente migliori». Cosa chiede alle istituzioni? «Non posso che chiedere nuovamente a gran voce alla nostra classe politica di superare quanto prima divisioni e corporativismi per tornare a occuparsi della vera politica e del supporto al settore manifatturiero, vero baluardo del nostro Paese. Per questo abbiamo accolto con estremo piacere la ripresa delle attività dell’Ice, tra i principali supporti pubblici alle nostre attività internazionali e ci auguriamo che nei prossimi anni i fondi a disposizione dell’agenzia possano tornare su livelli sufficienti per assicurare un adeguato supporto all’internazionalizzazione delle nostre imprese».



PACKAGING

Non esportiamo per scelta Il settore italiano degli imballaggi continua a registrare un andamento positivo e punta sugli investimenti in tecnologie d’avanguardia e su servizi efficienti e puntuali. Il punto di Giampaolo Fabbroni Emanuela Caruso

el corso degli ultimi anni si è parlato molto delle aziende italiane che hanno intrapreso la via della delocalizzazione produttiva e delle altrettante imprese che hanno cominciato ad allargare il proprio raggio d’azione e a portare articoli e servizi oltre i confini nazionali. Ma il panorama italiano vede anche una grande quantità di piccole realtà imprenditoriali che per diverse ragioni non hanno mai preso in considerazione l’idea del mercato internazionale. È il caso dello Scatolificio Forlivese, che ormai da lungo tempo soddisfa la domanda del mercato di imballaggi in cartone ondulato. «Il nostro non espanderci verso l’estero – spiega Giampaolo Fabbroni, titolare dell’impresa – è condizionato dal fatto che realizziamo un prodotto il cui trasporto è penalizzante. Una scatola in carta o cartone, infatti, non può essere trasportata per lunghe distanze, ragion per cui abbiamo scelto e deciso di rimanere entro i confini italiani, e in particolare servendo la nostra regione in tutta la zona della Romagna, fino a toccare Bologna». E non si può dire che questa scelta non si sia dimostrata oculata e vincente, visto l’andamento dell’attività dello Scatolificio Forlivese. «Considerando la situazione di molto altri settori e del mercato stesso – commenta ancora Fabbroni – quello dell’imballaggio è un comparto che non può lamentarsi e che continua a registrare dati abbastanza positivi. È comunque vero che anche in questo ramo ci troviamo ad affrontare alcune pro-

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blematiche, come per esempio la mancanza di marginalità e i ritardi nei pagamenti. Il lavoro però non manca, soprattutto a noi che siamo collegati al settore alimentare, di certo il nostro bacino d’utenza più importante. Anche i risultati raggiunti nel 2013 danno conferma di questo trend piuttosto buono; abbiamo infatti mantenuto un fatturato di circa 5 milioni di euro, come nel 2012, con la differenza che avendo lavorato conto terzi per un’impresa messa in difficoltà dal terremoto verificatosi in Emilia, possiamo comunque dire di aver incrementato l’attività di circa il

Giampaolo Fabbroni, titolare dello Scatolificio Forlivese Srl di Fiumana (FC) www.scatolificioforlivese.com


Giampaolo Fabbroni

300 mila

5 per cento». Nel corso del 2013 lo Scatolificio Forlivese ha anche portato avanti alcuni importanti investimenti. «Abbiamo rinnovato i macchinari di produzione – racconta Giampaolo Fab- INVESTIMENTO, IN EURO, EFFETTUATO broni – acquistando nuove apparecchiature DALLO SCATOLIFICIO FORLIVESE PER IL RINNOVO DEI MACCHINARI DI PRODUZIONE per un totale di 300mila euro. Potendo contare su macchinari di ultima generazione, dalla grande versatilità e quindi capaci di pianto fotovoltaico che a oggi produce 100 aiutarci nella gestione delle commesse e degli kW, coprendo in tal modo la metà del fabbiordini, attualmente siamo in grado di soddi- sogno energetico della nostra azienda». sfare in toto le più svariate richieste dei Di recente, lo Scatolificio Forlivese ha otteclienti, e questo sia in termini di quantitativi nuto la certificazione Fsc, ovvero il principale che di personalizzazioni, mantenendo sempre meccanismo di garanzia sull’origine del legno un rapporto qualità-prezzo estremamente e della carta. «A seconda delle specifiche necompetitivo. Per personalizzare i prodotti, il cessità del committente – conclude Giampaolo commerciale e lo studio grafico sono a totale Fabbroni – il materiale utilizzato per la prodisposizione della clientela, così da studiare e duzione delle nostre scatole può variare dalla progettare scatole su misura che vengono poi carta vergine alla carta riciclata. La certificarealizzate con precisione millimetrica. Ab- zione Fsc diventa fondamentale per garantire il biamo organizzato con efficienza anche il ciclo produttivo dall’origine della carta al proservizio di consegna, che avviene rapido e dotto finito, in quanto la denominazione Fsc puntuale dopo che il prodotto finito è stato garantisce che dietro la lavorazione di questa confezionato in bancali e opportunamente carta ci sia una produzione completa e conprotetto con un film estensibile. Infine, per trollata. Per questo motivo è necessario che migliorare ulteriormente l’iter produttivo, anche i nostri fornitori dispongano, come noi, abbiamo investito nell’installazione di un im- di tale certificazione». 2014 • DOSSIER • 93


FOCUS MARCHE

Un sistema produttivo giovane e vitale Il 2014 è l’anno in cui dovrebbe avviarsi una prima, timida, ripresa anche nelle Marche. «Ma per la creazione di nuovi posti di lavoro - dichiara il presidente dell’Unioncamere regionale Adriano Federici - bisognerà attendere il 2015» Renata Gualtieri

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Il presidente Unioncamere Marche Adriano Federici

el terzo trimestre 2013, secondo i dati Movimprese elaborati dal centro studi di Unioncamere Marche, hanno cessato l’attività 2.086 imprese. Ma altrettante hanno avviato un’attività. Questo testimonia la vitalità del sistema produttivo marchigiano, che conta 175.823 imprese, di cui la stragrande maggioranza con meno di 20 dipendenti. Tra i diversi settori il dato più eclatante riguarda il saldo negativo dell’agricoltura, -229 aziende, che prosegue ormai da diversi anni, perché chiudono le piccole aziende familiari e nascono imprese più strutturate. Prosegue anche la crisi dell’edilizia, -51 imprese, mentre le imprese manifatturiere attive scendono da 29.449 a 20.359. «La recessione, secondo il nostro centro studi - precisa Adriano Federici - colpisce soprattutto il calzaturiero, che ha perso il 7,7 per cento del fatturato nel terzo trimestre dell’anno. Negativi anche i dai di tutti gli altri settori, con la sola meccanica che ha aumentato il fatturato dello 0,6 per cento. A frenare la ripresa è soprattutto la debolezza del mercato interno, provocato dal calo dei consumi». Tra agosto e ottobre, su 2.095 aperture di nuove attività quasi un terzo ha visto come protagonisti imprenditori con meno di 35

La recessione colpisce soprattutto il calzaturiero, che ha perso il 7,7 per cento del fatturato nel terzo trimestre dell’anno

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Adriano Federici

RIFORME E COMPETITIVITÀ di Gianfranco Tonti, presidente di Confindustria Pesaro Urbino ebbene a livello globale i segnali positivi non mancano (Stati Uniti e Giappone hanno superato la crisi, così come pure la Spagna si è messa alle spalle la fase recessiva), in Italia dobbiamo parlare ancora d’ipotesi di ricostruzione, perché non credo che il termine ripresa abbia un minimo di senso dopo 6 anni di caduta libera. Non deve illuderci la diminuzione dello spread con la Germania, poiché deriva dalla pesante caduta dei consumi italiani. L’economia del nostro Paese è ancora in grande sofferenza, come confermano l’incremento del tasso di disoccupazione ormai superiore al 12 per cento - quello giovanile è oltre il 41 per cento - e gli indicatori del ricorso alla cassa integrazione, che continuano a essere elevati. Possiamo dire, insomma, che gli effetti della recessione sul sistema economico italiano sono ancora molto gravi. Sono urgenti le riforme strutturali, che faticano ad arrivare per via di una litigiosità della classe politica in perenne campagna elettorale. Il ciclo economico è in una fase di cambiamento strutturale che la politica non ha per niente avviato. In particolare, servono riforme per la semplificazione amministrativa e istituzionale, per il mercato del lavoro, per un sistema fiscale più amico dei cittadini e delle imprese. In questo quadro di incertezza ormai strutturale, le aziende che hanno saputo costruire una vocazione all’esportazione vanno meglio rispetto a quelle che sono ancora concentrate prevalentemente sul mercato domestico. Un trend che si conferma anche nelle Marche, e nella provincia di Pesaro e Urbino in particolare, dove oltre il 60 per cento di quelle che hanno una presenza stabile sui mercati mondiali sono cresciute nel 2013 rispetto al 2012. È proprio questo l’obiettivo prioritario che abbiamo ben chiaro di fronte a noi: crescere le nostre

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quote di export. E come associazione degli industriali siamo determinati a spingere perché le nostre imprese possano raggiungere nuove opportunità di fatturato, fuori dai confini nazionali. In questa direzione opererà un gruppo di lavoro, che potrà contare sul contributo strategico delle aziende - e non sono poche nella nostra provincia - che sono export oriented in quanto la loro quota di esportazione supera il 50 per cento del fatturato totale. È proprio su queste imprese che si deve puntare per favorire la crescita e creare nuova occupazione, perché sono un esempio virtuoso anche per quelle di più piccola dimensione, che potranno far conto anche sui contratti di rete e su alleanze strategiche per fare massa critica e presentarsi in modo più organizzato nella competizione globale. Ancora una volta, questo sforzo vede protagonisti gli imprenditori, chiamati a concentrare le proprie energie e i propri investimenti, confermando una responsabilità, una vitalità e un rigore, che la politica continua a non cogliere.

anni. Quante sono le imprese giovanili in regione? «Nelle Marche le imprese guidate da giovani con meno di 35 anni, sono 16.476, pari al 9,4 per cento di tutte le aziende in attività. I giovani che decidono di avviare un’attività imprenditoriale lo fanno perché cercano nell’impresa e nell’autoimpiego una risposta alla crisi occupazionale, poiché un giovane marchigiano su tre che non trova lavoro. Decidere di aprire un’azienda in questo momento difficile, puntando sulle proprie competenze e capacità, è una scelta coraggiosa, che abbiamo il dovere di sostenere, seguendoli nel loro percorso professionale, favorendone l’accesso al credito e la competitività sui mercati e incoraggiandone

l’innovazione. Il sistema camerale marchigiano segue con grande attenzione i percorsi di queste imprese giovanili, la maggioranza delle quali micro e piccole imprese individuali, mettendo a loro disposizione le nostre strutture e la nostra esperienza e cercando sinergie con le università, gli istituti di credito, le istituzioni e le associazioni di categoria». Cosa occorre per rilanciare l’economia regionale? «Bisogna puntare sull’innovazione, sul 2014 • DOSSIER • 95


FOCUS MARCHE

capitale umano, sui saperi del territorio.

Serve una politica industriale che faccia perno su manifattura, turismo e internazionalizzazione e favorisca l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro. Inoltre, bisogna puntare su filiere e reti d’impresa e mettere a disposizione delle aziende il credito necessario a rilanciare gli investimenti. Per quanto ci riguarda, noi imprenditori siamo pronti a puntare sulle nostre capacità e a rimboccarci le maniche, ma questo sarà inutile se non si agirà anche su credito, fisco, amministrazione pubblica, giustizia, infrastrutture materiali e immateriali, che devono passare da fattore di freno a riferimenti per lo sviluppo». Quali le previsioni per l’anno appena iniziato? «Quella che stiamo attraversando è una fase in continua evoluzione che rende veramente difficile fare previsioni. Secondo quanto previsto dagli scenari di previsione elaborati da Unioncamere e Prometeia, comunque, il 2014 sarà l’anno in cui dovrebbe avviarsi una prima, timida, ripresa. Anche nelle Marche, dove è prevista una crescita del Pil dello 0,4 per cento dopo anni di

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-229 IL CALO DELLE IMPRESE AGRICOLE, TENDENZA CHE PROSEGUE DA DIVERSI ANNI

segno negativo della ricchezza prodotta. Unico settore destinato a rimanere ancora in recessione sarà quello delle costruzioni, che vedrà il Pil ridursi ancora dello 0,3 per cento. Segnali positivi arriveranno anche da una ripresa degli investimenti fissi lordi, che lo scorso anno avevano registrato un crollo del 6,4 per cento e che nel 2014 sono attesi in aumento dell’1,5 per cento». In che misura, invece, la ripresa si ripercuoterà sull’occupazione? «Il tasso di occupazione è destinato a calare dal 40,1 al 39,7 per cento e la disoccupazione salirà dall’11,3 all’11,7 per cento. Questo perché la modesta ripresa prevista per quest’anno e le incertezze che gravano ancora sul nostro Paese freneranno le assunzioni delle imprese, che si limiteranno a riassorbire i lavoratori in cassa integrazione. Per la creazione di nuovi posti di lavoro bisognerà attendere il 2015».


Claudio Schiavoni

Progetti per le imprese Il difficile rapporto tra banche e imprese va rimodellato. Claudio Schiavoni illustra i progetti che Confindustria Ancona sta approntando per aiutare questo percorso Nicolò Mulas Marcello

n’indagine realizzata da Confindustria Ancona sottolinea la sostanziale difficoltà di rapporto tra le imprese e gli istituti di credito. Il voto complessivo del rapporto con le banche formulato dalle imprese del territorio raggiunge appena la sufficienza, mentre viene considerata insufficiente la capacità delle banche di capire il business specifico in cui opera l’impresa. Le principali difficoltà riscontrate dalle aziende nell’ottenimento del credito sono gli elevati tassi di interesse, i lunghi tempi di attesa e la richiesta di eccessive garanzie. «Un quadro poco edificante - spiega Claudio Schiavoni, presidente di Confindustria Ancona - ma che è stato fondamentale per mettere a punto azioni concrete a favore dei nostri soci nel rapporto con gli istituti di credito». Come si concretizza il dialogo tra Confindustria e le banche? «Con un progetto innovativo e concreto che abbiamo chiamato I.Ba.N, Imprese banche network, il cui obiettivo è di aprire una nuova stagione nel dialogo tra aziende e istituti di credito. Troppo spesso, infatti, banche e imprese si ritrovano a essere soggetti che, pur provando a dialogare, parlano linguaggi diversi, manifestano aspettative differenti,

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fino ad assumere posizioni contrapposte. Banca dell’Adriatico, Banca delle Marche, Banca popolare di Ancona, Credito cooperativo, Monte Paschi di Siena e Unicredit

Claudio Schiavoni, presidente di Confindustria Ancona

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FOCUS MARCHE

prese e istituti di credito? «Credo sia corretto dare atto alla Regione dell’impegno nel settore del credito: recentemente ha messo a disposizione fondi per sostenere i Confidi, che sono considerati dalla banche i garanti più graditi per la concessione del credito alle aziende. A dicembre è uscito un bando per la gestione e la costituzione di fondi di rischio da parte dei Confidi a sostegno delle operazioni di garanzia sui finanziamenti richiesti da pmi industriali e artigiane, lo ha vinto Rete Confidi Marche, il sodalizio tra i Confidi del sistema confindustriale marchigiano, che ha ottenuto in gestione circa 1,2 milioni di euro. Una boccata Alle banche chiediamo d’ossigeno per le aziende e anche un bel ridi ritornare a considerare conoscimento del ruolo di Confindustria sul le imprese centri di produzione territorio». Dal punto di vista della ripresa economica, con progetti e investimenti e non vede qualche segnale che fa ben sperare per il realtà basate solo su numeri 2014? «Ci sono, ma certamente non grazie alla politica. Avevo molte aspettative su questo governo, mi sembrava che si potesse cogliere hanno aderito al progetto che è stato lanciato una certa aria di rinnovamento, considerata a novembre 2013 con un convegno a cui ha anche la giovane età media di governo e Parpartecipato anche il presidente di Abi Mar- lamento. Ma sono deluso, questo governo che, Luciano Goffi». Come si articola il progetto? «La seconda fase del progetto si sta concretizzando in questi giorni e prevede che il pool di banche vada all’interno delle aziende: in altre parole l’imprenditore avrà modo di raccontare la propria azienda a tutti gli istituti di credito contemporaneamente. Il progetto è ambizioso e richiede un grosso impegno e un cambiamento di mentalità da entrambe le parti. Alle banche chiediamo di ritornare a considerare le imprese centri di produzione, con progetti e investimenti, e non realtà basate solo su numeri. Da parte nostra serve maggior attenzione nella presentazione delle aziende e maggior disponibilità ad “aprire le nostre porte” per raccontarle a tutto tondo». Le istituzioni locali hanno messo in campo strumenti utili a favorire il rapporto tra im-

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Claudio Schiavoni

Giorgio Cippitelli, presidente della Società regionale di garanzia Marche

tenta di accontentare tutti

STRUMENTI PERSONALIZZATI La contrazione del credito alle imprese è un dato di fatto. Un ruolo importante in questo difficile momento lo svolgono i Confidi Estrema problematicità, continui cambiamenti delle condizioni, ampiezza della crisi, anche per il prevalente carattere manifatturiero delle imprese e un costante calo delle disponibilità finanziarie hanno fortemente caratterizzato il 2013, proseguendo un percorso iniziato poco dopo la seconda metà dell’anno 2008. «I dati ufficiali che vengono continuamente posti all’attenzione degli operatori e dell’opinione pubblica - spiega Giorgio Cippitelli, presidente della Società regionale di garanzia Marche – svelano una costante diminuzione dell’erogazione del credito e un utilizzo distorto delle regole di Basilea 2 e 3 che, diversamente dalle aspettative, stanno giocando un ruolo anticiclico a danno dell’economia reale senza affrontare i temi della finanza globale». Il compito della Società di garanzia è quello di proseguire sulla difficile strada del sostegno alle imprese nel rapporto con il sistema bancario sia con intervento diretto, tentando di costruire strumenti personalizzati e specifici, sia utilizzando tutte le forme di garanzia di secondo grado e controgaranzia presenti nel sistema regionale, nazionale e comunitario. «Nonostante il costante forte impegno di questo come di tutti gli altri confidi, - continua Cippitelli - i risultati sono stati largamente inferiori alle attese delle imprese sia in termini di volumi che, per i Confidi, dei risultati economici conseguiti. Ciò è dovuto alla profondità e alla dimensione della crisi che ha colpito la nostra regione, nonché al fatto che le banche del territorio hanno volutamente rinunciato a fare da intermediari attraverso un utilizzo monopolistico e distorsivo del Fondo centrale di garanzia, penalizzando profondamente i risultati attesi». NMM

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senza prendere decisioni. Dare poco a tutti è come non dar niente a nessuno. Se continueremo a non scegliere, l’uscita dallo stallo sarà impossibile. Purtroppo l’unica scelta che vedo è la solita: l’impresa è una vacca da mungere. Il problema è che le imprese oggi non ce la fanno più». Cosa manca? «I segnali di ripresa non sono eclatanti, ma ci sono perché anche in questi momenti di estrema difficoltà, il nostro territorio continua a esprimere vivacità imprenditoriale e potenzialità. In provincia di Ancona ci sono ancora aziende che investono, che internazionalizzano, che mettono in campo strumenti nuovi per restare competitive, che affrontano con successo l’alternarsi delle generazioni assicurando continuità alle aziende, che puntano sul brand, che creano nuovi modelli organizzativi, che restano legate al territorio in cui operano, creando ricchezza, dando lavoro e mantenendo quel ruolo sociale che l’impresa svolge e che rappresenta un valore irrinunciabile per tutta la società. Quello che manca oggi è una politica seria, che faciliti la ripresa del lavoro per le imprese, che le aiuti in concreto ad andare su nuovi mercati, che agisca per risolvere problemi come il costo dell’energia, che è il 30% in più della Germania, o i tassi di interessi bancari, 500 volte più alti rispetto ai tedeschi». 2014 • DOSSIER • 99


FOCUS MARCHE

La regione più amata dagli americani

Un territorio ricco di attrattive ma ancora poco noto. È nato così il concept “Marche is good”, appoggiato dalle istituzioni e dall’imprenditoria locale. Scavolini ha deciso di prenderne parte, per molti motivi Teresa Bellemo

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Valter Scavolini, fondatore e presidente dell’omonimo Gruppo

l fatto che il 2013 sia stato l’anno della cultura italiana negli Stati Uniti non poteva che essere un ottimo assist per le Marche, regione da sempre nota soprattutto per i suoi prodotti, ma meno come unicum. “Marche is Good” è un progetto nato proprio per questo, per rafforzare l’immagine regionale spaziando dall’arte alla musica, dal teatro al cinema, dalla letteratura al design, dalla moda all’enogastronomia. Grazie alla collaborazione tra Regione Marche e la consulta agroalimentare della Confindustria regionale è stata possibile questa operazione di branding, culminata lo scorso ottobre a New York, nello showroom Scavolini di Soho. È qui che importanti aziende marchigiane, oltre a professionisti e artisti di diversi settori, hanno collaborato all’organizzazione delle numerose iniziative volte a promuovere e celebrare la regione e far conoscere al pubblico americano tutto ciò che può offrire. Su questo fronte Scavolini ha svolto un importante ruolo anche perché Marche is good in qualche modo prosegue quel percorso iniziato nel 1984 con la Fondazione omonima. Quando un’azienda punta non sol-

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tanto al business, ma anche alla valorizzazione del patrimonio storico-culturale del proprio territorio, si crea sempre un legame particolare. Marche is good. Cosa sta dietro il progetto e come vi siete approcciati? «Per noi è stato un vero piacere partecipare a questa iniziativa, perché da sempre sosteniamo il made in Italy e siamo particolarmente legati al nostro territorio e alle nostre tradizioni. La vicinanza alla nostra terra si è concretizzata negli anni anche attraverso numerose iniziative grazie all’attività della Fondazione Scavolini: dalla promozione di eventi culturali al restauro di edifici d’interesse artistico. Marche is Good ha rappresentato quindi per Scavolini un’altra importante occasione per testimoniare il nostro forte impegno e convinzione nel sostenere i valori di qualità, ricerca ed eccellenza di moltissimi settori produttivi, riconosciuti in tutto il mondo, primo fra tutti quello dell’arredamento e design». Quest’iniziativa ha dimostrato che per le aziende è più proficuo presentarsi all’estero tramite operazioni di sistema. Come mai, secondo lei, questa in Italia è una notizia e non la prassi? «Purtroppo non tutte le aziende comprendono a fondo quanto sia fondamentale, soprattutto in un momento difficile economicamente come quello che sta vivendo l’Italia, “fare sistema” e lavorare insieme, collaborando a progetti e obiettivi comuni, per raggiungere traguardi sempre più ambiziosi».


Valter Scavolini

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Puntiamo molto su una politica di comunicazione di “brand recognition”, che garantisce forte visibilità ai plus di Scavolini

Quali sono le potenzialità degli Stati Uniti per Scavolini? «L’America rappresenta uno dei mercati principali tanto che nel 2009 è stata fondata Scavolini Usa e nel 2010 abbiamo inaugurato Scavolini Soho gallery, il nostro primo flagship store a New York, il più grande punto vendita di cucine di Manhattan. Desidero, inoltre, ricordare lo Scavolini Store Miami, inaugurato il 26 settembre scorso, e lo Store di Chicago che inaugurerà il prossimo febbraio. Questi due showroom vanno ad aggiungersi agli altri 40 della nostra rete di punti vendita». Parafrasando lo slogan di Scavolini, qual è il percorso per essere i più amati, anche all’estero? «Esportiamo il nostro marchio e i nostri prodotti in tutto il mondo con una politica di forte espansione del network e un aumento costante di nuove aperture. Una strategia di successo basata sul continuo potenziamento della rete distributiva e organizzativa, ma anche sullo sviluppo di proposte studiate secondo i gusti e le esigenze dei diversi Paesi.

