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OSSIER CAMPANIA L’INTERVENTO.........................................15 Paolo Graziano Tommaso De Simone Paolo Buzzetti

PRIMO PIANO IN COPERTINA......................................20 Mauro Maccauro RITRATTI.................................................26 Mario Monti

ECONOMIA E FINANZA ESCLUSIVITÀ PARTENOPEA..........32 Valentina Della Corte Antonio De Matteis Maurizio Marinella Salvatore Argenio Gianni Carità Guido Edoardo Alliata CREDITO & IMPRESE ........................45 Giuseppe Castagna Gianluca Bravin Gabriele Piccini INNOVAZIONE.......................................54 Luigi Nicolais Fortunato D’Angelo Giuseppe Zollo MODELLI D’IMPRESA........................64 Lazzaro Luce Michele De Michele Sabbina Grossi Vittorio Arcidiacono Rolando D’Alessio Carlo Forte TECNOLOGIE.........................................76 Salvatore Belfiore Francesco Marandino Domenico Razzano IL SETTORE AUTO ..............................82 Rolando D’Amato Marco Esposito FINANZIAMENTI ..................................90 Carmine Grieco

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SERVIZI ALLE IMPRESE ..................92 Giuseppe Santalucia Fabio Martirani FORMAZIONE .......................................96 Carmine Frola IL MERCATO ALIMENTARE ...........100 Salvatore Bagnati PRODOTTI ALIMENTARI ................102 Raffaele e Gaetano Ranieri Giuseppe Amoruso


Sommario AMBIENTE

TERRITORIO

RISPARMIO ENERGETICO .............108 Luigi Vinci Pasquale Ranieri

INFRASTRUTTURE............................126 Sergio Vetrella Renato Lamberti Nello Polese Antonio De Cesare

TRATTAMENTO DELLE ACQUE .....................................112 Carlo D’Ambrosio GESTIONE RIFIUTI..............................116 Giuseppe Dessì Francesco Toriello

TRASPORTI..........................................134 Gennaro Savanelli SELF STORAGE..................................136 Fabio Negrini APPALTI ................................................140 Vincenzo Russo EDILIZIA.................................................142 Antonio Costantino Carmine Strazzella Nicola Polzone Sergio D’Alessio Massimo Sellitto Paola Marone e Ciro Nappo Antonio Napoli MATERIALI ...........................................160 Giuseppe, Vincenzo, Romualdo e Quirino Oppressore TURISMO ..............................................164 Piero Gnudi NAUTICA................................................166 Anton Francesco Albertoni Gian Marco Ugolini

GIUSTIZIA CRIMINALITÀ.......................................172 Domenico Achille Antonio Amato Gianfranco Valiante Paolo Siani CRISI AZIENDALI ...............................184 Domenico Posca Pietro Russo

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Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx Xxxxx cxpknefv L’INTERVENTO

Parte da Napoli una nuova stagione di rilancio di Paolo Graziano, presidente dell’Unione Industriali di Napoli

apoli si rilancia. Sulle vele dell’America’s Cup si è dimostrato che è possibile far rinascere la città e la sua economia: alberghi pieni, gare viste dal lungomare di via Caracciolo e village visitato da centinaia di migliaia di persone, tra residenti e turisti. Un evento che ha riportato il capoluogo campano sui circuiti internazionali con un’immagine positiva dopo il disastro anche mediatico dovuto all’emergenza rifiuti. C’è un nuovo metodo che sta funzionando, quello della collaborazione tra forze produttive e sociali da una parte, istituzioni locali e governo centrale dall’altro. Lo abbiamo sperimentato con successo per la Coppa America. Sta dando frutti copiosi anche per il rilancio dell’area di Pompei. Lo ha riconosciuto il presidente del Consiglio Mario Monti, venuto a Napoli nelle scorse settimane per ufficializzare l’avvio di bandi dal valore complessivo di 105 milioni, volti a salvaguardare e restaurare la zona degli scavi. A questo intervento si accompagnerà un grande progetto di riqualificazione e rilancio dell’area contigua al bacino archeologico, basato su capitali privati. Investitori francesi, arabi e cinesi, oltre a imprenditori nazionali, sono pronti a trasformare quest’area creando strutture ricettive e finalizzate a consentire una piacevole permanenza ai turisti interessati all’antica città sepolta dalla lava. L’obiettivo è di passare da un turismo “mordi e fuggi” a permanenze medie di 3, 4 o 5 giorni per chi viene da altre aree italiane o estere. La città si rilancia anche con il porto. In programma, nei prossimi anni, vi sono l’apertura di un porto turistico per la nautica da diporto nell’area orientale e la creazione di un terminal di levante che consentirà di triplicare il traffico commerciale di container nello scalo napoletano. Di notevole portata strategica è il progetto Naplest.

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Non solo idee, ma una grande area degradata che si sta già trasformando per essere recuperata a nuovo modello di sviluppo. I cantieri sono già aperti, a breve saranno realizzati i primi edifici ristrutturati, nell’ambito di un piano di riqualificazione urbana portato avanti da un comitato promotore di imprese grandi, piccole e medie, in raccordo con le istituzioni locali. Le risorse private stanziate sono ben 2,3 miliardi, per un totale di venti iniziative di investimento, che impiegheranno 15mila addetti all’anno. A regime, l’occupazione stabile creata sarà di circa 26mila unità. Sono soltanto alcune delle iniziative che stanno decollando. A esse si aggiungono eventi come il World urban forum e il Congresso mondiale dell’aerospazio, previsti per la seconda metà del 2012; l’ultima sessione delle World series di America’s Cup in programma a maggio 2013, il Forum universale delle culture fissato sempre il prossimo anno. Si è solo all’inizio di un percorso. Gli industriali napoletani, che mi onoro di rappresentare, sono tuttavia consapevoli che c’è bisogno di un nuovo protagonismo, fatto di azioni piuttosto che di personalismi, di condivisione e di convergenze anziché di conflitti e polemiche sterili. È questa la strada per la quale si può lanciare da Napoli una nuova stagione di rilancio, che potrà coinvolgere il Mezzogiorno e l’intero Paese. CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 15



Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx Xxxxx cxpknefv L’INTERVENTO

Export e reti d’impresa, risposte anti crisi di Tommaso De Simone, presidente di Unioncamere Campania

evoluzione della crisi ha determinato nel corso del 2011 una contrazione delle imprese attive sul territorio. Il trend si è assestato sul -0,3%, pur potendo vantare un certo dinamismo in termini di iscrizioni. Tra gennaio e dicembre dello scorso anno, infatti, i registri delle Camere di Commercio campane hanno formalizzato la nascita di quasi 37mila aziende, a fronte delle 33mila che hanno chiuso i battenti. Secondo le analisi dell’Osservatorio economico, al 31 dicembre 2011, risultavano 472.526 imprese attive con un decremento di 1.600 unità rispetto al 2010, anche se Salerno e Caserta si sono segnalate per un discreto incremento del tessuto produttivo (rispettivamente +0,9 e +0,5 per cento). In termini relativi, la flessione dello 0,3% si deve soprattutto alla contrazione delle attività agricole (-2,7%, pari a quasi 2mila imprese in meno), di quelle manifatturiere (2,1%, circa 900 in meno) e delle costruzioni (-1,9%, circa -500). Mostra, invece, una tenuta migliore l’industria alimentare. Si attestano in crescita le imprese dei servizi, con le variazioni relative più incisive (nell’ordine del 2-3%) nelle attività artistiche e sportive, in quelle immobiliari e in quelle turistico-ricettive. Continua così a rafforzarsi la “terziarizzazione” dell’economia campana. L’agricoltura, con una quota complessiva di imprese attive pari al 15% del totale, non si discosta molto dal dato medio nazionale (16%). L’industria manifatturiera è, invece, sotto-rappresentata in tutta la regione (9% del tessuto produttivo campano), come risultato di un lungo processo di de-industrializzazione, che ha portato la percentuale di imprese manifatturiere a essere inferiore alla media nazionale (superiore al 10%) in tutte le province. L’edilizia rappresenta quasi il 13% delle imprese attive (a fronte di

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una media nazionale del 16%), con una punta particolarmente alta nella provincia di Caserta (16%). Da ultimo, va segnalata la modesta quota di imprese che ha dichiarato di avere effettuato investimenti nel 2011: si arriva, in media, al 13,4%. Queste poche, essenziali cifre attestano la drammaticità della crisi in atto. Occorre pertanto insistere sulle leve che possono, più delle altre, rilanciare l’economia. Un primo strumento strategico, cui si sta lavorando peraltro da tempo, è quello della “rete”, che deve coinvolgere le strutture produttive medie e, soprattutto, piccole. Sono loro, che formano il tessuto connettivo dell’economia regionale e che hanno mostrato le maggiori sofferenze in quest’ultimo biennio. È un percorso che favorisce l’ottimizzazione di costi e ricavi. Un secondo intervento deve consistere nel facilitare l’accesso al credito, che risulta, a tratti, proibitivo. La creazione o il potenziamento dei confidi, insieme con la sollecitazione di una maggiore sensibilizzazione degli istituti bancari, è l’obiettivo cui bisogna puntare. Tra i - pochi - aspetti positivi di questa congiuntura, c’è l’aumento, anche in Campania, del volume degli scambi con l’estero. È sull’internazionalizzazione, dunque, che bisogna insistere con politiche sempre più incisive, funzionali ad accrescere l’export delle eccellenze campane, che sono numerosissime e non temono confronti. CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 17



Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx Xxxxx cxpknefv L’INTERVENTO

Guardare all’edilizia come motore del rilancio di Paolo Buzzetti, presidente di Ance

l settore delle costruzioni sta pagando a caro prezzo gli effetti della crisi dei mercati finanziari. La restrizione del credito concesso dalle banche rischia ormai di paralizzare l’intera rete imprenditoriale dell’edilizia. Ma oltre a ciò, le aziende devono affrontare anche il grave problema dei ritardati pagamenti da parte della pubblica amministrazione. Si è giunti, infatti, a un tempo medio d’attesa di otto mesi, con un incremento del 40%: dai 114 giorni del maggio 2011 agli attuali 159. Senza considerare quelle situazioni limite nelle quali si sono superati i due anni. In questo modo si condannano le imprese a un inevitabile fallimento. È, invece, proprio al settore edile che bisognerebbe guardare per avviare concrete azioni anticicliche capaci di rilanciare l’economia, come avviene in altre grandi nazioni europee. L’Ance lo sostiene da tempo: la spesa pubblica produttiva, come quella delle infrastrutture, va salvata. Ogni miliardo di euro investito in edilizia genera ricadute positive per ben 3,4 miliardi. Tuttavia, negli ultimi anni, si è puntato su una politica di tagli agli investimenti piuttosto che alla spesa corrente, generando - dal 2005 a oggi - una contrazione del 44,5% del mercato dei lavori pubblici. Di certo, la decisione del Cipe dello scorso gennaio, che ha confermato l’assegnazione di fondi per le opere contro il rischio idrogeologico e per la messa in sicurezza degli edifici scolastici, va letta come un primo segnale positivo. Al quale bisogna però far velocemente seguire un piano di spesa delle risorse che, dopo una prima boccata d’ossigeno, sia in grado di

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creare una reale prospettiva di sviluppo. Prospettiva che deve naturalmente coinvolgere anche il settore privato il quale, nonostante abbia evitato gli effetti nocivi di una bolla speculativa, non è in grado di rispondere a un’esigenza abitativa decisamente alta, stando alle stime sulla crescita del numero di famiglie. Sono tre gli obiettivi su cui bisognerebbe concentrare gli sforzi. In primo luogo, è necessario investire nell’edilizia sostenibile, intervenendo sulla gran parte degli edifici esistenti secondo i più moderni criteri di risparmio energetico e le attuali norme antisismiche. Importante, poi, è rendere accessibile la casa anche alle fasce medio-basse della popolazione, attraverso mutui a condizioni agevolate e incentivi fiscali mirati. Ma, soprattutto, è urgente avviare un piano città capace di realizzare una radicale riqualificazione del tessuto urbano per recuperare le periferie, riorganizzare la mobilità e rendere le nostre città motori di sviluppo economico, poli turistici di grande interesse e luoghi di sempre più elevata qualità della vita. Quest’ultimo punto è fondamentale non soltanto per il settore, ma per tutta l’economia. La città, infatti, intesa come luogo di produzione della ricchezza materiale e culturale di un paese, è destinata a essere il principale terreno del confronto futuro fra le economie mondiali. CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 19


IN COPERTINA


Mauro Maccauro

NUOVE SINERGIE PER RILANCIARE L’ECONOMIA C’è bisogno di un nuovo patto tra le istituzioni e le imprese per non disperdere le risorse, ma valorizzarle, per contribuire a un’effettiva ripresa del territorio. Ne parla Mauro Maccauro, dallo scorso febbraio presidente dell’Associazione degli industriali di Salerno Teresa Bellemo

Italia dovrà affrontare un 2012 di recessione. Secondo le recenti previsioni del Documento economico e finanziario presentato dal governo, infatti, il Pil nel 2012 scenderà al -1,2 per cento. Su queste premesse opera il nostro tessuto produttivo, che cerca il modo di dare il via a un percorso positivo affinché si arrivi il prima possibile a una reale ripresa economica e dei consumi. I dati confermano una flessione ancora maggiore del Pil nel Meridione, dove sono già molte le realtà in difficoltà. Nel 2011 il numero delle imprese attive in Campania è complessivamente diminuito di 1.608 aziende (0,34%) rispetto all’anno precedente, passando da 474.134 a 472.526. Nella provin-

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cia di Salerno il segno è invece positivo, il saldo tra iscrizioni e cessazioni è infatti +0,86%, soprattutto grazie all’aumento delle ditte individuali. La situazione rimane comunque complessa e mostra le sue criticità maggiori nel settore primario, nelle costruzioni e nel commercio di auto e moto. In questa delicata situazione si inserisce la recente elezione di

Abbiamo tante eccellenze a livello turistico che dobbiamo mettere a fattor comune per riuscire a valorizzarle

Mauro Maccauro a presidente di Confindustria Salerno. Già presidente dei giovani imprenditori di Confindustria Campania, Maccauro ha chiare quelle che saranno le parole d’ordine del suo mandato: «Confindustria sarà il sindacato delle imprese e sarò in prima linea per aiutare la nostra provincia nella difficile competizione con gli altri territori». Su questi binari si inseriscono le sue prime azioni da presidente, come il protocollo d’intesa firmato con i sindaci della costa amalfitana per rendere più sinergiche le iniziative di promozione turistica del territorio salernitano e il sondaggio per quantificare le aziende che vantano crediti nei confronti della pubblica amministrazione, vera spina nel fianco delle imprese italiane. CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 21


IN COPERTINA

Proprio riguardo ai ritardi nei pagamenti della pubblica amministrazione, ha invitato le aziende a presentare il rendiconto dei crediti vantati nei confronti degli enti pubblici. Qual è stato il risultato di questa iniziativa? «È stato un sondaggio utile perché ha consentito di fotografare una situazione ormai insostenibile. Abbiamo, infatti, tantissime aziende che vantano crediti nei confronti della pubblica amministrazione. Contemporaneamente a questa indagine sul territorio, Confindustria opera anche a livello nazionale: insieme all’Abi, alla Cassa depositi e prestiti e al governo, è impegnata a vagliare le azioni da mettere in campo per migliorare questa situazione a livello nazionale. È ormai evidente 22 • DOSSIER • CAMPANIA 2012

Per risolvere il problema dei ritardi nei pagamenti della pubblica amministrazione si potrebbero compensare i crediti con i debiti

che le nostre aziende sono in difficoltà non soltanto per i debiti ma anche per i troppi crediti vantati nei confronti della Pa: questo è un paradosso che vogliamo denunciare e sconfiggere. Il modo più semplice sarebbe compensare i crediti e i debiti che le nostre aziende hanno nei confronti della pubblica amministrazione, ma non ci spieghiamo il motivo per cui ciò non avvenga. A livello territoriale, stiamo pensando ad azioni di filiera con gli enti e con gli istituti bancari locali per es-

sere pronti a recepire gli accordi nazionali integrandoli con azioni locali che potranno emergere dal confronto». Avete appena rinnovato l’accordo con il direttore generale del Banco di Napoli che prevede l’erogazione di finanziamenti pari a 800 milioni per le imprese campane. La crisi del credito costringe molte imprese a chiudere, quali sono le prossime mosse di Confindustria Salerno per recuperare il rapporto tra imprenditori e sistema bancario?


Mauro Maccauro

«La casa degli industriali vuole e deve essere anche il luogo dove gli imprenditori rappresentano agli istituti di credito le loro problematiche per trovare soluzioni concrete. Questo accordo è figlio del protocollo firmato a livello nazionale tra Intesa Sanpaolo e Piccola industria di Confindustria. Il fine è che si crei una maggiore sinergia tra il mondo bancario e quello delle aziende. L’intesa prevede finanziamenti importanti nei confronti delle imprese campane e contempla strumenti a sostegno della crescita dimensionale destinati a operazioni di finanza straordinaria e a progetti di razionalizzazione e recupero di efficienza

nell’organizzazione aziendale, oltre a soluzioni per aiutare le imprese nei percorsi di internazionalizzazione e nella realizzazione di progetti di ricerca e innovazione». Nel 2011 Salerno ha raggiunto il sesto posto nella classifica di nuove imprese guidate da under 35. Un buon risultato nonostante ci sia stata una flessione a livello nazionale del 3,6 per cento. Data la sua precedente esperienza di presidente dei giovani imprenditori campani, quali sono per i giovani le difficoltà, gli scogli principali da superare per fare impresa in Campania? «Confindustria ha un dialogo quotidiano con gli istituti di credito per cercare di sviluppare delle misure utili. “Talento delle idee”, ad esempio, è un’iniziativa nazionale con cui si mettono insieme le idee dei giovani con gli operatori del sistema bancario. Inoltre, da presidente dei Giovani di Confindustria Campania ho patrocinato la nascita di Ban, Business angels network, una struttura permanente no-profit che favorisce l’incontro tra progetti di impresa start up o piccole imprese che necessitano di capitale di sviluppo e di competenze manageriali - e investitori che offrono capitali e le proprie competenze gestionali. Da imprenditore giovane sono particolarmente sensibile a queste tematiche e ritengo che attualmente ci sono troppi ostacoli per i giovani che vogliano fare impresa. L’accesso al credito è sicuramente un problema primario e bisogne-

rebbe incentivare le start up dei giovani che vogliono fare impresa ad esempio abbattendo l’Irap. Al contempo credo sia importante creare un sistema integrato tra scuola, università e associazioni di categoria per cercare di infondere la vera cultura d’impresa». Assieme al presidente della Conferenza dei sindaci Costa d’Amalfi, avete sottoscritto il “Protocollo per l’attuazione di iniziative congiunte per la promozione del territorio”. Quanto il turismo può fare da volano per l’economia salernitana e quali sono i punti che andrebbero potenziati? «Il protocollo vuole essere innanzitutto un modello di dialogo tra imprese e istituzioni, guardando alla costa d’Amalfi nella sua interezza e non agli enti che la compongono presi singolarmente. Per quello che concerne il turismo, va da sé che è uno dei driver principali dello sviluppo del nostro territorio. Basti pensare alla trasformazione urbana di Salerno in relazione ad altre zone del nostro territorio, come la costa cilentana e quella amalfitana, per non parlare dell’attrattiva culturale degli scavi di Paestum. È però necessario lavorare per recuperare alcuni gap strutturali che la provincia di Salerno sconta da anni, mi riferisco all’inefficienza delle infrastrutture di trasporto, allo scarso grado di promozione all’estero e all’elevato grado di stagionalità turistica. Abbiamo tante eccellenze che devono essere ulteriormente messe a fattor comune. Su questo CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 23


IN COPERTINA

dovrà esserci deciso impegno della

Provincia, del Comune e della Camera di Commercio di Salerno». La criminalità organizzata impedisce il fare impresa, soprattutto al Sud. Ma quali sono i costi dell’illegalità? E con quali sono azioni Confindustria Salerno può aiutare gli imprenditori? «Negli anni Confindustria si è adoperata per lanciare segnali importanti contro coloro che potevano essere vicini alla criminalità, denunciando ed espellendo chi si trovasse in situazioni ambigue. Ciò detto, credo che il problema della criminalità e dell’illegalità sia un problema diffuso a livello nazionale, non solo circoscritto nel Mezzogiorno o in Campania. Credo che i costi dell’illegalità siano enormi, ma l’illegalità deve essere intesa a 360 gradi. Illegale è chi

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Salerno nel contesto campano è una provincia virtuosa, merito delle istituzioni e dei tanti imprenditori del territorio

compete favorendo il lavoro nero, illegale è il riciclo di denaro sporco, illegale è chi evade le tasse creando problemi all’intera società, al contempo riteniamo necessario vigilare sul modo con cui la pubblica amministrazione rallenta gli iter autorizzativi. Ho da poco incontrato tutti i rappresentanti delle forze dell’ordine della nostra provincia e dall’incontro è emerso un quadro positivo: Salerno, infatti, nel contesto campano è una provincia virtuosa. Questo è merito

delle istituzioni pubbliche e dei tanti imprenditori del territorio che non si fanno convincere dalle facili sirene di chi vorrebbe inquinare il nostro tessuto produttivo. Su questo aspetto la guardia sarà sempre alta, è allo studio la possibilità di intese con le forze dell’ordine per salvaguardare il nostro territorio e affinché il nostro tessuto imprenditoriale possa competere con altre realtà scevro e libero da qualsiasi pressione di carattere criminoso».





XXXXXXXXXXXPARTENOPEA ESCLUSIVITÀ

Made in Naples, fattore di attrattiva territoriale Circuiti del lusso che racchiudono le eccellenze produttive dell’area partenopea. La docente Valentina Della Corte illustra le finalità del progetto “Napoli Excellence”, che opera in una logica sistemica rafforzando il legame con il turismo Francesca Druidi

romuovere le punte di diamante del sistema produttivo partenopeo per rinverdire l’immagine - spesso negativa - di Napoli, individuando nuove dinamiche di crescita. Questo è, in sintesi, il significato del progetto “I circuiti del lusso made in Campania: il made in Naples”, co-finanziato dalla Camera di Commercio del capoluogo regionale e sviluppato da un gruppo di studiosi del Dipartimento di economia aziendale dell’Università Federico II, coordinato da Valentina Della Corte, responsabile scientifica del progetto. «L’idea centrale – spiega la docente – è stata quella di partire dagli elementi del nostro territorio meritevoli di valorizzazione per riemergere da un periodo buio della storia di Napoli che, a dispetto delle criticità, possiede notevoli risorse». I circuiti al centro dell’iniziativa -moda, preziosi, arte e artigianato, nautica e sapori - costituiscono l’espressione più diretta ed evidente di questa vocazione produttiva d’eccellenza. «Tante aziende vantano ancora oggi requisiti importanti, nonostante i processi di delocalizzazione che ormai riguardano anche le griffe, e fanno grandi sacrifici per continuare a operare sul territorio». Il progetto mira a fa-

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32 • DOSSIER • CAMPANIA 2012

vorire una logica aggregativa per rafforzare innanzitutto la visibilità delle realtà aderenti, attualmente più di 50. Come si struttura nello specifico il progetto? «Lo abbiamo proposto alla Camera di Commercio, che ha accettato di buon grado. Avevamo già realizzato un precedente studio, rispetto al quale abbiamo selezionato aziende della provincia di Napoli in possesso di requisiti specifici. È stato poi elaborato un rapporto finale, dal quale è emersa l’intenzione delle imprese di proseguire in maniera operativa». Quali sono le caratteristiche più salienti di queste produzioni “made in Naples”, divenute poi requisiti per altre imprese che intendono partecipare all’iniziativa? «I prodotti devono essere di altissima qualità e posizionati su fasce di mercato piuttosto elevate. Fondamentale è poi l’utilizzo di materiali legati alla storia del territorio e a tradizioni di lavorazione. Deve, inoltre, prevalere la lavorazione a mano nella predisposizione del prodotto: vanno messi in risalto il ruolo della manualità e l’espressione dell’identità territoriale. Si tratta, infatti, di produzioni radicate, portate avanti da aziende storiche a carattere familiare, che si tramandano le redini dell’impresa di ge-


Valentina Della Corte

nerazione in generazione. Siamo molto rigorosi per quanto riguarda il rispetto di questi requisiti, altrimenti si rischierebbe di snaturare l’identità del progetto». Si punta, con questa iniziativa, a sviluppare strategie di marketing e di comunicazione non convenzionali? «Sì, la seconda fase del progetto, presentata alla Borsa mediterranea del turismo, è stata finalizzata alla costruzione del sito-blog www.napoliexcellence.com, che a breve sarà on line anche in inglese. A ciò si affianca la realizzazione di una fiera virtuale con Eurosportello, uno spazio di incontro telematico con i buyer. Nello specifico, sono stati indicati dalle imprese tre mercati-obiettivo: Stati Uniti, Russia e Giappone. Se questi primi contatti daranno risultati positivi, potrebbe in un secondo momento esserci la possibilità di invitare i buyer a Napoli per alcuni workshop. La terza principale azione guarda a Napoli excellence; un marchio di riconoscimento capace di riassumere ed evocare l’autenticità e la qualità delle diverse produzioni». E quali i prossimi step? «L’obiettivo è quello di seguire una prospettiva piuttosto interessante, ossia quella di pro-

muovere i circuiti cogliendo le potenzialità che questi assumono sotto il profilo turistico. A breve, realizzeremo un focus dove metteremo in contatto aziende di produzione con imprese turistiche per creare itinerari turistici ad hoc legati allo shopping nell’area partenopea. Sono, inoltre, in fase di organizzazione proposte di weekend sempre rivolte allo shopping di qualità». Perché è così importante la chiave di volta rappresentata dal turismo? «È importante individuare circuiti del lusso capaci di abbinarsi a proposte culturali ed enogastronomiche, includendo anche la visita agli stessi luoghi di produzione, alle aziende. Questo orientamento si sposa con il concetto di prodotto turistico esperienziale. Nel forte collegamento con il turismo, c’è l’impegno a operare una differenziazione dell’offerta che diventa espressione dell’identità territoriale. Solo così si può far vivere al turista un’esperienza genuina sul territorio, lasciandone emergere le tipicità. Su questo aspetto, occorre insistere anche rispetto al sistema italiano di offerta turistica. Bisogna lavorare sull’autenticità del made in Italy, in quanto elemento che ci può distinguere nel contesto competitivo attuale». CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 33


XXXXXXXXXXXPARTENOPEA ESCLUSIVITÀ

La scuola napoletana fa la differenza Trend in crescita per il marchio di abbigliamento Kiton, che esporta nel mondo l’eccellenza sartoriale di Napoli. A svelare il segreto del successo dell’azienda di Arzano è il suo amministratore delegato, Antonio De Matteis Francesca Druidi

n un contesto, come quello attuale, dove le prospettive future assumono per le imprese tinte piuttosto fosche, c’è un’azienda il cui andamento offre, invece, segnali incoraggianti. Kiton, sinonimo in tutto il mondo del saper fare napoletano ha, infatti, chiuso il 2011 con un fatturato di 80 milioni di euro, registrando un aumento del 25 per cento rispetto all’anno precedente. «Il 2011 è stato un anno positivo, riteniamo che lo sarà pure il 2012, anche sul mercato domestico», commenta Antonio De Matteis, amministratore delegato di Kiton e nipote di Ciro Paone, fondatore dell’azienda di Arzano, alle porte del capoluogo campano. «Siamo in controtendenza in questo senso perché anche il mercato domestico mostra buone performance. Certo, la situazione oltre confine è oggi più favorevole, dai mercati “emergenti” – Asia e Paesi Arabi - a quelli più maturi ma in ripresa, come Germania e Stati Uniti». Del resto, come sottolinea De Matteis, il mercato estero attualmente per Kiton «conta l’80 per cento», con una rete di punti vendita in costante aumento nel mondo. Dopo Singapore, sono infatti previste nel 2012 nuove boutique a Cannes, Abu Dhabi e Istanbul. Il legame con l’Italia però non corre il rischio di indebolirsi. Anzi, rimane immutata la vocazione altamente sartoriale di Kiton: un “saper fare” made in Na-

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Antonio De Matteis, amministratore delegato di Kiton

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ples che costituisce il più importante marchio di fabbrica del brand. Quanto conta nei vostri abiti il know how sartoriale radicato nella tradizione produttiva partenopea? «Incide al 100 per cento. Tutto è fatto a mano: giacche, pantaloni, camicie, non sono prodotti sartoriali per slogan o per modo di dire, ma rispecchiano una precisa identità produttiva». Come coniugare la tradizione rappresentata dall’artigianalità e lo slancio verso il futuro incarnato dall’innovazione? «L’innovazione riguarda in particolar modo la parte stilistica dei capi. Cerchiamo di aggiornare i nostri prodotti offrendo costantemente ai nostri clienti il gusto che cercano, un gusto il più possibile contemporaneo». Cosa contraddistingue un capo Kiton? Quale leva fa la differenza oggi, nell’ambito di un mercato globalizzato e competitivo? «Sicuramente la qualità intesa a 360 gradi, partendo dalla materia prima che usiamo, alla lavorazione che adottiamo, sino al servizio offerto». Cosa intende, nello specifico, per servizio? «Tutti gli aspetti di cui possono avere bisogno i clienti. Registriamo moltissimi casi in cui i clienti ci chiedono di stringere oppure di allargare i loro precedenti acquisti, a seconda delle modifiche che subiscono nel corso degli anni. E si tratta di un servizio sartoriale gratuito. Perché servizio vuol dire affiancare il cliente in modo preciso, accontentarlo e coccolarlo il più possibile. Il cliente con noi si sente molto curato, e questo fattore identifica,


Antonio De Matteis

da sempre, una delle nostre armi vincenti». In che modo l’azienda sta affrontando la crisi generalizzata a livello nazionale e internazionale? «Come abbiamo sempre fatto: non lamentandoci e lavorando di più; girando il mondo, cercando di far conoscere i nostri prodotti al più ampio numero di potenziali clienti. Miriamo soprattutto a comunicare, spiegare e diffondere cosa facciamo e come lo facciamo. Seminare sempre è l’unico modo per uscire da questa crisi». La sua è una delle aziende che ha aderito al progetto della Camera di Commercio di Napoli e dell’Università Federico II “I circuiti del lusso made in Campania: il made in Naples”. Per quale motivo? «Quando c’è sul tavolo qualche iniziativa positiva per la città, a noi fa sempre piacere partecipare. È un progetto che contribuisce in maniera concreta a veicolare un’immagine di Napoli diversa da quella più problematica che emerge di solito dai media. Per questo, era giusto partecipare». Quanto le nuove tecnologie digitali possono aiutare a diffondere il made in Naples? «Il nostro sito internet è oggi ancora un biglietto da visita per attrarre la clientela e farci conoscere. Stiamo però realizzando degli investimenti per il futuro in modo da utilizzare questo strumento a 360 gradi». CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 35


XXXXXXXXXXXPARTENOPEA ESCLUSIVITÀ

Emozioni da indossare La sartoria di Salvatore Argenio non è frequentata soltanto da chi cerca il classico abito fatto a mano, ma ormai è diventata un vero e proprio salotto, un luogo dove respirare la vera identità napoletana Teresa Bellemo

ra i punti di fermi dell’artigianalità partenopea, Salvatore Argenio occupa un posto importante. Una bottega che ha iniziato la sua attività ormai ottant’anni fa ma che continua ancora oggi a confezionare il celebre abito da uomo su misura seguendo le stesse antiche tecniche che hanno reso grande l’artigianalità partenopea nel mondo. Diviso a metà tra innovazione e tradizione, Salvatore Argenio vende i suoi prodotti in tutto il mondo anche grazie al suo sito internet. Da vent’anni ha ideato, assieme alla moglie Annamaria, “L’angolino del cuore”: una serie di accessori completamente dedicati al periodo borbonico e al Regno delle due Sicilie. Una passione per la storia che non abbellisce semplicemente cravatte, penne o foulard ma tenta di raccontare la vera storia del Sud Italia prima dell’unità. Anche per questo, forse, Pino Aprile ha dedicato a questa bottega artigiana due pagine del libro “Terroni”. «Per noi è stata una grande soddisfazione. Il libro ha avuto molto successo ed è stato anche rappresentato a teatro. In quell’occasione abbiamo curato completamente la parte dei costumi». Perché ha riservato un’attenzione particolare al Regno delle due Sicilie nelle sue creazioni? «La nostra attività inizia circa ottant’anni fa e la riscoperta delle nostre radici inizia una ventina di anni fa. Tutto è nato appro-

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Nella foto, Salvatore Argenio

fondendo la nostra storia. Leggendo mi resi conto che in realtà la verità è ben più complessa di quella che spesso emerge dai libri più diffusi. Per questo, insieme a mia moglie Annamaria, iniziammo a fare alcune ricerche. Ci rendemmo conto che per il Meridione il periodo borbonico è stato tra i più interessanti: c’erano tantissime industrie e il Regno delle due Sicilie aveva una banca con 443 milioni di ducati d’oro. Si potrebbe dire che l’Unità di Italia è stata un saccheggio del Sud. Per questo abbiamo deciso di fare qualcosa per far conoscere a un pubblico vasto la vera storia del Regno delle due Sicilie attraverso i nostri prodotti. Così abbiamo personalizzato i nostri accessori, dalla cravatta al gemello, dalla penna al foulard». Quanta nostalgia per il passato c’è nel suo lavoro di artigiano? «Un po’ di nostalgia è sempre inevitabile, anche perché il lavoro artigianale era l’identità di questa città. Oggi invece chi viene a Napoli o va a New York e a Parigi trova le stesse cose. Le griffe hanno invaso i mercati e hanno appiattito un po’ quelle che erano le tipicità di


