Dossier Italia 02 2013

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OSSIER L’INTERVENTO .......................................09 Domenico Achille Carlo Sangalli Guido Carella Giancarlo Cremonesi

PRIMO PIANO IN COPERTINA.......................................16 Paolo Buzzetti INDUSTRIA DELLE COSTRUZIONI.........................21 Stefano Petrucci Massimo Rustico Giuseppe Marcotrigiano

ECONOMIA E FINANZA

AMBIENTE

ASSET PER LA CRESCITA...............36 Roberto Snaidero Ferruccio Dardanello Roberto Luongo Giovanni Castellaneta Sergio Arzeni

GESTIONE DEI RIFIUTI ....................106 Monica Cerroni Gaetano Salerno Nicola Veronico Salvatore Guglielmino

IL TESSILE ITALIANO ........................50 Luca Marco Rinfreschi Aldo Colonetti Renato Balestra Domenico Menniti Maurizio Marinella

PIANO CITTÀ .........................................26 Marco Sangiorgio Leopoldo Freyrie

MODELLI D’IMPRESA........................60 Fabio Valentini Antonio Tannoia Giuseppe Longo Luca Carafa

MERCATO IMMOBILIARE.................32 Paola Marella

EXPORT...................................................68 Giampiero Fedele CONSULENZA.......................................70 Antonio Londra e Danilo Pellegrini L’ECONOMIA LAZIALE.......................74 Maurizio Stirpe Giuseppe Roscioli Mauro Mannocchi Roberto Panzarani CREDITO & IMPRESE ........................85 Danilo Cerreti Ettore Quadrani SUD SVILUPPO ...................................90 Antonio Tajani Angelo Bozzetto Giuseppe Speziali Francesco Cava Pina Amarelli Sergio Curatolo Filippo Cassano

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EFFICIENZA ENERGETICA ..............118 Carlo Alberto De Carlo Paola Ferroli

GIUSTIZIA REATI ECONOMICI ...........................124 Ranieri Razzante Franco Tutino


Sommario SANITÀ

SPECIALE P&C

FECONDAZIONE ASSISTITA .........130 Monica Antinori

APPUNTAMENTI ................................144 Made expo Saie3 Klimahouse Expoedilizia

URBANISTICA .....................................192 Lorenzo Monardo

BIOEDILIZIA .........................................158 Pier Paolo Povoledo Mario Zoccatelli Flavio Ruffini Diego Laner Ario Ceccotti Francesco Nesi Vito Cornacchione Luca Fabbretti

EDILIZIA ..............................................200 Aleandro Carminati Stefano Dalla Giuseppe Germano

PATOLOGIE CARDIACHE................132 Leonardo La Spina CHIRURGIA DELLA CORNEA ........134 Silvio Zagari DIFETTI DELLA VISTA .....................136 Alessandro Roncaccia SERVIZI SANITARI.............................138 Silvio Ontario CHIRURGIA ..........................................140 Carlo Farina

RIQUALIFICAZIONE...........................174 Vittorio Gregotti Mario Botta Gianluca Peluffo Paolo Desideri EDITORIALE.........................................186 Bruno Gabbiani

RISCHIO SISMICO .............................188 Francesco Karrer Gian Vito Graziano

REALIZZAZIONI..................................194 Gruppo Dimensione Carlo De Re

SOCIAL HOUSING.............................206 Sergio Mantovani TECNOLOGIE......................................208 Moreno Amedei MATERIALI ...........................................210 Michele e Alessandro Filiberti Silvano Taglini Romeo Mariani POLITICHE ENERGETICHE.............218 Agostino Re Rebaudengo Simone Togni Carlo Ciccarelli DIAGNOSI ENERGETICHE ............226 Fabrizio Ferrari FILIERA DEL SERRAMENTO ........228 Piero Mariotto Emanuele Poggioli Marco Lambertini Elvio Manfrini Gianmarco Trentadue

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L’INTERVENTO

Lotta agli evasori che mortificano il Paese di Domenico Achille, comandante interregionale della Guardia di Finanza per l’Italia meridionale

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evasione fiscale costituisce un grave ostacolo alla crescita del Paese, oltre che un serio pericolo per la coesione sociale. Una conferma dell’assunto può anche discendere dal consuntivo dell’attività sviluppata nel corso dell’anno 2012 dai reparti del Comando interregionale per l’Italia meridionale, ovverosia tutti quei reparti che operano nelle regioni Campania, Puglia, Basilicata e Molise. L’azione di contrasto condotta nello specifico settore della lotta all’evasione fiscale ha, infatti, consentito di recuperare a tassazione ricavi non dichiarati e costi non deducibili per oltre 4,3 miliardi di euro e di individuare circa 1.600 soggetti completamente sconosciuti al fisco, che avevano occultato oltre 2,2 miliardi di euro. Sono stati, inoltre, denunciati 2.298 contribuenti per reati tributari, recuperando oltre un miliardo di Iva evasa. Sulla scorta di tali importanti risultati, le linee di azione che i reparti dipendenti si prefiggono di sviluppare per l’anno appena iniziato non possono prescindere dalla necessità di reprimere, con rinnovata energia, gli illeciti fiscali che minano alla base l’economia del paese. La lotta ai cosiddetti “furbetti”, che sottraggono risorse alla collettività, non potrà che continuare senza sosta e senza tregua giacché l’abitudine di considerare siffatti personaggi alla stregua di modelli da emulare deve essere definitivamente abbandonata. L’azione di contrasto sarà sviluppata con determinazione e severità, ma nel pieno rispetto di tutte le regole e i vincoli imposti dall’ordinamento per salvaguardare e tutelare i cittadini onesti che adempiono correttamente ai propri doveri di contribuzione. L’obiettivo che ci si prefigge di realizzare è anche quello di esaltare la qualità dei controlli attraverso l’approccio trasversale alle investigazioni, l’approfondita conoscenza del contesto esterno di riferimento, in modo da calibrare le attività verso fenomeni e attività economiche peculiari di ogni area territoriale; e la concentrazione degli sforzi operativi verso quei fenomeni di evasione, di frode e di illegalità economico-finanziaria più

pericolosi e maggiormente lesivi per il bilancio degli enti locali, del Paese e dell’Unione europea. Altro aspetto sul quale le fiamme gialle del Comando interregionale intendono impegnarsi, in linea con gli intendimenti del governo e i coerenti indirizzi delineati dal Comando generale, attiene all’esaltazione della cultura della legalità in generale e, segnatamente, di quella economico-finanziaria, patrimonio indispensabile per l’esistenza e la crescita della collettività. Solo lavorando in questa direzione, potremo affrancarci dal degrado culturale che condiziona lo sviluppo economico dell’Italia. Non posso che ribadire, infine, quanto ha già recentemente rimarcato il comandante generale della Guardia di Finanza, il generale Saverio Capolupo, sul concetto che “la legalità, alla fine, vince”. Auspico, pertanto, che con sempre maggiore frequenza i contribuenti onesti ci forniscano la loro preziosa collaborazione per restituire alla società ciò che gli evasori illecitamente sottraggono mortificandone progresso, crescita e coesione. 2013 • DOSSIER SVILUPPO • 9



L’INTERVENTO

L’Italia punti sulla produttività di Guido Carella, presidente Manageritalia

roduttività, è la parola che ci perseguita. Sono decenni che in Italia la produttività è in discesa e, più di recente, è crollata. Secondo la Commissione Europea, nel secondo trimestre 2012 l’Italia ha registrato la caduta di produttività più forte nell’Ue: -2,1 per cento, dopo un -0,8 nel primo trimestre. Allora che fare? La produttività aumenta se migliorano le capacità dei fattori produttivi e il loro mix. Più istruzione e conoscenza per le persone, innovazione per i macchinari e organizzazione dei processi. Ma non basta, a tutto questo si deve aggiungere un’organizzazione del lavoro e una gestione sempre più manageriale. Ma per mille motivi nel nostro Paese questa indispensabile modernizzazione è rimasta a metà strada. Abbiamo aziende piccolissime (il 90 per cento ha meno di 5 addetti, il 95 meno di 10 e il 99,9 meno di 250), ancor più nel Mezzogiorno, che non fanno ricerca e innovazione, che non hanno la dimensione per fare economie di scala, che hanno scarsissima o nulla presenza, competenza e gestione manageriale. E, di conseguenza, capacità organizzativa e gestionale. Abbiamo gap vistosi nella formazione, soprattutto nella sua capacità di sfornare persone con conoscenze allineate a quelle richieste dal mercato. Abbiamo un costo del lavoro e del fare impresa altissimo. A questo si aggiunge il fatto che negli ultimi decenni siamo stati incapaci di spostare la nostra economia e le nostre aziende nei business a più alto valore aggiunto, dove la produttività e il successo sono meno legati a meri fattori di costo. Non abbiamo saputo sfruttare quei vantaggi competitivi che nessuno può rubarci, solo noi distruggere, legati alla filiera dell’italianità (turismo, cultura, ambiente, benessere, agroindustria, green economy). Una filiera, che con i necessari investimenti e le indispensabili iniezioni di managerialità, è decisiva anche per dare finalmente slancio al Mezzogiorno.

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L’aumento della produttività e del benessere di persone e aziende passano sicuramente per una ridefinizione dei modelli e delle culture del lavoro, in primis delle relazioni industriali e del ruolo delle cosiddette parti sociali. Oltre che per un forte aumento di presenza, competenza e gestione manageriale in gran parte delle imprese italiane. Ma, e ne è una conseguenza, passa soprattutto dalla diffusione di modelli organizzativi e strumenti volti a migliorare la vita dei singoli e delle imprese. Un cambiamento che per la grande maggioranza di manager e lavoratori italiani (intervistati per Manageritalia da AstraRicerche e Duepuntozero Doxa nel 2012) passa per: valutazione delle persone su merito e risultati; gestione delle persone per obiettivi; più formazione; più gestione manageriale; più collaborazione e meno gerarchia; maggior conciliazione tra vita professionale e personale; introduzione di programmi di welfare aziendale. Insomma, il lavoro e il mondo del lavoro che ci servono e meritiamo richiedono una profonda rivisitazione, per non dire rottamazione di quello attuale. Merito, gestione per obiettivi, collaborazione, innovazione, conciliazione tra vita privata e professionale, managerialità, formazione continua sono alcune delle parole chiave per ripartire e raggiungere produttività e benessere. Da qui e solo da qui l’Italia e ancor più il Mezzogiorno devono e possono ripartire di slancio verso un vero e strutturale sviluppo. 2013 • DOSSIER SVILUPPO • 13



L’INTERVENTO

Gli scenari dello sviluppo di Giancarlo Cremonesi, presidente di Unioncamere Lazio

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a situazione economica del Lazio è ancora molto debole e le prospettive di ripresa per il 2013 continuano a essere incerte. Nell’ultimo anno l’Italia si è trovata nel pieno della fase recessiva, risentendo sia del rallentamento del commercio mondiale sia della perdurante difficoltà di imprese e famiglie, ma soprattutto del consistente ammontare di debito pubblico. Le previsioni di ripresa economica per il 2013-2014 sono molto caute, soprattutto a causa dell’incertezza dei mercati e delle condizioni creditizie difficili. A fronte di una riduzione media dell’1 per cento del Pil nazionale, per l’anno in corso si prospetta una contrazione del Pil in tutte le regioni, sebbene più contenuta rispetto al 2012. Per il 2013 le previsioni di Unioncamere-Prometeia per gli scenari di sviluppo delle economie locali mostrano per il Lazio un calo del Pil dell’1 per cento. È prevista la flessione di diversi indicatori: continuano a ridimensionarsi i consumi delle famiglie laziali dello 0,9 per cento e si prospetta un’ulteriore caduta per gli investimenti del 3,6 per cento. A fronte della debolezza della componente interna della domanda, le esportazioni continuano a rappresentare il traino maggiore per l’economia della regione: le attese sono di un aumento medio dell’1,9 per cento per il 2013. Non si prevede, purtroppo, un miglioramento del mercato del lavoro: l’occupazione dovrebbe continuare a ridursi, con un previsto aumento del tasso di disoccupazione all’11,5 per cento. E il dato relativo alla disoccupazione giovanile, largamente superiore al 30 per cento, grava come un macigno su tutte le politiche di ripresa economica che si andranno ad adottare. Si prevede, quindi, un altro anno difficile, ma con qualche segnale di ripresa per l’export e il turismo, che tuttavia non sono sufficienti per garantire una prospettiva di sviluppo duraturo. Bisogna, dunque, far ripartire gli investimenti e il mercato interno, da cui dipende anche il recupero dei livelli occupazionali, e, soprattutto, supportare il tessuto produttivo del territorio, costituito

da 615.736 imprese registrate al 31 dicembre 2012, con misure concrete. Il sistema camerale del Lazio è impegnato su molteplici fronti per sostenere le imprese della regione. Tra questi, rivestono particolare importanza le azioni mirate a facilitare l’accesso al credito, incrementare i processi d’internazionalizzazione, aiutare la creazione di reti d’imprese in settori strategici come il turismo, l’agroalimentare, la nautica e l’aerospazio. Un altro ambito su cui le Camere di commercio laziali si muovono, avendo stanziato ingenti risorse, è quello dello start-up aziendale, con particolare attenzione alle attività avviate da giovani, donne e immigrati. Rimanere competitivi a livello internazionale, a fronte di una domanda interna stagnante, rimane il principale sbocco di ossigeno per le nostre aziende. In questo ambito, la già significativa azione attuata sino a oggi da Unioncamere Lazio risulterà ulteriormente accresciuta dalla costituzione dell’Agenzia per l’internazionalizzazione, finalizzata a favorire una sempre maggiore presenza competitiva delle nostre imprese sui mercati globali. 2013 • DOSSIER SVILUPPO • 15


IN COPERTINA

PICCOLI CANTIERI PER FAR RISORGERE L’EDILIZIA Con l’inizio del 2013 si apre una stagione che potrebbe lasciare tracce significative nella fisionomia urbana italiana. Muove i primi passi il Piano città, da cui Paolo Buzzetti si attende molto, soprattutto in chiave di rilancio economico del sistema edilizio nazionale Giacomo Govoni

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n ammontare di 318 milioni di euro di fondi assegnati che consentiranno ai 28 progetti vincitori di attivare investimenti per 4,4 miliardi di euro. Sono i primi numeri prodotti dal Piano città, al varo ufficiale da metà gennaio scorso con lo sblocco dei finanziamenti utili da parte del governo, a cui si aggiungono anche le risorse messe a disposizione dal fondo per l’edilizia sociale di Cassa depositi e prestiti. Dalla seconda metà del 2013, secondo le stime, si cominceranno a mettere in moto i cantieri che per il sistema italiano delle costruzioni potrebbero rappresentare l’alba di una nuova stagione. «Abbiamo lanciato l’idea del Piano città un anno fa – commenta Paolo Buzzetti, presidente di Ance nazionale – per dare all’Italia quel piano di rigenerazione urbana che mancava da 20 anni e oggi possiamo dire che il primo grande passo è stato fatto». Un provvedimento che potrebbe prefigurare nuovi scenari, in primis per il comparto edilizio. Quali obiettivi si pone? «L’intento è quello di riqualificare i

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Paolo Buzzetti

Paolo Buzzetti, presidente dell’Associazione nazionale costruttori edili

Proponiamo l’utilizzo dei due miliardi di euro l’anno previsti dai fondi strutturali e Fas per la realizzazione delle politiche urbane

centri urbani e recuperare le periferie attraverso interventi di demolizione e ricostruzione, non solo sostituendo singoli edifici ma anche recuperando ampie parti di città, come già da tempo avviene in Europa». Va detto che a fronte di 28 proposte accettate, più di 450 avanzate dai Comuni sono state respinte. Come sopperire a questa criticità, figlia evidentemente di un deficit di risorse? «È fondamentale che il nuovo governo dia seguito a questo primo passo ponendo al centro dell’attenzione le politiche per la città e dotando il piano di un finanziamento più corposo. Noi proponiamo l’utilizzo dei due miliardi di euro all’anno previsti dai fondi strutturali e Fas per la realizzazione delle politiche urbane». Lei ha affermato di recente che le costruzioni sono al centro di una massiccia deindustrializzazione. Quali sono i contorni più allar-

manti di questo trend? «Difficile dire se sia più allarmante che migliaia di imprese edili chiudano perché la Pa non paga lavori regolarmente eseguiti, che il credit crunch continui a strangolare imprese e famiglie o che in Italia non ci sia ancora un programma di investimenti per la messa in sicurezza del territorio e per la riqualificazione e l’ammodernamento del patrimonio scolastico. Certo è che i primi a fare le spese del collasso di questo settore sono le imprese: dal 2008 hanno perso il posto 360mila persone, 550mila se consideriamo l’indotto». Un quadro con tante ombre e pochissime luci. «Trovare delle soluzioni a questi problemi riteniamo sia una condizione indispensabile per il rilancio dell’economia italiana. Non si può ignorare la crisi di un settore che acquista beni e servizi dall’80 per cento dei settori economici in Italia e che per ogni miliardo investito genera una ricaduta 2013 • DOSSIER SVILUPPO • 17


IN COPERTINA

di 3,374 miliardi di euro. L’attività produttiva è tornata ai livelli di 40 anni fa, gli investimenti in costruzioni, al netto degli interventi di ristrutturazione, sono diminuiti in 5 anni del 38 per cento e i dati sono di mese in mese più preoccupanti, in tutti i comparti, dalla produzione di nuove abitazioni all’edilizia non residenziale. Abbiamo toccato il fondo e ora dobbiamo assolutamente invertire la rotta». C’è da far fronte a un 2012 che ha visto la domanda di mutui ridursi in modo radicale. Quanto è prioritario intervenire su questo terreno? «In realtà a esser crollata non è la domanda, ma il numero di mutui erogati dalle banche, che nel 2012 si è dimezzato. Sicuramente l’estrema incertezza del quadro economico, le difficili prospettive del mercato del lavoro e la flessione del reddito disponibile scoraggia e rinvia gli investimenti delle famiglie, ma al momento in Italia non ci sono segnali che facciano pensare a una bolla immobiliare. Al contrario, i dati mostrano che esiste una domanda insoddisfatta di circa 596mila abitazioni. Non va dimenticato che l’acquisto della casa è stato e sarà sempre il sogno degli italiani: dobbiamo solo dare la possibilità alle famiglie di avverarlo». Una buona programmazione di riqualificazione edilizia dell’esistente, in quest’ottica, potrebbe rivelarsi efficace. Altre possibili strade? «Noi pensiamo che una delle soluzioni sia promuovere nuovi strumenti finanziari in grado di riatti18 • DOSSIER SVILUPPO • 2013

vare il circuito del credito, i cosiddetti Casa bond. Questa proposta prevede il coinvolgimento della Cassa depositi e prestiti e di altri investitori istituzionali nell’acquisto delle obbligazioni a medio-lunga scadenza emesse dalle banche per finanziare i mutui delle famiglie sia per l’acquisto della prima casa che per la ristrutturazione». Una delle leve su cui vengono risposte molte speranze anche in ottica di rilancio delle costruzioni è la diffusione dell’housing sociale. Come si sta procedendo su questo binario? «L’edilizia sociale necessita di interventi mirati che in Italia mancano da decenni. Regioni e Comuni hanno provato, a modo loro, a risolvere il problema anche attraverso soluzioni forzate, come la realizzazione obbligatoria di alloggi sociali a carico delle imprese private nell’ambito di iniziative edificatorie. Ma questa non può essere la soluzione: non si può chiedere ai privati di fare welfare. Piuttosto i Comuni dovrebbero assicurare la disponibilità di aree o immobili da recuperare in tempi certi, a costo (quasi) zero e a condizioni che consentano di realizzare un prodotto comunque di qualità. Guardiamo con interesse allo strumento dei fondi immobiliari che però fatica ad avviarsi. Servono anche misure per potenziare l’offerta di case per l’affitto con incentivi, anche fiscali, soprattutto se si applica un canone sostenibile. Occorre, infine, riattivare i canali di credito a favore delle

Dal 2008 nel settore delle costruzioni hanno perso il posto di lavoro 360mila persone, 550mila se consideriamo l’indotto

famiglie soprattutto per l’acquisto della prima casa». Inutile sottolineare il peso dell’Imu sulle vicende che interessano il presente e il futuro del settore. «L’aumento della pressione fiscale sulla casa, dovuta anche all’introduzione di questa imposta, combinato alla restrizione del credito, sta avendo un effetto devastante sul mercato immobiliare, alle prese con un vero e proprio blocco delle


Paolo Buzzetti

compravendite. All’Imu andrebbero apportate alcune modifiche per raggiungere un livello accettabile di equità e attivare l’offerta di case in affitto. Ad esempio, andrebbe resa progressiva in modo che chi ha di più paghi di più. Inoltre, andrebbe assolutamente eliminata per gli immobili costruiti dalle imprese e non ancora venduti. In questo caso si tratta di una tassa su beni prodotti dalle imprese prima ancora di essere venduti, cosa che non accade in nessun altro settore industriale». Quale strategia politica dovrà adottare il prossimo esecutivo in questo senso? «La nostra richiesta è quella di agire subito seguendo l’esempio di Stati Uniti, Francia e Germania, che hanno puntato su edilizia e mercato immobiliare per rilanciare l’economia. Le scelte politi-

che fatte in Italia, nonostante gli sforzi positivi del ministro Passera e del viceministro Ciaccia, non sono andate in questa direzione e i risultati drammatici sono sotto gli occhi di tutti». Ultimamente l’abbiamo sentita esprimere preoccupazione per infiltrazioni di operatori sleali nel mondo delle costruzioni. Teme che anche il Piano città possa incoraggiare questo fenomeno? E come vi state muovendo per arginarlo? «Il tentativo delle organizzazioni criminali di intercettare gli importanti flussi finanziari destinati agli investimenti in costruzioni, pubblici e privati, potrebbe non risparmiare il Piano città. L’Ance proseguirà l’intensa azione che da anni porta avanti per contrastare le infiltrazioni criminali nell’economia. Un’azione che, ricordo, ha prodotto buoni risultati. E’ proprio su una proposta dell’Ance, infatti, che nella legge anticorruzione è stata prevista la costituzione delle white list, ovvero degli elenchi prefettizi dei fornitori a più alto rischio di infiltrazione mafiosa per i quali sia escluso il tentativo di infiltrazione mafiosa. Un importante passo in avanti che, tuttavia, andrebbe completato prevedendo l'obbligatorietà dell’iscrizione alle liste come, peraltro, previsto per la ricostruzione del terremoto in Emilia Romagna. Del resto, l’esperienza relativa alle white list facoltative, come accaduto in Abruzzo, non sta producendo risultati significativi». 2013 • DOSSIER SVILUPPO • 19



INDUSTRIA DELLE COSTRUZIONI

Le priorità per i primi 100 giorni di governo di Stefano Petrucci, presidente Ance Lazio

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l tessuto produttivo dell’industria laziale delle costruzioni è stato colpito duramente dall’effetto devastante dei mancati e ritardati pagamenti delle amministrazioni pubbliche per lavori già eseguiti. Basti pensare che il credito vantato dalle imprese a livello regionale ha ormai superato i 500 milioni di euro. Questi ritardi, sommati al credit crunch, non hanno dato scampo a migliaia di aziende. Tanto che dal 2009 a oggi abbiamo assistito alla chiusura di 2.800 aziende e all’uscita dal mercato del lavoro di 20mila operai. Per fermare questa emorragia Ance Lazio ha proposto ai candidati alla presidenza della Regione un decalogo contenente riflessioni e proposte per rilanciare l’economia della regione. Si tratta di un documento che individua nella competenza, nella responsabilità e nel rispetto delle regole i valori ai quali si dovrà ispirare l’attività della prossima giunta regionale. Ai primi posti del Decalogo per una nuova stagione vi sono le due emergenze del contenimento della spesa corrente, che passa necessariamente per una riorganizzazione della macchina amministrativa regionale, e della liquidazione dei debiti nei confronti delle imprese. A questo proposito, Ance Lazio ha chiesto che venga rispettato il diritto e si tenga fede entro i primi 100 giorni di governo, agli impegni contrattuali attraverso il pagamento delle imprese per i lavori realizzati. Alla soluzione del problema dei pagamenti dovrà poi far seguito l’approvazione di un vero e proprio piano per gli investimenti, trasparente per quanto riguarda sia le risorse disponibili che gli ambiti di utilizzo.

Quello che le imprese desiderano è, infatti, poter contare su un interlocutore credibile e affidabile. Per questo nel testo figura anche la necessità di definire nei primi 100 giorni della legislatura una programmazione rigorosa delle risorse per gli investimenti, a cominciare da quelle dell’Ue, e considerare prioritarie in questo ambito le infrastrutture, la manutenzione del territorio e la riqualificazione del patrimonio pubblico a forte impatto sociale, scuole in primis. Una particolare attenzione dovrà, inoltre, essere prestata alla riqualificazione urbana, salvaguardando e portando a termine il processo d’innovazione normativa e di semplificazione procedurale avviato con il piano casa. Allargandolo anche ad altre leggi regionali si potrebbe peraltro favorire un numero crescente d’interventi sia nella Capitale che negli altri capoluoghi. Specifica è la richiesta di affrontare con decisione e rapidità la questione dell’approvazione del piano territoriale paesaggistico regionale, in assenza del quale regna un’incertezza che di fatto blocca ogni attività di promozione imprenditoriale. Massima attenzione viene, infine, sollecitata sul rischio di una nuova emergenza abitativa, in assenza di programmi di housing sociale. Su questo punto si auspica una maggiore capacità decisionale da parte della nuova amministrazione. 2013 • DOSSIER SVILUPPO • 21


INDUSTRIA DELLE COSTRUZIONI

La forza dell’edilizia è oltre confine Nonostante la domanda superi l’offerta, il settore costruzioni affronta un periodo particolarmente complesso. Ma è al mercato estero, che apprezza da sempre il know-how italiano, che bisogna guardare per tornare a crescere Teresa Bellemo

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l settore delle costruzioni sta affrontando un momento di forte difficoltà che colpisce soprattutto le piccole imprese. Nonostante questo, dai dati dell’analisi Ance dello scorso dicembre emerge che non vi sono segnali per una bolla immobiliare nel settore residenziale, contrariamente a quanto è avvenuto in altri Paesi. A confermarlo, una recente ricerca del Censis che mette a confronto l’andamento della domanda espressa, rappresentata dalla propensione delle famiglie ad acquistare un’abitazione (907mila famiglie), con le transazioni effettuate (485mila). Nonostante la rilevante caduta delle compravendite residenziali e la riduzione della propensione all’acquisto, permane una domanda non soddisfatta di dimensioni rilevanti (circa 44 milioni di mq). Ma sono le attività oltre confine a rendere solide le imprese del settore, permettendo loro di poter credere in una ripresa a breve tempo. Oggi, infatti, le attività estere rappresentano il 53,8 per cento del totale e superano per il terzo anno consecutivo la quota del mercato italiano. Dal 2004 al 2011 il business all’estero è cresciuto a un ritmo del 15 per cento l’anno, mentre il fatturato prodotto in Italia è aumentato soltanto dello 0,4. Ne

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parliamo con Massimo Rustico, ministro plenipotenziario distaccato presso l’Ance. Com’è la situazione immobiliare italiana? C’è il rischio di una bolla? «La fase negativa dell’attuale ciclo immobiliare in Italia peggiora ulteriormente. Le compravendite registrano, nei primi nove mesi del 2012, una significativa diminuzione tendenziale del 23,9 per cento. La domanda immobiliare rimane debole per l’estrema incertezza che scoraggia e rinvia le decisioni di investimento delle famiglie, per le difficili prospettive del mercato del lavoro e per la flessione del reddito disponibile. Un altro fattore è il blocco del circuito finanziario a medio-lungo termine che rende estremamente difficile per le famiglie accedere ai mutui per l'acquisto della casa».

Il mercato italiano sta vivendo una brusca frenata. Quanto l’estero può aiutare il comparto a riprendersi? «Il nostro sistema di imprese è presente in 86 Paesi perché forte di competenze, capacità organizzative e manageriali e si conferma tra i più competitivi all’estero. Da una parte, infatti, troviamo le imprese di costruzione italiane già fortemente radicate nei mercati esteri. Dall’altro, quelle pmi ancora orientate all’Italia che ora però stanno iniziando a internazionalizzare proprio per far fronte alle fortissime difficoltà del settore. Secondo i dati sulla presenza all’estero delle imprese italiane di costruzione, il 2011 si è confermato il sesto anno consecutivo di crescita, con una significativa


Massimo Rustico

Massimo Rustico, ministro plenipotenziario distaccato presso l’Ance

I mercati ci sono e Ance fa molto per coglierli, anche grazie alla sinergia con la Farnesina e la sua rete diplomatica

espansione del business sia in termini di fatturato che di nuove commesse acquisite. Nel 2011 il fatturato estero è stato di oltre 7,8 miliardi di euro, una volta e mezzo quello realizzato nel 2004 e sono stati firmati 239 nuovi contratti del valore complessivo di 12,5 miliardi di euro». Quali i Paesi più promettenti da questo punto di vista? «Le nostre pmi operano prioritariamente con i paesi del Mediterraneo e dell’est Europa. L’Algeria è un valido partner per il settore dell’habitat e per il settore delle infrastrutture. La Libia invece in futuro sarà uno dei mercati di maggiore interesse, viste le rilevanti risorse che verranno messe a disposizione per la ricostruzione del Paese. Insomma, i mercati ci sono, serve coglierli e su questo fronte facciamo

molto, anche grazie a una crescente sinergia con la Farnesina e la sua rete diplomatica. Dovremo fare sforzi aggiuntivi sui territori meno battuti: se il Sud America è il mercato principale (circa il 30 per cento dell’intero fatturato estero), dovremo puntare con una chiara strategia di penetrazione ad esempio all’area dell’Asean, che registra forti tassi di crescita, ma anche all’Australia, Canada, Indonesia, Sud Africa, che rappresentano mercati importanti, dove le infrastrutture legate al settore minerario sono per noi di grande interesse». Le piccole aziende faticano a uscire dai confini nazionali, come fare per favorirle e quali sono le capacità necessarie perché questo avvenga? «Oggi le pmi italiane guardano con accresciuto interesse ai mercati esteri

e non si sottraggono alle sfide competitive imposte dalla globalizzazione. Ance sta facendo un grande sforzo per supportare la loro presenza sui mercati internazionali organizzando varie missioni nei mercati dell’Area mediterranea e dell’Europa centro-orientale. I mercati esteri richiedono competenze integrate che coinvolgono la fase propositiva degli interventi, la capacità progettuale, realizzativa, finanziaria e gestionale. È quindi fondamentale per le pmi aggregarsi attivando forme di mutuo sostegno, siano esse di natura consortile, reti d’impresa, associazioni temporanee in modo da poter avere la dimensione e creare l’adeguata economia di scala. Oggi le pmi devono affacciarsi all’estero e presentarsi con proposte innovative». 2013 • DOSSIER SVILUPPO • 23


PIANO CITTÀ

Fondi per housing sociale e rigenerazione urbana Alla piena attuazione del Piano città e alla valorizzazione della sua dimensione sociale concorre in misura significativa anche Cassa depositi e prestiti, che mette in campo un fondo specifico per l’abitare sostenibile. Lo spiega Marco Sangiorgio Giacomo Govoni

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all’analisi della dinamica abitativa registrata nell’ultimo quinquennio in Italia, un dato colpisce più di ogni altro: l’inesorabile allargamento di quella fascia intermedia di famiglie, esclusa dall’accesso ai bandi di edilizia popolare, ma non abbastanza agiata da permettersi abitazioni a prezzi di mercato. A questa fascia, figlia di una crisi globale che si riflette sul mercato immobiliare, si rivolge in particolare il fondo investimenti per l’abitare istituito e gestito da Cassa depositi e prestiti attraverso la Cdp investimenti Sgr, società costituita 4 anni fa con il preciso intento di incrementare l’offerta di alloggi sociali sul territorio italiano. «Attualmente sugli oltre 2 miliardi di euro del patrimonio del fondo – spiega il direttore generale della società Marco Sangiorgio – sono state assunte delibere d’investimento, vincolanti e non vincolanti, per 600 milioni di euro, che riguardano 17 fondi immobiliari locali gestiti da 10 società di gestione del risparmio».

