Dossier Campania 09 2012

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OSSIER CAMPANIA L’INTERVENTO.........................................13

ECONOMIA E FINANZA

Domenico Achille Mauro Maccauro Sergio Travaglia

IL FUTURO DELL’EUROPA ..............32 Alberto Quadrio Curzio

PRIMO PIANO

GLI ITALIANI E LA CRISI ...................36 Giuseppe Roma

IN COPERTINA.......................................18 Corrado Passera LIBERALISMO.......................................24 Gaetano Quagliariello Giovanni Orsina Vincenzo Olita

POLITICA ECONOMICA .....................38 Alessandro Laterza Domenico Arcuri Adriano Giannola Giorgio Fiore Tommaso De Simone Stefano Caldoro Luigi Cesaro Edmondo Cirielli Biagio Mataluni INNOVAZIONE.......................................64 Guido Trombetti Giuseppe Zollo TECNOLOGIE.........................................68 Maurizio Iannone MODELLI D’IMPRESA ........................70 Carmine Cardinale Catello Candela Stefano Cimmino

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BENI CULTURALI.................................78 Giuseppe De Mita Teresa Elena Cinquantaquattro CREDITO & IMPRESA ........................83 Giuseppe Castagna Luigi Gorga BROKERAGGIO ....................................92 Consiglia Tessitore CONSULENZA.......................................94 Carmine Cafasso SICUREZZA............................................96 Erasmo Caccavale AGROALIMENTARE ..........................100 Antonio Petti Giovanni e Natale Rispoli Fabrizio Marotta


Sommario TERRITORIO TURISMO ..............................................106 Renzo Iorio Fortunato Giovannoni Bernabò Bocca Massimo Deandreis

NAUTICA................................................132 Antonio Guida MERCATO IMMOBILIARE ...............136 Giovanni Adelfi Mario Condò de Satriano

MOBILITÀ...............................................114 Sergio Vetrella

EDILIZIA ................................................140 Biagio Vallefuoco Domenico Aprovitola

TRASPORTI...........................................116 Mario Lafragola Gennaro Marigliano

MATERIALI ...........................................144 Antonio Vallefuoco

INFRASTRUTTURE............................122 Armando Chianese Marco Scarano Anna La Rana Francesco Spizzuoco Luigi Russo e Umberto Ciccarelli

AMBIENTE GESTIONE RIFIUTI.............................148 Giuseppe Di Gennaro Michele Furino

GIUSTIZIA CRIMINALITÀ.......................................154 Giuseppe Caruso Antonello Montante Franco Roberti RIFORMA DELLA GIUSTIZIA .........166 Maurizio De Tilla Antonio Areniello

SANITÀ POLITICHE ANTIDROGA..................175 Giovanni Serpelloni STRUTTURE SANITARIE.................180 Alfredo Siani Vincenzo Landi OSPEDALITÀ PUBBLICA E PRIVATA............................................184 Sergio Savarese Gala

RUBRICHE GENIUS LOCI .......................................188 Maurizio Marinella

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L’INTERVENTO

Un impegno quotidiano al servizio della collettività Di Domenico Achille, comandante interregionale per l’Italia meridionale della Guardia di Finanza

elle regioni di competenza del Comando interregionale dell’Italia meridionale sono riscontrabili ampie zone in cui l’illegalità diffusa si sviluppa con modalità particolarmente aggressive. La Guardia di Finanza, quale naturale depositaria delle esclusive funzioni di polizia economico-finanziaria, ingaggia una diuturna e incessante lotta all’evasione fiscale, al malaffare e alla corruzione privilegiando un approccio operativo, trasversale e globale, diretto a prevenire l’accumulo delle ricchezze frutto di attività illecite ovvero per sottrarre quelle già prodotte per evitarne il reimpiego in altri traffici criminali. Nella prima metà del 2012 sono stati conclusi circa 10.000 interventi, tra verifiche fiscali e controlli, i quali hanno consentito l’individuazione di quasi 2 miliardi di euro di basi imponibili sottratte a tassazione nonché di oltre 250 milioni di euro di Iva evasa, la scoperta di 650 evasori totali, l’identificazione di 1.800 lavoratori in nero, la chiusura di 282 esercizi commerciali per la mancata emissione di scontrino fiscale a fronte di 726 proposte inoltrate ai competenti uffici dell’Agenzia delle Entrate. Nello stesso periodo sono stati effettuati sequestri di beni e disponibilità finanziarie per un valore di oltre 90 milioni di euro, ai danni degli autori di reati fiscali. L’attività di servizio a tutela delle entrate viene affiancata da una contestuale e incisiva azione di controllo della spesa pubblica che ha consentito di accertare indebita percezione di finanziamenti per 254 milioni di euro, di denunciare frodi a danno del Servizio sanitario nazionale per un ammontare di 20 milioni di euro e scoprire danni erariali valutabili in 490 milioni di euro. Il contrasto alla criminalità organizzata si fonda invece su tre direttrici di azione: assicurazione alla giustizia dei responsabili dei delitti più efferati, attacco al potere economico dei sodalizi criminali, individuazione e

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ablazione dei patrimoni illecitamente accumulati. Nel periodo da gennaio a giugno 2012, l’impegno profuso nel settore del contrasto alla criminalità organizzata e della tutela dei mercati si è tradotto nell’esecuzione di investigazioni patrimoniali nei confronti di 1.601 soggetti che hanno consentito il sequestro di circa 350 milioni di euro la confisca di 9 milioni di euro di beni e disponibilità finanziarie, nella denuncia di 519 persone alla Autorità giudiziaria per reati bancari, societari e fallimentari, nell’effettuazione di 182 inchieste penali in materia di riciclaggio e nell’approfondimento di 1.200 segnalazioni per operazioni sospette che hanno portato al sequestro di 750 milioni di euro di beni e disponibilità finanziarie, nella denuncia di 112 soggetti, di cui 40 in stato di arresto, perché indagati per il reato di usura e nel sequestro di beni e disponibilità finanziarie per un valore complessivo pari a 97 milioni di euro, nel sequestro di oltre 5 milioni di prodotti recanti il marchio contraffatto. I risultati sin qui raggiunti confermano l’esigenza di proseguire con la stessa fermezza e determinazione la missione della lotta all’evasione fiscale e alla criminalità organizzata anche in ragione della attuale congiuntura economica che interessa il nostro Paese e l’Europa. CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 13



Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx Xxxxx cxpknefv L’INTERVENTO

Ripartiamo dal valore della coesione sociale Di Mauro Maccauro, presidente di Confindustria Salerno egli ultimi mesi le previsioni congiunturali - provenienti da numerosi e autorevoli organismi nazionali e internazionali - hanno confermato che il trend recessivo accompagnerà l’Italia e il Mezzogiorno in particolare ancora per diverso tempo. I numeri e le statistiche configurano, purtroppo, uno scenario negativo, aggravato, peraltro, da una sempre più chiara visione da parte del governo centrale di incanalare nelle prerogative ministeriali le politiche di investimento dei fondi strutturali. In questo difficile contesto le rappresentanze imprenditoriali hanno una sola strada da imboccare, quella della responsabilità sociale che scaturisce dalla capacità di elaborare una visione delle problematiche in campo inclusiva dell’interesse collettivo. È adesso il momento di farsi carico dell’effettiva valenza di essere classe dirigente. È in questo senso che si inseriscono le iniziative che Confindustria Salerno ha intrapreso, fin dal mio insediamento, tutte finalizzate alla condivisione di percorsi e obiettivi con gli attori categoriali e con le organizzazioni sindacali. Abbiamo inteso, cioè, declinare in maniera operativa, senza enfasi mediatiche, il paradigma del “fare squadra” e del “fare rete” partendo, con umiltà e consapevolezza dei problemi, dal basso, sentendosi parte attiva del territorio. Il territorio esprime, in questa prospettiva, il valore effettivo di una comunità che si propone come agente di sviluppo di se stesso, senza ricorrere ad aspettative endogene che, purtroppo, rientrano in un’atavica concezione dell’attesa salvifica. Abbiamo voluto - alla nostra maniera, semplice, ma produttiva - lanciare il segnale di un’iniziativa attenta, costante, rispettosa dei ruoli e delle competenze, ma, se necessario, critica e pungolante: ognuno deve assumersi fino in fondo le proprie responsabilità ed

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essere coerente con la propria missione sociale. Le imprese, da questo punto di vista, sono senza dubbio un attore primario nel percorso di costruzione di un modello di sviluppo sostenibile, capace di produrre ricchezza e occupazione. E non abbiamo mancato di essere autocritici, avviando un ampio e articolato percorso formativo di rilettura dei processi di gestione aziendale. Il metodo del “miglioramento continuo” - al centro di una quattro giorni che ha avuto luogo a Salerno nella nostra sede associativa - assume anche il significato metaforico della volontà di guardare al quotidiano con lo sguardo lungo verso il futuro: a piccoli passi si possono vincere le vere e grandi sfide della competitività tra i territori. Ma occorre prima concentrarsi sul recupero della centralità del valore della coesione sociale attraverso la ricerca di una piena e attenta condivisione con le organizzazioni sindacali dell’obiettivo primario: il rilancio dell’occupazione in tutte le forme previste dagli strumenti legislativi vigenti. Coniugare lavoro, giustizia sociale e visione etica del fare impresa è la proposta che da Salerno possiamo e vogliamo con fierezza mettere in campo. CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 15


IN COPERTINA

PASSERÀ O NON PASSERÀ? Passano i mesi dall’insediamento del Governo Monti ma di sviluppo non si vede traccia. Nel 2012 il Pil arrivare ad -1,9 per cento. Nel decreto sviluppo si parlava di 100 miliardi, ma si è capito che erano solo virtuali. Da parte sua «Corrado Passera ha fatto troppo... se non si abbassano le tasse e non si tagliano le spese è come aver fatto nulla». di Renato Farina, deputato della Repubblica

l dottor Corrado Passera, con le sue deleghe ministeriali allo sviluppo dell’Industria e delle attività produttive, nonché dei Trasporti e delle Infrastrutture, senza dimenticare la Marina mercantile, che ci fa al governo, a sviluppare che? Trattasi di una domanda amara. Passano i mesi e l’unica cosa che si sviluppa è, infatti, il tasso di crescita all’incontrario. Tanto che il Pil è previsto sottosvilupparsi in questo 2012 per un meno 1,9. Non è che invece di Passera bisognerebbe chiamarlo come un parente alato della Pernacchia reale e cioè Cippirimerlo? Perché in un governo che taglia e tassa, essere ministro allo sviluppo economico senza un quattrino da investire, e senza la disponibilità del ministro dell’Economia e delle Finanze Grilli (erede perfetto di Tremonti) a limare le tasse, è una missione impossibile. Dopo di che via con i giochi di parole: a parte quelli piuttosto salaci, c’è quello dell’accento: Passera pas-

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serà. Una profezia? Il sottoscritto, pur con i giudizi piuttosto inclementi che seguiranno, è convinto che tra i ministri sarà quello che passerà più tardi degli altri, più che passerà, resterà. Per le relazioni che ha nel mondo dell’alta finanza e della Chiesa cattolica contemporaneamente? Anche. Soprattutto però a causa della sua tempra, del suo spirito insieme molto cattolico, molto italiano, molto da dopoguerra della ricostruzione. Insieme apostolico romano e nordico. Molta magrezza alta ed elegante, stile principe rinascimentale, eppure una pelata assai borghese portata con decoro a 58 anni. Vende fumo? Boh. Citeremo qui alcuni passi significativi in cui descrive le sue opere. Non c’è la retorica da Magna Grecia dei Forlani e dei De Mita, ma una specie di oppio tecnolinguistico, un incenso bip-tech, da cui proveremo a spremere un succo potabile por el pueblo. Rievochiamo questi mesi. Si comincia subito con lacrime e sangue. Poi

si continua con lacrime e sangue. L’agenda è stata devastante. I compiti a casa imposti dall’Europa hanno significato una riforma delle pensioni con spostamenti improvvisi e devastanti per le aspettative della gente comune. Tagli e arcitagli. Nel frattempo Passera diceva: adesso sviluppiamo. Tra un attimo facciamo. Finché è arrivato il decreto sviluppo. E ha proclamato: abbiamo fatto. Il Corriere della Sera in prima pagina ha parlato di 100 miliardi per lo sviluppo. È bastato poco per capire che erano cento miliardi virtuali, molto virtuali. Denaro fresco, solo un rivolo. Forse un miliardo, ha calcolato Angelino Alfano. Dopo di che l’elenco di quanto fatto è sterminato, saranno mille e tre cose come le gonnelle di Don Giovanni in Ispagna. Ma almeno un amore vero, una roba vera c’è? Ci siamo procurati i tabulati. Abbiamo cominciato a trascriverlo con pazienza. Prima di sfinirci ho messo in fila coteste cose. Il titolo è: “Interventi normativi


Corrado Passera

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IN COPERTINA

100 miliardi per lo sviluppo. È bastato poco per capire che erano cento miliardi virtuali, molto virtuali

adottati a favore delle Piccole medie Sole 24 Ore intitolata “Sulla cre- Altre cose promette per il futuro imprese (Pmi)”. Segue: Punto 1. Competitività delle imprese. 1.1 Innovazione (seguono 9 provvedimenti tra cui l’Agenzia per l’Italia digitale, la cabina di regia per l’Agenda digitale, credito di imposta per le nuove assunzioni, ecc). 1.2 Internazionalizzazione (Ice, Enit, ecc). 1.3 Crescita dimensionale (credito di imposta per assunzione di giovani e donne). Punto 2. Riduzione di costi per le imprese. 2.1 Energia... Alt. Abbiamo letto bene? Energia?! Riduzione del costo dell’energia? Appena uno legge che il governo ha ridotto il prezzo dell’energia per decreto, girano le scatole. L’energia è la benzina, il gasolio, il gas, l’elettricità. Chi si è accorto siano calate di prezzo per le famiglie o per le imprese? Eppure il ministro annota con ostinazione le cose realizzate anche in questo campo. Poi centinaia di altre misure, alcune altre presentate in modo promettente: le semplificazioni nella pubblica amministrazione, la riduzione degli adempimenti amministrativi per le imprese. Speriamo... Mi fermo. Lascio parlare il ministro, in una poderosa intervista al

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scita non finisce qui”. Passera lì sintetizza la campagna per lo sviluppo del governo. Miriade di termini anglo tecnocratici. Io capisco che finalmente ci sono due provvedimenti importanti già attivi. 1) Le imprese che hanno un giro d’affari compreso entro i due milioni di euro (prima la soglia era di 200mila) potranno pagare l’Iva una volta incassata la fattura. Si tratta di una misura che riguarda il 96,9% delle imprese e che garantirà loro più liquidità. Rappresenta, inoltre, il ripristino di un principio di sana normalità fiscale. È ragionevole, cioè, che un’impresa paghi l’Iva solo quando incassa l’importo relativo. 2) C’è un modulo compilando il quale alla fine i creditori di denari dello Stato possono incassarli... C’è altro. Lo spiega l’onorevole Raffaello Vignali, vero autore dell’idea sull’Iva: «È stato istituito lo sportello unico obbligatorio per l’edilizia, il comparto più in difficoltà e che rappresenta la filiera industriale più lunga. Se, infatti, non si costruiscono case ne risente anche chi produce, ad esempio, profilati un alluminio, complementi d’arredamento o cucine».

Passera. Ci credo e non ci credo. A me piace però questo di lui. Il legare l’idea di sviluppo dell’economia alla coesione sociale, a un cammino dell’intera società verso il bene comune. Vale a dire, non vede l’industria staccata dal complesso della vita dell’uomo. In questo senso è un riformista liberale e cattolico. Ma il guaio è che crede di essere lui a essere l’interprete principale del bene comune. L’idea cioè che siano i grandi tecnici, tra cui lui è davvero bravo, a capire quale sia il bene della società. E così addio sussidiarietà pur da lui sinceramente creduta e affermata a parole... E qui passo all’analisi più serrata. Le iniziative di Corrado Passera al ministero sono state coerenti con una visione del mondo fortemente dirigista. Passera è un banchiere molto abile e un attento conoscitore del mondo produttivo italiano. È naturale perciò che egli abbia idee molto definite e chiare su che cosa necessiterebbe l’industria italiana per riguadagnare competitività. Per questo, ha delineato una serie di impegni precisi da attuare presto: la nuova imprenditorialità (start up),


Corrado Passera

A sinistra, conferenza stampa sul decreto sviluppo del Governo Monti; a destra, Passera al convegno nazionale Ance di luglio; sotto, con Giorgio Squinzi a Finale Emilia

gli investitori esteri, l’agenda digitale e le nuove tecnologie. Il problema della visione di Passera è che si focalizza, nella tradizione della politica industriale italiana, su interventi settoriali, specifici, anziché ricercare soluzioni di più ampio raggio, che beneficino il complesso dell’industria italiana. Passera non ha proposto un generalizzato abbassamento della pressione fiscale, che libererebbe risorse per tutti i settori e per tutti gli operatori economici: ma agevolazioni ad hoc, che consentano di riorientare risorse verso determinati impieghi. Il ministro si prende così una forte responsabilità, immaginandosi come perno della strategia industriale futura di tutto

il Paese. Nell’immediato, questo rende Passera un interlocutore apprezzato delle categorie e delle associazioni: che hanno trovato chi presta attenzione alle loro esigenze, e cerca di riorientare l’offerta pubblica di incentivi e agevolazioni di conseguenza. Ma non può essere amato dall’imprenditoria italiana “di base”, diffidente verso un banchiere, insensibile al genere di piani ad ampio raggio disegnati dallo staff di tecnocrati che Passera ha portato con sé al ministero (a cominciare da Stefano Firpo, nipote del grande storico e già testa pensante a IntesaSanPaolo), e soprattutto bisognosa di interventi di tipo diverso. Una generalizzata riduzione del cuneo fiscale, una netta semplificazione degli adempimenti amministrativi. Mi spiego con un esempio. Se abbasso generalmente le tasse, l’imprenditore deciderà lui se assumere un operaio di 45 anni in Valtrompia o un giovane al Sud. Ma se Passera propone un premio se si assumono donne

e giovani nel Mezzogiorno, addio libertà dell’imprenditore, e tanti saluti alle speranze dell’operaio della Valtrompia... È dura insomma di questi tempi essere Passera. Ma soffrono assai di più i piccoli e medi imprenditori bastonati di giorno e di notte. Insomma non è bello oggi essere Passera, esposto al pubblico invece che contare in segreto le stock option, ma in Italia è molto peggio essere un semplice cittadino con la partita Iva, le ditte che non pagano, ed Equitalia sulla porta della bottega. Detto questo il compito che mi assumo è a rischio di lapidazione di tu che mi leggi e sei furioso come una biscia per le tasse e il governo che non le abbassa, anzi vorrebbe lucrare persino sulla gazzosa: è esprimere una valutazione di stima al superministro dello Sviluppo economico eccetera. Non è vero che ha fatto poco per lo sviluppo. Ha fatto molto. Anzi, troppo. Passera ha fatto troppo. Se non si abbassano le tasse, se non si tagliano fortemente le spese, è come aver fatto niente. Se riuscirà a ottenere questo da Monti e Grilli, sia pure un pochino, Passera per conto mio non passerà. CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 21




LIBERALISMO

Ricostruire la sovranità «Il vero liberalismo non è un’ideologia ma una prassi di governo» afferma il senatore Gaetano Quagliariello. Dall’Italia all’Europa, il tunnel che porta fuori dalla crisi passa dalla riduzione di spesa e debito e dalla razionalizzazione fiscale Francesca Druidi

a grave fase di incertezza che il mondo occidentale, Europa in primis, sta attraversando non rappresenta una fase transitoria o temporanea, ma identifica piuttosto una crisi strutturale che sta contribuendo a formare nuovi e diversi paradigmi economici, sociali ma inevitabilmente anche politici e di governance. In questo scenario, si torna ad alimentare in Italia il dibattito sul liberalismo, che parte dalla disamina delle cause della crisi finanziaria e dei debiti sovrani, responsabili della crisi dell’euro stesso. Guardando anche al prossimo appuntamento elettorale, si cerca un nuovo modello di sviluppo che possa rilanciare in Italia e non solo - una crescita costruita sulle solida fondamenta della sussidiarietà e della solidarietà. Come evidenzia Gaetano Quagliariello, vicepresidente vicario del gruppo Pdl al Senato ma anche storico e autore di numerose pubblicazioni, “c’è un problema di sovranità da affrontare tutti insieme senza pregiudizi ideologici”. Non sono più rimandabili misure forti, sia sul piano economico che istituzionale. L’attuale scenario economico, politico e sociale può rilanciare il fermento liberale o al contrario affossarlo ulteriormente?

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«Il vero liberalismo non è un’ideologia. È una prassi di governo nella quale alcuni principi si coniugano con una forte esigenza di empiria. In questi anni l’alchimia si è squilibrata a favore dell’empiria. Ma mi sembra che l’esigenza di tornare a insistere sui principi si stia facendo nuovamente sentire. Di fronte alla crisi e alla necessità di rientrare dal debito si pone una scelta: tagliare lo Stato o tassare la ricchezza proveniente dalla libera iniziativa? Solo se si hanno presenti i principi liberali, di fronte a questa alternativa si sa da quale parte stare». Se e quale declinazione può

assumere il liberalismo oggi in Italia? «L’Italia paga una situazione nella quale il debito pubblico si è ampliato generazione dopo generazione, anche a causa di spese improduttive e di spinte corporative. Da questa crisi non si esce se non diminuendo il debito, abbattendo la spesa e razionalizzando il sistema fiscale. Nessuno può promettere la luna. In altre fasi storiche questa politica si sarebbe potuta fare anche in deficit e con buoni risultati, come ci insegna il periodo reaganiano, oggi ciò non è possibile. Ma è sotto gli occhi di tutti che questa è la dire-

Gaetano Quagliariello, vicepresidente vicario del gruppo Pdl al Senato


Gaetano Quagliariello

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Se la politica vuole recuperare spazio deve diventare più semplice e dare ai cittadini la possibilità di scegliere innanzitutto il capo dello Stato

zione. Il governo tecnico insegna: se si pensa solo a tassare e a colpire la ricchezza, il debito aumenta anziché diminuire». Su quali temi si gioca il destino del liberalismo nel nostro Paese ma anche in Europa? «La ricostruzione della sovranità, l’attacco ai debiti sovrani, la razionalizzazione dei sistemi fiscali che devono diventare sostenibili e, dal punto di vista etico, l’incontro tra i principi del cristianesimo e quelli del liberalismo, in nome della libera de-

terminazione e del futuro aperto contro chi vorrebbe trasferire il costruttivismo sociale del secolo scorso a livello delle scelte personali». Lei ha contribuito alla creazione della Fondazione Magna Carta. In quanto pensatoio culturale che si pone l’obiettivo di generare proposte concrete da inserire nell’agenda politica, quali istanze stanno in particolare emergendo? «Ultimamene ci siamo concentrati su quattro temi: la riforma delle istituzioni europee, prendendo atto che

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Maastricht è da rivedere profondamente; il sistema presidenziale in Italia, perché se la politica vuole recuperare uno spazio deve diventare più semplice e dare ai cittadini la possibilità di scegliere innanzitutto il capo dello Stato; la riforma costituzionale della giustizia, perché se non si risolve il nodo del rapporto tra giustizia e politica nessun governo in Italia sarà veramente sovrano; la semplificazione del sistema fiscale, con la creazione di due sole aliquote a parità di gettito». CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 25


LIBERALISMO

Un’amara liberalizzazione Lo stallo dei partiti italiani in deficit di leadership può rappresentare l’occasione per una rinnovata spinta liberale. Ma a pesare, secondo il professor Giovanni Orsina, sono crisi e globalizzazione: «La paura non aiuta il liberalismo» Francesca Druidi

ggetto di numerose disamine ma disatteso fino a oggi nei fatti, il liberalismo resta una proposta tutta da decifrare per quanto riguarda il nostro Paese. «Il liberalismo ha una grandissima fiducia nella capacità della società civile di funzionare bene in maniera spontanea – evidenzia Giovanni Orsina, docente di storia presso la Libera università internazionale degli studi sociali Guido Carli e autore di diversi saggi – ma in Italia fiducia nella società non c’è mai stata. È sempre stata diffusa la convinzione che la società civile è immatura, arretrata, e che, quindi, vi sia bisogno di un

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grande sforzo per farla crescere». Cosa ha frenato l’applicazione dei principi liberali fino a questo momento in Italia? «Il nostro è un paese più a tradizione giacobina, con l’idea di una classe dirigente e di uno Stato che impongono alla società di funzionare in una determinata maniera. Anche il liberalismo che si è sviluppato, quello del periodo pre-fascista, è di carattere interventista e statalista, dove la libertà non sorge dal basso ma si costruisce dall’alto. Poi nel corso del Novecento si sono susseguiti il fascismo e il comunismo, che di liberale hanno naturalmente ben poco, e il cattolicesimo politico, che

di liberale avrebbe avuto molto, ma che dagli anni Cinquanta in poi ha visto prevalere una corrente non liberale. De Gasperi era un cattolico politico fortemente liberale, Sturzo era un liberale con alcune caratteristiche ben precise; Fanfani e Moro non erano liberali, non saprei dire quale dei due lo fosse di meno». Nel contesto attuale di crisi, esistono i margini per una svolta maggiormente liberale? «È molto difficile. L’Italia è un paese che perde i treni della storia e il treno della storia del liberalismo è transitato negli anni Ottanta. È stato quello il momento di grande fortuna, almeno del liberalismo economico: molti, infatti, all’idea di considerare Reagan e Thatcher dei liberali storcerebbero il naso. L’Italia ha perso quell’ondata, anzi in quegli anni ha accumulato il proprio debito pubblico. Poi, in qualche modo, ha


Giovanni Orsina

Nella pagina precedente, Giovanni Orsina, docente e direttore scientifico della Fondazione Luigi Einaudi di Roma

Saremo costretti a compiere dei passi in termini di liberalizzazione economica, ma non vedo nessuno che possa “vendere” agli italiani queste misure

acchiappato la coda di quel treno con il 1994, ma quell’operazione non è stata portata a compimento, non ha funzionato. Oggi, da un lato, l’unica strada che possiamo seguire per cercare di adattarci alla situazione a livello mondiale è quella di liberalizzare, affrontando la competizione internazionale in una forma più dinamica di quanto non sia stato fatto fino ad ora, dall’altro lato la gente è atterrita». Da cosa in particolare? «La parola globalizzazione, che aveva un sapore buono a metà degli anni Novanta, ha progressivamente perso il suo gusto piacevole. Se, inizialmente, l’idea che l’Italia fosse coinvolta nei processi di globalizzazione suscitava speranze, oggi genera più che altro timori. Dopo quindici anni, ci sono stati prima l’11 settembre e poi la crisi economica. Per l’opinione

pubblica il mondo è un posto pericoloso dal quale difendersi, non certo un luogo di opportunità. E la paura non aiuta il liberalismo». Non è ottimista sul fatto che possa esserci un cambio di rotta? «Saremo costretti a compiere dei passi in termini di liberalizzazione economica, ma non vedo nessuno che possa “vendere” agli italiani queste misure come azioni da adottare con entusiasmo. Sono “pietanze” da far ingoiare all’opinione pubblica come una medicina amara piuttosto che come un buon pasto». Lei è direttore scientifico della Fondazione Luigi Einaudi di Roma, che in un recente convegno ha lanciato una proposta alternativa di riforma del finanziamento dei partiti. Di che cosa si tratta? «è una proposta che parte comunque dal presupposto che la politica è necessaria. Nessun liberale affermerebbe il contrario, a meno che non si trattasse di un esponente di estrema destra liberale (libertaria). La politica costa ed è giusto che venga finanziata. Per un liberale il meccanismo prevalente di finanziamento deve es-

sere volontaristico, proveniente cioè dai cittadini e non dallo Stato. La proposta è quella di un modello misto con un piccolo rimborso-spese elettorale, mirato in maniera esclusiva all’appuntamento con le urne, in ragione di un euro per voto e con forme di sgravio fiscale per chi, invece, intende finanziare liberamente i partiti. In quanto strumento dello Stato, le elezioni resterebbero così sostenute da quest’ultimo, mentre il funzionamento della politica e dei partiti sarebbe ad appannaggio della società civile, aiutata in questo caso delle agevolazioni fiscali». Quali sono le possibilità che questa proposta venga recepita e accettata dalla classe politica? «A parole possono essere tutti d’accordo, nei fatti assolutamente no. Un modello di questo tipo costringerebbe i partiti italiani a mettersi a “ribussare” alle porte e a cercare di recuperare il contatto e il dialogo con i cittadini per chiedere e ottenere finanziamenti. Alcuni politici sono esplicitamente contrari, come ad esempio Violante, denunciando il rischio di consegnare la politica al controllo dei poteri forti. Chi si dice favorevole a parole, poi nei fatti non lo è davvero». CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 27


LIBERALISMO

Meno Stato, più partecipazione Responsabilità, etica, cittadinanza. Temi centrali attorno ai quali andrebbe ridefinito il liberalismo secondo Vincenzo Olita. Il direttore di Società Libera annuncia la presentazione di un manifesto contro la criminalità Francesca Druidi

ocietà Libera” è un’associazione culturale tesa allo studio e alla promozione del liberalismo. L’annuale rapporto sul processo di liberalizzazione della società italiana e la marcia internazionale per la pace costituiscono due delle sue principali iniziative. Il direttore Vincenzo Olita fa il punto sullo stato di salute del liberalismo in Italia. Qual è l’attuale situazione del nostro Paese? «Pessimo, perché se nel recente passato c’è stata un’ubriacatura, quasi un abuso del termine liberalismo, oggi invece si addossa a questa parte culturale responsabilità che, in realtà, non ha. Negli anni scorsi, tutti si sono dichiarati liberali: D’Alema si è dichiarato un liberale di sinistra; si è, inoltre, parlato a lungo della rivoluzione liberale che doveva avvenire a destra. Liberalismo è una parola dolce e suadente che significa tutto e nulla, perciò tutti si sono riversati a capofitto su questo termine che è diventato, di fatto, un’etichetta. Con la crisi internazionale, questa tendenza si è attenuata. Al mercato, ai liberali, alla libera concorrenza, sono state attribuite colpe che non avevano. Non si tratta di

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difendere a spada tratta il liberalismo o il mercato, ma ci sono colpe evidenti della politica, non solo italiana, che non ha saputo dare regole e certezze, e il mercato si è trasformato in un non-mercato. Il problema, quindi, non è il liberalismo, è che la politica si occupa di tutto in maniera spropositata, mentre dovrebbe concentrarsi su pochi aspetti, stabilendo poche regole condivise». Su quali temi si giocherà il futuro del liberalismo in Italia e non solo? «Il liberalismo andrebbe innanzitutto ridefinito. Società Libera ritiene che il liberalismo si basi essenzialmente sul concetto della centralità della persona e della sua responsabilità individuale. A ciò si ricollega anche il tema dell’etica individuale. Di fronte all’abuso odierno di questi termini, occorre riscoprire concetti quali responsabilità individuale, partecipazione a tutti i livelli e cittadinanza. Viviamo in una società massificata, che soffre la mancanza di un’informazione seria e consapevole da parte dei mezzi di comunicazione, presupposto fondamentale per una piena partecipazione. Oggi non è più sufficiente legare il concetto di cittadinanza alla sola possibilità di voto alle urne; bisogna allargare la sfera della par-

tecipazione, anche, per esempio, attraverso lo strumento referendario. Serve, inoltre, riportare la politica nel suo ambito. È preoccupante il problema della classe dirigente in Italia, di governance in generale: il tasso di credibilità si è molto abbassato. Del resto, io che ero in disaccordo con la Prima Repubblica non posso comunque fare a meno di riconoscere che, sotto il profilo della formazione politica, c’è un gap sostanziale rispetto alla Seconda Repubblica. Il fulcro resta comunque quello della libertà. Si pensi alla situazione della libertà individuale in alcune aree del Mezzogiorno». Contesti in cui la libertà dell’individuo viene messa a dura prova dalla criminalità organizzata. «Lo Stato ha perso in alcuni casi il controllo del territorio, ad esempio in alcune aree della Campania e


Vincenzo Olita

Come in ambito economico, anche nel contrasto al crimine organizzato la ricetta è meno Stato, con poche regole che consentano grande efficacia

della Calabria. Diventa difficile invocare crescita e sviluppo quando mancano i presupposti di base. Da qui poi inevitabilmente ci si ricollega anche al discorso economico, ai motivi per cui le imprese straniere non vengono a investire e alle difficoltà degli imprenditori nel Meridione». Come si potrebbero applicare i principi liberali per inseguire crescita e benessere? «Ritengo che occorra andare controcorrente rispetto a quanto si sta facendo. La ricetta è sempre la stessa: meno Stato, in particolare uno Stato che eserciti poche direttrici di governance e non entri nel merito della quotidianità dei citta-

dini. Se non immettiamo importanti flussi di libertà individuale, non arriveremo alla crescita economica. Purtroppo, più il tempo passa e più si diffonde l’idea che c’è bisogno comunque e dovunque dell’intervento dello Stato. La situazione in alcune zone del Paese è, invece, proprio da addebitare alla sua onnipresenza. È in programma, a ottobre, a Salerno il convegno “Stato e criminalità” dove presenteremo un manifesto liberale sulla criminalità». Quali i punti salienti? «La responsabilità dello Stato sul versante del crimine organizzato è pesante. Non è un problema di organico: considerando il rapporto

Nella pagina precedente, Vincenzo Olita, direttore dell’associazione Società Libera

numerico tra cittadini e presenza delle forze di polizia, l’Italia è infatti al primo posto nel mondo occidentale. Il nodo critico è che non si può contrastare in maniera radicale il crimine organizzato solo con l’attività repressiva. Come in ambito economico, la ricetta è meno Stato, con poche regole che consentano grande efficacia; nel contrasto al crimine organizzato auspichiamo un diverso ruolo dello Stato, capace di affiancare alla necessaria repressione quotidiana un impegno serrato sul fronte dello sviluppo economico e una vera e propria rivoluzione culturale. Senza questa interconnessione, in Italia la lotta al crimine è persa». CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 29




POLITICA ECONOMICA

Investire nel Mezzogiorno per il futuro del Paese «Bisogna farsi trovare pronti quando la crisi passerà» ricorda Alessandro Laterza, vicepresidente di Confindustria per il Mezzogiorno, secondo cui è necessario «usare meglio le risorse pubbliche a disposizione, a cominciare da quelle europee, per migliorare la competitività dei nostri territori» e dotare il Sud di una vera politica industriale Renata Gualtieri

l centro studi di Confindustria ha recentemente rivisto al ribasso le stime di crescita per il 2012 e previsto che gli effetti recessivi si trascineranno anche nei primi mesi del 2013. Tutte le rilevazioni concordano nell’indicare che il clima di fiducia nel Paese è ai minimi e nel fatto che il Mezzogiorno presenta, se possibile, indicatori ancor più negativi. Dunque non c’è da farsi particolari illusioni. E, soprattutto, non c’è la formula magica per tornare a crescere. «È finito il tempo della pubblica amministrazione che funge da ammortizzatore sociale, oggi più che mai – dichiara Alessandro Laterza, vicepresidente di Confindustria per il Mezzogiorno – credo sia necessaria una risposta di sistema: da un lato, dovremo mantenere la capacità produttiva esistente, investire sulle competenze interne alle aziende, innovare, cercare nuovi mercati. Dall’altro, sarà necessario aprire al mercato e a nuove imprese settori che sono ancora protetti e che potrebbero, grazie a una maggiore concorrenza, costituire occasione di investimenti e di nuove opportunità di lavoro». Secondo Unioncamere nel 2011 il 40 per cento delle nuove imprese giovanili sono nate al Sud. E le prime sedici province per incidenza della nuova impren-

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ditoria giovanile sono meridionali. Come si possono leggere questi dati? «Si possono leggere in due modi. Da un lato, in un momento di crisi del mercato del lavoro come quello attuale, il lavoro autonomo e imprenditoriale può essere una valida alternativa al lavoro dipendente, soprattutto nelle regioni meridionali, dove il fenomeno è già molto diffuso. Non è un caso se 26 delle prime 30 province per incidenza di imprese giovanili sul totale delle imprese sono localizzate a Sud. Ed è significativo che Napoli, con quasi 40.000 imprese condotte da giovani, sia la seconda provincia d’Italia per numero di imprese giovanili esistenti, poco dopo Roma. In secondo luogo, ciò significa che anche durante la crisi la voglia di fare impresa rimane alta e che una lungimirante politica industriale dovrebbe essere in grado di sfruttare questa energia, convogliandola verso settori a più alto valore aggiunto. Senza aver timore dei fallimenti. Paradossalmente, questa “via obbligata” al lavoro può essere un volano per la crescita dell’intero sistema produttivo italiano». È entrato nella squadra del presidente Squinzi come vicepresidente con la delega per il Mezzogiorno. Quale sarà il suo contributo?