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Inoltre, puntiamo molto anche su una politica di comunicazione mirata al “brand recognition”, che garantisce forte visibilità ai plus di Scavolini. Qualità, ricerca e sviluppo, design, cura dei dettagli, affidabilità, rispetto per l’ambiente e un’ampia gamma di soluzioni – sia in termini di aree di gusto che di prezzo – sono i plus che ci hanno permesso in questi anni di farci riconoscere anche all’estero come un’azienda di riferimento del made in Italy del settore cucine». Quali le prospettive per il 2014? «Per Scavolini il 2014 sarà un anno particolarmente importante. Saremo presenti all’appuntamento del Salone del mobile di Milano ad aprile, all’interno di Eurocucina e del Salone Internazionale del bagno, con numerose novità. Continuerà inoltre la nostra politica di espansione della rete distributiva sia in Italia che all’estero. Oltre a Chicago, ci sarà l’inaugurazione di uno store a Huston, in Texas, di uno a Bogotá e di un altro a Barranquilla, in Colombia, la cui inaugurazione è prevista entro il mese di febbraio». 2014 • DOSSIER • 101


FOCUS MARCHE

Ripartire da logistica e infrastrutture Il collegamento tra il porto di Ancona e l’A14, la Fano-Grosseto e l’alta velocità. Sono alcuni dei lavori previsti o in corso d’opera per potenziare il sistema infrastrutturale marchigiano. A fare il punto è Nando Ottavi, presidente di Confindustria Marche Nicolò Mulas Marcello

no dei segnali maggiormente positivi che ha caratterizzato il 2013 per le Marche è rappresentato dalle infrastrutture, un fattore che il presidente della Regione Gian Mario Spacca ha indicato - insieme all’internazionalizzazione - come dinamico e strategico anche per il 2014. Il numero uno degli industriali marchigiani Nando Ottavi ricompone il quadro dei principali progetti infrastrutturali che interessano il territorio e mirano a recuperare il gap della regione. Come valuta l’ipotesi di costituire un distretto logistico delle Marche per la razionalizzazione delle infrastrutture e, in particolar modo, dell’azione di interporto e aeroporto? «Per Confindustria Marche è fondamentale accompagnare il potenziamento infrastrutturale con una visione complessiva della logistica a servizio delle attività produttive delle imprese del territorio. Ciò seguendo logiche di economicità, contenimento dei costi di trasporto per l’utenza imprenditoriale e, quindi, di competitività per le imprese e il territorio. La nostra è ancora una regione fortemente manifatturiera, per cui è necessario garantire adeguata mobilità alle merci e un efficiente sistema logistico. La

U Nando Ottavi, presidente di Confindustria Marche

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Nando Ottavi

cosiddetta piattaforma logistica delle Marche è composta dal porto di Ancona, dall’aeroporto delle Marche “Raffaello Sanzio” e dall’interporto di Jesi, sostenuti dagli assi viari dell’autostrada A14 e della SS16 Adriatica, da quello ferroviario della Orte-Falconara e completata a sud dall’autoporto Valle del Tronto. La crescita sinergica delle infrastrutture prioritarie e del sistema logistico possono offrire importanti opportunità di rilancio economico per il nostro territorio». In che modo? «La vicinanza dell’interporto di Jesi con l’aeroporto dovrebbe favorire ulteriori occasioni di reciproca valorizzazione, così come con l’infrastruttura altrettanto strategica rappresentata dal porto di Ancona, tra i primi porti italiani per passeggeri. I lavori per il suo collegamento con l’A14, dopo la firma della convenzione per la realizzazione in project financing dell’opera, potranno presto partire, fornendo a questa struttura il necessario sostegno per una sua ulteriore crescita. Anche l’aeroporto Raffaello Sanzio, uno dei pochi attrezzati per il traffico cargo nel centro Italia, dovrebbe impegnarsi a creare condizioni favorevoli per possibili accordi con compagnie e partner europei, ritagliandosi degli spazi di mercato che potrebbero essere

importanti per supportare l’export delle nostre imprese». L’interporto è destinato ad assumere un ruolo sempre più strategico. «L’interporto rappresenta un punto fermo per l’organizzazione della raccolta e distribuzione delle merci nel centro Italia e sulla dorsale adriatica, guardando a est verso i Balcani, a sud verso le rotte marittime del Mediterraneo, a ovest verso i grandi traffici tirrenici e atlantici, a nord verso i corridoi europei sulla direttrice Lisbona-Kiev e verso Amburgo. In una logica complessiva di valorizzazione della logistica regionale, come già indicato, va considerato anche l’autoporto Valle del Tronto, ubicato nell’area del Piceno, che è dotato di uno scalo ferroviario e di un sistema complesso e organico di servizi integrati finalizzati allo scambio delle merci. A questo proposito, sarebbe strategica la messa in rete dell’area intermodale di Jesi con gli altri centri logistici marchigiani facilmente collegabili con strutture portuali esistenti come quella di San Benedetto del Tronto. A nord si sta pensando a un’area logistica di secondo livello nel Comune di Fano che, in considerazione del progetto di completamento della Fano-Grosseto, rappresente rebbe un’area di scambio importante». 2014 • DOSSIER • 103


LAVORI

5 mld

NELLE MARCHE SONO IN CORSO OPERE PER 5 MILIARDI DI EURO, CHE SALGONO A 8 CONSIDERANDO IL PROJECT FINANCING APPROVATO PER LA FANO-GROSSETO

Nella pagina accanto,il porto di Ancona; in alto, lavori sulla A14

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Come valuta lo scenario che si sta disegnando sul territorio? «Oltre all’indispensabile valorizzazione della linea adriatica, i collegamenti con Roma e il Tirreno sono una priorità da perseguire, viste le gravi carenze storiche da colmare. La realizzazione in corso degli assi viari di penetrazione interna del progetto Quadrilatero per la SS76 (Ancona-Perugia) e la SS77 (Civitanova-Foligno) non è ancora sufficiente, perché va assicurato un collegamento per la parte a nord della regione, tra Adriatico e Tirreno, attraverso un’altra infrastruttura viaria strategica: l’E78, la Fano-Grosseto. L’opportunità che si è presentata con il project financing proposto dai soggetti privati, a cui le Regioni Marche, Umbria e Toscana partecipano attivamente, deve essere colta. Ora o mai più». Per quanto riguarda l’A14? «Il progetto di potenziamento del tratto tra Rimini nord e Porto S. Elpidio prevede l’ampliamento da 2 a 3 corsie più la corsia di emergenza, per uno sviluppo complessivo di 155 km. A ottobre 2013 sono stati aperti al traffico circa 97 km di terza corsia, pari a circa il 63 per cento dell’ampliamento previsto. Alla realizzazione della terza corsia, si accompagna quella di cinque nuovi svincoli: Marina di Montemarciano (aperto al traffico nel 2012), Ancona ovest, Porto S. Elpidio, Pesaro sud, Fano nord e l’adeguamento di dieci svincoli esi-


Nando Ottavi

stenti. L’aumento del numero dei caselli non solo fa dell’A14 un’arteria più permeabile e dunque maggiormente al servizio del territorio, ma potrà servire a decongestionare il traffico costiero, diventato importante. In questa direzione, è necessario iniziare a progettare il completamento della terza corsia dell’autostrada fino a San Benedetto del Tronto. Restano, inoltre, da completare alcune infrastrutture in grado di supportare adeguatamente i collegamenti viari e il trasporto delle merci per le aree produttive della nostra regione». Un discorso a parte va fatto per i collegamenti ferroviari. «Sì, va ricordata la rilevanza del completamento del raddoppio della Falconara-Orte, la cui realizzazione è in corso da anni e che andrebbe accelerata. Auspichiamo che la progettazione definitiva del nodo di Falconara abbia seguito e vengano al più presto avviate le procedure per le fasi successive. L’inserimento della nostra regione nelle tratte servite dall’alta velocità rappresenta un risultato importante, conseguito grazie ai servizi offerti sia da Trenitalia sia da Italo, per cui occorrerebbe che questo collegamento veloce venisse esteso al sud della regione, insieme al ripristino di alcune indispensabili fermate a lunga percorrenza». Ci sono poi le infrastrutture immateriali, con la Regione impegnata a promuovere l’Agenda digitale. Quali sono le esigenze del

tessuto imprenditoriale su questo fronte? «Va, innanzitutto, garantita la copertura delle zone che si trovano ancora in una situazione di digital divide infrastrutturale, visto che purtroppo si registrano ancora dei Comuni non coperti o mal serviti. Vanno stimolati gli investimenti sia pubblici che privati per diminuire il digital divide, implementare l’utilizzo dell’Ict nelle imprese, al fine di favorire i processi di innovazione delle aziende nelle varie forme (innovazione tecnologica, organizzativa, commerciale), aumentare la competitività del nostro sistema produttivo e la capacità di internazionalizzazione e di presenza sui mercati esteri, soprattutto in quelli a più alta crescita. Lo stimolo alla domanda delle imprese è fondamentale: l’utilizzo dell’Ict nelle nostre aziende, sia manifatturiere che di altri settori, va incrementato e ulteriormente diffuso. Tra l’altro, nel comparto del Terziario innovativo delle Marche possiamo contare aziende qualificate e innovative, che possono essere di stimolo in tal senso. Come Confindustria Marche stiamo seguendo con molta attenzione il Piano regionale per l’Agenda digitale, per l’importanza che può assumere per il nostro territorio e per il rilancio della nostra economia, in una logica di crescita innovativa, anche applicata ai settori del made in Italy, per una rinnovata competitività». 2014 • DOSSIER • 105


FOCUS MARCHE

La cartotecnica e la svolta tecnologica Gilberto Bartolacci parla del diverso assetto che internet e l’informatizzazione hanno imposto al settore, inquadrando così un mercato frenetico e ricco di opportunità, anche molto diverse. «Puntiamo su personalizzazione ed export» Renato Ferretti

Gilberto Bartolacci, presidente della Ascam Srl con sede a Senigallia (AN) www.ascamsrl.it www.ascamsrl.com

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el mondo dell’informatica, dove la posta elettronica e i social network acquisiscono sempre più importanza, un’azienda ha come principale obiettivo quello di integrare, sviluppare e riconfigurare le proprie competenze, rinnovando continuamente l’assetto strategico». Potrebbe essere considerata un’osservazione valida in generale, ma per il presidente della Ascam di Senigallia, Gilberto Bartolacci, è tanto più vero se si prende in considerazione il settore di riferimento dell’azienda anconetana. La Ascam opera nel settore cartotecnico della produzione e stampa di buste di carta, svolgendo la sua azione commerciale soprattutto per corrispondenza. Se a questo si aggiunge l’ampiezza della produzione e del bacino di clienti, si intuisce facilmente l’importanza che può avere l’ottimizzazione dell’uso dei nuovi strumenti informatici. «Realizziamo diverse tipologie di buste – spiega Bartolacci – sia di formati di serie che creati in base alle esigenze del cliente: buste a tasca con pellicola per stampanti laser con o senza finestra, per imbustamento automatico e non, buste con soffietti su due e tre lati (fondo quadro) o a soffietto con fondo a invito, e altre. Offriamo soluzioni personalizzate sia sul layout sia sui sistemi di stampa, che possono prevedere codici a barre e a dato visibile, nonché la produzione di etichette adesive su stampa digitale. L’azienda si rivolge a un’ampia clientela che va dal settore commerciale come librerie, negozi, tipografie e grossisti, a enti privati come istituti di credito, assicurazioni, onlus ma anche enti pubblici commerciali e non. Il 2013 è stato un anno partico-

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Gilberto Bartolacci

lare che ha purtroppo portato alla chiusura di piccole e medie attività: in particolare abbiamo notato un calo della domanda da parte di tipografie e privati». Con quale strategia state facendo fronte alla crisi economica? «Accade sempre più spesso che imprese di grandi e piccole dimensioni debbano competere in situazioni di avversità, crisi, imprevedibilità. Siamo fermamente convinti che le imprese migliori siano quelle in grado di proporre soluzioni creative e in grado di sovvertire i modelli di business tradizionali. Solo puntando su un prodotto con un alto livello qualitativo e offrendo un servizio personalizzato, rivolgendoci anche a nuovi mercati emergenti, l’azienda potrà trovare l’arma vincente per crescere e superare la crisi. Oltre alla produzione più tradizionale di buste, siamo dotati di un’infrastruttura It con la quale siamo in grado di fornire servizi come l’invio telematico di ordini di produzione e spedizione (attraverso l’integrazione applicativa tra gestioni aziendali), la gestione degli approvvigionamenti e la dotazione di un sistema di logistica integrata». Avete introdotto delle innovazioni di design? «La parola d'ordine del mercato attuale è innovazione e noi abbiamo cercato di proporre una vasta gamma di prodotti e di nuovi ser-

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Abbiamo rivolto l'attenzione a nuovi mercati e alla logistica, a soluzioni personalizzate sia sul layout del prodotto finito che sui sistemi di stampa

vizi con processi produttivi più flessibili ed efficienti. Abbiamo rivolto l'attenzione a nuovi mercati e all’attività di logistica, a soluzioni personalizzate sia sul layout del prodotto finito che sui sistemi di stampa che ora possono prevedere codici a barre e a dato variabile, nonché la produzione di etichette adesive su stampa digitale. Bisogna rinnovarsi e innovare, ricominciare e saper lanciare iniziative. Da qualche anno siamo entrati nei mercati della Russia e della Germania, ma è nostra intenzione tentare di penetrare anche in altri mercati europei». Quali sono le prospettive e gli obiettivi per il 2014? «Vogliamo continuare a migliorare il prodotto e ampliare i nostri mercati. Siamo convinti che l'impresa debba essere solida e flessibile per affrontare i cambiamenti. È redditizia quando, economicamente significativa e sostenibile, sa misurare il margine dei guadagni e conservare la capacità di crescere o quanto meno restare sul mercato. Queste sono le prospettive e i nostri obiettivi. A tutto ciò dobbiamo dare risposte». 2014 • DOSSIER • 107


Impianti e sicurezza industriale l 2013 è stato un anno intenso e impegnativo. Ci siamo orientati verso nuovi mercati nazionali e internazionali per ricercare una soluzione alla crisi economica e alla situazione stagnante del nostro paese». Gianfranco Bronzini, amministratore della Omec, riassume così gli ultimi dodici mesi della società di manutenzione induGianfranco Bronzini, amministratore striale di Ancona. «Nello spedella Omec Srl di Ancona cifico, per la manutenzione www.omec-piattaforme.it di macchinari e apparecchiature ci rivolgiamo ai settori chimico e petrolchimico, alimentare, saccarifero, all’industria della carta e ai cantieri navali. Con la fondazione e l’affiancamento di una nuova società, Cosmi, a partire dal 1992, abbiamo ampliato lo spettro delle attività, con la fornitura di servizi aggiuntivi e complementari a quelli di Omec, rivolti a settori come il piping, la

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Un approccio alla manutenzione industriale esclusivamente reattivo comporta conseguenze degenerative. Gianfranco Bronzini spiega l’importanza di una pianificazione di interventi e controlli sugli impianti Manlio Teodoro

carpenteria, la gassificazione e i processi speciali come la saldatura qualificata». Alle manutenzioni si aggiungono poi il noleggio di macchine e attrezzature e il Full Service Globale. Qual è il vostro approccio alla manutenzione industriale? «Alla luce della lunga esperienza nel settore, partiamo dall’assunto che un approccio di tipo solo reattivo comporta sempre notevoli conseguenze degenerative – per esempio, alti costi, rapido deterioramento delle prestazioni dell’impianto, rotture di componenti e potenziali perdite di produzione. Per questo la nostra società ha investito tempo e risorse


Gianfranco Bronzini

Oltre a noleggiare macchinari industriali, diamo assistenza nella scelta del modello e formiamo il personale per un uso sicuro

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per effettuare un accurato e approfondito studio dei concetti e delle nuove tecnologie sulla manutenzione preventiva e predittiva. Questi concetti oggi sono parte integrante del nostro know how». In cosa consiste il vostro Full Service Globale? «È il nostro programma di service più evoluto e completo e si rivolge sia a impianti industriali sul territorio italiano sia all’estero. Un contratto Full Service prevede la fatturazione periodica di rate costanti e prestabilite, calcolate in base alle ore annue di lavoro dei mezzi o degli impianti. Il servizio include sia il programma completo delle manutenzioni programmate e dei controlli di sicurezza previsti dalla legge, sia tutte le attività di ripristino dei mezzi in caso di rotture non dovute a uso improprio del mezzo. I vantaggi principali sono l’eliminazione dei costi degli imprevisti e la possibilità di pianificare la spesa per la manutenzione». Qual è il ruolo svolto dalla vostra divisione noleggi? «In questo caso operiamo a livello nazionale attraverso sedi, filiali e concessionari. Il servizio di noleggio di attrezzature industriali è basato su una gamma di macchinari di sollevamento (piattaforme e gru) e attrezzature

ausiliarie alle attività operative di cantiere (gruppi elettrogeni, motocompressori ecc.). Oltre al noleggio, offriamo anche assistenza e formazione, con la consulenza sulla scelta del modello migliore e della fornitura delle parti di ricambio. Insomma, il nostro non è un semplice rapporto commerciale, ma un’attività concreta che arriva fino al cantiere con la migliore soluzione». Tornando sulla sicurezza, qual è la missione del vostro centro di formazione? «Una nostra divisione aziendale, specializzata nella formazione e nell’uso in sicurezza delle piattaforme di lavoro elevabile, ha ottenuto l’accreditamento da parte dell’Ipaf (Internationa Powered Access Federation) come centro di formazione autorizzato. Questo rappresenta un ulteriore servizio a fianco della divisione noleggi e uno strumento necessario per garantire il rispetto delle normative vigenti in materia di sicurezza e in merito alla formazione del personale nell’uso di macchinari e attrezzature da lavoro». 2014 • DOSSIER • 109


FOCUS MARCHE

Filtri, la via della diversificazione uno dei settori produttivi cui si chiede la massima flessibilità. Eppure quello dei filtri non è un mondo in cui una realizzazione vale l’altra. Per ogni specifico fine per il quale viene progettato, com’è facile immaginare, le competenze e le soluzioni applicate al singolo filtro cambiano drasticamente. Il general manager dell’anconetana Arma, Fabrizio Salari, ci aiuta a comprendere meglio le specifiche di un mercato così strettamente legato all’andamento dei singoli comparti industriali. «Operiamo – dice Salari – nel settore della filtrazione dell’aria domestica da oltre 25 anni. Il nostro mercato di riferimento attuale è quello del “bianco” con cappe aspiranti, forni e frigoriferi che la fanno da padroni. Siamo presenti anche in altri settori quali automotive, arredamento e cucine. Il mercato del bianco sta vivendo, oramai da alcuni anni, un periodo di flessione sia nella

È Fabrizio Salari, general manager di Arma Srl con sede a Fabriano (AN) www.armasrl.com

Dall’automotive all’elettrodomestico, sono tantissimi i settori in cui si applicano i filtri. Fabrizio Salari riflette sulle strategie che guidano i professionisti nel campo Remo Monreale

quantità che nel valore medio dei prodotti venduti. Questo impoverimento del mercato implica che le produzioni si spostino in maniera massiccia verso paesi a basso costo di manodopera quali Est Europa (Polonia in primis), Turchia, India, Cina e Nord Africa, con conseguente abbassamento dei prezzi dei nostri prodotti anch’essi prodotti da aziende localizzate in queste aree». Quali sono le principali caratteristiche richieste a un filtro da cucina? «Il tipo di filtro che produciamo ha la principale caratteristica di catturare il grasso proveniente dalla cottura dei cibi e di trattenerlo, evitando pertanto l’accumulo dello stesso all’interno della cappa e dell’aspiratore. Tali filtri sono lavabili in lavastoviglie per 10/15 volte, dopo di che è consigliata la sostituzione. Nel corso degli ultimi anni stiamo studiando e sviluppando filtri che abbiano un grado di assorbimento maggiore perché pensiamo che il cliente in futuro richiederà un prodotto che abbia maggiore efficienza, un consumo energetico contenuto e una maggiore silenziosità». Quali sono state le maggiori difficoltà e quali le strategie per superarle nel passaggio al mercato degli elettrodomestici? «Il mercato degli elettrodomestici è molto


Fabrizio Salari

maturo e utilizza sistemi gestionali e organizzativi di derivazione automotive, questo ci ha costretti a crescere molto velocemente per entrare in meccanismi complessi. Per riuscire in tutto questo, abbiamo e stiamo investendo in risorse umane qualificate. Questa crescita professionale ci permette di affacciarci ad altri settori e pertanto diversificare. A tal proposito nel corso dell’anno passato abbiamo iniziato una collaborazione con un’azienda leader nel settore per lo sviluppo e la produzione di un particolare estetico per una nuova linea di macchine da caffè». In cosa consiste questa collaborazione? «Insieme al nostro cliente abbiamo sviluppato da zero e messo in produzione una scocca in alluminio satinato per la nuova macchina da caffè con capsule, che verrà commercializzata da un famoso marchio internazionale di caffè. Questo prodotto è stato ed è tuttora una grande sfida per tutto il nostro team che professionalmente è cresciuto molto con lo sviluppo del progetto». Le diverse esperienze degli ultimi anni in che vantaggio si concretizzano? «Tutti questi nuovi progetti che ci fanno uscire dal quotidiano ci hanno permesso di allargare le nostre vedute con conseguente

vantaggio per i clienti che trovano un valido supporto per la creazione di un prodotto ottimizzato fin dalla fase della progettazione. L’esperienza che mettiamo a disposizione, in modo del tutto gratuito ai nostri clienti, nella maggior parte delle volte ci permette di aggiudicarci la commessa e guadagnare la loro fiducia». Quali sono le prospettive e le previsioni che potete fare per il prossimo futuro? «Nel settore elettrodomestico per il 2014 prevediamo un sostanziale mantenimento dei volumi consuntivati nel 2013, mentre i volumi del nuovo progetto macchina da caffè saranno in crescita nei prossimi 3 anni. L’obiettivo è mantenere i clienti e i volumi attuali nel settore elettrodomestico e allo stesso tempo esplorare settori che ci permettano di sviluppare nuovi progetti nei prossimi anni». 2014 • DOSSIER • 113


FOCUS MARCHE

La pelletteria fra Italia ed estero Uno stile riconoscibile che ha portato le borse made in Marche nelle vie della moda italiane e prossimamente le porterà all’estero. Sergio Sciamanna racconta l’evoluzione di un marchio di pelletteria che in un decennio ha conquistato il fashion Luca Càvera

rretrano gli acquisti di pelletteria da parte dei consumatori italiani. Il Fashion Report di Federazione Moda Italia (indagine commissionata ad Astra Ricerche), a consuntivo dell’anno 2013, rivela che fra Aprile e Novembre, il segmento pelletteria-valigeria ha perso il 7,33 per cento. A crescere è solo l’export, come conferma Sergio Sciamanna, alla guida di Laipe, produttore di pelletteria di alta qualità con il marchio di borse da donna Cromia e in private label per le maggiori case di moda mondiali. «Nel 2013 abbiamo registrato un più 15 per cento, incremento generato quasi esclusivamente dai mercati esteri (Far East e area ex Urss) e in parte frenato dalla contrazione del mercato italiano». Mercato italiano al quale Laipe non ha però rinunciato, come dimostra l’apertura di diversi punti vendita monomarca e la previ-

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Il commendator Germano e i figli Gino e Sergio, che guidano oggi l’azienda di famiglia, Laipe Spa di Tolentino (MC) www.cromia.biz

sione di nuove inaugurazioni – fase di upgrade seguita a un incipit nel canale multibrand. «Stiamo sviluppando una nostra rete di negozi monomarca. Abbiamo aperto a Milano e Palermo nel 2013 e contiamo di aprire a Bari, Venezia e Roma nei prossimi mesi. Naturalmente questo non esclude la volontà di rafforzare la nostra presenza nel Far East, dove stiamo perfezionando importanti accordi per aperture di negozi monomarca e di shop in shop nelle più importanti città cinesi. E sempre per l’estero contiamo anche di aprire a Londra, Parigi e Mosca, dove siamo alla ricerca di partner con i quali condividere il progetto». Quello che caratterizza il concept retail Cromia sono spazi razionali e sobri, progettati per esaltare lo stile delle collezioni nelle strade dello shopping. A trainare la costruzione di questa catena di punti vendita è il successo del progetto moda Cromia, che in appena un decennio dalla registrazione del marchio e dal lancio sul mercato è riuscito a conquistare la donna che ama la borsa ricercata e curata in ogni particolare e tuttavia proposta a un prezzo accessibile. «Quello che ha rafforzato la crescita del nostro brand sui mercati della pelletteria di


Sergio Sciamanna

moda è stata la capacità di rendere uno stile riconoscibile, fatto di abbinamenti cromatici che proponiamo su forme innovative e con accessori metallici, che conferiscono un aspetto prezioso e sobrio allo stesso tempo. Cromia continua comunque ad avere un forte legame con la tradizione artigianale, perché se i dettagli fanno la differenza, questa si può ottenere solo con una produzione artigianale». Per Laipe è quindi di fondamentale importanza il fatto di essere nata e rimasta all’interno di un distretto celebre nel settore della pelletteria. «La rete di fornitori di qualità del nostro territorio ci permette di essere ancora competitivi con il resto del mondo. Per noi il rapporto con le realtà del territorio è strategico. È qui che troviamo le nostre maestranze specializzate, che oggi contano quasi duecento addetti». È vero anche che spesso il pubblico non percepisce la qualità del lavoro che sta dietro una borsa. «Per questo puntiamo molto sulla comunicazione e il marketing. La nostra strategia di mercato ha sempre insistito su importanti leve di comunicazione, non a caso siamo una fra le prime aziende ad avere usato le campagne web di comunicazione e soprat-

Lo stile è riconoscibile, fatto di abbinamenti cromatici che proponiamo su forme innovative e con accessori metallici

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tutto le campagne pubblicitarie televisive. Resta importantissimo, però, il rapporto diretto con i consumatori, che si instaura sempre sulla qualità del prodotto e sull’appeal che il nostro stile trasmette». La scelta di puntare anche su una promozione online, nasce dall’esigenza di interpretare le nuove modalità di consumo e i nuovi canali distributivi sviluppatisi negli ultimi anni. «Non trascuriamo però di essere presenti sulle migliori testate di moda e di costume italiane ed estere. L’editoria specializzata, infatti, ha ancora un ruolo cruciale nella costruzione dell’identità di marchio. In conclusione, guardando al futuro, dopo un 2013 di crescita, Sciamanna conta di mantenere il trend anche nel corso del nuovo anno. «L’auspicio naturalmente non è solo quello di confermare i traguardi raggiunti, ma di riuscire a fare meglio». 2014 • DOSSIER • 115



AGROALIMENTARE

L’industria alimentare italiana Ridare slancio ai consumi, rallentare la fase recessiva dell’economia e incrementare l’export. Questi gli obiettivi del settore agricolo nazionale e dell’industria della trasformazione alimentare per arginare gli effetti della crisi

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AGROALIMENTARE

Serve una strategia agricola nazionale

Per cogliere le sfide dell’Europa e dei mercati internazionali, occorre una programmazione interna efficace che favorisca concretamente il rilancio dell’agricoltura. Lo sostiene Mario Guidi, presidente di Confagricoltura Francesca Druidi

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Mario Guidi, presidente di Confagricoltura

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resce costantemente la quota di export agroalimentare sul totale, che dall’8 per cento nel 2011 sale all’8,5 nel 2013 (da gennaio a ottobre). Ed è a partire dalle incoraggianti performance sui mercati esteri dell’agricoltura italiana che va improntato un cambio di marcia per il settore primario, in direzione di una maggiore competitività. A invocare quest’accelerazione è Mario Guidi, presidente di Confagricoltura, che nel tirare le somme dell’anno appena trascorso, chiarisce l’azione necessaria al sistema agricolo nazionale per recuperare in termini di reddito, occupazione e investimenti: «Abbiamo bisogno di parlare di rilancio della crescita, di lotta alla disoccupazione, di riforme, di credito». Per il numero uno dell’organizza-


Mario Guidi

zione degli imprenditori agricoli, si deve agricolo, in particolare, ha un peso troppo intervenire non solo per rafforzare i processi forte. Servono politiche per una massiccia di internazionalizzazione, ma anche per iniezione di liquidità nel sistema e misure attuare un deciso incremento in ricerca e straordinarie per cogliere la ripresa. Voglio innovazione, attuando un maggior coordi- comunque essere ottimista per il 2014, pernamento a fronte delle politiche europee. ché ci sono segnali incoraggianti e vedo Un passaggio imprescindibile è poi il supe- nella gente tanta voglia di ripartire». ramento dei freni che bloccano L’agricoltura italiana tiene le porte pesantemente il sistema Paese, così come aperte all’Europa. Di fronte alla nuova l’agricoltura: l’eccessiva burocratizzazione e Pac, quali sono le prospettive? una fiscalità penalizzante. Che 2013 è stato per il settore primario? E quale scenario Devono essere previsti interventi a favore prevede per il 2014? delle imprese, soprattutto quelle che possono «Il 2013 è stato per l’agricoltura un anno da dimenticare, per gli favorire il percorso di ripresa dello sviluppo effetti perduranti della crisi e il susseguirsi delle calamità naturali che hanno fatto perdere reddito e occupazione. Nei primi nove mesi dell’anno il valore aggiunto agricolo è sceso dell’1,4 per cento e anche se è andata decisamente meglio di quanto è accaduto in altri settori e anche rispetto all’economia in generale, tuttavia il dato negativo si somma a una serie di flessioni che durano ormai da troppi anni e che evidenziano un calo di produttività che va sanato quanto prima. L’analisi della crisi in cui ancora siamo immersi è drammatica. I nostri conti pubblici non sono risanati: sono migliorati alcuni trend, grazie al sacrificio fatto dalle famiglie e dalle imprese nel 2012 e 2013, migliora- «Confagricoltura è aperta all’Europa e menti che troviamo riflessi in uno spread attenta alla globalizzazione. L’agricoltura ha stabilmente più basso. Un dato certamente un ruolo centrale nelle politiche europee e positivo, ma che non basta per dare respiro dovrà averlo anche in quelle nazionali. all’economia reale. Deve scendere anche il Nella riforma delle politiche agricole costo del denaro, per dare credito ai citta- comunitarie un ruolo centrale è assegnato dini e alle imprese, e che nel settore alle scelte dei singoli Paesi. Occorre,

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AGROALIMENTARE

quindi, alzare il livello di attenzione oltre che sul fronte della negoziazione europea, anche su quello della politica economica e agricola nazionale. Per l’Italia ci sono in ballo 5 miliardi di euro l’anno, da abbinare ad accorte e funzionali strategie pubbliche e private di medio e lungo periodo per il settore primario. Quello che chiediamo è la programmazione strategica che è mancata e che ha portato, di fatto, a un indebolimento del sistema produttivo agricolo, l’esatto contrario dell’obiettivo della Pac. Occorre, dunque, guardare a Bruxelles, ma anche a Roma e alle politiche regionali dei piani di sviluppo».