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La vostra piattaforma orienta in maniera specifica gli sforzi sull’edilizia privata sociale. Quali linee d’investimento sono già in moto? «In 13 di questi 17 fondi, abbiamo preso delibere d’investimento definitive per circa 330 milioni, relative a 89 progetti. Oltre a questi fondi, entro il primo semestre di quest’anno, dovrebbero risultare attivi altri 3 fondi promossi da enti locali. Sono, infatti, in via di finalizzazione da parte della Provincia autonoma di Trento, della Regione Sardegna e della Regione Siciliana le gare per individuare Sgr chiamate a istituire i fondi locali di social housing. Inoltre, a livello nazionale, abbiamo una pipeline di possibili investimenti di circa 3 miliardi di euro». Il volume di risorse che gestite è uno strumento cruciale anche in chiave Piano città. Qual è il vostro grado di mobilitazione su questo terreno? «In qualità di osservatori, abbiamo partecipato ai lavori della cabina di regia, istituita dal ministero delle Infrastrutture e dei trasporti. La ca-

bina aveva lo scopo di valutare i progetti, soprattutto in un’ottica di coordinamento con altri finanziamenti, nella prospettiva di fare delle risorse del Piano città un volano per un programma più ampio di investimenti, pubblici e privati. Il nostro ruolo di osservatori, che non ha interferito in alcun modo con la dinamica pubblicistica d’assegnazione dei contributi, era finalizzato proprio a individuare progetti di social housing potenzialmente idonei agli investimenti del Fia. Al momento ci è difficile valutare il numero di progetti su cui potremo intervenire: possiamo però sottolineare di aver già avviato le prime interlocuzioni con i Comuni dove crediamo ci siano progetti compatibili con le finalità di investimento del Fia e sostenibili dal punto di vista sociale e finanziario». Quanto può pesare la diffusione del social housing nello sviluppo futuro delle città? «Il social housing può contribuire alla riqualificazione delle città, non soltanto per l’incremento dell’offerta abi-


Marco Sangiorgio

Gli 89 progetti deliberati, di cui 33 in corso di realizzazione o già ultimati, sono localizzati nelle regioni del nord e, parzialmente, del centro

Marco Sangiorgio, direttore generale di Cassa depositi e prestiti investimenti sgr

tativa per le fasce di popolazione più in difficoltà, ma anche per la sua componente social, attraverso la realizzazione di servizi destinati ai nuovi residenti e ai quartieri, nonché attraverso programmi di integrazione e accompagnamento sociale. Quello della gestione sociale è un tema particolarmente importante per il buon successo delle iniziative e, in una prospettiva più ampia, per lo sviluppo di città più sostenibili». Come promuoverne il modello? «Per quanto ci riguarda, assegniamo particolare importanza all’individuazione di gestori che, oltre a svolgere le tradizionali attività di property e facility, promuovano attività di accompagnamento e responsabilizzazione degli inquilini nella conduzione degli immobili e del quartiere e sappiano svolgere funzioni di mediazione sociale e culturale volte a prevenire conflitti e tensioni all’interno delle comunità e con la proprietà degli immobili. Siamo convinti, infatti, che nel lungo periodo la gestione sociale, in termini di partecipazione alla qualità della vita del quartiere, si rifletta anche sulla qualità della manutenzione dei manufatti e sulla percezione della qualità della convivenza del quartiere». L’ultimo progetto che vi vede protagonisti, riguarda il bando di assegnazione di 98 alloggi a canone sostenibile a Parma. Quali analoghi progetti avete in agenda e che territori interesseranno? «Gli 89 progetti deliberati, di cui 33 in corso di realizzazione o già ultimati, sono localizzati nelle regioni del nord e, parzialmente, del centro. 2013 • DOSSIER SVILUPPO • 27


PIANO CITTÀ

Entro l’anno, pensiamo di poter deliberare i primi investimenti anche nelle regioni del sud, a partire dalla Sardegna e dalla Sicilia, dove sono in via di finalizzazione i bandi di selezione delle Sgr. Per fare un esempio concreto, uno dei progetti che per noi rappresenta bene le caratteristiche che il social housing dovrebbe possedere è in via Cenni a Milano, promosso da Polaris Sgr per conto del Fondo Fil, uno dei 13 fondi in cui il Fia ha già investito». Per quali peculiarità si fa apprezzare? «Il progetto, selezionato con un concorso di architettura e sviluppato su un modello gestionale all’avanguardia, presenta un’offerta di alloggi molto articolata per giovani single, giovani coppie, anziani, nonché spazi di uso comune e di servizi rivolti anche al quartiere. Inoltre, grazie alle soluzioni

costruttive adottate (ampio ricorso al legno) permetterà un consumo medio annuo per un appartamento di 100 mq inferiore a 300 euro, contro i 1.000/1.500 spesi mediamente per riscaldare gli edifici in Italia. Uno degli aspetti qualificanti dell’intervento è la presenza di un modello gestionale all'avanguardia che coadiuva il lavoro di gestione degli alloggi con il coordinamento delle attività della comunità». Vi siete detti pronti a diventare un veicolo per i Comuni che vogliono vendere immobili del proprio patrimonio. Su cosa state orientando i vostri investimenti in questo ambito? «A fine 2012, per supportare il processo di dismissione di immobili pubblici, abbiamo istituito il Fondo investimenti per la valorizzazione, un fondo comune d’investimento

600mln

L’AMMONTARE DI INVESTIMENTI GIÀ DELIBERATI SUL TOTALE DEL FONDO, RELATIVI A 17 FONDI IMMOBILIARI LOCALI GESTITI DA 10 SGR

28 • DOSSIER SVILUPPO • 2013

immobiliare chiuso, riservato a investitori qualificati. Il Fiv Plus ha un patrimonio obiettivo di 1 miliardo di euro, a oggi sottoscritto per 250 milioni dalla Cassa depositi e prestiti. Il suo modello di funzionamento prevede che, sulla base di uno studio di fattibilità predisposto da Cdpi Sgr e dell’impegno all’acquisto al prezzo stabilito sulla base dello stesso, l’ente pubblico possa svolgere una procedura di dismissione pubblica. Solo se la gara va deserta, diviene efficace l’impegno all’acquisto dell’immobile formulato da Cdpi e l’ente può concludere con il Fiv Plus la vendita al prezzo prefissato. Lo scorso 8 febbraio abbiamo avviato la prima operazione, presentando alla fondazione Irccs Ca’ Granda-Ospedale maggiore Policlinico di Milano, un impegno all’acquisto di due immobili per circa 17 milioni di euro».



PIANO CITTÀ

Riprogettare l’intero territorio italiano Difendere il paesaggio, valorizzare il patrimonio abitativo esistente e favorire l’accesso agli alloggi sociali. Ma prima, precisa Leopoldo Freyrie, bisogna «approvare una legge urbanistica nazionale adeguata alla realtà, declinabile regionalmente» Giacomo Govoni

C

on largo anticipo rispetto allo scadere della scorsa legislatura, a dicembre è stato presentato alla Camera e al Senato un disegno di legge che affronta in maniera organica il tema della pianificazione territoriale. Un documento che integra i temi del consumo di suolo, della perequazione, degli incentivi ai privati, dei diritti edificatori, del risparmio energetico e della fiscalità urbana, Imu in testa. «Legare il tema del risparmio di suolo a quello dello sviluppo di aree verdi e alla riqualificazione degli edifici – spiega Freyrie, presidente del Consiglio nazionale degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori – significa affrontare, per la prima volta e a tutto campo, la questione della rigenerazione urbana sostenibile in un’ottica che non riguardi più solo il patrimonio immobiliare». Tra le parole d’ordine che dovranno tracciare la prossima stagione di politiche urbane, secondo Freyrie, dovrà esserci il termine riuso, tema su cui gli architetti in partnership con Legambiente stanno lavorando da tempo. 30 • DOSSIER SVILUPPO • 2013

Alla stesura del disegno di legge avete concorso in maniera fattiva. Cosa prevede e quali riflessi avrà in un’ottica di sviluppo del piano città? «È un punto di partenza concreto, che tratta con una visione univoca le questioni dell’ambiente, dei territori, degli spazi pubblici e del risparmio energetico. I Comuni potranno introdurre incentivi per il riutilizzo degli insediamenti residenziali e produttivi esistenti; sono indicati accorgimenti per minimizzare l’impatto dei nuovi edifici e migliorare le condizioni di quelli esistenti. Per le nuove costruzioni i Comuni devono

promuovere misure per il risparmio e l’efficienza energetica, mentre per quelli esistenti gli incentivi riguardano, tra l’altro, trasformazioni all’insegna dell’ “abbellimento” e dell’intensificazione di spazi verdi». Nuova costruzione o recupero di edificio esistente che sia, l’iter di un progetto architettonico attraversa sistematicamente una giungla burocratica. Come si possono compiere passi avanti in tal senso? «Gli architetti italiani si trovano di fronte a una vera e propria bulimia burocratica. Le leggi e i regolamenti dell’edilizia che dovrebbero miglio-


Leopoldo Freyrie Leopoldo Freyrie, presidente del Consiglio nazionale degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori

rare l’abitare di ogni cittadino, nel rispetto dei diritti degli altri e dell’ambiente, hanno invece prodotto una pessima qualità delle costruzioni, il massacro del paesaggio e, ad esempio, l’inadeguatezza a far fronte alle conseguenze dei terremoti. Serve rivedere l’insieme delle norme che regolano le costruzioni, ormai incomprensibili, se non contraddittorie, approvando una legge urbanistica nazionale adeguata alla realtà, declinabile regionalmente, ma sulla base di un progetto condiviso per l’intero territorio italiano, capace di integrare rigenerazione urbana e difesa del paesaggio». Nel novero delle politiche urbane che invocate avete inserito anche l’introduzione del libretto del fabbricato. Di che si tratta e come verrebbe speso nell’ambito del Piano città? «Occorre garantire ai cittadini l’inalienabile diritto alla sicurezza dell’abitare, proteggere la loro vita, renderli consapevoli della condizione del loro habitat e di quelle idrogeologiche del nostro Paese. Il libretto del fabbricato ha la funzione di certificare le condizioni statiche, la sicurezza degli impianti, le condizioni

energetiche e di inquinamento degli immobili. Con un monitoraggio costante tiene alta la vigilanza e l’attività di prevenzione sul patrimonio edilizio: tra 10 anni, l’85 per cento dell’edificato urbano avrà più di 40 anni, con oltre 6 milioni di edifici esposti a gravi rischi sismici e 1,3 milioni a quelli idrogeologici. Renderlo obbligatorio rappresenterebbe una svolta, sancirebbe il passaggio dalla politica dell’emergenza a quella preventiva e di manutenzione che, tra l’altro, peserebbe molto meno sulle casse dello Stato rispetto ai costi dei disastri e delle ricostruzioni». Green economy, sicurezza, social housing, bellezza: su quali pilastri dovrà poggiare il futuro decollo del Piano città, per valorizzare anche la vostra professione? «Per essere davvero incisivo, il Piano

città dovrebbe far compiere un’inversione di tendenza e rendere prioritarie le politiche urbane. I temi della bellezza e della rigenerazione urbana sostenibile rappresentano un progetto indispensabile al futuro delle città e dell’ambiente e una concreta opportunità per uscire dalla crisi. Così come una concreta opportunità sarebbe l’avvio di nuovo piano di housing sociale, che gli architetti italiani da tempo prospettano. Affrontando il tema della crescente domanda abitativa delle fasce sociali che non hanno la possibilità di accedere al libero mercato, l’housing sociale non solo permetterebbe di far ripartire l’edilizia, ma consentirebbe anche ai cittadini in grado di beneficiarne, di disporre finalmente di abitazioni sicure, progettate e realizzate con sistemi ecologicamente avanzati». 2013 • DOSSIER SVILUPPO • 31


MERCATO IMMOBILIARE

Calano le vendite, tengono gli affitti Oggi i clienti diventano sempre più esigenti. Per superare la crisi delle vendite gli agenti immobiliari devono evolversi e diventare un po’ interior designer. Parola di Paola Marella Teresa Bellemo

«L

a casa fa parte del dna degli italiani. La sentono molto perché sono più stanziali e per questo la vogliono a propria immagine e somiglianza. Con i nostri programmi cerchiamo di dare regole semplici e piccoli consigli utili ad aggiungere un po’ di stile e a evitare errori». Li conosce bene gli italiani Paola Marella, agente immobiliare di Milano e volto di programmi televisivi che hanno proprio la casa come comun denominatore. Conosce bene il legame con il mattone che da sempre caratterizza il nostro Paese. Più del 70 per cento degli italiani, infatti, possiede un immobile, una certezza che in questi anni però sta iniziando a vacillare. Da una parte, la reintroduzione della tassa sulla prima casa e, dall’altra, l’aspra riduzione delle erogazioni di prestiti e mutui hanno fatto precipitare le transazioni immobiliari nazionali, tanto che secondo Federimmobiliare il fatturato del settore nel 2012 ha subito un calo del 27,2 per cento. Le conseguenze di que32 • DOSSIER SVILUPPO • 2013

sto crollo le vivono anche gli agenti immobiliari che devono aggiornare le loro competenze e i servizi offerti al cliente, dato che le transazioni diventano sempre più lunghe ma anche meno frequenti.

L’home staging può aumentare il valore di un immobile ottimizzando al meglio lo spazio, o migliorandolo con un tocco di colore


Paola Marella Paola Marella, agente immobiliare e conduttrice tv

Qual è la situazione del mercato immobiliare italiano? «Il mercato è fermo anche per la difficoltà di ottenere mutui dalle banche. Questo ha reso molto difficili le vendite e di conseguenza si è allungato il tempo di realizzo. Sono state colpite soprattutto le case in campagna e nei piccoli centri, mentre nelle grandi città ci sono più possibilità di scambi grazie al continuo ricambio per lavoro e università. Si tratta soprattutto di affitti, ma anche questo fronte sta subendo delle difficoltà. Per questo anche noi agenti immobiliari abbiamo bisogno di inventarci qualcosa per fare il più possibile contento il cliente con nuovi servizi, come l’home staging. L’agente che apriva e chiudeva la porta che ha avuto fortuna negli ultimi trent’anni ormai non funziona più».

Quali sono le richieste di chi cerca casa in questo periodo? «Si sono certamente ristretti gli ambienti, se un tempo una famiglia cercava un appartamento di 140 metri, oggi ne bastano 100. Il bilocale va sempre moltissimo perché è una tipologia di appartamento che ha la possibilità, nel momento in cui servono spazi maggiori, di essere affittato. D’altra parte i tempi cambiano e con loro le case: nell’Ottocento le case erano ricche di corridoi e disimpegni, mentre oggi si disimpegna il meno possibile, si gioca di incastri, lo spreco di spazio è ridotto al minimo». Nei suoi programmi con pochi ritocchi le case si trasformano. Quali sono le accortezze per riuscire a rinnovare la propria casa senza spendere molto, dato che questo non è un buon periodo sotto l’aspetto economico? «Lo facciamo da tempo e presto faremo un nuovo programma solo sull’arredo. Sono convinta che a volte per fare la differenza basti solo cambiare un tessuto, un copriletto, riordinare una libreria, buttare un po’ di cose. Soprattutto l’affitto ha bisogno che la casa comunichi qualcosa a chi la visita, deve dare la sensazione di vissuto e non di abbandono. Una luce, un plaid possono banalmente dare moltissimo. Nella vendita, invece, si può puntare sul colore di una parete. Oppure, per coprire qualche imperfezione dovuta al tempo ma che costerebbe troppo cambiare, si possono usare delle nuove tipologie di pavimentazione molto sottili. Penso ad alcune ceramiche,

a certe resine, ma anche a quel pvc che da l’effetto parquet: è facilmente applicabile grazie a un semplice gioco di incastri e può rendere nuova una stanza». Quali sono gli errori da evitare nell’arredo d’interni? «Spesso c’è la tendenza a sovraccaricare. È una cosa molto nostra, molto italiana, riempiamo molto le case forse perché ci piace tanto conservare oggetti per ricordare. Ci casco io per prima, ma so che è giusto trattenersi. Un altro errore è quello di mischiare troppo. A me piace molto riciclare quello che c’è già, quello che si scova in una cantina o in una soffitta, infatti questo sarà il tema di un nostro nuovo programma. Un vecchio baule torna attuale semplicemente con un nuovo tessuto, ma tutto deve essere calibrato, originale. Non si devono accumulare troppe forme e stili, per bilanciare il tutto può bastare un divano di colore neutro». Qual è il segreto del successo dei suoi programmi televisivi? «Nel 2006 Real Time ha dato vita a una nuova tipologia di televisione. Ora si è capito che questo genere funziona, quindi i nostri programmi vengono ripresi e rifatti da tutti ma non ci sono idee e proposte nuove. Noi invece crediamo che serva proporre sempre qualcosa di diverso per stimolare i nostri spettatori e rispondere ai loro interessi. La casa è il patrimonio degli italiani, per questo i programmi che trattano l’argomento sono così seguiti. Infine, la facilità di mettere in pratica certi nostri consigli ci dà di certo una marcia in più». 2013 • DOSSIER SVILUPPO • 33




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Obiettivo export

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entre l’import crolla dell’11 per cento e si ferma intorno ai 30 miliardi di euro, i dati export 2012 del sistema Italia sono positivi. Fino a settembre 2012, infatti, il dato nazionale ha toccato l’importante quota di 400 miliardi di euro. È su questo terreno che la nuova Agenzia Ice, cerca di trovare le giuste sinergie per favorire ancora di più le aziende italiane che vogliono intraprendere un’apertura verso i mercati esteri. Le novità per l’Agenzia sono innanzitutto delle competenze più estese, soprattutto nel piano degli investimenti esteri e in quello dell’internazionalizzazione, ponendo particolare attenzione verso quelle aziende che non fanno necessariamente parte di settori strategici per il nostro Paese. Sono settori nuovi, in crescita, come le green energy, la protezione dell’ambiente, le bio e le nanotecnologie, le infrastrutture e le tecnologie per il restauro. Roberto Luongo, direttore generale dell’Ice, sottolinea come si siano rinnovati anche i vettori di sviluppo. «Abbiamo revisionato la nostra presenza investendo in quei mercati a crescita più sostenuta, come l’Africa sub-sahariana con l’apertura di uffici in Mozambico, Etiopia, e in Angola; come il Qatar, la Colombia. La nostra presenza dunque non è soltanto orientata verso i Brics, ma

Nuovi accordi commerciali e una visione d’insieme più sistemica per la nuova Agenzia Ice, che accompagna le aziende italiane verso la sfida dei mercati esteri, medicina per uscire dalla malattia della stagnazione interna Teresa Bellemo

anche verso il Vietnam, l’Indonesia, la Malesia, il Messico, dove la crescita del Pil consente uno spazio maggiore di sviluppo». Quali sono oggi i principali vettori di sviluppo per l’internazionalizzazione delle aziende italiane? «Oltre ai paesi appena elencati, che corrispondono alle nuove direttrici, esiste un altro bacino, più consolidato. A differenza dei nostri principali competitor come Germania, Francia e Regno Unito, che hanno una media di 50mila aziende esportatrici, l’Italia ne ha più di 200mila. La nostra attività, dunque, deve agire in modo da radicare tutte queste imprese, molte delle quali piccole e affaticate dalla stagnazione del mercato interno. L’export delle piccole imprese non si rivolge subito alla Cina o alla Russia ma ai paesi vi-


Roberto Luongo

cini, per questo anche qui deve esserci una presenza di sistema molto forte. Questo lavoro lo facciamo insieme ai ministeri dello Sviluppo economico e degli Affari esteri, alle Camere di commercio e alla cabina di regia dell’Internazionalizzazione, la grande novità che ha fatto nascere questa Agenzia Ice». Quanto è importante l’internazionalizzazione per le aziende italiane in un momento come questo? «Nei giorni scorsi abbiamo lanciato il nuovo piano nazionale dell’export, settore che influisce per oltre il 30 per cento sul Pil italiano. Ice intende aumentare tale quota perché ci rendiamo conto che è questa la direttrice che consentirà di migliorare le prestazioni delle nostre aziende, messe a dura prova dalla crisi. Nei prossimi anni contiamo di arrivare a 600 miliardi di export in beni e servizi. Come fare? Bisogna innanzitutto tenere conto del lavoro sul territorio, quindi collaborare con Camere di commercio e Unioncamere, ma anche sfruttare il nostro rapporto privilegiato con le ambasciate all’estero. Per quanto riguarda le strategie serve riuscire a mettere a fattor comune le risorse, punto debole del recente passato dell’Ice, troppo spesso spezzettate in una moltitudine di iniziative a pioggia». Avete siglato sinergie e protocolli d’intesa con altri enti per promuovere le nostre attività economiche all’estero? «In questi primi mesi di attività della nuova agenzia abbiamo collaborato con Unioncamere, Farnesina, Linea imprese Italia, Cna. Siamo all’interno di questo sistema che dimostra grande attivismo e volontà di mettere in comune energie e idee. Ice in questo scenario ha il ruolo di pivot, mettendo insieme tutte queste attività comportandosi come l’agenzia di marketing internazionale del sistema Italia».

La crisi economica ha colpito moltissimo il settore delle costruzioni. Quanto l’estero può essere un modo per uscire dalla crisi? Quali i progetti su questo fronte? «Abbiamo un rapporto più che ottimo con Ance. Negli ultimi tre anni insieme abbiamo svolto un lavoro di presenza sui mercati internazionali come Polonia, Turchia, Romania, Croazia, dove abbiamo aiutato le pmi italiane del settore a inserirsi. Le grandi aziende, invece, sono già all’estero dove operano da leader e vengono assistite dall’Ance in maniera diversa e specifica. Il nostro ruolo centrale è essere con loro sui mercati internazionali per garantire tutti quei progetti che possono rivelarsi profittevoli. A marzo saremo presenti anche al Mipim di Cannes, dove la partecipazione dell’Italia punterà soprattutto all’attrazione di investimenti nel campo immobiliare e nella ristrutturazione, un settore molto fruibile per l’Italia e per le sue imprese edili. Nelle tecnologie per il restauro, infatti, l’Italia dovrebbe essere leader, in quanto le nostre imprese possono godere del nostro grandissimo patrimonio culturale che è, o dovrebbe essere, in continua ristrutturazione».

Roberto Luongo, direttore generale dell’Agenzia Ice

2013 • DOSSIER SVILUPPO • 43


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Internazionalizzarsi tra rischi e opportunità

L

Con il rallentamento del mercato interno è fondamentale guardare altrove. Il presidente di Sace, Giovanni Castellaneta, invita le imprese che decinono di operare all’estero a un’accurata valutazione dei rischi e a tutelarsi attraverso soluzioni assicurative pensate per le pmi

e strategie per riportare l’economia italiana su un percorso di crescita devono inevitabilmente passare attraverso un rafforzamento della Renata Gualtieri capacità delle imprese di presidiare i mercati esteri, puntando sull’export per controbilanciare la debolezza della domanda interna. Ma i nuovi mercati non sono appannaggio solo delle imprese di grandi dimensioni. Anche le pmi ormai si spingono lontano, spesso al seguito di grandi gruppi industriali ma spesso anche in autonomia, provando a fare un salto di qualità importante che richiede notevoli investimenti, know how e capacità di valutare e gestire le criticità. Le imprese sanno bene che quando si opera all’estero è sempre importante individuare, comprendere e valutare i rischi di varia natura relativi alla controparte e, nel caso di export o investimenti, al Paese di destinazione. In molti casi, infatti, si tratta di problemi che potrebbero esporre l’azienda a tensioni finanziarie e comprometterne la solidità. In questo ambito è attivo Sace, gruppo assicurativo-finanziario partecipato al 100% dal ministero dell’Economia, che opera nell’export credit, nell’assicurazione del credito, nella protezione degli investimenti. «Con Sace – sottolinea il presidente Giovanni Castellaneta – le imprese possono ottenere un’accurata valutazione dei rischi e scegliere tra diverse soluzioni assicurative ad hoc: dall’assicurazione del credito alle garanzie per facilitare l’accesso ai finanziamenti, dalla protezione degli investimenti al factoring, dalle cauzioni alle polizze per coprire i rischi della costruzione». Giovanni Castellaneta, presidente di Sace

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Giovanni Castellaneta

Quali sono i rischi per chi vuole crescere all’estero e come interviene Sace? «Mentre le imprese esportatrici sono più sensibili ai rischi connessi all’affidabilità delle controparti, come quelli di mancato pagamento, gli investitori sono più sensibili ai rischi connessi alla sicurezza del contesto operativo, come l’instabilità normativa e la violenza politica. Avvenimenti come quelli della Primavera araba hanno però scosso questa percezione e rimesso in discussione l’approccio alla valutazione dei rischi. Per questo Sace ha elaborato nuovi strumenti con cui le aziende possono ottenere una lettura del rischio paese più realistica e funzionale alle valutazioni di business. Mediante un sistema di consultazione interattivo gli operatori economici possono visualizzare i diversi rating di rischio direttamente sul sito di Sace, selezionando il paese d’interesse, la propria attività, il tipo di controparte con cui intendono operare o l’evento di rischio in cui potrebbero incorrere. Immettendo più dettagli nel sistema, possono inoltre richiedere pareri preliminari personalizzati su transazioni specifiche». Negli ultimi anni si è notato un rinnovato interesse delle pmi verso strumenti come

l’assicurazione del credito. «Quello che un tempo veniva considerato un mero costo oggi è diventato un investimento strategico per proteggersi dal mancato pagamento e stabilizzare i flussi di cassa, diventare più competitive e offrire ai propri clienti migliori termini di pagamento e per migliorare l’accesso al credito a condizioni competitive. Assicurando i propri crediti, l’impresa mette al sicuro il fatturato e rafforza il proprio merito creditizio. Nella stessa direzione vanno le nostre garanzie finanziarie che, mitigando il profilo dei rischi dell’impresa, facilitano l’erogazione di prestiti alle imprese da parte del sistema bancario, come testimonia il programma “Internazionalizzazione delle pmi”, in collaborazione con il sistema bancario, promosso da Sace per sostenere i progetti d’internazionalizzazione delle pmi italiane, mettendo a loro disposizione credit facility garantite per finanziare i piani di sviluppo all’estero. Nell’ambito delle convenzioni bancarie sinora siglate, abbiamo già garantito 1,7 miliardi di euro di finanziamenti in favore di circa 2.600 imprese, in prevalenza pmi. A oggi abbiamo ancora 1,4 miliardi di finanziamenti disponibili e stiamo lavorando a un sostanziale rafforzamento del programma». Quante sono le aziende del Sud che aspi- 2013 • DOSSIER SVILUPPO • 45


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rano ad accrescere la loro competitività all’estero? «Nel Mezzogiorno seguiamo oltre 3.000 imprese, prevalentemente pmi, grazie anche alla presenza diretta sul territorio attraverso la nostra sede di Roma, un ufficio a Bari - punto di contatto per le imprese di Puglia, Basilicata, Calabria, Molise - e un Sace point a Napoli dedicato alle imprese campane. Le imprese della Sardegna e della Sicilia sono invece direttamente gestite dalla sede di Roma. Al Sud si trovano tante testimonianze di un made in Italy che ha capacità di competere e vincere all’estero, contribuendo allo sviluppo del sistema Paese. Sto pensando alle due A del made in Italy, abbigliamento e alimentare, in cui il Meridione vanta esempi di eccellenza, ma anche ad altri settori, dallo shipping alle tecnologie per la produzione di energia da fonti rinnovabili. In questi anni abbiamo supportato finanziariamente i piani di sviluppo di società come Doria, la più grande azienda del settore agroalimentare nel Sud, e realtà note del settore moda come Meltin’Pot e Primadonna; abbiamo assicurato contro i rischi politici le attività di gruppi come Pietro Barbaro e Marnavi, protagonisti nel trasporto su acqua nei mercati emergenti. Ma abbiamo anche sostenuto numerose transazioni e progetti all’estero di pmi come il Pastificio Liguori, Costruzioni Solari e Sicep». Quali i mercati più interessanti su cui espandersi? «La complessità del contesto globale impone alle nostre imprese un ulteriore sforzo di diversifica46 • DOSSIER SVILUPPO • 2013

I mercati più interessanti su cui espandersi sono gli Stati Uniti, la Svizzera, i Bric, ma anche i paesi emergenti come Indonesia, Filippine, Malesia, Cile, Nigeria, Angola e Qatar

zione delle destinazioni, privilegiando un approccio più selettivo. Nei prossimi anni non bisognerà sottovalutare la ripresa dei mercati avanzati, che continueranno a generare le migliori opportunità per il nostro export. Sto parlando di paesi come gli Stati Uniti, ma anche la Svizzera. Oltre ai soliti mercati ad alto potenziale ormai noti, come i Bric, vediamo nuove opportunità da paesi emergenti come Indonesia, Filippine, Malesia, Cile, Nigeria, Angola e Qatar». Con quale obiettivo nasce l’iniziativa “Pmi no stop”, a chi si rivolge e cosa prevede? «Tra domanda debole, ritardi nei pagamenti e stretta del credito, la situazione si sta facendo particolarmente dura per molte imprese italiane, specialmente per le pmi. Per affrontarla, i nostri strumenti assicurativo-finanziari sono un prezioso alleato. Per questo Sace ha deciso di renderli più accessibili a chi ne ha più bisogno, con un’offerta commerciale riservata solo alle imprese più piccole, Pmi no stop appunto, riservata alle aziende con fatturato inferiore a 50 milioni di euro o meno di 250 dipendenti. Con questa iniziativa, le imprese potranno sostenere i propri piani di crescita contando su sei linee di prodotto, condizioni commerciali particolarmente vantaggiose, servizi di assistenza dedicati e personalizzati e una rete di uffici in Italia e all’estero a misura di pmi».