Alessandro Laterza

La prima cosa da fare è dotare il Sud di una vera politica industriale che non abbia paura di fare scelte

«È necessario un cambiamento culturale nel modo di approcciare la questione meridionale, il Sud deve essere considerato non tanto un problema geograficamente circoscritto, con le sue regole, le sue risorse e il suo mondo chiuso in se stesso, ma come parte di un più generale problema di coesione economica e sociale del Paese. Come tale, non può essere affrontato con una logica da “riserva indiana”, con risorse straordinarie che sostituiscono quelle ordinarie dando una sensazione di grande abbondanza di risorse pubbliche che in realtà non c’è. Credo, invece, che si debba lavorare per

migliorare stabilmente la A sinistra, qualità dei servizi pubblici Alessandro Laterza, vicepresidente erogati nelle regioni meri- di Confindustria dionali in favore di cittadini per il Mezzogiorno e imprese. Una delle prime azioni da intraprendere riguarda i ritardi nei pagamenti della pubblica amministrazione. Secondo alcune stime, le sole imprese meridionali vantano crediti verso la Pa per oltre 17 miliardi. I decreti per la certificazione di tali crediti sono sicuramente positivi perché consentono di immettere liquidità nel sistema e possono dare ossigeno immediato alle imprese. La via maestra però resta quella del pagamento, in tempi degni di un Paese civile». Quanto è importante il Sud per il futuro dell’Italia? «La crescita economica del Mezzogiorno è fondamentale per tutto il Paese. Come ha dimostrato anche la Banca d’Italia, quest’area è un importatore netto nei confronti di tutto il centro-nord: 100 euro spesi per prodotti nel Mezzogiorno determinano una domanda aggiuntiva per le imprese del centro-nord pari a 40 euro. Basta solo questo dato a spie- CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 39


gare che se si ferma la crescita del Mezzo-

Da dove può scaturire lo sviluppo del giorno si ferma, inevitabilmente, anche Meridione? quella del resto del Paese. Il Sud è, inoltre, «La bacchetta magica non esiste e non c’è l’area che più di tutte possiede la maggiore una ricetta valida per tutte le realtà meriquantità di risorse inutilizzate, umane, eco- dionali. Non condivido l’idea di chi pensa nomiche, imprenditoriali, naturali e cultu- che il futuro del Sud debba essere caratterali. Ed è fondamentale anche per il successo rizzato da un’economia basata solo su turidelle strategie europee per la crescita. Le re- smo e agricoltura, senza l’industria non gioni meridionali sono tra quelle maggior- esiste una reale prospettiva di sviluppo. La mente lontane dei target di Europa 2020 in prima cosa da fare è dunque dotare il Meztermini di occupazione, lotta alla povertà, zogiorno di una vera politica industriale, spesa in ricerca e innovazione, per cui se l’Eu- che promuova l’innovazione, la crescita diropa vuole avere qualche possibilità di cen- mensionale, l’internazionalizzazione, la coltrare gli ambiziosi target di questa strategia è laborazione di rete tra le imprese. E che non sulle regioni meridionali che deve investire». abbia paura di fare scelte. Data l’esiguità delle risorse pubbliche a disposizione, è necessario evitare interventi a pioggia e da questo punto di vista il Decreto Sviluppo è un primo Gli arrivi di turisti passo, avendo fatto pulizia di un gran numero di incenstranieri, nello tivi e reso di nuovo disponiscorso anno, hanno bili fondi da tempo fatto registrare inutilizzati. Questo abbozzo un aumento di politica va al più presto

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Alessandro Laterza

riempito di contenuti. Confindustria non fa più, ormai da tempo, la sentinella delle risorse per le imprese del Mezzogiorno. Il nostro invito è di indirizzare queste risorse verso comportamenti che premino un modo moderno di fare impresa». Di recente ha ricordato che così come dal Sud è partita la lotta contro la criminalità organizzata, è dal Sud che deve partire la grande battaglia contro la corruzione. Perché? «Quella della corruzione è una delle maggiori emergenze del nostro Paese, sotto diversi profili. Secondo la classifica di Transparency international, l’Italia è al 69esimo posto nell’indice della corruzione percepita, in compagnia di Ghana e Repubblica di Montenegro, in calo di 6 posizioni nel giro di due anni. La stessa Transparency international stima che a ogni peggioramento in classifica gli investimenti diretti esteri scendono del 16 per cento. Ed è una delle principali cause di danno all’Erario: secondo la Corte dei Conti, a causa della corruzione mancano ogni anno 60 miliardi di euro: come dire che la corruzione ogni anno

ci costa 1.000 euro a testa». Come occorre procedere? È necessario un cambio di mentalità? «Nel Mezzogiorno la corruzione ha un motivo in più per essere contrastata con forza: in un contesto economicamente più debole, il danno che può arrecare un ulteriore elemento di limitazione alla concorrenza è, infatti, sensibilmente maggiore. Nella lotta contro la criminalità organizzata condotta da Confindustria tramite le associazioni regionali del Sud le motivazioni economiche hanno affiancato quelle etiche: per questo credo che, in analogia con questo impegno, la completa rimozione dell’opacità nei rapporti tra politica, pubblica amministrazione e impresa ne dovrà costituire la naturale evoluzione. Il messaggio che dovremo far passare è che combattere la corruzione non solo è moralmente giusto ma è anche economicamente conveniente. Il lavoro a cui saremo chiamati sarà di lungo periodo: dovrà riguardare la trasparenza della pubblica amministrazione, la reputazione dell’imprenditore, la cultura d’impresa, i nostri stessi comportamenti». CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 41


POLITICA ECONOMICA

Incentivi e innovazione per lo sviluppo del Sud «Occorre impostare una strategia per la crescita del Mezzogiorno davvero nuova. Bisogna puntare su un nuovo percorso di sviluppo operando finalmente per sottrazione e non per addizione». A sostenerlo è Domenico Arcuri, che spiega le potenzialità del Sud Nicolò Mulas Marcello

n tempi di crisi economica occorrono maggiori sforzi per sostenere l’innovazione e la crescita del sistema produttivo. Il pacchetto di misure predisposto dal ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera, va in questa direzione. È stato abrogato un primo gruppo di incentivi vecchi e spesso incomprensibili. Inoltre, è stata riorganizzata la gestione delle crisi industriali attraverso l’estensione della legge 181 sul rilancio delle aree industriali colpite da crisi di settore, purtroppo sempre più frequenti. A questi interventi ne seguiranno altri, in particolare, sul fronte della semplificazione burocratica e amministrativa. In questo frangente, è utile anche un lavoro mirato all’attrazione degli investimenti esteri e alla valorizzazione delle potenzialità dei territori. Uno degli ostacoli più importanti è rappresentato da norme poco chiare che frenano lo sviluppo delle nostre aziende e non invogliano quelle straniere

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a investire in Italia. «Nel nostro Paese – spiega Domenico Arcuri, amministratore delegato di Invitalia – c’è ancora un magma e una massa, spesso informe e sempre incomprensibile, che si frappone ai rapporti normali tra le aziende, lo Stato e il mercato. E che certo non aiuta a riprendere la traiettoria della crescita. Ad esempio, ma non solo, in materia di incentivi, anche all’innovazione. Devono essere sempre più trasparenti, semplici e molto limitati nel numero, con regole certe e tempi di erogazione ben definiti». Quali sono gli strumenti da mettere in atto per accrescere la competitività delle imprese italiane e in particolare per il Sud? «Occorre impostare una strategia per la crescita del Mezzogiorno davvero nuova. Bisogna puntare su un nuovo percorso di svi-


Domenico Arcuri

Il Sud ha enormi potenzialità di sviluppo, anche perché si trova al centro di un’area, quella del Mediterraneo, in forte crescita

A destra, Domenico Arcuri, amministratore delegato di Invitalia

luppo operando finalmente per sottrazione e non per addizione. Bisogna guardare alla domanda e non più all’offerta, non calando dall’alto nuove batterie di strumenti e sovrastrutture senza sentire prima dai cittadini del Sud di cosa davvero hanno bisogno per crescere e intraprendere. Bisogna inoltre ridurre la moltitudine di soggetti che intervengono nelle traiettorie di sviluppo. Fino a quando esisterà questa moltitudine di soggetti istitu-

zionali e para-istituzionali, sempre concorrenti e mai uniti tra loro per lo sviluppo, non ci sarà una crescita duratura». Per favorire l’attrazione di investimenti esteri, valorizzare le potenzialità dei territori quali sono le priorità di intervento? «È al lavoro una task-force tra Ministero e Confindustria per rendere il più possibile attrattivi gli investimenti in Italia, che coinvolge anche Invitalia. L’obiettivo è garantire iter veloci anche per gli insediamenti di imprese straniere, con un interlocutore unico che accompagni gli investitori dall’inizio alla fine del percorso». Quali sono le prospettive per il Sud in termini di attrazione di investimenti? «Il Mezzogiorno ha enormi potenzialità di sviluppo, anche perché si trova al centro di un’area, quella del Mediterraneo, in forte crescita. Ma per coglierle occorre cambiare marcia e mettere in campo interventi davvero in grado di rendere competitivo il Sud rispetto alle aree analoghe degli altri Paesi europei». CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 43


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«La politica nazionale scommetta sul Sud» Con il taglio agli investimenti pubblici e la perdita di autonomia gestionale delle banche meridionali, il sistema finanziario del Mezzogiorno ricalca la debolezza di un’area che reclama il centro della scena nazionale in materia di sviluppo. L’analisi di Adriano Giannola Giacomo Govoni

effetto aggregato dei provvedimenti di finanza pubblica peserà nel 2013 per circa 7,6 punti di Pil nelle regioni meridionali e per il 5,3 per cento nel resto del Paese. È uno dei dati più significativi su cui fa leva l’ultimo rapporto Svimez, redatto a inizio anno in collaborazione con Irpet, per dimostrare che gli interventi correttivi per il consolidamento dei conti pubblici messi in atto nei mesi scorsi dall’esecutivo non dipingono scenari incoraggianti per l’area meridionale del Paese. «Bisogna capire – afferma Adriano Giannola, presidente di Svimez – che il rilancio del Mezzogiorno è un’occasione nazionale che non si potrà cogliere se si pretende

L’ Adriano Giannola, presidente di Svimez

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di stendere una sorta di cintura sanitaria per isolare la parte “malata’’ dalla parte sana». Neppure le risorse del Fondo unico di agevolazioni alle imprese, istituito di recente dal governo, possono mitigare questo gap? «Le risorse di quel fondo un tempo erano in larga parte destinate al Mezzogiorno. Pertanto, mi sembra un po’ ironico affermare che questa potrà essere la risposta di sostegno all’economia del Sud, perché quel fondo ora sarà spalmato su tutte le regioni italiane. Il problema vero, tuttavia, è che anche questa manovra non è calibrata sulle varie realtà territoriali e graverà di più su aree in cui la struttura sociale è molto più sotto pressione. Il 40 per cento delle famiglie meridionali, ricordo, è sotto il livello di povertà». Quali elementi del sistema finanziario meridionale continuano ancor oggi a rappresentare una zavorra per lo sviluppo dell’economia dell’area? «Più che di zavorre, parlerei di fattori di assenza o di carenza riguardo la capacità di erogazione e di analisi del credito. Il Mezzogiorno, dopo il cosiddetto consolidamento, è rimasto privo di grandi banche con una base territorialmente radicata. Penso a istituti come il


Adriano Giannola

Dei circa 500mila posti di lavoro perduti per via della crisi, il 60 per cento è al Sud. Di questi, il 60% si concentra in Campania, che vede svanire occupazione industriale in modo massiccio

Banco di Napoli, che oggi non hanno più un’autonomia gestionale e strategica sul territorio». Un handicap che lei ha denunciato anche alla presentazione del nuovo governatore della Banca d’Italia a maggio scorso. Quanto pesa nel ritardo competitivo delle regioni del Sud? «Quando la centrale operativa di una banca viene trasferita lontano da quella d’origine, per motivi tecnici la vecchia clientela ne esce penalizzata. Tanto più in un’area debole, che in tal modo diventa ancor meno appetibile. In questo nuovo scenario, il sistema finanziario del Sud

pone pertanto dei vincoli molto forti all’ingresso alla maggior parte della clientela meridionale. Senza contare gli aspetti operativi, che essendo legati ad autorizzazioni da Milano invece che da Napoli, pongono un problema di minore percezione dell’ambiente. Ci sono anche lati positivi, come l’affidabilità dei servizi bancari o i costi minori, ma il saldo per il Sud è complessivamente deficitario». Di recente ha indicato l’Abruzzo tra le regioni che meglio hanno retto agli assalti della crisi. «Osservando il trend dal 2000 a oggi, l’Abruzzo è la regione italiana che dalla crisi in avanti ha

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POLITICA ECONOMICA XXXXXXXXXXX

9%

INTERESSI IL TASSO MEDIO PRATICATO DAGLI ISTITUTI DI CREDITO AL SUD PER PRESTITI A BREVE TERMINE. AL NORD LA MEDIA È DI CIRCA IL 5%. FONTE: UNIONCAMERE

reagito meglio. Dopo una brusca flessione dal

2000 al 2007, nel biennio 2010-2011 ha avuto tassi di crescita dell’1,7-1,8 per cento. Chiaro che l’impatto del processo di ricostruzione post sisma ha influito, ma è anche il segno che quando si interviene con iniezioni d’investimenti, le cose ripartono. Invece in questi ultimi tempi li stiamo tagliando, con effetti micidiali per il Sud». Quali invece le regioni più in sofferenza? «Chi sta peggio è la regione più complessa e potenzialmente più dinamica del Mezzogiorno, ovvero la Campania, oggi ultima regione italiana in termine di prodotto pro-capite e di quote di disoccupazione. Dei circa 500mila posti di lavoro perduti per via della crisi, il 60 per cento è al Sud. Di questi, il 60 per cento si concentra in Campania, che vede svanire occupazione industriale in modo massiccio. Le costruzioni, in particolare, sono sull’orlo del collasso. Se non si inietta una terapia di emergenza, ma con prospettiva di lungo periodo, qui si rischia un default economico e so-

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ciale di proporzioni drammatiche, contando che stiamo parlando della seconda regione italiana per popolazione». Tornando al vostro report, quali ulteriori esiti consegna? «Dalla nostra simulazione di manovra, svolta con lo stesso saldo, emerge come il famoso aumento dell’Iva che tanto spaventa a Sud avrebbe effetti molto meno dirompenti del taglio degli investimenti pubblici. Nel 2012 prevediamo che le manovre reali porteranno a una caduta del 2,9 per cento del Pil al Sud, dell’1,4 per cento al Nord e dell’1,8 per cento al livello nazionale. Se invece si procedesse alla ristrutturazione del mix fra maggiori entrate e minori spese, senza tagliare gli investimenti e compensando con una spending review incisiva, avremo un alleviamento del peso di un punto di Pil nel Mezzogiorno». Attira il dato sulle tasse secondo cui, in termini di peso sul Pil, i cittadini meridionali ne pagano più di quelli del centro-nord. Quali misure perequative potrebbero com-


Adriano Giannola

pensare questo trend? «Nei comuni del Sud le aliquote tributarie sono ai livelli massimi consentiti perché l’economia è ai livelli minimi di capacità di dare risorse sotto forma di imposte. Le regioni più ricche, di contro, possono contare su una base imponibile più ampia che rende sufficiente un ritocco minimo di pressione fiscale. Nel Mezzogiorno questa compensazione è ormai impossibile e quindi, di fatto, si compiono tagli lineari. Il principio del “siccome siete meno efficienti, pagate anche più tasse”, è una conseguenza dei divari di sviluppo che la finanza decentrata non contribuisce certo a colmare. Quindi, d’accordo il federalismo, ma occorre quantomeno compensare con adeguate politiche di sviluppo». In più occasioni ha posto l’accento sull’inefficienza diffusa delle amministrazioni locali del Sud. In questo senso, il federalismo rappresenta più un’opportunità o un rischio? «Il federalismo deve essere un’occasione di ra-

L’edilizia è sull’orlo del collasso. Se non si inietta una terapia di emergenza, con prospettiva di lungo periodo, si rischia un default economico e sociale

zionalizzazione e responsabilizzazione, comunque la si pensi. Però non possiamo nemmeno nasconderci dietro un dito. In aree difficili, cresce la probabilità di imbattersi in amministrazioni inefficienti o corrotte che gestiscono quel poco di spesa pubblica, che rimane l’unica risorsa quando s’impoverisce il tessuto produttivo. Il federalismo deve essere accompagnato da politiche nazionali che responsabilizzino, ma in un quadro di prospettive di sviluppo, che impongano ai livelli locali strategie certe su temi importanti come energia, logistica e politiche mediterranee».

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POLITICA ECONOMICA

Una tassazione più sostenibile Alleggerimento del carico fiscale che grava sulle imprese e lotta all’eccessiva burocratizzazione. Da questi imperativi occorre far partire l’azione di rilancio dell’economia regionale secondo il presidente degli industriali campani Giorgio Fiore Francesca Druidi

a pesante crisi che attanaglia il paese acuisce la fase critica in cui versa, ormai da diversi anni, l’economia campana, come attesta anche il recente rapporto di Banca d’Italia. Scoraggiano il quadro occupazionale e le difficoltà oggettive del fare impresa sul territorio, ma vanno segnalati anche una ripresa delle esportazioni e un’inversione di tendenza nel governo regionale improntato al controllo dei conti e alla riduzione della spesa. Giorgio Fiore, alla guida di Confindustria Campania,

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si concentra sui principali snodi da dipanare ma anche sulle possibili via di uscita dall’attuale congiuntura negativa. Burocrazia, accesso al credito, tassazione. Quali le priorità sulle quali intervenire? «Non vi è dubbio sul fatto che questi aspetti rappresentino le tre vere priorità. Dal punto di vista di Confindustria, una tassazione equa costituisce ora più che mai una precondizione per lo svolgimento dell’attività d’impresa sul nostro territorio. Va, infatti, evidenziata la gravità che sta assumendo il crescente peso dell’imposizione fiscale nel Mezzogiorno. Il rapporto Svimez 2011 sulla finanza dei Comuni evidenzia che negli ultimi 20 anni, al Sud, le entrate tributarie in termini pro-capite sono triplicate. Da quest’anno si è aggiunta poi una nuova tassa, l’Imu, che comporterà per le imprese degli aumenti medi annui anche dell’82 per cento (è il caso per esempio di Caserta). A fronte di un incremento della tassazione non si è però avuto un miglioramento dei servizi pubblici al cittadino, servizi che, al contrario, hanno visto un peggioramento nella relativa qualità». Cosa fare allora? «Siamo convinti che il rilancio del nostro sistema produttivo non può che passare per l’alleggerimento del peso fiscale a carico delle imprese che, al Sud, è addirittura più elevato che al Nord, acuendo il gap di competitività tra queste due aree del Paese. E non sarà il credito d’imposta una tantum ad alleggerire l’insostenibile carico fiscale delle aziende. È


Giorgio Fiore

AGROALIMENTARE

2.077 mln necessario un cambio di strategia da parte del governo rispetto alle politiche di sostegno al sistema imprenditoriale, che preveda finanche l’ipotesi di sostituire le risorse destinate alle agevolazioni con i minori incassi derivanti da una minore tassazione sulle imprese. Basti pensare, al riguardo, che dal 2000 al 2008, il Ministero allo Sviluppo economico ha erogato solo in Campania 7182 milioni di euro di agevolazioni alle aziende». In Campania il problema occupazionale è particolarmente grave tra i giovani. Quanto inciderà la nuova riforma del lavoro? «Nessuna politica per l’occupazione può risultare efficace se prima non si assicurano alle imprese le condizioni essenziali allo svolgimento della propria attività. In altre parole, non serve continuare a iniettare nel territorio risorse aggiuntive destinate allo sviluppo, se tra poco sul territorio non vi saranno più realtà produttive in grado di recepire tali risorse e trasformarle in sviluppo e occupazione. Detto questo, naturalmente la disoccupazione giovanile rappresenta “il grande tema” del governo per una strategia del Paese che guardi a uno svi-

IL VALORE DELLE ESPORTAZIONI DEL SETTORE AGROALIMENTARE CAMPANO NEL 2011 (FONTE: SRM)

luppo a lungo termine. Si deve garantire il diritto al lavoro, incentivando l’occupazione giovanile attraverso strumenti inizialmente flessibili ma che poi portino a una stabile occupazione. Al riguardo, si dovrebbe definire un nuovo strumento d’ingresso nel mondo del lavoro che consenta la totale esenzione fiscale sulla retribuzione del giovane per la durata del contratto». Dal rapporto congiunturale di Banca d’ItaA sinistra, lia relativo a giugno 2012, emerge che i set- Giorgio Fiore, tori agroalimentare, farmaceutico e presidente di aerospaziale registrano, in particolare, buone Confindustria Campania performance. Come la Campania può guardare alla ripresa, anche in un’ottica di possibile rilancio dell’intero Meridione? «La Campania può contare su due settori che hanno mostrato buone performance anche durante l’apice della crisi economica-finanziaria: l’agroalimentare e il cosiddetto “sistema moda”, ovvero tessile, abbiglia- CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 49


POLITICA ECONOMICA

PRESSIONE FISCALE

151% PERCENTUALE DI INCREMENTO DELLE ENTRATE TRIBUTARIE AL SUD NEGLI ULTIMI VENT’ANNI (FONTE: RAPPORTO SVIMEZ 2011 SULLA FINANZA DEI COMUNI)

mento e calzaturiero. Due comparti

Il rilancio del nostro sistema produttivo non può che passare per l’alleggerimento del peso fiscale a carico delle imprese

caratterizzati da una presenza storicamente consolidata sul territorio regionale, ma associata all’alta capacità di esportazione di prodotti made in Campania. Si tratta di realtà connotate da una produzione organizzata in prevalenza in imprese di dimensione piccola e media, altamente specializzate e operanti in specifiche nicchie di mercato. Del resto, esportare per un’azienda è diventata una strada obbligata per riuscire a compensare la caduta del mercato nazionale». I numeri registrano una buona crescita delle esportazioni sia del Mezzogiorno che della Campania. «Sì, secondo l’Istat, nel 2011 le esportazioni si attestano nella nostra regione sui 9,4 miliardi di euro, in aumento del 5,4 per cento rispetto ai dati del 2010; anche il Mezzogiorno mostra un rialzo del 10,3 per cento. In particolare, come emerge dai dati della Srm, l’industria alimentare campana raccoglie 2077 milioni di euro in export nel 2011 (pari al 9 per cento delle esportazioni di prodotti agricoli nazionali), e se si considera il 1° trimestre 2012 si rileva una crescita dell’1 per cento. L’industria alimentare, inoltre, si posiziona al secondo posto nella classifica italiana per incidenza dell’export sul fatturato con il 32,3 per cento (dopo il Trentino con il 36). Sul fronte del comparto tessile, le esportazioni registrano un +6,3 per cento per la 50 • DOSSIER • CAMPANIA 2012

Campania rispetto al 2010». Le imprese della regione che puntano su internazionalizzazione e innovazione sono quelle che godono delle prospettive più incoraggianti. Come sostenere queste note positive? «L’innovazione e l’internazionalizzazione sono fattori abilitanti per lo sviluppo e la competitività delle imprese. Occorre, quindi, mettere in campo ogni azione utile a supporto di tali leve competitive puntando, innanzitutto, su incentivi volti a ridurre il carico fiscale delle imprese. Il secondo strumento a supporto della promozione di tali leve competitive presso le imprese, è da ricondursi alla necessità di aggregare le pmi su progetti da realizzare in tali ambiti. Grazie a strumenti già esistenti, come i contratti di rete, le Pmi possono oggi superare in modo efficace i propri limiti dimensionali e porre l’innovazione e l’internazionalizzazione tra gli asset strategici delle proprie imprese, per contribuire a un nuovo modello di politica industriale per il Mezzogiorno che non sia basato su aiuti pubblici. Gli imprenditori vogliono innanzitutto un carico fiscale equo rispetto al resto del Paese».


Tommaso De Simone

La ripresa passa dall’export Favorire l’apertura del sistema produttivo regionale ai mercati internazionali è una delle priorità per le imprese. Unioncamere Campania contribuisce a questo scopo con una nuova iniziativa. Ne parla il presidente Tommaso De Simone Francesca Druidi l 2011 ha segnato una generale crescita degli scambi internazionali dell’Italia. Anche la Campania segue il trend nazionale: in base all’Osservatorio economico redatto da Unioncamere regionale, le vendite all’estero delle aziende campane hanno rappresentato, in media, oltre un quarto del fatturato aziendale complessivo (27 per cento), con un’incidenza maggiore di imprese esportatrici tra le realtà manifatturiere. Tommaso De Simone spiega come il sistema camerale regionale punta a sostenere questa leva fondamentale per il rilancio, commentando le principali tendenze in atto nell’economia campana. Qual è la fotografia che si può scattare allo stato attuale del sistema economico campano nel suo complesso? «L’indagine consegnataci dall’Istituto Tagliacarne non invita certo all’allegria. Le performance economiche del 2011 e le attese per il 2012 evidenziano un’oggettiva condizione di difficoltà per il sistema produttivo regionale. Allo stato degli atti, l’economia campana ha mostrato, rispetto al contesto nazionale, di entrare più rapidamente in recessione e uscirne in modo piuttosto lento. I problemi congiunturali più marcati si segnalano, tra l’altro, in alcuni tra i comparti maggiormente significativi della regione: agricoltura, commercio, servizi alle persone, costruzioni. Si tratta, in sostanza, di attività tradizionali, con limitate capacità di sviluppo, che avvertono in maniera robusta la contrazione dei consumi causata dalla crisi, ma anche caratterizzate da un modesto livello di efficienza e redditività».

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E quali previsioni si possono fare per il resto dell’anno e per il 2013? «Il quadro economico, così come si profila, non consente ancora alle imprese campane di prevedere, per la fine dell’anno in corso, conclusioni improntate all’ottimismo e alla fiducia, anche se si intravede qualche piccolo segnale positivo. In linea con i risultati dello scorso anno, anche per il 2012 le difficoltà maggiori dovrebbero manifestarsi tra le micro e le piccole imprese. La variazione di fatturato, ad esempio, per le aziende con meno di cinque addetti è fissata intorno al -9,6 (-9,5 nel 2011) per cento. Perché? Per una domanda interna ancora molto debole e per la difficoltà a intercettare i segnali positivi provenienti dai mercati internazionali. Se si aggiunge che queste realtà produttive trovano, più delle altre, problemi di reperimento di finanziamenti, il quadro diventa sufficientemente completo per capire lo stato dell’arte. Va

Tommaso De Simone, presidente di Unioncamere Campania

CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 51


POLITICA ECONOMICA

EXPORT

+5,4% PERCENTUALE DI AUMENTO DELLE ESPORTAZIONI DELLA CAMPANIA NEL 2011 RISPETTO AL 2010 (FONTE: OSSERVATORIO ECONOMICO DELLA CAMPANIA - UNIONCAMERE)

ricordato, tuttavia, che le aziende con oltre 10 ternazionalizzazione e si stanno rimettendo in addetti sembrano prossime a imboccare la strada della ripresa soprattutto grazie alla ragionevole aspettativa di conservare sostanzialmente intatto il volume di affari (+0,1 per cento)». Unioncamere Campania, in collaborazione con le Camere di Commercio di Avellino, Caserta e Salerno, organizza un corso di formazione all’export per le pmi campane: il Forexcamp. In che modo il percorso di formazione si prefigge di intervenire concretamente? «Quello dell’export è un valore fondamentale per la nostra economia e la sua ripresa, su cui occorre insistere. È per questo motivo che, tanto Unioncamere quanto le singole realtà camerali della regione, si prodigano nell’individuazione e nell’attuazione di ogni iniziativa utile a favorire l’interscambio con i mercati esteri. L’ultimo, in ordine di tempo, è, appunto, il Forexcamp. Abbiamo iniziato a Caserta con un corso che ha visto la partecipazione di oltre trenta aziende. Molti imprenditori, consci delle criticità che contraddistinguono l’attuale fase economica, hanno mostrato di credere alle opportunità offerte dall’in-

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gioco. Il sostegno che intendiamo offrire è di stampo pratico e concreto. A un primo modulo, tenutosi a giugno, destinato a chiarire gli aspetti essenziali relativi ai trasporti internazionali e alle problematiche doganali, seguirà un corso dedicato al marketing internazionale e alla gestione operativa dei crediti documentari. Sono previsti anche incontri con consulenza personalizzata». Si sta tentando di sviluppare i distretti tecnologici e i poli di innovazione della regione. Come valuta questa strategia? «Come sistema camerale, siamo profondamente consapevoli della necessità di creare tali strutture. Nei limiti delle nostre competenze istituzionali ci stiamo adoperando perché divengano una realtà diffusa su tutto il territorio. Sono in grado di offrire gli strumenti giusti affinché si ottimizzino le risorse, mettendo a frutto tutte le potenzialità di cui dispone la regione e rendendo sempre più efficiente la produzione. È un percorso direi quasi obbligato se si vuole vincere la sfida del mercato, non solo internazionale».



