Dossier Emilia Romagna 09 2012

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OSSIER EMILIA-ROMAGNA L’INTERVENTO ..........................................9 Sergio Travaglia Leo Barozzini

PRIMO PIANO IN COPERTINA.......................................12 Maurizio Marchesini POLITICA ECONOMICA ......................16 Carlo Alberto Roncarati Luigi Marino RITRATTI.................................................20 Corrado Passera

ECONOMIA E FINANZA PACKAGING VALLEY .........................26 Giuseppe Lesce Bruno Filetti Gian Carlo Nigelli Carlo Veronesi

CONTROLLO QUALITÀ......................118 Paolo Naglia

INNOVAZIONE.......................................38 Stefano Poggipolini Sergio Fiorani Valerio Maccaferri Rossella Guidotti Nicola Maggi Leonardo Valenti Stefano Baccanti Primo Tortini Maurizio Frojo

CREDITO & IMPRESA ......................122 Emanuel Danieli Domenico Menozzi

TECNOLOGIE.........................................58 Sergio Capatti e Fabio De Ferrari Giovanni Grechi e Vincenzo Cassese Nicola Bretta Giampiero Cabella Davide Pignocchi EXPORT...................................................70 Leonardo Tirelli Aldo Neri INTERNAZIONALIZZAZIONE...........74 Ivano Leandri Antonella Babini e Domenico Calonaci ENERGIA..................................................78 Stefano Monti MODELLI D’IMPRESA........................82 Sanzio Tampieri Mario Sgorbani Luciano Ferrari Arianna Burzoni Maria Cecilia La Manna Gianfranco Perrotta Antonio Benincasa Romeo Salvatori Federico Damiani Alessandro Pirotta Paolo Moscatti Elena Beltrami Donato e Marika Farnè Graziella Denti Lindo Aldrovandi Cristiano Bondani

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AGROALIMENTARE ..........................120 Daniele Bussolati

CONSULENZA .....................................128 Antonella Lambri Spaggiari Pivetti & Partners COMMERCIO........................................134 Alfredo Magnani


Sommario TERRITORIO SISTEMA FIERISTICO ......................136 Identikit del sistema italiano Franco Boni Duccio Campagnoli Lorenzo Cagnoni FORMAZIONE......................................144 Elena Ugolini Giuliano Cazzola Umberto Lonardoni FOCUS PIACENZA ..............................151 Paolo Dosi Antonino Puglisi Emilio Bolzoni

L’EMILIA DOPO IL SISMA...............160 Franco Gabrielli Andrea Morelli Carla Di Francesco Maria Gorni Maino Benatti Fernando Ferioli Alberto Silvestri

EDILIZIA.................................................176 Bruno Sansone Maurizio Inzani Mauro Mora Ezio Donegatti Andreina Ferrari Paolo Genta Moreno Crivellari Andrea Manini Cesare Scandellari Luigi Passuti MATERIALI ...........................................196 Dino Soccodato TURISMO...............................................198 Elena e Piero Prati MOBILITÀ ...........................................202 Michele Ghirardelli Andrea Colombo Alessandra Girotti PERCORSI D’ARTE...........................208 Fabio Roversi Monaco Mario Bellini

AMBIENTE RISPARMIO ENERGETICO .............214 Stefania Pifferi Vito Sanviti BONIFICHE ...........................................218 Renato Vivarelli

SANITÀ MICROCHIRURGIA ...........................222 Paolo Gottarelli

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Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx Xxxxx cxpknefv L’INTERVENTO

Lo spreco, da onere a risorsa Di Sergio Travaglia, senatore della Repubblica

econdo una sensazione diffusa nel Paese il governo Monti, nella sua attività riformatrice, avrebbe scelto la strada più facile, bersagliando di imposte i cittadini “buoni” e ignorando la situazione delle enormi realtà “cattive” come i drammatici “sprechi”. Avrebbe quindi trascurato le colossali potenzialità offerte da questa situazione patologica. Ma cos’è lo “Spreco”? Secondo vocabolario, spreco è: “Cattivo uso, consumo eccessivo o inutile”. E cos’è la “Risorsa”, creata dall’abolizione dello spreco? Sempre secondo vocabolario è “l’insieme dei mezzi di cui si dispone e che possono costituire sorgente di ricchezza”. Proviamo a identificare qualche ipotesi di spreco in termini di mancati interventi: in primis l’evasione fiscale da combattere ferocemente (al di là di blitz occasionali) e poi le false invalidità, la negoziabilità delle proprietà pubbliche attraverso preliminari interventi legislativi, l’effettivo sblocco commerciale dei beni sequestrati alla mafia, la progressiva razionalizzazione, attraverso tagli, del sistema “Province”, il tassativo incasso dei contributi Ue a fronte di progetti tempestivamente presentati (è criminale la frequente rinuncia per pura incapacità, a finanziamenti fondamentali), l’assenza deleteria di un sistema di “costi standard” per gli acquisti effettuati dallo Stato o dagli enti locali, l’abolizione delle Comunità montane a livello del mare, l’abolizione degli enti inutili e così via. È chiaro che l’abolizione dello spreco può essere indolore o sofferta: è indolore nei casi legati a frode o a palese assurdità, tipo la falsa invalidità o la comunità montana a livello del mare; oppure a semplice neghittosità o ignoranza, come nel caso dei mancati contributi europei. In altri casi potrebbe invece toccare dolorosamente l’occupazione, salva l’adozione iniziale di misure mirate, come il blocco del turnover o i corsi di riqualificazione. Il governo dovrebbe quindi scendere in guerra contro lo “spreco”, animato da un intenso sentimento di “sprecofagia” e

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guidato dallo stimolante motto “Lo spreco, da onere a risorsa”. Sarebbe, inoltre, opportuna una più stretta collaborazione con la Corte dei Conti che, nella descrizione della funzione, contiene tra l’altro la seguente frase: “Controllo sulla gestione finanziaria degli enti cui lo Stato contribuisce in via ordinaria”. Da ultimo una stretta collaborazione con un importante ente, forse sotto impiegato: il Cnel (Consiglio Nazionale Economia e Lavoro), al quale si potrebbe chiedere la compilazione di una mappa degli sprechi del Paese, composta da una parte descrittiva e da una parte visivamente illustrativa, basata soprattutto su confronti grafici fra istogrammi. In latino la parola “spreco” si traduce con “effusio”. Andrebbe rapidamente istituita una facoltà di “Effusiologia” (facoltà comunque più utile della defunta “Trofeistica”), che consentisse la futura disseminazione sul territorio a livello locale e centrale di un esperto corpo di “effusiologi”, assunti per migliorare i bilanci delle unità locali o centrali. E per concludere, l’istituzione della “Giornata nazionale contro lo spreco” all’insegna del motto sopra suggerito, ”Lo spreco, da onere a risorsa”. Una massiccia azione di “sprecofagia” godrebbe, inoltre, del tifo entusiastico della grandissima maggioranza dei cittadini estranei al meccanismo dello spreco, con un netto miglioramento del clima politico. Mentre l’apatia politica attuale nei confronti degli sprechi, potrebbe far pensare al cittadino che il governo giudichi perfetta la situazione generale e quindi “inutile” ogni intervento correttivo. Alla luce del panorama sopra descritto, un Paese potrebbe addirittura compiacersi per l’abbondanza degli sprechi, considerati dopo l’eliminazione come fonte di risorse e di ricchezza. In conclusione, la “sprecofagia” potrebbe rappresentare il toccasana per il nostro debito pubblico. EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 9



Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx Xxxxx cxpknefv L’INTERVENTO

Costruire in un mondo che cambia di Leo Barozzini, presidente di Compagnia delle Opere Emilia

a situazione è certamente grave: non siamo usciti dalla crisi, i mercati finanziari in continua evoluzione mettono in seria discussione la tenuta dell’Europa e della sua moneta e annebbiano ulteriormente gli orizzonti futuri, accrescendo l’incertezza del perimetro in cui le imprese si trovano a operare. Ad aggravare la situazione il terremoto, che ha colpito alcune delle province dell’Emilia: una crisi nella crisi. L’analisi razionale dei dati è molto chiara nel caratterizzare un contesto, anche regionale, che non permette agli imprenditori di fare delle scelte strategiche di medio lungo periodo. Vi è però una domanda che in questo periodo si pone con particolare insistenza: è tutto qui? O c’è dell’altro? Non possiamo fermarci ai soli dati economici, allo spread, al debito pubblico, all’incertezza, alla speculazione. Dobbiamo andare più in profondità a ricercare quei fattori che possono portarci un contributo, in termini di esperienza, utile a comprendere le ragioni per cui tanti imprenditori continuano a lavorare con speranza e fiducia all’interno della loro impresa, con i propri collaboratori, in un mondo avverso che, sulla carta, ha tutti gli elementi per schiacciarli ma che non ce la fa. È esperienza di tutti quella di aver incontrato persone che esprimono nel loro operare quotidiano una posizione umana più vera, una concezione del lavoro come libera espressione dell’uomo di fronte al “dato” in termini di risorse, talenti, opportunità e possibili collaborazioni con dipendenti, clienti o fornitori. Il nostro è un popolo che

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ha mantenuto vivo il desiderio di costruire, di portare un contributo alla realizzazione del proprio bene e di quello della società intera, come ci stanno testimoniando gli imprenditori colpiti dal sisma, alle prese con la ricostruzione del tessuto economico e civile dei loro paesi. Tale è la grandezza dell’impegno che molti sono stati costretti a chiedere aiuto, accettando l’idea che non si può fare da soli. Ha preso avvio il progetto “Imprese Gemelle” con lo scopo di realizzare veri e propri gemellaggi tra imprenditori; l’obiettivo è sostenere, attraverso un’amicizia operativa, l’azienda che ha subìto gravi danni. Si sta sperimentando un modello innovativo da estendere a quegli imprenditori che si trovano nella “morsa” della crisi. La disponibilità di tante persone ad aiutare gratuitamente chi si trova più in difficoltà impone una concezione del profitto più come strumento, indicatore dell’andamento della gestione, che non come scopo dell’impresa; altro elemento che, sommato a una posizione individualista della società, ha condotto al crollo dei mercati finanziari, all’avvio e al perdurare dell’attuale congiuntura negativa. Affrontare le difficoltà e le sofferenze di questo periodo ha però già cambiato la nostra mentalità, acquisendo un modo nuovo di affrontare i problemi: si lavora di più insieme, con più professionalità, con lo sguardo rivolto all’internazionalizzazione e all’innovazione. Quello di cui c’è più bisogno in questo momento è sostenere questo cambiamento come reale contributo alla crescita e alla costruzione: aiutare le persone a essere autenticamente presenti e responsabili dentro al mondo dell’economia. EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 11


IN COPERTINA

RESTITUIRE COMPETITIVITÀ AL NOSTRO TERRITORIO Un patto per gli investimenti che renda l’Emilia Romagna ancora più attrattiva e massima attenzione verso semplificazione, innovazione e reti d’impresa. Sono le linee guida indicate dal presidente di Confindustria regionale Maurizio Marchesini per innescare la crescita e risollevarsi dopo il terremoto Francesca Druidi

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on è un uomo che insegue le polemiche, Maurizio Marchesini, patron della Marchesini Group - azienda della packaging valley emiliana - e presidente di Confindustria Emilia Romagna, dopo che Gaetano Maccaferri è stato chiamato nel direttivo nazionale scelto da Giorgio Squinzi. Ex numero uno degli industriali bolognesi, Marchesini ama entrare nel merito dei contenuti per cercare soluzioni, non sottraendosi al confronto quando incentrato su proposte concrete. Oggi, con una vasta area del territorio regionale colpita dal sisma e la crisi generalizzata che interessa inevitabilmente anche l’Emilia Romagna, sono più che mai necessari strumenti e interventi innovativi capaci di innescare la ripresa. «Dobbiamo continuare a investire in ricerca e sviluppo – afferma – giovani, tecnologia, reti d’impresa ed espansione sui mercati esteri: tasselli fondamentali per impostare una risposta del sistema produttivo regionale alla perdita di competitività che sta subendo». Il

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centro studi di Confindustria ha stimato una flessione del Pil italiano del 2,4 per cento nel 2012 e dello 0,3 per cento per il 2013. «Un dato che personalmente mi preoccupa molto riguarda il fatto che il 90 per cento dell’arretramento di quest’anno sia già stato consumato nel secondo trimestre (-2,1 per cento)». In questo scenario, qual è nello specifico lo stato di salute dell’economia dell’Emilia Romagna? «La regione non può che seguire il trend generale, nazionale ed europeo. Dopo la debole ripresa registrata tra la fine del 2010 e l’inizio del 2011, a partire dall’autunno scorso l’economia dell’Emilia Romagna ha nuovamente e fortemente rallentato, riflettendo il calo della domanda interna e la decelerazione di quella mondiale. L’export, tradizionale punto di forza dell’economia regionale, resta una leva cruciale ma non riesce più a equilibrare, come in passato, la caduta di altri fattori economici. In questo contesto, già molto difficile, è intervenuto il terremoto, con gravissime conseguenze per le attività produttive, da-

gli impianti seriamente danneggiati al blocco della produzione di numerose imprese. Tutto ciò sta avendo un impatto negativo sull’economia dell’area e del Paese». Quali tendenze si stanno affermando? «Il tasso di crescita dell’export regionale nel I trimestre 2012, rispetto allo stesso trimestre del 2011, si attesta sul +7,4 per cento (era +19,2 per cento nel I trimestre 2011 rispetto al 2010). Si tratta, quindi, di un dato positivo, ma pur sempre in flessione. Si confermano andamenti anche molto eterogenei che variano da azienda ad azienda, da settore a settore, non solo per quanto riguarda le esportazioni. Restano competitive le realtà maggiormente legate ai mercati esteri, particolarmente innovative e caratterizzate da produzioni ad alto contenuto tecnologico. Si fanno, inoltre, sentire le condizioni più restrittive del mercato creditizio». A livello strutturale che cosa non funziona più del modello espresso dalla regione?


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IN COPERTINA

«L’Emilia Romagna è passata dal ri- è dotata di risorse “naturali”, ma pos- penso al Piano regionale delle attività schio di perdere posizioni nei ranking delle aree mondiali più competitive e sviluppate alla constatazione che, purtroppo, ciò è già avvenuto. Siamo ancora in molti casi tra i primi posti nelle classifiche nazionali e internazionali, ad esempio per i tassi di industrializzazione, ma dobbiamo affrontare la competizione crescente che di giorno in giorno si fa più pesante. Negli ultimi anni, dopo la caduta del Pil registrata nel 2009, l’economia regionale non è riuscita a recuperare, se non marginalmente, il terreno perso. Il nostro Pil è cresciuto dell’1,9 per cento nel 2010 e dello 0,8 nel 2011, mentre le stime per l’anno in corso non indicano scenari molto diversi dagli andamenti nazionali». Come reagire? «L’imperativo categorico è far riprendere il circolo virtuoso della crescita. Ciò significa innanzitutto puntare sulla manifattura, nucleo vero e importante della nostra economia, in grado di creare valore e soprattutto di generare occupazione di qualità. La struttura produttiva della regione non

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siede tutte le caratteristiche e le potenzialità per affrontare la situazione attuale. Questa crisi impone una necessaria evoluzione. Un processo che però richiede azioni di contorno in grado di rendere l’ambiente più favorevole per le imprese. Ma tutto ciò non sarà sufficiente se il peso fiscale e contributivo rimarrà quello attuale, se non interverrà una forte sburocratizzazione e soprattutto se non si diffonderà una cultura che riconosca all’impresa il ruolo di creatrice di sviluppo e benessere». Confindustria Emilia Romagna ha delineato un pacchetto di proposte che potrebbero rappresentare un contributo positivo alla crescita. «L’obiettivo è rendere l’Emilia Romagna un territorio più attraente e attrattivo in cui vivere e fare impresa, per le aziende che già vi operano e per quelle che potrebbero installarsi, coinvolgendo anche le reti d’impresa. Queste proposte hanno, secondo noi, ragionevoli possibilità di successo, in quanto affiancate da una politica industriale della Regione,

produttive e della ricerca, che si mostra sensibile alle nostre esigenze». Di quali elementi si compone il vostro pacchetto di proposte? «Si propone innanzitutto un accordo di investimento, con lo scopo di mettere a disposizione delle aziende che intendono consolidare e rafforzare la propria presenza produttiva e occupazionale in regione, un pacchetto di strumenti e misure di sostegno e facilitazioni da concordare con l’amministrazione nel mediolungo periodo. Un vero e proprio “patto per gli investimenti” tra le imprese e il territorio, declinato in pacchetti personalizzati da offrire alle aziende in relazione alle loro specifiche esigenze. Si tratterebbe, in definitiva, di una serie di interventi di durata decennale di natura fiscale, finanziaria, amministrativa, occupazionale e creditizia. In questo “menù” potrebbero rientrare: esenzione Imu e Irap da parte degli enti locali; sgravi fiscali e incentivi per i nuovi assunti; incentivi per l’internazionalizzazione e la partecipazione a programmi di ricerca o a specifici progetti, ad esempio i tecnopoli; semplificazioni concordate; previsione di un Fondo rotativo ad hoc a condizioni particolarmente vantaggiose e, in generale, accordi con il sistema del credito per l’accesso a risorse finanziarie dedicate». L’attuale scenario nazionale e regionale potrebbe però non favorire lo sviluppo di questo tipo di iniziative. «Serve la volontà politica di fare le cose. Gli emissari di altri paesi, come Austria, Slovenia e Svizzera, vengono in Italia offrendo alle imprese facilitazioni e assistenza. La competizione tra territori esiste, e l’Emilia Romagna


Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx Maurizio Marchesini

L’obiettivo è rendere l’Emilia Romagna un territorio più attraente e attrattivo in cui vivere e fare impresa per le aziende che già vi operano e per quelle che potrebbero installarsi

deve decidere a quale livello inserirsi, tenendo ben presenti le proprie peculiarità: ad esempio, un sistema scolastico e tecnico preparato e una rete di subfornitura tra le migliori al mondo. Serve uno sforzo ulteriore per promuovere la nostra regione». Confindustria Emilia Romagna ha proposto di ridurre il ruolo del pubblico nell’economia. «Sì, occorre una forte spinta alla riduzione di questo peso a tutti i livelli. Il dibattito su questo tema, come già avvenuto nel passato, passa dalla politica finendo per produrre sterili polemiche, senza arrivare ad alcuna soluzione. Siamo convinti, invece, che se ci fosse un reale processo di liberalizzazione e di privatizzazione, si potrebbero, da un lato, aprire importanti spazi di mercato e opportunità di business nella sanità e nelle infrastrutture, dall’altro, recuperare risorse da reinvestire in nuovi progetti di investimento. È, inoltre, determinante risolvere in modo strutturale il tema

dei pagamenti della Pa alle imprese fornitrici di beni e servizi». Su quali altri punti l’associazione confindustriale vuole intervenire? «In tema di infrastrutture, proponiamo di valorizzare gli strumenti di partnership pubblico-privata, anche ricercando soluzioni innovative di collaborazione tra imprese e amministrazione, e di semplificare le procedure autorizzatorie e costruttive. Altro passaggio cruciale è la modifica del patto di stabilità nella logica di favorire la spesa per investimenti della pubblica amministrazione. Prosegue, inoltre, il forte impegno di Confindustria regionale sul tema della semplificazione amministrativa a favore delle imprese, tema particolarmente caro al presidente Squinzi che ne ha fatto una sua bandiera». Il primo trimestre del 2012 ha registrato un tasso di disoccupazione del 7,3 per cento, rispetto al 5,3 del 2011. È l’aumento della di-

soccupazione giovanile a preoccupare maggiormente. Ha espresso alcuni dubbi sulla recente riforma del lavoro varata dal governo, perchè? «In linea generale, ci aspettavamo una riforma più coraggiosa, con interventi sul fronte della disoccupazione giovanile sostenuti da risorse più cospicue e meccanismi maggiormente flessibili in entrata. Di fronte a un contratto di apprendistato che si presenta eccessivamente burocratizzato, servirebbe invece uno strumento di inserimento più leggero e agile. Troppi sono, inoltre, i vincoli che riguardano le partite Iva e mancano formule che sostengano adeguatamente la mobilità lavorativa della generazione dei trentenni. Ci rendiamo conto che il Governo Monti non sta operando in un contesto semplice. La direzione che sta prendendo nelle sue riforme è quella giusta, anche se l’atteggiamento spesso ragionieristico registrato finora non ha portato a un definitivo cambio di marcia nella governance». Torniamo infine agli effetti al terremoto e alla necessità di rimettere in moto in tempi rapidi l’economia di quelle aree. Cosa fare? «La peculiarità di questo sisma è che esso ha colpito uno dei territori a più elevato tasso di concentrazione manifatturiera d’Italia, con importanti distretti industriali nel biomedicale, nell’agroalimentare, nel meccanico e nel tessile-abbigliamento. Per questo motivo occorrono tempi celeri, certi, meccanismi semplici e minimo tasso di burocrazia nell’erogazione dei contributi e nella fase di ricostruzione. Bene i 6 miliardi aggiuntivi in arrivo dallo Stato, manca però la proroga degli adempimenti fiscali, tributari e contributivi fino a giugno 2013. Ci impegneremo ancora molto in questa direzione». EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 15


POLITICA ECONOMICA

Un passo avanti ai competitor La concorrenza globale impone al tessuto imprenditoriale di investire su innovazione, qualità dell’export e delle risorse umane. Le Camere di commercio regionali, come evidenzia Carlo Alberto Roncarati, restano al fianco delle aziende in questo processo Francesca Druidi

dati relativi alla produzione (-3,5 per cento rispetto all’analogo periodo del 2011), al fatturato (-3 per cento) e agli ordini (-3,6) riguardanti il primo trimestre 2012 hanno confermato la fase recessiva dell’industria emiliano-romagnola. «Secondo la maggior parte degli analisti – commenta il presidente di Unioncamere regionale Carlo Alberto Roncarati – questa fase continuerà. Fino a quando non è dato sapere, ma considerata la problematicità del contesto nazionale ed europeo, il ritorno alla crescita non sarà vicino». Impossibile poi trascurare gli effetti del sisma in Emilia, che hanno interessato una zona ad alta densità imprenditoriale manifatturiera. «Sarà un percorso ancora lungo e irto di difficoltà. E il risultato non potrà che essere frutto del supporto che sapremo offrire alla competitività delle imprese, le quali chiedono soltanto di operare “ad armi pari” nei confronti dei concorrenti». Oltre che sull’export, su quali leve deve puntare il sistema produttivo? «Considerando la situazione pesante, per non dire asfittica, del mercato interno, il traino viene dai mercati internazionali. C’è, nonostante la crisi, un mondo che cresce in fretta,

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fatto di Paesi emergenti in grado di influenzare, per dimensione e potenza economica, gli scambi a livello mondiale. Ma ve ne sono molti altri, più piccoli e relativamente più arretrati, che crescono ancora più in fretta. L’evoluzione, il basso costo del lavoro e la rapidissima diffusione del progresso tecnologico fanno sì che essi arrivino ad annulCarlo Alberto Roncarati, presidente Unioncamere Emilia Romagna lare, o quantomeno a ridurre in maniera significativa, il gap che li separava dai Paesi di protezione attraverso brevetti e marvecchia industrializzazione». chi delle opere dell’ingegno creativo. Cosa fare per reggere il con- Soltanto cercando di essere costanfronto globale? temente un passo avanti agli altri, «Non c’è altra strada per l’Italia se possiamo farcela». non quella di abbattere drasticaIn che misura le reti d’impresa mente gli oneri a carico delle im- possono individuare strumenti di prese, soprattutto di carattere fiscale. rilancio? Ma non vanno trascurati anche «Il contratto di rete, depositato quelli legati a lavoro e previdenza, al- presso le Camere di Commercio, col’energia, alla burocrazia, che oggi ci stituisce senza dubbio uno strupenalizzano sui mercati. Come leva mento recente ma utilissimo, che si competitiva, in tutti i settori, va uti- affianca ad altre modalità di aggrelizzato il ricorso alle moderne tecno- gazione più tradizionali. Assodato logie, percorrendo in modo convinto che l’Italia è caratterizzata da un tesla strada dell’innovazione, della va- suto di piccole e piccolissime imlorizzazione del “capitale umano”, prese e che la crescita individuale è dell’utilizzo delle acquisizioni scien- difficoltosa e troppo lenta rispetto tifiche a fini imprenditoriali, della alle esigenze di un mercato mondiale


Carlo Alberto Roncarati

ESPORTAZIONI

+1,7% L’AUMENTO DEL’EXPORT NEL 1° TRIMESTRE 2012 SULL’ANALOGO PERIODO DEL 2011, IN RALLENTAMENTO RISPETTO AL TREND DEI 12 MESI PRECEDENTI

con ritmi di sviluppo elevati, la ricerca di una maggiore competitività passa dall’aggregazione per realizzare programmi comuni, al fine di ricercare economie di scala e di specializzazione, integrando alcune funzioni o processi produttivi. Ma questo percorso può essere vantaggioso anche per le imprese più strutturate, internazionalizzate e tecnologicamente avanzate che, attraverso la rete, diventano ancora più forti». È stato eletto vicepresidente vicario di Unioncamere nazionale. Su quali istanze il sistema camerale si concentrerà per far ripartire il Paese? «Il presidente Dardanello ha individuato per il suo secondo mandato

alla guida di Unioncamere alcune linee prioritarie. In particolare, il pacchetto si articola su sei punti programmatici: semplificazione; accesso al credito; promozione dell’internazionalizzazione; innovazione, puntando su qualità del made in Italy, tracciabilità delle produzioni e regole per tutelarle; sostegno alla realizzazione di infrastrutture, nella tutela della legalità; interventi nel mercato del lavoro e per l’occupazione. Al di la delle priorità programmatiche, le Camere di Commercio sono chiamate a contribuire al doveroso processo di riorganizzazione istituzionale del Paese». In che modo? «Il sistema camerale dovrà proseguire

il percorso di autoriforma imboccato per elevare efficienza ed efficacia delle attività, soprattutto attraverso la gestione associata delle competenze, senza tuttavia rinunciare al ruolo, ampiamente riconosciuto, di soggetto che promuove lo sviluppo di imprese ed economie locali. Sotto questo aspetto, sviluppando le indicazioni del provvedimento di riforma del 2010, gli enti camerali hanno delineato, partendo dal livello nazionale fino ad arrivare a quello regionale, percorsi a medio termine di razionalizzazione delle attività, per restare all’altezza di tempi ed esigenze. Le Camere di Commercio, così come le imprese, operando in rete, saranno più forti e ancora più utili». EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 17


POLITICA ECONOMICA

Cooperazione, risorsa per l’Italia L’universo cooperativo si oppone alla crisi senza rinunciare alla sua funzione identitaria: difendere l’occupazione, valorizzando il territorio. Occorre però puntare sull’export. Lo spiega Luigi Marino, presidente nazionale di Confcooperative Francesca Druidi

fortemente variegato e differenziato al proprio interno lo scenario cooperativo italiano che riunisce circa 80mila imprese, impiegando 1 milione e 382mila addetti. Ad analizzarne l’andamento economico in questa complessa fase congiunturale è Luigi Marino, presidente di Confcooperative e dell’Alleanza delle cooperative italiane (Legacoop, Confcooperative e Agci). In Italia, nell’ultimo quadriennio di crisi, l’occupazione nelle cooperative è cresciuta dell’8 per cento. Perché quello della cooperazione è un modello che sembra reagire meglio di altri alle criticità attuali? «Nelle realtà aderenti a Confcooperative l’occupazione è cresciuta anche di più, ben il 13,4 per cento. Le cooperative negli anni della crisi dimostrano di restare agganciate all’economia reale. Rispetto agli utili e ai profitti, hanno dato priorità all’occupazione. È questo il motivo per il quale in Italia, in Europa e nel mondo, le cooperative, pur soffrendo la congiuntura, stanno registrando un trend occupazionale in assoluta controtendenza rispetto alle imprese lucrative e di capitali». L’anno internazionale delle coo-

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perative, proclamato dall’Onu nel 2012, valorizza il ruolo economico e sociale che queste realtà svolgono nel mondo. Ha dichiarato: “Il governo ci prenda in parola quando ci candidiamo a dare un contributo maggiore e proponiamo le condizioni per farlo”. In che modo potrebbe declinarsi questo contributo? «Dieci anni fa la cooperazione valeva il 3 per cento del Pil. Oggi rappresenta il 7,7 per cento e dà lavoro a 1,4 milioni di persone. Dati confermati dal I rapporto del Censis sulla cooperazione in Italia, presentato a Roma alla presenza del capo dello Stato. I principali marchi dell’agroalimentare made in Italy sono cooperativi, così come i servizi alla persona e il sociosanitario avanzato. Il Credito Cooperativo ha continuato ad assicurare liquidità alle pmi e alle famiglie. È così che le cooperative definiscono il loro impegno per il territorio, dal quale non delocalizzano mai. Da qui, anche il riconoscimento da parte dell’Onu». Cosa ha rappresentato la costituzione dell’Alleanza delle cooperative italiane?

Luigi Marino, presidente Confcooperative e Alleanza delle Cooperative Italiane

«Fino a qualche anno fa parlare di concertazione voleva dire convocare a Palazzo Chigi 38 sigle. Oggi abbiamo un confronto con 8-9 realtà effettivamente rappresentative del Paese. La nascita dell’Alleanza delle cooperative ha reso più moderno ed efficace il dialogo con le istituzioni e la collaborazione con le principali associazioni imprenditoriali (Abi, Ania, Alleanza Cooperative, Confindustria e Rete Imprese) e sindacali italiane. L’Alleanza è l’inizio di un percorso. L’obiettivo resta l’unità». Quali sono le prospettive dell’economia cooperativa per la fine del 2012 e per il 2013? «Le cooperative continueranno a fare ciò che sanno fare meglio. Quello per cui sono nate: valorizzare il territorio e difendere l’occupazione. Preoccupano le continue ondate speculative, il credit crunch, l’enorme debito pubblico,


Luigi Marino

La nascita dell’Alleanza delle cooperative ha reso più moderno ed efficace il dialogo con le istituzioni

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ALLENZA COOPERATIVE MILIARDI DI EURO FATTURATI DALLE IMPRESE ADERENTI ALL’ALLEANZA DELLE COOPERATIVE ITALIANE (FONTE: PRIMO RAPPORTO CENSIS SULLA COOPERAZIONE IN ITALIA)

la disoccupazione giovanile, i ritardati pagamenti della Pa su cui registriamo effetti-annuncio, ma non azioni concrete. Preoccupa la situazione patrimoniale delle cooperative perché se, da un lato, hanno difeso l’occupazione, sacrificando gli utili, dall’altro senza patrimonio è difficile investire. E l’imperativo per essere competitivi è patrimonializzarsi, capitalizzarsi, fare innovazione e perseguire politiche di export».

Lei è nella Cabina di regia italiana per l’export. «Nella riunione di insediamento ho affermato che le cooperative italiane devono raddoppiare le esportazioni nei prossimi tre anni. Cercheremo di farlo davvero». In che modo le politiche di internazionalizzazione possono aiutare le imprese? «La crisi allarga la forbice non solo tra chi ha più mezzi e competenze per crescere e chi ne scarseggia, tra

grandi e piccole imprese, ma soprattutto tra chi esporta e chi è chiuso nel mercato domestico. I dati dimostrano che le aziende che si sono attrezzate per l’export resistono meglio alla crisi, si sono patrimonializzate, fanno innovazione. Sono più stabili e danno occupazione di migliore qualità». Quali le sue valutazioni sul tessuto cooperativo, prendendo in considerazione nello specifico l’Emilia Romagna? «In Emilia Romagna affondano le radici dei primissimi tentativi di fare impresa cooperativa. Ci sono eccellenze dell’agroalimentare, del consumo, delle costruzioni, del credito, del socio-sanitario, del welfare, dell’abitazione e dei servizi. Si sentono i morsi di una crisi lunga, ma soprattutto è una terra sotto choc per la tragedia del terremoto e dei lutti, oltre che dei danni ingenti che il sisma ha creato. Credo, però, molto nella sua gente e nelle sue imprese e noi siamo al loro fianco affinché ci si possa rialzare velocemente. Anche perchè le risorse finora stanziate, nonostante gli sforzi delle istituzioni, non sono ancora sufficienti». EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 19


RITRATTI

Passerà o non passerà? Passano i mesi dall’insediamento del Governo Monti ma di sviluppo non si vede traccia. Nel 2012 il Pil potrebbe arrivare a -1,9 per cento. Nel decreto sviluppo si parlava di 100 miliardi, ma si è capito che erano solo virtuali. Da parte sua «Corrado Passera ha fatto troppo... se non si abbassano le tasse e non si tagliano le spese è come aver fatto nulla» di Renato Farina, deputato della Repubblica

l dottor Corrado Passera, con le sue deleghe ministeriali allo sviluppo dell’Industria e delle attività produttive, nonché dei Trasporti e delle Infrastrutture, senza dimenticare la Marina mercantile, che ci fa al governo, a sviluppare che? Trattasi di una domanda amara. Passano i mesi e l’unica cosa che si sviluppa è, infatti, il tasso di crescita all’incontrario. Tanto che il Pil è previsto sottosvilupparsi in questo 2012 per un meno 1,9. Non è che invece di Passera bisognerebbe chiamarlo come un parente alato della Pernacchia reale e cioè Cippirimerlo? Perché in un governo che taglia e tassa, essere ministro allo sviluppo economico senza un quattrino da investire, e senza la disponibilità del ministro dell’Economia e delle Finanze Grilli (erede perfetto di Tremonti) a limare le tasse, è una missione impossibile. Dopo di che via con i giochi di parole: a parte quelli piuttosto salaci, c’è quello dell’accento: Passera passerà. Una

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profezia? Il sottoscritto, pur con i giudizi piuttosto inclementi che seguiranno, è convinto che tra i ministri sarà quello che passerà più tardi degli altri, più che passerà, resterà. Per le relazioni che ha nel mondo dell’alta finanza e della Chiesa cattolica contemporaneamente? Anche. Soprattutto però a causa della sua tempra, del suo spirito insieme molto cattolico, molto italiano, molto da dopoguerra della ricostruzione. Insieme apostolico romano e nordico. Molta magrezza alta ed elegante, stile principe rinascimentale, eppure una pelata assai borghese portata con decoro a 58 anni. Vende fumo? Boh. Citeremo qui alcuni passi significativi in cui descrive le sue opere. Non c’è la retorica da Magna Grecia dei Forlani e dei De Mita, ma una specie di oppio tecnolinguistico, un incenso bip-tech, da cui proveremo a spremere un succo potabile por el pueblo. Rievochiamo questi mesi. Si comincia subito con lacrime e sangue. Poi

si continua con lacrime e sangue. L’agenda è stata devastante. I compiti a casa imposti dall’Europa hanno significato una riforma delle pensioni con spostamenti improvvisi e devastanti per le aspettative della gente comune. Tagli e arcitagli. Nel frattempo Passera diceva: adesso sviluppiamo. Tra un attimo facciamo. Finché è arrivato il decreto sviluppo. E ha proclamato: abbiamo fatto. Il Corriere della Sera in prima pagina ha parlato di 100 miliardi per lo sviluppo. È bastato poco per capire che erano cento miliardi virtuali, molto virtuali. Denaro fresco, solo un rivolo. Forse un miliardo, ha calcolato Angelino Alfano. Dopo di che l’elenco di quanto fatto è sterminato, saranno mille e tre cose come le gonnelle di Don Giovanni in Ispagna. Ma almeno un amore vero, una roba vera c’è? Ci siamo procurati i tabulati. Abbiamo cominciato a trascriverlo con pazienza. Prima di sfinirci ho messo in fila coteste cose. Il titolo è: “Interventi normativi


Corrado Passera

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RITRATTI

100 miliardi per lo sviluppo. È bastato poco per capire che erano cento miliardi virtuali, molto virtuali

adottati a favore delle Piccole medie Sole 24 Ore intitolata “Sulla cre- Altre cose promette per il futuro imprese (Pmi)”. Segue: Punto 1. Competitività delle imprese. 1.1 Innovazione (seguono 9 provvedimenti tra cui l’Agenzia per l’Italia digitale, la cabina di regia per l’Agenda digitale, credito di imposta per le nuove assunzioni, ecc). 1.2 Internazionalizzazione (Ice, Enit, ecc). 1.3 Crescita dimensionale (credito di imposta per assunzione di giovani e donne). Punto 2. Riduzione di costi per le imprese. 2.1 Energia... Alt. Abbiamo letto bene? Energia?! Riduzione del costo dell’energia? Appena uno legge che il governo ha ridotto il prezzo dell’energia per decreto, girano le scatole. L’energia è la benzina, il gasolio, il gas, l’elettricità. Chi si è accorto siano calate di prezzo per le famiglie o per le imprese? Eppure il ministro annota con ostinazione le cose realizzate anche in questo campo. Poi centinaia di altre misure, alcune altre presentate in modo promettente: le semplificazioni nella pubblica amministrazione, la riduzione degli adempimenti amministrativi per le imprese. Speriamo... Mi fermo. Lascio parlare il ministro, in una poderosa intervista al

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scita non finisce qui”. Passera lì sintetizza la campagna per lo sviluppo del governo. Miriade di termini anglo tecnocratici. Io capisco che finalmente ci sono due provvedimenti importanti già attivi. 1) Le imprese che hanno un giro d’affari compreso entro i due milioni di euro (prima la soglia era di 200mila) potranno pagare l’Iva una volta incassata la fattura. Si tratta di una misura che riguarda il 96,9% delle imprese e che garantirà loro più liquidità. Rappresenta, inoltre, il ripristino di un principio di sana normalità fiscale. È ragionevole, cioè, che un’impresa paghi l’Iva solo quando incassa l’importo relativo. 2) C’è un modulo compilando il quale alla fine i creditori di denari dello Stato possono incassarli... C’è altro. Lo spiega l’onorevole Raffaello Vignali, vero autore dell’idea sull’Iva: «È stato istituito lo sportello unico obbligatorio per l’edilizia, il comparto più in difficoltà e che rappresenta la filiera industriale più lunga. Se, infatti, non si costruiscono case ne risente anche chi produce, ad esempio, profilati un alluminio, complementi d’arredamento o cucine».

Passera. Ci credo e non ci credo. A me piace però questo di lui. Il legare l’idea di sviluppo dell’economia alla coesione sociale, a un cammino dell’intera società verso il bene comune. Vale a dire, non vede l’industria staccata dal complesso della vita dell’uomo. In questo senso è un riformista liberale e cattolico. Ma il guaio è che crede di essere lui a essere l’interprete principale del bene comune. L’idea cioè che siano i grandi tecnici, tra cui lui è davvero bravo, a capire quale sia il bene della società. E così addio sussidiarietà pur da lui sinceramente creduta e affermata a parole... E qui passo all’analisi più serrata. Le iniziative di Corrado Passera al ministero sono state coerenti con una visione del mondo fortemente dirigista. Passera è un banchiere molto abile e un attento conoscitore del mondo produttivo italiano. È naturale perciò che egli abbia idee molto definite e chiare su che cosa necessiterebbe l’industria italiana per riguadagnare competitività. Per questo, ha delineato una serie di impegni precisi da attuare presto: la nuova imprenditorialità (start up),


Corrado Passera

A sinistra, conferenza stampa sul decreto sviluppo del Governo Monti; a destra, Passera al convegno nazionale Ance di luglio; sotto, con Giorgio Squinzi a Finale Emilia

gli investitori esteri, l’agenda digitale e le nuove tecnologie. Il problema della visione di Passera è che si focalizza, nella tradizione della politica industriale italiana, su interventi settoriali, specifici, anziché ricercare soluzioni di più ampio raggio, che beneficino il complesso dell’industria italiana. Passera non ha proposto un generalizzato abbassamento della pressione fiscale, che libererebbe risorse per tutti i settori e per tutti gli operatori economici: ma agevolazioni ad hoc, che consentano di riorientare risorse verso determinati impieghi. Il ministro si prende così una forte responsabilità, immaginandosi come perno della strategia industriale futura di tutto

il Paese. Nell’immediato, questo rende Passera un interlocutore apprezzato delle categorie e delle associazioni: che hanno trovato chi presta attenzione alle loro esigenze, e cerca di riorientare l’offerta pubblica di incentivi e agevolazioni di conseguenza. Ma non può essere amato dall’imprenditoria italiana “di base”, diffidente verso un banchiere, insensibile al genere di piani ad ampio raggio disegnati dallo staff di tecnocrati che Passera ha portato con sé al ministero (a cominciare da Stefano Firpo, nipote del grande storico e già testa pensante a IntesaSanPaolo), e soprattutto bisognosa di interventi di tipo diverso. Una generalizzata riduzione del cuneo fiscale, una netta semplificazione degli adempimenti amministrativi. Mi spiego con un esempio. Se abbasso generalmente le tasse, l’imprenditore deciderà lui se assumere un operaio di 45 anni in Valtrompia o un giovane al Sud. Ma se Passera propone un premio se si assumono donne

e giovani nel Mezzogiorno, addio libertà dell’imprenditore, e tanti saluti alle speranze dell’operaio della Valtrompia... È dura insomma di questi tempi essere Passera. Ma soffrono assai di più i piccoli e medi imprenditori bastonati di giorno e di notte. Insomma non è bello oggi essere Passera, esposto al pubblico invece che contare in segreto le stock option, ma in Italia è molto peggio essere un semplice cittadino con la partita Iva, le ditte che non pagano, ed Equitalia sulla porta della bottega. Detto questo il compito che mi assumo è a rischio di lapidazione di tu che mi leggi e sei furioso come una biscia per le tasse e il governo che non le abbassa, anzi vorrebbe lucrare persino sulla gazzosa: è esprimere una valutazione di stima al superministro dello Sviluppo economico eccetera. Non è vero che ha fatto poco per lo sviluppo. Ha fatto molto. Anzi, troppo. Passera ha fatto troppo. Se non si abbassano le tasse, se non si tagliano fortemente le spese, è come aver fatto niente. Se riuscirà a ottenere questo da Monti e Grilli, sia pure un pochino, Passera per conto mio non passerà. EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 23




PACKAGING VALLEY

La forza dell’innovazione continua Il settore dell’imballaggio sembra non subire gli effetti della crisi, grazie alla ricerca scientifica e a nuovi brevetti. Per continuare a primeggiare però è necessario un maggiore scambio tra università e mondo del lavoro. Ne parla Giuseppe Lesce Teresa Bellemo

na delle eccellenze industriali italiane è rappresentata dal settore del packaging. La concentrazione maggiore di imprese attive nel comparto si trova in Emilia Romagna, Lombardia, Veneto e Piemonte. Grazie all’innovazione e alla continua ricerca scientifica e tecnologica, il settore sembra non risentire della crisi economica e negli ultimi anni ha continuato a crescere a cifre da record. I costruttori italiani di macchine per il confezionamento e l’imballaggio hanno chiuso, infatti, il 2011 in modo brillante. Con un incremento del 14,4 per cento rispetto al 2010, anno in cui il giro d’affari generato aveva raggiunto i livelli precrisi, quest’anno il fatturato di settore ha raggiunto i 4.300 milioni di euro, superando le performance dell’anno record, il 2008, quando si toccò il tetto dei 3.827 milioni di euro. A guidare l’associazione che raggruppa la maggior parte delle imprese del settore, l’Ucima, è Giuseppe Lesce, da poco riconfermato presidente fino al 2016. Per Lesce, nonostante il settore dimostri dinamismo e buoni risultati, permane il problema dell’accesso al credito. «Quelle

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aziende che, oltre a essere indebitate, incontrano sempre più difficoltà a ottenere credito perché il sistema si è irrigidito faranno sempre più fatica a continuare la loro attività. Poco importa se sono sane oppure no, troppo spesso gli istituti bancari tendono ad eccessi di prudenza o a fare di tutta l'erba un fascio». L'iniziativa “Porte aperte all’Ucima” ha avuto ottimi risultati. La vostra associazione ha superato i cento iscritti. «È una prova tangibile del nuovo corso avviato un anno fa. Sempre più aziende del settore sono state infatti conquistate dall’elevata professionalità e qualità dei servizi offerti: negli ultimi sei mesi venti nuove aziende, in maggioranza pmi, hanno deciso di entrare a far parte della nostra associazione, portando il numero totale degli associati a 101. Inoltre, dal lancio dell’iniziativa “Porte aperte all’Ucima”, avviata a settembre 2011, che ha consentito alle imprese del settore l’ingresso gratuito per un periodo limitato, le aziende che hanno aderito sono state 60. È una risposta molto importante per un’associazione che un anno fa ha deciso di intraprendere un percorso di integrazione


Giuseppe Lesce

Mantenersi all’avanguardia è vitale. Si ottengono migliori marginalità e, dunque, altre risorse da investire

operativa con un’altra realtà del sistema confindustriale che associa i costruttori di macchine per ceramica (Acimac). L’elevata qualità dei servizi offerti e il supporto assicurato alle aziende sta infatti spingendo molte imprese del settore ad entrare nel nostro sodalizio associativo». Il vostro è uno dei settori più vivi, anche in un periodo di crisi come questo. Quali sono state le strategie che lo hanno reso possibile? «È facile cadere nel banale rispondendo a questa domanda. I fattori sono diversi, ma sono semplici e non sono segreti: ci sono imprenditori con la I maiuscola che nel loro lavoro mettono impegno e sacrificio, che investono costantemente, che sono aperti al mercato globale, che offrono macchinari all’avanguardia su tutti i mercati mondiali adeguandoli alle diverse esigenze della clientela. Io sono un manager e l’esperienza di Ucima mi ha dato la meravigliosa opportunità di conoscere da vicino persone meravigliose che guidano aziende costantemente orientate al mercato e all’innovazione». La dimensione delle aziende quasi sempre non supera le cento unità. Quali i vantaggi e quali, invece, gli svantaggi?

«È vero che ci sono tante aziende di dimensioni medio-piccole o piccole, ma è anche vero che una gran parte del fatturato di settore è realizzato da aziende di dimensione ragguardevole che realizzano fatturati importanti e che sono vere e proprie multinazionali. Non a caso nel 2011 abbiamo sfiorato il 90 per cento nella quota di esportazioni delle nostre macchine. Piccolo è sempre stato sinonimo di dinamismo ma, in un mercato globale, la dimensione può essere un fattore critico e molto limitante. Per questo credo fortemente che, specialmente le aziende più piccole, dovrebbero approfittare di ciò che l’associazionismo può dare loro per faSopra, vorire azioni nei mercati più lontani e difficili Giuseppe Lesce, che grazie ad esso possono diventare più agevoli presidente di Ucima e semplici». Quanto è importante il fronte della ricerca e dello sviluppo per combattere la concorrenza internazionale? «L’essere e il mantenersi all’avanguardia è vitale. Senza tutto questo si perdono inevitabilmente quote di mercato e si esce dalla competizione molto rapidamente. Più si fa innovazione e più si può uscire dalla mischia, dove per mischia in- EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 27


PACKAGING VALLEY

4.300 mln FATTURATO REGISTRATO NEL 2011 DAI COSTRUTTORI ITALIANI DI MACCHINE PER IL CONFEZIONAMENTO E L’IMBALLAGGIO CON UN INCREMENTO DEL 14,4% RISPETTO AL 2010

tendo quell'ampia fetta di mercato indifferen-

ziata dove sono entrati o entreranno anche i paesi a basso costo. Innovando infatti si ottengono migliori marginalità e, dunque, altre risorse da investire. Anche in questo senso la dimensione aiuta, ma solo se accompagnata da una buona gestione». I recenti dati Istat delineano in Italia la disoccupazione giovanile ai massimi storici. Quali suggerimenti potrebbe dare a un giovane che volesse lavorare nel settore? Quali sono le caratteristiche che deve avere? «Su questo tema potrei argomentare per ore e mi spingerei a parlare anche di famiglia, relativismo e altro ancora. Volendo sintetizzare dirò che purtroppo in Italia viviamo troppo spesso a compartimenti stagni. Estremizzando il concetto, a titolo esemplificativo, sembra che la politica, la scuola e l’industria vivono ciascuno nel proprio mondo. Abbiamo tanti giovani che si iscrivono con idee vaghe a corsi di laurea che non danno sbocchi, ma che manteniamo in vita proprio per il numero di studenti iscritti, mentre dall’altro lato le imprese fanno fatica a trovare pe-

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riti e ingegneri. C’è stata una riforma dell’università che ha messo sullo stesso piano il corso di Scienze e tecnologie del packaging, i cui studenti non avevano problemi di lavoro, con il corso in Scienze dell’allevamento, igiene e benessere del cane e del gatto. Ritengo che non sia più possibile operare in questo modo, continuando a mantenere il mondo della scuola e quello dell’industria come due ambiti completamente separati. Se volessi sintetizzare la ricetta in una parola sola, sceglierei “umiltà”, perché è una grandissima virtù e ce n’è una carenza incredibile e sottovalutata nella sua importanza». Una delle conseguenze principali della crisi per le aziende è il credit crunch. Quanto le aziende del settore che hanno risentito di questo fenomeno? «Nuovamente la dimensione ha un peso. Per alcune aziende il problema del credito ha significato l’impossibilità a sopravvivere. Sicuramente il nostro settore ne ha risentito meno di altri. Per le nostre aziende la crisi si è tradotta nel 2009 in una riduzione media del 15 per cento del giro d’affari. Siccome ci sono aziende che sono cresciute anche in quell’anno, vuol dire che alcuni hanno subito contrazioni forti e, in questi casi, senza credito non si sopravvive. L’assurdo è che, sovente, il credito è stato negato alle stesse aziende guidate dalle stesse persone che ne avevano beneficiato per anni e che non avevano modificato in maniera sostanziale modelli di business e risultati. Ritengo pertanto che sia necessaria una banca “nuova”, una banca dunque capace di valutare in concreto i business plan, in grado di suggerire e sostenere le aziende nei loro piani di sviluppo; in poche parole, una banca partner».


Bruno Filetti

Vincere sui mercati in punta di brevetto La packaging valley bolognese sembra non accusare la crisi economica e compete con la Germania per la leadership mondiale. I suoi punti di forza sono innovazione e ricerca Teresa Bellemo

ome spesso accade nel caso di distretti e cluster produttivi, le aziende di un territorio si uniscono nel produrre un’unica categoria merceologica. Questo fa sì che si possano sviluppare know-how e relazioni che fanno da catalizzatore soprattutto per quanto riguarda innovazione e brevetti, permettendo alle aziende di imporre e di fissare la propria leadership non soltanto a livello nazionale ma anche a livello globale. È così che la provincia bolognese si è guadagnata l’appellativo di packaging valley, ma molte sono anche le aziende dislocate in tutta l’Emilia Romagna, in Piemonte e Veneto. Insieme queste realtà rappresentano più dell’80 per cento delle aziende del settore. La maggior parte della produzione delle macchine per il confezionamento e l’imballaggio viene assorbita dal comparto ali-

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mentare (oltre il 40 per cento del fatturato del settore) e da quello farmaceutico e cosmetico, che rappresenta poco meno del 25 per cento. Nel 2011 la forte spinta innovativa e la continua ricerca hanno permesso all’industria italiana del confezionamento e dell’imballaggio di rafforzare ulteriormente la quota delle sue esportazioni sul fatturato totale, passata infatti Sopra, dall’88,4 per cento del 2010 all’89,5 per cento il presidente della dello scorso anno. In termini assoluti, con Camera di Commercio l’incremento del 15,9 per cento sul 2010, il di Bologna, Bruno Filetti fatturato generato all’estero è stato pari a 3.850 milioni di euro. Il comparto dimostra una particolare effervescenza nel mercato globale e, inoltre, rimane a livelli pre-crisi per quanto riguarda il mercato interno. Con 450 milioni di euro (+2,9 per cento sul 2010), il fatturato generato dal mercato interno continua a rappresentare circa il 60 per cento del EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 29


PACKAGING VALLEY

Il successo del comparto dipende sicuramente anche da un clima improntato all’accoglienza e alla condivisione

consumo nazionale. Le importazioni, invece, di poter dire che più forte della scossa è stata sono state pari a 342 milioni, in calo di 2,6 per cento rispetto al 2010. Bruno Filetti, presidente della Camera di Commercio di Bologna, analizza la situazione della provincia di Bologna. Qual è lo stato di salute del comparto produttivo locale? «Dato che il mercato italiano copre una parte limitata delle produzioni, i vettori principali di sviluppo si trovano nel mercato globale. A trainare l’economia sono soprattutto i gruppi di media dimensione che operano prevalentemente nei comparti industriali, come nel caso del packaging, con la capacità di muoversi a livello internazionale. I recuperi di produzione sono ancora modesti, ma si vanno rafforzando e fanno ben sperare». La crisi economica e il recente terremoto, quanto hanno colpito le aziende della packaging valley? «Il colpo c’è stato e ha determinato il primo terremoto industriale italiano. Ma oggi credo 30 • DOSSIER • EMILIA-ROMAGNA 2012

la forza di reazione, infatti siamo ripartiti tutti subito. Al punto che la seconda terribile scossa ha colpito tragicamente proprio chi era già sul posto di lavoro nelle prime ore della mattina Siamo consapevoli di essere uno dei poli più avanzati al mondo nella capacità di competere con l’estero. Manterremo questa posizione nonostante il terremoto». Quali sono le basi del successo del comparto del packaging, leader nel mondo? «Innovazione, impianti modernissimi, una competenza tecnica diffusa che consente servizi adeguati a ogni esigenza. Un ingrediente non trascurabile è un clima sociale e civile improntato alla accoglienza e alla condivisione, elementi imprescindibili per cogliere le esigenze dei mercati più lontani. La leadership acquisita negli anni dai costruttori italiani di macchine automatiche per il confezionamento e l’imballaggio si basa infatti su quattro capisaldi fondamentali: elevato livello tecnologico-qualitativo delle soluzioni proposte,


Bruno Filetti

UN SETTORE DA RECORD GRAZIE ALL’EXPORT on un fatturato 2011 superiore ai 4,3 miliardi di euro, il settore dei costruttori italiani di macchine automatiche per il confezionamento e l’imballaggio è un settore leader a livello internazionale, che si contende il primato con i costruttori tedeschi, ancora al primo posto per vendite di macchinari nel mondo. Il 50 per cento delle macchine automatiche per il confezionamento e l’imballaggio vendute nel mondo sono infatti italiane o tedesche. Quello del packaging, costituito da circa 150-200 aziende di dimensioni industriali, a cui si aggiungono circa 100 unità produttive con caratteristiche artigianali, è uno dei settori italiani con la più alta propensione all’export (90 per cento). Con un incremento del 15,9 per cento sul

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2010, il fatturato generato all’estero nel 2011 è stato pari a 3.850 milioni di euro. La quota maggiore, quasi il 65 per cento, ha varcato i confini dell’Unione europea, che però rimane, con il 34,1 per cento del totale, la principale destinazione dei macchinari italiani. L’Asia, e in particolar modo la Cina, si confermano anche nel 2011 il principale sbocco extraeuropeo con il 26,4 per cento dell’export totale. Per quanto riguarda il 2012, le previsioni sono caute. «Il rallentamento in atto dagli ultimi mesi del 2011 e il perdurare di una situazione di incertezza su tutti i mercati mondiali – osserva il presidente di Ucima, Giuseppe Lesce – ci portano a prevedere una chiusura d’anno sui livelli raggiunti nel 2011».

estrema personalizzazione e flessibilità produttiva delle macchine, puntuale servizio di assistenza post-vendita su tutti i mercati mondiali, forte competitività grazie alla convivenza di grandi gruppi integrati e di piccole e medie imprese altamente specializzate che offrono, nel complesso, un’intera gamma di macchinari per tutte le tipologie di prodotto». Quanto l’internazionalizzazione favorisce e quanto invece penalizza la packaging valley? «La packaging valley esiste perché l’orizzonte che ci si è sempre posti è quello dei mercati esteri. Operare in questo settore implica un livello di investimenti e di ricerca che un pa-

norama ampio come quello mondiale giustifica e richiede». Quali sono oggi i mercati esteri più interessanti su cui concentrarsi e quali i settori più promettenti che possono svolgere il compito di volano per lo sviluppo? «Escludendo le zone di guerra, tutti i paesi asiatici, americani, africani, e medio orientali hanno necessità di macchine per il confezionamento di medicinali, cosmetici e alimentari. Sicuramente molto interessanti sono tutti i paesi Brics, che in questi anni stanno mostrando importanti tassi di sviluppo interno, ma è interessante anche una realtà in forte crescita come la Turchia». EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 31


In aumento l’ecosostenibilità del packaging onostante una situazione economica caratterizzata da flessioni su tutti i settori, il primo semestre 2012 si è mantenuto sui medesimi livelli dello stesso periodo dell’anno scorso. E guardando anche agli ultimi anni, dopo le difficoltà del biennio 2008-2009, abbiamo registrato un sensibile e costante incremento del fatturato in valore e in quantità». È questo il quadro di mercato che presenta Gian Carlo Nigelli, ti-

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Imballaggi capaci di garantire l’integrità e la qualità dei prodotti lungo tutto il percorso di trasporto intermodale. E al tempo stesso rispettosi dell’ambiente. Un’analisi delle necessità del mercato del packaging a cura di Gian Carlo Nigelli Manlio Teodoro

tolare della Nigelli Imballaggi, una delle principali realtà emiliane del packaging in cartone ondulato e legno. «Crediamo – prosegue Nigelli – che i nostri buoni risultati siano dovuti sia alle nostre scelte aziendali – siamo riusciti nell’acquisizione di nuovi partner e abbiamo introdotto la modalità Kanban per la gestione degli ordini –, sia a un’offerta di prodotti e servizi che hanno mantenuto costante nel tempo i requisiti di competenza e serietà. Per questo il nostro motto si conferma “Arrivare sani un centimetro prima”, che per noi vuol dire mettere a disposizione la nostra esperienza per la realizzazione di un prodotto che risponda al suo ruolo: proteggere il contenuto e le sue caratteristiche di qualità lungo tutto il percorso di trasporto e stoccaggio».