Sergio Arzeni

Segnali incoraggianti sul fronte estero «Le imprese che riescono a reagire meglio alla crisi non sono solo quelle che esportano, ma anche quelle che investono oltre confine». Sergio Arzeni indica cosa frena la competitività del nostro Paese e individua nell’associazionismo un’opportunità per chi decide di guardare fuori dall’Italia Renata Gualtieri

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on lo scoppio della crisi sono molte le aziende che falliscono. E tanti sono i fattori che pesano sullo sviluppo delle pmi. Il lavoro recente dell’Ocse sull’erosione della base contributiva e il trasferimento dei profitti verso paradisi fiscali, come quello sul finanziamento delle pmi, dimostrano ad esempio che le piccole aziende pagano in proporzione più tasse delle grandi e tassi d’interesse sui prestiti più alti, quando riescono a ottenerli. Non solo, le amministrazioni pubbliche hanno tendenza a pagare più sollecitamente i grandi che non i piccoli, specie in certi settori come la grande distribuzione, pagano in ritardo le fatture delle pmi. «Questi sono handicap strutturali che le pmi hanno in tutti i Paesi – commenta Sergio Arzeni, direttore del Centro per l’imprenditorialità, le piccole e medie imprese e lo sviluppo locale dell’Ocse – ma che per certi versi in Italia sono più acuti». Quali i passi indispensabili nel programma di sviluppo specie delle piccole imprese? «La cosa più urgente che la politica deve fare per le piccole imprese è applicare alla lettera la direttiva europea e pagare le fatture, in primis ai piccoli, entro 30 giorni. Questo introdurrebbe un circolo virtuoso nel sistema e ridurrebbe lo spread di competitività con la Germania, dove il feno-

meno del ritardo dei pagamenti è molto più basso e gli imprenditori possono contare sul flusso di cassa interno per finanziarsi, ricorrendo meno alle banche. In questo modo, risparmiando sugli interessi, hanno più risorse per investimenti». Quello che colpisce dell’Italia, in confronto anche ad altri paesi europei, è che il costo del lavoro è aumentato anche durante la crisi. «Ciò non vuol dire però che i salari siano aumentati, anzi quelli italiani restano tra i più bassi nell’area Ocse; quello che è aumentato negli ultimi dieci anni, inclusi gli ultimi cinque di crisi, è la tassazione del lavoro. Il costo del lavoro è cresciuto del 45 per cento in Italia negli ultimi 15 anni, mentre in Germania meno del 10 per cento. Anche questo spiega la diversa competitività attuale dei due Sopra, Paesi. L’incremento dei costi indiretti sul lavoro fa Sergio Arzeni, del Centro sì che le imprese abbiano sempre meno risorse da direttore per l’imprenditorialità, investire su ricerca e innovazione, e questo ha un le piccole e medie imprese impatto negativo sulla produttività del lavoro. Dal e lo sviluppo locale 2005 a oggi, la produttività del lavoro in Italia è ri- dell’Ocse masta sostanzialmente invariata, mentre è aumentata dell’8 per cento in Germania, del 4 per cento in Francia e del 19 per cento in paesi emergenti dell’Europa dell’Est come la Polonia. La bassa produttività è anche una conseguenza della sproporzionata presenza di micro imprese in Italia in confronto agli altri maggiori Paesi europei». 2013 • DOSSIER SVILUPPO • 47


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COSTO DEL LAVORO UNITARIO IN ALCUNI PAESI DELL’AEREA EURO

Fonte: OECD Economic Outlook, n. 91, 2012

È l’internazionalizzazione la risposta ai problemi di competitività delle nostre imprese? «Le imprese che riescono a reagire meglio alla crisi non sono solo quelle che esportano, ma anche quelle che investono all’estero. Solo a Shanghai ci sono 4mila fabbriche italiane che vanno bene. E nonostante l’alto costo dell’energia, che in Italia è del 40 per cento più alto che in Francia, le pmi aggregate nei distretti industriali hanno generato dei surplus commerciali importanti che ancora tengono in piedi il Paese: erano 59 miliardi di euro nel 2007, prima della crisi della Lehman Brothers, e 49 miliardi di euro nel 2011». L’associazionismo è un’opportunità per le piccole imprese che decidono di guardare all’estero? Come si possono conciliare internazionalizzazione e sviluppo locale? «Il successo del fenomeno dei distretti industriali si fonda su una logica di sviluppo locale, sulla capacità di mettersi in rete, sulla forza dell’associazionismo che è un modo come un altro per parlare di capitale sociale. È tuttavia vero che il sistema produttivo italiano soffre del cosiddetto “nanismo”, la piccola taglia delle imprese e degli ostacoli strutturali frapposti alla loro crescita. Ma ci sono dei segnali incoraggianti sul fronte dell’internazionalizzazione. Per esempio il portale “Made in Italy” rappresenta un utile

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strumento per aiutare le pmi italiane a vendere i loro prodotti nel mondo. Vent’anni fa migliaia di piccole imprese di Treviso hanno investito in massa a Timisoara in Romania come un gruppo compatto e l’operazione ha avuto successo. L’Italia potrebbe utilizzare in modo più efficace la diaspora italiana per la propria proiezione commerciale in Nord e Sud America o in Australia e trarre vantaggio dall’immigrazione per conquistare i mercati del Nord Africa, dell’Est Europa, della Cina o delle Filippine». Quali le prospettive per il Mezzogiorno? «Il Mezzogiorno ha delle prospettive di crescita fenomenali perché parte da posizioni più basse rispetto al Nord, perché ha una popolazione più giovane e possiede una grande capacità in termini di creatività e imprenditorialità. La condizione essenziale però è che vinca la legalità. Gli studi più recenti di Srm, centro di ricerca di Intesa San Paolo, indicano che la crescita media annua dell’export delle regioni meridionali negli ultimi 5 anni è stata più che doppia della media nazionale e continuerà a crescere nei prossimi anni. Un migliaio d’imprese italiane opera oggi in Turchia generando un fatturato di circa 15 miliardi di euro. Israele, con sette milioni di abitanti, ha più società quotate alla borsa di New York che tutta l’Europa con mezzo miliardo di abitanti. Sono convinto che collaborazioni tecnologiche fra Mezzogiorno e Israele possano essere sviluppate con profitto. Tanto più se finalmente saranno impiegate bene le risorse della nuova programmazione europea 20142020. Tuttavia, per giocare la carta del Mediterraneo occorre conoscere bene le lingue, l’inglese anzitutto, e poi il turco, l’ebraico, l’arabo, il francese».



IL TESSILE ITALIANO

L’Europa conferma il made in L’etichetta resterà sui prodotti salvaguardando le circa due aziende artigiane su tre del sistema moda italiano.«Chiediamo comunque al governo nuovi strumenti di tracciabilità delle produzioni moda, introducendo premialità per chi segue percorsi di trasparenza». Il punto di Luca Marco Rinfreschi Elisa Fiocchi

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ell’ultimo anno il settore moda, comprensivo delle voci tessile, abbigliamento, pelletteria e calzature, ha perso il 5,4 per cento portandosi a 60,3 miliardi, un valore vicino a quello del 2010. Le previsioni per l’anno in corso stimano poi un’ulteriore perdita del 3,5 per cento e un fatturato che scenderebbe ancora a 58,2 miliardi. A tutela di un quadro economico complesso, l’Unione europea ha infine stabilito il mantenimento dell’etichetta “made in” che concorrerà a tutelare settori come il tessile e l’alimentare dalle imitazioni dei prodotti cinesi o coreani, indicando la provenienza del manufatto, sia esso comunitario o no. La proposta, che era stata accantonata dallo stesso esecutivo Ue per mancanza di intesa, in particolare da parte dei paesi del nord Europa, ha fatto molto discutere le associazioni italiane che temevano, con la cancellazione dell’etichetta, pesanti ripercussioni

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sulla competitività delle imprese manifatturiere contraddistinte da prodotti di qualità e da una forte vocazione artigianale. Secondo Luca Marco Rinfreschi, presidente nazionale della Cna Federmoda, la garanzia del “made in” «consentirà ai cittadini europei il diritto di informazione sulla provenienza delle merci e alle imprese manifatturiere europee condizioni di reciprocità e di trasparenza nella partecipazione alla sfida competitiva internazionale». La nuova disposizione potrebbe entrare in vigore entro il 2014. Di quali supporti necessita il settore tessilemoda italiano per restare al passo con il sistema economico globale e per non essere schiacciato dalle lobby della grande distribuzione Nord europea? «La lobby della grande distribuzione sostenuta dai paesi del nord Europa ha avuto il sopravvento rispetto al mondo della manifattura. Le analisi che ponevano alla base della ripresa eco-


Luca Marco Rinfreschi

Abbiamo intensificato le azioni di scouting su nuovi mercati e rafforzato l’impegno nella Federazione Russa e in Giappone che già sostengono le nostre esportazioni

nomica il rilancio della manifattura, con il mantenimento dell’etichetta sono state tenute in considerazione, dimostrando la volontà di trovare strumenti per una crescita diffusa del sistema economico europeo come patrimonio condiviso dagli stati membri». Secondo i dati di Camera nazionale della moda italiana, nel 2012 il fatturato del settore ha perso il 5,4 per cento portandosi a 60,3 miliardi: quali criticità hanno contraddistinto l’andamento economico dell’ultimo anno? «Indubbiamente la fase che stiamo attraversando è di grande complessità e difficoltà a livello globale, scontiamo poi una domanda interna ormai in calo da alcuni anni, quindi il settore ha risentito pesantemente di questa situazione complessiva a livello nazionale e internazionale. Proprio per questo, Cna Federmoda ha intensificato le azioni di scouting per la ricerca di nuovi mercati e rafforzato l’impegno su quei paesi, come Federazione Russa e Giappone, che continuano a dare soddisfazione alle nostre esportazioni». Le previsioni per il 2013 parlano di un ulteriore calo del 3,5 per cento. Che cosa chiedono oggi le aziende per il rilancio dell'intero sistema? «È necessaria da parte delle istituzioni, e in primo luogo lo auspichiamo dal nuovo governo che s’insedierà a breve, una netta presa di posizione a favore e tutela della manifattura italiana. Devono essere poste al centro del dibattito le considerazioni politiche per l’artigianato e la piccola impresa, che rappresentano l’ossatura del sistema moda italiano. Se analizziamo la struttura produttiva è evidente la vocazione artigiana del sistema moda, a livello nazionale circa due aziende

Luca Marco Rinfreschi, presidente di Cna Federmoda

su tre sono artigiane e questo evidenzia il peso dell’artigianato nel sistema moda. Ma anche dal punto di vista qualitativo l’artigianato rappresenta il grande valore del nostro tessile. La possibilità per tante ideazioni stilistiche di divenire collezioni realizzabili è data proprio dalla possibilità che hanno in Italia tanti designer di potersi avvalere delle conoscenze artigiane insite nel nostro sistema produttivo». Quali azioni di sostegno saranno attivate nei prossimi mesi? «La nostra attività prevede iniziative a sostegno dell’intera filiera partendo dal supporto ai giovani per l’inserimento nel mondo del lavoro e l’integrazione con la scuola, come “Riccione moda Italia” e “Manifattura italiana”, ma anche attraverso investimenti diretti come avviene con “WeLoveModainItaly” e “Artigiano contemporaneo”». 2013 • DOSSIER SVILUPPO • 51


IL TESSILE ITALIANO

L’arte del mestiere Sul mercato italiano si assiste alla carenza di figure tecniche specializzate, oggi particolarmente richieste dalle aziende. Per cogliere le nuove opportunità, esistono percorsi universitari che accompagnano i giovani dalla fase di creazione al processo produttivo. Ne parla Aldo Colonetti Elisa Fiocchi

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Sopra, Aldo Colonetti, direttore scientifico Ied Italia

a riscoperta dei mestieri artigianali risponde sempre più coerentemente alle esigenze di un mercato del lavoro ormai saturo di figure universitarie di natura umanistica e carente invece di persone con una chiara competenza tecnica. Nella filiera del tessile e della moda le maggiori opportunità professionali rientrano nel campo della distribuzione e, in generale, i profili più ricercati si presentano con un livello di inquadramento aziendale intermedio, «cioè una forza lavoro – spiega Aldo Colonetti, direttore scientifico dello Ied – che possieda tecnica, ampia apertura culturale e padronanza del processo produttivo». Ciò che in sintesi si può definire come cultura industriale, «un concetto ancora non ben assimilato nel nostro Paese», ma che si può affinare con una buona formazione universitaria affiancata all’arte di imparare un mestiere. Quali sono i principali aspetti del processo formativo del sistema moda di cui si occupa l’Istituto europeo di design? «Quando si parla di formazione in quest’ambito intendiamo un settore strategico per l’economia e la cultura italiana. Parliamo, infatti, non solo di formazione e di cultura ma anche di un comparto che necessita persone in grado di saper fare alcuni mestieri e che devono aver svolto un percorso formativo un po’ diverso da quello tradizionale. Penso a un approccio più simile a quello anglosassone e tedesco che è molto rigoroso e integra il mondo della ricerca e della teoria con il mondo della for-

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mazione, delle competenze e della produzione». Oggi chi vuol far parte del sistema moda a quali parametri deve rispondere? «Ci sono tre qualità in particolare. Innanzitutto, la curiosità culturale per tutte le discipline che concorrono a questo tipo di settore, quindi la storia dell’arte, l’estetica, la semiologia, l’antropologia. Poi uno spiccato interesse per le tecnologie e i materiali, campi in cui il nostro Paese è leader al mondo in campo manifatturiero esportando prodotti e processi industriali. Infine, la capacità di comprendere come questi progetti e prodotti siano all’interno della grande tradizione artigianale italiana, ma anche di quella seriale del manifatturiero, per cui dobbiamo non tanto simulare ma integrare il processo formativo con quello produttivo. È su questi tre elementi che si deve reggere l’offerta formativa di tipo universitario, che deve avere come finalità ultima l’inserimento nel processo della produzione». Quali figure tecniche sono particolarmente richieste oggi nella filiera della moda? «Le maggiori richieste sono all’interno della distribuzione, ad esempio la figura del responsabile retail, colui che gestisce il concept di un punto vendita e che trasferisce le visioni negli spazi concreti; i traduttori culturali, cioè coloro i quali riescono a fare crossing tra culture diverse da cui si sviluppano poi idee, progetti e prodotti ad hoc per uno specifico mercato. Queste ultime figure professionali, una sorta di


Aldo Colonetti

ambasciatori del prodotto, esistono da molti anni in alcune facoltà umanistiche anglosassoni e americane. Un prodotto, infatti, deve essere trasferibile sul mercato e quindi accompagnato attraverso la distribuzione, proprio quel settore dove le aziende italiane chiedono oggi una maggiore competenza. In questo caso non si tratta solo di marketing, ma di figure che, al pari dei progettisti, diventano ambasciatori del prodotto nel mondo. Gli altri ruoli richiesti sono legati ai processi tecnologici e ai materiali innovativi che sono però figure verticali». Quanti degli allievi che frequentano lo Ied sono stranieri? «Circa un 40 per cento, e provengono dal Far East, che comprende non solo il cinese e il giapponese ma anche il coreano e il vietnamita, dalla Russia e dai paesi dell’ex Unione sovietica, dal Sud America, in particolare Brasile, Cile e Perù. Si registra anche un boom del mercato italiano proprio a causa della carenza di alcune figure tecniche nella filiera. Nella realtà formativa universitaria italiana dobbiamo fare i conti con un grande punto interrogativo, cioè non siamo in gradi di produrre alcune figure come l’ingegnere mentre produciamo troppe forze dai settori umanistici e troppi architetti non specializzati». In che direzione andrà dunque la filiera? «Il futuro è legato a un flusso importante di studenti dall’estero mentre per quanto riguarda il mercato italiano, dobbiamo lanciare un segnale chiaro ai nostri giovani e indirizzarli verso quelle professioni che in un momento non facile come l’attuale possono offrire delle prospettive. Oggi è fondamentale saper fare un mestiere, disponendo ovviamente di una cultura tecnica. All’interno del nostro istituto si mantiene un livello universitario ma anche l’aspetto del mestiere è tenuto in considerazione e, laddove ci fosse una scuola tecnica efficace sul territorio, è evidente che il flusso

successivo verso istituti come lo Ied e altre università sarebbe più semplice». Con quali aziende siete in stretto contatto? «Dalla sua nascita, nel 1966, lo Ied ha messo in

I percorsi formativi anglosassoni e tedeschi sono molto rigorosi e integrano il mondo della ricerca e della teoria con il mondo della formazione, delle competenze e della produzione

atto sinergie con importanti gruppi come la Ferrari, per citarne uno. Le aziende si dimostrano interessate alle nostre attività perchè hanno la necessità di figure tecniche, a condizione, parlando soprattutto di moda, che siano intermedie, cioè una forza lavoro che possieda tecnica, ampia apertura culturale e padronanza del processo produttivo. In sintesi, quella che viene chiamata cultura industriale: un concetto banale ma non troppo in Italia».

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IL TESSILE ITALIANO

L’incanto dell’alta moda italiana Per Renato Balestra è il blu l’iconica tinta che, assieme al rosso Valentino, al rosa Schiaparelli o al bianco Biagiotti, esprime la tradizione del made in Italy nel mondo. Le sfilate di AltaRoma ne hanno celebrato l’eleganza attraverso le creazioni di giovani designer Elisa Fiocchi

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Lo stilista Renato Balestra

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l blu, nella massima espressione del fiordaliso, è stato il protagonista assoluto della collezione di alta moda primaveraestate 2013 di Renato Balestra che a questo colore ha dedicato tutta la sfilata, esaltandolo a tal punto da escludere le altre cromie, ad eccezione del bianco. Nella XXI edizione di AltaRoma dello scorso gennaio è andato in scena anche il progetto “Be Blue Be Balestra”, a cui hanno partecipato undici giovani fashion designer che hanno reso omaggio allo stilista attraverso alcune creazioni, tutte, naturalmente, nell’iconico colore blu. «Tra una sfilata e l’altra volerò a Belgrado - la città dove collaborò in passato per il teatro dell’Opera - poi sarà la volta della Russia e degli Stati Uniti». Renato Balestra elenca i tratti distintivi della moda italiana nel mondo e lo fa direttamente dal suo nuovo atelier, un villino in stile liberty appena inaugurato nel pieno centro storico di Roma. La nuova sede quale passo rappresenta per il futuro del marchio e per la città di Roma? «Esprime sempre un passo in avanti, è come cambiare una casa per amore di andare sempre più lontano. Nel mio caso, desideravo da tanto tempo un atelier classico e questo villino trasmette questa atmosfera, tanto che in molti mi hanno detto che ho portato un po’ di Parigi a Roma. C’è anche un piccolo giardino davanti, una scalinata che dà accesso al grande salone ed è un luogo che vivrà non solo di moda ma anche di arte e di cultura in genere, meglio se ispirata all’eleganza. È una destinazione pensata anche per i giovani che oggi più che mai vanno incoraggiati e qui possono trovare uno spazio dove poter dire la loro».


Renato Balestra

La moda italiana si distingue per l’eleganza, il glamour, la femminilità e l’altissimo artigianato

I giovani designer che le hanno reso omaggio in occasione dell’ultima edizione di AltaRoma, quale valore aggiunto hanno apportato alla tradizione del marchio? «Intanto sono stato felice e lusingato che dei giovani talenti, alcuni di loro anche già abbastanza affermati, mi abbiano omaggiato con queste creazioni nel mio colore blu. Si è creato un bel connubio tra le loro proposte e l’impulso e il supporto che hanno trovato da una casa di moda già affermata. Continuerò a portare avanti questo progetto e la mostra non finirà a Roma, ma sarà trasferita anche in altre città perché ha suscitato molto interesse. Rappresenta una vetrina importante per i giovani e di riflesso c’è sempre un piccolo input scambievole dato dal nostro appoggio». Cosa rappresenta AltaRoma per il sistema moda italiano? «Il presidente Silvia Venturini Fendi ha regalato nuovi impulsi a questa manifestazione portando la rivista Vogue a Roma e lavorando molto bene affinché quest’anno ci fosse una risonanza all’estero molto maggiore rispetto a quella avuta finora. Le risposte che abbiamo raccolto ci fanno guardare con positività al futuro della moda». Quali nuovi mercati si dimostrano particolarmente attenti alla qualità, alla manualità e alla creatività contemporanea della griffe Balestra? «Quando si porta nel mondo un marchio

internazionale esistono già proprie risorse e rapporti consolidati, fermo restando che l’interesse dei mercati esteri si mantiene sempre molto forte. Tra i miei compratori ci sono, ad esempio, anche clienti arabi. Ho notato una maggiore presenza di stranieri ad AltaRoma». Quali elementi incarnano il made in Italy del marchio Balestra nel mondo? «Lo spettro d’azione è talmente grande che è difficile ridurre a un vestito o a un particolare tutta la nostra tradizione. Il marchio Balestra ha 28 linee tra prêt-à-porter, accessori, profumi, linea di moda maschile e femminile. Certamente c’è stato un grosso impatto sul blu Balestra, che ha segnato la mia collezione ma anche tutta la settimana della moda. Parlando in generale, la massima espressione del made in Italy va ricercata nell’eleganza, soprattutto in un momento come questo, di confusione nella moda, come si è visto nelle sfilate di Londra, Parigi e di recente anche di New York. Non si sa bene cosa si vuole fare mentre trovare qualcuno in Italia capace di cercare ancora l’eleganza, il glamour e la femminilità è l’elemento distintivo della nostra moda. Quando poi parliamo di alta moda, il nostro paese ha pochi rivali e vanta un altissimo artigianato nei tessuti, nel taglio, negli accessori e nei gioielli che dobbiamo difendere e al contempo promuovere». 2013 • DOSSIER SVILUPPO • 55


MODELLI D’IMPRESA

L’innovazione avanza nel tessile di nicchia Divise, uniformi e accessori per il lavoro. Sono prodotti di un ramo del tessile-abbigliamento che non risente dei repentini cambiamenti delle mode e che, per questo, avverte la crisi in modo ovattato. Il punto di Fabio Valentini Valeria Garuti

uella che sta caratterizzando il nostro Paese è un’involuzione sociale di grandi dimensioni», afferma il titolare della ditta di abbigliamento Siconf, Fabio Valentini. «Il nostro settore, come altri, sta accusando in modo evidente la crisi dell’ultimo biennio. D’altra parte, la nostra realtà affonda le radici in un settore di nicchia e in un mercato trasversale rappresentato da divise, uniformi e accessori professionali, che ancora non risente in modo grave della crisi economica. La nostra è un’azienda sana, in crescita ed è per questo motivo che l’anno scorso abbiamo raggiunto un aumento di fatturato pari al 30 per cento rispetto all’anno precedente».

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Grazie alla produzione di abbigliamento esclusivamente militare, nel 1991 nasce l’azienda romana Siconf, che oggi si rivolge a diversi settori, enti e comunità di medie e grandi dimensioni. «Due le linee guida della nostra produzione» spiega Valentini. «Una, di indumenti tecnici da lavoro, dotati di particolari certificazioni di sicurezza, l’altra, di abbigliamento promozionale, rivolto a quelle realtà che utilizzano l’indumento come strumento di comunicazione e d’immagine. Tra i nostri clienti annoveriamo compagnie aeree, istituti di vigilanza e sicurezza privata, che fanno della divisa un loro elemento essen-

Fabio Valentini, titolare della Siconf Srl di Roma. Nelle altre immagini, il reparto produzione di Siconf in Romania siconf@siconf.it


Fabio Valentini

ziale. Ci occupiamo, inoltre, della produzione e commercializzazione di tutti gli accessori professionali – dagli elmetti agli occhiali protettivi – necessari per il completamento del capo. In questo modo siamo in grado di fornire al cliente un progetto e un servizio completo e perL’ultima innovazione è un termoregolatore sonalizzato che gli permette di ridurre notevolmente i costi e i per calzature che, a un livello liquido di meno tempi del lavoro». 70 gradi, permette di mantenere L’accuratezza e la precisione tipica la temperatura del piede a 18 gradi del patrimonio sartoriale italiano si uniscono all’innovazione e ad alti standard tecnologici. Siconf è, infatti, sempre alla ricerca di prodotti innovativi che seguono canoni di sicu- zate come, ad esempio, sistemi lectra di taglio rezza aggiornati e all’avanguardia. «In questo automatico con stazioni Cad per la creazione periodo – continua – stiamo sperimentando e lo sviluppo dei modelli». un accessorio specifico per il tessile-calzatu- Il mercato di riferimento è, al momento, riero brevettato in America. Si tratta di un quello italiano. Siconf opera, infatti, su tutto termoregolatore, una membrana riscaldante il territorio nazionale, in particolare in Lomutilizzata nell’abbigliamento invernale che bardia e nel Lazio. Nei prossimi anni è in stiamo sottoponendo a prove tecniche per in- programma lo sviluppo verso mercati esteri. serirlo nel calzaturiero. Abbiamo sperimen- Grazie all’appoggio di distributori e rappretato che la scarpa dotata di tale membrana, se sentanti nei paesi di sbocco, l’azienda esporesposta a un getto liquido pari a meno 70 terà soprattutto capi d’abbigliamento per la sigradi, consente al piede di mantenere un li- curezza privata, un settore strategico, che vello di temperatura di 18 gradi. Si tratta dun- risente in misura limitata delle mode del moque di un isolante eccezionale, ideale per mento e per il quale Siconf vanta diversi anni quelle professioni che necessitano di calzature di esperienza. termiche. Altra novità in fase di sperimenta- Proprio la divisa – militare così come di vigizione è una speciale vernice per tessuto bre- lanza – core business di Siconf, ha di recente vettata in Australia. Si tratta di una vernice co- rappresentato uno spunto per un’ulteriore inlorante applicabile a diversi generi di tessuto novazione. «Da qualche anno abbiamo costiche consente di dare massima visibilità all’in- tuito una società aderente al nostro gruppo, la dumento, mettendolo in evidenza senza ap- AFS Securlife, che produce esclusivamente portare ulteriori trattamenti. Per ciò che ri- giubbotti anti proiettile, certificati dal Banco di guarda l’innovazione del processo produttivo, Prova Nazionale di Gardone Val Trompia, dove nel nostro stabilimento in Romania, abbiamo vengono certificate tutte le armi da fuoco e le attrezzature tecniche tecnologicamente avan- produzioni balistiche prodotte in Italia».

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MODELLI D’IMPRESA

La moda punta su collezioni flash Le tendenze nel segmento calzaturiero e accessori fashion. Toni Tannoia presenta i vantaggi della formula in franchising. E delinea il piano degli investimenti che punta alla copertura del mercato italiano Manlio Teodoro

l 2012 è stato il quinto anno consecutivo di contrazione del reddito reale degli italiani. A pagarne le spese è soprattutto il commercio al dettaglio, con un record in negativo per il settore calzaturiero, che segna un meno 6,7 per cento su base annuale (fonte: Istat). Quali le possibili reazioni? Secondo Toni Tannoia, titolare di Toni 2, società specializzata nella commercializzazione di calzature da donna, accessori moda e franchising – presente con 60 punti vendita monomarca su tutto il territorio nazionale e circa 1000 clienti wholesale – la strategia è quella di «innovare nei materiali e nelle forme, con attenzione alle nuove tendenze, sviluppando prodotti che rappresentino il gusto e lo stile italiano. E sottolineando il valore aggiunto di un rapporto percepibile fra qualità e prezzo. «Nello stallo dei consumi, che sta investendo in particolare le strutture tradizionali e i punti vendita generalisti, noi siamo riusciti a mantenere le posizioni e, in alcuni casi, a crescere. Questo grazie all’adozione di format eleganti ubicati in vie prestigiose di città importanti con prodotti frizzanti, continuamente aggiornati e dal prezzo accattivante». Quali fattori hanno determinato un andamento migliore del franchising? «I suoi vantaggi sono molteplici. In particolare,

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Toni Tannoia, titolare della Toni 2 Spa di Casamassima (BA). Nella pagina accanto, i punti vendita di Lecce e Roma e un dettaglio della linea Miss Roberta www.toni2spa.com

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per quanto riguarda il nostro marchio: l’applicazione del conto vendita, far parte di una rete e di un’insegna Miss Roberta riconosciuta a livello nazionale e, inoltre, una serie di servizi unificati di rete. Ma soprattutto c’è la possibilità di affidarsi alla nostra conoscenza del mercato e del prodotto. Miss Roberta, infatti, è il frutto di oltre un trentennio di esperienza nel settore calzaturiero. Parallelamente con il lancio del brand, abbiamo avviato campagne di comunicazione sui maggiori network, riviste di moda ed emittenti televisive nazionali». Quali sono le caratteristiche del vostro brand e a quale target si rivolge? «È un marchio giovane e dinamico, rivolto principalmente a donne che vivono in maniera frizzante e che cercano un’esperienza di acquisto sempre nuova. Ci stiamo indirizzando verso un segmento non saturo e non adeguatamente presidiato. Abbiamo scelto questo segmento individuandovi una grande opportunità, in grado di rappresentare un riferimento importante nel settore calzaturiero italiano in quanto, a differenza dell’abbigliamento, non si sono ancora sviluppate aziende/format killer,


Antonio Tannoia

La nuova collezione primavera-estate prevederà continui inserimenti flash per essere sempre in linea con le domande del mercato

come le catene Zara e H&M». Quali sono, oggi, gli input che possono spingere il consumatore a comprare? «L’esigenza principale del consumatore finale è quella di avere un’offerta che vada oltre le due canoniche collezioni annuali. Per questo è necessario aggiornarle continuamente con mini-collezioni in grado di incarnare l’ultimo grido in fatto di novità. E i buoni risultati invernali in termini di fatturato e di aperture ci

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hanno dato la convinzione che la strada che stiamo percorrendo è giusta». Quali sono i vostri progetti per il 2013? «Quest’anno cercheremo di sviluppare il mercato estero: i paesi del bacino del Mediterraneo, la Germania e soprattutto la Cina; Parteciperemo infatti come espositori alla prima edizione del Micam Shangai. Per quel che riguarda il mercato italiano, invece, ci articoleremo su due tipologie di negozi: fashion e commercial. I primi ubicati in centri storici di città tra cui Roma, Milano e Firenze e punteranno sul “trandy”. I secondi, localizzati in centri commerciali. Ci aspettiamo poi un incremento significativo di vendite nella stagione estiva corrente. In previsione abbiamo aperto monomarca anche in alcune rinomate località turistiche per avere maggiore visibilità all’estero. L’obiettivo è aprire cento punti vendita entro il 2015». 2013 • DOSSIER SVILUPPO • 63


MODELLI D’IMPRESA

Crescono gli investimenti nel medicale Per abbattere lo “spread della produttività” sono necessari sempre maggiori investimenti in ricerca e sviluppo. I settori che investono di più in Italia? Sicuramente uno di questi è il medicale. La parola a Giuseppe Longo Alessandro Albanese