XXXXXXXXXXX POLITICA ECONOMICA

Conti in ordine e buona sanità Il risanamento dei conti e la riduzione degli sprechi sono mattoni indispensabili per costruire le fondamenta della ripresa in Campania. Il presidente della Regione Stefano Caldoro guarda al futuro, nonostante la fase critica dei tagli Francesca Druidi e prospettive di rilancio dell’Italia dipendono in larga misura dalla ripresa del Meridione. Il governatore della Campania Stefano Caldoro è ottimista sulle possibilità del Sud di risollevarsi e sul ruolo che può giocare la regione in questo percorso: «Il Sud ha subìto e subisce troppi pregiudizi. Bisogna, invece, confrontarsi con la realtà dei fatti, di un Mezzogiorno che ha grandi potenzialità, di una Campania che è la regione “più giovane d’Italia”, con uno straordinario capitale umano, e che per posizione geografica è la naturale porta del Mediterraneo». Caldoro non nasconde le criticità ancora da affontare, ma invita a superare «la logica del vecchio Sud rassegnato e sprecone». Il pre-

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Stefano Caldoro, presidente Regione Campania

54 • DOSSIER • CAMPANIA 2012

sidente della Regione evidenzia il lavoro svolto sui “Grandi Progetti”, nel riequilibrare i conti di sanità e trasporti e sul fronte della legalità. I prossimi mesi, con l’applicazione della spending review, saranno decisivi. «Esiste un Sud diverso che vuole affrontare la crisi e guardare al futuro con orgoglio, sapendo di poter essere un’eccellenza, un punto di riferimento e un esempio per il futuro». Sono previsti ulteriori provvedimenti per quanto riguarda la riduzione della spesa pubblica? «La Regione da due anni ragiona nell’ottica della spending review. Fin dai primi giorni di lavoro, abbiamo promosso una politica di contenimento dei costi e di razionalizzazione della spesa, riducendo le consulenze esterne dell’80 per cento, le indennità per consiglieri e assessori, i componenti dei Cda delle società partecipate della Regione, iniziando ad abbassare la spesa per le auto blu del 30 per cento. Il tutto per un risparmio complessivo di circa 21 milioni. Con questa prima azione avevamo già dimostrato che si può risparmiare grazie a un lavoro attento. Poche settimane fa il consiglio regionale, primo in Italia, ha dato un ulteriore segnale di moralizzazione della politica, approvando la legge “Campania zero”. Abolite del tutto le auto blu e i rimborsi per le spese di telefonia,


Stefano Caldoro

POSTI LETTO

3,7 OGNI MILLE ABITANTI. È IL NUOVO STANDARD RELATIVO AI POSTI NEGLI OSPEDALI STABILITO DALLA SPENDING REVIEW

per citare alcuni provvedimenti. Si prosegue con la linea del rigore, facendo capire all’opinione pubblica che sono stati eliminati in maniera equilibrata e senza demagogia i privilegi della cosiddetta casta. Se in un momento difficile si sacrificano i cittadini, il primo segnale deve darlo la politica». Come potranno essere affrontati i tagli previsti per gli enti locali dalla spending review che incideranno su sanità, welfare e trasporti? «Così come sono immaginati questi tagli non possono essere affrontati dalle Regioni. Giustissimo ridurre i costi della politica, come del resto stiamo facendo in Campania, ma questi sono tagli lineari che ricadono direttamente sui cittadini. Il commissario Bondi ha fatto un ottimo lavoro con la spending review, ma è solo una piccola parte di quella che è diventata una vera e propria manovra: si tratta per il 90 per cento di tagli a sanità, trasporto pubblico locale e assistenza sociale. Tutto concentrato su Regioni, Province, Comuni. Questa manovra fa più danni di un eventuale aumento dell’Iva, che comunque si deve cercare di evitare. Nel settore dei trasporti, le Regioni hanno predisposto i propri piani per l’efficientamento del servizio e producono i loro effetti su costi standard. Dobbiamo garantire la qualità nel servizio, ma non sono passi che si riescono a compiere dalla sera alla mattina. È un processo lungo, assolutamente incompatibile con i tagli previsti. Così è una corsa contro il tempo». Oltre alla spending review c’è il nodo della

sanità privata accreditata da sciogliere. Quale la linea programmatica da seguire? «Nel settore sanitario in Campania, dopo un lungo lavoro di razionalizzazione delle risorse, stiamo andando verso l’azzeramento del deficit. Anche per quanto riguarda i posti letto, la Campania è virtuosa, visto che la misura contenuta nella spending review prevede 3,7 posti letto ogni mille abitanti e la Campania ne ha al momento 3,6. Anche sul fronte dei pagamenti alle farmacie convenzionate, abbiamo invertito la rotta rispetto ai forti ritardi del passato. Restano i problemi; con la riduzione dei trasferimenti, tutto il settore sanitario vive in sofferenza». Cosa fare? «Per dare risposte, anche alla sanità privata accreditata, occorre lavorare non solo per il 2012, perché i tagli sono dolorosissimi e arrivano mentre l’anno è in corso, ma attuare un Patto per la salute per il 2013-14, come era previsto negli accordi includendo tutti i parametri di virtuosità. I tagli previsti, circa 8 miliardi nei prossimi tre anni, al fondo sanitario nazionale, sono più che una sforbiciata. Significa una cifra più vicina al 10 per cento, ben oltre il taglio del 5 per cento sul fondo sanitario. Oggi, in termini di trasferimenti statali per la sanità, ogni cittadino campano percepisce 60 euro in meno rispetto a quelli di altre regioni. Il problema vero è offrire una buona sanità, non è una questione solo economica. Ci sono regioni che offrono una migliore sanità, per quanto riguarda la qualità del servizio ai cittadini. Sono queste le differenze che vanno recuperate». CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 55


POLITICA ECONOMICA

Ambire allo sviluppo coordinato del territorio

Napoli è una delle dieci province italiane che si appresta a diventare Città metropolitana. Per un futuro nel segno di una crescita omogenea di tutte le realtà territoriali “bisogna scongiurare il rischio di una gestione napolicentrica” avverte Luigi Cesaro Giacomo Govoni

al 1° gennaio 2014, la provincia di Napoli sparirà. O meglio, cambierà d’abito e si trasformerà in città metropolitana. È quanto prescrive in materia di razionalizzazione degli enti territoriali il decreto sulla spending review, convertito in legge il 7 agosto scorso. Ritoccato in extremis nella forma, con le parole soppressione e accorpamento sostituite nell’ultimo maxiemendamento del governo dall’espressione “riordino”, non cambia la sostanza: decine di Province nei prossimi mesi verranno “sacrificate”, in nome del riassetto della finanza pubblica. «Il rischio concreto – osserva Luigi Cesaro, presidente della Provincia di Napoli – è che si utilizzi una riforma per lo sviluppo solo come strumento per tagliare le spese. È una rivoluzione che però può trasformarsi in un’involuzione». Non più provincia, dunque, ma città metropolitana. Un passo avanti nella futura amministrazione del capoluogo campano? «Allo stato è solo un’operazione di maquillage. La città metropolitana non può ridursi a un ente di secondo livello. Ritengo fondamentale che il suo presidente o sindaco venga eletto direttamente dai cittadini e non sia nominato dai primi cittadini che la costituiscono. Sicuramente non dovrà essere il sindaco del comune capoluogo perché, nel nostro caso, si rischierebbe una gestione na-

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Sopra, Luigi Cesaro, presidente della Provincia di Napoli

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policentrica che è l’esatto opposto dello sviluppo omogeneo e coordinato del territorio, a cui lo spirito di una riforma deve ambire». A proposito di sviluppo, Svimez prevede che nel 2013 la Campania sarà la regione che accuserà la perdita di Pil e d’occupazione più alta d’Italia. In ambito partenopeo, come impedire che tali previsioni si avverino? «La situazione finanziaria delle Province, dopo i tagli della spending review, è vicina al collasso. Abbiamo approvato un bilancio con riserva, ipotizzando tagli di cui ancora non siamo certi. In questo quadro è impossibile per il nostro ente intervenire positivamente con strumenti che consentano la crescita del Pil e dell’occupazione. Piuttosto stiamo lottando per evitare che scivo-


Luigi Cesaro

2

1.171 km

ESTENSIONE LA SUPERFICIE DELLA

PROVINCIA DI NAPOLI, BEN AL DI SOTTO DEL PARAMETRO DI 2.500 KM2 STABILITO DALLA SPENDING REVIEW, A CUI DOVRANNO ADEGUARSI LE FUTURE PROVINCE/CITTÀ METROPOLITANE

lino ulteriormente verso il basso i livelli occupazionali di oggi e per mantenere i servizi fondamentali affidati alla Provincia come le scuole, le strade, i trasporti». Sul fronte infrastrutturale, su quali opere vi state concentrando per restringere il divario competitivo col resto del Paese? «I trasporti assumono per lo sviluppo dell’area metropolitana un ruolo prioritario. Dobbiamo completare i lavori dell’attuale metropolitana e progettare nuove linee che servano, collegandoli in rete, i principali centri della provincia. Dobbiamo portare a compimento il progetto del nuovo aeroporto di Grazzanise, non più rinviabile perché Capodichino non ha più possibilità di sviluppo. E dobbiamo insistere nel rafforzare le nostre potenzialità portuali, su cui abbiamo puntato forte utilizzando diverse risorse messe a disposizione dalla Comunità europea. Risulta consequenziale continuare a lavorare per armonizzare ulteriormente le infrastrutture viarie e ferroviarie con l’entroterra. In particolare l’interporto di Nola». Sul piano dell’innovazione tecnologica, la Campania non ha nulla da invidiare ad altre regioni. Come accelerarne il trasferimento in ambito produttivo e rafforzarne il ruolo di attrattore di investimenti? «Le istituzioni territoriali, in primis Regione e Camere di Commercio, sono fortemente impegnate nel favorire l’osmosi tra il mondo della ricerca e quello dell’impresa. È in corso la mappatura delle esigenze di ricerca e innovazione per il tessuto imprenditoriale campano, costituito in prevalenza di piccole e medie imprese. Tutti i grandi periodi di crisi sono anche quelli in cui è possibile sfruttare occasioni per il

rilancio e lo sviluppo. Molto dipende dalla duttilità del sistema, e per diventare una regione attrattrice di investimenti, rimane sempre indispensabile puntare a innalzare il livello di sicurezza sul territorio». Quali iniziative strategiche si stanno sviluppando attorno alla risorsa mare? «La recente approvazione del nuovo piano regolatore del porto di Napoli, frutto di un grande lavoro di sinergia tra le istituzioni, il mondo imprenditoriale e quello sindacale, ha rappresentato un passo importantissimo per il futuro sviluppo dell’area metropolitana partenopea. Il porto di Napoli è una delle risorse strategiche per i nostri territori. Dobbiamo saper sostenere la sfida che giunge fortissima da realtà emergenti del nord Africa. La posta in gioco è il traffico proveniente dall’Oriente attraverso Suez e indirizzato agli scali del nord Europa». Quali progetti vi vedono in prima fila? «Grazie anche all’impegno della Provincia di Napoli sono stati stanziati, attraverso la Regione Campania, fondi europei e regionali per il potenziamento delle sistema portuale, che comprende anche altri scali del golfo. Puntiamo poi, a intervenire sulla profondità dei fondali per consentire a navi di grosso tonnellaggio di far scalo nella nostra area portuale. Gli investimenti messi in campo, tra interventi pubblici e privati, si aggirano sul miliardo e 300 milioni di euro. È un’occasione da non perdere». CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 57


XXXXXXXXXXX POLITICA ECONOMICA

Una nuova Campania, senza Napoli In uno scenario di riordino degli enti pubblici imposto dalla spending review, Edmondo Cirielli torna ad accarezzare il sogno di una nuova regione. Staccata dal capoluogo campano e autonoma come un tempo Giacomo Govoni eparate e in due regioni diverse. In questa fase di razionalizzazione istituzionale il presidente della Provincia di Salerno non si tira indietro e rilancia la sua proposta di “divorzio” amministrativo da Napoli. «In base ai nostri studi – spiega Cirielli – si creerebbero due nuove aree regionali, totalmente a costo zero». Una battaglia di secessione innescata da Cirielli fin dalla prima ora del suo mandato e che nella versione riveduta e aggiornata allo scorso luglio vedrebbe l’accorpamento tra le province di Avellino, Benevento, Caserta e appunto Salerno». In sostanza, lei propone la costituzione di una nuova regione, senza Napoli. Da cosa nasce questa idea e che futuro vede per l’ente Provincia? «Nasce da due osservazioni. La prima è di carattere storico: la provincia di Salerno è esistita autonomamente da Napoli per 1500 anni e solo l’avvento della Repubblica le ha messe insieme. La seconda è di ordine sociale: Napoli copre l’8% del territorio, con il 60% della popolazione regionale, mentre Salerno, distribuita sul 40% del territorio, dispone di meno del 10% delle risorse per gestirlo. Si aggiunga che Napoli ha problemi sociali gravissimi, in cui assistenzialismo e indebitamento finiscono per drenare le risorse di tutta la Campania. Noi come provincia riceviamo 500 milioni di euro in meno l’anno rispetto a quanto versiamo. Devo dire che il presidente Caldoro sta invertendo le proporzioni di finanziamento, ma il deficit è purtroppo strutturale. Ecco perché il 70% dei comuni della nostra provincia ha chiesto di applicare l’articolo 132 della Costituzione che prevede la possibilità di costituire una nuova regione». Come è stata accolta?

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58 • DOSSIER • CAMPANIA 2012

«La Cassazione ha avviato una procedura referendaria, ma incredibilmente la Corte Costituzionale ha imposto che il referendum sia promosso da tutta la regione compatta, un controsenso. Ora c’è un ricorso in atto e vedremo. Resta il fatto che abrogando provincia, comune e regione di Napoli e creando un unico organo burocratico, una sorta di governatore dell’area napoletana, si potrebbe racchiudere il resto della Campania in una nuova regione, magari anche solo con 2 province, rendendo le due zone autonome, con la loro Irap e Irpef regionale, e colmando l’attuale disomogeneità». E rimediando, chissà, ad alcune inefficienze dei servizi pubblici. Come quelle dell’azienda

A destra, Edmondo Cirielli, presidente della Provincia di Salerno.


Edmondo Cirielli

di mobilità locale Cstp, per la quale a luglio avete chiesto l’apertura di un tavolo anche al Ministro dello sviluppo economico. «I trasporti pubblici risentono della complessiva riduzione della spesa pubblica che il Governo Monti ha messo in campo. Passare dall’abuso all’improvviso taglio significa mettere i servizi locali nelle condizioni di fallire. È quanto rischia di accadere al Cstp, consegnataci con 800 dipendenti dalla precedente amministrazione quando ne basterebbero 550. In questi due anni sono andate in pensione 100 persone non sostituite, ma questo ha fatto accumulare debiti». Come vi siete mossi per cercare di restituire solidità a questo servizio? «Abbiamo chiesto di risanare questa azienda utilizzando contratti di solidarietà o cassa integrazione in deroga e il ministro Fornero non ce l’ha concessa. Se non ci sarà una società privata disposta a farsi carico del passaggio di cantiere e dipendenti il servizio rischia di sparire. Io sono ottimista, ma le ricadute occupazionali non mancheranno, nei termini di 150 persone circa». Sempre in tema di trasporti, alcune settimane fa ha raccolto l’interessamento di Ryanair per lo scalo Salerno-Costa d’Amalfi. In chiave di sviluppo, quanto è strategica questa infrastruttura? «Tre anni fa, quando sono arrivato in Provincia, lo scalo era chiuso, con persone però già assunte e al lavoro. Noi ci abbiamo portato l’Alitalia, collegato Salerno con Roma e Milano. Il pro-

AEROPORTO

2,5 milioni I POTENZIALI PASSEGGERI DELLO SCALO SALERNITANO FRA 4 ANNI A FRONTE DI UN ADEGUAMENTO INFRASTRUTTURALE ATTESO NEI PROSSIMI MESI

blema a monte è che questo aeroporto è stato aperto senza collegamenti adeguati alla tangenziale e all’autostrada e senza una pista idonea a sopportare l’atterraggio di aerei di grosse dimensioni, che consentono alle compagnie di viaggiare con economie vantaggiose. Alitalia ha abbandonato lo scalo l’anno scorso e noi adesso abbiamo un accordo con Air Dolomiti e Sky Bridge, per volare su Monaco, Verona, Olbia, Catania e Milano». Quali prospettive di crescita l’attendono? «Grazie al presidente Caldoro che ha puntato su questo scalo, abbiamo recuperato 50 milioni di euro per potenziare i collegamenti con la rete stradale e altri 50 che a breve saranno sbloccati per migliorare l’aerostazione e la pista. La recente visita del ministro Passera, che ha sottolineato l’importanza dello scalo, ci conforta. L’incontro con Ryanair è importante in prospettiva, cioè quando lo sviluppo di questo aeroporto richiederà senz’altro la presenza di più linee e compagnie. Secondo gli analisti del settore, questo hub con le opportune dotazioni infrastrutturali potrà avere 1 milione di passeggeri nel giro di 18 mesi e 2,5 milioni fra 4 anni. È la scommessa che assieme a Stefano Caldoro porteremo avanti nei prossimi mesi e ci ripagherà di tre anni di lotta che ne hanno impedito la chiusura». CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 59


POLITICA ECONOMICA

Una riconversione “meritocentrica” Il nuovo corso dell’associazione degli industriali sanniti targato Biagio Mataluni sarà improntato alla promozione dell’imprenditorialità giovanile e all’attivazione di «strumenti di innovazione e di sviluppo che rispondano a concrete esigenze di mercato» Giacomo Govoni

stendere a tutto il circuito produttivo sannita lo stesso spirito che, negli anni, ha trasformato i suoi oleifici da frantoi artigianali, attivi a livello provinciale, a complesso agroindustriale oleario di caratura internazionale. È la sfida che Biagio Mataluni, presidente di Confindustria Benevento, lancia al suo tessuto imprenditoriale, con l’intento di gettare le basi di un «nuovo modello di sviluppo economico, attraverso la valorizzazione dell’etica e del merito». In sella da metà luglio scorso, il numero uno degli industriali locali ha avuto modo di mettersi all’opera ancor prima della pausa estiva. Primo banco di prova, la delicata vicenda della riconversione del polo tessile di Airola che «già in questi mesi potrebbe trovare una svolta che garantirebbe importanti opportunità all’intero sistema economico provinciale». Quali saranno i temi cardine attorno a cui svilupperà il suo mandato? «Dopo aver raccolto le richieste provenienti dalla base associativa, ho presentato il mio programma improntato su tre punti: etica, giovani e lavoro. Sono fermamente convinto che solo partendo dall’entusiasmo dei giovani e favorendo il loro inserimento nel

E Biagio Mataluni, presidente di Confindustria Benevento

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mondo del lavoro sarà possibile guardare alla crescita. Intorno a questi tre punti cardine, ruotano una serie di iniziative indirizzate a rivitalizzare il tessuto economico, potenziando alcune sfere di competenza ancora poco espresse, come la ricerca e l’innovazione, il credito alle imprese e i rapporti con la pubblica amministrazione». Su sei vicepresidenti, tre vantano un background professionale di estrazione edile. Che significato ha una così ampia rappresentanza del mondo dei costruttori? «Tutti i vicepresidenti sono imprenditori eletti dalla base associativa, che hanno deciso di mettere la loro esperienza professionale


Biagio Mataluni

-2,6% OCCUPAZIONE IL CALO DI POSTI DI LAVORO REGISTRATO IN PROVINCIA NEL 2011, CHE HA COLPITO IN PARTICOLARE I SETTORI DELL’AGRICOLTURA E DELL’EDILIZIA

Per tutto il mio mandato, i giovani imprenditori saranno sempre al centro delle iniziative di Confindustria

a servizio del progetto Confindustria Benevento. In particolare, il mondo edile ha sempre avuto un ruolo decisivo nel nostro territorio come volano per l’intero tessuto economico, a partire proprio dalle infrastrutture e dalle grandi opere, indispensabili per il futuro delle imprese. Tengo a sottolineare, però, che gli organi direttivi sono espressione di tutte le categorie imprenditoriali attraverso i presidenti di sezione, rappresentando gli iscritti al sistema e le problematiche che esprimono. Insieme alla squadra, stiamo lavorando alacremente per rivitalizzare il sistema confindustriale e consolidare la nostra identità come punto di riferimento per le imprese e per il territorio». Tra le sue principali intenzioni, c’è quella di rianimare e qualificare l’imprenditorialità giovanile, anche come medicina contro la disoccupazione. Quali strumenti attiverete per perseguire questo obiettivo? «L’imprenditorialità giovanile va sostenuta e alimentata attraverso una serie di iniziative che possano permettere a tanti giovani, pro-

venienti dal sistema universitario, di diventare imprenditori capaci di trasformare un’idea in impresa. Per questo motivo Confindustria Benevento metterà in campo progetti mirati alla formazione e alla comunicazione, sfruttando le potenzialità offerte dal web e soprattutto dai social network, fondamentali per creare opportunità di confronto e per avvicinare i giovani al territorio. Da questo punto di vista, sono particolarmente lieto di poter essere affiancato dal gruppo dei giovani imprenditori che, per tutto il mio mandato, sarà sempre al centro delle iniziative di Confindustria». Quali attività cureranno? «Il gruppo dei giovani ha già avviato con successo molteplici iniziative: da “Orientasannio” a “Io merito un’opportunità”, in collaborazione con l’Università del Sannio. Per mettere in moto il circuito economico e favorire l’occupazione bisogna innanzitutto attivare nuovi strumenti di innovazione e di sviluppo che rispondono a concrete esigenze di mercato. In questo delicato processo, risulta decisivo il ruolo svolto dall’università. Il nostro compito è quello di stare al fianco dei giovani, coadiuvando il loro percorso di professionalizzazione nelle imprese e creando una forte sinergia con il mondo accademico». La recente emissione di un bando sui cluster tecnologici individua nella logica del distretto una delle strategie per tendere allo sviluppo. A quali settori affiderete le redini del rilancio? «In un’ottica di convergenza con gli obiettivi del programma comunitario Horizon 2020, il Ministero dell’università e della ricerca scientifica ha inteso dare spazio ai cluster quale propulsore della crescita economica CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 61


XXXXXXXXXXX POLITICA ECONOMICA

400 CASO AIROLA I LAVORATORI A RISCHIO NELLA VERTENZA SULLA REINDUSTRIALIZZAZIONE DEL POLO DI AIROLA, SULLA QUALE MATALUNI SI È ATTIVATO FIN DAI PRIMI GIORNI DI PRESIDENZA

sostenibile dei territori e dell’intero sistema economico nazionale. Le nostre imprese hanno aderito prontamente all’invito attraverso la partecipazione attiva in quasi tutti i settori strategici individuati dal bando: chimica verde, agrifood, tecnologie per gli ambienti di vita, scienze della vita, tecnologie per le smart communities, mezzi e sistemi per la mobilità di superficie terrestre marina, aerospazio, energia e fabbrica intelligente. Tuttavia, nel cluster giocheranno un ruolo strategico le Regioni, attraverso le agenzie operative e gli istituti di ricerca che potranno intervenire con le loro competenze a supporto dell’intero apparato. Siamo certi che sia la regione Campania che gli istituti di ricerca risponderanno all’appello garantendo ritorni positivi per l’intero territorio». All’orizzonte incombe la probabile scomparsa o rimodulazione della Provincia di Benevento: che ricadute avrebbe tale provvedimento sulle prospettive di sviluppo del sistema economico provinciale? «La paventata scomparsa degli uffici provinciali e di quelli periferici dello Stato, sebbene preoccupante, arriva in un territorio già abbondantemente provato da altre importanti perdite, sia in termini di uffici, come nel caso della Banca d’Italia, che di collegamenti, penso alla soppressione di numerosi treni e, in particolare, quelli domenicali diretti nel capoluogo regionale. Ma l’elenco potrebbe essere molto più lungo. 62 • DOSSIER • CAMPANIA 2012

Tutti gli enti sono sottoposti in questo periodo a una spending review ma, nella nostra migliore tradizione e nel dna proprio di ogni imprenditore, non siamo abituati a piangerci addosso e guardiamo al futuro con ottimismo». Dal canto vostro, come gestirete questa fase di riordino istituzionale? «È fondamentale governare l’eventuale processo di accorpamento per trovare nell’unione confindustriale l’opportunità di ottenere maggiori risposte e far valere le ragioni delle aree interne della Campania. Le istituzioni stanno vagliando tutte le possibili risoluzioni alla questione e noi saremo sempre al loro fianco in questo percorso, mantenendo salda la nostra identità e il nostro patrimonio. Di certo, dobbiamo prendere atto di questa tendenza inarrestabile che potrebbe trovare il giusto equilibrio sui tavoli regionali. Noi siamo pronti a fare la nostra parte per tutelare le dignità e le autonomie provinciali».



INNOVAZIONE

Un balzo tecnologico verso la crescita In virtù dello stanziamento accordato di recente dal Miur in Campania nasceranno sei nuovi distretti tecnologici, che si aggiungeranno a quello sui materiali polimerici già attivo. Guido Trombetti illustra le strategie regionali sulla rotta dello sviluppo Giacomo Govoni

rovengono da risorse comunitarie e nazionali, dal Fesr e dal Fondo di rotazione i 915 milioni di euro che a giugno il Ministero dell’istruzione e della ricerca scientifica ha sbloccato a favore delle quattro regioni (Calabria, Campania, Puglia e Sicilia) inserite nell’Obiettivo convergenza. In particolare, in Campania sono arrivati 290 milioni, «di cui 70 – spiega l’assessore regionale all’università e ricerca scientifica Guido Trombetti – serviranno per il potenziamento delle strutture già esistenti». Con i restanti 220, invece, si darà corso a 19 progetti tesi alla creazione di nuove realtà produttive, scommettendo in particolare su distretti ad alta tecnologia, aggregazioni su base territoriale di imprese, università e istituzioni di ricerca guidate da uno specifico organo di governo e raccordate con insediamenti d’eccellenza esistenti in altre aree del Paese. Come verranno impiegati questi fondi e a favore di quali distretti in particolare? «La Campania è prima tra le regioni della convergenza per le risorse finanziare destinate dal Miur e per i progetti approvati. Alle cifre già citate, va aggiunta la quota di finanziamento regionale, che dovrebbe oscillare tra i 60 e i 140 milioni di euro. In Campania i distretti tecnologici ammessi a finanziamento sono sei: aerospazio, beni culturali, edilizia ecosostenibile, biotecnologie, energia, trasporti e logi-

P Sopra, Guido Trombetti, assessore regionale all’Università, ricerca scientifica, statistica, sistemi informativi e informatica

64 • DOSSIER • CAMPANIA 2012

stica, a cui va aggiunto Imast, il distretto sui materiali già esistente». A corollario dei distretti, quali altri circuiti aggregativi prenderanno forma in un’ottica di sviluppo del sistema economico campano? «Al finanziamento sono stati ammessi anche 13 laboratori pubblico-privati: Ritam, nel settore dei materiali per l’aerospazio, Ehealthnet, nel campo dell’Ict per la salute, Top-in, attiva nei settori telecomunicazioni e sensoristica, Temotec, nel settore Ict per i beni culturali, Sorriso e Biochamp, che si occupano di materiali per la salute, Full cell lab, nel settore dell’energia, Most e Marte, per trasporti e logistica, M2Q e Marea, nel campo dell’agroalimentare, Bio.cam, nelle biotecnologie, e Idrica, nel settore ambiente. A questi vanno aggiunti gli 8 laboratori pubblicoprivati già esistenti». Fornire un adeguato sistema di governance ai distretti è uno dei passaggi chiave su cui state ragionando per implementarne il valore. Quali azioni state stimolando in questa direzione? «L’obiettivo è realizzare in Campania veri e propri centri tecnologici di caratura nazionale. I distretti sono chiamati a costruire sistemi integrati e coerenti di ricerca, innovazione e formazione e fungere da propulsori della crescita economica sostenibile. Realtà stabili per il territorio, non legate alla sola progettazione, ma capaci di spinta au-


Guido Trombetti

CONTRIBUTI tonoma. Quanto invece alla governance dei nascenti distretti, la Regione nella fase di negoziazione con il Miur chiederà che siano gestiti con una regia forte e con esperienza di gestione aziendale e di marketing territoriale. Pensiamo a manager con capacità di interfaccia tra il mondo accademico e quello produttivo, con chiare competenze nell’interpretazione del sistema di ricerca e sviluppo che abbiamo disegnato». Qualcuno paventa il rischio di un abuso del modello di distretto, anche in aree prive delle carte in regola per sopportarlo. Come si colloca l’esperienza campana in questo scenario? «La Campania finora ha risposto egregiamente a tutti i processi d’inseminazione nel settore dell’innovazione. L’unica esperienza di distretto fatta fin qui è quella del distretto sui materiali polimerici, Imast, ed è un’esperienza di successo. La presenza sul territorio regionale di importanti strutture per il trasferimento tecnologico dimostra che abbiamo risposto a una forte domanda di innovazione da parte del sistema economico. La nascita dei distretti è la parte finale di un processo d’innovazione passato attraverso la nascita dei centri di competenza e che ha visto la regione Campania fortemente impegnata a strutturare il sistema di ricerca, innovazione e sviluppo avvantaggiandosi della concertazione con gli attori del mondo produttivo e della ricerca». Cosa s’intende quando si dice che l’inno-

25 mln IL TETTO DI COSTO MASSIMO FISSATO PER CIASCUNO DEI 19 PROGETTI CAMPANI AMMESSI A FINANZIAMENTO

vazione e la ricerca non vanno solo finanziate, ma anche valutate? «La valutazione è fondamentale per monitorare le performance e, all’occorrenza, correggere eventuali mancanze. La complessità delle politiche di ricerca e innovazione richiede un approccio nuovo nelle strategie, e poi nella gestione e valutazione degli interventi. Finora abbiamo valutato la ricerca e i progetti ex ante. Oggi è indispensabile implementarli con la valutazione ex post e in itinere, anche avvalendosi delle nuove tecnologie. Proprio in tale direzione la Regione si sta dotando di un sistema di business intelligence in grado di monitorare i processi e i progetti di ricerca sul territorio regionale e capace di dare risposte sull’efficacia e l’impatto degli stessi». Cosa farà nei prossimi la Regione per affiancare i distretti campani nella partita dello sviluppo e dell’innovazione? «Cofinanzieremo sia i progetti di ricerca che i servizi e le infrastrutture. L’obiettivo è creare un’unica rete tra i distretti e per i servizi agli stessi, coordinata dall’agenzia regionale Campania Innovazione, vero hub delle politiche di innovazione sul territorio regionale». CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 65


INNOVAZIONE

Tradurre la ricerca in risultati tangibili I fondi concessi alla Campania per la realizzazione di nuovi poli tecnologici, secondo Giuseppe Zollo, consentiranno di «aggregare le competenze esistenti intorno a filiere scientifiche e tecnologiche di indubbio valore strategico» Giacomo Govoni

reare le condizioni logistiche e finanziarie per ospitare cluster tecnologici non basta ad affermare che la strada dell’innovazione è imboccata. In parallelo occorre che una regione come la Campania, ancor oggi al penultimo posto del ranking nazionale in fatto di propensione delle pmi a stringere accordi di cooperazione orientati all’innovazione, definisca alcuni fabbisogni di servizi da parte delle imprese, magari comparandoli con le regioni italiane più all’avanguardia sotto il profilo delle innovazioni di prodotto e di processo. Una prima misurazione in questo senso, porta la firma di Campania Innovazione, agenzia della Regione che nelle scorse settimane, attraverso la redazione e la pubblicazione di un “Innovation scoreboard”, ha di fatto fornito all’intero sistema regionale uno strumento di approfondimento per la costruzione di politiche a sostegno della capacità innovativa campana. «Ora – spiega Giuseppe Zollo, presidente di Campania Innovazione – siamo nella fase di elaborazione di sistemi più analitici che colgano in modo diretto l’effetto delle politiche di innovazione sulle capacità competitive degli attori regionali».