Gian Carlo Nigelli, titolare della Nigelli Imballaggi Srl di Sasso Marconi (BO), insieme alla figlia Carlotta, responsabile programmazione e settore legni www.nigelliimballaggi.it


Gian Carlo Nigelli

A questo proposito, su quali progetti di innovazione e sviluppo state lavorando in questo momento? «Nella convinzione che l’imballo in cartone ondulato possa avere ulteriore sviluppo, la nostra società ha brevettato ultimamente due nuovi imballi destinati al settore frutta e utilizzabili immediatamente nella fase della raccolta, contribuendo così ad abbassare diverse voci di spesa per il produttore. Inoltre, per favorire le attività di ricerca e sviluppo in collaborazione fra le aziende del settore, la nostra impresa si è fatta promotrice della fondazione del Consorzio Italiano Scatolifici (Cis). Si tratta di un consorzio mai esistito prima nel nostro settore e che raggruppa le migliori aziende trasformatrici presenti sul mercato italiano. Abbiamo creato questo ente per tutelare gli interessi di una categoria troppo spesso marginalizzata all’interno in un mercato in cui vigono poche regole. Siamo già un gruppo numeroso e contiamo che questo ci aiuterà ad affrontare in maniera adeguata il momento difficile che il no-

I nostri prodotti sono totalmente riciclabili. Poniamo la massima attenzione nella scelta dei materiali accessori, come inchiostri e colle

stro paese sta vivendo». Per trasferire dai laboratori alla produzione le vostre innovazioni, recentemente, quali investimenti in tecnologia avete effettuato? «Nel 2011 abbiamo installato una nuova linea di trasformazione, attualmente unica in Italia per dimensioni, dedicata alle lavorazioni del cartone ondulato e dotata di tre colori per stampa flexo. Questo investimento ci permette di pensare che nonostante la crisi che attanaglia il mondo produttivo italiano, destinando risorse all’innovazione sia possibile guardare al futuro con una discreta dose di ottimismo. Del resto, la nostra azienda proprio quest’anno ha superato la soglia dei vent’anni di attività. Questo ci ha stimolato, nell’ultimo biennio, a investire anche su altri fronti. E infatti nel 2010 abbiamo acquisito un’azienda di Sala Bolognese che produce ❯❯

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PACKAGING VALLEY

❯❯ imballaggi in legno, aumentando così la gamma dei prodotti». A quali settori industriali si rivolge il vostro prodotto? «Il settore imballi in cartone ondulato e legno trova utilizzatori in tutti i settori merceologici e industriali: noi amiamo dire che imballiamo dai cioccolatini alla polvere da sparo. Comunque ci rivolgiamo principalmente al settore metalmeccanico. Questa categoria di prodotto è caratterizzata da imballi di grandi dimensioni, con proprietà di particolare robustezza e resistenza ai carichi e la capacità di sopportare viaggi stressanti con i più diversi mezzi di trasporto. Producendo principalmente questa tipologia di imballi voluminosi, anche se ripiegati per il minore ingombro possibile di stoccaggio, ci vediamo attualmente costretti a operare su un mercato pressoché esclusivamente regionale – tuttavia i nostri imballaggi, insieme al loro contenuto, viaggiano in tutto il mondo». Nell’ultimo anno, da quali settori sono venute le maggiori commesse e quali sono,

Per bilanciare il calo di ordini in alcuni settori abbiamo privilegiato i committenti che hanno il loro mercato principale all’estero

invece, i settori in sofferenza? «Il settore metalmeccanico si è confermato quello dal quale abbiamo ricevuto la maggior parte della domanda. In altri settori come abbigliamento, alimentare e agricolo, abbiamo notato una contrazione degli ordini, che d’altra parte rispecchia la situazione contingente del mercato. La nostra strategia per bilanciare il calo di ordini in alcuni settori è stata quella di privilegiare i committenti che hanno il loro mercato principale all’estero. Stiamo insomma sfruttando il fatto che al momento l’economia italiana che riesce a


Gian Carlo Nigelli

crescere è quella orientata all’export, dato che i consumi interni sono stagnanti». Lavorando con carta e legno, qual è la vostra politica per una produzione ecosostenibile e orientata al riciclo? «I nostri prodotti sono totalmente riciclabili, anche grazie al fatto che poniamo la massima attenzione nella scelta dei materiali accessori che utilizziamo nel processo produttivo, come inchiostri e colle. Inoltre, insieme ai nostri consulenti, abbiamo avviato il percorso per ottenere le due certificazioni senza dubbio più importanti per il futuro, ovvero la Iso 14001 per l’ambiente e la Iso 18001 per la sicurezza. Al di là delle nostre scelte a livello di azienda, poi, quello dell’ecosostenibilità è uno dei temi principali attorno ai quali si sono raccolte le aziende che con noi hanno fondato il Consorzio Italiano Scatolifici». Quali crede saranno, invece, nei prossimi anni, le evoluzioni per quanto riguarda materiali e modo di intendere il packaging industriale? «A nostro modo di vedere la prima vera rivoluzione, soprattutto guardando alla conservazione dell’ambiente, è quella che può investire i comportamenti che ogni individuo, ente o industria può e deve mettere in pratica, utilizzando tutte le attenzioni necessarie per non inquinare. Ogni materiale esistente in fondo si trova già in natura, sta all’uomo utilizzarlo al meglio e non contro se stesso con abusi o sprechi. Credo che il packaging in carta e legno abbia ancora molto da offrire su questo fronte, soprattutto grazie alla grande opportunità che offre di essere riciclato, limitando così lo spreco di risorse, materie prime e l’inquinamento ambientale». Dal vostro osservatorio, quali prospettive vedete per una ripresa dell’economia italiana? «Sarebbe certamente semplice porre il discorso esclusivamente su un piano politico.

Da 20 anni nel packaging industriale Dai bicchieri di cristallo alle motociclette, dagli elettrodomestici ai vini pregiati. È su questa amplissima e variegata gamma di prodotti che Nigelli Imballaggi, azienda di Sasso Marconi, in un ventennio, ha consolidato il proprio know how nella realizzazione di packaging in cartone ondulato, entrando recentemente anche nel settore legno, con l’acquisizione di una società con base a Sala Bolognese. L’attività di Nigelli è supportata da valori profondi, come la tradizione familiare, la cooperazione, l’innovazione e il rispetto dell’ambiente. Il livello di qualità raggiunto nella realizzazione di prodotti personalizzati ed efficaci per la risoluzione di problematiche progettuali, logistiche e strategiche, è comprovato dalle certificazioni ottenute dall’azienda. I materiali utilizzati, di varie tipologie di cartone a due o tre onde, sono omologati BSVF e rispondono alle specifiche Din 55468, mentre le caratteristiche dei collanti e le specifiche tecniche relative alla compressione e allo scoppio, rendono gli imballi adatti anche al trasporto navale e allo stoccaggio in pile. Inoltre, grazie al marchio Resy, il produttore garantisce che la materia prima utilizzata sia carta riciclabile al 100 per cento.

Tuttavia, se soltanto togliessimo al sistema Italia il 50 per cento della sua burocrazia – che rappresenta un forte freno alla possibilità di fare delle aziende –, si riuscirebbe a ridare uno slancio di fiducia al mondo produttivo. Per nostra esperienza sappiamo che quando un’impresa si appresta alla realizzazione di un progetto, nel momento in cui inizia concretamente ad attuarlo si trova di fronte a decine di complicazioni e sbarramenti che ne ritardano l’immissione sul mercato. E spesso nel momento in cui è conclusa la lunga trafila burocratica, il progetto è pressoché superato dal mercato o ha comunque perso la componente fondamentale del suo vantaggio competitivo potenziale, ovvero la novità». EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 35


PACKAGING VALLEY

Il packaging, campione nell’export l settore del packaging sta vincendo la crisi a suon di export. Così si potrebbe riassumere la situazione attuale di un settore che continua a far registrare dati positivi e confortanti sul fronte del mercato internazionale. Sì, perché se già nel 2011 i produttori italiani si erano aggiudicati un incremento delle esportazioni del 16 per cento, quest’anno si prevedono risultati ancor più interessanti. A testimoniare la fondatezza di queste previsioni sono le quantità di prodotto in costante aumento che le aziende italiane impegnate nel packaging destinano al mercato estero. Proprio tra queste imprese si colloca la V2 Engineering di Zola Predosa, in provincia di Bologna, attiva nel comparto da oltre ventanni. «Negli ultimi tempi – spiega Carlo Veronesi, amministratore unico della società – nel nostro ambito di riferimento l’export ha assunto un ruolo sempre più fondamentale, portando così a un suo incremento costante e a un radicale cambiamento dei mercati di destinazione. Negli ultimi cinque anni, la nostra impresa ha visto passare l’export dal 60 per cento all’85 per cento del volume d’affari. Ciò significa che la strategia del “guardare lontano” e avere un ampio raggio d’azione paga in maniera concreta, soprattutto durante questo periodo di crisi finanziaria». Come la crisi economica mondiale influisce sullo sviluppo internazionale di

I Carlo Veronesi, amministratore unico della V2 Engineering Srl di Zola Pedrosa (BO) www.v2engineering.it

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Crescono ancora le esportazioni del settore del confezionamento. Per un pieno sviluppo del comparto, però, rimangono da risolvere gli ostacoli creati dalla crisi, che rallentano l’internazionalizzazione delle imprese italiane. Ne parla Carlo Veronesi Emanuela Caruso

un’azienda come la V2 Engineering? «La crisi ci ha posto di fronte una serie di problematiche che se non risolte in tempi rapidi potrebbero rovinare le piccole e medie imprese come la nostra. In particolare è necessario porre rimedio all’eliminazione dell’ente Ice, rimedio già previsto dal governo Monti ma non ancora attuato. È importante perché i costi e le energie richieste dall’internazionalizzazione dei mercati sono elevati e gli aiuti di organi istituzionali diventano essenziali. Inoltre, bisogna trovare nuovi finanziamenti, unico modo per sostenere la competitività nei confronti della concorrenza estera. Nel nostro settore, il competitor più temibile è la Germania, che spesso e volentieri si dimostra finanziariamente più vantaggioso rispetto alle imprese italiane. Infine, per presentarsi al meglio sul mercato mondiale, è necessario aggregarsi con altre piccole imprese, così da proporre ai clienti forniture di linee complete e non parziali». Quali altre problematiche si riscontrano nel vostro settore? «Sicuramente la difficoltà nel mantenimento della capacità produttiva. È sempre più difficile infatti reperire tecnici specializzati, progettisti


Carlo Veronesi

meccanici ed elettronici. C’è bisogno di più formazione aziendale e di un maggior trasferimento delle conoscenze in termini di passaggio generazionale. Personalmente sono convinto del fatto che la soluzione a questo problema passi attraverso le scuole, i corsi specializzati e le istituzioni competenti». A quali settori sono destinati i prodotti della V2 Engineering? «Le macchine e le linee di imballaggio e confezionamento da noi prodotte vengono indirizzate verso settori industriali molto diversificati, di cui i più importanti sono l’alimentare, la cosmetica, il farmaceutico e il comparto dell’igiene». Quanto è importante per un’azienda come la vostra la ricerca e lo sviluppo di nuove soluzioni? «Il settore del packaging esige continua innovazione, ragion per cui è necessario essere molto flessibili e dotati di tecnologie moderne. L’aspetto più importante, oggi, è la possibilità di personalizzare il prodotto finito,

Alla fine del 2012, l’export arriverà a coprire l’85 per cento del volume d’affari della V2 Engineering

per cui noi produttori abbiamo il compito di realizzare macchine sempre più duttili e rispondenti in maniera ottimale alle specifiche esigenze dei clienti. Per ottenere una produzione del genere, la V2 Engineering impiega ogni anno il 10 per cento del proprio fatturato nella ricerca e nello sviluppo di nuovi macchinari e apparecchiature». Come è strutturato il piano commerciale della V2 Engineering? «Da sempre consapevoli di poter rispondere alle specifiche richieste di qualsiasi cliente e di poter proporre macchine innovative e competitive, abbiamo strutturato la nostra società attraverso una rete commerciale di vendita in grado di coprire i principali paesi industrializzati. Inoltre, dedichiamo grandi risorse ed energie alla partecipazione a fiere internazionali ed europee, e in particolar modo alle fiere del mercato BRICST».

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INNOVAZIONE

Contro la crisi, dalla Formula 1 all’aeronautica Quando la diversificazione non è solo sinonimo di salto nel buio. La Poggipolini è uscita dal blocco congiunturale della meccanica con l’allargamento della produzione: ecco, nelle parole di Stefano Poggipolini, come è passata dalle Ferrari agli aerei di linea Renato Ferretti

Da sinistra, Michele Poggipolini, Rosanna Masi, Stefano Poggipolini e, seduto, Calisto Poggipolini, dell’azienda di San Lazzaro di Savena (Bo) www.poggipolini.it

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on sono pochi gli imprenditori che hanno trovato il modo di guadare alla recessione ampliando i propri orizzonti produttivi. Un esempio lampante è riscontrabile nei risultati della Poggipolini, azienda di San Lazzaro di Savena (Bo), che opera nell’ambito della meccanica d’eccellenza lavorando per marchi come Ferrari e Porsche e soprattutto per le auto della Formula 1. Ma la crisi non ha risparmiato le corse e quindi la soluzione è stata trovata in un settore in cui c’era bisogno di prodotti allo stesso modo altamente performanti. La scelta è ricaduta sul settore aeronautico, a quanto pare con esiti più che positivi. Eppure il settore non sembra godere di buona salute: secondo le cifre gli utili sono in calo e dopo il picco di 15,8 miliardi di euro registrato nel 2010 si aspetta una caduta a 3 miliardi di dollari, a fronte dei 7,9 miliardi dello scorso anno. Il rischio fallimento è dietro l’angolo per tantissime compagnie aeree, come dimostra il calo dei profitti rispetto all’anno scorso del 62 per cento. Ma non mancano segnali positivi che potrebbero ribaltare il quadro: uno per tutti, l’aumento del numero di passeggeri. A illustrarci il piano d’azione portato avanti finora dall’azienda bolognese, è il titolare Stefano Poggipolini, che spiega come la diversificazione progettata stia dando buoni frutti nonostante la crisi di settore. «Dopo un 2009 e un 2010 difficili – dice – , abbiamo comunque continuato a investire e a diversificare il nostro business puntando al settore aeronautico. Noi ci siamo formati in Formula 1, negli ultimi 25 anni il fatturato proveniva soprattutto da lì. Ma a causa del nuovo regolamento tecnico, focalizzato sull’abbassamento dei costi, ci siamo dovuti rivolgere al settore aereonautico. Così nel 2011 siamo riusciti a chiudere con una crescita del 15 per cento».

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Stefano Poggipolini

Com’è nata questa scelta? «Invece di continuare a intestardirci in un settore, abbiamo deciso di diversificarci e oggi lavoriamo ancora con la Formula 1, ma non è quello il settore che porta la maggior quota di fatturato. Il fatturato previsto per il 2012 è 10 milioni di euro, di cui l’aeronautica supera quota 50 per cento, con una crescita importante perché il 2011 si era chiuso a 8,5 milioni. Adesso in azienda siamo in 50, in quattro stabilimenti diversi tutti qui a San Lazzaro. E stiamo facendo nuove assunzioni perché siamo in crescita». Poggipolini è conosciuta anche per l’innovazione tecnologica. Quali sono le novità? «Noi investiamo un 10-15 per cento del fatturato in innovazione e sviluppo. Oltre agli investimenti in aeronautica, la novità è stata lanciata quattro anni fa nel settore automotive granturismo. Portiamo tecnologia nelle auto di produzione Ferrari, Lamborghini, Porsche, Bugatti, McLaren e proponiamo nuovi prodotti, progettati da noi, in titanio e altre leghe speciali, per alleggerire e rendere più uniche queste vetture esclusive. Il bullone ruota in titanio è un esempio: toglie un kg a macchina, è più resistente nel tempo e non fa ruggine. Poi abbiamo progettato altre applicazioni che vedrete impiegate sulle prossime Supercars. In ogni caso l’innovazione è nei materiali, nelle applicazioni, nella tipologia di lavorazione: in particolare la simbiosi

Portiamo tecnologia in Ferrari, Lamborghini e Porsche proponendo nostri progetti speciali

tra titanio e fibra di carbonio. Tengo a sottolineare che Poggipolini rappresenta valore aggiunto per i suoi clienti, siamo loro partner tecnici, lavoriamo in co-engineering anche con i nostri committenti aeronautici, in particolare con Agusta-Westland e Alenia». Geograficamente dove si collocano i maggiori business? «In Italia. Anche se stiamo crescendo molto in Inghilterra, Francia e Germania. In Francia per quanto riguarda l’aeronautica, e attraversiamo anche la Manica nel settore automotive. Chi ha un prodotto di tecnologia non sente tanto la competizione straniera. Con un prodotto tecnologico e innovativo non temiamo nessuno. Uno dei problemi è che non siamo molto convinti delle tutele sui brevetti e sui progetti. Ci sono, ma abbiamo idea che ti proteggano solo fino a un certo punto». Il distretto della meccanica secondo lei si riprenderà? Su quali leve bisogna premere? «Il lavoro è tornato, la ripresa dell’economia reale c’è. Per quanto ci riguarda il futuro è l’aeronautica, dove prevediamo uno sviluppo importante. Ci presenteremo a una fiera importante a Le Bourget. Anche nell’automotive vedo una buona crescita. La Formula 1 invece la vedo stabile». EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 39


INNOVAZIONE

Il valore della ricerca italiana n un settore come quello delle caldaie e dei sistemi per il riscaldamento industriale e domestico, dominato da grandi multinazionali, l’impegno nella ricerca e la volontà di fare innovazione hanno permesso a una realtà italiana di assumere un ruolo di primo piano come avanguardia tecnologica. E ciò senza cedere alla delocalizzazione produttiva, in assenza di economie di scala – caratterizzanti i grandi gruppi competitor –, ma soprattutto investendo ingenti risorse in ricerca e sviluppo. L’azienda in questione è la Unical, eccellenza made in Italy nella progettazione e realizzazione di gruppi termici per uso civile e industriale. A dimostrarlo ci sono i 50 brevetti ottenuti dall’azienda nei 40 anni di presenza sul mercato e di impegno nell’innovazione. Come afferma Sergio Fiorani, entrato in Unical nel 1994 e oggi general manager: «L’essere un’azienda indipendente dai grandi gruppi che dominano il settore è stata una nostra precisa scelta. Come parte di una realtà più grande non

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Andare controcorrente, producendo in Italia, per far valere la propria specificità e competenza. È la strategia dell’impresa guidata da Sergio Fiorani. Quando ricerca e sviluppo contano più delle dimensioni Valerio Germanico avremmo potuto sviluppare la nostra tecnologia, né saremmo stati liberi di seguire le nostre strategie, commerciali e di prodotto». Quale accoglienza ha avuto sul mercato questa vostra volontà di “fare da soli”? «Lo sviluppo commerciale non è stato facile se paragonato alla forza, nel gestire i numeri, i costi e i prezzi, dei nostri grandi competitor. Però la nostra è stata una scelta di campo ben precisa: investire in ricerca e sviluppo per poi proporci a quei mercati che sanno riconoscere e apprezzare


Sergio Fiorani

FATTURATO

60 mln CIFRA RELATIVA AL 2011. ANNO IN CUI LA SOCIETÀ HA RAFFORZATO L’EXPORT, CHE RAGGIUNGERÀ IL 35% SUL TOTALE NEL 2012

la tecnologia. Abbiamo scelto inoltre di andare sul mercato con un prodotto made in Italy – infatti le nostre caldaie espongono il logo “Ami” (Absolutely made in Italy) da noi creato, la produzione è realizzata negli stabilimenti di Piacenza e Mantova. Pure questa è una stata una scelta controcorrente, dato che la delocalizzazione produttiva è quanto mai attuale. Però il nostro voler fare da soli ha dato i suoi risultati». Qual è il bilancio che può trarre dell’ultimo anno di attività? «Dal punto di vista delle performance commerciali siamo riusciti a portare in crescita, dopo alcuni anni di difficoltà, il mercato dell’export. Stiamo quindi cercando di equilibrare maggiormente le esportazioni rispetto alle vendite nazionali – anche se riteniamo che il mercato interno sarà sempre il nostro punto di riferimento più importante. Nel corso del 2011 la nostra quota di export è cresciuta del 26 per cento e quest’anno, sulla base dei risultati ottenuti durante il primo semestre, prevediamo di crescere un altro 14 per cento. Sul totale del nostro fatturato, entro l’anno, le vendite all’estero rappresenteranno circa il 35 per cento. Questi risultati sono stati favoriti dal nostro impegno nello sviluppo di nuovi prodotti. Infatti, nell’ultimo biennio abbiamo lanciato sul mercato diverse nuove gamme di caldaie, sia di tipo tradizionale che a condensazione, ampliando inoltre la gamma di caldaie a condensazione per sistemi centralizzati».

Quali sono i mercati esteri sui quali state puntando maggiormente? «Sicuramente il mercato statunitense è quello In alto, Sergio Fiorani, sul quale abbiamo investito e stiamo investendo general manager di Unical Ag Spa di più. E anche questa scelta ci vede in contro- di Castel d’Ario (MN) tendenza rispetto al nostro settore. Questo per- www.unicalag.it ché per commercializzare nel mercato americano è necessario ottenere certificazioni, che presentano parametri assai restrittivi, costi elevati e richiedono parecchio impegno, anche in termini di tempo, per essere ottenute. Nonostante ciò, entro fine anno contiamo di porci sul territorio statunitense come l’azienda italiana in grado di proporre il più ampio range di prodotti: da 50 a 900 kW, coprendo sia la fascia del light commercial che del commercial – altro importante obiettivo è entrare anche nel mercato residential già nel corso del 2013. La ragione principale che ci ha spinto a puntare su questo mercato è il fatto che quello americano è un mercato estremamente difficile ma che sa riconoscere la tecnologia e apprezza in modo particolare il prodotto made in Italy. Tuttavia non intendiamo fermarci agli Stati Uniti, prevediamo che oltre all'importante mercato Russo, anche l’Australia e altri Paesi potranno essere in costante crescita». Quali sono le strategie con le quali entrate nei mercati esteri e come sono organizzate le reti commerciali all’estero? «Non essendo un grande gruppo non puntiamo all’apertura della classica filiale – perché questa avrebbe dei costi elevatissimi a fronte dei ricavi at- EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 41


INNOVAZIONE

La nostra società detiene 50 brevetti depositati e il prodotto più tecnologico del mercato

tesi. Dunque per ogni paese elaboriamo di volta

in volta una strategia ad hoc. Per esempio, negli Stati Uniti, abbiamo scelto di proporci con il nostro brand, associato a un brand americano. Abbiamo quindi cercato partner di settore, posizionati nella fascia di mercato alla quale puntiamo e sottoscritto contratti di esclusiva riferiti ai prodotti. Abbiamo adottato questa strategia perché riteniamo che per il cliente finale americano sia una garanzia superiore il fatto di potersi affidare sia a un prodotto italiano – che può vantare una tecnologia di altissimo livello – sia a un marchio presente sul territorio e quindi in grado di garantire un servizio di assistenza completo e in linea con le attese del target locale. Stiamo portando avanti la strategia delineata, per allargare le attuali collaborazioni negli Usa, sia in termini di copertura del territorio che di offerta commerciale. Dietro al gradimento del vostro prodotto c’è un importante lavoro di ricerca e sviluppo. Quali sono i dati che possono dare una misura dell’impegno in questa direzione? «La nostra società, vanta il prodotto più tecno-

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logico del mercato e negli anni ha depositato ben 50 brevetti. Siamo inoltre proprietari delle varie tecnologie sviluppate e dell’intero parco stampi e attrezzature per la produzione delle stesse. Per raggiungere questo risultato, l’investimento nella ricerca è stato basilare. Oltre il 10 per cento della nostra forza lavoro è impegnato esclusivamente sulla ricerca e sviluppo. Rapportato al dato reale, ciò significa destinare oltre 30 persone allo sviluppo tecnico e all’innovazione. Ci troviamo quindi decisamente al di sopra della media italiana». Sulla base della sua esperienza, trova che i brevetti tutelino sufficientemente la proprietà intellettuale sulle innovazioni tecnologiche? «Indubbiamente abbiamo avuto modo di riscontrare che le tutele garantite dai brevetti hanno i loro limiti. E anche un brevetto valido in tutta Europa e progressivamente esteso ad alcuni paesi extraeuropei, dopo 20 anni dal suo deposito può essere messo in discussione. Tuttavia quello del brevetto è ancora l’unico strumento che ci permette di proteggere le nostre creazioni dallo sfruttamento economico di terzi e non a caso negli ultimi tre anni abbiamo depositato 7 nuovi brevetti, 4 dei quali hanno tro-


Sergio Fiorani

40 ANNI DI INNOVAZIONE nical, che oggi impiega 300 dipendenti in quattro stabilimenti, due in provincia di Piacenza e due in provincia di Mantova, è stata fondata nel 1972 dall’ingegnere Giovanni Jahier. Dei quattro stabilimenti, due sono dedicati alla produzione, quello di Caorso (PC), in cui si realizza la gamma dei sistemi domestici e le caldaie a basamento a condensazione, e quello di Carbonara di Po (MN), in cui viene realizzata tutta la produzione in acciaio. L’azienda, da sempre attenta all’evoluzione del mercato, ma anche alla crescita professionale dei collaboratori, ha sviluppato un progetto di coinvolgimento societario dei due manager principali. Sergio Fiorani, entrato giovane in azienda, cresciuto in Unical e dimostrando la sua capacità nello sviluppo di una società controllata, è rientrato in azienda fino a raggiungere l’attuale posizione di vertice.

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vato uno sviluppo nei nostri prodotti. Non sviluppiamo solo nuove idee, ma anche soluzioni che abbiano un riscontro pratico nella progettazione e nel funzionamento». Da quali paesi prevede che in futuro possano emergere nuovi soggetti capaci di inflazionare il mercato? «Allo stato attuale è molto difficile per un nuovo produttore, che parta da zero, raggiungere la copertura della gamma completa dei prodotti che oggi noi riusciamo a proporre al mercato. Un nuovo soggetto, a mio avviso deve necessariamente concentrarsi su un settore specifico. Per esempio sul mercato della caldaia domestica piuttosto che su quello delle caldaie centralizzate, penso che questo possa valere a carattere generale. Possiamo vantare un catalogo prodotti completo di produzione interna a Unical, in linea e spesso anche superiore a quello di gruppi enormemente più grandi di noi. Andiamo fieri di questo aspetto perché oltre che essere il frutto di un importante lavoro sviluppato negli anni, riteniamo che ci identifichi come un’azienda, me lo lasci dire, un po’ speciale». Quali sono le sfide, gli investimenti e gli obiettivi che attendono Unical nel prossimo futuro? «Nei nostri 40 anni di presenza sul mercato – traguardo raggiunto proprio nel 2012 – abbiamo sempre cercato di essere un passo avanti, di pensare e lavorare come dei pionieri del no-

stro settore. E siamo riusciti a farlo proponendo prodotti e idee per primi. La sfida rappresentata dai prossimi anni è quindi quella di continuare a essere un’azienda orientata all’innovazione. Attualmente il progetto per il futuro, sul quale stiamo investendo, è quello che prevediamo diventerà entro i prossimi dieci anni il cardine delle tecnologie per il riscaldamento: ovvero l’integrazione di un sistema di coogenerazione di energia. Il nostro obiettivo è proporre una tecnologia di semplice fruizione e di dimensione tale da poterne favorire lo sviluppo di massa. Pensiamo insomma a una micro-cogenerazione a metano e le applicazioni di questa tecnologia, che brevetteremo, porteranno una piccola rivoluzione anche su tutti i nostri attuali sistemi a condensazione». EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 43


INNOVAZIONE

Più competitività senza la “zavorra” burocratica Ridurre il peso della burocrazia per favorire progetti e politiche di innovazione e internazionalizzazione. Solo così, secondo Valerio Maccaferri, sarà possibile uscire dalla situazione di empasse che ormai da tempo condiziona la crescita delle Pmi italiane Guido Puopolo

ontinuare a investire in ricerca e innovazione, per conquistare nuovi spazi e mercati all’interno di un settore, come quello delle macchine automatiche, tra i più evoluti da un punto di vista tecnologico. È questa la strada scelta dalla Italcamme di Minerbio, che da oltre cinquant’anni opera con successo nel campo dell’automazione industriale, come racconta Valerio Maccaferri, socio di maggioranza e presidente dell’azienda bolognese. «Solo la costruzione di nuovi prototipi, infatti, ci dà la possibilità di competere su un mercato in cui capacità, inventiva, velocità, precisione e durata del prodotto sono gli elementi in grado di fare la differenza». Quali sono le logiche che seguite nella realizzazione dei progetti? «Non sempre la creazione di un nuovo articolo

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Valerio Maccaferri, socio di maggioranza della Italcamme di Minerbio (BO) www.italcamme.it

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comporta per un’azienda un rendimento immediato. Per noi, però, questo investimento “di ricerca” è indispensabile, per capire quali sono le esigenze attuali dei nostri clienti, al fine di garantire loro un vantaggio competitivo e strategico. La produzione standardizzata poteva andare bene dieci anni fa. Oggi bisogna cercare una trasformazione del prodotto, che anche se legata a pochi pezzi, è fondamentale per proiettare l’azienda nel futuro e aumentare la sua visibilità sul mercato». Oltre alla ricerca, l’altra grande sfida per Italcamme è quella dell’internazionalizzazione. «È vero. C’è una connessione diretta tra internazionalizzazione e innovazione, poiché la presenza nei mercati esteri rappresenta per noi un importante “stimolatore” dell’innovazione. Abbiamo interessi in diverse aree del mondo, dall’Europa alla Cina, passando per la Russia, il Sud Africa, il Libano, la Giordania e gli Usa. Dobbiamo però fare i conti con problematiche di tipo burocratico, che rallentano questo processo d’espansione verso altri Paesi». A cosa si riferisce? «Purtroppo ci sono regole e limitazioni che concorrono a bloccare il nostro sviluppo. Se il mercato fosse approcciato con perspicacia, e se ci fosse una maggiore sensibilità ai costi, anche le piccole aziende, “garanti” di quel made in Italy che il mondo ci invidia, sarebbero agevolate nei loro rapporti con l’estero. Abbiamo, ad esempio, riscontrato una maggiore fiscalità del


Valerio Maccaferri

C’è una connessione diretta tra internazionalizzazione e innovazione, poiché la presenza nei mercati esteri rappresenta un importante stimolo allo sviluppo dell’innovazione

nostro Paese nella preparazione dei documenti in materia di esportazione delle merci rispetto ad altri Stati appartenenti alla Ce. Per quel che ci riguarda, per adempiere a tali obblighi burocratici, siamo stati costretti a rivolgerci a uno studio privato di doganalisti, in quanto in passato la Camera di Commercio non è riuscita a fornirci in modo rapido le risposte ai nostri quesiti in materia d’esportazione». Quali conseguenze produce questa situazione sul vostro business? «Ovviamente fa lievitare i costi amministrativi e di gestione interni all’azienda. Per noi le richieste dall’estero sono molto importanti, perché compensano la riduzione degli ordini sul mercato interno, permettendoci così di ricavare quelle risorse finanziarie necessarie per perseguire nel nostro percorso di sviluppo, soprattutto in un periodo difficile come questo. Se a ciò aggiungiamo la “prepotenza” delle grandi aziende costruttrici di macchine automatiche, che sempre più spesso sono portate a richiedere sconti considerevoli sulle forniture, è facile intuire come il momento sia veramente difficile». Parlando di Italcamme, come si compone nello specifico, la vostra offerta produttiva? «Il nostro core business è rappresentato

dalla produzione di meccanismi a camma, in grado di convertire il moto rotatorio uniforme dell’albero d’ingresso (movente) in un moto intermittente unidirezionale dell’albero d’uscita (cedente), quali intermittori ad assi paralleli, tavole rotanti ed emilblock. Svolgiamo inoltre attività di lavorazione e fornitura su commissione di una vasta gamma di camme, garantendo con lavorazioni a controllo numerico, la precisione dei profili e le tolleranze richieste dai committenti». Quali sono, dunque, le prospettive per il futuro di Italcamme? «Lavoriamo con grande applicazione e dedizione, per non farci trovare impreparati di fronte alle nuove opportunità offerte dal mercato. Certo, come detto, la situazione non è facile e la mancanza di liquidità, dovuta anche ai ritardi nei pagamenti da parte della clientela, non aiuta. Speriamo che la politica, dopo una serie di proclami, faccia ora seguire alle parole i fatti, con provvedimenti che possano realmente sostenere la crescita di quelle PMI che, nonostante tutto, rappresentano ancora la parte più importante del sistema economico e produttivo italiano». EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 45


INNOVAZIONE

La crescita passa attraverso l’investimento Diversificazione e apertura all’estero. È questa la strategia intrapresa da Stefal, azienda specializzata nel cablaggio elettrico. Rossella Guidotti fa il punto sulle mosse che hanno permesso di quadruplicare il fatturato in un decennio Mauro Terenziano

Da sinistra, Massimo Lenzi, responsabile commerciale, Lisa Ruggeri, Rossella Guidotti e Gabriele Gianni, direttore generale della Stefal Srl di Crespellano (BO) www.stefal-cablaggi.it

n fatturato quadruplicato in appena dieci anni. Da 2,2 a 8,9 milioni di euro nel 2011. È questo il risultato raggiunto da Stefal, azienda di Crespellano specializzata nel settore dei cablaggi elettrici e dell’assemblaggio elettromeccanico. «Questo importante incremento è stato possibile grazie alla nostra continua e costante attività commerciale e al fatto di proporci sempre come dei partner di fiducia, in grado di rispettare le normative sempre più stringenti». A parlare è Rossella Guidotti, figlia del fondatore Germano e oggi alla guida dell’azienda, che sta per celebrare i 35 anni di presenza sul mercato. Stefal, puntando sulla diversificazione, si rivolge a una molteplicità di settori produttivi: dall’automotive ai piccoli elettrodomestici, dall’elettronica industriale ai piani cottura e ai forni industriali, passando per il ferroviario, l’illuminotecnica e i motori elettrici. Quali sono stati i principali fattori che hanno determinato la crescita? «L’incremento del fatturato è stato possibile grazie al costante investimento in attrezzature e sistemi innovativi per la produzione e il collaudo, grazie ai quali possiamo presentarci

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ai potenziali nuovi partner con una marcia in più rispetto ai competitor. Inoltre, a partire dal 2004, uno slancio importante ci è stato dato dall’avvio di una stretta collaborazione con un’azienda tunisina. Questa joint venture ci ha permesso di mantenere un vantaggio competitivo anche di fronte a un mercato sempre più esigente in termini di costi e tempistiche di consegna. I sistemi produttivi impiegati in Tunisia sono gli stessi che usiamo nel nostro stabilimento – come pure le metodologie e le attrezzature di collaudo. In più, abbiamo creato una piattaforma web grazie alla quale siamo aggiornati in tempo reale sull’avanzamento della produzione». Il vostro mercato di riferimento comprende un ampio ventaglio di settori industriali. Come si è evoluto nel tempo il target? «La nostra azienda proviene da una lunga esperienza nel settore automotive, che per molti anni è stato il nostro mercato di riferimento pressoché esclusivo. In seguito, a causa di condizioni radicalmente mutate, ci siamo imposti di ampliare il nostro orizzonte e diversificare, specializzandoci anche in altri settori – una strategia che si è rivelata vincente. Tuttavia, è


Rossella Guidotti

stato anche grazie alla solida esperienza accumulata in un settore complesso come quello dell’auto che siamo riusciti a inserirci con successo in ambiti completamente differenti». C’è un ambito che oggi può essere definito di core business? «Negli ultimi anni, uno dei nostri business principali è rappresentato dal settore delle apparecchiature professionali per la ristorazione, che attualmente è la voce principale del fatturato. Si tratta di un mercato che conosce molto da vicino la problematica della concorrenza straniera ed è quindi necessario mantenere costantemente monitorata la competitività, analizzando i costi di produzione e delle materie prime, acquistando queste ultime direttamente dai produttori. In questo modo riusciamo a garantire un prodotto competitivo e qualitativamente all’altezza delle aspettative dei nostri partner». Quale ruolo hanno oggi le certificazioni per l’affermazione sul mercato? «Crediamo molto nell’importanza delle certificazioni, che nel tempo ci hanno dato un metodo di lavoro fondamentale per il nostro sviluppo. Ovviamente le certificazioni presuppongono una

L’esperienza accumulata in un settore complesso come quello dell’auto ci ha permesso di inserirci con successo in ambiti differenti

gestione dei processi più complessa, tuttavia i benefici che ne derivano in termini di immagine e visibilità sono di importanza vitale in questo settore. Al momento, oltre alla Iso 9001:2008, siamo in grado di fornire cablaggi UL secondo la ZPFW-2 e stiamo completando l’iter per l’ottenimento della Iso 14000. In concomitanza con nuovi contatti che stiamo avviando con il settore automotive, abbiamo in programma l’inserimento della Iso TS 16949, una normativa specifica per questo mercato». Quali sono le prospettive e gli obiettivi per il medio e lungo periodo? «L’obiettivo è quello di allargare il nostro orizzonte verso nuovi mercati, ai quali fornire prodotti sempre più in linea con le attese dei partner. Gli investimenti, nell’immediato futuro, saranno orientati ancora una volta al miglioramento del parco attrezzature, all’ampliamento delle certificazioni e delle competenze delle risorse umane. Consideriamo questi i mezzi necessari per proseguire sulla linea della crescita».

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INNOVAZIONE

Nuove reti di sperimentazione e sviluppo viluppare prodotti innovativi, ottimizzando il rapporto tra costi e benefici e destinando una particolare attenzione alla sostenibilità economica e ambientale. È questa la prerogativa della Biolchim Spa di Medicina, azienda specializzata nella produzione di fertilizzanti speciali che negli anni ha ottenuto ottimi riscontri sul mercato internazionale ed è oggi tra le realtà più note in Italia e tra le più dinamiche sui mercati stranieri. «Abbiamo fatto fronte alla difficile congiuntura degli ultimi anni investendo ancora di più sul reparto di ricerca e sviluppo – afferma Leonardo Valenti, amministratore delegato della Biolchim –. Oggi disponiamo di un catalogo prodotti, unanimemente riconosciuto come il più completo, atto a soddisfare le esigenze nutrizionali delle colture e a risolvere le principali problematiche agronomiche. Il nostro dipartimento Ricerca e Sviluppo è costituito da agronomi, chimici e biologi quotidianamente coinvolti in saggi di laboratorio, prove sperimentali di campo e collaborazioni con Enti Ufficiali di ricerca». Sotto quali aspetti siete attenti all’impatto ambientale nella realizzazione dei vostri prodotti? «La filosofia di Biolchim ripone grande attenzione alla sostenibilità economica e ambientale, infatti, fa leva anche sull’utilizzo di estratti vegetali e di microrganismi che rappresentano la base per l’ottenimento di induttori di resistenza e fertilizzanti speciali. Tali materie prime, innovative e di origine vegetale, uniscono l'efficacia alla sostenibilità ambientale». Biolchim è una realtà attiva sia sul mercato nazionale che su quello internazionale. Come siete strutturati in Italia? «Nello stabilimento di Medicina sono situati il

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Da sinistra Emanuele Acquafredda, direttore generale, Leonardo Valenti, amministratore delegato e Antonio Di Nardo, responsabile marketing e sviluppo prodotti. La sede della Biolchim è a Medicina (BO) www.biolchim.it

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Con la continua ricerca di fertilizzanti speciali sempre più innovativi e sostenibili, Biolchim si riconferma leader nel settore in Italia e all’estero. Leonardo Valenti fa il punto sulle prospettive dell’azienda Eugenia Campo di Costa

deposito di materie prime e le diverse linee di produzione (liquidi, polveri solubili, granulari e il reparto di idrolisi/estrazione), ai quali si affianca un ulteriore deposito di prodotti finiti situato in una località vicina. La nostra posizione è strategica, a ridosso delle principali arterie autostradali e a circa un’ora dall’importante porto commerciale di Ravenna. Sul mercato interno, operiamo con una nostra rete di tecnici specializzati - agronomi o periti agrari - il cui compito principale è quello di affiancare i rivenditori nella scelta delle linee tecniche, variabili in base alle specifiche condizioni pedoclimatiche della zona. I tecnici offrono inoltre supporto diretto alle aziende agricole per permettere loro di rispondere adeguatamente alle diverse esigenze agronomiche e raggiungere la massima redditività possibile». Non avete comunque trascurato lo sviluppo internazionale. «La nostra è una realtà in costante crescita sui mercati esteri con una rete commerciale costituita da tre filiali e distributori in tutto il


Leonardo Valenti

FATTURATO

40 mln LA CIFRA REGISTRATA QUEST’ANNO DALLA BIOLCHIM. SI EVIDENZIA UNA CRESCITA DEL 9 PER CENTO RISPETTO ALL’ANNO SCORSO

mondo. Attualmente, Biolchim gestisce una consolidata e affidabile rete di collaborazioni e partnership, costituita da società con proprie strutture tecnico/commerciali e importatori, che garantiscono la disponibilità dei prodotti Biolchim su tutti i mercati in cui emerga un’agricoltura avanzata e attenta ai costi. In alcuni paesi Biolchim opera direttamente con proprie filiali: Biolchim do Brasil; Biolchim Deutschland; Biolchim Hungary; ognuna dotata di una propria struttura tecnica e commerciale, costantemente in contatto con la sede centrale e quindi affine a essa per principi e punti di forza». Biolchim punta sempre più al consolidamento e all'espansione della rete tramite l'apertura di nuovi mercati e nuovi progetti, come il WIN. In che cosa consiste? «A partire dal 2012, abbiamo ulteriormente potenziato la capacità di innovazione e sviluppo prodotti creando Win (Worldwide Innovation Network), una rete di sperimenta-

zione e sviluppo prodotto che si estende in 11 paesi nel mondo. Win è coordinato dal Team R&D operante in sede ed è attualmente costituito dalla rete tecnica Biolchim attiva in Italia e nelle filiali estere, da 15 partner scientifici e da 5 partner commerciali accuratamente selezionati per la solidità della struttura tecnica e commerciale. L’obiettivo di Win, un progetto in costante espansione, è quello di aumentare le collaborazioni con gli Istituti di Ricerca e testare i prodotti Biolchim sul maggior numero di colture possibili e nelle più diverse condizioni agronomiche, per accelerare i tempi di sviluppo e commercializzazione dei prodotti e ampliare al massimo il know-how tecnico sul loro impiego». EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 51


INNOVAZIONE

Puntiamo sulla specializzazione Le lavorazioni a basso valore aggiunto e scarso livello tecnologico scontano la concorrenza imbattibile delle economie asiatiche. Una delle carte da giocare nella competizione globale è l’investimento nell’innovazione. Stefano Baccanti illustra il percorso di Polimecroma verso la verniciatura Uv Manlio Teodoro

affacciarsi sul mercato delle aziende collocate nei paesi emergenti – certamente poco specializzate, ma agguerrite sul fronte dei costi per le lavorazioni a basso impatto tecnologico – ha posto molte realtà occidentali di fronte a una scelta strategica: innalzare di livello i propri processi o avviarsi verso una guerra al ribasso che difficilmente potrà risolversi con un successo. È questo il ragionamento che ha portato la Polimecroma, azienda di Carpaneto Piacentino specializzata nella metallizzazione in alto vuoto a intraprendere una strategia di specializzazione produttiva, abbandonando lavorazioni inflazionate e concentrando i propri investimenti nell’avvio di processi a elevato valore aggiunto. Come spiega Stefano Baccanti, titolare dell’azienda: «Abbiamo focalizzato la nostra attenzione sull’intera gamma dei tratta-

L’

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menti Uv, in particolare per le applicazioni nell’ambito dei flaconi per prodotti di cosmetica. Per affrontare questo nuovo settore in modo completo abbiamo allestito un nuovo reparto, ampliando lo stabilimento esistente e investendo su nuove tecnologie automatizzate, oltre a instaurare partnership con aziende che hanno già sviluppato un solido know how in questo tipo di lavorazioni. Abbiamo ovviamente anche investito in formazione e dopo una fase di ricerca, per raggiungere un livello qualitativo costante, i primi risultati ci permettono di guardare a questa scelta con ottimismo. Le opportunità di lavoro, infatti, sono elevate, rispetto all’ambito della metallizzazione tradizionale, che ormai risente fortemente della concorrenza asiatica, agevolata da costi di produzione nettamente inferiori a quelli sostenibili da un’impresa italiana».


Stefano Baccanti

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Abbiamo allestito un nuovo reparto, ampliando lo stabilimento e investendo su tecnologie automatizzate

In queste pagine, fasi di lavorazione alla Polimecroma Srl di Carpaneto Piacentino (PC) www. polimecroma.com

Si può considerare quindi avviata una fase evolutiva per Polimecroma, che progressivamente sta ricollocando la propria posizione sul mercato. «Il nostro processo produttivo prevede il rivestimento di materiali plastici con un film di alluminio. Questo viene poi rifinito, ovvero colorato, in base alle esigenze del committente. I settori ai quali ci rivolgiamo per questo speciale trattamento sono molteplici e comprendono dall’arredamento ai tappi e contenitori per prodotti di cosmesi, tappi o chiusure per liquori, componentistica auto, componentistica per trofei, vari generi di decorazioni, tappi per la profumeria, parabole per fanaleria e molte altre applicazioni. Il settore più importante, in questo momento, è certamente rappresentato dalle finiture di alta qualità per il settore cosmetico. Per questa specifica lavorazione uno dei nostri investimenti è stata l’installazione di una cabina pressurizzata per la realizzazione di finiture di alta qualità, all’interno della quale eseguiamo il trattamento di verniciatura Uv». Grazie a questi investimenti che hanno consentito il riposizionamento dell’azienda, il 2012 si è avviato con prospettive di incremento di fatturato, confermate dalla raccolta ordini per il secondo semestre. «Dopo le diffi-

coltà del 2008-2009, quando abbiamo registrato un forte crollo negli ordini, abbiamo iniziato a ottenere buoni risultati a partire dal biennio 2010-2011, nonostante le diffuse criticità nella riscossione dei crediti. Per tornare a ottenere i risultati dei bilanci precrisi abbiamo ridotto i costi e al contempo cercato di migliorare il livello qualitativo, investendo da ultimo in nuovi macchinari e tecnologie di lavorazione. Oggi registriamo segnali di ripresa pressoché in tutti i settori nei quali è richiesta qualità. Ci troviamo però tagliati fuori da tutte quelle lavorazioni presidiate dagli operatori asiatici, che tuttavia sono anche le meno remunerative». Polimecroma ha recentemente ottenuto la certificazione Iso, che ha confermato l’impegno dell’azienda nel trattamento degli scarti di produzione. «Usando vernici, produciamo scarti tossico-nocivi. Per questo ci siamo affidati all’assistenza di un’azienda specializzata nello smaltimento di questi rifiuti. Inoltre una società specializzata in rilievi sulle emissioni in atmosfera ci garantisce la sicurezza e l’efficienza del nostro sistema di abbattimento e filtraggio. Però per il futuro, punteremo a preferire le vernici all’acqua, che sono sempre più ecosostenibili».

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EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 53


INNOVAZIONE

Prima di tutto la ricerca Ricerca e diversificazione sono le parole d'ordine. La formula di Primo Tortini, amministratore unico della Cosmoproject, società attiva nel settore cosmesi, comprende innovazione continua e costanti investimenti in risorse umane Renato Ferretti

n sistema contro la recessione? La chiave di volta che regge tutto il peso di un’azienda è la ricerca. In estrema sintesi è questa la convinzione di Primo Tortini, amministratore unico della Cosmoproject, società attiva nel settore cosmesi. La scommessa di Tortini, alla base di una filosofia sempre meno di moda negli ultimi tempi, l'ha portato a collaborare con istituti universitari non solo italiani, arrivando a mettere in secondo piano anche l'area commerciale della Cosmoproject. «Per essere competitivi – spiega Tortini – bisogna innovare e formulare continuamente nuove proposte. Per riuscirci investiamo continuamente in risorse umane e attrezzatura tecnologica di ricerca e produzione, investimenti che coinvolgono una parte importante del fatturato». Quali sono i risultati di una strategia, così dispendiosa? «Nel 2009 abbiamo subito una battuta d'arresto, e quindi in questo senso possiamo prenderlo come riferimento. Certo non è stata improvvisa ed è stata comunque contenuta sotto l'11 per cento rispetto all'anno precedente. Ci riferiamo a tre anni fa perché in Cosmoproject era già in atto un processo di diversificazione del mercato che giocoforza è stato fortemente accelerato ed è risultato vitale. Già il 2010 con un fatturato imponibile del +20,07 per cento sul 2009 evidenzia l’inversione di tendenza e addirittura nel 2011 abbiamo toccato il +39 per cento sul 2010». Nessun’altra ricetta segreta sta dietro questi numeri? «Alla base di questo risultato c’è prima di tutto la ricerca, che ci ha permesso di mantenere standard

U

Primo Tortini, amministratore unico della Cosmoproject di Casale di Mezzani (PR) www.cosmoproject.it

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qualitativi alti. Detto questo, certamente altri fattori hanno contribuito. Abbiamo tenuto il mercato anche per la diversificazione della nostra attività, e cioè, come spesso accade, da una parte differenziamo i nostri prodotti in fasce di mercato, dall'altra ricopriamo più settori all'interno dell'area cosmesi». Partiamo dal primo livello di diversificazione. «Che il prodotto sia “alto di gamma” o al topmarket o che sia destinato al mass-market alcune caratteristiche di base rimangono imprescindibili. Da una base qualitativa ottima si può entrare nel particolare di funzioni curative estreme con principi attivi dedicati e questo può fare la differenza tra top e mass-market». E per quanto riguarda i diversi settori? «La specializzazione dell’azienda è certamente la cura della pelle, il cosidetto skin-care senza tralasciare la cura e l’igiene del cuoio capelluto e dei capelli. Cura e igiene sono due funzioni sinergiche, ma consentono una diversificazione dei prodotti in tante combinazioni che vanno dalla semplice detergenza (shampoo, bagnischiuma, detergenti intimi), alla cura specifica della pelle con funzioni anti-età, protettive, idratanti, o al li-


Primo Tortini

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Una parte non indifferente delle risorse è dedicata alla ricerca su nuovi principi attivi, in collaborazione con istituti universitari

mite con prodotti curativi veri e propri definiti dispositivi medici. Cosmoproject copre tutte queste aree e ciò permette una capacità di adeguamento alle fluttuazioni del mercato». Mercato che per voi rimane per lo più italiano. «L’area territoriale di competenza è ovviamente in primo luogo l’Italia dove Cosmoproject serve quasi tutti i gruppi di un certo peso commerciale e per i quali progetta e produce linee complete in full-service; ma il peso del mercato nazionale è stimabile nel 65 per cento del fatturato. Il restante è rivolto al mercato europeo con la Germania in prima fila. Negli ultimi anni è cominciato il percorso dell’internazionalizzazione fuori dalla Ue con risultati confortanti e prospettive ottime. Questo con un particolare riguardo alle aree emergenti come la Russia e l'Estremo Oriente». Ritorniamo sul punto innovazione. In che modo e quanto investite alla voce ricerca? «La forza di Cosmoproject sta nella progettazione del prodotto e in un servizio a 360° che va dal lavoro di laboratorio, alla selezione delle materie

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prime e dei principi attivi, alla validazione in termini di stabilità e sicurezza del prodotto, alla ricerca dei contenitori fino al confezionamento finale pronto per la vendita al consumatore finale. Tutti questi processi sono possibili dai continui investimenti in risorse umane e attrezzatura tecnologica di ricerca e produzione che coinvolgono una parte importante del fatturato. Non ultimo, una parte non indifferente delle risorse è dedicata alla ricerca pura sui nuovi principi attivi svolta in collaborazione con almeno 6 istituti universitari nazionali e test clinici svolti anche in università straniere». Quali sono le prospettive per il prossimo futuro? «Cosmoproject non ha un vero e proprio apparato commerciale; i nostri migliori “agenti” sono gli stessi clienti. Ma non possiamo vivere sui cosiddetti “allori” per cui prossima mossa sarà la comunicazione ossia portare questa realtà per il mondo, farla conoscere, rendere note le nostre capacità, la nostra fantasia e il successo dei nostri prodotti». EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 55


TECNOLOGIE

L’outsourcing come fattore di crescita Le aziende di ogni settore cercano oggi nuove strade per accrescere la propria competitività. L’outsourcing può essere una risposta a patto di contare sul partner giusto, come dimostra la realtà del gruppo Cedacri. La parola a Sergio Capatti e Fabio De Ferrari Valerio Germanico

el contesto di mercato attuale, la focalizzazione sul core business e la riduzione dei costi operativi sono fattori essenziali per mantenere la competitività e supportare la crescita. In tale prospettiva, l’esternalizzazione dell’infrastruttura tecnologica e dei servizi non direttamente attinenti alle attività chiave rappresenta una strategia a cui ricorrono sempre più organizzazioni con l’obiettivo di ridurre i costi, mantenendo comunque elevata la qualità del servizio. Ciò è possibile, però, solo scegliendo il partner giusto cui affidarsi, in modo da poter disporre di soluzioni di ultima generazione e competenze professionali specializzate. E avere in questo modo la garanzia di elevati livelli di qualità e sicurezza. Sono proprio queste le caratteristiche che distinguono il gruppo Cedacri, focalizzato da oltre trent’anni sullo sviluppo di soluzioni di outsourcing, che hanno spinto 150 organizzazioni tra banche, istituzioni finanziarie e aziende a puntare sul gruppo per l’esternaliz-

N Sergio Capatti, presidente della Cedacri Spa di Collecchio (PR) www.cedacri.it

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zazione delle proprie infrastrutture tecnologiche, applicazioni informatiche, gestione dei processi di business, carte di pagamento, business information e servizi di real estate. Il gruppo Cedacri, infatti, grazie alle diverse società in cui si articola, è in grado di fornire una gamma completa di servizi di outsourcing. «Cedacri Spa, focalizzata storicamente sulla gestione dei sistemi informativi delle banche, è al vertice di un gruppo di società controllate o partecipate che ci consentono di esprimere una proposta unica per il mercato italiano in termini di ampiezza del portafoglio di servizi offerti – spiega a questo proposito Sergio Capatti, presidente di Cedacri –. Il gruppo può contare infatti su C-Global per tutti i servizi di business process outsourcing, dai back office ai call center fino al document management; SiGrade, acquisita sul finire del 2011, per lo sviluppo di soluzioni software e pacchetti applicativi su misura; C-Card, per la gestione delle carte di pagamento; Docugest, per l’erogazione di servizi di stampa e postalizzazione; Ri-


Sergio Capatti e Fabio De Ferrari

bes, per il trattamento delle informazioni di business; e Re Valuta, per i servizi di valutazione immobiliare. Infine, Cedacri International supporta la capogruppo italiana nello sviluppo di componenti software del sistema informativo e nei servizi di business process outsourcing». Il tutto si traduce in una realtà in grado di generare nel 2011 un valore di produzione pari a 264,5 mln di euro, grazie al contributo di oltre 1.300 dipendenti distribuiti tra le sei sedi italiane di Collecchio, Parma, Castellazzo Bormida (AL), Bari, Milano e Brescia e la sede moldava di Chisinau. La solidità del gruppo si manifesta anche attraverso le sue infrastrutture. A Collecchio è stata recentemente inaugurata la nuova sede centrale, che ospita circa 700 persone e l’imponente data center: si tratta di una struttura all’avanguardia, che si colloca al terzo posto in Italia per scala operativa, con 30mila Mips di potenza elaborativa mainframe e 4mila server, oltre 40 milioni di transazioni gestite quotidianamente e 40mila utilizzatori del sistema. Al data center

264,5 mln VALORE DI PRODUZIONE GENERATO NEL 2011 DA CEDACRI GROUP, FOCALIZZATO DA OLTRE TRENT’ANNI SULLO SVILUPPO DI SOLUZIONI DI OUTSOURCING

emiliano si affianca l’innovativo sito di disaster recovery situato nei pressi di Alessandria, volto a garantire in ogni circostanza la sicurezza e la continuità del servizio, qualora eventi straordinari o calamità naturali dovessero compromettere l’operatività della sede di Collecchio. Sul rinnovamento delle sedi e dei data center e sul potenziamento della sua infrastruttura tecnologica Cedacri ha puntato fortemente negli ultimi anni con investimenti per oltre 25 mln di euro. L’avanguardia tecnologica ha accresciuto anche il valore dei servizi che il gruppo propone oggi, in particolare nel campo del facility management: i clienti possono affidare a Ceda- EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 59


TECNOLOGIE

CREDEM, UNA CASE HISTORY C redito Emiliano è uno dei principali gruppi bancari privati italiani, con circa 560 filiali e 5.600 dipendenti su tutto il territorio nazionale, cui si aggiungono oltre 800 promotori finanziari, 280 agenti finanziari Creacasa e 41 centri imprese per la gestione della clientela corporate, forte di oltre 13.000 aziende clienti. La collaborazione fra Credem e Cedacri inizia nel 2006 con la realizzazione in partnership della piattaforma di sportello. Successivamente, la banca ha affidato all’outsourcer anche la gestione in facility management dell’intera infrastruttura tecnologica, le attività di Business Process Outsourcing per la rete dei promotori e la gestione dei terminali ATM e delle carte di debito. In questo scenario, più di recente Credem si è rivolta a C-Card del Gruppo Cedacri per la gestione delle attività di processing delle carte di credito, migrando dal precedente gestore. Un ruolo decisivo nella decisione di Credem è stato giocato dall’opportunità di sviluppare un’elevata varietà di prodotti e di servizi innovativi per il mercato italiano con un rapido time to market e dalla garanzia

di poter contare su una solida e innovativa infrastruttura tecnologica, come la piattaforma TS2 di Total System, scelta da C-Card e già utilizzata da alcune tra le maggiori banche a livello mondiale. Ugualmente di rilievo per Credem sono i benefici legati all’offerta di monetica integrata. Concentrando infatti su un unico polo (il Gruppo Cedacri) la gestione di carte di credito e di debito e terminali ATM è possibile ottenere vantaggi di costo, efficientamenti e importanti sinergie: dal monitoraggio integrato delle frodi sulle carte di debito e di credito, al servizio di call center sul quale far confluire tutte le chiamate, fino ai programmi di loyaty e rewarding rivolti ai clienti di tutti gli istituti di credito appartenenti alla community delle banche utenti Cedacri. «L’adesione al modello di “community” ci consente di ridurre i costi dell’attività della filiera dei sistemi di pagamento con minore valore aggiunto e garantire nuovi prodotti e servizi altamente competitivi», ha commentato Enzo Romano, responsabile monetica di Credem. «I sistemi di pagamento rappresentano

un business strategico per le banche oltre che il biglietto da visita nei confronti dei clienti, che sarà sempre più “volume sensitive”; pertanto affidare le attività tecnologiche a un outsourcer condiviso da una community consentirà di concentrare sempre più gli sforzi sulla qualità del servizio. Inoltre la partecipazione di altri Istituti al progetto “monetica” di Cedacri consentirà ai nostri clienti di accedere a servizi e iniziative esclusive non solo presso gli oltre 560 sportelli Credem, ma anche presso quelli delle Banche del network». La possibilità, infine, di affidare ad unico outsourcer i servizi di call center, back office e monitoraggio frodi debito/credito garantisce un maggiore livello di sicurezza e una più rapida capacità di reazione in caso di possibili attacchi. Il progetto di migrazione, che ha riguardato oltre 300.000 carte di credito, si è concluso nell’ottobre 2011 con uno switch istantaneo del sistema autorizzativo, senza alcuna interruzione dell’operatività né per i clienti né per l’attività di back office della banca.

cri la gestione di tutte le componenti dell’infra- anche presso le compagnie assicurative e le struttura tecnologica – mainframe, server farm, postazioni di lavoro – e dei servizi collegati – help desk, sicurezza, virtualizzazione dei posti di lavoro, disaster recovery e business continuity – , ottenendo benefici significativi sia in termini di riduzione dei costi sia di miglioramento del servizio e della sicurezza. Questa proposta sta riscuotendo un significativo successo non solo presso le banche e le istituzioni finanziare, tradizionale mercato di riferimento per Cedacri, ma

aziende industriali e di servizi di medie e grandi dimensioni, che rappresentano attualmente un importante segmento di clientela per il gruppo. «Cedacri è storicamente associata al mercato bancario – ricorda Fabio De Ferrari, direttore generale di Cedacri e amministratore delegato di C-Card –, nel quale è cresciuta e ha coltivato la propria leadership. Oggi l’eccellenza tecnologica maturata dalla collaborazione con le banche e le istituzioni finanziarie – di certo organizza-


Sergio Capatti e Fabio De Ferrari

zioni caratterizzate da un elevato livello di complessità in termini di esigenze in campo informatico – viene messa a disposizione anche delle compagnie assicurative e delle aziende. Alle imprese Cedacri consente di ottenere benefici tangibili: una riduzione dei costi fino al 30 per cento, la certezza di scalabilità dei sistemi a supporto della crescita, livelli di servizio (Sla) stringenti che permettono al cliente di monitorare e garantirsi costantemente la qualità necessaria a rispondere alle richieste del business. Per quel che riguarda gli aspetti tecnologici in particolare, Cedacri, in qualità di operatore indipendente, può assicurare la scelta delle migliori soluzioni presenti sul mercato in funzione delle specifiche esigenze di ciascun cliente». Oltre ai servizi di facility management, il gruppo Cedacri mette a disposizione delle aziende, così come delle banche, una ricca offerta di soluzioni applicative verticali e, facendo leva sulle competenze di SiGrade, è in grado anche di sviluppare soluzioni software personalizzate e di reingegnerizzare applicazioni realizzate dal cliente internamente. Nel campo della gestione esternalizzata dei processi di business, Cedacri va incontro alle esigenze delle imprese focalizzandosi principalmente nelle aree di gestione documentale, stampa e postalizzazione, call center e back office amministrativo. Peculiare è poi la proposta per le imprese nell’ambito dei servizi di monetica e carte di pagamento per payment institution e Imel. «L’evoluzione in atto nei sistemi di pagamento e i radicali mutamenti a livello normativo introdotti dall’Unione Europea – chiarisce De Ferrari – offrono notevoli opportunità agli operatori extrabancari come le aziende di telecomunicazioni e le utility, che hanno la possibilità, diventando payment institution o Imel, di proporre un’ampia gamma di servizi alla propria clientela: dai prodotti carta conto e carta di credito prepagata, alla domiciliazione delle utenze, fino a e-wallet per effettuare acquisti online. Per gli operatori che vogliono entrare nel mercato dei pagamenti, Cedacri e C-Card, la società del gruppo specializzata in carte di cre-

dito, sono in grado di offrire servizi di consulenza e di outsourcing su tutti gli aspetti riguardanti i sistemi informativi, dall’operatività delle applicazioni ai processi organizzativi, agli aspetti di conformità normativa, fino all’emissione e gestione di carte di credito e prepagate». Infine, attraverso le società Ribes e Re Valuta, il Gruppo Cedacri mette a disposizione del mondo imprenditoriale una serie di servizi volti a facilitare l’accesso al credito e a gestire al meglio ogni transazione commerciale e immobiliare e gli eventuali rischi a essa correlati. Con un così ricco portafoglio di offerta, per il futuro, Cedacri punta a consolidare ulteriormente la propria presenza nel comparto delle aziende industriali e di servizi medio-grandi così come in quello assicurativo, in cui vanta già referenze importanti come Miroglio Tessile, Bwin, Microgame, Lottomatica, Reale Mutua Assicurazioni, Chiara Assicurazioni. Ma ciò senza ovviamente dimenticare il settore bancario, come sottolinea in conclusione Capatti: «In questo ambito Cedacri, che sta investendo circa 37 milioni di euro in un piano pluriennale di rinnovamento del proprio sistema informativo, intende, da un lato, mantenere il presidio sulle banche del territorio e, dall’altro, accrescere la penetrazione presso le banche medie italiane che attualmente gestiscono internamente It e operations, sia attraverso l’offerta di outsourcing completo e soluzioni verticali sia tramite la proposta di pacchetti software su misura e di servizi di system integration».