L’agricoltura ha un ruolo centrale nelle politiche europee e dovrà averlo anche in quelle nazionali

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I prodotti agroalimentari italiani conquistano sempre più i paesi stranieri. Dove intervenire per incrementare ulteriormente la voce esportazioni: accordi commerciali, misure più efficaci contro l’agropirateria? «Nonostante la crisi, l’export agroalimentare registra elementi di positività che lasciano ben sperare. Nei primi dieci mesi del 2013, le esportazioni sono aumentate del 3,4 per cento rispetto all’anno precedente e quello agroalimentare nel suo complesso (agricolo più trasformati) del 5,5 per cento, con performance decisamente migliori dell’export totale, che è diminuito dello 0,2 per cento. Per proseguire in questa direzione, occorrono certamente misure più efficaci per combattere il fenomeno dell’agropirateria, ma soprattutto bisogna puntare sempre di più sull’internazionaliz-


Mario Guidi

zazione delle nostre imprese. Bisogna creare occasioni di incontri, fare rete, scambiarsi conoscenze, cercare collaborazioni, trasferire know how. Oltre ai prodotti, bisogna internazionalizzare idee, pensieri e sistemi. Questo è il vero senso - positivo - della globalizzazione. E l’agricoltura potrà giocare un ruolo importante anche negli accordi commerciali, come quello recentemente stipulato con il Canada o quello in via di definizione con gli Usa, e negli equilibri geopolitici mondiali». All’assemblea generale di Confagricoltura ha rimarcato la necessità di adottare strategie pubbliche e private per rafforzare e rilanciare il settore agricolo e agroalimentare italiano. Quali i punti essenziali su entrambi i fronti? «È il momento di lanciare un serio pro-

gramma di politica agricola e industriale fatto di investimenti per la ricerca, le infrastrutture - ma solo quelle necessarie -, assetto del territorio, innovazione. E occorre un governo con alta forza negoziale per costruire un percorso che consenta di equilibrare meglio i sacrifici, non ancora finiti, ma anche gli investimenti, tutti da fare. Perché abbiamo bisogno di parlare di rilancio della crescita, di lotta alla disoccupazione, di riforme, di credito. Ma occorre un governo che affronti anche i due corto-circuiti che nel 2013 hanno mandato in confusione le imprese: fisco e burocrazia. L’esenzione dell’Imu è stata una battaglia politica che abbiamo vinto, ma ora è giunto il momento di dare certezze alle imprese. Va definito un sistema che resista alle prossime leggi di stabilità e consolidi una fiscalità giusta e proporzionata, che non penalizzi, anzi incoraggi investimenti e nuova occupazione. E va definitivamente messa mano a un processo di sburocratizzazione di regole, regolamenti, leggi e leggine, atti amministrativi e controlli, che costano agli imprenditori un’infinità di tempo e denaro, che potrebbero essere impiegati in attività produttive». 2014 • DOSSIER • 121


AGROALIMENTARE

Il trionfo del made in Italy Tutti i paesi che aumentano il loro livello di benessere vogliono mangiare italiano. Luigi Scordamaglia spiega il perché di questo successo Renata Gualtieri

L Sopra, Luigi Scordamaglia, consigliere incaricato di Federalimentare per l’internazionalizzazione

a richiesta di food and beverage italiano è in costante aumento sui mercati mondiali. Gli sbocchi nell’area Ue coprono ormai una quota poco superiore al 60 per cento, mentre si situavano ben oltre i due terzi fino a pochi anni fa. Crescono sempre più, infatti, i mercati extracomunitari, dell’Est Europa, di alcuni paesi medio-orientali e del Far East asiatico, mentre gli Stati Uniti sono il mercato leader del vino italiano. Per far crescere sempre più la richiesta di prodotti agroalimentari italiani a livello globale è però necessario garantire il loro accesso su una serie di mercati caratterizzati da numerose barriere non tariffarie che bisogna impegnarsi a smantellare. «Lo si può fare - spiega il consigliere incaricato di Federalimentare per l’in-

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ternazionalizzazione, Luigi Scordamaglia tramite gli accordi bilaterali che la Commissione europea sta negoziando con molti di questi Paesi e con un più stretto coordinamento delle diverse autorità italiane. È proprio questo l’obiettivo su cui stiamo lavorando, nell’ambito del tavolo per l’export agroalimentare presieduto dal viceministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda». Qual è stata la presenza di aziende italiane registrata alla 32esima edizione di Anuga a Colonia? «La partecipazione delle imprese italiane ad Anuga è aumentata ancora quest’anno, raggiungendo la quota importante di oltre 1.100 imprese espositrici sulle 6.700 presenti. Questo traguardo non si lega soltanto alla crescita del nostro export sul mercato tedesco, che rimane di gran lunga il primo sbocco estero del nostro food and beverage, ma anche alla crescente domanda di prodotti italiani nel mondo e a un maggiore interesse delle nostre aziende a puntare sull’export, in presenza dei trend deludenti del mercato interno». In questa occasione si sono, però, riscontrati casi di prodotti e stand che usano la bandiera italiana impropriamente. Qual è stata la reazione dei produttori italiani e


Luigi Scordamaglia

1.100

LE IMPRESE ITALIANE ESPOSITRICI PRESENTI ALLA 32ESIMA EDIZIONE DELLA FIERA ANUGA A COLONIA

come s’impegnerà Federalimentare nella lotta all’Italian sounding? «Purtroppo, parallelamente all’aumento della partecipazione delle aziende italiane, è aumentata la presenza alla fiera dell’Italian sounding. La reazione degli operatori italiani presenti alla fiera ha portato a formalizzare proposte di consorzi tra corpo forestale, Ice e Federalimentare dirette a ottenere interventi concreti, ovvero sequestri da parte della polizia tedesca d’imitazioni di prodotti a denominazione protetta ottenuti in altri Paesi. Sull’Italian sounding Federalimentare, con organizzazioni agricole e di consumatori, sta valutando apposite iniziative giuridiche da avviare nei Paesi dell’area Ue». Qual è l’importanza delle fiere per la promozione dei prodotti italiani all’estero e quali i prossimi appuntamenti più importanti in campo internazionale? «Le fiere internazionali sono appuntamenti importanti per la promozione dei propri prodotti e per l’incontro tra domanda e offerta specie per le pmi. Federalimentare, del resto, è molto sensibile su questo tema, in quanto comproprietaria del marchio Cibus, prima fiera alimentare italiana. Per le grandi aziende le fiere sono occasione per incontrare sia i

contatti già consolidati che quelli potenziali. Più che fiere frequenti, per singoli mercati, servono però sempre più appuntamenti fieristici a scadenze non troppo ravvicinate e realmente globali. Il prossimo appuntamento globale per il food è il Sial, a Parigi, nel mese di ottobre. Tra quelle importanti per il settore del food and beverage italiano, invece, da ricordare Cibus a Parma in maggio». Con quale obiettivo nasce il progetto “Taste”? «Questo progetto di formazione, studiato per rispondere alle esigenze delle imprese dell’agroalimentare, soprattutto pmi, nasce allo scopo specifico di formare professionisti dotati di competenze tecniche multidisciplinari, manageriali e di business, commerciali, di marketing, di promozione e amministrazione: figure in grado di leggere e realizzare approfondite indagini di consumo attraverso cui valorizzare la produzione sul piano nazionale e internazionale. A tal fine, è stato sviluppato un percorso formativo mirato: un vero e proprio modello pilota, focalizzato sull’internazionalizzazione e le analisi di mercato, replicabile ed estendibile a tutte le principali categorie del made in Italy rappresentate in Confindustria dalle Federazioni di settore». 2014 • DOSSIER • 123


AGROALIMENTARE

Aggregazione e nuovi progetti Maggiore centralità alle reti di imprese agricole per lo sviluppo del settore primario in Emilia Romagna. Le sfide del comparto in Europa e nel mondo sono illustrate dall’assessore regionale all’Agricoltura Tiberio Rabboni Francesca Druidi

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Sopra, Tiberio Rabboni, assessore all’Agricoltura della Regione Emilia Romagna

l 2013 agricolo in Emilia Romagna è stato condizionato da una primavera piovosa che ha determinato una riduzione delle produzioni in campo. «Complessivamente – spiega l’assessore regionale Tiberio Rabboni – il valore della produzione è diminuito del 3 per cento rispetto all’anno precedente, attestandosi sui 4,4 miliardi di euro, un valore comunque elevato, se si considera che tra il 2008 e il 2012 la Plv agricola aveva registrato un aumento record del 12 per cento». Se per il 2014 è lecito attendersi un aumento delle produzioni agricole vegetali, un passaggio importante per il settore primario è legato al nuovo programma di sviluppo regionale. Su quali istanze si dovrà concentrare la formulazione del Psr per il 2014-2020? «Daremo ampio spazio alle reti di impresa. Non è più il tempo dei pochi solisti. Se si vogliono ridurre i costi, accorciare le filiere, programmare le produzioni in linea con ciò che il mercato chiede e remunera, fare innovazione, qualità percepita ed esportazione, bisogna mettersi insieme. E dunque reti di impresa per il trasferimento tecnologico, per fondi mutualistici a difesa del reddito, per modernizzare i cicli produttivi, per nuovi rapporti di filiera e più incisive gestioni commerciali. La riforma della Pac ridurrà di circa il 35 per cento gli attuali pagamenti diretti alle imprese agricole dell’Emilia Romagna. Per questo, è necessario fare un uso assoluta-

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Tiberio Rabboni

mente mirato delle risorse del Psr e definire bene le produzioni agricole che, per ragioni di mercato, potranno beneficiare per i prossimi 5 anni dell’aiuto accoppiato previsto dai nuovi regolamenti. L’Emilia Romagna propone le produzioni zootecniche da carne e da latte, il pomodoro da industria, la barbabietola, le pere, pesche e prugne da trasformazione, il riso». Con quali strategie occorre incrementare l’internazionalizzazione? «Intanto l’Europa deve impegnarsi nel superamento delle barriere sanitarie che, spesso strumentalmente, precludono le esportazioni verso i nuovi mercati mondiali. Se nel 2013 abbiamo finalmente esportato pere negli Usa, lo si deve all’azione italiana ed emiliano-romagnola. La Regione ha anche sottoscritto un’intesa con lo Stato del Delaware per incentivare gli scambi. In secondo luogo, lo Stato deve fare ancor di più la sua parte a sostegno delle imprese esportatrici con incentivi economici e fiscali e operando un vero rilancio dell’Ice. In Emilia Romagna è giunto al sesto anno di attività un progetto unitario di Regione, Unioncamere, Ice e Consorzi Dop e Igp, denominato “Deliziando”, che unendo risorse, competenze e servizi promuove l’export delle piccole e medie aziende alimentari di qualità nei mercati emergenti. Al progetto si affiancano le altre iniziative regionali di sostegno ai progetti di internazionalizzazione delle imprese e delle

12%

PRODUZIONE PERCENTUALE DI AUMENTO DEL VALORE DELLA PRODUZIONE LORDA VENDIBILE DEL SETTORE AGRICOLO IN EMILIA ROMAGNA DAL 2008 AL 2012

fiere, oltre all’indispensabile aggregazione delle aziende, soprattutto piccole e medie». Cosa rappresentano il progetto Fico di Bologna e l’Expo 2015 per l’agroalimentare della regione? «Fico polarizzerà su Bologna e sull’Emilia Romagna l’interesse degli appassionati del cibo di qualità, italiani e stranieri, sottolineando ancora di più la vocazione, la reputazione e il brand territoriale di una regione che è diventata sinonimo di eccellenza, come ha peraltro affermato di recente la nota rivista americana Forbes, che ha definito l’Emilia Romagna la regione dove si mangia meglio al mondo. L’Expo ne costituirà il trampolino di lancio. Non a caso, l’apertura di Fico è prevista in concomitanza con l’avvio dell’Esposizione universale di Milano». Perché sarebbe importante modificare le regole italiane di rilascio delle Dop e Igp? «Perché le regole nazionali sono inutilmente restrittive rispetto a quelle europee e, dunque, disincentivanti per i produttori. In Italia, ad esempio, i consorzi di produttori possono fare solo tutela e promozione, ma non programmazione produttiva e commerciale. In altri paesi Ue non è così. Il risultato? Rispetto a quello standard, il prodotto certificato Igp è inferiore all’1 per cento nel caso delle pesche e nettarine di Romagna, arriva all’1 per cento per la pera Igp dell’Emilia Romagna, sale al 6,5 - una delle percentuali più elevate - per la patata di Bologna Dop. Per questo chiediamo di far gestire ai consorzi dei produttori Dop e Igp, come avviene in altri paesi Ue, tutela dalle contraffazioni, programmazione produttiva, coordinamento commerciale e promozione in maniera congiunta. Un’altra richiesta riguarda la documentazione di storicità della produzione vegetale di un determinato territorio. È giustissimo richiederla per le specifiche tipologie (pere, mele, pesche, asparagi), ma non per le varietà. Le varietà possono cambiare. Ciò che deve rimanere inalterato, e che fa la differenza, è il legame di unicità di queste produzioni con il loro territorio». 2014 • DOSSIER • 129


AGROALIMENTARE

Qualità, controllo e ambiente Verifiche costanti, attenzione ai prodotti a chilometro zero e distribuzione ecocompatibile. Andrea Bianchi descrive le operazioni con cui il Centro Agroalimentare e Logistica di Parma offre la maggiore sicurezza possibile ai consumatori Vittoria Divaro

ualità del cibo e dell’ambiente. È questa la filosofia alla base dell’impegno del Centro Agroalimentare e Logistica di Parma (Cal). «Oltre alla qualità riconosciuta, controllata e che valorizza il lavoro naturale, il nostro lavoro sposa i temi dell’ecologia e della qualità dell’aria. Infatti, i prodotti ortofrutticoli vengono consegnati quotidianamente dal mercato di Parma ai punti vendita della città con mezzi Ecocity ecologici, alimentati a gas metano o elettrici, nel pieno rispetto del territorio e dei suoi abitanti». A parlare è Andrea Bianchi, direttore del Cal, società di gestione a maggioranza di capitale pubblico (fra i soci, il

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Nelle immagini, Andrea Bianchi e l’interno del Centro Agroalimentare e Logistica di Parma www.calparma.eu

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Comune, la Regione, la Camera di Commercio e la Provincia) che ha, fra le altre cose, svolto un ruolo istituzionale come catalizzatore di iniziative innovative a favore del cosiddetto Food Valley District. «Gestiamo il mercato ortofrutticolo di Parma – prosegue Bianchi – e siamo diventati il punto di riferimento per tutto il comparto agroalimentare, nonché per la logistica dell’ultimo miglio. L’obiettivo è costituire un mercato sempre in evoluzione, nuovo nelle metodologie e nelle tecnologie, funzionale ai mezzi di trasporto e alla promozione delle aziende, innovativo anche nella varietà delle merci, tuttavia sempre attento alle produzioni nazionali, locali e di stagione». Tutta la struttura del Cal è stata pensata, ed è testata quotidianamente, per offrire la massima funzionalità alla commercializzazione attraverso grande distribuzione e vendita al dettaglio, imprese e produttori agricoli, aziende di trasformazione e operatori commerciali. «Siamo molto soddisfatti dell’attività del Cal, soprattutto per la grande collaborazione riscontrata da parte delle istituzioni, delle associazioni di categoria e di tutti gli addetti ai lavori del settore. Le nostre iniziative raccolgono l’esperienza di anni di lavoro con competenza e determinazione, portando un grande valore aggiunto per il mercato. Oggi stiamo lavorando per garantire la commercializzazione del prodotto a marchio nazionale, fresco e di stagione, biologico, che qualifichi significativamente il mercato all’ingrosso, puntando sulla filiera


Andrea Bianchi

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Abbiamo scelto di dare spazio a coltivazioni di qualità che preservano le caratteristiche dei prodotti tipici e del Mediterraneo

corta del prodotto ortofrutticolo stagionale italiano. È chiaro che la qualità e la genuinità saranno tutte a vantaggio del consumatore finale. L’ortofrutta non trattata, made in Italy e di grande qualità è consigliata a tutti, ma in particolare ai bambini, agli anziani e agli sportivi, per le qualità nutritive e per l’assoluta mancanza di additivi o prodotti non naturali. Proprio per questo organizziamo visite didattiche per i bambini delle scuole che vengono accompagnati al mercato ortofrutticolo per conoscere da vicino e scoprire le qualità dei prodotti offerti. Inoltre abbiamo scelto di dare spazio soprattutto a coltivazioni di qualità che preservano le caratteristiche dei migliori prodotti tipici e del Mediterraneo». All’interno del mercato ortofrutticolo, le merci vengono accompagnate con procedure studiate per garantire sicurezza, periodi di stazionamento brevi, forte rotazione, mentre

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tutti i servizi sono garantiti da verifiche periodiche e da monitoraggi costanti. «Fra i servizi che offriamo ci sono la custodia e il trasporto merci. Durante la notte e nelle fasi delicate di carico e scarico, società specializzate nei controlli di security verificano la correttezza di ogni passaggio. Sistemi elettronici di riconoscimento controllano gli accessi, verificano i carichi dei mezzi e li indirizzano verso l’area di loro competenza. Per quanto riguarda il listino prezzi, le tariffe dei singoli prodotti sono aggiornate settimanalmente e riportate sul web. Curiamo l’assemblaggio e la preparazione dei pallet e il confezionamento – in un settore riservato della piattaforma, tecnici specializzati trattano le merci per assemblare correttamente le varie forniture. E naturalmente tutte le derrate alimentari passano attraverso le verifiche e il controllo di un agronomo che ne certifica la qualità». 2014 • DOSSIER • 131



FOCUS EMILIA ROMAGNA

Prospettive di uscita dalla crisi di Carlo Alberto Roncarati, presidente di Unioncamere Emilia Romagna

on minor vigore rispetto ad altre aree, la crisi continua a investire anche l’Emilia Romagna. Come attesta il Rapporto sull’economia regionale 2013, realizzato da Regione e Unioncamere Emilia Romagna, la flessione del Pil, pari all’1,4 per cento rispetto all’anno precedente (-1,8 per cento in Italia), interessa tutti i settori e le classi dimensionali. Gli effetti della recessione si leggono anche nei dati dell’occupazione - gli occupati diminuiscono dell’1,4 per cento, il tasso di disoccupazione si avvicina alla soglia del 9 per cento -, nella progressiva perdita del potere d’acquisto delle famiglie (-2,1 per cento), nelle 6mila imprese in meno, saldo negativo determinato non solo dall’aumento delle aziende che chiudono, ma anche dalla minor propensione ad aprire nuove attività. Tuttavia, due fenomeni confermano la dinamicità del sistema imprenditoriale. Le reti d’impresa in Emilia Romagna a fine settembre erano 240, per un totale di 781 aziende coinvolte, tanto che la regione è al se-

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condo posto a livello nazionale dopo la Lombardia. Identica posizione per il numero di startup innovative registrate, 162, alla data del 16 dicembre 2013. La maggiore propensione delle imprese a operare in rete, specie sui mercati esteri, è un segnale che incoraggia a pensare a un consolidamento della nostra struttura economica, imposto dalla necessità di rapportarsi a un mondo dove si innalza sempre più la sfida competitiva. L’Emilia Romagna rimane una delle aree più dinamiche del Paese per le esportazioni che nei primi nove mesi del 2013 sono state pari a circa 37 miliardi di euro, +2 per cento rispetto al 2012. Il commercio con l’estero offre occasioni per tutti i prodotti dell’Emilia Romagna, come testimonia l’aumento dell’export dell’agroalimentare, 7,5 per cento, delle macchine, apparecchi meccanici e packaging, 3,4 per cento, della metalmeccanica,1,5 per cento. Ciò significa che in questa regione l’industria, dall’agroalimentare alla meccanica nelle sue diverse specializzazioni, ha molte caratteristiche difficilmente imitabili. Occorre in-

vestire quindi proprio su ciò che rende l’Emilia Romagna unica, perché può fare da traino al resto dell’economia. Così il turismo, connesso a molte attività manifatturiere. In Emilia Romagna, l’impianto normativo della legge regionale 7 del 1998 fondato sulla collaborazione tra settore pubblico e imprese private ha contribuito a mantenere livelli significativi di capacità competitiva nella negativa fase congiunturale. Per agganciare la crescita a livello mondiale e, attraverso questa, riaccendere la domanda interna, dobbiamo ripartire dai nostri punti di forza: manifatturiero, turismo, qualità del sistema relazionale. Ora, per migliorare i dati dell’export e del turismo, l’Expo 2015 è un appuntamento cruciale. Anche su questo terreno si potrà misurare la nostra capacità di muoverci su progetti condivisi, tale da valorizzare le nostre competenze distintive. Dobbiamo essere consapevoli che l’agire in modo sinergico è il modo più efficace per superare questa fase che sembra non finire mai. 2014 • DOSSIER • 139


POLITICA FOCUS EMILIA-ROMAGNA EMILIA ECONOMICA ROMAGNA

«Nulla sarà più come prima» Il 2013 sembra avere chiuso la fase recessiva. Ma per tornare a correre e per recuperare il tanto terreno perduto serve un nuovo paradigma che metta al primo posto gli investimenti. Il punto di Maurizio Marchesini Teresa Bellemo a risalita è partita, ma non sarà rapida. Questo perché non si è trattato solo di difficoltà congiunturali ma di veri e propri cambiamenti epocali negli assetti produttivi globali. Dunque è necessario ridisegnare la mappa di chi fa che cosa, con grandi ricadute su lavori e lavoratori di tutto il mondo. Per quanto riguarda l’Italia, in particolare, è stata perduta una consistente fetta di capacità produttiva e la dinamica potenziale è calata dai ritmi già striminziti stimati prima della crisi. Per questo la ripresa per ora sarà sostenuta dai mercati emergenti e dalla ritrovata solidità degli Usa. A questo punto serve uno sforzo da parte di tutti gli attori, governo in primis, che per rafforzarla deve puntare su investimenti e competitività. Per quanto riguarda l’Emilia Romagna, il 2013 è stato un anno negativo, con un calo del Pil che si prevede tra l’1,5 e il 2 per cento. «La prima metà del 2013 ha registrato un calo della produzione, ma le vendite hanno mostrato una leggera crescita, ancora una volta interamente imputabile alla domanda estera, dato che gli indicatori dell’economia reale sono ancora in sofferenza» sottolinea Maurizio Marchesini, presidente

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Maurizio Marchesini, presidente di Confindustria Emilia Romagna

della Confindustria regionale, che ha iniziato il 2014 con la ferma convinzione della necessità di una maggiore mobilitazione, in modo da ottenere misure decise per gli investimenti che determinerebbero occupazione e crescita. Una mobilitazione che ha visto attecchire in svariate categorie sociali e che ha dato vita a fenomeni diversi, come quello dei forconi. «Ritengo ci siano strumenti importanti per far

sentire la propria voce oltre a scendere in piazza in maniera scomposta e confusa». Come sta l’economia regionale? «Le indicazioni emerse mostrano un territorio ancora negativo che fatica a invertire la tendenza. In particolare, preoccupano l’andamento della domanda interna, i consumi e gli investimenti, l’edilizia che non dà segni di ripresa e gli effetti negativi sull’occupazione,


Maurizio Marchesini

specie quella giovanile. Rimane notevole il terreno perduto rispetto alla situazione pre-crisi. In particolare, occorre sottolineare la contrazione, confrontata con il 2012, delle esportazioni verso i Paesi Ue (-3,1 per cento), rispetto a un andamento dell’export extra-Ue che registra un risultato decisamente migliore (+7,2). Ciò a conferma, ancora una volta, della necessità di guardare sempre più verso i mercati lontani dell’Asia, dell’America e dell’Africa». Quali le difficoltà maggiori? «L’Emilia Romagna ha peggiorato la propria posizione e, soprattutto, si sta allontanando dalle regioni leader d’Europa. Si è allargata la forbice fra quelle imprese che sono riuscite a mantenere buone performance economiche, grazie a riorganizzazioni interne, alto

contenuto tecnologico dei propri prodotti, capacità di internazionalizzarsi, e quelle che, non essendo state capaci o in condizioni di intraprendere questi percorsi, sono rimaste intrappolate nel crollo della domanda interna, nel circolo vizioso dei tempi di pagamento o nella contrazione del mercato del credito. Preoccupano soprattutto le conseguenze del fenomeno in termini di impoverimento del sistema produttivo, di competenze e capacità perdute e di inevitabili conseguenze sull’occupazione, non recuperabili nel breve periodo». Quali le previsioni per il 2014? «Secondo il centro studi Confindustria ci sono sintomi di recupero dell’economia reale che stanno diventando più solidi e frequenti, anche nel nostro Paese. Si tratta di aspettative e segnali di una possi-

bile ripresa che risultano profondamente condizionati dal quadro generale di incertezza e, per quanto riguarda l’Italia, dai rischi di instabilità politica. Presumibilmente, dunque, è finito il periodo depressivo, ma non sono finiti gli effetti che esso avrà nel tessuto economico. Il momento è delicato, una crisi di governo significherebbe per l’Italia un andamento recessivo anche per il 2014. Per quanto riguarda la nostra regione, la crescita prevista è dell’1 per cento. Sono previsioni migliori dei valori negativi, certo, ma non permettono la creazione di posti di lavoro». È per questo che nel documento di mobilitazione per il governo c’è un forte accento sugli investimenti? «Noi abbiamo chiaro che le risorse sono poche, e proprio per questo 2014 • DOSSIER • 141


POLITICA FOCUS EMILIA-ROMAGNA EMILIA ECONOMICA ROMAGNA

Il lavoro, oltre a regolarlo meglio, bisogna anche crearlo e noi stiamo spingendo per un patto con il governo che includa anche questo tema

serve puntare in ambiti in cui se il e la soluzione è ridurre il costo del miranza di tre o quattro mesi». pubblico mette 1 i risultati che si hanno sono 10. Sappiamo che non possiamo buttare al vento i sacrifici fatti in questi anni, ma puntare sugli investimenti vuol dire proprio questo. Intendiamo farlo partire dall’Emilia Romagna perché abbiamo un tipo di industria manifatturiera fortemente esportatrice e incentrata sulla media-alta tecnologia che può godere dei benefici della ripresa mondiale. Crediamo che gli investimenti che vanno in innovazione, formazione e internazionalizzazione siano quelli che possono rompere quel vortice negativo che lega i conti in ordine al solo strumento fiscale. Un vortice deleterio che ha depresso i consumi e generato la necessità di nuove le tasse. Uno dei freni della nostra economia è proprio il bassissimo consumo interno 142 • DOSSIER • 2014

lavoro, in modo da creare fiducia e far ripartire la ripresa». Nel documento si dice anche che “nulla sarà come prima”. Una sorta di bollettino postbellico. «Siamo già depressi di nostro, per cui non vorrei usare toni allarmanti. È innegabile però che le cose sono cambiate profondamente, che la struttura dell’industria italiana è mutata molto e muterà ancora. Questo è dunque il momento di attuare con coraggio politiche industriali vere. Il problema nel nostro Paese non è che non si è mai fatto nulla, ma che sono state fatte azioni sempre troppo marginali, settoriali e non continuative, per cui alla fine anche gli imprenditori hanno perso la fiducia. Noi ragioniamo in termini di tre o quattro anni, non possiamo ragionare con una lungi-

Da questo punto di vista vede una classe politica in grado di recepire questa urgenza? «Siamo intervenuti in questo momento anche perché il dibattito politico sta trattando temi certamente interessanti e fondamentali come la legge elettorale, le riforme istituzionali e il job act, ma vediamo fuori dal tavolo il tema degli investimenti. Il lavoro, oltre a regolarlo meglio, bisogna anche crearlo e noi stiamo spingendo per un patto con il governo che includa anche questo tema. In questi giorni sono in discussione i Fondi strutturali europei 20142020, che possono costituire le risorse principali per questi investimenti. Peraltro noi stiamo chiedendo di fare interventi che in altri Paesi europei si stanno già facendo».