Salvatore Argenio

Vogliamo far conoscere la vera storia borbonica con i nostri accessori, dall’orologio al foulard

ciascuna città. Con il nostro lavoro noi invece cerchiamo di mantenere la nostra identità, valorizzando il lato artigianale e il luogo in cui tutto è nato. La gente sta ritornando alla ricerca di negozi come questi: chi entra nel nostro negozio ci fa i complimenti perché siamo tra i pochi a rispecchiare davvero la città». Come coniuga la contemporaneità con lo stile nel suo lavoro? «Essere contemporanei non vuol dire stravolgere i parametri dell’uomo elegante. Nella nostra produzione abbiamo deciso di rispettare la sartoria napoletana, mettendoci qualcosa in più. Noi vendiamo un’emozione da indossare. Attraverso il nostro sito internet vendiamo in tutto il mondo i nostri prodotti: anche grazie a queste nuove tecnologie diffondiamo il marchio Salvatore Argenio. Al di là del business, il nostro lavoro è fare qualcosa per ristabilire una verità che ci è stata raccontata completamente diversa». Cos’è il lusso per Salvatore Argenio? «Il lusso non deve essere sfarzo, deve essere soprattutto eleganza e raffinatezza. Comprare una cosa molto costosa non porta necessaria-

mente a essere elegante, anzi, la vera eleganza uno deve averla dentro». Cosa cerca chi entra nella sua boutique? «I nostri clienti sono molto esigenti. Abbiamo il cliente di successo, come l’attore o il politico, che ha bisogno dell’abito dal taglio impeccabile e raffinato. Ma c’è anche il signore che, incuriosito, si avvicina al nostro negozio e ai nostri prodotti. Ormai la nostra bottega è diventata un punto di riferimento, un salotto, anche se non si entra per acquistare, le nostre vetrine parlano molto chiaramente di quello che facciamo. Molte volte le persone si avvicinano anche solo per questo». Qual è il vostro capo o l’accessorio per eccellenza? «Oltre a quelli della collezione “L’angolino del cuore”, ispirata al Regno delle due Sicilie, partecipiamo due volte all’anno al Pitti, dove portiamo i nostri prodotti. Ma di sicuro il capo per eccellenza è l’abito fatto completamente a mano, ancora con i vecchi sistemi sartoriali, ancora rispettando la sartoria napoletana che è sempre stata uno dei vanti di questa città». CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 37


XXXXXXXXXXXPARTENOPEA ESCLUSIVITÀ

Lusso vecchia maniera Dal 1914 Marinella apre il suo negozio ogni giorno alle sei e mezza del mattino. Chi vuole una sua cravatta la può trovare lì, perché solo a Napoli poteva nascere questo miracolo. Parola di Maurizio Marinella Teresa Bellemo

a storia di Marinella inizia in piazza Vittoria a Napoli, quasi cento anni fa. Il nonno, poi il padre e ora Maurizio hanno sempre portato avanti la loro bottega come nel 1914: le cravatte vengono fatte a mano, non esistono mailing list ma soltanto la vecchia agenda, non si vende via mail e nemmeno negli shop on line, ogni prodotto viene fatto artigianalmente. Uno dei segreti del successo di Marinella è il suo forte radicamento nella sua città natale, Napoli e la sua forte carica carismatica che viene riconosciuta in tutto il mondo. Per questo il negozio di piazza Vittoria confeziona al massimo 140 cravatte al giorno anche se gli ordini che arrivano da tutto il mondo sarebbero più di 800. Un successo che va in direzione contraria rispetto alle più blasonate tecniche del marketing e della comunicazione. «Qualche tempo fa ho tenuto una lezione alla Bocconi, usciti gli studenti, uno dei professori mi ha detto che ciò che fa Marinella è esattamente il contrario di ciò che loro insegnano da anni, l’opposto cioè delle ricerche di mercato, delle tecniche di comunicazione e di approccio con il cliente. Forse, ha aggiunto, con il mio lavoro ho dimostrato che sono loro ad aver torto». Durante la crisi economica com’è cambiata, se è cambiata, l’idea di lusso? «L’idea del lusso è sicuramente cambiata, la gente è più attenta. Prima si faceva più un discorso di quantità, ora invece se ne fa uno di qualità. Noi cerchiamo di trasmettere l’artigianalità e la gente lo apprezza molto. Nonostante la crisi non abbia risparmiato nessuno, noi portiamo avanti un’azienda che sta a Napoli e, se in tutto il mondo

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è difficile qui è apocalittico, ma continuiamo a non avere decrementi di fatturato. Ogni anno facciamo un piccolo scalino in salita, nonostante la cravatta sia un accessorio che si indossa sempre meno. La nostra è un’azienda di nicchia, di qualità per cui andiamo avanti, anzi, viviamo una situazione singolare: ogni giorno realizziamo 130140 cravatte avendo una richiesta giornaliera di 800-900, ma non le facciamo. Nessuna lista di attesa, è solo artigianalità». Quanto conta Napoli nei suoi prodotti? «Moltissimo. Nel mio lavoro ho sempre cercato la Napoli positiva. Nonostante sia spesso accostata a fatti negativi, l’ho sempre difesa e ne sono andato fiero, e anche all’estero sono innamorati di questa città, perché riesce sempre a trasmettere un’emozione. Basti pensare che a Tokio c’è persino un museo della canzone napoletana. Mio nonno, mio padre e io spesso abbiamo dichiarato che forse non siamo nemmeno nati a Napoli, siamo nati qui, a piazza Vittoria. A questo riguardo ho un piccolo aneddoto. Cinque anni fa una società di comunicazione americana ha girato tutta l’Italia e in ogni città faceva dieci domande. Una di queste era qual è la prima persona che ti viene in mente. A Napoli al primo posto è arrivato Maradona, al secondo Totò, al terzo Marinella, al quarto San Gennaro». Come coniugare artigianalità e innovazione? «Siamo sempre alla ricerca di nuove modellature, nuovi tessuti, nuovi colori e accoppiamenti senza mai dimenticare la tradizione e la storia. Noi continuiamo a fare i nostri prodotti come 100 anni fa, come quando siamo nati nel 1914. Nuovi modelli sì, ma fatti alla vecchia maniera».


Maurizio Marinella

Quali sono gli obiettivi del progetto Napoli Excellence? «Dato che cerco di trasmettere Napoli in tutte le sue sfaccettature, questa è un’importante occasione non solo perché è giusto comunicare Napoli, ma anche perché a noi fa molto piacere far parte delle eccellenze napoletane. È la dimostrazione che in fondo si possono fare delle cose importanti partendo da Napoli, ma rimanendo qui. Da tutto il mondo continuo ad avere proposte miliardarie per vendere, ma noi rimaniamo in questi 20 metri quadrati. Forse anche per questo non vendiamo on line, anzi ci irrigidiamo quando qualcuno ci telefona per proporci partecipazioni che hanno a che fare con l’e-commerce o alcune persone si offrono di entrare nella nostra mailing list. A loro rispondo che noi qui abbiamo la vecchia agenda, se vogliono li iscriviamo lì». Quanto conta il mercato estero per Marinella? «Abbastanza poco, le nostre esportazioni incidono sul fatturato per il 10%. Siamo un’azienda italiana, in particolar modo napoletana, e negli anni abbiamo voluto sempre trasmettere l’Italia e in particolar modo Napoli. Quando qualcuno ci chiama e ci chiede come fa uno che sta nel New Jersey ad avere una cravatta di Marinella, noi rispondiamo che tutti hanno un problema nella vita: lui sta nel New Jersey e noi stiamo a Napoli. A dire il vero abbiamo delle piccole rivendite fuori, un piccolo negozio a Tokio e poi dei piccoli corner a Parigi, in Svizzera, a Barcellona e a Bruxelles. Ma fondamentalmente lo zoccolo duro, il grande miracolo avviene a Napoli». CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 39


XXXXXXXXXXXPARTENOPEA ESCLUSIVITÀ

L’oreficeria guarda al futuro Export, ricerca, formazione, design. Gianni Carità indica gli obiettivi di sviluppo per il centro orafo Tarì, rivolto al business del sistema orafo attraverso manifestazioni fieristiche e road show dedicati ad aziende e operatori Leonardo Testi

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uattrocento aziende stabilmente presenti - il 30 per cento attiva nella produzione, il 30 nei servizi, il 40 per cento nella distribuzione - per 850 milioni di euro di fatturato consolidato l’anno. Più di tremila le persone impegnate ogni giorno a disegnare, produrre, distribuire e acquistare gioielli. Sono soltanto alcuni dei significativi numeri che definiscono l’attività del centro orafo Tarì, operativo dal 1996 a Marcianise, nell’area industriale di Caserta, oggi punto di riferimento nazionale, e non solo, del gioiello. Espressione della creatività italiana che vanta una notevole tradizione nell’area produttiva partenopea. La strada maestra oggi da perseguire guardando al futuro, secondo il presidente del Tarì Gianni Carità, non può prescindere da binari quali ricerca, formazione, design, implementando il “gioco di squadra”, anche oltre i confini del centro orafo, con l’obiettivo di diffondere e sostenere la cultura del gioiello italiano nel nostro Paese e nel mondo. «Il futuro del Tarì e delle nostre imprese – ha dichiarato Gianni Carità – è affidato pienamente al perseguimento dell’obiettivo della qualità. È solo nella qualità, infatti, che si gioca la competizione dell’intero sistema Italia: qualità nei prodotti, che noi italiani sappiamo ancora fare come nessuno al mondo; 40 • DOSSIER • CAMPANIA 2012

qualità nell’innovazione, ovvero negli investimenti in design e ricerca tecnologica; infine, qualità nei servizi, sempre più importanti in un Paese come il nostro, aperto internazionalmente da sempre, destinato a recepire, anche e soprattutto attraverso leve come il turismo, l'attenzione di una clientela internazionale». Importante, oltre all’intensa attività fieristica, l’impegno profuso dal centro nelle attività formative, tra cui la Tarì design school e il Tarì design lab. In qualità di imprenditore e presidente del Tarì, quali sono i punti di forza e di debolezza dei preziosi “made in Campania” nello scenario internazionale? E quali valori identificano in termini di lusso e di artigianalità? «Il Tarì interpreta la grande tradizione orafa napoletana, profondamente legata ai saperi dell’artigianato di grande qualità. Il nostro obiettivo, anche attraverso la formazione, è il design, è modernizzare questi valori attraverso l’innovazione di tecniche, saperi e creatività». Focalizzandoci in particolare sul Tarì di Marcianise, qual è l’attuale andamento delle aziende che sono qui insediate e le prospettive per il prossimo futuro?


Gianni Carità

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Occorre puntare su innovazione, creatività, organizzazione, attenzione ai mercati esteri

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«Nel difficile momento congiunturale che il nostro mercato, come tutti gli altri, sta attraversando, il Tarì ha offerto la garanzia di un’organizzazione stabile e solida che, integrando circa 400 realtà imprenditoriali, ha fatto sì che nella rete di rapporti e relazioni commerciali potessero tutti affrontare diversamente la crisi e la competizione internazionale. Non bisogna tralasciare poi l’ampia attività che il Tarì porta avanti sul fronte dell’organizzazione di fiere orafe di portata ormai internazionale: dal 4 al 7 maggio e dal 5 all’8 ottobre avrà luogo “Mondo prezioso”, salone della gioielleria, mentre il 25 e 26 marzo si è svolto con successo Tarì Eventi Bijoux, il primo salone del bijoux destinato a 60 aziende selezionate tra grandi brand, emergenti del design e artigiani d’eccellenza». Su quali leve e modelli di sviluppo oc-

corre puntare per restare competitivi nel settore orafo? «Occorre puntare su innovazione, creatività, organizzazione, attenzione ai mercati esteri: sono tutte leve strategiche sulle quali il Tarì lavora da sempre». Il 30 per cento del prodotto realizzato dalle aziende operanti all’interno del Tarì è destinato all’export, in prevalenza paesi europei e del Mediterraneo, Stati Uniti, Russia e Cina. Vi aprirete anche ai mercati cosiddetti emergenti? Con quali misure è necessario sostenere maggiormente l’internazionalizzazione? «Il Tarì oggi sta guardando con interesse sempre maggiore ai nuovi mercati: est Europa, sud America, estremo Oriente, sono le aree strategiche su cui punteremo nei prossimi mesi attraverso una rete di collaborazioni con istituzioni e aziende, volte a creare operazioni mirate».

Sopra, Gianni Carità, presidente del centro orafo Tarì

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ESCLUSIVITÀ PARTENOPEA

Immobili di pregio vista Vesuvio e di lusso si vuole parlare, non si può tralasciare l’importanza degli immobili esclusivi, che a Napoli hanno un importante mercato dato che i storici sono numerosi e la loro domanda sembra esserlo altrettanto. Per questo RentClass, società specializzata nell’affitto di immobili di lusso “chiavi in mano”, quando ha deciso di espandersi al Sud, la città su cui è caduta la scelta è stata Napoli. Il ruolo di questa agenzia è quello di fare da intermediario tra domanda e offerta, gestendo tutti gli aspetti che una locazione comporta: canone, spese, utenze, manutenzione, pulizie. A cercare case di prestigio a Napoli sono soprattutto manager in trasferta e non solo: «Poco tempo fa la Us Navy ci ha contattati per un alloggio temporaneo esclusivo per un loro importante generale». Da cosa nasce la scelta di lavorare proprio a Napoli? «Mia nonna era una napoletana doc, di Chiaia. Mio nonno invece era irpino. Napoli è sicuramente la città più importante del Sud Italia. Molte sono le aziende, che nonostante la crisi economica, sono attive, soprattutto quelle che propongono i loro prodotti all’estero. Napoli è quindi un centro di business valido e serio. Non dimentichiamoci che i napoletani di alto livello hanno capitali immensi, sono persone di elevato profilo e hanno una forma mentis internazionale». Da cosa si capisce che una casa è di pregio? «Un giorno un nobile milanese che ci ha af-

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Il titolare di RentClass, Guido Edoardo Alliata

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Da quasi un anno Guido Edoardo Alliata con la sua RentClass mette in contatto i migliori clienti e le case più prestigiose di Napoli. «La città partenopea è bellissima anche se i suoi più aspri critici sono proprio i napoletani» Teresa Bellemo

fidato una splendida casa in centro a Milano mi disse: “Le case dei signori si riconoscono da due elementi: i bagni e la cucina”. La location è sicuramente fondamentale, ma la base è costituita da bagni e cucine. Da quelle si riconosce se l’immobile e il proprietario sono persone di gusto». All’estero come è vista la città partenopea? «Non così di cattivo occhio come pensano i napoletani, che sono molto critici con loro stessi e con la loro città, fino a diventare a volte eccessivi. Sono appena tornato da New York dopo un lungo viaggio di lavoro e sono sorpreso come tantissimi americani conoscono perfettamente Napoli e vivono come un sogno il fatto di poter un giorno visitare la costiera amalfitana e la penisola sorrentina. Per fortuna i nostri clienti non vivono di pregiudizi, ma conoscono molto bene la realtà di Napoli e le sue contraddizioni». Per un itinerario esclusivo a Napoli, quali sono le tappe d’obbligo? «Molti adorano Posillipo e le zone di Chiaia, Mergellina e via Caracciolo, ma c’è molto interesse anche per la realtà caratteristiche di Napoli del centro storico, tanti clienti stranieri che possono soggiornare per un periodo breve chiedono di vivere la “vera” Napoli, la parte pulsante che è sicuramente più divertente e più umana».




CREDITO & IMPRESE

SUPERIORI ALLA MEDIA NAZIONALE I PRESTITI ALLE IMPRESE

I prestiti alle imprese meridionali crescono a ritmi superiori rispetto alla media nazionale (6,7 per cento rispetto al 5 per cento del dato italiano), e risulta in aumento pure il credito alle famiglie (più 5 per cento rispetto 4,8 del resto d’Italia); sono in fase di normalizzazione le sofferenze, sempre più vicine agli andamenti nazionali (con un 5 per cento rispetto al 4,8). Segnali incoraggianti anche dalla Campania, tra le regioni, che a dicembre 2011 si attestano al 4,4 per cento in termini di credito concesso alle imprese, a fronte di una media nazionale del 2,7 per cento e di una media meridionale del 4,2. È quanto emerge dal rapporto “La congiuntura del credito 2011, in Italia, Sud e Campania”, realizzato dal servizio studi e ricerche di Intesa Sanpaolo. CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 45


CREDITO & IMPRESE

NUOVO CREDITO ALLE IMPRESE Il presidente di Abi Campania, Giuseppe Castagna, ribadisce il ruolo centrale delle banche e individua le misure per arginare gli effetti della crisi e sostenere il credito Renata Gualtieri

li ultimi dati disponibili parlano di un +2 per cento di impieghi al settore privato a gennaio, e +2,4 per cento alle imprese, dati ancora positivi e superiori alla media nazionale, che mostrano come, nonostante un quadro sfavorevole, gli impieghi all’economia in Campania abbiano continuato a essere erogati dal sistema bancario in misura adeguata. La domanda di credito delle imprese, fortemente influenzata dalla mancanza di nuovi investimenti, si è concentrata, in Campania come nel resto del Paese, sulla necessità di copertura del capitale circolante e il ricorso ad operazioni di ristrutturazione e consolidamento del debito. «Certo è che – precisa il presidente Abi Campania Giuseppe Castagna – nonostante il contesto di difficoltà, finanziare l’economia è ciò che il sistema bancario intende continuare a fare, nella certezza che banche, imprese e famiglie condividono lo stesso destino». Quali fattori incidono sull’andamento del credito alle imprese in regione? «Esistono due tipi di fattori che incidono

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sulla maggiore difficoltà di erogazione del credito al Sud: fattori strutturali e fattori ambientali. La mancanza di infrastrutture sono un esempio dei primi: questi incidono sulla capacità delle imprese di essere competitive e conseguentemente sulla loro possibilità di crescere attraverso investimenti. I secondi riguardano più propriamente le condizioni che incidono sulla capacità di erogare il credito e sul suo costo: elevata rischiosità dell’attività bancaria, maggiore frammentazione dei rapporti finanziari; minore redditività delle imprese, maggiore incidenza del lavoro sommerso, minore efficienza della giustizia civile, maggiore frequenza degli illeciti economici, maggiori oneri burocratici associati all’attività d’impresa. A questi va poi aggiunta una generale sottocapitalizzazione delle imprese. L’oggettivazione del merito creditizio è un procedimento che incide purtroppo negativamente sul tessuto produttivo del Sud perché prende in considerazione parametri come le dimensioni, l’incidenza delle sofferenze, le caratteristiche comportamentali nella relazione con le banche. Lavorare su questi


Giuseppe Castagna, presidente di Abi Campania

aspetti- oltre che, naturalmente, sulla correttezza e sulla leggibilità del bilancio- aiuterebbe certamente a raggiungere fasce di rating migliori e più vantaggiose per le aziende». Per quanto riguarda la raccolta, si stanno invece verificando criticità. A cosa è dovuto ciò, quali conseguenze provoca? «A fronte del progressivo calo dei redditi e del conseguente deterioramento della capacità di spesa dei cittadini, si stanno avendo tensioni sul fronte della raccolta. Da un lato le imprese bancarie sono costrette a ricercare forme di finanziamento alternative per potere continuare a svolgere la loro attività di finanziamento a imprese e famiglie, dall’altro in un momento congiunturale sfavorevole come quello attuale che genera incertezze sulle prospettive future, le persone hanno ancora più timore di indebitarsi. Si rendono quindi necessarie soluzioni a sostegno del potere d’acquisto, in particolare le famiglie più deboli. In questo quadro si inserisce il Piano famiglie siglato da Abi e dalle associazioni dei consumatori per le situazioni di difficoltà a causa della crisi. È certo che con l’auspicato ripristino della fiducia sui mercati, ci sarà una progressiva normalizzazione». Quali iniziative sono state messe in atto per favorire i rapporti tra banche e imprese sul territorio? «Le banche sono sempre state una risorsa centrale per il nostro territorio, e per il Paese in generale. Per arginare gli effetti della congiuntura e sostenere il credito, bisogna ragionare su misure non convenzionali, come la moratoria crediti con le associazioni d’im-

presa e quella con le associazioni dei consumatori. È ciò che le banche italiane stanno facendo. In particolare, per quanto riguarda l’intesa con le imprese, l’obiettivo è quello di assicurare la disponibilità di adeguate risorse finanziarie per quelle realtà che pur registrando tensioni presentano comunque prospettive economiche positive. In questo modo le imprese potranno meglio far fronte ai problemi contingenti sia programmare la competitività. Come ha ricordato il presidente dell’Abi Giuseppe Mussari, il sistema bancario italiano avrà un futuro positivo solo se lo avranno le nostre imprese». Quali misure occorrerà adottare per agevolare la ripresa? Su quali settori è necessario puntare per il rilancio della regione? «Occorre puntare alla patrimonializzazione delle imprese, alla loro internazionalizzazione e all’incentivazione del trasferimento di tecnologia e innovazione. Già ora le banche, per favorire l’accesso al credito delle pmi, stanno sollecitando il ricorso al fondo di garanzia (legge 662/96) che, com’è noto, favorisce l’accesso alle fonti finanziarie delle piccole e medie imprese mediante la concessione di una garanzia pubblica. Al Sud questo tipo di garanzia non ha un costo, ma quante imprese ricorrono a questo tipo di strumento così importante per la valutazione del merito del credito? Infine, ritengo, che anche la collaborazione con i consorzi di garanzia fidi sia da valutare con attenzione. Magari superando l’eccessiva frammentazione esistente e verificando il tipo di garanzia che sono in grado di offrire». CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 47


INNOVAZIONE

Intelligenza collettiva per trasferire la scienza Il valore della comunità scientifica campana si riflette nella nomina di Luigi Nicolais, uno dei suoi esponenti più insigni, al vertice del principale ente pubblico di ricerca italiano, il Cnr. «Ciascun territorio deve disporre di attrattori di eccellenze» Giacomo Govoni

l nuovo corso del Consiglio nazionale delle ricerche parla partenopeo. Luigi Nicolais, già ministro della funzione pubblica dal 2006 al 2008 nel secondo governo Prodi, è dallo scorso 18 febbraio il presidente dell’ente di ricerca. Professore emerito di tecnologia dei polimeri e di scienza e tecnologia dei materiali all’Università Federico II di Napoli, riceve il testimone da Francesco Profumo, attuale ministro dell’istruzione del Governo Monti. La sua nomina al vertice del massimo organo di ricerca nazionale quale messaggio lancia alla comunità scientifica napoletana? «Credo di orgoglio e fiducia, ma anche di grande speranza e aspettativa. L’ho colto dai messaggi di augurio e dai tanti segnali che ancora raccolgo. Per una circostanza fortuita, poi, la mia prima uscita pubblica da presidente del Cnr è avvenuta a Napoli, nel corso della celebrazione del cinquantenario dell’Istituto di genetica e biofisica Adriano Buzzati Traversi. Con il presidente

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Luigi Nicolais, presidente del Consiglio nazionale delle ricerche

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della Regione, Stefano Caldoro, abbiamo da subito iniziato a lavorare per consolidare il ruolo di acceleratore di sviluppo delle strutture di ricerca presenti sul territorio ed è indubbio che la mia provenienza dalla comunità scientifica campana agevoli l’individuazione e la focalizzazione degli obiettivi e degli interventi». Al momento del suo insediamento, quali gli interventi che ha messo al vertice della sua agenda? «Il Cnr fu istituito nel 1923 con una missione strategica per il Paese: favorire il potenziamento, l’avanzamento e la valorizzazione della ricerca scientifica, sostenerne l’utilizzo e la trasferibilità nel tessuto sociale e produttivo. A circa novant’anni dalla nascita è ancora questo il suo ruolo, pur con tutte le nuove declinazioni, interpretazioni e opportunità dei tempi. Il Cnr rappresenta una straordinaria opportunità per il Paese, vi lavorano circa 8 mila persone a tempo indeterminato, di cui oltre 6 mila impegnati a vario titolo in attività di ricerca: una massa critica capace di offrire e sviluppare idee innovative in moltissimi settori. È indispensabile che si creino maggiori opportunità di relazione con le università, le imprese e altri enti pubblici e che al tempo stesso si esprima anche un modello di buona gestione e valorizzazione della ricerca. Da qui nasce l’esigenza di individuare come interventi priori-


Luigi Nicolais

L’Italia non può permettersi di restare indietro in nessun settore scientifico, non possiamo eccellere in uno ed essere colonia culturale per un altro

tari la semplificazione delle procedure e un uso intelligente delle nuove tecnologie, con l’obiettivo di aggredire ridondanze, lentezze e impaludamenti burocratici». Quali strategie adotterete per accelerare il trasferimento tecnologico e rendere più fluido il dialogo con le imprese? «Il Cnr già vanta una solida rete di rapporti con il mondo imprenditoriale, tuttavia vanno rafforzati e resi più fluidi, da un lato, concentrando l’offerta e, dall’altro, facendo emergere e finalizzando la domanda. Per progredire ed essere trasferita, la scienza ha bisogno dell’intelligenza collettiva. Il sapere disponibile nei settori cosiddetti caldi, come le nanotecnologie, raddoppia ogni due anni. È impossibile per un singolo sapere tutto. Solo facendo rete è possibile attraversare e far avanzare le frontiere della scienza». Una marcia compatta, sotto la comune

bandiera del sapere. Come perseguirla? «Attraverso la creazione di alleanze virtuose non solo fra università e Cnr, ma fra governi e finanza locale, infrastrutture di ricerca e sistema produttivo. È necessario sviluppare una forte capacità di visione e di programmazione sul medio e lungo periodo. È necessario fare leva sui risultati già acquisiti nei laboratori e trasferirli alle imprese, contemporaneamente bisogna acquisire una forte capacità di governo sistemico degli interventi per potenziare e affinare tutte le fasi dell’innovazione: dalla cura dell’alta formazione e sostegno alla ricerca esplorativa alla ingegnerizzazione e trasferimento al mercato dei risultati». Quali settori risentiranno maggiormente della contrazione delle risorse destinate alla ricerca e all’innovazione? «Purtroppo dei tagli lineari risentiranno pesantemente tutti i settori. Tuttavia poiché CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 55


INNOVAZIONE

quelli a più ampio spettro applicativo potranno intercettare altre risorse, penso a quelle comunitarie e private, per i settori più esplorativi bisognerà intervenire in maniera diversa. A tal fine ritengo necessario che facendo sistema di tutte le risorse disponibili - comunitarie, nazionali e locali - si possano attivare strumenti complementari e sussidiari al fine di consentire i necessari adeguamenti infrastrutturali e avanzamenti scientifici in ogni campo. Il Paese non può permettersi di restare indietro in nessun settore scientifico: non possiamo eccellere in uno ed essere colonia culturale per un altro. Il sistema ricerca funziona e regge se è in perfetto equilibrio». Quali sono le condizioni da rilanciare per pensare con ragionevole realismo a un futuro “contro esodo” dei cervelli? «Su questo punto vorrei essere molto chiaro. La precarietà nel mondo della ricerca va drasticamente ridotta. Per essere creativi e, quindi, scien-

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tificamente produttivi c’è bisogno di sicurezza e serenità. Il compito di tutte le istituzioni è cercare di garantire ciò ai propri giovani. La mobilità, soprattutto in questi anni, è necessaria alla formazione di un buon ricercatore: permette di intrecciare relazioni importanti, di perfezionare le proprie competenze, di irrobustire il proprio curriculum professionale e umano. Va da sé che deve essere un’opportunità, non una forzatura. E soprattutto deve prevedere e favorire sia l’uscita che l’entrata. Il punto non può essere solo quanti dei nostri emigrano, ma anche quanti dei loro si riesce ad attrarre e a trattenere perché in un mondo sempre più privo di distanze l’importante è creare solide relazioni fra i territori e disporre per ciascuno di essi degli attrattori di eccellenze. Altrimenti sarà impossibile contrastare la mobilità delle menti più pronte e aperte, che tendono a concentrarsi nelle aree più dinamiche e a maggiori opportunità di crescita».



INNOVAZIONE

Regole e investimenti per un exploit innovativo Il recente sblocco dei fondi europei per l’innovazione regionale spronerà le imprese a raccogliere la sfida tecnologica del futuro. Ma prima, rimarca Fortunato D’Angelo, c’è «un’assenza di “incrementalismo logico”» da colmare al più presto Giacomo Govoni l sospirato via libera alle risorse del Fondo europeo per lo sviluppo regionale, atteso da almeno un quinquennio dalle imprese campane del settore Ict, alla fine è arrivato. Ad accendere il semaforo verde è stato l’esecutivo guidato da Stefano Caldoro che poche settimane fa ha sbloccato i 21 milioni di euro dei fondi Fesr, destinati a progetti d’innovazione tecnologica. Una boccata d’ossigeno per le aziende più lungimiranti del territorio che, secondo Confindustria Campania, dovrebbe però accompagnarsi allo sbroglio di altri delicati nodi. «Quello dell’improduttività e della bulimia dell’immensa macchina amministrativa pubblica – avverte Fortunato D’Angelo, presidente del raggruppamento delle imprese dei servizi innovativi e tecnologici di Confindustria – sta diventando il vero problema nazionale, che si riflette anche nei fondi per lo sviluppo». Cosa dice la fotografia attuale del quadro imprenditoriale campano quanto a propensione all’innovazione? «La Campania, a differenza di quanto si pensa, esprime un tessuto con una propensione innovativa rilevante. Basti pensare alle formule commerciali e logistiche che hanno portato aziende “tradizionali” come Carpisa-Yamamay, Piazza Italia o Silvian Heach, a

I Fortunato D’Angelo, presidente del raggruppamento delle imprese dei servizi innovativi e tecnologici di Confindustria Campania

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tassi di sviluppo significativi. Sul fronte dell’innovazione tecnologica, tuttavia, le imprese sono da molti anni segmentate in due grandi gruppi. Da un lato ci sono le imprese che agiscono in settori tradizionali, con bassa propensione all’innovazione: le più mature acquistano tecnologie, anche avanzate e complesse, ma raramente da fornitori locali. Dall’altro, imprese molto innovative, che paradossalmente soffrono molto per l’assenza di un mercato locale in cui commercializzare e sviluppare opportuni track record di esperienze, in un’ottica di crescita. Spesso, infatti, le innovazioni perfezionate rimangono in una fase prototipale, senza attivare traiettorie di sviluppo». I segnali provenienti dalla sfera istituzionale concorrono ad agevolare lo sviluppo del vostro tessuto produttivo? «Su questo tema, purtroppo, sono fortemente critico. Una delle debolezze endemiche della Campania è che a ogni legislatura, non solo regionale, si butta via “il bambino con l’acqua sporca” sprecando anche 24-36 mesi. Per ripartire poi, con logiche e modalità spesso analoghe alle precedenti. Nel Sud non si è ancora capito che per lo sviluppo, insieme alla strategia dei grandi eventi e dei grandi progetti, ovvero dei grandi exploit, serve un contesto di regole certe nei tempi e nei fondi e in itinere, e non solo a valle. È questa assenza di “incrementalismo logico” una delle maggiori cause per cui aree come la Germania Est o


Fortunato D’Angelo

Siamo a disposizione delle istituzioni per portare avanti un progetto per la creazione di una società finanziaria regionale che possa finalmente dare continuità alla politica industriale locale

l’Estonia, partendo da situazioni di ritardo similari alle nostre, hanno recuperato o avviato il recupero dei gap, mentre noi siamo ancora tra i territori in “ritardo di sviluppo”. Con lo sblocco dei 21 milioni del Fondo europeo gli aspetti economici possono dirsi risolti? «I fondi in questione, quelli della 3.17 Ict, sono un caso emblematico di “disincentivo all’innovazione”. Non l’unico, purtroppo: abbiamo casi simili, a livello regionale, sul bando Campus e, a livello nazionale, su tutti i bandi del Pon ricerca & competitività gestiti da Invitalia. Ma tutti gli incentivi sono in situazioni paradossali. Insomma, se alla fine del 2011 la Campania ha speso solo il 12% dei 7 miliardi di fondi Fesr per il periodo 2007/2013 non è un caso. In tal senso, come Confindustria, siamo a disposizione delle istituzioni per portare avanti un progetto per la creazione di una società finanziaria regionale che possa finalmente dare continuità alla politica industriale locale». In quali settori le aziende campane hanno già le carte in regola per misurarsi ad armi pari coi mercati di punta internazionali ?