Assut Europe si trova a Roma www.assuteurope.com

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he il nostro Paese abbia un problema di produttività è noto. I numeri, impietosi, fotografano un quadro in cui il gap con i nostri principali competitor europei è enorme. Per aumentare la produttività italiana la chiave è una sola: l’investimento nella ricerca e nello sviluppo. Da noi la spesa complessiva in ricerca e sviluppo, nel 2010, era pari all’1,26 per cento del Pil. Una percentuale, questa, che ci è valsa il fondo della classifica tra i paesi UE-15, che è inferiore alla media dell’UE-27 (2 per cento) e che è soprattutto distante anni luce dall’obiettivo del 3 per cento enunciato nella strategia di Lisbona. I settori italiani più propensi all’innovazione sono chimica, apparecchi radiotelevisivi, per le comunicazioni, medicali e di precisione, macchine per ufficio, elaboratori e altri mezzi di trasporto che pesano per il 16,4 per cento in Italia, il 19,7 in Francia e il 20,8 in Germania. Ed è proprio all’interno della produzione di dispositivi medicali che troviamo delle eccellenze nostrane, che continuano a credere negli investimenti. Riscuotendo un grande successo anche all’estero. Tra queste realtà spicca la Assut Europe di Roma. «La nostra – spiega il presidente Giuseppe Longo – è una società di produzione di dispositivi medico-chirurgico. Possiamo affermare di essere una realtà unica in Italia proprio per la fabbricazione di una gamma completa di suture chirurgiche». Tra i dispositivi medici prodotti dall’azienda romana spiccano le suture chirurgiche interamente prodotte in Italia, gli emostatici, lo strumentario chirurgico specialistico, i fissatori esterni per chirurgia ortopedica e traumatologica, le valvole e i sistemi per la cura e il trattamento dell’enfisema, le protesi per chirurgia vascolare e le tecnologie laser. Tutti settori che richiedono continui investimenti in ricerca e sviluppo. «Negli ultimi anni ci siamo affermati soprattutto nel settore cardiovascolare e nella chirurgia generale grazie ad una vasta gamma di

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Giuseppe Longo

dispositivi medici. Un settore in forte espansione è inoltre quello delle biotecnologie dove annoveriamo tra i nostri prodotti protesi in derma suino o pericardio bovino dedicate al trattamento e alla cura di Ernie e Laparoceli complessi e di altre patologie. Ogni anno una moltitudine di persone trae beneficio da questi dispositivi. Tutto ciò è reso possibile dalla presenza di un Centro ricerche e sviluppo dove lavorano ingegneri biomedici, informatici, economisti e biologi». L’export rappresenta per l’azienda il 40 per cento del fatturato attuale. «Vendiamo – precisa Longo – in circa 30 paesi nel mondo, dove la qualità del nostro prodotto è molto apprezzata, attraverso filiali dirette oppure attraverso grandi distributori. Attualmente i nostri mercati esteri sono rappresentati maggiormente da Europa, Africa, America Latina, Russia e Asia, e assorbono oggi principalmente i nostri prodotti base (Suture chirurgiche ed Emostatici) che prevediamo di incentivare con azioni di marketing e vendita per cominciare a far conoscere altri prodotti per la chirurgia con la presentazione sul mercato delle nostre novità. Il problema più grande che riscontriamo è il prezzo, perché non si riesce sempre a competere con i

Negli ultimi anni ci siamo affermati soprattutto nel settore cardiovascolare e nella chirurgia generale grazie a una vasta gamma di dispositivi medici

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concorrenti che ormai non producono più in Europa, e perciò sfruttano molto il costo della mano d’opera che in Italia è diventato il più caro del mondo; a tutto questo cerchiamo di reagire offrendo servizi, qualità e prezzi contenuti il più possibile». A proposito di servizi, da poco è stato inaugurato il nuovo centro di ricerca e sviluppo. «Da un lato grazie a questo centro continueremo, come di routine, a implementare la funzionalità e l’innovazione dei nostri prodotti e dall’altro, in collaborazione con centri universitari e ospedalieri svilupperemo nuovi prodotti e tecnologie nell’ambito della chirurgia generale e cardiovascolare, anche se i costi e gli investimenti per nuove tecnologie prevedano l’impiego di grossi capitali. Senza peraltro ricevere quelle agevolazioni notoriamente pubblicizzate e che non trovano successivamente attuazione per problematiche burocratiche e altro». 2013 • DOSSIER SVILUPPO • 65


La metalmeccanica ottimizza processi e costi «Il settore metalmeccanico soffre a causa del calo della domanda, ma anche delle cattive politiche di protezione dei mercati nazionali ed europei». Secondo Luca Carafa è necessario razionalizzare le attività e ridurre i costi Carlo Gherardini

a metalmeccanica italiana sta attraversando il peggior periodo dal dopoguerra a oggi. Secondo l’analisi di Luca Carafa, titolare della Carafa Snc di Giugliano, azienda attiva soprattutto nell’ambito dell’integrazione di sistemi e servizi offerti all’industria elettronica, «non solo la stagnazione della domanda, ma soprattutto la concorrenza da parte di paesi emergenti e le cattive politiche di protezione dei mercati nazionali ed europei, costringe il settore a rivedere le mire di espansione e di sviluppo». Nell’ottimizzare e rafforzare la presenza sui mercati attuali, la Carafa ha cercato di potenziare le capacità manageriali tese allo sviluppo di nuovi sistemi per ottimizzare e razionalizzare le attività, per rendere più efficienti le linee di produzione in considerazione della richiesta da parte dei mercati di ridurre costi e prezzi. «Questi sforzi – afferma Luca Carafa – ci hanno portato a conseguire nel 2012 un bilancio tutto

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Nelle immagini, momenti di lavoro all’interno della Carafa Snc di Giugliano (NA) www.carafa.it

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sommato positivo in termini di riduzione dei costi, in proporzione al calo del fatturato. Abbiamo riportato in sede tutte le attività esterne, e rivisto tutte le politiche di approvvigionamento, con cambi radicali nel metodo e nella sostanza del ciclo di produzione». Uno dei problemi più urgenti riguarda la scarsa tutela delle aziende metalmeccaniche nell’attuale contesto globalizzato: «Per quei settori – afferma Carafa –, dove è presente un prodotto o un marchio da tutelare, il lavoro delle associazioni e della camera di commercio è agevolato dalla determinazione degli interessi e degli obiettivi da tutelare. Il nostro comparto invece, pur avendo accumulato know how eutilizzando tecnologie all'avanguardia, vive una sorta di anonimato strutturale rendendo estremamente vulnerabili tutte le aziende che presentano tra i fattori produttivi primari proprio la mano d’opera che ha un peso fondamentale nella composizione del prezzo, influendo in modo decisivo e, per certi versi, irreversibile sulla competizione glo-


Luca Carafa

La mano d’opera ha un peso fondamentale nella composizione del prezzo, influendo in modo decisivo sulla competizione globale

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bale. La protezione dei mercati da parte di nazioni che hanno nel loro Dna una tutela degli operai e dei diritti degli stessi prossimi allo zero, non consente una concorrenza che possa definirsi tale, con nazioni e mercati dove quelle stesse tutele e prima ancora i diritti sono sanciti a livello costituzionale, alterando gli equilibri internazionali». «Le politiche di riduzione degli orari di lavoro – continua Carafa – hanno distolto l’attenzione da ciò che accadeva nel mondo e nei paesi in fase di sviluppo. Mentre in Europa si indebolivano le aziende con azioni di aumento di costi e crescenti incombenze amministrative, il resto del mondo, con po-

litiche di penetrazione aggressiva conquistava sempre più quote di mercato, anche di quei settori, come la metalmeccanica, silenziosi in termini marketing e visibilità corporativa eppure importanti per quanto concerne la domanda di mano d’opera». Secondo Carafa, con l’attuale situazione europea e globale, difficilmente si potranno mantenere i livelli occupazionali se non si rivedranno i livelli di retribuzione. «Di fatto, le aziende sono strozzate da un lato da un mercato globale dove i costi della mano d’opera sono prossimi allo zero, e dall’altro da un costo della vita che i nostri operai non possono più sostenere, e che non permette strette sui loro costi. Pertanto l’attenzione va spostata sull’efficientamento delle risorse interne e un’ottimizzazione dei processi e dei costi. Ma solo con una politica di tutela dei mercati da parte degli organi di competenza si potrà uscire da questa crisi». Oggi quello metalmeccanico è un mercato di sola offerta, in cui la domanda ha subito un crollo enorme, di fatto sbriciolando il sistema produttivo. «La necessità – conclude Carafa – è di livellare i mercati, come costi e diritti, e di stimolare l’innata capacità degli italiani a intraprendere, senza mortificare con eccessiva pressione burocratica e fiscale il lavoro e i sacrifici di ogni singolo uomo». 2013 • DOSSIER SVILUPPO • 67


Automotive, conta solo l’innovazione Italia è un paese povero, non ha potere d’acquisto: il 2012 è stato pessimo, il 2013 sarà peggiore». Il punto di Giampiero Fedele non sembra ammettere alternative: stando così le cose, l’export rimane l’unica medicina. L’amministratore della Lasim Spa, una delle aziende fornitrici di primo livello per la Fiat, parte dalla propria esperienza imprenditoriale per riassumere il settore dell’automotive italiano, che tra promesse, rinvii e ricadute, vive dal 2008 il periodo peggiore di sempre. Ma chi si può permettere di competere nei mercati stranieri, forti come quello tedesco? La domanda per Fedele è poco più che retorica. «Chi innova – risponde –, le aziende che riescono a stare al passo con l’avanzamento tecnologico, e meglio ancora chi propone soluzioni. La Lasim, per esempio, riesce ancora ad

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La domanda in calo costante, il mercato interno preoccupante e l’export come unica soluzione. Giampiero Fedele indica lo scenario e le prospettive di un settore in ginocchio. «Chi non investe è fuori mercato» Remo Monreale

essere competitiva perché ha degli impianti di nuova generazione da poco acquisiti, e che le permettono una produzione che rimane appannaggio di pochissimi. Ma questa è una legge dell’economia: senza investimenti si esce dal mercato». Il peso di questa politica di ricerca sul bilancio dell’azienda guidata da Fedele non è indifferente. «Per la voce innovazione – dice l’amministratore – abbiamo investito il 35 per cento del fatturato. È grazie a questo sforzo che possiamo vantare gli impianti di saldatura laser bi-

La Lasim Spa ha sede a Lecce www.lasim.it


Giampiero Fedele

spessore, i Tailored Welded Blanks. Questa è una tecnologia che oltre a noi ha solo la Thyssen, ed è un tipo di innovazione che al momento rappresenta il futuro del settore. I Tailored Welded Blanks, nello specifico, sono impianti che permettono di saldare due spessori differenti per alleggerire il peso dell’automobile. Alleggerendo il peso della macchina ci sono meno emissioni, i motori possono essere meno potenti e quindi meno inquinanti. Ora la direzione intrapresa è questa. L’alleggerimento dell’auto così ottenuto interessa anche la Fiat, per questo abbiamo già tre impianti con una capacità di produzione di circa 20mila tailored blanks al giorno». La Fiat continua ad essere importante per tutto l’automotive italiano e la Lasim non fa eccezione. «Noi – continua Fedele – siamo fornitori di primo livello di Fiat auto. Il vero problema di Fiat è politico, per questo dico che il prossimo anno la situazione non migliorerà. Se si continua a tassare il ceto più povero come ha fatto Monti, la domanda crolla: questo è quello che è successo nel 2012. È molto meglio pagare uno spread più alto». Le conseguenze dirette del quadro proposto da Fedele sono provvedimenti che nessun imprenditore prende volentieri. «Abbiamo dovuto ridurre gli indiretti – spiega –, perché

Per la voce innovazione abbiamo investito il 35 per cento del fatturato. È grazie a questo sforzo che possiamo vantare gli impianti di saldatura laser bi-spessore

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quando c’è crisi si razionalizza la struttura: è il primo accorgimento per qualsiasi azienda. Dal 2008 a oggi siamo passati da 60 a 40 milioni di euro di fatturato (2012) pur mantenendo una posizione finanziaria netta positiva e zero debiti nei confronti delle banche. Inoltre nel nostro campo non si possono attuare piani di diversificazione efficaci. Chi lavora per l’automotive ha tutti i macchinari dedicati che non si possono convertire per altri usi. Per fortuna il comparto sta dando qualche segnale di ripresa. Penso ad esempio al segnale che ha dato Marchionne investendo un altro miliardo a Melfi: la cosa ci interessa direttamente e prevediamo di poter tornare ai fatturati precedenti con questo investimento. In ogni caso tutte le aziende che esportano sono avvantaggiate perché si rivolgono a mercati in cui la crisi non è così nera come in Italia». 2013 • DOSSIER SVILUPPO • 69


CONSULENZA

Più cultura di impresa per affrontare la crisi Nella confusione dei mercati, la cultura manageriale sembra essere l’unica via per acquisire consapevolezza, lungimiranza e sviluppo. Ne parliamo con Antonio Londra e Danilo Pellegrini Luca Càvera

a crisi delle imprese è esclusiva conseguenza della crisi economica e di mercato? Non è possibile che questa abbia anche un’origine culturale? Antonio Londra e Danilo Pellegrini, professionisti di lungo corso e soci di Ceryx, società inserita da molti anni nella consulenza direzionale, provano a dare una risposta a queste due domande e all’ordine di questioni che ne conseguono. Innanzitutto Londra afferma che «possiamo con-

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Antonio Londra, socio della società di consulenza Ceryx Srl di Roma www.ceryx.it a.londra@ceryx.it

siderare l’economia come il risultato di una somma infinita di decisioni, anche dentro le imprese, dove le capacità gestionali e operative riescono a incidere in modo determinante. È evidente che il mercato esterno mette in crisi le imprese nel momento in cui riduce la domanda produttiva, ma è proprio in questi momenti che emergono altri fattori decisivi interni, che possono venire alla luce solo mettendo in discussione le abitudini, le metodologie e gli strumenti utilizzati». Data la situazione e i dati sconfortanti sull’economia, ha ancora senso “fare impresa”? ANTONIO LONDRA «L’impresa è una comunità di uomini che tende al soddisfacimento di bisogni fondamentali, sussistenza innanzi tutto, ma anche creatività, crescita umana e professionale, socialità. Se ben interpretata da tutti gli attori che la compongono, svolge un ruolo altamente educativo perché esalta il valore del lavoro come espressione del cuore, del desiderio dell’uomo e del suo rapporto con la realtà. Il valore sociale che è contenuto in tutto questo non è difficile da comprendere. La crisi di questi anni ha fatto emergere i falsi miti che hanno accompagnato lavoro e imprese negli anni illusori del profitto a due cifre, della finanza facile e di un’economia assai poco reale. Per questo oggi è ancora possibile “fare impresa” solo attraverso un cambiamento radicale da parte di tutte le sue componenti, imprenditori, manager, dipendenti, attraverso


Antonio Londra e Danilo Pellegrini

un’interpretazione diversa dei ruoli cui siamo abituati. Il profitto non esclusivamente fine a se stesso diventa un obiettivo comune per tutti i componenti dell’impresa». Come si può capire se un’azienda “va in crisi” per fattori esterni o interni? DANILO PELLEGRINI «La visione di professionisti competenti rappresenta sempre un aiuto importante, perché concorre a “diradare le nebbie”, facendo emergere i punti di forza e le criticità su cui l’impresa può lavorare per ripartire dal suo positivo e agire in ottica di miglioramento. È un po’ come rivolgersi a un medico in caso di malesseri, superando la resistenza, culturale appunto, di considerarci i migliori medici di noi stessi». Quale può essere una via per far ripartire l’impresa? A.L. «Noi crediamo che le imprese, soprattutto nel tessuto ampio e variegato delle PMI, abbiano una necessità comune: rafforzare la propria cultura manageriale, introducendo concetti di pianificazione strategica, pianificazione commerciale, organizzazione, metodologie operative, controllo di gestione, formazione. Nella giusta misura e profondità, ma di fatto elementi ineludibili in un mercato così difficile, dove un “buon prodotto” non è più sufficiente a garantire le vendite. La cultura di impresa passa per un’acquisizione di metodo assolutamente peculiare alla singola impresa, cioè tutt’altro che generalista e uguale per

Oggi si può “fare impresa” solo con un cambiamento radicale e un’interpretazione diversa dei ruoli. Da parte di tutti: imprenditori, manager, dipendenti

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tutti, ma corrispondente ad alcuni criteri base di “buone pratiche”. Un esempio: tutti si pongono l’obiettivo di ridurre i costi, ma troppo spesso si assiste a tagli indistinti o focalizzati sulle voci di costo apparentemente più aggredibili. Ridurre i costi invece richiede analisi attente e una ri-progettazione del modello dei costi in essere, con tutte le sue implicazioni progettuali, operative, di tecniche di acquisto, di utilizzo delle risorse. Un approccio strutturato a questo tema produce dei risultati di gran lunga superiori alle migliori aspettative». Esiste un rischio specifico nelle imprese a conduzione familiare? D.P. «Le imprese a conduzione familiare rappresentano il tessuto più diffuso in Italia, con un’identificazione impresa-famiglia ancora troppo marcata rispetto ai più evoluti modelli anglosassoni. Nella maggior parte dei casi uno stato di difficoltà o addirittura il fallimento dell’impresa rappresentano una sconfitta dell’uomo nei confronti della famiglia che tende a nascondere a quest’ultima i problemi reali, magari attraverso áá 2013 • DOSSIER SVILUPPO • 71


CONSULENZA

áá ulteriori indebitamenti non soste-

Danilo Pellegrini, socio della società di consulenza Ceryx Srl d.pellegrini@ceryx.it

nibili. Le imprese familiari di lungo corso tendono molto spesso a rimandare il passaggio generazionale, oppure a realizzarlo su modelli e comportamenti non sempre adatti alle caratteristiche dei successori o del mercato. Anche in questi casi è evidente che il rischio maggiore è determinato dal deficit culturale che impedisce lo sviluppo della managerialità, che invece faciliterebbe la scissione netta tra i valori di impresa e quelli familiari. Per aiutare queste imprese l’azione di supporto deve essere tecnica (strategica, gestionale, commerciale, finanziaria) e nello stesso tempo relazionale (culturale, psicologica) e guidata necessariamente da un soggetto terzo, che abbia la giusta esperienza in questi processi di trasformazione». Le organizzazioni più grandi accusano anch’esse un deficit strategico o manageriale? A.L. «Alcuni settori di mercato, sono stati occupati da azionariato finanziario (banche, fondi, società finanziarie). L’obiettivo di tali soggetti è quello di massimizzare il ritorno dell’investimento sia in termini di denaro che temporali. Si assiste quindi spesso a strategie a breve termine, che hanno come orizzonte temporale i dodici mesi. In questi termini può considerarsi un deficit strategico, perché l’impresa diventa uno strumento e non lo scopo, un investimento fine a se stesso e non un’opera. La linea di caduta inevitabile è che questo deficit diventa anche manage-

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riale. I dirigenti sono misurati su obiettivi meno lungimiranti che in passato e si portano addosso una gran paura di sbagliare. Non meno importante è il livello formativo – sempre meno curato – e la scelta di una classe dirigente più giovane e meno costosa, oppure riassegnata da altre funzioni, in entrambi i casi inevitabilmente con poca esperienza». Quali possono essere i possibili interventi? A.L. «Gli spazi di miglioramento sono interessanti perché le singole funzioni aziendali hanno un potenziale molto alto di soluzioni organizzative, operative e di riduzione intelligente dei costi. Identificare tali soluzioni può essere funzionale sia agli azionisti, sia alla struttura operativa, che può beneficiare di maggiore elasticità, qualità ed efficacia operativa e quindi svolgere meglio il proprio lavoro». Ma quali aziende possono permettersi in questo momento un aiuto così? D.P. «Mi piacerebbe sfatare il falso mito che le consulenze siano costose e appannaggio di pochi. La nostra esperienza è ricca di consulenze autofinanziate dai risultati ottenuti e da benefici importanti sia immediati che a lungo termine. In ogni caso l’approccio più corretto e serio è quello di eseguire un check-up, una diagnosi a volte anche a costo simbolico, per valutare lo stato di benessere e di criticità di un’impresa o di parte di essa e disegnare un percorso di interventi progressivi e misurati alle reali possibilità di intervento dell’impresa stessa».



L’ECONOMIA LAZIALE

Politiche per un nuovo sviluppo Credito, lavoro, infrastrutture e internazionalizzazione. Molte e ad ampio raggio sono le proposte formulate da Unindustria per la crescita. A illustrarle nello specifico è il presidente Maurizio Stirpe Francesca Druidi

R Sopra, Maurizio Stirpe, presidente di Unindustria, l’Unione degli industriali e delle imprese di Roma, Frosinone, Rieti, Viterbo

allentamento del Pil e crescenti difficoltà sul mercato del lavoro. La fase di instabilità economica che vive oggi il Lazio impone un cambiamento deciso e concreto che, come evidenzia il presidente di Unindustria Maurizio Stirpe, deve puntare a efficienza e semplificazione, valorizzazione dei poli produttivi del territorio e risoluzione dei nodi strutturali che impediscono la ripresa. Presupposto fondamentale per il rilancio della regione è il rientro dal debito nella sanità. Come intervenire? «Il debito sanitario determina un continuo drenaggio di risorse regionali. Per questo, durante la campagna elettorale, abbiamo chiesto ai candidati alla presidenza della Regione di attuare un programma incisivo di risanamento del servizio sanitario regionale che riduca finalmente inefficienze e opacità gestionali, prendendo esempio dalle regioni virtuose del centro-nord. Regioni

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che hanno potenziato le funzioni pubbliche di programmazione e controllo, adottato moderni sistemi di controllo di gestione e introdotto misure che premiano la qualità, oltre che l’efficienza dei centri pubblici e privati. Nel Lazio il primo passo da compiere è una ricognizione dei dati e delle scritture contabili, accanto a un’incisiva semplificazione di tutti i processi: solo in questo modo sarà possibile dare trasparenza al sistema, programmare in tempi utili le attività e governare in corso d’anno le dinamiche di spesa. Unindustria ha realizzato uno studio che contiene strumenti concreti per affrontare il nodo della sanità. Sarà il primo importante contributo che consegneremo al nuovo governatore del Lazio». La madre di tutte le battaglie per le imprese è l’accesso al credito. Quali vantaggi potrebbe assicurare la creazione, caldeggiata da Unindustria, di un soggetto unico tra Unionfidi Lazio e Banca Impresa Lazio? «Unindustria indica da tempo le difficoltà strut-


Maurizio Stirpe

È necessario agire sulla scuola e sull’alta formazione. Occorre preparare i giovani alle professioni del futuro, orientando al meglio i talenti

turali di cui soffre la filiera della garanzia nel Lazio. Manca una chiara e univoca direzione strategica dei soggetti coinvolti e ciò impedisce di definire i ruoli ed eliminare le sovrapposizioni. Sarebbe utile una riduzione delle finanziarie di garanzia regionale attraverso la creazione di un soggetto unico tra Unionfidi Lazio e Banca Impresa Lazio. Quest’ultima dovrebbe acquisire una nuova e definita missione, svolgendo un ruolo rilevante nel sistema delle garanzie ma coniugandolo con l’esigenza di introdurre meccanismi che agevolino l’accesso al credito. Mi riferisco in particolare al tema dell’accesso diretto al fondo di garanzia nazionale e alla sottoscrizione da parte della regione della convenzione per il cofinanziamento del fondo, secondo quanto previsto dal cosiddetto decreto fund raising». Per contrastare la disoccupazione giovanile, Unindustria invita a considerare soluzioni intergenerazionali, puntando su politiche di mentoring e coaching. «Introdurre forme di solidarietà generazionale consentirebbe di coniugare l’invecchiamento attivo con la valorizzazione dell’occupazione giovanile e lo sviluppo delle competenze per chi entra nel mondo del lavoro. La disoccupazione giovanile nella nostra regione ha raggiunto il dato preoccupante del 33,7 per cento e richiama l’urgenza di un approccio più ampio, che veda l’istituzione di programmi sistemici e la disponibilità di risorse dedicate ai giovani. È necessario agire sulla scuola e sull’alta formazione». In quale direzione? «Occorre preparare i giovani alle professioni del futuro, orientando al meglio i talenti nell’utilizzo del web e delle nuove tecnologie. Penso poi all’opportunità di guardare alle migliori esperienze

europee come benchmark per realizzare iniziative di formazione che coniughino creatività, scuola e occupazione. Le esigenze formative dei giovani non si esauriscono con una più diffusa istruzione universitaria, ma richiedono di specializzare l’istruzione tecnica, declinandola in funzione delle vocazioni produttive dei nostri territori. E proprio con questi obiettivi Confindustria, Cgil, Cisl e Uil hanno di recente firmato un documento di intenti che vede l’innovazione nell’orientamento, nell’istruzione tecnica e nell’apprendistato come leva per favorire la crescita e l’occupazione giovanile». Come sostenere la crescita e la riconquista della competitività? «Particolare attenzione va riservata all’impiego più efficace dei fondi europei, risorse indispensabili per far ripartire l’attività d’impresa. Sarà fondamentale programmare il prossimo ciclo e allo stesso tempo insistere per accelerare la spesa dell’attuale Por Fesr 2007-2013. A oggi, infatti, il coefficiente effettivo di spesa non supera il 20,5 per cento: degli oltre 743 milioni a disposizione, le erogazioni effettive si fermano a 152 milioni di euro. Il secondo passo è razionalizzare la governance, creando un’unica unità organizzativa in cui concentrare l’attività di agenzie e uffici regionali». Per un pieno sviluppo, occorre una politica integrata sul piano industriale, ma anche 2013 • DOSSIER SVILUPPO • 75


L’ECONOMIA LAZIALE

ambientale e infrastrutturale. Quali le prio- e il completamento dell’anello ferroviario; gli inrità su questi fronti per il territorio regionale? «Una pianificazione coordinata che, in un contesto di norme e regole definito, dia certezze alle imprese, consenta la programmazione di investimenti e di iniziative di partnership pubblicoprivato. Soprattutto in campo ambientale, dove i ritardi nel rilascio delle autorizzazioni arrivano a pregiudicare l’attività delle imprese fino a rendere più vantaggiosa la delocalizzazione all’estero o, ancora, in materia di gestione di rifiuti - per la quale serve una vera economia del riutilizzo - e di riqualificazione delle aree industriali dismesse e dei siti inquinati. Ne è un esempio il progetto della Valle del Sacco, fondato sulla green economy e su piani di riqualificazione intersettoriale integrati. Condizione indispensabile per la crescita resta poi lo sviluppo infrastrutturale: il potenziamento dell’hub di Fiumicino e della sua accessibilità; lo sviluppo della portualità e la realizzazione delle opere viarie, ferroviarie e metropolitane strategiche, tra cui la Roma-Latina, la Pedemontana dei Castelli, la Orte-Civitavecchia

Particolare attenzione va riservata all’impiego più efficace dei fondi europei, risorse indispensabili per far ripartire l’attività d’impresa

terventi per una maggiore integrazione dei servizi di trasporto e per migliorare i collegamenti tra i territori del Lazio». Unindustria propone una cabina di regia unica per favorire l’internazionalizzazione, senza sprechi o sovrapposizioni. Come sostenere le imprese della regione oltre confine? «Per evitare la dispersione di risorse abbiamo favorito la nascita dell’Agenzia per l’internazionalizzazione presso la Camera di commercio di Roma. Questa agenzia sarà il soggetto unico in grado di offrire quel sostegno operativo alle piccole imprese che, sinora, non è stato sufficiente a far cogliere appieno le opportunità sui mercati internazionali. Nonostante i dati indichino un fatturato estero costantemente in crescita, gran parte dei volumi viene esportato dalle aziende laziali di maggiori dimensioni e dalle multinazionali. C’è, invece, ancora molto da fare per quelle aziende più piccole che, pur avendo prodotti eccellenti, hanno bisogno di assistenza da parte di soggetti affidabili e professionali. La missione all’estero, ad esempio, è un importante strumento da utilizzare per mettere in contatto le imprese con potenziali clienti o distributori e non, come a volte è accaduto, per passerelle istituzionali dall’incerto ritorno economico. Penso che su questo tema una riflessione più approfondita vada fatta anche a proposito delle funzioni di Sviluppo Lazio e della sua struttura dedicata all’internazionalizzazione».


Giuseppe Roscioli

Turismo e infrastrutture per il futuro di Roma Burocrazia, credito, disoccupazione, ma anche abusivismo e illegalità. Per Giuseppe Roscioli, presidente di Confcommercio di Roma, sono gli ostacoli da rimuovere per creare le condizioni necessarie alla ripresa Francesca Druidi

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el 2012 hanno chiuso nella Capitale circa 60 imprese al giorno, con un calo dei consumi del 4,7 per cento rispetto al 2011 e un decremento anche nell’occupazione. Dal nuovo governo il presidente della Confcommercio di Roma, Giuseppe Roscioli, si attende il necessario slancio verso l’improcastinabile cambiamento: «Per quanto ci riguarda non vogliamo e non possiamo essere pessimisti. È certo che i nostri futuri amministratori, del governo così come della Regione, hanno una grande responsabilità, quella di dare risposte concrete e soluzioni efficaci al tessuto imprenditoriale, l’unico da cui si può ripartire per riattivare un percorso di crescita e sviluppo». Quali sono le prospettive per i prossimi mesi? «Le previsioni per una ripresa più strutturale si sono spostate al 2014. Con le attuali politiche d’inasprimento fiscale, volte a mantenere gli standard richiesti dalle società di rating, la situazione è diventata insostenibile per noi imprenditori. È la stessa Corte dei conti a rilevare che il peso del fisco italiano è eccessivo e che così si favoriscono le condizioni per ulteriori effetti recessivi. Inoltre, con l’entrata in vigore del decreto sulle liberalizzazioni e in assenza di adeguate misure incentivanti le pmi, l’attuale clima di allontanamento del paese reale dal paese legale è sempre più evidente». Confcommercio ha presentato un decalogo di richieste delle imprese. Quali i punti salienti? «I settori su cui occorre intervenire a stretto giro e investire capacità e risorse sono quelli del ter-

ziario: il commercio, il turismo, i servizi, la formazione, le infrastrutture. Ancora troppi sono gli impedimenti dovuti a un’eccessiva burocratizzazione, sia in fase di start up che gestionale, al problema della disoccupazione soprattutto giovanile, volata in base agli ultimi dati Istat al 37,1 per cento, peggio di noi solo la Grecia la Spagna nell’Eurozona, alla difficoltà di accesso al credito. Manca ancora un ambiente favorevole all’imprenditorialità, all’innovazione e alla cultura del

Giuseppe Roscioli, presidente di Confcommercio di Roma

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L’ECONOMIA LAZIALE Veduta dell’aeroporto di Fiumicino

Prima azione su cui Confcommercio Roma ha richiamato l’attenzione della Regione, è l’elaborazione di un piano di ampliamento e riqualificazione dell’hub di Fiumicino

rischio d’impresa. Per ottenere tutto ciò, ab- piaga le cui conseguenze si riflettono non biamo chiesto ai nostri futuri amministratori di creare una città a misura di imprenditore, in cui sia bello nascere, vivere e fare impresa. Una città intelligente, viva, accogliente, legale, funzionale, equa. Al di là dell’immissione di capitale e lavoro, bisogna ridare forza a quei fattori esterni ai processi produttivi, ma strategici: il contesto economico generale e gli scambi, il rapporto con la Pa, gli investimenti, le reti d’impresa». Come sostenere le principali leve per la crescita? «Il turismo è un settore con enormi potenzialità, molte ancora da sfruttare. A cominciare dal nostro territorio, il cui sistema ricettivo andrebbe promosso attraverso la partecipazione a fiere internazionali di settore, ottimizzando le risorse e gli investimenti pubblici e privati, facendo sì che il sistema delle imprese assuma un ruolo centrale nella strategia, programmazione e commercializzazione dei prodotti turistici regionali. Prima azione fondamentale su cui Confcommercio Roma ha richiamato l’attenzione della Regione Lazio è quella dell’elaborazione di un piano di ampliamento e riqualificazione dell’hub di Fiumicino per consentire l’aumento degli slot e portare gli attuali 33 milioni di passeggeri a circa 100 milioni, prevedibili se fosse confermato l’investimento attualmente in discussione». La lotta all’abusivismo e alle infiltrazioni della criminalità organizzata è un’altra priorità. «L’abusivismo, in tutte le sue forme, è una

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solo sulla nostra categoria, ma sull’intero sistema economico. Nel Lazio, e a Roma in particolare, questo fenomeno muove un giro di affari di oltre un miliardo di euro l’anno, considerando l’intera filiera che va dalla produzione alla commercializzazione. Un vero e proprio flagello, soprattutto in un momento di crisi come questo che spinge molti consumatori a rivolgersi a forme di vendita alternative che nascondono insidie e possono essere dannose per la salute degli acquirenti. Le difficoltà economiche di famiglie e imprenditori facilitano anche la penetrazione di infiltrazioni mafiose nelle attività commerciali. La trasversalità del fenomeno deve sollecitare una maggiore attenzione e la necessità di non abbassare mai la guardia». In che modo intervenire? «Non è semplice: le operazioni quasi quotidiane delle forze dell’ordine sono senza dubbio lodevoli e stanno dando ottimi risultati, ma occorre la collaborazione di tutti i cittadini per porre un argine a questa situazione. Già da due anni abbiamo firmato un’intesa con la questura di Roma con cui ci impegniamo a segnalare e facilitare l’individuazione di tutti i casi di ambiguità o di andamenti sospetti nella gestione delle attività commerciali, perché siamo convinti che è solo collaborando con le istituzioni che si può condurre la battaglia per arginare tutte le mafie».