Fabio De Ferrari, direttore generale della Cedacri Spa e amministratore delegato di C-Card

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TECNOLOGIE

L’informatizzazione, motore di sviluppo entre all’estero, nel complesso, il 2011 è stato un anno di crescita per l’Information Technology, il mercato italiano ha chiuso in negativo. Il rapporto Assinform ha registrato un complessivo meno 4,1 per cento. Le cause? A pesare è stata la restrizione della spesa della Pubblica amministrazione – la cui informatizzazione massiccia è ancora da venire –, ma soprattutto il calo di investimenti dell’impresa privata, che rappresenta il 90 per cento della domanda di informatizzazione e che, l’anno scorso, ha diminuito la destinazione di risorse per almeno il 4,3 per cento. In questo scenario di crisi si sono distinte alcune eccezioni, come quella della ComTel, system integrator che anche nel 2011 è riuscito a centrare l’obiettivo crescita, segnando a bilancio una crescita di fatturato del 17,5 per cento rispetto al 2010, attestandosi così a quota 47 milioni di euro. Per spiegare le ragioni del successo in controtendenza intervengono Giovanni Grechi, presidente e amministratore delegato della società, e Vincenzo Cassese, suo direttore generale. A fronte di un settore in difficoltà, qual è

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Giovanni Grechi, presidente e Ad della ComTel Spa di Milano, insieme al direttore generale Vincenzo Cassese www.comtelitalia.it

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Gli scenari dell’Information and Communication Technology per il 2012. Le soluzioni, le visioni e la capacità di intercettare le esigenze di una platea variegata di soggetti e utenti. Ne parliamo con Giovanni Grechi e Vincenzo Cassese Valerio Germanico

stata la leva che ha permesso di proseguire nello sviluppo? Giovanni Grechi: «Alla base della nostra performance di successo continua a giocare il suo ruolo fondamentale la nostra strategia di innovazione tecnologica. A questo, nello specifico, si è aggiunto, come determinante fattore di crescita, l’apertura ai mercati internazionali. Infatti, siamo ormai presenti in 130 paesi nel mondo, grazie a un network di system integrator stranieri. Questo significa che ComTel, attraverso il proprio sistema tecnico e organizzativo, può fare da focal point per tutte le problematiche tecniche e di sviluppo di soluzioni Ict per qualsiasi azienda italiana presente all’estero con sedi, filiali o uffici». Quali sono stati, in concreto, i prodotti e i servizi che hanno fatto da traino? Vincenzo Cassese: «L’azienda è cresciuta perché ha saputo evolvere specializzandosi nell’offerta di soluzioni che vanno dal cablaggio fisico al networking, dal VoIP ai sistemi di video intelligence, video conference e applicativi. Inoltre, grazie al nostro Network Operation Center (NOC), attivo 24 ore su 24, possiamo affrontare e risolvere in tempo reale qualsiasi problema tecnico che dovesse interessare i sistemi dei nostri clienti. Questi sono rappresentati da piccole, medie e grandi imprese, compresa la


Giovanni Grechi e Vincenzo Cassese

Le aziende guardano alla tecnologia come fattore strategico. Noi le accompagniamo nell’implementazione

pubblica amministrazione. La nostra forza è anche quella di saper rispondere alle esigenze diversificate di una schiera così varia di attori economici». Com’è organizzata internamente ComTel? G.G.: «Abbiamo due divisioni: Reti ed Enterprise. La prima è attiva sui mercati carrier, svolge attività di installazione, collaudo e manutenzione di apparati di telecomunicazione per gli operatori Tlc che erogano servizi locali, a lunga distanza o ad alto valore aggiunto. Invece, la divisione Enterprise, con una capillare distribuzione sul territorio nazionale e internazionale, si rivolge a una clientela business, proponendo soluzioni per reti voce, dati e convergenti, in grado di rispondere alle esigenze di sempre maggiore efficienza delle aziende di oggi». Quali sono le vostre previsioni sull’andamento del mercato nel 2012 e quali le strategie per affrontarlo? V.C.: «Per raggiungere l’affermazione in un mercato globale e competitivo, le aziende guardano alla tecnologia come fattore strategico. Però, alle reti e ai sistemi non chiedono più soltanto l’efficienza e l’affidabilità, bensì anche la capacità di integrarsi con una visione più ampia dei processi di business, che permettano di supportarne nuove strategie, applicativi e servizi.

FATTURATO

47 mln LA CIFRA REALIZZATA NEL 2011 DA COMTEL SPA, SOCIETÀ DEL SETTORE ICT

Oltre che rispondere alle attese crescenti di una nuova generazione di utenti. Per assecondare questa richiesta – certo frenata a livello di investimenti dalla crisi, ma tuttora attuale per lo sviluppo del nostro paese –, stiamo proseguendo nella nostra politica di destinazione di risorse nell’aggiornamento, nell’adeguamento delle strutture e delle risorse e nella ricerca e sviluppo di servizi e prodotti in linea con gli scenari del futuro. Fra questi, nel 2012, la sfida maggiore sarà rappresentata dal cloud». EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 63


TECNOLOGIE

Hi-tech a portata di click Bestit, società importatrice di dispositivi e accessori per l’informatica, apre una finestra sulle novità hi-tech. Il punto dell’amministratore unico, Nicola Bretta Roberta De Tomi

l sito internet è la finestra aperta sul mondo dell’hi-tech attraverso cui Bestit, fa conoscere la gamma di brand e prodotti informatici importati ai fini della commercializzazione sul territorio nazionale. Un progetto nato dall’esperienza di un gruppo di informatici e che sta portando molte soddisfazioni all’azienda di Funo di Argelato, sia in termini di fatturato che di apprezzamenti da parte dell’utenza, malgrado la flessione che sta interessando anche il settore di competenza. Nota distintiva di Bestit è proprio il ruolo di importatrice, piuttosto che di semplice distributrice, che la pone a capo di un processo sfociante successivamente nella vendita al dettaglio all’interno del mercato nostrano. Da ciò, la posizione di market leader, con un’ottica giocata sul cambiamento, come precisato anche dall’Amministratore unico, Nicola Bretta. Come operate e come vi differenziate nell’ambito della distribuzione di accessori e dispositivi per l’informatica? «Il nostro lavoro ci porta a intrattenere stretti rapporti commerciali con le più importanti realtà mondiali del settore informatico, importando e distribuendo a livello nazionale componenti, periferiche e accessori per il mercato SOHO, per la casa, la scuola o l’ufficio Più che un distributore, ci riteniamo un importatore, in quanto costituiamo il primo anello della catena da cui passa la diffusione di un

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prodotto, prima che esso venga distribuito al dettaglio sul mercato italiano. Questo, con il vantaggio di prezzi molto competitivi a fronte di quanto proposto». Quali fattori determinano la vostra forza? «Le politiche aziendali, in primo luogo. Poi, la fidelizzazione dell’utenza, consentita dalle modalità con cui i servizi vengono erogati a ogni livello: dall’aggiornamento continuo, con novità proposte spesso in anticipo, al post vendita, passando per la vendita, ponendoci sempre in linea con il mercato dal punto di vista competitivo. Infine, ma non ultimo per importanza, è il nostro sito, B2B (www.bestit.it), uno strumento strutturato sulla possibilità di una navigazione semplice e trasparente, dov’è possibile reperire tutte le informazioni necessarie all’acquisto, con la garanzia della tracciabilità delle spedizioni e servizio Rma – ov-

Nicola Bretta, amministratore unico della Bestit Srl di Bologna www.bestit.it


Nicola Bretta

L’incremento dei brand a catalogo e la diversificazione dei canali di vendita, hanno permesso di non perdere market share e di incrementare il fatturato

vero la riparazione del prodotto nei tempi consentiti dalla garanzia – con un feedback immeditato». Come vi relazionate al contesto globale e come vi ponete in esso? «Grazie all’esperienza maturata in 7 anni di attività, Bestit è annoverata tra i market leader nel settore della componentistica e accessoristica di informatica. Nonostante la persistente crisi globale stia portando ad un calo progressivo dei consumi nel settore, l’incre-

mento continuo dei brand a catalogo e la diversificazione dei canali di vendita, hanno permesso all’azienda di non perdere market share e di incrementare il fatturato, che nel 2011 si è attestato intorno ai 10milioni di euro. Considerando il valore medio delle nostre proposte, tale esito è la dimostrazione della forte penetrazione di Bestit nel mercato di riferimento. Quali sono le vostre aspettative, sia nel breve che nel medio-lungo termine? «Per quanto riguarda l’anno in corso, il primo semestre aderisce perfettamente alle aspettative: si prevede infatti di confermare il risultato del 2011, attraverso quindi il consolidamento del mercato. Tale obiettivo è in lizza anche per il 2013, e costituirà la preparazione per un nuovo importante salto di qualità che prevediamo di attuare nel 2014». In che ottica vi ponete nello svolgimento del vostro lavoro? «Nell’ottica di un miglioramento continuo per reagire attivamente ai cambiamenti a cui siamo soggetti dal punto di vista professionale e umano. Da emiliano e precisamente di Finale Emilia ho vissuto l’esperienza terribile del terremoto, che ha danneggiato il mio paese e le zone limitrofe. Di fronte a simili disastri, la voglia di ripresa diventa sempre più forte e si traduce in un potente stimolo per dedicarsi pienamente e intensamente anche alla vita lavorativa, parte integrante della nostra quotidianità». EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 65


Elettronica, tra corsa allo sviluppo e burocrazia on è una novità: i videogiochi d’azzardo sono sotto accusa. Nell’ultimo periodo la ludopatia è stata inquadrata come uno degli spettri della nostra società, tra genitori preoccupati per i propri figli e famiglie ridotte sul lastrico da una slot machine lampeggiante nell’angolo di un tabacchino. Lo Stato ha provato più volte a mettere mano alla questione. L’ultima è il decreto Balduzzi, da approvare il 31 agosto, ma di cui è già disponibile una prima bozza. Secondo il testo la soluzione che protegge dalla tentazione i minorenni e i soggetti in generale più sensibili, sta nel divieto di installare apparecchi vicino a scuole, luoghi di ritrovo come centri giovanili, strutture sanitarie e luoghi di culto. In più lascia il potere ai Comuni di chiudere gli esercizi che ospitano i giochi per un periodo di trenta giorni, se l’area in questione è vista come preda di fenomeni di

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Successi, prospettive positive e investimenti pronti. Sembra il quadro di un’impresa modello, e invece. Giampiero Cabella, dell’Electro System di Imola, spiega come si destreggia tra il “decretone” Balduzzi e il continuo inseguimento all’innovazione Renato Ferretti

ludopatia. Le reazioni delle categorie coinvolte non si sono fatte aspettare e ora infuria la polemica, e un altro provvedimento del governo tecnico già divide il mondo della politica. «Non ci convince per niente – ha dichiarato il presidente del Fipe-Confcommercio – perché il gioco è già vietato ai minorenni, quindi basta far rispettare la legge. Con il testo attuale si penalizzano gli esercizi, che formano un settore già di per sé in forte crisi». La situazione non è chiara, anche se ormai a breve la vicenda legislativa dovrebbe raggiungere una conclusione. Rimane il fatto che per il momento il mercato è bloccato, perché chi

L’Electro System ha sede ad Imola (Bo) www.electrosystem.com


Giampiero Cabella

aveva intenzione di investire in questo campo sta aspettando di avere un quadro preciso. Dunque a farne le spese non sono certo solo le imprese “finali” come bar e tabacchi. Quali sono i possibili scenari per chi si trova all’inizio della filiera? Giampiero Cabella, titolare della Electro System di Imola (Bo), uno dei produttori italiani più importanti di videogiochi, risponde così: «Adesso c’è molta confusione, non si sa come andrà a finire. Una cosa è certa: i nuovi regolamenti, così come si presentano adesso, posso solo definirli assurdi. Spesso si parla di problema morale riguardo al business del gaming, ma chi gestisce il tutto è lo Stato, dunque di certo non dobbiamo sentirci in colpa noi». Un business da capogiro: solo i videogiochi, come le slot machine, fatturano all’erario tre miliardi e settecento milioni di euro, mentre il volume del “giocato” in generale arriva a ottanta miliardi. «Il tentativo è quello di garantire una maggiore sicurezza – continua Cabella – ma l’unico risultato sarà creare altri problemi. Con il risultato di incentivare il gioco non legale vanificando gli enormi progressi fatti da AAMS per garantire un gioco controllato e sicuro. La decisione che sta lasciando col fiato sospeso tutto il comparto mette sotto pressione quindi anche i produttori di successo. «Bisogna ammettere – confessa Cabella - che noi abbiamo sempre lavorato molto e negli ultimi anni ci siamo presi delle soddisfazioni, visto che progetti di nostri giochi sono andati molto bene. Siamo anche in ottima posizione secondo le classifiche elaborate dai quei concessionari che esaminano l’incasso delle macchine. Ma il ga-

ming è già di per sé un attività difficile da gestire: procede a picchi di lavoro, a volte avrei bisogno di cinquanta dipendenti e altre solo dieci. Per questo motivo abbiamo cominciato a guardarci intorno per mettere ai nostri macchinari nelle condizioni di lavorare in modo più omogeneo». Data l’incertezza, quindi, Cabella ha deciso di darsi una possibilità di diversificazione. In realtà meno difficile di quanto si possa pensare, visto che la sua Electro System è nata trent’anni fa facendo assemblaggio computer per conto terzi e sviluppando progettazioni interne. «Non abbiamo mai tralasciato il settore dell’industria: ultimamente, per esempio, assembliamo componenti delle poltrone per studi dentistici. Funziona». Ma le difficoltà per le imprese come la Electro System non si fermano a quelle burocratiche. «Noi abbiamo sentito una forte flessione due anni fa, ma non me la sento di dare tutta la colpa alla crisi. Proprio un paio di anni fa abbiamo prodotto un software che non andava bene e questo ci ha penalizzato: Per fortuna dall’anno scorso stiamo recuperando. Sicuramente la mossa che ora sta pagando di più è stato reinvestire sostituendo tutta la linea di montaggio SMD, con un enorme sacrificio, proprio in tempo di crisi. L’elettronica fa passi da gigante e se non segui l’innovazione perdi il treno e sei fuori dalla competizione. Se a tutto questo si aggiunge che in Italia non si può che puntare sulla qualità, visto che la quantità si fa all’estero con costi inferiori, è facile capire come sia vitale poter lavorare al passo con le novità». EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 67


EXPORT

Formazione e ricerca per affacciarsi a nuovi mercati Una costante ricerca rivolta alla riduzione razionale delle tempistiche di attrezzaggio e produzione e all’impiego di procedure operative e di modelli secondo gli standard qualitativi europei. Leonardo Tirelli racconta il suo percorso verso nuovi mercati Paola Gnesi

er affrontare la crisi c’è chi ha scelto nuove strade, che portano lontano dai confini italiani. Leonardo Tirelli, titolare dell’azienda Rettifiche Meccaniche Tirelli, è un esempio di imprenditore che non si è lasciato spaventare dal calo di produttività e ha trovato il modo di allargare i propri orizzonti, tentando di costruire strategie di internazionalizzazione per affacciarsi sui mercati esteri e continuando a potenziare la presenza sul territorio italiano. L’azienda di Santa Maria del Piano, in provincia di Parma, si occupa principalmente della costruzione di particolari meccanici di precisione , partendo dalla materia prima arrivando al prodotto finito, sulla base di progetti tecnici del cliente. In modo particolare: alberi a gomito, destinati

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Momenti di lavoro all’interno della Rettifiche Meccaniche Tirelli di S. Maria Del Piano (PR) www.rettifichemeccaniche.com

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a pompe ad alta pressione, compressori ad aria, compressori frigoriferi industriali, motori endotermici e omogeneizzatori; viti senza fine e corone dentate, per argani, prevalentemente usati nel settore degli ascensori e montacarichi, e rotori, meglio definiti come profili coniugati, per compressori ad aria e compressori frigoriferi di tipo rotativo. Nata nel 1975, oggi conta 37 dipendenti e ha sempre fatto della qualità la sua punta di diamante nonostante le difficoltà della crisi: «Nel 2009 ho capito che stava succedendo qualcosa di diverso, era già allora evidente che non si trattava delle solite cicliche crisi, e bisognava trovare urgentemente una via alternativa». L’alternativa Tirelli l’ha trovata allargandosi nei mercati europei ed extraeuropei, gli unici che potevano aprire spiragli e che potevano apprezzare proprio quella qualità alla base di ogni particolare meccanico. E per varcare le Alpi, ha preparato tutto l’entourage interno per far sì che non si perdesse l’occasione di entrare (e rimanere) sul mercato internazionale: «Ho cominciato a investire sulla formazione impiegando sia risorse aziendali che esterne, accogliendo le direttive delle politiche di sviluppo europee, accessibili attraverso vari organismi locali. Pensai che se i miei collaboratori avessero potuto parlare con i loro referenti d’oltralpe e in tempo reale grazie alla conoscenza della lingua degli affari, avremmo avuto a disposizione un metodo di crescita diretto e aperto sul mondo, dove qualcuno aveva sicuramente bisogno del


Leonardo Tirelli

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L’azienda ha investito sulla formazione impiegando sia risorse aziendali che esterne, accogliendo le direttive delle politiche di sviluppo europee, accessibili attraverso vari organismi locali

nostro lavoro». E così è stato: grazie alla lungimiranza dimostrata, l’azienda oggi conta clienti in Europa, in Iran e in Ucraina. Il segreto è sempre stato, già prima della crisi, quello di non sottomettersi alle mere esigenze di mercato ma portare avanti un disegno complessivo più strutturato su cui investire continuamente: «Nonostante le difficoltà, non abbiamo fatto altro che produrre gli stessi pezzi per clienti sia vicini che lontani e nel 2010 abbiamo battuto tutti i record di fatturato». L’eccellenza resta il punto di forza dell’azienda, fin da quando nel 1975 prendeva forma nel garage dell’abitazione del titolare: «Volevo continuamente migliorare la produzione che consiste principalmente in alberi a gomito, viti senza fine, corone dentate e rotori a profili coniugati per compressori a vite. E anche oggi la nostra costante ricerca è sempre rivolta a una produzione più efficace ed efficiente, alla riduzione razionale delle tempistiche di attrezzaggio e produzione, partendo dalla scelta degli strumenti e dei macchinari per passare

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poi all’implementazione di procedure operative e di modelli secondo gli standard qualitativi europei, orientati alla riduzione degli scarti e alla loro individuazione interna, argomenti che rappresentano per noi oggetto continuo di studio». Grazie quindi anche alle direttive europee la Rettifiche Meccaniche Tirelli ha affinato la sua produzione e sembra pronta ad affrontare anche le sfide del futuro: «È difficile fare previsioni ma attualmente sto preparando le basi per portare l'azienda al raddoppio della produzione nel giro di 4/5 anni, guardando nella direzione dei mercati emergenti». Conquistare gli spazi di un nuovo mercato quindi, quello in cui la richiesta maggiore riguarda pezzi di precisione e di qualità, è quella la direzione da intraprendere per non perdere terreno e rimanere concorrenziale sui mercati internazionali mantenendo l’idea originaria: «Ho sempre creduto molto nella specializzazione e nel progetto aziendale e ho mantenuto invariata la mia filosofia produttiva, sia in Italia sia all’estero». EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 71


EXPORT

Export e innovazione i motori dell’economia emiliana on una produzione che ha superato i 210mila motori elettrici asincroni e un balzo delle esportazioni del 30 per cento, il 2011 ha rappresentato un anno importantissimo per la Neri Motori, azienda bolognese che ha combinato la tradizione artigianale nel servizio con la vocazione industriale per le produzioni dai grandi numeri e l’apertura ai mercati internazionali. L’export, l’anno scorso, ha rappresentato infatti il 45 per cento della quota del fatturato societario, mentre quest’ultimo ha sfiorato quota 18 milioni di euro. Le esportazioni hanno svolto un ruolo decisivo nello sviluppo dell’azienda, confermando così – e anzi superando – il trend generale dell’industria regionale, che a fronte di un Pil cresciuto dello 0,9 per cento, ha registrato un più 14,3 per cento di export rispetto al 2010 (fonte: Rapporto sull’economia in Emilia Romagna, curato da Regione e Unioncamere). Aldo Neri, amministratore delegato di Neri Motori, traccia un quadro più preciso dei fattori che hanno trainato la crescita dell’azienda di San Giovanni in Persiceto. Qual è stata la strategia che vi ha condotto a questi risultati? «Il nostro è sempre stato un territorio caratterizzato da un elevato know how per la progettazione e produzione di motori e per l’industria metalmeccanica. Le performance che abbiamo esibito nell’ultimo anno sono state favorite certamente dagli investimenti nell’innovazione, Aldo Neri, amministratore delegato ma un ruolo importantissimo della Neri Motori Srl di San Giovanni l’ha avuto la forte ricerca e conin Persiceto (BO) - www.nerimotori.com

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Aldo Neri fa un bilancio sulla produzione 2011 e sull’espansione commerciale all’estero di uno dei principali produttori di motori elettrici della regione. Che ha puntato su innovazione, ricerca e sviluppo nella direzione delle energie rinnovabili Valerio Germanico quista di nuovi mercati. Siamo riusciti infatti a posizionarci in tutti e cinque i continenti, attraverso una rete di rivenditori collocati nei paesi più importanti dal punto di vista commerciale». Quali sono i principali campi di applicazione dei vostri motori? «Ci siamo orientati a un ampio ventaglio di settori. L’idea di base è stata quella di intercettare più target, in maniera tale da diversificare e controbilanciare gli effetti della crisi, che via via hanno colpito settori e mercati diversi. Certamente i nostri motori hanno la loro applicazione principale nel campo dei riduttori, ma vengono impiegati anche all’interno di macchine automatiche, car wash, carri ponte, lift, essiccatoi, macchine alimentari, green house. Inoltre, un settore al quale ci siamo avvicinati ultimamente è quello delle turbine eoliche. A questo proposito abbiamo appena partecipato alla fiera Eolica Expo di Roma, dove abbiamo presentato una nuova serie di motori di ultima generazione, progettati proprio per essere utilizzati all’interno delle turbine eoliche». Oltre a un prodotto curato nei minimi dettagli, qual è il valore aggiunto che offre al mercato la vostra realtà? «Poter proporre al mercato una gamma ricca


Aldo Neri

17,9 mln FATTURATO REALIZZATO DALLA NERI MOTORI NEL 2011. RISULTATO RAGGIUNTO ANCHE GRAZIE A UN INCREMENTO DELLA QUOTA DI EXPORT DEL 30%

di prodotti è certamente uno dei nostri punti di forza. Ma non è sufficiente. A questa si deve abbinare una fornitura altrettanto completa di servizi complementari. In questo la nostra realtà di media impresa ha certamente una marcia in più rispetto alle grandi industrie, che spesso non hanno una sufficiente flessibilità per venire incontro alle esigenze dei committenti. Proprio per questo una nostra caratteristica, per quanto riguarda il servizio, è quella di avere un approccio artigianale. Questo non esclude ovviamente l’uso delle nuove tecnologie. Per esempio, per quanto riguarda l’organizzazione di magazzino, abbiamo messo a disposizione dei nostri committenti un servizio di web order che consente di gestire il workflow degli ordini e il livello delle forniture». Su quali voci sono concentrati i vostri inve-

stimenti attuali e quelli previsti per i prossimi mesi? «Uno dei nostri obiettivi principali è quello di mantenere elevato il livello del reparto ricerca e sviluppo, questo per garantire al mercato un costante avanzamento tecnologico della produzione. Inoltre, a monte e a valle del processo produttivo, altrettanto importante è l’attività del laboratorio di pre e post produzione, al quale è affidata la responsabilità di garantire l’eccellenza dei nostri prodotti. In quest’ottica rappresentano una voce importante anche gli investimenti sulla formazione del personale, che registra un’età media molto bassa – attorno ai 30 anni. Siamo fermamente convinti che il futuro della nostra impresa dipenderà da quanto saremo in grado di valorizzare una realtà giovane, attenta al tema dell’innovazione e al rispetto dell’ambiente». EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 73


INTERNAZIONALIZZAZIONE

Nuove opportunità per l’industria idroelettrica Se in Italia si punta soprattutto alla manutenzione degli impianti idroelettrici esistenti, all’estero c’è chi investe ingenti risorse nella costruzione di nuove strutture, moderne e tecnologicamente avanzate. Il punto di Ivano Leandri Guido Puopolo

a necessità di trovare nuovi sbocchi è un’esigenza che, soprattutto negli ultimi anni, ha accomunato diversi ambiti produttivi. Non sfugge a questa regola il settore idroelettrico, e il perché lo spiega Ivano Leandri, direttore tecnico della Calzoni Hydro, società di Zola Predosa specializzata nella progettazione, costruzione e installazione di impianti idroelettrici e dei relativi sistemi di regolazione, automazione e controllo. «La realizzazione di nuove centrali idroelettriche o nuove dighe in Italia è un avvenimento piuttosto raro, in parte per la crisi, in parte per una certa saturazione delle risorse idriche. Per questo è diventato fondamentale operare anche sui mercati esteri. In questo momento, ad esempio, stiamo realizzando due interventi di grande valore, uno in Sud Africa, l’altro in Algeria. Stiamo inoltre tentando di rientrare, dopo anni di assenza, anche nel mercato sudamericano». Per quel che riguarda il mercato interno, invece, quali sono le richieste più frequenti da parte dei vostri committenti? «Oggi, in un’ottica di contenimento dei costi, sono aumentate le richieste di revisione e ammodernamento dei vecchi impianti, più convenienti rispetto agli oneri che rifacimenti ex-novo comporterebbero. Altra esigenza che il settore sta

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In alto Ivano Leandri, direttore tecnico della Calzoni Hydro di Zola Predosa (BO) www.calzonihydro.it

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esprimendo è quella di poter automatizzare con controlli remoti il funzionamento degli organi di manovra sugli impianti per la gestione delle acque. Una notevole implementazione di questa attività è dovuta all’utilizzo dei “PLC”, che consentono di operare con software, più o meno complessi, al posto dei complicati circuiti oleodinamici di un tempo. Altra nostra peculiarità è quella di poter offrire contratti di manutenzione programmata delle apparecchiature elettromeccaniche, con particolare riguardo a quelle per il controllo e gestione delle acque. Alcune dighe per le quali forniamo questo servizio sono quelle di Bilancino a Barberino di Mugello, di Ridracoli a Santa Sofia, la Traversa del Conca a San Giovanni in Marignano, solo per indicare quelle più vicine a noi». Come si è evoluta, negli anni, l’attività dell’azienda? «Storicamente la Riva Calzoni, della quale Calzoni Hydro è la diretta emanazione, era nota per coprire al suo interno tutte le fasi della realizzazione di un impianto. Purtroppo le leggi di mercato, in primis la caduta dei prezzi dovuta alla presenza di concorrenti meno strutturati e con know-how inferiore, ci hanno costretti a portare all’esterno la produzione d’officina. Questo ci permette però di mantenere il controllo di tutto


Ivano Leandri

FATTURATO

4 mln È IL RISULTATO RAGGIUNTO DALLA CALZONI HYDRO NEL 2011, A CONFERMA DI UN TREND POSITIVO CONSOLIDATOSI NEGLI ULTIMI 5 ANNI

il ciclo di un impianto: progettazione, verifica della produzione, montaggio in opera e messa in servizio. In questo modo possiamo acquisire e consegnare un impianto completo, garantendo l’assoluta qualità del risultato finale». Quali sono i punti di forza della vostra società? «La nostra specificità è quella di proporre al mercato sia la realizzazione di nuovi impianti che la revisione, anche sostanziale, di impianti esistenti. Nel campo delle revisioni, i lavori più importanti sono stati acquisiti in Italia, dove i nostri principali clienti sono realtà del calibro di Iride Energia, A2A, Enel, Edipower, oltre a numerosi consorzi per la gestione delle acque, come Romagna Acque e Publiacque». Su quali progetti siete attualmente impegnati? «Come accennato in precedenza stiamo lavorando in Sud Africa per la costruzione della Cen-

trale Idroelettrica di Ingula e in Algeria sulla Diga di Tabellout, avente scopi irrigui e acquedottistici. In Italia stiamo invece eseguendo revisioni significative in Centrali di Edipower e di Primiero Energia». Quali sono, infine, gli obiettivi per il futuro dell’azienda? «Siamo riusciti a crescere in un periodo in cui molte altre società sono state costrette a chiudere o a limitare drasticamente le loro attività. Il fatturato nell’ultimo quinquennio è progressivamente aumentato, passando tra il 2007 e il 2011, da 1,4 milioni a 4 milioni di euro. Ovviamente, considerando i tempi, cerchiamo di essere realisti e di non “fare il passo più lungo della gamba”. D’altra parte la disponibilità delle risorse energetiche sarà uno dei problemi principali del futuro, e siamo convinti che, per chi come noi opera nell’ambito delle fonti rinnovabili, ci sarà ancora tanto lavoro da fare». EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 75


INTERNAZIONALIZZAZIONE

Il settore agricolo verso mercati internazionali ono il continuo monitoraggio dello sviluppo economico, la forte richiesta di meccanizzazione, la concentrazione su colture mirate e l’aiuto offerto dai finanziamenti disponibili gli aspetti che rendono interessanti le zone dei paesi emergenti agli occhi delle imprese italiane impegnate nel settore della movimentazione agricola. Grazie, infatti, alla flessibilità, all’ampia gamma di macchinari prodotti e a reti di distribuzione ottimamente organizzate, le aziende italiane di questo particolare comparto hanno trovato all’estero un importante sbocco per l’incremento della propria attività. È il caso specifico della CM di Lugo, in provincia di Ravenna, che da quasi quarant’anni è specializzata nella progettazione e produzione di elevatori idraulici a forche. «A livello internazionale – spiegano Antonella Babini e Domenico Calonaci, soci titolari dell’impresa – abbiamo preso contatti e collaborato con varie realtà, con cui prevediamo di ottenere grandi soddisfazioni in termini di vendita. Attualmente, siamo presenti in ben quindici paesi europei e in dieci altri paesi del resto del mondo: Egitto, Marocco,

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Antonella Babini e Domenico Calonaci, soci titolari della CM di Lugo (RA) www.cm-elevatori.it

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Sguardo rivolto verso il mercato estero, attenzione massima alle necessità del mercato e macchinari innovativi al passo con le più recenti normative sono le peculiarità dell’odierno settore della movimentazione agricola. Ne parlano Antonella Babini e Domenico Calonaci Emanuela Caruso

Tunisia, Canada, Cile e Usa; e ancora Giappone, India, Turchia e Israele». Oltre a una rete distributiva estera, la CM gode anche di un’ottima rete commerciale italiana. ANTONELLA BABINI: «Creare una rete distributiva italiana efficiente ha contribuito all’ottimizzazione dei vari servizi offerti dalla nostra azienda e ci ha permesso quindi di ridurre sensibilmente i tempi di progettazione e consegna, di garantire assistenza online immediata ed efficace, e di assicurare al cliente finale interventi tempestivi finalizzati a risolvere qualsiasi tipologia di problematica. Come prospettiva per l’immediato futuro abbiamo quella di rafforzare ancor più la nostra presenza sul territorio nazionale attraverso la distribuzione di prodotti in quei settori merceologici con cui non siamo ancora venuti a contatto». Come riuscite a soddisfare le richieste del mercato? DOMENICO CALONACI: «Per essere certi di soddisfare a pieno le necessità degli utenti abbiamo ottimizzato tre caratteristiche importantissime


Antonella Babini e Domenico Calonaci

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Il raggio d’azione della CM tocca quindici paesi europei e altri dieci sparsi tra Africa, America e Asia

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dei nostri prodotti: la qualità, l’affidabilità e la versatilità di utilizzo. Impieghiamo solo i migliori materiali e sistemi di produzione tecnologicamente all’avanguardia, curiamo in maniera meticolosa l’assemblaggio dei vari componenti e monitoriamo e controlliamo ogni singolo passaggio della lavorazione. Inoltre, collaboriamo in modo costante con i nostri clienti, così da capire davvero le loro esigenze, ridurre al minimo il margine d’errore, migliorare i tempi di lavoro e prendere spunto dai consigli e dai suggerimenti che gli stessi utenti ci danno. Negli ultimi tempi, poi, ci siamo anche dedicati allo sviluppo di progetti interamente personalizzati e su misura». Da quali elementi è formata l’ampia gamma di prodotti offerta? A.B.: «Oltre agli elevatori idraulici, applicabili grazie alla loro leggerezza e robustezza sia a piccoli trattori sia a trattori di elevate potenze e costruiti con profili in acciaio laminato a caldo, cuscinetti ad alta resistenza e catene di sollevamento certificate, produciamo anche accessori da applicare sugli stessi ele-

vatori, e attrezzature intercambiabili tra cui rovesciatori e benne. Le benne vengono costruite nelle tipologie idrauliche, meccaniche e inforcabili e sono impiegate per la movimentazione di prodotti sfusi, come per esempio cereali, olive, neve e sabbia. I rovesciatori, invece, vengono utilizzati in particolare negli oleifici, nelle industrie conserviere, nelle cantine e nelle industrie di lavorazione ortofrutta e carni». Proprio tra i rovesciatori spicca l’innovazione più recente della CM. Di che cosa si tratta? D.C.:«Il rovesciatore brevettato 165 Flap è applicabile a tutti i tipi di carrelli elevatori e consente di bloccare e rovesciare i bins con un solo comando. Grazie all’innovativo sistema di serraggio dei contenitori, il prodotto non viene mai a contatto con la macchina, rispettando così le più severe normative in fatto di igiene. Anche questo macchinario, come tutti gli altri, è fornito di un sistema di aggancio e sgancio rapido e di tubi idraulici di alimentazione». EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 77


ENERGIA

Il nucleare scuote i mercati mondiali

Minore impegno finanziario, più sicurezza, tempi brevi di realizzazione e maggiore flessibilità. Con queste qualità vincenti gli impianti nucleari di piccola e media taglia si affacciano sul mercato internazionale. Ne parla Stefano Monti Emanuela Caruso

dispetto di quanti pensano che il nucleare sia un settore ormai morto, questo comparto dell’economia internazionale mette a segno un altro punto a livello di innovazione. Sì, perché sono stati immessi sul mercato rivoluzionari reattori di piccola e media taglia, molto interessanti per gli addetti del settore in quanto con i loro 200/300 megawatt elettrici sono integrali, compatti, modulari e più performanti dal punto di vista della sicurezza rispetto agli attuali reattori di grandi dimensioni. In Italia, a occuparsi della sperimentazione su questi impianti attraverso la progettazione e l’effettuazione di test di funzionamento, affidabilità e sicurezza è la società Siet di Piacenza, fondata quasi trent’anni fa dall’Enea, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, e dal Cise, il Centro informazioni studi esperienza dell’Enel. «I reattori di piccola e media taglia – spiega Stefano Monti, Presidente della Siet – stanno riscuotendo un certo successo in tutto il mondo, soprattutto negli Stati Uniti, nella Corea del Sud e in Russia; e questo perché finanziariamente sono meno impegnativi dei reattori da 1500/1600 megawatt elettrici, possono essere utilizzati anche in quei Paesi dove la rete elettrica non è molto sviluppata o in siti remoti, e possono essere impiegati anche per applicazioni non elettriche, per esempio la desalinizzazione dell’acqua del mare o la produzione di calore». In che cosa consistono le sperimentazioni e le prove che effettuate su questi reattori di ultima generazione? «Sui reattori di piccola e media taglia realizziamo tanto prove su sistemi e componenti prototipici quanto prove integrali di funzionamento e sicurezza dell’intero impianto. Il progetto di

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Stefano Monti, presidente della Siet Spa di Piacenza www.siet.it

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R&S è finanziato dall’Enea nell’ambito dell’Accordo di Programma pluriennale col Ministero dello Sviluppo Economico e prevede la progettazione dei test, la progettazione e realizzazione degli impianti per simulare il comportamento del reattore, lo svolgimento di esperimenti volti a verificare la capacità del sistema a fare a fronte a qualsiasi situazione anche di incidente severo. I test permettono, infine, di validare i codici di calcolo numerici impiegati per la progettazione e le verifiche di sicurezza dell’impianto reale. In altre parole, siamo in grado di effettuare tutte le prove termo-fluidodinamiche necessarie per licenziare l’intero impianto dal punto di vista della sicurezza e validare i relativi codici di calcolo per la loro progettazione». Come è arrivata la Siet a specializzarsi in questo particolare tipo di sperimentazione? «Essendoci impegnati sin dall’inizio dell’attività sul fronte della ricerca nucleare, abbiamo cominciato specializzandoci prima nella sperimentazione sui reattori di seconda generazione, ov-


Stefano Monti

vero quelli di grande taglia attualmente in uso e di cui il 95% è refrigerato ad acqua, con prove termoidrauliche e termomeccaniche su grossi componenti. Poi negli anni ’90, forti di questa prima esperienza, abbiamo partecipato attivamente allo sviluppo e certificazione di alcuni reattori refrigerati ad acqua della cosiddetta III generazione avanzata (quella disponibile oggigiorno e le cui prime realizzazioni nel mondo sono iniziate dopo il 2000) quali l’AP-600 di Westinghouse e l’SBWR di General Electric. Infine a partire dal 2006 abbiamo messo a frutto l’esperienza e la competenza maturata su questo tipo di reattori per far partire lo studio e lo sviluppo di prove sperimentali e test per gli innovativi impianti di piccola e media taglia di tipo integrale e modulari, che rappresentano oggigiorno i reattori nucleari di tipo avanzato più prossimi alla commercializzazione, una specie di battistrada rispetto ai futuribili reattori di IV generazione che non saranno disponibili prima del 2040-2050». La Siet è dotata di vari impianti sperimentali, ma i tre più importanti sono denominati Gest, Ieti e Spes. A che cosa servono e in che modo funzionano? «L’impianto Gest consente di verificare il funzionamento dei separatori di vapori, componenti essenziali per i generatori di vapore di reattori nucleari ad acqua, e può essere utilizzato anche per effettuare prove su una vasta gamma di componenti meccanici in condizioni fluidodinamiche molto gravose. Lo Ieti, invece, è impiegato per la sperimentazione termoidraulica su dispositivi innovativi progettati per migliorare la sicurezza e l’efficienza degli impianti; mentre l’impianto Spes è una struttura simulante il circuito tremoidraulico primario di una centrale nucleare che consente di studiare

il comportamento dell’impianto reale in condizioni critiche o di incidente». Qual è la situazione generale del settore e del mercato nucleare? «Come quasi tutti i settori economici e tecnologici del mercato italiano e internazionale, anche il nostro risente della crisi, che in Italia, insieme all’abbandono per la seconda volta del nucleare industriale, ha contribuito alla riduzione radicale anche dei finanziamenti alla ricerca in questo campo. Ciò nonostante, il mercato è tutt’altro che fermo e molti Paesi anche europei stanno investendo ingenti risorse nel nucleare, ne sono un esempio Inghilterra, Polonia, Lituania ed Estonia, oltre ovviamente alla Francia. Come è noto la Cina e l’India e la Russia proseguono con vigore sulla strada del nucleare anche nel dopo Fukushima, essendo interessate, per ovvi motivi, in particolar modo agli impianti di grandi dimensioni ed elevate potenze; un altro caso interessante è quello della Corea del Sud che ha un programma nucleare molto aggressivo con 21 unità già in funzione, 7 in costruzione e altre 6 pianificate. Grazie a questo interessante scenario mondiale e alla sua unicità, la Siet continua a macinare grandi soddisfazioni anche in periodo di crisi ed in assenza di un programma nucleare italiano; l’anno scorso, infatti, siamo riusciti ad acquisire un importante contratto da una società americana che sta sviluppando un proprio concetto di reattore nucleare di piccola e media taglia». EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 79




MODELLI D’IMPRESA

Buone prospettive per la meccanica Il mercato delle macchine automatiche sta recuperando più velocemente degli altri, forse anche grazie alla continua spinta innovativa che lo contraddistingue. Il punto di Sanzio Tampieri Renato Ferretti

er Sanzio Tampieri, titolare insieme ai figli Paolo e Stefano dell'omonima azienda di costruzioni meccaniche, lo sviluppo e l'aggiornamento dei progressi di produzione sono insiti nella stessa attività imprenditoriale. La Tampieri è un'azienda non di grandi dimensioni alle prese con la crisi, che però è riuscita a interpretare le richieste del mercato. Non c'è una strategia unica risolutiva a spiegare questo risultato, che in altri periodi non avrebbe forse niente di straordinario. Nell’analisi di Sanzio Tampieri la soluzione sembra consistere in una

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Da sinistra Paolo, Sanzio e Stefano Tampieri, titolari della Tampieri Srl di Imola (BO). Foto di LABZERODUE www.tampieri.org

parola «diversificazione». In che modo è avvenuto questo processo? «Si è reso necessario diversificare ancora di più non solo il mercato finale ma anche il target di produzione, infatti oggi spaziamo dalle grandi forniture anche in serie, alla produzione di prototipi o macchinari finiti e collaudati presso i nostri stabilimenti». Dunque avete rinunciato a perseguire un core business preciso? «Non esiste un core business vero e proprio, ci modelliamo attorno alle esigenze del cliente; per alcuni produciamo in serie grandi lotti con scadenze settimanali o bisettimanali, per altri forniamo macchinari completi dalla A alla Z pronti per essere spediti al cliente finale. Come sempre le evoluzioni arrivano dalle richieste». Entriamo nel dettaglio della vostra azienda. «I nostri servizi spaziano dalla progettazione di attrezzatura e utensili, alle costruzioni e lavorazioni meccaniche, fino ai montaggi e collaudi meccanici e al riporto di lega bronzo alluminio. Realizziamo particolari meccanici di medio grandi dimensioni. L’azienda è strutturata con un proprio reparto di controllo qualità e ha in dotazione una macchina di


Sanzio Tampieri

Il 2011 si è chiuso in crescita e anche il 2012 continua a mostrare il segno più, ma è stato necessario trovare nuovi clienti e offrire un servizio ancora più elastico e reattivo

controllo tridimensionale automatizzata e computerizzata per la verifica dei pezzi». In che settori operano i vostri clienti? «Ci occupiamo di tutti i rami della meccanica: dall’impiantistica, alla componentistica di precisione, al packaging, alla stampistica, alle macchine utensili e operatrici, fino alle macchine, idrauliche termiche ed eoliche, per la produzione di energia». E che risultati avete ottenuto nell'ultimo anno? «Il 2011 si è chiuso in crescita e anche il 2012 continua a mostrare il segno più, ma per farlo è stato necessario trovare nuovi clienti, modulare il personale su più turni per offrire un servizio ancora più elastico e reattivo». In questi risultati positivi che ruolo ha avuto la ricerca? «La ricerca in quanto terzisti ci coinvolge poco. È sullo sviluppo che negli anni abbiamo sempre puntato tutto, ne è testimonianza la crescita costante del nostro parco macchine o il nostro ufficio tecnico che da tempo lavora in 3d sia per quanto riguarda lo sviluppo del disegno che per la programmazione cad/cam. E non pensiamo di fermarci: a gennaio 2012 abbiamo aggiunto una

fresa a 5 assi per completare la nostra gamma di lavorazioni». C'è da dire che il vostro è un settore meno colpito dalla recessione. «Il mercato delle macchine automatiche probabilmente è quello che sta andando un po’ più forte, la necessità di quel mercato di innovare sempre è forse una spinta naturale a non fermarsi. E anche la grande industria legata alle acciaierie continua a produrre. Ma non bisogna dimenticare che per le piccole realtà è sempre più difficile fare previsioni per cogliere le opportunità». Dunque quale strategia avete in mente per il prossimo futuro? «Le prospettive sono secondo noi buone, ma data l'incertezza di base abbiamo deciso di entrare a far parte di un consorzio. A dicembre insieme ad altre realtà del territorio legate al mondo della meccanica, edilizia e servizi siamo entrati a far parte del Forum Cornelii, che ha come obbiettivo proprio quello di far fronte comune. È attivo il nostro sito www.forumcornelii.it che punta a diventare un moderno punto di confronto dove gli imprenditori possono condividere e fondere le proprie idee».

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MODELLI D’IMPRESA

Il comparto meccanico si ristruttura Alcune realtà imprenditoriali del settore meccanico hanno visto nella crisi un’opportunità per ottimizzare l’organigramma, i costi e la gestione del processo produttivo. Mario Sgorbani racconta la sua esperienza Emanuela Caruso

l perdurare della crisi economica che si è abbattuta sul mercato italiano già da svariati anni ha portato a notevoli cambiamenti all’interno delle dinamiche di molti settori produttivi del paese, in particolare nei rami dell’edilizia, dell’immobiliare e delle costruzioni meccaniche. Proprio in quest’ultimo campo l’avversa congiuntura ha contribuito al fallimento e alla chiusura di diverse piccole e medie aziende, mentre ha costretto le imprese storiche a cambiare proprietà e ad accorparsi a nuovi gruppi, aiutate in questo dall’apporto di capitali esteri. A cambiare, poi, è stato anche il modo di lavorare, mutamento a cui hanno dovuto sottostare anche i grandi marchi, impossibilitati a fare magazzino e obbligati a produrre solo sul venduto. Situazione questa che da subito ha allungato i tempi di approvvigionamento dei componenti e delle materie prime. Nonostante uno scenario generale piuttosto sfavorevole per l’imprenditorialità italiana, però, alcune aziende sono riuscite a trasformare il periodo di recessione in uno stimolo per studiare il mercato, migliorare l’attività e, di conseguenza, crescere. Esattamente come ha fatto la Cmi di Lugagnano Val D’Arda, società pia-

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centina inserita nel settore delle costruzioni meccaniche industriali. «Avendo sempre lavorato su commessa del cliente – spiega Mario Sgorbani, amministratore unico dell’impresa – ci siamo trovati in una posizione privilegiata rispetto a molte Mario Sgorbani, amministratore unico della Cmi Srl – Costruzioni Meccaniche Industriali – di Lugagnano Val D’Arda (PC) altre realtà, perché non mario.sgorbani@cmi-piacenza.com abbiamo sofferto in modo particolare a causa delle nuove e allungate tempistiche. Anzi, abbiamo deciso di sfruttare il maggior tempo a nostra disposizione per analizzare nel dettaglio ogni singolo aspetto della nostra attività e in particolare dell’organigramma, dei costi, della gestione delle risorse e del processo produttivo; tutto al fine di ottimizzare il lavoro. Una strategia che ci ha premiati, in quanto a parità di fatturato le spese sono diminuite, il costo della manodopera è calato anche se il perso-


Mario Sgorbani

nale è aumentato, e i tempi di consegna si sono ridotti». A fronte di quanto appena detto si può dedurre che il bilancio di quest’ultimo anno sia stato positivo. Nello specifico come avete raggiunto questo risultato? «In termini di fatturato, nel 2011 ci siamo assestati su un valore più che discreto per un periodo come questo. Certo, non rispecchia le nostre piene capacità produttive, ma è un buon passo in avanti rispetto alle annate 2009 e 2010, le più dure dell’ultimo decennio. Siamo riusciti a mantenere una buona tendenza di crescita grazie alla possibilità di acquisire commesse su più fronti. Ai nostri clienti, infatti, proponiamo una vasta gamma di servizi che vanno da taglio del materiale, lavorazione della lamiera e carpenteria leggeramedio-pesante a lavorazioni meccaniche di fresatura, alesatura, tornitura e rettifica con macchine utensili di precisione, dalla verniciatura dei pezzi secondo ogni specifica richiesta dell’utente all’approvvigionamento di componenti commerciali e al montaggio degli stessi insieme a strutture di nostra produzione. Infine, offriamo anche un servizio di cablaggio elettrico e prove di funzionamento». Quali sono i principali mercati e target di riferimento? «Il nostro settore trainante è costituito dall’industria della macchina utensile e, dunque, i principali interlocutori dell’azienda sono i maggiori costruttori italiani. Pur essendo specializzati nella progettazione e realizzazione di

A parità di fatturato le spese sono diminuite, il costo della manodopera è calato anche se il personale è aumentato, e i tempi di consegna si sono ridotti

tutto ciò che riguarda la movimentazione che va a corredo della macchina utensile e nella fornitura di parti della macchina stessa, però, ci rivolgiamo anche a una fetta più ampia di mercato, andando ad abbracciare anche settori quali il petrolifero, il petrolchimico, l’alimentare, la produzione e rigenerazione di materie plastiche e la fabbricazione di pneumatici, valvole e raccordi». Quanto conta l’export? «In questi ultimi anni molto, poiché abbiamo avuto alcune importanti richieste dal mercato tedesco. Esportare con una certa continuità in Germania è stato motivo di grande orgoglio, perché ha significato vedere apprezzato un prodotto italiano di precisione anche al di fuori dei confini nazionali. Ma motivo di vanto sono anche le esportazioni indirette, ovvero le vendite estere effettuate ❯❯ EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 85


❯❯ dai clienti, che portano in tutto il mondo i no- ventato lo standard, la nostra capacità di camstri prodotti». Qual è il vostro maggior punto di forza? «Sicuramente, ciò che più di ogni altra cosa ci rende peculiari è la nostra capacità di far fronte a un ventaglio molto ampio di richieste e di non fossilizzarci su un unico cliente o prodotto. Il fatto di offrire un prodotto davvero completo è una caratteristica piuttosto rara nell’industria italiana; inoltre, in un momento in cui il prodotto “speciale” è ormai di-

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biare i processi in corso d’opera per seguire il cliente con un rapporto di collaborazione quotidiana ci consente di vedere rinnovata la fiducia nei nostri confronti». Quali sono stati gli investimenti tecnici e tecnologici che più hanno inciso sul vostro sviluppo negli ultimi anni? «Mancando fin dall’inizio la mentalità giusta per organizzare una rete pubblicitaria e commerciale, l’idea di realizzare un prodotto marchiato Cmi è stata subito abbandonata, per investire invece nel miglioramento di aspetti che nel tempo ci hanno condotto al raggiungimento di importanti livelli qualitativi nell’ambito della sub-fornitura. Per questo motivo, oltre a espandere l’area coperta dai nostri capannoni, abbiamo investito nei macchinari, nelle strumentazioni e nel personale». Collaborate con altre realtà industriali o associazioni del territorio piacentino? «Non collaboriamo con alcuna associazione di categoria o territoriale; questa scelta è stata fatta sin dagli inizi dell’attività e non è stata modificata perché non ne abbiamo mai sentito il bisogno. Disponiamo, però, di consulenti fidati e collaudati nel corso dei tre decenni di vita della Cmi».