«Il confronto “ad armi pari” coi mercati internazionali è legato all’incentivo al nanismo imprenditoriale con cui le imprese si confrontano. I costi che il sistema Italia genera per le imprese che cercano di diventare grandi è, infatti, rilevantissimo e molte muoiono nella transizione. Ciò detto, in Campania esistono realtà attive in molti settori che competono su scala internazionale: plastica, Ict, cartotecnica, meccanica, armamento navale, biotecnologie. Imprese, anche micro che, seguendo grandi gruppi nei loro processi di internazionalizzazione, spesso maturano presenze all’estero superiori a quelle nazionali. Cito una micro realtà nel campo dei videogames e del 3D di Benevento, SpinVector, che ha prodotto un software premiato come “best app ever” nel 2011 e ha da poco raccolto circa 2 milioni di euro dal fondo Avm di Intesa Sanpaolo. La questione, però, è che il sistema locale non genera quelle economie generali che favoriscono questi exploit». Verso quali “lidi” commerciali indirizzate invece le start up? «Per le start up esistono grandi spazi in tutti i settori che evidenziano trend importanti in ambito internazionale e su cui la Campania ha una buona base produttiva o scientifica. Penso all’imballaggio, all’agro-alimentare, alle biotecnologie, all’aeronautica, all’Ict, alla meccanica. Al di là di una strategia, anche finanziaria, ancora deficitaria a livello locale, quello che le nuove imprese devono saper fare è individuare risposte a valore aggiunto per le istanze competitive che questi filoni evidenziano, in modo da generare vantaggio competitivo anche nelle attività di servizio a questi settori». CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 59


INNOVAZIONE

Un tesoro di conoscenze da trasformare in business La creatività e il dinamismo intellettuale sono doti «per cui la Campania è rinomata nel mondo». La scommessa da vincere, afferma Giuseppe Zollo, è «farle approdare dalla filiera della ricerca a quella della produzione» Giacomo Govoni

Giuseppe Zollo, presidente di Campania Innovazione

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ette università, quaranta istituti di ricerca avanzata, dieci centri di competenza e un distretto tecnologico. È il patrimonio di conoscenze di cui può fregiarsi il territorio campano, che tuttavia stenta a tradursi in modo sistematico in capacità di innovazione. «Eppure – osserva Giuseppe Zollo, presidente di Campania Innovazione – gli imprenditori ci sono. Solo fermandosi alle pmi manifatturiere, contiamo circa 36mila imprese». Un collegamento debole tra la sfera scientifica e quella del business, che l’agenzia regionale guidata da Zollo, si adopera da circa un anno per fortificare. Oltre alla recente attivazione di una rete regionale, quali altre convergenze state creando fra il mondo dell’impresa e quello della ricerca campana? «Per raccontare la nostra attività in Campania è bene premettere la situazione paradossale che abbiamo davanti: a fronte di circa 6 mila ricercatori strutturati - che salgono a 9 mila includendo tirocinanti, dottorandi e corsisti - siamo però classificati tra il 13esimo e il 14esimo posto nelle regioni italiane per capacità d’innovazione e figuriamo nel penultimo insieme di regioni a livello europeo. Tradotto significa che abbiamo grande capacità intellettuale di produzione scientifica, ma con risultati quasi nulli in termini di innovazione. Cosa manca allora? «Una cerniera tra i due mondi, fatta di soggetti pubblici in grado di assumere iniziative informative e di coordinamento e soggetti privati che sappiano offrire servizi specialistici qualificati. Per questo, fin dalla nascita, la nostra priorità è stata costruire una rete di attori rappresentativi che potessero raccordarsi sulla tematica dell’innovazione. E così abbiamo aiutato le facoltà a indirizzo scientifico e tecnologico delle università campane ad aprire uffici di trasferimento tecno-

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Giuseppe Zollo

logico, di cui ora stiamo finanziando lo start up. Altri cinque sportelli sono stati aperti presso parchi scientifici e tecnologici e incubatori d’impresa e, infine, abbiamo stretto accordi con le associazioni industriali e le Camere di Commercio regionali per attivare presidi sull’innovazione che svolgano azioni verticali su aree tematiche specifiche». Qualche esempio? «Il primo progetto, che scatterà a maggio, sarà un’azione di foresight tecnologico da rivolgere alle aziende dell’agroindustria e dell’Ict. Nella pratica, riuniremo una quarantina d’imprese, sulla base delle quali verranno delineati gli scenari di mercato di prodotto dei prossimi 5-7 anni. Un’operazione scientifica, resa possibile da una serie di analisi approfondite che abbiamo acquisito tramite un accordo con Area science park e con l’istituto di ricerca dell’università di Stanford. In definitiva, la rete è a oggi composta da 18 soggetti istituzionali, raccordati da Campania Innovazione, che svolgono attività di scouting delle tecnologie presso le università, azioni di audit e di awareness sulle potenzialità delle nuove tecnologie presso le pmi». Su quali filoni strategici puntare per dare nuovo impulso all’economia territoriale? «Mia personale convinzione è che le aree prioritarie in ottica di opportunità di business siano due: l’area collegata al web, alla banda larga e all’efficientamento informatico delle imprese tradizionali e quella della green economy, che io preferisco chiamare clean economy, legata ai settori dell’energia, dell’ambiente e della filiera agroalimentare. Poi, sulla scia di alcune eccellenze campane consolidate, come il distretto aerospaziale, metteremo in atto politiche verticali al fine di far scendere dalla filiera della ricerca a quella del business altre realtà scientifiche di punta del territorio». Qual è il linguaggio migliore da spendere sui palcoscenici internazionali per far passare l’equazione Campania uguale innovazione? «In effetti, c’è un’immagine della Campania da risollevare. Io stesso, di ritorno da un recente ci-

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Le aree prioritarie in ottica di opportunità di business sono due: l’area collegata al web e alla banda larga e quella della green economy, legata ai settori dell’energia

clo di formazione a giovani imprenditori italiani in Egitto, ho rilevato che l’accoppiata Campania e innovazione tecnologica desta molto stupore. Il messaggio da lanciare è quello di mettere la creatività, elemento per cui siamo rinomati nel mondo, al servizio del business delle pmi e non solo delle canzonette. Per questo, nella prossima programmazione, svilupperemo un’attività di design creativo a favore delle imprese. In quest’ottica, dobbiamo fare tesoro della “notorietà” guadagnata con la vicenda rifiuti, per lanciare un grande programma sulla clean economy, altrimenti non siamo credibili». Scorrendo i risultati conseguiti nel 2011, quale dato andrebbe migliorato? «Il dato da migliorare, e al contempo lo scoglio più grosso da rimuovere, è la sospettosità di tutti i soggetti a condividere informazioni e conoscenze senza pregiudizi. Fattore che determina lungaggini nello sviluppo di progetti e nelle attività di raccordo con l’area amministrativa, ben più di quanto facciano la povertà di risorse e competenze. Se si vuole attivare un processo innovativo auto propulsivo, occorre aderire a format comuni nello sviluppo dei servizi, perché l’innovazione è una scommessa che non si può vincere da soli.

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MODELLI D’IMPRESA

L'imprenditoria europea punta sul territorio campano Da oltre un decennio Napoli ospita la sede italiana di un’importante multinazionale che opera in un’ottica di sostegno all’occupazione e al rilancio del territorio. Ne parliamo con Lazzaro Luce, amministratore delegato di Derichebourg Multiservizi Matteo Rossi

l territorio campano sta attraversando un processo di forte deindustrializzazione, che ha comportato una caduta verticale del pil. Nonostante la sfavorevole congiuntura, esistono però realtà che, con coraggio, investono e scommettono sulle potenzialità del tessuto produttivo locale, contribuendo a creare ricchezza e posti di lavoro. È il caso di Derichebourg, gruppo multinazionale quotato all’Euronext di Parigi, con un volume d’affari di oltre tre miliardi di euro e una rete di oltre 40.000 collaboratori in tutto il mondo, che ha deciso di fare del capoluogo partenopeo la sua sede italiana. Derichebourg è, infatti, presente sul mercato in ambiti diversificati, ma tra loro complementari, come spiega l’amministratore delegato di Derichebourg Multiservizi, Lazzaro Luce: «L’azienda opera attraverso tre divisioni: Servisair, Derichebourg Ambiente e Derichebourg Multiservizi. La prima è attiva nel campo dei servizi aeroportuali. Derichebourg Ambiente si occupa invece del riciclaggio di beni e attrezzature giunti alla fine del loro ciclo di vita, nonché del recupero di rifiuti domestici e industriali. Abbiamo, infine, Derichebourg Multiservizi che, con un fatturato

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Derichebourg Multiservizi ha la sua sede a Napoli www.derichebourg.com

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annuo di 524 milioni, offre un’ampia gamma di attività nell’ampio panorama dei servizi». Derichebourg Multiservizi, presente in Italia dal 1999, oggi è, infatti, uno dei principali protagonisti del mercato europeo dei servizi alle imprese e agli enti pubblici, contribuendo in maniera decisiva all’ottimizzazione delle performance dei propri partner. «La gamma di prestazioni svolte è ampia e si interseca perfettamente con i vari ambiti di competenza delle altre società del gruppo», sottolinea Luce. «In concreto, svolgiamo attività di pulizia interna ed esterna, interventi tecnici manutentivi, assistenza aeroportuale, manutenzioni di aree verdi, servizi di igiene ambientale e trattamento dei rifiuti. Offriamo, inoltre, servizi di outsourcing quali la gestione completa degli immobili in global service, il cosiddetto “facility management”». Tutto questo, ricorda l’amministratore, ha un’ambiziosa finalità: « la creazione di valore aggiunto per il cliente mediante l’erogazione dei nostri servizi, perché dal lavoro che svolgiamo dipende, in misura importante, il giudizio che un visitatore o un utente può avere delle struttura che “curiamo”. Siamo impegnati, pertanto, in un processo continuo di


Lazzaro Luce

L’azienda crede molto nella regione Campania ed è in prima fila per sostenerne l’occupazione e lo sviluppo

accrescimento della qualità, che passa necessariamente attraverso la formazione del personale, l’aggiornamento del parco attrezzature e la creazione di strutture dedicate per ciascun appalto». Luce, che può vantare un’esperienza pluriennale nel settore dei servizi, spiega poi come è nata la sua collaborazione con l’azienda europea: «In passato ho gestito commesse di notevole complessità, fra cui quelle relative ai servizi di supporto alla produzione nello stabilimento Alfa Romeo di Pomigliano D’Arco. All’inizio degli anni Novanta partecipai a un progetto di partenariato europeo, per risolvere i problemi che polveri e residui provocavano alle linee di verniciatura all’interno degli stabilimenti Fiat. In tale occasione entrai in contatto con il gotha europeo dei servizi di pulizie, conquistando la stima del management del gruppo Derichebourg, tanto da essere scelto, nel 1999, per dirigere la sede italiana dell’azienda». Da qui in avanti è un susseguirsi di commesse e incarichi prestigiosi, che hanno consolidato la posizione di Derichebourg Multiservizi su scala nazionale: «Dopo la sua costituzione, l’azienda ha rapidamente conquistato importanti appalti. Dapprima è stata acquisita

+3 mld

la commessa per la pulizia delle varie aree dell’aeroporto di Fiumicino, poi la gestione dei servizi dell’area ex Olivetti di Pozzuoli. In seguito, abbiamo stipulato un contratto di facility management per le basi della marina militare statunitense in Campania, appalto che è andato ampliandosi nel corso del tempo, ed è tuttora gestito da noi». L’amministratore si è speso in prima persona per far sì che la filiale italiana dell’azienda avesse sede a Napoli, e lo stesso Luce spiega il perché di questa scelta: «Per noi il rapporto col territorio è di primaria importanza. L’azienda, pur gestendo relazioni e affari nell’intero Paese, crede molto nella regione Campania ed è in prima fila per sostenerne l’occupazione e lo sviluppo. Oltre agli operatori in servizio nei diversi cantieri, tutte le funzioni di gestione, comprese quelle espletate da specialisti esterni alla struttura, vengono svolte da persone provenienti dalla regione. Operiamo in un’ottica di investimento sul futuro, cercando di diffondere valori quali il rispetto del lavoro e della persona, con particolare riguardo nei confronti dell’ambiente. La passione per il lavoro è il vero motore verso l’eccellenza, anche in un territorio difficile come il nostro».

FATTURATO A tanto ammonta il giro d’affari complessivo delle società facenti parte del gruppo Derichebourg

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MODELLI D’IMPRESA

La conceria italiana guarda al sostenibile el 2011 il 66 per cento della produzione conciaria europea – e il 16 per cento di quella mondiale – è stato realizzato nel nostro paese. Le concerie italiane che rappresentano la fetta maggiore di questa produzione, il 90 per cento, sono concentrate in tre distretti: Veneto, Toscana e Campania. E nonostante la crescente concorrenza dei paesi extraeuropei, che sta influendo anche sul prezzo delle materie prime – l’Italia continua a rappresentare il 28 per cento dell’export globale di pelli lavorate. Questo risultato si concilia inoltre con un sempre maggiore orientamento alla crescita sostenibile, tema al quale i consumatori sono assai sensibili e che quindi inevitabilmente condiziona le scelte delle imprese. Come spiega Michele De Michele, titolare della Dean di Arzano, in provincia di Napoli: «Negli ultimi anni si sono accesi i riflettori sull’importanza della provenienza del pellame. E rileviamo che, in un mercato sempre più attento all’impatto ambientale della produzione e alle caratteristiche qualitative del prodotto, la fascia alta dei nostri partner ha iniziato un confronto di natura strategica sulla certificazione accreditata come strumento di valutazione oggettiva della qualità, della sostenibilità e della responsabilità». Da dove proviene il pellame che lavorate? «Principalmente lavoriamo pellami provenienti dall’area mediterranea. In questi terri-

N Sotto, Michele De Michele, titolare della Dean Spa di Arzano (NA). A fianco, momenti della lavorazione delle pelli www.deanspa.it

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I distretti italiani della concia continuano a collocarsi in una posizione di primo piano all’interno del settore della lavorazione delle pelli a livello globale. Michele De Michele spiega il valore aggiunto grazie al quale viene mantenuto questo primato Manlio Teodoro

tori infatti riusciamo a individuare materiali grezzi idonei alle nostre tipologie di prodotto – vale a dire pelli in pelo salate fresche. Nei paesi d’acquisto vengono eseguite le prime fasi di concia, per poi essere inviate al nostro stabilimento, nel quale, dopo selezione per articolo e colore, si esegue riconcia, tintura e ingrasso. Ed è in questa fase che caratterizziamo i nostri pellami, che sono principalmente destinati all’industria della calzatura, della pelletteria, dell’abbigliamento e del guanto. Lavoriamo per un target esigente e qualificato che apprezza la manualità, la fantasia e l’estro tipici del made in Italy, che per noi significano creare una forma dall’amorfo, portare alla luce l’impercettibile». Quanto conta, ancora, l’artigianalità all’interno del vostro settore e in quali ambiti rimane una componente imprescindibile e insostituibile? «L’arte conciaria, perché bisogna parlare di arte, negli anni ha seguito di pari passo l’evoluzione tecnologica e le innovazioni disponibili sono state sempre recepite anche dal settore. Se in passato le lavorazioni erano completamente manuali, oggi, il supporto delle macchine ha agevolato moltissimo


Michele De Michele

Lavoriamo per un target esigente che apprezza la manualità, la fantasia e l’estro made in Italy, cioè l’abilità di portare alla luce l’impercettibile

l’opera dell’uomo, pur mantenendo l’artigianalità del prodotto, che per noi è un elemento fondamentale. Infatti tutte le nostre lavorazioni, sia meccaniche che manuali, sono controllate costantemente da mani esperte e sensibili, affinatesi nel corso di una lunga esperienza. Questo ci permette di fornire un prodotto di alta qualità, difficilmente riproducibile e che evidenzia e rende riconoscibile la nostra manifattura». Sul fronte dell’innovazione, siete impegnati nella ricerca e nello sviluppo di ulte-

riori soluzioni? «Collaboriamo con centri di sperimentazione sia privati che pubblici con i quali elaboriamo ricerche su nuovi prodotti chimici e sperimentazioni di nuovi processi conciari. Questo nell’ottica di migliorare i nostri articoli e le nostre performance di processo e anche ambientali. Inoltre, all’interno dei nostri laboratori, quotidianamente, eseguiamo test chimici e fisici sul prodotto finito e semilavorati». Quali sono i maggiori investimenti in programma per il 2012? «Stiamo per avviare investimenti in nuove tecnologie di impianto e di processo, con l’obiettivo di soddisfare maggiormente i requisiti dei nostri articoli e migliorare, ulteriormente, l’impatto ambientale. La nostra impostazione improntata ai più moderni criteri di funzionalità si pone l’attuazione di un preciso programma sia sul breve termine, sia di porre le basi per la realizzazione di ben più importanti programmi di sviluppo per soddisfare in futuro ogni e qualsiasi esigenza di mercato. Dunque, la nostra azione includerà anche il potenziamento dell’organizzazione commerciale, che già oggi è costituita da uffici di rappresentanza sia in Italia che all’estero». CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 67


MODELLI D’IMPRESA

Un processo innovativo a base d’acqua È l’unica azienda al mondo a produrre pellicole protettive senza alcun tipo di solvente. Stiamo parlando della Covertec. L’analisi dell’ingegnere Vittorio Arcidiacono, tra ricerca tecnologica e tutela dell’ambiente Guido Puopolo

e pellicole protettive, utilizzate per salvaguardare l’integrità degli elettrodomestici, degli schermi dei televisori e dei piani di cottura, sono oggetti di uso comune in campo industriale. La loro produzione, però, è il risultato di un’intensa attività di ricerca e sviluppo, indispensabile per ottenere prodotti in grado di proteggere adeguatamente queste delicate superfici da graffi, scalfitture e polvere, sia in fase di lavorazione che durante lo stoccaggio e la consegna. «Fondamentale è che il film protettivo non lasci alcun residuo sul supporto, permettendo all’utilizzatore di rimuoverlo con facilità, lasciando così la superficie perfetta e pronta all’uso», afferma l’ingegnere Vittorio Arcidiacono, fondatore e attuale presidente della Covertec di Sessa Aurunca (CE), che in un solo decennio ha contribuito a innovare questo particolare settore. Covertec è infatti l’unica azienda su scala mondiale ad aver abbandonato il tradizionale processo produttivo di pellicole protettive a base di solvente, per realizzare esclusivamente articoli “water-based”. Quali sono i vantaggi più significativi derivanti dall’utilizzo di pellicole a base acqua?

L L’ingegnere Vittorio Arcidiacono, presidente della Covertec Srl di Sessa Aurunca (CE) www.covertec.eu

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«L’uso dell’acqua ci assicura in primo luogo una riduzione dei costi rispetto all’impiego del solvente, sia in termini di processo produttivo che nell’acquisto dei macchinari per adesivizzare le pellicole, oltre che una maggiore flessibilità e velocità nei tempi di consegna. Realizzare una pellicola a base-acqua garantisce però enormi vantaggi anche da un punto di vista della sostenibilità ambientale, in quanto viene ridotta al minimo l’emissione di sostanze inquinanti in atmosfera. Allo stesso tempo salvaguardiamo la salute e la sicurezza dei lavoratori, visto che l’uso di solventi aumenta notevolmente il rischio di incendi ed esplosioni sui luoghi di lavoro». Fondamentale, quindi, risulta l’attività di ricerca, che contraddistingue Covertec fin dalla sua fondazione. «Esatto. In Covertec disponiamo di un laboratorio interno che si occupa esclusivamente della ricerca e dello sviluppo di soluzioni innovative e sempre più performanti. Collaboriamo costantemente con centri universitari di primissimo livello, come il Dipartimento di Chimica del l’Università di Napoli “Federico II” , la facoltà di Ingegneria dell’Università di Cassino e il Dipartimento di chimica e tecnologia dei polimeri dell’Università di Stettino». La crisi, però, non ha risparmiato neanche il vostro settore. Quali strategie avete attuato


Vittorio Arcidiacono

Siamo gli unici ad aver abbandonato il processo produttivo di pellicole protettive a base di solvente, per realizzare esclusivamente prodotti “water-based”

per far fronte a questa situazione? «Da ottobre 2011 a oggi abbiamo assistito a una forte contrazione dei volumi di vendita, in particolare sul territorio nazionale. Questo calo delle vendite, unito ad un aumento del costo delle materie prime utilizzate, ci ha spinti a rivedere tutto il nostro processo organizzativo e gestionale. Abbiamo quindi avviato una politica di ottimizzazione del ciclo produttivo, prestando la massima attenzione al perfezionamento degli impianti: siamo così riusciti a potenziare la nostra produttività senza aumentare il personale». La tutela dell’ambiente rappresenta un valore fondante dell’attività di Covertec, che permea tutte le vostre fasi produttive. Quali altre iniziative avete messo in atto a questo proposito? «Per ridurre al minimo gli sprechi abbiamo sviluppato un sistema assolutamente all’avanguardia, che ci permette di reimpiegare addirittura il 99 per cento degli scarti di adesivo che si formano durante le varie fasi di lavoro. Recentemente, inoltre, abbiamo realizzato un impianto

fotovoltaico da circa 500 kWp, che copre ben il 90 per cento del nostro fabbisogno energetico». Quali sono i settori produttivi a cui sono destinati prevalentemente le vostre pellicole? «Teoricamente i film protettivi che escono dal nostro stabilimento sono applicabili su ogni tipo di superficie. Al momento, però, le nostre pellicole sono utilizzate soprattutto per proteggere metalli trattati, metalli naturali, materie plastiche e prodotti in legno». Covertec in questi anni, ha conquistato importanti quote di mercato anche a livello internazionale. Quali sono, al momento, i Paesi in cui siete maggiormente presenti e quali, in prospettiva, quelli che offrono le maggiori opportunità di crescita? «Siamo ben introdotti in tutto il mercato europeo, in Russia, Sud America, Turchia e in alcuni mercati del continente asiatico. Per il futuro intendiamo focalizzare la nostra attenzione sui cosiddetti Paesi BRICS - Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa, con l’obiettivo di raddoppiare il nostro fatturato nel medio termine». CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 71


Si diffondono i fertilizzanti a “residuo zero” C’è un incessante lavoro di ricerca e sperimentazione dietro la produzione di fertilizzanti innovativi e naturali, capaci di soddisfare le esigenze di un mercato sempre più attento alla questione ambientale. L’esperienza di Rolando D’Alessio Guido Puopolo

stratti macerati, erbe mediche, olii ed essenze vegetali, utilizzati fin dall’antichità a scopo curativo, negli ultimi anni stanno conoscendo una crescente diffusione anche in campo agricolo. Questo perché, se combinate con matrici organiche e minerali, tali sostanze sono in grado di nutrire e proteggere le coltivazioni dagli attacchi di parassiti e malattie, in modo del tutto naturale. «Oggi gli agricoltori devono poter offrire ai consumatori prodotti naturali ed esenti da residui chimici dannosi», afferma l’amministratore di Fertenia, Rolando D’Alessio. «Per questo è fondamentale l’apporto di fertilizzanti speciali, che una volta applicati alla pianta possano stimolare precise funzioni biologiche, ponendo così la stessa nelle condizioni fisiologiche più idonee a favorire una maggiore produttività e una migliore tolleranza ai parassiti. Il tutto nel pieno rispetto dell’ambiente». È perseguendo questa politica che l’azienda di Bellizzi (SA), nata nel 2003, si è imposta sul mer-

E

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cato come una realtà leader a livello nazionale nella produzione di biopromotori naturali, fitofortificanti e induttori di resistenza, con una presenza crescente anche sui mercati esteri. In che modo Fertenia è riuscita a rispondere alle mutate esigenze del settore agricolo? «Alla base della nostra attività abbiamo sempre messo la necessità di fornire alle aziende agricole mezzi tecnici che consentissero di aumentare il livello qualitativo delle produzioni, o che risolvessero alcuni antichi problemi nelle diverse fasi fenologiche. Tutti i nostri prodotti, infatti, vengono sperimentati in diverse condizioni ambientali e su differenti colture, al fine di valutarne selettività ed efficacia, con particolare attenzione alla “prova residui” al momento della raccolta. Proprio la capacità di offrire fertilizzanti a “resi-


Rolando D’Alessio

20%

INVESTIMENTI

Tutti i nostri prodotti vengono sperimentati in diverse condizioni ambientali e su differenti colture, al fine di valutarne selettività ed efficacia

È la quota di fatturato destinata annualmente dall’azienda ad attività di ricerca e sviluppo

duo zero”, perfetti anche per l’agricoltura biologica, ci ha portato a collaborare con numerose aziende italiane, produttrici di ortaggi e frutta di altissima qualità, così come di olii e vini conosciuti e apprezzati in tutto il mondo». Di quali fasi si compone il processo produttivo da cui hanno origine i vostri fertilizzanti? «Il primo step prevede un’attenta analisi delle materie prime che giungono presso il nostro laboratorio. Si passa poi alla rigorosa e controllata miscelazione delle stesse, che deve rispettare determinati parametri al fine di non alterare le proprietà fisiche e organolettiche dei singoli estratti. Ultimata la produzione, una campionatura del prodotto finale viene sottoposta a un ulteriore controllo, indispensabile per verificarne la qualità e la corrispondenza all’etichettatura. Solo al termine di questo passaggio procediamo al confezionamento e allo stoccaggio dei nostri articoli». Come riuscite a ottenere prodotti così performanti e allo stesso tempo privi di effetti negativi sull’ambiente? «Attraverso una ricerca e una sperimentazione continua. Ogni anno investiamo circa il 20 per cento dei nostri utili in queste attività. Altrettanto importante è però la collaborazione con diversi Enti e Università, tra cui ad esempio l’Università di Salerno, quella di Napoli e l’Università del Molise, con le quali Fertenia ha siglato dei contratti ufficiali di ricerca».

Nel 2010, dopo il successo conseguito su scala nazionale, avete creato in Brasile una nuova società, la Fertenia Brasil Fertilizantes Especiais. Quali riscontri avete ottenuto in questi mesi dal mercato brasiliano? «Il Brasile è un Paese in forte sviluppo, e anche qui, proprio come in Europa, la richiesta di alimenti privi di residui chimici è in grande crescita. Dopo aver superato complesse e farraginose barriere burocratiche, siamo riusciti a registrare ben 13 prodotti, che in breve tempo hanno raccolto consensi diffusi, sia da parte dei coltivatori che dei consumatori finali». Nonostante la crisi, quindi, le opportunità non mancano. «In questi anni abbiamo dimostrato grande flessibilità e spirito di adattamento, riuscendo a cogliere i cambiamenti in atto e rimodulando di conseguenza le nostre strategie produttive e commerciali. Siamo un’azienda giovane ma ambiziosa. Intendiamo proseguire nel nostro percorso di crescita, tanto che abbiamo già avviato la costruzione di un nuovo opificio di 12000 mq, con nuovi impianti di produzione e laboratori di ricerca, adiacente a quello già esistente. Nel prossimo futuro, inoltre, contiamo di aprire nuove filiali in Europa e nel resto del mondo, con una particolare attenzione ai Paesi emergenti, adattando naturalmente la nostra produzione alle specifiche esigenze dei coltivatori locali».

Nella pagina a fianco, Rolando D’Alessio, amministratore della Fertenia Srl di Bellizzi (SA) www.fertenia.com

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TECNOLOGIE

Il laboratorio napoletano dei sistemi integrati Si sono affermati sul mercato italiano, da Sud a Nord. Gli ingegneri della società Sync Lab trainano la crescita del comparto informatico partenopeo, dai sistemi avanzati di videosorveglianza all’elaborazione dei dati complessi Aldo Mosca

a software house a grande società di system integration. Il passo compiuto dalla campana Sync Lab è una dimostrazione di come, anche al Sud, l’impegno e l’investimento profuso nello sviluppo, non soltanto tecnologico, ma anche manageriale, possa fare la differenza. A parlarne è l’amministratore della società napoletana, l’ingegner Salvatore Belfiore. «Stiamo raccogliendo i frutti di una strategia che, per un decennio, ci ha portati a specializzarci sempre di più sugli apparati periferici, sulle reti di telecomunicazione e sui sistemi centrali ad elevata complessità». Per chi non masticasse di Information Technology, basti sapere che il concetto di integrazione è oggi fondamentale. Non è sufficiente, infatti, avere un efficace prodotto informatico. All’interno di una struttura, quale

D L’ingegner Salvatore Belfiore con i membri del direttivo Sync Lab di Napoli. La società ha sedi anche a Roma, Milano e Padova www.synclab.it

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un’azienda, una banca o una pubblica amministrazione, emerge la necessità di far coesistere i diversi sistemi, interpretandone e filtrandone i flussi informativi. Un esempio su tutti riguarda uno degli ambiti su cui Sync Lab si sta imponendo maggiormente, quello della videosorveglianza. Perché tali sistemi sono i più esemplificativi? «Perché con la videosorveglianza abbiamo un apparato periferico, vale a dire la videocamera, che deve interfacciarsi con una rete di comunicazione. Ciò che registra va inoltrato a un sistema centrale. Qui si trova l’applicazione che, in seconda battuta, deve elaborare i dati raccolti. I nostri sistemi possono essere applicati alle grandi reti, come quelle per la gestione dei varchi di accesso alle Zone a Traffico Limitato. Il nostro prodotto, Wave, risponde alle esigenze di questi contesti». Cosa lo contraddistingue dagli altri? «Il nostro prodotto torna utile quando c’è da pianificare, progettare e gestire una rete di videosorveglianza su un territorio molto ampio. È utilizzato, ad esempio, nei parchi e nelle comunità montane per il monitoraggio delle aree boschive. Sfruttando la cartografia digitale, Wave posiziona su una mappa le telecamere IP gestite dal sistema. Il prodotto consente all’operatore di visualizzare, in tempo reale, cosa viene inquadrato, ottenendo informazioni geografiche sulla scena». Lei ha evidenziato come questi temi si inseriscano nel discorso, più ampio, del monito-


raggio applicativo. Perché è così importante? «Si tratta di un tema fondamentale, in relazione al quale abbiamo sviluppato una piattaforma di riferimento, Stream Crusher. Nei sistemi di monitoraggio arrivano, da varie fonti, diverse informazioni da interpretare e correlare. Ecco perché occorre una piattaforma IT altamente performante. Stream Crusher riesce a elaborare flussi eterogenei in tempi estremamente ridotti. I casi di applicazione sono i più svariati. Per fare un esempio, se ci rubano un bancomat e i malfattori eseguono diversi prelievi ravvicinati, da più sportelli, il nostro prodotto riconosce e segnala l’anomalia. In pratica deduciamo eventi complessi da flussi di informazioni. Siamo impegnati anche nel monitoraggio delle violazioni informatiche, ambito su cui il nostro prodotto Stream Log sta ottenendo un importante successo commerciale». Di cosa si tratta? «È un sistema nato sull’onda dei recenti provvedimenti del Garante sulla Privacy per la protezione dei dati personali da parte degli Amministratori di sistema – Ads. Stream Log è in grado di effettuare il controllo degli accessi degli utenti ai vari sistemi. Il suo meccanismo si basa su una tecnologia di streaming avanzata: raccoglie, normalizza e archivia le informazioni di accesso provenienti dalle principali sorgenti, come Windows, Linux, Basi di Dati ed apparati di rete». Con più di cento persone impiegate, Sync Lab è un esempio positivo di imprenditoria

I nostri sistemi consentono di pianificare, progettare e gestire reti di videosorveglianza su territori vasti

del Mezzogiorno che conquista anche il Nord Italia. «Qui a Napoli possiamo contare su alcune tra le più importanti eccellenze nell’ambito ingegneristico informatico. È una risorsa purtroppo poco valorizzata ma che potrebbe incidere sempre di più sul Pil regionale. Nel nostro caso, poi, abbiamo importanti ambizioni internazionali. La nostra anima stessa è transnazionale, avendo all’interno del nostro staff persone provenienti da ogni parte del mondo». Su quali mercati vi vorrete concentrare? «Stiamo tenendo contatti con paesi dell’America Latina e, in secondo luogo, crediamo moltissimo nelle potenzialità dell’Africa». Lei è anche membro del Cda di Banca Popolare del Mediterraneo. Perché ha scelto di lanciarsi nel mondo bancario? «BpMed è nata grazie a un nutrito gruppo di imprenditori campani che non riusciva più a confrontarsi con il sistema bancario tradizionale. Senza il credito le aziende non potrebbero investire in innovazione e sviluppo. Finalmente, dopo un difficile iter approvativo con Consob e Banca d’Italia, questo progetto è divenuto realtà». CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 77


TECNOLOGIE

La tracciabilità tutela il made in Italy Un nuovo sistema integrato di tracciamento e garanzia, dall’origine al consumo, per proteggere le eccellenze italiane dai rischi della contraffazione e tutelare i consumatori. Francesco Marandino illustra la piattaforma Value Go® Diego Bandini

icerca e innovazione, supporto al business delle imprese e assistenza tecnica alla Pubblica amministrazione. È lungo queste tre direttrici che si snoda l’attività della Penelope Spa, società di Napoli nata nel 2003 con l’obiettivo di offrire le migliori soluzioni nei campi della Consulenza e dell’Ict. Ne è un esempio il progetto ValueGo®, un sistema integrato di tracciamento e garanzia “web centrico”, realizzato da Penelope e recentemente premiato dal Presidente della Repubblica, in occasione del Premio di Confindustria per l’innovazione nell’Ictm, per “il contributo nell'ambito della valorizzazione dei prodotti locali di qualità, il contrasto alla contraffazione e la sicurezza del consumatore, in un settore strategico per l’Italia”. «Il tema della tracciabilità oggi assume una grande valenza, anche alla luce dei fenomeni criminali legati al contrabbando, alla contraffazione e alla sofisticazione di prodotti alimentari e agricoli e dei relativi marchi garantiti, con ingenti danni al nostro sistema economico e sociale», spiega l’Amministratore di Penelope, Francesco

R Francesco Marandino, Amministratore Unico della Penelope Spa di Napoli www.penelopeonline.it www.valuego.it www.opera-prima.org

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Marandino. Value Go® è un esempio di best practice riconosciuta anche a livello istituzionale. Di cosa si tratta nello specifico? «Con Value Go® abbiamo dimostrato che il presidio dei livelli qualitativi e il controllo delle caratteristiche organolettiche lungo i vari stadi della filiera agroalimentare può essere facilmente “governabile”, attraverso una soluzione innovativa capace di coniugare al suo interno l’utilizzo delle più moderne tecnologie. ValueGo® segue tutte le fasi delle singole filiere produttive, dall’origine al consumo, utilizzando un’infrastruttura di comunicazione tra tag attivi e rete wi-fi per l’acquisizione di dati e informazioni. Tali informazioni possono così essere facilmente consultate a valle dal consumatore, con l’utilizzo di un semplice cellulare di ultima generazione». Può descriverci alcuni ambiti in cui è stata applicata la piattaforma Value Go®? «Value Go® è stato adottato per primo dall’azienda agricola Tenuta Vannulo, tra i più importanti produttori di mozzarella di bufala biologica della Campania. Attraverso la predisposizione di reti wifi all’interno delle stalle, abbiamo introdotto i necessari meccanismi di raccolta e memorizzazione