L’ECONOMIA LAZIALE

Più sinergie per Fiera di Roma Se il 2012 è stato un anno di transizione per l’ente espositivo capitolino, il 2013 può offrire nuovi orizzonti grazie alla società Roma Convention Group, che mira a rafforzare l’attrattività della città nel turismo congressuale. Ne parla Mauro Mannocchi Francesca Druidi

A Sopra, Mauro Mannocchi, presidente di Fiera di Roma

lla Fiera di Roma serve un cambio di passo all’insegna della condivisione per affrontare le sfide del prossimo futuro e acquisire competitività nello scenario fieristico. Il presidente dell’ente, Mauro Mannocchi, delinea le strategie per il 2013. Può tirare un bilancio dell’attività del 2012 e illustrare le prospettive per quest’anno in termini di progetti da lanciare? «Si è registrata una contrazione dovuta alla crisi che stiamo attraversando, e che sta toccando il settore fieristico in particolare, considerando che in Italia è ormai un comparto maturo. Abbiamo cercato di rendere ancora più efficiente la nostra macchina organizzativa e di andare incontro agli espositori con le tariffe, pur di mantenere un calendario e salvare le manifestazioni in questo de-

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licato momento. Il 2012 non è, quindi, stato un anno brillantissimo, chiudiamo con una perdita di 600mila euro. Per il 2013 stiamo progettando nuove iniziative, ma probabilmente non tutte vedranno la luce nel corso dell’anno. Potrà essere inserita una novità o due oppure un cosiddetto “numero zero”. Vorremmo introdurre alcune manifestazioni in grado di acquistare un senso nella piattaforma romana, in virtù della vicinanza con l’amministrazione centrale dello Stato. Lavoreremo, inoltre, sul versante del congressuale con la nuova società Roma Convention Group, un progetto nel quale crediamo molto». Con quali obiettivi? «Speriamo di avere a disposizione la Nuvola di Fuksas il prima possibile per raggiungere una complementarità di spazi. I grandi congressi potranno essere organizzati negli spazi di Fiera di


Mauro Mannocchi

C’è bisogno di un cambiamento di approccio, di mentalità e di cultura

Roma, quelli medi e piccoli, invece, potranno essere gestiti all’Eur. Ciò potrebbe rafforzare e implementare l’offerta congressuale capitolina, creando una maggiore capacità di attrazione. Questa società, però, inizia ora la sua attività e in questo primo periodo dovrà soprattutto essere presente nelle manifestazioni internazionali con lo scopo di incontrare potenziali clienti. È un’attività in itinere, per la quale non vedremo i risultati prima di due anni». In che modo l’ente, grazie anche alla nascita di Roma Convention Group, può contribuire al rafforzamento del sistema economico territoriale e al processo di internazionalizzazione? «Un’iniziativa sinergica come questa è tra le prime a essere intraprese nel nostro territorio. C’è bisogno di un cambiamento di approccio, di mentalità e di cultura. Abbiamo perduto un pezzo della nostra sovranità, così come ha fatto Eur Congressi, ma riteniamo insieme di rafforzare l’offerta romana. Non sono più sufficienti storia, cultura e religione per alimentare il turismo, che va implementato con un’offerta ricca e organizzata, dove tutti gli attori del territorio sono chiamati a fare la propria parte, dalla logistica al sistema ricettivo. Serve, inoltre, un diverso rapporto di collaborazione con le istituzioni, in primis la Regione e poi il Comune. Esistono opportunità di crescita ancora inesplorate da parte dell’ente fieristico». Come agire? «Dobbiamo procedere a individuare un progetto condiviso. Se mettiamo in sinergia gli

sforzi e razionalizziamo le poche risorse che abbiamo a disposizione, ritengo che Fiera di Roma possa identificare una parte importante del motore dello sviluppo economico, anche sotto il profilo dell’internazionalizzazione. Chiediamo alla Regione, al Comune, al sistema delle Camere di commercio del Lazio e a quella di Roma - con la quale siamo in grande sintonia - l’apertura di tavoli comuni affinché gli sforzi su questo fronte siano condivisi e ogni soggetto possa rappresentare un’opportunità. Ciò, finora, è stato fatto in maniera insufficiente, mentre crediamo che debba essere percorsa una condivisione forte sul progetto Fiera di Roma». Oltre a questo aspetto, quale nodi critici condizionano l’ente? «Non abbiamo ancora avuto risorse sufficienti per lo start up aziendale, che doveva essere rappresentato soprattutto dalla valorizzazione del vecchio quartiere fieristico. Purtroppo, questo non è stato possibile perché non ci sono state le varianti urbanistiche tese a valorizzare il vecchio sito. Ciò non ci ha permesso di destinare le risorse necessarie per uno start up adeguato alle dimensioni di Fiera di Roma. L’ostacolo si può rimuovere valorizzando il vecchio sito o trovando sul mercato qualche privato che voglia condividere le opportunità offerte da Fiera di Roma. La privatizzazione non è la panacea di tutti i mali, ma non sono contrario a una partnership, ancora da individuare, con la quale condividere il nostro progetto».

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L’ECONOMIA LAZIALE

Collaborazione, motore del cambiamento In un mondo sempre più globalizzato, occorre improntare nuovi principi organizzativi nelle istituzioni e nelle imprese basati sulla creazione del “sense of community”. Ne parla il docente Roberto Panzarani Francesca Druidi

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i parla sempre più spesso di innovazione come leva per uscire dalla crisi, nonostante rischi spesso di restare solo un buon proposito sulla carta. Roberto Panzarani, docente di innovation management presso l’università Lumsa di Roma, da anni si occupa di innovazione legata ai modelli organizzativi, illustrandone la valenza sempre più strategica. In che modo l’innovazione nei processi di governance può generare progresso nelle sue diverse accezioni? «Qualche anno fa, nel mio libro “Il viaggio delle idee”, sottolineavo che l’innovazione non è un solo fatto tecnico, un metodo ri-

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gido che determina il successo di un’idea, di un’intuizione, di una proposta, è piuttosto il frutto di un’attitudine mentale, di una predisposizione psicologica che va alimentata con la ricerca, il confronto, lo scambio di più punti di vista, colmando la distanza che purtroppo ancora esiste tra la realtà della ricerca, il mondo accademico e quello delle imprese. Tutto questo, oggi, non solo non è stato sviluppato, ma - cosa più grave - non è entrato nei processi organizzativi delle imprese. Oggi la tecnologia si evolve a una velocità esponenziale, mentre abbiamo modelli organizzativi economico-sociali che appartengono al secolo scorso. Ritengo che siamo di fronte a un gigantismo tecnologico e a un nanismo culturale. Oggi la realtà è complessa ed esige una preparazione molto profonda, non a caso si dice che siamo nell’economia della conoscenza. Chi sa, quindi, va avanti e chi non sa rischia di perdere i privilegi conquistati nel tempo». In che modo i modelli organizzativi dovrebbero aggiornarsi per stare al passo con uno scenario così mutato? «Nel passato l’organizzazione burocratica diffondeva e promuoveva la tecnologia e, in qualche modo, l’innovazione. Oggi che la tecnologia


Roberto Panzarani

Se non creiamo un ecosistema in cui co-evolvono i nostri collaboratori, fornitori e clienti, in futuro sarà impossibile fare business

Roberto Panzarani, docente ed esperto di business innovation e formazione manageriale

spesso è più avanzata all’esterno che non all’interno dell’azienda, l’organizzazione burocratica non riesce più a funzionare. In sostanza, siamo stati molto innovativi nella tecnologia ma pochissimo nei modelli di gestione. I governi non riescono a soddisfare le esigenze più elementari dei cittadini. Se questo, da una parte, è un problema molto serio per la governance del futuro, dall’altro, assistiamo a fenomeni sempre più frequenti di “autorganizzazione” che gli stessi cittadini, grazie alla tecnologia diffusa e molecolare, mettono in atto per soddisfare i loro bisogni e le loro esigenze di base. Tutto questo sta trasformando profondamente la politica e il nostro modo di vivere. L’Italia rientra in questo contesto ed è forse inutile sottolineare che stiamo affrontando, in maniera devastante, molti problemi riguardo alla nostra capacità di governance. Ma anche noi possiamo registrare diversi esempi positivi di cittadini che sanno organizzarsi in modo solidale per risolvere quelle criticità alle quali le istituzioni preposte non hanno dato e non stanno dando più risposte». Nel suo saggio “Sense of community e innovazione sociale nell’era dell’interconnessione” parla di community collaborative. Che cosa intende nello specifico? «Quello che è avvenuto è che la tecnologia, e in particolare internet e i social network, ci hanno spinto a collaborare senza che, soprattutto all’inizio, ce ne accorgessimo. Siamo, quindi, entrati in una dimensione wiki in cui condividiamo molto, da un’immagine su Facebook a informazioni e conoscenze. Stiamo inconsapevolmente trasfor-

mando il nostro modo di vivere e di relazionarci con gli altri. Questo aspetto è ormai importantissimo anche nelle aziende; se non creiamo un ecosistema in cui co-evolvono i collaboratori, i fornitori e i clienti, data la complessità nella quale stiamo vivendo, in futuro non sarà difficile fare business, ma semplicemente impossibile. Qui si inserisce il “sense of community”: non è, infatti, proponibile affrontare alcun tipo di cambiamento sociale se non si creano quel clima e quella identità che danno significato alle iniziative che mettiamo in atto. Sia che si faccia una riforma fiscale, sanitaria o del lavoro, se una comunità non ha una propria identità, tutti questi passaggi rischiano di essere artificiali e di non durare nel tempo». Attraverso gli esempi che lei fa nel saggio di innovazione sociale, è possibile pensare di compiere un salto di qualità in questo senso? «Oggi è molto difficile trovare leadership nuove che abbiano le conoscenze e le capacità per favorire questi cambiamenti. Di questa difficoltà ci sono vari esempi nel libro: di fasce significative della popolazione che si sostituiscono a quelli che dovrebbero essere gli organismi istituzionali con iniziative concrete a beneficio della popolazione stessa e combinando insieme, come direbbe Clay Shirky, nuove tecnologie e generosità umana. Utilizzando le piattaforme di internet, i social network, ma anche quella economia del dono e quel senso di comunità che le tecnologie hanno risvegliato in noi in modalità virtuale, ma che oggi sempre più spesso diventano reali e concrete nella risoluzione dei problemi». 2013 • DOSSIER SVILUPPO • 83



CREDITO & IMPRESE

SI INASPRISCE IL CREDIT CRUNCH Secondo i dati della Banca d’Italia la riduzione del credito bancario alle imprese alla fine del primo semestre del 2012 ha interessato tutte le categorie dimensionali, risultando più intenso per le piccole imprese rispetto alle grandi, rispettivamente 2,3 e -1 per cento. L’evoluzione dei finanziamenti bancari continua a risentire del divario tra la contrazione dei prestiti concessi dai primi cinque gruppi bancari (-8,5 per cento a

giugno 2012) e la crescita dei finanziamenti delle altre banche (+6,9 per cento). Questa differente dinamica emerge per tutte le classi dimensionali delle imprese affidate. La dinamica dei prestiti alle imprese nel primo semestre del 2012 sarebbe stata condizionata da una domanda di credito ancora debole, soprattutto nei comparti delle costruzioni e del manifatturiero, dopo il significativo rallentamento del 2011. 2013 • DOSSIER SVILUPPO • 85


CREDITO & IMPRESE

PIÙ EFFICIENZA NELLA FILIERA DELLA GARANZIA Per far fronte alle esigenze delle pmi e facilitarne l’accesso al credito, Confidi Roma Gafiart ha reso più rapide anche le proprie procedure interne. Il presidente Danilo Cerreti spiega cosa prevedono le nuove best practice e quali vantaggi portano allo sviluppo dell’economia locale Renata Gualtieri

I

n una situazione di ristrettezza economica e credit crunch aumenta la domanda di garanzia sul mercato da parte delle banche e delle imprese. I confidi svolgono un ruolo fondamentale in questa fase, considerando anche il radicamento sul territorio e la conoscenza delle imprese. L’attività di consulenza specialistica del confidi e le soft information sulle imprese che sono in grado di offrire alle banche possono essere determinanti nella decisione di concedere credito. «Confidi Roma – commenta il presidente Danilo Cerreti – risponde alla crisi puntando sull’esperienza e sulla conoscenza profonda delle criticità e dei punti di forza delle imprese, sull’informazione, sulla qualità della consulenza, sull’innovazione dei prodotti, anche grazie all’ampliamento e rafforzamento della collaborazione con le banche, gli enti, la Confarti-

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gianato e le istituzioni operanti sul territorio». Da gennaio è attiva, ad esempio, la collaborazione tra Confidi Roma e l’ente camerale cittadino a sostegno delle imprese. Già dal 1999 la Camera di Commercio, al fine di favorire l’accesso al credito delle pmi, collabora con i confidi costituendosi garante di finanziamenti concessi alle imprese dalle banche convenzionate. «Le imprese iscritte alla Camera di commercio – spiega Cerreti – possono richiedere presso Confidi Roma Gafiart finanziamenti bancari destinati a investimenti, liquidità o consolidamento delle passività, garantiti al 55 per cento, 5 per cento da Confidi e 50 per cento dall’ente camerale. Sono previsti interventi anche per le imprese in start up e la garanzia offerta arriva sino al 60 per cento». Con la crisi economica sono cambiate le esigenze delle imprese: sono calati notevolmente gli


investimenti a medio e lungo termine e sono aumentate, invece, le richieste di finanziamento destinate al consolidamento o al ripianamento di situazioni debitorie o all’anticipo dei crediti. Purtroppo i ritardi della pubblica amministrazione hanno determinato grandi problemi per le pmi anche perché molte banche non riconoscono come solvibili anche amministrazioni di primario livello istituzionale. «La Regione Lazio – spiega Cerreti – non ha adempiuto agli impegni presi con il sistema dei confidi, è mancata professionalità e competenza; non è stata in grado di elaborare efficaci forme di intervento legislativo. La filiera della garanzia è affollata di tanti soggetti che creano confusione nel sistema, disperdono la capacità di fare rete e sprecano risorse pubbliche, gli investimenti esigui destinati ai confidi sono quelli che hanno avuto il rapporto più alto di leva finanziaria». Gli adempimenti derivanti dai recenti aggiornamenti normativi, a cui il Confidi è tenuto in quanto intermediario finanziario, ma soprattutto la necessità di offrire un servizio sempre più efficiente ai propri associati, hanno portato a una rivisitazione delle procedure interne. Sono stati definiti nuovi processi che rendono più snella l’analisi del merito creditizio delle imprese e più

veloce l’accesso ai servizi di garanzia offerti. «Il livello consulenziale e di orientamento offerto da Confidi Roma Gafiart è sicuramente ai massimi livelli nella città di Roma. Purtroppo – sottolinea il presidente – le nuove procedure per la concessione del credito, derivanti da una eccessiva informatizzazione del sistema, e uno spacchettamento delle competenze e responsabilità hanno determinato processi complessi che sicuramente non aiutano le pmi». Per una corretta gestione del sistema e, quindi, per una ripresa dell’economia del territorio nasce Network confidi baricentro, un’assoluta novità nel panorama regionale. «Gli accordi sono finalizzati alla definizione di un processo ottimizzato di erogazione di garanzie del Confidi 107 e controgaranzie dei Confidi 106 basato su rapporti di cooperazione e sull’eliminazione di ogni duplicazione e sovrapposizione di ruoli. Il network assume una struttura reticolare che vede il Confidi baricentrico quale soggetto erogatore di garanzie eleggibili a favore delle banche, e i quattro Confidi 106 quali sportelli che intrattengono i rapporti commerciali con le imprese. Si rende possibile, così, un ampliamento dell’offerta di garanzia e di prodotti finanziari destinati al supporto alle aziende associate». 2013 • DOSSIER SVILUPPO • 87


CREDITO & IMPRESE

SOSTEGNO ALLE IMPRESE Le richieste di credito arrivano da tutti i settori dell’economia laziale e Fidimpresa Lazio, assicura il presidente Ettore Quadrani, offre il supporto necessario alle pmi per facilitare il dialogo con le banche e ottenere finanziamenti a condizioni vantaggiose Renata Gualtieri

N Sopra, Ettore Quadrani, presidente di Fidimpresa Lazio

el corso del 2012 l’attività di Fidimpresa Lazio ha consentito di finanziare 1.600 imprese per un totale di circa 210 milioni di euro. Di questi, 55 milioni sono stati utilizzati per prestiti con un importo medio di 80mila euro. Circa il 95 per cento delle imprese associate a Fidimpresa presenta un fatturato inferiore ai 5 milioni di euro. «In un momento critico per il mondo imprenditoriale come quello che stiamo vivendo – sottolinea il presidente di Fidimpresa Lazio Ettore Quadrani – le richieste di credito giungono da tutti i settori. In particolar modo dai settori dell’edilizia, dell’automotive e del manifatturiero». Di quali strumenti dispone Fidimpresa per supportare le pmi che faticano a suscitare l’interesse delle banche? «Fidimpresa Lazio è il Confidi di matrice confindustriale operante su tutto il territorio regionale. Nel febbraio 2012 è stato iscritto nell’elenco speciale degli intermediari finanziari vigilati da Banca d’Italia. Siamo convenzionati con oltre 25 banche. La garanzia che Fidimpresa oggi è in grado di rilasciare, a prima richiesta, ha un peso specifico importante poiché permette alle banche di accantonare meno patrimonio e alle imprese di accedere al credito più velocemente e a condizioni vantaggiose».

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Vista la perdurante situazione di crisi delle aziende edili, Fidimpresa Lazio ha stipulato una convenzione specifica con la Cassa edile di Frosinone. Come sarà possibile facilitare l’accesso al credito alle imprese del settore? «La convenzione stipulata con la Cassa edile di Frosinone è solo una delle iniziative volte a supportare questo settore che più di altri sta soffrendo la crisi. Molte sono le convenzioni “anti crisi” sottoscritte, come quella con la Camera di commercio di Roma, che ha messo a disposizione un fondo di cogaranzia che permette di agevolare l’accesso al credito delle pmi operanti in provincia di Roma». Cosa prevede l’accordo con Banca Finnat? Sono previsti per il 2013 ulteriori accordi con altri istituti di credito? «Tramite l’accordo, attivo a partire da gennaio 2013, vi sarà l’opportunità, per le imprese di maggiori dimensioni, di essere presentate da Fidimpresa a Banca Finnat mediante una relazione informativa. Banca Finnat svolgerà per queste imprese il ruolo di advisor finanziario. In questo ambito, Fidimpresa Lazio, oltre al ruolo di presentatore, potrà assistere le stesse imprese anche attraverso la propria attività caratteristica di prestazioni di garanzie».



SUD SVILUPPO

Interventi europei per il Mezzogiorno «Occorre rovesciare la percezione di un’Europa ostile al business e dare segnali inequivocabili della nostra volontà di attirare investimenti e favorire la creazione di imprese». A sostenerlo è Antonio Tajani, che illustra gli interventi europei per il Sud Nicolò Mulas Marcello

el rapporto sulla competitività industriale presentato a ottobre, l’Italia è agli ultimi posti nell’Ue per l’adeguatezza delle infrastrutture. Questo anche perché nell’ultimo decennio le risorse disponibili sono scese del 73 per cento. Il ritardo è particolarmente grave al Meridione, dove vi sono meno di un terzo delle linee ferroviarie italiane, solo un quarto di quelle a doppio binario e un sesto dell’alta velocità. Lo sviluppo d’infrastrutture adeguate è quindi nevralgico nella strategia per la crescita e la reindustrializzazione di quest’area del Paese. «Come indicato nel piano europeo per le costruzioni presentato a luglio

N

Antonio Tajani, vicepresidente della Commissione europea

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2012, far ripartire questo settore significa creare ricadute su molti comparti industriali, a cominciare dall’acciaio, tra i più colpiti dalla crisi». Parliamo del piano di crescita del Sud di cui si è discusso a Napoli lo scorso settembre. Cosa è previsto in concreto per risollevare il Mezzogiorno? «La situazione nel Sud è drammatica, negli ultimi cinque anni il Pil è sceso di 6 punti e oltre 2/3 dei 600mila posti persi in Italia con la crisi si trovano nel Sud. Eppure, tra il 2000 e il 2013 sono stati destinati al Meridione circa 80 miliardi di fondi strutturali Ue, incluso il cofinanziamento nazionale, senza contare la politica agricola. Malgrado queste ingenti risorse, il divario di sviluppo tra Mezzogiorno e le altre aree del Paese e dell’Ue si è allargato. L’emergenza meridionale cresce nelle cronache anche per il numero di crisi aziendali che qui assumono maggiore drammaticità per la mancanza di alternative. Occorre un piano di crescita che parta dal migliore utilizzo dei fondi strutturali ancora disponibili nell’attuale programmazione e dia una prospettiva di lungo periodo, tracciando le linee programmatiche per i fondi 2014-2020. In sinergia con gli investimenti della Bei e altri fondi Ue per la competitività che la Com-


Antonio Tajani

Occorre un piano di crescita per il Mezzogiorno che parta da un migliore utilizzo dei fondi strutturali

missione ha proposto di aumentare: da 54 a 80 miliardi per Orizzonte 2020, il raddoppio dei fondi di Cosme per accesso al credito, e da 14 a 50 miliardi per le infrastrutture». Per quanto riguarda gli strumenti comunitari previsti nel progetto “Connecting Europe”, in che modo il nostro Paese, e in particolare il Sud, ne beneficeranno? «Il completamento e la modernizzazione del sistema dei trasporti ha ricadute rilevanti sul turismo che, malgrado le sue enormi potenzialità, è ancora meno sviluppato al Sud rispetto al resto d’Italia. Lo sviluppo di reti per il gas o la trasmissione intelligente di elettricità è essenziale per concorrenza, sicurezza e valorizzare delle rinnovabili prodotte al sud (35% del solare, 32% da biomassa e il 98% dell’eolico). Così come nella concorrenza per la logistica nel Mediterraneo si perde terreno senza investimenti nella modernizzazione del sistema d’intermodalità. Alcune infrastrutture chiave sono già parte dell'iniziativa europea “Connecting Europe”. Tra queste vi è il collegamento ferroviario NapoliPalermo, come parte dell’asse Berlino-Palermo tra i dieci progetti prioritari. Ora è il momento di agire con progetti precisi e tempestivi. Altra infrastruttura finanziata dall’Ue da valorizzare è il porto di Gioia Tauro, porta d'ingresso del Sud finora utilizzato per smistare container. Per superare la concorrenza di porti con funzioni analoghe, Gioia Tauro dovrebbe dotarsi di sistemi d’interoperabilità nell'entroterra che valorizzino

la sua posizione geografica». La crisi e la mancanza di lavoro hanno affossato ancora di più alcune regioni del Mezzogiorno. Cosa si può fare a livello europeo per coadiuvare sinergie tra istituzioni e mondo del lavoro nelle nostre regioni del sud? «È importante che si faccia un utilizzo corretto dei fondi che l’Europa mette a disposizione delle regioni svantaggiate. Dei circa 36 miliardi di fondi strutturali 2007-2013 destinati al Sud, ne sono state impegnati circa il 60 per cento e pagati 1/3, a fronte di un media Ue del 90 per cento d’impegni e 60 di pagamenti. A un anno dalla conclusione del programma, alcune regioni rischiano seriamente di perdere centinaia di milioni. Nel mezzo della crisi davvero l’Italia non può permetterselo. Le misure di riprogrammazione in corso vanno nella giusta direzione. Ma, forse, esistono ancora margini per concentrare ulteriormente le risorse su poche azioni che facciano da volano. Ad esempio, i project bond già al via con un primo progetto pilota di 230 milioni, che consente finanziamenti per 4,5 miliardi, possono essere utilizzati nel Sud per grandi progetti infrastrutturali». 2013 • DOSSIER SVILUPPO • 91


SUD SVILUPPO

La freschezza delle idee La scena economica pugliese presenta ancora zone di debolezza che le vicende legate all’Ilva non hanno certo fugato. Il raggio di luce proviene dall’export e, rimarca Angelo Bozzetto, da «un patrimonio di giovani intelligenze da tutelare per il futuro» Giacomo Govoni

li ultimi dati prodotti dall’economia meridionale non inducono all’ottimismo. I principali indicatori, stando al check up sull’area di Confindustria e Studi e ricerche per il Mezzogiorno, viaggiano infatti ben al di sotto dei livelli precrisi. Dal 2007 a giugno 2012, solo per citarne un paio, hanno chiuso 16mila imprese e il Pil è calato di 24 miliardi di euro. L’unica variabile che recupera terreno è quella degli scambi con l’estero, rispetto alla quale la Puglia è la regione locomotiva del Sud, «in virtù – sottolinea Angelo Bozzetto, presidente di Confindustria Puglia – di una distribuzione dei distretti industriali di eccellenza, sui quali stiamo investendo con tecnologie, formazione, aggregazione imprenditoriale e con un incentivo forte verso l’export». Sulla base degli ultimi dati disponibili, che riflessi sta avendo la lunga stagione recessiva sulla capacità produttiva pugliese? «In un momento di recessione di tutto il Paese, la Puglia cresce qualcosa di più rispetto alla media del meridione. Nella difficoltà complessiva, difendiamo un trend di crescita contenuto nelle quantità, ma che rispecchia un sistema industriale capace negli ultimi anni di agire in maniera forte sulla leva dell’export. L’anno scorso abbiamo registrato un incremento medio delle espor-

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Angelo Bozzetto, presidente di Confindustria Puglia

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tazioni dell’11 per cento rispetto al 2011, che segue un +18 per cento dell’anno precedente. Questa dinamica sta aiutando a recuperare fasce di mercato che in Italia e in Europa sono un po’ contratte». Quali settori stanno tenendo alto il brand Puglia nonostante la congiuntura avversa? «A trainare l’economia pugliese sono il settore estrattivo, quello dell’energia, la meccanica, l’automotive, la chimica e tutti quelli che hanno fatto dell’innovazione tecnologica un driver della loro attività. Chiaramente, nel contempo, stiamo attraversando una fase critica per quanto riguarda la siderurgia, legata alla vicenda Ilva, che coinvolge non solo la produzione pugliese, ma un indotto e un export che incide per il 20 per


Angelo Bozzetto

I punti di forza non mancano: abbiamo un sistema aerospaziale, guidato da Alenia e Boeing, in prima fila nel campo delle tecnologie cento sulla quota complessiva regionale». In quali altri ambiti il valore imprenditoriale pugliese fatica a riemergere? «Rispetto alla situazione descritta, il rovescio della medaglia è rappresentato da settori che stentano a ritrovare il posizionamento competitivo come il tessile-abbigliamento, il calzaturiero, gran parte dell’edilizia, il florovivaistico e il mobile imbottito. Un comparto, quest’ultimo, che fino a 5 anni fa annoverava quasi 5mila aziende e 14mila dipendenti, che oggi si sono ridotti a 400 aziende con 5.000 dipendenti, di cui molti in cassa integrazione. Pochi giorni fa, tuttavia, è spuntato uno spiraglio di ripartenza: al ministero dello Sviluppo economico è stato siglato l’accordo di programma sul polo del salotto, fiore all’occhiello regionale, con la presenza del leader mondiale Natuzzi». Quali interventi prevede? «L’accordo impegna per 40 milioni la Regione Puglia, per 20 la Regione Basilicata e per il resto il ministero. Un totale di 101 milioni, più 240 che saranno investiti dai nostri imprenditori, che daranno nei prossimi anni una spinta a riposizionare nell’alta gamma questo comparto produttivo. Anche se questo accordo arriva dopo ben 7 anni, tocca a noi imprenditori dar fondo alla creatività e all’innovazione per riguadagnare prestigio mondiale. Tenendo alta l’attenzione sulle sfere dell’illegalità, del sommerso e della contraffazione, dilaganti in questi comparti manifatturieri». Torniamo al caso Ilva. Che ripercussioni sta avendo sul livello di fiducia dei buyer nazionali e internazionali? «Il tema dell’Ilva sta facendo tremare i polsi non

solo all’economia pugliese, ma al 30 per cento del manifatturiero italiano e a tutta la filiera di trasformazione dell’acciaio, specie alle migliaia di aziende che hanno rapporto diretto con lo stabilimento tarantino. Si sta rischiando di spingere un intero settore fuori mercato, per via di un rapporto fra ambiente e produzione industriale ancora irrisolto. La priorità resta difendere la vivibilità del territorio, pertanto, in questa fase, tocca a Riva dare un segnale forte, investendo rapidamente sui programmi di adeguamento alle prescrizioni Aia. D’altro canto, lo scontro fra potere politico e magistratura non ha agevolato le cose, rallentando il percorso. Perciò, anche da questi due livelli, mi attendo una convergenza per guardare con fiducia al futuro di una zona che vuole tornare alla normalità». Su quali fattori dovrà scommettere il sistema produttivo pugliese per riprendere la via della competitività? «I punti di forza non mancano: ad esempio, abbiamo un sistema aerospaziale, guidato da Alenia e Boeing, in prima fila nel campo delle tecnologie aerospaziali. Poi c’è l’energia, soprattutto rinnovabile, in cui siamo la regione leader in Italia. E ancora i comparti della chimica e dell’agroindustria di qualità, su cui ci stiamo impegnando per migliorare le performance. Il tutto corredato dalla collaborazione con il mondo della ricerca, dell’università e dei centri di formazione. Ma la nostra vera arma in più è il patrimonio di giovani che il nostro territorio produce. Serve freschezza per pensare a nuovi prodotti e nuovi scenari: l’intelligenza e la determinazione dei nostri ragazzi è pronta per raccogliere questa sfida».