Giovanni Borri

Agroindustria, oro di Parma Nonostante il calo complessivo che ha coinvolto tutto il Paese, la provincia di Parma tiene duro e guarda al 2014 con ottimismo. Ma per combattere i problemi del tessuto sociale, come la disoccupazione, serve un lavoro d’insieme Teresa Bellemo

l tessuto produttivo parmense si è indebolito ma si sta comportando meglio di tanti altri. Con il perdurare delle difficoltà per l’economia italiana, anche la provincia di Parma pare essere diventata più fragile. I dati mostrano, però, una situazione migliore rispetto ad altri contesti e alla media nazionale e l’esistenza di elementi positivi, come l’incremento delle esportazioni, aiuta a guardare verso la ripresa. Per quanto riguarda lo scenario sociale, a preoccupare di più è la disoccupazione, che è passata dal 2,3 per cento del 2008 a oltre il 7 del 2013, con punte per quella giovanile del 19,2 e non sarà sufficiente il debole incremento previsto del Pil per invertire questa tendenza. Giovanni Borri, presidente dell’Unione parmense degli industriali, esprime soddisfazione per il territorio, ma il problema, si sa, è più ampio. «Ben poco conforta che i nostri dati siano tra i migliori a livello nazionale. In un’ottica di rilancio, infatti, serve un intervento radicale e incisivo della politica di governo». Come si è chiuso il 2013 e quali le previsioni per questo 2014 appena iniziato? «Gli ultimi dati disponibili presentano un lieve calo, sia della produzione industriale sia del fatturato. Si riscontrano, però, segnali di miglio-

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Giovanni Borri, presidente dell’Unione parmense degli industriali

ramento nella seconda parte dell’anno, che aprono a previsioni timidamente favorevoli per il 2014. In particolare sono gli ordinativi esteri ad aver fatto registrare un incremento: +3,8 per cento nei primi nove mesi del 2013, quasi il doppio della media regionale. Se poi si considera il periodo 2008-2013, il divario è maggiore e indica un aumento a valori correnti del 20 per cento dell’export provinciale contro il 3,6 dell’Emilia Romagna e il 2,6 italiano. A trainare questo dato è, ancora una volta, soprattutto l’agroindustria

parmense, capace di aggredire sempre nuovi mercati e con ulteriori prospettive di sviluppo grazie alla crescita del commercio mondiale». L’export è risultato dunque fondamentale per risollevare la produttività del territorio. Quali gli obiettivi su questo ambito e quali invece i provvedimenti più urgenti per rimettere in moto anche la domanda interna? «Occorre puntare a incrementare il fatturato export, supportando sia le imprese già attive in ambito internazionale, sia quelle che per ragioni di- 2014 • DOSSIER • 143


FOCUS EMILIA EMILIA-ROMAGNA ROMAGNA

La metà degli imprenditori ha nel cassetto progetti d’investimento, anche innovativi, che però è costretta a rimandare

mensionali o strutturali lo approc- l’innovazione tecnologica può fare «Da un’analisi realizzata sui nostri asciano con maggiore difficoltà. Le imprese parmensi sono state capaci di travalicare i confini europei per entrare nei mercati mondiali. È in questo contesto che deve essere rafforzata l’azione di difesa dei prodotti made in Parma e in generale made in Italy, in modo da combattere il problema dell’italian sounding. Per il rilancio della domanda interna la strada prioritaria rimane quella di una minore pressione fiscale in modo da aumentare il reddito disponibile e ridurre i costi per le imprese. La diminuzione dei costi della burocrazia e della spesa pubblica libererebbe poi risorse statali da indirizzare al mercato interno. Ma il presupposto perché queste azioni si traducano in effetti sulla domanda credo sia l’esistenza di una stabilità politica, senza la quale non ritengo sia possibile avere fiducia nel futuro. Guai a non dare al Paese una speranza nel domani». Sul fronte del rilancio, quanto 144 • DOSSIER • 2014

da volano? «È fondamentale e un fattore lo conferma: i dati sull’andamento congiunturale degli ultimi anni evidenziano performance migliori per le aziende che hanno continuato a investire in innovazione. Questo perché l’abilità di intercettare nuova domanda sul mercato globale dipende dalla capacità di offrire prodotti più evoluti, ad alto contenuto innovativo. Di certo, soprattutto per le piccole e medie industrie, l’innovazione tecnologica risulta ancora di difficile realizzazione mentre ben più semplice è attuare il recupero della competitività attraverso innovazioni di processo o organizzative. Nonostante questo, sono convinto che l’innovazione rimanga per tutte le imprese la vera sfida da affrontare in futuro e la priorità per riuscire a competere nel mercato globale». Da quest’ultimo punto di vista quali gli obiettivi dell’Unione parmense degli industriali?

sociati a inizio 2013 è emerso che circa la metà degli imprenditori ha nel cassetto progetti d’investimento, anche innovativi, che rimanda a causa di vincoli burocratici, della scarsa domanda attesa, della incertezza politica e di mercato. Esiste quindi sul territorio un importante potenziale d’innovazione che deve essere favorito e sviluppato attraverso la conoscenza, creando occasioni per approfondire problemi e soluzioni, cercando di attivare quel dinamismo che motiva gli imprenditori ad agire. È necessario favorire lo sviluppo di sinergie tra le imprese, come nel caso dei contratti di rete che si confermano uno strumento efficace, soprattutto per le pmi. Inoltre, bisogna allacciare con l’università rapporti più stretti e a misura d’impresa, per utilizzare le conoscenze già presenti in ateneo e tradurre le idee in progetti concreti. Infine, sostenere la creazione di startup che diano nuova linfa al tessuto industriale».



FOCUS EMILIA EMILIA-ROMAGNA ROMAGNA

Competitività da riconquistare Crescono le esportazioni, ma arranca il mercato interno. Il presidente di Confindustria Ceramica, Vittorio Borelli, stila un bilancio del 2013 indicando gli ostacoli da rimuovere sulla strada verso il rilancio Francesca Druidi

industria ceramica italiana continua a investire il 5 per cento del proprio fatturato in innovazione tecnologica, proseguendo in un percorso sempre più orientato alla sostenibilità ambientale, e continua a farsi onore oltre confine. Ma l’evidente forbice tra il mercato internazionale in crescita e quello italiano in deciso stagnamento rischia di compromettere le prospettive delle piastrelle made in Italy, che restano leader mondiali in valore, ma devono affrontare criticità strutturali complesse. Vittorio Borelli, presidente di Confindustria Ceramica, nel delineare il consuntivo del settore per il 2013 e il quadro previsionale per il 2014, identifica nell’eccessiva burocratizzazione, nella questione energetica e nella carenza infrastrutturale i nodi da sciogliere con urgenza. Numeri alla mano, com’è stato il 2013 per il settore? «L’anno che si è appena concluso ha rappresentato il punto di minimo nella dinamica congiunturale dell’industria ceramica italiana. Il 2014 corre il rischio di essere quello della ripresa troppo lenta, a

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causa degli irrisolti problemi di competitività. Il 2013 dell’industria italiana delle piastrelle di ceramica registra esportazioni per 300 milioni di metri quadrati (+3,1 per cento rispetto al 2012), l’assorbimento del mercato italiano a poco meno di 90 milioni di metri quadrati (-5,4 punti percentuale); la produzione nell’anno ha toccato i 355 milioni di metri quadrati (-3,3 per cento)». Si possono fare previsioni per il 2014? «Le previsioni per l’anno appena iniziato parlano di un incremento dell’1,6 per cento nelle vendite to-

tali, quale risultato di vendite in Italia tendenzialmente costanti (0,8) e di una crescita delle esportazioni del 2,4 per cento, grazie alle buone performance nei paesi dell’area Nafta (+8 per cento), dell’area nordafricana e dei paesi del Golfo, dove l’espansione sfiora il 4 per cento, e al ritorno in campo positivo dell’Europa». A proposito di mercati, quali strategie le aziende del comparto stanno adottando? «L’approccio all’export del prodotto ceramico italiano segue due binari paralleli e sinergici: l’azione delle singole imprese, le iniziative


Vittorio Borelli

Vittorio Borelli, presidente di Confindustria Ceramica, nelle altre foto, immagini dell’edizione 2013 di Cersaie a Bologna

ESPORTAZIONI

300 mln I METRI QUADRATI DI PIASTRELLE VENDUTI ALL’ESTERO NEL 2013 CON UN AUMENTO DEL 3,1 PER CENTO RISPETTO AL 2012

dell’Associazione a favore delle diverse aziende. Come ha ricordato Giorgio Squinzi, Cersaie è il più importante Salone internazionale della ceramica per l’architettura e dell’arredobagno a livello mondiale e rappresenta uno straordinario strumento di politica industriale per il settore, motore e catalizzatore di tutte le iniziative. La nostra strategia si sviluppa lungo diversi assi: in verticale, coinvolgendo tutti gli stakeholder della filiera quali distributori, architetti, imprese di costruzione e consumatori privati; in senso orizzontale, operando su tutti i mercati del mondo, attraverso partecipazioni a fiere, campagne pubblicitarie, eventi con architetti, con particolare attenzione a quelli più promettenti. L’Associazione ha messo a disposizione delle aziende le “Bussole del mercato” e l’Osservatorio previsionale, per aiutarle a individuare i mercati che possono presentare per loro le principali potenzialità di sviluppo». All’edizione 2013 di Cersaie hanno partecipato espositori provenienti da 34 paesi stranieri e visitatori da 157 nazioni. Quali sono le principali tendenze e novità che sono emerse a livello produttivo e commerciale? «Cersaie ha confermato, anche nell’ultima edizione, la sua centralità nel panorama internazionale, intesa anche come luogo nel quale le aziende presentano in anteprima mondiale le proprie novità di prodotto. La decorazione digitale sta ulteriormente prendendo piede nella produzione di ceramica, così come il progressivo aumento dei formati che amplia le possibilità estetiche e di impiego dei rivesti- 2014 • DOSSIER • 147


FOCUS EMILIA ROMAGNA

EXPORT, FARO VERSO LA RIPRESA numeri parlano chiaro. La crisi dell’edilizia italiana, testimoniata dal calo degli investimenti in costruzioni (-7,1 per cento) e del residenziale nuovo (-23,7 per cento), pesa come un macigno sull’andamento delle vendite delle piastrelle di ceramica nel nostro Paese nel corso del 2013. A risollevare lo scenario del settore ci pensano i mercati esteri, che crescono a doppia cifra nell’area Nafta (+12,5 per cento), nei paesi del Golfo (+11,7) e nel Far East (+11,9). Stazionari l’Europa occidentale e i Balcani, mentre performance di vendita più dinamiche (+4,5 per cento) si registrano nell’Europa occidentale. Il 2014 dovrebbe fornire i primi segnali incoraggianti, in grado di annunciare l’uscita dal tunnel della recessione: si prevede, infatti, un aumento delle vendite totali dell’1,6 per cento, ottenuto come somma della stabilità del fronte interno e dell’incremento delle esportazioni. Anche la produzione dovrebbe ritornare, dopo un biennio, in campo positivo con un +1,2 per cento. Nell’attesa che, nel 2015, si concretizzi il definitivo slancio verso la ripresa. FD

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Cersaie è uno straordinario strumento di politica industriale per il settore, motore e catalizzatore di tutte le iniziative

menti ceramici realizzati in Italia. tiche ambientali». La riproduzione sempre più fedele delle essenze e dei materiali lapidei naturali, unita all’arricchimento della gamma cromatica, hanno ulteriormente esteso il campo di azione della ceramica. Nel caso dell’arredo bagno, il secondo importante settore espositivo di Cersaie, il design caratterizza in modo ancor più marcato mobili per bagno, rubinetti e ceramica sanitaria. A questo si aggiunge una crescente attenzione al risparmio idrico, un aspetto particolarmente considerato dai consumatori di tutto il mondo sensibili alle tema148 • DOSSIER • 2014

Oltre al nodo rappresentato dalla realizzazione del collegamento autostradale Campogalliano-Sassuolo, quali restano le principali criticità che caratterizzano il distretto ceramico emiliano e italiano in generale? «I tanti vincoli alla competitività del sistema industriale italiano rappresentano pesanti limiti alla nostra capacità di cogliere la ripresa che, a livello internazionale, è già in atto. La sburocratizzazione della macchina amministrativa e i tempi di risposta vanno portati ai medesimi livelli degli altri paesi, quali la

Germania e gli Stati Uniti. A questa si aggiunge la necessità di allineare i costi dell’energia, soprattutto gas metano, a quelli pagati dai paesi produttori nostri concorrenti, perché il gap – soprattutto dopo lo sfruttamento dello shale gas – si è ulteriormente allargato. Infine, c’è un fattore altrettanto importante: il tema delle infrastrutture che, oltre all’asse autostradale, debbono interessare anche le ferrovie, gli scali dell’intermodalità e i porti dove attraccano le navi cariche di materie prime o da dove partono i container per i mercati d’oltre mare».


Luisa Bocchietto

Design e tradizione Un materiale antico e affascinante che unisce tradizione e modernità. La ceramica continua a costituire una sfida per il design. Luisa Bocchietto spiega in che modo andrebbe maggiormente valorizzata

Foto Enrico Basili

Nicolò Mulas Marcello

Luisa Bocchietto, presidente dell’Associazione per il disegno industriale

el nostro Paese la ceramica trova diverse applicazioni nel settore del design, ma non sempre è stata valorizzata adeguatamente: «Si tratta di un patrimonio di grande valore – spiega Luisa Bocchietto, presidente dell’Associazione per il disegno industriale (Adi) – rappresentato da capacità artigianali di altissimo livello legate a una tradizione antichissima, ma che non trova una giusta valorizzazione nel panorama attuale». In che misura oggi la ceramica è utilizzata dai giovani progettisti italiani nei loro progetti? «La ceramica è un materiale affascinante e antico, la sfida è quella di renderla attuale e saper introdurre nella progettazione di oggetti contemporanei quelle innovazioni tecniche e formali in grado di farli competere

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con la bellezza ineguagliabile di tante produzioni storiche. Il confronto non è facile, inoltre, il materiale e la sua lavorazione legata alla tradizione non si prestano facilmente alla smaterializzazione e alla riduzione di peso e spessore, aspetti che che caratterizzano i prodotti di design attuali. Eppure proprio questo confronto e il rapporto con la tradizione possono stimolare il coinvolgimento e innescare una nuova sfida». Quanto le produzioni in ceramica sono apprezzate? «Credo che siano apprezzate soprattutto le produzioni artigianali locali, che rappresentano una varietà di grande sofisticazione e diversificata nelle produzioni di tanti centri, come Albissola, Vietri, De Ruta, Caltagirone, Mondovì, Faenza e Montelupo, solo per citarne alcuni, ognuno caratterizzato da una

propria storia e da decorazioni riconoscibili e particolari. Meno riconosciuta, se non tra gli addetti ai lavori, è invece la ricerca moderna legata ai protagonisti dell’arte e del design già a partire dal periodo del Futurismo del secolo scorso». Attraverso quali percorsi andrebbe promossa la tradizione della ceramica italiana? «La ceramica è un materiale antico e affascinante che meriterebbe un progetto specifico di valorizzazione, in termini di sistema, per dare giusta visibilità al lavoro straordinario di tante persone. l progetto in sé dovrebbe essere strategico e rivolto a introdurre innovazione nel comparto, favorendo al contempo la commercializzazione di prodotti tradizionali e la sfida per la realizzazione di nuove collaborazioni tra designer e comunità locali». 2014 • DOSSIER • 149


FOCUS EMILIA ROMAGNA

La ricerca tecnologica sui tessuti L’incertezza connaturata al settore dell’abbigliamento moltiplica il coefficiente di difficoltà che il periodo recessivo impone. Ecco come l’Emilia Romagna dei tessuti reagisce alla crisi Remo Monreale

are previsioni sull’andamento del mercato nel mondo della moda è sempre stato difficile: le collezioni hanno tempi di creazione e produzione di quattro mesi che, riflesse su un anno, scompongono in troppe variabili i possibili risultati. Ma è solo un’ulteriore difficoltà cui i produttori del settore sono sottoposti, oltre al calo dei consumi e i costi di produzione sempre più alti. Il distretto tessile di Carpi, se si considera lo stop di tre mesi dovuto al terremoto nel 2012, è tra i più colpiti. Eppure affronta la sfida senza nessuna intenzione di fare sconti sulla qualità proposta. È come hanno risposto Pasquale Mannetta, Alfonso

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La Tessuti & Tessuti Srl ha sede a Carpi (MO) www.tessutietessuti.com

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Mannetta e Giancarlo Romagnoli, messi alla prova nel nuovo contesto con la loro Tessuti&Tessuti. «Un problema molto grave legato al nostro settore – spiega Pasquale Mannetta – è dovuto alla complessità produttiva che deve tener conto di aumenti dei costi di energia e materia prima. Questo determina prezzi difficilmente appetibili per il mercato in crisi di questo periodo. Oltre al continuo aumento dei costi, dobbiamo affrontare anche richieste di quantità che non rispecchiano un’economia in salute. Questo è particolarmente gravoso per aziende come la nostra, caratterizzate da prodotti di alta qualità realizzati con un livello tecnologico avanzato». Nonostante questa premessa i risultati dell’azienda carpigiana sono tutt’altro che negativi. «Il trend non ha subito cedimenti – dice Pasquale Mannetta – e ora una delle prossime sfide riguarda l’espansione del nostro export. Dopo avere consolidato la sua posizione sul mercato italiano, ci siamo rivolti con attenzione allo sviluppo dei mercati esteri, in particolare Francia, Finlandia, Germania, Inghilterra, Portogallo, sviluppando una presenza anche in Australia ed Estremo Oriente. Riguardo ai processi d’internazionalizzazione, la partecipazione a due importanti manifestazioni a Milano e Parigi ci garantisce i contatti necessari nei paesi dove siamo ancora poco presenti, come la Cina, la Russia e gli Stati Uniti». Tessuti & Tessuti produce tessuto a maglia per abbigliamento, prevalentemente femminile. «Le nostre – Giancarlo Romagnoli – continua sono collezioni ad alto contenuto di ricerca


Tessuti & Tessuti

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Oltre al continuo aumento dei costi, dobbiamo affrontare anche richieste di quantità che non rispecchiano un’economia in salute

realizzate su un'ampia gamma di fibre, sia naturali (lana, cashmere, angora, seta, cotone, lino) che artificiali (viscosa, acetato, modal, cupro) e sintetiche (poliammide, poliestere, acrilico, elastomero). Le fibre vengono utilizzate sia pure che in mischia con filati di prima qualità continui, discontinui e crespi. I nostri articoli sono sviluppati sulla scorta di indagini e analisi del mercato, che determinano peso, aspetto, tessitura e materiali usati. Siamo particolarmente attenti a questi ultimi, non a caso abbiamo ottenuto la certificazione Gots n. 2008-037, che riguarda i prodotti biologici». Lo standard delle realizzazioni è dato anche dal

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livello tecnologico che i tre soci cercano di mantenere il più alto possibile. «Le nostre macchine – dice Pasquale Mannetta – sono di ultima generazione e le prevedibili innovazioni future sono indirizzate all’ottenimento di prodotti diversi tramite sistemi elettronici che ci permettano rapidi cambiamenti, pur mantenendo un alto livello di qualità. Questa è ottenuta anche grazie alla stretta collaborazione con i fornitori che ci seguono nella sperimentazione di fibre e componenti nuovi: questo legame nella ricerca e nello studio permette al nostro prodotto finale di presentarsi sul mercato come unico. Questo aspetto è molto importante per tutto il settore in Italia. Il 2014 dovrebbe essere l’anno della ripresa, per quanto lieve quindi è importante dare visibilità alla nostra identità in quanto italiani e alla nostra immagine di produttori e ricercatori di moda». 2014 • DOSSIER • 151


FOCUS EMILIA ROMAGNA

L’alimentare deve fare rete Giancarlo Bompani fa il punto sul settore della movimentazione di prodotti dell’industria dell’imbottigliamento. Dove la crisi si è fatta sentire su più fronti. Anche se la Commissione europea sta cercando di intervenire Matteo Grandi

a Commissione europea interviene in aiuto delle piccole e medie imprese e delle società a media capitalizzazione per cui, in periodo di crisi, ottenere finanziamenti è diventato sempre più complicato. La maggior parte di queste realtà dipende fortemente dal credito bancario tradizionale, ma circa un terzo delle Pmi, in questi ultimi anni, non sono riuscite a ottenere i finanziamenti di cui avevano bisogno. Per questo l’esecutivo Ue ha deciso di istituire un quadro di aiuti di Stato

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Bompani Srl si trova a Parma www.bompanisrl.it

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per Pmi e società a media capitalizzazione, in modo da aiutarle a superare le fasi più critiche del loro ciclo di vita. «Sicuramente – spiega Giancarlo Bompani, titolare della Bompani srl di Parma, azienda leader nel settore degli impianti di imbottigliamento – si tratta di una notizia positiva perché lo stato delle Pmi italiane è alquanto critico. In termini numerici purtroppo stiamo soffrendo. Per la nostra azienda il biennio appena chiuso ha evidenziato un calo di fatturato del 23 per cento nel 2013 sul 2012. Nonostante tutto questo però ci sono dei lati positivi che derivano soprattutto dall’estero. La nostra società infatti ha consolidato la presenza (in partnership con grossi gruppi del settore) in diverse parti del mondo oltre che in Italia». Risultati che fanno ben sperare, vista soprattutto la difficile situazione che si continua a registrare all’interno del territorio nazionale. «Quello che stiamo osservando, è proprio una sempre maggiore difficoltà nell’accesso al credito. Per questo guardare oltre confine si sta rivelando sempre più importante». La crisi per Bompani, che si occupa di progettare, realizzare e installare linee complete per la movimentazione di prodotti dell’industria dell’imbottigliamento e di quella alimentare, si è fatta sentire su vari fronti. «Abbiamo visto ridursi, le attività lavorative e le


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Dobbiamo creare una rete compatta che unisca fornitori, costruttori e operatori ricreando un equilibrio di distribuzione e di benessere

ore lavorate. Tutto ciò ha avuto ovviamente conseguenze negative per l’azienda che è stata interessata da un calo del fatturato e dalla riduzione della marginalità sul venduto. In queste occasioni la risposta dell’azienda è fondamentale. Noi abbiamo reagito limando i prezzi e cercando di ottimizzare i costi di produzione, attraverso una migliore standardizzazione, riducendo il magazzino, lavorando a commessa, contenendo i costi e chiedendo sinergia ai fornitori. Anche attraverso un ulteriore abbassamento dei prezzi di acquisto». L’ottimizzazione ha riguardato anche il settore di ricerca e sviluppo. «questo è il comparto che più ha risentito del taglio agli investimenti. Ci siamo trovati a non sviluppare nuovi progetti, ma a potenziare solo le nuove soluzioni per i clienti al momento in cui l’ordine era certo. La conseguenza naturale è la progettazione in tempi ridotti e per applicazioni specifiche non altrimenti utilizzabili. Al momento abbiamo in corso diverse proposte, e siamo in attesa delle scelte dei clienti». Malgrado le difficoltà, la qualità dei prodotti e il rispetto delle normative, restano una prerogativa fondamentale per Bompani. «Nella progettazione delle linee – prosegue Bompani –

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il rispetto del risparmio energetico resta una delle caratteristiche basilari. Questo soprattutto a seguito del recepimento delle normative della zona Cee e di altre zone del mondo. Per questo utilizziamo motoriduttori di nuova generazione a consumi ridotti e con migliore efficienza. Particolare attenzione è prestata inoltre al contenimento dell’inquinamento e alla sicurezza sul lavoro. La proposta di alcuni componenti a maggior costo iniziale, maggiore efficienza e minore inquinamento, si scontra spesso però con la volontà dei committenti, incentrata sempre di più all’esasperazione del risparmio». Per l’anno appena iniziato, Bompani ha le idee chiare su dove intervenire. «L’obiettivo principale – conclude il titolare - è quello di superare lo stallo attuale in vista del miglioramento delle condizioni generali che ci consentano una risalita in termini di stabilità della produzione, di aumento del fatturato e relativo aumento dei margini. Riuscire a creare una rete compatta che unisca fornitori, costruttori, operatori e tutto ciò che può concorrere a ottenere condizioni migliori per tutti, ricreando un equilibrio di distribuzione e di benessere per tutte le parti resta il nostro obiettivo principale». 2014 • DOSSIER • 153




INVESTIRE NELL’ARTE

Il futuro è delle arabe fenici L’arte, come il fuoco, ha potere rinnovatore. Entrambi possono fare tabula rasa per poi ripartire da basi nuove. Il fuoco è un tema caro alla Fondazione Furla, che da anni investe sui giovani creativi italiani Teresa Bellemo

L Sopra, l’installazione di Chiara Fumai vincitrice del Premio Furla 2013. Qui sotto, Jimmie Durham con Giovanna Furlanetto

a moda, l’arte e la creatività sono vagoni differenti che però corrono spesso sullo stesso binario. Ciò che li accomuna è il loro viaggiare a una velocità più forte, che li rende apripista dell’intera società e dei costumi di ogni periodo storico. In un momento come questo, dove la crisi spesso sembra aver divorato tutta la semantica della parola futuro, serve crederci ancora di più. A maggior ragione in Italia, dove proprio su queste peculiarità riconosciute a livello internazionale, può basarsi un nuovo rinascimento. L’idea della Fondazione Furla è nata proprio da questa considerazione. «Seguire le indicazioni dei giovani artisti e dare loro più possibilità per esprimersi è la via che l’azienda Furla ha percorso fin dal 2000», evidenzia la presidente Giovanna Fur-

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“Add Fire” è l’immagine di una fiamma che brucia e che sembra invitare a non accontentarsi mai. Non è questo, in fondo, l’insegnamento dell’arte?

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lanetto. Il programma della Fondazione prevede proprio lo sviluppo dei progetti che riguardano la promozione della creatività italiana, come lo stesso Premio Furla. «Abbiamo sempre cercato di tenere un equilibrio tra lo sguardo spesso fragile, sussurrato, non dichiarato dei giovani artisti contemporanei e la dimensione del marketing dell’azienda senza inquinare i reciproci compiti». Quali i prossimi obiettivi della Fondazione? «Il Premio Furla per giovani artisti italiani è l’attività più impegnativa e importante della Fondazione e nel 2015 si celebra la sua decima edizione. Sarà un’occasione per fare il bilancio di questi quindici anni di arte italiana. Accanto a questo progetto principale ci saranno altre attività legate al sostegno e alle nuove produzioni di giovani artisti, approfondendo anche il legame con l’azienda, con aperture verso la dimensione inter-


Giovanna Furlanetto

nazionale. Mi sembra che in un periodo di crisi come questo, che ha costretto tutti i settori a forti ridimensionamenti la cultura sia stata messa in una condizione ancora più fragile e che ciascuno debba responsabilizzarsi per ritrovare un senso etico nel proprio fare e progettare». In quali termini moda e arte possono fondersi per fare da trampolino di rilancio del nostro Paese? Quali le qualità, i talenti su cui puntare? «La collaborazione fra imprese e arte diviene decisiva e necessaria ancora di più quando ci sono momenti di buio come il nostro. Bisogna guardare avanti e non c’è niente di più lungimirante che la visionarietà dell’artista. La carica innovatrice, la capacità di aprire sguardi inediti sulla realtà sono le caratteristiche essenziali della ricerca artistica e le imprese guardano a essa con interesse, per attingere nuove forze creative. Ma è proprio lasciando all’arte la sua libertà di espressione, senza vincolare gli artisti nell’uso di materiali o soggetti specifici, che anche la stessa impresa può trarre un vantaggio o un’apertura dall’investimento in ambito artistico. Credo che la forza che l’arte può dare in un progetto di rilancio sia la capacità di riflettere sia di accogliere l’instabilità dei continui cambiamenti che viviamo e che vediamo riflessi nella nostra società». Cosa l’affascina dell’arte contemporanea, quale il suo ruolo nella dialettica sociale? «Le rispondo secondo l’insegnamento e la spinta che ho ricevuto dall’ultimo padrino del Premio Furla, Jimmie Durham, con il suo titolo “Add Fire”. Mi è piaciuto come abbia voluto spingere gli artisti verso il nuovo, a ricominciare sempre dall’inizio, per essere più liberi e uscire dagli alfabeti correnti, dai linguaggi comuni e dalle forme riconosciute. “Add Fire” è l’immagine di una fiamma che brucia e che sembra invitare a non accontentarsi mai, a non arrendersi alle parole e alle immagini vuote, monotone e inutili della macchina politica e massmediale perché invita ad aggiungere fuoco, dove le fiamme riescono a divorare parole e immagini, lasciando spazio alla loro rinascita. Non è questo, in fondo, l’insegnamento dell’arte?». Lo scorso agosto a Venezia la Fondazione ha presentato in anteprima “The Abramovic

Method”. Qual è il segreto della forza comunicativa di quest’artista? «Marina è grandissima e ogni volta che la incontro vengo travolta dalla sua forza ed energia. Ci è sembrato importante seguirla e dare visibilità al suo “metodo”. Quando è stata madrina del Premio Furla nel 2009 ci aveva regalato un titolo che oggi ritorna come una forte indicazione: “The spirit in any conditions does not burn”. Questa frase, soprattutto in un momento di crisi come quello attuale, ricorda che quando lo spirito esiste e arde difficilmente le avversità della vita riescono a consumarlo o a distruggerlo. È in questa direzione che un’artista come Marina mi è sempre venuta incontro e la sua forza comunicativa è nel suo messaggio etico».