Francesco Marandino

L’utente, con un semplice smartphone, può reperire tutte le informazioni che hanno segnato la vita del prodotto

dei dati, tracciando interamente il percorso del latte, dalla mungitura fino al suo arrivo nei locali preposti alle successive lavorazioni. I dati raccolti sono poi elaborati da un software applicativo e convogliati in Tag Rfid passivo apposto su ciascuna confezione di mozzarella. Dalla lettura di questo tag l’utente può reperire tutte le informazioni che hanno segnato la vita del prodotto, le caratteristiche, i luoghi e i tempi di lavorazione. Siamo, inoltre, responsabili di tutto il sistema della tracciabilità per il lancio di un nuovo prodotto denominato “Fior di latte di Napoli” del gruppo Icca Spa, nell’ambito del progetto Bovlac. Tale prodotto è stato selezionato per rappresentare un pilota del Rfid Farm to Fork (F2F), progetto Europeo del programma Cip Ict Psp». A che punto è il processo di interlocuzione con le istituzioni in merito all’applicabilità del sistema Value Go® alle diverse filiere agroalimentari? «Verifiche e test hanno confermato la validità di ValueGo® sotto il profilo scientifico, tecnologico e operativo. Il progetto è stato illustrato ai vertici dei Nuclei Antisofisticazione e Sanità dei Carabinieri, dei Nuclei Antifrodi Carabinieri e del Ministero della Salute. Attualmente stiamo lavorando ad alcuni progetti da sviluppare in collaborazione con Coldiretti, il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali ed Expo 2015. Sotto l’aspetto innovativo siamo particolarmente orgogliosi di segnalare l’accordo strategico sotto-

scritto con Cisco Systems Italy per il potenziamento della piattaforma tecnologica». La sua azienda è però impegnata anche su altri ambiti. «Lavoriamo al fianco della PA, sia a livello centrale che locale. Forniamo assistenza organizzativo ad alcuni Uffici Giudiziari in Campania, nel quadro del piano nazionale di “Diffusione di buone pratiche negli Uffici Giudiziari”. Tale intervento si propone di favorire l’innalzamento dei livelli di servizio e il miglioramento dei livelli efficienza degli Uffici Giudiziari, attraverso la razionalizzazione e semplificazione dei processi di lavoro e l’adozione di strumenti e procedure finalizzate a un’efficace gestione dei rapporti con gli stakeholders». E per quel che riguarda i servizi alle imprese? «Offriamo servizi specialistici e personalizzati, in grado di fornire un contributo tangibile ai fini dell’incremento della revenue e del miglioramento dei livelli di business. Penso, ad esempio, alla linea di servizi “Opera Prima–Italian Excellence®”, creata per soddisfare le esigenze di internazionalizzazione delle Pmi italiane. “Opera Prima” si caratterizza per un servizio di affiancamento creato sulle specifiche esigenze di ogni singola impresa, allo scopo di instaurare una partnership finalizzata al conseguimento di un obiettivo condiviso, nell’ottica di un rapporto win to win che premia il raggiungimento del risultato». CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 79


IL SETTORE AUTO

Se un’incertezza normativa mina il settore dei ricambi auto Un grido di allarme scuote il mondo dei ricambi automobilistici. A parlarne è Rolando D’Amato, numero uno di Acacia – WSP Italy, l’azienda di Eboli oggi annoverata tra i principali produttori di ruote in lega di ricambio, che denuncia i rischi derivanti da un mercato monopolizzato Paolo Lucchi

onferma il suo piano industriale, consolidando il fatturato e mantenendo l’organico, nonostante una drammatica crisi del settore. La società Acacia, di Eboli, ha trovato il successo affermandosi come produttrice di ruote in lega di ricambio per autoveicoli a marchio WSP Italy. E nell’ultimo anno ha dovuto mostrare i muscoli. Non soltanto per fronteggiare la congiuntura, ma anche una situazione che, seppur non evidente agli occhi dei consumatori, cela una profonda disputa tra i produttori indipendenti, come Acacia, e le grandi case automobilistiche. Il problema nasce da una mancanza di regole certe o, perlomeno, da una scarsa applicazione di una normativa già vigente. Secondo

C

Rolando D’Amato, amministratore di Acacia – WSP Italy , Eboli (SA) www.wspitaly.com

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Rolando D’Amato, amministratore di Acacia Srl – WSP Italy, «Introdurre l’obbligatorietà delle norme tecniche sui ricambi non originali di qualità è fondamentale». È proprio questo il punto su cui nasce la disputa, vale a dire il riconoscimento del ricambio non originale come alternativo a quello prodotto dalla casa automobilistica. Dietro un nodo apparentemente semplice da sciogliere, viene infatti da dire che basterebbe seguire i parametri tecnici imposti, garantendo così un prodotto sicuro al consumatore a prescindere che sia di marca originale o meno, in realtà si scatena un confronto tra lobby dell’auto e piccole imprese. Sappiamo tutti, infatti, come il pezzo creato dal produttore automobilistico possa costare molto di più


Rolando D’Amato

Al settore serve un quadro normativo di riferimento chiaro, sia da un punto di vista tecnico che di certificazione obbligatoria di prodotto

di una replica. Ma ciò non significa che quest’ultima sia qualitativamente inferiore. Voi cosa chiedete, in definitiva, alle istituzioni? «Regole, regole chiare. Ma soprattutto che queste si adoperino per dare un quadro normativo di riferimento, sia da un punto di vista tecnico e di certificazione obbligatoria di prodotto, sia da quello giuridico e di tutela dall’aggressione dalle case costruttrici». Aggressione? «Purtroppo c’è chi vuole mantenere il settore, a mio parere irresponsabilmente, in uno stato di indefinitezza normativa. Mi riferisco alle grandi case automobilistiche, come Bmw, Porsche e Mercedes, che hanno ovviamente interesse a mantenere e perseguire uno stato di monopolio sul mercato dei cerchioni di ricambio e non solo. Con un mercato incerto sul fronte delle regole, si arriva anche alla diffusione di prodotti non sicuri per gli automobilisti. Non è un mistero che proprio di recente un’indagine della Procura e della Guardia di Finanza di La Spezia ha dimostrato come stiano circolando prodotti potenzialmente pericolosi». A livello giuridico cosa comporta una simile incertezza? «La mancanza di regole certe permette a taluni giudici di decretare che il componente di ricambio omologato, nel nostro caso la ruota in CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 83


IL SETTORE AUTO

lega, sia un “accessorio”. E di conseguenza il risorse pubbliche senza essere capaci di resticonsumatore che cerca un ricambio omologato, riconosciuto come tale dalla legge, dovrà rivolgersi al produttore del suo veicolo. Così il mercato si consegna a un vero e proprio monopolio oppure, ancora peggio, si aprono le porte a un mercato sommerso, in cui abbagliati da prezzi bassi, gli automobilisti rischiano di acquistare cerchioni non sicuri che talvolta presentano anche contraffazioni dei prodotti Acacia, come recentemente verificatosi con il marchio Tristar. Ciò, mentre i nostri, che sono idonei e identici a quelli realizzati dalle case automobilistiche, rimangono sugli scaffali solo perché definiti giuridicamente “accessori”». Voltiamo pagina e parliamo del mercato. Nonostante tutto la sua è un’azienda sana e che, ormai, ha un volto prettamente internazionale. «La nostra è un’azienda abituata a competere nel mercato internazionale e a confrontarsi direttamente, senza intermediari, con i mercati di tutto il mondo. Dall’Europa al Sudamerica, dal Giappone ai Paesi Arabi fino al Sudafrica. Operiamo in maniera assolutamente scevra da ogni retaggio assistenzialista. Ci siamo internazionalizzati autonomamente senza il bisogno di organismi quali l’Ice o la Camera di Commercio. Non ho timori nel dire che, spesso, queste istituzioni assorbono

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tuire alle imprese nulla di efficiente. Per non parlare, poi, del sistema tributario. Gli Enti e l’Agenzia per le Entrate possono spingersi fino al ricorso in Cassazione nonostante due gradi di giudizio che hanno dichiarato l’insussistenza delle loro richieste. In tutto ciò, un’azienda come la nostra riesce ancora a resistere e a mantenere il suo forte legame col territorio, ma fino a quando ciò sarà possibile?». Quali strategie vi occorrono per continuare a crescere? «Innanzitutto investire in nuove produzioni per allargare la gamma di ruote di ricambio compatibili, ambito su cui siamo leader al mondo, valorizzando le omologazioni ai sensi della ECE ONU R124. Per consolidarsi ed espandersi, poi, occorre essere presenti direttamente sulle direttrici di grandi flussi di merci. La nostra presenza in Cina e in America è parte di un piano parzialmente già realizzato ma ancora da potenziare». Da quali mercati si aspetta i riscontri migliori? «Indubbiamente da quelli asiatici. Su tutti Cina, Corea e Giappone. Ma riponiamo aspettative anche su Australia, Nuova Zelanda e Americhe». Quindi i prossimi investimenti guardano prevalentemente verso l’Oriente? «Investiremo soprattutto in Cina, sia per espandere le esportazioni verso tutti i paesi extraeuropei, sia per penetrare il mercato cinese stesso, che vanta un’enorme opportunità per tutte quelle imprese capaci di relazionarsi con i mercati. Investiremo anche in America del Nord». E per il mercato interno? «In Italia sono previsti investimenti finalizzati soprattutto a favorire le relazioni commerciali, per esempio con Brasile e Stati Uniti, attraverso un laboratorio di prova riconosciuto dai più importanti enti di omologazione mondiali». Parlando di innovazioni, quali passi in avanti dovrà compiere la vostra produzione?


Rolando D’Amato

«Indubbiamente, intendendo per qualità non solo quella di prodotto ma anche i servizi annessi, tutti gli investimenti sono tesi a migliorare il livello di assistenza e la rispondenza alle aspettative dei nostri clienti. Pensiamo, ad esempio, alla tracciabilità dei nostri prodotti. Dal punto di vista squisitamente tecnico ci aspettiamo un importante miglioramento qualitativo anche a seguito degli importanti investimenti effettuati sul nostro centro di ricerca e prova». A questo proposito, quello di Acacia – WSP Italy è uno di quei casi in cui, mentre la produzione fisica è delocalizzata, la ricerca e lo sviluppo restano ancorate al territorio italiano. Qui in Italia riuscite a collaborare con il mondo universitario? «Purtroppo non c’è alcuna collaborazione con le università. Qui si tocca un punto dolente. Imprese e atenei continuano a parlare lingue diverse, con negative ripercussioni sui ragazzi, che dopo gli studi si ritrovano impreparati al mondo del lavoro, e sulle aziende, che devono investire tempo e denaro su persone valide, ma che necessitano di formazione specifica. Queste ultime, poi, una volta formate magari ti lasciano per un’altra azienda». Cosa si aspetta dal futuro? «Crediamo che il Paese Italia debba prendere coscienza che non è il centro del mondo, ma una provincia, e anche alquanto remota. Per tornare più vicini al centro, tutti noi, media compresi, dobbiamo sforzarci di uscire da una logica provinciale. L’esempio del Politecnico di Milano, che introduce l’inglese come sua lingua, è emblematico e forte. Dobbiamo guardare al mondo se vogliamo sopravvivere. Dobbiamo formare classi dirigenti capaci di avere visioni globali e non provinciali. E ci deve essere la capacità di coniugare questo sguardo cosmopolita con la conservazione delle tradizioni. La sfida è soprattutto questa e richiede grandi valori etici ma anche grande intelligenza. Soprattutto, occorre una preparazione, al momento mancante nella classe politica

Dall’Italia al mondo Acacia è produttrice di ruote in lega di ricambio per autoveicoli a marchio WSP Italy. L’attività nasce per rispondere all’esigenza dei consumatori automobilisti che nel post vendita potrebbero avere l’esigenza di riparazione del proprio autoveicolo senza però ricorrere a parti originali. Nel suo ambito, Acacia – WSP Italy presenta una delle gamme più vaste al mondo di ruote in lega di ricambio, che da un lato garantiscono al consumatore un’alternativa meno costosa del prodotto originale e, dall’altra, assicurano livelli di affidabilità e sicurezza identici, essendo omologati dal Ministero dei Trasporti (Centro Prova Autoveicoli di Napoli) e dalla corrispondente Agenzia del Regno Unito (Vehicle Certification Agency – VCA). Dati da non sottovalutare in un settore che, come dimostrano recenti inchieste, vede la presenza di prodotti taroccati, pericolosi e di dubbia provenienza. L’azienda ha il suo headquarter gestionale a Eboli, dove si trova la base logistica, il centro progettazione e laboratorio di collaudo, ricerca e sviluppo. Il prodotto viene fisicamente realizzato in due stabilimenti in Cina, gli stessi da cui nascono i cerchi per alcune scuderie di Formula 1. Il management di Acacia – WSP Italy conta su una forza lavoro complessiva di quaranta addetti, che si muovono con un orizzonte assolutamente “worldwide”. I mercati di riferimento sono globali e impongono un continuo confronto con enti e istituzioni di tutto il mondo, tanto per aspetti commerciali e amministrativi, quanto per aspetti tecnici di prodotto.

“eletta”. Chi ci governa si è spesso rivelato incapace di valorizzare e utilizzare finanche le inimitabili risorse naturali, artistiche e paesaggistiche del nostro Meridione, sconosciute a qualsiasi altra parte del mondo. Ma diciamolo a voce bassa, perché potrebbero istituire qualche altro inutile ente per la valorizzazione del territorio che andrebbe a pesare ulteriormente sui contribuenti». CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 85


IL SETTORE AUTO

Cerchioni: accessori o parti di ricambio? otrebbe, all’apparenza, essere letta come una questione di secondo ordine. Ma la qualificazione giuridica dei cerchioni per auto si sta rivelando argomento di disputa tra grandi case automobilistiche e piccoli produttori indipendenti. Una questione che suscita non poche perplessità sul mercato e che coinvolge numerosi attori su uno dei comparti maggiormente strategici per la nostra industria. E, soprattutto, riguarda da vicino anche il consumatore. Il problema sta alla radice. Occorre capire se, giuridicamente, tali componenti sono da ritenersi come accessori o parti di ricambio dell’autovettura. «Il propendere per l’una o l’altra tesi è determinante per l’applicabilità della cosiddetta clausola di riparazione». A spiegarlo è l’avvocato Marco Esposito. Perché questa clausola è così importante? «In quanto avvalere la tesi secondo cui il cerchione per auto sarebbe un accessorio, significa eliminare dal mercato aziende che producono e commercializzano i cerchi replica, a vantaggio di particolarismi e lobby. Non è un caso se gli attori coinvolti in questa querelle sono, da un lato, le più importanti case automobilistiche, sostenitrici della tesi “ruote come accessori”, e, dall’altro, i produttori indipendenti fautori della tesi “ruote come parti di ricambio”. Lo scenario è quello dell’aftermarket». Sì, ma la clausola di riparazione già esiste. Cosa prevede?

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L’avvocato Marco Esposito www.espositostudiolegale.com

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Una domanda apparentemente banale ma che cela una disputa giuridica tra piccoli produttori e grandi case automobilistiche. Oltre che rappresentare un nodo fondamentale per la difesa del consumatore. Il Tribunale di Napoli si è recentemente espresso in tal senso. A parlarne è l’avvocato Marco Esposito Carlo Sergi

«È vero. Esiste ed è prevista dall’articolo 110 del Regolamento CE n.6 del 2002. Questo, oltre a introdurre la nozione di “ruote sostitutive replica”, riconosce espressamente il diritto dei produttori indipendenti di produrle e commercializzarle. Tali componenti vengono riconosciuti come “necessari per la riparazione del prodotto complesso al fine di ripristinarne l’aspetto originario”. Lo scenario normativo comunitario, quindi, rivela inequivocabilmente la tendenza a sostenere nel mercato dell’aftermarket la commercializzazione del ricambio indipendente e non originale». Si sostiene, quindi, una liberalizzazione del mercato? «Esattamente. E lo confermano il Regolamento Ece/Onu 124/2007 recepito dall’ordinamento italiano e la direttiva CE 46/2007». Lo scenario normativo è chiaro. Allora perché emerge la disputa con le case automobilistiche? «Perché ovviamente vogliono osteggiare il proliferare di ricambisti sul mercato. Il metodo per ottenere questo risultato, però, rivela una chiara intenzione di mantenere una posizione di monopolio. Questi colossi, infatti, con strategie alquanto simili tra loro, diffidano i ricambisti indipendenti dal continuare


Marco Esposito

Il Tribunale di Napoli ha riconosciuto come lecita la produzione di qualsivoglia modello di cerchione identico a quello fornito dalla casa costruttrice

a commercializzare i cerchi replica se non al rischio di subire azioni giudiziarie plurime. E si capisce bene che molte imprese temono di essere esposte, specie in questo periodo, ad azioni legali così importanti». Il consumatore, in tutto questo, cosa rischia? «Rischia di cadere nella trappola della disinformazione. Alcune case automobilistiche, infatti, sembrano voler tralasciare una questione fondamentale, vale a dire la corretta categorizzazione delle ruote, che si differenziano in sostitutive o di ricambio. Si possono infatti distinguere in ruote “sostitutive del costruttore del veicolo”, “sostitutive identiche”, “sostitutive replica”, “sostitutive replica parziale” e le cosiddette ruote “speciali”. Queste ultime, però, non sono originali, non adempiono ai criteri normativi previsti per larghezza, diametro e offset. Hanno, per intenderci, peculiarità diverse dal cerchio originale, non presenti nell’omologazione del veicolo». In pratica si soprassiede sulla circolazione di cerchi omologati, sicuri, e altri che, invece,

Aspetto originario del veicolo risultante dalla tesi per cui la ruota è un accessorio e non un componente dello stesso

non lo sono. «Il prescindere da questa distinzione ha l’effetto di riunire in un unico calderone produttori di ruote non omologate con altri, come per esempio la Acacia Srl, che realizzano ruote di assoluta qualità. L’attività di disturbo da parte delle case automobilistiche nel mercato delle ruote di ricambio costituisce un atto che io definirei di “obiezione – vanteria” circa l’esistenza del diritto, oltre che a rappresentare un abuso di posizione dominante. Il protrarsi di una simile pratica non può che annientare le piccole aziende sul mercato e danneggiare il consumatore, costretto all’acquisto di ruote originali presso le case costruttrici, a costi quadruplicati. Fortunatamente, nel caso di Acacia, il tribunale di Napoli ha compiuto un passo fondamentale». Quale? «Ha riconosciuto come lecita la produzione e vendita di qualsivoglia modello di cerchione identico a quello fornito dalla casa costruttrice, qualificandolo come “componente per la riparazione del prodotto complesso”. Questa sentenza, in pratica, segna il confine dell’esercizio del diritto. Speriamo che tale pronuncia indichi finalmente la rotta nel mare magnum delle norme e delle sue possibili, e talvolta impossibili, interpretazioni». CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 87




FINANZIAMENTI

Il nuovo parametro dell’intermediazione finanziaria econdo Carmine Grieco, responsabile della finanziaria Cap.Ital.Fin.: «Questo sarà certamente un anno complicato per tutta l’economia. Anche in considerazione delle nuove normative che impatteranno sul settore e per la situazione di instabilità e costante evoluzione del mercato del lavoro. Dunque questo sarà un anno durante il quale, per restare competitivi, bisognerà effettuare una costante e attenta analisi del mercato. Tuttavia sarà anche un anno di transizione, che potrà accompagnarci verso una riapertura del settore bancario e finanziario». Cap.Ital.Fin., con sedi a Napoli, Roma e Milano, è una società di intermediazione finanziaria che si rivolge principalmente al lavoro dipendente per la cessione del quinto e di prestiti con delega, essendo mandataria dei maggiori istituti di credito attraverso un’ampia rete di collaboratori presenti nei principali centri urbani nazionali. Il mondo dell’intermediazione finanziaria, complice la crisi e l’attenzione dei mass media, è ora più conosciuto dai lavoratori e, in generale, dai risparmiatori italiani. Anche lei osserva questo mutamento? «Posso certamente concordare. Ritengo che oggi gli istituti finanziari siano maggiormente conosciuti e, allo stesso tempo, “messi alla prova” da coloro che vi si rivolgono per richieste di finanziamento. Ed è proprio questo aspetto che ci interessa maggiormente e che noi della Cap.Ital.Fin cu-

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Carmine Grieco, responsabile della Cap.Ital.Fin. Spa di Napoli www.capitalfinspa.it

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La crisi ha dato visibilità al mondo dell’intermediazione finanziaria, che adesso è più conosciuto dai risparmiatori italiani. Carmine Grieco spiega quali sono attualmente le più frequenti richieste ed esigenze di finanziamento Manlio Teodoro

riamo con attenzione, perché è nel primo approccio con il potenziale utente che bisogna offrire assistenza, comprendere le reali motivazioni che hanno spinto a chiedere un prestito e fornire indicazioni sul prodotto finanziario più adatto». La crisi, secondo lei, ha avvicinato o allontanato i cittadini da realtà come la vostra? «Non credo che la crisi abbia determinato un allontanamento o un avvicinamento. Però ritengo che la situazione di incertezza protrattasi negli ultimi anni abbia sicuramente fatto conoscere il nostro settore e messo la maggior parte dei cittadini nella posizione di saper riconoscere chi realmente ha operato negli anni con trasparenza – fornendo piena informazione sul prodotto proposto come soluzione finanziaria alle problematiche esposte – e chi ha presentato soluzioni poco chiare». Sono cambiate le tipologie di utenti e di finanziamento? «La nostra clientela è formata per circa il 90 per cento da dipendenti di aziende pubbliche. Siamo fortemente radicati nella nostra regione fra i dipendenti dei Comuni e del set-


Carmine Grieco

tore sanitario e pertanto posso affermare che l’utenza non è certamente cambiata in questi anni. Attualmente la tipologia di finanziamenti più erogata, e che rappresenta il core business della società, è rappresentata senza dubbio dalla cessione del quinto dello stipendio, ma promuoviamo anche il prestito contro delegazione di pagamento, il prestito personale e stiamo raggiungendo anche ottimi risultati con il comparto mutui». Quali parametri e criteri crede andranno seguiti, nel prossimo futuro, nell’analizzare le condizioni per la concessione di un finanziamento? «Posto che le principali condizioni da rispettare restino invariate – attualmente, nel caso della cessione la quota non può superare il quinto dello stipendio netto e la durata massima stabilita in 120 mesi, così come il puntuale adempimento di quanto previsto dall’articolo 39 del Dpr 180/50 in materia di rinnovi delle operazioni –, ritengo che verrà analizzata in maniera sempre maggiormente dettagliata la situazione debitoria del potenziale cliente e quindi la sua possibilità di far fronte agli impegni assunti, cosa che la nostra società già adotta come strumento di verifica della clientela».

La situazione debitoria del richiedente, cioè la possibilità di far fronte agli impegni, verrà analizzata in maniera sempre più dettagliata

Quale bilancio può trarre a seguito dell’attività del 2011? «Nonostante i radicali cambiamenti in atto nel settore creditizio, che hanno certamente influito anche sull’andamento produttivo della nostra società, possiamo ritenerci comunque soddisfatti dell’attività svolta e dei numeri raggiunti nell’anno appena trascorso. Questo grazie anche al consolidamento delle partnership con i maggiori istituti bancari nazionali. Fra i principali risultati raggiunti ricordo l’aver mantenuto costante il valore della produzione e l’avere consolidato e ampliato la nostra rete distributiva sul territorio nazionale – le prossime regioni obiettivo saranno l’Emilia Romagna e il Lazio. Le maggiori criticità sono invece state dettate dalla necessità di mantenere la competitività sul mercato finanziario dei prodotti offerti e ottenere, allo stesso tempo, margini adeguati, sia con la vendita del prodotto diretto che con l’attività di intermediazione svolta attraverso i maggiori istituti di credito». CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 91




IL MERCATO ALIMENTARE

Cambia il contenuto del carrello della spesa Il mercato dell’alimentare non è solo grande distribuzione. Market e minimarket continuano ad avere un ruolo importante, intercettando le esigenze di acquisto di larghe fasce della popolazione di Napoli e provincia. Salvatore Bagnati fa un’analisi della distribuzione nel normal trade Luca Cavera La sede della società di distribuzione di prodotti alimentari Delizie del Sud Srl si trova a Nola (NA) www.ledeliziedelsud.it

utte le indagini statistiche, da ultima quella della Cia (Confederazione Italiana Agricoltori), non fanno che confermare il calo dei consumi, che ha raggiunto anche gli alimentari. Nel 2011 il carrello della spesa delle famiglie italiane si è svuotato del 2 per cento, dato che si riconferma e che nemmeno le festività pasquali hanno risollevato. Secondo Salvatore Bagnati, titolare della società di distribuzione di prodotti alimentari all’ingrosso Le Delizie del Sud: «La minore disponibilità

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economica delle famiglie ha condotto a una sorta di “rieducazione” nel fare la spesa, soprattutto per quanto riguarda la Gdo, che vede diminuire il numero di clienti che fa scorte settimanali e aumentare lo spostamento verso i discount – che non a caso nell’ultimo decennio sono costantemente cresciuti con valori percentuali a due zeri». Le Delizie del Sud è specializzata nel rifornimento della fascia normal trade, ovvero market e minimarket. «La nostra azienda rifornisce esclusivamente i punti vendita al pubblico del territorio di Napoli e provincia. La situazione che osserviamo in questo contesto, per quanto riguarda le abitudini di acquisto, ha una sua specificità. Premesso che una crescita significativa dei volumi è impossibile in assenza di una parallela crescita della popolazione, rivolgendoci a negozi collocati in quartieri popolari, il nostro è un bacino di utenza dal potere di acquisto pro capite medio-basso. Questo vuol dire che rispetto a uno scontrino medio regionale di 20-22


Salvatore Bagnati

30 mln EURO

Fatturato medio annuo delle società del gruppo controllato dall’imprenditore Salvatore Bagnati

+10% FATTURATO

Incremento registrato nel 2011 dalla Delizie del Sud Srl, prima azienda del gruppo per fatturato (16 milioni di euro)

euro, nei negozi che noi serviamo i registratori di cassa battono scontrini che spesso sono al di sotto dei 10 euro. Questo dato va spiegato però anche secondo la logica del “negozietto sotto casa”. Il consumatore ha la possibilità di acquistare giorno per giorno quanto serve e quindi rinuncia a fare scorte». Se la logica dell’acquisto limitato al consumo immediato sta penalizzando la grande distribuzione, mentre rimane sostanzialmente lo standard di consumo nel piccolo negozio di quartiere, altro discorso è quello che riguarda la scelta dei marchi. «Le più grandi aziende dell’alimentare, sebbene costantemente pubblicizzate a livello nazionale, stanno registrando un calo sia di volumi sia di fatturati. Questo fenomeno rientra sempre in quella che si può definire una “rieducazione” alla spesa, che questa volta è trasversale ai canali di vendita, interessando tanto la grande distribuzione che la fascia normal trade. Resi-

La minore disponibilità economica delle famiglie ha condotto a una sorta di rieducazione nel fare la spesa

stono invece i marchi noti a livello regionale. Noi siamo specializzati nel dolciario e nel conserviero e, per esempio, nella fascia di prodotto dei “rossi” – ovvero passate, pelati, polpa di pomodoro –, i marchi delle aziende locali continuano ad avere successo». Nonostante il calo dei consumi, la società amministrata da Salvatore Bagnati ha registrato nel 2011 un incremento di fatturato del 10 per cento, al quale però non è seguito un equivalente incremento degli utili, a causa della crescita dei costi di gestione. «Una delle voci che sta pesando in molti settori è quella dell’aumento del costo dei carburanti. Sulla nostra realtà, tuttavia, questa rappresenta una voce relativamente importante, dato che serviamo un’area geografica non molto estesa e che le nostre consegne vengono effettuate solo a partire da un minimo numero di colli. Nonostante la costante corsa del prezzo dei carburanti, infatti, nei primi tre mesi del 2012 siamo ancora cresciuti del 10 per cento e prevediamo che a fine anno il costo della benzina peserà, al massimo, per un mezzo punto percentuale in più sul nostro fatturato». Alla luce di questi risultati positivi e convinto che la Campania abbia in sé un potenziale commerciale tuttora sottovalutato dal sistema economico-bancario – che ancora fa pagare a questo territorio il gap industriale rispetto ad altre aree del paese –, Salvatore Bagnati continua a investire nella regione: «Recentemente abbiamo potenziato la nostra capacità di deposito, sommando ai nostri 2.500 metri quadrati di magazzino altri 1.500 metri quadrati di capannoni di stoccaggio. Il prossimo investimento riguarderà invece la realizzazione di un impianto fotovoltaico annesso alle nostre strutture, perché crediamo nella necessità di uno sviluppo sostenibile. Accanto all’attività di distribuzione, il nostro gruppo ha scelto anche di diversificare l’attività. Infatti ci occupiamo della gestione di un supermercato a nostro marchio a Napoli, abbiamo una società che gestisce acquisti mirati per Delizie del Sud e possediamo un’area di servizio nei pressi di Nola e Marigliano». CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 101


L’olio made in Italy conquista il Giappone La famiglia Ranieri dall’inizio dell’Ottocento produce olio extra vergine di oliva. Oggi la percentuale maggiore del fatturato deriva dall’export. Raffaele e Gaetano Ranieri spiegano come hanno conquistato i mercati esteri con la qualità della dieta mediterranea Luca Cavera

L’

internazionalizzazione della dieta mediterranea passa dall’export di uno dei suoi elementi base: l’olio extra vergine di oliva. La Mira Sud di Terzigno, azienda con una forte impronta familiare che vanta ormai una storia bisecolare, dopo un lungo periodo di produzione e vendita a livello locale, è riuscita a conquistare, con il proprio olio di oliva, trentuno paesi esteri e in particolare il mercato giapponese. Nel paese del sol levante, l’azienda, oggi guidata dai fratelli Raffaele e Gaetano Ranieri, si colloca attualmente come uno dei principali esportatori di olio made in Italy, avendo conquistato una consistente quota di mercato. Risultato questo tut-

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t’altro che scontato, data la grande attenzione dei giapponesi nella valutazione di qualità e salubrità degli alimenti. «Non è stato facile fare apprezzare e fare capire la nostra filosofia a un popolo così esigente e così lontano dalla nostra cultura alimentare» spiega Raffaele Ranieri. «Tuttavia, con la nostra passione e il nostro amore per l’olio, siamo riusciti a coinvolgerli nei nostri progetti e insieme a loro abbiamo raggiunto traguardi importanti, che, anche per il futuro, hanno già aperto le possibilità ad altri obiettivi e settori del mercato». Com’è iniziato il processo di internazionalizzazione dell’azienda che vi permette oggi di esportare il 60 per cento della vo-

Gaetano e Raffaele Ranieri, titolari della Mira Sud Srl di Terzigno (NA), insieme alla madre Maria Rosaria oliomira@libero.it www.oliomira.it


Raffaele e Gaetano Ranieri

15 mln EURO

Fatturato 2011 della Mira Sud Srl. La previsione per il 2012 è di chiudere con un risultato di 19 milioni di euro

60% EXPORT

Quota della produzione degli oli della Mira Sud Srl destinata a 31 mercati esteri, con in testa quello giapponese

stra produzione? «Abbiamo iniziato a lavorare con il Giappone nel 1993, quando abbiamo deciso di confrontarci con un mondo nuovo e uno stile di vita totalmente diverso dal nostro. Nei decenni intercorsi da allora, abbiamo avuto modo di instaurare solidi rapporti di amicizia e collaborazione con questo popolo, che ci ha anche insegnato un modus operandi improntato alla precisione e alla cura particolare per ogni dettaglio. Ciò che abbiamo dato in cambio è stato l’amore per l’olio e i suoi benefici. Oggi riceviamo settimanalmente gruppi di giapponesi in visita nella nostra azienda, ai quali spieghiamo e facciamo toccare con mano come si produce l’olio, rendendoli partecipi di tutte le fasi della lavorazione, in particolare nei periodi di raccolta, durante i quali li portiamo a visitare i siti produttivi in campagna». Avere vinto la sfida del mercato giapponese è stato uno stimolo per entrare anche in altri paesi? «È stato certamente un risultato fondamentale per avviare l’ingresso in altri mercati in diverse parti del mondo. Da allora la nostra strategia è stata quella di puntare sempre di più sui nuovi mercati internazionali, cercando di consolidare quanto di buono fatto, senza mai distogliere lo sguardo dal passato e quindi coniugando le antiche tradi-

zioni dei nostri antenati con le moderne innovazioni tecnologiche. Questo vuol dire avere incentrato la politica commerciale nella realizzazione di un prodotto di ottima qualità». La vostra scelta di puntare sulla qualità è riuscita a combinarsi anche con un prezzo accessibile. Com’è stato possibile unire questi due aspetti così importanti per il mercato? «I nostri controlli qualitativi sono di altissimo profilo: ogni litro di prodotto che esce dall’azienda è prima stato visionato e controllato con cura, verificandone blend e gusto. La nostra scelta di offrire il prodotto a un prezzo accessibile a tutti è dettata dall’attuale situazione di crisi generale e la consideriamo una forma di attenzione alle esigenze del consumatore finale. Per ottenere dei costi sostenibili, abbiamo rafforzato le sinergie con il mondo agricolo, riducendo i costi di raccolta e lavorazione in campagna, meccanizzando e automatizzando sempre di più il processo produttivo e lavorando le olive al giusto punto di maturazione, in modo da ottenere rese e prodotti di ottima qualità. Insomma, abbiamo cercato di limitare ed evitare le intermediazioni inutili, creando un rapporto diretto fra agricoltore e confezionare e ottimizzando tutte le fasi. Questo ci ha permesso, anche in questa fase di crisi, di avere un trend di fatturato e di produzione in costante crescita». CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 103


PRODOTTI ALIMENTARI

Il settore ittico, criticità e prospettive La crisi ha complicato l’importazione di pesce congelato destinato al mercato campano. Giuseppe Amoruso, manager della Mediterranea Pesca Spa, spiega quali sono le maggiori criticità e come le affronta il principale distributore della regione Manlio Teodoro