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SUD SVILUPPO

White list contro le infiltrazioni criminali Per sottrarre margine di azione alla criminalità organizzata sotto il profilo economico, serve una struttura normativa più solida ed efficace. Lo sostiene il presidente di Confindustria Calabria, Giuseppe Speziali Francesca Druidi

egalità e sicurezza sono presupposti fondamentali per lo sviluppo. L’infiltrazione della criminalità organizzata nel tessuto produttivo costituisce per il Mezzogiorno un cruciale fattore distorsivo, che altera i mercati degli appalti pubblici, del lavoro e dei capitali. «La criminalità organizzata rappresenta una piaga profonda per l’economia sana del territorio – evidenzia Giuseppe Speziali – poiché determina esternalità negative che riducono l’attività economica in molti settori, scoraggia gli investimenti, riduce la competitività delle imprese in quanto impone

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Giuseppe Speziali, presidente di Confindustria Calabria

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maggiori costi per la sicurezza, rialloca risorse creando incertezza ed inefficienza». Il numero uno degli industriali calabresi si concentra allora sui possibili orizzonti di contrasto al fenomeno delle infiltrazioni mafiose. Quali sono, in particolare, le modalità con le quali si manifesta l’infiltrazione mafiosa nell’attività economica della regione? «Le maggiori manifestazioni risiedono nelle forniture sugli appalti pubblici - in edilizia riguardano il bitume, il movimento terra, il calcestruzzo - e nei subappaltatori spesso già predefiniti in base ai territori interessati.


Giuseppe Speziali

Gli imprenditori sono i primi a chiedere trasparenza nella gestione delle attività pubbliche, proprio perché consapevoli di come questa sia precondizione per la legalità

L’estorsione poi merita un’attenzione speciale: è purtroppo lo strumento più ricorrente per il controllo del territorio da parte delle organizzazioni mafiose, nonché ovviamente la principale fonte di guadagno. Il settore degli appalti e dei lavori pubblici è quello dove principalmente si evidenzia tale fenomeno. Procedure amministrative e autorizzative più semplificate e trasparenti aiuterebbero molto nella fase precedente ai lavori, dove si annida con maggiore frequenza il fenomeno estorsivo. Attraverso un’indagine svolta in anonimato presso i nostri associati posso dire che oltre il 36 per cento ha evidenziato il tentativo di infiltrazione, attraverso mano d’opera e forniture, e di richieste estorsive». Adottare strumenti come le white list significa favorire le imprese che non presentano rischi di infiltrazioni della criminalità

organizzata. Quali sono gli ostacoli che incontra questa misura? «Reputo che le white list identifichino lo strumento di presidio più idoneo per contrastare il fenomeno delle infiltrazioni malavitose nei vari settori economici. Ritengo, infatti, sia necessario affiancarle al complesso sistema di controlli già esistente, in grado di sottrarre alle organizzazioni criminali mercati che, per la loro centralità nei flussi economici di un determinato territorio, costituiscono un punto di riferimento nell’attività delle organizzazioni criminali. Tuttavia, nonostante l’importante passo in avanti compiuto con l’individuazione delle attività a rischio infiltrazioni, soprattutto nel settore delle costruzioni, a livello di governo centrale non si è riusciti a licenziare una norma che preveda la formazione di queste liste attraverso un ruolo attivo delle prefetture. Tengo a 2013 • DOSSIER SVILUPPO • 95


SUD SVILUPPO

LA CRISI BLOCCA LE GRANDI OPERE In Calabria si registra un calo delle previsioni di crescita con un conseguente prolungamento della recessione che lascerà spazio alla ripresa solo nel 2014. Ne parla Francesco Cava economia calabrese sta pagando con un netto calo degli investimenti la forte stretta dettata dal patto di stabilità e l’incapacità di utilizzo delle risorse europee per le grandi infrastrutture. Per comprendere il grave quadro economico del settore delle costruzioni regionale, basta osservare come l’investimento in infrastrutture per i lavori pubblici è calato, nel 2012, del 6 per cento, mentre si è registrata una diminuzione del 50 per cento nell’erogazione dei mutui per l’acquisto della prima casa. Nel giugno scorso, lo scenario formulato dall’Ance per il 2013 prevedeva un’interruzione della tendenza negativa che aveva caratterizzato la produzione settoriale dal 2008 al 2012, ma l’aggravarsi dello scenario economico e l’allungamento dei tempi necessari per l’avvio di alcuni provvedimenti contenuti nel decreto sviluppo e in programmi infrastrutturali hanno invece frenato ogni aspettativa. «La crisi in atto è nettamente superiore rispetto a quella degli anni Novanta» afferma Francesco Cava, al vertice dell’Ance regionale. «Soffrono tutti i comparti: dalla produzione di nuove abitazioni, che in sei anni ha perso il 54,2 per cento, all’edilizia non residenziale privata, che segna una riduzione del 31,6 per cento, alle opere pubbliche, che registrano una caduta del 42,9 per cento». Il numero uno dei costruttori calabresi illustra i prossimi passi da compiere per uscire dalla

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crisi, fortificando il rapporto tra banche, imprese e territorio e incentivando nuovi progetti attraverso il project financing. I costruttori calabresi cosa pensano delle misure di project financing attuabili in regione? «La valutazione dell’efficacia e dell’efficienza del project financing quale strumento per la realizzazione di opere pubbliche e di pubblica utilità in Italia sconta, a parere dei costruttori locali, una rilevante carenza informativa. Il fatto che spesso le amministrazioni non riescano a tradurre le iniziative in progetti concreti indica che né il bisogno estremo di infrastrutture per il proprio territorio né il desiderio di annunciare nuovi progetti possono considerarsi motivazioni sufficienti alla base della decisione di ricorrere a operazioni di finanza di progetto. Oggi in Calabria hanno preso il via solo tre progetti grazie al project financing: l’impianto di depurazione a Siderno e due porti turistici nei comuni di Scalea e Simeri». Quali sono le opportunità, ma anche i rischi, che si celano dietro a questo strumento? «Consentirebbe di sollevare le pubbliche amministrazioni, in tutto o in parte, dagli oneri relativi al finanziamento di un’opera infrastrutturale, focalizzandone l’attività sugli aspetti regolatori (qualità del servizio, modalità di erogazione), affidando al settore privato la gestione

sottolineare che avere, da parte degli imprendi-

tori, la possibilità di attingere da liste “pulite” e certificate dalle prefetture per le forniture rappresenta una garanzia non solo di legalità e di contrasto alle infiltrazioni ma, soprattutto, di tranquillità e serenità delle imprese. Capisco perfettamente che si tratti di un’assunzione di grande responsabilità da parte di chi deve stilare dette liste, ma ormai credo sia un’azione inevitabile da attuare». Confindustria Calabria applica il codice etico dell’associazione nazionale. Attraverso quali iniziative promuovete la legalità? «Confindustria Calabria applica attentamente il codice etico nazionale, considerandolo uno strumento essenziale per l’aggregazione di tutto il sistema associativo. Tra gli strumenti principali per garantire la legalità ritengo sia

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Giuseppe Speziali

Francesco Cava, presidente di Ance Calabria

«Mi auguro che, attraverso la regionalizzazione “orizzontale” del patto di stabilità, verranno sbloccati questi ulteriori 50 milioni da poter destinare ai grandi progetti calabresi, in particolare, mi riferisco al ponte sullo Stretto, al completamento della Salerno-Reggio Calabria, al rigassificatore di Gioia Tauro. Ritengo sia fondamentale in un momento così delicato sbloccare quelle opere ferme per mancanza di fondi o per cavilli burocratici». Quali progetti sono previsti in Calabria dopo l’accordo dell’opera, e incentivandone il livello di efficienza mediante la nazionale siglato con Intesa Sanpaolo? piena utilizzazione commerciale. Tuttavia, le principali cause «La prima iniziativa da portare avanti è quella di costituire un tavolo di lavoro congiunto per stimolare il dialogo tra di rallentamento delle operazioni in project financing imprese, banca e territorio e promuovere lo scambio di riguardano i contenziosi, dovuti a una carente definizione informazioni finalizzato all’agevolazione delle imprese nella delle clausole contrattuali o a presunte inadempienze del gestione delle unità abitative invendute, nella gestione concessionario. La seconda evidente criticità, invece, è dell’indebitamento a breve termine, nel finanziamento di legata al cambiamento di decisione del concedente». nuovi cantieri, nonché alla comprensione e al miglioramento La Regione ha erogato 41 milioni di euro ai Comuni e altri 50 milioni potranno essere erogati. In quali progetti dei modelli di valutazione relativi alle operazioni in ambito edilizio». saranno indirizzate tali risorse ed entro quali termini?

importante, per gli imprenditori calabresi, la denuncia contro ogni tipo di attività illecita. Penso che questo sia il contributo migliore che il mondo produttivo possa dare allo sviluppo del tessuto sociale della regione. E gli imprenditori sono i primi a chiedere trasparenza nella gestione delle attività pubbliche, proprio perché consapevoli di come questa sia precondizione per la legalità. Su questo punto voglio, inoltre, evidenziare che la rigida applicazione del codice etico in Calabria ha portato a sospendere da ogni

carica associativa o dalla semplice natura di associato 47 imprese». Come si è venuta a definire questa situazione? «Quest’azione è stata preceduta da una forte campagna di sensibilizzazione diretta alla categoria e ai cittadini, “Io il pizzo non lo pago”, presentata all’allora procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso, e seguita dalla costituzione di Confindustria Calabria come parte civile in quattro procedimenti penali di mafia, in cui le vittime erano imprenditori. Stiamo cercando di svolgere la nostra parte, è necessario però che anche strumenti normativi possano accompagnare queste attività: penso alla tracciabilità dell’origine dei fondi investiti dalle imprese per opere immobiliari o infrastrutturali, oltre alle già citate white list». 2013 • DOSSIER SVILUPPO • 97


FOCUS SUD SVILUPPO SUD

La radice che non tramonta mai La liquirizia più conosciuta e amata al mondo abita a Rossano, sulla costa jonica calabrese. Pina Amarelli racconta come un’azienda alle soglie dei 300 anni di vita riesca a navigare verso il futuro coniugando innovazione e sapienza artigianale Giacomo Govoni

uno dei marchi più longevi e rappresentativi dell’eccellenza produttiva calabrese. La Amarelli di Rossano, storica azienda che firma le lattine di liquirizia famose in tutto il mondo, ha oltre duecentocinquant’anni di storia. Una realtà imprenditoriale nata, cresciuta e maturata in terra calabra, che testimonia come ancor oggi nel Sud si possa fare impresa con i piedi ben ancorati nella tradizione e la testa rivolta al futuro. A incarnare questa doppia filosofia oggi è la presidente Pina Amarelli, prima donna calabrese a ricevere l’onorificenza di Cavaliere del lavoro nel 2006 e nota anche come Lady liquirizia. «Anche l’Enciclopedia britannica, con la sua indiscussa autorevolezza, afferma che la liquirizia calabrese è la migliore del mondo» ricorda l’imprenditrice. E la Liquirizia Amarelli è l’emblema della liquirizia calabrese. Quali proprietà e valori le valgono questo primato? «Si tratta di un’eccellenza del nostro Paese, di un prodotto le cui qualità, uniche e irripetibili, derivano dal microclima della costa jonica calabrese nonché dalla qualità del terreno che fiancheggia il mare. È una pianta spontanea, selvaggia, che cresce e si moltiplica per talea anche da piccoli frammenti ri-

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Pina Amarelli, presidente della Amarelli Liquirizie di Rossano e Cavaliere del lavoro

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masti nella terra dopo la raccolta quasi totalmente manuale. Il tasso di glicirrizina è ottimale e conferisce al prodotto il caratteristico gusto dolce-amaro tipico della liquirizia di Rossano». In quali Paesi il grado d’apprezzamento per il vostro marchio tocca le punte più alte? «Il nostro marchio è apprezzato in tutto il mondo, vero esempio di prodotto locale che s’impone nel mercato globale. La liquirizia Amarelli è particolarmente diffusa tra i consumatori di fascia alta, educati e consapevoli della necessità di un’alimentazione sana e naturale. I Paesi in cui attualmente c’è una ampia distribuzione sono la Germania, la Danimarca, i Paesi Baltici e la Francia, in particolare per quanto riguarda gli impieghi gastronomici». Come si declina il tema dell’innovazione in un’azienda dalla tradizione così antica? «L’innovazione deve essere continua, per supportare una tradizione tricentenaria che non è mai stata statica. L’innovazione si coniuga sia da un punto di vista tecnologico, affinando i metodi di estrazione del succo dalla radice, sia dal lato del marketing ampliando e rinnovando la gamma dei prodotti, sempre a base di liquirizia: dal succo concentrato al liquore, al cioccolato, alla pasta, alla colonia e al dentifricio». Un recente riconoscimento l’ha anche incoronata per la sua capacità di leggere il mercato e di presidiarlo in maniera sostenibile. Qual è la sua ricetta in questo caso? «Credo che un imprenditore può definirsi


Pina Amarelli

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La dichiarazione di “importante interesse storico”, conferita dal ministero dei Beni culturali al nostro archivio, suggella un’attività ultraventennale

così solo se ha doti progettuali ed etica. Per quanto mi riguarda, ritengo di aver sempre avuto traguardi a lungo termine legati all’attenzione al territorio, alla responsabilità sociale, allo sviluppo del senso di appartenenza dei collaboratori, ma di averli coniugati anche con progetti a breve che si concretizzano in lancio di nuovi prodotti, in eventi e in un intenso rapporto con i mass media per comunicare al meglio la nostra filosofia». Da pochi mesi il Museo della liquirizia è stato dichiarato d’interesse storico particolarmente importante. Quanto conta la conservazione delle radici storiche per l’azienda e che incidenza riveste in chiave di business? «La dichiarazione di “importante interesse storico”, conferita dal ministero dei Beni culturali al nostro archivio, suggella un’attività ultraventennale rivolta a far conoscere all’esterno la storia della nostra famiglia e della nostra azienda inserite nel più ampio contesto della storia economica calabrese degli ultimi tre secoli. Le radici, sia quelle reali che metaforiche,

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ritengo siano indispensabili per costruire il futuro e per affermare, con forza, il valore di una tradizione fatta di lavoro e di impegno, rendendo fruibili i tesori della nostra regione». Conquistare il mondo partendo dalla Calabria e conservandone il legame. Su quali leve insisterebbe per convincere una giovane realtà imprenditoriale del Sud, che oggi vi guarda come un modello, che il sogno ancora possibile? «Credo che il sogno e l’utopia siano parte del dna dell’imprenditore che si sente realizzato, citando le parole di Einaudi, attraverso la sua impresa che non è solo e assolutamente profitto, ma un’affermazione delle proprie capacità progettuali e attuative. Il mio è un messaggio di incitamento e di speranza rivolto ai giovani del Sud. Non bisogna scoraggiarsi, bensì è necessario, con competenza, passione e un pizzico di fantasia, intraprendere percorsi sempre nuovi per valorizzare i tesori della Calabria e assicurare, a noi e alle generazioni future, uno sviluppo sostenibile». 2013 • DOSSIER SVILUPPO • 99


SUD SVILUPPO

Un vino per palati internazionali L’eccellenza enologica siciliana, coltivata e sviluppata per piacere al mondo. Sergio Curatolo porta avanti la tradizione di un’azienda che sul Marsala ha costruito le fortune di una terra gemma del paesaggio isolano Giacomo Govoni

fidare i grandi e blasonati produttori del tempo, puntando sulla qualità del prodotto e sullo sviluppo dei mercati esteri. Non sono i propositi di un dinamico imprenditore del terzo millennio, ma la scommessa che Vito Curatolo Arini lanciò dalla Sicilia quasi un secolo e mezzo fa. Quando nel bel mezzo dei propri vigneti, nell’entroterra di Marsala, decise di fondare un’azienda vitivinicola e orientarla fin da subito all’export. Era il 1875 e ai primi del Novecento la Vito Curatolo Arini era una delle prime aziende esportatrici verso gli Stati Uniti e il Sud America. «I vini che presentava – racconta Sergio Curatolo, che oggi gestisce l’azienda con cugini e nipoti – erano vini di qualità, espressione unica dei sapori del territorio, accompagnati da innovative tecniche di produzione e di packaging». Una lunga storia nel segno del Marsala e di Marsala, che quest’anno tra l’altro, può fregiarsi dello scettro di Città del vino d’Europa 2013, conferitole lo scorso novembre dalla Rete europea delle città del vino. Sono passati quasi 140 anni da quando

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questa azienda vide la luce. Quali valori sono rimasti immutati da allora? «Vito fondò quest’azienda seguendo un sogno: far conoscere il suo vino, frutto della sua amata terra, al mondo intero. Con pazienza e costanza seppe portare la sua azienda al successo internazionale, tramandando la sua passione di generazione in generazione. “Gli uomini coraggiosi si riconoscono dalle loro piccole azioni quotidiane”, diceva, e noi stessi lo ripetiamo giorno per giorno nel nostro duro ed entusiasmante compito di soste-


Sergio Curatolo

nere il frutto di una passione familiare. In definitiva, il rispetto per le proprie origini, per il lavoro di chi ci ha preceduto, la costanza, il coraggio e la dedizione sono i valori più saldi per noi della Curatolo Arini». Quali vini hanno reso la vostra azienda una punta di diamante dell’enologia siciliana? E come si è evoluta la loro qualità nel tempo? «Dalla fondazione e per i primi 100 anni circa, ci siamo dedicati unicamente alla produzione dei vini Marsala di qualità. Questi vini sono stati, e continuano a essere anche oggi, il nostro biglietto da visita. Con il passare degli anni, abbiamo mantenuto le caratteristiche originali del prodotto, ad esempio producendo mosto cotto nella così chiamata “quarara” con un processo a fuoco lento diretto che dura circa 36 ore. L’esperienza che abbiamo accumulato negli anni, ci ha permesso di creare dei prodotti di altissima qualità, come il nostro Marsala superiore Riserva, invecchiato per più di 10 anni, e la Riserva storica che risale al 1988». Siete il più antico produttore di Marsala a

conduzione familiare in Sicilia. Come si riesce a mantenere una dimensione aziendale di questo genere in un mercato globalizzato come quello odierno? «Abbiamo sempre mantenuto una gestione improntata sulla prudenza, senza cedere alla tentazione di facili speculazioni. La presenza costante della famiglia è un fattore fondamentale per noi, ma siamo consapevoli del fatto che il know how proveniente da consulenti internazionali ed esperti di marketing può sempre apportare un valore aggiunto alla gestione di un’azienda, radicata oltretutto in un contesto così particolare. Solo essendo consapevoli dei propri limiti è possibile superarli e migliorare». Il sogno primigenio, si diceva, era diffondere la conoscenza del Marsala nel mondo. Si è realizzato? E, se sì, come si riflette il gradimento estero del vostro vino sulle vendite? «Il nostro Marsala è stato da sempre commercializzato al 95 per cento sui mercati esteri. Abbiamo partecipato alle principali manifestazioni dei primi del 1900 nelle Americhe, in Francia, in Libia, Panama, Argentina, ricevendo sempre lusinghieri riconoscimenti. Ancora oggi continuiamo a cercare di educare un pubblico svariato alla cultura del Marsala di qualità attraverso fiere, degustazioni e cene basate su ricette siciliane accompagnate dai nostri vini, che vengono sempre guidate da un membro della famiglia. Ritengo che il mio bisnonno possa considerarsi soddisfatto dei risultati raggiunti». Continuare a operare dalla Sicilia, soprattutto in tempi di crisi, non deve essere semplice. Attraverso quali strategie cercate di tenere alta la diffusione del vostro marchio, custodendone al contempo il vincolo con la terra natale? «Come dicevo prima, la collaborazione con consulenti esteri è per noi un’abitudine essenziale ormai da anni. Inoltre, è per noi fondamentale una forte cooperazione con i nostri importatori in tutto il mondo e non vogliamo solo che distribuiscano i nostri vini, ma che diffondano la storia e la tradizione siciliana della nostra famiglia».

Sergio Curatolo, titolare dell’azienda vitivinicola Curatolo Arini

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GESTIONE DEI RIFIUTI

Rifiuti, due anni per cambiare il sistema L’Italia ha bisogno di raggiungere l’autosufficienza nello smaltimento per evitare il verificarsi di altre emergenze e i costi di esportazione dei rifiuti. Ma perché ciò avvenga è necessario, per Monica Cerroni, una diffusione su tutto il territorio di impianti all’avanguardia di trattamento e recupero degli scarti Elisa Fiocchi

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el primo rapporto “Gli impianti di trattamento dei rifiuti in Italia”, promosso da Fise Assoambiente, emerge come l’autonomia dell’attuale sistema di smaltimento per i rifiuti, basato sulle discariche, sia di poco superiore ai due anni a livello nazionale. «Non si può continuare a basarsi, come oggi avviene, sulle discariche, né tantomeno pensare che

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tutto sia riciclabile» afferma il presidente di Assoambiente, Monica Cerroni. «È necessario, invece, intervenire promuovendo sistemi integrati di gestione e di industrializzazione del settore perché, se oltre alla prevenzione si assicurano le necessarie capacità impiantistiche di trattamento come il recupero e lo smaltimento, la vita delle discariche esistenti potrebbe rappresentare la fase residuale della gestione dei rifiuti e cioè quella

dello smaltimento degli scarti non più utilizzabili». Oltre ai problemi legati alle discariche e agli impianti di smaltimento mai realizzati, si aggiunge anche l’allarme lanciato dalle aziende che effettuano la raccolta e lo smaltimento, che a breve potrebbero ritrovarsi senza le risorse necessarie per svolgere il proprio servizio. La nuova tassa su rifiuti e servizi, la Tares, che ha sostituito la vecchia Tarsu/Tia, che entrerà in vigore il prossimo luglio,


Monica Cerroni

Bisogna superare la restrizione dell’accesso al credito per le imprese del settore già fortemente penalizzate dai ritardi dei pagamenti delle Pa

non permetterà infatti agli addetti del settore di incassare il corrispettivo da parte dei cittadini prima di 7-8 mesi. Monica Cerroni analizza le criticità del comparto e spiega per quali ragioni questa norma sia destinata ad aggravare ulteriormente le già difficili condizioni di mercato in cui si trovano a operare le aziende. Quali norme andrebbero introdotte per garantire i necessari investimenti e porre le condizioni per l’industrializzazione dei servizi di gestione? «Diversi sono gli elementi, non sempre riconducibili a necessità di nuove norme, che rendono oggi difficile il percorso di industrializzazione del settore. Innanzitutto vi è la necessità di una programmazione, come av-

viene per altri servizi e settori industriali, che superi la restrizione dell’accesso al credito per le imprese del settore già fortemente penalizzate dal fenomeno dei ritardi dei pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni e riconsideri la tempistica richiesta dal sistema burocratico-amministrativo». L’obiettivo di autosufficienza nazionale che eviti il crescente fenomeno dell’esportazione dei rifiuti è un traguardo possibile per il nostro paese? «Dai dati forniti annualmente dall’Ispra sui rifiuti si può facilmente comprendere che l’Italia è caratterizzata da due realtà operative: una più in linea con la gerarchia di gestione dettata a livello euro-

peo, che vede la presenza non solo di impianti di riciclo a cui sono conferiti i rifiuti da Monica Cerroni, raccolta differenziata ma an- presidente di Assoambiente che di termovalorizzatori per il recupero energetico delle frazioni non ulteriormente riciclabili; l’altra dove si registrano bassi livelli di raccolta differenziata e la gestione ruota principalmente intorno alla discarica. In tale contesto, solo attraverso una diffusione a livello nazionale dei sistemi di gestione integrata dei rifiuti a mezzo di impianti di trattamento meccanico biologico e di recupero sarà possibile aumentare l’autosufficienza. Vi è la necessità di definire condizioni propedeutiche per un nuovo approccio gestionale, realizzabile attraverso un quadro normativo che assicuri alle aziende la certezza anche dei 2013 • DOSSIER SVILUPPO • 107


GESTIONE DEI RIFIUTI

rapporti contrattuali con le l’erogazione del servizio di ge- tuali livelli occupazionali». pubbliche amministrazioni, rapporti contrattuali che consentano alle aziende stesse di garantire il ricorso al credito per i necessari investimenti infrastrutturali». La disposizione approvata dal Senato che posticipa da aprile a luglio la data di versamento della prima rata della Tares quali ricadute avrà sugli operatori e con quali rischi finanziari per l’intero settore? «La conseguenza più immediata è rappresentata dal conseguente e ulteriore differimento nel tempo della data di effettivo incasso dei corrispettivi previsti a fronte del-

stione dei rifiuti. Alla luce del nuovo contesto delineato dal legislatore, infatti, i Comuni incasseranno dai cittadini i corrispettivi per il servizio solo in data successiva al mese di luglio, con la conseguenza che le amministrazioni locali in questione, già sottoposte ai rigidi parametri imposti dal patto di stabilità, saranno costrette a procrastinare la corresponsione degli importi dovuti alle imprese che erogano il servizio. La temporanea assenza di risorse finanziarie potrà al limite incidere sulla regolarità nell’erogazione degli stipendi e sulla conseguente salvaguardia degli at-

In alcune zone d’Italia si registrano bassi livelli di raccolta differenziata e la gestione ruota principalmente intorno alla discarica

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Con quali proposte normative Assombiente, assieme a Federambiente e alle organizzazioni sindacali, intende opporsi a tale disposizione? «Sul tema si registra una forte convergenza di opinioni con gli altri operatori del settore, tuttavia, l’attuale contesto politico e istituzionale del paese, condiziona fortemente la possibilità di ottenere in tempi brevi, se non un ripensamento, quanto meno l’adozione di misure finalizzate a contenere e limitare gli effetti disastrosi che la norma in questione è destinata a produrre. L’estrema gravità della situazione finanziaria, del resto, è all’attenzione del governo che, tramite il sottosegretario del ministero dell’Ambiente Tullio Fanelli, ha accolto di recente un ordine del giorno che impegna l’esecutivo ad affrontare il problema con l’adozione di tutte le soluzioni atte a garantire l’ordinata continuità dei servizi di gestione del ciclo integrato dei rifiuti urbani su tutto il territorio nazionale e l’individuazione di meccanismi e il coinvolgimento del sistema creditizio che consentano a enti locali e imprese di disporre dei mezzi finanziari necessari alla solvibilità nei confronti dei fornitori e dei lavoratori e quindi alla prosecuzione dell’attività».



GESTIONE RIFIUTI

È possibile una cultura del rifiuto? Proteggere l’ambiente, sensibilizzando le nuove generazioni. La cultura della sostenibilità si diffonde, ma le criticità sono ancora tante. Il punto di Gaetano Salerno Valeria Garuti

l tema dei rifiuti e del loro corretto smaltimento cattura sempre più l’attenzione pubblica, soprattutto quando si parla di situazioni complicate come quella napoletana, dove l’emergenza è tutt’altro che rientrata. Tanto in ambito domestico quanto industriale, è fondamentale che l’opinione pubblica venga sensibilizzata e spronata all’adozione di comportamenti adeguati. Ciò significa incrementare la raccolta differenziata, potenziare i servizi di raccolta porta a porta ed evitare che scarti di varia natura e derivazione finiscano nelle falde acquifere. In particolare, gli oli esausti e i rifiuti di origine vegetale e naturale devono essere opportunamente trattati e smaltiti, sia dalle aziende produttrici che dai singoli cittadini. La Miso, azienda partenopea specializzata nel recupero di rifiuti di origine animale e vegetale, in particolare di oli esausti, grassi di cottura e sottoprodotti animali è particolarmente attiva sul territorio campano in

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quanto è l’unica realtà della regione che organizza iniziative di sensibilizzazione nelle scuole. «Abbiamo fatto tanto ‒ spiega il presidente della Miso Gaetano Salerno ‒, ma non è finita qui se si pensa che fino a pochi anni fa moltissimi prodotti che lavoriamo venivano abbandonati o etichettati come rifiuti non riutilizzabili». Quali sono le strategie che consentono uno svolgimento eco-sostenibile delle attività di smaltimento dei rifiuti? «Il nostro intero ciclo produttivo è orientato all’eco-sostenibilità. Tutto ciò che produciamo viene immesso nuovamente nei cicli produttivi industriali e agricoli, con percentuali di recupero altissime. Investono nei nostri servizi soprattutto i settori industriali delle carni e dell’alimentare in genere, come macelli, salumifici, centri commerciali, salumerie, ristoranti, pizzerie e alberghi». In che modo vi state attivando per risolvere il problema del recupero dei prodotti in ambito domestico?

«La raccolta dell’olio vegetale esausto derivante dalle utenze domestiche è una leva su cui stiamo puntando molto e che presenta ampi margini di sviluppo e miglioramento. Stiamo lavorando per vincere la reticenza della gente e convincerla a non buttare l’olio di frittura nel lavello domestico ‒ che equivale a gettarlo direttamente in mare ‒ e sensibilizzare l’opinione pubblica in maniera adeguata. Per questo motivo siamo attivi nella promozione e sensibilizzazione soprattutto in ambito scolastico, dove raccogliamo moltissime adesioni. Abbiamo a disposizione un team di esperti specializzato nel corretto insegna-

Gaetano Salerno, presidente della Miso Srl di Caivano (NA) www.misosrl.it


Gaetano Salerno

Occorre vincere la reticenza delle persone e convincerle a non buttare l’olio di frittura nel lavello domestico, che equivale a gettarlo direttamente in mare

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mento della gestione dei rifiuti domestici. Si rivolgono ai bambini, con l’obiettivo che questi ultimi portino il messaggio anche all’interno del loro nucleo famigliare». Avete trovato reticenze da parte della comunità? «È sempre difficile parlare con la cittadinanza del problema della gestione dei rifiuti. Ma fortunatamente la situazione sta nettamente cambiando e un primo segnale in tal senso è già stato lanciato dall’attivazione della pubblica amministrazione rispetto al problema della raccolta differenziata che sta iniziando a funzionare con ottimi risultati». Quali sono i gap, le criticità, le reticenze che più vi sono di ostacolo?