Marina Abramovic e Chiara Fumai, vincitrice del Premio Furla 2013, sono donne ed entrambe performer. Come si pone l’arte performativa nello scenario dell’arte contemporanea? «L’arte performativa ha di nuovo assunto un senso forte perché si basa su una forte relazione tra il pubblico e il performer. La società è pronta a farsi coinvolgere nelle azioni creative degli artisti, ad ascoltare parole e messaggi nuovi, o a vedere oltre nelle riedizioni di pensieri che sembravano finiti o asfittici, come appunto nel discorso sul mondo femminile e femminista portato avanti da Chiara Fumai».

Marina Abramovic durante la performance "The Artist Is Present" al Moma di New York

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INVESTIRE NELL’ARTE

L’arte entra in azienda Attraverso l’attività della Fondazione Ermanno Casoli, Elica fa perno sull’arte contemporanea per stimolare i processi di innovazione. Ne parla Francesco Casoli, presidente del Gruppo e vicepresidente della Fondazione Francesca Druidi

stendere la propria visione del mondo, ma anche approfondire e sviscerare una parte di sé stessi spesso inedita. Questo ti permette l’arte: un’esperienza che non viene di frequente accostata all’attività imprenditoriale. Francesco Casoli, patron di Elica, racconta come invece l’arte contemporanea possa integrarsi nella realtà dell’impresa con esiti importanti, come dimostra la collaborazione tra Elica e la Fondazione Ermanno Casoli, nata nel 2007 per avvicinare l’arte al mondo industriale. Mecenatismo e formazione. Come, attraverso le iniziative della Fondazione Ermanno Casoli, si declina per Elica il concetto di cultura? «I mondi dell’arte e dell’impresa possono sembrare distanti tra loro mentre, al contrario, dall’esperienza della collaborazione di Elica con la Fondazione Ermanno Casoli posso affermare che non solo hanno punti in comune, ma possono anche trarne reciproco vantaggio. L’impresa senza l’innovazione, che può derivare anche dagli ambiti apparentemente più lontani quale il mondo dell’arte, rischierebbe una paralisi del pensiero. Investire in arte per noi vuol dire investire sul capitale umano, arricchendolo, e contribuire a creare una nuova cultura d’impresa. È così che un’azienda si sviluppa e cresce: innovando continuamente, non solo prodotti o servizi ma soprattutto all’interno, aiutando le proprie persone a cercare sempre stimoli che possano permettere di portare nell’impresa idee nuove, creative e artistiche». Quanto effettivamente questa dimensione fa bene a un’azienda sotto diversi profili

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Francesco Casoli, presidente del Gruppo Elica

(penso anche al versante della promozione) e, nello specifico, al Gruppo da lei guidato? «Fa bene, soprattutto, alle nostre persone: ci aiuta a creare un clima di lavoro migliore, a facilitare le relazioni interpersonali, agevolando le dinamiche del lavoro in team. Sono riconducibili anche a questo approccio, che ci impone di abbattere ogni barriera mentale, alcuni importanti riconoscimenti ottenuti in Italia e nel mondo per l’innovazione e il design dei nostri prodotti o alcuni premi nell’ambito delle risorse umane per il buon clima di lavoro in azienda».


Francesco Casoli

WORKSHOP

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GLI INCONTRI REALIZZATI DALLA FONDAZIONE ERMANNO CASOLI (4 NEL 2013) COINVOLGENDO 14 ARTISTI, CIRCA 500 DIPENDENTI DI ELICA, 10 AZIENDE, 1 LICEO ARTISTICO

Workshop nell’ambito dell’iniziativa E-Straordinario

Col progetto “E-Straordinario” si punta ad avvicinare l’arte contemporanea all’industria, in particolar modo alle nuove generazioni. Come si è sviluppata questa idea di arte come formazione? Avete in programma nuove iniziative? «Il progetto nasce proprio dal desiderio di utilizzare l’arte per la formazione delle persone. In azienda invitiamo artisti riconosciuti a livello internazionale a realizzare lavori che coinvol-

gano direttamente le nostre persone, attraverso dei workshop progettati anche con il supporto di importanti società di formazione aziendale. L’arte contemporanea può essere un valido strumento per diffondere contenuti innovativi e anticonvenzionali, capaci di favorire salutari cambi di punti di vista e ragionamenti meno meccanici. A dimostrazione del successo di EStraordinario – che ha ottenuto il patrocinio del ministero per i Beni e le attività culturali - sono ormai numerose le aziende che si avvalgono della collaborazione della Fondazione Ermanno Casoli per la formazione delle proprie persone. Lo scorso settembre, per la prima volta, abbiamo dato vita a “E-Straordinario for kids”, rivolto ai figli dei nostri dipendenti. Protagonista del workshop, “La memoria dell’elefante”, è stato Mario Airò, artista considerato uno dei più importanti della sua generazione a livello internazionale. Nei prossimi mesi contiamo di organizzare workshop di questo tipo anche nelle nostre sedi all’estero». Come dialogano all’interno dell’azienda i concetti di innovazione con quelli di cultura, formazione, responsabilità sociale e anche di radicamento nel territorio di origine? «L’arte può essere il fil rouge che attraversa e lega tutti questi concetti. Con queste attività cerchiamo di dare un segnale concreto di attenzione nei confronti delle nostre persone e del nostro territorio di origine. Tutte le nostre iniziative, volte all’innovazione e alla contaminazione tra ambiti differenti, ci aiutano ad abbattere ogni tipo di barriera, a favorire il rispetto reciproco tra le persone e a rendere più coesa la squadra per raggiungere meglio, e insieme, gli obiettivi aziendali comuni. La Fondazione, naturalmente, ha uno sguardo rivolto anche all’esterno: per esempio, con l’ultima edizione del Premio Ermanno Casoli, la Fondazione ha collaborato con tre aziende del senese, accogliendo l’invito della città di Siena a realizzare il progetto dell’artista vincitore del premio all’interno delle attività a sostegno della candidatura di Siena a Capitale europea per la cultura del 2019». 2014 • DOSSIER • 161




TURISMO

Il settore cambia pelle Sebbene sia innovativa e abbia garantito negli anni importanti risultati agli operatori, la legge sul turismo dell’Emilia Romagna subirà delle modifiche per assecondare la domanda in continua evoluzione e sfruttare al meglio le proprie eccellenze. Il punto dell’assessore regionale Maurizio Melucci Renata Gualtieri

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ll’ultima conferenza generale sul turismo che si è tenuta al Museo Ferrari di Modena, l’assessore Melucci ha dichiarato che la legge 7 dell’Emilia Romagna è ora che cambi pelle. Tra le ragioni del cambiamento, la necessità di abbandonare i campanilismi presenti in regione quando la legge nacque, nel 1998, e il superamento delle unioni di prodotto (costa, città d’arte, Appennino e verde/terme) per offrire una serie di pacchetti turistici legati al territorio in grado di aumentare l’appeal nei confronti di un mercato sempre più esigente. Al via, dunque, le modifiche che permetteranno di raggiungere quest’obiettivo, fermo restando la sinergia tra l’operato del pubblico e del privato che ha dimostrato sin qui di funzionare. Cosa cambierà in concreto? «Da quattro unioni di prodotto si potrebbe arrivare a tre di natura territoriale: la prima legata alla Romagna, e quindi la costa che va da Cattolica a Comacchio e le province dell’entroterra; la seconda che corrisponde a Bologna e l’area

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metropolitana; infine, la terza cioè quella dell’Emilia. Ci saranno poi alcuni punti di attrazione, che però non saranno configurati in unioni, come la neve e il termale, un’eccellenza della regione formata da tante imprese in rete, esperienza da ripetere in altri settori anche in previsione di Expo 2015. Per il turismo bianco verrà sfruttato l’accordo raggiunto con la Toscana per la promozione unitaria del turismo dell’Abetone, del Cimone e di tutto l’Appennino di confine che permette di presentarci in maniera diversa sui mercati internazionali». Lei ha detto di voler “georeferenziare” le vostre eccellenze. Come sarà possibile? E quanto diventa importante quest’operazione, anche in vista di Expo 2015? «In regione abbiamo prodotti che sono conosciuti in tutto il mondo come il Parmigiano Reggiano, l’aceto balsamico, i

Punteremo a consolidare i nostri mercati storici e quelli meno storici, come l’est Europa e la Russia, e guarderemo ad Asia, Cina, India e Brasile


Maurizio Melucci

prosciutti o, pensando al made in Italy, i marchi Ferrari, Maserati, Ducati e Lamborghini. Georeferenziare significa creare offerte turistiche che mettano in risalto queste eccellenze che sono radicate nel cuore della nostra regione. Expo 2015 rappresenta una grande opportunità perché ci consentirà di costruire percorsi per assaporare e assistere alla produzione di queste eccellenze». In termini di arrivi, il 2013 dell’Emilia Romagna chiuderà con la flessione del 3 per cento per quelli domestici e la crescita del 4 per cento per i visitatori stranieri. Quali gli obiettivi da porsi per il 2014 e le strategie per raggiungerli? «Il 2013 è stato tutto sommato positivo grazie all’incremento del mercato estero. È su questo che insisteremo anche nel 2014, tenendo conto che il mercato domestico continuerà ad avere dei problemi, e punteremo a consolidare i nostri mercati storici di riferimento come la Germania, e quelli meno storici ma molto interessanti, come l’est Europa e la Russia, e guarderemo ad Asia, Cina, India e Brasile, dove abbiamo avuto già alcuni contatti interessanti».

L’innovazione dell’offerta turistica passa anche dal web. L’Emilia Romagna come si impegnerà a migliorare la presenza online? «Siamo già posizionati abbastanza ben sul web perché la nostra azienda di promozione turistica regionale, l’Apt, è un’eccellenza a livello nazionale ed europeo per quanto riguarda il web 2.0 e le prenotazioni online. Inoltre, una rete d’imprese legate a Confcommercio e Confesercenti ha costituito il portale “Visit Emilia Romagna”, che dà la possibilità di prenotare direttamente la struttura ricettiva. La prenotazione tramite il sito ufficiale della Regione Emilia Romagna turismo è poi un’innovazione importante che offre ai turisti un marchio di garanzia dei servizi offerti». L’attenzione alla sostenibilità ambientale è elemento premiante nella scelta dei turisti internazionali. Qual è l’impegno in tal senso da parte della Regione? «La qualità ambientale è fondamentale. Stiamo cercando d’intensificare il turismo ambientale cercando di guardare alle tante opportunità che offre il delta del Po, come

hanno fatto in altri Paesi, basti pensare ai percorsi fluviali del Danubio o del Reno, sfruttando la nascita di nuove startup d’impresa. Sulla costa, invece, in collaborazione con i Comuni stiamo creando progetti di riqualificazione urbana: meno auto, più spazi pedonali e piste ciclabili accrescono l’appeal delle nostre zone turistiche». Come si esprimerà la determinazione dell’assessorato per mantenere tutti gli scali operativi? «Non possiamo assicurare di mantenere tutti gli scali operativi perché l’Enac sta facendo un nuovo bando per Forlì mentre l’aeroporto di Rimini è stato dichiarato fallito. C’è un ricorso in corte d’appello che si esprimerà a fine febbraio e ci auguriamo che venga dato in concordato. Abbiamo, dunque, l’assoluta necessità di avere un aeroporto strategico in Romagna per i charter e i voli low-cost turistici, soprattutto nei confronti del mercato russo».

L’assessore al turismo dell’Emilia Romagna Maurizio Melucci

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EDILIZIA

Serve un piano per le opere pubbliche Dai dati contenuti nell’ultimo osservatorio congiunturale presentato dall’Ance emerge che la caduta del settore si è ulteriormente aggravata. Il presidente nazionale dei costruttori, Paolo Buzzetti, traccia un bilancio dell’anno appena trascorso e delinea le prospettive future Renata Gualtieri

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uello che si è appena concluso è stato il sesto anno consecutivo di crisi per le costruzioni. «Ci troviamo di fronte alla deindustrializzazione del settore dichiara il presidente Paolo Buzzetti - e i numeri purtroppo lo confermano: sono 745mila i lavoratori rimasti a casa e 12.600 le imprese fallite dall’inizio della crisi. La forte riduzione di nuove abitazioni e opere pubbliche ha fatto crollare gli investimenti di oltre il 40 per cento in questi anni». L’unico comparto che si è salvato, grazie agli incentivi fiscali sulle ristrutturazioni e agli ecobonus prorogati e potenziati dal governo è quello della riqualificazione. Queste misure hanno prodotto un aumento del giro d’affari di quasi 18 miliardi nei primi dieci mesi del 2013 e un aumento delle entrate tributarie. «È la riprova che quando lo Stato decide d’investire nell’edilizia, gli effetti positivi

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sull’economia sono rapidi ed efficaci». Quali gli interventi necessari per far ripartire il settore? «Partendo da questa situazione le previsioni non possono essere troppo ottimistiche. Più volte si è parlato del 2014 come l’anno della ripresa economica, ma per l’edilizia non sarà così, a

meno di un’iniezione di risorse con un piano di piccole e medie opere pubbliche. La legge di stabilità ci ha messo di fronte a una coperta troppo corta in cui le poche risorse a disposizione sono state sparpagliate in troppi ambiti: un modo per cercare di accontentare tutti senza davvero essere utili per nessuno. Eppure le


Paolo Buzzetti

In Italia il sistema contributivo dell’edilizia è il più caro in assoluto, eppure non garantisce stipendi adeguati ai lavoratori

risorse ci sarebbero. Basterebbe poter usufruire della flessibilità (0,3 per cento del Pil) prevista per gli investimenti sul patto di stabilità degli enti locali per sbloccare 5 miliardi di investimenti per le opere pubbliche utili ai cittadini. Dopo essere rientrati in tempi record dalla procedura d’infrazione del deficit, appare ingiustificato il rifiuto dell’Europa all’applicazione in Italia della clausola per gli investimenti».

Tra le priorità indicate c’è la necessità di abbassare il costo del lavoro. Come occorre rivedere il sistema di contribuzione dell’edilizia? «In Italia il sistema contributivo dell’edilizia è il più caro in assoluto, eppure non garantisce stipendi adeguati ai lavoratori. Rispetto agli altri settori industriali ci sono 10 punti di oneri in più, una differenza del tutto ingiustificata. Ed è inevita-

bile che in un momento così difficile le imprese facciano spesso ricorso agli ammortizzatori sociali e, in extrema ratio, anche a procedure di licenziamento. Non possiamo chiedere di più ai nostri imprenditori, basti pensare che a fronte di uno stipendio di 1.500 euro ne versano 4.500. Si deve eliIl presidente Ance minare questo squilibrio Paolo Buzzetti abbassando i 10 punti in più di oneri e mettendoli in tasca ai lavoratori». Sul fronte delle opere pubbliche, in che misura sono necessari per il Paese un piano per la difesa del territorio e la messa in sicurezza delle scuole? «I tragici eventi che ogni anno si abbattono sul nostro Paese dovrebbero far riflettere sull’urgente necessità di un piano d’interventi per la messa in sicurezza del territorio e degli edifici 2014 • DOSSIER • 177


EDILIZIA

Negli ultimi otto anni il fatturato realizzato oltre confine dalle imprese di costruzioni è triplicato

pubblici, a cominciare dalle scuole. Non possiamo coprirci gli occhi e poi puntualmente disperarci per le tragedie che alluvioni, frane e terremoti provocano periodicamente. Oltre al dramma delle vittime, i costi per riparare i danni sono ingenti: dal 1944 al 2012, abbiamo speso 242,5 miliardi di euro per le emergenze, circa 3,5 miliardi all’anno. Investire nella sicurezza del territorio dovrebbe essere una priorità per qualsiasi Paese civile e garantirebbe anche un notevole risparmio di risorse». Dall’ultimo rapporto Ance sull’industria delle

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costruzioni italiane nel mondo si evince una crescita della presenza delle imprese italiane all’estero, a fronte della difficile crisi del settore all’interno dei confini nazionali. Come commenta questi risultati e quali i mercati più com-

petitivi? «È la competizione sempre più globale e il mercato interno in grande difficoltà a spingere le imprese italiane a lavorare all’estero. I principali Paesi stranieri, dagli Stati Uniti al Giappone, oltre a quelli in via di svi-


Paolo Buzzetti

745.000 I LAVORATORI RIMASTI A CASA DALL’INIZIO DELLA CRISI INSIEME A 12.600 IMPRESE FALLITE

luppo, stanno affrontando la crisi con grandi investimenti in infrastrutture. In questo scenario è chiaro che le nostre imprese stiano sviluppando il loro know-how tecnologico per andare all’estero. Negli ultimi 8 anni il fatturato realizzato oltre confine è triplicato, passando da 3 a quasi 9 miliardi, con una crescita media del 14,5 per cento ogni anno. Tutto ciò dimostra quanto le imprese italiane di costruzione siano altamente competitive e abbiano ormai raggiunto i vertici dell’industria mondiale. Nell’ultimo anno l’edilizia italiana si è spinta anche al di là dei tradizionali Paesi di riferimento, riuscendo a penetrare in mercati sempre più competitivi e selettivi, come Canada, Stati Uniti e Australia».

I rubinetti del credito sono ancora chiusi per l’edilizia: dal 2007 -80 miliardi di finanziamenti alle imprese e -76 miliardi di mutui alle famiglie. Quanto si può rivelare importante l’accordo che Abi e Cassa depositi e prestiti hanno firmato a fine novembre per riattivare il circuito dei finanziamenti per l’acquisto della casa? «Il circuito del credito che fino a pochi anni fa aveva garantito alle imprese d’investire, alle famiglie di acquistare casa e alle banche redditività si è completamente bloccato. È importante però ricordare che tra banche e edilizia esiste un rapporto strettamente connesso. Per questo continuando a negare il credito al nostro settore, non solo si fanno fallire le imprese, ma si

mette a repentaglio l’intero sistema bancario. Occorre, quindi, riaprire subito i rubinetti del credito e in questo senso l’accordo tra Abi e Cassa depositi e prestiti è la soluzione giusta, a cui peraltro l’Ance ha collaborato in maniera sostanziale. Con questo accordo, infatti, la Cassa depositi e prestiti mette a disposizione delle banche un plafond di 5 miliardi di euro che serviranno a rimettere in moto il circuito del finanziamento per l’acquisto della casa. L’importanza della riuscita di questa operazione è fondamentale perché si potrà attivare un giro d’affari del mercato immobiliare residenziale pari a 8 miliardi di euro e investimenti in costruzioni per 1,3 miliardi, con una ricaduta sull’economia di oltre 4 miliardi di euro». 2014 • DOSSIER • 179


EDILIZIA

L’austerity blocca il settore Gli ultimi dati confermano l’andamento negativo delle imprese di costruzioni e una crisi strutturale che preoccupa gli imprenditori perché l’edilizia rappresenta il 15 per cento del Pil marchigiano. Il punto del presidente regionale dell’Ance Massimo Ubaldi Renata Gualtieri

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Massimo Ubaldi, presidente di Ance Marche

a produzione edilizia delle imprese marchigiane nel primo semestre 2013 è diminuita del 7,7 per cento rispetto all’anno precedente. L’edilizia abitativa ha registrato un ulteriore calo della produzione di oltre l’8 per cento su base annua, nonostante l’apporto positivo derivante dall’attività di recupero e riqualificazione degli edifici, soprattutto privati, a seguito degli incentivi fiscali riproposti dal governo. Il mercato dei lavori pubblici, dalla crisi del 2008, ha subìto una contrazione del 33 per cento e «questo trend negativo - commenta il presidente di Ance Marche Massimo Ubaldi - non appare destinato a essere inver-

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tito con una conseguente caduta dell’occupazione. Secondo una ricerca di Fondazione Merloni, Censis e Università delle Marche, in meno di 5 anni la nostra regione ha perso 3.865 imprese e 1.337 erano nelle costruzioni, falcidiando così migliaia di posti di lavoro». Quali le aspettative per il 2014 e gli interventi per far ripartire il settore? «Il rilancio è possibile. Occorre però pagare i lavori pubblici eseguiti dalle imprese modificando le regole del patto di stabilità, definire un programma prioritario d’interventi pubblici per la messa in sicurezza del territorio, la riqualificazione e l’ammodernamento del patrimonio di edilizia scolastica, varare un programma di opere pubbliche piccole e medie funzionali per la riqualificazione delle nostre città. Sblocco degli investimenti, interventi che garantiscano l’accesso al bene primario della casa e la riqualificazione del patrimonio edilizio, un pacchetto di misure sulla fiscalità edilizia che favorisca la rottamazione dei vecchi fabbricati e la loro sostituzione con edifici di nuova generazione». E a livello regionale?

«Ance Marche ha avanzato una serie di richieste alla Regione perché nella nuova legge sull’urbanistica vengano tenute in considerazione esigenze prioritarie per le imprese: tempi rapidi e snellimento delle procedure; possibilità d’intervenire anche nelle zone A (centri storici) ai fini della loro effettiva riqualificazione, limitatamente agli edifici incongrui e privi di pregio; significativa riduzione degli oneri concessori dovuti con particolare riferimento agli interventi riguardanti la città costruita; irretroattività delle norme transitorie e certezza del diritto per gli operatori. Tutto ciò in una logica complessiva che sia rivolta alla fattibilità tecnico-economica degli interventi edilizi». Nella seconda metà del 2013 oltre l’80 per cento delle imprese edili non era ancora stata pagata dalla pubblica amministrazione nei tempi previsti dalla legge. Qual è a oggi la situazione in regione? «Anche nelle Marche viviamo la realtà dei ritardati pagamenti per lavori pubblici eseguiti. La regionalizzazione del patto di stabilità ha permesso lo sblocco di parte dei crediti delle imprese, anche per lavori pubblici


Massimo Ubaldi

eseguiti, ma il problema rimane grave. Ance Marche ha già da tempo definito un accordo con società di factoring per lo smobilizzo dei crediti nei lavori pubblici, ma la vera esigenza rimane quella di applicare la direttiva europea pagando i lavori nel termine di 30 giorni». Quali le contromisure dell’Ance regionale riservate ai costruttori e all’accesso al credito? «Come affermato nei mesi scorsi dal governatore della Banca d’Italia Visco, occorre che le banche riducano l’attuale esposizione nei Btp e aumentino il sostegno finanziario a famiglie e imprese. La richiesta di mutui per l’acquisto di abitazioni è crollata del 47 per cento. Per venire fuori dalla crisi è essenziale risolvere il problema della stretta creditizia. Come già attuato dall’Ance con alcuni istituti di credito occorre trovare plafond per lo sviluppo d’iniziative immobiliari, il finanziamento di nuovi cantieri, l’anticipo di circolante su opere eseguite per conto terzi, con particolare attenzione alla riqualificazione del patrimonio edilizio esistente. L’edilizia va finanziata anche su temi strategici come l’efficienza energetica, la formazione, la creazione di reti d’impresa. Per riavviare il settore edile sarebbe importante anche aprire un tavolo di confronto tra banche e imprese, magari con la partecipazione attiva della Regione». Il presidente Buzzetti ha più volte sottolineato che occorre rivedere il sistema di contribuzione dell’edilizia - il più caro in assoluto - che non garantisce stipendi adeguati

È necessario canalizzare sull’edilizia risorse pubbliche e private per riqualificare i contesti urbanistici delle nostre città

ai lavoratori. Quanto sono avvertiti questi problemi dalle imprese della regione e come dare impulso all’occupazione? «Il sistema di contribuzione che grava sul lavoro in edilizia ha raggiunto un peso insostenibile anche per le imprese di costruzioni marchigiane. Occorre intervenire, anche sul cuneo fiscale. Per il problema occupazione, invece, è necessario canalizzare sull’edilizia risorse pubbliche e private per realizzare opere infrastrutturali richieste dalla collettività e riqualificare i contesti urbanistici delle nostre città».