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Giuseppe Zollo, presidente di Campania Innovazione

66 • DOSSIER • CAMPANIA 2012

Quali azioni metterete in campo nei prossimi mesi per misurare al meglio l’impatto delle politiche d’innovazione? «L’agenzia già da un anno ha varato un progetto di misura delle capacità di innovazione della Campania, assumendo come riferimento le metriche già usate in campo europeo. Su questo punto c’è ben poco da inventare. È sufficiente adattare al contesto locale metriche e sistemi già ampiamente collaudati in altre parti del mondo. I primi risultati di un sistema di valutazione aggregato sono consultabili sul sito web di Campania Innovazione». La diffusione del modello distrettuale può rivelarsi determinante per attirare nuovi investimenti sul territorio? «I nuovi investimenti si attirano solo se si è credibili sul lungo periodo. E la credibilità si acquisisce solo se si è capaci di mostrare risultati tangibili e se si dimostra che tali traguardi sono il risultato di competenze vere, e non una fiammata


Giuseppe Zollo

ICT

41% LA PERCENTUALE DI NUOVE AZIENDE APPARTENENTI AL SETTORE INSEDIATE IN REGIONE E REGISTRATE DA CAMPANIA INNOVAZIONE NEL PRIMO SEMESTRE DEL 2012

tecnologici con le strutture che hanno le competenze per fare ciò. I distretti tecnologici devono perciò diventare l’elemento qualificante della rete “Campania In.Hub”, costituita dalla Regione circa un anno fa». Su quali realtà scientifiche di punta del territorio si potranno incardinare i futuri distretti tecnologici di matrice campana? «Non c’è dubbio che debbano incardinarsi sulle realtà di ricerca esistenti. Per fortuna la capacità di ricerca in Campania non manca. Vi sono eccellenze sia nelle università che nel Cnr, oltre a coraggiosi imprenditori che non hanno smesso di credere nell’innovazione come volano Non sempre tecnici e ricercatori essenziale per la competitività del sanno o vogliono dialogare con le pmi. territorio. L’elenco è lungo». Come inciderà l’aggregaPer questo è essenziale il raccordo zione in distretti sul concetto di dei distretti tecnologici con le territorialità delle imprese che li strutture competenti per farlo compongono? È ragionevole immaginare un allargamento degli orizzonti commerciali, favorito destinata a diventare cenere quando i fondi pub- dallo sviluppo filiere interregionali? blici si esauriranno». «Se i distretti riescono a rompere le barriere Oltre al contenimento dei costi, quali op- di credibilità e di comunicazione che spesso portunità il modello dei distretti tecnologici i ricercatori soffrono nei confronti del siapre per le pmi campane? stema delle imprese locali, non c’è dubbio «Il problema della ricerca è come sempre quello che l’aggregazione delle capacità scientifiche di competere a livello internazionale. Per far ciò e tecniche consentirà la realizzazione di una è necessario raggiungere rilevanti economie di serie di servizi alle imprese a sostegno delle scala. Per riuscirci è necessario aggregare le com- loro capacità di innovazione. Quali saranno petenze esistenti intorno a filiere scientifiche e tec- le tipologie di servizi più gettonate si vedrà nologiche di indubbio valore strategico. Questa nel tempo. Sicuramente il sistema campano è la vera opportunità che si apre con la creazione per favorire l’innovazione avrà bisogno di dei distretti tecnologici. Poi c’è il secondo annoso sviluppare collaborazioni in ambito regioproblema: dialogare con le pmi. Cosa che non nale ed extraregionale. Filiere corte e filiere sempre i tecnici e i ricercatori sanno o vogliono lunghe non sono alternative. Anzi, si sostenfare. Per cui è essenziale il raccordo dei distretti gono a vicenda».

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TECNOLOGIE

Il capitale umano, il vero volto della tecnologia Tecnologie innovative e capacità di servire il mercato con soluzioni personalizzate. Il settore della stampa digitale si evolve. A illustrarne le prospettive è Maurizio Iannone, della società Tecnogroup Caterina Marchetti

ompetenza e attenzione verso le nuove tecnologie: il know how capace di passare attraverso il claim di un aggiornamento in evoluzione è ciò che funge da costante ispirazione per Tecnogroup, un’azienda che oggi cerca di immaginare il futuro oltre la crisi puntando su design eco friendly e soluzioni inedite, giocate su una fruibilità immediata. Maurizio Iannone, che gestisce i sistemi amministrativi aziendali, ci ha spiegato che proprio durante i momenti storicamente avversi come quelli che ci troviamo a vivere è necessario osare. Come? L’azienda ha deciso di andare controcorrente, puntando sul capitale umano. Per-

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Da sinistra, Ciro Sapienza Salerno, responsabile assistenza tecnica, Maurizio Iannone, amministratore, e Angelo Imperatore, responsabile commerciale della Tecnogroup Srl di Napoli www.tecno-group.it

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ché dietro un’idea vincente c’è sempre un uomo con la voglia di sperimentare. Quale bilancio può trarre a seguito dell’attività e degli obiettivi raggiunti nell’ultimo biennio dalla vostra impresa? «Il bilancio che possiamo trarre è positivo, sia in termini di competitività, sia di fatturato, considerando che per quest’ultimo abbiamo avuto un aumento pari al 20 per cento annuo sulla nostra clientela storica e un ulteriore incremento del 15 per cento dovuto all’inserimento di nuovi clienti». Quali sono le esperienze più significative che hanno permesso a Tecnogroup di crescere? «L’esperienza più significativa per la nostra evoluzione ha riguardato i numerosi corsi di formazione a cui abbiamo partecipato con interesse ed entusiasmo, anche all’estero. Cresciamo insieme ai nostri clienti, seguendo la logica di un aggiornamento costante, cercando di migliorare la qualità ma lavorare su un utilizzo sempre più facilitato dei prodotti, che punti a una fruibilità di immediata comprensione». Quali sono i vostri settori con il trend di sviluppo più alto? «I settori trainanti riguardano i servizi tipografici e le arti grafiche, che con l’avvento dei sistemi digitali hanno raggiunto quote di


Maurizio Iannone

mercato che con l’offset non avremmo potuto ottenere. Questo anche perché siamo riusciti a soddisfare le richieste provenienti dall'ambito professionale tecnico, ingegneristico e architettonico». Quali le prossime novità che proporrete al mercato? «Le novità riguardano i prodotti dei due nostri brand Konica Minolta e Kip, due aziende leader nei settori del piccolo e grande formato». Quali sono le esigenze di un'azienda che si rivolge a Tecnogroup? «Tra le necessità delle imprese possiamo ascrivere costi contenuti, assistenza e offerta di servizi performanti. In questo senso la personalizzazione delle soluzioni appare uno strumento strategico essenziale per rimanere vicini ai bisogni delle aziende che si rivolgono a noi». Quanto investite in formazione e sviluppo? «Seguiamo in maniera dinamica le attività produttive ponendo l’aggiornamento del personale e l’attenzione per il cliente al centro delle nostre scelte. La nostra azienda è formata da personale giovane e dinamico, anche per questo seguiamo una costante evoluzione, che ci permette di far fronte tempestivamente alle esigenze del mercato grazie all’inserimento di nuove figure e attraverso avanzati software di gestione remota, con i quali risolvere rapidamente le varie problematiche della nostra clientela». Come immagina il futuro? «Come tutti i settori, anche noi abbiamo subito gli effetti della crisi mondiale, ma abbiamo deciso di contenerne

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I servizi tipografici e le arti grafiche, con l’avvento dei sistemi digitali, hanno raggiunto quote di mercato che con l’offset non avremmo potuto ottenere

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le conseguenze investendo nei servizi e nella professionalità del personale. Le parole chiave per il nostro futuro vanno nel segno della ricerca di tecnologie innovative, oltre che nella capacità di servire il mercato con soluzioni personalizzate, mantenendo alti gli standard di eccellenza e orientando l’impegno verso quelle che sono le nuove concezioni dell’eco-design. Tutto questo senza dimenticare che una forte coesione tra soci e collaboratori ha contribuito alla creazione di un gruppo unito: il nostro spirito di squadra per il cliente oggi è garanzia di un prodotto altamente selezionato. Perché le persone sono la forza trainante del progresso. Sono loro a cambiare il volto della tecnologia». CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 69




BENI CULTURALI

Guardare alla cultura con logica produttiva «Il patrimonio culturale, fuori da logiche assistenziali e dentro un processo di revisione dei fattori produttivi, può essere il motore per il Paese, per il Sud e per la Campania». Il punto del vicepresidente della giunta campana Giuseppe De Mita Renata Gualtieri n recente studio dell’Università Cattolica indica che in Italia, nonostante il primato di 44 siti Unesco, il Pil legato all’industria culturale resta fermo a 35 miliardi di euro contro i 78 della Gran Bretagna e gli 82 della Francia. In un periodo di forte crisi economica la cultura può diventare però una vera strategia di marketing territoriale cioè un’attività produttiva, anche nella vita economica campana. «È questa un’indicazione strategica che come Assessorato al turismo e ai beni culturali – sottolinea il vicepresidente della Regione Giuseppe De Mita – stiamo portando avanti ormai da tempo». Come si sta cercando di dare concretezza alla vostra azione? «È in via di pubblicazione un bando per la valorizzazione dei beni culturali della Campania, relativo all’Obiettivo operativo 1.9, che prevede la necessità per l’ammissione a finanziamento di un piano di gestione che contenga anche i livelli occupazionali che attraverso l’azione di valorizzazione si intendono impiegare, pena la revoca del finanziamento stesso. È una idea che va a correggere quanto accaduto nel passato rispetto all’uti-

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Giuseppe De Mita, vicepresidente della giunta regionale della Campania con delega a beni culturali e turismo

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lizzo delle risorse pubbliche, soprattutto quelle comunitarie. Nel passato, infatti, il recupero e la valorizzazione di beni culturali hanno prodotto nuovi costi piuttosto che nuova ricchezza». La Convenzione Unesco per la protezione e la promozione delle diversità di espressione culturali, in vigore dal marzo 2007, rileva la complementarietà degli aspetti economici e culturali dello sviluppo, confermando che non ci può essere sviluppo economico senza


Giuseppe De Mita

sviluppo culturale. Cosa ne pensa? «Sono dell’idea che non ci possa essere sviluppo culturale senza sviluppo economico. E sono fermamente convinto della necessità che lo sviluppo culturale proceda di pari passi con quello economico. L’Italia, il Mezzogiorno e la Campania hanno grosse potenzialità da questo punto di vista. Non mi pare di dire nulla di eversivo nel ribadire la necessità di mettere a sistema il grande patrimonio artistico e culturale in una logica produttiva, cioè secondo le regole e le dinamiche del ciclo produttivo. È l’unica via d’uscita possibile se si vuol agganciare la produttività alle necessarie esigenze di tutela e salvaguardia che questo enorme patrimonio legittimamente presenta». Nei processi di sviluppo economico locale quale contributo dà attualmente la cultura in termini occupazionali e quali sono invece le sue potenzialità? «Il contributo in termini di occupazione non è ancora in linea con le potenzialità che il patrimonio culturale presenta. Non è un limite solo campano, ma direi si tratti di una questione nazionale. Il limite finora è stato proprio quello di non inserire queste attività all’interno di un contesto produttivo. Si tratta di un fatto di mentalità che va modificata. Solo cambiando i nostri comportamenti si può uscire dalla stagnazione di oggi. Solo cambiando passo si possono gettare le basi per uno sviluppo e una crescita futura. Il patrimonio culturale, fuori da logiche assistenziali e dentro un processo di re-

visione dei fattori produttivi, oggi sempre più legati ai singoli territori, può essere il motore per il Paese, per il Sud e per la Campania». Una terra come quella campana riesce a trovare gli interpreti giusti perché il suo patrimonio sia un volano di sviluppo? «Gli interpreti più giusti sono di sicuro gli interlocutori territoriali, coloro che conoscono in maniera diffusa la realtà di riferimento. A questo profilo rispondono di sicuro i giovani, coloro ai quali chi ha ruoli nelle istituzioni e nelle amministrazioni deve essere in grado di fornire una possibilità di realizzazione di sé dal punto di vista personale e quindi professionale ed economico. Oggi la vera discriminante, anche sotto il profilo dello sviluppo turistico, è data dalle motivazioni che inducono le persone a spostarsi. Il turismo è un fatto motivazionale, esperienziale. Proprio per questo vanno valorizzate tutte quelle caratteristiche territoriali che si caratterizzano per la propria irripetibilità e quindi per la non delocalizzabilità. Tutto questo va tenuto in forte considerazione nel processo di costruzione di politiche pubbliche per la valorizzazione dei beni culturali e la promozione turistica». Considerando che in Campania ci sono ben 5 siti Unesco, in che termini la Regione interviene nella formazione professionale e nella promozione della attività culturali? «La formazione rappresenta senza dubbio una priorità. È per questo che, in collaborazione con l’Assessorato al lavoro, abbiamo inteso promuovere un programma di formazione sulle risorse del Fondo sociale europeo che metta al centro la professionalità all’interno di processi di valorizzazione e promozione turistica e per l’innalzamento della qualità dei servizi dell’accoglienza. Si tratta di un programma molto innovativo e che fa il paio con gli interventi di sostegno all’auto-impresa che intendiamo promuovere a breve».

A sinistra, la Certosa di Padula. Sopra, il tempio di Era a Paestum

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BENI CULTURALI

Cultura, motore di sviluppo Le potenzialità del territorio campano sono tante, ma per svilupparle al meglio, sottolinea Teresa Elena Cinquantaquattro, soprintendente speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei, occorre costruire percorsi condivisi con amministrazioni locali e operatori del settore turistico Renata Gualtieri

egli ultimi decenni c’è stato un progressivo calo degli investimenti pubblici sui beni culturali, non soltanto come portato generale della crisi economica che si sta attraversando, ma per effetto della poca efficacia, nel tempo, di politiche di ampio respiro. Su un altro piano c’è, però, da registrare, partendo da un osservatorio particolare quale quello della Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei, una sostanziale tenuta del turismo culturale: negli ultimi due anni, ad esempio, il numero dei visitatori di Pompei (nel 2011 sono stati oltre 2.300.000) riporta un trend di graduale crescita. «Un risultato importante – commenta la soprintendente Teresa Elena Cinquantaquattro – che dà conto del grande impegno profuso, quotidianamente, nella cura del sito archeologico. Il sindaco di Summonte ha dichiarato che «la cultura va considerata come attività produttiva». Cosa ne pensa? «La cultura è un’attività produttiva, innanzitutto di conoscenza e di storia; ma è anche un possibile, straordinario strumento di crescita economica per i nostri territori. A patto però, come per qualunque altra attività, che si investa seriamente nel settore. E il primo a farlo dovrebbe essere lo Stato, con una netta inversione di tendenza: occorrono le risorse e il potenziamento degli uffici preposti alla tutela del patrimonio culturale». Quali interventi ritiene più necessari per la valorizzazione dei beni culturali in Campania? «Il vero tallone di Achille dei beni culturali in Italia è quello della gestione: le soprintendenze hanno sempre più difficoltà a garantire, con il

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Teresa Elena Cinquantaquattro, soprintendente speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei


Teresa Elena Cinquantaquattro

2,3 mln VISITATORI L’AFFLUENZA DI TURISTI REGISTRATA NEL CORSO DEL 2011 NEL SITO ARCHEOLOGICO DI POMPEI personale interno depauperato dal mancato turnover e con le poche risorse economiche, non solo la manutenzione ordinaria e straordinaria dei siti, ma anche la loro fruizione. Nelle contingenze attuali è dunque opportuno che, accanto al ministero, siano le amministrazioni locali - Regioni e Comuni - ad attivarsi, visto peraltro il ruolo che il Codice dei beni culturali assegna loro nel campo della valorizzazione». Come valuta lo stato di avanzamento del Grande Progetto Pompei? Qual è stata la risposta delle imprese del territorio e quali i tempi prestabiliti per la fine dei lavori? «Questa iniziativa è un’importante occasione per il Ministero dei beni culturali di dimostrare, in sintonia con i ministeri per la Coesione territoriale e dell’Interno, che l’Italia è pienamente in grado di salvaguardare e valorizzare uno dei siti archeologici più importanti al mondo, garantendo al contempo il rispetto della sicurezza e della legalità. Sono già state bandite le prime cinque gare per il restauro di altrettante domus e a breve saranno avviate le gare per la messa in sicurezza del sito, sia dal punto di vista strutturale sia dal punto di vista della mitigazione del rischio idrogeologico. Il Grande Progetto Pompei, che metterà a punto un sistema di monitoraggio dinamico del sito che sarà utilizzato come sistema di programmazione delle attività di salvaguardia e tutela, dovrà concludersi entro il 2015, termine di scadenza per l’utilizzo delle risorse europee. La risposta delle imprese alle gare, indette con procedure aperte, è stata senz’altro positiva, visto l’alto numero dei partecipanti». Il ministro Ornaghi ha assicurato che i

beni culturali compaiono nelle priorità strategiche del Governo Monti. Cosa manca all’Italia, nonostante detenga il primato di 44 siti Unesco, per diventare una potenza mondiale nel settore? «Le parole del ministro Ornaghi sono di grande conforto. Non mi stancherò mai di dire che servono investimenti e non solo economici. E, al riguardo, segnalo come elemento positivo il fatto che nel gennaio 2012 sono stati assunti a Pompei ventitre funzionari, archeologi, architetti e amministrativi. E le risorse umane e professionali rappresentano il vero investimento, se si vuole affrontare seriamente, in una prospettiva di crescita e non di regressione, il problema dei beni culturali in Italia». Qual è il valore storico e scientifico dello scavo terminato recentemente da una equipe di studiosi della facoltà di Lettere e filosofia della Seconda Università degli Studi di Napoli. Quali le eccezionali scoperte fatte e quali altri segreti potrebbero essere nascosti, sulla scorta degli ultimi ritrovamenti, sulle pendici dell’acropoli di Cuma? «Le indagini che attualmente si stanno svolgendo nul tempio di Giove sull’acropoli di Cuma rivestono un enorme interesse dal punto di vista della ricostruzione archeologica nonché dal punto di vista della storia dei culti di quella che le fonti antiche definiscono la più antica colonia greca d’Occidente. Sicuramente molto resta da scoprire ancora, come del resto in tutti gli altri siti dei Campi flegrei, ma credo che in questa fase sia doveroso concentrarsi sui problemi della conservazione di quello che in questi anni è stato già riportato alla luce». CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 81



CREDITO & IMPRESE

MOLTE INSOLVENZE, POCHI INVESTIMENTI Suona particolarmente forte, in Campania, l’allarme sul deterioramento della qualità del credito in Italia lanciato a inizio agosto dalla Bce. Stando al bollettino sull’economia regionale diramato da Banca d’Italia nel giugno scorso, infatti, la Campania è la maglia nera nazionale in termini di insolvenze bancarie, con un livello di sofferenze cresciuto del 5,8% nel primo trimestre 2012. Il fabbisogno finanziario a breve termine, da

imputare soprattutto al mancato incasso dei crediti vantati nei confronti della pubblica amministrazione, ha accorciato le prospettive d’investimento delle imprese, indebolendone la domanda di finanziamento. Nessun ulteriore irrigidimento, tuttavia, sul versante bancario, che s’impegna invece a rinnovare l’appoggio al tessuto produttivo, migliorando per esempio il raccordo con il sistema campano dei confidi. CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 83


CREDITO & IMPRESE

SUPPORTO A TUTTO TONDO AL TERRITORIO I quasi due milioni di clienti che il Banco di Napoli serve a tutt’oggi in quattro regioni del Sud testimoniano, osserva Giuseppe Castagna, che l’acquisizione da parte di Intesa Sanpaolo non ha scalfito il ruolo di «riferimento per la Campania e il Mezzogiorno» Giacomo Govoni

ffonda le radici nei cosiddetti banchi pubblici napoletani di matrice cinquecentesca la nascita del Banco di Napoli, il più antico istituto di credito italiano che a cavallo tra il secondo e il terzo millennio ha conosciuto uno dei passaggi più travagliati della sua storia. Una stagione contrassegnata da perdite patrimoniali, ricapitalizzazioni e gestioni inefficienti, chiusa con la fusione con Intesa Sanpaolo nel 2006. A detta di molti, un finale amaro e penalizzante per la società civile meridionale, ma non per il direttore generale Giuseppe Castagna, secondo cui «il rapporto di fiducia che in questi anni si è consolidato con le imprese trova pochi uguali anche nel passato». Da tempo, autorevoli istituti come Svimez, richiamano il caso Banco di Napoli

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per sottolineare come la perdita della cifra territoriale delle banche che operano in Campania potrebbe ripercuotersi sullo sviluppo della regione. Qual è la sua posizione in merito? «Premetto che a mio parere i problemi della Campania e delle altre regioni meridionali siano più la causa che la conseguenza dell’alienazione dei grandi istituti di credito del Mezzogiorno. Credo poi che il Banco di Napoli, dopo la nota fase di travaglio, negli ultimi anni è divenuto un punto di riferimento per il sistema produttivo della Campania e del Sud grazie anche alla grande attenzione del gruppo Intesa Sanpaolo alle economie e alle esigenze dei diversi territori italiani, senza distinzione di latitudine. I 26,7 miliardi di impieghi nelle quattro regioni dove l’istituto è presente dimostrano


Giuseppe Castagna, direttore generale del Banco di Napoli

Si sbaglia a pensare che la stretta del credito derivi da una scarsa propensione delle banche al rischio. È soprattutto la mancanza di nuovi progetti e di investimenti a determinare minori finanziamenti ancora una volta quanto il Banco di Napoli, la più grande banca del Sud, sia vicina a famiglie, imprese e al tessuto economico di tutto il territorio meridionale, anche in un momento di particolare difficoltà e racconta quanta attenzione dedichiamo all’economia delle nostre regioni e allo sviluppo delle imprese che vi operano». Che evoluzione hanno avuto i vostri impieghi bancari al territorio campano negli ultimi mesi? «Certamente la crisi ha provocato una diminuzione del trend di crescita dei nuovi impieghi tanto a livello nazionale quanto nelle regioni dove opera il Banco di Napoli, Campania compresa. Ciononostante il livello complessivo degli impieghi è in linea con il 2011 anzi registra una lievissima crescita. Il problema è che il nuovo credito è soprattutto rivolto alla ristrutturazione del debito delle aziende. Analogo discorso vale per i privati dove registriamo un calo di nuovi mutui alla famiglie. L’impegno verso la nostra clientela c’è ed è ancora più forte adesso che la situazione è obiettivamente più difficile. Sbaglia chi pensa che la stretta del credito derivi da una scarsa propensione delle banche ad assumersi il rischio, certo è necessaria maggiore attenzione, ma è soprattutto la mancanza di

nuovi progetti e di investimenti a determinare minori finanziamenti». Nel sostegno economico al tessuto produttivo della Campania, verso quali settori state orientando i vostri prodotti e servizi più interessanti? «Credo che uno dei nostri punti di forza sia quello di stare accanto alle imprese e agli imprenditori del territorio. Abbiamo firmato accordi con Confindustria per aiutare lo sviluppo delle pmi, favorendone l’internazionalizzazione, la crescita del capitale umano, la patrimonializzazione, la sostenibilità ambientale e l’innovazione. A livello nazionale Intesa Sanpaolo ha firmato accordi con i commercialisti, con Rete Imprese Italia e con l’Ance per sostenere i più diversi settori produttivi, declinati sul territorio a favore delle imprese. Abbiamo, inoltre, accordi con il mondo dei Confidi, anche in Campania, che possono e devono essere di grande aiuto nel mediare il rapporto tra imprese e settore del credito». Di recente, avete ospitato un convegno dedicato ai settori automotive e aeronautico, da cui è emerso il ruolo chiave dell’innovazione e della ricerca per il rilancio dell’economia territoriale. In questo senso, quali sinergie state rafforzando? CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 85


CREDITO & IMPRESE

«Il convegno promosso dall’associazione esigenze che oggi le aziende manifestano soSocietà e ricerche per il Mezzogiorno ha messo in evidenza quanto il Sud sia una parte del Paese che ha una rilevante presenza manifatturiera in alcuni settori chiave per l’economia nazionale. Tra questi, appunto, ci sono l’aeronautico e l’automotive che, pur con caratteristiche diverse, sono caratterizzati da alta intensità di ricerca e innovazione, alta propensione all’internazionalizzazione e uno stretto rapporto tra grande impresa e filiera della subfornitura. La ricerca di Srm evidenzia come il fatturato, riclassificato per unità produttive regionali, mostri chiaramente che in Italia la Campania è la seconda nell’aerospazio e la terza nell’automotive con numeri molto importanti. Questo è motivo di orgoglio ma anche un segnale chiaro di come il futuro delle imprese anche nel meridione passi necessariamente dalla continua ricerca di eccellenza e quindi di innovazione e non può più prescindere dal confronto continuo con la competizione internazionale». Attraverso quali strumenti riuscite a estendere il vostro supporto anche alle pmi campane, spesso “emarginate” dal dialogo col credito? «Insieme agli accordi di cui ho parlato prima mettiamo a disposizione delle imprese la nostra voglia di sostenerle, non solamente attraverso gli strumenti del credito, ma soprattutto attraverso la nostra capacità di essere consulenti a 360° rispetto le diverse

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prattutto quando avvertono la necessità di aprirsi sui nuovi mercati. Qui possiamo fare realmente la differenza mettendo loro a disposizione tutta la nostra esperienza di banca legata a un gruppo con una forte proiezione e presenza internazionale. Adesso abbiamo iniziato a fare anche di più. Con Intesa Sanpaolo Start-Up Initiative scopriamo e selezioniamo nuove realtà imprenditoriali fortemente innovative, le formiamo aiutandole a predisporre un business plan e le prepariamo al confronto con il mercato, presentandole infine a potenziali investitori e partner industriali». Quali frutti ha dato questo progetto? «In due anni e mezzo, abbiamo formato 330 start up presentandone 240 a 3.300 potenziali investitori. Purtroppo, il Sud è sempre stato un po’ in affanno ed è anche per questo che abbiamo voluto portare a Napoli questa iniziativa per presentare a università, imprenditori, ricercatori e giovani campani le opportunità offerte da questo strumento. Vogliamo aiutare i giovani del meridione che hanno un’idea a guardare all’autoimprenditorialità che oggi forse offre più possibilità del posto fisso. Lo dico anche per quelli che non hanno progetti innovativi ma vogliono avviare un’attività più tradizionale come, ad esempio, quelle artigianali e commerciali: per loro abbiamo strumenti quali Officine formative e Neoimpresa con i quali siamo in grado di fornire informazioni e supportarli nel progetto d’impresa».


Luigi Gorga, presidente della Banca popolare di Sviluppo

UNA CULTURA FONDATA SUL LAVORO DI SQUADRA Un legame più solido fra gli istituti di credito popolari e il patrimonio umano ed economico del territorio, secondo Luigi Gorga, può maturare solamente a patto che in Campania si affermi presto una «nuova cultura della mutualità» Giacomo Govoni

innalzamento dell’indice di copertura delle sofferenze al 43%, rispetto al 39,5% su cui si attesta mediamente il sistema delle banche popolari italiane, esprime la vicinanza che la Banca popolare di Sviluppo ha saputo garantire al suo territorio anche in piena crisi. Lo conferma il documento di bilancio 2011 dell’istituto campano, da cui emerge un rafforzamento della solidità patrimoniale e una «capacità di Bps di rispondere alle difficoltà della congiuntura – osserva il presidente Luigi Gorga – continuando a erogare credito senza mai ridurre l’assistenza alle imprese». Che riflessi avranno i buoni risultati dell’ultimo esercizio sulla vostra capacità di fare credito al territorio? «Oltre a innalzare l’indice di copertura delle sofferenze, abbiamo portato l’indice core

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Tier al 14%, rispetto all’8% stabilito dagli accordi di Basilea II e al 10% dei recenti accordi di Basilea III. Nel corso dell’ultimo anno si sono aggiunti 300 nuovi soci e oltre 1.000 clienti. Puntiamo a raddoppiare nei prossimi tre anni gli attuali 2.600 soci. Con questi numeri oggi la Bps è una banca ancora più solida, capitalizzata, in crescita e in grado di svolgere al meglio il suo ruolo di banca del territorio». Quali settori possono guidare il rilancio del tessuto produttivo campano e che strumenti metterete in campo per sostenerli? «Stiamo vivendo un’epoca di grandi cambiamenti, bisogna saper cogliere le opportunità e valorizzare le potenzialità del mercato. Per ricostruire la fiducia generale serve ancor di più lavoro di squadra. I settori strategici che possono trainare la ripresa in Campania sono agroalimentare, aerospa- CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 87


CREDITO & IMPRESE

I settori strategici che possono trainare la ripresa in Campania sono agroalimentare, aerospazio, moda, trasporti, logistica e turismo

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zio, moda, trasporti, logistica e turismo. La vamente a tutte le altre filiali. Tutto questo, Bps intende sostenere le attività economiche attraverso un approccio nuovo, ragionando in ottica di filiera, supportando cioè il socio, e anche i suoi fornitori e clienti, assistendoli direttamente con offerte di prodotti, servizi e consulenza specifica». A giugno, in occasione della sua riconferma alla guida di Bps, ha dichiarato che a livello creditizio la Campania sconta una scarsa cultura della mutualità. Quali i soggetti da “erudire” di più in questo senso? «In Campania è quasi assente lo spirito cooperativistico che invece contraddistingue altre aree del Paese e che ha permesso lo sviluppo di solide e radicate banche popolari con centinaia di migliaia di soci. Le cifre parlano chiaro. In Italia le banche popolari rappresentano circa il 25% degli sportelli, della raccolta e degli impieghi. In Campania, pur rappresentando il 25% degli sportelli, raccolgono e impiegano meno del 10%. E non è una questione di differenza tra nord e sud: la vicina Puglia esprime banche popolari con oltre 30.000 soci. Nel nord Italia ci sono realtà popolari che addirittura hanno 163.000 soci. In Campania non arrivano in media a 3.000. È una questione di cultura. Bisogna comprendere che senza banche popolari locali forti e ramificate nei territori, il tessuto produttivo non si sviluppa». Rimarcate con orgoglio l’orientamento localistico della vostra attività bancaria. In che ambiti questo aspetto viene maggiormente espresso? «Siamo consapevoli che imprese e famiglie richiedono maggiore flessibilità organizzativa. Tra le varie iniziative, abbiamo varato il “Progetto Vomero”, con cui stiamo sperimentando l’offerta di servizi innovativi e maggiore flessibilità da estendere successi-

però, lo ripeto, ha alla base la cultura della mutualità, cioè il solido legame tra banca e socio/cliente. Nei mesi scorsi, poi, abbiamo varato il Patto per la crescita: imprese, famiglie e giovani, sono i cardini sui quali realizzare un grande progetto comune di rafforzamento patrimoniale del tessuto socio-economico del territorio campano. Dal vostro punto di vista, quindi, dove è più giusto indirizzare gli sforzi futuri? «Verso la crescita del sistema imprenditoriale nel suo complesso con lo sguardo rivolto ad accompagnare i giovani nello sviluppo di idee imprenditoriali, soprattutto nei settori maggiormente innovativi, inesplorati e con una vocazione all’export. La Campania dispone di un immenso capitale umano qualificato che può, anzi deve, diventare una grande opportunità di sviluppo. Bps sta portando avanti, in collaborazione con alcuni fra i principali atenei campani, un progetto per sostenere i neolaureati». A livello regionale, la vostra banca emetterà la fetta più ampia dei cosiddetti “Sud bond”. In che misura questa iniziativa contribuirà al riequilibrio del flusso creditizio nei confronti delle pmi? «Le risorse raccolte serviranno per finanziare nuovi progetti d’investimento e non per sostituire prestiti già esistenti nei confronti delle aziende meridionali. Per favorire la raccolta il Tesoro ha previsto una tassazione di favore del 5% contro il 20% della nuova aliquota sui capital gain e addirittura più bassa di quella sui titoli di Stato, rimasta al 12,5%. In base alle stime, gli impieghi delle banche nel Sud dovrebbero aumentare del 6-7%. Credo che il nostro impegno sia evidenziato dalla scelta di emettere “Sud bond” per 15,6 milioni». CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 89




BROKERAGGIO

Broker in Italia, tra discriminazione e nepotismo Spesso fare impresa è una sfida continua al pantano burocratico. Ma non è l’unico problema ad assillare il brokeraggio nazionale. Facciamo il punto con Consiglia Tessitore, che non dimentica quanto di buono offrono le prospettive Renato Ferretti

e compagnie italiane hanno ottimi fondamentali e hanno retto benissimo la crisi, ma sono eccessivamente ingessate». Consiglia Tessitore, responsabile commerciale Broker Cesaro che ha sede a Gricignano di Aversa (Ce), ha un’idea ben precisa dello scenario in cui si trova ora il brokeraggio in Italia. Le enormi differenze tra quanto accade a livello normativo in Italia e all’estero sono tra i principali elementi di un’analisi che affronti il tema in questo momento, ma siamo a un punto di svolta grazie alle novità che arrivano dall’Ue. «Rimane il fatto – spiega la Tessitore – che c’è più produttività sul mercato estero, perché è più pronto del nostro a recepire determinati rischi».