«Le maggiori difficoltà vengono soprattutto dal difficile dialogo con le amministrazioni e dalla scarsa conoscenza del settore. A nostro parere, inoltre, occorrerebbe un maggior numero di tecnici preposti». Dal punto di vista della normativa, su quali aspetti potrebbe insistere maggiormente il legislatore al fine di consentire uno sviluppo più ampio ed ecologicamente sostenibile del vostro settore? «Negli ultimi anni il legislatore ha effettivamente ampliato la normativa, consentendo indirettamente uno sviluppo dei prodotti e l’allargamento del mercato di utilizzo. Quello a cui auspichiamo è una maggiore presenza delle nostre associazioni in fase consultiva,

cioè nel momento stesso in cui tali norme vengo discusse e definite dalle istituzioni coinvolte». In quali direzioni orienterete i vostri prossimi investimenti? «Ci siamo già attivati per completare la filiera logistica e produttiva per la trasformazione e produzione in energia elettrica e termica. Sicuramente contiamo di incrementare il ventaglio di servizi proposti e la raccolta di olio vegetale esausto soprattutto tramite il porta a porta». 2013 • DOSSIER SVILUPPO • 111


GESTIONE RIFIUTI

Gestione sicura? Serve soprattutto correttezza Nicola Veronico presenta il quadro di un settore che, soprattutto al Sud, è problematico. Ma per lui, una delle maggiori risorse dell’impresa attiva nel campo della gestione rifiuti, consiste proprio in quell’onestà di cui spesso si lamenta la mancanza Remo Monreale

n ambito quanto mai controverso, di cui spesso si dimentica l’importanza. Quello dei rifiuti è un argomento delicato, costituisce un’attività in cui non basta darsi da fare improvvisando: competenza, esperienza e mezzi idonei fanno la differenza. Inoltre non è difficile sentir parlare di rifiuti come un business illecito per la criminalità organizzata, per non parlare dei rischi inquinamento che

U Nicola Veronico, titolare della Nicola Veronico Srl con sede a Modugno (BA) www.veronico.it

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alcuni residui possono provocare. Dunque le certificazioni che garantiscono la professionalità delle aziende coinvolte sono molto importanti, forse più che in altri campi. Il caso di Nicola Veronico, fondatore dell’omonima azienda pugliese, ben dimostra la centralità che in questo senso investono le garanzie conquistate. «Nell’ottica di una filosofia aziendale che ci vede partecipi della salvaguardia del patrimonio ambientale – spiega Veronico –, ci impegniamo per la prevenzione di situazioni di potenziale o effettivo inquinamento durante tutte le attività di gestione rifiuti. Per questo usiamo tutti gli strumenti di cui ci siamo dotati e contiamo su tutto il personale la cui formazione è costante». La lista delle certificazioni deve essere molto lunga. «Abbiamo conseguito la Uni En Iso 9001 nel 2000, la Uni En Iso 14001 nel 2001 e la registrazione al Regolamento (Ce)1221/2009 (Emas) nel 2004. L’azienda, inoltre, è

parte integrante di importanti organismi di carattere nazionale quali COOU (Consorzio Obbligatorio Oli Usati), COBAT (Consorzio Nazionale Raccolta e Riciclo) e CONOE (Consorzio Nazionale per la raccolta ed il trattamento degli oli e grassi vegetali ed animali esausti), e con questo vorrei sottolineare l’importanza che le autorizzazioni hanno nel nostro ambito d’intervento. Con queste operiamo prevalentemente sul territorio di Puglia, Basilicata e Molise, mediante i due siti di Modugno (BA) e Ascoli Satriano (FG)». In che modo si sviluppa il vostro ambito di competenza? «Tra i nostri servizi c’è la raccolta, il trasporto, lo stoccaggio e il trattamento di rifiuti speciali pericolosi e non, il trasporto di merci pericolose (Adr), bonifiche ambientali, l’assistenza tecnico amministrativa, vendita e noleggio di contenitori omologati Adr e non, per il confezionamento


Nicola Veronico

Ci impegniamo per la prevenzione di situazioni di potenziale o effettivo inquinamento durante tutte le attività di gestione rifiuti

dei rifiuti. In poche parole si può dire che offriamo tutte le soluzioni possibili al problema della gestione dei rifiuti per qualsiasi impresa o ente pubblico, dalle attività di ristorazione alle officine meccaniche, alle maggiori industrie nazionali di produzione, dalle attività terziarie e artigianali ai comuni e le province». Enti pubblici che hanno avuto spesso problemi connessi al settore soprattutto al Sud. «A parte la crisi in atto, sono proprio le lungaggini burocratiche uno degli ostacoli più insidiosi. Si arriva a ritardi anche di anni, mettendo in condizioni le aziende di perdere occasioni e quindi limitando la capacità imprenditoriale. Le istituzioni dovrebbero dimostrare un’attenzione diversa,

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aiutando le imprese che danno lavoro invece di intralciare chi vuole investire». Come ha reagito a questo stato di cose? «Possiamo dire di essere meno colpiti dalla recessione in corso, perché negli anni passati siamo stati in grado di fare investimenti oculati, portando nuove tecnologie nel nostro territorio. Questo ci ha permesso di essere tra le aziende all’avanguardia nel campo, nonostante la concorrenza sleale che abbiamo ricevuto da società poco trasparenti, che non hanno mostrato lo stesso sforzo etico cui noi abbiamo sempre tenuto. Non a caso sono stato presidente per dodici anni dell’ANCOME (Associazione Nazionale Concessionari Oli Minerali Esausti), un incarico

che mi ha permesso negli anni di conoscere profondamente il nostro campo». Quanto tempo vi è servito per accumulare tutto il know how necessario? «Siamo nel settore da più di sessant’anni, anche se l’attività come ditta individuale è stata avviata nel 1974. In questi anni abbiamo acquisito non solo concessioni e autorizzazioni, ma anche tutti gli strumenti necessari a svolgere la nostra mansione al meglio. Impianti per la gestione ed il trattamento di specifiche tipologie di rifiuti, oltre che autocisterne, autospurghi, veicoli cassonati fissi e muniti di vari sistemi di caricazione, furgoni e autogrù, sono le attrezzature di cui disponiamo in piena efficienza, grazie ad accurate e periodiche operazioni di revisione e manutenzione. Questo assicura che il trasporto e la movimentazione dei rifiuti avvengano nelle migliori condizioni di sicurezza per gli operatori, per i clienti e per l’ambiente». 2013 • DOSSIER SVILUPPO • 113


GESTIONE RIFIUTI

La marcia in più della differenziata Rifiuti che si fanno materia prima. Plastiche e cartoni altrimenti destinati alle discariche, si rigenerano e tornano in circolo sotto nuove forme. Sono alcuni piccoli “miracoli” innescati dalla filiera della raccolta differenziata. La Eco X si racconta Maria Cestelli

La società di gestione rifiuti Eco X ha sede a Pomezia (RM) www.eco-xsrl.it

info@eco-xsrl.it

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iscariche illegali, emergenza partenopea, ecomafie. Quasi ogni giorno scivola qualcosa di torbido nel gigantesco calderone della gestione dei rifiuti, tanto che sembrerebbe naturale considerarla una filiera poco trasparente. Eppure non è così. Per prima cosa perché questo particolare tessuto industriale è costellato da una miriade di realtà virtuose che, oltre a rendere un importantissimo servizio all’ambiente, fanno fruttare l’economia del paese. Se l’immondizia, per dirla in termini un po’ brutali, è spaventosamente in aumento, lo sono anche le sue potenzialità. Nell’universo di carte, cartoni e plastiche, si apre la porta all’inventiva, alla sapienza del

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riciclaggio e alle piccoli e grandi opportunità occupazionali. Così, ribaltando il senso immediato, i rifiuti urbani e industriali diventano delle risorse, delle merci di scambio. O meglio, si fanno materie prime. Differenziare e riciclare sono solo i primissimi step. Nella pancia della raccolta rifiuti c’è un mondo di tecnologia e di vincoli legislativi che arginano il pericolo della malagestione. Salvatore Guglielmino, amministratore della Eco X, così riassume la sua visione delle cose. «Nel 1866 compare per la prima volta la parola “ecologia”. Per Haeckel Ernst rappresenta l’equilibrio fra tutti gli esseri viventi. Sin dal nome aziendale abbiamo voluto ricalcare questa fondamentale lezione


Salvatore Guglielmino

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La nostra forza consiste nella separazione manuale dei rifiuti. Così riusciamo a recuperare il 97 per cento dei materiali in entrata

e, lottando contro i mistificatori, ci adoperiamo in modo che il senso rimanga inalterato». Guglielmino racconta l’impresa di Pomezia che in anni di crescita ha fatto della “differenziazione a monte” l’ingrediente perfetto per riuscire a riutilizzare la maggioranza del materiale riciclato. Cosa si intende per “vera” separazione dei rifiuti? «In parole semplici sta a significare una raccolta differenziata fatta “a posteriori”. La nostra forza, oltre a disporre di apparecchiature tecnologiche, consiste proprio nella separazione manuale. Per questo abbiamo un team di persone ben addestrate sull’aspetto merceologico dei rifiuti, che riesce a fare una separazione ad hoc». In che senso questa tecnica vi favorisce? «Dati alla mano, facendo un bilancio tra la materia ingresso

e quella d’uscita, riusciamo a recuperare il 97 per cento dei materiali in entrata. Questo significa che un’ottima raccolta differenziata da parte dei singoli cittadini porterebbe proprio a un’elevata percentuale di elementi riutilizzabili». Quanto rende lavorare in questo particolare settore e come vi ponete rispetto alle altre attività industriali? «Con la crisi sono calati i ritmi di produzione, quindi è naturale che siano diminuiti anche gli scarti. Da qui si evince che il nostro settore sia strettamente collegato a quelle che sono le dinamiche produttive in generale. Oltre a questo discorso, indubbiamente importante, bisognerebbe parlare del valore commerciale dei beni di consumo. È una questione legata, come tutte le altre materie prime, alle borse, quindi è intrinsecamente altalenante».

Quanto è importante e cosa s’intende per certificazione Iso? «La nostra azienda è certificata Iso 9001/2008. Questo marchio di qualità, oltre a fornire una serie di vantaggi d’immagine e commerciali, può aprire a scenari utili per partecipare a bandi di concorso che altrimenti non sarebbero accessibili. Nella fattispecie la certificazione, più che un bel riconoscimento di cui vantarsi, permette di ottenere una serie di strumenti per misurare direttamente e indirettamente l’efficienza di un processo produttivo. Grazie a una serie di indicatori di processi siamo riusciti a monitorare l’efficienza del recupero dei rifiuti, la soddisfazione dei clienti e a tenere sotto controllo la produttività delle macchine». Scendendo nel vivo della ›› 2013 • DOSSIER SVILUPPO • 115


GESTIONE RIFIUTI

›› vostra attività, quali prodotti ciclato, diventa una fibra, in volte sembrano esserci molte riuscite e fornire? «La nostra azienda è specializzata nel recupero e nella valorizzazione degli imballaggi. La nostra attività si divide in due macro settori: la carta da macero e la plastica. Per quanto riguarda la carta da macero siamo in grado di fornire vari articoli come per esempio il cartone ondulato 100 per cento, il cartone di qualità Ksk, cartaccia, riviste e giornali vecchi. Invece, per ciò che concerne la plastica produciamo diversi articoli suddivisi in plastica in foglia e in plastica macinata. Nello specifico abbiamo polietilene a bassa densità, sia neutro che a colori misti; plastiche rigide macinate, come Pet e Pehd. Per Pet s’intende il poliestere, il materiale che, una volta ri-

pratica il classico pile. Inoltre produciamo polietilene ad alta densità macinato, polipropilene macinato, polistirene e Abs. E ancora piccole quantità di legno triturato che viene conferito ai consorzi per formare poi, una volta riciclato, i pannelli dei mobili». Quali prodotti trasformati si possono ottenere dalla materia prima che voi fornite? «Dal nostro prolipopilene macinato, si possono ottenere cassette, scatoloni di cartone dal cartone, tubi in polietilene dal Pehd. Sostanzialmente forniamo materie prime per industrie del settore cartotecnico e per quelle del settore stampaggio ed estrusione delle materie plastiche». Nel settore dei rifiuti a

Oggi tutte le normative che riguardano il nostro settore sono sempre più restrittive e, per giunta, in continuo aggiornamento

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difficoltà e spesso la gestione non sembra chiara. Il problema delle ecomafie è percepito? «No, per fortuna non ne siamo coinvolti. Più che di ecomafia parlerei di problemi legati alla burocrazia. I due argomenti vengono spesso erroneamente confusi. Adesso tutte le normative sono sempre più restrittive e, per giunta, in continuo aggiornamento. Diciamo che oltre con questioni Amministrative, dobbiamo fare i conti con un sostanziale pregiudizio per quanto riguarda il nostro settore. Alla luce di quanto si sente in giro, chi si occupa di raccolta e gestione di rifiuti viene spesso etichettato come facente parte dell’ecomafia. In realtà, almeno per quanto ci riguarda, offriamo un servizio pulito e trasparente. Ed è questo messaggio che bisognerebbe far passare. Il metodo di lavoro che mettiamo in moto dovrebbe essere visibile anche al semplice e comune cittadino, così avrebbe l’opportunità di apprendere ed essere sensibilizzato alla differenziazione dei rifiuti. Questa è la nostra marcia in più: puntiamo a una differenziata a monte in modo da far arrivare presso il nostro impianto il materiale già differenziato. Così facendo si sensibilizzano anche i vari operatori che si occupano di differenziare il vario materiale».



EFFICIENZA ENERGETICA

Energie rinnovabili, gli incentivi vanno rivisti Servono nuovi programmi di sostegno al risparmio energetico e un’inversione di marcia per attivare la detrazione fiscale non solo per l’uso residenziale, ma anche per le aziende pronte a investire nel fotovoltaico. Il punto di Carlo Alberto De Carlo Viviana Dasara

Immagini relative alla realizzazione di impianti della Dekatech Srl - Divisione Energia con sede a Lecce www.dekatech.it

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l sistema di incentivi dedicato al settore è nato con il conto energia, un programma a sostegno dell’efficienza energetica, gestito però in modo inadeguato dal momento che a beneficiare del finanziamento sono stati i vari parchi fotovoltaici e non le aziende e le amministrazioni pubbliche. Salvo nuovi sistemi, attualmente neanche presi in considerazione, la situazione vede tutti i capitali italiani trasferiti all’estero. L’80 per cento dei proprietari dei parchi fotovoltaici sono fondi stranieri, invece il conto energia italiano era il migliore di tutti quelli pubblicati in Europa e poteva proseguire fino al 2020, contri-

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buendo da una parte al superamento degli obiettivi energeticoambientali fissati dall’Unione Europea e dall’altra al sostegno delle aziende italiane dell’intero indotto coinvolto che adesso purtroppo si è fermato». Secondo quanto riportato da Carlo Alberto De Carlo, direttore generale della Dekatech, gli incentivi per il fotovoltaico erogati dal primo conto energia a oggi sono stati gestiti e destinati erroneamente. Di conseguenza si sono ridotti gli investimenti di tutte quelle aziende virtuose che nel nostro paese, nonostante la crisi, sono impegnate sul fronte dell’innovazione tecnologica nel settore energetico. Dekatech attiva nel campo delle installazioni energetiche, fotovoltaico ed


Carlo Alberto De Carlo

energia alternativa, ritiene questo il futuro su cui puntare, continuando ad investire su ricerca e progettazione. «Al momento il conto energia va avanti soltanto per l’uso residenziale – prosegue De Carlo –, per impianti fino a 12 kW volti a soddisfare l’esigenza relativa al residenziale. Gli incentivi però sono piuttosto limitati e di fatto ora il sistema sostiene chi veramente vuole servirsi del fotovoltaico, mentre prima la richiesta di contributi al Gse era vista più come una forma di investimento. Inoltre le aziende hanno bisogno di impianti fino a 50-100 kW e quindi sono escluse dall’assegnazione del bonus. Se lo strumento di incentivazione avesse pensato ad una taglia definitiva massima pari a 200 kW per ciascun soggetto, ne avrebbero beneficiato tutti e invece il comparto è ormai ridotto al 20 per cento con quasi 160mila addetti in meno. Inoltre anche anche la detrazione fiscale è destinata solo all’Irpef per cui attualmente ne possono beneficiare solo i residenziali e non le aziende. Pensare di attivare la detrazione fiscale anche per la partita iva spingerebbe molte più imprese ad investire nel fotovoltaico: il 50 per cento andrebbe in detrazione per dieci anni e in più si potrebbe applicare lo scambio sul posto come

Nonostante le nuove misure per rafforzare il settore dell’efficientamento energetico, non decolla lo sviluppo economico necessario e sostenibile del nostro paese

il vecchio conto energia». Di recente, col conto termico DM 28/12/12 il contributo coprirà circa il 40 per cento delle spese sostenute a favore di una maggiore efficienza energetica di edifici esistenti e per la produzione di energia termica. Complessivamente si tratta di 900 milioni di euro, di cui 700 destinati al privato e 200 al pubblico. Il contributo a fondo perduto di circa il 40 per cento in due anni, sarà erogato dal Gse in due rate annuali uguali per un periodo che va fino a 5 anni in base al tipo di intervento. «Sembra ci sia la volontà da parte del governo di incentivare il settore delle energie alternative – continua De Carlo –, eppure, nonostante le nuove misure introdotte per rafforzare il settore dell’efficientamento energetico, non decolla lo sviluppo economico necessario e sostenibile del nostro paese. Tuttavia, conti-

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nuiamo ad investire in ricerca e sviluppo e di recente abbiamo intrapreso un percorso, insieme ad un’azienda tedesca e all’università di Lecce, per realizzare un impianto per lo smaltimento dei moduli. Purtroppo abbiamo dovuto rallentare l’avvio di questa progettualità perché la comunità europea ha destinato lo smaltimento dei moduli fotovoltaici a tre consorzi europei e di conseguenza la nostra piccola realtà, ben lontana dalle logiche di Bruxelles, sta riscontrando grandi difficoltà a intervenire su tavoli dove non siamo nè tutelati nè presenti. La ricerca va avanti su altre tipologie di energie alternative quali termodinamica, geotermia e per quanto riguarda l’estero a breve dovremmo inziare dei lavori con delle isole ecologiche. Siamo convinti che questo sia il futuro su cui continuare ad investire nonostante la crisi».

2013 • DOSSIER SVILUPPO • 119


EFFICIENZA ENERGETICA

Nuove risorse nel settore energia e stime adottate dal Piano di azione nazionale per le fonti rinnovabili dell’Italia indicano una sostanziale stabilizzazione nel miglioramento dell’efficienza, con un tasso di crescita dello 0,37 per cento annuo (registrato già a partire dal 2010), relativamente agli usi finali di energia, quali ad esempio quelli nei sistemi di distribuzione e stoccaggio del calore ed efficienza negli involucri degli edifici. Nei consumi per riscaldamento e raffreddamento sono prevalentemente le decisioni dei singoli attori della domanda, ovvero fami-

L

Paola Ferroli, consigliere di amministrazione e direttore marketing del Gruppo Ferroli con sede a San Bonifacio (VR) www.ferroli.it

Impiego di nuove tecnologie e di fonti rinnovabili termiche nel rispetto delle politiche di efficienza energetica indicate per il 2020. Il punto di Paola Ferroli sul mercato dell’energia Viviana Dasara

glie e imprese, a determinare la penetrazione delle fonti energetiche rinnovabili termiche, a differenza dei consumi energetici nel settore elettrico e dei trasporti. L’impiego delle fonti energetiche rinnovabili è dunque collegato ad interventi realizzati dal lato dell’offerta. In questa direzione il Gruppo Ferroli, fondato dall’attuale presidente e Cavaliere del Lavoro Dante Ferroli, sostiene lo sviluppo dell’industria termotecnica e lo sforzo per il risparmio energetico con una gamma di prodotti per uso civile e un’offerta di sistemi alimentati con le più svariate fonti di energia: gas, gasolio ma anche solare, biomasse ed elettricità. «La nostra – afferma Paola Ferroli, consigliere di amministrazione e direttore marketing strategico –, è un’azienda leader nel settore del riscaldamento, del condizionamento e delle energie alternative, in grado di offrire una vasta gamma di prodotti tecnologicamente evoluti e affi-

dabili, garantiti da un sistema di qualità certificata». La storia del gruppo inizia subito dopo la prima metà degli anni Cinquanta, con la produzione di caldaie a basamento, per poi estendere l’offerta ai radiatori, quindi alle caldaie murali, agli impianti di climatizzazione, alle caldaie industriali e alle caldaie centralizzate con sistemi di contabilizzazione autonoma, fino ai sistemi solari termici per la produzione di acqua calda. In questo contesto, come avviene lo sviluppo del prodotto? «Concentriamo la nostra produzione su sistemi integrati di riscaldamento civile e professionale preconfigurati, flessibili, integrabili con le fonti di energia più convenienti localmente, in funzione dei vari mercati e della richiesta. Inoltre, la maggior parte di queste produzioni, oltre che la progettazione, è realizzata in Italia, a differenza di molti competitors che acquistano intere


Paola Ferroli

gamme di prodotto finito o affidano a sub-fornitori la gran parte delle realizzazioni intermedie, anche dei componenti più tecnologici e di pregio. Secondo la nostra filosofia deve essere sempre garantita l’affidabilità, la semplicità di gestione e di esercizio, la flessibilità e la velocità di installazione». Quanta attenzione ponete, e quanto si investe, in ricerca, innovazione e sviluppo?

«Negli ultimi due anni ci stiamo concentrando principalmente sui prodotti a condensazione in acciaio per unità mono/pluri abitative legate a impianti ad energie rinnovabili. Al momento, la nostra azienda è molto impegnata nella promozione delle migliori e più efficienti tecnologie: solare termico, pompe di calore, caldaie a condensazione. Anche i progettisti sono seguiti da un team dedicato di consulenti professionisti e da strumenti infor-

Concentriamo la nostra produzione su sistemi integrati con le fonti di energia più convenienti localmente

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matici a loro dedicati». Quali prospettive per il 2013? Quali nuovi settori, target e mercati potreste conquistare in futuro? «Per la nostra società l’apertura verso i mercati esteri si realizza attraverso importanti partnership commerciali e acquisizioni di storici marchi di produzione, consolidando negli anni la strategica posizione del gruppo a livello internazionale. Il gruppo si è sempre distinto impegnando le proprie risorse anche sui mercati esteri emergenti, prima nell’Europa Occidentale per arrivare oggi a coprire, anche con produzioni “domestiche”, mercati importanti come Cina, Vietnam e Corea, non per delocalizzare, ma per conquistare nuovi mercati locali». 2013 • DOSSIER SVILUPPO • 121


Palletways, la soluzione veloce e sicura per spedire in Italia ed Europa Un modello di trasporto che unisce la velocità del corriere espresso con le quantità e la tipologia di merci del distributore tradizionale. Albino Quaglia spiega i vantaggi e le ragioni del successo del pallet network

recento aziende di autotrasporto consorziate. Un Network internazionale che abbraccia undici Paesi Europei e che, lungo lo Stivale, può contare su una rete di 86 Concessioni, distribuite capillarmente su tutto il territorio nazionale e capace di movimentare, in Italia, oltre 5000 pallet al giorno, anche in aree remote, dove è difficile effettuare spedizioni con altri corrieri. Sono i numeri di Palletways, società leader nel trasporto espresso di merce su pallet, nata nel 1994 nel Regno Unito, da un’idea al tempo stesso semplice e rivoluzionaria: trasferire le logiche tipiche delle spedizioni tramite corriere espresso alla movimentazione di merci pesanti, per garantire anche al trasporto di bancali fino a una tonnellata di peso e oltre, i tempi di consegna previsti per un pacco. A costi competitivi. «Dopo il mercato britannico, l’Italia è stata il primo Paese, nel 2001, ad adottare il nuovo sistema per le spedizioni veloci con ottimi risultati, perché la società continua a crescere, in termini di volumi, a un ritmo del 15/20 per cento l'anno», ricorda

T

Albino Quaglia, amministratore delegato di Palletways Italia al quale abbiamo posto alcune domande. Quali sono i vostri punti di forza, in un mercato così difficile? «Prima di tutto la qualità del servizio, poi la flessibilità. A disposizione dei nostri Clienti mettiamo sei differenti tipologie di bancali: dal Mini Quarter, ideale per piccole spedizioni, con peso inferiore ai 150 Kg; al Full pallet, per merce fino a una tonnellata di peso, passando per quattro bancali di formato intermedio: Quarter, Extra Light, Half e Light. Questo ci permette di offrire tariffe semplici e competitive, calcolate in base al numero e alla tipologia di pallet da spedire, senza passare per la tradizionale conversione peso/volume». A quali settori merceologici vi rivolgete? «Abbiamo Clienti che provengono da tutti i settori, con il vitivinicolo in pole position con il 30 per cento dei volumi; quindi dai materiali per l'edilizia ai prodotti per la casa e la persona, dai casalinghi all’agroalimentare. Il nostro si-

Palletways Italia Spa - Via Pradazzo, 7 - 40012 Calderara di Reno (Bologna)


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titivi offrendo un livello di servizio eccellente, il circolo virtuoso è avviato!». Quali altri vantaggi offre il vostro network? «Facciamo parte di un network internazionale e quindi i Clienti possono inviare facilmente le spedizioni anche verso altri Paesi Europei, in particolare Regno Unito, Germania, Francia, Belgio, Paesi Bassi, Spagna, Danimarca, Portogallo, Irlanda e Lussemburgo. Palletways si differenzia inoltre per l’innovazione continua: abbiamo recentemente esteso il Servizio Garantito anche alle merci ADR e siamo sempre al lavoro per migliorare i nostri indicatori di performance».

stema, infatti, ci consente di rispondere a esigenze molto diverse ma è particolarmente competitivo per spedizioni frazionate verso destinazioni multiple». Quali garanzie offrite sui tempi di spedizione? «I nostri Clienti possono scegliere tra due servizi: Economy, con consegna entro 48/72/96 ore, a secondo dell’Hub e del destino, oppure Premium, per spedizioni urgenti, entro 24/48 ore: in questo caso, se si verifica un ritardo sui tempi di consegna, offriamo la garanzia di rimborso delle spese di spedizione – anche per le merci ADR. In Italia, siamo l'unica azienda di trasporto espresso a proporre standard di servizio così elevato». Come riuscite a proporre un servizio altamente qualitativo pur tenendo conto delle esigenze di razionalizzazione dei costi avanzate dalle imprese? «La competitività, economica e di servizio, della nostra offerta, la frammentazione dei carichi e il ridimensionamento delle reti captive di distribuzione, aumenta la nostra penetrazione di mercato, creando volumi elevati nel Network; siamo in questi ultimi mesi a +25% / 30% al disopra delle scorso anno. Creando economie di scala, questo modello permette ai Concessionari di ottimizzare i carichi e di garantire tempi di consegna compe-

www.palletways.com

Concessionari per il Lazio: Mised Distribuzione Nazionale RM R.D.M. Express RM Tracon RM F.lli Pasquinelli VT - RI - TR La Marra Trasporti FR - LT - RM Futura Enterprise RM Concessionari per l’Emilia Romagna: Ratio Sistemi FC - RA - FA CFT - Consorzio Ferrara Trasporti FE - RO TopCo BO TopCo MO Racchetti Mediotrasporti CR - LO - PC - MI ATF RE S.M. Logistica SM - RN -PU Accorsi Trasporti & Logistica PR CFP Soc. Coop. RE


REATI ECONOMICI

Un fenomeno che affossa la crescita Il mix tra riciclaggio ed evasione fiscale coinvolge oltre il 10 per cento del Pil nazionale. Il presidente dell’Aira, Ranieri Razzante, indica i settori più soggetti al fenomeno e giudica l’attività di prevenzione e contrasto, partendo dal quadro normativo Renata Gualtieri

I

Sopra, Ranieri Razzante, presidente dell’Associazione italiana responsabili antiriciclaggio e consulente della Commissione parlamentare antimafia

l riciclaggio è uno dei reati economici più diffusi in Italia. Si presenta assai frastagliato nella sua morfologia, in quanto tocca la legge, l’economia, la giustizia, la finanza, l’equità sociale, la stabilità dei mercati, la trasparenza nelle relazioni, la concorrenza. «La circolazione di ricchezza illecita prodotta dalle mafie e dalle associazioni eversive è contrastata, più che dalle leggi penali – spiega il presidente dell’Associazione italiana responsabili antiriciclaggio Ranieri Razzante – da misure preventive di deterrenza, che vedono alternarsi, ancorché in un unico disegno civilistico e penale, limitazioni, obblighi e divieti». In Italia è stata stimata un’incidenza del riciclaggio sul Pil che oscilla dal 3 al 7 per cento, solo l’anno scorso sono pervenute alla Banca d’Italia circa 40mila segnalazioni di operazioni sospette, di cui circa 30mila ritenute fondate e trasmesse agli organi inquirenti. «Una cultura della prevenzione, certamente in crescita, che però a volte segna il passo nella percezione del cittadino comune, forse non adeguatamente informato». Dal calcio alla finanza, quali i settori più a rischio? «Indubbiamente il settore dello sport e, segnatamente del calcio, è soggetto al feno-

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meno. Ma quelli della finanza d’impresa e immobiliare lo sono senz’altro di più. Tra le tecniche di riciclaggio oggi più usate, se andiamo a disaggregare questo dato, spiccano le triangolazioni societarie e finanziarie con l’estero, le frodi carosello, il reimpiego di denaro da evasione fiscale in attività economiche, la costruzione e gestione di immobili, il comparto rifiuti, il settore delle energie alternative, gli appalti, le iniezioni di denaro in attività economiche anche in perdita, l’utilizzo di catene di supermercati e le ricariche di strumenti di pagamento prepagati». Quanto la crisi economica ha modificato anche l’economia criminale delle mafie? «La crisi ha fatto riposizionare le mafie sui settori più preservati dall’ondata di recessione; è diminuita l’incidenza del pizzo e delle estorsioni, data l’impossibilità per le imprese e gli esercizi commerciali di far fronte al pagamento. Ci si è concentrati maggiormente sull’usura, l’abusiva attività finanziaria, il settore del gioco, quello del commercio di oro e preziosi. Nonché sul finanziamento alle imprese in difficoltà e all’acquisto di attività commerciali in difficoltà economica. Oggi, non più la mafia si avvicina all’impresa, ma è lo stesso imprenditore


Ranieri Razzante

in crisi che è tentato di contattare i faccendieri di spessore per ottenere i capitali che salvino la sua azienda. Con evidente concessione dello spazio di manovra sul settore merceologico e sul territorio di residenza dell’attività partecipata o ceduta». In che modo si può contrastare il fenomeno del riciclaggio e come l’Aira contribuisce a divulgare cultura dell’antiriciclaggio? «Il contrasto deve passare per un rafforzamento delle indagini patrimoniali e dei poteri delle forze dell’ordine in questo campo. Ai magistrati vanno concessi tempi e modalità più efficaci per il sequestro e la confisca dei proventi di reato. L’Aira è presente con la formazione di operatori e attività di sensibilizzazione sulle autorità di settore. Attraverso la newsletter informativa e il sito internet pone all’attenzione dei cultori della materia e dei soggetti coinvolti l’importanza dell’applicazione della legge e dei presidi da essa previsti. Supporta le istituzioni con documentazione e studi su fenomeni particolari che sottendono l’uso di denaro di origine delittuosa. Realizza ogni anno il “Libro bianco”, nel quale sintetizza le problematiche evidenziate dagli as-

sociati in merito all’applicazione della legge 231/2007 e dei regolamenti di attuazione». Come giudica il quadro normativo e regolamentare delineatosi in questi ultimi anni in tema di prevenzione del riciclaggio? «La legislazione attuale è sufficiente; necessita solo dell’introduzione dell’autoriciclaggio, cioè quella fattispecie penale che consente di punire per riciclaggio non solo chi utilizzi capitali di provenienza illecita forniti da terzi, ma anche coloro che commettono il reato presupposto e provvedono essi stessi al riciclaggio delle somme che ne derivano. Si risparmierebbe così all’investigatore il necessario rintracciamento della fonte delittuosa del denaro. Servono poi norme sem- 2013 • DOSSIER SVILUPPO • 125


REATI ECONOMICI

SOS PERVENUTE DA BANCHE RIPARTITE PER ORIGINE DEL SOSPETTO (valori percentuali)

Fonte: Bollettino semestrale 1/12 Unità di Informazione Finanziaria della Banca d’Italia

plificatrici di alcuni obblighi delle banche e zone del Paese è più diffuso? degli intermediari finanziari. E poi, la “criminalizzazione del contante” sta conducendo alla segnalazione alla Uif di operazioni sospette in maniera fuorviante, dato che le mafie non usano più di frequente tale strumento di pagamento. La soglia dei 1.000 euro va innalzata perchè finisce col penalizzare solo i pagamenti commerciali delle imprese e dei cittadini onesti. Devono essere poi inaspriti i controlli ispettivi sui soggetti non finanziari obbligati all’osservanza delle regole contro il riciclaggio. Vanno create altresì banche dati pubbliche di soggetti sospettati di terrorismo e contiguità mafiosa, per agevolare la segnalazione di operazioni sospette da parte degli intermediari finanziari». Negli ultimi anni si sono ampiamente diffusi i “Compro oro”. Alcune indagini hanno portato alla luce come il 60 per cento di questi negozi sia dedito anche ad attività delinquenziali, tra cui riciclaggio ed evasione fiscale, e un buon 20 per cento sia coinvolto in fenomeni di criminalità organizzata. Quanto la preoccupa questo fenomeno e in quali

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«Il fenomeno non preoccupa solo noi, ma le autorità, che hanno più volte, nel recente passato, gettato allarmi circostanziati sulla nuova frontiera della criminalità. Fermo restando che molti operatori sono onesti, l’attività di cui parliamo, essendo in buona parte non assoggettata a precise norme di settore, si presta all’elusione delle regole amministrative, fiscali e penali da parte di chi le gestisce. Le zone a maggiore diffusione sono il Lazio, la Campania e la Lombardia, ma la capillarizzazione insita in questo tipo di attività e la facilità di apertura dell’esercizio commerciale le stanno espandendo senza confini. Occorrono controlli anche delle Camere di commercio e delle polizie locali, con piani mirati, dato che le forze dell’ordine, pur con i loro indubbi meriti, non possono coprire la platea dei soggetti da verificare. A tutt’oggi, infatti, se uno di queste attività commerciali viene fatta oggetto di provvedimenti di polizia è grazie alle indagini su soggetti della delinquenza comune e organizzata che conducono a queste attività come copertura del traffico di oggetti rubati e riciclaggio di denaro».