Mario Sgorbani

In questi ultimi anni abbiamo avuto alcune importanti richieste dal mercato tedesco

Il 2012 è cominciato per l’azienda come un anno di svolta. Perché? «Per due motivi principali: l’ottimismo che mi porta a pensare a un ormai prossimo periodo ascendente e il nuovo corso preso dall’azienda con la mia nomina ad amministratore unico. La mia intenzione è infatti quella di portare avanti l’attività creata in trentacinque anni di storia, introducendo però una forte volontà di crescere, migliorare e rinnovare non solo l’azienda, ma anche il settore di riferimento. A questo proposito la chiave di tutto

sarà rappresentata dalla diversificazione e dalla flessibilità produttiva. Non dobbiamo commettere l’errore di sentirci “arrivati”, ma al contrario dobbiamo investire energie e sforzi per migliorare ogni giorno e incrementare la gamma di lavorazioni da proporre». Cosa prevede per il futuro del settore e quali prospettive di sviluppo vi siete posti? «In un certo qual modo, la nostra tipologia di lavoro subisce il mercato più di altre, speriamo quindi che siano i clienti a proporci ogni giorno qualcosa di nuovo. Per il medio periodo prevedo ancora tanta incertezza, ma anche una tendenza a un lieve e costante aumento delle richieste. Come obiettivo per l’immediato futuro ci siamo posti quello di farci conoscere ancora di più dal possibile bacino d’utenza e di acquisire nuovi clienti, ma soprattutto c’è la volontà di veder ripartire a pieno regime i nostri clienti storici: ci consideriamo loro partner e, dopo tanti anni di collaborazioni reciproche, condividere con loro ulteriori periodi di successo sarà motivo di grande soddisfazione». EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 87


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Imprese e produzione, cresce l’attenzione all’ambiente Malgrado la fase di crisi economica le aziende hanno compreso l’utilità di investire nella filtrazione e nel disinquinamento dell’aria. Un guadagno per l’impresa e per l’ambiente. Ne parliamo con Luciano Ferrari Marco Tedeschi

poco più di un mese dal sequestro ordinato dal gip, si torna a parlare dell’Ilva di Taranto. Il presidente dell'Ilva, Bruno Ferrante, è stato infatti reintegrato fra i custodi giudiziali ai quali sono affidate le aree della fabbrica sotto sequestro. Quella dell’Ilva è una realtà che conosce bene anche Luciano Ferrari, titolare della Fisma, azienda piacentina che opera nel campo dell’impiantistica industriale. La realtà piacentina ha solidi rapporti di collaborazione con i maggiori gruppi che operano nel settore siderurgico, chimico, energetico e d’ingegneria fra i quali Riva Group, Tenova, Sms Innse, Air Fire, Amsa, Enel, Paul Wurth, Akzo Nobel, Vestas, Tunisacier e altri. «La Fisma – spiega Ferrari - sta lavorando molto con il gruppo Riva, proprietario del Gruppo Ilva, nei settori dei sistemi industriali antincendio e trattamento dell’aria. Abbiamo un cantiere anche all’interno dell’Ilva di Taranto che sta attraversando momenti difficili. L’Ilva è un gruppo che noi seguiamo da molto tempo, dagli anni settanta, quando era ancora statale e produceva solo debiti. È poi subentrata la

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Luciano Ferrari, titolare della Fisma di Piacenza www.fisma.it

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famiglia Riva, che è riuscita a risollevare le sorti del gruppo e a rimettere in piedi uno stabilimento che era ormai diventato ingestibile. Dal mio punto di vista, la famiglia Riva ha investito moltissimo sulla sicurezza per la salute del personale all’interno dello stabilimento e per l’abbattimento delle emissioni inquinanti con l’installazione di nuovi impianti di trattamento e filtrazione dell’aria. Ovviamente qualsiasi produzione industriale produce anche inquinamento, ma credo che la sentenza depositata sia as-


Luciano Ferrari

Il 60 per cento della nostra produzione è impegnata sul disinquinamento dell’aria. Oggi si è capito che investire in ecologia comporta un ritorno positivo

surda. Non vedo assolutamente una “reiterata volontà di inquinare” ma quella di adottare misure per salvaguardare la salute delle persone e l’occupazione in un periodo molto difficile per tutta l’economia». Fisma progetta e produce impianti completi di filtrazione, antincendio, condizionamento e impianti di trasporto meccanico per l’industria siderurgica, meccanica, chimica e per tutti quei settori interessati a operare in ambienti sicuri che necessitano di tecnologie antinquinamento ambientale. «Essendo il nostro un mercato particolare e un po’ di nicchia ci stiamo muovendo su più direttive con progetti e forniture dedicate anche al mercato estero. Nel mercato interno invece riscontriamo delle difficoltà maggiori. I gruppi con cui lavoriamo in Italia sono nella maggior parte dei casi internazionali. Possiamo dire che operiamo per il 50 per cento sul mercato italiano e per il 50 per cento su forniture dedicate al mercato estero, ed in particolare per Turchia, paesi Arabi e Brasile. Guardiamo con interesse ai nuovi mercati emergenti ed in particolare Russia e Brasile per futuri sviluppi produttivi e commerciali. In ogni caso, dopo le incertezze e le difficoltà dell’anno scorso, grazie all’acquisizione di nuovi ordini stiamo incrementando le assunzioni. È sicuramente un segnale positivo che ci permette di pianificare l’attività produttiva a medio termine». Fisma è impegnata su diverse linee di attività, diversificazione che è stata utile in tempi di

crisi. «Il settore che stiamo supportando maggiormente è quello dell’abbattimento delle polveri e degli inquinanti. Nei periodi di crisi economica degli anni passati, tutto il settore di salvaguardia ambientale veniva disincentivato e ritenuto superfluo in quanto considerato costo aggiuntivo e improduttivo. La cultura ambientalista, la presa di coscienza e la conoscenza dei rischi connessi all’inquinamento atmosferico con danni irreversibili a lungo termine, ha capovolto questa situazione nella fase di crisi economica che stiamo attraversando. Il 60 per cento della nostra produzione è improntata alla costruzione di impianti di trattamento dell’aria. Oggi si è capito che investire in ecologia comporta un ritorno positivo per il futuro. Anche la sicurezza degli ambienti lavorativi ha subito negli ultimi anni un notevole incremento, abbiamo in lavorazione inoltre – prosegue Ferrari – un impianto antincendio presso l’Ilva di Novi Ligure e appena completato nuovi impianti antincendio presso Ilva di Genova». Le norme sempre più mirate e restrittive impongono tecnologie sempre più affinate e sicure. Impegno che ha comportato investimenti importanti per la Fisma. «Soprattutto nel campo dell’ecologia – conclude Ferrari – con lo studio di sistemi nuovi per l’abbattimento delle polveri. In futuro dedicheremo sempre più energie al miglioramento delle tecnologie per il settore ecologico e trattamento dell’aria». EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 89


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Meccanica, nuove soluzioni Arianna Burzoni, cotitolare della piacentina BFT Burzoni, fa un punto sul settore degli utensili da fresatura e tornitura. Fattori determinanti: l’alta tecnologia, un magazzino invidiabile e, naturalmente, gli agenti di vendita Renato Ferretti

enere il passo delle novità, lasciando il rapporto qualità-prezzo competitivo. Un obiettivo scontato per qualsiasi impresa, ma è altrettanto scontato che sia piuttosto difficile da perseguire. Se poi si considera il ramo della meccanica, con l’inseguimento costante all’inarrestabile avanzamento tecnologico, le cose si complicano. Arianna Burzoni, cotitolare della BFT Burzoni di Piacenza, è difficile fare una lista degli elementi che determinano il successo di un’azienda da questo punto di vista. «Sono veramente tante – afferma Burzoni – le caratteristiche che hanno permesso ad una azienda come la nostra di non soccombere alla forza dei nostri competitor internazionali». Se dovesse fare un bilancio dell’ultimo periodo, come si tradurrebbe in numeri? «Stiamo tornando al massimo livello di fatturato che avevamo raggiunto nel 2008 prima della crisi. Il merito va alla buona penetrazione sul mercato ottenuta dal dinamismo dei nostri agenti di vendita – capitanati dal direttore commerciale Gian Luca Andrina –, in grado di fornire una consulenza tecnica di alto

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In alto, a sinistra Alberto Burzoni, titolare della BFT Burzoni di Piacenza. Sotto, Arianna Burzoni, cotitolare della società www.bftburzoni.com

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livello ai propri clienti. Il fiore all’occhiello di BFT è sicuramente il magazzino che non smette mai di crescere con oltre 10 milioni di pezzi. La logistica è affidata a 12 magazzini verticali e a numerose scaffalature e cassettiere tradizionali». Entriamo nei dettagli della vostra attività. «I prodotti Tungloy sono commercializzati con un giusto rapporto qualità-prezzo. Per quanto riguarda il servizio, siamo in grado di evadere gli ordini in meno di 24 ore e gli oltre 45mila articoli presenti sul Catalogo sono a magazzino. Servizio non significa solamente pronta consegna ma anche competenza, quel valore aggiunto che ogni azienda deve possedere per affrontare le dinamiche del mercato e le esigenze degli operatori macchina». Quali sono state le principali tappe che il progresso tecnologico ha innescato all’interno della BFT? «Il settore degli utensili ad asportazione truciolo è sempre in continua evoluzione tecnologica e ha compiuto dei passi da gigante negli ultimi decenni. Basti pensare agli “utensili brasati” sostituiti oramai in tutte le officine metal meccaniche da quelli a fissaggio meccanico. Ogni fase produttiva degli inserti ha subito e continua a subire migliorie: a partire dai carburi di base, al processo di sintering, ai rivestimenti. Oggi siamo in grado di raggiungere velocità di


Arianna Burzoni

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Oggi siamo in grado di raggiungere velocità di taglio e avanzamenti impensabili fino a un ventennio fa

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taglio e avanzamenti impensabili solo pochi anni fa e di poter affrontare lavorazioni di materiali molto difficili e sempre più presenti sul mercato nazionale». In termini di innovazione tecnologica, qual è l’ultima novità registrata nel settore? «Anche BFT presenterà alla 28° edizione di Bi-Mu/Sfortec, dal 2 al 6 ottobre 2012 tantissime novità per un mercato che cambia dove la fanno sempre più da padrone il titanio e le sue leghe, gli acciai altamente legati, gli acciai inossidabili e le superleghe resistenti al calore (HRSA= Heat-Resistant Super-Halloys). In tornitura la soluzione per lavorare questi difficili materiali è la nuova linea di inserti Tungloy Black Panther, gli innovativi processi di fabbricazione fanno aderire perfettamente il rivestimento in triossido d’allumina al substrato dell’inserto rendendone la superficie liscia e priva di tensioni superficiali. I risultati sono sorprendenti, l’inserto possiede ottima tenacità garantendo un’elevata resistenza all’usura, sinonimo di una durata superiore e di grande affidabilità dell’inserto. I nostri clienti hanno bisogno di

inserti particolari per affrontare in officina le lavorazioni, ecco perché ci siamo adeguati studiando nuove soluzioni». Quali sono le dinamiche operative affidate allo studio tecnico? «Un punto di forza dell’azienda è sicuramente l’ufficio tecnico guidato dall’ingegner Pierluigi Pozzi che si occupa di trovare la soluzione più adeguata per affrontare lavorazioni particolari e la realizzazione di utensili speciali, cioè non in commercio. Questo è un servizio molto apprezzato dai nostri clienti che in tempi brevi riescono ad ottenere la realizzazione di utensili speciali». Quali sono le prospettive per il futuro? «Mi piacerebbe comunicare un po’ di ottimismo per questo popolo italiano dalle grandi capacità e risorse. Se vogliamo affrontare il futuro con una certa serenità economica dobbiamo lavorare tutti con passione e professionalità cercando di fare ognuno del proprio meglio per apportare alla comunità il nostro contributo di positività. Questo mio semplice pensiero è racchiuso nella famosa frase di Voltaire “Il faut cultiver notre jardin”». EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 91


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Macchine agricole “trainate” dall’innovazione Dietro lo studio e la realizzazione di una ruota per macchine agricole si cela un engineering complesso. Maria Cecilia La Manna descrive il raggio d’azione di un mercato estremamente vivo che vede in Europa il suo massimo livello di realizzazione tecnologica Marco Tedeschi

Maria Cecilia La Manna è Vice Presidente della Titan Italia Spa www.titanitalia.it

l 2011 è stato un anno davvero significativo per la produzione di macchine agricole in Germania. Il fatturato riguardante questo comparto è cresciuto del 28 per cento rispetto al 2010. Si è registrata una crescita complessiva di produzione e di mercato interno. Un clima positivo che è si concretizzato anche nella prima metà del 2012. È anche dietro questi numeri che si celano la crescita e i successi della Titan Italia, società emiliana che si colloca all’interno del Gruppo Titan Europe. «Per noi che produciamo ruote e freni per macchine agricole – spiega il Vice Presidente Maria Cecilia La Manna – quello tedesco rappresenta il mercato trainante che detta le regole del mercato». Titan Italia si inserisce all’interno di un gruppo internazionale estremamente importante. «Titan Italia fa parte di Titan Europe, un gruppo quotato in borsa a Londra. Il gruppo internazionale è specializzato nella progettazione, sviluppo, produzione e distribuzione di ruote, componenti del sottocarro e i loro assemblati per macchine “off-road” nei settori delle costruzioni, dell’estrazione mineraria e dell’agricoltura. Per quello che riguarda la nostra società, Titan Italia è capogruppo della Divisione Ruote Agricole di Titan Europe. Nata negli anni sessanta ha sempre prodotto ruote e freni per macchine agricole, trattori, mietitrebbie, macchine speciali per l’irrigazione e l’irrorazione». Il far parte di un gruppo internazionale, vi ha in qualche modo protetto dalla crisi? «Il 2009 è stato l’unico anno in perdita, in cui abbiamo dovuto apportare delle riduzioni. Nel

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Maria Cecilia La Manna

La waffle permette anche ai trattori di maggiori dimensioni di viaggiare ad alta velocità in tutta sicurezza e in modo confortevole

periodo pre-crisi, nel 2008 ad esempio, abbiamo fatturato circa 130 milioni di euro, con 600 dipendenti. Nel 2009 il fatturato è sceso a circa 67 milioni e siamo quindi intervenuti, continuando però sempre ad investire su progetti chiave legati alla ruota. La ruota infatti è uno strumento tutt’altro che semplice, soprattutto le ruote che realizziamo noi, utilizzate per trattori che hanno dai 150 ai 500 cavalli. I trattori inoltre non possiedono sospensioni, il che comporta uno studio e una tecnologia del tutto particolare. In aggiunta siamo molto “condizionati” dal mercato tedesco che detta un po’ le regole del gioco e fa da traino. In Germania infatti i trattori possono viaggiare anche in autostrada e in autostrada c’è il limite minimo di 62 km/h. Quindi dobbiamo adattarci anche a questa esigenza particolare e in questo siamo stati precursori. Si tratta in ogni caso di ruote che pesano circa 350 kg e che hanno quindi la necessità di essere precise e di venir supportate da una tecnologia ben specifica». Per questo tipo di tecnologia a chi vi affidate? «Abbiamo un’area di ricerca interna che effet-

tua dei test e che sviluppa non solo il prodotto, ma anche il processo. Nonostante la crisi abbiamo continuato a lavorare su questi standard e oggi possiamo dire di aver recuperato quella perdita di fatturato del 2009. Nel 2011 abbiamo infatti fatturato 120 milioni di euro. Questo è stato possibile grazie agli investimenti, ma anche grazie allo sviluppo di una nuova tecnologia, la Waffle, un tipo di ruota che ha caratteristiche d’intercambiabilità del track, ovvero del tipo di percorrenza del trattore. La waffle permette anche ai trattori di maggiori dimensioni di viaggiare ad alta velocità in tutta sicurezza e in modo confortevole, offrendo, inoltre, una variabilità di otto carreggiate. Questo ci ha permesso di allargare il mercato soprattutto verso i grandi produttori tedeschi. Durante la crisi abbiamo cercato di tagliare dei costi ma non abbiamo mai effettuato dei tagli a livello di engineering e sviluppo». Potrebbe farci un quadro del mercato internazionale visto che nel vostro settore è ancora fondamentale il mercato europeo? «Noi vendiamo in modo particolare a grandi player europei. Produciamo per il 35 per cento ❯❯ EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 93


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Sisma: emerge il modo di fare impresa emiliano Agire subito. È stato questo l’atteggiamento che ha consentito alla Titan Italia di Finale Emilia di risollevarsi tempestivamente. Una scelta che ha comportato sforzi considerevoli ma che consentirà all’azienda emiliana di riprendere a lavorare a pieno regime da ottobre. «Noi, come molte altre aziende del posto – spiega Maria Cecila La Manna, Vice Presidente - abbiamo deciso di non aspettare aiuti esterni ma di agire direttamente sui danni riportati dal nostro capannone, che si trovava con le sue 176 colonne danneggiate. In questo abbiamo messo al lavoro i nostri operatori, inizialmente istruiti da una squadra esterna, che sono poi riusciti a lavorare direttamente per la ricostruzione dell’azienda in cui lavoravano. C’erano molti operai che la notte dormivano in tenda e la mattina venivano a lavorare per ricostruire la propria impresa. Questo si è verificato perché sentono il posto di lavoro un po’ come se fosse la loro casa. Noi siamo molto legati ai nostri dipendenti e attraverso il nostro management, che è riuscito a dare garanzie al gruppo internazionale, siamo riusciti a gestire la situazione. Non sarebbe stato possibile infatti trasferire in breve tempo le nostre conoscenze e il know-how in un altro posto di lavoro. E non sarebbe stato neanche giusto». Oggi una parte dello stabilimento è in sicurezza e sta lavorando per continuare a fornire i clienti, mentre una parte è ancora inagibile. «Prevediamo di mettere in sicurezza l’intero stabilimento entro la fine di settembre in modo tale da ricominciare a lavorare a pieno regime da ottobre. Per avere un’idea dello stato di danni si parla all’incirca di trenta milioni di euro. Il Governo ha dichiarato che avrebbe messo a disposizione l’ottanta per cento dei fondi sul totale dei danni. A oggi noi non abbiamo ancora visto nulla e abbiamo gestito l’azione finanziaria da soli».

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❯❯ per player italiani come CNH, Same e Argo Tractors e 65 per cento per il mercato estero, che è quasi interamente europeo. Questo perché il mercato tedesco è quello più all’avanguardia e la nostra ruota è troppo tecnologicamente evoluta per altri mercati. Non troviamo domanda in altri paesi proprio per questo motivo. È chiaro che poi il cliente intermedio vende queste macchine anche fuori dall’Europa ma noi non ci interfacciamo con il cliente finale. Un grande mercato di sbocco ad esempio è quello della Russia e dell’ex impero sovietico dove viene richiesta questo tipo di tecnologia». Quali sono le previsioni di mercato e in modo particolare di quello italiano? «L’Italia è sempre stata uno dei principali produttori per le macchine agricole e continuerà a esserlo. C’è da dire che noi, come molti altri gruppi, abbiamo sviluppato alcune attività produttive in altri Paesi a basso costo. Ad esempio, tra le strategie per combattere la crisi, abbiamo adottato quella di produrre in Turchia ruote di dimensioni più piccole. In questo modo abbiamo potuto sfruttare un mercato in ascesa come quello turco e abbiamo potuto contare sulla produzione di una ruota più piccola e quindi più facilmente trasportabile e più competitiva. Noi siamo in Turchia dal 2005 ma opeariamo nell’ambito del Gruppo in altri mercati come la Cina, India e Brasile. Mercati e divisioni che io seguo direttamente. Luoghi scelti non per delocalizzare e poi importare in Italia,


Maria Cecilia La Manna

Un grande mercato in ascesa è rappresentato dalla Russia e dalla Turchia. Abbiamo in ogni caso delle sedi anche in Francia, Cina e Brasile

ma per sviluppare i mercati locali». Come hanno recepito il vostro know-how i paesi in cui avete spostato la produzione? «Alcuni bene, altri meno. Ci siamo ad esempio trovati molto bene in Turchia, dove abbiamo mandato una squadra di italiani che per tre anni sono stati sul posto e hanno trasferito le conoscenze integrandole in un sistema complesso. Si tratta di uno sforzo significativo ma in alcuni paesi che hanno le capacità di cogliere le novità e che hanno una buona cultura industriale sono processi che hanno fruttato. In altri paesi invece questo processo è stato molto più difficile. Per noi l’esperienza peggiore è in Cina. È dal 1999 che abbiamo un’azienda lì ma non riusciamo a gestire con la stessa facilità la produzione. Ancora oggi continuiamo a riscontrare difficoltà per ragioni di carattere culturale». La sede principale della Titan Italia si trova a Finale Emilia, terra interessata dal sisma. Che ammontare di danni avete avuto? «A Finale Emilia abbiamo lo stabilimento produttivo principale, in cui operano 270 per-

sone. Si tratta dell’azienda più grande di Finale Emilia. Purtroppo in quella sede siamo inagibili dal 20 Maggio. Già dalle 8 di mattina del giorno successivo abbiamo però creato una task force per rimettere in sesto l’attività. Questo è stato possibile grazie alle risorse interne che possediamo. Le nostre dimensioni come gruppo ci hanno consentito di inquadrare il problema con una maggiore lucidità e di contare sulle risorse date dall’entità aziendale. Abbiamo fatto un piano per la messa in sicurezza dello stabilimento e allo stesso tempo un altro gruppo si è preoccupato di non interrompere le forniture al cliente. Ovviamente non si poteva entrare nell’area danneggiata quindi abbiamo delocalizzato nello stabilimento turco e in quello francese, continuando nel modo meno indolore possibile a rifornire i nostri clienti. Alcune produzioni sono state trasferite anche a Crespellano, insieme a molti dei saldatori che stavano a Finale Emilia. Ovviamente abbiamo dovuto sostenere dei costi atroci; si parla anche del trenta per cento di costi in più. Siamo riusciti in ogni caso a trovare delle soluzioni insieme ai sindacati, togliendo le ferie, lavorando anche 24 ore, ma sia i lavoratori che i sindacati ci sono venuti incontro, cercando di limitare al minimo la cassa integrazione». EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 95


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Quale scenario per le materie plastiche? I dati dell’Istat confermano per il secondo trimestre del 2012 un netto calo del Pil italiano. Uno scenario testimoniato anche dalle imprese emiliane. Che trovano però il modo di crescere e sperimentare novità. Come nel settore delle materie plastiche. La parola a Gianfranco Perrotta Marco Tedeschi

l Pil italiano registra nel secondo trimestre del 2012 la quarta variazione negativa sul trimestre precedente. È quanto emerge dai dati Istat che confermano la fase di recessione per l'economia del Paese. Il calo del Pil nel secondo trimestre del 2012 rispetto allo stesso trimestre del 2011 (-2,5 per cento), è il peggiore dal 2009, quando la diminuzione era stata del 3,5 per cento. Allarmanti anche i dati sulla produzione industriale che a giugno è diminuita dell'1,4 per cento rispetto a maggio e dell'8,2 per cento rispetto a giugno 2011. Gli indici della produzione industriale registrano, a giugno 2012, variazioni tendenziali negative in tutti i comparti. La diminuzione più marcata - comunica ancora l'Istat - riguarda il raggruppamento dei beni intermedi (-10,2 per cento), ma cali significativi si registrano anche per i beni di consumo (-8,0

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Plastotecnica Emiliana si trova a Bologna www.plastotecnicaemiliana.it

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per cento) e per i beni strumentali (-7,5 per cento). Le diminuzioni più ampie si registrano per i settori delle industrie tessili, abbigliamento, pelli e accessori (-14,6 per cento), della fabbricazione di articoli in gomma e materie plastiche e della fabbricazione di coke e prodotti petroliferi (-12,9 per cento). Uno scenario, quello fotografato dall’Istat, in cui si colloca in pieno il comparto delle materie plastiche, soprattutto perché, come spiega Gianfranco Perrotta, titolare della Plastotecnica Emiliana, è strettamente collegato proprio alla produzione industriale. «Lo scenario che possiamo registrare per il 2012 e la previsione per l’anno 2013, prevede una flessione di mercato. Un’aspettativa di andamento negativo che è connessa soprattutto al calo della domanda e, di conseguenza, al ridimensionamento della produzione che stanno facendo registrare le aziende italiane. Da questo quadro della situazione in ogni caso possiamo rilevare che si “salvano” le aziende che producono ed esportano all’estero». La Plastotecnica Emiliana è impegnata nel settore dei semilavorati in materie plastiche dal 1971, anno in cui Saverio Perrotta fondò l’azienda oggi portata avanti dai figli. «Per il 2012 ci auguriamo in ogni caso di confermare il fatturato dell’anno passato. Nel 2011 abbiamo infatti registrato un andamento positivo, frutto degli sforzi che abbiamo effettuato per contrastare l’andamento di mercato attuale. Mi riferisco ad alcune scelte fatte, che hanno


Gianfranco Perrotta

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In questo periodo, sempre in collaborazione con le aziende che rappresentiamo, stiamo lavorando sul Food Grade, ovvero sui prodotti adatti al contatto alimentare

permesso di avere materiali di qualità e tempi di consegna molto rapidi in Emilia Romagna e in tutta Italia. Il servizio che siamo riusciti ad assicurare in questo territorio e l’annessa consulenza tecnica al committente hanno permesso di ottenere risposte di mercato molto interessanti. Ma soprattutto - precisa Gianfranco Perrotta - i responsi del mercato derivano da un’importante evoluzione interna. Un cambiamento, frutto anche dell’esperienza maturata e della necessità del mercato di affiancare alle aziende di produzione, dei partner in grado di offrire servizi mirati all'abbattimento dei costi e all’ottimizzazione del processo produttivo. Per questo motivo abbiamo deciso di integrare all'interno dell’azienda una struttura di taglio a misura del semilavorato su disegno del cliente. Abbiamo quindi realizzato una scelta tecnologica di alta qualità e affidabilità con macchine Cnc che ci permettono di adempiere a qualsiasi tipo di richiesta. In tutti questi anni d’attività infatti siamo sempre riusciti a maturare un rapporto molto costruttivo con aziende operanti nel settore della lavorazione delle materie pla-

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stiche. Un capitale importante che siamo riusciti a mettere a disposizione del committente, offrendo proprio un servizio di lavorazione a disegno». La produzione della Plastotecnica Emiliana risponde alle esigenze dei settori più disparati. «Ci rivolgiamo al packaging, al settore medicale, a quello dei cantieri navali, così come alla ricerca, all’industria alimentare, alle cartiere e alle serigrafie. In questo periodo in ogni caso, i mercati più attivi e che ci stanno dando miglior riscontro sono il medicale, il packaging e l’alimentare». È proprio all’interno di uno di questi settori, ovvero quello alimentare, che si stanno concentrando i maggiori sforzi sotto il profilo della ricerca. «In questo periodo, -conclude Perrotta-, sempre in collaborazione con le aziende che rappresentiamo, stiamo lavorando sul Food Grade ovvero sui prodotti adatti al contatto alimentare. Di fianco a queste novità portiamo avanti continui studi su materiali sempre più innovativi; ci prefiggiamo infatti come prossimo obiettivo di espanderci e di allargare la ricerca a nuovi settori nei quali è possibile inserire i nostri prodotti». EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 97


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L’innovazione? Mercato nazionale e prodotti di nicchia e la congiuntura ha creato danni non indifferenti, anche a causa di speculazioni e una concorrenza crudele, trasparenza e impegno sembrano poter essere le armi con cui superare gli ostacoli. Un impegno che, secondo Antonio Benincasa, presidente di Assotech, oggi si concretizza in un'idea differente: la capacità di puntare sul mercato nazionale e prodotti di nicchia, laddove nessuno osava sperare. L’azienda di Rastignano, nata nel 1975 alle pendici dell’Appennino Tosco-Emiliano produce articoli tecnici in gomma e plastica principalmente per il settore automotive e oggi è un'impresa familiare di cui i figli Nicola e Leonardo ed i loro più stretti Collaboratori Massimo Stagni e Simone De Marianis, si pongono come attivi protagonisti per una storia ancora per gran parte da scrivere. Quale bilancio può trarre dall’attività della Assotech relativamente all’ultimo anno? «Il bilancio è positivo, sia in termini di fatturato che sul piano della redditività, malgrado appaia doveroso sottolineare il ruolo della drammatica recessione».

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Antonio Benincasa con il team di Assotech. L’azienda ha sede a Rastignano (BO) www.assotech.com

In un momento storico in cui tutti puntano su internazionalizzazione ed export ci sono imprese che invece cercano di specializzarsi sul mercato nazionale. Il caso di Assotech nelle parole di Antonio Benincasa Caterina Marchetti

In che misura l’aumento del costo delle materie prime coinvolge il vostro settore? «Le speculazioni sulle materie prime sono incontrollabili. Nel 2011, fino ad oggi, è stato registrato un incremento di circa il 20 per cento sul prodotto finito, del quale abbiamo tentato di ribaltare ai nostri clienti una media del 8 per cento. ln questo senso dobbiamo dire che il rapporto di chiarezza e sincerità con i nostri Amici Clienti è stato sempre di enorme fiducia». Quali settori industriali rappresentano la percentuale maggiore del vostro core business? «Certamente il settore automotive: produciamo articoli tecnici in gomma e plastica e abbiamo occupato un'interessante nicchia di mercato grazie a prodotti particolari che spesso i nostri concorrenti non si sono sentiti in grado di produrre». Su quali mercati siete più attivi e da quali territori stanno derivando le risposte migliori in termini commerciali? «Oggi si parla tanto di internazionalizzazione, invece Assotech ha svolto la sua attività con una piccola percentuale all’estero e il restante fatturato in Italia. Noi forniamo componenti che in seguito verranno montati su macchinari a loro volta inviati all’estero, come suc-


Antonio Benincasa

Le speculazioni sulle materie prime sono incontrollabili. Dal 2011, fino a oggi, è stato registrato un incremento di circa il 20 per cento sul prodotto finito

cede di frequente sul fronte produttivo». Quanto investite in termini di ricerca e sviluppo? «Siamo una piccola realtà, ma investiamo circa il 9 per cento del fatturato. E senza ritorno di incentivi, perché il tutto viene svolto all’interno grazie a esperienze specifiche e prove lavorative». Su quali aspetti avete puntato per mantenere con successo il vostro ruolo sul mercato negli ultimi anni di crisi globale? «Innovazione, ricerca e sviluppo insieme a una comunicazione costante sono stati i nostri primi obiettivi, congiuntamente alla capacità di una tempistica rapida nelle risposte e di assistenza al cliente. Nel tempo possiamo dire che la serietà, insieme a uno standard di alta qualità, nel corso degli anni hanno contribuito al successo di Assotech premiandola. Fra il 2007 e il 2008 è terminata un'epoca. Oggi inizia una nuova era: chiamati a elaborare un modello di business differente, dobbiamo confrontarci con un modo nuovo di essere imprenditori e vivere l'imprenditorialità elaborando soluzioni inedite». In un periodo particolarmente complesso anche per quanto riguarda i rapporti tra banche e imprese, qual è l’esperienza di Assotech? «Grazie a un fattore come la trasparenza, Assotech ha potuto superare le difficoltà che man mano si sono presentate dal 2008/2009 ad oggi. Siamo in contatto continuo con le banche, cui inviamo un resoconto dettagliato del nostro fatturato, oltre al portafoglio ordini e una relazione a 360 gradi sull'an-

damento dell'azienda. Gli istituti di credito vivono insieme a noi ogni passaggio: professionisti del settore con i quali esiste un rapporto di fiducia ormai da anni». Che obiettivi e sfide aspettano l’azienda Assotech durante il prossimo anno? «Ci troviamo a vivere un mercato turbolento e sempre meno regolato, da cui non sono immuni nemmeno i cosiddetti Bricst. Tuttavia, noi di Assotech insistiamo a volerci proporre con un forte impegno di squadra, che applichiamo su prodotti di qualità e servizi ad alto valore. Fondamentale deve essere l’impegno verso l'innovazione e la ricerca: l’auspicio è di raggiungere i risultati del 2011. Se questi dovessero verificarsi, sapremo con certezza di aver svolto al meglio il nostro dovere. Appare necessario, mai come in questo momento, dar prova di umiltà, anche e soprattutto in un settore come il nostro: ci auguriamo di poter evitare grazie alla lungimiranza e la capacità di un passaggio generazionale che appare reale artefice dell'innovazione e garanzia degli orizzonti futuri». EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 99


MODELLI D’IMPRESA

n lavoro in crescita in termini di commesse che, per ragioni legate a diverse criticità insite nella situazione nazionale, non riesce a realizzare le prospettive di crescita pianificate, con la conseguenza di una contrazione del fatturato, che si è verificata a partire dal 2009. È la situazione tracciata da Romeo Salvatori, cofondatore insieme al fratello Silvano di MAS, azienda meccanica specializzata nella produzione di macchine di lappatura progressive e a espansione (per il settore della refrigerazione, settore idraulico e settore automotive), macchine speciali e componenti di medie e grandi dimensioni (settore predominante macchine utensili). «Occorre una maggiore produttività, che può essere realizzata solo attraverso una sostanziale e consistente modifica del contratto di lavoro nazionale – rileva il nostro intervistato, che evidenzia altri due problemi spinosi, ovvero: «La lentezza della burocrazia e la difficoltà a reperire o formare personale qualificato». Tre criticità determinanti per il trend dell’azienda, come illustrato anche dal nostro intervistato: «Nel 2011 il nostro fatturato ha raggiunto quasi 11 milioni di euro, un risultato ancora inferiore ai 12,7 milioni di euro del 2008. Il crollo è avvenuto nel 2009, quando abbiamo chiuso con un risultato decisamente inferiore rispetto all’anno precedente, ovvero 8,7 milioni di euro, cui è seguita una risalita della china nel 2010, grazie a investimenti mirati che hanno portato i loro frutti. Altri investimenti sono stati fatti nel 2011, ma i problemi che impediscono la realizzazione delle prospettive di crescita sono diversi». Importanti prospettive d’investimento si erano delineate anche all’inizio del 2012, ma sono naufragate contro uno scoglio insormontabile: un aumento delle commesse a fronte della difficoltà a effettuare le consegne nei tempi previsti, causata soprattutto dall’incertezza nella presenza del dipendente. Salvatori si focalizza sulle cause generanti gli impedimenti alla crescita

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Più produttività con meno burocrazia Maggiore produttività, abbattimento della burocrazia e manodopera qualificata. Le invoca Romeo Salvatori, titolare della MAS, specializzata nella realizzazione di macchine di lappatura progressiva e a espansione Sergio Tomo

prevista, legate alle dinamiche del mondo del lavoro italiano, indicando in primo luogo la necessità di un cambiamento delle regole sindacali, a favore di un più equo rapporto produzione-prestazioni del personale. «Per superare questa difficile fase – rileva – occorre creare condizioni che portino a un aumento della produttività, e questo potrà avvenire solo se verranno fatti da tutti quei sacrifici utili a frenare il declino. Basti pensare che un’azienda paga

Momenti del processo produttivo della MAS Srl di Imola www.massrl.com


Romeo Salvatori

che Salvatori chiarisce, affermando che «I giovani alle prime armi sono molto lontani da questo mondo e spesso occorrono anni prima che arrivino a conseguire le abilità richieste, con un dispendio elevato in termini di tempo e risorse economiche per l’azienda. Malgrado i cavilli e tra mille difficoltà, MAS sta crescendo, lavorando alacremente, in particolare con l’estero e cercando di delineare obiettivi importanti nel medio e lungo termine. «Di recente – rileva il Il paese con cui lavoriamo maggiormente cotitolare della società – abè la Cina, che al momento rappresenta circa biamo costruito macchinari l’85 per cento del nostro mercato di macchine che stiamo utilizzando e collaudando per le nostre attiper lappatura fori vità e che sono destinate a un mercato di utilizzatori che si distinguono in vari settori. 2.240 ore, di cui circa 1.600 sono quelle di la- Siamo esportatori e il paese con cui lavovoro effettivo. Ciò comporta costi troppo ele- riamo maggiormente è la Cina, che al movati, a fronte degli effettivi risultati finali. Sa- mento rappresenta circa l’85 per cento del rebbe necessario intervenire sul contratto nostro mercato di macchine per lappatura nazionale di lavoro, introducendo in tal modo fori. Lavoriamo anche con la Germania e in una giusta commisurazione tra i diritti e i do- misura ridotta con altri paesi, mentre per veri. Soltanto in questo modo è possibile l’au- quanto riguarda l’Italia, da due anni siamo mento della produttività che consenta una fermi, a fronte di un 2008 in cui le vendite si maggiore competitività, carta da giocare con- attestavano intorno al 60-70 per cento della tro la crisi. In molti settori (tra cui il nostro) produzione. «Come azienda – conclude Salnon è richiesto un grande dispendio di energie vatori – stiamo cercando di puntare sugli ine crediamo che le 40 ore effettive settimanali (a vestimenti, compiendo sforzi notevoli: dal esclusione delle 160 ore di ferie/anno) non 2010 in poi stiamo reinvestendo oltre il 15 siano un sacrificio enorme per quanti hanno la per cento del fatturato. Stiamo ampliando la fortuna di essere giovani». sede di 3.500 metri quadri, ma i risultati tarAltra criticità rilevata, la lentezza della buro- dano ad arrivare e pensiamo che se non vencrazia e la difficoltà a reperire manodopera gono effettivamente attuate azioni incisive, qualificata. Una questione di primo acchito sarà sempre più difficile realizzare la crescita. insolita, considerati i dati diffusi recente- Questo non riguarda solo l’Italia ma buona mente sull’elevata disoccupazione giovanile, parte dell’area Euro».

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Una politica di piccoli passi Investire è sempre più difficile per le Pmi. L’ingegner Federico Damiani spiega però che anche con poche risorse è possibile raggiungere importanti obiettivi. La sua esperienza nella progettazione di convertitori statici di energia elettrica Manlio Teodoro

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na politica “di piccoli passi”. È questa la strategia che stanno adottando numerose piccole e medie imprese italiane. Soprattutto quelle che nonostante la crisi hanno ancora voglia di investire e sviluppare nuovi progetti nella direzione dell’innovazione tecnologica. E che si trovano però a dover affrontare qualsiasi investimento senza l’appoggio finanziario degli istituti di credito. Come spiega l’ingegner Federico Damiani, amministratore della Elit, società di Piacenza specializzata nella progettazione, costruzione e commercializzazione di convertitori di frequenza e gruppi statici di continuità, destinati soprattutto al settore dell’aviazione, oltre che nella produzione di regolatori a corrente costante per l’illuminazione pubblica e delle piste aeroportuali: «La nostra impresa, date le sue dimensioni, non ha la possibilità di avventurarsi in progetti di grande respiro, che richiederebbero una destinazione di risorse al di sopra delle nostre forze e ci esporrebbero a un rischio eccessivo. Tuttavia la specificità di Elit, rispetto ai nostri competitor – rappresentati da grandi multinazionali dalle strutture rigide e dalle competenze frammentate –, è quella di saper fornire, oltre a una linea di prodotti standard, anche una serie

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Federico Damiani

di prodotti personalizzati, sviluppati grazie al nostro know how e caratterizzati da semplicità di esercizio e mantenibilità». Questa politica ha permesso a Elit di diversificare il rischio, e soprattutto di crescere e rafforzare la propria posizione economica. «Pur essendo ancora una piccola realtà a conduzione pressoché familiare, a bilancio registriamo un fatturato di circa 2 milioni di euro. Il 40 per cento di questo valore è generato esclusivamente dalle applicazioni destinate ai mercati esteri. Abbiamo realizzato delle installazioni significative presso l’aeroporto internazionale di Sidney, quello di Barcellona, presso il Gatwick di Londra e l’aeroporto internazionale di Atene. Tuttavia non ci sono delle aree geografiche che possiamo definire come i nostri mercati di riferimento. Crediamo piuttosto che attraverso Internet l’intero pianeta sia diventato il nostro mercato di riferimento. A contare per noi sono la professionalità nel contatto, le referenze e la qualità del prodotto». Gli interessi della società piacentina non si limitano però all’ambito aeroportuale civile. Infatti Elit è in possesso del codice Nato e può operare anche nel campo dell’aviazione militare. I suoi progetti hanno dun-

que un respiro molto ampio. «Vista l’impossibilità di avere accesso a finanziamenti di qualsiasi natura – sia per la mancanza di un supporto da parte delle associazioni di categoria, sia per la mancanza di agevolazioni fiscali –, siamo costretti a utilizzare esclusivamente le risorse interne per lo sviluppo di nuovi progetti. Attualmente stiamo lavorando su dei convertitori pluritensione e plurifrequenza, destinati a essere impiegati sia su imbarcazioni di lusso che da banchina. Inoltre abbiamo anche sviluppato degli speciali inverter utilizzabili all’interno dei campi fotovoltaici. La nostra forza, comunque, si conferma quella di avere a disposizione le competenze e il know how per poter realizzare convertitori di frequenza ritagliati sulle richieste dei nostri committenti, mantenendo quella che è la principale caratteristica delle nostre apparecchiature: l’affidabilità e la semplicità. Questo è ciò che ci permette di competere con le grandi aziende, insieme alla nostra capacità di essere flessibili nella produzione e nell’assistenza post vendita. Oggi, le piccole aziende, se solide, sono in grado di garantire maggiore continuità rispetto alle multinazionali, spesso soggette a logiche e interessi finanziari che hanno a che vedere con il La nostra forza è realizzare convertitori poco mondo produttivo». di frequenza su esigenze specifiche L’attuale specializzazione di Elit affonda le radici in un background consolidato nel campo dell’elettronica di potenza fra gli anni Settanta e gli Ottanta. «La società è stata fondata nel 1987, sfruttando precedenti esperienze e rivolgendosi al mercato degli Ups di potenza. Con la maturità del mercato dei gruppi di continuità, ci si è concentrati via via con maggiore impegno sui convertitori statici di frequenza – impiegati in ambito civile e militare, sia aeronautico che navale – senza per questo abbandonare il mercato degli Ups».

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In queste pagine, fasi della produzione della Elit Srl, che ha sede presso Piacenza www.elit-ups.com

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MODELLI D’IMPRESA

Sostenibilità ed efficienza Alessandro Pirotta, Direttore Generale della Sayerlack di Pianoro, fa da testimone a un matrimonio che spesso sembra impossibile. L’attenzione ambientale, nella sua esperienza, ha portato al top tecnologico Renato Ferretti

attenzione all’ambiente da parte di un’impresa non è sempre un ostacolo, o una spesa per rientrare nelle normative vigenti. Ci sono casi in cui l’ecocompatibilità va di pari passo con una maggiore qualità del prodotto. La Sayerlack di Pianoro (Bo), azienda di proprietà del gruppo americano Sherwin Williams, offre un buon esempio del fenomeno. Le sue vernici per legno ad acqua con bassissimo impatto ambientale rappresentano anche il top tecnologico nel settore, come ci spiega il Direttore Generale dell’azienda, Alessandro Pirotta. «I prodotti all’acqua per esterni garantiscono una maggiore durata nel tempo perché, grazie alla loro elasticità, si adattano meglio alle variazioni della superficie del legno causate da umidità ed eventi atmosferici. Volevamo offrire prodotti per un ambiente meno inquinato, meno tossico, più salubre e siamo stati i primi, in

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Alessandro Pirotta, Direttore Generale della Sayerlack di Pianoro (Bo) www.sayerlack.it

Italia, a cominciare la formulazione dei prodotti all’acqua, agli inizi degli anni 80. È importante sottolineare che creare un prodotto ecosostenibile non danneggia la qualità ma la esalta. L’incidenza dei prodotti all’acqua sul nostro fatturato è del 30 per cento e siamo in grado di proporre ai nostri clienti vernici all’acqua per ogni tipo di manufatto e di applicazione». A proposito di fatturato: se dovesse riassumere la vostra azienda in numeri, anche in riferimento agli ultimi investimenti? «Abbiamo 325 dipendenti, di cui 270 lavorano presso la sede di Pianoro, 30 a Mariano Comense e 25 operano sul tutto il territorio. La quota di investimenti annuali si aggira intorno ai due milioni e mezzo di euro, e questi investimenti sono funzionali a migliorare l’ambiente di lavoro negli stabilimenti. Nel 2010 abbiamo investito 1 milione di euro nell’impianto di postcombustione, per abbattere l’emissione in atmosfera di solventi. Gli investimenti destinati alla Ricerca e Sviluppo nel 2011 sono stati 2 milioni e 800 mila euro». Qual è la vostra copertura geografica? «Siamo presenti in tutto il mondo attraverso una rete di distributori e, in alcuni mercati quali Spagna, Francia e Gran Bretagna e Singapore, con delle consociate. L’Italia rimane il punto di riferimento: pur con tutte le difficoltà che il mercato italiano sta vivendo, porta ancora il 40 per cento del fatturato aziendale. La Rus-


Alessandro Pirotta

Le vernici ad acqua, oltre al bassissimo impatto ambientale, garantiscono una maggiore durata nel tempo

sia è il secondo mercato di riferimento, insieme a tutti i paesi dell’Est». Si può dire che la crisi del mercato tradizionale viene colmata da quelli in via di sviluppo? «Sì, anche se noi in questi paesi non siamo arrivati semplicemente in seguito alla crisi. Siamo presenti nei paesi emergenti da 20 anni. Oggi beneficiamo della presenza consolidata nel tempo con tassi di crescita che sono mediamente superiori a quelli del mercato di riferimento e dei diretti concorrenti». Parliamo dell’importanza delle certificazioni nel vostro campo. «Premesso che la qualità dei prodotti vernicianti per legno italiani non ha paragoni rispetto alle vernici prodotte in altri paesi, la certificazione di prodotto, in questo particolare momento congiunturale, rappresenta per noi un vantaggio competitivo, che ci ha permesso di uscire dalla logica commerciale soggettiva per essere valutati da enti esterni, che certificano in modo oggettivo la qualità e il valore dei prodotti Sayerlack. Le certificazioni di prodotto permettono ai nostri clienti di presentare i propri manufatti, verniciati

con Sayerlack, come prodotti di qualità certificata, dando loro ulteriori argomentazioni di vendita». Come siete integrati nel territorio: avete rapporti con Enti locali, associazioni? «Siamo presenti sul territorio da quasi 60 anni e quindi sentiamo come un dovere e una necessità intrattenere un rapporto anche sociale con esso. Siamo iscritti a Federchimica, Unindustria, partecipiamo a una serie di eventi che periodicamente vengono organizzati con gli enti locali, oltre a varie sponsorizzazioni sportive. Aderiamo a tutte le iniziative che riteniamo interessanti per migliorare il territorio stesso. Ad esempio, abbiamo sponsorizzato l’iniziativa “Bologna senza graffiti”, organizzata dalle istituzioni cittadine; lo scorso luglio abbiamo donato vernice per le scuole elementari di Pianoro. A maggio abbiamo partecipato al progetto “Respirarti”, finalizzato alla sensibilizzazione dei giovani e giovanissimi contro l’uso del tabacco, fornendo alle scuole elementari le vernici per realizzare dei murales». EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 105


MODELLI D’IMPRESA

Il capitale intellettuale al servizio dell’industria oncentrare in un unico centro servizi competenze distintive e attrezzature all’avanguardia, al fine di costituire un punto di riferimento “one stop shop” per le esigenze dell’industria manifatturiera in termini di supporto al miglioramento e al controllo di materiali, prodotti e processi. È questa l’idea alla base dell’attività di Tec Eurolab, società di Campogalliano che nel 2012, come racconta il suo presidente, Paolo Moscatti, ha compiuto un passo molto significativo, aprendo una sua filiale a Shanghai. «La delocalizzazione di parte dei processi produttivi in Cina, e ancor più la scelta strategica di produrre in Cina ciò che è destinato al mercato cinese e del Far East in generale, riguarda ormai decine di aziende manifatturiere del nostro territorio, diverse delle quali si sono insediate proprio a Shanghai e nei distretti limitrofi. Lo sbarco di Tec Eurolab in Cina – sottolinea Moscatti - è finalizzato a supportare le aziende italiane che hanno aperto siti produttivi in quest’area. Naturalmente non ci nascondiamo le difficoltà alle quali va incontro una piccola impresa come la nostra nell’affrontare il processo di internazionalizzazione». Pensate in futuro di rivolgere la vostra attenzione anche ad altri mercati? «Al momento la nostra strategia, prima ancora di pensare a nuove eventuali aperture di sedi secondarie, ė volta al potenziamento dell’attività della sede di Shanghai. Preferiamo quindi consolidare Tec Eurolab Shanghai e magari cercare di acquisire contratti anche in altre parti del mondo, ma senza aprire al momento sedi locali. Questo si sta verificando, ad esempio, in Nigeria, dove il nostro personale è impegnato nell’esecuzione di controlli non distruttivi sulle piattaforme estrattive marine».

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Il presidente di Tec Eurolab, Paolo Moscatti www.tec-eurolab.com

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Un’eccellenza italiana nel campo delle prove di laboratorio e delle ricerche sui materiali, che puntando sulla specializzazione e sulla formazione continua, è oggi presente anche in Cina. Il caso della Tec Eurolab illustrato dal suo presidente, Paolo Moscatti Guido Puopolo

Quali sono, nello specifico, i servizi da voi offerti? «Siamo specializzati nella realizzazione di prove di laboratorio e ricerche su un’ampia gamma di materiali, a supporto di numerosi ambiti produttivi, dall’automotive al packaging, passando per il settore aeronautico e quello biomedicale, solo per citarne alcuni. Allo stato attuale i servizi forniti da Tec Eurolab riguardano il testing, ovvero le prove di laboratorio necessarie a qualificare i materiali, le prove non distruttive volte ad assicurare l’assenza di difetti superficiali e interni a materiali e prodotti, la formazione del personale addetto alle saldature e alle prove non distruttive,


Paolo Moscatti

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Lo sbarco di Tec Eurolab in Cina è finalizzato a supportare le aziende italiane presenti in quest’area

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la qualifica dei procedimenti di saldatura, la taratura degli strumenti utilizzati nel controllo di prodotto e di processo, i rilievi dimensionali per la verifica della conformità a disegno e il trasferimento al cliente delle nostre competenze, anche attraverso corsi di formazione coprogettati». Un insieme di competenze davvero variegato. Qual è il segreto alla base del vostro lavoro? «Senza dubbio il punto di forza di Tec Eurolab è rappresentato dal suo capitale intellettuale, frutto della sedimentazione di conoscenze acquisite nell’arco di oltre vent’anni di esperienza sul campo. Questo ci permette di offrire un servizio di consulting altamente specializzato, a cui le aziende possono ricorrere per risolvere anche le problematiche più complesse: dall’analisi di cause di difetti e rotture manifestatesi in fase di prototipazione o di esercizio, alla progettazione di giunzioni permanenti e di metodi di controllo in linea o in campo, fino alla scelta e messa a punto di materiali alternativi». Quali saranno le strategie e le linee guida che seguirete per proseguire nel vostro percorso di crescita futura? «Per quanto dinamica e aperta all’innovazione, Tec Eurolab rimane una piccola azienda che

opera in un mercato sempre più globale, ma che non sfugge a esigenze di localizzazione in prossimità delle aree manifatturiere maggiormente produttive. L’ideale, per il nostro business, sarebbe poter disporre di una “testa globale” con “arti locali”: è questa, infatti, quella che gli studiosi indicano come la sfida “glocal” che caratterizzerà il futuro. Difficilmente, però, un obiettivo di questa portata potrà essere raggiunto in autonomia». Come fare allora? Sarà necessario studiare strategie di collaborazione, per la creazione di vere e proprie “reti di condivisione” che possano mettere in contatto tutte quelle piccole e medie aziende che manifestino la necessità di rapidi processi di crescita, perché solo così sarà possibile continuare a competere sui mercati». EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 107


MODELLI D’IMPRESA

Il tessile di Carpi, criticità e prospettive n distretto che mostra una grande forza di reazione, pur nel ridimensionamento legato alle criticità della congiuntura economica e malgrado gli effetti del sisma. Si tratta del tessile di Carpi, di cui fa parte la Startex Maglieria, sul mercato da oltre 20 anni specializzata nella tessitura di tessuti di maglia. Per l’azienda, che negli anni ha registrato un incremento di fatturato, il lavoro viene improntato sulla forte attenzione prestata allo sviluppo del processo produttivo, puntando in particolare a un design innovativo e accurato. Per questa ragione, nell’ottica del consolidamento, la società intende implementare il parco macchine e dotarsi di personale qualificato, focalizzandosi quindi sulla qualità e sulla creatività necessari al conseguimento degli obiettivi posti. Nel contesto locale, come riportato anche dal 10° Rapporto dell’Osservatorio del settore tessile-abbigliamento nel distretto di Carpi, presentato nel 2011, la situazione che si delinea è alquanto felice, come testimoniano i numeri: il fatturato del distretto è salito dal miliardo di euro del 2000 a 1,4 nel 2010, con una crescita del 4,2 per cento sull'anno precedente e un ulteriore aumento del 3,8 per cento nel 2011. Tale trend è stato confermato anche successivamente, con performance positive rilevate all’interno del comprensorio. Questo malgrado il ridimensionamento del numero di aziende: dalle 1.583 del 2000, si è passato alle 1.110 del 2010. «Abbiamo avuto riscontri lusinghieri sul mercato - spiega la titolare, Elena Beltrami- nonostante le grandi difficoltà del settore, con ap-

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Il sisma che ha danneggiato alcune aziende del distretto tessile di Carpi, non ha toccato Startex Maglieria, che rileva soprattutto le difficoltà legate alla crisi, da affrontare mirando allo sviluppo del design, come spiegato dalla titolare Elena Beltrami Roberta De Tomi

prezzamenti rivolti in particolare alla cura e alla fantasia che caratterizzano il nostro lavoro. Queste peculiarità ci hanno consentito di ottenere ottime performance di vendita, al punto che nel 2011 il nostro fatturato ha registrato una crescita del 30 per cento rispetto all’anno precedente. Tale numero conferma un incremento delle vendite, che si è realizzato in maniera costante negli anni». La motivazione riconosciuta dall’azienda per questo successo è imputata al fatto che il tes-


Elena Beltrami

I processi che sono alla base dello sviluppo delle idee, implicano un forte investimento in termini di competenze e innovazione

suto a maglia offerto in diverse collezioni (invernale,estiva e flash pronto moda stagionali) può dare alle imprese che producono capi confezionati con tessuto a navetta, l’opportunità di offrire coordinati in maglieria con la stessa tecnica di produzione della maglietteria/tessuto a maglia. Questo aspetto facilita il confezionista il quale può offrire un prodotto maglieria senza dover gestire il processo produttivo della maglieria tricot. Quest’ultima infatti richiede competenze, professionalità tecniche e tempistiche molto differenti rispetto alla maglietteria o maglieria tagliata. Personalizzazione e flessibilità sono alla base della filosofia dell’azienda, specializzata «nella produzione e vendita di tessuti di maglia in metratura. Lavoriamo filati lanieri e cotonieri da cui otteniamo un’ampia gamma di tessuti (lane cotte, jacquard e jersey) e includiamo gli articoli elaborati in quattro campionari annuali, due programmati e due pronto moda, rivolti a uomo, donna e bambino. Inoltre sviluppiamo progetti persona-

lizzati on demand, basati sulle specifiche che ci vengono di volta in volta avanzate». Come precisato dalla titolare «i processi che sono alla base dello sviluppo delle idee, implicano un forte investimento in termini di competenze e innovazione. In particolare, è fondamentale implementare in maniera continuativa il design, vero e proprio perno attorno al quale ruota la produzione. Per questa ragione nel breve termine intendiamo investire sui macchinari e, ancora di più, su personale qualificato». Una vera e propria strategia messa in atto da Startex Maglieria, che ha consolidato la propria posizione sul territorio nazionale, ma che da alcuni anni ha raggiunto anche la Spagna, il Portogallo, la Germania e la Francia. In queste aree l’azienda punta a espandersi, realizzando in tal modo uno degli obiettivi posti in un arco di tempo medio lungo. «Quello che ci prefiggiamo in tale termine - conclude Beltrami - è il consolidamento non soltanto all’interno del mercato nazionale, ma anche in quello internazionale, sia esso quello di paesi in cui siamo già presenti, che in quello di nuove zone. In un tempo successivo, punteremo al reperimento di altri settori merceologici in cui inserirci, al fine di conseguire una maggiore stabilità produttiva».

La Startex Maglieria Srl ha sede operativa a San Martino in Rio (RE) startex.maglierie@tin.it

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MODELLI D’IMPRESA

La carpenteria verso la diversificazione

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Sotto, Donato Farnè e la sorella Marika, titolari della Ergata Farnè Srl di Castel Guelfo (BO) www.farneraffaele.it

a piccola e media carpenteria italiana è stata particolarmente colpita dalla crisi economica. Lo dimostra il fatto che molte aziende del settore sono state costrette a chiudere. Con le conseguenze che questo ha comportato anche a livello sociale». Il bilancio sull’andamento del settore non è dei migliori secondo Marika e Donato Farnè, titolari della Ergata Farnè Srl di Castel Guelfo, azienda specializzata nella lavorazione della lamiera e che cura la progettazione e realizzazione di campionature e prototipi per numerosi settori produttivi, come quello della meccanica industriale, delle insegne luminose, dell’arredamento per negozi e locali e delle componenti meccaniche per il settore elettronico. «La nostra impresa – specifica Donato Farnè – , è riuscita a restare sul mercato anche grazie a questa produzione diversificata. Infatti la strategia è quella di sfruttare appieno la nostra storica conoscenza e competenza nella lavorazione della lamiera e dei metalli in genere, applicandola nella progettazione e realizzazione di arredi e complementi di alto design, che interpretino la migliore tradizione dello stile made in Italy».