«L La dottoressa e Cavalier Consiglia Tessitore, Responsabile Commerciale Broker Cesaro con sede a Gricignano di Aversa (Ce)

© Foto di Giovanni Cesaro

www.brokercesaro.it

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In che modo differisce il mercato all’estero? «Siamo un Broker wholesale esperto nei rami Cauzioni & Fidejussioni oltre ai Rischi professionali e in questo momento stiamo chiudendo accordi commerciali per lo più con compagnie estere perché offrono prodotti molto più snelli, con condizioni contrattuali più trasparenti e garanzie sempre più complete rispetto a compagnie assicurative italiane che sembrano essere poco ricettive». Eppure qualcosa si sta muovendo anche in Italia. «Le evoluzioni normative degli ultimi cinque anni hanno generato per il brokeraggio assicurativo nuove attività legate soprattutto all’informazione, alla garanzia e alla trasparenza dei servizi erogati. Con l’apertura dei mercati finanziari, questi cambiamenti hanno contribuito a modificare le caratteristiche operative e le logiche gestionali dei Broker Assicurativi Italiani. A ciò si aggiunge l’obbligo di nuove coperture assicurative, l’aggressivo ingresso di nuove compagnie assicurative estere che possono operare sul mercato italiano in Lps stringendo accordi commerciali con broker wholesale e usando tassi molto competitivi». Quali saranno le dirette conseguenze? «Ci attende un periodo che vedrà la completa definizione dell’attività dell’intermediario in Italia e in Europa, attraverso il completamento


Consiglia Tessitore

delle normative europee e italiane. Sarà un lavoro complesso dal mio punto di vista, poiché i broker rappresentano la più qualificata, indipendente e professionale “associazione di consumatori” nel comparto assicurativo. Ciò che mi auguro, rispetto alle nuove e imminenti normative europee, è che le stesse possano essere calate nelle realtà nazionali in modo automatico, senza cioè consentire che normative di secondo livello gravino la loro realizzazione di pesanti impedimenti burocratici». E il vostro piano per affrontare questo cambiamento? «La professione di broker richiede una competenza tecnica e un bagaglio culturale che non può prescindere da una continua e qualificata attività formativa. In questi ultimi due anni noi di Broker Cesaro Assicurativo e Riassicurativo ci siamo impegnati nell’ottimizzazione dei processi su modelli già sperimentati all’estero. Con il nostro modello organizzativo riusciamo a servire con beneficio reciproco, anche le imprese al di sopra di un fatturato di venti milioni di euro, che fino a poco tempo fa veniva gestito solo dai Grandi Broker Assicurativi. Noi offriamo prevalentemente prodotti di compagnie assicurative estere che vogliono operare in Italia in Lps, offrendo supporto nel marketing, consulenza legale, fiscale e li aiutiamo a servire la Pmi». Non si smentisce la preferenza per le compagnie estere. «Il motivo per cui Broker Cesaro ha deciso di operare con compagnie prevalentemente estere e non quelle italiane è soprattutto perché quelle italiane più grandi, per la loro diversa organizzazione e per gli obbiettivi che le muovono, sono meno portate a innovare, senza parlare del

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Molto spesso i colleghi sono costretti a modificare la sede legale, spostandola al Nord, per avere il mandato

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monopolio politico e dello scetticismo a non investire su broker che hanno sede a sud, dimenticando che vi sono veri professionisti. Molto spesso colleghi sono costretti a modificare la sede legale spostandola al nord per avere mandato, noi abbiamo deciso di rimanere al sud e dimostrare che qui vi sono professionisti altamente qualificati: viviamo in un paese impregnato di forte discriminazione. All’estero non servono raccomandazioni o conoscenze ma professionalità e preparazione nel ramo». Quali sono le prospettive nel medio e lungo periodo per la vostra azienda? «Broker Cesaro svolge un’attività volta ad analizzare le garanzie che il mercato è disposto ad offrire e a capire se queste siano sufficienti a soddisfare le necessità dei clienti. Oltre alla Campania, negli anni abbiamo esteso il nostro ambito di operatività a tutta l’Italia grazie al supporto di colleghi broker reatail. Inoltre, nonostante sia un’azienda di piccole dimensioni, nel 2011 abbiamo ricevuto il premio come Best Quality Broker su 150 Broker Italiani da una compagnia assicurativa che opera prevalentemente qui in Italia nel ramo cauzioni. Tutto questo non può che farci guardare al futuro con ottimismo».

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CONSULENZA

Norme, problematiche e innovazioni nel mercato del lavoro La nuova riforma del lavoro e la crisi economica che incombe sul mercato hanno cambiato il ruolo del consulente del lavoro, oggi in grado di offrire alle imprese innovative soluzioni di sviluppo. Ne parla Carmine Cafasso Emanuela Caruso

a una riforma del lavoro che si preannunciava epocale ci saremmo aspettati una diversa direzione, che tenesse conto delle concrete e attuali condizioni del mercato in cui quotidianamente ci si trova a operare». Ed è proprio la dimensione operativa che il dottor Carmine Cafasso, consulente del lavoro e amministratore della Cafasso & Figli Srl di Napoli, rileva essere del tutto assente nella Legge di riforma entrata in vigore il 18 luglio di quest’anno. Come spiega ancora Cafasso, «si può anche ritenere che la riforma sia stata pen-

«D Carmine Cafasso, della Cafasso & Figli Srl di Napoli info@cafassoefigli.it

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sata in una prospettiva di sviluppo del Paese, e per molti aspetti in una prospettiva tendente a stabilizzare i rapporti di lavoro per ridurre la precarietà, tuttavia non si è resa fattiva tale condizione consentendo alle aziende di poter recepire tali innovazioni senza aggravio di oneri. Rileva come l’introduzione di una eccessiva procedimentalizzazione delle attività rischia di rallentare oltremodo una gestione aziendale che, nella realtà dei fatti, vive di immediatezza. Basti pensare alla convalida delle dimissioni o al nuovo procedimento del licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Peraltro, il contratto a tempo determinato costituirà la fase di accesso privilegiata al mondo del lavoro per i giovani, con buona pace dell’apprendistato e del contratto a tempo indeterminato». Proprio a fronte della nuova riforma e del delicato periodo economico che la società sta vivendo i consulenti del lavoro sono chiamati a svolgere un ruolo sempre più determinante per imprese e lavoratori. Sotto quali aspetti, oggi, il suo operato si rivela più strategico? «Il ruolo del consulente del lavoro è sempre stato un punto di mediazione necessario tra impresa, lavoratori e istituzioni pubbliche; ruolo per cui oggi occorre ponderare, per una valida pianificazione aziendale, una serie di variabili gestionali prima non presenti e caratterizzanti l’attuale realtà socio-economica. Nella sempre maggiore e crescente specializzazione


Carmine Cafasso

del ruolo di consulente, è diventato quanto mai fondamentale fornire soluzioni gestionali al passo con le esigenze talvolta assimilabili a veri e propri “casi di scuola”. Tali da richiedere innovative soluzioni di immediato e pronto risvolto pratico e in linea con le evoluzioni normative, soluzioni costituenti quel “quid pluris” che oggi le aziende ricercano per sviluppare un’attività di impresa sempre più moderna, attiva e rispondente ai continui mutevoli assetti del mercato del lavoro». Per quale approccio deve optare, oggi, un bravo consulente nel confrontarsi con le aziende locali? «La programmazione della attività rappresenta il momento determinante nella impostazione di una corretta gestione e assistenza alle imprese e ai lavoratori. Pertanto è importante porre la massima attenzione sullo sviluppo delle tecnologie informatiche che consentono di superare problematiche di vario genere, indirizzando l’attività su obiettivi sensibili, di particolare rilevanza e frutto di analitiche azioni di “intelligence” legate allo sviluppo di oggettivi indicatori di crescita, fornendo adeguata assistenza e ottimizzazione delle risorse disponibili». Quali sono i maggiori gap della cultura d’impresa locale con cui si confronta la sua categoria? «Lo scoglio più difficile da superare nell’attuale cultura d’impresa è quello del timore del cambiamento, che spesso non consente un confronto corretto, flessibile e dinamico con il mercato del lavoro». Su quali problematiche specifiche crede si dovrà concentrare in futuro la sua realtà consulenziale? «Ponendo attenzione al mercato attuale e alla grande difficoltà in cui la maggior parte delle aziende versa, sarà necessario concentrare le attività sul disbrigo delle pratiche finalizzate al sostegno al reddito, attuando i percorsi degli

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Il timore del cambiamento, spesso non consente un confronto corretto, flessibile e dinamico con il mercato del lavoro

ammortizzatori sociali. Queste operazioni, infatti, consentiranno alle aziende in difficoltà di superare il momento di crisi, sostenendo al contempo anche i lavoratori». Chi si rivolge alla vostra azienda di consulenza? «Da noi si rivolgono realtà della piccola impresa e altre aziendali più complesse e articolate, estese sul territorio nazionale, appartenenti a diversi settori. Realtà alle quali, proprio nella evidente differenziazione gestionale, forniamo un’assistenza consulenziale mirata, riuscendo a identificare e “sentire” le specialistiche aspettative e preferenze prediligendo comunicazioni dirette, nell’obiettivo di individuare le specifiche prospettive di sviluppo di ogni realtà aziendale». CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 95


SICUREZZA

“Fare sicurezza” a Napoli Erasmo Caccavale, titolare dell’Istituto di vigilanza San Paolino, racconta la sua professione nella zona “calda” tra Napoli, Caserta e Avellino. Dall’alto tasso di criminalità alla crisi economica e il rinnovamento tecnologico. «Cose che non ci spaventano» Renato Ferretti

uno dei temi da sempre al centro dell’attenzione. Una buona agenda politica non può che affrontarlo, riempie le pagine dei giornali e risponde a uno dei problemi più sentiti dai cittadini. Parliamo di sicurezza, ma stavolta decliniamo l’argomento secondo una prospettiva più imprenditoriale, un aspetto forse non del tutto nuovo ma poco approfondito. A parlarci della sua esperienza diretta è il titolare di un Istituto di vigilanza della provincia di Napoli (con sede a Saviano), Erasmo Caccavale, che della sicurezza ha fatto la sua professione. «Il nostro istituto – dice Caccavale – è operativo da ben 20 anni, durante i quali ha maturato una grande esperienza grazie alla ca-

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L’Istituto di vigilanza San Paolino ha sede a Saviano (Na) www.vigilanzasanpaolino.it

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pacità di conformarsi di volta in volta alle esigenze della clientela. Avendo sviluppato sempre nuovi servizi, e grazie anche agli investimenti nelle più avanzate tecnologie, siamo ora considerati all’avanguardia e affidabili su tutto il mercato da noi investito». Un mercato che comunque non è stato risparmiato dalla recessione. «La crisi ha investito anche il nostro campo – spiega – e in questo senso i paletti economici dei clienti sono cambiati. Ma la delicatezza della nostra attività ci costringe a garantire comunque la massima sicurezza». La San Paolino opera nel campano e ha esteso il proprio ambito oltre alla provincia di Napoli, a quelle di Avellino e Caserta. Una zona che a torto o a ragione viene spesso considerata “calda” dal punto di vista dell’ordine pubblico. «Non credo che Napoli sia molto differente da altre città – risponde Caccavale – , seppur è vero che il tasso di criminalità a cui diamo filo da torcere è molto elevato. In realtà non esistono delle vere e proprie criticità, ma non nascondo che forse un maggior riconoscimento agli istituti di vigilanza privata come corpo istitutuzionale migliorerebbe le cose, visto che anche grazie al nostro operato, i cittadini sono e si sentono maggiormente protetti». Tra i diversi servizi forniti dall’istituto (tra piantonamento, servizio ispettivo, scorta valori, videosorveglianza) ai circa 2500 utenti trattati, quello più richiesto dai clienti sembra essere quello ispettivo «con il quale –


Erasmo Caccavale

spiega Caccavale – riusciamo a tenere sotto controllo un po’ tutto il territorio di competenza». Ma Caccavale mette l’accento sul rinnovamento tecnologico dei mezzi a disposizione. «Ho sempre creduto e investito nell’utilizzo di nuove tecnologie che potessero garantire una maggior sicurezza ai nostri clienti e ai dipendenti stessi. Sono sempre in aggiornamento ad esempio i mezzi di comunicazione utilizzati dal personale, la centrale operativa, che rappresenta il cuore e il fiore all’occhiello dell’istituto, che è stato uno dei primissimi in Campania ad investire nell’attuale sistema tecnologico di ultima generazione. Come per esempio i fari brandeggianti di profondità a lungo raggio, il collegamento radio tra pattuglie e centrale, giubbotti anti-proiettili costantemente controllati e riassortiti alla scadenza, e vari altri dispositivi di sicurezza. Questo ci ha permesso, oltre che a un’operatività ottimale, anche di essere molto concorrenziale nel settore». Un altro aspetto sottolineato è quello della formazione del personale. «Essendo la vigilanza privata una società di servizi a terzi la forza lavoro rappresenta un elemento fondamentale e pertanto è indispensabile che il personale sia sempre altamente formato e qualificato. Il personale è infatti sottoposto ad una formazione continua così come atte-

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Napoli non è diversa da altre città, anche se il tasso di criminalità a cui diamo filo da torcere è molto elevato

stano i numerosi corsi di formazione attualmente svolti. L’assunzione avviene solo dopo una serie di processi di selezione circa i dati personali, formazione culturale e lavorativa, colloquio informativo con il Capitano, corso di formazione secondo le prescrizioni di legge, e successivamente affiancato a personale con almeno 10 anni di operato presso il nostro istituto con le medesime mansioni». Quando poi si ritorna in argomento più squisitamente economico, il titolare della San Paolino ci tiene a precisare: «Grazie alla gestione ottimale la società non ha mai registrato perdite durante tutti i suoi 20 anni di attività e anche gli ultimi anni hanno censito, nonostante la crisi, dei buoni risultati. L’ultimo anno ha registrato un aumento di fatturato pari a un 20 per cento circa rispetto all’anno precedente. Al pari di qualsiasi altra azienda credo sia normale sperare sempre in meglio, sia in termini di fatturato che per il futuro dei dipendenti. Ritengo che un’azienda sana rappresenti una garanzia per tutti».

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AGROALIMENTARE

Conserve, l’impari sfida di Pechino Una volta, erano le aziende del Sud a competere tra loro nel business del pomodoro. Ora la concorrenza è cinese e si è fatta “sleale”. Antonio Petti, dell’omonimo gruppo con sede a Salerno, si confessa: «Così possiamo solo sperare di sopravvivere» Renato Ferretti

n intero comparto sotto attacco. L’industria delle conserve in Italia da qualche anno è costretta a indietreggiare sotto i colpi di un avversario molto più forte di lei. Per comodità ci si riferisce spesso impropriamente a questo mostro dell’economia con il nome del Paese intero: dunque si parla in generale di Cina. Ma forse non è poi così scorretta come generalizzazione, perché il vero problema, come è noto, sono le regole e le condizioni con cui Pechino gioca la sua partita nel capitalismo mondiale. Anche nel business del pomodoro le aziende cinesi infatti godono di vantaggi che permettono di sbaragliare qualsiasi concorrenza, come ci spiega Antonio Petti, titolare del Gruppo Petti, uno dei protagonisti di questo scontro sproporzionato. «Stando così le cose – afferma Petti – tutti i nostri sforzi e sacrifici vengono fatti per tenere in vita l’azienda, non per una possibilità di guadagno. Cioè da questa attività non si riuscirà ad accantonare un utile da reinvestire nei prossimi dieci anni». Eppure in cifre il gruppo Petti non sembrerebbe soffrire, secondo i dati degli ultimi due anni. «Il consolidato – Petti passa ai numeri – per il 2011 è di 200 milioni. Per quanto riguarda lo stabilimento solo di Nocerca Superiore, invece, siamo passati dai 154 milioni di euro del 2010 a 167 milioni del 2011. Ma non bisogna farsi ingannare da questo dato, perché una diffe-

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Il Gruppo Petti ha sede a Nocera Superiore (Sa) www.petticonserve.com

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renza positiva di fatturato non corrisponde necessariamente a un guadagno». Per farsi un’idea più precisa dell’azienda, che costituisce un buon esempio di impresa nel settore: sono circa 600 i dipendenti durante il periodo estivo, di massima produzione cioè, che va dal 1° luglio al 30 settembre. Gli effettivi durante l’anno sono invece 350. L’attività principale, come capita a molte aziende impegnate in questa attività al Sud, consiste nella trasformazione del pomodoro. Il mercato è soprattutto estero e in particolare Petti esporta in Africa (orientale e occidentale) per il 60 per cento del suo prodotto. Il rimanente è diviso tra Germania, Francia, Inghilterra e Benelux. «Negli ultimi mesi – spiega l’imprenditore – abbiamo assistito ad una flessione del 3 per cento in Italia. Noi però non l’abbiamo sentita come gli altri


Antonio Petti

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La qualità del nostro prodotto, rispetto a quello cinese, è decisamente superiore. Ma in certi Paesi si è più che altro attenti al prezzo

proprio perché non abbiamo mercato in patria. Le zone in cui noi esportiamo non hanno subito contrazioni di rilievo perché il nostro è un articolo relativamente povero, per la spesa della famiglia». Fino a qualche anno fa, i cinesi erano fornitori di semi-lavorato per le industrie come la Petti. «Poi hanno cominciato a esportare il prodotto finito. Quindi da fornitori sono passati a concorrenti. Ma la loro è una concorrenza sleale perché non obbediscono alle stesse regole cui siamo soggetti noi. Prima di tutto i costi di trasformazione sono estremamente più bassi, e poi ci sono i trasporti. Se, ad esempio, facciamo arrivare dal nostro stabilimento in Toscana un camion qui a Nocera spendiamo circa 1000 dollari (800 euro), tra costo del trasportatore, carburante, autostrada ecc. La nave che da Pechino arriva a Napoli in 30 giorni di navigazione all’azienda cinese costa circa la stessa cifra. È evidente la sproporzione. Per fortuna, al momento, il mercato che hanno conquistato in Europa è quello del catering e non della grande distribuzione. Per il secondo infatti sono richieste spedizioni su piattaforme frazionate, cosa che la distanza ancora non permette».

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Un margine di azione è ancora possibile, per risparmiare, diversificare e far pesare la qualità maggiore del prodotto italiano. «Sempre in Europa, molti notano la differenza tra il nostro concentrato e quello cinese. Quest’ultimo ha la caratteristica di essere standard, “piatto”: cioè, pur avendo le caratteristiche organolettiche richieste, ha un sapore che non ha niente a che fare con il nostro. Ma in altri Paesi, come quelli africani, si è più attenti al prezzo e in questo Pechino è imbattibile. Nei nostri tentativi di diversificazione infatti abbiamo inserito uno stabilimento in Nigeria, grande consumatrice di concentrato. Ma così facendo penalizzi gli stabilimenti italiani. Per questo stiamo pensando di lottare e di riorganizzare la struttura produttiva per vedere se è possibile continuare a reggere la sfida, con il vantaggio del nostro know how, che deriva dall’esperienza di tre o quattro generazioni e che magari i cinesi non hanno ancora raggiunto». Un altro aspetto su cui Petti si sente di puntare è un miglioramento delle politiche economiche e sociali della superpotenza orientale. «Nel medio-lungo periodo dobbiamo augurarci che ci sia una rivalutazione della divisa cinese, prima o poi questo deve accadere. E prima o poi aumenterà il costo del lavoro anche per loro, ci saranno lotte sindacali che porteranno finalmente a una competizione più giusta. Allora, forse, smetteremo di soffrire». CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 101


TURISMO

Stranieri, gli europei spendono meno in Italia L’Osservatorio della Banca d’Italia evidenzia che i turisti europei in vacanza in Italia nei primi 5 mesi dell’anno hanno speso meno. Meglio i turisti extra-Ue che nel Bel paese hanno spesso più dello scorso anno Teresa Bellemo

nche il turismo, come tutti i settori economici, nel 2012 mostra il fianco. Uno degli asset del nostro Paese che dovrebbe essere una delle risorse principali, paga la contrazione dei consumi e delle disponibilità economiche delle famiglie. Le spese dei viaggiatori italiani all’estero sono diminuite dello 0,7 per cento. Gli italiani che possono viaggiano in Europa, mentre la spesa di quelli che vanno nelle destinazioni extra europee si è ridotta del 5,1 per cento. È evidente, dunque, il rallentamento del turismo nostrano, ma anche di quello estero, Europa in testa. L’indagine sul turismo internazionale in Italia, condotta dalla Banca d’Italia, ha infatti rilevato per i primi 5 mesi del 2012 un calo della spesa degli stranieri provenienti dall’Unione europea (-1,8 per cento rispetto al 2011). Per gli stranieri provenienti dai paesi extra Ue, invece, la spesa

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In alto, Fortunato Giovannoni, presidente di Fiavet, la federazione che unisce le associazioni delle imprese viaggi e turismo

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è cresciuta del 6,5 per cento, dove spiccano gli svizzeri (+16,3 per cento). Complessivamente le spese dei viaggiatori stranieri in Italia sono aumentate dell’1,5 per cento (10.594 milioni di euro. Le difficoltà economiche e un clima non proprio favorevole hanno penalizzato le imprese ricettive italiane nel corso del primo trimestre 2012, come sottolinea Fortunato Giovannoni, presidente di Fiavet. Le potenzialità del nostro patrimonio turistico sono enormi, ma risentono delle scarse capacità di pianificazione a livello organico e della situazione lacunosa delle infrastrutture, soprattutto nel sud Italia, che rende complesso raggiungere alcune destinazioni turistiche. Qual è la situazione del turismo in Italia? «Il settore sta attraversando un momento di difficoltà. Registriamo infatti diminuzioni significative degli arrivi,

con picchi in alcune destinazioni dove, a causa di altri fattori contingenti, il calo raggiunge numeri a doppia cifra. Altre località, invece, soffrono meno soprattutto grazie ai flussi turistici provenienti dall’estero. Infatti, è il turismo interno che, in questa fase, registra la maggiore contrazione». L’Italia è riconosciuta da tutto il mondo come uno dei paesi con il patrimonio culturale, storico e artistico più importante. Nonostante ciò, risulta al quarto posto dei paesi più visitati del 2011, preceduta da Francia, Usa e Spagna. Come mai? «Oggi il turismo è cambiato e il turista è un viaggiatore consapevole, che sceglie una destinazione in base non solo alle sue bellezze storiche, artistiche o naturalistiche ma anche in base ad altri elementi importanti, come l’ac-


Fortunato Giovanoni

cessibilità, la qualità dei servizi, un giusto rapporto qualità-prezzo. Purtroppo l’Italia paga il dazio di alcune carenze, come la difficile accessibilità di alcune destinazioni, soprattutto del Meridione d’Italia e nelle isole, la mancanza di politiche di incentivazione del turismo, come quelle per favorire la destagionalizzazione o i Buoni vacanza, infine una politica di promozione del territorio frammentata». Quali sono le iniziative di Fiavet per rendere l’Italia più competitiva nel mercato turistico internazionale? «Fiavet sta lavorando attivamente insieme alle altre associazioni di categoria di agenzie di viaggio e tour operator europei ed internazionali per stringere accordi di collaborazione, al fine di promuovere le destinazioni italiane presso gli

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Oggi i viaggiatori sono alla ricerca di un migliore rapporto qualità-prezzo ed emerge la diminuzione dei giorni di permanenza e la concentrazione delle vacanze in un unico viaggio

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operatori esteri. Inoltre, sta sviluppando i rapporti anche con gli enti del turismo esteri: l’ente del turismo croato e quello tunisino hanno già confermato la loro adesione in qualità di membri aggregati alla nostra Federazione e anche l’ente del turismo messicano farà richiesta a breve di ammissione». Quali sono i principali punti di sofferenza per il comparto turistico italiano? «I trasporti rappresentano uno degli elementi di maggiore criticità. Ma a ciò si aggiunge anche, soprattutto in alcune destinazioni turistiche, un rapporto qualitàprezzo meno vantaggioso di

quello di altre destinazioni del Mediterraneo, anche a causa di una politica fiscale che non agevola il contenimento dei costi da parte degli operatori». Come è cambiato l’identikit del turista italiano ed estero a causa della crisi economica? «I viaggiatori sono oggi alla ricerca di un migliore rapporto qualità-prezzo. Inoltre, emerge la diminuzione dei giorni di permanenza: prima, oltre al periodo di vacanza principale, venivano fatte più vacanze, anche brevi, nel corso dell’anno; oggi, a causa della minore disponibilità economica, ci si sposta molto meno». CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 109


MOBILITÀ

Nuovi investimenti per i trasporti Il piano di risanamento dei servizi di trasporto pubblico campano è entrato in vigore da qualche mese. Gli interventi previsti puntano a rilanciare le aziende con una serie di importanti iniziative. Sergio Vetrella spiega quali sono le tappe previste Nicolò Mulas Marcello

l sistema dei trasporti su ferro in Campania ha iniziato un processo di rinnovamento che comporta l’impiego di vari milioni di euro di investimento: «La scelta della giunta regionale – spiega Sergio Vetrella, assessore regionale ai trasporti – è stata quella di concentrare gli investimenti su pochi e grandi progetti veramente strategici per lo sviluppo economico e occupazionale, evitando le risorse a pioggia del passato e quindi gli sprechi e il rischio di perdere i fondi. Naturalmente anche sul fronte degli investimenti abbiamo dovuto fare i conti con i problemi di liquidità di bilancio ereditati dalle vecchie giunte compreso lo sforamento del patto di stabilità e l’obbligo di seguire i rigidi dettami del piano di rientro - che hanno avuto alcune ricadute sui cantieri in corso e che stiamo progressivamente risolvendo».

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Sergio Vetrella, assessore ai trasporti della Regione Campania

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Il presidente Caldoro ha parlato di un piano di rilancio per il Tpl della Campania con l’utilizzo esclusivo di fondi regionali. Quali sono le priorità di intervento? «Sui servizi di trasporto pubblico locale abbiamo ereditato dalla giunta precedente una situazione disastrosa, con un buco di oltre 500 milioni di euro nei bilanci delle tre aziende regionali del gruppo Eav, e cioè Circumvesuviana, Metrocampania Nord Est e Sepsa. Per cancellare i danni provocati nel passato e rilanciare finalmente i trasporti abbiamo dunque avviato una complessa azione di risanamento delle aziende, con una serie di importanti iniziative che vanno dallo stanziamento di una prima tranche di 37 milioni di euro nel 2011 per migliorare la liquidità del gruppo a un’anticipazione di altri 25,5 milioni di risorse aggiuntive dovute dallo Stato alla Regione per il periodo 20032007 (ma non ancora materialmente trasferite), fino ai 20 milioni destinati al recupero progressivo dei treni fermi per mancanza di manutenzione che sta già dando i primi

frutti. Abbiamo poi negoziato con le banche creditrici delle aziende e con gli altri fornitori, istituito una commissione interna che ha stabilito finalmente con certezza la situazione dei bilanci del gruppo e infine fatto approvare dal governo il piano di risanamento del gruppo, che porterà a due sole società di trasporto su ferro, una per le infrastrutture (binari e stazioni), e un'altra per i servizi di trasporto (corse di bus e treni)». Per quanto riguarda il trasporto su ferro qual è la situazione attualmente? «Il piano di manutenzione straordinaria dei treni della Circumvesuviana avviato lo scorso aprile continua a registrare miglioramenti significativi. Basti pensare che in appena tre mesi abbiamo già reso efficienti ben dieci treni per un totale di cinquanta mezzi disponibili ogni giorno. Ciò ci consente ora di effettuare sessanta corse con tre carrozze invece di due, in modo da ridurre sempre più i disagi agli utenti nelle ore di punta e di far partire diverse corse eccezionali non programmate in caso di necessità. Assicuro tutti i cittadini


Sergio Vetrella

EURO

500 mln IL BUCO DI BILANCIO RELATIVO ALLE TRE AZIENDE REGIONALI DEL GRUPPO EAV: CIRCUMVESUVIANA, METROCAMPANIA NORD EST E SEPSA

che stiamo seguendo da vicino anche la situazione della Sepsa, dove invece il piano sta andando più a rilento nonostante l’impegno dei vertici e dei lavoratori dell’azienda, che qui ringrazio, a causa della maggiore complessità delle condizioni finanziarie dovute a pignoramenti gravanti sulla società». Sul fronte degli investimenti qual è la situazione generale per il settore trasporti in Campania? «Pochi giorni fa abbiamo firmato con il governo centrale il contratto di sviluppo per la realizzazione della nuova linea ferroviaria Napoli-Bari, che rappresenta una delle opere pubbliche prioritarie non solo del Sud ma dell’intero Paese. Dopo anni di stallo, il documento definisce nel dettaglio gli impegni delle parti, le risorse necessa-

rie e disponibili e i tempi degli interventi. Abbiamo ottenuto in più dal governo di concentrare le risorse, già disponibili e spalmate su tutte le tratte dell’opera, sulle prime due, in modo che queste fossero interamente finanziate e quindi accelerandone e garantendone la realizzazione. Compatibilmente poi con la difficile situazione finanziaria generale, siamo in costante contatto con il governo anche per altre importanti opere strategiche che vanno dal completamento della metropolitana regionale alla Telesina, dall’aeroporto di Grazzanise alla Lioni-Grottaminarda. Infine, stiamo procedendo speditamente sui grandi progetti che l’Unione europea ci ha approvato, molti dei quali riguardano proprio le infrastrutture di trasporto, come il

sistema logistico con il potenziamento dei porti di Napoli e Salerno, il raddoppio della statale del Vesuvio, la tangenziale delle aree interne, solo per citarne alcuni». Parliamo di mobilità sostenibile. Cosa sta facendo la Regione sotto questo aspetto? «La priorità per la mobilità sostenibile di una regione così densamente popolata come la Campania è quella di puntare sempre più sul trasporto pubblico su ferro, ed è quello che stiamo facendo con il completamento della metropolitana regionale. Abbiamo poi previsto anche importanti interventi sul fronte energeticoambientale, come ad esempio, la riduzione del consumo energetico e quindi dell’inquinamento mediante lo sviluppo di una rete di punti di bikesharing e car-sharing». CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 115


TRASPORTI

Shipping, il potenziale italiano Dal calo delle importazioni al vantaggio geografico della penisola sprecato a causa delle carenze strutturali. Il punto della situazione con Mario Lafragola, titolare della Co.M.Ag., uno degli attori principali dei porti del centro-sud Renato Ferretti

ata la nostra posizione geografica dovremmo farla da padroni. E invece nel settore marittimo la nostra penisola paga un prezzo altissimo per la carenza di strutture, farraginosità burocratiche e peso fiscale, tanto da essere scalzati, per assurdo, dai porti nord-europei. Un problema annoso, e ben noto a chi è del mestiere, che di questi tempi prende dimensioni allarmanti. Nonostante le flotte italiane in totale raggiungano una stazza ragguardevole di 18 miliomi di

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tonnellate e che per il 64 per cento siano formate da navi con meno di 10 anni, il quadro generale non è roseo. Basti pensare agli annullamenti degli ordini dovuti al crollo degli scambi commerciali, la repentina diminuzione dei traffici di linea e gli attacchi dei pirati: gli armatori in crisi abbandonano le navi nei porti. A Civitavecchia, Livorno, Genova e Bari sono presenti ben 11 navi, tra abbandonate e sequestrate. Come afferma anche Mario Lafragola, titolare della Co.M.Ag. che è agente per la francese

Cma Cgm – Delmas, uno dei fattori determinanti di debolezza competitiva è certamente la burocrazia, dato che il trasporto via mare affronta un mercato che va al di là delle logiche nazionali. Ma se si tiene in considerazione che anche la Cina paga dazio, allora rimane poco di cui stupirsi. Cosco infatti, il più grande operatore nel campo e di proprietà del governo cinese, ha registrato perdite nette per 10.45 miliardi di yuan facendo segnare la peggiore performance fra le società di rating A quotate. Ma tornando al Bel paese, Lafragola tira le fila sull’ultimo periodo nel suo settore partendo proprio dalla posizione della penisola. «Il vantaggio geografico strategico dell’Italia come “porta del Mediterraneo” – spiega Lafragola – per le merci provenienti dall’Estremo Oriente, dall’India e dal Pakistan e dagli Emirati Arabi viene frenato dalle carenze delle nostre strutture. È questo che avvantaggia il Nord-Europa dove molte volte vengono sbarcati


Mario Lafragola

contenitori che – via feeder, treno block – vengono consegnati al destinatario finale tagliando fuori i nostri porti». Noi forse abbiamo meno problemi con i pirati che in altre zone del mondo, ma per quanto riguarda le possibilità offerte dalle infrastrutture, quindi, c’è quasi da alzare bandiera bianca. «In linea generale, – continua Lafragola – i nostri porti di Taranto, Gioia Tauro, Napoli e Salerno avrebbero bisogno come nel Nord Europa di una rete ferroviaria, con partenze quotidiane a giorni fissi per la consegna rapida delle merci nel nostro hinterland. Ad una maggiore velocità del trasporto si aggiungerebbe una riduzione del prezzo dello stesso (il costo del carburante per lo spostamento via terra è di gran lunga più caro) con grande vantaggio per l’ambiente. Quindi il discorso va oltre gli interessi di categoria: una politica in questo senso, che valorizzi la nostra posizione gioverebbe a tutti. Così come il ritorno ad una leadership italiana nel Mediterraneo». Anche se la maggior criticità è rappresentata dal calo delle importazioni soprattutto dall’Estremo Oriente, la strategia di espansione si orienta sempre di più verso mercati in via di sviluppo. Un aspetto che va di pari passo con l’aggiornamento

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Il vantaggio geografico dell’Italia come “porta del Mediterraneo” viene frenato dalle carenze delle nostre strutture. A vantaggio del Nord-Europa

dei servizi, che, come riferisce direttamente dalla sua esperienza professionale Lafragola, non può essere eluso. «L’offerta maggiore di “stiva” in corrispondenza alla diminuzione della domanda ha portato ad un pesante deterioramento dei noli, rispetto al quale gli armatori hanno cercato di rispondere con le soluzioni tecniche più sofisticate (riduzione del personale di bordo, riduzione dei consumi, taglio dei costi relativi ad attracco nei porti, ope-

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razioni di carico/scarico delle merci)». Insomma spiragli che fanno ben sperare ci sono e alcune iniziative vengono premiate. «Malgrado la crisi che si è abbattuta sul campo marittimo – interviene, ottimista, Maria Laura Lafragola manager di Co.M.Ag. – e in special modo sui servizi armatoriali di linea, il nostro fatturato si è mantenuto soddisfacente. Abbiamo ottenuto buoni risultati con la nuova linea settimanale da Trapani verso tutte le destinazioni con trasbordo a Malta, offrendo nuovi servizi ai caricatori locali. Quindi, nonostante le tante nuvole in agguato, siamo fiduciosi di poter aumentare il nostro giro di affari e il nostro trasportato, dedicando agli spedizionieri importatori ed esportatori il particolare customer care che è stato fino ad oggi il nostro punto di forza».