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egli ultimi anni, i consumatori campani si stanno rivolgendo sempre più, per quanto riguarda i prodotti ittici congelati e surgelati, ai semielaborati, ovvero a pesce lavorato a tranci o a filetti e porzionati vari, quindi pronto per una cottura semplice e pratica. E’ proprio verso questa tipologia di prodotto che stiamo concentrando la nostra offerta, al fine di garantire la possibilità di consumare un alimento di qualità che non richieda una preparazione complessa». È questo lo scenario di mercato che tratteggia Giuseppe Amoruso, amministratore e responsabile acquisti della Mediterranea Pesca SpA che, alla guida dell’azienda insieme ai fratelli Paolo e Gennaro, rappresenta la seconda generazione della famiglia Amoruso – e nella quale anche la terza ha iniziato a muovere i primi passi. L’azienda rientra nel 47 per cento delle imprese italiane di tipo business family il cui governo economico fa capo ad imprenditori con età

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Sopra, Giuseppe Amoruso, amministratore e responsabile acquisti della Mediterranea Pesca Spa di Mugnano di Napoli (NA). Nella pagina a fianco, il fondatore della società, Aniello Amoruso, con i figli Giuseppe, Paolo e Gennaro www.mediterraneapesca.it

inferiore ai 60 anni. La società importa e commercializza prodotti ittici in particolare nel mercato campano e del Meridione d’Italia. Alla lavorazione e congelazione del pesce – core business dell’azienda fin dalla fondazione per opera di Aniello Amoruso –, si è aggiunta anche la distribuzione di prodotti gastronomici congelati lavorati da terzi, con una gamma di oltre cinquecento articoli fra vegetali, dolci e rosticceria. Verso quali soggetti distribuite i vostri prodotti? «La nostra attività di importazione dall’estero ci vede in contatto con fornitori distribuiti in Europa, Asia, Africa e America. Con questi abbiamo rapporti di durata decennale, fortemente


Giuseppe Amoruso

consolidati da una politica di trasparenza, che ci permette di distribuire nel mercato campano – ma anche nel resto del Sud – una vasta gamma di prodotti, per molti dei quali, ricopriamo il ruolo di concessionaria esclusiva con i marchi leader nella produzione di surgelati. La rete distributiva spazia dal grossista locale al piccolo dettagliante, raggiungendo le principali catene di ristorazione, hotel e mense per un portfolio totale di circa 1500 acquirenti. L’obiettivo principale è potenziare e diramare la nostra presenza in Campania e nel centro sud Italia». La crisi ha determinato mutamenti nei vostri rapporti con i fornitori e il mercato della distribuzione? «I nostri fornitori esteri, data la congiuntura economica poco florida, esigono una solida e duratura garanzia finanziaria. A questo si aggiungono altre due questioni, la scarsa reperibilità di alcuni prodotti che ha fatto aumentare i prezzi, cresciuti anche del 50 per cento, e l’insolvenza di molti compratori locali. Dunque, se da una parte noi sosteniamo uno sforzo finanziario per acquistare la stessa quantità di prodotto a un prezzo

maggiorato, dall’altra dobbiamo selezionare accuratamente i nostri clienti, evitando quelli a rischio insolvenza. In più, con la stretta del credito, ci troviamo nella condizione di effettuare acquisti sempre più limitati al medio periodo. Una programmazione a lungo termine è attualmente impossibile, se non mettendo in conto rischi elevati». Qual è la strategia alla base del lancio della vostra linea di prodotti Mareperla? «Nel corso degli anni e con la crescita della società, è emersa l’esigenza di differenziare maggiormente determinati prodotti dagli stessi immessi sul mercato dai nostri competitor. Il modo migliore per sottolineare e rendere riconoscibili le loro particolari specifiche di qualità è stato quello di legarli a un marchio che il consumatore può facilmente individuare al momento della scelta di acquisto. In un mercato dalla concorrenza spietata, ai non addetti ai lavori, i prodotti rischiano di apparire qualitativamente simili, dunque abbiamo investito per incrementare la personalità della nostra proposta». La vostra azienda è molto attenta alla questione della sostenibilità ambientale. Quali sono le vostre politiche in tal senso? «Il nostro stabilimento industriale dispone di un impianto fotovoltaico da 195 kWh, un investimento di circa un milione di euro. A livello di consumi energetici soddisfa circa il 20 per cento annuo del fabbisogno aziendale e i primi incrementi sull’utile si verificheranno fra circa un decennio. Ciò che ci ha spinti verso quest’investimento, in linea con le direttive comunitarie europee, è stata anche la nostra sensibilità per le questioni ecologico ambientali». CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 105




RISPARMIO ENERGETICO

Solar cooling e progettazioni sostenibili Nel Mediterraneo si diffonde la consapevolezza che un’efficace riqualificazione non può prescindere da un’altrettanto efficace diagnosi energetica. Ne parla l’ingegner Luigi Vinci Elisa Fiocchi

er il raggiungimento dei traguardi di sviluppo sostenibile del terzo millennio e per incrementare la consapevolezza del cortocircuito che esiste fra povertà e scarsità di energia, l’Onu ha scelto il 2012 come anno internazionale dell’energia sostenibile per tutti. L’obiettivo è dimostrare come l’accesso a forme di energia pulite, sicure ed economiche, sia in grado di migliorare il tenore di vita dei popoli, e per farlo sono in programma azioni concrete attraverso l’attività di speciali commissioni locali. La Regione Campania ha già adottato nel 2011 il protocollo Itaca, che ha introdotto criteri generali per la progettazione e la realizzazione degli interventi edilizi allo scopo di assicurare la tutela ambientale e il risparmio energetico. «Il rispetto dei protocolli di sostenibilità, quali Itaca e Leed in Italia, può costituire una vera garanzia per far convivere gli aspetti bio-

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logici, ecologici e sociali nelle nuove costruzioni». Il punto di Luigi Vinci, presidente dell’Ordine degli ingegneri napoletani. In che cosa consiste il nuovo metodo di valutazione degli immobili e quali vantaggi offre al territorio? «Grazie all’analisi congiunta di alcune categorie opportunamente pesate, possiamo valutare la sostenibilità di un intervento edilizio. Le aree di valutazione tengono in consi-

derazione le principali problematiche ambientali quali la qualità del sito, il consumo di risorse, i carichi ambientali, la qualità dell’ambiente indoor e del servizio. I sottocriteri riguardano particolari aspetti delle aree, per esempio, per quanto riguarda il consumo di risorse, possono essere considerate l’energia primaria non rinnovabile e quella da fonti rinnovabili, l’ecocompatibilità dei materiali utilizzati, il consumo di

Luigi Vinci presidente ord. Ing Napoli


Luigi Vinci

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Si registra una marcata presa di coscienza del problema tipico della climatizzazione degli edifici nel Mediterraneo, cioè il contenimento dei fabbisogni per il raffrescamento

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acqua potabile. È indubbio che il rispetto dei suddetti criteri si traduce in una significativa riduzione dell’impatto delle costruzioni sul territorio, salvaguardando, dunque quest’ultimo da un uso improprio ed indiscriminato». Quali nuovi progetti e metodologie d’intervento all’insegna del risparmio energetico sono state introdotte per riqualificare il pa-

trimonio edilizio esistente? «In termini di progetti, si diffonde la consapevolezza che una efficace riqualificazione non può prescindere da una altrettanto efficace diagnosi energetica; tale consapevolezza si traduce in una più che corretta domanda di formazione specialistica da parte dei professionisti che, dunque, tendono a proporsi con rinnovata professionalità con innegabili vantaggi per gli utenti finali e la comunità tutta. Come già accennato in precedenza, fortunatamente, le tecniche di intervento sono sempre più numerose, variegate ed efficaci». Quali prospettive future sono emerse dalla mostra convegno Energy Med sulle fonti rinnovabili e sull’efficienza energetica nel Mediterraneo? «Il mondo della ricerca industriale, anche sulla base delle sollecitazioni delle esperienze maturate sul campo dai diversi operatori del settore, continua a proporre strumenti e metodologie innovative per affrontare il tema della riduzione dei consumi di energia da fonti non rinnovabili. In particolare, quest’anno si registra una marcata presa di coscienza del problema tipico della climatizzazione degli edifici nelle aree del mediterraneo, ovvero il contenimento dei fabbisogni per il raffresca-

mento. A tal proposito si segnala l’ormai completa maturazione delle pompe di calore/refrigeratori che prevedono lo scambio termico con il suolo e gli ulteriori decisivi sviluppi del solar cooling, ovvero di quei dispositivi di raffrescamento che sfruttano l’energia solare». In che modo il progetto di sperimentazione edilizia “Le residenze del sole” opera per favorire questo processo culturale? «L’intervento in questione è di particolare interesse dal punto di vista della sostenibilità dei processi edilizi e urbanistici; esso infatti affronta l’intero processo della costruzione, a partire dal concepimento e dal progetto, in termini di sistema integrato. Le competenze professionali vengono tutte attivate contemporaneamente e dal primo momento al fine di una individuazione armonica delle varie esigenze specifiche. Inoltre, è stata posta grande attenzione nell’analisi storica del territorio scelto per l’insediamento, così da garantire un inserimento il più possibile rispettoso del contesto storico, architettonico e ambientale, coniugato con una massimizzazione delle sfruttamento delle energie rinnovabili in situ e una minimizzazione dei carichi termici ambientali». CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 109


RISPARMIO ENERGETICO

Tecnologie per il risparmio energetico La direttiva europea introduce nuovi obiettivi in materia di rinnovabili ma gli operatori del settore vogliono chiarezza. «Sono normative imposte dall’alto, conciliate con le canalizzazioni climatiche locali e monumentali che creano evidenti incongruenze» dichiara Pasquale Ranieri Elisa Fiocchi

attuazione in Italia della direttiva Res, meglio conosciuta come decreto rinnovabili, è stata al centro di un dibattito tra gli addetti del settore che si sono confrontati in merito alle reali opportunità di risparmio energetico e alle possibili soluzioni tecnologiche da adottare nel rispetto delle nuove regole introdotte sull’integrazione delle rinnovabili negli edifici nuovi e ristrutturati. Pasquale Ranieri, delegato territoriale dell’Aicarr, l’associazione italiana condizionamento, riscaldamento e refrigerazione, analizza alcuni limiti contenuti nel decreto, sottolineando le difficoltà che potrebbe incontrare il progettista se adottasse un’in-

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Pasquale Ranieri, delegato territoriale di Aicarr in Campania

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terpretazione non corretta. «La direttiva europea – afferma – potrebbe avere un ruolo decisivo nel futuro ma da una sua più approfondita analisi si osserva, al contrario, un blocco totale in riferimento alle condizioni climatiche di calcolo, nordiche, per nulla adeguate al clima mediterraneo». In che cosa consistono i maggiori limiti della direttiva? «Da opportunità è diventata criticità costante per i nostri progettisti. Il valore limite di produzione di energia da fonte energetica rinnovabile previsto a regime, fissato pari al 50 per cento nel 2017, è molto più alto di quanto richiesto dalla direttiva europea 28/09 ed è, di fatto, difficile se non impossibile da raggiungere in molte utilizzazioni nelle quali il fabbisogno estivo supera quello invernale». Quali rischi comportano tali criticità per il settore? «Uno di questi è di far scattare il vincolo dell’impedimento tecnico che impedirebbe il raggiungimento degli obiettivi tanto osannati. Le incongruenze poi, continueranno perché pur proponendo un metodo di calcolo della quantità di energia da fonti rinnovabili, sfruttando le pompe di calore in maniera

molto semplice, la tipologia d’intervento risulta più finalizzata al residenziale e con riscontri peggiori poiché questi tipi di edifici consumano una quantità maggiore di energia primaria. In questo modo si premiano le pompe di calore con un’efficienza mediocre, non considerando invece come viene effettuata l’integrazione e le variabili di resistenza elettrica/caldaia a


Pasquale Ranieri

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Scorrette interpretazioni, rischiano di spingere il progettista a scelte energivore per nulla in linea con lo spirito del decreto

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condensazione o altro. In più, penalizzerebbe quelle pompe di calore alimentate da altro combustibile». In quali difficoltà potrebbe incorrere il progettista se adottasse un’interpretazione non corretta del decreto? «Il riutilizzo dell’aria espulsa deve essere considerato un processo di recupero di una fonte energetica rinnovabile, se si con-

sidera che l’aria estratta dall’ambiente contiene energia aeraulica che si trova generalmente in condizioni favorevoli rispetto a quelle dell’aria esterna. Si tratta di una sorgente inesauribile, fin quando l’impianto è in funzione, anche se in questo caso, potrebbe sorgere qualche problema sul metodo di calcolo della quantità di energia da fonte rinnovabile

produttiva. Il gruppo frigorifero deve essere inteso nel suo lavoro di pompa di calore, producendo caldo e recuperando freddo. Se invece lo si intende come refrigeratore, cioè recuperando caldo e riducendo così il fabbisogno di energia termica dell’edificio, si rischia di spingere il progettista a scelte energivore per nulla in linea con lo spirito del decreto». A tal proposito, come Aicarr offrirà sostegno e suggerimenti su come operare? «In questa fase, molto importanti saranno i decreti attuativi che andranno a rendere operativo il decreto legislativo 28/11 affinché siano impostati per favorire realmente il risparmio energetico, sostenendo tutte le tecnologie che possano raggiungere lo scopo e favorendo così il lavoro del progettista, fornendo suggerimenti su come operare rispettando la direttiva europea. Come operatori del settore, ci troviamo nella posizione di doverci scontrare con le normative che ci vengono imposte dall’alto, ovvero dall’Unione europea, che molti conciliano con le canalizzazioni climatiche locali e monumentali e che creano evidenti incongruenze con l’effetto di limitare la capacità operativa e imprenditoriale degli operatori del comparto e con evidenti ripercussioni sul fronte occupazionale. Le norme, oggi più che mai, dovrebbero essere quanto più finalizzate a sviluppare il mercato del lavoro in modo esponenziale». CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 111


TRATTAMENTO DELLE ACQUE

Tecnologie per l’ambiente La costruzione di macchinari innovativi per il trattamento delle acque reflue è la chiave che permette di massimizzare i vantaggi ambientali in questo particolare ambito. Criticità e prospettive del settore secondo Carlo D’Ambrosio Diego Bandini

uello della sostenibilità ambientale è oggi un valore sempre più importante per le aziende, anche per i suoi risvolti economici. La conferma arriva da Carlo D’Ambrosio, amministratore della Ecomac, società di Scafati specializzata nella costruzione di macchine per l’ecologia atte alla depurazione delle acque reflue, civili e industriali e al trattamento fanghi. «L’ecosostenibilità ad oggi resta l’investimento più urgente e inderogabile per il mondo industriale. In questo senso il trattamento delle acque reflue può fornire un contributo fondamentale».

Q Carlo D’Ambrosio, amministratore della Ecomac Srl di Scafati (SA). Con lui alla guida dell’azienda ci sono anche Santolo Staiano e Giancarlo Fele. www.ecomacsrl.com

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Tra i macchinari da voi realizzati quali sono al momento quelli più richiesti dal mercato? «Tutte le macchine prodotte dalla società hanno larga richiesta, anche perché fanno parte delle varie fasi della depurazione delle acque e del trattamento dei fanghi. Quando siamo coinvolti direttamente nella fase progettuale dell’impianto cerchiamo di comprendere le specifiche necessità del committente, individuando di conseguenza la macchina più adatta e affidabile per ogni singola fase depurativa». Nella vostra attività fondamentali sono anche la ricerca e l’innovazione tecnologica. A questo proposito collaborate anche con enti di ricerca o Università per lo sviluppo delle vostre macchine? «Dedichiamo ingenti risorse alla ricerca di nuove apparecchiature e al perfezionamento dei macchinari già esistenti, per migliorarne la qualità e l’affidabilità nel tempo. A tal proposito Ecomac ha raggiunto importanti traguardi, grazie all’esperienza maturata seguendo

il post vendita direttamente sugli impianti, e ai costanti controlli di operatività e di funzionalità effettuati sulle apparecchiature fornite. Collaboriamo inoltre con esperti progettisti e professori universitari. Recentemente abbiamo stipulato una convenzione con l’Università di Salerno, che permetterà di testare e ricavare dati reali sulla resa di alcune macchine, situate presso l’impianto pilota all’interno della sede universitaria. Operando in questa direzione, le nostre apparecchiature, al di là delle previsioni progettuali, assumono un valore aggiunto tale da distinguerle da quelle della concorrenza, che spesso non dà importanza alla qualità e alla funzionalità nel tempo». Quali sono le peculiarità che hanno permesso di affermarvi? «La Ecomac nasce ufficialmente nel 1997, ma porta in sé un bagaglio di esperienza ventennale. La professionalità dei soci fondatori, unita all’esperienza dell’intero staff, alla flessibilità operativa e alla disponibilità verso la clientela, nel giro di pochi anni,


Carlo D’Ambrosio

hanno consentito lo sviluppo deciso dell’azienda, e la conquista sempre maggiore di quote di mercato». Quale bilancio è possibile trarre dall’ultimo biennio di attività di Ecomac? «In linea generale possiamo ritenerci soddisfatti, soprattutto in considerazione dell’attuale periodo di crisi. L’indebitamento delle pubbliche amministrazioni ha letteralmente fermato l’economia per quanto concerne i lavori di pubblica utilità, e questo vale anche per le opere per il trattamento delle acque reflue. Pur non avendo contatti diretti con le pubbliche amministrazioni, infatti, siamo strettamente legati a loro attraverso i nostri clienti, e questa situazione ha provocato non pochi disagi. Ecomac gode comunque di ottima salute, grazie anche a un’attenta gestione aziendale implementata negli anni

Dedichiamo ingenti risorse alla ricerca di nuove apparecchiature e al perfezionamento dei macchinari già esistenti, per migliorarne la qualità e l’affidabilità

scorsi. Mi preme, inoltre, rivolgere un particolare ringraziamento ai nostri fornitori, che ci hanno sostenuto anche nei momenti in cui abbiamo dovuto sacrificarci in termini di costo per portare a casa qualche ordine».

Quali sono le prospettive e gli obiettivi per il futuro dell’azienda? «In una situazione di difficoltà come quella che stiamo vivendo gli obiettivi da perseguire nel breve periodo sono quelli che accomunano ormai tutte le aziende ancora “sane”, e in grado di rimanere in modo efficiente sul mercato. Speriamo che l’attuale governo riesca a imprimere una svolta concreta alla politica economica nazionale, prestando maggior attenzione alle piccole e medie imprese, che rappresentano la spina dorsale del Paese, e che per questo meritano fiducia e sostegno da parte delle istituzioni». CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 113




GESTIONE RIFIUTI

Cresce la differenziata a Torre Annunziata l 31 marzo 2012 è stata raggiunta la percentuale del 43 per cento di raccolta differenziata nel comune di Torre Annunziata. Al raggiungimento di questo importante risultato hanno certamente contribuito le numerose situazioni di emergenza rifiuti susseguitesi negli ultimi anni in Campania e soprattutto nel napoletano. «Il clamore suscitato dai momenti di criticità è stato un fattore di svolta decisivo sia per sensibilizzare la popolazione che per stimolare nelle amministrazioni locali l’avvio di azioni concrete per l’inizio del percorso virtuoso della raccolta differenziata». A commentare il risultato è l’avvocato Giuseppe Dessì, ammi-

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Il comune del napoletano è prossimo a raggiungere entro giugno 2012 il 50 per cento di raccolta differenziata. Grazie alle scelte dell’amministrazione comunale, al supporto della multiutility locale e, ovviamente, al contributo dei cittadini. La parola all’avvocato Giuseppe Dessì Manlio Teodoro

A destra, in basso, l’avvocato Giuseppe Dessì, amministratore delegato della Oplonti Multiservizi Spa di Torre Annunziata (NA) - www.oplontimultiservizi.com


Giuseppe Dessì

È maturata la consapevolezza che un cambiamento radicale nella gestione dei rifiuti avrebbe migliorato la qualità dell’ambiente

nistratore delegato della società Oplonti Multiservizi, che gestisce le attività di raccolta e trasporto dei rifiuti per il comune di Torre Annunziata, oltre che della gestione del centro di raccolta comunale. «Il dato del 43 per cento rappresenta una tappa importante di un percorso di cambiamento che il nostro comune ha intrapreso a partire dal novembre del 2010. In quel momento infatti è stata maturata la piena consapevolezza che soltanto un cambiamento radicale nella filosofia della gestione dei rifiuti e nel concetto stesso di rifiuto avrebbe portato un contributo serio e certo al miglioramento della qualità dell’ambiente, all’incremento

delle attività di recupero a danno di quelle di smaltimento». Il percorso avviato alla fine del 2010 che vi ha portato al risultato di marzo ha interessato soprattutto l’attività del 2011. Dunque quale bilancio può trarre sull’anno scorso? «Il 2011 è stato l’anno in cui si sono intensificate le attività, spingendo sulla raccolta differenziata del tipo porta a porta – che ha previsto l’eliminazione dei cassonetti stradali per oltre il 50 per cento del territorio cittadino – e raggiungendo il primo obiettivo in termini percentuali di raccolta differenziata, cioè il 35 per cento. Nonostante le difficoltà economiche e gestionali iniziali, la società è stata in grado di operare una profonda trasformazione, adattando le proprie risorse alle esigenze dettate dal nuovo tipo di servizio. Abbiamo intrapreso così un percorso di informazione e sensibilizzazione ambientale che si è rivolto sia agli operatori sia ai cittadini e che nello specifico si focalizzava sul tema della raccolta differen-

ziata. Importantissima è stata poi l’inaugurazione dell’Isola Ecologica». Potrebbe parlarci della nuova Isola Ecologica? «L’Isola Ecologica è un centro di raccolta differenziata predisposto dall’amministrazione comunale e gestito da Oplonti. L’Isola può accogliere quindici diverse tipologie di rifiuti: dai classici carta e cartone, plastica, alluminio e acciaio, fino ai rifiuti ingombranti e in legno, ai rifiuti elettrici ed elettronici, agli pneumatici. Inoltre sono presenti bidoni dedicati all’olio vegetale esausto, ai farmaci scaduti, alle pile esaurite e agli indumenti usati. La struttura, per efficienza e organizzazione, risulta essere un vero e proprio motivo di orgoglio non solo per la multiservizi, bensì anche per i cittadini stessi». Sulla base di questi risultati, su quali prerogative e con quali presupposti è iniziato il 2012? «Il 2012 è stato avviato avendo come traguardo il 50 per cento CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 117


GESTIONE RIFIUTI

Con elevate percentuali di differenziazione si potranno dare ai cittadini anche benefici in termini economici

di raccolta differenziata da rag- ciclo dei rifiuti. Però è soltanto incisiva? giungere entro il primo semestre. Il fatto che al 31 marzo 2012 sia stato raggiunto il 43 per cento di raccolta differenziata ci permette di essere ottimisti sulle possibilità di centrare l’obiettivo. Il merito dei risultati già raggiunti va innanzitutto agli operatori della società – che hanno compreso e condiviso la mission aziendale –, quindi ai cittadini, che stanno contribuendo efficacemente e mostrando una forte sensibilità alla causa. Non è un caso, che le risposte più confortanti siano giunte da interi quartieri storicamente considerati “difficili”. Questo per far comprendere come il 2012 si sia aperto con un vento di rinnovamento che ormai soffia efficacemente in ogni vicolo della città, scuotendo la sensibilità di tutti». Alla luce di questo scenario mutato in positivo, dove si concentreranno i prossimi obiettivi e investimenti? «La raccolta differenziata costituisce certamente il punto di partenza imprescindibile per la corretta gestione dell’intero

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con il raggiungimento di elevate percentuali di differenziazione che si potranno dare benefici, anche in termini economici, ai cittadini. Tuttavia abbiamo già in programma di fare di più. L’idea è stata fornita dal bando per gli interventi di attivazione di filiere produttive delle biomasse, che è stato adottato dal ministero dello Sviluppo economico con il decreto del 13 dicembre 2011. Abbiamo quindi approntato uno studio di fattibilità relativo alla costruzione di un impianto di cogenerazione alimentato a biomasse che ha condotto a previsioni decisamente interessanti. Il progetto è stato accolto con grande entusiasmo anche dallo stesso Comune, poiché contribuirebbe a ridurre i quantitativi di rifiuti avviati al recupero e allo smaltimento, creerebbe nuova occupazione, permetterebbe di ridurre la Tarsu e di produrre energia, elettrica e termica, da una fonte alternativa». Esistono sul territorio delle criticità ancora non risolte o sulle quali occorre un’azione

«Una criticità riscontrata è quella dell’abbandono indiscriminato sul territorio dei rifiuti. Purtroppo la città di Torre Annunziata è stata sempre considerata, anche dagli abitanti dei comuni limitrofi, come una sorta di discarica, tanto che in passato era frequentissimo rilevare attività clandestine di sversamento incontrollato e l’abbandono dei rifiuti ingombranti e dei rifiuti elettrici su strada. Stiamo efficacemente contrastando questo fenomeno con un’intensificazione dell’attività di controllo da parte del Comune e, per le zone periferiche, anche ricorrendo all’ausilio della videosorveglianza. Su questo fronte, l’attivazione dell’Isola Ecologica ha dato certamente un deciso contributo alla riduzione dell’abbandono indiscriminato. Sicuramente il percorso è impervio, tuttavia con la giusta collaborazione tra la nostra società, l’amministrazione comunale e gli utenti finali sarà possibile raggiungere traguardi inaspettati».





GESTIONE RIFIUTI

I rifiuti, una risorsa per il futuro Una corretta gestione del ciclo dei rifiuti non può prescindere dall’apporto delle nuove generazioni. Lo sa bene Francesco Toriello, che con la sua azienda è in prima linea nella diffusione delle “buone pratiche” in materia ambientale Guido Puopolo

n riconoscimento importante per la provincia di Salerno. Il rapporto Qualità della Vita 2011, redatto da ItaliaOggi in collaborazione con l’Università La Sapienza di Roma e presentato lo scorso gennaio, promuove il territorio salernitano in materia di raccolta differenziata, collocandolo al quarto posto della classifica nazionale. Un risultato reso possibile dall’affermarsi di un’efficiente filiera del riciclo, all’interno della quale svolgono un ruolo fondamentale aziende come la Sele Ambiente, società di Battipaglia nata nel 2009 proprio per rispondere in maniera adeguata alle crescenti necessità di smaltimento dei ri-

U Francesco Toriello, amministratore unico della Sele Ambiente Srl di Battipaglia (SA) seleambientesrl@yahoo.it

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fiuti. «Tra la popolazione sta aumentando la sensibilità nei confronti dell’ambiente, e questo è senza dubbio un aspetto molto positivo», afferma l’amministratore di Sele Ambiente, Francesco Toriello. «Per questo anche noi, nel nostro piccolo, cerchiamo di contribuire alla diffusione delle “buone pratiche” nella gestione dei rifiuti, soprattutto tra i più piccoli». In che modo? «Recentemente abbiamo avviato, in collaborazione con la ASD Ciclolonga, storica associazione no profit responsabile della gestione del nuovissimo palasport di Battipaglia, un progetto dall’alto valore sociale, dal titolo “Polo Sportivo Ecologico”. All’interno e all’esterno

della struttura abbiamo installato oltre cinquanta cassonetti per la raccolta differenziata, portando avanti contemporaneamente un’intensa campagna di sensibilizzazione tra i giovani frequentatori del palasport. Come Sele Ambiente ci siamo impegnati a smaltire e riciclare tutti i rifiuti raccolti, e i materiali così recuperati verranno utilizzati per realizzare gadget e accessori vari». Qual è, nello specifico, il core business di Sele Ambiente? «Ci occupiamo del recupero, della lavorazione e dello smalti-


Francesco Toriello

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Ogni anno provvediamo allo smaltimento di circa 45 mila tonnellate di rifiuti non pericolosi

mento di rifiuti provenienti da raccolta differenziata o da attività industriali o artigianali, per conto di enti pubblici e aziende private. Ogni anno provvediamo allo smaltimento di circa 45 mila tonnellate di rifiuti non pericolosi, grazie anche all’utilizzo di un impianto semi-automatico, di moderna concezione, che si pone come alternativa allo smaltimento in discarica per tutte le categorie di rifiuti ad alta percentuale di recuperabilità. Penso, ad esempio, alla plastica, che una volta separata manualmente dagli altri residui e sottoposta ad adeguate lavorazioni, viene venduta ad aziende del territorio che provvedono a riutilizzarla. Allo stesso modo trattiamo carta, ferro, pneumatici e teli agricoli, senza dimen-

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ticare l’umido, che viene conferito in impianti che producono energia e compost per l’agricoltura. Mi preme sottolineare che siamo anche dotati delle certificazioni di qualità ISO 9001, 14001 e 18001, un’ulteriore testimonianza della bontà del lavoro fin qui svolto». Che riscontri sta avendo l’attività dell’azienda sul territorio? «Direi molto buoni. L’azienda è stata fondata nel 2009, ma in pochi anni abbiamo conquistato importanti quote di mercato, tanto che nel 2011 il nostro fatturato si è attestato attorno ai quattro milioni di euro. Un risultato importante che, visti anche i dati relativi a questi primi mesi del 2012, siamo convinti di poter ulte-

riormente migliorare nel prossimo futuro. Certo però, bisogna fare i conti con una situazione di difficoltà generale, che inevitabilmente influenza anche la nostra attività». A cosa si riferisce? «Il 90 per cento del nostro business deriva dalla collaborazione con gli enti locali. Questo ci costringe a fare i conti con i cronici ritardi nei pagamenti da parte della Pa, che unitamente alle difficoltà di accesso al credito bancario che ci impediscono di realizzare possibili nuovi investimenti, ci condizionano in maniera significativa. Credo invece che bisognerebbe sostenere e incentivare le aziende locali che, con il loro operato, sono in grado di produrre ricchezza e posti di lavoro sul territorio. Questo vale ancora di più in un settore così delicato come quello dei rifiuti, il cui smaltimento oggi non deve più essere visto come un problema, bensì come una risorsa da sfruttare e valorizzare». CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 123




INFRASTRUTTURE

Un piano efficace per il trasporto pubblico «La strada da fare per tornare definitivamente alla normalità è lunga e complessa, ma abbiamo avviato finalmente un percorso virtuoso che avrà benefici effetti sui servizi ai cittadini». Sergio Vetrella illustra il programma della Regione per rilanciare il trasporto pubblico Paolo Biondi

isanare il sistema del trasporto pubblico campano è una delle priorità dell’assessore regionale ai trasporti Sergio Vetrella, il quale si sta adoperando per risolvere la difficile situazione nella quale negli anni si sono trovate le società di trasporti in regione. Per questo è stato presentato il programma straordinario di investimento che prevede anche un piano di risanamento del gruppo Eav, ovvero la holding che gestisce il trasporto pubblico regionale. Tra le azioni già adottate dalla Regione c’è l’acquisizione di nuovi treni (uno in dotazione della MetrocampaniaNordEst, la tratta che garantisce il collegamento tra Benevento e Napoli). Si prevede inoltre la realizzazione di altri 27 treni in due anni (altri sette destinati alla MetroCampaniaNordEst) per un investimento complessivo di 90 milioni di euro. «Queste risorse, il cui iter di erogazione è

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stato accelerato grazie alla Commissione trasporti della Conferenza delle regioni che coordino – spiega Sergio Vetrella – sono dovute per legge solo alle società ex gestione commissariale governativa». Il programma straordinario di investimento sulle infrastrutture ferroviarie garantirà il graduale aumento del numero di treni in servizio con il conseguente superamento della

situazione di emergenza, attraverso quali importanti interventi? «Le risorse, individuate specificamente a tali finalità, sono pari a un importo di oltre 25 milioni di euro e coprono completamente il fabbisogno, da progetto, di Circumvesuviana e di quello di Sepsa. Esse saranno trasferite apponendo il vincolo di destinazione inderogabile. Il piano prevede anche impe-


Sergio Vetrella

Sergio Vetrella, assessore ai Trasporti della Regione Campania

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Le risorse individuate sono pari a un importo di oltre 25 milioni di euro e coprono completamente il fabbisogno di Circumvesuviana e di Sepsa

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gni da parte delle società e della Regione per le infrastrutture». Cosa cambierà nel concreto per i cittadini? «La strada da fare per tornare alla normalità è lunga e complessa, ma abbiamo avviato finalmente un percorso virtuoso che non solo avrà benefici effetti sui servizi ai cittadini - che sono la nostra priorità - ma consentirà anche, dopo anni di confusione, bilanci incerti e sprechi, di risanare e rilanciare le società di trasporto ferroviario regionale, tutelando al meglio anche i lavoratori. Preciso poi che queste risorse sono dovute per legge solo alle società ex gestione commissariale governativa; quelle società che, proprio come Circumvesuviana, Metrocampania Nordest e Sepsa, erano state gestite dallo Stato fino al 2000, quando per effetto del federalismo amministrativo furono trasferite alla Regione assieme a risorse e competenze». In cosa consiste questo investimento nello specifico? «Abbiamo deciso, d’accordo con il presidente e l’assessore al Bilancio Giancane di dare un’ulteriore risposta immediata alla difficile situazione

economica ed espositoria del gruppo Eav. Dopo un primo stanziamento di 20 milioni di euro per il piano di manutenzione straordinaria dei treni fermi da rimettere gradualmente in esercizio, la giunta regionale ha assegnato 25,5 milioni di euro alle società ferroviarie del gruppo Eav (Circumvesuviana, Metrocampania Nordest e Sepsa). Inoltre, proprio in questi giorni, stiamo continuando a pagare regolarmente i corrispettivi dei contratti di servizio anche per le Province e i Comuni capoluogo». Quali novità si prospettano per la Circumvesuviana? «Condividendo le richieste degli utenti, ho chiesto alla società di trasporto di pubblicare sul proprio sito l’orario valido delle corse che saranno garantite in ogni caso, in attesa che il programma di manutenzione straordinaria avviato in questi giorni consenta progressivamente il recupero dei treni attualmente fermi e si torni alla normalità dell’intero servizio. Gli orari in questione, aggiornati di mese in mese, saranno naturalmente pubblicati anche sul mio sito e sul mio profilo Facebook». CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 127