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Dopo un biennio difficile, la carpenteria italiana torna a vedere uno spiraglio di ripresa. Ergata Farnè, dei fratelli Donato e Marika Farnè, presenta un programma di espansione sui mercati internazionali. Verso i quali destinare l’eccellenza del design italiano per la creazione di elementi di arredo Manlio Teodoro

Quali ripercussioni ha avuto sul vostro business la crisi economica? MARIKA FARNÈ: «Nell’ultimo biennio, anche la nostra azienda ha accusato i colpi di un mercato divenuto particolarmente critico. Di fronte alle difficoltà, la nostra scelta è stata quella di garantire prima di tutto i posti di lavoro e la stabilità a tutti i collaboratori, anche se questo ci ha portato a registrare un sensibile decremento di fatturato. Questi ultimi due anni sono stati anche un periodo in cui verificare la fidelizzazione dei principali partner». In che modo si è aperto il 2012? DONATO FARNÈ: «I primi mesi sono stati critici, ma nel corso del secondo trimestre abbiamo iniziato a osservare una lenta ma progressiva ripresa del mercato. Questi primi segnali ci fanno ben sperare per i prossimi mesi. Come tutte le imprese siamo in attesa di un ritorno alla crescita, che però dipende non solo dal nostro mercato, ma dall’economia europea e anche mondiale. In vista di una ripresa globale, ci stiamo preparando per agganciarla, programmando strategie per favorire la visibilità del nostro prodotto anche in ambito internazionale». In questo momento dunque lavorate solo all’interno del mercato nazionale? M.F.: «Fino a questo momento i nostri principali


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I primi mesi sono stati critici, ma nel corso del secondo trimestre abbiamo iniziato a osservare una lenta ma progressiva ripresa del mercato

partner sono stati esclusivamente italiani e, in particolar modo per quel che riguarda la carpenteria, si tratta di realtà tutte dislocate nel Nord Italia. Prevediamo di mantenere la carpenteria ancora all’interno del mercato italiano, mentre vogliamo spingerci all’estero con il settore arredamento e design». Oltre alla produzione quali sono i servizi che offrite? D.F.: «Uno dei nostri punti di forza è stato sempre quello dell’affiancamento del committente nella fase di progettazione e di sviluppo delle idee che ci vengono sottoposte. Per questo negli anni il nostro ufficio tecnico è cresciuto per competenze e dotazione tecnologica. Oggi lavoriamo con Cad tridimensionali costantemente aggiornati, che ci permettono di gestire facilmente tutti i passaggi nel ciclo di sviluppo, comprese le modifiche e di supportare file di elevata estensione. Il nostro personale tecnico ha anche accumulato un’importante esperienza nel settore della prototipazione. In tutte queste attività cerchiamo di seguire i partner in tutte le neces-

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sità, gestendo ordini e disegni direttamente tramite il web. Anche perché oltre all’affidabilità, alla competenza e alla flessibilità, oggi è la tempestività uno dei fattori determinanti per avere successo sul mercato, dove i tempi di produzione e consegna sono sempre più ristretti». Dunque, quanto è importante per un’impresa investire risorse nell’innovazione tecnologica? M.F.: «È di fondamentale importanza per lo sviluppo. Tuttavia, a causa della fase particolare che stiamo vivendo – che vede da una parte la recessione degli ordini e dall’altra il nostro impegno per l’espansione della parte aziendale che si occupa dell’arredamento –, in questo momento stiamo investendo soprattutto in una campagna promozionale, per farci conoscere da architetti, designer e aziende internazionali dell’arredamento. In quest’ottica si è inserita anche la nostra partecipazione a Orgatec, una fiera di settore che si è svolta in Germania e grazie alla quale abbiamo ottenuto contatti importanti per lo sviluppo della divisione arredamento». EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 111


MODELLI D’IMPRESA

Stabile il settore gadget e regali d’affari Gadget e regali aziendali nell’era della crisi. Le abitudini delle imprese non sono cambiate in modo significativo. Secondo Graziella Denti gli imprenditori hanno compreso che è nei momenti di difficoltà che bisogna puntare sulla fidelizzazione Valerio Germanico

a crisi economica ha influito relativamente sulle attività volte a fidelizzare, incentivare e promuovere i rapporti fra imprese. Anzi, in un certo senso la crisi economica ha reso ancora più necessarie queste iniziative, soprattutto per le aziende che hanno scelto come strategia quella del consolidamento del mercato. A conferma di questo c’è l’esperienza di Apple Business Promotions, impresa associata ad Assoprom, l’associazione Italiana che racchiude le migliori aziende specializzate nel settore della distribuzione di gadget, dei regali d’affari e nell’organizzazione di operazioni di incentivazione delle vendite. Come dichiara Graziella Denti, titolare della società insieme al figlio Luca Baroni: «Il 2011, nonostante non sia stato privo di difficoltà, è stato un anno sostanzialmente positivo e ci ha per-

L La Apple Business Promotions Srl ha sede a Sassuolo (MO) www.applepromo.it

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Graziella Denti

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I nostri clienti vogliono comunicare con oggetti pubblicitari, regali aziendali e azioni di incentivazione vendite

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messo di ottenere un discreto incremento di fatturato rispetto all’anno precedente. Questo perché, la crisi, sebbene severa, non ha cambiato il rapporto con i nostri clienti storici. Alcuni di loro certamente hanno scelto di ridurre i budget, ma l’esperienza e il radicamento sul territorio da oltre 25 anni, ci ha consentito di contare su un mercato di riferimento sufficientemente ampio e fidelizzato. I nostri clienti, infatti, sono piccole, medie e grandi aziende dell’Emilia Romagna, distribuite in maniera trasversale nei diversi settori produttivi, clienti che lavorano nel settore ceramico come pure in quello della moda, della metalmeccanica e dell’alimentare. Tutte queste diverse realtà, però, sono accomunate da un fattore: vogliono lottare contro questo difficile momento gratificando clienti e collaboratori con oggetti pubblicitari, regali aziendali oppure operazioni di incentivazione vendite». Nel 2011 Apple si è aggiudicata il concorso “Innova la tua impresa con l’Information Technology”, organizzato dalla Regione Emilia Romagna in collaborazione con Aster – nella sua ultima edizione il concorso è stato dedicato in particolare all’imprenditoria femminile. «La nostra gamma di proposte comprende un catalogo con migliaia di gadget, consultabile in modalità interattiva attraverso il sito internet della società e tutti i prodotti sono personalizzabili con i loghi aziendali. Questa

ampia disponibilità di soluzioni è in costante aggiornamento, dato che il nostro lavoro si è sempre contraddistinto per una continua ricerca di novità. Fondamentale per noi la selezione accurata dei fornitori e anche dei collaboratori. Se i primi garantiscono la qualità del prodotto, i secondi hanno un ruolo strategico nel seguire passo passo i nostri clienti nella scelta del gadget più adatto all’evento – che può essere, per esempio, la partecipazione a una fiera o il regalo firmato per il meeting aziendale o l’omaggio natalizio. Il nostro fiore all’occhiello è sicuramente la possibilità di creare concorsi e operazioni a premi studiate ad hoc per ogni budget utilizzando un portale estremamente flessibile e a costi contenutissimi». Apple si prepara all’imminente appuntamento con i regali di Natale. «È questo il momento dell’anno in cui il valore dei gadget e dei regali d’affari si fa più importante. Per soddisfare le esigenze dei nostri clienti, abbiamo inserito a catalogo due novità: i prodotti alimentari e soprattutto i prodotti Unicef, perché in questo momento la solidarietà è un valore imprescindibile e i regali stanno ritrovando anche un significato etico». EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 113


MODELLI D’IMPRESA

Il made in Italy indistruttibile Dal successo al successo passando per un licenziamento. Le due vite di Lindo Aldrovandi, amministratore delegato di Renner Italia, industria specializzata nella produzione di vernici per il legno Massimiliano Raffaele

rendete un’azienda che produce vernici per il legno. Guidatela in una traversata che porterà i ricavi a lievitare da 36 a 200 miliardi del vecchio conio. Ponete che, un triste giorno, quella stessa impresa venga ceduta e che la nuova proprietà vi dia il benservito. Senza complimenti (perché questa è una di quelle storie in cui non c’è spazio per gli arrivederci e grazie, caro amministratore delegato). Supponete a questo punto di avere 50 anni e una manciata di buone offerte di lavoro nella buca delle lettere (perché questa è una di quelle storie in cui il mercato sa riconoscere il merito). Come concepireste l’epilogo di questo romanzo di vita industriale? Il protagonista del racconto dieci anni fa si è impossessato di biro e destino e ha scritto da sé il finale a sorpresa. Così, Lindo Aldrovandi nel 2004 ha acceso i motori di Renner Italia a Minerbio, in quello spicchio di Pianura Padana che separa Bologna da Ferrara. Renner Italia oggi è uno dei leader di un segmento d’eccellenza della chimica italiana: quello delle vernici per il legno. Un ingranaggio importante nella filiera del mobile e del serramento. L’azienda ha chiuso il 2011 con un valore di fatturato di 62.000.000 di €, pari a 17.000 tonnellate di venduto, realizzati con 200 addetti. A dispetto dei tempi cupi dell’economia internazionale, Renner Italia è riuscita a conseguire un aumento di fatturato pari al +27% nel 2010 e al +14% nel 2011. Il primo semestre

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Lindo Aldrovandi, amministratore di Renner Italia Spa, Minerbio (BO) www.renneritalia.com

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del difficilissimo 2012 si è chiuso con un incoraggiante +10%. Aldrovandi, sembra che la recessione non spaventi la sua azienda. «Viviamo tempi difficilissimi. Non credo che il Paese possa tornare a livelli di crescita accettabili prima di cinque anni. Ciò precisato, va da sé che Renner Italia sia nata in un contesto difficilissimo e abbia nelle sue corde le armi per resistere a situazioni complesse. La nostra politica industriale è fondata sulla ricerca. Un quinto della nostra forza lavoro è oggi costituita da chimici di primissimo livello, pronti a soddisfare i clienti più esigenti». Come? «Studiando prodotti vernicianti tecnologicamente avanzati e rivolgendo particolare attenzione ai formulati all’acqua per abbattere le emissioni nocive. Oggi siamo in grado di certificare le garanzie di resistenza dei nostri cicli di verniciatura e supportare le stesse con argomenti imbattibili. I nostri test di degradazione naturale, ad esempio, sono incredibilmente audaci. Se Renner Italia ti garantisce che la vernice di una finestra in legno resisterà alle intemperie almeno 15 anni senza


Lindo Aldrovandi

FATTURATO

62 mln RISULTATO CONSEGUITO NEL 2011, CON UN INCREMENTO DEL 14% RISPETTO AL 2010

manutenzione, vuol dire che ha analizzato la tenuta di quel prodotto in contesti climatici estremi: dal gelo della Siberia al deserto dell’Arizona. Nessuno dei nostri concorrenti è arrivato a tanto». L’innovazione e la qualità talvolta, però, non sono sufficienti. «Bisogna essere migliori in tutto. Mi riferisco al post vendita. O alla comunicazione. O alle dinamiche sindacali. Siamo stati i primi a sposare la tecnologia delle mobile app con la nostra iRenner. Giriamo cortometraggi per veicolare non solo messaggi di tecnologia, ma anche la passione che ogni giorno infondiamo nel nostro lavoro. Quanto al rapporto con i sindacati, di recente abbiamo stilato un accordo per un progetto anti spreco che coinvolgerà tutti i dipendenti. Ci siamo detti: proviamo a risparmiare sulle bollette energetiche e nel materiale di consumo. Il 50% di ciò che riusciremo a risparmiare nel 2012 sarà distribuito in busta paga nel 2013.

Siamo stati i primi in Italia ad applicare un sistema del genere, caldeggiato peraltro dalla strategia 20-20-20 dell’Unione Europea». A livello commerciale non siete rimasti impantanati nella palude del mercato italiano? «Che l’Italia soffra è un dato di fatto. Il nostro settore non gode di speciali salvacondotti. Per ovviare a questa condizione, abbiamo intensificato le nostre esportazioni, aprendo nuove strade soprattutto in paesi in forte crescita come la Polonia, la Russia, la Cina e l’India. Negli ultimi giorni abbiamo assunto quattro nuovi manager dell’area export, un comparto che in questo momento garantisce ossigeno». A livello personale lei si è preso una bella rivincita. «Non mi sento pago. Ho lasciato un’azienda che fatturava 100 milioni di euro e intendo innanzitutto riconquistare quella fetta di mercato. La mia soddisfazione è soprattutto vivere un’impresa in cui tutti si sentono coinvolti nella missione di difendere il proprio futuro». EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 115


MODELLI D’IMPRESA

Innovazione e automazione per la piccola industria Le piccole-medie imprese italiane, sempre più volte alla conquista dei mercati internazionali, fanno della forza innovatrice e dell’automazione dei processi produttivi il segreto del proprio successo. L’esperienza di Cristiano Bondani Emanuela Caruso

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Momenti di lavoro all’interno della ETecno 1 di Sala Baganza (PR) www.etecno1.it

oi imprenditori italiani, impegnati sul fronte di mercati ed economie evoluti, dobbiamo concentrarci su un mix vincente fatto di tre fattori: innovazione, automazione e qualità». Proprio questi, secondo Cristiano Bondani, sono gli elementi che potranno donare nuova linfa vitale alle aziende del nostro Paese, permettendogli così di avere la meglio sulla concorrenza sempre più agguerrita dei Paesi emergenti, quali Brasile, Russia, India, Cina e stati africani. «Questo mix strategico – continua Cristiano Bondani – permetterà di garantire gli aspetti fondamentali per ogni impresa che voglia definirsi moderna e competitiva su più mercati, ovvero prodotti con performance elevate, affidabili e omogenei, con costi di realizzazione contenuti. Solo adottando tale filosofia imprenditoriale la preferenza dei possibili clienti cadrà sulle nostre aziende e non su quelle rivali». Ed è proprio seguendo tale pensiero che Cristiano Bondani porta avanti il suo operato nella società di cui è direttore e uno degli amministratori, la Etecno1 Spa, sita in provincia di Parma e specializzata nella progettazione e costruzione di candelette di preriscaldamento per motori diesel di ultima generazione e riscaldatori speciali. «Spesso, quando si parla di innovazione e automazione – spiega il signor Bondani – si è portati

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a immaginare grandi aziende con centinaia di dipendenti e immense risorse finanziarie e tecnologiche. La nostra realtà, invece, tenendo ben presenti i tre fattori citati prima, ha saputo dimostrare il contrario, ovvero che anche imprese di piccole dimensioni e con meno di trenta dipendenti possono essere attive e competitive sia sul fronte di ricerca e sviluppo di prodotti d’avanguardia sia su quello dell’automazione industriale». Non a caso, infatti, ogni anno la ETecno1 investe in ricerca e sviluppo ben il 5 per cento dei ricavi, gettando così le basi per le future politiche commerciali aziendali e raggiungendo interessanti traguardi. «La nostra grande capacità innovativa – commenta Cristiano Bondani – ci consente di produrre in media un brevetto industriale e una decina di nuovi modelli di candelette diesel all’anno. Nello specifico, quest’anno ci stiamo occupando di due importanti progetti coperti da riservatezza portati avanti in collaborazione con nomi di spicco del settore automotive; tali progetti riguardano rivoluzionarie tecnologie ecologiche che nell’immediato futuro diventeranno indispensabili sugli autoveicoli». Oltre che l’innovazione, un ulteriore ruolo di spicco all’interno della Etecno1 lo riveste l’automazione, elemento principe nel testimoniare al mercato il proprio essere al passo con i tempi. «Il nostro stabilimento produttivo è fortemente automatizzato – continua


Cristiano Bondani

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Costi di produzione contenuti grazie a tecnologie automatizzate e articoli innovativi: così sfidiamo i Paesi emergenti

ancora l’amministratore della ETecno1 –, tanto che tra operai e tecnici disponiamo di soli undici dipendenti, il cui lavoro viene distribuito su due turni. Automatizzare la società è importante perché significa renderla più snella ed efficiente, poter contare su pochi ma qualificati collaboratori, diminuendo così il lavoro manuale e quindi il margine d’errore, e attrezzarla con macchine automatiche altamente tecnologiche, come per esempio i robot antropomorfi. A questi vantaggi si sommano l’aumento della qualità dei prodotti, i minori costi di realizzazione, la maggior sicurezza dei lavoratori e una migliore organizzazione aziendale». La strategia scelta dalla ETecno1 sembra essere quella giusta, poiché trova riscontri positivi sia sul mercato nazionale, sia, e soprattutto, su quello internazionale. «Il 90 per cento delle candelette diesel e dei riscaldatori speciali che produciamo – conclude Cristiano Bondani – è destinato all’estero, a 40 diversi Paesi. I mercati principali restano ancora quelli europei, grazie alla grande diffusione di motorizza-

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zioni diesel, ma stiamo trovando terreno molto fertile anche in zone extraeuropee come la Russia, l’Ungheria, l’Australia, la Nuova Zelanda, la Turchia e gli stati nordafricani, solo per citarne alcuni. Ci stiamo, inoltre, allargando anche in Sud America e nel Nord America, dove iniziano finalmente a diffondersi le motorizzazioni diesel e i biocombustibili. Per incrementare sempre più la nostra attività di export, poniamo grande attenzione all'ottenimento di nuove certificazioni di prodotto e del sistema di qualità, spesso soggetto ad audit da parte di importanti costruttori internazionali». Per la fine del 2012, anno che si sta dimostrando molto simile a quello precedente, caratterizzato da alti e bassi, la ETecno1 si aspetta di assistere a un’accelerazione dell’attività e delle vendite, speranza data dalla necessità di reintegrazione delle scorte di magazzino minime dopo la drastica riduzione del 2011; inoltre, la società punta a portare avanti la scelta fondamentale di difendere la marginalità e l’esigibilità del credito. EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 117


CONTROLLO QUALITÀ

Sicurezza e qualità sotto tutela Dalle aziende alimentari ai centri benessere, sono numerosi gli ambiti in cui è richiesta l’esecuzione di controlli e analisi accurate, per garantire e tutelare la salute e la sicurezza dei consumatori. Ne parliamo con Paolo Naglia del Laboratorio Merceologico Diego Bandini

el cuore dell’Emilia, in quella che a ragione viene definita come la Food Valley italiana, operano centinaia di aziende alimentari, che hanno fatto della qualità delle loro produzioni un marchio di fabbrica. Una qualità certificata da controlli e analisi meticolose, come quelle effettuate dal Laboratorio Merceologico di Parma. Fondato nel 1994, il Laboratorio è infatti specializzato proprio nella realizzazione di analisi chimico-fisiche e microbiologiche, come racconta il dottor Paolo Naglia, che gestisce la struttura insieme al socio Cristian Cenci. «Inizialmente rivolto soprattutto alle aziende di trasformazione del pomodoro, molto numerose in regione, col tempo il laboratorio ha ampliato il proprio raggio d’azione, facendo il suo ingresso nel campo degli integratori alimentari e oltrepassando i confini regionali». A chi sono rivolti, oggi, i vostri servizi? «Attualmente il Laboratorio opera al fianco di un’ampia platea di soggetti. Come accennato in precedenza, collaboriamo principalmente con le aziende alimentari, con una particolare attenzione al controllo dei processi produttivi (materie prime, prodotti finiti, studi di shelf-life) e delle acque, Il dottor Paolo Naglia, sia potabili che reflue. Lavosocio del Laboratorio Merceologico di Parma riamo però anche al fianco di www.laboratoriomerceologico.it enti pubblici, piscine, centri info@laboratoriomerceologico.it

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benessere, aziende private, professionisti e consulenti, che hanno la necessità di appoggiarsi alla nostra struttura per poter svolgere la loro attività». Come siete organizzati da un punto di vista operativo? «Il nostro è un laboratorio di dimensioni ridotte: questo aspetto rappresenta un punto di forza, in quanto ci assicura massima flessibilità, una qualità molto apprezzata dal mercato. Siamo in grado di intervenire direttamente presso il cliente per eseguire campionamenti e/o prelievi in qualsiasi momento; processiamo i campioni consegnati o prelevati quasi in tempo reale annullando, di fatto, il gap temporale che invece si trovano ad affrontare tanti altri laboratori. Capita spesso, ad esempio, di iniziare ad analizzare il campione prelevato già poche ore dopo l’esecuzione del prelievo. Questo è un valore aggiunto importantissimo nel nostro campo, soprattutto in particolari periodi dell’anno, come ad esempio durante la campagna di trasformazione del pomodoro, un’attività che impegna le aziende praticamente 24 ore su 24, per 7 giorni alla settimana». Quanto è importante, invece, l’aggiornamento, sia da un punto di vista normativo che tecnologico? «È indispensabile poter disporre di competenze di valore elevato e costantemente aggiornate, che seguano l’evoluzione delle tecniche di analisi e che permettano di offrire sempre risultati affidabili. Altrettanto importante, però, è avere una disponibilità strumentale adeguata alle necessità. Proprio per massimizzare l'operatività


Paolo Naglia

della struttura, sia in termini di affidabilità che di velocità di risposta, il laboratorio in questi anni ha investito importanti risorse in un’ottica di miglioramento continuo, applicando procedure che permettano di razionalizzare e semplificare le attività analitiche». Quali risultati ha prodotto questa impostazione? «Grazie agli interventi adottati siamo riusciti a ridurre drasticamente i tempi di attesa per i nostri committenti e, laddove possibile, anche i costi, mantenendo inalterati gli standard qualitativi del servizio. A suffragio di questa politica il laboratorio ha ottenuto, nel luglio 2008, l’accreditamento secondo la norma ISO 17025 da parte del SINAL, ora Accredia, con convenzione n. 0941 verificabile direttamente sul sito di Accredia. Questo è un riconoscimento fondamentale, in quanto attesta che il laboratorio opera applicando metodi di analisi riconosciuti a livello internazionale, che il personale è professionalmente idoneo all’esecuzione delle analisi e che la struttura del laboratorio è adeguata allo svolgimento delle sue attività». Di quali altre certificazioni siete dotati? «Il Laboratorio Merceologico è iscritto nel-

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Abbiamo ridotto i tempi di attesa per i nostri committenti, mantenendo inalterati gli standard qualitativi del servizio

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l'elenco regionale dell'Emilia Romagna al numero 008/PR/003, in quanto laboratorio autorizzato a effettuare analisi di autocontrollo per le aziende alimentari. Annualmente partecipiamo inoltre a diversi circuiti interlaboratorio, promossi da Unichim, Lgc Standard e Fapas, per un continuo confronto analitico volto a valutare e determinare le performance del laboratorio stesso». Quali sono, infine, le vostre aspettative per il futuro? «Vogliamo continuare nel processo di miglioramento intrapreso, che certo non si può esaurire con quanto fatto finora. Il management del Laboratorio ha infatti attivato e continua ad attivare nuovi procedimenti, volti a soddisfare le necessità di un mercato sempre più esigente, con l’obiettivo di trasformarle in occasioni di sviluppo e differenziazione rispetto alle altre strutture presenti sul mercato». EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 119


AGROALIMENTARE

Controlli e sicurezza alimentare Per i laboratori che svolgono analisi e consulenze per il settore alimentare, accreditarsi vuol dire garantire l’affidabilità dei dati analitici e la qualità del proprio operato. Ne parla Daniele Bussolati Emanuela Caruso

ccreditamenti e certificazioni sono elementi importantissimi per un’azienda che voglia posizionarsi sul mercato in maniera competitiva, e lo sono ancora di più quando si parla di aziende attive nel comparto agroalimentare. Attraverso le attestazioni di conformità rilasciate dall’ente italiano Accredia, infatti, i vari laboratori di controllo possono fornire adeguate garanzie da mostrare ai partner commerciali e ai clienti, tanto italiani quanto esteri, e possono dare impulso alla propria produttività. In più, possono rassicurare gli esigenti e informati consumatori circa la qualità, la sicurezza e la lavorazione del prodotto acquistato. È per questi motivi che la società Castalab, sita a Fidenza e specializzata nell’offerta di servizi tecnici alle imprese alimentari, si è certificata Accredia già a partire dal 2001. «Il nostro laboratorio deve garantire alle aziende alimentari servizi e prodotti adeguati alle loro specifiche esigenze – spiega Daniele Bussolati, direttore generale dell’azienda –. Le analisi che facciamo su richiesta del cliente devono essere affidabili, ripetibili, riproducibili e sicure, e il fatto di essere accreditati le rende tali e riconosciute. In altre parole, ciò significa che l’accreditamento è essenziale per assicurare l’affidabilità dei dati analitici e, di conseguenza, per migliorare la performance del laboratorio. Ca-

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Nella foto in alto Daniele Bussolati, direttore generale del laboratorio Castalab di Fidenza (PR) www.castalab.com

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stalab, inoltre, è anche inserita nell’elenco regionale dei laboratori che effettuano l’autocontrollo nelle aziende alimentari». Castalab è composta di due sezioni che operano in totale sinergia: un laboratorio di analisi chimico-microbiologiche e una struttura di consulenza tecnica e gestionale. Di cosa si occupano questi due rami dell’attività? «Il laboratorio effettua analisi su tutti i prodotti alimentari, in particolare su quelli che rappresentano il nostro core business, ovvero i prodotti lattiero-caseari. Le analisi svolte coprono tutto il flusso produttivo degli alimenti, e vanno da quelle di accettazione della materia prima a quelle di validazione del prodotto finito, come ad esempio il rispetto dei requisiti tecnici, normativi e shelf life. La sezione di consulenza, invece, è rivolta alle imprese alimentari che intendono sviluppare sistemi di gestione della qualità sia a livello produttivo che a livello di tutela ambientale». La sezione di consulenza è nata quindici anni fa. Come si è evoluta nel tempo questa attività? «L’interesse verso questo tipo di attività è notevolmente aumentato negli anni. Come obiettivo la consulenza ha quello di sviluppare insieme alle aziende sistemi di gestione che siano integrati, snelli ed efficaci. Oggi, in particolare, la consulenza si è indirizzata


Daniele Bussolati

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Le analisi che svolgiamo coprono tutto il flusso produttivo degli alimenti, e vanno da quelle di accettazione della materia prima a quelle di validazione del prodotto finito

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anche verso lo sviluppo di sistemi certificabili in conformità ai principali standard di riferimento della grande distribuzione, nello specifico gli standard BRC e IFS». Per Castalab, quale vantaggio è derivato dall’essere ubicati all’interno di un’area, quella a cavallo tra Emilia Romagna e Lombardia, a forte vocazione agricola? «Essere ubicati in un territorio che vanta una profonda e radicata cultura agroalimentare ha favorito lo sviluppo del nostro lavoro, tanto che siamo partiti con l’analisi del latte destinato alla produzione di Parmigiano Reggiano e Grana Padano, e siamo riusciti ad ampliare l’attività andando a coprire tutto il settore lattiero-caseario e anche quello alimentare in generale». Che bilancio è possibile trarre dall’ultimo anno di attività della Castalab? «Nell’ultimo periodo siamo riusciti a investire in attrezzature e risorse umane; ed abbiamo ampliato i servizi di analisi e

consulenza. Inoltre, negli ultimi tre anni abbiamo ottenuto valori molto positivi a proposito degli indici di performance individuati». Lungo quali direttive si svilupperà la crescita di Castalab nel prossimo futuro? «Per l’avvenire abbiamo in programma di continuare a perseguire un aggiornamento tecnico continuo, che ci consenta di offrire servizi capaci di soddisfare le attese e le necessità delle aziende alimentari. È solo portando avanti il nostro lavoro con passione e serietà che possiamo offrire qualità e sicurezza». EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 121



CREDITO & IMPRESE

UNA NUOVA FASE ECONOMICA Nel primo trimestre di quest’anno anche in Emilia Romagna si sono accentuati i segnali negativi emersi alla fine del 2011. L’industria è entrata in un nuovo ciclo recessivo, anche se per ora meno difficile rispetto alla pesante caduta del 2009, quando la produzione accusò una flessione del 14,1 per cento rispetto all’anno precedente. Sono le imprese di minore dimensione a pagare il prezzo più elevato

alla crisi e l’emergenza terremoto non ha migliorato la situazione. Il credito, secondo l’analisi del servizio studi di Intesa Sanpaolo, ha continuato a indebolirsi nei primi mesi del 2012, in linea con la tendenza nazionale. Il complesso dei prestiti, dopo essere cresciuto del 4,8% in media nel 2011, nel primo trimestre 2012 è risultato invariato rispetto allo stesso periodo di un anno prima. EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 123


CREDITO & IMPRESE

L’OPPORTUNO SOSTEGNO AL TESSUTO PRODUTTIVO In un contesto preoccupante in cui la liquidità concessa dalle banche è scarsa, il ruolo degli intermediari finanziari diventa ancora più importante. Emanuel Danieli illustra il quadro generale in Emilia Romagna e spiega la funzione di Fidindustria Nicolò Mulas Marcello

La situazione attuale, come è noto, mostra contrazioni del credito, soprattutto per quanto riguarda forme di finanziamento a medio e lungo termine. La richiesta di finanziamenti alle banche non è però assistita dalle garanzie richieste, innescando uno scenario di difficile gestione. Il ruolo del Confidi in questo delicato momento economico deve evolvere da ente mutualistico che esprime garanzia a partner attivo delle imprese nel sostegno del proprio lavoro quotidiano. «Siamo chiamati a sostenere lo sviluppo dell’economia reale – spiega Emanuel Danieli, direttore di Fidindustria Emilia Romagna – e intendiamo assolvere al nostro ruolo, con tutta la competenza e la passione che da sempre ci contraddistingue, per garantire al tessuto imprenditoriale del territorio l’adeguato accesso al credito bancario. 124 • DOSSIER • EMILIA-ROMAGNA 2012

Cercheremo anche di negoziare con le banche buone condizioni economiche dei finanziamenti, ma l’importante in questo momento è dare la possibillità effettiva di ricevere i finanziamenti». La richiesta di fidi è aumentata nell’ultimo anno in regione? «Il primo quadrimestre 2012 ha registrato una evidente flessione degli impieghi effettuati dal sistema bancario, in generale, e conseguentemente anche sull’operatività assistita da garanzia. Un quadro sconfortante che Fidindustria intende affrontare con la forza della collaborazione del sistema bancario: Banca di Bologna, Banca di Piacenza, Banco popolare, Bnl, Bper, Cariparma, Cassa di risparmio di Cento, la Federazione delle banche di credito cooperativo, Unicredit. Ecco il pool degli istituti bancari che hanno


Emanuel Danieli, direttore Fidindustria Emilia Romagna

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Abbiamo senz’altro bisogno del sostegno pubblico perché il ruolo di garanti in questo constesto economico è davvero gravoso

raccolto la “call-to-action” di Fidindustria, animati dal comune obiettivo di garantire l’opportuno sostegno al tessuto produttivo regionale. I finanziamenti destinati alle imprese del territorio, saranno assistiti da una garanzia minima del 50%, prestata da Fidindustria a valere sul Fondo di cogaranzia regionale istituito dalla Regione: viene prevista un’ampia gamma di prodotti a copertura di esigenze sia di breve che di medio periodo». Qual è il vostro rapporto con le istituzioni locali? «Nel corso della nostra ultima assemblea di bilancio, la Regione e il sistema camerale hanno confermato il loro supporto al mondo dei confidi ed in particolare ai confid vigilati. Per il triennio 2012-2014 Fidindustria ha inoltre predisposto un piano industriale vigoroso che poggia su tre punti fondamentali: una congrua patrimonializzazione per mantenere i requisiti richiesti da Banca d’Italia, un nuovo modo di gestire le relazioni con le banche attraverso accordi specifici e concreti, una costante riorganizzazione interna e l’obiettivo di massima integrazione e sinergia con i confidi provinciali. Abbiamo senz’altro bisogno del sostegno pubblico perché il

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ruolo di garanti in questo constesto economico è davvero gravoso». Alla crisi si è aggiunta nella nostra regione anche l’emergenza terremoto. Ci sarà un aiuto più accorato alle imprese colpite dal sisma? «Non parlerei di aiuti più “accorati”, ma di aiuti centrati rispetto alle esigenze finanziarie delle imprese delle zone colpite dal sisma. Una parte di questi aiuti sono contenuti nel decreto governativo, come la sospensione dei pagamenti delle rate dei mutui e l’estensione delle garanzie del Fondo centrale di garanzia a percentuali elevate in modo da rendere ancor più agevole l’accesso al credito delle imprese. La commissione per il ricorso alla garanzia del Fondo centrale di garanzia o al Fondo regionale di garanzia, gestito dai tre confidi regionali, sarà gratuito. Inoltre, sono stati canalizzati da parte del commissario fondi per l’abbattimento del costo di tali finanziamenti a un tasso di interesse per l’impresa non superiore all’Euribor (stiamo parlando quindi di costo attualmente contenuto entro l’1%). Infine, insieme alla nostre associazioni di riferimento (Confindustria e Confapi) cercheremo di fornire la massima assistenza alle imprese del “cratere” nel rapporto con le banche». EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 125


CREDITO & IMPRESE

PIÙ LIQUIDITÀ ALLE IMPRESE La richiesta di finanziamenti da parte degli imprenditori è diminuita sensibilmente nell’ultimo anno. A sostenerlo è Domenico Menozzi, il quale spiega il ruolo di Unifidi nell’attuale scenario economico Nicolò Mulas Marcello A causa della congiuntura economica negativa sono molte le imprese costrette a contenere il fabbisogno finanziario, a tenere costantemente sotto controllo la tesoreria e ad attivare gli strumenti in grado di sostenere l’elargizione di un fido. In Emilia Romagna, oltre alla crisi economica, si è aggiunta anche l’emergenza terremoto, che ha costretto il sistema produttivo alla richiesta di ulteriori aiuti: «Il nostro ruolo – spiega Domenico Menozzi, direttore di Unifidi Emilia Romagna – in questo frangente è quello di assistere le imprese in diversi modi, tra cui la sospensione del pagamento dei finanziamenti. Inoltre, la nostra funzione è importante anche nel momento della ricostruzione e nella ripresa produttiva per quella parte che non verrà coperta dai contributi pubblici». In un contesto preoccupante in cui la liquidità concessa dalle banche è scarsa, qual è il ruolo di Unifidi Emilia Romagna? «Offriamo garanzia alle banche per conto dei nostri soci. Riduciamo il rischio per la banca e di conseguenza agevoliamo l’accesso al credito». La richiesta di fidi è aumentata nell’ultimo anno in regione? «No, anzi abbiamo iniziato a registrare un calo dell’operatività diversamente da quanto accade per alcune situazioni analoghe nel resto d’Italia già da126 • DOSSIER • EMILIA-ROMAGNA 2012

gli ultimi mesi dell’anno scorso, e questo calo è continuato anche nei primi mesi di quest’anno. Per le richieste e le pratiche lavorate prevediamo tendenzialmente un 10-15% in meno a fine anno». Qual è il vostro rapporto con le istituzioni locali? «Lavorando in ambito regionale il nostro rapporto con le istituzioni locali è molto variegato, complessivamente abbastanza buono. Collaboriamo soprattutto con le Camere di Commercio e con altri enti territoriali ma dipende dai territori e dalle convenzioni stipulate. Talvolta abbiamo stretto anche accordi con i singoli Comuni». Alla crisi si è aggiunta nella nostra regione anche l’emergenza terremoto. Ci sarà un aiuto più concreto alle imprese colpite dal sisma? «Nei Comuni interessati dal terremoto abbiamo più di 4.000 soci, che vivono situazioni molto diverse fra loro: c’è chi deve ancora ricostruire i capannoni, chi invece ha avuto danni lievi e ha già ripreso le attività; per questo il nostro ruolo prevede già centinaia di operazioni di aiuto. Inoltre, la nostra presenza sarà importante anche nella fase della ricostruzione e in quella della ripresa produttiva perché c’è una parte di danni che non verrà coperta dai contributi pubblici a fondo perduto in conto capitale per il risarcimento».



CONSULENZA

I promoter nel nuovo scenario economico L’economia occidentale è a una svolta paradigmatica, da dove emergerà una nuova categoria di imprenditori. Antonella Lambri, private banker, spiega l’importanza della sua categoria in questa fase delicata di appoggio alle imprese Renato Ferretti

Antonella Lambri, private banker a Fidenza (PR) antonella.lambri@spinvest.com

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lzi la mano chi, oggi, saprebbe decidere in autonomia cosa fare dei propri risparmi. Per molti non si tratta di scelte semplici: bisogna capire di finanza, previdenza, fisco, credito. Per Antonella Lambri, private banker dal 1999 per San Paolo Invest, i tempi impongono il suo ruolo come determinante, ed è fiduciosa sul futuro delle reti e della professione del promotore finanziario. «Gli advisor sono scevri da conflitti di interesse – dice la Lambri – e diventeranno sempre più relationship manager. Ma per un promotore non basta la conoscenza della materia. La propensione a costruire relazioni di fiducia, l’esperienza per capire le persone, la capacità di rendere comprensibili materie complicate, sono tutte caratteristiche indispensabili». Come si può valorizzare la figura del promotore finanziario in un momento di crisi come quello attuale? «Parto da un presupposto fondamentale, sono fiduciosa sull’attività del promotore finanziario perché tenderà a diventare sempre più specialistica. Gli advisor sono scevri da conflitti di interesse, mentre le banche tradizionali hanno un problema fondamentale in questo momento: la raccolta del denaro dal punto di vista del costo, raccogliere per erogare. Le reti non hanno questa problema, raccol-

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Antonella Lambri

gono per valorizzare il portafoglio del cliente con il quale creano una relazione personale. Non dimentichiamoci che la consulenza intesa come raccomandazione adeguata al profilo presuppone necessariamente una relazione personale, la capacità di individuare i bisogni, e la capacità di comprendere non solo la propensione al rischio ma anche l’avversione alle perdite del cliente. Questo fa parte di un modello organizzativo che nessuna struttura bancaria riesce in qualche modo ad evidenziare se non con l’attività dell’advisor». Quindi nei prossimi anni potrebbero aumentare le famiglie italiane che assumono un promotore come referente per il risparmio? «Ne sono convinta. Vorrei portare l’attenzione su un’importante ricerca che è stata svolta dalla Società Assoreti con due Università, per valutare quale fosse la capacità del promotore sottoposto a dei test psicosomatici e fisiologici del cosiddetto superamento dello sleeping factor, ossia quella capacità di autovalutazione che realmente si

Solo gli imprenditori riescono a creare ricchezza perché lottano e vedono opportunità dove altri vedono solo ostacoli

allinea con quelle che sono le proiezioni possibili. Il promotore ha superato questi test: è in grado quindi di aiutare i clienti nelle proprie scelte e questo è frutto non di una casualità, ma di un lavoro costante nel corso degli anni come consulente della famiglia. Quindi, se c’è un contesto dove bisogna rafforzare l’immagine del promotore finanziario è proprio nelle fasi di criticità, nelle quali il risparmiatore sente ancor più impellente la necessità di una “guida” ». Come descriverebbe il momento in cui ci troviamo? «Una bella poesia di Rudyard Kipling recita: “Se saprai mantenere la calma mentre attorno a te tutti la perdono […] tua sarà la terra e tutto ciò che c’è in essa”. Mi sembra fotografi bene la situazione in cui ci troviamo. Come ci insegna l’economia emo- ❯❯

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CONSULENZA

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tiva, e come molti avranno imparato dall’esperienza, perdere il sangue freddo ci fa fare errori colossali. La confusione è sempre pessima consigliera spesso si accompagna alla paura. In un mondo colpito dalla forte disoccupazione, molti pensano che la soluzione possa venire dai governi. Ma sta diventando ovvio che i governi non possono creare del vero lavoro; solo gli imprenditori riescono a creare ricchezza e prosperità, perché lottano, s’impegnano con successo e vedono opportunità dove altri vedono solo ostacoli». Dunque che previsioni può fare sull’assetto economico del prossimo futuro? «A partire dal crollo finanziario iniziato nel 2007, il più grosso crollo dopo la grande Depressione, molti aspettano che l’economia riprenda. L’economia riprenderà, ma non sarà più la stessa. La vecchia economia dell’era industriale sta morendo, e sta emergendo una nuova economia dell’era informatica. Le regole di questa nuova economia

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internazionale, non saranno le stesse. E le vecchie idee dell’era industriale, come la sicurezza del posto di lavoro per tutta la vita, le pensioni, le indennità, e i sindacati, non saranno in grado di sopravvivere nella nuova era informatica. Da questa crisi, emergeranno nuove società, guidate da una nuova classe di imprenditori. A noi promotori finanziari, viene dato l’importante compito di guidare questa nuova classe verso scelte finanziarie adeguate che possano valorizzare al meglio il proprio lavoro». In questo compito quali sono i valori principali cui fare affidamento? «Ogni persona ama la propria vita, le proprie passioni. Il risparmio è il gesto che consente alle persone di coltivare le proprie passioni, che permette a chi ama i propri sogni di renderli possibili, che garantisce ad una famiglia di costruire il futuro. Aiutare i miei clienti ad investire, significa per me affermare ancora una volta quella cultura del risparmio che affonda le sue radici nel nostro Paese». Come si traduce questo nella sua attività? «Aiutare i clienti a sviluppare un piano finanziario personalizzato che segue l’evolversi della sua vita. La vita è un percorso in costante divenire definito da sogni, passioni e progetti che cambiano con noi. Un’evoluzione che si riflette anche negli obbiettivi finanziari, condizionati da esigenze e motivazioni personali spesso molto diverse fra loro. Comprendere queste esigenze e tradurle in soluzioni personalizzate è,


Antonella Lambri

L’economia riprenderà, ma non sarà più la stessa. La vecchia economia dell’era industriale sta morendo, e sta emergendo una nuova economia dell’era informatica

da sempre, la mia missione. Un approccio analitico e un’adeguata allocazione degli investimenti ci consentono di guardare lontano, costruendo, giorno per giorno, il futuro che vogliamo». È possibile prevedere il momento giusto per entrare o uscire da un mercato? «Molti investitori sono consapevoli del fatto che, nel lungo termine, i mercati finanziari si muovono al rialzo e al ribasso. Forse però non tutti sanno che esiste una relazione tra la percezione generale e i cicli di mercato. Durante le fasi rialziste, il numero degli in-

vestitori alla ricerca di buoni rendimenti continua gradualmente ad aumentare; è quanto successo ad esempio durante il boom dei titoli tecnologici alla fine degli anni 90. Al contrario durante le fasi ribassiste molti investitori sono più inclini a vendere, come si è visto ad esempio alla fine del 2008 e anche nel 2011. Le riprese tendono ad essere poco prevedibili dal punto di vista dei momenti in cui è possibile registrare i rendimenti migliori. Nelle cinque fasi della ripresa identificate nel corso degli ultimi 25 anni, i mercati hanno registrato un apprezzamento medio del 27,91 per cento nei primi 6 mesi e del 37,42 per cento nei primi 12 mesi. Da qui, si può dedurre che, nel momento in cui viene identificato un andamento di mercato chiaramente rialzista (mercato toro) potrebbe essere già troppo tardi per sfruttare interamente il potenziale di rialzo del mercato. Con il mio lavoro, cerco di aiutare il risparmiatore a riconoscere le opportunità di mercato senza “inseguire” le performance basandosi sui risultati passati». EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 131


CONSULENZA

Tra imprese, banche e fisco Crisi, credit crunch e contestazioni fiscali. Molte imprese sono costrette a ridimensionare le proprie strutture. I soci dello Studio Spaggiari – Pivetti & Partners affrontano le maggiori criticità e illustrano le misure che una società di consulenza può mettere in campo per sostenere le Pmi Valerio Germanico

nelle operazioni di ristrutturazione e razionalizzazione aziendale che, in questa fase economica di crisi, si stanno concentrando le società che prestano consulenza alle imprese. Sono numerose le realtà imprenditoriali che si sono trovate sovradimensionate e incapaci di continuare a mantenere strutture e costi sostenibili fino a pochi anni fa. A conferma di questo quadro, l’esperienza della dottoressa Cristina Spaggiari, portavoce dello studio di consulenza Spaggiari-Pivetti & Partners di Formigine, in provincia di Modena. «Negli ultimi mesi abbiamo registrato una richiesta pressoché generalizzata, da parte delle imprese all’avvio di operazioni di concentrazione aziendale, per ridurre al minimo le società di un medesimo gruppo; di programmazione e controllo, con analisi e riduzione dei costi; e, inoltre, di ristrutturazione del debito bancario». Nel rapporto con le istituzioni bancarie e di credito, quali sono le tematiche affrontate con maggiore frequenza? «In questi casi, la nostra azione è di affiancare

È In apertura, i soci dello Studio Spaggiari – Pivetti & Partners di Formigine (MO) Cristina Spaggiari, Stefano Pivetti e Emanuela Comastri. Nella pagina a fianco, Cristina Spaggiari, fondatrice dello Studio. info@studio-ca.it

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le imprese nella gestione dei rapporti con le banche, promuovendo un’operazione di costante mediazione tra le necessità di affidamento delle aziende e le richieste di garanzia delle banche. Stiamo prestando questo tipo di consulenza alla quasi totalità della nostra clientela, con differenze soltanto nella tipologia di operazioni da mettere in campo, passando da una consulenza informale fino a piani di risanamento aziendale più complessi e strutturati. Il nostro sforzo in questo senso è diretto in due direzioni: salvaguardare il valore aziendale, ove possibile, e percepire in anticipo se il progetto economico è divenuto sterile ed è dunque opportuna una riconversione». Sul fronte fiscale, quali esigenze sono emerse negli ultimi mesi, dopo l’avvio di una politica più stringente da parte del governo Monti? «Negli ultimi 48 mesi – quindi ben prima dell’insediamento del governo dei tecnici – l’attività di controllo da parte delle autorità fiscali Italiane – non solo Equitalia, ma anche Guardia di finanza e Agenzia delle entrate – è divenuta par-


Spaggiari Pivetti & Partners

ticolarmente intensa e capillare. Il nostro studio quindi ha messo a disposizione dei contribuenti un team di figure qualificate nell’ambito dell’accertamento tributario e del contenzioso, che opera in un’ottica collaborativa e di dialogo con le autorità che effettuano i controlli, cercando sempre una mediazione e, ove possibile, una via deflativa di risoluzione della contestazione».

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Affianchiamo costantemente le imprese nella gestione dei rapporti con le banche, promuovendo un’operazione di mediazione

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Nel caso in cui questa strada non sia praticabile, quali sono le possibilità? «Qualora non sia possibile trovare un accordo con la controparte, lo studio affianca il contribuente per le pratiche di ricorso tributario, anche attraverso il supporto di consulenti legali esterni e, in ultima istanza, si provvede a fornire all’assistito uno studio di gestione finanziaria per gli eventuali pagamenti inattesi, attraverso la presentazione di istanze di rateizzazione delle cartelle esattoriali». Il vostro studio sta puntando sull’informatizzazione. Con quali obiettivi? «Stiamo lavorando per il completamento del nostro sito web, dal quale i nostri clienti potranno accedere direttamente a tutta la propria documentazione. Oltre al miglioramento del servizio, l’informatizzazione ha anche l’obiettivo di effettuare un passaggio completo all’archiviazione digitale. Questo ci ha già permesso di percorrere passi importanti verso la riduzione dell’impatto ambientale della nostra attività, per esempio attraverso la diminuzione dei consumi di carta, che dall’avvio di questo processo si sono più che dimezzati. E questo a fronte di un aumento del nostro personale e del numero di pratiche gestite. Siamo anche riusciti a raggiungere l’autonomia energetica, sfruttando la geotermia e il fotovoltaico». Come si inserisce nella vostra attività il rapporto con Banca Interprovinciale per lo sviluppo territoriale emiliano? «Nel 2008, abbiamo collaborato attivamente alla costituzione di Banca InterProvinciale (BiP) – in particolare attraverso il dottor Stefano Pivetti, nostro socio e membro del Cda della banca. Si tratta di una realtà locale formata da imprenditori e professionisti dell’Emilia, impegnata a favorire lo sviluppo economico del territorio. La banca conta al momento quattro filiali e oggi il progetto sta proseguendo sulla linea delle aspettative iniziali, pur se in un difficilissimo periodo economico-finanziario, che sicuramente non ne ha agevolato lo sviluppo. Ciononostante, BiP ha messo a disposizione fondi a tassi agevolati per le imprese colpite dal recente terremoto». EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 133


COMMERCIO

L’agente di commercio e il domani europeo del mondo manifatturiero Il comparto degli agenti di commercio si è messo in moto per ridare carica al settore manifatturiero europeo e portare sul mercato prodotti innovativi capaci di competere con le dinamiche della globalizzazione. A presentare il ruolo dell’agente moderno è Alfredo Magnani Emanuela Caruso

Alfredo Magnani, a capo della Itp di Zola Predosa (BO) www.itpsrl.it

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effetto iniziale della globalizzazione ha significato, in un primo momento, produrre in Europa per vendere altrove, organizzando di conseguenza altrove la commercializzazione. In seguito, però, la tendenza si è modificata e dato che chi comprava di più erano i paesi fuori dall’Europa, le produzioni sono state direttamente spostate nelle zone estere di maggior acquisto. Sono proprio queste dinamiche che alla lunga porteranno al bisogno di creare agenti globalizzati». Con queste parole Alfredo Magnani descrive uno scenario futuro che non gioverà all’Europa, che avendo ceduto ad altri il proprio know how manifatturiero e non avendone gestito la transizione, ora dovrà recuperare il terreno perduto, accelerando la nascita e la crescita di nuovi prodotti. A raccontare il ruolo che ricoprirà l’agente europeo nel domani del mondo industriale è Alfredo Magnani, a capo della società Itp di Zola Predosa. «L’agente europeo rappresenterà la testa di ponte per portare avanti l’innovazione, ricercando e proponendo soluzioni d’avanguardia ad alta tecnologia. Subito, questi prodotti andranno a coprire un mercato di nicchia, ma poi allargandosi potranno diventare il collegamento tra il mercato europeo attuale e quello del futuro. Il lavoro dell’agente europeo prenderà così in considerazione attività nuove che necessitano di più sicurezza, qualità, durata, bellezza e salvaguardia dell’ambiente». La Itp è un agente di commercio? «Sì, è agente di commercio dal 1972 ed è spe-

«L’


Alfredo Magnani

cializzata nei settori della meccanica, oleodinamica, manutenzione e rivendita industriale. È nata dall’esperienza che ho maturato come tecnico venditore di prestigiose aziende produttrici di cuscinetti, aziende grazie alle quali ho imparato le applicazioni dei cuscinetti e i metodi coLa categoria dei venditori specializzati struttivi dei gruppi meccanici delle tranel commercio in Europa rappresenterà smissioni, tuttora il core business princila testa di ponte per portare avanti pale del comparto manifatturiero dell’Emilia Romagna. Nella nostra rel’innovazione gione, infatti, si vendevano, e si vendono, più cuscinetti di ogni altra zona produttiva. Come agenti rivolti verso il futuro dell’Europa, ci impegniamo nel cercare agenti di commercio: in primis il fatto che non prodotti nuovi da diffondere sul tessuto mani- possedendo una struttura commerciale propria fatturiero, in modo da farli conoscere e da rivi- per vendere non può farlo, oppure non può sotalizzare il know how italiano ed europeo». stenerne i costi. Inoltre, affidare la vendita agli Ci può dire di più della professione degli agenti, significa affidarla a persone competenti in agenti? materia, note e referenziate, che, conoscendo il «La categoria degli agenti è molto vasta, siano essi mercato, sanno dove presentarsi, senza consideditta individuale o forma societaria, nella quale rare il fatto che la maggior parte delle volte conoi rientriamo, dato che il pagamento al nostro noscono l’interlocutore e riescono perciò ad aclavoro avviene con provvigioni maturate sul fat- corciare i tempi delle trattative». turato. L’agente non costa nulla se non vende, coQuali prerogative deve avere un agente mosta poco se vende poco e costa molto se vende, derno per risultare interessante agli occhi di sempre comunque a risultato raggiunto. L’agente un’azienda? investe su se stesso, si espone in prima persona e «Innanzitutto un agente deve essere propositivo, se il suo lavoro non viene utilizzato nel modo mi- sia a livello di prodotti che di soluzioni, e altagliore rischia di diventare un costo e non un gua- mente e adeguatamente formato, soprattutto se dagno per un’azienda. Il compito principale del- deve proporre articoli ad alta tecnologia. Infine l’agente è acquisire clienti e gestirne il rapporto deve saper così bene presentare un prodotto o un per giungere così alla vendita, a patto però che il marchio che, anche se non subito venduto, non prodotto presentato disponga dei presupposti venga dimenticato: in questo l’agente è il miglior per essere comprato. In definitiva, l’agente è spe- “informatore scientifico” a costo zero. Deve incializzato nella vendita, ovvero in quel rapporto fatti raggiungere una conoscenza massima dei tra chi vende e chi compra, che procura affari». prodotti. Inoltre, deve seguire passo per passo Quanto è importante oggi servirsi di agenti? l’ordine acquisito, controllando che abbia un «Molto. Un’azienda che voglia proporsi al mer- corso regolare, facendosi carico delle problemacato con articoli nuovi, o allargare il proprio tiche che potrebbero verificarsi, mettendosi a raggio d’azione, ha svariate ragioni per servirsi di totale disposizione del cliente».

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SISTEMA FIERISTICO

Poli espositivi italiani, localismi e punte d’eccellenza Le fiere sono considerate, nonostante la difficile congiuntura economica, importanti strumenti di business e, come accade per le imprese, raggiunge performance migliori chi punta su innovazione e internazionalizzazione, senza trascurare il mercato interno Gloria Martini

allo studio “Gli italiani e le fiere”, realizzato dall’istituto di ricerca Ispo di Renato Mannheimer e promosso da Fondazione Fiera Milano, le imprese considerano il sistema fieristico italiano “strumento efficace per il business, motore di politica industriale e volano per l’economia del territorio. Ma per crescere le fiere devono internazionalizzarsi, aumentare la propria competitività globale e rafforzare gli strumenti di comunicazione e l’integrazione con i nuovi media”. Nonostante questo i grandi poli fieristici si lasciano alle spalle un 2011 tra luci e ombre. Secondo le rilevazioni di Edifis intelligence, «Milano e Verona mantengono, a calendario costante, ricavi e redditività. In risalita il risultato di Bologna. Parma consolida la sua nicchia di mercato. Arretra Rimini, con ricavi e mol in calo, e Genova si tiene a galla come può, mentre Roma registra il quarto anno consecutivo di perdite». L’andamento del 2012 poi è legato agli stessi nodi dell’economia italiana, “chi ha le spalle larghe punta a diversificare sui mercati emergenti, anche esportando le manifestazioni di

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punta” si legge ancora nel rapporto Edifis. Aumentano le manifestazioni (202 quelle internazionali previste quest’anno, 193 nel 2011) ma le aree si riducono, come l’affitto degli stand. Nei primi cinque mesi dell’anno i metri quadri netti occupati in Italia dagli aderenti al Comitato fiere industria (Cfi) sono scesi del 4,3 per cento (-19 per cento nei tre anni precedenti). Hanno subìto un calo dell’8,2 per cento anche i visitatori e del 4 per cento gli espositori (+3 per cento gli esteri, 6,4 per cento gli italiani). Franco Bianchi, direttore generale del Cfi, fa notare come con l’aumento della concorrenza sono partiti sconti e sostegni «per favorire la partecipazione degli espositori in alcuni casi anche con finanziamenti a tasso zero. E in primavera si sono visti sconti del 5 per cento per chi s’iscriveva alle fiere in anticipo». A dicembre


Identikit del sistema italiano

2011, secondo dati di Ufi (Union des foires internationales), Milano era terza con 345mila metri quadri dopo Hannover (466.100) e Francoforte (345.697), mentre la Cina si è guadagnata il quarto posto (338mila). Il recupero per il sistema fieristico, come sottolinea Gian Domenico Auricchio, presidente del Cfi, può venire da aggregazioni e specializzazione e individua come modello da seguire l’Auma, l’associazione fieristica tedesca: «È privata ma è stata supportata con 42 milioni dal governo per sostenere le imprese

nazionali e il sistema». Gli fa eco Ettore Riello, presidente di Aefi, secondo il quale le fiere possono rivelarsi strutture assai qualificate, ma la loro capacità di azione è frenata, purtroppo, dalla mancanza di una strategia di Paese. «Nel panorama italiano – spiega – ci sono tantissime fiere, alcune anche con una dimensione di tipo internazionale, ma a differenza di quello che accade altrove si assiste di fatto a una non gestione. Qui da noi tutto viene immancabilmente rimesso in discussione, anche i punti di forza. Per riuscire a portare avanti una serie di importanti iniziative bisognerebbe imparare a evitare la sterile competizione fra le strutture esistenti. Finché c’è un localismo di questa natura faremo una battaglia sempre in salita e useremo male i soldi a disposizione. E poi, va bene puntare all’estero, ma non distogliamo l’attenzione dal mercato italiano, che resta pur sempre la prima fonte di ricchezza. Per andare fuori dai confini ci vogliono soldi e investimenti, e se non si riesce a recuperarli dal mercato domestico non si va molto avanti». Giandomenico Auricchio ribadisce l’idea che sia l’export la «chiave del rilancio dell’economia italiana» e chiede che l’internazionalizzazione delle imprese sia al centro della politica di governo. Lancia poi l’allarme su Expo 2015, che «ha una funzione importante di vetrina dell’Italia nel mondo ma non deve togliere spazio alle fiere tradizionali in calendario, perché il sistema industriale non può pensare di avere manifestazioni ridotte».