Mario Lafragola, titolare della Containers Management Agency Srl di Napoli www.cma-cgm.com

CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 117


TRASPORTI

Crisi dei trasporti. «Solo uniti si resiste» Gennaro Marigliano fa il punto della situazione nel settore trasporti. Dalla concorrenza non regolare alle leggi controproducenti, il quadro non è roseo. «I trasportatori devono far fronte comune» Renato Ferretti

uando fanno sciopero i trasportatori francesi mettono in ginocchio il paese. Invece noi…». Non è facile per gli addetti ai lavori riassumere la situazione del mercato dei trasporti senza provare un senso di rammarico

«Q La Star T ha sede a Napoli star.tsrl@libero.it

o addirittura un moto di rabbia. Gennaro Marigliano, della Star T di Napoli, spiega come le imprese del settore annaspino nel pantano delle tasse e delle leggi, mentre i “conigli” dei trasportatori irregolari corrono veloci battendo senza sforzo la concorrenza. E a niente sembra valere l’esperienza decennale nella professione, né gli investimenti fatti in passato. «Siamo riusciti a mantenere le posizioni – dice Marigliano – ma non è stato un bel biennio. Anzi, il 2012 si può definire un flop completo, almeno dal punto di vista dell’importazione. Si è fatto qualcosa solo per l’esportazione». Molti clienti “fanno fatica” e la descrizione riportataci dal titolare della Star T non è certo positiva. I segnali su cui basare una qualche previsione sono fluttuanti, inaffidabili. «Non c’è strategia che tenga, bisogna stingere al massimo i costi e aspettare l’evolvere della situazione, sempre meno chiara. A volte sembrano comparire se-

gnali di ripresa che poi vengono smentiti. Per esempio negli ultimi 15 giorni qualcosa è cambiato, c’è un po’ di merce che si muove. Ma non ci si può contare: può cambiare tutto da un giorno all’altro». Marigliano poi passa ai numeri della sua azienda. «Noi oggi siamo 40 dipendenti con 4 milioni di fatturato. Il problema però non è il fatturato: l’incidenza dei costi ormai supera i ricavi. Le prospettive dell’azienda per il lungo periodo non sono belle, bisognerebbe ci fosse un alleggerimento fiscale. Poi ci sono delle contraddizioni: le istituzioni dicono di voler dare una mano alle aziende e invece le tassano, provocando un aggravio di costi. Ci sono tasse come l’Irap che non hanno senso. L’Irap ha una voce che grava sugli stipendi, mi pare un non senso dal momento in cui vogliamo dare una mano alle aziende». Le colpe dello Stato per Marigliano non si fermano all’Irap. Tra i problemi che cita c’è an-


Gennaro Marigliano

che la soluzione prospettata dell’aumento Iva che diminuirebbe ancora i consumi. «E allora sarebbe auspicabile dimezzare l’iva, far uscire i prodotti ad un prezzo inferiore e incrementare così i consumi. Questo non è un governo politico, è un governo di tecnici e dovrebbero fare i ragionieri. Ma non si rendono conto che se aumentano l’iva diventa sempre più difficile vendere, e di conseguenza pagare le tasse. Dovrebbero abbattere i costi al consumo, non aumentarli». La profonda crisi economica non è il solo aspetto che minaccia seriamente i trasportatori italiani che vogliono fare le cose come impone la Legge. Uno dei guai secondo il presidente di Star T viene dall’Est europeo. «La concorrenza dei paesi dell’Est fa paura: non so come facciano, se rubino il gasolio o non paghino i mezzi, ma offrono prezzi per noi inarrivabili. Certamente, però, non danno il servizio che diamo noi. Ad esempio, un mio cliente aveva trovato un autista bulgaro che gli faceva un prezzo dimezzato rispetto ai nostri. Sono partiti, ma non hanno usato il traghetto e si sono persi. Le merci sono ricomparse dopo 4 giorni, ferme in dogana. Insomma oggi c’è questo grosso pericolo per la committenza, di imbattersi in trasporti non affidabili. Sulle strade ci sono solo rumeni, sloveni, bulgari e non si vedono neanche più francesi, o tedeschi, che prima spadroneggia-

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La concorrenza dei paesi dell’Est fa paura: non so come facciano, ma offrono prezzi dimezzati rispetto ai nostri

vano in Italia». Un margine d’azione forse c’è, almeno per resistere aspettando tempi migliori. Ma secondo Marigliano solo a certe condizioni. «Non possiamo demordere, dobbiamo combattere e andare avanti. Non so ancora se ho fatto bene o male a rimanere sul mercato, ma rimango ottimista, anche se i problemi sono tanti. Se riuscissimo ad unire le forze potremmo ottenere qualcosa come hanno fatto in Francia. Fino ad allora continueremo a subire». Un esempio di quello che devono subire i trasportatori? Basta far riemergere il problema dello smaltimento dei pneumatici. «Io avevo il mio canale autorizzato e smaltire una gomma mi costava 9 euro. È stato inserito il consorzio per lo smaltimento dei pneumatici

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usurati e ora quando devo comprare pago 500 euro della gomma e 23 euro per lo smaltimento. Hanno creato un consorzio, una struttura e, i 9 euro, sono diventati 23. Noi abbiamo anche mille gomme a terra! Non è difficile immaginare la spesa che questa operazione comporta». Nonostante tutto al trasportatore di lunga esperienza di Napoli non manca la determinazione a tirare avanti. «Si può solo puntare sulla qualità del servizio. Non bisogna essere solo dei trasportatori, ma anche dei consulenti. Se il cliente sta sbagliando bisogna indirizzarlo. Dobbiamo fare il nostro lavoro convinti della nostra morale, perché quello che non conviene al cliente va detto e lui se lo ricorderà. A quel punto non sei solo un trasportatore». CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 119




INFRASTRUTTURE

Verso il cantiere a basso impatto Un’eccellenza campana nella posa di tubazioni in modalità no-dig. Una tecnologia che permette di intervenire sottoterra senza scavi a cielo aperto. Armando Chianese fa il punto su un settore all’avanguardia, pesantemente penalizzato dai ritardi nei pagamenti. Mauro Terenziano

l primo semestre 2012 si conferma come un periodo di sofferenza per le imprese, in particolare sotto il profilo dei tempi e, spesso, certezza dei pagamenti, soprattutto per quanto riguarda le realtà legate al mondo dei lavori sulle grandi infrastrutture. A tal proposito, come conferma Armando Chianese, titolare della La.Spe Srl, azienda all’avanguardia nel settore delle tecnologie no-dig, nonostante un 2011 caratterizzato da un

I In queste pagine, interventi no-dig realizzati da La.Spe Srl, azienda che ha sede a Napoli www.laspe.it

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incremento di fatturato di circa il 30 per cento, i primi sei mesi del 2012 hanno mostrato una performance a segno meno. Come spiega Armando Chianese, titolare della società: «Il problema maggiore è certamente quello degli incassi. I tempi di attesa raggiungono ormai anche i 12-18 mesi, al quale si somma il rischio di non riscuotere i crediti, dato che numerose aziende si trovano in stato di concordato preventivo o hanno avviato procedure fallimentari». L’esperienza della La.Spe, attiva sia nel pubblico che nel privato – entrambi gravati da scarsa liquidità –, diventa quindi significativa, dimostrando le difficoltà che stanno colpendo anche le realtà più avanzate dal punto di vista tecnologico. «La nostra azienda è nata e si è specializzata nelle lavorazioni nodig (ovvero “senza scavo”) o trenchless. Queste permettono la posa in opera di tubazioni e

cavi interrati o il recupero funzionale, parziale o totale, o la sostituzione di condotte interrate esistenti, senza ricorrere agli scavi a cielo aperto. Si evitano, così, le manomissioni di superfici che possono interessare sia le infrastrutture – strade, ferrovie, aeroporti – che bellezze naturali o artistiche – boschi, fiumi o canali, aree ad alto valore ambientale, piazze storiche – e si eliminano pesanti e negativi impatti sull’ambiente, sulle strutture superficiali e sulle infrastrutture di trasporto». Fra i lavori più recenti realizzati dalla La.Spe, che opera su tutto il territorio nazionale e a breve avvierà anche lavori all’estero, vi è quello realizzato in Emilia Romagna e, precisamente, nel quartiere Navile di Bologna. «Nel capoluogo emiliano – prosegue Chianese – abbiamo realizzato due attraversamenti di lunghezza analoga, pari 122 m, il primo con un diametro di 2.200 mm e il secondo di 800


Armando Chianese

mm, costituiti da tubazioni in cemento armato centrifugato e posati con l’impiego di due tecnologie diverse. La tubazione maggiore, infatti, è stata posata con sistema a scudo aperto, grazie al quale il terreno è stato asportato a mezzo di braccio meccanico, coadiuvato da nastri trasportatori per espellere il terreno fino alla buca di spinta. Per il diametro da 800 mm, invece, lo scavo è stato eseguito da una testa fresante robotizzata a smarino idraulico (microtunnelling). In questo caso la tubazione adoperata è stata dotata internamente di un rivestimento speciale, posato in fabbrica, allo scopo di garantire una maggiore durabilità della tubazione stessa e preservarla dall’azione corrosiva delle acque nere». Un lavoro dalle caratteristiche diverse è stato quello eseguito a Torre del Greco, dove sono state posate delle tubazioni in acciaio sfruttando il sistema

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La nostra tecnologia elimina l’impatto negativo dei lavori di scavo sull’ambiente, sulle strutture superficiali e sulle infrastrutture di trasporto

Symmetrix, particolarmente adatto alla natura dei luoghi, dovendo attraversare binari della Rfi poggianti su roccia basaltica, tipica dei luoghi posti alle falde del Vesuvio. «Grazie alla tecnologia Symmetrix, è stato possibile posare 26 m di tubazione in roccia dura in appena quattro giorni, senza creare disagi al traffico ferroviario della tratta interessata dai lavori». Data la complessità degli interventi in cui la La.Spe presta il proprio know how e per incrementare la propria specializzazione, la società negli anni ha investito costantemente nell’acquisto di attrezzature, fino a costituire un parco macchine che le permette di affrontare qualsiasi

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tipologia di terreno o roccia. «Siamo presenti a tutte le fiere di settore -precisa Chianese e manteniamo contatti con le principali aziende europee che producono attrezzature, in maniera tale da essere aggiornati sulle nuove tecnologie e i materiali. Ovviamente puntiamo anche alla formazione del nostro personale, al fine di diffondere la cultura in un settore, come quello del no-dig, che è ancora in evoluzione e in crescita. A tal fine ci siamo resi promotori di seminari e convegni sul tema. Gli appuntamenti più recenti si sono svolti presso l’università di Fisciano e presso la facoltà di ingegneria dell’università di Napoli». CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 123


INFRASTRUTTURE

Migliora la mobilità a Capri Le ultime novità della funicolare che porta alla Piazzetta. Presentate da Anna La Rana, amministratrice della società che gestisce l’infrastruttura fondamentale dell’isola azzurra. Un servizio migliore e in linea con lo sviluppo ecosostenibile Tommaso Niccoloe

n’infrastruttura che ha superato il secolo di vita e che ancora sa rinnovarsi ed essere all’avanguardia. È grazie alle innovazioni introdotte dalla società Sippic Funicolare di Capri, che il relativo trasporto riesce a mantenersi al passo con le nuove esigenze di mobilità dell’isola, conciliandole con il rispetto dell’ambiente. La politica aziendale della società,

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L’amministratore della Sippic Funicolare di Capri, l’avvocato Anna La Rana

amministrata dall’avvocato Anna La Rana, infatti, è orientata al progressivo miglioramento del servizio, attraverso la messa in campo di iniziative e progetti all’avanguardia. «Le nostre – afferma La Rana – sono risposte che vanno nella direzione di incontrare le aspettative sia della cittadinanza sia dei numerosi turisti che ogni anno visitano l’isola azzurra». Già dal 2002 la funicolare era all’avanguardia,

grazie all’introduzione del sistema di bigliettazione elettronica. «Il suo processo innovativo, contact less, è risultato tra i primi, se non il primo in Ita-


Anna La Rana

lia. Il biglietto di ingresso nella stazione della funicolare è costituito da una card che all’interno contiene un microchip e un’antenna elettronica. L’avvicinamento del biglietto elettronico alla validatrice consente l’apertura dei varchi, costituiti da due vetri infrangibili che, a chi scende a Marina Grande, lasciano già intravedere il mare». Permettendo il caricamento di più corse – eliminando così le lunghe code per l’acquisto di ogni singolo ticket – e grazie all’integrabilità con gli altri trasporti pubblici locali, la card consente al visitatore di percorrere tutta l’isola, usufruendo di un trasporto integrato completo battezzato Unico Capri. «La scelta di una card è stata vincente anche dal punto di vista ambientale, limitando il consumo e il successivo smaltimento di milioni di biglietti di carta, certamente dannosi per l’attuale sistema ecologicamente da proteggere. Proprio sulla base di questa valutazione, da quest’anno, abbiamo scelto di abolire del tutto il biglietto cartaceo “residente”, sostituendolo con una card dedicata agli abitanti dell’isola. Inoltre, a partire dal 2011, dall’accesso di Marina Grande abbiamo istituito un varco riservato ai residenti, ai lavoratori e agli utenti muniti di card elettronica e ciò proprio per snellire

DA OLTRE 100 ANNI a nascita della funicolare risale al 1907. Fu realizzata per collegare il porto di Marina Grande con il centro di Capri, la famosa Piazzetta, e si impose da subito come un’infrastruttura fondamentale per l’economia di Capri, smaltendo in breve tempo gli enormi flussi di turisti in arrivo e in partenza dall’isola. E divenendo presto insostituibile in occasione delle grandi manifestazioni religiose, sociali, politiche e culturali che annualmente riempiono il calendario degli eventi capresi. Arrampicandosi attraverso uno scenario di case, vigneti e agrumeti, la funicolare compie un tragitto che dura tre minuti e mezzo. Il panorama che si gode dai vagoni è mozzafiato: si ammira tutta l’isola e all’orizzonte si scorge il golfo di Napoli. Il tragitto è lungo 660 metri e supera, con una pendenza massima del 38 per cento, un dislivello di 138 metri.

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il grande flusso turistico, grazie alla velocità di accesso tramite la card». L’iniziativa avviata dalla Sippic sta creando un circolo virtuoso e si spera che le compagnie di navigazione che collegano l’isola alla terra ferma si adeguino all’esempio della funicolare,

creando un percorso privilegiato, dedicato a residenti capresi e lavoratori dell’isola, con un’apposita bigliettazione che evita le lunghe file turistiche. «La nostra prossima mossa – dice in conclusione La Rana – sarà il lancio di vari gadget con il marchio della funicolare, che saranno curati nella scelta e nelle rifiniture. È anche previsto, per il futuro, un ambizioso progetto basato sulle più moderne tecnologie. Il target di questo progetto avvantaggerà il turista di Capri con positive ricadute economiche sugli abitanti della bella isola azzurra». CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 127


INFRASTRUTTURE

Quali progetti per il porto di Napoli? l Consiglio comunale di Napoli ha approvato durante l’estate il Piano regolatore del Porto di Napoli. Si tratta di un passo decisivo per l’avvio del Grande Progetto Porto Napoli, che verrà finanziato con 240 milioni di fondi europei. «L’approvazione anche da parte del Consiglio comunale di Napoli del Piano regolatore del porto, è un atto che assume grande rilevanza per portare avanti il Grande progetto Porto di Napoli che la Regione ha già finanziato con 240 milioni di euro di Fondi Europei», ha sottolineato l’assessore regionale Edoardo Cosenza, responsabile del coordinamento Grandi Progetti. Di grandi progetti e dell’importanza del porto di Napoli sa bene Fran-

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Francesco Spizzuoco, titolare della Euro Agencies di Napoli www.euroagencies.net

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Con l’approvazione del Piano regolatore del Porto di Napoli si compie un passo decisivo per l’avvio del grande Progetto del Porto partenopeo, finanziato con 240 milioni di fondi europei. «È necessario dare però concretezza ai progetti validi». La parola a Francesco Spizzuoco Marco Tedeschi

cesco Spizzuoco, titolare dell’agenzia Euro Agencies, ultima nata da due storiche famiglie operanti nel settore dello shipping da oltre 50 anni. «Proseguendo una tradizione familiare e tuttora con i miei tre figli sono impegnato nello shipping partenopeo e non solo. Ho vissuto buona parte della mia vita lavorativa sulle banchine assistendo le navi rappresentate che sbarcavano e imbarcavano merci di ogni specie e su ogni mezzo di trasporto. Per questo posso testimoniare la grande importanza del porto per la nostra città». Una ricchezza quindi importantissima. «Il porto è sicuramente una grandissima risorsa per la città. Possiamo affermare che, dopo il Comune, rappresenta la seconda industria della città. Malgrado questo, la sua enorme potenzialità non è mai stata presa in seria e fattiva considerazione. Quando si parla del Porto infatti avviene una

continua strumentalizzazione ai fini elettorali o a favore di dichiarazioni giornalistiche di immagine, con periodiche ed entusiastiche illustrazioni di progetti fantasiosi senza però considerare l’apatia che molto spesso sta dietro questi progetti. Progetti che nella maggior parte dei casi non vedono mai la luce». Potrebbe riportarci qualche esempio? «Potremmo raccogliere in un’antologia le decine di progettazioni e i tanti proclami dei nostri governanti ma molto spesso tutto rimane allo status quo e nel frattempo gli ultimi “bastimenti” rimasti annunciano l’abbandono del nostro “arcaico” scalo e ancora una volta ecco che i “Ponzio Pilato” di turno se ne lavano le mani. Speriamo che questa volta sia diverso». Bisognerebbe invece far fruttare l’economia del porto. Cosa si potrebbe fare? «La nostra bellissima e storica


Francesco Spizzuoco

città viene continuamente offesa e degradata, in parte anche da noi cittadini, dalle incapacità manageriali delle istituzioni che non hanno e non si sforzano nel trovare manager concretamente fattivi e trainanti, capaci non solo di promettere ma di intervenire, creare, organizzare e trasformare il nostro porto cercando di risolvere e superare quei cavilli burocratici e politici. È invece indispensabile combattere l’arroganza e l’ignoranza dando finalmente concretezza e speranza alle migliaia di lavoratori già operanti nel settore e alle generazioni future. Bisognerebbe dare finalmente concretezza ai progetti validi e necessari come il Terminal Container di Levante, per il futuro rilancio del nostro scalo». Quali sono le altre aree su cui intervenire? «Innanzitutto è necessario accantonare i progetti non urgenti e faraonici e focalizzare le nostre risorse e capacità sulle grandi potenzialità turistiche e crocieristiche dello storico Molo San Vincenzo e attuare finalmente e concretamente il terminal containers di Levante, queste opere oltre a offrire nuovi posti di lavoro darebbero anche “ossigeno” all’indotto cittadino. Faccio quindi appello agli operatori capaci, all’Unione Industriale, alla Camera di Commercio di “mar-

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Bisognerebbe dare finalmente concretezza ai progetti validi e necessari come il Terminal Container di Levante, per il futuro rilancio del nostro scalo

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care stretto” le istituzioni affinché finalmente si faccia qualcosa di positivo per il porto e di conseguenza per la città di Napoli. Tralasciamo progetti stellari e concentriamoci in questo momento molto particolare per il nostro Paese a far crescere la nostra economia agendo con umiltà, senza egoismi personalistici». Qual è stata invece l’evoluzione del porto di Napoli negli ultimi cinquant’anni? «Mi piace ricordare che agli inizi degli anni sessanta la

merce, come ad esempio il legname, veniva in parte ancora caricata sui carretti trainati da cavalli. Ho assistito al grande flusso migratorio della nostra gente che partiva con tanta speranza per un ritorno migliore. Oggi invece i “bastimenti” (containers) partono meno e senza la speranza del ritorno; le istituzioni non hanno mai compreso realmente la grande potenzialità e importanza del nostro porto che è il secondo porto storico italiano». CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 129


NAUTICA

Progetti per il settore nautico salernitano In un mercato nazionale in forte flessione sul fronte della nautica da diporto, gli addetti ai lavori si orientano alla diversificazione. Puntando su ricerca, formazione e servizi portuali. La parola ad Antonio Guida, dell’ente di certificazione Q&S Mauro Terenziano

econdo il rapporto 2011 “La nautica in cifre”, elaborato dall’Ucina (Unione nazionale Cantieri Industrie Nautiche e Affini), il fatturato complessivo del settore nautico italiano, nel 2010, è stato equivalente a 3,35 miliardi di euro. Messo a confronto con il risultato dell’anno 2009 il calo si attesta a quasi il 21 per cento. Analizzando i dati per com-

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Antonio Guida, amministratore unico della Quality & Security Srl di Salerno www.qualitysecurity.it

132 • DOSSIER • CAMPANIA 2012

parto, la causa principale della flessione è intuitivamente individuabile nel crollo della domanda interna (meno 32,9 per cento), mentre è stata assai più contenuta la perdita derivante dalla minore richiesta estera (meno 11,3 per cento). Se si analizzano i dati prendendo a termine di paragone il 2008, il quadro si mostra ancora più critico, con una flessione del 45,7 per cento del valore in termini di fatturato. E sempre guardando al triennio 2008-2010, emerge chiaramente come l’export abbia assunto un ruolo di primo piano, superando nel 2009 la quota di produzione destinata al mercato nazionale. Come si stanno muovendo le società operanti nel settore dei servizi collegati a Salerno, città in cui il mare rappresenta una delle principali risorse dell’economica locale? Ne parliamo con Antonio Guida, amministratore unico dell’ente di certificazione Quality & Security. «A causa della situazione di difficoltà che sta attraversando il set-

tore nautico, la nostra società ha avviato un processo di diversificazione, con l’obiettivo di definire modalità e risultati concreti per realizzare attività legate alla portualità e al settore del diporto». Q&S è un ente di certificazione, autorizzato dal ministero per le Attività produttive e dal ministero dei Trasporti e notificato Ce, che ha lo scopo di contribuire alla salvaguardia della vita umana, dei beni e dell’ambiente attraverso il rilascio di certificazioni e attestazioni di conformità sulla base delle norme di sicurezza che regolano l’uso delle imbarcazioni da diporto. Come spiega Guida: «Siamo autorizzati ad agire sia sul nostro territorio nazionale che nei paesi membri dell’Unione Europea per l’esecuzione delle procedure di certificazione in base alla direttiva 94/25/Ce, di certificazione di tipi approvati per prodotti per la nautica, per il rinnovo di annotazioni e certificazioni di sicurezza per le imbarcazioni da diporto, per certificazioni di usati


Antonio Guida

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Stiamo puntando sull’impiego delle energie alternative anche nei motori nautici

di qualità e per attività di formazione». Gli obiettivi di diversificazione avviati da Q&S sono riassumibili in tre progetti di investimento: la ricerca per lo sviluppo di soluzioni che rendano la navigazione più sicura ed ecosostenibile, l’avvio di corsi di formazione professionale a bordo di una nave scuola di proprietà della società e, inoltre, l’utilizzo di un sottomarino Rov – recentemente acquistato – per attività di recupero, ricerca e monitoraggio. «Un aspetto fondamentale del nostro lavoro – prosegue Guida –, al di là delle ordinarie procedure di certificazione, è la ricerca mirata a sviluppare e fornire soluzioni tecnologiche capaci di aumentare il livello di sicurezza, di ridurre sprechi di energia e di risorse e di limitare le emissioni

di CO2. In questo senso, crediamo che le maggiori risposte possano venire dall’utilizzo delle fonti di energia alternative. Abbiamo già lavorato per l’impiego, sulle imbarcazioni di motori Gpl. Contemporaneamente abbiamo studiato la possibilità di modificare le complesse procedure di rilevamento dei gas di scarico. Queste procedure oggi prevedono un’operazione molto dispendiosa in termini economici e di tempo. In collaborazione con l’università Federico II di Napoli abbiamo messo a punto delle procedure alternative che semplificano il meccanismo». La scelta di puntare anche sulla formazione è stata dettata da una crescente richiesta da parte di varie società armatrici di personale altamente qualificato. «Per questo abbiamo investito

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nell’acquisto di un’unità navale corredata di simulatori di navigazione e attrezzature tali da rendere l’unità a tutti gli effetti una nave scuola, da impiegare esclusivamente per i corsi professionali Stcw 78/95, usufruendo di docenti altamente specializzati, ingegneri navali, comandanti di lungo corso e direttori di macchina. Altro investimento importante, realizzato nel 2012, è stato l’acquisto di un sottomarino Rov. Questo mezzo tecnologicamente avanzato sarà impiegato in attività di recupero di relitti e materiali, ricerca scientifica, verifica di condutture sottomarine e monitoraggio dei fondali, monitoraggi di zone di interesse archeologico. In questi progetti riteniamo di aver individuato tre assi vincenti per la crescita della nostra società». CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 133




MERCATO IMMOBILIARE

Degrado urbano, ostacolo al mercato Napoli resiste di fronte alla crisi del mercato residenziale italiano. Servono però nuove modalità di incontro tra domanda e offerta e politiche di riqualificazione, come evidenzia Giovanni Adelfi della Borsa immobiliare di Napoli Francesca Druidi

Giovanni Adelfi, amministratore delegato della Borsa immobiliare di Napoli

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orte contrazione dei volumi delle transazioni immobiliari nei primi tre mesi del 2012. L’Agenzia del territorio ha segnalato, infatti, un calo di circa il 20 per cento per le compravendite nelle principali città italiane rispetto ai primi mesi del 2011. Giovanni Adelfi, amministratore delegato della Borsa immobiliare di Napoli, delinea lo scenario del capoluogo partenopeo, mettendo a fuoco alcune soluzioni per risollevare il mercato. Qual è la situazione per quanto riguarda Napoli e provincia? «Complessivamente Napoli ha registrato una contrazione delle compravendite residenziali inferiore al 10 per cento, rispetto alla contrazione a livello nazionale di circa il 20 per cento verificatasi in tutti i grandi centri urbani. La domanda a Napoli e provincia è ancora alta, la propensione all’acquisto persiste; nonostante la crisi, il non facile contesto, il clima negativo che si è diffuso attorno all’Imu, molti pensano che sia un buon momento per comprare casa». Ha evidenziato come in questa fase sia necessario

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valutare percorsi alternativi di incontro tra domanda e offerta immobiliare. Quali potrebbero essere questi percorsi? «La permuta, trend generatosi grazie alla crisi e alla stretta sui mutui, può diventare una valida alternativa per vendere e acquistare immobili. Quando i contraenti sono entrambi privati, e quindi non sottoposti a regime Iva, la permuta diretta presenta notevoli vantaggi, in quanto le imposte vengono pagate solo sull’immobile di maggior valore e poi divise a metà, mentre le spese notarili si riducono alla stipula di un unico atto, con notevole risparmio sulla parcella. Oppure si può utilizzare la formula del “rent to buy” che prevede un affitto che prelude al materiale e definitivo acquisto di un immobile». Come funziona nello specifico? «Secondo questo istituto contrattuale, l’acquirente all’atto della firma del contratto versa un acconto - a titolo di caparra confirmatoria - pari a un importo compreso tra il 5 e il 10 per cento del valore complessivo dell’immobile. Poi per i successivi


Giovanni Adelfi

MERCATO IMMOBILIARE

-9,8% IL CALO DELLE COMPRAVENDITE IMMOBILIARI A NAPOLI NEI PRIMI TRE MESI DEL 2012 RISPETTO ALLO STESSO PERIODO DEL 2011

anni, il promittente acquirente s’impegna a versare un canone mensile leggermente superiore a quello ipotizzabile per una rata di mutuo necessario a coprire il resto dell’intero valore del cespite e, infine, alla scadenza concordata, può perfezionare l’acquisto dell’immobile. I vantaggi sono numerosissimi: l’acquirente non solo si troverà nella condizione di aver già pagato circa un 20-25 per cento dell’intero prezzo, per cui potrà chiedere un finanziamento meno impegnativo CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 137


MERCATO IMMOBILIARE

Alla riqualificazione è affidato il compito di produrre valore aggiunto sia in termini di reale incremento della qualità urbana in senso lato, sia in termini strettamente economici

per le banche, ma sarà anche ritorio partenopeo ha biso- affidato il compito di proin grado di dimostrare la capacità di assolvere, con puntualità, le ipotesi di rateizzo per le quali ci si impegna». La Borsa immobiliare di Napoli ha più volte richiamato l’attenzione sul tema del degrado urbano del capoluogo quale ostacolo importante per il mercato immobiliare. In che modo si può intervenire? «La gestione delle aree del ter138 • DOSSIER • CAMPANIA 2012

gno di nuove politiche e di ben definite priorità d’intervento: recupero del territorio, creazione di qualità ambientale e urbana sia per i tessuti edilizi che per gli spazi aperti, ripristino della legalità. Il degrado edilizio, ambientale e sociale richiede un forte impegno che necessita della concertazione pubblico-privato dal progetto alla realizzazione. Alla riqualificazione è

durre valore aggiunto sia in termini di reale incremento della qualità urbana in senso lato, sia in termini strettamente economici in quanto l’economia dei quartieri cittadini si fonda anche sul dinamismo nella creazione di occasioni per nuovi investimenti. Qualunque iniziativa imprenditoriale di tipo immobiliare non può prescindere dalla contestualizzazione


Giovanni Adelfi

Servono nuovi sgravi e incentivi Menu paura, più fiducia e agevolazioni per chi decide di acquistare casa. La ricetta per far ripartire il settore immobiliare secondo Mario Condò de Satriano, presidente provinciale di Fiaip Napoli a forte riduzione del numero delle transazioni immobiliari che ha caratterizzato la prima parte dell’anno deriva da un insieme di aspetti concatenati. Mario Condò de Satriano, presidente provinciale della Federazione italiana agenti immobiliari professionali, prova a stilare una previsione sull’andamento del mercato immobiliare del capoluogo partenopeo nei prossimi mesi: «Non essendo intervenuto, a tutt’oggi, alcun segnale positivo né dalla politica né dalla finanza, il secondo semestre 2012 probabilmente si chiuderà con la medesima situazione di stagnazione già registrata nel primo, nonostante la notevole domanda che sinora ha sostenuto il mercato, rappresentata dal fatto che soltanto il 50 per cento dei napoletani dispone di un immobile di proprietà contro l’82 per cento circa della media nazionale». Come intervenire sulla forbice di prezzi che continua a tenere lontane domanda e offerta? «La forbice del 20-25 per cento tra domanda e offerta è soltanto l’effetto di una causa rappresentata dalle false aspettative di prezzo dei “proprietari-venditori” rimasti tuttora ancorati ai valori del 2006/07, oggi non più realizzabili. Se soltanto adeguassero le loro richieste agli attuali valori, il mercato riprenderebbe a funzionare nonostante la stretta creditizia, l’elevata tassazione e il clima di sfiducia generalizzato». Con quali misure si può innescare la ripresa? «Gli elementi che potrebbero sbloccare il mercato sono da

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nelle dinamiche locali. Bisogna convincersi che non è sufficiente progettare il singolo bene urbano, occorre piuttosto progettare il contesto. Intensificare, quindi, le trasformazioni, andando al di là delle operazioni di pura cosmesi, trovando soluzioni di assetto urbano in grado di esaltare gli spazi pubblici e di relazione sociale, l’efficienza delle attività e la qualità dell’abitare».

ricercare in un diverso atteggiamento degli istituti di credito in merito alle concessioni dei mutui, in una politica nuovamente incentrata a favore del settore immobiliare con sgravi e benefici fiscali, per esempio a chi acquista la prima casa, e in una normativa che preveda tempi certi per il rilascio dell’immobile in caso di finita locazione o di morosità dell’inquilino. Sarebbe, inoltre, auspicabile una forte “sburocratizzazione” a favore delle imprese edili, sia per grandi che per piccoli interventi anche di ristrutturazione. Ma l’elemento determinante, in questo momento storico, è costituito dallo spropositato clima di sfiducia che regna in tutti i settori, in particolar modo in quello immobiliare, che invece per definizione ha necessità di fiducia e serenità sia per l’acquisto della prima casa che per l’investimento di liquidità nel mattone». Quale ritiene sarà l’impatto dell’Imu sul mercato immobiliare? «L’impatto dell’Imu è già stato devastante per il mercato immobiliare, non tanto per la maggiore tassazione in rapporto alla vecchia Ici quanto per l’effetto mediatico negativo che per lunghi mesi ha terrorizzato sia acquirenti che proprietari, dipingendo la nuova tassa come una sorta di “atto espropriativo” e contribuendo in maniera decisiva all’attuale fase di stagnazione del mercato. Fortunatamente il 18 giugno gli italiani hanno conosciuto l’ammontare della tassa e si sono resi conto del terrorismo gratuito generato».