Invertendo la politica di austerity imposta dal patto di stabilità, si può sperare in una ripresa? «Gli investimenti oggi sono fermi. Rivedere l’ambito di applicazione del patto di stabilità è fondamentale perché il settore delle costruzioni possa ripartire. Ciò potrà avvenire solo con l’esclusione dai limiti imposti dal provvedimento di nuovi investimenti per le diverse tipologie d’interventi. Le politiche di austerity eccessive non devono portare al collasso dell’edilizia, settore indispensabile perché un Paese possa definirsi moderno». 2014 • DOSSIER • 181


EDILIZIA

Tecnologie per l’aggregazione L’apertura di nuovi punti vendita nel settore gastronomico ha favorito la produzione di strutture prefabbricate in metallo. Alessandro Tanari presenta le caratteristiche tecniche di questi manufatti, evidenziando le ragioni del loro successo Arianna Lesure

Alcune delle realizzazioni della Tanari Srl di San Lazzaro di Savena (BO) www.tanari.com

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er il settore delle strutture prefabbricate in metallo, il 2013 è stato un anno segnato, da una parte, da un calo drastico su alcune delle linee di produzione dipendenti da settori in crisi, dall’altra da una crescita nella domanda di strutture destinate al settore gastronomico. A confermarlo è Alessandro Tanari, titolare di un’azienda del settore di carpenteria metallica, che realizza strutture su misura: «Il calo è da attribuire all’accelerazione di dinamiche già avviate negli

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anni precedenti – mi riferisco al sistematico ridimensionamento del settore delle edicole. Viceversa, in altri settori abbiamo registrato una crescita del 20 per cento rispetto al 2012. Ciò grazie all’apertura di nuovi punti vendita per bar, gelaterie e ristorazione, che oltre a creare nuova occupazione hanno dato vita a luoghi di aggregazione collettiva. E questo nonostante una delle maggiori criticità dell’ultimo triennio sia stata la mancata erogazione di finanziamenti, risolta in parte facendo ricorso a fondi di garanzia». Quelle progettate da Tanari sono soluzioni polifunzionali ed eclettiche, con creazioni architettoniche suddivisibili in tre classi: totalmente prefabbricate, parzialmente prefabbricate e assemblate in opera e totalmente assemblate in opera. «Il nostro scopo è migliorare la qualità urbana delle nostre città e contribuire all’istituzione di luoghi di aggregazione (strutture mobili, ospedaliere, turistiche, residenziali, commerciali). Per questo seguiamo con attenzione le evoluzioni della società contemporanea. E stiamo cercando di ampliare i nostri orizzonti anche all’estero». Le realizzazioni, risultato di


Alessandro Tanari

collaborazioni anche con società e studi di progettazione esterni, italiani ed esteri, sono strutturate in moduli e formate da un’intelaiatura portante in acciaio zincato e utilizzano diversi sistemi di tamponamento, copertura, rivestimento e pavimentazione, complete di impianto elettrico, di condizionamento, interamente coibentate. «Caratteristica fondamentale è la struttura in acciaio, completata con tutti i materiali da costruzione, accessoriata con impianti elettrici e idraulici. Grazie a questo, le strutture, in base alla destinazione d’uso, possono essere impiegate per diverse attività. Possono ospitare qualsiasi strumentazione tecnologica, essere dotate di cablaggi per il collegamento Gsm ed essere predisposte per l’installazione dell’impianto fotovoltaico. Possono essere prefabbricate in moduli e assemblati in opera oppure costruiti con semilavorati e montati total-

mente in opera e, pur essendo antisismiche, sono di facile rimozione nel caso di installazioni temporanee». Il risultato degli studi architettonici preliminari e la competenza di Tanari nella tecnologia di costruzione, consente di ottenere strutture efficienti, eccellenti come resistenza meccanica e innovative nel design, con la possibilità di raggiungere la certificazione energetica in classe A+. «Questo è stato possibile grazie al nostro costante impegno e investimento nell’attività di ricerca e sviluppo. Siamo da sempre impegnati nel ricercare e garantire la massima solidità delle strutture. Oggi ci concentriamo con crescente attenzione al design dei prodotti, all’utilizzo di nuovi materiali per i rivestimenti e per gli impianti tecnologici. Stiamo operando su alcuni progetti per nuovi semilavorati, sempre ad alte prestazioni, che permettano tempi di montaggio molto più

rapidi, particolarmente indicati per i mercati esteri, dove possono essere montati con mano d’opera locale, contribuendo così a creare opportunità di lavoro in loco – consideriamo queste sinergie un valore aggiunto di grande importanza. Altro aspetto importante è la ricerca di soluzioni sempre più efficienti per l’esportazione via nave, attraverso semilavorati da assemblare sul posto, utilizzando mano d’opera locale a seconda dei paesi di esportazione. I paesi di riferimento dove stiamo puntando per l’esportazione sono quelli europei e i paesi che si affacciano sul Mediterraneo. In più, uno degli obiettivi per il 2014, è quello di aprirci al settore residenziale-turistico nel mercato interno, mediante l’impiego di innovativi sistemi costruttivi». 2014 • DOSSIER • 183


Una leadership confermata Michela Mazzuferi è alla guida di un marchio storico di prodotti per l’edilizia. Il resoconto del 2013 fra le difficoltà nel decollo dell’export e il consolidamento del mercato nazionale. Le strategie di una società che celebra il mezzo secolo di attività Vittoria Divaro

ermo totale del mercato immobiliare. Pochissime nuove costruzioni. Compravendite crollate e interventi di manutenzione ridotti al minimo. Lo stato in cui versa l’edilizia è ormai noto, ma vale la pena sottolinearlo per ricordare che nulla è ancora stato fatto per invertire la rotta. Nonostante questo e nonostante un core business basato su un prodotto semplice e “povero” come lo stucco per rasature e finiture, Prima, l’azienda della famiglia Mazzuferi, oggi rappresentata

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da Michela e Marina, figlie del fondatore Benito, continua a mantenere e migliorare la posizione di primo piano che occupa da cinquant’anni con il marchio K2. «Questo – afferma Michela Mazzuferi – grazie a un gruppo giovane, dinamico e, soprattutto, unito. Un gruppo che ha saputo investire le proprie risorse in nuovi progetti aziendali, sia di struttura (nuova linea di confezionamento), sia di marketing e comunicazione, con un restyling del packaging, la presenza costante sulle riviste di settore e sui loro portali, la ri-


Michela Mazzuferi

progettazione del sito web e un nuovo catalogo prodotti, cartaceo e telematico». Tiriamo le somme dell’anno appena concluso. «Il 2013 si è rivelato più difficile rispetto a ogni previsione. È ormai assodato che la crisi non è congiunturale bensì strutturale, che il mercato difficilmente tornerà come prima e che soprattutto le aziende possono contare solo sulle proprie forze, in quanto manca totalmente l’appoggio delle istituzioni. A fronte di ciò, non ci siamo arresi alle difficoltà e, credendo nei nostri mezzi, abbiamo resistito e reagito, riuscendo a chiudere l’anno con un segno chiaramente positivo (più 4-5 per cento). Questa crescita è stata ottenuta seguendo le linee guida aziendali: contenimento dei costi di gestione, investimento continuo in ricerca e sviluppo di nuovi prodotti, selezione della rete distributiva, attenzione al credito e valutazione di nuove opportunità di

lavoro, anche in mercati esteri». Parlando di estero, quali riscontri avete avuto? «A marzo 2013, abbiamo partecipato per la prima volta a una manifestazione fieristica oltreconfine, negli Emirati Arabi, precisamente in Oman. Purtroppo le nostre aspettative sono state disattese, in quanto i contatti non hanno portato finora a nessun esito positivo. Pur non essendoci arresi sul tentativo di internazionalizzarci, dobbiamo però precisare che il mercato più importante, per ora, si conferma quello nazionale. In Italia, infatti, siamo presenti in tutte le regioni, con una maggiore capillarità al Centro Sud – anche se nel corso dell’ultimo anno abbiamo finalmente registrato ottimi risultati anche nel Nord Est». Come siete riusciti a mantenere le vostre quote di mercato in Italia? «Abbiamo raccolto i frutti degli investimenti fatti nell’ultimo decennio, durante il quale

+5%

CRESCITA REALIZZATA DA STUCCHI PRIMA DEL 2013 ATTRAVERSO IL CONTENIMENTO DEI COSTI DI GESTIONE E L’INVESTIMENTO IN RICERCA E SVILUPPO

siamo riusciti ad automatizzare l’intero ciclo produttivo con l’implementazione di tecnologie che regolano attentamente tutti i diversi passaggi: dal dosaggio delle materie prime alla miscelazione delle componenti, dal confezionamento del pro- In apertura, dotto finito all’imballaggio. Michela Mazzuferi, titolare della Prima Questo ha permesso anche di di Appignano (MC) sgravare il personale da ogni at- www.stucchiprima.it tività manuale e di assegnarlo essenzialmente al controllo e al monitoraggio delle singole fasi del processo produttivo. Questi interventi di potenziamento e automatizzazione hanno rappresentato le tappe indispensabili di una strategia a lungo termine, volta a farci ottenere la certificazione di qualità Iso 9001:2008, riconosciuta dall’ente certificatore Sgs nel 2007 áá 2014 • DOSSIER • 187


MATERIALI

áá e successivamente, nel 2009, la

Il cavalier Benito Mazzuferi, fondatore dell’azienda

marcatura Ce per i rasanti cementizi». E sotto il profilo più strettamente commerciale? «Pensiamo che la collaborazione sia alla base di ogni nuova strategia di vendita. Soprattutto in un mercato in cui alla flessione generale delle vendite corrisponde un aumento di richieste di prodotti di elevata qualità. Il nostro impegno, pertanto, è quello di aiutare i rivenditori a identificare le richieste dei clienti e a cogliere opportunità di vendita che riguardano prodotti specifici, che qualificano sia il rivenditore, sia l’impresa. La difficoltà sta però nell’identificare questo tipo di richiesta. Affinché ciò accada, dobbiamo essere maggiormente attenti nella percezione delle necessità di tutti i clienti. Per far questo, dobbiamo essere noi, prima di

Abbiamo raccolto i frutti degli investimenti fatti nell’ultimo decennio, durante il quale siamo riusciti ad automatizzare l’intero ciclo produttivo

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tutto, a porci come un partner efficiente e affidabile, le cui strategie aziendali siano rivolte essenzialmente a garantire un miglioramento continuo delle prestazioni». Quali sono state le tappe fondamentali del vostro sviluppo industriale? «La fondazione come Colorificio Marchigiano risale al 1964, data storica per Prima, in quanto segna la prima lavorazione di stucco per legno e muri. È allora che prende vita il marchio K2, prima in pasta poi in polvere. Nei decenni l’intera gamma dei nostri prodotti ha assunto sul mercato la notorietà che ancora oggi la contraddi-

stingue. In seguito, la grande trasformazione avviene nel 1990, anno in cui l’azienda assume l’attuale assetto societario, iniziando un brillante sviluppo che, attraverso importanti investimenti in immobili industriali e impianti all’avanguardia, le permetterà di ampliare e potenziare il primo nucleo produttivo». Cosa vi aspettate nel futuro prossimo? «Il 2014 rappresenta un anno particolare per la nostra società, che celebra con grande soddisfazione i suoi primi cinquant’anni di attività. Si tratta di un importante traguardo che ci permette di affrontare con coraggio e serenità le difficoltà del mercato. Consapevoli dell’esperienza pluriennale tramandata dal nostro fondatore storico, è nostra intenzione rafforzare ulteriormente la presenza sul territorio nazionale, soprattutto nel Nord Italia e riuscire a dar seguito alle sporadiche occasioni di vendita all’estero. Anche se, purtroppo, avvertiamo la totale mancanza di una normativa di legge utile a tutte quelle aziende solide e sane che intendono investire in nuovi mercati oltre confine».



Il vetro, tra ricerca e innovazione on sempre il livello tecnologico di una produzione determina o influenza le reazioni del mercato. Eppure, per quanto invisibili, i supporti tecnologici sono decisivi per le realizzazioni del manifatturiero italiano. E il progresso non va solo seguito, ma accompagnato: in definitiva l’esperienza e le competenze non bastano a soddisfare i bruschi movimenti del mercato. Come spiega Michele Battista, amministratore unico della pesarese Liv, che produce e lavora vetri per diversi settori, dagli interni delle abitazioni a quelli degli uffici. «Mode e tendenze – dice Battista – cambiano sempre più velocemente e per riuscire a soddisfare anche le richieste più bizzarre, bisogna andare

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Con Michele Battista alla scoperta delle nuove tendenze e possibilità tecnologiche, in un settore dove il made in Italy può contare ancora su un grande seguito. «Bisogna investire per studiare nuovi prodotti capaci di far incontrare qualità e risparmio» Remo Monreale

oltre un know-how all’avanguardia. Stare al passo con i tempi comporta un continuo rinnovamento di macchinari e formazione delle maestranze, e quindi ogni anno nuovi investimenti nella tecnologia e materiali da studiare. Anche se spesso sono più che sufficienti macchinari di normale entità per soddisfare clienti e costruttori, i supporti tecnologici incidono in maniera pesante in questa ricerca». Nel vostro caso tutto questo in che tipo di impegno si è tradotto?


Michele Battista

La combinazione serigrafica di ceramica e metalli determina una superficie a specchio per un effetto tridimensionale su qualsiasi disegno

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«Destiniamo circa il 10 per cento del fatturato a questo scopo: ci siamo attrezzati per affrontare le nuove mode ed esigenze del contesto odierno, non solo inserendo all’interno della produzione i più moderni macchinari, ma anche investendo nella ricerca di nuovi prodotti capaci di far incontrare qualità ed economicità. Così facendo le metodologie di lavorazione sono sempre migliorate al fine di continuare a garantire una qualità superiore». Quali sono stati i recenti sviluppi più significativi nella vostra attività? «La tecnologia di inserimento di serigrafia ceramica ha portato un aumento notevole del valore aggiunto del prodotto, e con esso è cambiato il design e le funzionalità del prodotto stesso. Una combinazione vincente è stata lavorare in serigrafia ceramica e materiali metallici come oro, rame, argento: insieme, il risultato è una superficie a specchio che rende un effetto tridimensionale su qualsiasi disegno. Questa è una delle possibilità che

vanno ad aggiungersi alle attività più di routine, come il taglio della materia prima, o lavorazioni base come la molatura, la foratura, la fresatura e le incisioni, oltre alle più complesse e di alto livello come la serigrafia per laccati e satinati, la tempera, la curvatura e l’incollaggio». Quali sono i risultati più recenti che avete ottenuto grazie a questo tipo di organizzazione? «Il 2013 è stato un anno che avevamo prefissato come trampolino di lancio, dopo la battuta d’arresto subita con la recessione economica: e così è stato, con un aumento sostanziale del nostro fatturato. Tutto ciò è stato possibile grazie agli investimenti in qualità e design, che negli ultimi tempi si stanno traducendo in nuove

opportunità. Infatti, stiamo lavorando a diversi progetti finalizzati all’esportazione con materiali, design e fornitori italiani: puntiamo al 100 per cento made in Italy». Dunque l’export detiene un ruolo importante per voi. «Stiamo riscontrando un notevole interesse sia in Europa sia negli Usa. In particolare, siamo riusciti ad allargare il nostro giro di clienti in Germania, Inghilterra, Svizzera, ma anche Russia ed Emirati Arabi. Insomma, anche se non possiamo dirci del tutto fuori pericolo e risulta difficile fare previsioni, questi riscontri ci permettono di essere fiduciosi: siamo in un territorio che può fornirci materiali, tecnologie, e persone capaci e motivate a sfidare qualsiasi crisi».

In apertura, Michele Battista, amministratore unico della Liv, con sede a Mombaroccio (PU) www.vetrerialiv.com

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RIQUALIFICAZIONE URBANA

In nome dell’identità urbana Investimenti oculati, progettualità ridotte nelle dimensioni e ricerca di una sponda col privato per recuperare strutture dal valore culturale e turistico. Sono le strategie messe in atto dai sindaci marchigiani per tutelare la bellezza e la vivibilità dei loro centri storici, al netto di portafogli comunali sempre più leggeri. Interventi selezionati e nuove modalità di financing per ovviare ai vincoli statali e proteggere il patrimonio cittadino

ALLA LUCE DELLE MANOVRE DI SPENDING REVIEW CHE HANNO RIGUARDATO TUTTI GLI ENTI LOCALI, COM’È CAMBIATA LA DISPONIBILITÀ DI RISORSE COMUNALI PER IL PIANO DI RIQUALIFICAZIONE DEL CENTRO STORICO?

Giacomo Govoni

QUALI CANTIERI PUBBLICI SONO TRAMONTATI O SLITTATI PER VIA DELLA CARENZA DI FONDI? E SU QUALI, INVECE, AVETE MANTENUTO LA PRIORITÀ?

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Romano Carancini, sindaco di Macerata

Nella Brambatti, sindaco di Fermo

ROMANO CARANCINI «Il periodo di ristrettezze economiche ci impone oculatezza nell’impiego delle poche risorse disponibili e nessuna paura nello stabilire le priorità. Lo stiamo facendo lavorando a un progetto per il centro storico elaborato insieme ad associazioni cittadine, commercianti e residenti. Vivibilità e vitalità sono i due obiettivi su cui è imperniata la nostra politica per garantire, da una parte, la qualità della vita di chi vive e frequenta il centro storico e, dall’altra, lo sviluppo economico delle attività produttive presenti. Il centro storico segna l’identità di una città ed è necessaria una partecipazione collettiva alla rielaborazione di un progetto». •

NELLA BRAMBATTI «Tali manovre hanno inibito la possibilità di contrarre mutui che si abbina ai minori trasferimenti statali. L’esiguità di risorse ha imposto quindi scelte sul piano degli interventi per il centro. Gli ambiti di azione necessari erano e restano differenziati: progetto di arredo urbano, recupero abitativo, valorizzazione di immobili di proprietà a vocazione commerciale (ex mercato coperto, hotel Casina delle Rose), manutenzione della città. I tagli reiterati da parte dello Stato e i vincoli imposti agli enti locali hanno portato a uno slittamento di parte dei progetti, come ad esempio il recupero abitativo, e reso più complessi gli interventi su immobili commerciali». •

RC «Sul centro storico siamo

NB «Non si è intervenuto come

stati attenti a investire e a non perdere le occasioni di rilancio. Così abbiamo investito su un progetto da 800mila euro di fondi regionali e comunali: l’allestimento della pinacoteca nel Palazzo Buonaccorsi, motore dello sviluppo turistico del territorio, che aprirà il prossimo 21 marzo. Inoltre stiamo lavorando al riallestimento sulla torre civica dell’orologio cinquecentesco dei fratelli Ranieri, un progetto da 600mila euro con risorse pubbliche e private. Un altro cantiere da 3 milioni di euro è il completamento dell’ex scuola dei gesuiti, oggi biblioteca comunale Mozzi-Borgetti». •

avremo voluto sul versante del recupero abitativo. Si è comunque tenuto fede agli obiettivi di un intervento organico per la valorizzazione di immobili dal valore storico e di incentivo turistico, per i quali abbiamo potuto contare anche su fondi di altri enti. In quest’ottica si inserisce il recupero delle Cisterne Romane, della chiesa di San Filippo Neri e del complesso ex Fontevecchia. Con fondi propri verrà finanziato l’impianto di risalita che collegherà il maxi parcheggio al centro, ed è stata ultimata la riqualificazione di viale Veneto. Restiamo aperti a collaborazioni col privato per quanto riguarda il recupero di immobili commerciali». •

Guido Castelli, sindaco di Ascoli Piceno

GUIDO CASTELLI «La spesa per investimenti dei Comuni è stata falcidiata, in generale, dalla concomitanza di tre fattori: patto di stabilità, riduzione dei tetti di indebitamento e tagli. In 6 anni gli investimenti comunali hanno subìto una contrazione del 28 per cento. Ad Ascoli, per quanto attiene al centro storico, abbiamo cercato di concentrarci sugli aspetti di pianificazione, sulla base dell’approvazione del piano particolareggiato del professor Bernardo Secchi, puntando su modalità d’investimento innovative come l’housing sociale e recuperando fondi legati al Polo universitario e al nuovo auditorium, che giacevano inutilizzati da anni». •

GC «Una gestione particolarmen-

te attenta delle nostre disponibilità finanziarie ci ha consentito di portare a compimento la quasi totalità degli obiettivi contenuti nel piano delle opere pubbliche. Si tratta ovviamente di opere di media grandezza che abbiamo selezionato ponendoci due priorità fondamentali: la manutenzione scolastica, la riqualificazione straordinaria delle proprietà comunale e la mobilità urbana. Nel complesso, in quattro anni abbiamo messo in campo circa 65 milioni di euro di spesa in conto capitale. Abbiamo dovuto evidentemente rinunciare a qualcosa ma solo momentaneamente». •

2014 • DOSSIER • 195


QUANTO LA SUA AMMINISTRAZIONE HA SCOMMESSO SUL RECUPERO DEL CENTRO STORICO COME LEVA DI RILANCIO DELL’EDILIZIA LOCALE E IN QUALI PROGETTI, IN CORSO O IN AGENDA, SI ESPRIME MEGLIO QUESTO INDIRIZZO?

RC «Abbiamo scommesso molto in questo senso, soprattutto attraverso l’adozione di una delibera che segna un grande cambiamento culturale, che combatte le politiche di consumo del suolo: gli oneri di urbanizzazione si dimezzano per chi recupera. È un investimento per il recupero edilizio che assume una rilevanza maggiore soprattutto in relazione al patrimonio storico del centro». •

CAPITOLO EDILIZIA SCOLASTICA: QUALI GLI INTERVENTI MIGLIORATIVI CONCLUSI O IN DIRITTURA D’ARRIVO IN AMBITO CITTADINO?

RC «Sull’edilizia scolastica abbiamo investito con decisione, destinando importanti risorse alla manutenzione straordinaria delle scuole che si trovano in immobili ormai datati. Solo nell’anno scolastico 2012/2013 sono stati spesi più di 450mila euro per la messa in sicurezza di alcuni plessi scolastici, da aggiungersi ai 600mila euro con cui è stato finanziato un lavoro di adeguamento sismico e rafforzamento delle fondazioni della scuola di via Panfilo, e ai 700mila euro per il recupero della scuola elementare di Sforzacosta. Lo scorso dicembre abbiamo poi deliberato nuovi interventi straordinari di messa in sicurezza per altri 230mila euro». •

196 • DOSSIER • 2014

NB «La città vede l’articolazione delle scuole su un territorio molto vasto. Obiettivo dell’amministrazione è stato ed è mettere in sicurezza tutti gli edifici scolastici: rispetto delle norme antisismiche e antincendio, interventi di ampliamento delle strutture e di adeguamento tecnologico. Alcune opere sono concluse, altre costanti, per altre si procederà con gara di appalto. La finalità è quella di operare per la riqualificazione di tutte le strutture scolastiche, con percorsi differenziati a seconda della caratteristica dei plessi. Questa è stata la scelta nel bilancio 2013, i cui progetti finanziati sono in fase di appalto, e sarà l’obiettivo del 2014». •


RIQUALIFICAZIONE URBANA

NB «L’azione amministrativa si è orientata sul recupero abitativo, degli edifici storici a vocazione turistico-culturale e il miglioramento dell’accessibilità al centro. Questa progettualità prevede investimenti importanti ed è chiaro che l’indotto diventa fondamentale per le maestranze locali in un momento in cui l’edilizia privata è in forte crisi. In questa fase, pertanto, vorremmo atti dal governo che sgancino definitivamente gli investimenti dai vincoli del patto di stabilità. Il rischio è che, a fronte di risorse disponibili alla tutela dei beni monumentali e alla crescita economica locale, le imprese siano per assurdo costrette a rallentare o rifiutare i lavori». •

GC «Il centro storico di Ascoli è straordinario non solo per bellezza, ma anche per estensione. Proprio in questi giorni stiamo riqualificando l’asse centrale della città, corso Mazzini, attraverso una complessa opera di ripavimentazione a cui seguirà una serie di interventi analoghi nelle aree contigue alla centralissima piazza del Popolo. Si tratta di un investimento di quasi 4 milioni di euro. A ciò si aggiunga la riqualificazione di piazza Ventidio Basso, una delle più antiche delle città, che oggi è un parcheggio ma domani recupererà la sua antica vocazione di piazza delle Donne con possibilità di fruizione rigorosamente pedonale». •

GC «Grazie ai contributi pubblici garantiti nel 2010 dal Ministero delle infrastrutture siamo potuti intervenire sugli elementi non strutturali di tre plessi cittadini. Il prossimo mese, con la chiusura dei lavori effettuati presso la scuola Sant’Agostino, potremo restituire un edificio “storico” per la scuola ascolana. Più in generale abbiamo concentrato i nostri sforzi su numerose manutenzioni straordinarie dirette a garantire una piena e armoniosa fruizione del nostro patrimonio edilizio scolastico. Il prossimo obiettivo? La scuola di via Kennedy per la quale abbiamo stanziato poco meno di 600mila euro». •

2014 • DOSSIER • 197


RIQUALIFICAZIONE URBANA

A LIVELLO DI ARREDO URBANO E DI VALORIZZAZIONE DI SPAZI ANCHE IN CHIAVE DI PROMOZIONE TURISTICA, QUALI SONO STATE LE OPERAZIONI DI RESTYLING PIÙ SIGNIFICATIVE? RC «Due sono le parole chiave della politica di sviluppo della città che abbiamo scelto: cultura e turismo. Per questo investiamo sulla bellezza che si traduce in pedonalizzazione delle aree, nuovi e moderni arredi, pulizia del centro. Abbiamo ampliato e arredato le aree pedonali vicino agli antichi palazzi nobili che si affacciano sul corso. L’università di Camerino ha lanciato un concorso di idee per i giovani studenti della facoltà di architettura con lo scopo di dare spazio a nuove idee creative. Su questi temi ci stiamo preparando per intercettare i nuovi fondi europei». •

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NB «Malgrado la scarsità di risorse si è cercato di garantire il decoro della città. L’opera più importante ha interessato viale Veneto, storica strada di accesso al centro. La riqualificazione della passeggiata è avvenuta col restauro e la ricollocazione delle colonnine e delle catene centenarie dell’antica fonderia del Montani, la nuova pavimentazione del marciapiede, una rinnovata sistemazione del patrimonio arboreo, il rifacimento dell’impianto elettrico e illuminotecnico. Interventi sostanziali di restyling hanno riguardato anche il parcheggio di piazzale Carducci, il parco del Girfalco e le Cisterne Romane, finalmente accessibili anche per i disabili». •

GC «Certamente la riapertura del Forte Malatesta e del teatro romano, l’autostazione (destinata anche al servizio bus turistico), il nuovo auditorium della Piazzarola, il complesso restauro della Pinacoteca civica e del Palazzo Arengo, la riqualificazione della Sala Cola e il pieno recupero delle tre chiese storiche di proprietà comunale. Tra un mese bandiremo infine la gara per il completamento del Teatro Filarmonici, ultima, grande opera di restauro che vorrei regalare alla città unitamente alla sopra citata piazza Ventidio Basso». •



POLITICHE ENERGETICHE

Più competizione, meno divieti A partire dal capitolo rinnovabili, il presidente di Assoelettrica Chicco Testa commenta alcuni nodi chiave dell’attuale mercato elettrico italiano e delle politiche energetiche da attuare nel futuro Francesca Druidi

N

ello studio “Chi ha ucciso le rinnovabili?”, il presidente di Assoelettrica Chicco Testa (che ha realizzato il testo insieme a Giulio Bettanini e Patrizia Feletig) critica il sistema di sovvenzioni concesse in questi anni in Italia al fotovoltaico, responsabili secondo gli autori di significative storture nel mondo delle rinnovabili e nello scenario energetico nel suo complesso. Perché il sistema di incen-

Chicco Testa, presidente di Assoelettrica

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tivazioni ha finito per “uccidere” le rinnovabili in Italia? «Premesso che in un libero mercato gli incentivi non dovrebbero esistere, se non in misura limitata e per dare impulso a nuove tecnologie, mentre nel caso del fotovoltaico si tratta di sovvenzioni sproporzionate e che durano per vent’anni, il sistema introdotto in Italia nel 2011 ha completamente stravolto il settore elettrico. Bastino due cifre: nel 2013, secondo le stime del Gse, l’insieme degli in-


Chicco Testa

Energie verdi per il futuro dell’Italia Verso quale modello energetico l’Italia si sta muovendo? L’opinione di Gianni Silvestrini, direttore scientifico del Kyoto Club i fronte alle questioni relative al sistema di produzione e di consumo energetico, si impone in Italia l’esigenza di costruire un modello efficiente e sostenibile. A delineare alcune tendenze in atto è Gianni Silvestrini (nella foto), direttore scientifico del Kyoto Club, organizzazione non-profit che punta a sensibilizzare e informare su temi come efficienza energetica, rinnovabili, mobilità sostenibile.

D

Nello scenario energetico, quale ruolo le energie rinnovabili sono destinate ad assumere?

«Il nostro Paese ha visto un’accelerazione nella crescita delle energie verdi, che ha portato a un raddoppio della produzione elettrica negli ultimi 5 anni. Nel 2013, un terzo di tutti i consumi elettrici sono stati soddisfatti dalle rinnovabili e - dato che pone l’Italia al primo posto nel mondo - il fotovoltaico ha contribuito al 7 per cento della domanda. Questa corsa è destinata a proseguire con un ruolo sempre più limitato degli incentivi grazie alla riduzione dei prezzi delle tecnologie. Un elemento importante verrà nelle prossime settimane con le decisioni europee sugli obiettivi al 2030, che potranno dare certezze e indirizzare investimenti e promuovere innovazione». Quali sfide attendono la green economy in Italia?

«Le opzioni green vedranno una costante crescita, malgrado difficoltà momentanee come quelle legate a interventi retroattivi sugli incentivi alle rinnovabili. Dall’energia all’agricoltura, dalla mobilità alla biochimica, emergono modelli vincenti. Pensiamo al successo del car sharing a Milano o alla prima bioraffineria a Porto Torres». La conferma dell’ecobonus per la ristrutturazione degli edifici contribuirà a migliorare il quadro dell’efficienza energetica?