Sopra, Gian Domenico Auricchio; a sinistra, Ettore Riello

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SISTEMA FIERISTICO

Parma punta su food e mercati internazionali Il 2012 si sta rivelando un anno importante per Fiere di Parma, contrassegnato dalla valorizzazione dei marchi storici e della centralità della città nel settore agroalimentare, che trova un importante tassello, come dichiara il presidente Franco Boni, nell’organizzazione del prossimo congresso mondiale del pomodoro Renata Gualtieri

econdo un sondaggio svolto da Federalimentare tra le aziende che hanno esposto a Fiere di Parma durante l’ultima edizione di Cibus, l’80 per cento degli intervistati si è detto molto soddisfatto e il 10 per cento soddisfatto. La sensazione di ottimismo arriva non solo dai big del made in Italy ma anche dalle tante pmi che costituiscono l’ossatura degli espositori presenti a Parma. Anche il presidente Franco Boni sottolinea questi riscontri positivi per l’ente fieristico, che ha scelto di proiettarsi sempre più verso l’export; soddisfatti gli espositori e numerosi i buyer stranieri in netto aumento rispetto all’edizione 2010. Il tutto in una struttura rinnovata e ancora più efficiente nell’accoglienza e nei servizi. «La manifestazione – sottolinea Franco Boni – ha fornito l’immagine della forza e della vivacità del comparto alimentare italiano e si è dimostrata ancora una volta fondamentale soprattutto per le piccole e medie imprese. Quali i dati positivi del 2012 e quali invece quelli che più la preoccupano? «Il 2012 si sta rivelando molto importante, soprattutto per il consolidamento della svolta impressa nell’esercizio precedente, anno in cui abbiamo registrato il ritorno all’utile nell’anno dispari, Cibus è infatti biennale e si

S Sopra, Franco Boni, presidente di Fiere di Parma

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tiene negli anni pari. Abbiamo completato la riqualificazione del quartiere fieristico e rafforzato dal punto di vista patrimoniale la società; abbiamo valorizzato i nostri marchi storici e rinforzato la centralità di Parma nel settore agroalimentare, con l’organizzazione del Congresso mondiale del latte e ci siamo, inoltre, visti assegnare anche l’organizzazione del Congresso mondiale del pomodoro; abbiamo quindi completato un’organizzazione efficace e un buon controllo dei costi, aspetti che ci consentono un equilibrio competitivo sul mercato. Evidentemente ci preoccupa la situazione generale di recessione e il fatto che nel nostro Paese manca totalmente una politica generale del sistema fieristico, com’è invece in Germania, dove il governo investe nel settore più di 200 milioni di euro l’anno». Quali le sue previsioni per il 2013 e gli obiettivi da raggiungere nei prossimi anni? «Non esiste una ricetta giusta in termini assoluti. La nostra strategia è basata sulla specializzazione e abbiamo cercato, negli ultimi anni, di intercettare le esigenze di settori a noi vicini per prossimità territoriale e tradizione. Stiamo lavorando sull’organizzazione diretta di eventi, Cibus e Cibus tec stanno attraversando un percorso di significativo consolidamento che confermano Fiere di Parma come


Franco Boni

piattaforma a valore aggiunto per il food e la tecnologia made in Italy, e sulla costante ricerca di opportunità di business in un mercato sempre più globale». Saranno sviluppati progetti per accrescere l’internazionalizzazione dell’ente fieristico? Quali i mercati in cui potenziare la vostra presenza? «Oltre al nostro consolidato calendario di manifestazioni, stiamo lavorando intensamente per preparare alcuni grandi eventi speciali di grande impatto internazionale. Il primo riguarda il Thaifex di Bangkok, evento che realizzeremo in collaborazione con Anuga, Fiera leader nel settore alimentare; il secondo è il Global forum, che si terrà a Parma il prossimo anno e vedrà riunite una serie di eccellenze del mondo universitario, industriale e distributivo a discutere delle prospettive dell’alimen-

tare italiano. Inoltre, l’incarico di organizzatore ufficiale del Congresso mondiale del pomodoro 2014 rappresenta un importante riconoscimento del nostro know-how in un settore che presidiamo da anni grazie alle nostre storiche manifestazioni». Quali spunti interessanti sono emersi nel corso del workshop di approfondimento sul mercato cinese che si è tenuto a Parma l’11 e il 12 luglio scorso? «È emerso che il mercato cinese rappresenta uno sbocco di grande potenzialità per i prodotti italiani e lo hanno dimostrato i dati delle importazioni presentati dalla catena Metro, che ci parlano di una grande voglia di cibo italiano. È anche risultato chiaramente però che è necessario essere ben preparati a un mercato che presenta ancora delle pesanti barriere non solo tariffarie». EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 139


SISTEMA FIERISTICO

Fiere, driver per l’economia Globalizzazione e situazione economica mondiale sono le grandi sfide. Nessun organizzatore fieristico, sostiene Duccio Campagnoli, presidente dell’ente BolognaFiere, può pianificare le proprie strategie a prescindere da questi fattori Renata Gualtieri

e manifestazioni fieristiche del primo semestre 2012 hanno registrato un incremento del 5-10 per cento di espositori e visitatori esteri, a fronte di una riduzione del 15 per cento di espositori e visitatori italiani, soprattutto nelle fiere consumer. Un trend positivo, dunque, quello tracciato nel bilancio del presidente Duccio Campagnoli che, sottolinea, «è in controtendenza rispetto ai risultati dei nostri competitor ed evidenzia quanto la Fiera di Bologna sia accreditata come partner a supporto del business ed è un’altra prova che a competere globalmente sono oggi, in Italia, le pmi dei distretti produttivi per quanto sono una risorsa decisiva da sostenere». Le fiere, dal canto zati del made in Italy. loro, chiedono al governo e al ministro Passera Quali le sfide del sistema fieristico nazionale più attenzione e provvedimenti efficaci a sostegno e internazionale che vi attendono e quali i dell’internazionalizzazione per i settori specializ- mercati su cui potenziare la propri presenza? «Globalizzazione e situazione economica mondiale sono le grandi sfide. Nessun organizzatore fieristico può pianificare le proprie strategie a prescindere da questi fattori che impongono una visione sempre più ampia dei mercati, degli strumenti e dei servizi da offrire. Imprese e operatori si rivolgono alle fiere che assicurano contatti commerciali di qualità e un’offerta espositiva innovativa con una logica di massima redditività degli investimenti. I mercati su cui potenziare la presenza sono soprattutto quelli dell’area Bric (Brasile, Russia, India e Cina); sui quali BolognaFiere (India esclusa) è già presente con eventi legati ai propri settori leader.» Ha dichiarato di voler acquisire il modello

L Duccio Campagnoli, presidente dell’ente BolognaFiere

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Duccio Campagnoli

STRANIERI

+5-10% INCREMENTO DI ESPOSITORI E VISITATORI ESTERI NEL PRIMO SEMESTRE DEL 2012

L’ente fieristico diventerà sempre più un’impresa e organizzatore degli eventi che ospita

fieristico tedesco. Quali gli aspetti da emulare e in cosa “primeggia” rispetto a quello italiano? «Il sistema fieristico tedesco per primo ha intuito la necessità di razionalizzazione dei calendari espositivi e di trasformazione del momento fieristico in un’entità che sia anche partner delle imprese nelle strategie commerciali. In Germania si opera - anche a livello governativo - per agevolare la presenza delle aziende grandi nelle fiere che sono considerate driver per l’economia in termini di marketing, export e comunicazione. È un modello che considero funzionale alle pmi imprese che caratterizzano il nostro tessuto imprenditoriale». «L’ente fieristico diventerà sempre più un’impresa e organizzatore degli eventi che

ospita». Come si prepara Bologna ad affrontare questa evoluzione? «È uno degli obiettivi del nostro piano strategico e industriale per il prossimo triennio. Intendiamo valorizzare ulteriormente il ruolo di organizzatore fieristico (anche a livello internazionale), soprattutto per i settori del made in Italy specializzato che trovano espressione nei distretti industriali. Ci prepariamo rafforzando le partnership con gli organizzatori e le associazioni di categoria e individuando nuove aree di business». Ritiene necessaria una sinergia nella programmazione dei poli fieristici al fine di rendere più competitivo il sistema fieristico regionale e più qualificata e interessante l’offerta? «Il tema è molto ampio, occorre agire a livello di sistema fieristico nazionale, valorizzando le vocazioni e il know-how dei singoli organizzatori, evitando la sovrapposizione e la duplicazione degli eventi. Il rischio è la perdita di credibilità, e valore, dell’intero sistema fieristico nazionale, a vantaggio dei competitor soprattutto europei, che da tempo si presentano alla comunità internazionale con una visione strategica più ampia». EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 141


SISTEMA FIERISTICO

Una realtà in continua evoluzione Cambia il settore fieristico e Rimini Fiera, assicura il presidente Lorenzo Cagnoni, segue le trasformazioni, riorganizzandosi a guardando all’estero, «con la responsabilità di essere volano economico a disposizione del territorio» Renata Gualtieri

tiamo vivendo il momento più difficile di questa lunga crisi che invece avremmo voluto nel 2012 vederne la fine. Il presidente di Rimini Fiera, Lorenzo Cagnoni, sottolinea così le difficoltà delle aziende che hanno inevitabilmente subìto ripercussioni sulle esposizioni. Ma a Rimini Fiera c’è una grande determinazione nel supportare con idee e progetti il business delle imprese che ha sempre nuove direttrici da inseguire, molte delle quali portano all’estero. «Lo sforzo a cui siamo chiamati – ricorda Cagnoni – è quello di favorire queste opportunità, con l’organizzazione di presenze collettive a manifestazioni oltre confine e soprattutto favorendo la presenza di buyers stranieri e qualificati alle nostre manifestazioni. Investiamo risorse ingenti su questo fronte e i clienti ci riconoscono lo sforzo che compiamo per agevolare le loro relazioni internazionali». Come sta cambiando il mondo delle fiere? «C’è una risposta generica e ce n’è una che vale per i singoli quartieri, perché considera le manifestazioni detenute nei rispettivi portafogli. La prima è che tutti siamo coinvolti in un processo di cambiamento che la globalizzazione ha pienamente introdotto, quindi la possibilità di utilizzare appieno le nuove opportunità di business che derivano dalla disponibilità di connessioni immediate per le relazioni commerciali. Per quanto riguarda Ri-

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Sopra, Lorenzo Cagnoni, presidente di Rimini Fiera

142 • DOSSIER • EMILIA-ROMAGNA 2012

mini Fiera, c’è sempre di più la responsabilità di concepirsi come volano economico a disposizione del territorio. Abbiamo fiere leader a livello internazionale che si sviluppano con progetti dedicati, nei quali un territorio come il nostro, vocato all’accoglienza, recita un ruolo importante». Rimini Fiera come sta intervenendo per allinearsi alle mutate esigenze del mercato? «Riorganizzando, internazionalizzando, personalizzando, migliorando tutte le azioni che svolgiamo quotidianamente. Veniamo da mesi importantissimi, nei quali siamo riusciti a consolidare manifestazioni leader con accordi pluriennali con soggetti primari nei vari mercati. Mi riferisco a Sigep, il salone del dolciario artigianale, che grazie a questi accordi diventerà


Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx Lorenzo Cagnoni

davvero l’unico appuntamento per tutta la filiera dell’arte bianca. Per quanto riguarda Ecomondo, lo svolgimento degli stati generali della green economy promossi dal Ministero dell’Ambiente, è un riconoscimento a sedici anni di attività che hanno prima introdotto e poi accompagnato il grande tema dello sviluppo sostenibile». Btc, la fiera del settore eventi, meeting, congressi e viaggi di incentivazione, torna a Firenze. Come ha preso questa decisione? «Attraverso Ttg ed Exmedia governiamo i destini della Btc e quindi la decisione di tornare a Firenze è stata da noi pienamente condivisa. La fiera ha avuto un suo percorso di evoluzione, ora ci siamo resi conto che era necessario un progetto di riqualificazione e riposizionamento per continuare a rappresentare nel migliore dei modi il settore congressuale. È un mondo che conosciamo bene, del Gruppo Rimini Fiera fa parte il Convention bureau della riviera di Rimini e da pochi mesi abbiamo inaugurato il palace più grande d’Italia costruito ex novo. Firenze è stata identificata come la sede più

1,7 mln

consona a ospitare Btc, in virtù degli importanti interventi che la Regione Toscana sta operando a sostegno della meeting industry con il progetto interregionale Mice in Italia. Btc tornerà a svolgersi in autunno nel 2013 e vedrà la presenza di un comitato tecnico allargato con funzioni consultive che contribuirà a disegnare il rinnovato progetto». Quali vantaggi potrebbero arrivare da sinergie più forti con gli altri poli fieristici regionali e come occorre procedere? «Ritengo che una rete forte e sinergica fra i quartieri della regione sia decisiva per lo sviluppo di tutto il sistema. Ma non può essere una prospettiva disegnata sulla carta, bisogna entrare nel dettaglio delle opportunità e, spogliandosi per quanto possibile dell’interesse particolare, occorre mettere sul tavolo un vero progetto che tenga conto della realtà. Capisco che sia un percorso non semplice, di parole ne sono state spese tante e fin qui non siamo riusciti a trovare un percorso comune. Noi siamo disponibili e continuiamo a pensare che si tratti di una strada obbligata se vogliamo pensare in termini di sviluppo e non di conservazione».

VISITATORI GLI INGRESSI A RIMINI FIERA NEL 2011

EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 143


FORMAZIONE

Misurare l’apprendimento sui posti di lavoro Prototipi di scuole-bottega, istituti tecnici superiori e un cambio di marcia sulla realizzazione dell’apprendistato in diritto-dovere: sono gli antidoti a cui Elena Ugolini, sottosegretario all’Istruzione, sta lavorando contro la dispersione scolastica Giacomo Govoni

cuola e lavoro sono due tappe di un percorso di cui spesso i giovani percepiscono la distanza solo a metà del guado, con effetti per lo più indesiderati, come la scelta di offerte formative post-diploma poco rispondenti alle esigenze del mercato o, addirittura, l’iscrizione a corsi universitari per “ingannare l’attesa” di stagioni più favorevoli sotto il profilo occupazionale. A sostenerlo, fin dai tempi in cui faceva parte della cabina di regia per la riforma dei licei con il ministro Gelmini, è il sottosegretario all’Istruzione Elena Ugolini, impegnata negli ultimi mesi alla predisposizione delle linee guida per l’istruzione tecnica e professionale volte a favorire la nascita di nuovi canali formativi post secondari e a po-

S

144 • DOSSIER • EMILIA-ROMAGNA 2012

tenziare l’esperienza degli Its, istituti tecnici superiori. «Con l’articolo 52 del decreto sullo sviluppo – il sottosegretario – si tenta, per la prima volta concretamente nel nostro Paese, di “annodare” le filiere formative con le filiere produttive. Con l’approvazione delle linee guida, si avvia la costituzione di poli tecnicoprofessionali sul territorio». Che opportunità rappresentano questi poli in chiave di integrazione fra scuola e impresa e a quali settori punteranno? «L’obiettivo che stiamo già perseguendo con associazioni di categoria e ordini professionali è costituire reti fra istituti tecnici, professionali, centri di formazione professionale e realtà produttive perché i giovani possano apprendere attraverso l’esperienza concreta in contesti di laboratorio. Stiamo operando anche per potenziare le esperienze degli Its, quelle scuole speciali di tecnologia che si possono frequentare dopo il diploma. Sono già attive 62 fondazioni di partecipazione in 17 regioni del Paese, che nei prossimi mesi gestiranno più di 128 corsi. Per dare stabilità alla loro azione, è stato inserito nel decreto sulla spending review un fondo specifico per gli Its di 14 milioni di euro annui. Prepareranno i tecnici intermedi, oggi sempre più richiesti dalle imprese. In questo modo l’Italia si allinea con i Paesi più avanzati dell’Ue, dotandosi di percorsi di specializzazione tecnica, non accademici».


XxxxxxxElena Xxxxxxxxxxx Ugolini

14 mln ITS IL FONDO PER IL 2012 DESTINATO AL FINANZIAMENTO DEGLI ISTITUTI TECNICI SUPERIORI INSERITO NEL DECRETO SULLA SPENDING REVIEW

Anche la valorizzazione di una pratica come il tirocinio, un po’ sullo sfondo nel testo Fornero e spesso strumentalizzata in passato, potrebbe aprire orizzonti migliori in termini di occupabilità. Quali iniziative virtuose possono agevolarne il rilancio? «I tirocini formativi rappresentano una grande opportunità che tutti i giovani dovrebbero avere la possibilità di sfruttare prima della fine della scuola superiore. Sulla base dei dati rilevati dall’Ansas, nel 20102011 sono state 1.518 le scuole superiori che hanno realizzato 3.991 percorsi scuola-lavoro con varie modalità, quali stage e tirocini in aziende: i ragazzi hanno espresso giudizi positivi sull’esperienza. Tra poco saranno resi pubblici i dati sullo scorso anno scolastico, da cui questo numero risulta raddoppiato. Ma non basta, c’è ancora molto da fare per offrire queste opportunità a tutti gli studenti, indipendentemente dal tipo di istituto frequentato: liceo, istituto tecnico o professionale. Stiamo avviando accordi con tutte le associazioni professionali e di impresa. Se ogni adulto si prendesse a cuore un

giovane nella sua realtà lavorativa, questo sarebbe possibile da subito». Tra le sue idee più “rivoluzionarie” c’è quella della cosiddetta bottegascuola. «L’idea delle scuole bottega, in verità, non è mia: esistono già esperienze eccellenti. In Ferrari, ad esempio, è nata una scuola interna per formare quei meccanici di alta precisione che, come cesellatori, hanno il compito di lavorare alle rifiniture delle macchine più ambite nel mondo; un’altra esperienza è la sartoria napoletana Kiton che, con un corso di due anni, forma i giovani che saranno in grado di lavorare tessuti di grande pregio per produrre le loro confezioni di alta moda. Ancora, c’è la “contrada artigiana” dell’associazione Cometa di Como, che in una bottega che produce arredi per interni di gran classe, fa apprendere un lavoro e, contemporaneamente, studiare i ragazzi affinché acquisi- In apertura, scano un titolo di formazione professionale». Elena Ugolini, sottosegretario Nel dettaglio, come proseguirebbe il per- all'Istruzione del corso formativo di chi abbandona gli studi governo Monti scolastici a 14-15 anni? «Gli strumenti per dare a ogni intelligenza e talento la propria strada ci sono tutti. Questo sarà il vero antidoto alla dispersione. Quando penso alle scuole bottega non penso a ore di formazione “appiccicate” al lavoro, ma a un intreccio di manualità, riflessione sul proprio lavoro e studio, che occorre ripensare radicalmente. Stiamo riflettendo per promuovere dei prototipi di scuola-bottega EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 145


FORMAZIONE

in tutta Italia, anche per realizzare l’appren- milioni di italiani possiedono bassi titoli di distato in diritto-dovere. Solo un esempio, “Italia lavoro” ha già avviato un bando per le botteghe artigiane nella scorsa primavera e tra poco ne farà un altro, tenendo conto anche delle esperienze di successo». In tema di apprendimento permanente, quali indicazioni prevede la riforma? «Il Miur ha partecipato al tavolo sulla riforma del mercato del lavoro perché non può esserci possibilità di sviluppo senza la crescita umana, culturale e professionale della persona. Con i commi 51-61, 64-68 dell’articolo 4 della legge sul lavoro del giugno scorso riguardanti l'apprendimento permanente, è stato dato al Paese un quadro di riferimento che consentirà di far emergere e riconoscere il grande capitale di competenze posseduto dagli italiani». Significa che al momento ci sono delle competenze non “tracciate”? «Se osserviamo i diplomi formali, almeno 30

studio. Se invece consideriamo il posto che l’Italia occupa nel mercato globale, dobbiamo convenire che gli italiani possiedono un grande capitale sommerso, che perciò deve essere riconosciuto attraverso la certificazione degli apprendimenti non formali e informali. Apprendere lungo tutto l’arco della vita è fondamentale per mettere a frutto il talento di ognuno». Quanto peserà in futuro il livello di professionalità dei formatori e quali iniziative state mettendo in campo in questa direzione? «La formazione iniziale dei docenti e la formazione in servizio sono due facce della stessa medaglia: è impossibile fare scuola senza andare a scuola “sempre”. È un aspetto da molti anni trascurato, ma che desideriamo rimettere al centro. Tra le principali azioni che stiamo promuovendo segnalo il tirocinio formativo attivo, appena partito, le scuole di specializzazione per gli insegnanti Clil, il piano nazionale lauree scientifiche, un progetto naStiamo riflettendo per promuovere dei prototipi zionale su matematica logica di scuola-bottega in tutta Italia, anche per e informatica che coinvolrealizzare l’apprendistato in diritto-dovere gerà gli insegnanti di 100 scuole pilota. Inoltre, stiamo firmando un accordo con il Cnr per dare la possibilità a insegnanti e studenti di avere un contatto sistematico con la frontiera della ricerca attraverso i 10.000 ricercatori e i 2.000 tecnici del Cnr. Infine, abbiamo stretto un accordo con associazioni professionali e d’impresa per fare formazione specifica agli insegnanti delle materie tecnico professionali e ai dirigenti degli istituti tecnici e professionali».

146 • DOSSIER • EMILIA-ROMAGNA 2012


Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx Giuliano Cazzola

Mercato del lavoro, troppi vincoli Nell’approvazione della riforma del ministro Fornero in vigore da metà luglio «hanno prevalso motivi di politica generale». Ma i punti deboli nel testo, secondo Giuliano Cazzola, non mancano Giacomo Govoni

lla prova del mercato solo da poche settimane, il Ddl Fornero rimane un cantiere aperto. Lo dimostra l’emendamento al testo approvato prima della pausa estiva dalle commissioni Finanze e Attività produttive della Camera. Una prima manutenzione della riforma, frutto dell’accordo fra maggioranza e governo, che il deputato del Popolo della Libertà e vicepresidente della commissione Lavoro della Camera Giuliano Cazzola, a caldo, aveva definito «una vittoria della ragionevolezza». Le modifiche riguardano in primis la cosiddetta flessibilità in entrata. Sotto questo profilo, cosa non la convince di questa riforma? «A non convincermi, prima di ogni altra valutazione, è la base culturale da cui prende le mosse la riforma su questo specifico capitolo. Il Senato ha migliorato il testo che prima era inaccettabile. Ma i rapporti di lavoro flessibili continuano a essere considerati una deviazione al limite dell’arbitrio se non si supera la prova del contrario sottoposta al riscontro di criteri per lo meno cervellotici, se non persino punitivi e, mi consenta, quasi da mattinale di una Questura. In conseguenza di tali modifiche avremo meno lavoro, più licenziamenti e più sommerso». Nuova disciplina dell’apprendistato: quali reali opportunità in più apre ai giovani e quali “difetti” ne mineranno l’incisività? «Sull’apprendistato la battaglia è tutta da vincere. Adesso gli apprendisti sono meno del 4 per cento del totale degli occupati. Anche in questo caso sono stati posti dei vincoli, come quelli sulle assunzioni, che sarebbe stato meglio evitare». Avete proposto di abolire il vincolo della stabilizzazione del 50 per cento dei contratti per il primo livello dell’apprendistato. Perché? «L’apprendistato di primo livello è connesso al

A

completamento dell’obbligo scolastico. Poi si passa al secondo livello, l’apprendistato professionalizzante. Sono i sindacati a denunciare che se gli apprendisti di primo livello dovessero essere assunti all’interno delle quote previste, mi sembra evidente che le aziende preferirebbero non assumerli, fin dall’inizio». Il ricorso più massiccio al contratto di apprendistato dovrebbe limitare il fenomeno dei tirocini mal o non pagati. Ritiene che i due istituti possano coesistere? «Le regole nuove sui tirocini dovrebbero correggere gli abusi. La loro funzione dovrebbe essere diversa da quella dell’apprendistato. Il tirocinio è un rapporto connesso a figure di un certo livello di professionalità e interviene tra il termine del processo formativo e l’accesso al primo impiego». Il Ddl introduce nuovi costi per le aziende riguardo, ad esempio, la formazione trasversale. A suo giudizio, come si è intervenuto nell’area della riqualificazione professionale? «Per adesso siamo soltanto a norme di carattere programmatico, ma le politiche attive sono il vero buco nero delle politiche del lavoro». Qual è dunque il suo giudizio finale sulla Legge Fornero? In fondo l’avete votata. «è vero, ma hanno prevalso i motivi di politica generale. Questo governo non ha alternative, non possiamo permetterci una crisi in una situazione tanto delicata. Il governo si è impegnato a fare cambiamenti tempestivi. Adesso passiamo a riscuotere».

Giuliano Cazzola, vicepresidente della commissione Lavoro della Camera

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FORMAZIONE

Costruire percorsi di crescita in azienda Con la nuova normativa anche le società di formazione ridisegnano il loro perimetro d’azione. Spostando sempre più “on the job” il baricentro dell’apprendimento professionale, in particolare per i contratti di apprendistato e i tirocini. Ne parla Umberto Lonardoni Giacomo Govoni l di là dei correttivi più o meno strutturali che i 77 articoli del disegno di legge in vigore dallo scorso 18 luglio, sapranno apportare all’odierno mercato del lavoro, «l’unica vera riforma sarà quella che consentirà a lavoratori e aziende di investire su un aumento delle competenze». Non ha dubbi Umberto Lonardoni, direttore generale di Ifoa, ente camerale di formazione che nel calendario dei corsi in partenza nel prossimo autunno in Emilia Romagna, annovera già un corso di approfondimento sulle novità introdotte dal testo Fornero. Realizzato in collaborazione con Unioncamere regionale e Adapt, il corso si rivolgerà a tutti quegli operatori - consulenti, avvocati, progettisti della formazione - che compongono la cinghia di trasmissione fra impresa e lavoratore. Alla luce della riforma, quali strumenti for-

A Sopra, Umberto Lonardoni, direttore generale di Ifoa

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mativi valorizzerete di più rispetto al passato? «La riforma valorizza e definisce l’utilizzo di contratti ad alto contenuto formativo come l’apprendistato, ma ripresenta e completa anche lo strumento dei tirocini formativi. Con il modello di tirocinio etico Ifoa aveva anticipato le innovazioni introdotte dalla norma: prevenzione di un uso distorto dell’istituto; individuazione delle modalità con cui il tirocinante presta la propria attività; individuazione degli elementi qualificanti del tirocinio e degli effetti conseguenti alla loro assenza; riconoscimento di una congrua indennità. Il nostro istituto continuerà a proporre programmi di formazione e consulenza personale anche legati al reingresso in azienda: la norma prevede infatti che i trattamenti di sostegno al reddito vengano maggiormente collegati alla frequenza di specifici programmi di reimpiego». Quanto al nuovo contratto di apprendistato, come cambierà il vostro approccio nei confronti delle aziende che lo adotteranno? «A una formazione standardizzata e generica, Ifoa ha sempre anteposto una reale costruzione di un percorso di crescita all’interno dell’azienda. Il modello formativo che Ifoa utilizza sposa appieno la filosofia del Testo unico, dove si valorizza “l’imparare facendo” e l’acquisizione di competenze e capacità condivise, definite e misurate dall’azienda. Credo sia giusto puntare sulla cosiddetta formazione “on the job”, ma è pur vero che gli imprenditori, i lavoratori più esperti, i tutor aziendali devono avere strumenti e metodi per trasferire le competenze ai giovani apprendisti».


Xxxxxxx UmbertoXxxxxxxxxxx Lonardoni

Come subentra la vostra professionalità in questa fase? «Ifoa affianca le aziende nella definizione del percorso di sviluppo delle competenze del singolo apprendista rispetto alla specifica realtà e al ruolo ricoperto. Ci piace pensare che le aziende nostre clienti non vedano la formazione degli apprendisti come un burocratico adempimento da subire per ottenere degli sgravi contributivi, ma piuttosto come contenuto di investimento e innovazione che può far compiere loro un passo in avanti. E noi siamo lì per questo». In ottica occupazionale, il nuovo testo contribuisce realmente a rendere più sicuro l’investimento di un giovane in formazione professionale? «Almeno a livello di definizioni, il testo normativo riconosce come in una visione moderna del mercato del lavoro, la formazione lungo tutto l’arco della vita lavorativa debba avere un ruolo centrale. Molti gli ambiti in cui questo principio viene ripreso, ma vorrei soffermarmi su quella parte della norma in cui si citano il libretto formativo e la certificazione delle competenze (art. 4) e i concetti di apprendimento non formale e informale». Può chiarirne il contenuto? «Si auspica l’individuazione di criteri generali e priorità per la costruzione di sistemi integrati territoriali collegati alle strategie per la crescita economica, tra cui accesso al lavoro dei giovani, riforma del welfare ed esercizio di cittadinanza attiva anche da parte degli immigrati. Le stesse Camere di commercio, di cui Ifoa è struttura formativa, hanno sviluppato una rete di sportelli na-

zionali che offrono intermediazione e formazione a livello locale. Anche in questo caso la riforma è ancora un po’ una “cornice”, ma se non prevarranno logiche burocratiche e centralistiche, potrebbe essere una buona occasione per rilanciare anche in Italia un efficiente sistema di formazione professionale e di orientamento, a tutto vantaggio dei nostri giovani». Quali prospettive in più, in virtù della nuova normativa, potrà offrire una società di formazione nell’ambito della ricollocazione professionale? «Comunque la si veda, ogni elemento orientato all’acquisizione di competenze è per me assolutamente positivo e resta la sola assicurazione contro la precarietà e l’espulsione dal mercato lavorativo. Segnali si trovano sia con riferimento agli incentivi all’occupazione sia nella forte correlazione introdotta tra le prestazioni di sostegno al reddito e le misure di politica attiva, tra cui la formazione, il coaching e la consulenza orientativa. Prodotti tipici di accompagnamento alla ricollocazione erogati da Ifoa come società di formazione ma anche come agenzia per il lavoro accreditata per l’intermediazione». EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 149



FOCUS PIACENZA Piacenza, terra di mezzo tra l’Emilia e la vicina Milano. Una dicotomia ben esemplificata dall’unione con Parma e Reggio Emilia per dar vita alla “provincia del gusto” e dalla volontà di rafforzare i collegamenti con il capoluogo lombardo EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 151


LA SFIDA DELLA SPENDING REVIEW Il sindaco di Piacenza ha idee chiare sui prossimi cinque anni della città: ridare credibilità all’amministrazione, ascoltare gli operatori economici e non indebolire il welfare Teresa Bellemo

54,38% BALLOTTAGGIO La percentuale di votanti che si è recata alle urne il 21 maggio scorso, -10, 62% rispetto al primo turno

a città negli ultimi dieci anni ha compiuto notevoli passi avanti, sia in termini di recupero di spazi pubblici restituiti ai cittadini che di viabilità e riqualificazione urbana. Punto principale, di fronte a una contingenza negativa, è quello di conservare il livello dei servizi a beneficio dei cittadini. In particolare, la priorità dovrà essere quella della salvaguardia dei servizi alla persona». Sono questi i primi obiettivi di Paolo Dosi, sindaco di Piacenza eletto al ballottaggio dello scorso 21 maggio. La città ha dunque davanti a sé le tipiche sfide che contraddistinguono questo periodo di

«L

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crisi economica. A questo poi si aggiungono i recenti tagli dovuti alla spending review stilata dal Governo Monti che hanno ridotto le risorse a disposizione degli enti locali. Su questo fronte lo scorso 25 luglio ha manifestato a Roma insieme all’Anci e ai sindaci di moltissime città italiane. Tutte queste problematiche non devono però scoraggiare una città che è tra le più vivibili d’Italia (il Sole 24 Ore la attesta al sedicesimo posto) e che sta innovando il suo tessuto economico e produttivo. È di questi giorni la creazione della “Provincia del gusto” che vede Piacenza insieme a Parma e Reggio Emilia per incentivare l’enogastronomia e rispondere

all’abolizione della provincia piacentina. A ciò si aggiungono il tentativo di rafforzare i collegamenti su rotaia per Milano e la scelta di Amazon, una delle realtà di ecommerce più di successo, di aprire nel Piacentino l’unico suo centro distributivo italiano. L’astensione al ballottaggio nell’ultima tornata elettorale è stata molto alta. Quanto questo può essere un limite e quanto invece un pungolo per il suo operato? «Di fronte a un livello di astensione così alto il compito di un’amministrazione politica locale deve essere quello di restituire credibilità alle istituzioni e di ricostruire il rapporto di fiducia con i cittadini


Foto Paolo Bellardo.

Paolo Dosi

affinché la valutazione dell’azione politica si basi sugli atti concretamente assunti. Credo che la credibilità politica di chi governa la cosa pubblica sia la base fondamentale di tutta l’azione amministrativa. L’impegno della giunta comunale e mio sarà quello di operare quotidianamente a beneficio della nostra comunità alla luce di tale prospettiva». Come riuscire ad amministrare un Comune con il continuo taglio delle risorse per gli enti locali e la recente abolizione di molte delle provincie italiane? «Cercando di ottimizzare le risorse locali, mettendo in rete tutte le energie economiche, le idee e le realtà presenti

sul territorio - Fondazione di Piacenza e Vigevano, Camera di Commercio, associazioni di categoria - e cercando di individuare e concentrare gli investimenti sulle priorità. Inoltre, un’attenzione particolare dovrà essere posta sull’innovazione, su cui la città è già ben orientata avendo investito bene in questi anni e su cui a livello europeo si profilano nuove opportunità che cercheremo di organizzare al meglio». I commercianti mal sopportano gli ampliamenti a zone pedonali e Ztl. Quali sono le sue motivazioni per riuscire a convincerli che queste possono essere anche delle occasioni di rilancio? Quanto i trasporti pubblici si rivelano essenziali in questi casi? «L’ampliamento delle zone pedonali e della zona a traffico limitato può essere un utile supporto agli esercizi commerciali se e quando coniugato con politiche di rivitalizzazione del centro cittadino, di ottimizzazione del trasporto pubblico per garantire a tutti l’accesso al centro storico e di predisposizione di parcheggi nelle zone limitrofe. Sono tutte azioni che abbiamo cercato di mettere in atto, proprio con l’intento di garantire ai cittadini una maggiore accessibilità e fruibilità dell’offerta commerciale che caratterizza il nostro centro storico». Qual è la sua posizione sulla rete metropolitana Milano-Lodi? Come venire incon-

tro ai pendolari piacentini? «Sono d’accordo a estendere la metropolitana sino a Piacenza. Un servizio che potrebbe sicuramente venire incontro, e credo soddisfare, le attese dei pendolari piacentini, in grado di diversificare l’offerta e indurre Rfi a migliorare e ottimizzare il servizio ordinario». Data la sua esperienza professionale, qual è la sua opinione sulla scelta di Amazon di concentrare nel territorio piacentino il suo polo logistico per l’Italia? «Amazon è una realtà economica molto radicata e allo stesso tempo un nuovo canale di diffusione di prodotti informatici, di strumenti elettronici, di supporti audiovisivi ma non solo. È sicuramente una ricchezza per il territorio piacentino, che sta avendo anche importanti riscontri sotto il profilo occupazionale. È ben vero altresì che la continua espansione del commercio elettronico sta producendo effetti importanti anche sulla distribuzione e sul commercio librario, che deve fare i conti con la presenza sulla rete di soggetti forti in grado di condizionare le scelte di mercato. La presenza di Amazon nel territorio piacentino fa senz’altro piacere, mi auguro però che rimanga comunque alto il numero di lettori che per l’acquisto di un libro si rivolgeranno alle librerie della città. Credo e spero che le due realtà possano convivere e prosperare insieme».

A sinistra, il sindaco di Piacenza, Paolo Dosi

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IL CONTRIBUTO ESSENZIALE DEI CITTADINI Secondo il prefetto Puglisi una delle principali armi contro microcriminalità e criminalità organizzata è la collaborazione di cittadini e realtà economiche con le forze dell’ordine Teresa Bellemo

a sicurezza è certamente frutto della collaborazione sinergica di tutte le componenti istituzionali interessate, ma risulta fondamentale il ruolo di ogni singolo cittadino. Anche il controllo sociale è, infatti, di assoluta importanza: sono le segnalazioni da parte del cittadino a essere preziose per l’azione preventiva delle forze di polizia. Da questo punto di vista Piacenza è molto partecipe, qui inoltre la Prefettura ha più volte sensibilizzato i sindaci a tenere incontri con i cittadini sia per sensibilizzarli ancor di più sull’importanza della segnalazione tempestiva di ogni elemento utile, sia per rendere ancora più forte la

L

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convinzione della necessaria denuncia di reati compiuti. Anche dal punto di vista del controllo sugli appalti e sul fronte della criminalità organizzata Piacenza è una città virtuosa. Questo è reso possibile non soltanto grazie a un tessuto produttivo molto vivo, ma anche alle numerose iniziative messe in campo dalle forze dell’ordine del territorio, dalle istituzioni e dalle associazioni di categoria. A questo serve la sottoscrizione del protocollo di legalità che impegna a chiedere una sorta di certificato antimafia in caso di appalti di lavori pubblici di importo superiore a 250mila euro, per tutti i subcontratti di lavoro, forniture e servizi di importo superiore a

50mila e in qualsiasi caso di assegnazioni di servizi maggiormente appetibili per la criminalità organizzata, come l’estrazione inerti, il movimento terra, lo smaltimento rifiuti e il nolo. Il punto del prefetto di Piacenza, Antonino Puglisi. Scippi e rapine creano spesso nell’opinione pubblica sensazioni di insicurezza e di scarsa protezione. Come monitorarla e limitarla? «La situazione della microcriminalità nel tessuto piacentino non presenta connotati patologici, anche nel confronto con realtà provinciali simili. Ritengo che l’87esima posizione di Piacenza in merito a questi due aspetti riportata dal Sole


Antonino Puglisi

24 Ore sia dovuta anche alla denuncia da parte dei cittadini di quasi tutti i fatti delittuosi e tale ultima considerazione è degna di particolare rilievo, essendo sintomatica della fiducia che tutta la collettività locale ripone nell’operato delle

«Il tessuto economico piacentino è ancora indenne da espressioni tipiche del fenomeno della criminalità organizzata, e ciò grazie al carattere tipico dei piacentini, resistente a forme di condizionamento, ma soprattutto alle molteplici e

250mila EURO La cifra oltre la quale le aziende piacentine devono presentare il certificato antimafia in caso di appalti pubblici, secondo il protocollo di legalità voluto dalla prefettura

forze di polizia. Si deve rilevare che, soprattutto in relazione alle rapine, vi è stata la totale identificazione dei relativi autori, anche grazie all’applicazione dello specifico piano anti-rapina. Le attività e le iniziative vogliono limitare il gap tra sicurezza reale e sicurezza percepita, anche se continuano a sussistere, comunque, piccole sacche di insicurezza che non è possibile eliminare completamente». Negli ultimi anni si è notato un forte incremento della presenza della criminalità organizzata anche al Nord e in Emilia Romagna, soprattutto nelle gare di appalto. Come vigilare e limitare questo fenomeno?

costanti attività di prevenzione attuate dalla Prefettura congiuntamente alle forze di polizia, come il monitoraggio annuale delle opere pubbliche del Gruppo Interforze, che consente di controllare tutte le ditte e soprattutto quelle che hanno sede legale in altre province. Di certa efficacia poi è la sottoscrizione dei protocolli di legalità antimafia. Tali strumenti prevedono che le stazioni appaltanti che vi aderiscono chiedano l’informazione antimafia anche in deroga alla normativa vigente che la prevede come obbligatoria al superamento della soglia comunitaria, stabilita a circa tre milioni e mezzo di euro». In questo periodo di crisi

economica uno dei problemi principali per imprenditori e famiglie è riuscire ad accedere al credito. Per questo aumenta il ricorso a strumenti illegali per ottenere liquidità, come l’usura. Cosa possono fare le istituzioni su questo fronte? «Abbiamo ritenuto necessario rivolgere una particolare attenzione alle problematiche di accesso al credito, sia da parte delle imprese che dei singoli cittadini, per l’attuazione di sinergie mirate a prevenire il fenomeno in questione. Le situazioni di sofferenza si attestano sul 6-7 per cento, un valore altissimo. Per questo motivo il mese scorso è stato convocato in Prefettura l’Osservatorio provinciale antiusura, composto da rappresentanti di istituzioni, banche e associazioni. Qui è emerso che a oggi non si sono rilevati segnali riconducibili a episodi di usura a danno di imprenditori o commercianti, ma piuttosto numerosi cessazioni di attività per evitare il fallimento. In questo quadro, per favorire le richieste specifiche di liquidità, è stato attivato un canale di comunicazione continuo tra associazioni di categoria e imprese. Si è proceduto inoltre all’intensificazione dei rapporti con gli istituti di credito, ed è stato istituito lo Sportello per la finanza aziendale, destinato alle aziende che vogliono chiedere aiuto, per affrontare, in modo concreto, le difficoltà prima di giungere a situazioni gravi».

In apertura, il prefetto di Piacenza Antonino Puglisi

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FOCUS PIACENZA

SOSTENERE LE IMPRESE SUI MERCATI ESTERI Per superare la congiuntura economica sfavorevole Confindustria Piacenza ha appena siglato un accordo con la Banca popolare di Piacenza. L’obiettivo è rilanciare l’export e l’innovazione per catalizzare la ripresa di produzione e i consumi Teresa Bellemo

n plafond di 30 milioni di euro per la copertura finanziaria di nuovi investimenti e di progetti di internazionalizzazione. Sono questi i punti principali dell’accordo di collaborazione tra Confindustria Piacenza e Banca popolare dell’Emilia Romagna che consentirà alle imprese associate di accedere a specifiche offerte di finanziamenti per supportare i propri progetti di investimento. La convenzione punta a sostenere le aziende nella loro attività di ricerca e innovazione di prodotti e processi produttivi, nella consapevolezza che tali attività rappresentano un fattore cruciale per la competitività delle imprese e per la crescita del si-

U

156 • DOSSIER • EMILIA-ROMAGNA 2012

stema economico locale. A essere finanziati saranno soprattutto gli acquisti per macchinari di produzione finalizzati all’innovazione di prodotti e processi produttivi, apparecchiature informatiche, collaborazioni con università ed enti di ricerca, spese per la registrazione o l’acquisto di brevetti, licenze e modelli a livello nazionale e internazionale di tipo innovativo. I finanziamenti, che potranno coprire anche la totalità dell’importo dell’investimento fino a un massimo di 500mila euro, hanno un tasso di particolare favore e potranno essere rimborsati in cinque anni. Le iniziative di Confindustria Piacenza non si fermano all’accordo, ma tentano di accompagnare le aziende nel

percorso di internazionalizzazione, nella ricerca e nella creazione di nuove aziende. Infine, fa notare Emilio Bolzoni, presidente di Confindustria Piacenza: «Siamo in prima fila sulla prospettiva di Expo 2015 e sulle modalità di potenziamento dei collegamenti ferroviari verso Milano, che si trova a soli 60 chilometri da Piacenza, in una logica europea». Qual è la situazione del tessuto produttivo piacentino? «Il quadro locale è caratterizzato da una tradizione manifatturiera molto radicata, una percentuale rilevante di industrie meccaniche che hanno una forte vocazione all’export e un’interessante filiera agroindustriale. Questi sono fattori che incidono pe-


Francesco Emilio Bolzoni Fanti

4,8%

DISOCCUPAZIONE La percentuale di persone che non lavora nella provincia di Piacenza

santemente sulle aziende del territorio producendo complessivamente una minor sofferenza rispetto alla media nazionale. È evidente che le aziende legate al mercato locale e nazionale stanno soffrendo molto di più di quelle con una rilevante percentuale di export. Nella nostra provincia ci sono aziende che grazie all’export sono cresciute anche nell’ultimo periodo. La stessa industria legata al settore alimentare sta tenendo bene nonostante il calo dei consumi. Di contro, tutte le aziende legate al mercato locale stanno soffrendo molto: è emblematico l’andamento del settore edile e delle aziende che producono materiali per edilizia.

Complessivamente nella nostra provincia si registra una disoccupazione del 4,8% che, pur essendo sensibilmente peggiore dei dati degli anni precedenti alla crisi, dimostra un discreto stato di salute complessivo». La crisi costringe molte aziende a chiudere. Quali le possibilità per ribaltare la crisi in occasione di rilancio e ampliamento del proprio business? «Non ci sono dubbi che sia all’estero la possibile soluzione del problema. Tutte le aziende, anche molto piccole, hanno preso in considerazione mercati anche molto lontani. Il processo è in corso. È evidente che la dimensione media delle aziende molto contenuta non

aiuta, ma lo sforzo deve essere compiuto in questa direzione. Rileviamo che le aziende piacentine stanno investendo molto su questa prospettiva e la nostra associazione è fortemente impegnata in un’azione di sostegno alle imprese proprio per facilitare la loro penetrazione dei mercati esteri con In apertura, alcuni servizi molto concreti». Emilio Bolzoni, di Quali sono gli obiettivi del- presidente Confindustria Piacenza l’accordo tra Confindustria Piacenza e Banca popolare dell’Emilia Romagna? «Le operazioni previste spaziano dal sostegno degli investimenti ai progetti di internazionalizzazione con garanzia Sace, attraverso finanziamenti specifici per sostenere il fabbisogno finanziario delle imprese EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 157


FOCUS PIACENZA

30 mln EURO

Il plafond messo a disposizione delle aziende da Confindustria Piacenza e Banca Popolare Emilia Romagna per l’internazionalizzazione

nella fase di avvio di commesse acquisite da committenti esteri. Sono previsti finanziamenti destinati alla realizzazione di impianti fotovoltaici insieme a varie altre forme di strumenti finanziari innovativi destinati allo sviluppo delle imprese. Questo è solo l’ultimo di una serie di accordi che abbiamo stipulato anche con le altre banche associate: Cariparma, Banco popolare Italiano e Banca di Piacenza. Con questi istituti il collegamento è stretto e continuo anche se le difficoltà di accesso al credito, soprattutto per le piccole aziende, permangono». Confindustria Piacenza è molto attiva nell’ottica di favorire l’export dell’economia provinciale. 158 • DOSSIER • EMILIA-ROMAGNA 2012

«Il supporto che l’associazione dà alle aziende che vogliono aggredire nuovi mercati è massimo. In particolare stiamo costituendo un vero ufficio estero che dovrà accompagnare le aziende più piccole verso nuovi mercati. Abbiamo creato rapporti molto più stretti con le scuole piacentine e incentivato i contatti con le aziende attraverso stage più impegnativi e meglio integrati, proprio per favorire un interscambio continuo tra scuola e mondo del lavoro. Lavoriamo sui rapporti con gli istituti di ricerca. Abbiamo partecipato a un’operazione che promuoverà nei prossimi quattro anni i prodotti alimentari piacentini presso i sei Autogrill attorno alla nostra città. Stiamo promuovendo la

nascita di aziende da parte di nuovi imprenditori. Siamo in prima fila nel tentativo di rafforzare i contatti commerciali e non solo con Milano in vista di Expo 2015. Stiamo discutendo con la pubblica amministrazione per promuovere il territorio piacentino per lo sviluppo degli insediamenti industriali già esistenti e per richiamarne di nuovi mettendo a disposizione terreni a prezzi non speculativi. Stiamo ragionando anche su come potenziare in una logica europea i collegamenti ferroviari verso Milano, che si trova a soli 60 chilometri da Piacenza». Quali sono i nodi principali dell’economia piacentina? «Quando sono stato nominato presidente degli industriali piacentini speravo di avere di fronte a me un periodo molto meno difficoltoso per la nostra economia. Stiamo invece vivendo il periodo più difficile del dopoguerra. La nostra associazione può certamente aiutare le aziende associate in questo periodo e credo che lo stia facendo. Come abbiamo detto, oggi la chiave del successo è legata all’internazionalizzazione. In questa direzione, la dimensione aziendale è spesso un limite. Su questo bisogna lavorare con la massima energia. Ovviamente l’economia piacentina soffre di tutti i mali dell’economia italiana ai quali si sommano i mali dell’economia europea, ma per risolvere questi è necessaria una grande dose di “buona politica” e questo non dipende da noi».



L’EMILIA DOPO IL SISMA

Unità in nome della sicurezza Serve un fronte comune, tra società civile e istituzioni, per rafforzare quella cultura della prevenzione indispensabile in un Paese a elevato rischio sismico come il nostro. Lo sostiene Franco Gabrielli, capo del Dipartimento della Protezione Civile Francesca Druidi

mpossibile per l’Emilia Romagna dimenticare questi mesi “caldi”, per le condizioni climatiche ma soprattutto per le ferite inferte al territorio, alla popolazione e alle attività dal sisma che, dal 20 maggio, ha colpito una parte dell’Emilia. Sono state, nel frattempo, attivate le procedure per la dismissione delle aree e delle strutture di accoglienza e sono state effettuate almeno 35mila verifiche di agibilità per un progressivo ritorno alla normalità. Il Dipartimento della Protezione Civile

I

Il prefetto Franco Gabrielli, capo Dipartimento della Protezione civile

160 • DOSSIER • EMILIA-ROMAGNA 2012

ha, inoltre, trasmesso il 27 luglio scorso, a Bruxelles, il fascicolo relativo alla richiesta di attivazione del Fondo di solidarietà dell’Unione europea per l’emergenza causata dagli eventi sismici. Nel dossier realizzato in collaborazione con le regioni coinvolte, si segnalano oltre 13,2 miliardi di euro di danni. A commentare la situazione, soprattutto in prospettiva futura, è il capo del dipartimento della Protezione civile Franco Gabrielli. Qual è il bilancio che può trarre delle fasi di gestione

dell’emergenza terremoto in Emilia, sia sul fronte della popolazione che degli immobili e dei beni culturali? «Il primo aspetto che bisogna sottolineare è la peculiarità degli eventi che abbiamo dovuto fronteggiare. Ci sono stati due sismi con epicentri diversi che hanno coinvolto sei province e tre regioni: Emilia Romagna che, purtroppo, ha dovuto contare vittime e i maggiori danni; Lombardia e Veneto. Sono stati terremoti che, a differenza di quanto accaduto nel passato, hanno colpito una


Franco Gabrielli

4.984

SFOLLATI PERSONE ASSISTITE IN REGIONE DAL SERVIZIO NAZIONALE DELLA PROTEZIONE CIVILE AL 5 SETTEMBRE (3.216 OSPITATE NEI CAMPI TENDA, 109 IN STRUTTURE AL COPERTO E 1.659 IN ALBERGHI)

delle zone più produttive del Paese, chiamata ora a coniugare la ripresa delle attività economiche con la sicurezza sui luoghi di lavoro: un obiettivo delicato, ma non impossibile da raggiungere. In queste regioni, la Protezione Civile si è mossa immediatamente per soccorrere e assistere la popolazione: al 31 luglio le persone accolte nei campi, nelle strutture al coperto e negli alberghi sono circa 8mila, ma dopo la seconda scossa del 29 maggio risultavano più del doppio. Una capacità di risposta del sistema che si unisce a un altro eccezionale punto di forza del territorio emiliano: la grande coesione tra le parti sociali e quelle istituzionali». Sono sorte polemiche sulla sicurezza dei capannoni adibiti all’attività industriale e produttiva, ma anche sulla “sismicità” o meno della zona colpita dalle scosse. Quali lezioni, se così possiamo definirle, ci lascia questo sisma,

anche dal punto di vista della cultura della prevenzione? «La mappa di pericolosità sismica definita dall’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia - sulla correttezza della quale si sono espressi in molti, a torto - indicava che i territori colpiti erano, e sono, a rischio sismico, esposti a terremoti che possono raggiungere magnitudo fino a 6.2: non è, quindi, la mappa a dover essere modificata. Ciò che manca in queste zone, così come in buona parte del resto d’Italia, è la memoria degli eventi calamitosi occorsi, la consapevolezza dei rischi presenti e la cultura della sicurezza. Investire, non solo economicamente, in queste voci rappresenterebbe la migliore crescita per il nostro Paese. A ciò, però, devono contribuire tutti, istituzioni e cittadini insieme; dobbiamo puntare sul rafforzamento delle amministrazioni locali in ordinario, affinché ogni comunità diventi effettivamente resiliente».

Quali saranno, nello specifico, il ruolo e la funzione della “Commissione internazionale sulla previsione dei terremoti per la protezione civile”? Esiste una possibile relazione tra l’esplorazione finalizzata alla ricerca di campi di idrocarburi e l’incremento dell’attività sismica? «La commissione, che non sarà una commissione di inchiesta, avrà proprio il compito di esaminare la possibile relazione tra attività di esplorazione finalizzata alla ricerca di campi di idrocarburi e incremento dell’attività sismica, come chiesto formalmente dal presidente della Regione Emilia Romagna. Il Dipartimento della Protezione Civile sta lavorando per individuare i migliori esperti internazionali che potranno comporre la commissione e fornire, quindi, un autorevole contributo scientifico di conoscenza ai cittadini e alle amministrazioni locali su questo tema specifico». EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 161


L’EMILIA DOPO IL SISMA

Conoscenza e prevenzione Una corretta informazione sui comportamenti da assumere durante un terremoto e il rispetto di adeguate normative edilizie costituiscono punti essenziali a cui occorre fare costantemente riferimento. Lo spiega il sismologo Andrea Morelli Francesca Druidi

i terremoti ci si deve preparare, non si deve attendere la loro previsione». È l’indicazione provienente da Andrea Morelli, sismologo e direttore della sezione bolognese dell’Ingv. Oltre all’impossibilità di garantire una previsione certa relativa a luogo, data ed entità di un sisma, Morelli sottolinea come proprio la previsione in sé non sarebbe, in realtà, così utile per la comunità: meno utile di un’adeguata prevenzione e, in alcuni casi, addirittura pericolosa. «Un falso allarme, con eventuali evacuazioni o la chiusura di strutture produttive, avrebbe un costo molto signifi-

«A

162 • DOSSIER • EMILIA-ROMAGNA 2012

cativo per la società». La previsione dei terremoti non rappresenta, allo stato attuale, il fine della ricerca sismologica: «Molto possiamo fare per studiare e comprendere il fenomeno al fine di alleviarne l’impatto sulla società». Quali le priorità in questa direzione? «Possiamo sicuramente ambire a conoscere, per ogni zona, con che frequenza e con che energia sono probabili eventi sismici. Lo studio degli eventi del passato, registrati nei documenti storici o nelle rocce crostali, unito allo studio delle strutture geologiche, ci fornisce elementi per questa stima di tipo probabilistico. La conoscenza dei fenomeni di propagazione delle onde sismiche, che coinvolgono attenuazione e amplificazione dello scuotimento a livello locale, può darci informazioni fondamentali sugli scuotimenti attesi. Sulla base di questi dati, devono essere istituite adeguate normative edilizie che permettano alle strutture di resistere ai movimenti del terreno; movimenti che ci aspettiamo possano aver luogo con una certa probabilità in una certa zona.

Questo approccio, unito a un’adeguata informazione sui comportamenti da tenere prima, durante e dopo un evento sismico, identifica l’unica forma di prevenzione e mitigazione degli effetti dei terremoti che valga la pena di perseguire». Quale analisi si può fare sull’attività che si è verificata, e si sta verificando, sotto la zona corrispondente alla pianura padana? «La pianura padana rappresenta un caso abbastanza particolare nello scenario italiano. Si conosceva la sua pericolosità sismica dovuta a terremoti di non elevatissima entità e piuttosto rari nel tempo. La bassa frequenza temporale fa sì che una società non sia molto preparata al terremoto, perché non ne conserva memoria. Ma i terremoti emiliani sono avvenuti su un sistema geologico ben conosciuto, di cui era senz’altro ipotizzata la capacità di generare terremoti di quest’entità. Non se ne conoscevano storicamente ma, considerati i lunghi intervalli inter-sismici dei terremoti nella zona, questo non ha rappresentato una


Andrea Morelli

5.9

MAGNITUDO IL VALORE SU SCALA RICHTER DELLA SCOSSA DEL 20 MAGGIO REGISTRATA NELLE PROVINCE DI FERRARA, BOLOGNA E MODENA E AVVERTITA ANCHE IN ALTRE REGIONI

grande sorpresa. Le pieghe nel basamento roccioso che giace sotto la copertura di sedimenti recenti della pianura, sono strutture legate a una dinamica di compressione già ben nota dal punto di vista regionale. Lo studio dell’idrografia della zona aveva già portato a ipotizzare un sollevamento graduale, con conseguente deviazione dei corsi d’acqua, coerentemente con il movimento, questa volta istantaneo, che abbiamo misurato in occasione dei terremoti avvenuti». Se e in che modo le scosse hanno ricalibrato le mappe di pericolosità sismica dell’area? «Lo studio dei terremoti del passato e delle strutture geologiche portano alla definizione della cosiddetta pericolosità sismica, che rappresenta lo scuotimento del suolo previsto con una certa probabilità entro un

certo intervallo temporale. Nelle stime attuali, la zona di cui stiamo parlando era descritta da magnitudo massima sostanzialmente coerente con gli eventi recenti. Anche se ogni nuovo dato contribuisce a valutazioni più accurate, non ci attendiamo variazioni sostanziali. Le stime della probabilità di scuotimento del suolo devono però essere tradotte in normativa sismica, che preveda parametri precisi per le nuove costruzioni. Il limite dove si vuole mettere l’asticella che identifica il massimo rischio ammesso è una decisione politica. Per gli edifici civili, di solito, si guarda a un orizzonte di 50 anni. Questo sarebbe comunque stato sufficiente per far resistere le costruzioni». Si impone allora una riflessione su strutture particolarmente critiche, produttive e

non solo. «Sì, queste determinano un valore esposto alla pericolosità sismica particolarmente elevato e la loro tutela andrebbe garantita con un margine ancora superiore. La normativa poi si riferisce a nuove costruzioni, mentre numerose strutture artigianali e industriali in Emilia sono state costruite in tempi nei quali la normativa era sostanzialmente assente, permettendo di costruire immobili senza resistenza specifica a sollecitazioni sismiche. Molti edifici storici erano stati ristrutturati badando solo a criteri di ordine estetico, mentre poche precauzioni di irrobustimento avrebbero potuto renderli significativamente più resistenti. Questa sottovalutazione culturale, oltre che normativa, è una delle conseguenze della mancanza di memoria sismica».

In apertura, Andrea Morelli, direttore della sede bolognese dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia

EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 163


L’EMILIA DOPO IL SISMA

Salvaguardare il grande patrimonio emiliano L’emergenza terremoto riguarda anche monumenti, chiese e opere d’arte. Carla Di Francesco, direttore regionale per i beni culturali e paesaggistici, anticipa le prospettive di recupero di un’eredità storica e artistica importante per il territorio Francesca Druidi

a Torre dei Modenesi di Finale Emilia, sventrata e poi crollata a causa del sisma, è ben presto diventata - non solo in Italia - il simbolo del terremoto emiliano. Un terremoto dal pesante bilancio in termini di vittime e di impatto sul tessuto sociale e produttivo. Ma proprio le immagini delle torri e delle chiese devastate dalle scosse del 20 e del 29 maggio, così come nei successivi episodi dello sciame sismico, hanno messo drammaticamente in luce anche la questione del danneggiamento dei beni culturali. A illustrare le principali criticità incontrate e le direttrici da seguire è l’archi-

L

Sopra, Carla Di Francesco, direttore per i beni culturali e paesaggistici dell’Emilia Romagna.