Franco Tutino

Chi paga il prezzo del riciclaggio «Non combattere questo fenomeno significa condannare le imprese oneste a non poter competere e i cittadini perbene a pagare le imposte anche per quelli che evadono». Franco Tutino, docente all’Università La Sapienza, spiega perché il riciclaggio sia un pericolo per l’efficienza del sistema finanziario Renata Gualtieri

N

el primo semestre 2012 l’Unità d’informazione finanziaria della Banca d’Italia ha ricevuto più di 34mila segnalazioni sospette di riciclaggio. Il dato qualitativo sulle indagini 2010 riporta che, a seguito dell’attività della Guardia di finanza, sono state denunciate 1.131 persone, mentre i fondi riciclati ammontavano a 3,2 miliardi di euro. La Dia, nello stesso periodo, ha concluso 146 investigazioni. «Di recente l’Uif – spiega Franco Tutino, docente di economia e gestione della banca presso La Sapienza di Roma – ha individuato per il factoring la possibilità di utilizzo distorto a fini criminali. I proventi illeciti riciclati con queste e altre tecniche provengono da contraffazioni di abbigliamento e accessori, gioco d’azzardo, evasione fiscale, immigrazione clandestina, prostituzione, usura, truffa, frodi informatiche, emissione di fatture inesistenti, sponsorizzazioni, bancarotta fraudolenta. Vi sono poi casi che hanno interessato direttamente il sistema finanziario con l’esercizio abusivo dell’attività d’intermediazione finanziaria». In che misura le attività di riciclaggio danneggiano l’economia legale? «Il reato di riciclaggio consiste in vere e proprie operazioni di “lavaggio” e occultamento della reale provenienza delittuosa del denaro utilizzato in transazioni finanziarie, commerciali o immobiliari che potrebbero apparire regolari. I fondi riciclati provengono quindi da reati come le estorsioni, i rapimenti, le infiltrazioni mafiose negli appalti e l’usura. I costi economici sono ingenti. La criminalità organizzata disincentiva investimenti nelle aree in cui è presente e ne im-

pedisce lo sviluppo. Il riciclaggio di denaro nel- Franco Tutino, docente l’economia legale è uno svantaggio per le imprese di Economia e gestione della banca e direttore che non dispongono di questi fondi a basso co- scientifico Finstudi sto. La corruzione fra associazioni criminali e formazione pubblica amministrazione condiziona la fornitura di beni e servizi pubblici. Evasione fiscale e riciclaggio sono fenomeni strettamente collegati e la prima in Italia ha dimensioni molto più ampie di quelle di altri paesi dell’Unione europea». Quali gli strumenti di prevenzione del riciclaggio? «Il nostro impianto normativo prevede limiti alla circolazione del contante e dei titoli al portatore, i famosi 1.000 euro. Ma soprattutto impone agli intermediari finanziari di verificare adeguatamente le caratteristiche della clientela e dei movimenti finanziari che fanno capo a essa nonché di registrare le operazioni che superano una determinata soglia. A essi si aggiunge l’obbligo di segnalazione delle operazioni sospette. Attraverso il meccanismo dell’adeguata verifica, le banche e gli altri intermediari finanziari applicano il principio “conosci il tuo cliente”: acquisiscono in- 2013 • DOSSIER SVILUPPO • 127


SOS DI RICICLAGGIO (anni 2002 - 2012 1° semestre)

formazioni specifiche sui propri clienti ed eser-

citano un controllo costante sul rapporto. La registrazione dei dati di adeguata verifica e delle operazioni superiori a un valore soglia nell’Archivio unico informatico consente di consultare evidenze integrate, utilissime per l’individuazione delle operazioni sospette di riciclaggio. La collaborazione attiva degli intermediari finanziari e degli altri soggetti disciplinati, per esempio i professionisti, è fondamentale». Quanto è importante la formazione perché i bancari valutino con correttezza l’effettiva rischiosità delle operazioni bancarie effettuate? «La formazione per la corretta applicazione delle norme antiriciclaggio è prevista dal decreto antiriciclaggio. È importante che la formazione sia erogata con qualità e non solo nell’ottica del mero adempimento. Può essere in presenza o a distanza ma deve prevedere l’analisi di casi reali facendo interagire il destinatario. Oltre a fornire la preparazione necessaria, sensibilizza i dipendenti e ne accresce le competenze operative fornendo elementi che vanno a integrare la loro esperienza quotidiana». Come devono comportarsi le banche di fronte a un’operazione sospetta e cosa avviene davanti a una mancata segnalazione di quest’ultima? «Il sospetto può emergere dall’applicativo che, in base ad algoritmi complessi, le identifica. Oppure dalla percezione del dipendente che si trova a contatto con il cliente. In entrambi i casi, sono previsti più livelli di valutazione che prendono in esame congiuntamente il profilo

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Fonte: Bollettino semestrale 1/12 Unità di Informazione Finanziaria della Banca d’Italia

soggettivo del cliente e il profilo oggettivo dell’operazione. Inoltre, va considerata ogni ulteriore informazione in possesso della banca. Se al termine del processo l’operazione è ritenuta sospetta, la banca deve segnalarla all’Unità di informazione finanziaria presso la Banca d’Italia che procede alle proprie valutazioni e indagini. La mancata segnalazione di un’operazione sospetta comporta una sanzione amministrativo-pecuniaria dall’1 al 40 per cento dell’importo dell’operazione non segnalata applicata in solido al dipendente e all’intermediario». Come giudica l’attuale disciplina antiriciclaggio e dove occorre intervenire con delle modifiche? «Ritengo che l’attuale disciplina sia una delle migliori e che la soglia di 1.000 euro per operazioni in contante e titoli al portatore non debba essere cambiata. Più che intervenire con modifiche è importante che l’Uif continui, come sta facendo, con lo studio dell’evoluzione dei fenomeni ampliando le casistiche fornite agli intermediari. È fondamentale anche la comunicazione. Deve essere noto a tutti l’impatto sociale del reato di riciclaggio e di quelli a esso associati, come l’evasione fiscale».



FECONDAZIONE ASSISTITA

Nuove tecniche contro l’infertilità IMSI, vetrificazione ed Embryoscope sono tra le metodiche più innovative per supportare le coppie nel percorso della fecondazione assistita. A descriverle, Monica Antinori Lucrezia Gennari

econdo l’Istituto superiore della Sanità, la media nazionale di successo delle tecniche di fecondazione assistita è pari al 25 per cento. Il buon esito, tuttavia, è influenzato da fattori come l’età, soprattutto della donna, e la causa stessa dell’infertilità che può coinvolgere sia l’uomo che la donna. «Una svolta significativa – spiega la dottoressa Monica Antinori, ginecologa, responsabile clinico del centro Raprui di Roma, una delle strutture all’avanguardia nel trattamento dell’infertilità e nell’offerta di tecniche di fecondazione assistita – è stata introdotta dalle metodiche ad alto ingrandimento (6600x) per utilizzare gli spermatozoi morfologicamente migliori, potenziando così la qualità degli embrioni e aumentare la percentuale di successo». In che cosa consiste nello specifico? «La IMSI (Intracytoplasmic Morphologically Selected Sperm Injection) consente di effettuare una valutazione rigorosa delle alterazioni strutturali dello spermatozoo di testa, collo, coda, non rilevabili con il classico spermiogramma. È una strategia molto utile per sfruttare al meglio gli ovociti e gli spermatozoi prodotti dalla coppia. Raprui ha introdotto questa tecnica già nel 2005, consentendo fino ad oggi la nascita di oltre 600 bambini». La donna deve sottoporsi a qualche trattamento per intraprendere questo tipo di tecnica? «Deve assumere apposite terapie ormonali grazie alle quali è possibile ottenere la maturazione contemporanea di più follicoli, in modo da

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avere a disposizione più ovuli idonei a essere fecondati. La scelta del farmaco, del dosaggio e del protocollo deve essere valutata caso per caso, in relazione all’età della paziente, alle sue caratteristiche ovulatorie e ai tentativi precedenti. Durante la stimolazione, la risposta ovarica va controllata con ecografie e dosaggi ormonali. In questa fase di monitoraggio, il ciclo può essere sospeso in caso il numero di follicoli in via di maturazione non sia adeguato o, al


Monica Antinori

contrario, sia eccessivo». Non tutte le donne, però, possono sottoporsi a stimolazione ovarica. «In certi casi esistono condizioni di base non compatibili con la stimolazione ovarica, come pregresse patologie maligne dell’utero, dell’ovaio e della mammella. In tutti gli altri casi è comunque necessaria un’attenta valutazione della storia clinica nonché dell’aspetto psicologico della paziente. Negli ultimi anni è stata anche messa a punto una nuova tecnica chiamata “vetrificazione” che consente di sottoporre la donna a meno stimolazioni ovariche nel corso della sua vita poiché permette di congelare ovociti ed embrioni, eliminando all’interno e all’esterno delle cellule vetrificate la formazione di cristalli di ghiaccio. L’eventuale presenza di questi piccoli cristalli è, infatti, il punto critico che determina la scarsa efficacia delle altre metodiche di congelamento riducendo il tasso di sopravvivenza del materiale biologico crio-conservato. Abbiamo introdotto la vetrificazione nel 2004, e oggi questa tecnica è impiegata a livello mondiale e assicura alte percentuali di sopravvivenza degli ovociti/embrioni scongelati (>90 per cento), nonché percentuali di gravidanza soddisfacenti e una buona prognosi ostetrica».

L’osservazione continua dello sviluppo embrionale consente di scegliere gli embrioni qualitativamente migliori che vengono poi trasferiti o crioconservati

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Quali ulteriori strategie possono potenziare le opportunità di impianto? «Tra le tecniche più evolute c’è oggi l’Embryoscope, un dispositivo per la fecondazione in vitro, che comprende un incubatore con una fotocamera incorporata. Grazie a questa integrazione, è in grado di registrare a intervalli regolari, nell’arco dell’intera durata della coltura embrionale, immagini degli ovociti fertilizzati e inseriti in un incubatore. L’osservazione continua e dinamica dello sviluppo embrionale consente di scegliere gli embrioni qualitativamente migliori che vengono poi trasferiti e/o crioconservati, creando nuove opportunità di gravidanza nell’ambito di un ciclo di Pma, soprattutto per pazienti con precedenti fallimenti e qualità ovocitaria ridotta».

La dottoressa Monica Antinori, ginecologa, responsabile clinico del centro Raprui di Roma www.raprui.com

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PATOLOGIE CARDIACHE

Cardiologia, il ruolo della sanità privata Si accende il dibattito sul ruolo e sui costi della sanità privata. Dal catanese, il caso del Centro Ionico di Cardiologia e di un modello gestionale flessibile. Che punta ad alleggerire la spesa pubblica migliorando i servizi diagnostici Filippo Belli

Il dottor Leonardo La Spina, direttore del Centro Ionico di Cardiologia di Riposto (CT)

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na rete integrata di strutture in grado di perfezionare le prestazioni, accorciare i tempi di attesa e ridurre la spesa pubblica. Questo l’obiettivo che il sistema sanitario deve centrare. Una strada non semplice su cui si creano, spesso, discrasie evidenti tra la qualità e il rinnovo tecnologico delle strutture private rispetto alle pubbliche. Ma per puntare a uno sviluppo concreto di questa rete, occorre sfatare alcuni miti. O, almeno, è quanto sostiene Leonardo La Spina, direttore sanitario del Centro Ionico di Cardiologia di Riposto, nel catanese. «Sbaglia chi sostiene che in Italia le strutture private sperperino il denaro pubblico - sostiene La Spina -. Osservando il quadro, invece, emerge come l’integrazione con le strutture private consenta una riduzione della spesa sanitaria». In che modo? «Pensiamo soltanto a quei pazienti, magari affetti da patologie cardiache, i quali si recano al pronto soccorso ogni qual volta avvertono un minimo sintomo. Ciò avviene perché, nella maggior parte dei casi, non sono monitorati in maniera adeguata. Le strutture private, tramite i servizi di diagnostica e riabilitazione, possono ridurre drasticamente il numero delle ospedalizzazioni, specie nel nostro ambito di riferimento». Il Centro Ionico da lei diretto si distingue per la sua propensione agli investimenti tecnologici. «Oggi possiamo effettuare esami molto più scrupolosi rispetto al passato. Nel nostro Centro sono disponibili, ad esempio, le nuove tecnologie ultrasonore, dunque doppler tissutale, speckle tracking ed esame tridimensionale in

U


Leonardo La Spina

tempo reale. Questi si rivelano utili per uno studio più accurato della funzione cardiaca nonché per la ottimale definizione di molte patologie come prolassi valvolari e valvulopatie in genere, disfunzioni miocardiche, cardiopatie congenite. Tutti esami che vengono effettuati senza lunghe liste di attesa». Come ci riuscite? «Anche questo è un vantaggio che la struttura pubblica non può sfruttare. La flessibilità con cui abbiamo strutturato il centro ci permette, a seconda del flusso di richieste, di calibrare le prestazioni effettuate e il numero di medici e operatori coinvolti. Il punto è proprio questo: integrandoci con il sistema sanitario permettiamo a migliaia di persone di ottenere in due o tre giorni una diagnosi, evitando liste di attesa che, purtroppo, talvolta sono insostenibili per questo tipo di patologie. La nostra speranza è che nel futuro prossimo anche le ultime tecnologie, i nuovi esami diagnostici a nostra disposizione, possano essere accreditati». Il vostro impegno è altresì rivolto alla prevenzione. Quando occorre, secondo lei, effettuare i primi controlli? «A partire dai trent’anni consiglio di effettuare annualmente una visita cardiologica con elettrocardiogramma. Soprattutto le persone

Prevenzione e diagnosi efficaci possono ridurre drasticamente il numero delle ospedalizzazioni

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che vivono in maniera sedentaria devono alzare la guardia. Ancora più intensi, poi, devono essere i controlli per chi pratica attività sportiva e per i soggetti a rischio, quelli che hanno una familiarità per le patologie cardiologiche, i fumatori, i diabetici, gli ipertesi o gli ipercolesterolemici. Oggi, grazie alle nuove tecnologie possiamo distinguere in maniera più netta se un’ipertrofia è fisiologica o patologica. E possiamo anche evidenziare, intervenendo per tempo, le prime alterazioni delle fibre miocardiche causate dai farmaci chemioterapici. Ma potrei elencare molte altre situazioni, diffuse tra la popolazione, in cui la prevenzione può salvare delle vite. E, come dicevo, ridurre la spesa sanitaria. Più i pazienti vengono monitorati, e meno dovranno rivolgersi agli ospedali per cure o interventi drastici». Per il 2013 cosa si aspetta? «Di continuare a investire nel rinnovo delle tecnologie a nostra disposizione, con l’obiettivo di integrarci ancora di più con la rete sanitaria locale, confermandoci come un punto di riferimento per la cittadinanza». 2013 • DOSSIER SVILUPPO • 133


CHIRURGIA DELLA CORNEA

Terapie innovative contro il cheratocono Curabile fino a pochi anni fa esclusivamente con il trapianto della cornea, per questa patologia dell’occhio oggi sono disponibili nuove modalità di intervento. Mininvasive ed efficaci con una diagnosi precoce. Ne parliamo con Silvio Zagari Luca Càvera

Sotto il dottor Silvio Zagari del Centro europeo di oftalmologia di Aci Castello (CT) www.centroeuropeooftalmologia.it

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uove tecniche di intervento possono arrestare la progressione del cheratocono evolutivo. Si tratta di un assoluto progresso, dato che fino a pochi anni fa per questa patologia dell’occhio non esisteva alcuna terapia. «Se la malattia progrediva rapidamente – spiega il dottor Silvio Zagari –, l’unica soluzione era rappresentata dal trapianto di cornea. Adesso però è cambiato radicalmente l’approccio al paziente affetto da cheratocono. E questo grazie a metodiche come il cross linking e la chirurgia mininvasiva dei trapianti lamellari». Zagari dirige il Centro europeo di oftalmologia di Aci Castello, struttura privata accreditata Ssn e all’avanguardia grazie a due divisioni: una dedicata alla diagnostica strumentale, laserterapia e alla chirurgia refrattiva e un’altra dedicata alla parte operativa e agli interventi per tutte le patologie oculari. La divisione di chirurgia rappresenta il vero cuore pulsante del centro, che si è specializzato recentemente anche nel nuovo trattamento del cheratocono. Come si presenta questa patologia? «Il cheratocono è una malattia degenerativa e non infiammatoria che interessa la cornea. È caratterizzata da un progressivo assottigliamento e sfiancamento della parte centrale di quest’ultima. Si tratta di una malattia progressiva – con insorgenza fra i 12 e i 18 anni e generalmente bilaterale e asimmetrica –, ad andamento capriccioso. La caratteristica principale è la comparsa di un progressivo astigmatismo che, inizialmente, può essere corretto con gli occhiali, anche se non perfettamente, in quanto irregolare. In seguito, col progressivo sfiancamento della cor-

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Silvio Zagari

La diagnosi precoce è fondamentale per fermare l’evoluzione del cheratocono con trattamenti non invasivi

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nea e il conseguente calo dell’acuità visiva, si impiegano apposite lenti a contatto. Ma con l’avanzare della patologia l’astigmatismo diventa non correggibile». Oggi esistono delle terapie. Quali sono? «In passato, l’importante deformazione corneale costringeva i pazienti al trapianto della cornea. Negli ultimi anni abbiamo fatto un importante passo avanti grazie al cross linking e alla chirurgia mininvasiva dei trapianti lamellari. Il cross linking è più indicato nelle fasi precoci della malattia e consiste nella foto-polimerizzazione delle fibrille del collagene stromale, con lo scopo di aumentarne la rigidità e la resistenza alla cherato-ectasia progressiva del cheratocono attraverso l’azione combinata di una sostanza foto-sensibilizzante e fotoassorbente. L’effetto che ne deriva è il conferimento di un’impalcatura più rigida alla cornea, evitandone così il progressivo sfiancamento».

Quanto è importante quindi la diagnosi precoce? «Fondamentale. Questa ci consente di eseguire trattamenti non invasivi, evitando o rallentando l’evoluzione del cheratocono. Infatti, in caso di diagnosi tardiva bisogna ricorrere necessariamente al trapianto. Oggi tuttavia anche questo tipo di intervento è divenuto meno invasivo. Infatti nella maggior parte dei casi non si esegue più un trapianto a tutto spessore, bensì parziale. Queste tecniche mininvasive prevedono spesso l’impiego di un laser che rimodella il letto corneale ed esegue il taglio del lembo donatore e ricevente con estrema precisione. Queste tecnologie ci permettono di eseguire questi interventi con la massima precisione, un minore rischio intraoperatorio, post operatorio e in termini di rigetto, garantendo la massima durata del lembo impiantato». Quali sono le altre specializzazioni del centro? «Eseguiamo visite pediatriche, con particolare attenzione al servizio di ortottica per la cura dello strabismo e per la riabilitazione visiva. A livello statistico, poi, eseguiamo oltre 400 interventi l’anno fra chirurgia refrattiva con laser ad eccimeri di ultima generazione, chirurgia della cataratta, del glaucoma e chirurgia vitreo-retinica. Da qualche anno abbiamo introdotto anche la chirurgia oftalmoplastica e la chirurgia tramite elettrolisi. Inoltre siamo fra i pochi centri in grado di eseguire il nuovo trattamento laser Slt per il glaucoma, che permette di ridurre la pressione intraoculare». 2013 • DOSSIER SVILUPPO • 135


DIFETTI DELLA VISTA

Correggere i difetti visivi durante il sonno Oggi è possibile ridurre i difetti visivi senza ricorrere al laser. Alessandro Roncaccia spiega la funzione delle speciali lenti ortocheratologiche, applicabili dopo l’indicazione dell’oculista, che producono risultati evidenti in pochi giorni Viviana Dasara

pplicazione di lenti ortocheratologiche. È un’innovazione ancora non diffusa in Italia, per correggere i difetti visivi con particolari lenti a contatto rigide gas-permeabili studiate per essere utilizzate solo durante il sonno. «Queste speciali lenti – spiega Alessandro Roncaccia titolare l’istituto ottico Fios Roncaccia –, hanno un effetto terapeutico sulla cornea e correggono il difetto visivo fino a sera. La mattina si tolgono e non si ha più bisogno di alcun supporto di correzione visiva né di lenti a contatto né di occhiali. L’orto-

A Alessandro Roncaccia titolare dell’ottica Fios Roncaccia Srl di Roma www.otticafios.com

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cheratologia è una tecnica non invasiva e non chirurgica, soprattutto non vi sono limiti di età per sottoporsi alla correzione. Inoltre si ottengono risultati in pochi giorni o qualche settimana nei casi più difficili, migliora la visione e di conseguenza il campo visivo risulta più ampio. L’aspetto importante di questa terapia è il fatto di essere reversibile, quindi sospendendo l’applicazione notturna delle lenti, il soggetto ritorna al difetto preesistente e comincia a portare nuovamente occhiali da vista o lenti a contatto, chiaramente tutto ciò dietro al benestare di un medico oculista. In futuro assumerà sempre più rilevanza nella scelta delle alternative a disposizione dei miopi per la risoluzione del deficit visivo. Per adesso infatti sta dando ottimi risultati sulle miopie, il difetto di vista più diffuso e anche il più fastidioso, con un riscontro positivo nel 95 per cento dei casi. Mentre per quanto riguarda l’ipermetropia, l’astigmatismo e la presbiopia stiamo ancora effettuando degli studi e delle ricerche perché, pur essendo tra i difetti visivi principali e più comuni, la loro natura è più complessa». L’istituto ottico Fios Roncaccia è tra le più importanti realtà del settore e da sempre porta avanti un’avanzata attività di ricerca e sviluppo sulle applicazioni di lenti per ortocheratologia e nel campo della strumentazione ottica avanzata.


Alessandro Roncaccia

L’applicazione di lenti ortocheratologiche sta dando ottimi risultati sulle miopie, il difetto visivo più diffuso, positivi nel 95 per cento dei casi

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«Grazie a una tecnologia innovativa che consente di simulare il montaggio dell’occhiale sul viso della persona – continua Alessandro Roncaccia –, il computer riproduce fedelmente, in base al difetto di vista e alla gradazione, l’anteprima dell’aspetto estetico. Dopo aver scattato la fotografia si ottiene così un’immagine dell’occhiale con la lente graduata, colorata, o col trattamento antiriflesso che si è scelto». L’azienda, in linea con le normative riguardanti la certificazione di prodotto e controllo qualità, è cresciuta grazie all’esperienza maturata in oltre sessant’anni di attività e una tradizione che si tramanda di padre in figlio. «Circa trentacinque anni fa – spiega Roncaccia –, quando le lenti a contatto erano ai primordi, con ridotto numero di portatori, mio padre si convinse del potenziale successo che questo nuovo sistema correttivo poteva avere, come alternativa al tradizionale occhiale». L’ottica produce lenti a contatto su misura avendo così l’opportunità di rispondere ad ogni tipo di esigenza correttiva, di urgenza e di problematiche che possono crearsi con le lenti a contatto industriali di serie. «Oggi il

nostro istituto è dotato di due studi di misurazione autonomi e di uno studio con modernissimi strumenti tecnologicamente avanzati e un laboratorio computerizzato interamente dedicato alla costruzione di lenti a contatto. È così possibile realizzare lenti e modificarle anche in tempo reale. Ogni lente prodotta nel laboratorio è assicurata da una serie di controlli annuali di qualità e, una volta terminata è corredata da una scheda tecnica riportante tutti i parametri di costruzione e i materiali conformi utilizzati. Costruire lenti a contatto su misura in base alle specifiche esigenze ci permette di avere l’autonomia necessaria per risolvere problemi tecnici ed estetici di qualunque genere. Inoltre, per quanto riguarda le lenti oftalmiche ordiniamo le lenti grezze, volgarmente dette rotonde, poi le montiamo con dei torni che riproducono la forma esatta della montatura in base alla gradazione. Solitamente per chi ha un difetto visivo molto importante tendiamo a consigliare un occhiale piuttosto piccolo, così riusciamo a ridurre lo spessore della lente e di conseguenza anche il peso, nonostante oggi vengano prodotte lenti oftalmiche molto leggere». 2013 • DOSSIER SVILUPPO • 137


SERVIZI SANITARI

Un pronto soccorso fra le linee di produzione L’outsourcing dei servizi sanitari per le imprese. Silvio Ontario presenta un modello di gestione in global service. E i benefici sulla razionalizzazione delle risorse e sul controllo della qualità delle prestazioni Valerio Germanico

n presidio medico-infermieristico collocato all’interno dell’azienda. È questa l’avanguardia nell’offerta dei servizi di medicina del lavoro. Servizi che se da una parte garantiscono una presenza continua del personale medico e paramedico – anche ventiquattro ore su ventiquattro, in caso di ciclo produttivo ininterrotto –, dall’altra sgravano l’impresa dalla gestione diretta del personale sanitario e dell’approvvigionamento del materiale per il funzionamento dell’ambulatorio stesso. Tutto questo è garantito con un approccio glo-

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Silvio Ontario, titolare dell’omonima società www.ontariosrl.it

bal service da società specializzate che forniscono e gestiscono in outsourcing sia le professionalità che gli strumenti e le tecnologie. Parliamo di questa opportunità con Silvio Ontario, titolare dell’omonima società presente in Sicilia e su tutto il territorio nazionale. Ontario è stata una delle prime realtà a introdurre in Italia questo sistema e ha alle spalle una consolidata esperienza negli allestimenti e forniture chiavi in mano per laboratori e strutture sanitarie, sia pubbliche sia private. Chi sono i vostri interlocutori nel mondo dell’impresa? «Si tratta principalmente di grandi industrie con un alto numero di dipendenti e che, in base al tipo di produzione, devono rispondere a specifiche richieste da parte dell’Asl o a determinati requisiti stabiliti per legge. In particolare la prescrizione – e l’esigenza principale – è quella di avere un punto di pronto soccorso all’interno della struttura e in grado di prestare assistenza in qualsiasi momento in cui il processo produttivo sia in atto. Per fare due esempi, recentemente abbiamo acquisito la gestione del presidio all’interno della 3Sun di Catania, la quale possiede l’impianto di produzione di pannelli fotovoltaici più grande d’Europa, progetto in cui partecipano Sharp, St Microelectronics ed Enel. L’altro esempio è Pfizer, multinazionale del settore farmaceutico». Qual è, nei dettagli, il vostro ruolo?


Silvio Ontario

Gestendo l’infermeria, sgraviamo l’impresa da tutta una serie di attività che richiederebbero costi, tempi e procedure dedicate

«Entriamo nell’infermeria di fabbrica e la gestiamo interamente. Vi portiamo i nostri medici, infermieri e paramedici, che dipendono da noi sia a livello amministrativo, sia dell’organizzazione dei turni. I vantaggi della terziarizzazione dei servizi non si limitano però alla disponibilità continua di personale altamente qualificato, ma comprendono anche la fornitura illimitata di materiale farmaceutico, parafarmaceutico e sanitario. In questo modo sgraviamo l’impresa da tutta una serie di attività che richiederebbero tempi e procedure dedicate. Il risultato finale, insomma, è un’ottimizzazione dei costi con benefici in termini di razionalizzazione delle risorse impiegate e controllo della qualità delle prestazioni». Come avviene il reclutamento del personale medico e paramedico? «Tutto il personale è assunto da noi con contratto nazionale a tempo indeterminato Aiop (Associazione Italiana Ospedalità Privata). Tale inquadramento è una garanzia sia per il personale, che per l’azienda, che può così avere la sicurezza di un servizio di alta qualità e che garantisce la privacy – in azienda entrano solo soggetti preselezionati e coperti da assicurazione. È anche alla scelta di stabilire questo tipo di rapporto contrattuale con i nostri dipendenti che riusciamo a garantire standard di

qualità altissimi ai partner». Quali sarebbero le alternative? «In questo settore esistono anche altre modalità di ingaggio, che sfruttano il fatto che un medico o un paramedico possa offrire servizi di consulenza. Se questo è certamente un sistema meno oneroso, è anche un sistema che non garantisce un controllo assoluto sulle competenze del personale – che viene indirizzato in azienda per lo più in base alla disponibilità. Inoltre, lo stesso personale non è garantito, in quanto per assicurare la presenza costante sulle turnazioni, di fatto, il sanitario è privato di un suo diritto, lavorando in modo continuativo, ma retribuito “a consulenza”». Quali obiettivi avete programmato per il 2013? «Veniamo da un 2012 in cui siamo riusciti a raggiungere un incremento di fatturato del 25 per cento, che ci ha permesso anche di assumere nuovo personale. Per l’anno in corso abbiamo intenzione di fare un ulteriore salto: contiamo di chiudere il 2013 con un più 20 per cento sul fatturato. Ovviamente non mancano le criticità, che dipendono principalmente dai ritardi nei pagamenti da parte della Pa. A questo stato di cose abbiamo potuto fare fronte grazie agli ottimi risultati ottenuti negli anni scorsi».

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