Quali misure ritiene debbano essere adottate dal governo per risollevare il mercato? «La cronica carenza di risorse rende indispensabile prevedere procedure attuative sinergiche pubblico-private per assumere iniziative di rilevante interesse pubblico, mediante modalità pianificatorie in grado di coniugare l’azione di governo pubblico delle trasformazioni urbane, con un

ruolo attivo dei soggetti privati in esse coinvolti, in un quadro di equilibrio condiviso. Il Piano nazionale città e il contratto di valorizzazione urbana, previsti dal governo nel “decreto sviluppo”, sono il primo passo concreto verso l’attuazione di tali sinergie; sta alle istituzioni locali approfittare di tali opportunità per dare un indirizzo decisivo nel senso della definitiva rigenerazione della città». CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 139


EDILIZIA

Project financing e leasing per ossigenare il settore Dall’inizio della crisi è stato perso il 25 per cento del valore della produzione dell’intera filiera delle costruzioni. Ma c’è chi è cresciuto, grazie a progetti legati all’edilizia alberghiera di lusso e alla grande distribuzione. La parola a Biagio Vallefuoco Marco Tedeschi

all’inizio della crisi nell'edilizia sono stati persi 500mila posti di lavoro. A denunciarlo è Walter Schiavella, segretario generale della Fillea-Cgil. «Per settembre – dice – tutte le previsioni parlano di un andamento dell'edilizia e delle costruzioni in linea con quello di luglio e dei mesi scorsi. Per l’autunno non vediamo all’orizzonte segnali di ripresa. E ormai dall'inizio della crisi si sono persi 400mila posti di lavoro, 500mila considerando anche l'indotto. Ma senza investimenti non ripartirà nulla». In netta controtendenza rispetto a questo quadro fotografato da Schiavella troviamo invece una realtà napoletana, il Gruppo Principe, da oltre trentacinque anni nel settore delle grandi opere pubbliche e private, nella gestione e nella manutenzione di enti pubblici, nel project financing e nell’immobiliare. «Rispetto al trend del Paese – spiega Biagio Vallefuoco che

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Il Gruppo Principe ha la sede a Napoli info@gruppoprincipe.it

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con i fratelli Angela, Antonio e Domenico gestisce l’attività – negli ultimi due anni il fatturato è in crescita, come già confermato in anni precedenti a questi». E la crescita riguarda anche la sfera occupazionale. «Con orgoglio possiamo vantare un incremento delle assunzioni pari al 50 per cento nell’ultimo triennio, un dato sicuramente in controtendenza nel nostro ambito operativo che ci consente di garantire lavoro a 150 dipendenti. Nonostante la crisi di settore, i progetti che hanno fatto da traino, veri e propri fiori all’occhiello per il nostro gruppo, afferiscono soprattutto all’edilizia alberghiera di lusso, alla grande distribuzione, alle opere tecnologicamente avanzate e alla gestione di edifici pubblici». L’ambito degli appalti pubblici è sicuramente uno di quelli che stanno risentendo maggiormente della crisi economica e su cui è necessario intervenire per tornare a risollevare il mer-

cato. «Auspichiamo soprattutto una trasformazione radicale che, attraverso il più recente quadro normativo, consenta alle imprese di operare con i giusti presupposti: project financing, leasing in costruendo sono alcuni degli strumenti finanziari chiave per una svolta positiva. La soluzione è incentivare maggiormente l’ingresso di capitali privati su opere pubbliche e accertarsi che vengano garantiti i dispositivi per assicurare procedure snelle, mirate e celeri. Si pensi alla possibilità di curare gestioni e manutenzioni di enti pubblici attraverso Consip: la razionalizzazione delle risorse è ormai necessaria. Nel caso delle partnership pub-


Biagio Vallefuoco

blico-privato, tali operazioni permettono di agire laddove non sarebbe altrimenti possibile, dati gli stretti vincoli di bilancio derivanti dalla spending review e l’esigua disponibilità di fondi. Significa cambiare le politiche di intervento in favore di nuove soluzioni per sostenere lo sviluppo anche sociale, oltre che puramente economico». Uno sviluppo che per il Gruppo Principe significa razionalizzazione delle risorse economiche. «In questo modo – prosegue Vallefuoco – miriamo alla diversificazione e alla sinergia allo stesso tempo. Si implementano le competenze nelle varie aree di intervento e

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È necessario cambiare le politiche di intervento in favore di nuove soluzioni per sostenere lo sviluppo anche sociale, oltre che puramente economico

si fanno convergere quando è necessario. L’ottimizzazione dei processi economici, logistici e organizzativi è un fattore fondamentale per le sfide future, in linea con le esigenze di un mercato difficile come quello attuale. Solo grazie al raggiungimento di un elevato know-how è infatti possibile eseguire grandi opere pubbliche e private e curarne i diversi aspetti, dalla progettazione alla consegna chiavi in mano». Per il futuro il Gruppo punta soprattutto all’acquisizione di tecnologie sempre più evolute. «Guardiamo molto all’innovazione oltre che alla valorizzazione delle risorse umane come fattori indispensabili. L’obiettivo è lo stesso, ovvero la costante ricerca della performance. La performance d’impresa non è infatti più solo

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economica, ma tiene conto anche del contributo dato alla qualità dell’ambiente e al sistema sociale. In una prospettiva di sviluppo duraturo per l’impresa, questa mission contribuisce alla creazione di valore in grado di generare a sua volta un vantaggio competitivo per l’azienda. Inoltre la costante crescita dimensionale del Gruppo Principe cambia automaticamente gli asset aziendali per rispondere con flessibilità e tempestività alle richieste del mercato, garantendo prestazioni sempre di alto profilo, attraverso il controllo di ogni fase e di tutte le attività del gruppo. Confermeremo, quindi, la nostra politica aziendale, continuando a concentrarci su obiettivi e progetti a noi familiari senza escludere l’interessante ipotesi di operare all’estero». CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 141


MATERIALI

Il mercato del legno è in espansione Luci e ombre sullo scenario attuale di settore. Ne parliamo con Antonio Vallefuoco, che traccia un quadro tutto sommato positivo e si dimostra ottimista. «Non possiamo che crescere, così come il resto del Paese» Renato Ferretti

llarmismi a parte, sembrano esserci solo buone notizie. L’ultimo biennio per il mercato del legno è stato positivo: il 2011 ha chiuso con un aumento dell’1,1 per cento rispetto all’anno precedente che pure aveva segnato la fine della contrazione subita nel 2008 e 2009. Il trend si può dire invariato anche nel primo se-

A La Blu Srl ha sede a Villaricca (Na) blusrl@live.com

144 • DOSSIER • CAMPANIA 2012

mestre del 2012, ma non mancano elementi di preoccupazione tra gli addetti ai lavori che cercano nuove soluzioni per scongiurare il ritorno del biennio “maledetto”. Antonio Vallefuoco, titolare della Blu di Villaricca (Na), conferma l’ottimismo per il prossimo periodo. «Lo scenario del mercato del legno del prossimo futuro – dice Vallefuoco – prevede una sempre minore disponibilità di risorse, ma un'accelerazione dei processi di innovazione del legno. Preoccupa la situazione italiana dove negli ultimi 50 anni si è assistito a un raddoppio della superficie forestale e dei consumi del legno per abitante, ma nello stesso tempo si è dimezzato il valore della produzione di legname italiano. Unico settore in crescita è il mercato delle biomasse dove si prevede che al 2020 saranno il 44 per cento del totale delle rinnovabili». Il ruolo delle biomasse legnose

si prevede infatti decisivo nei prossimi anni, arrivando a risultare più conveniente del fotovoltaico con un costo dieci volte inferiore. Ma non è l’unico aspetto positivo per le aziende del comparto. «La nostra azienda – continua Vallefuoco – negli ultimi anni ha registrato un continuo incremento del fatturato. Il nostro mercato di riferimento è il settore della logistica e quello delle cartiere, tuttavia anche gli altri settori sono in crescita. Prevediamo, pertanto, un raddoppio del fatturato nei prossimi anni agevolato da una tecnologia settoriale in continua evoluzione». La Blu ha già in mente quali sono i fattori di rischio e la relativa strategia da mettere in pratica. «Il pallet – spiega Vallefuoco – rappresenta l’unità di carico terziaria maggiormente utilizzata per la movimentazione, lo stoccaggio e il trasporto dei beni di largo consumo, la conseguenza di


Antonio Vallefuoco

questo meccanismo sfocia in una richiesta sempre maggiore di merce, e in un periodo difficile come quello che si sta affrontando bisogna minimizzare al massimo i costi mantenendo un’altissima efficienza nei sistemi di controllo evitando cosi perdite economiche sia del produttore che del consumatore». Le previsioni ottimistiche non riguardano solo il campo del legno. Per Vallefuoco infatti le previsioni di crescita del Pil italiano sono attendibili e questo può solo che far ben sperare. «Nel 2013 prevediamo che il tasso del Pil, nel nostro paese, torni ad essere leggermente positivo apportando così un’accelerazione nella richiesta di materiale, per questo ci aspettiamo un consistente incremento del nostro fatturato. Per raggiungere quest’obiettivo si cercherà di rafforzare e rendere più limpidi i rapporti con le aziende riducendo così quelle distanze che a volte si tramu-

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Il pallet rappresenta l’unità di carico terziaria maggiormente utilizzata per la movimentazione, lo stoccaggio e il trasporto dei beni di largo consumo

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tano in costi». Ma le possibilità di reazione al momento economico, da parte degli operatori nel campo è nella capacità di adeguarsi alle richieste che mutano sempre più velocemente. «Se vogliamo prendere in considerazione la nostra azienda possiamo dire che il dato più importante sta nella capacità di costruzione e confezionamento di imballaggio in legno per ogni settore industriale. Questo ovviamente è possibile solo se si posseggono macchinari all’avanguardia, se il personale è preparato e se si può contare su un’esperienza di lungo periodo. La nostra produzione spazia da casse, gabbie, cavalletti, selle, supporti, pianali, bancali e pallet

standard o su misura, in legno di varie tipologie, dimensioni e strutture, destinate a spedizioni per via terra, via mare e per via aerea. Relativamente ai pallet, con la BLU srl, nata nel 2007 ci occupiamo di produzione e commercializzazione di bancali “Epal”. Possiamo produrre pallet su specifica del cliente o progettare ex novo pallet di tutte le dimensioni, fornendo le schede tecniche comprensive delle normative vigenti di riferimento. Questo si traduce nel costante impegno per la ricerca di ogni possibile miglioramento a livello qualitativo dei servizi, garantendo consegne celeri ed efficienza mantenendo un prezzo concorrenziale». CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 145




Educare alla cultura del riciclo Sensibilizzare le nuove generazioni al tema della tutela ambientale è fondamentale per favorire la creazione di un ciclo virtuoso nel recupero e riciclaggio dei rifiuti. È da questi presupposti che parte l’attività del Gruppo Di Gennaro, come racconta il suo amministratore Giuseppe Di Gennaro Matteo Rossi

Giuseppe Di Gennaro, amministratore delegato del Gruppo Di Gennaro Spa Servizi Ecologici Integrati di Caivano (NA) www.digennarospa.it

er superare le criticità che gravitano intorno alla tutela ambientale occorre interpretare i concetti fondamentali dello sviluppo sostenibile e l’interdipendenza tra ambiente, economia e società. L’atteggiamento ecologista si

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fonda per questo su uno specifico presupposto: «La realizzazione di opere concrete di tutela dell’ambiente passa imprescindibilmente dal recupero di materiale riciclabile». La prerogativa del Gruppo Di Gennaro Spa Servizi Ecologici Integrati, espressa nelle parole del suo amministratore delegato Giuseppe Di Gennaro, funge da caposaldo all’esperienza e alla dedizione di ben quattro generazioni che hanno condotto la società da una pionieristica attività di recupero della carta, all’attuale posizione di leadership nel settore del recupero di materiale riciclabile: carta, cartone, plastica, metalli, legno e vetro, diventando principale piattaforma campana di riferimento per i consorzi di fi-

liera facenti capo al Conai (Corepla, Comieco, Cial, Cna, Coreve, Rilegno), per il consorzio Polieco e per il Conapi. Quali strategie occorre mettere in atto per una maggiore sensibilizzazione della coscienza ecologica e la realizzazione di un progetto capillare fondato sulla riciclabilità dei materiali? «L’utilizzo di canali mediatici e imprenditoriali attenti al macrotema “ambiente”, ha dimostrato che un’attenta strategia di comunicazione può diffondere l’esigenza della tutela ambientale. È quindi cresciuta nel tempo la consapevolezza collettiva secondo la quale il recupero di materiale riciclabile è imprescindibile. A testimonianza di ciò una grande atten-


Giuseppe Di Gennaro

zione viene rivolta alle campagne di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, e in particolar modo dei bambini, allo scopo di educarne la coscienza ecologista». Attraverso quali “partnership” culturali, istituzionali e operative il Gruppo Di Gennaro porta avanti le campagne di sensibilizzazione? «Affinché anche le giovani e giovanissime generazioni prendano coscienza della responsabilità che le lega alle attività di salvaguardia dell’ambiente, il Gruppo utilizza sinergie con importanti realtà operanti nel panorama della tutela ambientale come Legambiente, organizzando anche visite guidate per le scolaresche affinché, visitando i nostri impianti, possano verificare tangibilmente le lavorazioni del riciclo». Quali attività concorrono al recupero dei materiali da riciclo? «Dovendo sintetizzare i principali campi di attività possiamo senza dubbio scorrere un elenco sufficientemente esaustivo che ha inizio con il recupero e la preparazione per il riciclo di rifiuti solidi provenienti da lavorazioni industriali, in

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Presso i nostri impianti organizziamo anche visite guidate per le scolaresche, affinché possano verificare le lavorazioni del riciclo

particolare plastica e carta. Avviene inoltre la gestione di rifiuti provenienti da raccolta differenziata quali carta, plastica, multimateriale, rifiuti ingombranti, metalli e vetro. Il ciclo operativo può concludersi o deviare verso ulteriori attività con il trasporto da e verso terzi di materiale in attesa di lavorazione. Nello specifico, poi, per il recupero della carta, si può procedere con la triturazione e la distruzione di documenti riservati ad esempio, per banche e assicurazioni, o con un dinamico processo di smistamento del materiale destinato al trading nazionale e/o internazionale della carta». Quali sono le attività integrate del settore servizi ecologici? «Partendo dalla selezione del materiale raccolto che avviene attraverso l’utilizzo di una tecnologia avanzata nel nostro stabilimento produttivo sito a Caivano, è stata realizzata l’integrazione totale del circuito

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di riutilizzo. In questo modo, con la raccolta, il trasporto e la selezione dei rifiuti recuperabili attraverso un unico operatore, come ciò che rappresenta e organizza il nostro Gruppo societario, si evitano sprechi e si ottimizzano i processi di lavorazione, raggiungendo anche un contenimento dei costi complessivi del servizio». Come si relaziona il gruppo con i soggetti che commissionano un servizio? «L’azienda è in grado di offrire soluzioni specifiche e personalizzate per ogni tipo di esigenza progettando, laddove è necessario, interventi ad hoc. Il gruppo è dotato, infatti, di un consistente parco di automezzi, autocompattarori, compattatori e container, che possono essere installati direttamente presso le unità locali in cui viene prodotto il materiale riciclabile. In ogni caso, l’obiettivo finale è sempre l’ottenimento di un “must” ambientale sintetizzato nella cultura del recupero». CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 149


GESTIONE RIFIUTI

Cresce la gestione dei rifiuti omento difficile anche per il settore in cui opera, ma Furino Ecologia, ha chiuso il 2011 con fatturato in crescita del 40 per cento rispetto al 2010. L’azienda, pur evidenziando la performance positiva, non distoglie l’attenzione dai problemi legati all’economia in affanno. «L’ultimo anno di attività – spiega Michele Furino, amministratore della società – può senza ombra di dubbio essere considerato positivo. Tale risultato, storico per la società, è stato determinato da alcune commesse private di notevoli dimensioni. Malgrado ciò, però, siamo stati costretti a fronteggiare alcune criticità, che si sono sostan-

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La Furino Ecologia Srl ha sede a Napoli www.furinoecologia.com

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Bilancio positivo per Furino Ecologia, con un 2011 che si è chiuso con un +40 per cento rispetto al 2010. Questo nonostante la crisi abbia comportato una diminuzione dei consumi, e quindi dei rifiuti Roberta De Tomi

ziate nella mancanza di liquidità dei clienti e quindi nelle difficoltà ad incassare in tempi biblici le fatture emesse, nell’insolvenza di alcuni committenti e nella difficoltà del sistema bancario a fornire supporto finanziario all’azienda». Una crisi globale che interessa anche il settore ecologico: «Con particolare riferimento – spiega sempre Furino - alla committenza privata che risente del rallentamento dell’economia e quindi di una

minore produzione di rifiuti. Infatti la presenza di minori risorse a disposizione spinge le aziende a cercare di procrastinare la risoluzione del problema dello smaltimento dei rifiuti oppure la pulizia e bonifica degli stabilimenti. Questo rallentamento è più contenuto presso la committenza pubblica, atteso che la produzione di rifiuti e i programmi di bonifica di aree non risentono di andamenti ciclici negativi». Furino Ecologia, lavora infatti sia con la committenza pubblica che con quella privata e offre diversi servizi, in particolare: «Quelli relativi al trasporto e smaltimento in impianti autorizzati dei rifiuti pericolosi. Quando il rapporto si sviluppa con enti pubblici, si tratta prevalentemente di servizi resi a valle di un’attività di raccolta differenziata dei rifiuti solidi urbani operata direttamente dalle amministrazioni comunali e attraverso loro municipalizzate. Nel settore privato, invece, i rifiuti derivano dalla


Michele Furino

bonifica di aree dismesse, dalle demolizioni industriali di stabilimenti, dai residui della produzione di beni e servizi, dall’attività sanitaria in strutture sia private che pubbliche». Due sono le tipologie di rifiuti ricorrenti «I residui dell’attività di bonifica di serbatoi contenenti prodotti petroliferi, effettuata all’interno di stabilimenti petrolchimici presenti sia in Campania che fuori regione, e terreni, sia contaminati che non, provenienti da operazioni di sbancamento o bonifica di aree industriali dismesse. Accanto a tale attività, abbiamo allestito la micro-raccolta, un’organizzazione logistica mirata a risolvere le problematiche della piccola produzione, rivolta sia persone fisiche che a laboratori di analisi, piccole strutture sanitarie». In primo piano nel lavoro dell’azienda, che dalla Campania ha esteso il proprio raggio di attività a tutto il territorio nazionale, la struttura logistica per far fronte alle incombenze lavorative. E naturalmente, non mancano iniziative per fronteggiare la crisi per cui «sono state messe in atto una serie di misure che le hanno consentito di contrastare efficacemente la contrazione naturale del mercato, mediante una campagna di formazione

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Nel settore privato, i rifiuti derivano dalla bonifica di aree dismesse, dalle demolizioni industriali di stabilimenti e dall’attività sanitaria in strutture sia private che pubbliche

del personale tecnico, l’assunzione di personale qualificato proveniente da altre realtà del settore, il rinnovamento del parco mezzi e la ricerca di nicchie di mercato. Inoltre la nostra realtà ha come obiettivo ineludibile quello di crescere e consolidare il rapporto commerciale instaurato con i clienti nell’ottica di una maggiore fidelizzazione. Accanto a questo, che potrebbe sembrare tanto banale quanto ovvio, vi è la consapevolezza che

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non appena ricorreranno le condizioni, bisognerà investire nella realizzazione e gestione di impianti di trattamento rifiuti, gli unici in grado di incrementare esponenzialmente le potenzialità di crescita dell’azienda attraverso la creazione di sinergie, che permettono un abbattimento dei costi di produzione, un miglioramento della capacità di fare sistema e una maggiore competitività sul mercato». CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 151




CRIMINALITÀ

Legalità e sviluppo, futuro del Sud Anteporre l’interesse generale agli interessi particolari. Solo così il Mezzogiorno potrà ridurre il gap con il resto del Paese. Ne è convinto Antonello Montante, delegato di Confindustria per la legalità, secondo cui è arrivato il momento di rompere con le cattive pratiche del passato Francesca Druidi

egalità e sicurezza rappresentano condizioni imprescindibili per qualsiasi piano di rilancio e di crescita economica, sociale e occupazionale del Meridione. Antonello Montante, già nel board dell’ex presidente di Confindustria Emma Marcegaglia con delega ai rapporti con le istituzioni preposte al controllo del territorio, è oggi membro della squadra di Giorgio Squinzi con delega per la legalità. L’imprenditore non dimentica che allo sforzo teso alla legalità va necessariamente accompagnato anche un progetto teso a favorire lo sviluppo. Sarà fondamentale allora agire sul piano dell’attrazione degli investimenti, improntando un piano industriale che sappia sfruttare le eccellenze e le potenzialità ancora inespresse del Mezzogiorno.

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Antonello Montante, delegato di Confindustria per la legalità

158 • DOSSIER • CAMPANIA 2012

È stato rinnovato e ampliato il protocollo di legalità tra Ministero dell’Interno e Confindustria. Quali sono gli strumenti che permetteranno di intensificare la lotta al racket e alla connivenza-collaborazione tra tessuto civile e imprenditoriale e criminalità organizzata? «Dopo quello siglato il 10 maggio 2010, la firma del nuovo protocollo conferma che il percorso intrapreso è quello giusto. Lo testimoniano le tante adesioni da parte delle singole imprese, i 20 accordi locali già sottoscritti e quelli che stanno per essere firmati. Ma per rispondere alle sfide che si pongono e si porranno, è necessario un impegno costantemente rinnovato, che accomuni tutte le parti in gioco. Due sono attualmente i fronti che ci vedono coinvolti: l’istituzione delle “white list” nelle prefetture per le imprese che si occupano di appalti pubblici e l’applicazione, da realizzarsi quanto prima, del rating di legalità, che consentirà di valorizzare, anche dal punto di vista del credito, le aziende che hanno comportamenti virtuosi». In generale, come valuta lo stato attuale del contrasto alla criminalità organizzata nel Meridione, anche sul fronte del riutilizzo dei beni confiscati? «Ritengo che, in questi ultimi anni, magistratura e forze dell’ordine abbiano dato un contributo determinante nel contrasto alla criminalità organizzata. Non va sottaciuto però il nuovo corso che ha caratterizzato parte della società civile, scesa in campo al fianco dello Stato. Molto resta ancora da fare, ma sono convinto che sarà un processo inarresta-


Antonello Montante

bile e, da questo punto di vista, nutro molta fiducia nelle nuove generazioni, nei giovani. La loro partecipazione attiva in occasione del ventennale della strage di Capaci deve farci ben sperare per il futuro». Il peggioramento della congiuntura economica si è riflesso nella debolezza della domanda, dell’accesso e della qualità del credito. Come si può intervenire? «Dopo le politiche restrittive tese a riportare sotto controllo il debito pubblico, che hanno avuto un forte effetto recessivo, occorre intervenire per far ripartire gli investimenti, sia pubblici che privati, e apportare dei correttivi al patto di stabilità, perché altrimenti il sistema rischia di avvitarsi su se stesso. Il credit crunch è ancora molto forte, sta penalizzando oltremisura le imprese che hanno programmi di investimenti per innovare i loro prodotti o i processi produttivi. Senza innovazione è difficile competere sui mercati internazionali. Bisogna assolutamente interrompere questo circolo vizioso: le banche giocano un ruolo decisivo e sono certo che sapranno accompagnare i buoni progetti di investimento delle imprese». Il divario tra Nord e Sud resta ancora molto ampio sul versante infrastrutturale, dei ri-

Due sono i fronti che ci vedono coinvolti: l’istituzione delle “white list” nelle prefetture e l’applicazione del rating di legalità

tardi dei pagamenti della Pa, dell’export, del tasso di occupazione. Secondo il ministro per la Coesione territoriale, Fabrizio Barca, serve uno scatto collettivo tra classe dirigente e cittadini. Da quali fattori deve partire il recupero del Meridione? «La classe dirigente del Mezzogiorno ha una grande responsabilità nel prossimo futuro. Troppi sono i nodi da affrontare, con l’handicap che rispetto al passato non ci saranno trasferimenti della spesa pubblica a piè di lista. Le risorse pubbliche sono scarse e quelle che ci saranno dovranno essere utilizzate con grande parsimonia e finalizzate a priorità accompagnate da vera progettualità. Ciò presuppone una forte coesione e condivisione delle scelte, il che significa anteporre l’interesse generale agli interessi particolari, che nel passato hanno caratterizzato la gestione della cosa pubblica nel Mezzogiorno». CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 159


CRIMINALITÀ

Il peso e i costi dell’illegalità L’economia criminale è antitetica a qualsiasi ipotesi di sviluppo. Il contrasto alla criminalità passa, per il procuratore della Repubblica Franco Roberti, attraverso regole e comportamenti che promuovono la trasparenza, l’efficienza, l’integrità e il regolare sviluppo della società di mercato Renata Gualtieri

l valore del riciclaggio, che è l’essenza della criminalità organizzata, a livello mondiale è stimato dalla Banca d’Italia pari a circa il 5 per cento del Pil, mentre per il nostro Paese le stime indicano dimensioni mediamente superiori al 10 per cento, crescenti in funzione dell’apertura internazionale dei mercati e della crisi economica. «L’obiettivo primario dell’azione di contrasto giudiziario deve consistere – commenta Franco Roberti, procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Salerno – nell’individuare e colpire patrimoni, ricchezze, forme e percorsi di accumulazione dei profitti e dei capitali perché le mafie incidono pesantemente sull’economia legale sotto forma di estorsione, usura, riciclaggio e controllo delle imprese apparentemente legali, ma in realtà a capitale mafioso». L’economia criminale ha effetti devastanti e irreversibili sul sistema produttivo. «Quel che è peggio – sottolinea ancora il procuratore – è che crea, specie in tempi di crisi economica e di crescente disoccupazione, aree di consenso sociale e una sorta di condivisione di interessi che sembra, in certi casi, rendere evanescente il confine tra mondo del crimine e società civile, stabilizzando una rete collusiva di rapporti ben diversi da quelli tradizionali, tra delinquenti e vittime del reato». In molti casi, i mafiosi finanziano le imprese legali e le gestiscono dietro prestanome. «Le infiltrazioni delle organizzazioni mafiose

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Sopra, Franco Roberti, procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Salerno

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nelle attività imprenditoriali lecite sono facilitate dall’intrinseca debolezza e permeabilità delle istituzioni locali rappresentative della collettività. Secondo la Commissione parlamentare antimafia, il giro d’affari delle mafie è stimabile in 150 miliardi di euro l’anno. La Corte dei Conti ha stimato che il costo della corruzione in Italia si aggira intorno ai 60 miliardi di euro, vale a dire circa 1.000 euro a cittadino. Circa 180mila posti di lavoro, secondo il Censis, sono persi ogni anno nel Mezzogiorno a causa delle presenze delle cosche. Mentre il valore dell’economia sommersa oscilla tra un minimo di 255 miliardi di euro che sfuggono alla tassazione e un massimo di 275 miliardi, con un incidenza sul Pil compresa tra il 16 e il 17,5 per cento». La criminalità organizzata come si infiltra nell’economia legale? «Le infiltrazioni riguardano essenzialmente gli appalti di opere e i settori commerciali. Il reticolo clientelare tra imprese, esponenti politici e amministratori pubblici, studi professionali e organizzazione criminale, fondato su scambi e favori reciproci - si è parlato, anche in sentenze ormai definitive, di rapporto di reciprocità funzionale - fu collaudato in Campania negli appalti della ricostruzione post terremoto. Oggi si investono i profitti ricavati nell’impresa madre in altre attività lecite, con l’espediente di una schermatura tra l’impresa e l’origine criminale dei capitali e tra essa e l’agente di questa accumulazione, cioè il proprietario effettivo».