164 • DOSSIER • EMILIA-ROMAGNA 2012

tetto Carla Di Francesco, direttore regionale per i beni culturali e paesaggistici dell’Emilia Romagna. Quali sono le prospettive per il recupero dei beni artistici, architettonici e culturali delle zone colpite dal sisma nei prossimi mesi? «Dal punto di vista tecnico lavoreremo senza dubbio per mettere in sicurezza l’esistente nel suo complesso, risolvendo non solo situazioni a rischio di pubblica incolumità. Non ci occuperemo, quindi, solo dei perimetri esterni degli immobili pericolanti, ma cominceremo anche a pensare agli interni, intervenendo con sgombri di macerie e messa in

sicurezza delle strutture interne. Ad esempio, la Pinacoteca di Cento è collocata in un edificio che ha subìto seri danni ed è quindi stata sgomberata, ha perciò bisogno di interventi da realizzarsi indipendentemente dalla pubblica incolumità. Molte chiese che dall’esterno non mostrano alcun problema hanno, invece, volte parzialmente crollate e bisognerà agire per evitare che, con il passare del tempo, subiscano altri degradi e ulteriori crolli. È una prospettiva di azione che ci guiderà almeno fino alla fine dell’anno e oltre». Quali sono, in particolare, i fattori che incideranno in maniera significativa in que-


Graziella Polidori

CAMPANILI

PROGETTI

10

57

NUMERO DI STRUTTURE SNELLE CROLLATE A SEGUITO DELLE SCOSSE

INTERVENTI DI MESSA IN SICUREZZA DI EDIFICI STORICI TUTELATI APPROVATI AL 25 LUGLIO

Sono state adottate una serie di soluzioni tecniche provvisionali realizzate attraverso piattaforme e cestelli per garantire la sicurezza in caso di nuove scosse

Graziella Polidori

sta fase post-emergenziale ma ancora piuttosto critica? «È evidente che ci sono punti sui quali tutti gli attori coinvolti a diverso titolo sono d’accordo: innanzitutto, far tornare gli sfollati nelle loro abitazioni il prima possibile e poi dare priorità alla formazione e, quindi, a scuole e università. Dal punto di vista dei beni culturali, è importante far rivivere i centri storici, in modo che non siano abbandonati. Si interviene sui beni culturali collocati nelle aree urbane con opere provvisionali per conservare e salvare il bene stesso, riuscendo al contempo a liberare le restanti “zone rosse”. Per quanto riguarda il metodo di

azione, si lavora a strettissimo contatto con i Comuni, ascoltando le loro esigenze. Sul fronte dei beni ecclesiastici, c’è la necessità di rimettere in funzione le chiese, almeno una per ogni Comune. Oltre ai beni ecclesiastici, vi sono poi beni culturali che rappresentano il cuore delle città: rocche e castelli, pinacoteche, biblioteche, musei, tutti edifici ad altissima valenza pubblica e sociale, senza dimenticare gli edifici privati». In che misura il sisma ha, secondo lei, modificato il volto del territorio emiliano? «Ci sono diversi aspetti da considerare, in particolare un aspetto territoriale-paesistico

che si riallaccia fortemente alla storia di queste zone. Si tratta di terre strappate alle acque e regolate da antica organizzazione, a partire delle partecipanze agrarie passando per le bonifiche pubbliche a quelle degli Estensi. Sono territori agricoli che, nel corso del tardo Medioevo e del Quattrocento, Dall’alto, interventi sono stati governati da simboli su due campanili di potere estensi molto forti, a Medolla quali rocche, castelli e torri. e a Camposanto in provincia Modena Stiamo parlando delle aree tra Ferrara, Bondeno e Vigarano, e di quelle tra Finale, San Felice e Mirandola. C’è poi uno stretto collegamento con la storia delle popolazioni che qui risiedevano. Queste comunità agricole si riunivano attorno ai EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 165


Direzione regionale per i Beni culturali e paesaggistici dell’Emilia Romagna

TURISMODOPO IL SISMA L’EMILIA

campanili, che assurgevano a panili crollati tra il 20 e il 29 procedure utilizzate per metpunti di raduno per ogni singola zona, oggi corrispondente alla frazione del paese. C’è, dunque, il concreto rischio che le scosse abbiano messo fortemente in pericolo questo aspetto storico, avendo colpito elementi fondanti che indicavano l’identità e il passato del territorio, fornendo anche un significativo punto di riferimento visivo all’interno del paesaggio». Sono nate diverse polemiche sugli “abbattimenti controllati”. «Il primo e il secondo sisma hanno messo in luce l’enorme fragilità delle strutture storiche e chi ne ha fatto in particolare le spese, con danni gravi e gravissimi, sono stati proprio le torri e i campanili. Gli edifici dotati di campanile sono oltre 140. Si contano più di 10 tra torri e cam-

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maggio, tra cui lo splendido campanile di San Francesco a Mirandola e quello della piccola chiesa di Mortizzuolo, e moltissimi risultano fortemente lesionati. La procedura che abbiamo adottato è quella della valutazione tecnica. Nel caso del campanile della chiesa di San Michele Arcangelo a Poggio Renatico nel Ferrarese (bene non tutelato), tutti quelli che sono stati consultati lo hanno valutato come un caso non recuperabile. In generale, abbiamo fatto riferimento a un gruppo tecnico, costituito da esperti in strutture snelle, che ci ha assistito e ha assistito Comuni e Curie nella comprensione e nella risoluzione delle specifiche problematiche riguardanti i campanili, massacrati da lesioni di taglio e torsione». Quali sono a grandi linee le

tere in sicurezza torri e campanili? «Sono state adottate una serie di soluzioni tecniche provvisionali, che sono state realizzate attraverso piattaforme e cestelli per garantire la sicurezza in caso di nuove scosse. Fino a quando è stato necessario, il gruppo di esperti veniva inviato per studiare la situazione di ogni singolo campanile, facendo poi seguire la redazione di un documento guida per la messa in sicurezza. I singoli enti, Comune o Curia, che hanno ricevuto il documento, hanno poi potuto assegnare un incarico specifico a un tecnico per formulare il vero progetto di messa in sicurezza, sotto la supervisione della direzione regionale. Oggi aspettiamo i fondi statali per esercitare un ruolo ancora più attivo».



L’EMILIA DOPO IL SISMA

La burocrazia che imbriglia la ricostruzione «Se fossimo stati ad aspettare le leggi saremmo morti e invece ci siamo subito rimboccati le maniche». Il punto di Maria Gorni, presidente di Consobiomed, sugli effetti del sisma per il distretto biomedicale di Mirandola Renata Gualtieri

ifficile quantificare i disagi e i danni provocati dal terremoto del maggio scorso alle piccole e medie imprese del distretto biomedicale di Mirandola, polo leader in Europa, che da solo rappresenta l’1,5 per cento del Pil nazionale. Un’eccellenza che, come ha sottolineato anche il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, l’Italia non può permettersi di perdere. L’imperativo è stato da subito fronteggiare l’emergenza e agire tempestivamente per non perdere ordini e fatturati. «Di sicuro torneremo in Emilia prima dell’inverno» afferma Maria Gorni, presidente di Consobiomed, consorzio di pmi operanti nel settore biomedicale, e alla guida del consiglio di amministrazione dell’azienda Ri.Mos. di Mirandola, temporaneamente trasfe-

D

168 • DOSSIER • EMILIA-ROMAGNA 2012

rita a Brescia, ma con l’obiettivo di ritornare presto a Mirandola. “Rispetto allo Stato noi piccoli imprenditori siamo avanti anni luce”. Qual è il senso delle sue parole? «Noi imprenditori ci siamo aiutati a vicenda. Se avessimo dovuto attendere di vedere approvate le leggi, che sono state fatte ma non sono giuste, avremmo chiuso tutti. Lo Stato non è imprenditore e non si rende conto di quanto oggi corre il mondo e a quale velocità bisogna andare per non perdere la corsa: in un attimo è possibile acquistare un prodotto dalla Cina, dall’India o dall’America tramite internet e se un cliente ha bisogno di qualcosa che tu non hai si rivolge altrove». Cosa è emerso di positivo nella grande emergenza? «La novità sorprendente è che

per la prima volta in Italia ci si è resi conto che nella nostra zona c’è uno dei poli più importanti di tutta Europa per quanto riguarda i dispositivi biomedicali. Esportiamo il 60 per cento di ciò che facciamo. Va tenuto presente che il medicale modenese contribuisce per il 37,6 per cento del fatturato dell’Emilia Romagna. Il 74 per cento sono aziende di produzione e il 93 per cento aziende di capitale italiano. Se finora nessuno aveva dato la giusta importanza al nostro polo, oggi in Italia e forse anche all’estero non è più così, si è scoperto che qui si produce qualcosa d’eccellente che da altre parti non si trova. Potremmo parlare di marketing del terremoto ed è importante che se ne parli perché si utilizzi questa disgrazia per qualcosa di positivo». Cosa serve alle aziende per ripartire?


Maria Gorni

PIL

1% LA PERCENTUALE RAPPRESENTATA DAL DISTRETTO PER IL PRODOTTO INTERNO LORDO NAZIONALE

«Innanzitutto una burocrazia più semplice, modificando le leggi che imbrigliano e bloccano la ricostruzione. È necessario un quadro più chiaro anche riguardo le norme antisismiche, oggi obbligatorie per tutti gli edifici, perché mettere a norma gli immobili comporterà costi molto elevati». “Ogni settimana d’inattività ci costa una perdita di fatturato che va dai 18 ai 20 milioni di euro”. Come si fa a evadere gli ordini? «Adesso tutti hanno ripreso la produzione, e io stessa mi sono ingegnata facendo pacchi anche in giardino perché era d’obbligo riprendere a lavorare, anche delocalizzando. Oggi la perdita non è più di quella dimensione però le grandi aziende, che sono quelle che producono di più, iniziano a finire le scorte e a rimanere

indietro con la produzione, motivo per cui anche loro hanno avviato la delocalizzazione. Ancora forse non ci si rende bene conto di che cosa è successo veramente, la presa di coscienza avverrà tra un po’ perché siamo stati sorpresi dallo shock del terremoto, poi ci siamo dati da fare per riprendere e ora siamo in fase di sistemazione». Quanti sono i lavoratori in cassa integrazione? «Dei circa 5.000 addetti la metà è stata in cassa integrazione. Attualmente nella mia azienda una sola è in questa condizione, le altre hanno cercato di utilizzare le ferie. Attualmente sono comunque molte di meno le persone in cassa integrazione perché gran parte delle aziende ha ripreso l’attività». Nelle settimane successive al sisma lei ha spostato la

produzione a Brescia per non perdere ordini e dipendenti. Che tipo di aiuto le è stato offerto dagli imprenditori bresciani? «Ho avuto personalmente contatti con imprenditori di Brescia che hanno messo a disposizione dell’azienda alcuni capannoni o camere bianche. Quella però è considerata una zona abbastanza lontana per cui molti imprenditori hanno preferito spostarsi tra Modena, Bologna, Mantova e Rovigo. La mia scelta dipende dal fatto che a Brescia ho già un’altra azienda. Spero di tornare a breve a Mirandola, dove sto costruendo un nuovo immobile. Le mie dipendenti vanno volentieri fino a Brescia perché hanno la prospettiva di rientrare presto in Emilia, anche se ogni giorno si sacrificano percorrendo tre ore e mezza in macchina».

Sopra, Maria Gorni, presidente Consobiomed e alla guida del Consiglio di amministrazione dell’azienda Ri.Mos. di Mirandola

EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 169


L’EMILIA DOPO IL SISMA

Lavoro e scuola, gli assi della rinascita La fine della stagione estiva, per Mirandola, dovrebbe coincidere con la chiusura dell’emergenza operativa e l’ingresso nella fase di transizione. Una sistemazione definitiva ai senzatetto e la ripresa dei servizi pubblici, le due priorità del sindaco Maino Benatti entro l’inverno Giacomo Govoni

utto potevano immaginare, i ragazzi della 3a A del Liceo classico Pico, che a marzo si erano presi la briga di integrare l’universale enciclopedia di Wikipedia con il lemma “distretto biomedicale di Mirandola”, tranne che nel giro di due mesi si sarebbero trovati ad aggiornare la pagina con la voce “terremoto del 2012”. È la curiosa storia capitata ai giovani studenti di una scuola che oggi compare ancora nel bollettino degli edifici pubblici flagellati dal sisma. «Abbiamo tre istituti scolastici inagibili – spiega il sindaco Maino Benatti – il Galilei, il Pico e le elementari di via Circonvallazione». Come ovvierete alla loro indisponibilità, nell’imminenza del via all’anno scolastico? «Per affrontare la situazione saranno realizzati due poli scolastici con container e prefabbricati: uno nell’area tra via

T

170 • DOSSIER • EMILIA-ROMAGNA 2012

Giolitti e via Toti, l’altro nella zona tra la bretella est e l’attuale area sportiva. Qui saranno anche collocati un teatro tenda, un laboratorio per materie scientifiche e biomedicali, due palestre e la biblioteca. Questi servizi potrebbero partire un po’ più avanti rispetto all’attività classica delle lezioni. Per le altre scuole, che sono agibili con prescrizioni, faremo in modo di aprirle tutte dopo averle messe in sicurezza secondo le norme». Sindaco, sono trascorsi circa 4 mesi dalle prime scosse. Guardando indietro cosa vede? «Vedo gli effetti di un terremoto devastante, peggiore di un bombardamento. Vedo un sisma particolare e unico nella storia d’Italia, perché coinvolge un’area di circa 900mila abitanti, colpisce per la prima volta un’area altamente industrializzata e anche perché si tratta del primo ter-

remoto “multiculturale”, che costringe anche i volontari a fare i conti con le dinamiche di un mondo globale». Capitolo casa: l’inverno non è così lontano. «Per dare una sistemazione entro l’inverno a chi è rimasto senza tetto, l’ipotesi su cui si sta lavorando è complessa per l’alto numero di persone coinvolte. Queste sono le priorità: ritorno nelle case di tutti coloro che hanno l’abitazione agibile; uso delle case sfitte e degli appartamenti non ancora messi sul mercato con accordi tra ente locale, proprietari e possibili affittuari; identificazione di aree del Comune da mettere sul mercato per chi vuole costruirsi una nuova casa; in aree indicate dall’amministrazione comunale installazione di prefabbricati per chi ha la necessità di trovare una sistemazione, non avendo più una casa. Insieme alla Regione si sta concordando


Maino Benatti

SITI PRODUTTIVI

84 I CAPANNONI CROLLATI O CHE SONO RIMASTI LESIONATI IN MODO IRRECUPERABILE, PARI AL 90% DEL TOTALE DELL’AREA INDUSTRIALE MIRANDOLESE

un bando di gara per tutte le strutture da acquisire (container o prefabbricati per case, scuole e servizi). I tempi dipendono quindi dalla gara che verrà realizzata. Chi è interessato a queste soluzioni abitative può rivolgersi agli uffici comunali». A fine giugno, l’azienda biomedicale Bellco ha annunciato la ripresa delle attività. Come si sta rimettendo in carreggiata l’intero distretto e quali strascichi si temono, alla luce della definitiva conta dei danni? «La situazione è sicuramente difficile, con migliaia di persone in cassa integrazione, ma è altrettanto vero che quasi tutte le imprese del biomedicale stanno lavorando per riprendere le attività produttive». Non teme che alcuni colossi del distretto cedano alle “lusinghe” della delocalizzazione? «Per ora si è lavorato perché le

grandi multinazionali rimangano nel nostro territorio ed è importante che entro l’inverno vi sia un’accelerazione della ripresa e quindi del rientro in fabbrica dei lavoratori in cassa integrazione». Biomedicale a parte, quali ferite al tessuto produttivo locale si stanno rivelando più difficili da rimarginare e come vi state muovendo in questo senso? «Tutti i settori produttivi ed economici sono stati gravemente danneggiati: le aziende agricole, il commercio, la metalmeccanica, i servizi alle imprese e alla persona. Sono passati alcuni mesi dalla prima scossa e ancora i problemi sono tanti. Dobbiamo ripartire dal lavoro, dal diritto al lavoro e dalle imprese. Il terremoto ha devastato il nostro passato e non vogliamo che distrugga anche il nostro futuro». Come stanno rispondendo

le istituzioni, sia nazionali che regionali, al grido d’allarme del comparto? Di quali misure di sostegno ha ancora bisogno per accelerare la ripartenza? «Finora c’è stata una forte sintonia con la Regione e con il presidente Errani, che è commissario straordinario per l’emergenza. Allo stesso tempo si è lavorato bene anche con la Protezione civile. Al governo dobbiamo dire, già da ora, che i danni sono almeno tre volte le risorse stanziate e che quindi, per far sì che questo territorio possa riprendersi e aiutare il Paese a superare la crisi economica, è necessario che arrivino al più presto le risorse utili a far ripartire appieno le attività economiche e a far tornare le nostre comunità ai precedenti livelli di qualità della vita. Se non sarà così difficilmente il Paese uscirà dalla grave situazione economica in cui versa».

Sopra, Maino Benatti, sindaco di Mirandola, con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano

EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 171


L’EMILIA DOPO IL SISMA

La lentezza della burocrazia e il bisogno di normalità Accelerare il rientro dei cittadini nelle case e rianimare il centro storico facendo ripartire il commercio, oggi al palo. Ma senza liquidità spendibile da subito, osserva Fernando Ferioli, il traguardo della ricostruzione si fa sempre più in salita Giacomo Govoni

arlare di ricostruzione senza soldi è come discutere del sesso degli angeli». Non usa giri di parole Fernando Ferioli, sindaco di Finale Emilia, che, nel descrivere la condizione di perdurante incertezza in cui versa la sua comunità colpita dal terremoto, va dritto all’epicentro del problema. Perché la paura con cui bisogna fare i conti ora non è più generata solo da «uno sciame sismico che non si è ancora esaurito», ma dai tempi di una ricostruzione che rischiano di dilatarsi. Sta dicendo che dei 2,5 miliardi che il decreto ricostruzione assegna all’Emilia al momento non s’è ancora visto nulla? «Non solo, ma quei 2,5 miliardi sono spalmati su tre anni. Ciò significa che la ricostruzione sarà lentissima. Senza contare che tale somma, per’altro, rappresenta circa il 40% di quella necessaria». Nel frattempo lei ha emesso

«P

172 • DOSSIER • EMILIA-ROMAGNA 2012

un’ordinanza per far rientrare i cittadini nelle case. Cosa l’ha spinta a questa decisione? «I lavori di rientro stanno procedendo un po’ a rilento e la paura della gente non contribuisce a sveltirli. Le persone non sanno come comportarsi per via delle scosse. Preferiscono restare nelle tende, la cui gestione ha un costo molto alto per noi, sia dal punto di vista economico sia per quanto riguarda l’occupazione di suolo: campi di calcio non ne abbiamo più e interi parchi, dove prima si svolgevano attività ricreative, oggi sono occupati. Si tratta di un costo, anche sociale, che vorremmo cercare di risparmiare». Attualmente qual è la situazione degli sfollati? «All’inizio le persone ospitate nelle tendopoli erano 2.300, ora siamo a 1.200. Cercheremo in tutti i modi di chiudere almeno due campi in tempi brevi, per arrivare in autunno ad averne solo il minimo indispensabile. Faremo un censi-

mento delle case sfitte in modo da mettere tutti sotto un tetto prima che arrivi l’inverno». Quanto è stato investito finora per la ricostruzione e per quali progetti? «Fino a questo momento non è arrivato un solo euro dal governo centrale. Questo dato preclude sul nascere ogni possibilità di aprire cantieri. In più, stiamo ancora aspettando la deroga al patto di stabilità dei nostri bilanci, a cui non possiamo attingere per ricostruire. Anche se, per ipotesi, ricevessimo una donazione da 3 milioni di euro, non potremmo spenderli. Finora l’emergenza è stata affrontata con situazione di cassa, pagando degli interessi. Attualmente siamo esposti per 4 milioni di euro. Spesi, ma ovviamente non tutti pagati. E, infatti, dopo 60 giorni che hanno svolto i loro lavori, i fornitori cominciano a sollecitarci». A metà giugno l’80 per cento delle aziende erano ferme. Com’è cambiata la situazione nell’ultimo mese?


Fernando Ferioli

EURO

4 milioni LA SOMMA CON CUI SI È ESPOSTA FINORA L’AMMINISTRAZIONE COMUNALE DI FINALE PER COPRIRE I COSTI DELL’EMERGENZA

«Nell’ultimo mese molte aziende, soprattutto le più grosse, hanno ripreso. O meglio, hanno aperto di tasca loro alcune zone di produzione, magazzini o uffici. Non attività a pieno regime, ma meglio di niente. Poi c’è il grande problema del commercio che è fermo, non c’è più nessuno e il centro storico è moribondo. Soffrono anche gli artigiani e i piccoli imprenditori con capannoni piccoli, che non avevano assicurazioni e avevano mutui accesi per pagare le strutture crollate. Ma le banche sono le prime a essere scettiche sul rapido sblocco dei fondi dal governo, per cui comprimono le erogazioni». Come giudica il livello di attenzione dimostrato finora dalle istituzioni e di cosa lamentate in particolare la mancanza o il ritardo? «Chiediamo più soldi subito, tutti quelli possibili per aprire

i cantieri anche ai privati. Se non si aprono quelli, non si apre il centro storico, il commercio, e rischiamo di morire. Serve la defiscalizzazione delle aziende danneggiate, ma soprattutto le percentuali di recupero per le varie categorie colpite, in tal modo se i soldi tardano almeno si può dare una sorta di garanzia alle banche. Fermo restando che ritengo scandaloso lo stanziamento di 2,5 miliardi in tre anni, quando poche settimane fa 400 milioni sono stati mandati in Sicilia per salvare l’isola dal default». Lei ha detto persino di temere uno spopolamento di Finale. È un rischio concreto? «Certo. Gli stranieri non hanno legami con il territorio tali da sopportare uno sciame sismico di mesi. Molte badanti sono fuggite all’estero, con ovvie ricadute sociali che incideranno negativamente sul complesso si-

stema di assistenza agli anziani. Lo stesso si può dire per molte famiglie di orientali, scappate chiudendo le attività, e di altrettante famiglie di maghrebini, che hanno rispedito in patria mogli e figli. Senza dimenticare i tanti lavoratori in cassa integrazione». Come amministrazione, che priorità vi siete date da qui a fine anno? «Vorremmo completare definitivamente il capitolo scuole, sia quelle da riaprire che le 5 distrutte dal sisma. Entro fine anno è troppo presto, però i progetti li abbiamo già e lavoreremo in maniera profonda, cercando risorse dappertutto. Poi avvieremo la raccolta fondi per la biblioteca, l’ospedale i campi sportivi. E, non ultimo, il municipio che non esiste più. La voglia non ci manca, visto che qualcuno ha persino tirato fuori le macchine dalle fabbriche pur di lavorare».

Sopra, Fernando Ferioli, sindaco di Finale Emilia

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L’EMILIA DOPO IL SISMA

La priorità a scuole e aziende Dimezzato ormai il numero di sfollati, la comunità di San Felice sul Panaro fa quadrato per individuare strutture idonee al riavvio dell’anno scolastico e nuovi spazi pubblici per le attività commerciali. Il punto di Alberto Silvestri Giacomo Govoni alla nuova scuola materna statale alla ricostruzione della Torre dell’orologio. Sono la testa e la coda di un elenco di 15 priorità, relative al recupero di altrettanti edifici pubblici, che campeggiano sul sito “Vogliamo ripartire”, aperto dall’amministrazione comunale di San Felice nei giorni successivi al sisma che lo scorso maggio ha segnato pesantemente la fisionomia del paese. In questo senso, i 6 miliardi di euro a favore dei comuni terremotati che la commissione parlamentare ha licenziato a fine luglio sono una boccata d’ossigeno per la comunità sanfeliciana. «Ora serve che queste risorse – commenta Alberto Silvestri, sindaco di San Felice sul Panaro e presidente dell’Unione comuni modenesi area Nord – vengano utilizzate con trasparenza e in modo mirato». Nelle vostre tendopoli siete arrivati a ospitare 1.600 sfollati. A che punto è la fase di rientro nelle abitazioni? «Il rientro sta andando di pari passo con le verifiche di agibilità; chi ha la casa agibile viene invi-

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Sopra, Alberto Silvestri, sindaco di San Felice sul Panaro

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tato a rientrarvi e, in alcuni casi, viene accompagnato per vincere la paura. Al momento nelle tendopoli sono ospitati circa 800/900 sfollati». Su quali settori produttivi e commerciali stanno pesando di più gli strascichi del sisma? «Dopo i due sismi, abbiamo avuto un’inagibilità di strutture produttive e commerciali pari all’80%. Per continuare a produrre molte aziende hanno temporaneamente localizzato la loro attività, trasferendosi fuori dal nostro territorio, in aziende di filiera o in tensostrutture fuori dal capannone. I commercianti, invece, dopo una prima fase di disorientamento, stanno ragionando insieme se insediarsi in uno spazio pubblico messo a disposizione dall’amministrazione comunale, mentre quelli con i locali agibili si sono riappropriati del centro storico, grazie alla riapertura di alcune vie. Altri si sono organizzati temporaneamente con container o locali in aree private». Il crollo della Rocca Estense è il simbolo di un paese colpito al cuore anche del suo pa-

trimonio culturale. Quanto servirà per tornarla a fare risplendere? «La Rocca Estense non era soltanto il simbolo della comunità, ma anche la sede del consiglio comunale, sede di una mostra archeologica e luogo adibito a tanti eventi culturali. Speriamo di poter farla rivivere, ma non è la nostra priorità, la tempistica è lunga e i danni sono ingenti. Si parla di 8/10 milioni di euro». Disponibilità economica permettendo, quali priorità d’intervento vi siete dati da qui a fine anno? «Il nostro programma d’interventi mira innanzitutto a dare un tetto ai cittadini che hanno una casa inagibile e a far ripartire l’anno scolastico. Nel contempo, stiamo lavorando per individuare aree e strutture per rimettere in moto le attività produttive e commerciali che non hanno i locali agibili e riaprire, il prima possibile, l’accesso a tutto il centro storico e le relative attività. Infine, puntiamo a concentrare di nuovo in un’unica sede i servizi alla persona e far ripartire le attività sportive».



EDILIZIA

Case “speciali” per l’Emilia Diversificazione è la parola d’ordine per dare una scossa all’edilizia provata dalla crisi, dando ampio spazio a soluzioni alternative quali le casette di legno, come spiegato da Bruno Sansone Roberta De Tomi

peciale Emilia” è la nuova iniziativa realizzata da Edilcamaldoli Sansone per la regione messa in ginocchio dai sismi che l’hanno colpita nel mese di maggio. Numerosi gli edifici crollati o inagibili nelle aree disastrate, e mentre la popolazione si è già rimboccata le maniche per la ricostruzione, i paesi colpiti si presentano come veri e propri cantieri aperti. Numerose sono le famiglie senza casa che do-

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vranno optare per soluzioni alternative, soprattutto in vista dell’inverno, sempre più vicino. Da ciò nasce l’iniziativa - spiegata da Bruno Sansone di Edilcamaldoli, realtà di punta del territorio partenopeo - che propone per i residenti delle aree terremotate, casette di legno a uso abitativo definitivo a prezzi agevolati. Una proposta, che contempla strutture anti-sismiche, opportunamente coibentate, che può anche delinearsi come un’inte-

ressante alternativa all’edilizia “tradizionale”, nonché un modo per muovere “acque stagnanti”. Quale scenario per il settore in cui operate? «Il settore edile è ormai attanagliato dalla crisi e a questa si affiancano le poche idee di chi ci governa per incentivare le piccole e medie imprese che hanno sempre fatto l'economia del nostro paese. Purtroppo le prospettive non sono delle migliori, ma la speranza di una ripresa dei mercati ci spinge verso l'ottimismo. L’azienda dalla fornitura di materie prime per edilizia, negli anni ha allargato il raggio ad altri segmenti di mercato, quali l’utensileria, il bricolage e l’abbigliamento da lavoro». Nel 2011, la vostra parola d’ordine è stata diversificazione dell’offerta. Come si è concretizzato in termini di fatturato questo obiettivo? E per il 2012 il trend si pone in linea ai risultati del 2011? «Il nostro settore ha subito un

Bruno Sansone, titolare di Edilcamaldoli Sansone Srl di Napoli www.grupposansone.com


Bruno Sansone

calo del 30 per cento di fatturato, e diversificare è stata la nostra arma per affrontare la crisi. Ad esempio attraverso la vendita online abbiamo ricevuto enormi riscontri su tutto il territorio nazionale. Inoltre attraverso un grande investimento abbiamo avuto l’opportunità di effettuare ampliamenti consistenti, consentendo in tal modo all’utenza di poter disporre di una vastissima gamma di prodotti delle migliori marche, a prezzi competitivi. Continuando con tali investimenti siamo sicuri che anche per il 2012 e per il 2013, potremo mantenere un trend costante, se non addirittura in crescita». Quali prodotti rappresentano la strada per il 2012? «Oggi si pone sempre più il problema dei prodotti ecologici a salvaguardia della salute, e di conseguenza la bio-edilizia e il riciclo dei materiali rappre-

L’iniziativa, “Speciale Emilia” propone per i residenti delle aree terremotate, casette di legno a uso abitativo definitivo a prezzi agevolati

sentano la strada da prendere nella direzione del futuro». Approfondiamo l’iniziativa legata alle case in legno, con agevolazioni alle popolazioni colpite dal terremoto. In cosa consiste e quanto durerà? «Le case in legno fanno parte del progetto bio-edile cui la nostra azienda punta. Oggi siamo produttori in Romania e importatori verso i nostri mercati. Abbiamo un referente che pro-

muove questo tipo di prodotto su tutto il territorio nazionale, e siamo sicuri che a breve avremo riscontri positivi. L'iniziativa, che nel nostro sito abbiamo chiamato “Speciale Emilia”, è rivolta a privati e aziende residenti nei comuni terremotati. Lanciata a inizio settembre, sarà valida per tutto il 2013 e oltre alle case in legno a prezzi decisamente bassi, propone anche notevoli sconti sui materiali edili». Quali sono le prospettive per il 2013? «Crediamo che il 2013 sarà ancora un anno di transizione, ma speriamo che verso la fine dell’anno citato, s’incominci a intravedere la ripresa dei mercati e, dunque, l’uscita dalla crisi. Per quanto concerne il nostro business, intendiamo mantenere inalterata la struttura in modo da offrire ai clienti in sede e all'utenza online, un’assistenza e un supporto tecnico sempre più qualificati».

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EDILIZIA

L’edilizia tra versatilità e diversificazione Il ruolo sul mercato, i materiali da lavorare, i prodotti da presentare e la clientela a cui rivolgersi sono gli elementi da diversificare per rendere l’attività edile più competitiva e agguerrita. L’esperienza di Maurizio Inzani Emanuela Caruso ersatilità e diversificazione. Sono questi gli elementi che oggi permettono alle imprese dei vari comparti dell’edilizia di rimanere a galla e mantenere una buona posizione di mercato nonostante la crisi economica. Due peculiarità che non comprendono solo un’organizzazione dinamica e flessibile, capace di stare al passo con i cambiamenti del mercato, e una grande varietà di campi in cui operare e specializzare l’azienda, ma che rendono fondamentale anche l’aver creato negli anni un bacino d’utenza ampio ed eterogeneo, così da garantire commesse continue e sempre diverse. Sono proprio questi i meccanismi organizzativi, gestionali ed economici ben chiari all’impresa Piacenza Pannelli,

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La Piacenza Pannelli ha sede a San Giorgio Piacentino (PC) www.piacenzapannelli.it

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che da nove anni si occupa di materiali e sistemi per l’isolamento termico e acustico e componenti per allestimenti civili, industriali e architettonici. «Sin dall’inizio della nostra attività – spiega Maurizio Inzani, legale rappresentante della Piacenza Pannelli – abbiamo cercato di diversificare il nostro lavoro, i nostri ambiti operativi e la clientela. Oggi siamo quindi specializzati nella consulenza agli utenti, nella commercializzazione dei materiali e nella loro messa in opera definitiva. Gli ambiti lavorativi in cui facciamo sentire la nostra presenza sono quelli delle coperture industriali e abitative, della refrigerazione industriale, delle facciate architettoniche, della compartimentazione di ambienti per la resistenza al fuoco, dello smaltimento eter-

nit, e della messa in opera di coperture destinate a ricevere moduli fotovoltaici. Non finisce qui, però, perché alla vasta gamma di produzioni in pannello coibentato, affianchiamo anche un insieme di prodotti complementari e accessori, tra i quali lastre di policarbonato e lattonerie». E grande importanza è stata data poi alla tipologia di utenti a cui potersi rivolgere, tanto che la Piacenza Pannelli gode di diversi clienti a seconda del ruolo che deve ricoprire nelle commesse ricevute. «Come agenzia – continua il signor Inzani – ci rivolgiamo al mercato delle costruzioni industriali, zootecniche e civili, a cui ofriamo preventivi e specifiche tecniche; nel ruolo di distributore, abbiamo invece a che fare con il settore della serramentistica, con i fabbri e i privati; infine nella funzione di installatore, ci occupiamo della realizzazione di tetti civili e industriali, celle frigorifere e insonorizzazioni». La Piacenza Pannelli, nata dalla volontà di due tecnici e un agente di commercio, usciti dall’azienda Sis.Co, di affiancare i


Maurizio Inzani

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Tutti i nostri lavori richiedono uno studio preventivo legato sia alla parte strutturale sia alla progettazione degli elementi in lattoneria dei nostri prodotti

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grandi produttori al fine di rendere più gestibile la piccola distribuzione e la presenza sul mercato nelle zone adiacenti, ha saputo selezionare con cura le proprie aziende partner. «Abbiamo scelto i nostri partner in base all’ottimo rapporto qualità - prezzo dei loro prodotti, all’elasticità della loro attività e alla competenza tecnica dimostrata. Per il comparto dei pannelli termoisolanti, collaboriamo con la Silex di Cesena, caratterizzata da una grande voglia di crescere e innovare il settore e dalla ricerca continua della massima efficienza tecnica degli articoli; mentre per il

ramo delle lamiere grecate, ci siamo rivolti alla Sandrini Metalli di Costa Volpino (BG), dotata di enormi capacità produttive, di una vastissima tipologia di prodotti e materiali e di una grande disponibilità nel valutare e studiare le soluzioni più adatte a soddisfare le necessità e le richieste della clientela». Grazie a queste oculate strategie, ad attrezzature sempre aggiornate e a una buona autonomia operativa, la società Piacenza Pannelli è riuscita a crescere nonostante le difficoltà del mercato e dell’attuale periodo economico, conquistando così importanti cantieri sia a livello

pubblico che privato. E per il futuro si aspettano ancora grandi cose. «Come prospettiva per l’immediato futuro – conclude il socio di Inzani, Silvano Magnani – ci siamo prefissati l’obiettivo di creare un comparto produttivo, da affiancare alle attuali lavorazioni, dedicato alla trasformazione dei prodotti della nostra gamma e alla costruzione di casette da giardino, garage e box insonorizzati. Così facendo diversificheremo ancora di più la nostra attività e saremo in grado di acquisire nuova clientela e nuove porzioni di mercato». EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 179


EDILIZIA

Edifici antisismici e in alta classe energetica Non solo hanno rappresentato due tra le più grandi rivoluzioni del settore edile, ma le strutture antisismiche e l’attenzione al risparmio energetico continuano a essere i requisiti costruttivi più richiesti. Il commento di Mauro Mora Emanuela Caruso

e per molte regioni italiane l’edilizia antisismica è sempre stata messa in opera con rigore, per l’Emilia Romagna, ritenuta territorio a basso, se non nullo, impatto sismico, ha assunto un nuovo valore dopo il terremoto che tra la fine di maggio e l’inizio di giugno ha inflitto un durissimo colpo alle province di Modena, Ferrara, Reggio Emilia e Mantova. Nonostante il morale a terra della popolazione, la ricostruzione dei paesi e delle città più col-

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In foto, Sonia Baiocchi e Mauro Mora, amministratore unico dell’omonima società con sede a Sorbolo (PR) - www.impresamoraparma.it

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pite è già partita e la rincorsa alla realizzazione di strutture ed edifici a prova di terremoto ha preso più slancio che mai. Viene allora da chiedersi: “Cosa significa e come si fa a mettere in opera una struttura antisismica?”. Come spiega Mauro Mora, amministratore unico dell’impresa Mora, sita nella provincia di Parma e attiva sul mercato edile nel settore immobiliare civile, artigianale, industriale e commerciale, «per una società di costruzioni “fare” l’antisismica vuol dire seguire alla lettera quanto indicato dai tecnici preposti al calcolo dei ferri e del cemento armato e affidare i lavori a fornitori e carpentieri fidati e qualificati. Gli edifici da ristrutturare in termini di resistenza sismica si ottimizzano con la messa in sicurezza iniziale, una serie di operazioni alquanto delicate studiate da seri ingegneri, e con interventi sulle capacità di tenuta al sisma, sviluppati dopo aver rilevato le parti deboli o sensibili dei fabbricati».

L’attenzione rivolta alle prestazioni antisismiche degli edifici è uno dei più grandi cambiamenti del settore edile. Dal 1988, anno di inizio della vostra attività, quali altri mutamenti hanno caratterizzato l’edilizia? «Sicuramente, un’evoluzione importante del settore è stata la nuova sensibilità verso i costi sempre maggiori dell’erogazione di gas, acqua ed energia elettrica, che hanno portato sia le aziende che i clienti a cercare impianti e prodotti per contenere la dispersione energetica. La nostra azienda si è dimostrata da subito al passo coi tempi e ha fatto dell’attenzione all’ambiente e dell’ecosostenibilità caratteristiche peculiari delle proprie costruzioni». Nello specifico, come trova attuazione il risparmio energetico nelle opere edili realizzate dall’Impresa Mora? «Tutti gli edifici che costruiamo rientrano nelle classi energetiche più elevate, ciò significa che sono dotati di ricambi d’aria automatici


Mauro Mora

con recuperi di calore, pannelli solari e fotovoltaici, caldaie a condensazione, addolcitore delle acque potabili e pompe di calore ibride, impiegate sia per il riscaldamento e il raffrescamento degli ambienti sia per la produzione di acqua calda sanitaria. A tutto questo si aggiunge l’insonorizzazione ottimale e la cura della salubrità dell’ambiente». L’Impresa Mora si impegna anche per far ottenere al cliente finale i contributi e le agevolazioni in corso durante la costruzione, in particolare i contributi Gse. In che cosa consistono? «I contributi Gse sono incentivi statali erogati per un ventennio a coloro che possiedono impianti fotovoltaici e che hanno fatto preventiva

e regolare richiesta al Gestore Statale di Energia. Gli impianti in questione devono inoltre essere stati realizzati e installati secondo caratteristiche e indicazioni impartite dal gestore stesso. Gli incentivi Gse hanno l’obiettivo di far conoscere questi nuovi impianti a energia pulita, ancora molto costosi, a quante più persone possibili, perché solo provandolo con mano ci si può rendere conto degli effettivi benefici che apporta e produce, ovvero un risparmio consistente sulla spesa di energia elettrica e la possibilità di riscaldare e rinfrescare la casa con pompe di calore ibride». Quali manufatti costruttivi vanno per la maggiore sul mercato odierno? «Attualmente, sul nostro ter-

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In termini di resistenza sismica, gli edifici si ottimizzano con la messa in sicurezza iniziale e con interventi sulle capacità di tenuta

ritorio sono molto richieste ville mono o bi-familiari di dimensioni contenute, apprezzate soprattutto se fornite di tetti in legno, pavimenti riscaldati, pannelli solari, ricambi d’aria, impianti di aspirazione delle polveri presenti in ogni stanza e, più in generale, se realizzate con materiali naturali. Abbiamo seguito ciascuno di questi criteri durante la realizzazione di una delle nostre ultime opere, la “Bi-familiare Coccinella”, una villetta che con armoniosa semplicità esteriore e comodità di spazi interni è dotata di doppi livelli abitativi a vista».

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EDILIZIA

Criticità da risolvere per l’edilizia in regione e un imprenditore agricolo intende investire nell’acquisto di terreni per l’ampliamento della propria azienda, dovrà pagare un’imposta di registro agevolata dell’1 per cento. Se è, invece, un imprenditore edile a voler investire e acquistare immobili, per sviluppare la propria attività, allora dovrà versare un’imposta di registro, ipotecaria e catastale, variabile dal 6 per cento all’11 per cento o l’Iva dal 10 al 21 per cento. Per non parlare poi della elevata fiscalità generale in edilizia. E questo è solo uno dei tanti fattori che penalizzano la ripresa e l’evoluzione del settore edile italiano, e in particolare del comparto emiliano-romagnolo e ferrarese. A

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Ezio Donegatti della Bassi Costruzioni di Occhiobello (RO). Nelle altre immagini, alcuni progetti immobiliari e di ristrutturazione www.bassicostruzionisrl.it

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«Risolvere il lato economico e finanziario dell’attuale comparto edile è il primissimo passo da compiere per far rinascere l’edilizia emiliano-romagnola». L’ingegner Ezio Donegatti analizza i problemi edili italiani e le ultime tendenze del mercato Emanuela Caruso

descriverci la situazione è l’ingegnere Ezio Donegatti della Bassi Costruzioni di Occhiobello, che da anni si occupa di ristrutturazione e restauro degli immobili sottoposti a vincolo della Soprintendenza dei Beni Architettonici e Paesaggistici di Ravenna situati all’interno del Centro Storico di Ferrara. «In Italia– commenta Ezio Donegatti – il fatturato del settore delle costruzioni si è ridotto ormai del 30 per cento, sono andati persi circa 500mila posti di lavoro, hanno chiuso 40mila imprese e l’erogazione dei nuovi mutui è scesa del 50 per cento. Dati piuttosto allarmanti per la zona in cui noi operiamo e che si aggravano se pensiamo che a Ferrara le vendite si sono pressoché azzerate». Com’è possibile uscire da questo periodo di empasse per l’edilizia italiana? «È necessario risolvere in primis la questione finanziaria, ovvero immettere denaro nel circuito

della cantieristica edile. Bisogna consentire l’acquisto di immobili nuovi o ristrutturati con una fiscalità ridotta o azzerata, soprattutto per i giovani, così come, sempre per i più giovani, è urgente facilitare l’accesso al mutuo, con garanzie fornite dallo Stato o dalle Regioni; e ancora il mercato edile necessita dell’eliminazione dell’Imu sul patrimonio immobiliare delle imprese, rimasto invenduto a causa della crisi economica. Infine, credo che sarebbe importante abbattere le imposte applicate all’atto di acquisto dell’immobile da ristrutturare, poiché ciò permetterebbe l’incentivazione del recupero del patrimonio edilizio esistente». Restauro conservativo, ristrutturazioni di pregio, immobili residenziali, commerciali e nuove costruzioni. Tra le tante attività della Bassi Costruzioni, quale rappresenta al momento il vostro core business?


Ezio Donegatti

IMMOBILI

11% È L’IMPOSTA DI REGISTRO CHE UN IMPRENDITORE EDILE DEVE PAGARE PER L’ACQUISTO DI UN IMMOBILE

«Da alcuni anni a questa parte il nostro core business è rappresentato dal restauro conservativo e dalla ristrutturazione di immobili di pregio con vincolo storico-artistico. Veniamo però incaritati molto spesso anche dello studio di opere di ingegneria particolarmente complesse e della direzione tecnica dei relativi cantieri». Quali sono state le principali evoluzioni vissute dall’attività della Bassi Costruzioni?

«L’evoluzione più importante per la nostra realtà è stata quella che ci ha visto passare alla gestione dell’intero processo realizzativo e quindi al project management. Oggi, l’attività dell’impresa parte dalla fase di progettazione, continua con la ricerca del miglior artigiano per ogni singola lavorazione e del miglior fornitore per ogni singolo materiale e componente, passa per la formazione e la gestione dei contratti, e si conclude con la direzione quotidiana dei lavori e dei cantieri. In questo modo siamo sicuri di poter controllare e assicurare il rispetto di tempi, costi e qualità del prodotto edilizio finale». Come viene tradotto oggi il concetto di “qualità dell’abitare”? «Attualmente, le richieste della clientela e del mercato si rivolgono in particolare verso due direzioni della “qualità dell’abitare”: l’esterno e l’interno. Per quanto riguarda l’esterno, vengono richiesti immobili ubicati in un contesto urbano di pregio,

consolidato nel tempo e gradevole, dotato di tutti i servizi, ben areato e immerso nel verde, o quantomeno vicino a aree verdi. Quando si riferiscono alla parte interna di un edificio, invece, i clienti desiderano che l’immobile provenga da una ristrutturazione profonda e che siano state utilizzate le più recenti tecniche per il consolidamento e il restauro edile e strutturale, in particolare quelle per la resistenza sismica, che siano stati impiegati materiali appartenenti alla bioedilizia, così come impianti d’ultima generazione, volti a massimizzare il risparmio energetico». EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 183


Edilizia in ginocchio, Parma si rialza Nella città colpita dagli scandali, anche immobiliari, il settore reagisce, non smette di sperare e di concepire nuovi progetti. Subito messi in pratica. La testimonianza di Andreina Ferrari, titolare dell’omonima impresa di costruzioni di Parma Renato Ferretti

La Ferrari Spa ha sede a Parma www.impresaferrari.com

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utti gli ultimi bilanci portano il segno meno, tutte le previsioni sono contro. Il mercato immobiliare è arenato da mesi e negli ultimi anni si sono persi 400 mila posti di lavoro, con una morìa di imprese senza precedenti. Nessuna novità dunque per il prossimo autunno, in cui il settore dovrebbe continuare senza l’ombra di finanziamenti pubblici e una disponibilità di credito invariata da parte delle banche. Andreina Ferrari, dell’omonima ditta di costruzioni con sede a Parma, fa il punto sulla situazione del comparto e prima di tutto proprio contro le banche punta il dito. «Il cosidetto credit crunch – dice la Ferrari –, lo possiamo toccare con mano: tutte le banche

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hanno delle line molto restrittive nei confronti dell’edilizia perché viene considerato un settore a rischio. Non finanziano, o lo fanno pochissimo e a condizioni difficili. Diciamo che se la situazione è così complessa è anche a causa degli istituti di credito. Basti pensare ai finanziamenti da parte della Bce che invece hanno reinvestito in titoli, pagando il prestito all’1 per cento e prendendo i titoli al 4 per cento. Insomma secondo me hanno speculato molto. Non ci stanno aiutando, al massimo ci mettono i bastoni tra le ruote». A partire dall’esperienza diretta della Ferrari però si traggono conclusioni meno pessimiste di quanto gli analisti finora hanno prospettato. «Nel nostro campo il fatturato cambia molto di anno in anno, per-


Andreina Ferrari

Stiamo realizzando, insieme ad altre aziende, un grande quartiere che è tra via Budellungo e strada Santa Margherita

ché si avvicendano gli anni in cui si costruisce a quelli in cui si vende. Il 2011 rientra nella media e devo dire che considerando l’andamento generale non mi posso lamentare. Certo il primo semestre di quest’anno è stato duro. Secondo me un altro grande problema del periodo è l’aumento della pressione fiscale: l’Imu e da una parte e l’Iva dall’altra hanno contribuito al calo delle vendite». E dopo gli anni dell’Amministrazione Vignali, in cui si è costruito e tanto, ora la Ferrari non può che constatare un’inflazione del mondo edilizio parmigiano. «L’offerta è molto più alta della domanda, anche per questo abbiamo venduto poco. Noi di appalti pubblici non ne abbiamo presi, quindi non siamo toccati dalle insolvenze che sta affrontando il Comune adesso. Di problemi in quanto azienda edile con la scorsa Amministrazione non ne abbiamo avuti, anzi. Dal mio punto di vista si sono date anche troppe concessioni a costruire». Una strategia vera e propria per

invertire la marcia non c’è, ma la determinazione non manca e anche qualche spiraglio di opportunità. «Abbiamo partecipato a dei bandi regionali per sovvenzioni anche a fondo perduto, ai quali abbiamo avuto accesso. Questa è stata una buona strada: abbiamo potuto trasferire le agevolazioni ai clienti abbattendo i prezzi. Sono finanziamenti erogati a favore delle giovani coppie e dei nuclei famigliari monogenitoriali, insomma i soggetti più deboli in generale. È un’opportunità per contenere i costi per i clienti». La luce in fondo al tunnel si intravede, e tutto sommato, nonostante la brutta situazione territoriale, il settore edile a Parma continua a lavorare. Come succede per il nuovo quartiere che sta nascendo alla prima periferia sud-est della città. «Adesso stiamo facendo, insieme ad altre aziende, un grande quartiere che è tra via Budellungo e strada Santa Margherita. Ogni impresa ha i propri lotti, ovviamente, ma le

opere di urbanizzazione le abbiamo fatte insieme. È un quartiere molto grande con abitazioni, uffici e un centro commerciale di dimensioni considerevoli. Una cosa impegnativa. Dovrebbero esserci circa 300 alloggi, quindi sulle 1000 persone. Anche in questo caso noi non costruiamo degli appartamenti da 150 mq: il target sono comunque le giovani coppie che hanno bisogno di piccoli appartamenti. Per fare una rapida stima potrei dire che su 20 appartamenti ci vengono richiesti 14 trilocali, quattro bilocali e un paio di appartamenti grandi. Tutti rigorosamente collegati al teleriscaldamento, e le nuove palazzine hanno impianti fotovoltaici. Neanche a dirlo seguiamo le nuove normative sulla termoacustica quindi con dei pacchetti per le pareti, costruiamo in classe B e quindi anche i serramenti dei vetri sono particolari e i clienti lo richiedono. Tutto questo dà valore all’immobile».

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Una progettazione energeticamente sostenibile Il futuro passa sempre più per le tematiche ecologiche e la progettazione edilizia è la prima ad accoglierle. Paolo Genta fa il punto su riqualificazioni energetiche e nuove costruzioni che rispettano ambiente e territorio Roberta De Tomi

n piano di sviluppo ben strutturato e l’incarico di realizzare il progetto definitivo dell’Expo Centre a Milano. Cairepro (“Cooperativa architetti e ingegneri”) società di Reggio Emilia nata nel 1947 come “Studio cooperativo di costruzioni civili”, proponendosi come prima realtà del genere in Italia, ha le idee chiare, malgrado un calo del fatturato, connaturato alla crisi, che ha investito in maniera ancora più consistente i settori di competenza. «Nonostante le difficoltà – spiega il presidente, l’inge-

U Sopra, passeggiata a mare presso Albisola Superiore (SV). Nella pagina a fianco, sede Unipol di Reggio Emilia e, sotto, soci attuali della Cairepro di Reggio Emilia www.cairepro.it

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gnere Paolo Genta – il nostro business ha “tenuto”, con una riduzione di fatturato limitata al 10 per cento, passando nel 2011 a circa 2,5 milioni, contro i 2,8 milioni del 2010». A favorire il contenimento della contrazione di fatturato è sicuramente la tipologia di committenza. «Rispetto alle nostre committenze – continua il nostro interlocutore – si può parlare di un 75 per cento di opere pubbliche e un 25 per cento di privati. Il fatto di essere legati più al pubblico che al privato e comunque di avere avuto una quota di lavoro poco significativa nel campo dell’immobiliare ci ha

consentito di contenere gli effetti della crisi. D’altro canto, in questi ultimi anni, l’avere aperto un settore che si occupa di progettazioni legate all’energy management ci ha consentito di compensare il calo dovuto alla crisi dell’edilizia “tradizionale”». Numerosi i progetti in curriculum. «Tra i lavori – rileva l’ingegnere – potrei citare la nuova centrale di trigenerazione da 4MW dell’ospedale regionale di Ancona, ora in via di completamento; la riqualificazione energetica dell’ospedale S. Orsola di Bologna; il progetto del Trattamento Meccanico Biologico della provincia di


Paolo Genta

Reggio Emilia; uno stabilimento industriale a Budrio. Venendo invece ai giorni nostri, abbiamo il progetto definitivo dell’Expo Centre per Expo 2015 a Milano, che comprende: l’auditorium, il centro servizi e un’open plaza che verranno realizzati sulla base del progetto preliminare dell’architetto Mariani e su incarico di MM Spa. Questo, tra i tanti, è per noi attualmente l’incarico più importante, sia relativamente al prestigio, sia perché costituisce un notevole banco di prova». Progettazioni in cui ambiente e risparmio energico «fanno parte del nostro dna – precisa Genta – La cosiddetta “progettazione integrale e coordinata” è da sempre la prima componente della progettazione energeticamente e ambientalmente sostenibile, e le professionalità interne alla nostra realtà sono tutte formate su questi temi. Non a caso, alcuni di noi – me compreso –

IL FATTURATO

2,5 mln RISULTATO RAGGIUNTO DALLA COOPERATIVA CAIREPRO ALLA CHIUSURA DEL BILANCIO 2011

sono certificatori energetici per i più usuali sistemi di certificazione nazionali». E se il futuro passa sempre più per le tematiche ecologiche, quello della cooperativa si struttura per obiettivi precisi, a partire dalla penetrazione in nuovi mercati. «A oggi operiamo prevalentemente nel territorio italiano – afferma il presidente – in particolare nelle aree Centro Nord. Per quanto riguarda l’estero, negli anni passati abbiamo avuto alcune esperienze, un po’ a spot, se vogliamo, ma su questo argomento, che riteniamo strategico per la sopravvivenza e l’espansione del no-

stro business, stiamo avviando una fase di programmazione e sviluppo che dovrebbe portarci a una maggiore presenza nei mercati emergenti. Accanto a questo, relativamente al piano qui sopracitato, abbiamo altri due temi: Cairelab, un laboratorio “per le nuove idee” che dia spazio ai giovani e che dia ai giovani la concretezza cha la nostra esperienza ci consente di mettere a disposizione; Cairenet, la rete dei nostri professional partner, per consolidare le risorse esterne, più disparate, e una capillare presenza territoriale». EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 187


L’appalto integrato chiavi in mano È la formula con cui IAB, società operante soprattutto nella ristrutturazione di immobili, affronta la crisi dell’edilizia attraverso l’ottimizzazione delle risorse. Ne parla il presidente, Moreno Crivellari Roberta De Tomi

Moreno Crivellari, presidente della Iab di Granarolo Cadriano (BO) www.iabgroup.it

a profonda crisi che da alcuni anni sta interessando l’edilizia ha portato diverse aziende a puntare sulla diversificazione delle strategie. In particolare, IAB, società cooperativa di Granarolo Cadriano, si propone con “l’appalto integrato chiavi in mano”, che consente la realizzazione di un progetto, di ottimizzare le risorse garantendo in tal modo un più facile controllo del processo. Tale strategia rappresenta il

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consolidamento di un knowhow che in 18 anni di attività ha visto 500 interventi, tra ristrutturazioni e nuove costruzioni. Numeri che si traducono in un trend positivo, come confermato dal presidente, Moreno Crivellari. Come si sta muovendo IAB in una situazione di sofferenza per l’edilizia? «Rispetto al 2010, il fatturato 2011 ha avuto un significativo aumento grazie a diversi fattori: la patrimonializzazione della


Moreno Crivellari

❝ società, il know-how basato anche sul rispetto dell’ambiente e sul risparmio energetico, la qualità degli interventi realizzati». Quali sono gli ambiti d’azione di IAB e con quale committenza lavora? «La IAB lavora principalmente nelle ristrutturazioni e riqualificazioni di immobili a uso commerciale e industriale, lavori nei quali oltre alla componente edile è importante la realizzazione degli impianti elettrici, di riscaldamento e condizionamento. La nostra committenza è esclusivamente privata, poiché la formula con cui operiamo, “l’appalto integrato chiavi in mano “ solitamente non viene utilizzato dalla P.A. La nostra attività si sviluppa sull’intero il territorio nazionale». Quali sono i problemi connessi alla ristrutturazione di immobili? «La composita natura dei lavori da eseguire nelle ristrutturazioni richiede, sia in fase preliminare di progettazione, che in fase di esecuzione, l’attivarsi di differenti specializzazioni professionali e operative. I problemi che nascono da ciò sono generalmente di due ordini: la corri-

spondenza della progettazione alla realtà dell’intervento e la dispersione di tempo e risorse che genera l’attività di coordinamento di tante specializzazioni diverse. Tutto ciò spesso porta allo sforamento dei budget con l’emergere di varianti significative in corso d’opera e in tempi di intervento dilatati rispetto a quelli programmati. Abbiamo verificato che questi problemi sono inversamente proporzionali alle dimensioni economiche dell’intervento, ovvero a partire da una certa soglia quanto più l’importo si riduce tanto più i problemi aumentano». Alla luce di ciò, quali vantaggi comporta “l’appalto integrato chiavi in mano”? Ci può portare l’esempio di un vostro intervento? «Questa formula consente di ridurre il numero degli attori. Tale semplificazione porta il vantaggio di ottimizzare risorse, controllare puntualmente il processo di realizzazione e offrire certezze di costo e prodotto. Un esempio è stato l’intervento di ampliamento degli uffici esistenti della JAS Company, azienda italiana leader nel mondo nel settore della logi-

L’appalto integrato chiavi in mano consente di ridurre il numero degli attori con il vantaggio di una semplificazione

stica, a Scandicci. Qui è stata realizzata una struttura portante in legno lamellare poggiante su pilastri prefabbricati inseriti nel corpo fabbrica esistente, successiva esecuzione dei solai e di tutte le finiture necessarie compreso l’impiantistica elettrica e meccanica». Quali sono le prospettive poste nel contesto di un rilancio dell’edilizia in generale e come intende muoversi IAB? «Le prospettive in questione passeranno attraverso la riqualificazione e la riconversione funzionale del patrimonio edilizio esistente, evitando il proliferare di costruzioni in ambiti territoriali aperti, riservati ai soli casi in cui non sia possibile procedere al recupero del tessuto edificato. In questa prospettiva l’azione di IAB punterà a investimenti economici sul know how, brevetti su materiali e metodiche di intervento su immobili esistenti per migliorarne la fungibilità e a ridurne i costi di gestione energetici e manutentivi».

EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 189


EDILIZIA

Le basi di una buona pavimentazione Le innovazioni tecnico-esecutive del comparto delle costruzioni hanno migliorato anche le dinamiche operative sottese alle pavimentazioni industriali. A confermarlo, Andrea Manini che spiega: «una buona pavimentazione parte da una buona fondazione» Emanuela Caruso

Il dottor Andrea Manini, socio titolare dell’Aemme Srl Pavimentazioni Industriali. Nelle altre immagini, fasi di posa in opera - www.aemmepavimentazioni.it

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e pavimentazioni in calcestruzzo rappresentano strutture per la cui realizzazione non sempre vengono rispettati i criteri e le regole dell’arte delle costruzioni. Ma grazie al prezioso contributo delle associazioni, in primo luogo della Conpaviper, nell’ultimo decennio abbiamo comunque ottenuto una maggior attenzione e sensibilità verso l’argomento e anche una serie di norme tecniche di riferimento rivelatesi molto utili». A comprovare l’efficacia delle innovazioni tecnico-esecutive immesse nel comparto delle costruzioni, mettendo in opera la competenza acquisita in quasi vent’anni d’attività, Andrea Manini e i professionisti della Aemme, società specializzata in pavimentazioni industriali in calcestruzzo e resinose, migliorano continuamente le dinamiche operative che conducono a realizzazioni di qualità. «Per gettare le basi di una buona pavimentazione – spiega il dottor Manini, socio titolare dell’azienda – bisogna partire dalla massicciata di sottofondo, che deve avere un’adeguata portanza e planarità, così da garantire uniformità di spes-

sore. La rilevazione della portanza si effettua attraverso delle prove di carico con piastra, che insieme ai valori dei futuri carichi statici e dinamici consente la giusta scelta dello spessore, del tipo di armatura, della qualità del calcestruzzo e dello strato indurente». Di quali altri aspetti bisogna tener conto al fine di realizzare una buona pavimentazione? «In primo luogo il committente e il suo progettista devono avere la volontà di “investire sulla pavimentazione” con la consapevolezza che si tratta di un’opera costantemente e pesantemente sollecitata per un lungo periodo. Presa coscienza di questo ci si rivolge all’azienda specializzata con la quale studiare il giusto capitolato». Secondo lei, come si può evitare di imbattersi in aziende poco affidabili e quindi in pavimentazioni scadenti? «Il mio consiglio è quello di rivolgersi soltanto ad aziende con grande esperienza e con personale tecnico altamente qualificato, tralasciando qualsiasi tentazione di “fai da te” che all’inizio potrebbe sembrare economicamente vantaggioso,ma poi trasformarsi


Andrea Manini

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Per realizzare una buona pavimentazione è necessario curare la portanza e la planarità della fondazione, ma anche la posa dello strato indurente e i giunti

in una fonte di spiacevoli e irrimediabili problemi». Nel corso dei vent’anni di attività di Aemme, quali sono state le più importanti evoluzioni registrate dal settore delle pavimentazioni industriali a cui avete assistito o preso parte? «Nel corso di questi anni abbiamo assistito a tante innovazioni tecnico-esecutive; per esempio l’introduzione della macchina laser screed, l’impiego dei fibro rinforzati e l’utilizzo di calcestruzzi dedicati alle pavimentazioni industriali che consentono altresì l’esecuzione di lastre senza giunti. Un’altra interessantissima novità tecnica è quella che ha portato i giunti metallici sulle riprese di getto e ad isolare gli spiccati in elevazione».