«Il settore dell’edilizia vedrà nei prossimi anni una decisa accelerazione con un raddoppio degli interventi di riqualificazione energetica, come prevede la direttiva sull’efficienza energetica in via di recepimento da parte del nostro Paese. Questo rilancio consentirà anche di risollevare il comparto dell’edilizia attualmente in forte difficoltà». FD

centivi destinati alle fonti rinnovabili ha raggiunto la cifra enorme di 11,2 miliardi annui; di questi, circa 6,7 miliardi vanno al solo fotovoltaico. Questo significa che il fotovoltaico assorbe il 60 per cento degli incentivi. Peccato che, con il sole, si arrivi a fare al massino 22-23 miliardi di chilowattora all’anno, mentre tutte le altre fonti rinnovabili messe insieme, alcune delle quali, come l’idroelettrico, non ricevono alcun sussidio, valgono più di 90 miliardi di chilowattora». Questo cosa comporta? «Il conto è semplicissimo: un chilowattora ottenuto con il sole costa ai consumatori più di 30 centesimi di incentivo più il valore di mercato, altri 6-7 centesimi; un chilowattora fatto con le altre fonti rinnovabili costa 5 centesimi soltanto, oltre al suo valore di mercato. Questo significa sot-

trarre risorse a tutte le altre filiere delle rinnovabili, alcune delle quali avrebbero invece interessanti possibilità di sviluppo, come l’eolico off-shore e le biomasse». Quali prospettive esistono allora per il fotovoltaico e per le altre rinnovabili? «La sfida più semplice e più emozionante: mettersi sul mercato e competere. Oggi più della metà della bolletta che ogni cittadino e ogni impresa pagano, è costituita da incentivi, oneri fissi e tasse. Il mercato è stato soffocato due volte: prima, con gli incentivi al fotovoltaico, a causa dei quali la parte contendibile del mercato elettrico si è ridotta della metà, poiché chi produce con il sole ha priorità di dispacciamento, mentre il termoelettrico deve mettersi in coda per vendere la sua energia alla sera, quando il sole se ne va; poi con un si- 2014 • DOSSIER • 201


POLITICHE ENERGETICHE

stema tariffario pensato mez-

zo secolo fa, per cui chi più consuma più paga il singolo chilowattora, con il risultato che si disincentiva il ricorso alle tecnologie più efficienti, come le pompe di calore, i sistemi domotici, la stessa mobilità elettrica». In che modo si può fronteggiare la crisi del mercato elettrico italiano? Come valuta l’introduzione del capacity payment transitorio? «Quella del capacity market, cioè di un sistema di mercato che retribuisca la capacità di fornire servizi di flessibilità, è una prospettiva ormai aperta a livello europeo. In Italia entrerà in vigore nel 2017 e le risorse disponibili per la fase transitoria sono molto limitate. Il rischio è che il combinato disposto del calo della domanda dovuto alla crisi, dall’incremento assurdo degli incentivi al fotovoltaico e dalle lacunosità della rete di trasmissione, comporti la chiusura di alcuni impianti termoelettrici. Ma, attenzione, non di quelli più vecchi e meno efficienti. Non è detto. A chiudere potrebbero anche essere impianti a gas moderni ed efficienti, ma collocati in zone del paese meno servibili e coperte di pannelli solari. In questa situazione, ben vangano le rinnovabili a confrontarsi ad armi pari con le altre fonti».

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Secondo le stime del Gse, degli 11,2 miliardi annui di incentivi destinati alle fonti rinnovabili, circa 6,7 vanno al solo fotovoltaico

In America grazie alla rivoluzione dello shale gas, il prezzo del gas per usi industriali è più che dimezzato. Cosa può fare l’Europa per non restare al palo? Su quali elementi dovrebbe basarsi una politica energetica maggiormente efficiente per l’Italia e l’Ue? «La domanda contiene già la risposta: fare come hanno fatto in Usa. Ma invece si fa il contrario: la Commissione europea ha messo lo shale gas in castigo, soltanto la Polonia sta facendo qualcosa, mentre la Francia, che sembra disporre di buone riserve, ha

messo tutto tra parentesi. Una politica energetica più efficiente per l’Italia e l’Europa? Basterebbe cominciare a sfruttare seriamente le notevoli risorse di fonti fossili di cui disponiamo, trovando il percorso politico e istituzionale capace di far saltare il gioco dei veti, dei ricatti, del no a tutto: al petrolio in Basilicata, al gasdotto Tap in Puglia, ai rigassificatori e ormai anche all’eolico. A furia di dire sempre no l’Italia rischia di sprofondare ben più giù di quel triste 17esimo posto tra i paesi industrializzati al quale sembra condannata entro il 2030».



ENERGIA

L’energia elettrica “intelligente” Il comune di San Severino Marche è teatro di un’importante sperimentazione tecnologica: la sua rete elettrica di distribuzione offre uno dei primi esempi di rete “intelligente”. Claudio Brunacci spiega vantaggi e prospettive Renato Ferretti

ultima generazione della distribuzione e produzione di energia elettrica in Europa, ha mosso i suoi primi passi ben lontano da quelli che sono normalmente considerati i centri dell’economia e della ricerca. Anzi, le novità tecnologiche implementate a San Severino Marche (MC) sono ora oggetto di studio da tutte le società del settore anche estere. Così la Assem, la multiutility che serve esclusivamente il ter-

L’

Claudio Brunacci, amministratore della Assem con sede a San Severino (MC) www.assemspa.it

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ritorio del comune maceratese, si ritrova invitata a convention e congressi, come quello dello scorso novembre al Politecnico di Milano, in cui offre il primo esempio di “smart grid”. L’amministratore della Assem, Claudio Brunacci, illustra implicazioni e dettagli di questo passo avanti nella gestione dell’energia elettrica. «Bisogna premettere – dice Brunacci – che la nostra società distribuisce l’elettricità, il gas, l’acqua e gestisce la depurazione in uno dei comuni italiani più estesi: la scarsa densità di popolazione pone i cittadini in alcuni casi anche a molti chilometri di distanza l’uno dall’altro, in questo modo gli impianti hanno costi più elevati rispetto a un’area urbana e pongono problemi diversi. Dunque, le soluzioni alternative diventano decisive». In cosa consiste la smart grid? «Si potrebbe tradurre con rete di distribuzione “intelligente”, che offre il grande vantaggio di ottimizzare i costi, perché in grado di autogestirsi. Il nostro

progetto è uno dei pochissimi, sette in tutta Italia, approvati dall’autorità nazionale dell’energia elettrica e gas, e rappresenta una dimostrazione in campo di smart grid finalizzato a una gestione attiva della rete, favorendo un maggiore sviluppo della Generazione Diffusa (GD), e un uso efficiente di tutte le risorse di rete, mantenendo alto il livello di sicurezza e affidabilità dell’intero sistema, nonché di qualità del servizio reso all’utenza. Le previsioni sui risultati sono ottime, e si prevede la realizzazione di impianti simili in tutta Italia». Qual è invece l’importanza che ricopre la centrale idroelettrica del Cannucciaro? «È sicuramente un mezzo che ci permetterà di sfruttare al meglio le risorse che abbiamo. Bisogna anche considerare, infatti, che la portata dei nostri fiumi non è paragonabile a quella che si trova nel Nord Italia, per cui è essenziale avere sistemi altamente efficienti per ottenere il massimo dalle risorse che il territorio offre. La cen-


Claudio Brunacci

+50% L’AUMENTO DI PRODUZIONE DI ELETTRICITÀ CON IL NUOVO IMPIANTO DELLA CENTRALE IDROELETTRICA DI SAN SEVERINO MARCHE (MC)

trale elettrica del Cannucciaro è, in effetti, un gioiellino che ha delle soluzioni tecniche efficienti e all’avanguardia: il rifacimento effettuato garantisce un sensibile aumento delle prestazioni, con quasi il raddoppio della potenza massima erogabile e conseguente importante aumento della producibilità di energia elettrica annua, grazie al miglioramento dei sistemi idraulici e all’ottimizzazione dei rendimenti. Inoltre, il rifacimento ha dato anche la possibilità ad Assem di inserire la propria centrale tra gli impianti di produzione coinvolti nella

sperimentazione della Smart Grid, rendendo quindi la stessa uno dei primi esempi europei di centrale idroelettrica in grado di assolvere alle innovative funzioni richieste dalle reti di distribuzione». Come è organizzata la vostra società? «Abbiamo diviso l’azienda in tre settori. Uno si occupa della gestione delle reti dell’energia elettrica. L’altro della gestione dell’acqua inteso come servizio idrico integrato, quindi la gestione dell’acquedotto e dei depuratori e delle fogne. Il terzo settore si occupa della gestione

delle reti di distribuzione del gas. La produzione dell’energia elettrica tramite centrali idroelettriche può essere definita come un quarto ambito, gestito in parte dalla nostra divisione elettrica e in parte dalla divisione che si occupa del sistema idrico integrato». Quali altri progetti avete in cantiere? «Per quanto riguarda la fornitura di energia, abbiamo ormai coperto l’intero territorio di San Severino, manca solo una piccola zona montana cui dare elettricità e acqua. Vogliamo investire in una pala eolica da un mega, in modo da fornire il servizio ammortizzando nel tempo il costo delle linee. Infine, apriremo una nuova centrale sul fiume Potenza: a giugno 2014 cominciamo i lavori». 2014 • DOSSIER • 205


ENERGIA

Verso la generazione speciale Roberto Bertoli ha sfruttato il 2013, anno di crisi per il settore europeo dei gruppi elettrogeni, come momento per investire nell’innovazione e nello sviluppo di nuove soluzioni a valore aggiunto Valerio Maggioriano

l mercato dei sistemi per la produzione di energia elettrica è in continua espansione. Tuttavia la loro produzione si è definitivamente spostata fuori dai confini europei». È questa la premessa che ha fondato la recente strategia di ricerca e sviluppo della Bertoli, azienda storicamente specializzata nella produzione di gruppi elettrogeni e che oggi si orienta verso prodotti a maggiore livello tecnologico, come generatori, torri-faro e gruppi elettrogeni

«I

Una torre-faro e, a fianco, un generatore Gpu a 400 Hz. Entrambi prodotti dalla Bertoli Srl di Langhirano (PR) Sotto, un gruppo elettrogeno presso centrale di produzione in Venezuela www.bertolisrl.it

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per applicazioni speciali. «I gruppi elettrogeni di serie, che prima producevamo in Europa – spiega Roberto Bertoli –, oggi per la maggior parte vengono realizzati in paesi a basso costo di manodopera, tra cui Cina e India. Le ragioni di questa migrazione si spiegano col fatto che questi paesi offrono manodopera a costi fortemente competitivi rispetto all’Europa. Di conseguenza, non potendo competere con i paesi esteri sul prezzo, in Italia e in Europa ci stiamo concentrando su pro-

dotti speciali». Bertoli ha individuato nei generatori Gpu una strada per il futuro. «Mentre il gruppo elettrogeno è prodotto in tutto il mondo, il Gpu viene fatto in pochi paesi e di solito è importato dall’America, sede dei primi costruttori. In Italia abbiamo un solo altro concorrente, mentre in Europa esistono tre colossi in questo settore». I generatori Gpu ad alta frequenza (400 Hz) sono dei sistemi utilizzati negli aeroporti per l’avvio dei motori di aerei ed elicotteri. «Dopo alcune esperienze nel settore dell’aeronautica militare, con forniture in Medio ed Estremo Oriente, nel 2013 è emersa la possibilità di lavorare anche nell’aviazione civile. E abbiamo introdotto questa nuova gamma, proposta in tre modalità: generatori da traino per gli aeroporti, fuoristrada oppure statici per altri impieghi. Il nostro Gpu è stato presentato l’anno scorso a una


Roberto Bertoli

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Dopo alcune esperienze nel settore dell’aeronautica militare, è emersa la possibilità di lavorare anche nell’aviazione civile

fiera di Monaco per aziende del settore aereo e le prospettive sono quelle di poter commercializzare il prodotto in tutto il mondo». La spinta a orientarsi verso un’evoluzione della produzione è venuta a Bertoli soprattutto a causa di un 2013 deludente dal punto di vista produttivo. «Il 2013 è stato un anno molto critico, però è servito da stimolo per attivarci verso nuove direzioni, che avranno certamente sviluppo nei prossimi anni. Accanto al Gpu abbiamo intensificato la ricerca sulle torri-faro utilizzate nella cantieristica, negli aeroporti e nella protezione civile, che nei modelli di serie proponiamo con gruppi elettrogeni da 6 a 30 kW, mentre il palo di sostegno ai fari va da 5,5 a 10 metri di altezza. Torri-faro e Gpu sono i due prodotti che in questo momento hanno maggiore richiesta sul mercato». Aver puntato sulla specializzazione tecnolo-

gica rappresenta un investimento per il futuro, dato che nei paesi low cost si fanno in larga scala esclusivamente prodotti già presenti sul mercato, e pertanto l’innovazione resta un’esclusiva e una possibilità – anche in termini di competenze e know how – dei paesi europei e occidentali in genere. «Noi siamo abituati a lavorare a soluzioni altamente tecnologiche per multinazionali. Quindi fare di questo il nostro core business non è stato problematico. Al contrario, è diventato vitale per restare sul mercato. Se vorremo esistere anche in futuro, dobbiamo rinnovarci e il rinnovamento è avvenuto con questi prodotti». E inoltre con gruppi elettrogeni speciali e spesso realizzati su misura, come un gruppo elettrogeno che alimenta una turbina a gas da 30 MW che produce energia elettrica in Venezuela. «Un gruppo normale non sarebbe stato idoneo a questo genere di

d

applicazioni. Questo rientra in un importante progetto di realizzazione di gruppi elettrogeni a elevata potenza, super silenziati, dotati di importanti dispositivi di sicurezza elettrica da utilizzare, in caso emergenza, insieme a turbine Siemens da 30 a 50 MW». Se tutti i generatori dei quali finora si è parlato sono alimentati a gasolio, Bertoli ha iniziato a proporre al mercato anche un nuovo sistema. «Nell’ambito delle energie rinnovabili e della cogenerazione, abbiamo sviluppato di recente una nuova linea che ci ha consentito di presentare al mercato prodotti innovativi e tecnicamente all’avanguardia, con la produzione di generatori elettrici alimentati con carburanti alternativi, come il biogas. Abbiamo sviluppato questo gruppo elettrogeno pensando alle aziende agricole che investono negli impianti a biogas per produrre energia elettrica». 2014 • DOSSIER • 207




TRASPORTI E SOSTENIBILITÀ

Il biogas nel trasporto privato Grazie alla ricezione della direttiva europea 2009 sulla promozione dell’energia da fonti rinnovabili, nei prossimi anni “faremo il pieno” con il biometano. Ne parliamo con Giordano Gozzi Luca Càvera ei prossimi cinque anni, in Italia, saranno realizzate alcune centinaia di stazioni di rifornimento di biometano. Questo favorirà la diffusione dei veicoli a metano, un carburante alternativo, non fossile e con un bassissimo impatto ambientale». È questa la scommessa sulla quale punta, per il mercato nazionale, Giordano Gozzi, direttore tecnico della modenese Idro Meccanica, società che da oltre quarant’anni produce compressori di metano per autotrazione, azionati da una trasmissione idrostatica e studiati per la compressione, oltre che del metano, anche di gas tecnici. A dare l’avvio alla possibilità di realizzare queste stazioni di rifornimento è stato il decreto del ministero dello sviluppo economico del 5 dicembre 2013, che recepisce le direttive 2009/28/CE e 2009/73/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili. «In questo modo – prosegue

«N

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Gozzi –, il biometano, prodotto dagli oltre mille impianti connessi alle aziende agricole del territorio nazionale, oltre che per la produzione di energia elettrica, potrà essere immesso in rete e sfruttato come combustibile per il trasporto privato. Per questo motivo, nei prossimi anni, il comparto metano per autotrazione sarà ancora il focus dei nostri interessi, sia in Italia sia nel resto del mondo». Lo sguardo ottimistico di Gozzi per il futuro, oltre che sulle opportunità di mercato, poggia su

un risultato 2013 che ha rappresentato il secondo miglior fatturato nella storia dell’azienda modenese, confermandone la buona salute anche in termini di marginalità. «Guardando oltre i confini nazionali, l’obiettivo più importante è sicuramente la penetrazione sempre maggiore nell’area scandinava e

Impianti realizzati dalla Idro Meccanica Srl di Modena www.idromeccanica.it www.cngv.com


Giordano Gozzi

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Il biometano, oltre che per la produzione di energia elettrica, potrà essere immesso in rete e sfruttato come combustibile per il trasporto privato

nelle repubbliche baltiche. Però, oltre che a nuovi mercati, siamo interessati anche a nuovi settori. In particolare quelli legati all’uso delle energie alternative per la produzione di idrogeno da utilizzare come vettore energetico, cioè per stoccare energia. È questo il caso dei progetti power to gas che si stanno sviluppando in tutta Europa. Stiamo accompagnando l’interesse a nuovi settori con investimenti importanti nell’innovazione e nella ricerca e sviluppo. Per noi l’innovazione è sempre guidata dal mercato. E, infatti, i nostri partner sono la nostra maggiore risorsa in questo campo, perché ci spingono a realizzare sempre qualcosa di nuovo, mentre il buon rapporto con i fornitori ci aiuta a inserire prodotti di nuova concezione nei nostri impianti».

Tra le novità più importanti vanno ricordate quelle che riguardano la parte di controllo, area suscettibile di ulteriori spinte in avanti, basti citare il telecontrollo via Internet. «La ricerca e sviluppo, in ogni caso, è alla base di ogni nuovo prodotto realizzato in modalità tailor made. Infatti, con un maggiore coinvolgimento con il committente in fase di progettazione, la nostra realtà diventa anche un interlocutore che può aiutare a disegnare il sistema. In pratica ogni nuovo progetto ci spinge alla realizzazione di un nuovo modello o variante: a partire da circa cinquanta modelli base possiamo offrire oltre duecento varianti. Inoltre, il trasferimento da un settore a un altro di una soluzione già sperimentata, pur non introducendo una tecnologia inedita, contribuisce a

d

portare innovazione nelle applicazioni». Il know how di Idro Meccanica ha raggiunto il livello attuale in quasi mezzo secolo di esperienza. «Al di là del prodotto, la nostra maggiore risorsa è il background di competenze, che mettiamo a disposizione ogni qual volta ci sia la necessità di avviare un nuovo progetto. A questa, negli ultimi anni si è affiancata la tendenza a offrire un servizio completo e quindi diventa strategico soddisfare i bisogni del cliente dalla consulenza tecnica in sede di offerta fino alla consegna dell’impianto in chiavi in mano. Naturalmente, per fare di questo un vantaggio evolutivo, bisogna avere la capacità di colloquiare con i clienti ed è poi fondamentale un attento controllo nella produzione e nei collaudi interni». 2014 • DOSSIER • 211


AGRICOLTURA E AMBIENTE

Diserbanti chimici addio, il futuro è bio Bruno Carroli presenta un’avanguardia nella produzione di macchine per il diserbo meccanico. «Più che intuirle, abbiamo sempre ascoltato direttamente le esigenze degli utilizzatori finali» Arianna Lesure

Alcuni dei mezzi agricoli prodotti dall’Industria Falconero Srl di Faenza (RA). Nella pagina a fianco, Bruno Carroli, titolare, e Oara Bivolaru, responsabile export www.falconero.com

liminare completamente l’uso dei diserbanti chimici lavorando in sintonia con la natura è diventato indispensabile. Soprattutto in un mercato sempre più attento alla componente bio del prodotto agricolo e dei suoi derivati. Fra le aziende che, in tempi non sospetti, hanno capito che que-

E

212 • DOSSIER • 2014

sto sarebbe stato il futuro si colloca l’industria Falconero di Faenza, nel ravennate, che fin dal 1995 ha come priorità costruttiva la produzione di attrezzature altamente innovative per il controllo delle infestanti in vigneti e frutteti, nel pieno rispetto dell’ambiente. «Avendo investito molto nell’innovazione – afferma l’amministra-

tore Bruno Carroli –, i sorprendenti risultati raggiunti, anche e soprattutto all’estero, hanno confermato la lungimiranza delle nostre scelte. Infatti, la tutela ambientale è da sempre al centro dei nostri progetti. E oggi, nonostante la crisi economica, possiamo dire che il 2013 è stato un anno veramente intenso – va sottolineato che, no-


Bruno Carroli

nostante la recessione generale, il settore agricolo ha resistito e sta resistendo in maniera sorprendente, soprattutto se paragonato ad altri ambiti produttivi». Il primo riconoscimento di innovazione tecnica per la tutela ambientale, Falconero l’ha ottenuto già nel 1996 in occasione della prestigiosa fiera Eima (Esposizione Internazionale di Macchine per l’Agricoltura) di Bologna. «Questo ci ha dato la spinta per proseguire, fino ad arrivare al deposito di brevetti internazionali, anticipando l’evoluzione del mercato. Per esempio, con la nostra pettinatrice intraceppi è possibile lavorare vigneti e frutteti eliminando completamente l’uso dei devastanti diserbanti chimici e guadagnando in salute e tutela ambientale. Inoltre, i vini prodotti in questi vigneti e la frutta prodotta in questi frutteti acquistano valore e prestigio come prodotto biologico presso i consumatori. Ottenendo così una migliore posizione sul mercato e diventando a loro volta competitivi nei confronti dei prodotti stranieri

– argomento che sta molto a cuore alle aziende agricole italiane». Per individuare gli ambiti verso i quali indirizzare la ricerca tecnologica, Falconero ha sempre ascoltato e recepito direttamente le esigenze degli utilizzatori finali. E in più dispone di una propria azienda vitivinicola, nella quale vengono effettuate gran parte delle prove e dei test sui macchinari che produce, rendendo così concreta la volontà di immedesimarsi con l’utilizzatore finale. «Alla base della qualità dei nostri prodotti si colloca un costante e inesorabile impegno, una forte capacità d’invenzione e una profonda cultura della qualità. Grazie a questo impegno, possiamo oggi proporre una vastissima gamma di attrezzature all’avanguardia per contenuto tecnologico – innovazione comprovata dai numerosi brevetti depositati –, attrezzature

realizzate per durare nel tempo grazie all’estrema robustezza della struttura e all’impiego di materiali speciali, alla selezione dei quali viene accordata la massima importanza». Inoltre, Falconero ha ottenuto più volte la soddisfazione di veder riconosciute, sui mercati internazionali, le proprie macchine come “migliori innovazioni dell’anno”. «In fatto di competitività ci distingue la capacità di rispondere alle esigenze di ogni singolo cliente con una personalizzazione dei prodotti difficilmente riscontrabile sul mercato, e questo ci permette di definirci dei “sarti meccanici”. L’obiettivo per il futuro è quello di proseguire nel solco della strada già percorsa e vogliamo continuare a essere un punto di riferimento per gli agricoltori e viticoltori italiani e internazionali, interpretando le esigenze di un’agricoltura che si sta evolvendo». 2014 • DOSSIER • 213


POLITICHE SANITARIE

L’umanizzazione della medicina Appropriatezza delle cure, prevenzione, deospedalizzazione. Sono alcune delle sfide che attendono il sistema sanitario nazionale. Ne parla Enrico Garaci, presidente del Consiglio superiore di sanità Francesca Druidi

L

a sanità italiana è chiamata a confrontarsi oggi con un contesto sociale, economico e medico che richiede interventi e cambiamenti strutturali. In uno scenario che impone la sostenibilità economica come prerogativa fondamentale, obiettivo del sistema sanitario nazionale è garantire una continuità d’azione per quanto riguarda la qualità dell’assistenza, nel passaggio epocale dall’ospedale - che sarà sempre più destinato alla cura dei malati acuti - alla medicina del territorio. Nel frattempo, gli italiani continuano e invecchiare e soffrono di patologie croniche, che identificano la vera problematica sanitaria non solo a livello nazionale. Di fronte a questo fenomeno e ad altre esigenze della popolazione in evoluzione, si rende necessario un nuovo approccio. Enrico Garaci, past president dell’Iss e attuale presidente del Consiglio superiore di sanità, indica le traiettorie e le priorità della sanità in Italia. Come si può attuare una politica sanitaria in grado di unire la riduzione degli sprechi, il controllo della spesa sanitaria e l’efficienza dell’assistenza? «La principale sfida in questo momento è quella di evitare che la spending review, che dovrebbe essere attuata, incida sulle prestazioni sanitarie e soprattutto sulla qualità dell’assistenza. Bisogna evitare che i tagli lineari colpiscano a 360 gradi la sanità, comprese le prestazioni eccellenti. Per far ciò, è importante realizzare una riforma del sistema sanitario che attui una riduzione della spesa portando avanti concetti quali riduzione

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degli sprechi, razionalizzazione dei servizi, definizione costi standard - ma senza incidere sulla qualità dell’assistenza. Mi riferisco innanzitutto al fatto che dovrebbe essere incrementata la prevenzione. È dimostrato che aumentare la prevenzione primaria, concentrandosi sugli stili di vita e sulla lotta all’obesità, influisce sulla percentuale d’insorgenza delle malattie cronico-degenerative, che costano al sistema sanitario ingenti risorse in termini di ricoveri ospedalieri e di utilizzo dei farmaci. Un altro tema cruciale è il processo di umanizzazione della medicina».


Enrico Garaci

Come si dovrebbe articolare, nello specifico, quest’ultimo punto? «Questo processo potrebbe ridurre i costi della medicina difensiva, che, secondo studi effettuati, costa il 10 per cento dell’intera spesa sanitaria, ossia 12 miliardi di euro. Un processo di umanizzazione che ponga il paziente al centro del sistema di relazioni con medici, operatori sanitari, famiglia, associazioni di pazienti e istituzioni, può eliminare quel contenzioso medico-legale che spesso si instaura. C’è, inoltre, da aggiungere che oggi si è verificata un’evoluzione del paziente, il quale non è più un soggetto passivo che riceve prescrizioni dal medico,

ma vuole interagire e sapere. È un soggetto in- Enrico Garaci, formato, anche grazie a internet. Se fosse stabilito presidente del Consiglio superiore di sanità un percorso di vera e propria umanizzazione, con persone capaci di un contatto diretto con il paziente e le sue esigenze, la spesa richiesta da questo sistema potrebbe essere compensata dal risparmio che l’organizzazione ospedaliera riceverebbe dal diminuito costo delle assicurazioni e dal venir meno di molti contenziosi». Cosa rappresenta il “patto per la salute” tuttora in fase di discussione? «Il ministro Beatrice Lorenzin ha avviato la proposta di un patto per la salute, nel quale sono stati istituiti diversi tavoli tecnici con le Regioni per esaminare i vari aspetti connessi con il sistema sanitario nazionale e affrontarne i nodi critici: l’appropriatezza delle prestazioni, la deospedalizzazione e la medicina territoriale, ma anche le terapie palliative e del dolore e le politiche di prevenzione. Il ministro ha fatto un ottimo lavoro in questo senso, perché si tratta di tematiche fondamentali che costituiscono l’orizzonte del Ssn nel prossimo futuro». Quali sono i temi che state discutendo o discuterete nel prossimo futuro nell’ambito del Consiglio superiore di sanità? «All’atto dell’insediamento del Consiglio, oltre a confermare i suoi compiti tradizionali - in pri- 2014 • DOSSIER • 217


POLITICHE SANITARIE

La principale sfida in questo momento è quella di evitare che la spending review, che dovrebbe essere attuata, incida sulle prestazioni sanitarie e soprattutto sulla qualità dell’assistenza

mis, fornire pareri su vari argomenti - il ministro tiera importante di cui ci stiamo occupando è Lorenzin ha invitato i membri a svolgere un ruolo propositivo, presentando delle proposte e attivandosi per approfondire le tematiche di interesse attraverso convegni e volumi. Un argomento che il Consiglio ha affrontato di recente è l’esame dei criteri di appropriatezza clinica, tecnologica e strutturale nell’assistenza del paziente complesso. Il paziente complesso è il profilo che emerge in questo momento, ossia l’assistito - generalmente una persona anziana - che vive e convive con una serie di patologie, spesso croniche. La condizione del paziente complesso, caratterizzata dalla coesistenza di più malattie, richiede necessariamente la ridefinizione dei percorsi diagnostici e terapeutici». Con quali conseguenze? «Si profila sempre più una medicina personalizzata, dove si registrano variazioni in termini di reazione alle patologie anche molto sensibili da paziente a paziente. Le malattie cronico-degenerative rappresentano, di fatto, la sfida sanitaria per l’Occidente nei prossimi anni, in contrapposizione alle cosiddette “malattie della povertà” che affliggono, invece, il sud del mondo. Oltre alle malattie croniche, al paziente complesso e all’umanizzazione della medicina, un’altra fron-

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l’autismo, grazie alla presenza nel Consiglio di un’autorità in materia come il professor Gabriel Levi. Sono allo studio, presso l’Istituto Superiore di Sanità, modalità di diagnosi precoce e modalità di organizzazione del sistema sanitario rispetto a questo problema che affligge una percentuale di popolazione anche elevata». I bisogni degli italiani sul fronte della salute crescono, quindi, in complessità e cronicità a causa dell’invecchiamento della popolazione e dei cambiamenti demografici, epidemiologici e anche economici. Uno scenario in cui la ricerca occupa un ruolo preponderante. «Certo, la ricerca è essenziale. Con la ricerca si possono mettere a punto nuovi farmaci, adottare protocolli terapeutici più efficaci e ottenere una sistema di diagnosi precoce, aspetto prioritario nel caso, ad esempio, della cura dei tumori. C’è poi la ricerca che porta ad avere nuovi dati in materia di prevenzione: sul fronte dell’alimentazione, sono state compiute scoperte interessanti che, in precedenza, erano considerate solo il frutto del buon senso. Oggi, con le ricerche epidemiologiche, è stato dimostrato che gli stili di vita influiscono sulla qualità e sulle aspettative di vita».