INFRASTRUTTURE

Occorre favorire l’intermodalità Il sistema del trasporto pubblico campano va razionalizzato senza però penalizzare l’utenza con l’inevitabile ridimensionamento della spesa complessiva. A sostenerlo è Renato Lamberti, che spiega come occorre operare in regione Nicolò Mulas Marcello

n Italia 8.000 chilometri di linee minori sono soppresse, abbandonate o in via di soppressione. In Campania le dismissioni di tronchi ferroviari operate in passato e le prospettive di un loro ampliamento sono meno sentite che in altre regioni: alla storica soppressione del servizio sulla Sicignano-Lagonegro, chiusa al traffico dal 1987, si è aggiunta nel dicembre 2005 la Cancello-Torre Annunziata e nel dicembre 2010 la Castellammare-Gragnano e la Avellino-Rocchetta S. Antonio. Di contro la già estesa rete infrastrutturale dell’area tra Napoli e Caserta è stata rafforzata con la tratta Piscinola-Aversa Centro e il proseguimento della Linea 1 della metropolitana di Napoli, oltre che con alcuni raddoppi e miglioramenti funzionali (nuove stazioni) di rami esistenti. «Il problema più serio – spiega Renato Lamberti, direttore del Dipartimento di ingegneria dei trasporti Università di Napoli “Federico II” – si pone per la frequenza delle corse, anche in prospettiva dell’assegnazione della gestione delle linee con procedura competitiva, a partire dal 2014,

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come stabilito dai recenti provvedimenti governativi. Invero negli ultimi mesi la Regione Campania ha ridotto di circa il 20% i contributi alle ferrovie regionali che fanno capo alla holding Eav e ha programmato un analogo taglio nel contratto di servizio con Trenitalia». Lo sviluppo economico del territorio soffre in certe aree per la mancanza di infrastrutture ferroviarie adeguate? «In Campania fin dall’adozione del primo piano regionale dei trasporti, nel 1993, si puntò decisamente sullo sviluppo e l’interconnessione della rete ferroviaria, che si giova di importanti e diffuse preesistenze, per migliorare l’offerta di servizio alle persone. Nondimeno i cospicui investimenti effettuati non sempre sono stati assistiti da progettualità e controllo della parte pubblica commisurate alle esigenze dell’utenza: quindi spesso la spesa ha degenerato a strumento di visibilità e propaganda personale e politica degli attori del sistema, nel completo disinteresse per l’urgenza, l’economicità e la sostenibilità dell’attuazione e della successiva gestione. In

Campania il beneficio economico-territoriale atteso dalla razionalizzazione del sistema è particolarmente elevato per le peculiarità dell’assetto economico e urbanistico, caratterizzato dalla concentrazione della domanda nell’area napoletana, casertana e in minor misura in quella salernitana, e per il ruolo di supporto che può esercitare il sistema portuale e, in prospettiva, aeroportuale. Lungimiranti, quindi, furono i cospicui investimenti in nodi primari della rete nazionale del trasporto merci, tra cui gli interporti di Nola e di Marcianise, avviati dal piano regionale del 1993; molto miope invece è il ritardo nello sviluppo del terminal ferroviario portuale e del suo collegamento alla rete, nonché della struttura aeroportuale di Grazzanise». Quanto incide il rischio idrogeologico sulle scelte operate o operabili in Campania a livello ferroviario? «Il territorio campano, specialmente nelle aree collinari preappenniniche, presenta un elevato grado di rischio. La problematica però è stata spesso a sproposito utilizzata per giu-


Renato Lamberti

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Penso che il massimo interesse della Campania sia nel completamento del terminale continentale del traffico merci nell’area tra Napoli e Caserta

stificare costi, difficoltà e tempi attuativi di alcuni investimenti, particolarmente quelli nell’area metropolitana di Napoli, ove invece le caratteristiche geologico-geotecniche dei suoli sono tutt’altro che sfavorevoli. La verità è che i principali impedimenti sono derivati da palesi carenze progettuali, camuffate sotto forma di sorpresa geologica o archeologica, da velleità sproporzionate, quali quella di conferire alla stazioni caratteri di monumentalità a costo di trascinarne i costi su livelli sconosciuti nel mondo, e dalla scarsa capacità della pubblica amministrazione di governare con polso fermo forme di affidamento che hanno molti pregi, ma lasciano ampi margini all’esecutore di indirizzare

secondo i propri interessi tempi e modi della realizzazione». Quali sono le prospettive future per il trasporto ferroviario campano? «Per i servizi di trasporto pubblico s’impone una razionalizzazione che punti sull’integrazione gomma-ferro per l’utilizzo ottimale dei due modi secondo le loro caratteristiche; il presupposto per non penalizzare l’utenza con l’inevitabile ridimensionamento della spesa complessiva è l’attenta programmazione della rete, in passato mai attuata sebbene il settore sia stato governato per dieci anni da un tecnico specifico che pure in campo accademico la propugna. Penso che il massimo interesse della Campania sia nel completamento del ter-

minale continentale del traffico merci nell’area tra Napoli e Caserta: si tratta di puntare alla progressiva conversione dell’aeroporto militare di Grazzanise in polo aero-cargo dotato di un terminale ferroviario connesso alla stazione di Villa Literno e al rafforzamento della piattaforma esistente nel porto di Napoli e al suo collegamento allo scalo Traccia e, attraverso lo stesso, agli interporti di Nola e di Marcianise; è un programma di non eccessivo impegno finanziario, ma di grande impatto sull’appetibilità dell’area metropolitana di Napoli per nuovi investimenti industriali e per l’insediamento di attività commerciali euromediterranee».

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Renato Lamberti, professore ordinario di Progetto di strade, ferrovie e aeroporti e direttore del Dipartimento di ingegneria dei trasporti presso l’Università di Napoli “Federico II”

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INFRASTRUTTURE

Un rilancio necessario per tutti i cittadini a somma di 25,5 milioni di euro stanziata dalla Regione per il piano straordinario di investimenti nel settore del trasporto pubblico locale della Campania è destinata al ripristino graduale del servizio ordinario delle tratte ferroviarie. La gestione delle linee della Circumvesuviana e della Sepsa sono ora affidate alla holding Ente Autonomo Volturno, che sta cercando di ristabilire progressivamente i normali orari di servizio: «Con il lavoro che abbiamo svolto nell’ultimo anno e mezzo – spiega Nello Polese, amministratore unico della società – abbiamo portato le aziende di trasporto su ferro a un livello tale da poter confrontarsi in termini di benchmark e di costi standard con altre aziende del ramo in Italia». Cosa prevede il piano nello specifico? «È una parte dei crediti che la Regione ha riconosciuto ma non si tratta di nuovi finanziamenti. Con questi soldi si riavvia un esercizio normale dei servizi nelle nostre reti ferroviarie. Fino all’arrivo della nostra gestione c’erano meno treni circolanti rispetto a quelli di due o tre anni fa. Stiamo cercando di ripristinare quindi

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La pesante eredità lasciata dalle precedenti gestioni del trasporto pubblico campano non rende facile il risanamento dei servizi in tempi brevi. Ma Nello Polese si dichiara fiducioso sul progressivo rilancio da parte dell’Eav Nicolò Mulas Marcello

gli orari normali del servizio. Naturalmente ci vuole un po’ di tempo per effettuare i lavori di manutenzione necessari per far ripartire queste circolari. Nella riattivazione di questi servizi ci sono anche la Circumvesuviana e la Sepsa».

Per quanto riguarda la Circumvesuviana quali novità si prospettano? «I treni della circumvesuviana attualmente sono circa 90, in realtà ne abbiamo molti di più ma alcuni sono in manutenzione da diversi anni. Negli


Nello Polese

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Abbiamo realizzato un importante opera di risanamento, anche con la presa di coscienza da parte del mondo del lavoro

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anni 2004-2010 le aziende del gruppo delle ferrovie locali hanno accumulato debiti da 200 a 527 milioni di euro nei propri bilanci, ancora oggi sono in atto controlli per capire a cosa sono dovute queste cifre e quanto la Regione non intende riconoscere. I 25,5 milioni di cui parlavamo prima sono stati stanziati per ripristinare il servizio. Quando ci siamo trovati a dover gestire questa situazione drammatica, non potevamo caricare sugli utenti gli oneri finanziari derivanti dalla massa così ingente di risorse non corrisposte. Ciò che ne ha sofferto è stata la manutenzione ordinaria. Il discorso che la Regione sta portando avanti con molta determinazione è quello di cominciare a sbloccare mano a mano quello che è possibile, in modo da rilanciare i servizi». Il presidente Caldoro ha annunciato che sarà sottoscritto un protocollo tra Regione Campania e Comune di Napoli per il completamento della Linea 1 della metropolitana cittadina e successivamente anche per la Linea 6. Come avverrà tutto questo?

«Napoli ha una conurbazione ininterrotta di circa 3 milioni e mezzo di persone nella sola provincia, con un carico quindi pesantissimo di viaggiatori. Le nostre linee ferroviarie presentano un anello nel quale confluiscono le direttrici che giungono da fuori città. È ovvio quindi che la priorità venga data alla chiusura dell’anello. Tenga conto del fatto che i patti di stabilità di spesa sono diversi tra Comuni e Regione. Quindi questo è un altro motivo che rende difficile favorire questi investimenti». Cosa si augura per l’immediato futuro per quanto riguarda il riassetto del trasporto pubblico campano e quali sono i tempi di attuazione di tutti gli interventi definiti dalla Regione? «Con il lavoro che abbiamo svolto nell’ultimo anno e mezzo, abbiamo portato le aziende di trasporto su ferro a un livello tale da poter confrontarsi, in termini di benchmark e di costi standard, con altre aziende del ramo in Italia. Abbiamo realizzato una pesante opera di risanamento, anche con la presa di coscienza adeguata da parte

del mondo del lavoro. È ovvio però che abbiamo sulle spalle un passivo enorme che deriva da anni di finanza facile, problema che riguarda tutto il Mezzogiorno, e che denota un cattivo sistema che ha portato a tutto questo. Anche per quanto riguarda gli organici erano superiori al normale. Ciò che il presidente Caldoro sta tentando di fare e tutti nuovi amministratori stiamo cercando di attuare è mettersi al passo di una gestione pulita e speriamo che si ragioni sulle derivate, ovvero su chi migliora molto le prestazioni. Partire da bilanci in cui si spende, come nel nostro caso, 30 milioni all’anno in più tra interessi passivi ed emolumenti onerosi, non si possono risolvere solo nell’ambito di una buona gestione ordinaria. Questo è quindi un problema politico che va risolto con un confronto serio e sereno».

Nello Polese, amministratore unico di Ente autonomo Volturno

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INFRASTRUTTURE

Un nuovo crocevia del Mediterraneo Il Porto di Salerno oggi è una realtà strategica a livello internazionale. Merito anche di aziende, come la dr. cap. Nicola De Cesare, che hanno contribuito attivamente allo sviluppo economico dello scalo. L’esperienza di Antonio De Cesare Eugenia Campo di Costa

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l Porto di Salerno ha ormai assunto un ruolo strategico nel contesto internazionale del trasporto merci e passeggeri, e sta diventando sempre più un punto di attrazione anche per le Compagnie di Navigazione che effettuano servizio di crociere. A contribuire allo sviluppo di questa realtà economica in continua crescita e di particolare vanto per l’intera Regione Campania, è dal 1930 la dr. cap. Nicola De Cesare, azienda storica del porto di Salerno, guidata da Antonio De Cesare, impegnata in tutti i servizi di agenzia marittima, spedizioni internazionali, trasporti, imbarchi e sbarchi, magazzinaggio, fino all'agenzia viaggi e che ha avviato da tempo anche l’attività in ambito crocieristico. «Il porto di Salerno è una realtà piccola dal punto di vista strutturale, ma l’orgoglio e l’impegno degli operatori sono il fulcro di questo miracolo economico che vede nell’eccellenza del servizio reso un’importante attrazione per la clientela nazionale e internazionale e per le Compagnie di Navigazione» afferma Antonio De Cesare. In particolare, la sua azienda oggi è impegnata so-

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prattutto nel trasporto di merci varie e nelle crociere, settori sui quali continua a puntare, nonostante la crisi economica che ha riverberato i suoi effetti anche sui traffici marittimi salernitani. La duttilità dell’organizzazione della dr. cap. Nicola De Cesare e la disponibilità di piazzali portuali e di infrastrutture permettono all’azienda di continuare a seguire ogni tipo di traffico nell’ambito delle merci varie. Proprio in quest’ottica di sviluppo, la società, nonostante il momento di crisi che l’Italia sta vivendo, continua a credere nella propria realtà economica e a investire in un progetto ambizioso e determinante per l’intera portualità salernitana: la costruzione dei nuovi Magazzini Generali posizionati fronte mare sulla banchina Ligea del porto. «È un investimento importante - afferma Antonio De Cesare -, un prefabbricato in cemento armato che inaugureremo a breve e che si estenderà su circa 5.000 mq. È stato realizzato secondo le più moderne tecniche costruttive e di stoccaggio. Disporrà di due carriponte per la movimentazione delle merci e la copertura è realizzata con tetto a shed, su cui saranno applicati


Antonio De Cesare

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Siamo impegnati nel trasporto di merci varie e nell’attività crocieristica, settori sui quali continuiamo a puntare, al di là della crisi

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pannelli solari per la produzione di energia elettrica: a opera ultimata sarà uno dei più grandi impianti fotovoltaici della città di Salerno». La dr. cap. Nicola De Cesare Srl, inoltre, ha dato un apporto fondamentale allo sviluppo del porto di Salerno nell’ambito del traffico crocieristico, settore in cui è impegnata da oltre quindici anni, diretto con passione da un altro membro della famiglia il dottor Mario De Cesare. «Oggi si cominciano a raccogliere i frutti di una politica crocieristica avviata con lungimiranza dalla nostra realtà – afferma Antonio De Cesare - e del notevole impegno profuso per convogliare sul porto di Salerno le scelte delle Compagnie di Navigazione, che in passato conoscevano esclusivamente il porto di Napoli. Abbiamo attuato un fortissimo sforzo organizzativo per soddisfare le esigenze dei pas-

seggeri e per rispondere adeguatamente alla qualità dei servizi richiesti dalle società di navigazione e abbiamo puntato sulle crociere prima ancora che le autorità istituzionali scoprissero l’importanza di questo settore sia per la portualità, che per l’intera città di Salerno». Al di là della crisi e del naufragio della Costa Concordia, infatti, il traffico crocieristico sembra essere in crescita: «Continuiamo a investire energie e risorse per raggiungere livelli di professionalità sempre più alti in questo tipo di attività. Il disastro dell’isola del Giglio non sta influenzando negativamente le scelte degli italiani rispetto alle vacanze in crociera. La prima dimostrazione si è avuta la settimana successiva al disastro della Costa Concordia, quando è partita regolarmente la sua gemella percorrendo lo stesso itinerario con circa 3 mila passeggeri. Pensare che un inci-

dente possa fermare l’utilizzo di un mezzo di trasporto, sia esso nave o aereo, non è reale. Ovviamente l’emozione immediata è forte, ma non è mai tale da incidere sull’evoluzione tecnologica e sulle scelte di vita cui la nostra società è abituata». Quali prospettive si aprono, dunque, per il futuro di un’azienda storica come la dr. cap. Nicola De Cesare Srl? «Continueremo a seguire il percorso tracciato con il massimo impegno possibile per realizzare i progetti avviati e contrastare la negatività della congiuntura economica – conclude Antonio De Cesare -. Abbiamo alle spalle una storia aziendale veramente importante che ci ha insegnato che la volontà è più forte delle avversità».

Momenti di lavoro della dr. cap. Nicola De Cesare Srl di Salerno www.decesare.it

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Prezzi fermi per il trasporto aereo privato Le criticità del trasporto aereo sono amplificate per le piccole società aeronautiche che offrono voli privati. Però queste riescono a garantire un servizio che in termini di tempo e comfort non ha paragoni con i voli commerciali. Ne parliamo con il comandante Gennaro Savanelli Manlio Teodoro

L’ Nella pagina a fianco, Gennaro Savanelli, titolare dell’azienda aeronautica Slam Air di Napoli www.slamair.it

International Air Transport Association ha previsto per il 2012 un’ulteriore riduzione degli utili per il settore del trasporto aereo, che complessivamente passeranno dai 7,9 miliardi di euro del 2011 a 3 miliardi. Fra le cause di questa involuzione la più importante è certamente l’ascesa costante del prezzo dei carburanti, che già penalizza fortemente il trasporto su gomma privato e collettivo. Se questa situazione grava sulle grandi compagnie aeree, maggiore è il suo peso sulle piccole società di trasporto privato, che ai crescenti costi dei carburanti devono sommare l’aumento generalizzato, negli anni, delle tariffe richieste dalle società di gestione aeroportuale. Come spiega Gennaro Savanelli, titolare

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della Slam Air, azienda aeronautica con base a Napoli Capodichino che utilizza velivoli bireattori ad alte prestazioni capaci di trasportare 8 passeggeri su comode poltrone: «A fronte di questi costi crescenti, non siamo nelle condizioni di poter aumentare le tariffe, perché corriamo il rischio di scoraggiare ulteriormente il nostro target che, toccato dalla crisi, ha già razionalizzato i consumi». Qual è il target che si rivolge ai vostri servizi di trasporto aereo? «La nostra attività principale si rivolge a personalità del mondo dell’industria, della cultura, dello sport e dello spettacolo che abbiano la necessità di spostarsi su rotte nazionali, europee, del vicino Oriente e dell’Africa Centrosettentrionale. Il nostro core

business è rappresentato da imprenditori e quindi ci rivolgiamo a un passeggero che abbia necessità di viaggiare in una situazione di comfort per spostamenti che si concludono entro uno o al massimo due giorni. La nostra offerta, la cui tariffazione è deducibile al 100%, pur rappresentando un servizio esclusivo, si propone con condizioni accessibili, dato che al passeggero – per i voli giornalieri – viene addebitato esclusivamente il tempo di volo e non i tempi di permanenza intermedia». Qual è il valore aggiunto che fa preferire un volo privato? «Contrariamente a quello che si pensa, un volo privato non è un servizio irraggiungibile dal punto di vista economico. Va visto, soprattutto per l’imprenditore,


Gennaro Savanelli

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Scegliere un volo privato per un viaggio d’affari è un investimento contenuto per un volo senza stress, attese o tempi morti

come un investimento contenuto che dà la possibilità di viaggiare senza stress e di concludere in una giornata un viaggio di affari che con le convenzionali linee aeree richiederebbe più giorni, innumerevoli attese e tempi morti – soprattutto se la ragione del viaggio si risolve in un impegno di poche ore». Come ha inciso sul vostro fatturato l’impennata dei costi di gestione? «La crescita dei costi si è fatta più pressante nell’ultimo biennio. Se però confrontiamo questo periodo con gli anni precedenti, il nostro fatturato è rimasto pressoché costante, attestandosi intorno ai 6 milioni di euro l’anno. Quello che però è cambiato sono gli utili, che sono crollati. Infatti, il costo dei carburanti, nonostante la possibilità di acquisto agevolato – cioè con prezzo sdoganato – negli ultimi anni è pressoché raddoppiato, mentre sono cresciute tantissimo

le tariffe per l’uso dei terreni demaniali di hangar e uffici all’interno degli spazi aeroportuali. A fronte dell’aumento dei costi, abbiamo scelto di non aumentare i prezzi dell’offerta e quindi stiamo assistendo a una riduzione sempre più forte dei margini». A fronte di queste difficoltà, come si colloca settore del trasporto privato italiano nel complesso dell’offerta internazionale? «Il confronto con la concorrenza straniera oltre l’Adriatico vede il settore nazionale certamente penalizzato. Gli operatori dei paesi dell’ex Jugoslavia, infatti, sono agevolati sia dal punto di vista dei rapporti con i propri enti di controllo e riescono così a lavorare nel nostro paese con tariffe concorrenziali rispetto alle nostre – nonostante abbiano un trasferimento a vuoto obbligatorio. Il vero ostacolo per il nostro sviluppo è il sistema di gestione aeroportuale, che è interamente

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orientato a garantire gli interessi dei grandi vettori dei voli commerciali, dato che le società di gestione hanno una parte importante dei loro introiti dalle tasse di imbarco e sbarco». Avete delle prospettive di investimento per incrementare il vostro business? «La nostra società non si limita al trasporto passeggeri, abbiamo anche un’officina per la manutenzione sui nostri aerei e per conto terzi. Vorremmo potenziare questa attività, ma purtroppo gli spazi che attualmente abbiamo a disposizione ci limitano. E la società di gestione aeroportuale non è, in questa fase, nelle condizioni di permetterci l’acquisizione di un nuovo hangar nel quale potremmo lavorare contemporaneamente su più mezzi e in questo modo ammortizzare i costi fissi. Ciò comporterebbe l’assunzione di giovani periti aereonautici costretti invece a ripiegare verso altri settori lavorativi». CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 135


SELF STORAGE

Il primo servizio di “deposito temporaneo” della Campania La Campania scopre nel Self Storage un mercato fortemente innovativo e in grado di soddisfare qualsiasi tipo di utente. My Box è il primo servizio di deposito temporaneo del Sud. Ne parla Fabio Negrini Emanuela Caruso

li Stati Uniti, l’Europa con i Paesi del Nord e l’Italia con le regioni del Settentrione sono state le tappe principali che dagli anni 60 in avanti hanno caratterizzato il percorso e lo sviluppo del Self Storage. La

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Fabio Negrini, ideatore della My Box Srl Nelle altre immagini, un esempio di box e area di self storage My Box www.myboxitalia.it – www.deposititemporanei.it

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portata innovativa di questa idea ha continuato a espandersi, fino a conquistare anche il favore dei lungimiranti imprenditori napoletani. Proprio uno di questi, il dott. Fabio Negrini, che rappresenta anche la Mecoser Sistemi S.p.A, società Campana leader internazionale nella progettazione e produzione di container speciali, ha dato vita alla My Box “Quello creato dalla nostra società – spiega Fabio Negrini – è il primo servizio di “deposito temporaneo” del Sud Italia. My Box è stato studiato e sviluppato in modo da rispondere alle moderne esigenze e problematiche di spazio e sicurezza e consiste nel noleggio di box container dove poter, per brevi o lunghi periodi, conservare le proprie cose. Ciò che contraddistingue il nostro servizio sono la flessibilità del servizio, i bassi

costi e l’uso personale ed esclusivo del box. Caratteristiche che rendono il self storage più vicino al concetto di “albergo delle cose” che a quello tradizionale di deposito merci. Chi può trarre vantaggio dall’utilizzo del servizio My Box? «Praticamente tutti e non a caso il nostro slogan è “A Tutti lo Spazio per Tutto”, dalle famiglie che devono traslocare e necessitano di uno spazio dove depositare mobili, abiti e oggetti personali, a quelle che vivono in piccole abitazioni e di conseguenza non sanno dove mettere certi beni ingombranti e poco usati; dai professionisti che non hanno più spazio nel proprio ufficio per riporre materiali da archiviare, agli esercizi commerciali che hanno bisogno di un magazzino o di un luogo dove


Fabio Negrini

stoccare le merci. Ma il nostro servizio si è dimostrato una soluzione vincente anche per gli agenti di commercio, single, curatori fallimentari, enti pubblici, società in fase di start-up o con sedi al di fuori della Campania che trovano nel nostro servizio la risposta ottimale alle loro esigenze». Nello specifico, come si articola il servizio che offrite ai clienti tramite My Box? «Il servizio prevede la scelta, in base alle esigenze, tra 4 diverse misure di box, da 6 a 32 metri cubi. I box sono oppor-

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Noleggiamo box per risolvere i problemi di spazio e sicurezza di famiglie, professionisti e società che si rivolgono a noi

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tunamente collocati all’interno di una area videosorvegliata con un servizio di guardia notturna e una copertura assicurativa inclusa nel canone. Inoltre, i nostri clienti hanno il libero accesso al proprio box h 24/24 e 7 giorni su 7. L’utente può noleggiare il box per la sola durata necessaria, per un giorno, una settimana, un mese o un anno e può usufruire di ulteriori servizi quali, per esempio, il trasloco, il noleggio di furgoni, l’acquisto di materiali per l’imballaggio o per allestire il container». Come intendete migliorare ulteriormente il servizio? «Abbiamo iniziato con l’applicazione di moderne tecnologie dotando, alcuni box di un impianto che permette all’utente di controllare, in tempo reale, l’interno del suo box 24 ore su 24, direttamente dal tablet, smartphone o pc e di ricevere un messaggio di allarme in caso

di apertura delle porte, Riteniamo che questa applicazione troverà un forte riscontro per il servizio di noleggio box che offriamo all’esterno della ns. area di self storage, come ad esempio in cantieri edili o in aree non custodite. Inoltre stiamo implementando un servizio di logistica privata, ovvero, andiamo presso i ns. clienti, fotografiamo, imballiamo ed archiviamo i beni e li portiamo all’interno dei ns. box, quindi al cliente basterà una semplice email o telefonata per ricevere a casa, ad esempio, l’albero di natale piuttosto che le valige o il cambio di stagione. Oltre a questo aspetto, ci stiamo adoperando per soddisfare la richiesta di apertura di sedi in franchising sia in Campania che in altre regioni, in modo da ampliare l’offerta del nostro servizio anche ad altre città e soddisfare le esigenze di spazio di quanti più clienti possibile». CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 137




APPALTI

Bisogna dare una svolta al sistema appalti Non esiste un solo passepartout per migliorare l’accesso e la conduzione di appalti pubblici. Per Vincenzo Russo occorrerebbe intervenire su più fronti ed eliminare le falle del sistema. «La concorrenza sleale, il poco rispetto per le regole e l’anomalia dei ribassi» Adriana Zuccaro

Vincenzo Russo della Russo Costruzioni Sas di Salerno. Nelle altre immagini, un centro natatorio e uno polifunzionale a Salerno e Agropoli e il lungomare di Livorno riurbanizzato dall’impresa - russoco@tin.it

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he cosa significa oggi lavorare nel settore dei lavori pubblici? «Oggi più di ieri, per affrontare commesse pubbliche occorre avere grandi capacità di gestione delle scorte, elevata flessibilità e forte potere contrattuale con gli istituti di credito, unitamente alla disponibilità di mano d’opera altamente specializzata e grande coraggio per la non certezza degli incassi e la non adeguata qualificazione e competenza delle pubbliche amministrazioni». Va dritto al punto Vincenzo Russo, rappresentante della terza generazione di imprenditori edili passati per la Russo Costruzioni di Salerno, quando descrive le prerogative necessarie per condurre appalti pubblici. «Si riscontra una grave concorrenza sleale, il poco rispetto per le regole e l’anomalia dei ribassi». Quali modifiche andrebbero apportate al settore appalti? «Bisognerebbe intervenire con maggiori controlli sui cantieri per il rispetto delle regole, per la sicurezza e la lotta al lavoro nero unitamente a un nuovo e più selezionato sistema di qualificazione per la partecipazione agli appalti pubblici. Occorrerebbe modificare il sistema giudiziario,

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sia civile che amministrativo, affinché sia il più possibile attento a recepire le istanze delle aziende nel rispetto della giustizia, con tempi brevi e certi». L’edilizia, sia pubblica che privata, è uno dei comparti messi in ginocchio dalla crisi. Con tale premessa, quali carte ha posto sul “tavolo della ripresa” la Russo Costruzioni? «Con la crisi si è assistito alla decimazione delle imprese edili. Solo chi ha attuato una politica di lungo periodo ridimensionando notevolmente i margini di profitto per singola commessa ha potuto resistere alle costanti “insidie” del mercato. La nostra impresa ha cercato di mantenere gli impegni assunti con la risoluzione bonaria di eventuali controversie


Vincenzo Russo

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Il centro polifunzionale ad Agropoli presenta sistemi costruttivi tali da poter dotare l’immobile di un’elevata versatilità di utilizzo

senza attivare contenziosi di natura legale. Si è puntato molto sulla qualità dei processi costruttivi investendo sulla formazione delle proprie maestranze per lavorare nei propri cantieri in sicurezza, ottenendo un risultato finale di qualità nel rispetto dei tempi di esecuzione contrattuali stabiliti sia con le Pa che con i privati». Con quali premesse e obiettivi avete allargato l’operatività dell’azienda verso il settore privato? «Le premesse che hanno ampliato la mission aziendale al mercato dell’edilizia privata possono ravvisarsi nella contrazione riscontrata nel settore dei pubblici appalti, nella necessità di non perdere il patrimonio umano e il know how della

mano d’opera altamente specializzata unitamente alla voglia di sfida che caratterizza la dirigenza aziendale, il tutto con l’obiettivo di accrescere il patrimonio aziendale in termini di fatturato e creazione di posti di lavoro». Può descrivere un’opera realizzata dalla Russo Costruzioni? «La commessa del centro polifunzionale ad Agropoli, nel salernitano. È stata acquisita mediante appalto di opere pubbliche con un bando di gara nuovo e pioneristico nell’Italia meridionale ai tempi della pubblicazione (2009) in quanto la Pa ha inteso realizzare un’opera pubblica per la costruzione di uffici comunali in un’area centrale prevedendo come corrispettivo dell’im-

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presa il trasferimento della proprietà di una parte dell’immobile (locali commerciali piano terra)». Quali caratteristiche presenta la struttura? «Considerando che la struttura dovrà essere gestita dalla Pubblica amministrazione, sono stati adoperati sistemi costruttivi (tipo solaio senza travi emergenti, pavimentazione unica) tali da poter dotare l’immobile di un’elevata versatilità di utilizzo. Inoltre, la gestione dell’intervento è stata ispirata ad avere un prodotto finale di elevata qualità, utilizzando materiali aventi un onere di manutenzione minimo, ponendo grande attenzione all’economicità dei costi di costruzione». CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 141


EDILIZIA

Strategie di diversificazione per l’edilizia Il rilancio del comparto edilizio – penalizzato più che altri settori dalla grave crisi globale – passa anche dall'intraprendenza e dall'inventiva degli imprenditori. Di questo parere è Antonio Costantino Lodovico Bevilacqua

iversificazione produttiva, ampliamento delle competenze, investimenti sulla formazione. In un periodo di pesante crisi per il comparto edilizio – aggravato dalla conseguente diffidenza del sistema creditizio e da compromettenti disagi burocratici e amministrativi – queste caratteristiche diventano necessarie per mantenere competitività in un settore storicamente selettivo, ma oggi impoverito di buona parte delle sue risorse. L'intraprendenza e il dinamismo diven-

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Antonio Costantino è titolare della Costantino Srl di Pompei (Na) www.costantinosrl.it

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tano così un prezioso patrimonio, in grado di determinare il destino di molte società. Titolare dell’omonima impresa edile, Antonio Costantino condivide con i fratelli l'entusiasmo tipico dell'imprenditoria giovanile. «Nata dopo il Duemila per volontà mia e dei miei fratelli Vincenzo e Carmine, la Costantino srl vive ancora l'entusiastico slancio dei primi anni, regolato dalla sapiente cognizione di nostro padre Nicola, latore di una quarantennale esperienza nel campo edilizio». A che tipo di edilizia è dedicata la vostra attività? «Negli anni – anche per trovare soluzioni efficaci in grado di attenuare gli effetti della crisi economica – abbiamo saputo diversificare notevolmente la nostra attività, anche grazie alla scelta di investire in prestigiose collaborazioni con titolati ingegneri, architetti, paesaggisti, topografi, strutturisti. La nostra organizzazione ci per-

mette ci progettare e realizzare qualsiasi tipo di struttura – pubblica o privata, a destinazione residenziale, commerciale o industriale – senza trascurare quello che può essere considerato il nostro core business, ovvero la gestione della manutenzione dei centri commerciali. La nostra strategia aziendale si è recentemente orientata – inoltre – ad una diversificazione anche territoriale della produzione, con l'apertura di una sede a Roma e la realizzazione di numerose e prestigiose opere nella Regione Lazio». Quali sono i vantaggi che vi permettono di essere competitivi in un mercato tanto selettivo? «Riteniamo di avere raggiunto la sintesi fra la professionalità e la preparazione che caratterizzano i dipendenti – così come i dirigenti – e la valorizzazione delle risorse umane della società, tutelate da un'accurata politica di formazione e selezione e protette da rigide condizioni


Antonio Costantino

di sicurezza sul lavoro. La summenzionata diversificazione produttiva rappresenta inoltre una qualità molto apprezzata dalla committenza; competenze che vanno dalla realizzazione di nuove opere alla ristrutturazione e restauro di immobili di pregio e non, dall'allestimento di impianti elettrici ed elettronici alla fornitura di sistemi antincendio e di depurazione. Tutto chiavi in mano e tutto – naturalmente – formalmente certificato dalle più prestigiose attestazione del settore – dalla Uni En Iso 9001:2008 alla Soa Rina». Quanto conta la gestione del rapporto con la clientela? «È un capitolo fondamentale della nostra strategia aziendale. La capacità di completare direttamente ogni fase della realizzazione dell'opera

ci permette di proporci come unici interlocutori del committente, che ha dunque la possibilità di delegare alla Costantino la gestione di ogni aspetto esecutivo del lavoro. Questa vantaggiosa condizione consente alla clientela di contrarre notevolmente costi e tempi di costruzione, nonché di ridurre al minimo disagi di natura logistica e operativa. A tutto ciò si aggiunge – ovviamente – la massima attenzione alla qualità produttiva, che unita alla trasparenza – lo stato di avanzamento del cantiere è verificabile interattivamente e la qualità dei materiali è facilmente tracciabile – conferma la professionalità che la Costantino mette a disposizione del cliente». Come si compone la vostra struttura aziendale? «La sede principale, localizzata

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Ci siamo orientati verso una diversificazione territoriale della produzione, con l'apertura di una sede a Roma e la realizzazione di numerose opere nella Regione Lazio

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a Pompei, è affiancata da una sede distaccata a Roma, con competenze esclusivamente progettuali. All'impresa edile tradizionale sono inoltre affiancate un'officina specializzata in carpenteria metallica, una nella costruzione tetti e realizzazioni di legno, una nell'impiantistica in generale e una immobiliare. La partnership istituita con blasonati professionisti del settore ci permette – infine – di offrire un servizio integrato e di grande qualità». CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 143


EDILIZIA

Edifici a impatto zero Utilizzo di materiali facilmente riciclabili e risparmio energetico nel rispetto dei canoni ecologici, rappresentano i principi della nuova edilizia. La prospettiva di Carmine Strazzella Simona Langone resentare innovazioni al mercato di riferimento rappresenta un’alternativa per affrontare la difficile congiuntura economica. Questi sono gli obiettivi che si propone la Costruire di Vallata, nata nel 2001 e operante nel settore delle strutture in legno lamellare. Approfondisce l’argomento Carmine Strazzella, amministratore unico dell’azienda. Come vi impegnate nel promuovere le case in legno? «Sono ormai anni che si parla di questo nuovo sistema costruttivo che ha visto un interesse sempre maggiore degli addetti ai lavori, in particolare dei tecnici. E da sempre noi abbiamo cercato di diffondere questo modus operandi, offrendo supporto e consulenza, promuovendo questa opportunità anche con convegni, incontri e approfondimenti tecnici. Sono convinto che operando in sinergia anche con aziende fornitrici di materiali, cooperando con tutti gli attori in campo e la ricerca di perfezionamenti professionali sia la chiave per la competitività». Quali sono i principi alla base della Costruire? «L’idea che guida le realizzazioni

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Carmine Strazzella, amministratore unico della Costruire Srl di Vallata (Av). Sopra, alcune realizzazioni della Costruire srl strazzella@tin.it

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risponde alle diverse richieste, senza standardizzazioni, e riguardano case in legno, anche con la formula chiavi in mano. I punti di forza di questa nuova frontiera sono molteplici, tra cui la possibilità di ottenere, integrando diverse soluzioni, un manufatto a consumo zero in termini energetici utilizzando, tra l’altro, materiali rispettosi dell’ambiente». Quali sono le proposte innovative? «La Costruire continuerà ad ampliare e migliorare l’offerta legata all’attività ormai ultra decennale. Si propone di realizzare piccole e grandi strutture in legno puntando sull’evoluzione, utilizzando colori, lavorazioni, materiali innovativi discostandosi dall’uso canonico del legno, ormai abbastanza inflazionato. L’accostamento con materiali quali l’acciaio, il vetro, la pietra e sistemi di ombreggiamenti particolari consentono di realizzare lavori esclusivi». Verso quali aree ampliate il vostro raggio d’azione? «Abbiamo ottenuto i primi risultati sul territorio italiano, con numerose costruzioni. A breve saremo impegnati alla costruzione di un intero villaggio vacanze Sardegna».