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A quali settori e mercati fornite i vostri servizi? «La Aemme opera in molti settori merceologici, dalla meccanica all’alimentare, dalla chimica al commerciale, dalla logistica al tessile, e a tutti offre i mezzi, i materiali e l’esperienza per soddisfare le necessità di un moderno stabilimento, comprese quelle che richiedono il recupero di vecchie pavimentazioni, realizzato con materiali speciali di natura cementizia o resinosa quali i metacrilati, gli epossidici ed i poliuretanici. Siamo attivi e presenti in particolar modo nel Nord Italia, ma riceviamo interessanti commesse anche dal Sud Italia, dalla Francia, dalla Svizzera e dall’Ungheria».

A fronte della grave crisi economica che si è abbattuta su ogni comparto del mercato italiano ed estero, potrebbe fornire un resoconto sull’andamento del settore a cui si rivolge la vostra società? «Il mercato delle pavimentazioni, e più in generale l’intero settore dell’edilizia, è stato fortemente penalizzato dall’avversa congiuntura economica, tanto da registrare perdite sensibili di fatturato a partire dal 2008 in poi. Per le aziende il cui business è radicato quasi soltanto in Italia occorre prestare grande attenzione alla “bontà”, ovvero alla solvibilità, del bacino d’utenza, perché in una situazione di continua contrazione del fatturato non è tollerabile ritrovarsi di fronte ad altrettanti aumenti del livello di insolvenze». EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 191


Serramenti a regola d’arte Come combatte la recessione dell’edilizia un’impresa altamente specializzata? Puntando tutto sulla qualità. Cesare Scandellari, della Scandellari Infissi di Bologna, spiega le strategie aziendali Renato Ferretti

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alle ringhiere per scale, balconi e porte in ferro, alle realizzazioni su edifici storici. La Scandellari Infissi di Bologna è un esempio di come l’attenzione al rinnovamento tecnologico abbia portato negli anni a un miglioramento del prodotto tale anche da determinare il proprio target di riferimento. Una clientela qualificata, come il settore pubblico dei restauri, che, per quante soddisfazioni abbia potuto portare per il riconoscimento alla qualità del lavoro, oggi risulta però ancora più danneggiata degli altri attori nel

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già disastrato comparto edilizio. Com’è noto, infatti, le Pubbliche Amministrazioni hanno sempre meno possibilità di investire. «Negli ultimi due anni – ricorda Cesare Scandellari, presidente della società – i nostri rapporti con le Pa si sono molto attenuati. Ma il problema non consiste solo nella mancanza di appalti pubblici, dettata dalle politiche statali. Quei pochi presenti ora sono affollati da miriadi di aziende scarsamente qualificate. Il risultato è che spesso non riescono a giungere al termine dell’appalto. Per non parlare del patto di stabilità: i tempi di paga-


Cesare Scandellari

Contro la crisi, ci siamo rivolti ancora di più al mercato di nicchia, dove è necessaria un’elevata esperienza

mento sono diventati biblici». Per reagire alla situazione, la Scandellari ha affilato ulteriormente le proprie armi restringendo ancora di più il bacino del mercato. «Ci siamo rivolti ancora di più al mercato di nicchia delle costruzioni particolari, dove è necessaria un’elevata esperienza e una grande versatilità nell’offerta di soluzioni sempre più studiate e che rispettino i requisiti tecnici ed estetici del prodotto». Requisiti estetici che hanno portato all’eccellenza la ditta con lavori eseguiti, al tempo in cui era ancora possibile, su edifici storici come l’aula magna dell’università e la facoltà di Scienze della comunicazione a Bologna, la sede della Regione Veneto nel padovano o la facoltà di economia a Modena. «Ma il lavoro più difficile – dice Scandellari –, e anche quello di cui forse andiamo più orgogliosi, è stato il dipartimento di archeologia nel chiostro di San Giovanni in Monte a Bologna. In quel caso studiammo soluzioni molto particolari, dove l’impatto dei profili metallici doveva risultare ridottissimo.

Per evitare che l’insieme si appesantisse a livello estetico, realizzammo traverse con profili in vetro appositamente studiati per dividere la parte rettangolare dalla parte centinata». La società, dunque, ha deciso comunque di puntare tutto sull’alta competenza attestata dalle opere eseguite. «La nostra società – continua Scandellari – è tuttora chiamata per collaborare con studi tecnici del settore, al fine di ricercare soluzioni esteticamente e tecnicamente valide per il recupero di edifici di rilievo storico o artistico. Per questo motivo siamo dotati di tre stazioni Cad, dove vengono studiati e progettati i profili e le soluzioni richieste di volta in volta dai progettisti». L’esigenza che sembra esplosa negli ultimi tempi riguardo il risparmio energetico nell’edilizia non coglie di sorpresa la Scandellari. «È dalla crisi energetica degli anni 70 che la nostra produzione si orienta verso serramenti sempre più performanti per quanto riguarda l’isolamento termico e acustico, motivo per cui allora ci spostammo

sull’alluminio. Oggi ci occupiamo soprattutto di serramenti a taglio termico con elevato contenuto tecnologico, infatti trasformiamo i profili in alluminio per le maggiori multinazionali del settore». Per quanto attiene alle prospettive future Cesare Scandellari non si sbilancia. «La nostra è un’azienda dal respiro internazionale, non disdegniamo di lavorare anche in Paesi lontani come quelli africani. Ma guardiamo al futuro con grande prudenza e tenendo i piedi sempre per terra: è il controllo che ci ha fatto e ci fa andare avanti sempre per il verso giusto».

La società Scandellari Infissi ha sede a Bologna www.scandellari.it

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MATERIALI

Ceramiche italiane, il primato dell’export Dino Soccodato si dimostra certo del fatto che il made in Italy non conosce crisi e racconta come il settore della ceramica continua a investire su ricerca e nuove idee Renato Ferretti

a crisi? A mio parere può avere un effetto terapeutico, pulendo il mercato dai molti che lavorano male». Il punto di vista di Dino Soccodato, titolare della Comedil di Vignola, è orgogliosamente in controtendenza rispetto a molti imprenditori, che invece si vedono costretti a stringere i denti nonostante i deboli segnali di ripresa di questo primo semestre 2012. La sua Comedil risponde per-

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Dino Soccodato, titolare della Comedil di Vignola (Mo) www.comedil.it

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fettamente all’andamento generale del comparto, l’unica differenza sta delle prospettive positive riguardo all’immediato futuro: gli analisti vedono addensarsi nubi minacciose, mentre Soccodato è tutt’altro che intimorito. «Anche negli ultimi due anni – dice l’imprenditore -, la quota d’esportazione è oltre il 90 per cento. Possiamo registrare un incremento del fatturato del 9 per cento e per il 2012 la percentuale sarà sicuramente a due cifre. Questo grazie alla continua ricerca e innovazione di nuovi prodotti con alta componente tecnologica. Esempio formato 120x120 cm per 12 mm di spessore con assorbimento 0,03 per qualsiasi uso e consumo, interno ed esterno, pavimento e rivestimento». E se dovesse indicare una strategia di massima contro la recessione? «Per affrontare e superare la crisi, innanzitutto, è necessario che tutto lo staff sia consapevole che ognuno è un anello della catena e si è tanto forti quanto il più debole di

questi anelli. Solo se ognuno di noi dà il massimo, si riescono a superare le difficoltà che il mercato ci mette di fronte. Questo, in termini di utilizzazione delle risorse con il minimo spreco e dispersione, contenimento dei costi, per poter andare sul mercato con dei prezzi ancora accettabili». Secondo Lei da dove nasce il problema principale? «La crisi del comparto della ceramica deriva dal fatto che le amministrazioni locali hanno realizzato solo negli ultimi 3 o 4 anni quelle infrastrutture che sarebbero state necessarie già 25/30 anni fa. Con le problematiche e le barriere logistiche esistenti, i nostri concorrenti spagnoli, turchi e cinesi hanno avuto gioco più facile a introdursi sul nostro mercato principe che è quello europeo, dove la penalizzazione delle infrastrutture si fa sentire maggiormente, in termini di costi. Adesso qualcosa si muove, ma abbiamo già lasciato sul terreno morti e feriti, cioè un terzo delle aziende rispetto a


Dino Soccodato

15 anni fa. D'altra parte, i dati parlano chiaro: da 600 milioni di metri quadri prodotti in Italia si è passati a scarsi 400 milioni, a vantaggio delle aree emergenti». Strategie e analisi a parte, il dato forte rimane quello dell’export. Questo aspetto è dovuto solo al trend positivo del made in Italy? «La propensione verso l'estero è determinata anche dal fatto che ci sono delle regole commerciali e flussi di cassa abbastanza certi. Sappiamo quando i clienti esteri pagano. Nel mercato italiano, invece, siamo ormai a livello di giungla, dovuto anche a una mancanza di controllo da parte delle istituzioni. L'Europa ci costringe a seguire le regole, questa è la nostra speranza». Poco fa accennava agli in-

All’estero, dove le norme commerciali sono certe, i clienti pagano regolarmente. Il mercato italiano invece è ormai una giungla

vestimenti in innovazione e ricerca. «Seguendo il nostro spirito innovativo, anche al Cersaie di quest'anno, a fine settembre, saremo presenti con una nuove serie di 120x120 denominata New Way e un design innovativo formato 20x120 serie Tropical e un nuovo formato per noi, 45x90, denominata Timeless. Questi prodotti contengono nuove idee

di design contemporaneo e all'avanguardia sugli ultimissimi trend del design e gusto internazionali. Abbiamo utilizzato, a questo scopo, le ultimissime innovazioni del digitale e non solo. La nostra innovazione riguarda anche le decorazioni. Come per esempio la collezione “Mio bagno”. Dicasi altrettanto della gamma di mosaici e accessori della collezione “A marchio Murale”. Per quanto riguarda Cersaie bisogna dire che è l'evento numero uno al mondo. Essendo presenti lì si ha una platea di probabili acquirenti da ogni parte del mondo e noi siamo presenti a Cersaie da 25 edizioni, compresa quella a venire». Le prospettive per il futuro? «Per il futuro, è importante continuare a guardare avanti in termini di innovazione del prodotto, design e qualità, e migliorare il pur ottimo servizio che già forniamo alla nostra clientela». EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 197


TURISMO

Criticità e prospettive per il turismo d’affari Come ha influito la crisi economica sul settore del turismo aziendale e congressuale. Elena e Piero Prati presentano il quadro della situazione fra Emilia, Lombardia e Liguria. Bilancio, obiettivi e investimenti programmati per incrementare le presenze Manlio Teodoro

e difficoltà delle imprese stanno incidendo anche su un particolare filone dell’offerta alberghiera italiana, quella che si rivolge a un target di fascia business. L’undicesima edizione dell’Osservatorio sul business travel della rivista “Turismo d’affari”, basata su una ricerca condotta dal professor Andrea Guizzardi con il supporto scientifico e tecnico della Scuola superiore di scienze turistiche e il patrocinio del Dipartimento di scienze statistiche dell’Università di Bologna, rivela una

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Elena e Piero Prati, titolari del Grande Albergo Roma di Piacenza www.grandealbergoroma.it

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mobilità interna calata dello 0,7 per cento nel 2011, a fronte invece di un mercato europeo in ripresa (più 2,6 per cento) e di quello internazionale in netta crescita (più 9,3 per cento). «Questo decremento nella mobilità interna, naturalmente ha un suo riscontro nella diminuzione delle presenze negli alberghi che hanno l’uomo d’affari come utenza principale». A confermare che il settore naviga in acque incerte è Elena Prati, che gestisce, insieme al fratello Piero, il Grande Albergo Roma di Piacenza. «In generale – prosegue Elena Prati –, il settore alberghiero emiliano rispecchia purtroppo la crisi che affligge tutti i settori produttivi presenti nel nostro territorio. Per quanto riguarda Piacenza, città di snodo tra Emilia, Lombardia e Liguria, la crisi dell’alberghiero business va ricercata principalmente nelle difficoltà dell’industria e del commercio –

dato che Piacenza è una città prevalentemente legata alle attività produttive e commerciali piuttosto che al turismo». E aggiunge Piero Prati: «Se esiste una tendenza diversa per quanto riguarda l’estero e anche l’Europa, questo si spiega probabilmente anche con il fatto che negli ultimi anni le imprese italiane che hanno messo a bilancio risultati positivi, li hanno ottenuti soprattutto con l’export. Dunque, a quanto risulta dai dati dell’Osservatorio sul business travel, alla minore mobilità interna ha fatto da contraltare una maggiore


Elena e Piero Prati

La costante che si conferma da almeno un triennio è quella di un andamento altalenante del mercato

mobilità verso l’estero». In questo scenario, piuttosto che la crescita di fatturato, uno degli obiettivi degli operatori del settore è quello del pareggio di bilancio. «Nel 2011 – afferma Elena Prati – siamo riusciti a mantenere un andamento tutto sommato costante. Per quanto riguarda il 2012, i primi due mesi sono stati caratterizzati da una flessione sensibile nella domanda – il dato è da riferire allo stesso periodo dell’anno precedente. Tuttavia nei mesi successivi c’è stato un recupero parziale. Purtroppo l’unica costante che si con-

ferma da almeno un triennio è quella di un andamento altalenante del mercato». I target ai quali si rivolge il Grande Albergo Roma sono quello business e congressuale. Inoltre, grazie alla presenza del ristorante interno, “Piccolo Roma”, la struttura è attiva nella banchettistica e negli eventi. «L’80 per cento delle nostre presenze annue, che, trattandosi prevalentemente di turismo aziendale, sono concentrate soprattutto nel periodo primaverile e autunnale – dice Piero Prati –, sono rappresentate da persone che si muovono per ragioni di affari.

Una quota abbastanza importante per noi, poi, è quella del congressuale – per questo disponiamo di una sala congressi, posta al settimo piano del nostro hotel, che si apre su una terrazza panoramica. Purtroppo però anche su questa fascia di mercato ha pesato il contenimento delle spese operato dalle aziende nell’organizzazione di eventi. Il turista vero e proprio, poi, costituisce una percentuale molto bassa dei nostri ospiti ed è legata soprattutto a una piccola fascia di turismo culturale che visita Piacenza alla ricerca delle tracce della sua storia mille- EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 199


TURISMO

IL MEETING INCONTRA LA BUONA TAVOLA ltre che sul servizio di ospitalità, il Grande Albergo Roma di Piacenza ha puntato su una proposta enogastronomica di alto livello, che si rivolge sia agli ospiti dell’hotel, sia al pubblico e sia agli eventi congressuali e alle occasioni più eterogenee. All’interno dell’albergo infatti ospita il ristorante Piccolo Roma, la cui cucina è specializzata nel portare in tavola i sapori più autentici, i prodotti e i vini della tradizione emiliana. Il suo arredo elegante ne fa un ambiente ideale sia per le colazioni di lavoro che per gli incontri serali. Inoltre, i pranzi le cene per gli eventi congressuali, i banchetti, i ricevimenti e le cerimonie vengono serviti in una luminosa sala panoramica, posta al settimo piano dell’edificio e dalla quale è possibile ammirare il centro storico di Piacenza e i suoi monumenti principali. Questa sala – grazie alla sua struttura modulare e alla disponibilità di attrezzature tecnologiche: sistemi audio-video e connessioni wireless Adsl – è anche predisposta per ospitare presentazioni, convention di vendita e conferenze, permettendo la suddivisione dei partecipanti in gruppi di lavoro autonomi e varie soluzioni di allestimento in base all’occasione e all’evento.

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naria. Tuttavia la nostra città non è una delle tradizionali mete turistiche italiane, né per quanto riguarda la presenza straniera né per il turismo interno. Sicuramente però, negli ultimi anni, le istituzioni locali – in particolare la Provincia – hanno cercato mettere in campo azioni – come le recenti ristrutturazioni di monumenti e palazzi di rilevanza storica – e campagne di comunicazione volte a favorire una rivalutazione della città come polo di attrazione turistica. Quello su cui maggiormente si è puntato sono stati gli aspetti culturali ed enogastronomici del territorio». E aggiunge Elena Prati: «In effetti, sia Piacenza che l’area circostante si trovano in una po-

sizione geografica che potrebbe permettere uno sviluppo turistico di tipo tradizionale, dato che siamo attraversati dalla via Francigena e le nostre colline sono disseminate di castelli medievali e altri luoghi di interesse – palazzo Farnese, la galleria d’arte moderna “Ricci Oddi”. Non mancano nemmeno le bellezze naturali, con le valli del fiume Trebbia, del Nure, del Tidone. E poi c’è anche l’enogastronomia». Ed è proprio sui paesaggi che rendono Piacenza bella non solo da visitare, ma anche da guardare, che si affaccia la terrazza panoramica del settimo piano, da cui si può godere di una visuale capace di inglobare tanto il centro della città con i tetti


Elena e Piero Prati

della vecchia Piacenza, quanto le colline, i monti, e il verde che si stendono in lontananza. «Si è provveduto alla ristrutturazione della terrazza nel 1996 e oggi viene utilizzata sia come sala per le prime colazioni sia come spazio per banchetti, ricevimenti e meeting. Disponendo, infatti, di pareti modulari in grado di ritirarsi negli angoli della stanza e sparire, la terrazza può essere lasciata aperta, con una capienza di circa 250 persone, oppure divisa in più salette, tutte rese insonorizzate e oscurate». Come spiega ancora Elena Prati: «La terrazza è una soluzione particolare e apprezzata perché associa le esigenze tecniche degli eventi alla vista panoramica a 360 gradi

che, oltre a dare luminosità, la caratterizza inequivocabilmente. Inoltre nella sala è presente anche il bar dell’albergo, attivo dal pomeriggio fino a mezzanotte inoltrata di ogni giorno. Questa sala è particolarmente mirata a cerimonie, ricorrenze e banchetti di particolare effetto scenografico». In attesa di un concreto risveglio del turismo tradizionalmente inteso, le prospettive per il settore turistico piacentino restano legate all’andamento dell’economia locale e nazionale. Come spiega in conclusione Piero Prati: «Le prospettive per il medio periodo, purtroppo, sono incerte, dato che in assenza di una maggiore disponibilità a investire in incontri e meeting

da parte delle aziende è difficile prevedere un possibile aumento nel numero delle presenze. Tuttavia crediamo che questo momento di stasi possa essere sfruttato per investire sul futuro, tenendo sempre presente il denominatore qualità. Riteniamo, infatti, che in un mercato diventato così competitivo e in cui la domanda langue, l’unica carta da giocare sia il continuo mettersi in gioco, puntando sugli aggiornamenti tecnologici e strutturali e sulle risorse umane, per riuscire a soddisfare le esigenze di un ospite che in tempi di crisi si fa sempre più esigente e attento all’effettiva corrispondenza fra tariffa e prodotto/servizio offerto». EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 201


MOBILITÀ

I nodi critici del cambiamento Il progetto di chiusura del traffico veicolare del centro storico di Bologna, denominato T-Days, non ha risparmiato le polemiche dei commercianti. L’assessore cittadino Andrea Colombo afferma che si tratta di una misura ormai consolidata ma con margini di miglioramento Nicolò Mulas Marcello

l progetto di pedonalizzazione del centro storico bolognese da diversi mesi è diventato un appuntamento fisso per il weekend. Le tre arterie centrali della città, ovvero via Ugo Bassi, via Rizzoli e via Indipendenza, a partire dallo scorso maggio ogni fine settimana sono aperte esclusivamente a pedoni e biciclette. Per la realizzazione di questo progetto alcune delle abituali fermate degli autobus vengono soppresse, scelta che secondo i commercianti ha fatto diminuire l’affluenza di clienti in centro. «Siamo convinti – spiega Andrea Colombo, assessore alla mobilità e ai trasporti del Comune di Bologna – che, al di là delle polemiche, la stragrande maggioranza dei cittadini sia

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d’accordo con il provvedimento perché in questi mesi i bolognesi hanno riscoperto come può essere piacevole frequentare il centro storico senza caos, smog e rumore». Possiamo fare un bilancio del progetto T-Days fino a oggi? «Abbiamo sperimentato per la prima volta i T-Days ormai un anno fa ottenendo subito un gradimento diffuso in città. Pochi mesi dopo la Commissione europea ha premiato Bologna, prima città italiana a ottenere il riconoscimento, come capitale europea della mobilità sostenibile 2011, proprio grazie a questo progetto. Visti i risultati, dopo un percorso consultivo durato quattro mesi e che ha coinvolto associazioni di categoria e residenti,

abbiamo deciso di ripetere l’iniziativa tutti i fine settimana da maggio, introducendo però alcuni correttivi per affrontare i principali nodi critici emersi. Il bilancio è dunque positivo perché abbiamo intrapreso la strada del cambiamento, con un’attenzione ai problemi concreti che esso come sempre crea». La pedonalizzazione del centro nel weekend ha diviso i bolognesi tra chi approva e chi invece è contrario. Ci sono margini per una revisione del progetto? «Siamo convinti che la maggioranza dei cittadini sia d’accordo con il provvedimento, d’altra parte i T-Days erano espressamente previsti nel programma elettorale del sindaco, ed è dal 1984, data di


Andrea Colombo

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Abbiamo intrapreso la strada del cambiamento, con un’attenzione ai problemi concreti che esso come sempre crea

uno storico referendum per la limitazione del traffico in centro storico, che si attendeva una ventata di novità sul fronte di una mobilità più sostenibile e a misura di pedone e ciclista. Per questo oggi non siamo disponibili a fare passi indietro, mentre siamo interessatissimi a farne in avanti per migliorare il progetto ma senza stravolgere il valore aggiunto che ha creato». Per quanto riguarda il trasporto pubblico è stato modificato il progetto che vedeva alcuni autobus interrompere il proprio tragitto senza altri allacciamenti? «A seguito della pedonalizzazione sono stati modificati i percorsi degli autobus, che prima passavano tutti nella “T”, con un carico molto impegnativo per lo spazio ur-

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bano. All’inizio, com’è naturale, c’è stato un periodo di adattamento e di sperimentazione: oggi la gente si è per lo più abituata ai nuovi itinerari, mentre l’amministrazione, a seguito del monitoraggio del sistema, ha deciso di rafforzare il trasporto pubblico. Per questo da sabato 15 settembre nascerà una nuova navetta, ecologica e accessibile ai disabili. Si aggiunge alle altre navette già esistenti che collegano i parcheggi scambiatori col centro e servirà a ricongiungere le linee principali e a portare i cittadini agli ingressi dell’area pedonale. Sono allo studio altre pedonalizzazioni cittadine e iniziative che rendano i T-Days condivisi da tutti i cittadini?

«Dopo i T-Days, che sono ormai una misura strutturale consolidata, intendiamo aprire una fase 2 del piano di rigenerazione urbana, che in modo molto eloquente abbiamo chiamato “Di nuovo in centro”, per chiarire che l’obiettivo fondamentale è riportare bolognesi e turisti nel cuore della città. In autunno avvieremo laboratori partecipati nei quartieri, in cui progettare con i cittadini nuove aree pedonali in altre strade e piazze e condividere azioni di riqualificazione, arredo e cura dello spazio pubblico. Da parte nostra c’è, inoltre, piena disponibilità a lavorare insieme alle associazioni di categoria per progetti innovativi di valorizzazione del territorio in chiave commerciale e turistica».

Sopra, Andrea Colombo, assessore alla mobilità e ai trasporti del Comune di Bologna

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MOBILITÀ

Ai cittadini la possibilità di scelta «Occorre pensare città leggere, flessibili, magari anche contraddicendo secoli di rassicurante tradizione che vedevano nella città il sinonimo di permanenza, di eternità». Pierluigi Ghirardelli illustra le linee guida da seguire per una moderna urbanizzazione Nicolò Mulas Marcello al punto di vista tecnico la redazione di un piano urbanistico richiede una gamma vastissima di competenze, scientifiche e umanistiche, molte delle quali sembrerebbero a prima vista anche lontane da quelle strettamente legate all’architettura e alla progettazione urbana. «Il fenomeno urbano, o meglio l’ambiente come prodotto dell’essere dell’uomo sul pianeta – spiega Michele Ghirardelli, architetto e docente dell’Università di Ferrara – comprende sia l’assetto fisico (urbs) sia l’assetto sociale, economico, culturale (civitas), tanto è vero che ogni città è espressione di un luogo, di un tempo, di una società con tutti i suoi bisogni e desideri. A questo si aggiunge la dimensione temporale: le città sono frutto della stratificazione e modificazione. Soprattutto le città più antiche sono affascinanti proprio per questa loro capacità

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di ricostruirsi su sé stesse. Per questo, un piano deve essere innanzitutto aperto e flessibile, e non avere la pretesa di dare una soluzione definitiva». Qual è il segreto per un buon piano di mobilità? «Per quanto detto prima, non esiste un segreto, ma tanti segreti per le tante città. Esiste però un principio fondamentale: misura d’uomo vuol dire senz’altro riequilibrare il rapporto tra auto e pedone, che in molti casi ha schiacciato quest’ultimo. Edward T. Hall definì l’automobile come “la più grande divoratrice di spazio pubblico”. Lo squilibrio aveva raggiunto un tale livello, che sono state comprensibili anche alcune reazioni opposte, estremamente difensive, di “pedonalizzazione selvaggia”, mi si perdoni il termine. Quindi, gli altri tre ingredienti sono la gradualità (Copenhagen ha impiegato oltre quarant’anni per conseguire l’attuale eccellente status

di città a misura di pedone), la perfettibilità (i migliori piani sono stati quelli capaci di criticarsi e correggersi con un’azione ciclica in progress), la possibilità di scelta. Quest’ultimo aspetto è fondamentale: non sono i divieti a conseguire i risultati migliori, ma la convinzione logica degli utenti, che adotteranno i sistemi più virtuosi di spostamento solo se saranno persuasi che questi sono veramente i migliori e i più convenienti». Come è cambiata secondo lei la concezione di urbanistica negli anni? «Un passaggio fondamentale è stato l’allargamento della visione progettuale. Sino al dopoguerra l’urbanistica si occupava praticamente solo di città. È stato necessario subire i mali moderni dell’esplosione dimensionale (sprawl) e dell’aggressione al territorio, per capire che anche la periferia, e poi finalmente anche il territorio extraurbano, devono avere pari


Michele Ghirardelli

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Accettare la città che cambia e imparare dagli errori del passato è forse l’unica strada che ci rimane

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dignità all’occhio del pianificatore. Ecosistemi molto diversi, ma che vivono osmoticamente l’uno in funzione dell’altro. Un momento tra i più importanti è stato anche l’abbandono delle pretese demiurgiche, cioè di avere in tasca le soluzioni assolute e definitive. Accettare la città che cambia e imparare dagli errori è forse l’unica strada che ci rimane. Ovviamente ciò non significa desistenza o approssimazione nelle decisioni. Significa pensare città leggere, flessibili, magari anche contraddicendo, in modo consapevole e propositivo, secoli di rassicurante tradizione che vedevano nella città il sinonimo di permanenza, di eternità». Molte città stanno adottando piani di pedonalizzazione dei centri storici, di cosa occorre tener conto per effet-

tuare un buon piano di questo tipo? «Come dicevo prima occorre gradualità, flessibilità, misura d’uomo, possibilità di scelta, condivisione. Invece, oggi troviamo purtroppo significativi esempi di cosa non bisogna fare. Basti pensare alla recente introduzione della chiusura due giorni alla settimana dei due assi principali del centro storico di Bologna, chiamati Tdays, a cui abbiamo cercato di opporre, inascoltati, alcune delle considerazioni appena esposte. La chiusura alle auto è stata imposta in chiave assolutamente ideologica, come se questo fosse l’obiettivo finale. Invece, nell’ottica della qualità urbana, la pedonalizzazione è solo uno dei mezzi per fare poi qualcos’altro. A monte richiede, per riprendere la terminologia

iniziale, una preparazione della civitas (condivisione degli obiettivi) e un’attrezzatura dell’urbs (parcheggi, disponibilità di mobilità alternativa, ridefinizione del rapporto pubblicoprivato). Inoltre, cosa importantissima, prima, durante e dopo aver liberato lo spazio urbano dall’auto bisogna aver chiaro quali sono i nuovi significati che a esso vengono dati. Ultimo punto: questi nuovi significati per essere condivisi e sedimentati non possono comprimersi in provvedimenti ciclici e temporanei. In questo modo gli spazi, e anche i comportamenti, non potranno mai stabilizzarsi. Per questo si è parlato prima di gradualità e perfettibilità: una volta che si è sicuri dei mezzi e dei fini la pedonalità, se funziona, dovrà essere stabile».

Sopra, Michele Ghirardelli, architetto e docente di caratteri distributivi e morfologici degli edifici presso il Dipartimento di Architettura dell’Università di Ferrara

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MOBILITÀ

Un piano imperfetto I comitati cittadini si sono da tempo schierati contro il progetto T-Days chiedendo interventi per non impedire la circolazione dei mezzi pubblici nella zona “T”. Alessandra Girotti spiega come migliorare la pedonalizzazione del centro di Bologna Nicolò Mulas Marcello

econdo il comitato cittadino “Bologna Movet” le imperfezioni del piano di pedonalizzazione di Bologna, e in particolare dei T-Days, sono parecchie. Il difetto maggiore, a sentire Alessandra Girotti, presidente del comitato, è la mancanza della volontà di collaborare con la cittadinanza: «I cosiddetti incontri nei quartieri sono stati, a essere generosi, una presa in giro. Nessuna delle istanze presentate è stata discussa insieme, ci è solo stato detto che si prendeva atto di quanto alcuni cittadini avevano segnalato, ma nei fatti non c’è stata una sola modifica né un solo tavolo di confronto» ribadisce. Il movimento

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Sopra, Alessandra Girotti, presidente del comitato Bologna Mòvet

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“Bologna Movet” in particolare lamenta i disagi di cittadini e turisti a muoversi per la zona T: «Il provvedimento dei T-Days immobilizza completamente il centro perché la mancanza dei mezzi pubblici inibisce, di fatto, l’accesso a portatori di handicap e anziani – sottolinea Girotti – e toglie ai cittadini la voglia di raggiungere i negozi, mentre i residenti sono bloccati o all’interno o all’esterno della zona: questo, di fatto, rende il centro un deserto». Inoltre, a essere messa sotto accusa dai movimenti che si oppongono al provvedimento è la mancanza di infrastrutture adeguate in una città già non facile per alcune categorie e la mancanza di un

progetto più ampio. «In una città che ha ancora le strade dissestate, in cui non si riesce a realizzare un sistema di trasporto pubblico (mi riferisco da ultimo allo scandaloso Civis), che ha barriere insormontabili per anziani e portatori di handicap, si dovrebbe intervenire prima creando opportunità e strutture come parcheggi, stalli moto, trasporto pubblico efficiente, che è ciò che in sostanza si chiedeva nella nostra petizione». Avete raccolto 8.000 firme per fermare i T-Days. Quali sono i prossimi passi di Bologna Movet e degli altri comitati? «Abbiamo raccolto firme, e non intendiamo smettere, e soprat-


Alessandra Girotti

LA VOCE DEI COMMERCIANTI Ascom chiede al Comune di Bologna una revisione del modello di pedonalizzazione del weekend. Enrico Postacchini si schiera al fianco dei comitati cittadini e domanda all’amministrazione comunale più coesione sociale “Adesso ascolteteci” recitavano i cartelli di chi ha deciso di aderire all’appello lanciato da Ascom, Confesercenti e Forum dei comitati e delle associazioni. La mobilitazione dei commercianti e dei comitati contrari al progetto di pedonalizzazione del centro storico bolognese è partita a metà luglio da Piazza S. Stefano, dove circa 500 persone si sono ritrovate per fare sentire la propria voce contro il progetto T-Days. «Restituire il sabato ai commercianti – ha commentato Enrico Postacchini, presidente di Ascom – non è un

tutto, contrariamente ad altri comitati che sostengono questo piano, le firme sono e saranno sempre depositate, che è l'unico modo affinché possano avere un valore giuridico. Durante la manifestazione di Piazza S. Stefano uno dei comitati aderenti al Forum, che raggruppa residenti e proprietari, ha raccolto 600 firme perché questa pedonalità fa crollare prezzi di affitti e di vendita delle abitazioni e delle attività commerciali. Abbiamo manifestato e lo faremo ancora finché il sindaco e l’assessore non parleranno con noi, non siamo disposti ad accettare provvedimenti che mettono a rischio posti di lavoro e ledono

passo indietro, ma un passo avanti verso una vera coesione sociale e una riqualificazione condivisa del centro». Nell’attesa che le modifiche annunciate dall’amministrazione comunale portino i loro frutti, Postacchini continua a tuonare: «Dove sono quelle 12.500 persone che hanno firmato per i T-Days e che dovrebbero venire in centro a piedi o in bici? Se i bus prima portavano decine di migliaia di persone, pretendiamo che la pedonalizzazione dell’assessore Colombo ne porti altrettante».

diritti costituzionali, per cui stiamo percorrendo vie legali». In che modo secondo i comitati cittadini la pedonalizzazione potrebbe essere resa più razionale? «Le nostre proposte attengono a micro pedonalizzazioni a macchia di leopardo e a una graduale chiusura di piccole strade che realmente potrebbero trarre beneficio dalla pedonalità, invogliando i turisti a visitare quel meraviglioso museo diffuso che è il centro. Pedonalità è vivibilità, sicurezza, mobilità alternativa al mezzo privato. Ci devono essere interventi strutturali che rendano agevole l’accesso al centro e portino investimenti in

città. La pedonalizzazione è l’ennesima occasione che il governo di questa città sta buttando via». Alle associazioni come Ascom e Confesercenti cosa chiedete? «Alle associazioni di categoria chiediamo il sostegno che ci hanno dimostrato con la manifestazione di Piazza S. Stefano e chiediamo in generale unità e partecipazione, Bologna Movet ha aderito al Forum con grande convinzione e sostiene e sosterrà sempre che la tattica del “dividi et impera” non può e non deve funzionare in una città che ha una lunga tradizione di civismo e delle realtà associative vive e importanti». EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 207


PERCORSI D’ARTE

Bologna, museo diffuso “Genus Bononiae. Musei nella città” propone un percorso museale unico in tutta Europa, completato con l’apertura di Palazzo Pepoli, sede del Museo della storia di Bologna. Ne parla Fabio Roversi Monaco Eugenia Campo di Costa

ella città felsinea è stato creato un percorso culturale dislocato in otto edifici del centro storico, restaurati e recuperati all’uso pubblico. Nato per iniziativa del presidente della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna, Fabio Roversi Monaco, il progetto comprende la Biblioteca d’Arte e di Storia di San Giorgio in Poggiale, con un ricco patrimonio librario a partire dal 1500; San Colombano, con la collezione degli strumenti musicali antichi del Maestro Luigi Ferdinando Tagliavini; la Chiesa di Santa Cristina, ricca di opere d’arte e sede di concerti; Santa Maria della Vita, ove è collocato il Compianto sul Cristo Morto di Niccolò dell’Arca; Palazzo Fava, affrescato dai Carracci e centro interamente destinato

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a mostre; Casa Saraceni, sede della Fondazione Carisbo; San Michele in Bosco, belvedere affacciato su Bologna, ricco di opere d’arte e, infine, Palazzo Pepoli, un percorso museale e culturale dedicato alla storia, alla cultura e alle trasformazioni di Bologna, dalla Felsina etrusca fino ai giorni nostri. Professor Roversi Monaco, questo progetto ha fatto riscoprire ai bolognesi alcuni degli edifici più significativi della città. Quale il valore simbolico di questo “museo diffuso”? «L’obiettivo perseguito con Genus Bononiae mira anche a dare una nuova visibilità ad architetture meravigliose, principalmente chiese sconsacrate e palazzi, di cui la città, nei secoli, aveva smarrito la cognizione. Ad esempio, Palazzo Pepoli è sempre stato uno

splendido palazzo medievale del centro città ma cittadini e turisti non sapevano assolutamente come si caratterizzasse all’interno. È stato quindi reinventato, restaurato e allestito dall’architetto Mario Bellini, con un progetto grafico curato dall’architetto Italo Lupi, e rivelato alla città nella sua magnificenza. Lo stesso concetto ha guidato il restauro di tutte le altre architetture e, insieme a esse, è stato recuperato anche il concetto di “percorso”. Un percorso urbano che racconta la storia della città, si dispiega lungo le strade che diventano i corridoi dei musei tradizionali, e lungo i palazzi che diventano le singole sale, inserendosi nella struttura istituzionale e collegandosi ad altri musei, pinacoteche e realtà culturali della città». In che modo si potrà te-


Foto Paolo Righi

Fabio Roversi Monaco

nere alta l’attenzione di bolognesi e turisti su questo percorso museale? «Intanto il museo è differente da qualsiasi altro presente non solo in Italia, ma in tutta Europa. Al di là del concetto di “museo diffuso”, abbiamo deciso con questo progetto di rappresentare anche un modo nuovo di esporre e di raccontare la città, dinamico e innovativo, così che nessun visitatore possa dire “l’ho già visto, non ci tornerò più”. In quest’ottica intendiamo, in certi casi, ruotare le opere d’arte esposte: alcune parti rimarranno le stesse, altre invece avranno un aggiornamento programmatico in modo da offrire sempre esposizioni nuove e diverse. Credo che in questo modo, e organizzando anche di volta in volta mini mostre diverse in spazi appositi, si continuerà a tenere alta l’attenzione e si otterranno risultati notevoli». L’architetto Mario Bellini ha anche realizzato la “Torre

del tempo” in vetro e acciaio. Quali le peculiarità di questa struttura e come influisce sul percorso? «Tutti i restauri sono stati perfetti, quello di Bellini a mio parere è esemplare perché ha saputo far coabitare in assoluta armonia l’estrema modernità della torre in vetro e l’antichità del palazzo. La torre-ombrello di vetro e acciaio recupera e reinventa la corte interna del palazzo, che in questo modo riacquista dignità e funzione. Oltre a essere estremamente scenografica, la torre rende fluido l’intero percorso di visita, di cui proprio la torre e la corte diventano l’epicentro». Il Museo della storia di Bologna è innovativo anche dal punto di vista tecnologico. In questo senso, qual è il concept del museo e quali particolari tecnologie vengono sfruttate a sostegno dell’esposizione? «Il museo racconta l’intero arco della storia della città e dei suoi abitanti, a partire da-

gli Etruschi fino ai giorni nostri, proponendo una sequenza di nuclei espositivi costruiti intorno a episodi chiave, personaggi simbolici, aneddoti e temi trasversali. La presentazione di tali contenuti avviene mediante una combinazione di oggetti, immagini, elementi multimediali. Una delle caratteristiche peculiari del progetto è, infatti, l’aver realizzato in quasi ogni stanza una situazione di interattività tra il visitatore e la mostra. I rimandi alle altre realtà già esistenti in città, che vengono affiancate e non sostituite dal Museo della storia di Bologna, sono affidati a postazioni video dove vengono presentati i musei della città che hanno un nesso con un determinato tema. Insomma, Palazzo Pepoli, sotto ogni punto di vista, anche quello tecnologico, dà molto di più di un museo tradizionale e questo è proprio il motivo per cui io credo che continuerà ad avere successo».

Sopra, Fabio Roversi Monaco, presidente della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna. In apertura la biblioteca di San Giorgio in Poggiale

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PERCORSI D’ARTE

Una torre di luce illumina Bologna All’interno del grande progetto “Genius Bononiae”, che ha cambiato il volto della città, la torre in vetro e acciaio progettata da Mario Bellini è senz’altro uno degli elementi più interessanti di raccordo tra passato e futuro Elisa Fiocchi

a firma dell’architetto Mario Bellini sul restauro di Palazzo Pepoli nel centro storico di Bologna e l’apertura del Museo della storia. Sono stati gli ultimi atti del progetto “Genius Bononiae” che ha permesso di restituire alla città edifici storici di valore, trasformandoli in contenitori culturali. «Il destino dei palazzi, talvolta, è come quello degli uomini» racconta Bellini. «Rischiano di essere dimenticati e di precipitare in un degrado irreversibile, come poteva accadere per l’edificio bolognese che oggi torna invece a mostrarsi e mostrare la grande storia della città in modo del tutto nuovo e sorprendente». Nel linguaggio contemporaneo, l’atto di ristrutturare il tessuto urbano è un tema assai com-

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Sopra, la “Torre del tempo” e la sala “La città delle acque” all’interno del Museo di Storia di Bologna

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plesso e Bellini lo affronta come una delle principali sfide che attendono i moderni architetti. «Significa considerare come un’opera d’arte non solo i singoli edifici, ma anche insiemi significativi, e mettere in atto interventi per conservarne il carattere estetico come quando si restaura un affresco o un mosaico». Nel 2004 è iniziato il processo di trasformazione di Palazzo Pepoli a Bologna: quali sono state le priorità d’intervento? «Si è reso necessario un importante consolidamento strutturale che interessa gli archi gotici del piano terra, la totalità dei soffitti a volta portante, la messa in sicurezza della grande sala delle feste al piano nobile in precario equilibrio statico - e le coperture esterne. A seguire

comincia il recupero di tutte le sale del palazzo, liberandole dalle superfetazioni incongrue, integrando e restaurando i decori plastici e pittorici che si erano, anche se talvolta in piccola parte, fortunatamente tutti conservati. Da ultimo un deciso intervento architettonico: “una torre-ombrello di vetro e acciaio recupera e reinventa la corte che così riacquista dignità e funzione». Come si presenta al visitatore questa torre? «Come una lanterna magica inondata dall’alto di bianca luce naturale che via via scende e smaterializza in pura trasparenza. Quasi un’epifania che fa riflettere sull’imprevedibile scorrere del tempo, ma anche una scelta strategica che rende possibile e fluido l’intero percorso di visita, di cui pro-


Mario Bellini

prio la torre e la corte diventano l’epicentro». Come avviene all’interno del museo la separazione tra contenitore e contenuto? «Protagonisti dell’allestimento sono dei grandi contenitori che hanno il sapore di metafisici oggetti fuori scala di memoria dechirichiana, collocati nelle sale, secondo ritmi propri e geometrie altre rispetto a quelle delle sale stesse e della loro sequenza. All’interno di questi grandi volumi trasparenti, le opere esposte sono inquadrate da gabbie tridimensionali che individuano per ciascuna di esse uno spazio proprio, permettendone inoltre l’ottimale illuminazione, con tecnologia led miniaturizzata. Grandi pannelli retro-illuminati con immagini e testi, impaginati dalla grafica inconfondibile di Italo Lupi e posti anch’essi all’interno delle vetrine, trasformano la comunicazione grafica in uno spettacolo per gli occhi e la mente».

Attraverso quali scelte un intervento di ristrutturazione risulta una forma di architettura più sostenibile? «Un edificio, soprattutto un importante edificio, pubblico o privato che sia, al momento della sua ideazione e costruzione richiede un considerevole impegno creativo, tecnico e finanziario: l’impiego di caratteri architettonici significativi, di materiali e sistemi costruttivi consoni al suo status oltre che alla sua destinazione d’uso. Non si deve poi dimenticare la maestria del suo architetto nel mettersi in rapporto attivo con il paesaggio naturale e urbano, con il suo contesto insomma, generando un nuovo equilibrio di complessità e di valore di cui non si dovrebbe perdere la traccia preziosa. Si potrà quindi accettare di abbattere e ricostruire, solo quando e se il bilancio finale sarà veramente più conveniente, e non soltanto in termini economici s’intende. Considerando anche

lo smaltimento e il corretto riciclaggio di tutti i materiali, l’energia richiesta per la produzione dei nuovi, la perdita di una significativa testimonianza storica e l’eventuale danno al tessuto urbano circostante». La riqualificazione degli edifici, anziché la loro costruzione, rappresenta oggi la vera sfida degli architetti moderni? «Certamente sì. E ciò richiede una notevole capacità di reinterpretare la storia alla luce del nostro presente e con una chiara visione del futuro. Io mi ci sono sempre appassionato anche perché non ho mai amato avere “carta bianca” e tanto meno partire da una specie di tabula rasa. Considero le preesistenze, le trasformazioni, le integrazioni e persino la scarsità di mezzi come difficoltà tra le più stimolanti, come sfide spesso essenziali per raggiungere risultati più ricchi di complessità e opportunità anche per i cittadini».

Sopra, Mario Bellini, architetto e designer.

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RISPARMIO ENERGETICO

Diverse opportunità di risparmio energetico Gli impianti geotermici, il recupero di calore, i pannelli solari sono solo alcune soluzioni per ridurre l’impatto ambientale e permettere il risparmio energetico. Ne parla Stefania Pifferi Martina Carnesciali

a Pifferi impianti nasce e si sviluppa nella progettazione, realizzazione e manutenzione di impianti nel settore dell'idraulica industriale e civile, di allestimenti tecnologici e a risparmio energetico, di opere di lattoneria e impianti elettrici; possiede inoltre la certificazione Iso 9001:2008 come terzo responsabile per la conduzione e manutenzione di centrali termiche anche ad alta potenza. La titolare Stefania Pifferi tenta di districare i nodi più stretti e gli sviluppi del settore, dal risparmio energetico alla geotermia.

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Il risparmio energetico è alla base degli impianti da voi progettati e costruiti. Come avviene, nello specifico, il recupero del calore dai forni di produzioni industriali? «Il calore prodotto da forni di qualsiasi genere (ceramico, alimentare, terziario) può essere recuperato e, tramite uno scambiatore termico, canalizzato per riscaldare acqua e ambienti. Inserendo un assorbitore al bromuro di litio, sempre alimentato dal calore recuperato, si può avere anche acqua fredda per impianti di raffrescamento. L’as-

Stefania Pifferi, titolare della Pifferi Impianti di Spezzano di Fiorano (MO) - pifferi.impianti@gmail.com

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sorbitore, utilissimo strumento, è una macchina che con un particolare processo interno al bromuro di litio porta l’acqua in ingresso da 80-90 °C a 5 °C. Tutto questo senza utilizzare gas e con un minimo consumo elettrico, nel rispetto dell’ambiente». Come avviene, invece, il recupero dal sottosuolo attraverso gli impianti geotermici? «L'impianto geotermico sfrutta la potenzialità offerta dal calore presente nel sottosuolo per climatizzare edifici, estraendo il calore d'inverno e cedendolo d'estate: sfrutta così una fonte alternativa praticamente inesauribile, in quanto generata da processi naturali che avvengono all'interno della Terra. Questo tipo di impianto, non utilizzando combustibili fossili, non emette CO2 nell'atmosfera, risultando assolutamente ecosostenibile. L'estrazione del calore avviene attraverso sonde geotermiche inserite verticalmente nel terreno a profondità comprese tra gli 80 e i 300 m, oppure


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L'impianto geotermico sfrutta la potenzialità offerta dal calore presente nel sottosuolo per climatizzare gli edifici, sfruttando una fonte alternativa praticamente inesauribile

orizzontalmente a circa 1,5/2 m sotto la superficie. Questi impianti sono applicabili a molteplici produzioni in scala industriale e a soluzioni ridotte per raffrescare e riscaldare edifici residenziali, pubblici, commerciali e privati». L’azienda, negli ultimi anni, si è specializzata anche nella realizzazione di impianti alimentati da pannelli fotovoltaici e solari. Quale riscontro stanno avendo sul mercato tali soluzioni, incentrate sul risparmio e l’efficienza energetica? «Sono, questi, sistemi di risparmio energetico che utilizzano l’energia del Sole per riscaldare l'acqua (o un altro fluido) e produrre corrente a servizio di riscaldamenti, acqua calda sanitaria ed elettri-

cità. Questi impianti sul mercato stanno avendo un grandissimo riscontro proprio perché sono sistemi facilmente integrabili in qualsiasi abitazione/struttura/edificio». A quali settori produttivi sono destinati in modo particolare i vostri impianti? «Il mercato cui ci rivolgiamo è quello dei settori civili e industriali di qualsiasi genere. Proprio perché esistono diversi impianti a risparmio energetico, abbiamo un’ampia gamma di conoscenze e capacità e, studiando il singolo caso, riusciamo a soddisfare qualsiasi richiesta proponendo l’impianto ad hoc». Da parte vostra, quali strategie avete adottato per non perdere competitività sul mercato, nonostante la diffi-

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cile congiuntura economica? «I continui aggiornamenti e i numerosi corsi effettuati permettono un campo conoscitivo sempre aggiornato. Questo sicuramente ha contribuito a renderci, sul mercato, sempre all’avanguardia». Quali sono gli obiettivi e le prospettive per il futuro dell’azienda? «Sicuramente il primo passo sarà incrementare la nostra attività in tutta Italia e all’estero migliorando la sensibilità, lo spirito collaborativo e l’attenzione di tutto il personale sia amministrativo che tecnico verso gli aspetti dell’alta qualità. La Pifferi Impianti, in continua espansione e con un bilancio positivo, guarda al futuro con fiducia e ottimismo». EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 215


RISPARMIO ENERGETICO

L’energia più preziosa è quella risparmiata

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Vito Sanviti, amministratore della Sanviti Elettrocostruzioni Srl di Parma www.sanviti.it

n questi anni c’è stato un grande interesse per le energie alternative. Interesse al quale sono seguiti investimenti, soprattutto da parte delle aziende, per l’installazione di impianti per la produzione di energia pulita e a basso costo. È stata però trascurata una possibilità, che è quella di abbattere i costi energetici attraverso il risparmio di energia». A rimettere in campo questa opzione è Vito Sanviti, amministratore della Sanviti Elettrocostruzioni, impresa tradizionalmente attiva nella progettazione e automazione elettrica che da un decennio si è specializzata nella realizzazione di impianti chiavi in mano e nella produzione di apparecchiature elettriche per il controllo dei consumi. «Noi sosteniamo – prosegue Sanviti – che un buon sistema per produrre utili in breve tempo è quello di controllare gli utilizzi di energia e disattivare gli impianti quando non servono. L’investimento per produrre energia alternativa, nonostante gli incentivi, si ammortizza in otto anni, quello in un sistema di risparmio energetico in appena tre anni».

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È poco noto che le tecnologie per il risparmio energetico rappresentano un investimento più redditizio rispetto a quello per la produzione di energia dalle fonti alternative. Vito Sanviti ne presenta le opportunità Manlio Teodoro

Per quali ragioni il settore del risparmio è finora rimasto in ombra rispetto a quello delle energie alternative? «Perché non esistono altri interessi economici oltre al risparmio energetico che si ottiene. Per esempio, il fotovoltaico genera un grande fatturato sia per i produttori di pannelli che per gli installatori, questo motiva le organizzazioni commerciali a divulgarne la conoscenza, come abitualmente avviene in presenza di grandi investimenti su una nuova tecnologia. Invece, per ottenere un consistente risparmio energetico occorrono investimenti di minore entità. Per questo, pur essendo di grande interesse economico per chi li utilizza, questi sistemi non motivano le organizzazioni commerciali a farne conoscere i vantaggi». Quali riscontri hanno ottenuto sul mercato i vostri sistemi di monitoraggio? «I nostri sistemi sono ormai

collaudati. Permettono di risparmiare e ridurre da subito i costi energetici, dimostrando in breve tempo che l’energia più preziosa e redditizia è quella risparmiata. Molti committenti si concentrano sull’energia alternativa, esponendosi anche a grossi investimenti con tempi di recupero medio-lunghi. Eppure è sufficiente un’analisi tecnica dei propri impianti per rendersi conto che è più vantaggioso risparmiare


Vito Sanviti

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L’investimento per produrre energia alternativa si ammortizza in otto anni, quello di un sistema di risparmio energetico in appena tre

l’energia che già si utilizza, anziché produrre energia autonomamente. Inoltre, con i sistemi di risparmio si possono ottenere certificati bianchi, una detrazione fiscale del 55 per cento sull’investimento effettuato e conseguire certificazioni Uni Cei En Iso 50001:2011». In cosa consiste la vostra soluzione a costo zero? «A conferma che abbiamo fiducia nel nostro lavoro, ai committenti che credono nel risparmio energetico, ma non vogliono o non possono investire, proponiamo una soluzione a costo zero. Ovvero, dopo aver installato un buon impianto per il risparmio energetico, noi verremo pagati con l’energia risparmiata».

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Voi offrite anche un servizio di consulenza? «Spesso i committenti si trovano in difficoltà nell’identificare dove sia più conveniente applicare un sistema di risparmio energetico che dia il massimo dei risultati. La nostra esperienza li aiuta a identificare in breve tempo come procedere al meglio. Inoltre li aiutiamo a capire come disattivare gli impianti quando non servono, risparmiando energia e non creando disservizi. È per queste ragioni che abbiamo deciso di proporre anche un servizio di consulenza che sia in grado di aiutare i nostri clienti a comprendere qual è la soluzione migliore per recuperare l’investimento nel minore tempo possibile».

Per quale ragione vi definite un gruppo? «La nostra decennale ricerca nel settore del risparmio energetico ci ha consentito di realizzare brevetti e di creare un gruppo di imprese finalizzate a tale servizio. Infatti, da alcuni anni proponiamo al mercato nuove soluzioni, che sono il frutto di tecnologia ed efficienza innovativa. Nonostante questo, la nostra impresa rappresenta più settori specifici e per questo nel tempo abbiamo creato solide sinergie con aziende collaboratrici, specializzate in settori differenti – quali costruzioni, programmazione, progettazione, installazione. In tal modo siamo in grado di fornire ai nostri clienti un servizio completo e di qualità». EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 217


BONIFICHE

Cresce a Bologna lo smaltimento dell’amianto A fronte di un numero ancora elevatissimo di edifici e fabbricati contenenti amianto, aumentano le richieste di bonifica e smaltimento di questo pericoloso materiale, in particolare nella regione Emilia Romagna. A parlarne è Renato Vivarelli Emanuela Caruso

econdo una stima del Cnr, in Italia sono ancora da smaltire 32 milioni di tonnellate di amianto, di cui 8 milioni sono di amianto puro. Numeri che aumentano e che raggiungono i 100 milioni se all’amianto si aggiungono le cosiddette “pietre verdi”. Se dell’Italia, poi, consideriamo la regione Emilia Romagna, bisogna far presente che negli

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La società Costruzioni Vivarelli ha sede a Ponte della Venturina (BO) www.vivarellicostruzioni.it

ultimissimi anni la quantità di denunce effettuate per la presenza di lastre d’amianto in ogni genere di costruzione, dalle coperture dei capannoni alle abitazioni civili, dai pollai ai cimiteri, è aumentata in maniera esponenziale. Ed è proprio questo il motivo principale per cui la USL della regione ha da poco aggiornato il Piano di rimozione amianto, documento con cui cittadini e imprenditori possono richiedere l’eliminazione e lo smalti-

mento di questo pericoloso materiale. La società Costruzioni Vivarelli di Ponte della Venturina effettua la maggior parte degli interventi di bonifica dell’amianto sull’area di Bologna e per essere certa di intervenire con qualità ed efficienza, segue alla lettera quanto stabilito dal Piano. «Oggi – commenta Renato Vivarelli, titolare dell’impresa – i proprietari di strutture edilizie o impianti tecnologici in cui siano presenti materiali e parti contenenti amianto, devono rivolgersi direttamente alla nostra azienda, così da permetterci di preparare un Piano di Lavoro da presentare all’Usl di competenza almeno trenta giorni prima dell’inizio dei lavori. Ottenuto il nulla osta dall’organo di vigilanza si procede con l’irrigazione della copertura con un prodotto incapsulante, l’eliminazione delle lastre di amianto, avvolte in teli di polietilene, e lo smaltimento del materiale in apposite aree». La rimozione dell’amianto è


Renato Vivarelli

però soltanto uno dei rami che caratterizzano l’attività della Costruzioni Vivarelli, che nel corso di quarant’anni di esperienza ha saputo diversificare il proprio lavoro. «Partiti come azienda impegnata nella costruzione di nuovi edifici e fabbricati – spiega Renato Vivarelli –, abbiamo ben presto focalizzato la nostra attenzione su altri comparti del settore edile, tra cui quello della rivendita di materiali edili sia per i privati che per i grossisti. Con questo servizio abbiamo cominciato a offrire la possibilità di reperire attrezzature e materiali edili per costruzioni, riparazioni e ristrutturazioni. Successivamente, e in particolar modo ora con la crisi economica che grava sul settore, abbiamo ulteriormente diver-

Il comparto edilizio che oggi offre maggiori opportunità di sviluppo e crescita è la bonifica dell’amianto con conseguente rifacimento della copertura attraverso l’utilizzo di altri materiali non nocivi

sificato l’attività, cercando di puntare sulle necessità attuali del mercato e su quegli ambiti edilizi che meglio potevano far progredire la nostra azienda. Ecco allora che ci siamo specializzati nelle ristrutturazioni, nella realizzazione dell’isolamento termico a cappotto delle abitazioni, nella bonifica dell’amianto e nel consolidamento degli edifici con costruzione di micropali in interno ed esterno». Grazie alla strategia di differenziazione e diversificazione, la Costruzioni Vivarelli è riuscita a mantenere un trend di crescita positivo a dispetto dell’avversa congiuntura economica, tanto da preparare per l’immediato futuro dei possibili interessanti investimenti. «Le competenze e conoscenze acquisite in così tanti anni di attività – continua ancora il ti-

tolare Renato Vivarelli – ci hanno consentito di ottenere buoni risultati, cosa che ci ha incoraggiati ad affrontare questo duro periodo per il settore con rinnovato fervore e voglia di crescere. Abbiamo quindi scelto di investire vari fondi nell’acquisto di una nuova macchina per la realizzazione di micropali, e quest’inverno provvederemo anche a corsi di formazione finalizzati a insegnare al personale di recente acquisizione le tecniche di smaltimento dell’amianto. Come obiettivo fisso per il medio-lungo periodo, poi, la nostra società si fissa da sempre quello di continuare a porre al centro del nostro operato il bacino d’utenza e le sue necessità ed esigenze, anche nel caso in cui il cliente desideri personalizzare il proprio progetto architettonico». EMILIA-ROMAGNA 2012 • DOSSIER • 219


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