Tonino Aceti

L’occhio civico sulla salute Aprire alla valutazione dei cittadini: secondo Tonino Aceti la crescita della qualità del servizio sanitario nazionale passa da qui. Limitando sprechi e difformità terapeutiche locali, temi su cui il Tribunale del malato è da sempre attento Giacomo Govoni

È

più giovane di due anni rispetto al servizio sanitario nazionale, istituito nel 1978 per effetto della legge 833, e ne monitora l’attività come una sorta di “sentinella civica”. Il Tribunale dei diritti è un organismo fondato su base volontaria per schierarsi al fianco dei cittadini nell’ambito dei servizi sanitari e assistenziali. Un terreno sul quale proprio in questi giorni si sta disputando una partita decisiva, con l’imminente varo del nuovo Patto della salute, che «dovrà tenere conto anche delle istanze provenienti dai cittadini». A chiarirlo è il coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malato-Cittadinanzattiva Tonino Aceti che, nelle fasi salienti di messa a punto del documento programmatico valido per il prossimo triennio, chiede «un forte coinvolgimento di tutti gli attori, non solo di Ministero e Regioni». A partire dalla vostra realtà, ben radicata nella scena sanitaria italiana, è possibile tracciare un bilancio dell’attività svolta nel 2013? «Il tribunale è un’esperienza civica che si prefigge di orientare il servizio sanitario verso i diritti dei cittadini. Opera in ospedali o distretti di tutto il territorio nazionale attraverso più di 300 sezioni locali, 21 segreterie regionali e oltre 80 progetti integrati di tutela, sportelli di informazione e consulenza gratuita per cittadini. Nel 2013 abbiamo servito oltre 27mila persone con problemi socio-sanitari e ci siamo concentrati sulla protezione della qualità del Ssn con particolare riguardo alle risorse, sia pubbliche che ai redditi familiari, oggi troppo spesso intaccate

Tonino Aceti, coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malatoCittadinanzattiva

dalle spese sanitarie. Poi ci siamo occupati del tema dei superticket, che da gennaio sarebbero dovuti entrare in vigore e che, per fortuna, non sono scattati». In quali ambiti siete intervenuti maggiormente e dove avete ottenuto i risultati più significativi? «Il primo risultato riguarda proprio il finanziamento del Ssn, che con la legge di stabilità quest’anno per la prima volta non ha subito tagli, eccetto quello ai fondi dedicati al

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POLITICHE SANITARIE

trattamento dell’indennità dei medici. Altro paradosso. Poi c’è il tema delle liste d’attesa, obiettivo raggiunto è l’aver sollecitato interrogazioni parlamentari in merito all’uso inadeguato di risorse. Ad esempio sul tema dell’Hiv, rispetto a cui abbiamo condotto uno studio assieme alla Lega italiana per la lotta all’Aids, individuando un “esubero” di 12 milioni di euro. Sempre in materia di spending review, nel 2014 presenteremo i risultati del progetto “I due volti della sanità: sprechi e buone pratiche”, in cui mapperemo tutte le fattispecie di sprechi segnalate dai nostri volontari locali e le sistematizzeremo in un report che a fine aprile consegneremo al ministro». Altre iniziative su cui avete focalizzato il vostro lavoro? «Abbiamo posto l’accento sulle difformità regionali nell’accesso, nell’offerta e nella contribuzione dei servizi sanitari. Guardando i dati della Corte dei Conti su ticket e Irpef pro capite annua, si vede che nelle Regioni con piano di rientro si paga molto di più: un

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su cui ci siamo battuti alla luce delle segnalazioni ricevute dai cittadini che al primo posto mettevano la difficoltà di accedere ai servizi». Avete da poco stilato anche un rapporto sulle politiche della cronicità, da cui emerge come oggi curarle rappresenti un lusso. Come incide questo fenomeno sulla vita quotidiana dei pazienti? «I costi della malattia cronica e rara risultano insostenibili perché assistiamo a un erosione del Ssn con relativo scarico di responsabilità su pazienti, famiglie e i loro redditi. Il pubblico si ritira sempre più e delega. La mancata presa in carico da parte del Ssn delle patologie croniche oggi ha effetti negativi sulla sfera lavorativa, perché le persone devono nascondere la propria cronicità per mantenere il posto. Senza contare che le cronicità sono il paradigma delle difformità regionali, specie nell’ambito della disponibilità delle terapie farmacologiche. Una volta che l’Italia approva un farmaco, la Regione a sua


Tonino Aceti

Nel 2014 presenteremo i risultati del progetto “I due volti della sanità: sprechi e buone pratiche”

volta ne fa ulteriori valutazioni decidendo se garantirlo o no e genera un’iniquità di accesso». Cosa c’è da migliorare, pertanto, specie sul piano della prevenzione? «A livello di prevenzione, bisogna adeguare le risorse economiche. Noi siamo fanalino di coda in Europa, con lo 0,5 per cento del Pil. Occorre poi investire sulla medicina d’iniziativa: diagnosi precoce, programmi di screening, aderenza alle vaccinazioni, educazione ai corretti stili di vita; va affrontato il tema della responsabilità statale sulle dipendenze, culminato nel recente paradosso di voler inserire la ludopatia nei Lea. Bisogna lavorare sull’empowerment dei pazienti per una corretta gestione della patologia, ma anche garantire l’accesso, qualità e innovazione delle prestazioni sanitarie. Fondamentale in tal senso è investire sul Pdta, percorso diagnostico terapeutico assistenziale, che definisce standard scientifici e procedurali per tutti sulla base di bisogni personalizzati». Tra i temi che toccano di più la salute dei

cittadini, c’è quello legato ai farmaci contraffatti. Quali iniziative avete messo in campo in questo ambito? «Assieme alla scuola di Cittadinanza attiva, abbiamo realizzato una campagna che si chiama “La salute vien cliccando”, guida multimediale rivolta a studenti e insegnanti delle scuole secondarie. Arriverà in circa 2.000 scuole che ne hanno fatto richiesta, all’interno del kit didattico realizzato per la giornata nazionale sulla sicurezza nelle scuole. Il filo conduttore è l’acquisto e l’uso di medicinali di automedicazione, l’uso responsabile di internet, la conoscenza del fenomeno della contraffazione online, a cui i giovani sono più esposti». Torniamo al Patto della salute, su cui a fine anno il ministro Lorenzin ha tenuto un’audizione. Oltre a prevedere un vostro maggior coinvolgimento, quali punti chiave auspicate che contenga? «In primo luogo chiediamo che si metta al centro del Ssn il tema della valutazione civica rispetto alla qualità e accessibilità dei servizi. Altro tema cardine sarà quello della nuova governance tra stato e Regioni, da ridefinire in un’ottica di maggiore equità. E, infine, confidiamo che la riorganizzazione della rete non si traduca in un’operazione univoca di chiusura di presidi ospedalieri, ma in una contemporanea riconversione per potenziare l’assistenza territoriale». 2014 • DOSSIER • 221


POLITICHE SANITARIE

Più parità tra pubblico e privato Il sistema sanitario emiliano-romagnolo rappresenta una delle eccellenze nazionali, anche per quanto riguarda gli ospedali a gestione privata. Mario Cotti illustra i risultati e i margini di miglioramento Nicolò Mulas Marcello

Mario Cotti, presidente dell’Associazione italiana ospedalità privata Emilia Romagna

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li ospedali pubblici a gestione privata hanno ottenuto ottimi risultati negli ultimi anni soprattutto in Emilia Romagna. Buone le previsioni per il futuro: «La sanità – spiega Mario Cotti, presidente dell’Associazione italiana ospedalità privata (Aiop) in Emilia Romagna – dovrà essere il vero banco di prova dei criteri europei di sussidiarietà: in un sistema veramente pubblico tutti i soggetti sociali devono poter collaborare in piena libertà al suo sostentamento e alla sua gestione, privato e pubblico, profit e non profit assieme all’associazionismo e al volontariato». Qual è oggi il ruolo degli ospedali privati nel nostro paese? «Oggi gli ospedali privati, soprattutto quelli accreditati, svolgono nel nostro paese un ruolo determinante: non più complementare, ma integrativo a tutti gli effetti. Lo spettro delle prestazioni ospedaliere e ambulatoriali eseguite si estende in tutti i settori, da quelli a intensità assistenziale più tenue a quelli a più alto contenuto professionale e tecnologico. Tale dato è testimoniato dall’ultimo rapporto nazionale “Ospedali e salute”, pubblicato a dicembre 2013, ove si rappresenta senza ombra di dubbio la completa parificazione tra pubblico e privato accreditato quanto a complessità delle prestazioni rese e delle dotazioni tecnologiche, con alcune realtà come la Lombardia e l’Emilia


Mario Cotti

Romagna dove il dato statistico è leggermente a favore del privato, ovviamente fatte salve le situazioni per legge riservate al settore a gestione pubblica, trapianti in primis». Qual è il rapporto tra ospedali pubblici a gestione pubblica e quelli pubblici a gestione privata anche in termini di risorse finanziarie? «Vi sono regioni come quelle che ho appena nominato in cui c’è grande integrazione e collaborazione, seppur con modelli diversi. In Emilia Romagna l’accento è posto sulla massima integrazione senza duplicazioni di attività. In altre parole si tende a coprire i fabbisogni in modo integrato e cercando di evitare sprechi di risorse; non sempre la cosa riesce bene perché le resistenze in ambito strettamente pubblico esistono e alcune volte incidono sulle scelte, ma complessivamente il quadro è abbastanza positivo». In Emilia Romagna la sanità a gestione privata funziona? Possiamo fare un bilancio? «Direi che funziona e che rappresentiamo una delle eccellenze a livello nazionale ed europeo. Molto si può ancora fare però per migliorare l’efficienza del sistema perché, nonostante le caratteristiche positive di questo modello, le resistenze al cambiamento tuttora persistono. Alcune aree di riserva alla gestione pubblica, come l’urgenza e l’attività territoriale e preventiva, permangono, ma la quota di produzione dei servizi coperta dal privato rimane notevole e di buon livello. Certo, negli ultimi anni il nostro contributo è richiesto in via prioritaria e in certi casi per volumi eccessivi o, comunque, più elevati». Cosa si potrebbe fare secondo lei? «Più parità e uguali condizioni per i controlli, penso a un ente veramente terzo a cui demandarli in ugual misura su pubblico e privato, e tariffe per le prestazioni uguali e con vera incisività. Faccio un esempio per tutti: se l’attività degli ospedali a gestione

pubblica fosse remunerata con le stesse tariffe del privato, a parità di requisiti, potremmo recuperare risorse importanti da destinare alla causa comune della crescita della qualità. Ora accade il contrario e le tariffe per il pubblico sono solo statistica. Certo l’ospedale pubblico non può fallire, ci mancherebbe, ma potrebbe con il riscontro tariffario cambiare i suoi dirigenti e premiare i capaci, questo sì». Quali iniziative ha in cantiere Aiop e cosa si augura per il futuro? «L’iniziativa più importante, testimoniata dal successo del rapporto annuale “Ospedali e salute”, è quella di far sapere al grande pubblico dei cittadini che il sistema sanitario pubblico è una ricchezza inestimabile, che fa del nostro Paese uno dei più avanzati al mondo in tema di welfare. Al contempo però, per mantenere vitale e duratura questa ricchezza, occorre saper innovare e soprattutto saper cogliere l’apporto di tutti indipendentemente dalla loro natura. Come augurio e auspicio, mi attendo la realizzazione di questa consapevolezza nella mente di chi avrà nella nostra nazione il compito di trarla fuori dalle attuali difficoltà, nella direzione della massima trasparenza e della pubblica rendicontazione. Nell’immediato già sarebbe molto rimettere sul piano della parità i vari pilastri della sanità con tariffe, controlli e bilanci pubblici uguali per tutti, pubblici e privati. Avremmo già fatto metà della strada». 2014 • DOSSIER • 223


POLITICHE SANITARIE

La sanità marchigiana è virtuosa Garantire la salute dei cittadini, utilizzare al meglio le risorse economiche e assicurare la trasparenza del sistema sanitario regionale. Così proseguirà l’opera di programmazione della sanità secondo l’assessore Almerino Mezzolani Renata Gualtieri

S Almerino Mezzolani, assessore alla sanità della Regione Marche

ono solo cinque le regioni che sono state ammesse alla premialità: Marche, Umbria, Lombardia, Veneto e Basilicata. Le regole che definiscono la premialità sono principalmente legate all’equilibrio di bilancio, all’avvio della Stazione unica appaltante (Suam), come previsto dalla legge 135/2012, in coerenza con la garanzia dei livelli essenziali di assistenza (Lea). «Tale traguardo - commenta l’assessore alla sanità, Almerino Mezzolani - è il frutto di anni d’interventi oculati e mirati che hanno consentito l’equilibrio economico e il mantenimento dell’erogazione dei Lea». Come verranno utilizzati i 2,763 miliardi ottenuti? «L’arrivo di quote economiche aggiuntive di premialità consentiranno al sistema sanitario regionale di tirare il fiato in un settore che sta aumentando le richieste, anche a

Con la riforma sanitaria ci attendiamo di garantire la salute dei nostri cittadini. Per questo, pur tra mille difficoltà, abbiamo deciso di avviarla

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Almerino Mezzolani

IL RUOLO DELLA SANITÀ PRIVATA alla presentazione dell’ultimo rapporto “Ospedali e Salute” dell’Associazione italiana ospedalità privata è emerso che l’Italia investe in sanità poco più del 7 per cento del Pil, abbondantemente meno di quanto facciano Francia, Germania e quasi tutti gli altri Paesi europei. «Il problema però non è quanto si spende ma come - precisa il presidente dell’Aiop Marche, Antonio Romani (nella foto) -. Mi riferisco ovviamente ai drastici tagli lineari fatti dal precedente governo. È emerso che, contrariamente a quanto si ritiene comunemente, negli ultimi anni nelle strutture private sono aumentate le prestazioni di peso medio e di conseguenza è aumentato l’indice di case-mix. Le strutture private, a fronte di un costo del 15 per cento rispetto alla spesa sanitaria, erogano il 25 per cento delle prestazioni.

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causa della congiuntura economica negativa che attraversa il nostro Paese e che determina un aumento della povertà cui tutti noi sappiamo si lega la nota equazione: più povertà uguale minor salute. Quindi, le risorse dovranno essere investite per migliorare l’erogazione dei Lea, riequilibrando la qualità assistenziale tra i territori e nello specifico nell’area dell’assistenza della prevenzione, dell’assistenza socio-sanitaria per garantire in primis le vecchie e nuove “fragilità”, anziani e disabili». In regione non ci saranno tagli ai settori che toccano le categorie più esposte, tra cui la tutela del diritto alla salute e delle fragilità sociali. Come sarà possibile raggiungere questo obiettivo e proseguire nell’opera di programmazione della sanità? «Noi crediamo che le cose siano legate tra loro: è con la riforma sanitaria, oggi in piena fase di realizzazione, che ci attendiamo di garantire la salute dei nostri

Sono sempre di più gli italiani che rinunciano o rimandano le cure. Quale la ricetta dell’ospedalità privata?

«Riteniamo di essere un valido strumento per l’abbattimento delle liste d’attesa per la nostra flessibilità e per i costi effettivamente più convenienti rispetto a una gestione diretta dei servizi». Come giudica il rapporto tra la sanità pubblica e privata in regione e dove occorre intervenire?

«I rapporti tra pubblico e privato nella regione Marche si stanno ricomponendo e stiamo cercando di creare sinergie utili per combattere la mobilità passiva. Se riusciremo a unire le forze, ognuno per le sue specifiche competenze, per il cittadino non potranno esserci senza dubbio benefici». Quali i numeri, tra posti letto, ricoveri e prestazioni che confermano la funzione delle strutture private in regione?

«Attualmente i posti letto per acuti sono 556, la riforma ne prevede 361, con abbattimento del 35 per cento. Un dato eccessivo a nostro parere, anche in considerazione del fatto che la riduzione del posto letto, nel privato, non comporta alcuna economia reale. Nel 2012 abbiamo effettuato circa 22mila ricoveri dalla regione e 12mila provenienti da altre regione, oltre a 450mila prestazioni ambulatoriali». Quanto incide attualmente la sanità privata sulla spesa sanitaria della regione?

«Con un costo di circa il 2,5 per cento sulla spesa sanitaria, abbiamo effettuato il 10 per cento circa dei ricoveri». RG

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POLITICHE SANITARIE

Le risorse dovranno essere investite per migliorare l’erogazione dei Lea, riequilibrando la qualità assistenziale tra i territori

cittadini. Ed è con questa consapevolezza che, pur tra mille difficoltà, abbiamo deciso di avviarla. La riduzione del fondo sanitario imponeva la revisione del sistema con il riequilibrio di risorse e lo spostamento dal sistema di cura delle acuzie al sistema di cura per la cronicità e la prevenzione». “Riparte il futuro Salute: obiettivo 100%” è la campagna promossa da Libera e Gruppo Abele con l’obiettivo di monitorare le aziende sanitarie italiane assegnando a ognuna un punteggio sulla base della loro trasparenza. Dai primi dati la regione non risulta ai primi posti, come è possibile incentivare una maggiore trasparenza nel sistema sanitario regionale? «La trasparenza e l’informazione al cittadino sono un dovere di ogni buona amministrazione. I siti regionali sono in fase di revisione, come pure quelli degli enti del

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sistema sanitario, anche a seguito della riforma in fieri. Sarà nostra cura far si che gli enti sanitari investano maggiormente in tale settore. Il nostro compito è quello di fare un attento monitoraggio per consentire che la nostra regione si posizioni anche in questo campo tra le prime d’Italia». I medici in regione hanno minacciato una serie di scioperi. È possibile un’intesa tra regione e medici? Su cosa si è trovato già un accordo e quali le questioni ancora da affrontare? «Sono ripresi recentemente una serie di incontri con le organizzazioni sindacali della dirigenza e molti sono i temi in fase di revisione e che dovranno essere la base del nuovo protocollo d’intesa. Tra i temi più caldi ci sono il personale, il turnover, la stabilizzazione dei precari, ma anche la volontà dei sindacati di partecipare in maniera fattiva alla riforma sanitaria».



CHIRURGIA LAPAROSCOPICA

Laparoscopia e patologie ginecologiche a chirurgia laparoscopica è da preferire alla chirurgia a cielo aperto? Questa domanda, che ricorre con frequenza, deve trovare una risposta convincente. Secondo il dottor Angelo Mantovani, direttore dell’unità operativa complessa di ostetricia e ginecologia dell’ospedale Bartolomeo Eustachio di San Severino Marche, in provincia di Macerata, proprio nella laparoscopia operativa, nell’ambito delle specialità chirurgiche addominali, si trovano i maggiori spazi che consentono di affrontare quasi tutte le patologie addominali, anche oncologiche, con particolare riferimento alle patologie ginecologiche. «Considerando gli innumerevoli vantaggi offerti da tale metodica, per dare una risposta corretta all’interrogativo, è necessario esaminare in dettaglio le ragioni che rendono preferibile la laparoscopia operativa. Innanzitutto si tratta di una chirurgia mini-invasiva

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Angelo Mantovani, direttore dell’unità operativa complessa di ostetricia e ginecologia dell’ospedale Bartolomeo Eustachio di San Severino Marche (MC) angemanto@libero.it

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La chirurgia laparoscopica a confronto con la chirurgia tradizionale. Angelo Mantovani fa un approfondimento con particolare riferimento alle patologie ginecologiche. E indica le opportunità per superare i limiti attuali Valerio Germanico

con visione anatomica ingrandita (4x). Le immagini, anche se molto vicine, vengono messe a fuoco perfettamente laddove l’occhio umano non sarebbe in grado di giungere autonomamente senza l’ausilio delle fibre ottiche, tanto che la precisione del gesto chirurgico diventa insuperabile. È possibile, peraltro, ottenere la conservazione delle parti anatomiche sane anche nella necessità di effettuare grosse demolizioni». Oltre alla mini-invasività, quali sono le differenze maggiori con la chirurgia tradizionale? «La perdita ematica intra-operatoria è di gran lunga minore che nella chirurgia a cielo aperto, il dolore post operatorio è quasi assente e la durata della degenza è molto più breve. Inoltre, non va sottovalutato l’aspetto estetico che, specie nelle giovani donne, rappresenta un elemento importante per orientare la scelta verso la chirurgia laparoscopica. I risultati che si ottengono nella chirurgia conservativa sono sicuramente migliori, perché più precisa, per quella demolitiva (anche oncologica), invece, i risultati fra le due metodiche chirurgiche sono sovrapponibili».


Angelo Mantovani

Il gold standard della chirurgia laparoscopica è l’endometriosi, indicazione fra le più frequenti, specie nelle donne affette da sterilità

In ambito ginecologico, quando è preferibile? «Le indicazioni in ginecologia sono numerose e vanno dalla gravidanza extrauterina all’asportazione di fibromiomi. È possibile effettuare l’isterectomia totale con o senza annessiectomia. Le cisti ovariche benigne (sierose, mucinose o dermoidi) sono da trattarsi esclusivamente in laparoscopia, anche se voluminose, per ottenere la massima conservazione del patrimonio follicolare. Però, il gold standard di questa chirurgia è sicuramente l’endometriosi, indicazione fra le più frequenti specie nelle donne affette da sterilità. Anche le algie pelviche per sindrome aderenziale si possono trattare con ottimi risultati in laparoscopia. E le flogosi pelviche, pure quelle acute, con ascessi tubo-ovarici, si giovano di tale tecnica chirurgica. Infine, per la sterilizzazione tubarica, è sicuramente da preferirsi alle altre metodiche proposte». Quali sono i vantaggi della laparoscopia negli interventi contro i tumori maligni dell’apparato genitale femminile? «Questi meritano una considerazione a parte. Fino a qualche anno fa la chirurgia laparo-

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scopica non sembrava proponibile con facilità ed efficacia. Oggi, invece, l’evoluzione delle tecniche e un maggiore training degli operatori hanno consentito agli stessi di spingersi in avanti sia nella radicalità loco-regionale che nella linfoadenectomia, se necessaria. Tale evoluzione chirurgica ha permesso di includere gli interventi per carcinoma endometriale (fra le più frequenti neoplasie maligne genitali) e quelli della portio, considerati per la necessaria radicalità parametrale e vaginale, di difficile esecuzione chirurgica. Va detto tuttavia che rappresentano ancora un limite i tumori maligni dell’ovaio che, negli stadi più avanzati, coinvolgono spesso anche il peritoneo fino al diaframma o altri organi addominali. In conclusione, il tumore vulvare non è trattabile con la chirurgia laparoscopica, in quanto la sede anatomica è tale per cui solo la chirurgia tradizionale è in grado di sopperire, per il momento, alle peculiarità di questo intervento. Ma un ulteriore avanzamento delle possibilità di applicazione sta venendo dalla robotica, che ha affinato il gesto chirurgico, permettendo di ottenere operabilità anche in condizioni ritenute finora non idonee».

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LA BUONA NOTIZIA Centro culturale S. Cristoforo

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VICINO AI BISOGNI DELLA COMUNITÀ 238 • DOSSIER • 2014

a crisi economico-finanziaria di questi anni ha determinato una preoccupante estensione dei fenomeni di impoverimento a fasce di popolazione che si sono trovate – spesso senza salvagente – in crescente difficoltà, a causa dell’instabilità e della fragilità della situazione occupazionale. A svolgere una fondamentale funzione di supporto nel tessuto sociale è sempre più il terzo settore, formato da quelle associazioni e organizzazioni non-profit che costituiscono una rete capillare di ascolto e di intervento, rispondendo a bisogni materiali e non solo: esigenze di incontro, di svago, di riflessione e di arricchimento culturale e spirituale. Il Centro culturale e ricreativo S. Cristoforo di Ozzano dell’Emilia rappresenta una di queste realtà e la sua concreta esperienza nel quotidiano può far comprendere meglio come queste associazioni operino attivamente all’interno della comunità. A illustrare le diverse attività del centro è il presidente Roberto Mattioli. In un momento di forte crisi economica e sociale come quello attuale, qual è il ruolo svolto dall’associazionismo cattolico e nello specifico dal centro da lei guidato? «L’associazionismo cattolico è portatore di valori forti, come la solidarietà e la compassione, intesa

non come pietismo ma come sincero slancio verso chi si trova nel bisogno; svolge, quindi, un ruolo importante in Italia e nel contesto economico attuale. La nostra associazione fa la sua parte, mantenendo inalterata la quota associativa da dieci anni a questa parte e continuando a svolgere iniziative totalmente gratuite. Recuperiamo le nostre risorse da contributi pubblici e privati: questo ci consente di poter offrire eventi culturali gratis e aperti a tutti. Una parte delle nostre risorse è anche destinata all’acquisto di generi alimentari che poi vengono affidati a terzi (parrocchia o Caritas locale) per la distribuzione ai meno abbienti». Quanti soci conta la struttura oggi? E quali sono i vostri interlocutori? «Il nostro centro conta attualmente una cinquantina di soci; i nostri interlocutori principali, oltre ai soci stessi, sono la parrocchia dei SS. Cristoforo e Carlo di Ozzano Emilia, presso la quale si trova la nostra sede, il Comune di Ozzano Emilia e la Consulta della cultura alla quale partecipiamo. Tra i nostri interlocutori, annoveriamo anche la Provincia di Bologna: siamo iscritti nel registro provinciale delle associazioni di promozione sociale e, in


passato, abbiamo partecipato al tavolo provinciale per la pace. Abbiamo continui rapporti con altre realtà dell’associazionismo locale. Per quanto riguarda le attività da noi organizzate, ci rivolgiamo principalmente alla comunità locale, ma abbiamo tenuto iniziative anche nei Comuni del circondario». Quali sono le principali attività organizzate dal centro? Vi rientrano attività specificatamente rivolte ai giovani? «Abbiamo realizzato alcune attività che, in dieci anni, ci hanno caratterizzato costituendo l’elemento fondante della nostra offerta ai soci e alla comunità locale. Innanzitutto, le conferenze che spaziano da argomenti come

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È nostra intenzione ospitare “Le verdi note” dell’Antoniano di Bologna per uno spettacolo a Ozzano Emilia

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la cultura della legalità alle encicliche papali, ai rapporti tra genitori e figli. Poi gli spettacoli musicali dedicati a generi meno e più noti quali, ad esempio, klezmer e gospel. Organizziamo anche visite ai più bei centri di arte e spiritualità del centro-nord. Purtroppo, non abbiamo attività mirate specificatamente ai giovani (e soprattutto ai più giovani), ma ritengo che gran parte delle nostre iniziative – come quelle musicali e le visite ai luoghi d’arte – sia fruibile, oltre che im-

portante, per la formazione dei ragazzi a partire dai 14 anni di età». Cosa avete in programma per il 2014? «Spesso le nostre iniziative, anche importanti, sono organizzate con orizzonti temporali brevi e la pianificazione annuale è sfalsata di circa 3 mesi rispetto alla chiusura dell’esercizio contabile, che chiudiamo il 31 dicembre. Posso però anticipare la nostra intenzione di ospitare “Le verdi note” dell’Antoniano di Bologna per uno spettacolo a Ozzano Emilia, del quale avvieremo i contatti in questi giorni. Inoltre, a circa un anno dalla pubblicazione della prima Enciclica di Papa Francesco, “Lumen Fidei”, organizzeremo una conferenza sul tema per capire quanto la gente conosca questo importante documento e, se necessario, per farlo conoscere e comprendere nelle sue linee fondanti. Con l’avvicinarsi a Natale 2014, riprenderemo la tradizione del concorso presepi, sempre rivolto alla comunità ozzanese». 2014 • DOSSIER • 239


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