EDILIZIA

La diagnostica, nuova linfa per l’edilizia

Non tutto il comparto edile risente della stagnazione. Per seguire le ultime normative, infatti, il ramo delle prove diagnostiche sul costruito sta vivendo un periodo di frenetica, dinamica e innovativa attività. A parlarne è Nicola Polzone Emanuela Caruso

a quando, nel 2008, le nuove normative tecniche per le costruzioni hanno stabilito regole precise in merito alla diagnostica sugli edifici costruiti, quello delle indagini per studiare e testare la sicurezza e le condizioni generali delle opere già realizzate è diventato uno dei rami più interessanti e redditizi del comparto edile. Alla luce di queste prove è, infatti, possibile effettuare interventi di miglioramento e adeguamento molto più mirati e, soprattutto, maggiormente volti alla sicurezza e resistenza in caso di evento sismico. Cogliendo l’importanza e la costante richiesta del mercato di questa attività, la Geo Consult, società di Manocalzati, in provincia di Avellino, e specializzata in certificazioni e test sui materiali nel campo dell’ingegneria civile e dell’edilizia, ne ha fatto il proprio core business. «Le prove sulle strutture costruite – spiega Nicola Polzone, titolare della Geo Consult –, impiegate per verificare la tenuta sismica di

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Sopra, un soffitto della Certosa di San Martino (NA) per cui la Geo Consult di Manocalzati (AV) ha effettuato un monitoraggio strutturale geoconsultlab@tin.it

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svariate opere edili, tra cui ponti stradali e ferroviari ed edifici, è diventata essenziale per poter stare al passo con le normative». Proprio per garantire la completa rispondenza a tali norme e l’assoluta soddisfazione dei committenti la Geo Consult dispone tanto di un laboratorio prove materiali e certificazioni altamente qualificato e gestito da professionisti del settore, quanto di attrezzature e strumenti al-

l’avanguardia. «L’efficienza del nostro laboratorio e delle attività svolte al suo interno ci ha permesso in questi anni di conquistare non solo la fiducia della clientela, ma anche delle certificazioni importanti, come per esempio la Concessione Ministeriale e il riconoscimento Uni En Iso 2000, che oggi ci consentono di operare in svariati settori: quello geotecnico e ambientale, quello dei controlli strut-


Nicola Polzone

turali e del monitoraggio di opere realizzate con vari materiali, quello delle infrastrutture, e infine il comparto del rilievo topografico e architettonico e il ramo metallurgico e metallografico. Per portare avanti le complicate indagini di cui ci occupiamo, ci avvaliamo inoltre di attrezzature di diverse tipologie e facilmente adattabili all’innovazione continua che caratterizza il nostro “mondo”. I macchinari e gli strumenti di cui disponiamo sono di tipo distruttivo, è il caso delle presse che testano il campione per determinare i carichi di rottura, e di tipo non distruttivo, come gli ultrasuoni, i georadar, i magnetometri e altro». Esattamente come le strumentazioni, anche le prove svolte dalla Geo Consult si dividono in distruttive e non distruttive. Nel primo caso, l’intervento «mira a distruggere

una parte della struttura per prelevarne un campione, che verrà poi sottoposto ad analisi e test, e viene definito distruttivo in quanto è un metodo invasivo. Se, invece – continua Nicola Polzone –, parti della struttura danneggiano il fabbricato o causano disagio a chi vi abita, si procede con opere non distruttive, e quindi non invasive, che utilizzano i valori della velocità di propagazione degli impulsi sonori per estrapolare informazioni sull’omogeneità del calcestruzzo investigato». Tra i molti interventi di cui la Geo Consult si occupa, uno dei più richiesti è la prova di carico, che a oggi si può effettuare con metodi e materiali sempre più innovativi. «Questa verifica – conclude Nicola Polzone – consiste nel produrre una o più forze concentrate e calcolate in modo da produrre lo stesso stato tensionale massimo previsto in caso di sisma o di carico

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A seconda dei casi che dobbiamo affrontare, interveniamo con prove distruttive o non distruttive, tutte però altamente tecnologiche

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distribuito. Per generare tali forze utilizziamo alcuni martinetti che trasferiscono il peso da un punto all’altro con un metodo definito “a spinta”. All’impiego dei martinetti, poi, si aggiunge quello di particolari sensori il cui compito è di rilevare variazioni di fessurazioni preesistenti, rotazioni e tensioni. Quado non è possibile usare i martinetti, utilizziamo strumenti diversi e di ultima generazione, come i sacconi in Pvc, che vengono distesi e riempiti d’acqua fino a un’altezza che consenta di arrivare al carico di prova e quindi di misurare la deformazione del costruito». CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 147


EDILIZIA

Il noleggio, una scelta strategica In campo edile il noleggio dei macchinari, utilizzati per particolari lavorazioni, sta diventando una prassi consolidata. Massimo Sellitto illustra i vantaggi di questa soluzione e l’evoluzione del settore Guido Puopolo

n questi ultimi anni stiamo assistendo a una diffusione sempre maggiore dello strumento del noleggio, soprattutto per quel che riguarda determinati ambiti produttivi, come ad esempio quello delle costruzioni. In particolare la necessità di disporre di attrezzature e macchinari anche solo per un breve periodo di tempo, e la possibilità di utilizzare soluzioni che vanno a coprire esigenze “parziali” nel corso delle lavorazioni, spinge le imprese, soprattutto quelle di piccole e

I In alto, Massimo Sellitto, titolare della Sellitto Massimo Srl di Castel San Giorgio (SA). Qui sotto e a fianco, alcune delle macchine dell’azienda in azione www.sellitto.it info@sellitto.it

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medie dimensioni, a ricorrere sempre più spesso a questa formula contrattuale. «Fino a poco tempo fa la cultura del possesso materiale dei beni era molto forte tra gli imprenditori. Ora invece gli operatori del settore stanno iniziando a comprendere i vantaggi derivanti dal noleggio», spiega Massimo Sellitto, titolare della Sellitto Massimo Srl, società di Castel San Giorgio specializzata nel noleggio di ponteggi e macchine per il sollevamento aereo. «In primis ci sono benefici fiscali e amministrativi. Questa soluzione garantisce inoltre la possibilità di disporre sempre di un’attrezzatura moderna e idonea a ogni specifica esigenza, con un costo definito per qualsiasi intervento, evitando immobilizzazioni di capitali non direttamente destinati all’attività principale dell’azienda». Quali sono, al momento, i servizi più richiesti dalla committenza? «Il noleggio è concepito prin-

cipalmente a breve e medio termine. Manca ancora la cultura del noleggio a lungo termine tra la nostra clientela, che risulta per la maggior parte composta da piccole e medie imprese di costruzione. Offriamo diverse modalità di servizio: dal noleggio “a freddo”, mettendo a disposizione solo il bene noleggiato, a quello “a caldo”, che prevede l’ausilio di un nostro operatore. A questi affianchiamo diversi servizi complementari, come ad esempio sopralluoghi gratuiti in cantiere». Come si compone il vostro parco macchine? «L’azienda tratta, oltre al montaggio e noleggio di ponteggi e al noleggio di piattaforme aeree con altezze variabili tra i 6 e i 70 metri, anche il montaggio e noleggio di coperture provvisorie, ponti mobili e ascensori da cantiere, così come sollevatori telescopici, gruppi elettrogeni, ecosabbiatrici, motocarriole, autocarri con gru e carrelli ele-


Massimo Sellitto

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Il noleggio garantisce benefici fiscali e amministrativi e la possibilità di disporre sempre di un’attrezzatura moderna e idonea a ogni specifica esigenza

vatori. Disponiamo unicamente di marchi top, come Palazzani, Airo, Haulotte, Socage, Oil & Steel. Le caratteristiche delle nostre macchine, sempre nuove e costantemente revisionate, consentono agli operatori di affrontare lavori di diverso tipo, come tinteggiature, manutenzioni industriali, manutenzioni edili, lavori di lattoneria, sigillature, montaggio di impianti industriali, elettrici, idraulici, di condizionamento e molto altro ancora». Il vostro è comunque un lavoro delicato. Quali soluzioni avete adottato per ridurre al minimo i rischi per gli operatori? «La sicurezza delle maestranze durante le lavorazioni è per noi una cosa imprescindibile. Gli operatori di piattaforme aeree frequentano periodicamente corsi di formazione e aggiornamento,

che vengono svolti sia presso le sedi dei produttori delle nostre macchine a noleggio sia presso la nostra sede. Periodici anche i corsi di aggiornamento svolti delle maestranze impiegate nell’allestimento di ponteggi, coperture provvisorie, ponti mobili e ascensori da cantiere. Il tutto nel pieno rispetto della normativa di sicurezza sul lavoro in vigore». In che modo la crisi ha influenzato il vostro settore di riferimento e quali strategie avete attuato per far fronte a questa situazione? «Su questo punto le incertezze si sentono: c’è una certa difficoltà da parte della clientela a onorare gli impegni. Ma la crisi ci ha colpiti solo in parte: infatti alla progressiva crescita nel quinquennio 2000-2005 ha fatto seguito una strategia volta al consolidamento e all’incremento

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del mercato campano. Negli ultimi anni, infatti, abbiamo gettato le basi per espanderci, aprendo due nuovi punti di noleggio a Vallo della Lucania e ad Avellino». Quali infine gli obiettivi per il futuro? «Puntiamo alla ricerca di nuove nicchie di mercato, andando verso un noleggio generalista, con l’obiettivo di mettere a disposizione dei nostri committenti prodotti nuovi e sempre più performanti». CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 151




EDILIZIA

La riqualificazione a Salerno La crisi economica che colpisce il settore edile non ferma la Edil Casa 97, impegnata in importanti opere di riqualificazione e di trasformazione edilizia della città di Salerno. Il punto di Antonio Napoli Carlo Gherardini

a Campania, più di altre regioni, subisce i contraccolpi della crisi nel comparto edile. Ma non nel Salernitano. «Se per decenni, l’edilizia nella nostra zona è rimasta ferma, da qualche anno si assiste invece a un aumento del numero dei lavori. Si sta ricominciando a costruire, grazie soprattutto all’intervento dell’amministrazione comunale che ha saputo incentivare l’acquisto di immobili anche da parte di cittadini non resi-

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denti - afferma Antonio Napoli, titolare della Edil Casa 97, azienda presente a Salerno da oltre venti anni -. La nostra impresa ha scelto di restare fortemente legata alla realtà locale, investendo principalmente nelle risorse territoriali e umane della città, per favorirne il più possibile la crescita e lo sviluppo». Edil Casa 97 scommette sul futuro, cui continua a guardare con ottimismo, proseguendo la sua opera di costruzione e riqualificazione del territorio salernitano.

La trasformazione edilizia dell’Hotel K di Salerno. Nella pagina accanto, Antonio Napoli, amministratore unico della Edil Casa 97 di Salerno, e il rendering del progetto di riqualificazione dell’area dell’ex fabbrica Elia - edilcasa97@alice.it

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Attualmente state lavorando a un importante progetto di riqualificazione dell’area ex fabbrica Elia. Come la trasformerete? «L’area sorge nella zona centrale di Salerno, nel quartiere Torrione, in via Robertelli, alle spalle del mercato. Il nostro progetto prevede la costruzione di un edificio per abitazioni civili, che comporterà finalmente la riqualificazione dell’intera area dell’ex fabbrica di tubolari Elia. Abbiamo fortemente voluto questo nuovo insediamento abitativo, che sarà dotato dei più moderni comfort e verrà costruito con innovativi materiali termo isolanti e finiture di pregio». Come si strutturerà l’edificio? «L’edificio si svilupperà su sette piani. Ogni piano comprenderà quattro appartamenti, luminosi e collegati tra loro tramite ampi balconi e terrazzi, mentre il piano terra sarà adibito a uso commerciale. La qualità dei materiali scelti è di altissimo livello: i muri di tompagno saranno coibentati in modo


Antonio Napoli

che le forniture garantiscano un basso livello di trasmittanza termica, per offrire prestazioni di alto comfort abitativo sia dal punto di vista termico che acustico». Quali i criteri di valutazione adottati in questa particolare circostanza? «Alla base della rivalutazione c’è l’apertura dell’edificio verso il mercato e viceversa, che effettueremo attraverso l’abbattimento dell’attuale muro di cinta che insiste alle spalle del mercato. Verranno così realizzate nuove infrastrutture, con il collegamento alla nuova linea metropolitana, ai giardini e agli spazi pubblici». In che modo la scelta di materiali all’avanguardia in un progetto di costruzione, oltre che al comfort abitativo, risponde all’esigenza del rispetto per l’ambiente? «Per avere una casa in buona salute, occorre partire dalle fondamenta, quindi dai ma-

teriali che compongono la struttura. Il migliore è sicuramente il legno, ma si deve tenere conto che la maggior parte delle case sono costruite con il cemento armato. Ciascun materiale deve, quindi, essere giudicato in base alle sue caratteristiche, alle sue qualità e al suo impatto ecologico. In ogni caso, i materiali che compongono l’edificio rispettano senza alcun dubbio l’ambiente». Uno dei vostri lavori più recenti riguarda la trasformazione dell’Hotel K vicino al porticciolo di Pastena. In che cosa consiste questo progetto? «Abbiamo rilevato la struttura per realizzarvi un ambizioso progetto di trasformazione edilizia. L’involucro esterno sarà conservato nella sua interezza, mentre all’interno saranno realizzati lussuosissimi appartamenti. L’intervento prevede appartamenti, non-

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Il nostro progetto prevede la costruzione di un edificio per abitazioni civili, che comporterà finalmente la riqualificazione dell’intera area dell’ex fabbrica di tubolari Elia

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ché locali commerciali, uffici e garage. L’edificio si sviluppa su tre piani, su ognuno dei quali vi saranno dieci appartamenti luminosi con vista mare e tutti gli ambienti comunicheranno con balconi. Il piano rialzato, invece, sarà destinato a uffici e unità commerciali e il piano interrato ai box auto. Gli appartamenti saranno consegnati finiti e rifiniti secondo il pregiatissimo capitolato previato, anche se si potranno studiare soluzioni personalizzate da concordare con i nostri architetti». CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 157




Architetture in acciaio e alluminio L’attività di Tecnomontaggi spazia a tutto tondo nella lavorazione dell’acciaio e dell’alluminio con particolare riferimento al settore delle facciate sospese. L’esperienza di Giuseppe, Vincenzo, Romualdo e Quirino Oppressore Carlo Gherardini

ai lavori navali alle grandi architetture. In poco più di dieci anni, la Tecno Montaggi di Napoli, guidata dai fratelli Giuseppe, Vincenzo, Romualdo e Quirino Oppressore, è diventata leader nel settore delle facciate sospese e vanta tra i propri lavori la realizzazione della facciata principale inclinata dell'Aeroporto di Capodichino e le chiusure perimetrali della Stazione Centrale di Napoli Piazza Garibaldi. La facciata inclinata dell'Aeroporto di Capodichino, in particolare,

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è un'opera rara e di forte impatto architettonico. «Questa realizzazione – spiega Vincenzo Oppressore – è nata dal desiderio di utilizzare una tecnologia oramai nota, quella delle facciate puntuali, secondo uno schema diverso da quello tradizionale. L'angolo di inclinazione di circa 40 gradi ha reso, infatti, la realizzazione della facciata quasi una sfida. Abbiamo realizzato una parete di circa 250 mq di vetro, sorretta da cavi tiranti in acciaio intervallati da crociere, sempre in acciaio, rispettando l'inclinazione dettata

da progetto. Il tutto si è concluso in circa 60 giorni lavorativi». La stessa tecnologia delle facciate puntuali è stata utilizzata per il perimetro esterno della Stazione ferroviaria di Napoli Centrale. «In questo caso non ci siamo trovati davanti a particolari esigenze costruttive - spiega Romualdo Oppressore -, non c’erano particolari inclinazioni da rispettare, ma l'opera sorprende per la sua grandezza. Tutto l'edificio della stazione è stato tamponato con facciate in spiderglass. Metri su metri di cristallo, completati in circa 14


Giuseppe, Vincenzo, Romualdo e Quirino Oppressore

In apertura e in alto, la facciata inclinata dell'Aeroporto di Capodichino. Sopra Vincenzo, Romualdo e Quirino Oppressore. A sinistra, il perimetro esterno della Stazione ferroviaria di Napoli Centrale www.tecnomontaggisrl.eu

mesi». Lavori di questa portata dimostrano la grande cura per i dettagli e la spiccata capacità di risoluzione di problemi esecutivi, anche in condizioni atipiche e sfavorevoli. Tecno Montaggi infatti oggi è leader nella lavorazione dell’acciaio e dell’alluminio, materiali duraturi, affidabili e di qualità. «Saperli lavorare con maestria – afferma Quirino Oppressore - significa offrire un prodotto di successo senza dover temere grossa concorrenza. Avendo conservato l'impronta artigianale di origine, riusciamo inoltre a realizzare con facilità anche lavori in acciaio e alluminio di complessità notevole, potendo contare sulla nostra autonomia di produzione di elementi non diffusi

sul mercato e realizzati ad hoc per ogni evenienza. In questo modo abbiamo potuto realizzare anche la facciata del Grande Hotel di Salerno, producendo in officina tutti gli elementi metallici di facciata». Le potenzialità di Tecno Montaggi, infatti, vanno oltre le opere di architettura, ambito nel quale l’azienda, operando sempre in sicurezza e nel rispetto delle scelte progettuali della committenza, ha effettuato lavori di rilievo di grande e di piccola entità, sia nel settore privato che pubblico, civile, industriale e navale. L’azienda infatti rappresenta altresì un punto di riferimento affidabile per la realizzazione di restyling di facciata, vetrate ventilate e cappotti termici, con

maggiore esperienza per il settore industriale. Sempre attivo è, inoltre, il cantiere navale di Monfalcone, guidato da Giuseppe Oppressore, e impegnato nel montaggio, nell’accessoristica e nell’arredo di imbarcazioni. «Realizziamo inoltre elementi di arredo sia di piccola che di grande entità, e riforniamo importanti compagnie crocieristiche sia italiane che straniere. Infine – conclude Vincenzo Oppressore – possiamo effettuare in officina lavori di piegatura, saldatura, curvatura e spazzolatura dei metalli, lavorando su progetto fornito o provvedendo autonomamente alla realizzazione degli esecutivi grazie alla presenza in azienda di tecnici specializzati». CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 161




NAUTICA

Verso le placide acque della crescita Superate le “mareggiate” del biennio 2009-2010, la nautica da diporto non fa mistero di pensare al rilancio. Uno scenario reso più palpabile dagli importanti correttivi a favore del comparto approvati dal recente decreto liberalizzazioni. Parola ad Anton Francesco Albertoni Giacomo Govoni

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frutti dell’impegno che Ucina ha profuso nell’ultimo anno a favore della crescita del turismo nautico, si erano già visti a maggio scorso quando, all’interno del decreto sviluppo, l’approvazione di misure che assegnavano al diporto le aree inutilizzate dei bacini portuali esistenti, avevano permesso di ricavare 40.000 posti barca in più e 10.000 nuovi posti di lavoro nei servizi. Poco mesi più tardi, ed è storia recente, anche dal decreto liberalizzazioni sono giunte notizie con-

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fortanti. «Non possiamo che esprimere soddisfazione – commenta Anton Francesco Albertoni, presidente di Ucina – per le novità d’interesse per il comparto nautico contenute nel documento, risultati di un complesso e articolato lavoro promosso e condiviso con le altre associazioni del cluster marittimo». Il vostro contributo è stato determinante per apportare correttivi alle misure destinate alla nautica: quali le più significative? «Oltre alla trasformazione


AntonXxxxxxx Francesco Xxxxxxxxxxx Albertoni

Anton Francesco Albertoni, presidente di Ucina Confindustria nautica

della tassa di stazionamento in imposta di possesso sul bene con esclusione delle unità di proprietà degli stranieri, all’interno del decreto liberalizzazioni approvato in via definitiva alla Camera nel mese di marzo, sono contenuti altri provvedimenti a nostro avviso utili per il rilancio della nautica italiana. Penso in particolare alla semplificazione delle procedure per la realizzazione di porti turistici, del noleggio, del regime doganale delle navi da diporto extra Ue e del regime dell’export». Su quali altri nodi ritenete prioritario richiamare l’attenzione dell’Esecutivo sul comparto? «L’attenzione e l’impegno dell’associazione è ora rivolto, in particolare, all’applicazione del cosiddetto “regime del margine Iva”, già utilizzato nelle auto, anche nel mondo della nautica per la compravendita di imbarcazioni, uno strumento che darebbe nuovo slancio al mercato dell’usato. Infine, confidiamo in una maggiore equità nell’approccio fiscale - dai valori dati del redditometro e dallo spesometro ai controlli - affinché quest’ultimo non penalizzi il nostro settore rispetto ad altri beni considerati di lusso». Quali sono i motivi di sofferenza per le imprese portuali evidenziati dal rap-

porto sul turismo nautico recentemente presentato? «Il rapporto realizzato dall’Osservatorio nautico nazionale ha evidenziato come, dal punto di vista della gestione economica, le imprese portuali, snodo centrale di questo settore, mostrino evidenti sofferenze non tanto nella gestione caratteristica, quanto nell’area tributaria, per via dell’esponenziale aumento dei canoni delle concessioni demaniali, e finanziaria. Lo stesso rapporto ha mostrato come a pesare sui porti non sia solo l’aumento dei canoni demaniali, ma anche la mancata correlazione tra il valore di questi ultimi e il numero di posti barca presenti all’interno di tali strutture». Uno sbocco interessante è rappresentato dal settore charter del diporto: oltre al mercato “sommerso” che penalizza gli operatori regolari di questo ramo, in quali direzioni si può intervenire per migliorarne l’andamento?

«Ritengo che la semplificazione dell’attività di noleggio contenuta, come dicevo prima, nel decreto liberalizzazioni, possa dare un nuovo impulso allo sviluppo del chartering nel nostro Paese. Il decreto ha infatti stabilito che per le unità superiori ai 10 metri il noleggio può essere esercitato in forma occasionale dallo stesso armatore proprietario dell’imbarcazione o da persona da lui designata nel rispetto delle normative vigenti, con il versamento di un’imposta pari al 20% per i corrispettivi conseguiti fino a 30.000 euro. Tale disposizione avrà ricadute positive sia per i privati, che attraverso il noleggio occasionale potranno abbattere i costi derivanti dal possesso di un’imbarcazione, sia per le stesse agenzie di intermediazione, che potranno più facilmente reperire sul mercato imbarcazioni disponibili al noleggio, diminuendo la propria esposizione finanziaria». Sul versante occupazio- CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 167


NAUTICA

Per la prima volta nella storia della nautica le nostre aziende sono state costrette a ricorrere allo strumento della cassa integrazione, applicata nel 2009 al 35% della forza lavoro

nale, quali risvolti emer- guardando in questo modo la gono dalla fotografia del settore del diporto? «La crisi economica globale ha pesato duramente non solo in termini di contrazione del fatturato globale, passato dai 6,2 miliardi di euro del 2008 ai 3,4 miliardi del 2010, secondo gli ultimi dati della Nautica in cifre, ma anche di riduzione dei livelli occupazionali. Per la prima volta nella storia della nautica le nostre aziende sono state costrette a ricorrere allo strumento della cassa integrazione, applicata nel 2009 al 35% della forza lavoro. Il ricorso a tale strumento ha permesso allora di limitare al 12% la contrazione del numero di dipendenti, salva168 • DOSSIER • CAMPANIA 2012

manodopera specializzata, caratteristica dell’eccellenza produttiva della cantieristica made in Italy». E dopo il 2009, è tornata un po’ di luce sul comparto? «Il trend negativo è proseguito anche nel 2010, con una riduzione del numero di addetti diretti rispetto al 2009 pari all’11%, valore nettamente inferiore rispetto alla diminuzione del fatturato globale. Il perdurare della crisi e uno scenario economico quanto mai incerto, rendono estremamente difficile ogni forma di previsione. Sebbene i provvedimenti contenuti nel decreto liberalizzazioni aprano nuovi positivi scenari per il nostro com-

parto, che ha visto riconfermato il proprio ruolo di settore industriale centrale e strategico per la ripresa economica del Paese». Siete alla vigilia delle assise generali della nautica. Su quali indirizzi si sta muovendo il gruppo di lavoro che segue il capitolo della piccola nautica? «Il gruppo di lavoro sui natanti e lo sviluppo nautica sociale, guidato dai consiglieri Ucina Piero Formenti e Umberto Capelli, ha come obiettivo l’individuazione di strumenti di sviluppo specifici per il comparto. Tra le tematiche affrontate figurano la possibilità per i concessionari rivenditori di accedere al credito e i supporti informativi a livello tecnico di marketing e finanziario proprio per le reti di vendita. Altro argomento centrale che interesserà le assise, sarà quello della partecipazione alle collettive organizzate da Ucina all’interno dei principali saloni nautici internazionali, che rappresentano uno strumento attraverso cui le aziende del segmento possono trovare la forza per affacciarsi sui mercati emergenti».


Gian Marco Ugolini

Fare posto ai servizi per il diporto Alla luce del rapporto sul turismo nautico appena pubblicato, Gian Marco Ugolini descrive il trend della diportistica nazionale e le rotte da correggere per migliorarne l’attrattività turistica ed economica nei prossimi anni Giacomo Govoni

l problema del parcheggio non è solo appannaggio della terraferma. Scorrendo i dati dello studio “Nauticzone”, suffragati dal rapporto sul turismo nautico presentato a fine marzo dall’Osservatorio nautico nazionale, si scopre che ormeggiare nelle acque italiane è più difficile che in altri Paesi europei. Il leggero incremento dei posti barca, saliti dai 153.027 del 2010 ai 157.000 dell’anno scorso, aggiorna a 3,8 il rapporto unità da diporto-posto barca, accorciando di poco il divario con Spagna, Francia e Turchia, dove il rapporto è di circa uno a due. «Al Sud poi – sottolinea Gian Marco Ugolini,

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direttore dell’Osservatorio nato su proposta di Ucina – si riscontra una minor presenza sia di servizi generali, sia di quelli specificatamente dedicati alla nautica». Una tendenza che trova conferma nello scenario campano in cui, malgrado una quota immatricolazioni seconda solo alla Liguria, la garanzia del posto barca esiste solo per un natante su 5,6. Perché, a fronte di un rilevante numero di unità da diporto, l’Italia sconta una carenza di posti barca rispetto ad altri paesi affacciati sul Mediterraneo? «La domanda di posti barca in Italia è particolarmente squilibrata sul piano territoriale: sull’alto Tirreno e alto Adriatico grava tutto il bacino del nord Italia. Al Sud gravita una domanda mediamente inferiore, anche perché spesso il territorio risulta meno accessibile in termini di viabilità stradale e di collegamenti aerei diretti, che sarebbero invece in grado di convogliare una fascia di diportisti proveniente dalle grandi città italiane e dell’Europa stessa». Una disponibilità di posti barca che non è coerente con la mappatura delle immatricolazioni. Alla Campania af-

feriscono oltre il 15% delle 100mila barche registrate nel 2011 in Italia. Come va letto questo dato? «Con oltre 15mila unità immatricolate, la Campania si situa al secondo posto dopo la Liguria. Anche se spesso la barca viene immatricolata dal produttore o importatore, per cui il luogo d’immatricolazione non corrisponde necessariamente al domicilio del proprietario, al cantiere produttore o al luogo di utilizzo. Più rappresentativo del parco regionale immatricolato è invece l’indice di pressione calcolato dall’Osservatorio nautico nazionale che stima che in Campania su ogni posto barca esistente gravitano 5,6 unità da diporto. Fermo restando che sotto una certa dimensione il posto in acqua non è necessario, ben si comprende come ci siano ancora margini di crescita nell’offerta di posti barca». Nel panorama nautico campano si registra un 2,2% di aziende dedite al comparto charter. Come muterebbe questo dato, se si conteggiassero anche le realtà che operano “sotto il pelo dell’acqua”? «Indubbiamente in Campania c’è una quota molto marginale CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 169


NAUTICA

di imprese ufficiali di charter, anche se sono presenti importanti realtà nel settore delle navi da diporto. È difficile stimare la quota di presenza di operatori non ufficiali, peraltro spesso numericamente a sopravvalutati: nella nostra ultima indagine risulta infatti che solo il 6% delle aziende di noleggio lamenta la presenza dell’abusivismo. La recente normativa introdotta nel decreto liberalizzazioni risolve in parte questo problema: al fine dell’emersione viene introdotto infatti il noleggio occasionale, esercitato con unità di privati che posso effettuare il noleggio se in possesso di patente nautica». Riallargando lo sguardo a livello nazionale, sotto quali aspetti le imprese portuali, centrali per il successo di

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questo settore, mostrano le maggiori sofferenze? «Quest’anno l’Osservatorio nautico nazionale ha eseguito un’importante indagine su 277 strutture portuali, pari a oltre il 51% del totale nazionale. Le cause di difficoltà più citate dalle stesse direzioni portuali rimandano a tre aspetti principali, correlati alla fase di costruzione di nuovi porti, nonché alla fase di gestione: l’eccessiva burocrazia che ostacola la costruzione di nuovi posti barca; la forte tassazione che penalizza la gestione della struttura e in particolare l’assunzione di personale; le modalità di controllo fiscale invasive che creano difficoltà sia per il mantenimento sia per l’acquisizione di nuovi clienti».

In base alle vostre proiezioni, quali “rotte favorevoli” suggerireste al 92% delle imprese nautiche che esprime scetticismo circa la possibilità di tornare ai livelli di redditività pre-crisi? «In questi anni di crisi il settore della produzione è stato sorretto soprattutto dai mercati esteri che hanno saputo valorizzare l’eccellenza italiana. Per il futuro sarà necessario riattivare il mercato interno: secondo indagini dirette, i porti hanno confermato che attualmente la richiesta di posti barca è soprattutto orientata verso la “taglia media”, quindi quella che va dai 10-12 metri di lunghezza fino ai 18-20, e che risulta perciò la più promettente».