Franco Roberti

Le infiltrazioni delle organizzazioni mafiose nelle attività imprenditoriali lecite sono facilitate dalla debolezza delle istituzioni locali

La difficoltà nell’accesso al credito quanto condiziona il ricorso delle imprese a forme di finanziamento illegale e quali sono le conseguenze sullo sviluppo? «La contrazione degli impieghi bancari favorisce il ricorso degli imprenditori in difficoltà a forme di finanziamento anomale o illegali. Tradizionalmente gli interlocutori privilegiati della camorra sono gli imprenditori, meno propensi a denunziare le pressioni estorsive e i prestiti usurai, spesso, più che per reale paura di ritorsioni, per calcolo utilitaristico legato alla esigenza di

non attirare l’attenzione dello A sinistra, l’arresto Stato sui profili illegali delle pro- di Francesco Matrone avvenuto il 17 Agosto prie attività. Ma non sempre i scorso in provincia finanziamenti illegali sono a tassi usurai. Una fre- di Salerno quente modalità di riciclaggio, che sfugge spesso agli accertamenti, è costituita dal delitto di abusiva attività finanziaria nei confronti di imprenditori, che costituisce il reato “presupposto” per un successivo riciclaggio, attuato per il tramite degli imprenditori in tal modo finanziati, ai quali viene praticato un tasso addirittura concorrenziale rispetto al credito legale». Ma la crisi economica favorisce anche per un altro verso le attività di riciclaggio. «In un momento in cui le banche hanno biso- CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 161


CRIMINALITÀ

gno di liquidità c’è il rischio che saltino o si at- sul piano della armonizzazione degli ordina-

Sopra, Franco Roberti illustra i risultati dell’operazione Due Torri portata a termine nell’estate scorsa

tenuino i controlli antiriciclaggio fondati sulle segnalazioni di operazioni sospette affidate dalla legge alle stesse banche e agli intermediari finanziari. La legge antiriciclaggio dovrebbe assicurare la tracciabilità dei flussi finanziari dall’origine alla destinazione finale. Occorrerebbe attribuire tanto all’operatore finanziario quanto all’imprenditore l’onere di dimostrare la provenienza lecita del denaro che manovra: in caso non sia in grado di farlo, dovrebbero scattare la presunzione di illiceità, il congelamento dell’operazione e il sequestro. Purtroppo in molti Paesi le leggi sulla privacy e il segreto bancario permettono la costituzione di depositi bancari con fondi di cui non si è tenuti a dimostrare l’origine lecita». Come giudica il quadro normativo per il contrasto della criminalità organizzata economica nel nostro Paese? «Abbiamo un quadro normativo antimafia che è tra i più avanzati del mondo, benché non ancora soddisfacente proprio con riguardo alla normativa antiriciclaggio. Ma la partita si gioca

162 • DOSSIER • CAMPANIA 2012

menti a livello europeo per favorire la cooperazione giudiziaria, dato che, nel mondo globalizzato, i capitali mafiosi vanno a collocarsi nei Paesi dove le regole mancano o sono disapplicate e dove c’è minore pressione investigativa. La parte più significativa della normativa penale italiana di contrasto alla criminalità transnazionale deriva dalle direttive europee e proprio il Parlamento europeo, nel dicembre dello scorso anno, ha adottato una risoluzione sul contrasto alla criminalità organizzata con cui impone ai Paesi dell’Ue l’adozione di strumenti normativi comuni e il rafforzamento della cooperazione. Ma questi strumenti non sono da soli sufficienti, il contrasto alla criminalità organizzata deve diventare una priorità dell’azione politica». Occorrono delle riforme e degli interventi sul piano organizzativo per controllare queste infiltrazioni? «Serve un piano per la giustizia, come invoca da tempo il presidente della Cassazione Ernesto Lupo, osservando che i tempi irragionevolmente


Franco Roberti

MAFIE lunghi del processo civile e penale, oltre a contrastare con l’articolo 111 della Costituzione, sono un freno allo sviluppo e contribuiscono pesantemente all’aggravarsi della crisi economica anche a causa del peso dell’arretrato giudiziario. L’irragionevole durata dei processi oggi costa all’Italia 200 milioni di euro l’anno; a breve, secondo il Ministero dell’economia, ne costerà 500. Occorre avvicinare il sistema giudiziario italiano agli standard dell’Unione. La revisione della geografia giudiziaria è un provvedimento essenziale, perché consente di concentrare e razionalizzare le risorse, ma sono altrettanto urgenti altri interventi normativi come la legge sulla corruzione, una drastica depenalizzazione, una profonda revisione della struttura del processo civile e penale». È necessaria una presa di coscienza per arginare le infiltrazioni e come è possibile favorire la cultura della legalità? «Il recupero di efficienza del contrasto poliziesco e giudiziario, pur indispensabile e urgente, non è sufficiente. Servono le politiche dirette a occupare gli spazi in cui il “vuoto” di

150 mld STIMA IN EURO DEL GIRO D’AFFARI ANNUO DELLA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA SECONDO LA COMMISSIONE PARLAMENTARE ANTIMAFIA

Stato e di legalità ha finora favorito il “governo” della camorra, a promuovere nuovi investimenti e a creare nuove opportunità di lavoro, a superare il degrado urbanistico e ambientale, che sono, di per sé, condizioni potentemente criminogene, come dimostra la realtà di Scampia. Ha poco senso parlare di contrasto efficiente alla camorra quando la disoccupazione ha raggiunto il 10 per cento e addirittura il 30 per cento quella giovanile: un serbatoio di disperazione nel quale, se non si interviene, la camorra continuerà a pescare tranquillamente. Sono scelte che presuppongono la volontà di una risposta corale delle istituzioni centrali e locali all’anelito di riscatto morale e sociale che, nonostante tutto, continua a salire dai tanti cittadini onesti». CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 163




RIFORMA DELLA GIUSTIZIA

No degli avvocati ai tagli dei tribunali Fortemente critica la posizione dell’Organismo unitario dell’avvocatura sulla nuova mappa delle circoscrizioni giudiziarie che rischia di compromettere la giustizia di prossimità. Le ragioni del dissenso nelle parole di Maurizio De Tilla Francesca Druidi

ono previste per il 20 e il 21 settembre due giornate di sciopero proclamate dall’Oua (Organismo unitario dell’avvocatura italiana) contro la revisione della geografia giudiziaria varata dal governo e i provvedimenti sul processo civile, la riforma forense e la media-conciliazione obbligatoria. Come rimarca il presidente dell’Oua Maurizio De Tilla, alla chiusura di 31 tribunali e 220 sezioni distaccate si oppongono non solo amministratori e cittadini, ma anche i pareri delle Commissioni Giustizia di Camera e Senato. Cosa affermano, nello specifico, le commissioni del Parlamento in merito alla revisione della geografia giudiziaria? «Nel parere del Senato si scrive chiaramente che quanto fatto non va bene, soprattutto in considerazione della chiusura contestuale di uffici di giudici di pace, sedi distaccate e tribunali. Non solo, si critica “la scelta governativa di non procedere contestualmente, da un lato, alla modifica dell’assetto territoriale degli uffici del giudice di pace e, dall’altro, alla revisione della distribuzione sul territorio degli altri uffici giudiziari di primo grado”.

S

L’avvocato Maurizio De Tilla, presidente dell’Oua

166 • DOSSIER • CAMPANIA 2012

Nella procedura seguita per l’individuazione degli uffici da mantenere si devono rivedere i criteri applicati per la determinazione della domanda di giustizia». In che modo? «In particolare, risulta eccessivamente elevata la quantificazione del bacino territoriale di utenza in 100.000 abitanti, che non sembra assicurare il mantenimento di un presidio giudiziario adeguato in rapporto al territorio e all’effettiva domanda di giustizia dell’utenza. Proprio tenendo conto di questa esigenza, non si ritiene appropriato il solo criterio della capacità di smaltimento dei giudici, senza prendere in considerazione altri parametri, fra cui la valutazione ponderata del numero complessivo delle iscrizioni e delle sopravvenienze. E sempre in relazione ai criteri da seguire ai fini della decisione sulla soppressione o il mantenimento degli uffici giudiziari, è necessario che si tenga conto delle specificità territoriali del bacino di utenza anche riguardo alla situazione infrastrutturale e del tasso di impatto della criminalità organizzata». Per quanto riguarda la Camera dei deputati? «Nell’istruttoria realizzata dalla commissione della Camera, sono stati, invece, individuati tutti i tribunali che per diverse e fondate ragioni non possono essere chiusi: perché di recente costruzione con notevoli investimenti di risorse pubbliche; perché si-


Maurizio De Tilla

220

TRIBUNALI NUMERO DELLE SEDI DISTACCATE DEI TRIBUNALI SOPPRESSE DAL DECRETO LEGISLATIVO DI REVISIONE DELLE CIRCOSCRIZIONI GIUDIZIARIE

tuati in aree caratterizzate da fenomeni di criminalità organizzata, oppure in ragione della grande estensione territoriale del circondario, o ancora perché necessari per decongestionare grandi aree metropolitane oppure perché sono state rilevate incongruità di alcuni accorpamenti che possono avere incidenza negativa, comportando forti disagi organizzativi e funzionali sia per gli utenti che per il servizio giustizia». Come dovrebbe delinearsi un riordino territoriale delle circoscrizioni giudiziarie maggiormente equilibrato? «L’Oua ha da tempo sostenuto che la via migliore è limitarsi in questa prima fase alla ragionata e contenuta soppressione degli uffici

di giudici di pace, non più di 500, e delle sezioni distaccate, non più di 110. Il discorso sui tribunali minori va affrontato dopo la verifica dell’impatto delle predette soppressioni e uno studio più approfondito sul territorio. L’Oua rimane, comunque, sempre convinta che tutto l’iter legislativo che ha approvato la legge sulla revisione sia viziato di incostituzionalità. Abbiamo acquisito pareri di giuristi, quali Giuseppe Verde e Fabrizio Politi. L’avvocatura promuoverà un giudizio per sollevare le questioni di incostituzionalità insieme ai cittadini e ai sindaci». Riforma degli ordinamenti professionali. A che punto è la situazione? «L’avvocato svolge una funzione costituzio- CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 167


RIFORMA DELLA GIUSTIZIA

La razionalizzazione è un obiettivo primario indicato dall’avvocatura attraverso la destinazione di maggiori risorse economiche e materiali

nale sancita espressamente dagli articoli 24 e trali includono l’applicazione di prassi vir111 della Costituzione. L’identità dell’avvocato non può, quindi, essere snaturata con un regolamento governativo che sostanzialmente ne delegifica la disciplina e la funzione. È questo il più forte attacco rivolto all’avvocatura, dall’inizio della Repubblica, un attacco che non può essere accettato. Logica vorrebbe che si eliminasse l’avvocatura dal testo regolamentare, com’è stato fatto per i medici e i notai. E si procedesse con speditezza all’approvazione nel Parlamento della riforma della professione forense che si attende da 80 anni». L’Oua ha presentato un decalogo di proposte dell’avvocatura per modernizzare la macchina giudiziaria. Quali sono le misure salienti che l’Organismo pone sul tavolo? «La razionalizzazione delle risorse è un obiettivo primario indicato dall’avvocatura, attraverso la destinazione di maggiori risorse economiche e materiali da gestire senza sprechi negli apparati amministrativi delle sedi giudiziarie. Proponiamo, inoltre, l’assunzione di uno o più manager in ciascuno dei medi e grandi uffici giudiziari per gestire con efficienza “l’azienda giustizia”. Altri punti cen-

168 • DOSSIER • CAMPANIA 2012

tuose che già hanno offerto risultati positivi, l’incremento della produttività del lavoro dei giudici, accompagnato da un numero maggiore di magistrati togati e dall’istituzione della figura dell’assistente del giudice, oltre che dell’ufficio del processo». Altre linee guida? «Sollecitiamo il recupero dei magistrati sottratti al proprio ruolo, eliminando così i distaccamenti presso ministeri o enti. Si va poi dalla diffusione su tutto il territorio nazionale dell’informatizzazione degli uffici giudiziari e del processo telematico alla drastica riduzione dei riti (unificati in un solo modello procedurale) fino all’abrogazione della media-conciliazione obbligatoria. Su questi punti l’avvocatura sta insistendo da anni, senza alcuna seria risposta concreta da parte del ministero, se non il varo di proposte e norme illegittime e inefficaci: appello cassatorio, sanzioni agli avvocati ed ai cittadini, limiti al giudizio di cassazione, sezioni stralcio affidate a soggetti non selezionati, costi incrementati e obbligatorietà della mediaconciliazione per quasi tutte le materie significative del settore civile».


Antonio Areniello

Un notariato moderno vicino a imprese e cittadini Ognuno, che sia un’istituzione, un professionista o membro della società civile, è chiamato a fare la propria parte per invertire le tendenze negative in atto. Antonio Areniello, presidente del Consiglio notarile di Napoli, illustra le prospettive presenti e future del notariato Francesca Druidi

“L’

impegno del notariato per la ripresa del Paese”. Questo il titolo del congresso nazionale del notariato che si terrà, dopo vent’anni, a Napoli dal 15 al 17 novembre. Un titolo che vuole essere soprattutto una dichiarazione di intenti da parte della categoria di fronte al momento di grave crisi per il Paese ma anche al bivio della riforma degli ordini professionali. «Il notariato – afferma Antonio Areniello, presidente del Consiglio notarile di Napoli e anche alla guida del comitato esecutivo del congresso – com’è nella tradizione della sua professione, metterà a disposizione il suo patrimonio di cultura e di conoscenze, interrogandosi con il mondo politico, accademico e culturale». Il congresso per Areniello sarà, dunque, un’occasione importante per delineare i contenuti dell’impegno che il notariato si può assumere nei confronti del Paese ma anche per «sentire dalle componenti della società civile che cosa si attendono da noi in questo contesto, a breve e a lungo termine. La nostra è una professione dalla tradizione secolare, a volte dipinta in maniera oleografica ma che, in realtà, è anche una professione molto moderna».

Tirocinio e formazione, assicurazione, disciplina, costituiscono paletti essenziali della riforma delle professioni. Cosa cambierà per il notariato? «Cambierà paradossalmente poco perché il notariato, già dal 2006, aveva anticipato in maniera lungimirante i punti fondanti della riforma, una riforma complessa che deve adattarsi a molteplici professioni. Per quanto ci riguarda, era già stato avviato un percorso virtuoso sul versante della formazione: l’obbligo alla formazione continua è, infatti, valutato dal punto di vista deontologico da molto tempo. È la Fondazione italiana del notariato a seguire gli accrediti formativi. La durata massima del tirocinio è stata fissata in 18 mesi ed è contemplata anche la possibilità di effettuare i primi sei mesi di praticantato nel corso dell’ultimo anno di università. Queste misure il notariato le aveva già previste dal 2006». Una delle novità più rilevanti della riforma Sopra, delle professioni riguarda l’assicurazione ob- Antonio Areniello, presidente bligatoria: i professionisti dovranno, infatti, del Consiglio notarile stipulare polizze di responsabilità civile per di Napoli il proprio operato. «Da tempo il Consiglio nazionale del notariato stipula un’assicurazione unica e valida per CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 169


RIFORMA DELLA GIUSTIZIA

Per quanto ci riguarda, era già stato avviato un percorso virtuoso sul versante della formazione

tutti i notai d’Italia, con vari segmenti aggiun-

tivi e autonomi in piena linea con la riforma delle professioni. Sotto il profilo deontologicodisciplinare, in base al nuovo regolamento il collegio giudicante sarà formato da professionisti che non potranno più sedere anche nel consiglio dell’ordine, includendo membri esterni. Per quanto concerne il notariato, il sistema disciplinare è stato riformato nel 2006. Sono state introdotte le Commissioni regionali di disciplina (Co.Re.Di.), non più legate al distretto dove opera il notaio e presiedute da un magistrato. È, inoltre, previsto un fondo di garanzia per le “vittime” di eventuali errori che possono capitare, nonostante la massima scrupolosità e vigilanza. In definitiva, il notariato si era già pressoché adeguato alle linee guida della riforma, una riforma di grande rilevanza alla

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quale la nostra categoria è arrivata preparata. Certo, c’è sempre da migliorare e continueremo a procedere in questa direzione». “L’impegno del notariato per la ripresa del Paese” è il tema del congresso nazionale di novembre. Ma come si può declinare concretamente questo impegno, in quali iniziative? «Il notaio, da sempre, partecipa agli eventi fondamentali della vita delle persone. Partendo da questo presupposto, è già in fase di sviluppo un contributo serio e fattivo per l’inizio delle attività d’impresa. È operativa, dalla fine di agosto, la società a responsabilità limitata semplificata che può essere costituita dal notaio con modello standard ministeriale dell’atto costitutivo comprensivo dello statuto. Con le Srl semplificate si cerca di andare incontro alle esigenze dei giovani nella costituzione di nuove società. Il notariato è poi impegnato nella ricerca di ulteriori forme per la circolazione immobiliare volte a garantire i cittadini che acquistano un immobile».


Antonio Areniello

Su quali altri fronti avete avanzato proposte? «L’impegno della categoria si articola ulteriormente nell’ambito della riforma delle semplificazioni della macchina fiscale, con un contributo alla fiscalità e alla tassazione degli atti importante sia per la macchina amministrativa statale che per l’utente finale. Si sta poi lavorando a proposte relative a istituti che riguardano un altro ambito importante, quello successorio. Il testamento continua ad assumere una certa rilevanza, ma si punta comunque a snellire e riformare un sistema successorio che, pur essendo collaudato, presenta inevitabili freni derivanti dall’età del codice». Si è parlato molto di spending review, sono sorte diverse polemiche attorno alla revisione della geografia giudiziaria. Come valuta la situazione? «Il profilo giustizia è un argomento delicatissimo e rilevante alle quali le professioni guar-

dano in maniera unitaria, anche se naturalmente coinvolge soprattutto gli avvocati. È però importante segnalare il contributo che la nostra categoria fornisce al capitolo della spesa pubblica da un altro punto di vista. Pur continuando a far valere la personalità della prestazione - ossia seguire direttamente la clientela - il notariato ha compiuto passi da giganti in termini di informatizzazione. Il risparmio contabile e di spesa, l’aiuto alla pubblica amministrazione, viene proprio da questo fronte, dall’atto informatico, dalla possibilità sempre più estesa di redigere determinati atti in via digitale. Se per l’adempimento unico prima ci si doveva recare in 4 uffici diversi, oggi tutto viene risolto dallo studio attraverso l’invio telematico. Aver creato un sistema di riscossione dei tributi, di registrazione e trascrizione degli atti che dà certezze e, allo stesso tempo, permette un risparmio di spesa notevole, costituisce un passaggio decisivo non solo per la nostra professione». CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 171





RUBRICA SULLA PREVENZIONE DELL’USO DI DROGHE

LIBERI DI ESSERE LIBERI


STRUTTURE SANITARIE

Spending review, criticità e prospettive Lo spettro della crisi evocato dalle riforme previste dalla spending review e il difficile ruolo a cui sono chiamate le strutture sanitarie private. Il punto di Alfredo Siani, direttore generale della Clinica Sanatrix di Napoli Caterina Marchetti

ai come in questo periodo storico la sanità è capace di infiammare gli animi. In questo senso i provvedimenti previsti dall’arrivo della spending review appaiono strettamente interconnessi al futuro del servizio sanitario nazionale. Ne abbiamo parlato con il direttore generale della Clinica Sanatrix operante a Napoli. «Il Ssn non può prescindere dalla Sanità privata che ha avuto il merito di progredire sempre più grazie ad investimenti mirati. Diamole fiducia e contribuiamo con suggerimenti e critiche alla

M In queste pagine, alcuni ambienti della Clinica Sanatrix di Napoli www.sanatrix.it

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sua crescita essendo ormai diventata complementare e non contrapposta alla sanità pubblica» spiega il dottor Alfredo Siani. Diventa necessaria una riflessione sui possibili rischi che oggi corrono strutture che rappresentano un punto di riferimento nell’ambito dell’ospedalità privata: «Il rischio è che vengano tagliate le prestazioni essenziali per cui paradossalmente potrebbe esserci un aumento della migrazione fuori regione. La vera sfida da parte di tutti è migliorare l’appropriatezza delle prestazioni unico vero modo per ridurre gli sprechi». Possiamo analizzare la genesi di strutture sanitarie locali soffermandoci su un’azienda come Sanatrix, nata nel 1960 grazie a un gruppo di clinici napoletani che negli anni sostanziano il progetto iniziale incrementando una tecnologia che si aggiorna costantemente. Un progresso che ha permesso alla struttura di assumere un preminente ruolo nell’ambito dell’Ospedalità Privata della Regione Campania: oggi la Clinica possiede servizi come quello di Terapia Intensiva Neonatale di 1° livello, oltre a un complesso operatorio all’avanguardia con quattro sale operatorie. A proposito di ciò Alfredo Siani spiega: «L’evoluzione tecnologica è tumultuosa e aggiornare le attrezzature è un obbligo per essere competitivi. Bisogna ipotizzare il 20-30 per cento del fatturato da destinare ad aggiornare le attrezzature». Per esempio in Sanatrix uno degli


Alfredo Siani

investimenti effettuati per il potenziamento dei macchinari ha riguardato l’acquisizione di «attrezzature all’avanguardia per le operazioni di laporoscopia, necessarie per il lavoro dei nostri chirurghi». Sempre più spesso le organizzazioni sindacali di medici e dirigenti sono chiamate a confrontarsi con la necessità di tutela del diritto alla salute dei cittadini, che non può e non deve intercorrelarsi unicamente a motivazioni di ambito economico, essendo necessariamente vincolato a un ordine di ragioni legato all’etica e a quanto di più profondo insito nelle radici stesse della scienza medica. Le aziende sanitarie locali mostrano la necessità di un confronto diretto con questa sorta di crisi, di livello economico oltre che ideologico, e la conseguente elaborazione di una risposta in termini di soluzioni innovative che preannuncino lo svolgersi dei tempi futuri. Un’azienda come Sanatrix «cerca di essere attenta alle direttive regionali in temi di tetti di spesa cercando di ridurre al massimo i tagli per in appropriatezza. Ciò non toglie che dal punto di vista etico non si possa negare al cittadino l’assistenza, per cui, qualche volta si è costretti a superare i tetti di spesa» chiarisce il dottor Alfredo Siani, che in merito ai dibattiti sulla possibile costruzione di una rete di assicurazioni private aggiunge: «Io non sono certo che le assicurazioni riescano a sostituire il Ssn; il costo in aumento costante, la sempre più frequente disdetta della copertura assicurativa dopo il risarcimento di un evento frenano la cosiddetta americanizzazione». Facendo riferimento ai bacini d’utenza specifici di cui accogliere le richieste di ospedalizzazione

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Il rischio è che vengano tagliate le prestazioni. La vera sfida è migliorare l’appropriatezza delle prestazioni, unico modo per ridurre gli sprechi

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il direttore spiega che «Sanatrix ha da sempre una vocazione per l’ostetricia, ma settori come la chirurgia generale, la chirurgia vascolare, l’oncologia, la cardiologia, l’ortopedia hanno raggiunto un’interessante quota di fatturato. La chirurgia laporoscopica è ormai utilizzata routinariamente a livello addominale superiore e inferiore. Altro settore importante è la chirurgia endovascolare, che permette di ridurre al massimo la chirurgia open». D’eccellenza è, inoltre, il centro per lo studio e il trattamento dell’obesità, che integra professionisti differenti per un aiuto multi-rapportato verso il paziente: «Il paziente obeso ha una personalità complessa, per questo motivo è indispensabile l’interazione delle diverse figure professionali che debbono prendere in carico il paziente prima e dopo l’intervento chirurgico» conclude Siani, ribadendo come mai quanto nel presente si vada riformulando il profilo del malato, che chiede una strategia di aiuto complessa e polivalente.

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OSPEDALITÀ PUBBLICA E PRIVATA

La Campania interviene sulle strutture sanitarie Collaborazione tra ospedalità pubblica e ospedalità privata. È questo l’obiettivo verso cui sta puntando la Campania per migliorare la difficile situazione in cui versa la sanità della regione. La parola a Sergio Savarese Gala Emanuela Caruso

he in Campania la carenza di posti letto ospedalieri sia così elevata da dover ricorrere alle strutture assistenziali per sistemare i vari degenti non è di certo un mistero. Quello, invece, che in pochi ancora sanno è che la Regione si sta concretamente impegnando nello sviluppo di norme, leggi, finanziamenti e sussidi per migliorare questa situazione, ostacolata anche dai tagli alla sanità a livello nazionale, e per agevolare l’operato di tutte le strutture sanitarie. Come ci spiega Sergio Savarese Gala, direttore amministrativo della Residenza Sanitaria Assistenziale Padre Annibale di Francia, un passo importante da compiere per dare davvero respiro al settore sarebbe quello di far colla-

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Sergio Savarese Gala, direttore amministrativo della Residenza Sanitaria Assistenziale Padre Annibale di Francia che ha sede a Napoli www.rsapadreannibale.it

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borare in maniera attiva ospedalità privata e ospedalità pubblica, che per caratteristiche e vantaggi si completerebbero a vicenda. «Il connubio tra le due ospedalità – spiega il dottor Savarese Gala – consentirebbe alla Regione di disimpegnarsi un po’ dai costi della sanità privata e ai cittadini che necessitano di assistenza di non risentire delle grandi differenze di prezzo tra le due. Le Rsa nascono proprio per dare supporto alle strutture ospedaliere, al fine di far diminuire sensibilmente i costi a carico del servizio sanitario». La Rsa Padre Annibale di Francia è situata nell’area ospedaliera di Napoli. Quali vantaggi comporta la vicinanza con i più importanti policlinici della zona? «La vicinanza con i più importanti ospedali di Napoli favorisce, in caso di necessità, interventi ospedalieri rapidi e tempestivi. Sempre per velocizzare gli eventuali interventi e facilitare il lavoro degli infermieri, ogni piano della nostra struttura è munito di medicherie e apparecchiature per il primo soccorso, ad esempio defibrillatori e sterilizzatori. In ogni stanza, poi, utilizziamo un sistema a tre luci per la chiamata degli infermieri, a seconda della luce che si accende, l’operatore sa immediatamente cosa fare e dove si trova il paziente che necessita di aiuto, se nel letto o in bagno».


Sergio Savarese Gala

A chi si rivolge l’attività della Rsa Padre Annibale di Francia? «La nostra attività assistenziale è volta principalmente a favore delle persone non autosufficienti, anziani o giovani, che possono trovare posto nella struttura per periodi che vanno da una settimana a mesi e anni. Lo scopo è quello di ottimizzare la qualità della vita di ogni degente, puntando a ottenere il mantenimento o il potenziamento delle capacità funzionali residue. A tal fine, eroghiamo tre tipi di prestazioni: assistenza sanitaria, terapia sociale e riabilitazione». Come si evolve l’assistenza fisica, psicologica e riabilitativa in una residenza come la vostra? «Il tipo di assistenza portato avanti nella nostra Rsa vuole stimolare i degenti sotto tutti i punti di vista, ragion per cui disponiamo di operatori qualificati, tra i quali infermieri, fisioterapisti, animatori, educatori, terapisti occupazionali e operatori di comunità. Inoltre, per ridurre al minimo il trauma del distacco e aumentare la serenità dei pazienti, spingiamo i familiari a partecipare attivamente all’assistenza, prendendo parte a pranzi e cene o eventi particolari come anniversari e compleanni. Così facendo, l’anziano si sentirà sempre a casa». Nello specifico, com’è strutturata la Rsa Padre Annibale di Francia? «L’edificio, situato nel parco dei Padri Rogazionisti, si sviluppa su cinque piani. Al piano terra è collocata la Cappella, dove ogni domenica e in occasione delle più importanti festività viene celebrata la messa, funzione che grazie a un sistema televisivo a circuito chiuso può essere seguita anche dalle persone allettate o impossibilitate a muoversi; al primo piano, invece, si trovano un’accogliente hall, un’area bar, la biblioteca, la cineteca e la sala polivalente dove gli ospiti possono riunirsi e partecipare a svariate attività. Sullo stesso li-

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Il connubio tra le due ospedalità consentirebbe alla Regione di disimpegnarsi un po’ dai costi della sanità privata e ai cittadini di non risentire delle grandi differenze di prezzo

vello, inoltre, sono presenti la palestra attrezzata per la fisioterapia, l’ambulatorio medico, la sala di terapia occupazionale e un’area dedicata a uffici amministrativi e direzione. Al secondo, terzo e quarto piano, infine, sono collocate le stanze di degenza, 12 camere doppie o triple per piano, per un totale di 102 posti letto. Inoltre, in ogni piano abbiamo 2 sale mensa, 1 medicheria e una sala controllo persone».

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GENIUS LOCI


Maurizio Marinella

Napoli, Piazza Vittoria e Positano Le cravatte Marinella festeggeranno i cento anni nel 2014. «Non sono nato a Napoli, dico sempre che sono nato a Piazza Vittoria» racconta Maurizio, nipote del fondatore, che dall’età di otto anni respira l’atmosfera di una delle piazze più eleganti della città Elisa Fiocchi

uchino Visconti amava quelle con fondo blue o rosso, sfoderate come foulard, che coordinava a fazzoletti da taschino coloratissimi di seta indiana, mentre Aristotele Onassis ne comprava dodici alla volta, rigorosamente nere per scoraggiare gli interlocutori e non far mai trapelare il suo umore. La storia delle cravatte Marinella comincia nel 1914, in una bottega di soli 20 metri quadrati in Piazza Vittoria, sull’elegante riviera di Chiaia. Maurizio Marinella, che porta avanti la terza generazione, rivela le tradizioni della sua terra che hanno ispirato e continuano a scandire le giornate della storica bottega partenopea. «È motivo di grande orgoglio essere partiti da Napoli e aver scelto di restarci». Che cosa simboleggia una delle vie più nobili di Napoli per la famiglia Marinella? «Quando aprimmo nel 1914 non c’era nulla, eravamo isolati da tutto e da tutti ma questa

L

condizione fu molto importante per noi perchè nella villa comunale, di fronte al nostro negozio, si trovava il famoso trottoir, dove le persone andavano con i cavalli. In particolare, gli uomini amavano intrattenersi nel negozio di Piazza Vittoria così, con un gioco di sguardi o un incontro fortuito, potevano guardare le signore a cavallo o quelle che passeggiavano. Diventò quindi in breve tempo un punto di riferimento della nobiltà napoletana». Come è iniziata la sua esperienza nel negozio di famiglia? «Si può dire che sono stato messo al mondo per continuare quest’attività, non mi è stata Maurizio Marinella, data la possibilità di fare qualcosa di di- titolare del negozio verso. Ricordo come un momento dram- E. Marinella matico quello in cui, durante un pranzo domenicale in famiglia, mio nonno assieme a mio padre mi condussero in una stanza dove mi dissero che ero ormai grande e che dal UU CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 189


GENIUS LOCI

UU giorno seguente avrei iniziato a lavorare al negozio. Avevo solo otto anni, da lì seguirono i pianti, la disperazione e il dolore, la mia vita cambiò e con le buone o con le cattive dovevo obbedire al nonno e al papà. In negozio mi muovevo come un piccolo robot, stavo nell’angolo del negozio, come diceva mio nonno, solo per respirare l’atmosfera e davo una mano o parlavo solo se mi era richiesto». Dal suo negozio sono passati tanti personaggi. Ricorda aneddoti curiosi a riguardo? «Sono tante le personalità che negli anni ci hanno fatto visita, da Bill Clinton a molti presidenti della nostra Repubblica. Francesco Cossiga, ad esempio, amava trascorrere il tempo in negozio bevendo un caffé mentre consultava un nostro libro dove custodiamo le firme di teste coronate, presidenti di Stato, alti esponenti della politica e dell’imprenditoria, della cultura e dello spettacolo. Siamo anche una famiglia scaramantica e ogni giorno apriamo il negozio alle sei e mezzo del mattino per intrattenere i clienti fino alle otto con caffé e sfogliatelle. È un commercio più intimo e familiare rispetto a ciò che avviene dopo, quando inizia il caos cittadino, con le macchine per la strada e i bambini da portare a scuola». Durante la pausa pranzo dove va a gustare la vera cucina napoletana? «Amo la pizza naturalmente, ma non solo. 190 • DOSSIER • CAMPANIA 2012

Mi piacciono gli spaghetti conditi con il pomodoro fresco, il basilico e abbondante parmigiano. Li gusto alla Terrazza Calabritto di Piazza Vittoria, mentre per la vera pizza napoletana scelgo la pizzeria da Michele, in via Martucci, la storica da Umberto o ancora da Regina Margherita, che si trova proprio vicino al mio negozio». C’è una poesia o una canzone della tradizione napoletana che a suo parere esprime al meglio i valori e le caratteristiche della sua terra? «La canzone che più amo è ‘O surdato ‘nnammurato che, in occasione della qualificazione del Napoli per gli ottavi di Champions League, è stata cantata da tutto lo stadio. Ogni volta che l’ascolto mi regala emozioni fortissime». E l’isola o la spiaggia del golfo napoletano a lei particolarmente cara? «Senz’altro Positano, perchè mi ricorda i primi amori, le prime “acchiappate” come si dice da queste parti». In quali strade lei respira la tradizione di Napoli? «Sono molto legato a Via Costantinopoli, una strada che ha conservato intatta la tradizione artigiana della vecchia Napoli e dove si può ancora trovare quella sartorialità autentica di una volta. C’è addirittura un ombrellaio, Talarico, in via Roma. Vorrei che si facesse di più per custodire l’arte di questi mestieri antichi e cari alla nostra terra».



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