CRIMINALITÀ

Aggressione ai patrimoni illeciti delle mafie Contrastare la criminalità organizzata intensificando accertamenti economici e controlli a livello internazionale. È uno degli obiettivi indicati da Domenico Achille, neo comandante interregionale dell’Italia meridionale della Guardia di Finanza Francesca Druidi

i è appena insediato al Comando interregionale dell’Italia meridionale della Guardia di Finanza il generale di corpo d’armata Domenico Achille, con competenza su Campania, Puglia, Basilicata e Molise. «Il mio impegno – afferma Achille nell’indicare gli obiettivi programmatici del suo mandato – è indirizzato a fornire risposte incisive alle aspettative di legalità, fronteggiando le sfide della criminalità nei più rilevanti contesti in cui operano le 9.400 Fiamme Gialle del comando interregionale con piani operativi connotati dalla trasversalità». Cosa caratterizza in particolare l’azione del comando interregionale? «La circoscrizione del comando è contraddistinta da una singolare sensibilità, a causa di taluni gravi fenomeni di devianza criminale che ne connotano il profilo e che impongono una risposta risoluta da parte del Corpo, in ragione delle particolari competenze che l’ordinamento gli affida. Evasione fiscale, lavoro nero, frodi sui finanziamenti pubblici, criminalità organizzata, riciclaggio, abusivismo finanziario, truffe

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in danno dei risparmiatori, contraffazione e traffico di sostanze stupefacenti, rappresentano i principali fronti di intervento, per citare solo i più salienti, per i quali è fondamentale disporre di modelli operativi di contrasto, costantemente attualizzati in coerenza con il rapido - e a volte ingegnoso - mutare delle forme di manifestazione dell’illegalità. La pianificazione strategica che ha sin qui ispirato e che continuerà a ispirare l’azione del comando con sempre maggiore determinazione prevede che le diverse tipologie delittuose siano affrontate con un approccio globale e trasversale, essendo espressioni di una minaccia unitaria». Ciò cosa comporta? «Il doversi porre quale obiettivo strategico la promozione delle migliori condizioni volte a rendere pienamente efficace il modello ideale che sostiene l’azione della Gdf: l’esaltazione dell’esercizio dei particolari poteri amministrativi attribuiti al Corpo, in connessione con quelli di polizia giudiziaria; il capillare presidio del territorio per captare i segnali di illiceità; il proficuo impiego delle tecnologie in dotazione


Domenico Achille

La pianificazione strategica prevede che le diverse tipologie delittuose siano affrontate con un approccio globale e trasversale

per la relativa analisi; le investigazioni sui flussi finanziari per farne emergere la reale natura». Anche rispetto al suo precedente incarico in Sicilia, come può essere valutata l’azione della Guardia di Finanza in merito al contrasto della criminalità organizzata sul piano economico in Meridione? «L’azione della Guardia di Finanza sotto questo aspetto può dirsi oggettivamente di alto livello sia per la validità intrinseca dei modelli operativi concepiti per sostenere quella che può, a giusto titolo, definirsi una vera battaglia, sia per l’efficienza del relativo utilizzo che ha consentito l’ottenimento di efficaci risultati: solo nell’ultimo triennio si è pervenuti al sequestro di beni per un valore di circa 1,8 miliardi di euro, la cui origine è stata ricondotta alla commissione di reati di mafia, riciclaggio e usura». Quali restano i principali ostacoli? «Permane un significativo profilo di criticità, sostanzialmente e in prevalenza riconducibile alla sempre più insidiosa mimesi cui la criminalità organizzata fa ricorso, con impegni di spese consistenti e raffinate tecniche di ingegneria

della dissimulazione, per cercare di assicurare ai beni frutto di illiceità uno schermo sempre più resistente». Con quali strategie sarà possibile affinare l’azione di contrasto alle mafie nei territori di sua competenza? «Valorizzando al meglio il modello basato sull’approccio trasversale dell’azione investigativa, che mira a colpire la criminalità organizzata nel cuore dei propri interessi economici e finanziari attraverso una convergente logica intervenziale, basata sull’aggressione dei patrimoni illecitamente accumulati e sulla prevenzione della forSopra, mazione di capitali di origine criminale. La stra- Il generale di corpo tegia di fondo si svilupperà, nello specifico, d’armata Domenico Achille, comandante lungo una triplice direzione». interregionale dell’Italia Quali i binari privilegiati? meridionale della «L’assicurazione alla giustizia dei responsabili Guardia di Finanza dei delitti più efferati; l’attacco al potere economico delle organizzazioni criminali anche con finalità di protezione e sostegno del libero mercato; il rintraccio e il recupero delle ricchezze illegali. La sistematica proposizione alle autorità giudiziarie dell’adozione di misure abla- CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 173


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tive dei beni ottenuti illegalmente sarà obiettivo claggio e usura? prioritario di tutte le investigazioni dei reparti operanti nel territorio di riferimento del comando interregionale. Sempre più incisivi saranno gli accertamenti patrimoniali anche su contesti territoriali e temporali distanti rispetto a quelli in cui si sono svolte le investigazione originarie, così come saranno maggiormente valorizzate le competenze specialistiche del Corpo anche sul piano internazionale, considerando che i flussi finanziari di matrice criminale spesso vengono mascherati tramite strutture o veicoli societari situati in centri off-shore». Concentrandoci su Napoli, e la Campania in generale, quali saranno a suo avviso i punti centrali della lotta alla criminalità? «Diretta conseguenza della capillare e massiccia diffusione sul territorio della criminalità, segnatamente di tipo organizzato, è l’accumulazione da parte dei clan di disponibilità elevatissime di capitali illeciti. Questi costituiscono il provento delle più diverse attività delittuose, tra cui il contrabbando, specie di tabacchi, che dà cenni di discreta ripresa; il traffico di stupefacenti, di armi e di rifiuti; la contraffazione; la pirateria informatica e audiovisiva; l’estorsione e l’usura, da reimpiegare, attraverso le varie forme e modalità tipiche del riciclaggio, nel tessuto dell’economia legale». In che modo la camorra si serve di rici174 • DOSSIER • CAMPANIA 2012

«Li usa prima per insinuarsi e poi per controllare l’economia legale, rendendo spesso labile e incerto il confine tra impresa legale e quella criminale, stabilendo, anzi, in alcuni casi, una rete collusiva di rapporti che finiscono con l’essere ben diversi da quello, tradizionalmente contrapposto, tra delinquenti e vittime del reato. La camorra, infatti, non solo estorce denaro alle aziende, ma lo mette anche a disposizione delle stesse, utilizzandole per riciclare i proventi illeciti e per ottenere commesse e subappalti, favorendo in tal modo un flusso anomalo di denaro, fonte di ulteriori irregolarità nella gestione imprenditoriale. Inoltre, le aziende gestite direttamente o indirettamente dai clan, commercializzano beni e offrono servizi a prezzi inferiori a quelli di mercato, tagliando fuori dai circuiti economici le imprese sane, con conseguenze potenzialmente disastrose sul piano occupazionale, della libertà d’impresa, della libera concorrenza e, più in generale, della legalità». Come rispondere? «Sarà decisiva la proficua prosecuzione applicativa dei modelli di contrasto che, già intelligentemente posti in essere e attuati con significativa remuneratività dal competente comandante regionale, assicurano ogni miglior condizione di successo nel reprimere e prevenire le devianze».



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Beni confiscati, patrimonio comune da valorizzare Sono circa 1.800 i beni sequestrati in Campania. Per Antonio Amato, presidente della Commissione regionale beni confiscati, la nuova legge da poco approvata saprà dare slancio progettuale e sostegno economico al riutilizzo di questi beni Francesca Druidi

er la prima volta una regione italiana pone i beni sequestrati alle mafie come asset strategico cui riservare un’attenzione particolare. La Campania ha, infatti, recentemente approvato all’unanimità la legge “Nuovi interventi per la valorizzazione dei beni confiscati alla criminalità organizzata”, «frutto del lavoro della commissione consiliare che ho l’onore di presiedere», dichiara Antonio Amato, relatore del provvedimento e a capo della Commissione regionale beni confiscati. Quali sono i contenuti più significativi della legge? «È un testo costruito in modo partecipato, accogliendo proposte e suggerimenti giunti dall’Agenzia nazionale per i beni confiscati, dalle parti sociali, dalle associazioni e da quanti gestiscono beni confiscati. Rappresenta un punto di svolta. Se la previsione di fondi per il sostegno a progetti di riutilizzo sociale e produttivo, attraverso bando pubblico, costituisce un dato importante, dopo anni in cui questi investimenti si erano ridotti a zero, la novità della legge sta nel determinare la centralità della valorizzazione dei beni confiscati nel più complessivo quadro delle politiche regionali, interessando le politiche agricole e quelle sul lavoro,

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A destra, la comunità alloggio “Don Diana” ospitata in un bene confiscato alla camorra

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il patrimonio immobiliare, la programmazione sociale e quella culturale. Vi è, inoltre, l’istituzione di un osservatorio regionale che garantirà un sistema informativo per la geo-referenziazione qualitativa e quantitativa del patrimonio confiscato, utilizzando strumenti informatici e piattaforme libere e open source. Insomma, il riutilizzo dei beni confiscati esce dal vincolo un po’ asfissiante delle politiche per la sicurezza e diviene patrimonio comune». Quale contributo fattivo porterà la nuova legge in materia di riutilizzo dei beni confiscati in regione? Individua ulteriori misure necessarie ad accelerare questo processo? «Si è realizzato un primo passo, c’è ancora un lungo cammino da fare, ma si è scelto di abbandonare le zone d’ombra e le aree grigie, si combatte con i fatti il potere della camorra. Con questa legge ci sarà un contributo fattivo ai progetti di riutilizzo, alla programmazione regionale in materia, alla costruzione di una comune coscienza che faccia sentire davvero i beni confiscati come patrimonio di tutti. È, a ogni modo, un testo perfettibile, che potrà accogliere nel corso dei prossimi mesi nuove integrazioni, a partire da quelle relative alla gestione di beni confiscati per fini turistici da


Antonio Amato

parte di cooperative di giovani. Soprattutto, si dovrà fare ancora molto sulle aziende». Spesso proprio le aziende confiscate trovano grandi difficoltà a reinserirsi nel tessuto produttivo. Come si può ridurre questo fenomeno? «Nel testo abbiamo inserito dei primi paletti. Accogliendo sollecitazioni provenienti dall’Osservatorio nazionale sulla legalità della Fillea, ad esempio, si è prevista l’attivazione di un apposito ufficio destinato alla bonifica e re-immissione sul mercato delle aziende confiscate, per monitorare e coordinare i flussi informativi, promuovere tutte le azioni utili alla formazione degli amministratori giudiziari, predisporre specifici corsi di formazione per i dipendenti, monitorare i fabbisogni produttivi e procedere alla ricerca delle opportunità produttive. I prossimi passi dovranno garantire, quindi, a fronte di un’adeguata copertura finanziaria, una serie di agevolazioni fiscali determinanti per la fase di re-immissone nel mercato legale. Ma bisognerà lavorare anche e soprattutto per migliorare la legislazione nazionale. Il nuovo Codice antimafia sta determinando una serie di nodi che vanno sciolti il prima possibile. Dalla Campania siamo pronti a fornire il nostro contri-

buto e un importante know how». Quali sono i casi più interessanti di riutilizzo dei beni e quali, invece, i casi al momento più complessi in regione? «Oggi, sul territorio nazionale, ci sono oltre 12mila beni confiscati. Di questi, 1.819 sono presenti in Campania. In regione si è sviluppato, soprattutto in provincia di Caserta, un laboratorio di economia sociale che, attraverso il riutilizzo dei beni confiscati, la cooperazione sociale e il contributo di associazioni come Libera e il Comitato Don Peppe Diana, ha creato occupazione e sviluppo sostenibile e inclusivo. Sono nate esperienze straordinarie come “Facciamo un pacco alla camorra”; si è determinato un modello che rappresenta un’eccellenza europea. Esistono poi le grandi scommesse, a partire dalla ex Cirio, “la Balzana”, una piccola città di oltre 200 ettari, capace in passato di dare lavoro a centinaia di famiglie. Oggi in questo luogo bisogna determinare nuove possibilità. Ma ci sono ancora troppi beni non utilizzati, soprattutto a causa di lungaggini burocratiche, gravami ipotecari, inefficienze, ma anche zone grigie e ostacoli di dubbia natura. Qui bisogna intervenire con forza, senza più tergiversare».

Sopra, Antonio Amato, presidente della Commissione regionale beni confiscati

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La cultura della legalità comincia dal basso C’è un’ampia zona grigia, anche nei “palazzi”, «che per cultura, per superficialità o per paura si annida fra chi non intende schierarsi e combattere una battaglia che avrebbe bisogno del contributo di tutti». La denuncia del presidente della Commissione consiliare d’inchiesta anticamorra, Gianfranco Valiante Renata Gualtieri

l crimine organizzato è oggi diffuso in tutto il Paese; in Campania poi la camorra è ancor più viva di quanto si pensi, con il suo indiscusso epicentro nella parte nord della regione. Nelle province di Caserta e di Napoli e in parte di quella di Salerno - agro nocerino-sarnese e piana del Sele - il tessuto sociale è, in diversi strati, permeato da una cultura di illegalità diffusa. «Spesso però è complicato – fa notare il presidente Valiante – comprendere chi è veramente dalla parte della legge, in certi posti è chiaramente palpabile una condizione di collusioni, di connivenze, di reticenze e di rassegnazione anche in seno alla pubblica amministrazione». La commissione come contribuisce all’affermazione della cultura della legalità? «La battaglia all’illegalità e alla criminalità organizzata si vince tutti insieme: non è un problema affidato alla sola magistratura o alle forze dell’ordine che, con mezzi limitatissimi, danno il massimo e meritano solo la nostra gratitudine. Ma la politica non è interamente impegnata in questa battaglia e non vi è chi non si avveda di comportamenti di tanti che

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siedono nelle istituzioni, che assumono determinazioni ed esercitano azioni in palese contrasto con la dichiarata volontà di stare dalla parte della legalità e della lotta al crimine organizzato. La commissione regionale anticamorra esce sistematicamente dal Palazzo per interloquire soprattutto con i giovani nelle scuole, nel pieno convincimento che l’illegalità è innanzitutto un difetto culturale che va sradicato col buon esempio degli adulti e delle istituzioni». Come vengono recepite dalla commissione le istanze dei tanti amministratori che quotidianamente affrontano le difficoltà nelle proprie zone? «La commissione, composta da un membro per ciascuna forza politica presente nel consiglio regionale, ha scelto di essere nei territori per ascoltare amministratori pubblici, imprenditori, associazioni, semplici cittadini ed essere al loro fianco. Per tale ragione gran parte delle sedute, le cosiddette “itineranti”, si tengono nei Comuni, particolarmente in quelli più sensibili o più esposti a tentativi di infiltrazioni camorristiche, e tale scelta è risultata molto apprezzata dagli amministra-


Gianfranco Valiante

tori locali». Come avviene concretamente l’attività di prevenzione delle infiltrazioni criminali negli ambiti istituzionali e imprenditoriali? «Lavoriamo nel convincimento che il crimine organizzato si vince se vi è massima sinergia fra tutte le forze sane in campo; la commissione si rapporta quotidianamente, oltre che con pubblici amministratori, imprenditori e commercianti, anche con i prefetti, con i procuratori della Repubblica, con le direzioni investigative antimafia del territorio e con la Commissione antimafia nazionale. Sollecitiamo i sindaci e i consiglieri comunali, ma anche gli imprenditori, a denunciare senza indugi tentativi di infiltrazioni o comportamenti intimidatori: sono centinaia le persone che ascoltiamo in audizione, rapportando i “lavori secretati” agli organi deputati alle indagini. Abbiamo sollecitato e favorito la sottoscrizione di protocolli d’intesa per le stazioni uniche appaltanti fra Comuni e Prefetture». Qual è la più grande battaglia vinta dalla Commissione? «La più bella soddisfazione è quella di aver recuperato il senso di scetticismo e di sfiducia che inizialmente accompagnava un po’ tutti, specie gli amministratori locali, sovente critici nei confronti del “Palazzo” che sentono distante dalle esigenze e dalle aspettative dei cittadini. Con la continua e concreta presenza in

tanti Comuni, con la capacità di ascolto e di mediazione, con la grande attenzione che il tema richiede, la commissione anticamorra della Regione è divenuta riferimento in buona parte dei territori, colmando, seppur in parte, quel solco assai profondo che spesso si registra fra società civile e istituzioni». Quale sarà invece la prossima sfida? «Stiamo lavorando in queste settimane su un fenomeno complesso e complicato che grava su tantissimi Comuni specie delle province di Napoli e di Caserta: il racket del “caro estinto”. I servizi funebri sono spesso infiltrati dai clan della camorra: il trasporto delle salme e tutti i servizi accessori, l’assegnazione dei loculi o delle cappelle, la gestione dei cimiteri sono “cosa” del crimine organizzato, con costi per quei cittadini, che non hanno possibilità alternative che arrivano fino al triplo e più rispetto alle normali tariffe. Nei prossimi giorni presenteremo una proposta di legge, frutto di un tavolo tecnico che ha visto impegnate tutte le parti interessate, che mira a liberalizzare al massimo il servizio. Chiederemo a tutti i Comuni di modificare i regolamenti comunali nelle parti relative al servizio “de quo” per consentire l’ampia partecipazione d’imprenditori del settore. Coinvolgeremo e interesseremo i prefetti, le forze dell’ordine, la magistratura e i sindaci per tentare di rimuovere una chiara situazione di diffusa criminale illegalità».

In apertura, Gianfranco Valiante, presidente della Commissione consiliare d’inchiesta anticamorra, per la vigilanza e la difesa contro la criminalità organizzata

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Un futuro libero dalle mafie Sono tanti gli eventi di promozione della cultura della legalità e le attività di supporto alle vittime innocenti della criminalità e ai loro familiari. Ma la più grande risposta, secondo il presidente della Fondazione Polis, arriva dai giovani campani che chiedono giustizia Renata Gualtieri

a Fondazione Polis ha partecipato con uno stand all’Americ’s Cup, ottenendo un eccellente riscontro di pubblico che ha mostrato interesse nel vedere tanti prodotti provenienti dai terreni confiscati alle mafie. «L’aver dato spazio alle tematiche della Fondazione Polis – commenta il presidente Paolo Siani – è stato utile per tutta la città. Napoli e la Campania non sono soltanto terra di camorra, ma di tante realtà che si oppongono concretamente alle organizzazioni criminali». È significativo che questa iniziativa sia stata inserita all’interno di un grande evento sportivo. «Lo sport è una palestra di regole, consente di fare squadra, è sinonimo d’incontro e non di scontro, insegna il rispetto per sé stessi e per gli avversari, non accetta prevaricazioni e sottrae alla strada i ragazzi che vivono in situazioni di disagio». Sono, questi, concetti che si ritrovano appieno nell’attività di diffusione della cultura della legalità che la Regione Campania, la Fondazione Polis, l’associazione Libera, il Coordinamento campano dei familiari delle vittime innocenti della criminalità e le organizzazioni impegnate nel riuso dei beni confiscati alla camorra portano avanti da anni. Quali i prossimi eventi attraverso cui la fondazione promuoverà i temi della legalità? «È nostra intenzione avere uno spazio all’interno del Forum delle culture che si terrà nel 2013 nel capoluogo campano e proseguiremo

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Sopra, Paolo Siani, presidente della Fondazione Polis

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la collaborazione con l’organizzazione della Maratona internazionale di Napoli, promuovendo un dibattito sui temi a noi cari con le scuole della città e intitolando premi alle vittime. Lo scorso 21 luglio, in occasione del ventennale dell’uccisione di Fabio De Pandi, un bambino di 11 anni colpito durante un conflitto a fuoco tra clan rivali, abbiamo intrapreso un progetto, “La Strage degli innocenti”, dedicato a tutti i bambini uccisi dalla violenza criminale. Un appuntamento importante si terrà il prossimo 29 maggio, nel trentennale dell’uccisione di Simonetta Lamberti». Quanto è importante promuovere dei percorsi di educazione alla legalità? «La lotta alle mafie è innanzitutto una sfida culturale. Lo diceva Giovanni Falcone. Il lavoro di magistratura e forze dell’ordine è eccezionale per le innumerevoli operazioni di cattura di pericolosi latitanti e di sequestro di beni ai clan, ma non possiamo ignorare che se si vogliono contrastare seriamente e con impegno le mafie sono necessari investimenti, lavoro e opportunità per i nostri giovani. Il contrasto all’illegalità deve iniziare già durante i primi anni di scuola». Che tipo di supporto offre la fondazione ai familiari delle vittime? «Il sostegno che offriamo è prima di tutto umano. La Fondazione Polis è una grande famiglia che accoglie i familiari delle vittime.


Paolo Siani

Ed è per dare una risposta alle loro esigenze che abbiamo siglato due protocolli di intesa: uno con il Consiglio dell’ordine degli avvocati di Napoli e un altro con l’Ordine degli psicologi della Campania. Pochi giorni fa una nostra delegazione ha sottoposto all’attenzione del ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri l’urgenza di snellire i tempi per il riconoscimento dello status di vittima innocente della criminalità e la necessità di superare la pericolosa distinzione tra vittime innocenti della criminalità organizzata e vittime innocenti della criminalità comune, oggi prive di tutela giuridica». Esistono in regione delle buone pratiche di valorizzazione o riutilizzo dei beni confiscati alle mafie? «Nei nostri territori lavorano tante organizzazioni che hanno dato nuova vita ai beni sottratti ai clan, rendendoli occasione di sviluppo di un’economia legale e solidale, come il ristorante “Nuova cucina organizzata” a San Cipriano d’Aversa o l’associazione “Figli in famiglia”, che sottrae alla strada i minori a rischio del quartiere San Giovanni a Teduccio di Napoli, la Onlus “La Forza del silenzio”, che a Casal di Principe ha realizzato un cen-

tro per bambini autistici. Ma sui beni confiscati ci sono molti problemi. Ogni giorno vengono effettuati in Italia importanti operazioni di confisca dei capitali dei mafiosi, nel solo 2011 la Direzione investigativa antimafia di Napoli ha eseguito sequestri per oltre 380 milioni di euro e confische per 137 milioni. Noi chiediamo trasparenza e vorremmo che quei soldi venissero utilizzati per il riutilizzo dei beni confiscati. Ma il problema più grave è che, nonostante la confisca definitiva, tali beni non sono riutilizzabili dai Comuni e dalle associazioni perché gravati da ipoteche». C’è bisogno dell’impegno comune per la costruzione della giustizia sociale. Qual è la sensibilità dei giovani campani e delle istituzioni? «La nostra fondazione è l’emblema di quanto questi temi non abbiano colore politico, ma appartengano a tutti. La Fondazione Polis è infatti uno strumento della Regione Campania, costituito nel 2008 da una giunta di centrosinistra e ulteriormente rafforzata e sostenuta negli ultimi due anni da una giunta di centrodestra. Ma la risposta più bella la stiamo ricevendo dalla scuola. Nel 2011 oltre 5.000 studenti campani hanno visitato la Fondazione Polis e la Bottega dei sapori e dei saperi della legalità di Libera. In 100.000 hanno sfilato insieme a don Luigi Ciotti e a tutti i familiari delle vittime innocenti a Napoli nel 2009 e altrettanti erano a Milano l’anno dopo e ancor di più a Genova il 21 marzo scorso per celebrare la Giornata nazionale della memoria e dell’impegno». CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 181




CRISI AZIENDALI

Procedure fallimentari più eque a crisi del credito e la conseguente difficoltà da parte delle aziende a ottenere finanziamenti e prestiti dalle banche rende la ripresa economica particolarmente difficile. Una delle cause principali di questo vortice è sicuramente l’aumento dei fallimenti, che rende particolarmente complesso il recupero dei crediti vantati nei confronti dell’imprenditore fallito. In questo modo l’insolvenza rischia di contagiare a macchia d’olio altre realtà aziendali. Soltanto in Campania nel 2011 si è assistito a un aumento del 30% dei fallimenti. Secondo Domenico Posca, numero uno dell’Osservatorio crisi di impresa, gli scogli principali per la risoluzione di queste problematiche sono proprio la legislazione e la burocrazia, che non supportano a sufficienza i creditori di dimensioni più piccole, la scarsa trasparenza e la impossibilità di intervenire prima che le aziende siano al punto di non ritorno. «La percentuale dei crediti ammessi al passivo recuperati dai creditori è inferiore al 20%, tra privilegiati e chirografari, mentre i costi delle procedure superano il 20% dell’attivo liquidato. È dal 1998 che denuncio il fallimento delle procedure concorsuali, dopo la riforma, la situazione non sembra essere mutata, pur nell’accertata riduzione delle procedure». Quali sono le cause della loro inefficienza? «Innanzitutto, l’impresa arriva alla procedura concorsuale troppo tardi, in una situazione patologica pregressa. Poi l’edulcorazione delle

La crisi economica obbliga a mettere in agenda una nuova riforma del diritto fallimentare, nell’ottica di poter favorire quelle società più piccole che nel processo concorsuale si rivelano spesso perdenti Teresa Bellemo

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sanzioni penali per il falso in bilancio, che non è perseguibile d’ufficio, a meno che non si abbia a che fare con un’azienda quotata in Borsa: in questo modo si consente di fare carte false esercizio dopo esercizio, posticipando la soluzione dei problemi. Soprattutto nelle società senza organi di controllo, e con attivi in realtà inesistenti, accade che si gonfino in maniera esagerata bilanci e contabilità delle voci più esposte a giudizi discrezionali come i crediti, le rimanenze o i lavori in corso. Inoltre, le aziende napoletane sono sottocapitalizzate per l’idea che il capitale di rischio deve essere minimo rispetto all’indebitamento e alimentarsi così soltanto attraverso il reimpiego di utili che, a loro volta, sono determinati con discutibili criteri di valutazione. Il risultato è un patrimonio netto che, formato di questi utili, alla prova dei fatti si rivela del tutto inconsistente». Qual è lo stato di salute delle aziende campane? «Soffrono come e più delle aziende di altri territori. Pesano le conseguenze della riduzione dell’area di fallibilità, soprattutto riguardo le alternative del creditore insoddi-


Domenico Posca

sfatto. Non potendo far fallire l’impresa in- infatti, un proporzionale incremento degli solvente, aggredisce il residuo patrimonio con altri istituti di recupero del credito come piazioni individuali finalizzate esclusivamente al gnoramenti e procedure esecutive individuali. Allora vi è da chiedersi se è più efficiente ed equo un sistema che privilegia le azioni individuali sul patrimonio dell’imprenditore rispetto a quello di natura concorsuale che asA Napoli i fallimenti sono sicura maggiori garanzie di eguale crollati, dato che in passato trattamento dei creditori attraverso il meccasuperavano i mille all’anno. nismo della par condicio, attenuando gli efMa non certo perché l’econo- fetti di meccanismi eccessivamente protesi verso la tutela dei creditori forti». mia cittadina ha brillato Anche a causa di questo momento di crisi economica in cui i fallimenti sono più frequenti, si parla di una nuova riforma. Cosa massimo recupero, senza tenere in alcun ne pensa? Quali dovrebbero essere le modificonto altre finalità pur meritevoli di tutela che più urgenti da mettere sul tavolo? come la salvaguardia delle unità produttive. «La disciplina in esame sta per essere nuovaL’esonero generalizzato dal fallimento ha fi- mente modificata dal legislatore. Questo è nito con il favorire i creditori che si muovono senz’altro positivo, si tratta di un intervento con maggiore rapidità ed efficacia, in danno necessario, visto l’aggravarsi della crisi ecodei piccoli operatori che, in tal modo, hanno nomica, per porre rimedio alle lacune del visto aumentare a loro volta il proprio ri- regime attuale. Lo scopo dichiarato è quello schio di insolvenza. I rischi suddetti, in Cam- di introdurre nel nostro ordinamento le propania, possono diventare preoccupanti. La cedure di allerta attraverso l’elaborazione di dimensione media delle imprese della regione meccanismi di segnalazione tempestiva delle si attesta infatti su livelli molto più bassi dei situazioni di difficoltà delle imprese, in malimiti di esonero». niera da poterne anticipare il salvataggio Nel 2011 la Campania ha assistito a un’im- prima che l’insolvenza diventi irreversibile. pennata di fallimenti, il 30% in più. Quali Tra le ipotesi allo studio vi è quella mutuata sono i motivi principali, dove intervenire? dall’ordinamento francese con l’intervento «Malgrado l’incremento parziale, se guar- anticipato del pubblico ministero. Non è da diamo i dati di dieci anni fa, per fortuna a escludere una soluzione più privatistica baNapoli i fallimenti sono crollati, dato che in sata su specifiche integrazioni da inserire passato superavano i mille all’anno. Ma non nella nota integrativa di bilancio e sul coincerto perché l’economia cittadina ha brillato. volgimento di soggetti cui spetta l’iniziativa, La riduzione dell’area di fallibilità ha soltanto come l’Istituto di previdenza e gli organi deincrementato il rischio di turbolenze e insta- putati al controllo societario. Tutte procedure bilità nel sistema economico caratterizzato già istituite in molti Paesi europei per conda piccole e piccolissime aziende. Alla ridu- sentire l’emersione tempestiva della crisi zione del numero di fallimenti è corrisposto, d’impresa».

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In apertura, Domenico Posca, presidente dell’Osservatorio crisi di impresa

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CRISI AZIENDALI

È verde la luce che illumina la crisi delle imprese campane Raggio Verde è la fondazione “salva imprese” presentata dal presidente di Confcommercio Napoli, Pietro Russo: «Grazie all’intesa con i consorzi fidi daremo agli imprenditori la possibilità di essere seguiti a 360 gradi» Teresa Bellemo

fallimenti stanno colpendo il cuore produttivo dell’Italia, lo affermano i dati Cerved, gruppo specializzato nell’analisi delle imprese e nella valutazione del rischio di credito, secondo cui dal 2009 un quarto delle imprese che hanno chiuso sono meridionali, con un boom per la Campania durante lo scorso anno. Secondo le rilevazioni Cerved, nel 2011 il maggior numero di fallimenti ha riguardato la Lombardia, ma proprio in Campania la crescita è stata quasi del 30 per cento. Per Pietro Russo, presidente di Ascom Confcommercio Napoli, il problema principale sta nella difficoltà anche da parte di imprese sane di ricorrere all’accesso al credito. Rivolgersi agli istituti bancari per un finanziamento diviene, infatti, necessario a causa del drammatico problema del ritardo nei pagamenti, non solo della pubblica amministrazione, ma anche dei privati, che si trovano a non poter saldare i conti delle forniture per via della brusca frenata che hanno subìto i consumi. Anche a questo proposito è nata Raggio Verde, una fondazione che ha lo scopo di aiutare, previo un attento monitoraggio, le aziende campane in crisi a superare le difficoltà, in modo da evitare che un periodo negativo le trascini in situazioni irreversibili come il fallimento. Quali sono gli obiettivi di Raggio Verde? «Il principale obiettivo della fondazione consiste nell’assicurare un sostegno alle imprese che versano in gravi difficoltà finanziarie e operative ed evitare che possano cadere nel vortice dell’usura

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o della criminalità organizzata. La forza della fondazione è che può arrivare là dove le banche non possono spingersi, dando sostegno alle imprese che potrebbero salvarsi ma che non riescono a ottenere credito dalla banca a causa delle rigide regole sul merito creditizio. Il rallentamento dei pagamenti tra le imprese, dovuto anch’esso alla crisi, è un fenomeno generalizzato. Il problema principale è che spesso le aziende sono inserite in un circolo vizioso: sono infatti tantissime le imprese che devono necessariamente ritardare i pagamenti ai fornitori poiché i loro clienti hanno difficoltà a saldare i conti delle forniture dato che il mercato e i consumi sono fermi. Va sottolineato però che uno dei peggiori pagatori è proprio la pubblica amministrazione e in primis gli enti locali: a volte bisogna attendere anche 2 o 3 anni per essere rimborsati. È il caso soprattutto della sanità e dei lavori pubblici». Nel 2011 la Campania ha avuto un boom di fallimenti, il 30 per cento in più. Quali sono i motivi principali e dove intervenire? «La Campania ha rallentato più di altre regioni durante la crisi, soprattutto a causa della frenata del comparto industriale, in particolare del metalmeccanico. Questo ha avuto effetti a catena sull’indotto e sull’intero ciclo economico. Il terziario si è difeso meglio, riuscendo, secondo il rapporto Svimez, a incrementare lo scorso anno il proprio dato occupazionale dello 0,5 per cento, unico settore economico ad avere un se-


Pietro Russo

gno positivo sotto questo profilo. Ciò nonostante, i fallimenti delle piccole e medie imprese sono aumentati notevolmente: spesso si tratta di aziende economicamente sane che non possono far fronte ai propri impegni per ritardati pagamenti o fallimenti di altri soggetti. Perciò servono strumenti straordinari di sostegno alle imprese, che facilitino l’accesso al credito e siano in grado di sostenere quelle aziende non decotte, i cui problemi derivano da situazioni estranee ma hanno le carte in regola per riprendersi. Poi, naturalmente, c’è una quota di fallimenti dovuta a cause fisiologiche come la cattiva gestione o l’investimento in business ormai non redditizi, ma non è su questi casi che ci interessa intervenire». In merito al diritto fallimentare, la legislazione italiana va incontro in maniera reale alle crisi societarie? In quali punti potrebbe essere migliorata? «Il legislatore, nell’evoluzione del diritto fallimentare, è intervenuto anche di recente con alcune misure tese a favorire il salvataggio delle aziende in crisi. Tuttavia ritengo che interventi più incisivi dovrebbero riguardare la fase prefallimentare, favorendo l’accesso al credito e, quindi, una maggiore disponibilità da parte degli istituti di credito nella fase del rientro dalle esposizioni. L’attenzione deve essere dunque incentrata sul salvataggio dell’impresa in crisi prima che si attivi la procedura fallimentare. Col fallimento, come dimostrano le statistiche, perdono tutti, anche i creditori, quindi l’intero sistema economico». Ricapitalizzare le aziende può essere uno strumento per rafforzarle, cercando in questo modo di limitare il rischio di fallimento? «Certamente sì. Occorre anche incentivare le imprese a transitare da una dimensione familiare a una manageriale, modernizzando i propri criteri di gestione, soprattutto sul piano finanziario. Siamo favorevoli a tutti quegli incentivi, fiscali e creditizi, che rendano più agevole il rafforzamento patrimoniali delle imprese». CAMPANIA 2012 • DOSSIER • 187




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